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dossier DECADENZA P.d.C. (Permesso di Costruire) - inizio e fine lavori
maggio 2022

EDILIZIA PRIVATA: Sulla corretta esegesi dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), norma che, nel disciplinare l’ipotesi di decadenza del titolo edilizio, impone a tal fine una istruttoria ad hoc non potendo un provvedimento di tal fatta conseguire a valutazioni del Comune sommarie o effettuate nel contesto di altri procedimenti.
La giurisprudenza ha affermato che:
   a) “Ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (T.U. Edilizia), l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici”;
   b) “In materia edilizia la decadenza dalla concessione edilizia va valutata in relazione all'effettivo inizio dei lavori non in via generale e astratta, ma con specifico riferimento all'entità e alle dimensioni dell'intervento edilizio programmato e autorizzato, ciò al fine di evitare che il termine per l'avvio dell'edificazione possa essere eluso mediante lavori fittizi e simbolici, e quindi non significativi di un effettivo intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione” ;
   c) “In materia edilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 l'inizio lavori deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi, che debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici” ;
   d) "L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con licenza edilizia incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto adottato devono essere accertati dall’autorità emanante".
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9. L’appello va accolto.
9.1. L’art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 prevede che “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
9.2. La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che:
   a) “Ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (T.U. Edilizia), l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto i lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici” (Cons. Stato, Sez. IV, 03.06.2021, n. 4239);
   b) “In materia edilizia la decadenza dalla concessione edilizia va valutata in relazione all'effettivo inizio dei lavori non in via generale e astratta, ma con specifico riferimento all'entità e alle dimensioni dell'intervento edilizio programmato e autorizzato, ciò al fine di evitare che il termine per l'avvio dell'edificazione possa essere eluso mediante lavori fittizi e simbolici, e quindi non significativi di un effettivo intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione” (Cons. Stato, Sez. IV, 04.12.2020, n. 7701);
   c) “In materia edilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 l'inizio lavori deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi, che debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici” (Cons. Stato, Sez. II, 30.07.2019, n. 5371);
   d) "L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con licenza edilizia incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto adottato devono essere accertati dall’autorità emanante" (Cons. Stato, Sez. V, 11.04.1990 n. 343) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.05.2022 n. 4033 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2020

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
L'istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue ex lege al ricorrere del presupposto legislativamente indicato.
L'operatività della decadenza della concessione edilizia, dunque, necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria.
Da tanto discende l’impossibilità per il Tribunale adito di pronunciare l’invocata decadenza, atteso che il divieto di cui all'art. 34, comma 2, c. proc. amm., in base al quale è inammissibile un'azione di accertamento volta ad ottenere che il giudice si pronunci con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, impedisce di proporre l'azione di accertamento dell'avvenuta formazione dell’invocata decadenza del titolo abilitativo, laddove risulti che il potere di dichiarare la decadenza del titolo edilizio non sia stato ancora esercitato e sia in astratto ancora esercitabile dalla p.a..
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3.1.- Nondimeno, anche volendone ammettere l’asserita applicabilità, il Collegio, come già evidenziato con l’ordinanza cautelare n. 1499/2017, non può esimersi dal richiamare l’altrettanto costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. V, 12.05.2011, n. 2821).
L'istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue ex lege al ricorrere del presupposto legislativamente indicato (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.04.2014, n. 1747).
L'operatività della decadenza della concessione edilizia, dunque, necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.10.2015, n. 4823, TAR Sicilia–Palermo, sez. I, 25.10.2017, n. 2411).
Da tanto discende l’impossibilità per il Tribunale adito di pronunciare l’invocata decadenza, atteso che il divieto di cui all'art. 34, comma 2, c. proc. amm., in base al quale è inammissibile un'azione di accertamento volta ad ottenere che il giudice si pronunci con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, impedisce di proporre l'azione di accertamento dell'avvenuta formazione dell’invocata decadenza del titolo abilitativo, laddove risulti che il potere di dichiarare la decadenza del titolo edilizio non sia stato ancora esercitato e sia in astratto ancora esercitabile dalla p.a. (cfr. Cons. St., ad. plen., 29.07.2011, n. 15; TAR Lazio–Latina, 14/12/2015, n. 824) (TAR Campania-Napoli, Sez. V, sentenza 27.07.2020 n. 3344 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2020

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza di questo Consiglio è unanime nel ritenere che la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati.
I termini di inizio e di conclusione dei lavori possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso e tali fatti sopravvenuti (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Pertanto, il venir meno ex tunc dell’efficacia del permesso di costruire per il mancato rispetto del termine di fine lavori in assenza di tempestiva domanda di proroga si riverbera sugli effetti dei successivi titoli edilizi che non possono ritenersi efficaci trattandosi di richieste di varianti rispetto ad un titolo edilizio principale privo di efficacia.
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7.2. Venendo all’esame del primo motivo di appello deve rilevarsi che l’art. 15, del d.P.R. n. 380/2001 prevede espressamente la decadenza del permesso di costruire nel caso di mancato rispetto del termine di inizio o di ultimazione dei lavori, fatta salva la possibilità di proroga, che deve essere richiesta prima della scadenza dei detti termini e che deve essere accordata ai sensi del comma 2-bis del citato art. 15: “qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.”
Il detto comma 2-bis sebbene non risulti applicabile alla fattispecie perché introdotto dall'art. 17, comma 1, lett. f), n. 2), D.L. 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.11.2014, n. 164, si limita a confermare per quanto in questa sede interessa, che anche in caso di pendenza del procedimento penale e di adozione di eventuali provvedimenti da parte del giudice penale che incidano sulla possibilità di rispetto dei termini in questione, la proroga debba comunque essere richiesta e non operi ex lege.
La giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, unanime nel ritenere che la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati; i termini di inizio e di conclusione dei lavori possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso e tali fatti sopravvenuti (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 29.08.2019, n. 5978).
Pertanto, il venir meno ex tunc dell’efficacia del permesso di costruire per il mancato rispetto del termine di fine lavori in assenza di tempestiva domanda di proroga si riverbera sugli effetti dei successivi titoli edilizi che non possono ritenersi efficaci trattandosi di richieste di varianti rispetto ad un titolo edilizio principale privo di efficacia.
7.3. Del pari non gioca alle tesi dell’appellante il richiamo all’articolo 30, comma 3, del D.l. n. 69/2013, che secondo la prospettazione contenuta nell’odierno gravame avrebbe comportato la proroga automatica del titolo edilizio senza necessità di autorizzazione espressa da parte dell’Amministrazione comunale.
La norma in questione, infatti, recita: “Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. È altresì prorogato di tre anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Ma, da un lato, la norma citata si applica a far data dal 09.10.2013 ossia quando i termini di ultimazione dei lavori risultavano già scaduti; dall’altro, l’appellante non ha in alcun modo dimostrato di aver inviato la richiesta comunicazione prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.06.2020 n. 4179 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2020

EDILIZIA PRIVATAE' illegittima l’ordinanza demolitoria che pone a suo fondamento l’intervenuta -ma non dichiarata- decadenza del titolo abilitativo edilizio, tenuto conto che la perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’amministrazione
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3. Ritenuto il ricorso fondato, giacché:
   - è illegittima l’ordinanza demolitoria che pone a suo fondamento l’intervenuta -ma non dichiarata- decadenza del titolo abilitativo edilizio (TAR Napoli, Sez. VIII, 08.05.2018, n. 3065; TAR Pescara, Sez. I, 14.11.2014, n. 449), tenuto conto che la perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. V, 12.05.2011, n. 2821) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 19.05.2020 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2020

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia del titolo edilizio, per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti dall’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento del competente organo comunale all’esito di apposita istruttoria, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
Infatti, l’istituto della decadenza del permesso di costruire di cui alla citata disposizione, pur avendo natura dichiarativa e vincolata, presuppone, a garanzia degli interessi privati coinvolti, un atto di accertamento di un effetto legale che si riconnette al manifestarsi dei presupposti normativi, con la conseguenza che può ben affermarsi che l’operatività della decadenza postula sempre l’intermediazione provvedimentale, in assenza della quale il titolo edilizio dovrà continuare ad essere considerato assolutamente vigente.

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3. Come correttamente eccepito dalla difesa del controinteressato e come comprovato dalle emergenze processuali (cfr. carteggio intercorso tra le parti), la nota della Commissione Straordinaria prot. n. 1236 del 02.05.1994 non può essere qualificata alla stregua di un provvedimento decadenziale della concessione edilizia dell’08.07.1985, semplicemente perché essa non si riferisce a tale titolo abilitativo ma, piuttosto, alla richiesta di proroga annuale del termine per il completamento dei lavori presentata dallo stesso Sig. Mo. il 23.04.1988 (prot. n. 8034).
Pertanto, la disposta archiviazione della pratica va propriamente collegata, al contrario di quanto opinato dalla ricorrente, non all’avvenuto rilascio del titolo abilitativo, ma alla suddetta istanza di proroga: di qui l’incontrovertibile giuridica sussistenza dell’originaria concessione edilizia del 1985, la quale ben poteva costituire valido presupposto dei contestati permessi di costruire.
4. Il permesso di costruire n. 51/2011 non poteva considerarsi decaduto per asserito omesso inizio dei lavori entro l’anno dal suo rilascio, dal momento che non era intervenuto alcun provvedimento dell’amministrazione comunale significativo in tal senso.
Si rammenta che la perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti dall’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento del competente organo comunale all’esito di apposita istruttoria, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
Infatti, l’istituto della decadenza del permesso di costruire di cui alla citata disposizione, pur avendo natura dichiarativa e vincolata, presuppone, a garanzia degli interessi privati coinvolti, un atto di accertamento di un effetto legale che si riconnette al manifestarsi dei presupposti normativi, con la conseguenza che può ben affermarsi che l’operatività della decadenza postula sempre l’intermediazione provvedimentale, in assenza della quale il titolo edilizio dovrà continuare ad essere considerato assolutamente vigente (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.10.2015 n. 4823; TAR Campania Napoli, Sez. III, 07.11.2019 n. 5289; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 08.05.2018 n. 3065; parte ricorrente, viceversa, fa leva su orientamenti giurisprudenziali ormai minoritari) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 03.04.2020 n. 1322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2019

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è costante nel ritenere che la variante in senso proprio al titolo edilizio comporti “modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione”; mentre la variante essenziale, caratterizzata da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario”, sulla base dei parametri indicati dall'art. 32 del T.U. 380/2001 costituisca un permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario.
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La costante giurisprudenza afferma che nel caso di variante semplice rimangono i termini di efficacia originari del titolo, mentre nel caso della variante essenziale valgono nuovi termini indicati nel nuovo titolo.
Pertanto, si deve ritenere, pena la violazione della disciplina relativa ai termini di efficacia del titolo edilizio, che la variante non essenziale non possa comunque più intervenire quando siano già scaduti i termini originari.
Inoltre, la decadenza del titolo edilizio è considerata effetto legale del verificarsi del relativo presupposto, ovvero del decorso del termine, sì che il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo.
Ne deriva che la decadenza, intervenuta per il superamento dei termini previsti per la realizzazione della costruzione, comporta la impossibilità di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora da eseguire.
Una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso a provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione”.
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Ritiene il Collegio che tale motivo di appello sia infondato.
Risulta, infatti, evidente dalla documentazione agli atti di causa e anche dalla relazione del consulente tecnico nominato nel giudizio di primo grado che il permesso di costruire dell’08.10.2007 sia del tutto autonomo dal precedente.
Ciò risulta in fatto sia dalla nuova istruttoria effettuata dall’Amministrazione, di cui dà atto lo stesso Comune nella nota del Responsabile del procedimento, prot. n. 12110 del 03.07.2008, allegata alla relazione del C.T.U. e citata dal giudice di primo grado sia dalle sostanziali modifiche di sagoma, di prospetti e di cubatura introdotte rispetto al progetto originario, secondo quanto indicato dal consulente.
Il parametro normativo per la definizione di varianti cd. essenziali che comportano il rilascio di un nuovo titolo edilizio è costituito dall’art. 32 del D.P.R. 380 del 2001 che, nel testo allora vigente indicava le varianti essenziali come quelle “mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 02.04.1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16.04.1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali".
La giurisprudenza è costante nel ritenere che la variante in senso proprio al titolo edilizio comporti “modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione”; mentre la variante essenziale, caratterizzata da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario”, sulla base dei parametri indicati dall'art. 32 del T.U. 380/2001 costituisca un permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario (Consiglio di Stato sez. VI 30.03.2017 n. 1484).
Peraltro, nel caso di specie, a monte la configurabilità di una variante è esclusa anche dalla circostanza che la concessione edilizia rilasciata il 30.01.1997 era scaduta senza che fossero mai stati completati i lavori né concessa una proroga prima della scadenza del titolo.
Infatti, la concessione edilizia rilasciata il 30.01.1997 prevedeva i termini di 12 mesi per l’inizio dei lavori e di 36 mesi per l’ultimazione dalla data del rilascio, aveva quindi perso efficacia il 30.01.2000.
L’immobile non è stato realizzato nel termine previsto dall’originario titolo edilizio; infatti l’atto del 22.11.2005 di “voltura e rinnovo” della concessione ha fatto riferimento, quale presupposto per la sua adozione, “al ritardo sulle lavorazioni dovuto alla particolare complessità delle opere geotecniche”; a tale data, quindi, i lavori non erano ancora terminati.
L’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10, da cui era disciplinata la concessione rilasciata nel 1997, disponeva che l’atto di concessione indicasse i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Inoltre, prevedeva: “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata
”.
Analoga disciplina è contenuta nell’art. 15 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380, per cui “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
Inoltre, in base al comma 3 della medesima disposizione, “la realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività (ora SCIA) ai sensi dell'articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione”. Infine “il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
Tale disciplina comporta che a seguito della concessione edilizia del 30.01.1997, scaduta senza che fosse presentata alcuna richiesta di proroga prima della scadenza, in alcun modo si potesse configurare una variante; né, in difetto di proroga tempestiva, avrebbero potuto essere salvati gli effetti di un titolo edilizio già scaduto.
La costante giurisprudenza afferma, altresì, che nel caso di variante semplice rimangono i termini di efficacia originari del titolo, mentre nel caso della variante essenziale valgono nuovi termini indicati nel nuovo titolo (Cons. Stato Sez. VI, 20.11.2017, n. 5324; Sez. IV, 11.10.2017, n. 4704).
Pertanto, si deve ritenere, pena la violazione della disciplina relativa ai termini di efficacia del titolo edilizio, che la variante non essenziale non possa comunque più intervenire quando siano già scaduti i termini originari.
Inoltre, la decadenza del titolo edilizio è considerata effetto legale del verificarsi del relativo presupposto, ovvero del decorso del termine, sì che il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo.
Ne deriva che la decadenza, intervenuta per il superamento dei termini previsti per la realizzazione della costruzione, comporta la impossibilità di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora da eseguire.
Una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso a provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione” (Cons. Stato sez. IV 11.04.2014 n. 1747).
Infine, i provvedimenti abilitativi in materia edilizia sono tipizzati dal legislatore (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 25.09.2019 n. 6424 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

maggio 2019

EDILIZIA PRIVATAPermesso di costruire formatosi per silentium: é ammessa la decadenza per mancato avvio dei lavori?
Due cittadine pugliesi presentavano istanza per ottenere dal Comune un permesso di costruire. L’Amministrazione civica si guardava bene dal pronunciarsi sulla domanda e, a detta delle istanti, sulla stessa si formava il silenzio assenso.
Ad un certo punto il Comune emanava invece un provvedimento di decadenza del titolo, formatosi per silentium, sul presupposto che le due donne non avevano iniziato i lavori tempestivamente.
A questo punto costoro presentavano ricorso al TAR assumendo in particolare che l’atto contestato era viziato da sviamento, travisamento, contraddittorietà-illogicità.
Il TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2019 n. 725, ha accolto l’impugnativa.
Il Collegio ha preliminarmente osservato che la formazione del silenzio-assenso (art. 5 legge 12.07.2011 n. 106) sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, del T.U. 6 giugno 2001 n. 380) postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, in quanto in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi.
Tale forma di silenzio, che origina un titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento, pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce solo un’alternativa modalità, presuntivamente semplificata, di tipo “rimediale” per il conseguimento dell’autorizzazione anelata, laddove l’amministrazione rimanga inerte.
Tuttavia trattasi pur sempre di un’alternativa posta nell’interesse del destinatario, ossia del soggetto passivo che “attende” il provvedimento.
Secondo l’interessante pronuncia dei giudici pugliesi, la natura rimediale (e derogatoria) del silenzio-assenso, infatti, va qualificata in senso per così dire “protettivo” dell’interesse del richiedente all’irrinunciabilità dell’atto esplicito e formale, preordinato ad evitare l’avvio di un’attività a gravoso impatto territoriale ed economico, peraltro non facilmente reversibile.
Ciò posto, non può dunque che essere riconosciuta la facoltà per il privato di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla “scala” degli atti di assenso agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (D.P.R. 06.06.2001 n. 380), va compiuta in senso razionale. Se, dunque, per un intervento minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di parte può optarsi per il rilascio di un permesso di costruire espresso, è quindi, secondo la logica giuridica, necessario che, per un intervento maggiore, dove è previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il rilascio di un permesso espresso, seppure in alternativa in base alla normativa possa risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto solo in funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
E’ stato quindi affermato che rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, L. 07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (D.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale (ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa), la formazione di un silenzio-assenso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il soggetto istante ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio del potere di autotutela, con lesione della propria sfera economico-patrimoniale.
Ragion per cui, giammai l’Amministrazione comunale può pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo –com’è avvenuto nel caso di specie– l’emanazione di un provvedimento espresso. In altri termini, non può pronunciarsi una decadenza, in ordine ad un provvedimento inespresso e di contenuto indeterminato e indeterminabile, alla stregua della normativa da applicarsi in concreto.
In buona sostanza con la sentenza in commento il Comune di Trani è stato obbligato, laddove invero specificamente richiesto e sollecitato, a pronunciarsi sul rilascio del permesso edilizio in modo espresso, stante il principio generale imposto dall’art. 2, comma 1, della citata L. n. 241 del 1990: con conseguente annullamento dell’atto di decadenza (commento tratto da www.ilquotidianodellapa.it - TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATADecadenza, per mancata conclusione dei lavori, del permesso edilizio rilasciato per silenzio-assenso.
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Edilizia – Permesso di costruire – Rilasciato per silenzio-assenso – Decadenza per mancata conclusione dei lavori – Esclusione.
L’amministrazione comunale non può pronunciare la decadenza per mancata attivazione e conclusione dei lavori, in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo, l’emanazione di un provvedimento espresso; non è infatti configurabile la decadenza su un atto tacito “condizionato” alla presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 8, d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (completezza documentale ed esclusione da vincoli), che sono suscettibili di vario apprezzamento oggettivo e soggettivo (auto-qualificazione) e, quindi, sono indeterminati ex se nel loro contenuto precettivo (1).
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   (1) Ha ricordato il Tar che la formazione del silenzio-assenso (art. 5, l. 12.07.2011. n. 106) sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, d.P.R. 06.06.2001 n. 380) postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (Cons. St., sez. IV, 12.07.2018, n. 4273; id. 05.09.2016, n. 3805).
Detta forma di silenzio-assenso non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce solo un’alternativa modalità semplificata di tipo “rimediale” per il conseguimento dell’autorizzazione edilizia anelata, posta nell’interesse del destinatario, che “attende” il provvedimento. Resta pertanto ferma l’irrinunciabilità dell’atto esplicito e formale.
2.- Deve, quindi, ritenersi che, allo stesso modo in cui il legislatore ha previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), è quindi a fortiori riconosciuta la facoltà di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla scala degli atti di assenso agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (d.P.R. 06.06.2001, n. 380), va infatti compiuta in senso razionale.
Se per un intervento minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di parte può optarsi per il rilascio di un permesso di costruire espresso, è quindi, secondo la logica giuridica, necessario che, per un intervento maggiore, dove è previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il rilascio di un permesso espresso, seppure in alternativa in base alla normativa possa risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto solo in funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
Rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, l. 07.08.1990, n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2019 n. 725 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
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per l’annullamento:
   - del provvedimento prot. n. 3567/29.01.2019, con cui il Comune di Trani ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire tacito, formatosi in ordine all’istanza delle ricorrenti (pratica n. 111/2009) per omesso avvio dei lavori entro il termine annuale.
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1.- In fatto, le sorelle La. hanno impugnato il provvedimento di decadenza, per omesso avvio dei lavori entro il termine annuale, pronunciato in ordine al permesso di costruire tacito, formatosi –secondo quanto ritenuto dal Comune di Trani– sulla domanda di rilascio del permesso edilizio presentata dalle ricorrenti.
Difatti, l’amministrazione comunale intimata, a fronte della presentazione dell’istanza di permesso di costruire, ha serbato silenzio, senza adottare un provvedimento espresso.
Pertanto, le ricorrenti hanno impugnato il provvedimento in epigrafe per eccesso di potere, assumendo in particolare l’atto viziato da sviamento, travisamento, contraddittorietà-illogicità. Inoltre, venivano contestate la correttezza e la trasparenza dell’azione amministrativa e la violazione del giudicato di una precedente pronuncia giurisdizionale intervenuta sulla vicenda.
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2.- In diritto, va, in via preliminare, osservato che
la formazione del silenzio-assenso (art. 5 legge 12.07.2011 n. 106) sulla domanda di permesso di costruire (art. 20, comma 8, del d.P.R. 06.06.2001 n. 380) postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, giacché in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (Cons. St., sez. IV, 12.07.2018 n. 4273; Cons. St., sez. IV, 05.09.2016 n. 3805).
La giurisprudenza (TAR Puglia, Bari, sez. III, 14.01.2016 n. 37) ha già avuto modo di precisare che
detta forma di silenzio, che origina un titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento, pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce solo un’alternativa modalità, presuntivamente semplificata, di tipo “rimediale” per il conseguimento dell’autorizzazione anelata, laddove l’amministrazione rimanga inerte.
Epperò, trattasi pur sempre di un’alternativa posta nell’interesse del destinatario, ossia del soggetto passivo che “attende” il provvedimento.
La natura rimediale (e derogatoria) del silenzio-assenso, infatti, va qualificata in senso per così dire “protettivo” dell’interesse del richiedente all’irrinunciabilità dell’atto esplicito e formale, preordinato ad evitare l’avvio di un’attività a gravoso impatto territoriale ed economico, peraltro non facilmente reversibile.

3.- Deve, quindi, ritenersi che,
allo stesso modo in cui il legislatore ha previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), è quindi a fortiori da ritenersi che debba essere riconosciuta la facoltà di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla scala degli atti di assenso agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (d.P.R. 06.06.2001 n. 380), va compiuta in senso razionale.
Se per un intervento minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di parte può optarsi per il rilascio di un permesso di costruire espresso, è quindi, secondo la logica giuridica, necessario che, per un intervento maggiore, dove è previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il rilascio di un permesso espresso, seppure in alternativa in base alla normativa possa risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto solo in funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
Difatti, nella misura in cui la surriferita disciplina ha introdotto a carico del privato, che richiede il permesso di costruire, una serie di gravosi oneri di auto-qualificazione (anche opinabili), circa il possesso dei requisiti dell’intervento edilizio da realizzarsi e di attestazione di conformità dello stesso ai presupposti di legge, il silenzio-assenso non è affatto incondizionato e per di più fa comunque salvi i poteri di autotutela dell’amministrazione (art. 20, comma 3, legge 07.08.1990 n. 241).
Tali poteri di autotutela, nella forma dell’auto-annullamento, sono esercitabili, quando il permesso di costruire sia tacito, nell’ipotesi in cui è necessario tutelare l’interesse pubblico alla legittima utilizzazione del territorio, sotto il profilo urbanistico-edilizio, in presenza di situazioni non significativamente consolidate dei privati per il tempo trascorso
(Cons. St., sez. IV, 05.09.2016 n. 3805; Cons. St., sez. IV, 28.06.2016 n. 2908; Cons. St., sez. IV, 12.07.2013 n. 3749).
4.- In ultima analisi,
va affermato che rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso.
Difatti,
la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio del potere di autotutela, con lesione della propria sfera economico-patrimoniale.
5.- Motivo per cui,
giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo –com’è avvenuto nel caso di specie– l’emanazione di un provvedimento espresso.
Il Comune di Trani è, dunque, obbligato ex lege, laddove invero specificamente richiesto e sollecitato, a pronunciarsi sul rilascio del permesso edilizio in modo espresso, stante il principio generale imposto dall’art. 2, comma 1, della legge 07.08.1990 n. 241.
Di conseguenza,
non è configurabile la decadenza su un atto tacito “condizionato” alla presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 8, del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (completezza documentale ed esclusione da vincoli), che sono suscettibili di vario apprezzamento oggettivo e soggettivo (auto-qualificazione) e, quindi, sono indeterminati ex se nel loro contenuto precettivo.
Non può pronunciarsi una decadenza, in ordine ad un provvedimento inespresso e di contenuto indeterminato e indeterminabile, alla stregua della normativa da applicarsi in concreto.
6.- In conclusione, il Comune di Trani, in quanto sollecitato al rilascio di un permesso di costruire in forma espressa, è tenuto ad emanare il relativo provvedimento e non può persistere nell’omissione. Di conseguenza, è illegittimo il provvedimento di decadenza impugnato nel presente ricorso, come specificato in epigrafe.
Ergo, il ricorso va accolto e annullato il provvedimento di decadenza impugnato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. Il contributo unificato va rifuso, in applicazione dell’art. 13, comma 6-bis, del d.P.R. 30.05.2002 n. 115.

ottobre 2018

EDILIZIA PRIVATA: Al fine di impedire la decadenza del permesso di costruire, l'avvio delle opere deve essere reale ed effettivo ovvero manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto ad edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo, con conseguente irrilevanza di operazioni quali la ripulitura del sito, l'approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l'esecuzione dei lavori nell'immobile, lo sbancamento del terreno.
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In ogni caso, ad evitare la decadenza del permesso di costruire tanto la normativa nazionale che quella regionale chiariscono che la proroga del termine di inizio e fine lavori “…può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, ma evidentemente prima della scadenza del termine di validità del titolo e comunque solo con un provvedimento espresso e motivato, fondato sulla verifica dell'idoneità delle condizioni oggettive che giustificano la richiesta.
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E’ pacifico che la decadenza del permesso di costruire costituisce l'effetto automatico dell'inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere; pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc di un effetto verificatosi ex se e direttamente e in tal modo va letto l'art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.
Di qui l’evidente ultroneità della comunicazione di avvio del procedimento dal momento che la partecipazione dell’interessata non avrebbe comunque potuto determinare alcun effetto in relazione all’oggettivo decorso del termine.
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2. Con il primo dei gravami all’esame la società ricorrente contesta il provvedimento con cui il Comune di Siena ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire n. 22/2016 rilasciato il 05.04.2016, “per la esecuzione dei lavori di realizzazione nuovo complesso per varie attività in Strada Massetana Romana” oltre a opere di urbanizzazione (viabilità e parcheggi) per circa 6.925 mq., ordinando la rimozione di quanto occorrente all’impianto del cantiere.
Il ricorso è infondato.
3. Con il primo e secondo motivo la società lamenta la violazione dell'art. 15 del D.P.R. 380/2001 e dell'art. 133 della L.R. Toscana 65/2014 giacché, a seguito del rilascio del titolo edilizio, avrebbe posto in essere tutte le attività che era possibile avviare, allestendo il cantiere, depositando i materiali necessari all'esecuzione dei lavori e sistemando il piazzale con materiale di cava.
Dopo di che l’esecuzione dei lavori sarebbe stata interrotta da cause di forza maggiore sopravvenute, identificate in primo luogo nella necessità di spostamento della fognatura pubblica che sarebbe stata eseguibile solo a mezzo di una preventiva intesa con il Comune (attesa la natura pubblica dell’infrastruttura) per la quale quest’ultimo sarebbe stato interpellato con le note del 16-17.06.2016, senza tuttavia ottenere alcun riscontro.
In secondo luogo, atteso che l’area è sita in fregio alla strada statale n. 674, si riteneva necessario acquisire l’autorizzazione dell’ANAS per l’occupazione di un terreno ai margini del lotto e della strada, con i materiali ed i mezzi d’opera, oltre che per aprire un varco di accesso necessario per raggiungere l’area di costruzione.
3.1. La tesi non merita adesione.
E’ indubbio (e del resto neppure contestato dall’interessata) che le attività preliminari poste in essere dalla società sulla porzione di terreno interessata dalla nuova edificazione non potevano ritenersi sufficienti ad integrare il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso.
In tal senso la giurisprudenza è unanime nel ritenere che al fine di impedire la decadenza del permesso di costruire, l'avvio delle opere deve essere reale ed effettivo ovvero manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto ad edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo, con conseguente irrilevanza di operazioni quali la ripulitura del sito, l'approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l'esecuzione dei lavori nell'immobile, lo sbancamento del terreno (Cons. St., sez. VI, 19.09.2017 n. 4381; id., sez. V, 31.08.2017 n. 4150; TAR Campania Salerno, sez. II, 15.06.2018 n. 961).
3.2. Quanto ai fatti che avrebbero impedito in assenza della volontà della ricorrente, e quindi per forza maggiore, l’effettivo avvio dei lavori, in relazione alla problematica della traslazione della condotta fognaria si rileva come dagli atti di causa emerga che il titolo edificatorio era stato rilasciato in conformità al progetto esecutivo, parte integrante e sostanziale dello stesso, dopo l’adeguamento a tutte le prescrizioni indicate nella premessa e quindi anche a quelle inerenti al tracciato del tratto di fognatura bianca. Non era perciò necessaria alcuna ulteriore intesa o autorizzazione da parte del Comune.
In relazione poi all’autorizzazione richiesta ad ANAS è la stessa ricorrente ad ammettere che detta Azienda, riscontrando l’istanza, aveva comunicato che non era necessaria alcuna autorizzazione, competendo semmai al Comune di Siena il rilascio di eventuali permessi, peraltro mai richiesti dall’interessata.
3.3. In ogni caso, ad evitare la decadenza del permesso di costruire, tanto la normativa nazionale che quella regionale chiariscono che la proroga del termine di inizio e fine lavori “…può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, ma evidentemente prima della scadenza del termine di validità del titolo e comunque solo con un provvedimento espresso e motivato, fondato sulla verifica dell'idoneità delle condizioni oggettive che giustificano la richiesta.
4. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole che il Comune abbia adottato la decadenza del permesso di costruire senza comunicazione dell’avvio del relativo procedimento.
La doglianza è infondata.
E’ pacifico, infatti, che la decadenza del permesso di costruire costituisce l'effetto automatico dell'inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere; pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc di un effetto verificatosi ex se e direttamente e in tal modo va letto l'art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga (Cons. St., sez. IV, 04.03.2014, n. 1013; id., sez. IV, 15.04.2016 n. 1520).
Di qui l’evidente ultroneità della comunicazione di avvio del procedimento dal momento che la partecipazione dell’interessata non avrebbe comunque potuto determinare alcun effetto in relazione all’oggettivo decorso del termine.
In conclusione per quanto appena esposto il ricorso va rigettato (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.10.2018 n. 1309 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2018

EDILIZIA PRIVATA: La realizzata “recinzione” (costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di lunghezza) è di entità notevole, non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e terrazzamento del terreno adiacente.
Sicché, dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato, va affermato che la realizzazione del muro descritto già effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera programmata.
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... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dell’ordinanza n. 113 del 16.09.2005 recante l’ordine di demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La Rocca;
...
1.1. Con il presente gravame, MU.Ma., impugna il provvedimento n. 113 del 16.09.2005 con cui il Comune di Caserta ha ordinato la demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La Rocca in seguito alla decadenza del permesso di costruire rilasciato per il lotto medesimo (permesso n. 271 del 29.11.2001).
...
2.1. Il risalente provvedimento è adottato, in sostanza, sul presupposto dell’avvenuta decadenza del titolo edilizio n. 271 del 29.11.2001 che, pacificamente, contemplava la recinzione in questione tra le opere da realizzare.
2.2. Il Comune di Caserta rileva che il permesso di costruire sarebbe decaduto per il mancato inizio dei lavori entro l’anno come previsto dall’art. 15, co. 2, del D.P.R. 380/2001 (“il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori”) e, pertanto, ingiunge la demolizione della recinzione poiché effettuata senza titolo edilizio.
3. In punto di fatto, occorre considerare che la “recinzione” è costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di lunghezza, effettuato previo terrazzamento dei terreni adiacenti (v. perizia a firma del geom. Toscano), realizzato a partire dal 18.11.2002, come da comunicazione di inizio lavori inviata in pari data (in atti).
4.1. La circostanza appena descritta dimostra la fondatezza della censura sub III che assume rilievo assorbente.
4.2. L’entità dell’opera realizzata, infatti, è notevole non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e terrazzamento del terreno adiacente.
4.3. Dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato (v. Consiglio di Stato, sez. V, 31/08/2017, n. 4150), va affermato che la realizzazione del muro descritto già effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera programmata (sull’idoneità di lavori di sbancamento e di realizzazione di un muro di contenimento a rappresentare l’inizio dei lavori, v. Cassazione penale, sez. II, 06/02/1979; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 19/09/2017, n. 4381 e, in termini, TAR Genova, sez. I, 28/01/2016, n. 93).
5. Giova precisare che, al momento dell’adozione del provvedimento impugnato (in cui si dava per assodata la decadenza dal titolo edilizio), il 15.09.2004, non era ancora decorso il termine ultimo per la conclusione dei lavori (tre anni dall’inizio dei lavori, art. 15, co. 2, D.P.R. 380/2001, cit.) che, parimenti, avrebbe implicato la decadenza del titolo edilizio. In ragione dell’adozione del provvedimento impugnato, peraltro, legittimamente la ricorrente ha sospeso ogni attività edilizia e, pertanto, dovrà essere rimessa in termini per concludere l’opera di cui al menzionato permesso di costruire con un’opportuna proroga.
6. Il ricorso va, pertanto, accolto nei sensi sopra precisati. Le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del Comune intimato per il principio di soccombenza e dovendosi comunque stigmatizzare il contegno processuale di mancata ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 628/2018 (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 26.07.2018 n. 5016 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Non integra il delitto di infedele attestazione la condotta del privato che attesti falsamente, con dichiarazione diretta al sindaco, l’inizio o l’ultimazione dei lavori di un fabbricato, considerato che tale dichiarazione non è destinata a confluire in un atto pubblico e, quindi, a provare la verità dei fatti in essa attestati, mentre la fattispecie criminosa di cui all’art. 483 c.p. è configurabile solo nel caso in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 16.05.2016, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze dell'11.11.2014 ha rideterminato la pena inflitta a Mu.Le. e Ma.Lo. per il reato di cui all'art. 483 c.p., in quanto nella Comunicazione di inizio lavori per l'esecuzione di opere relative ad un fabbricato posto in Firenze, via ... n. 60, di cui al permesso di costruire n. 33/2011, rilasciato il 05.07.2011, attestavano contrariamente al vero che i suddetti lavori erano in corso al 22.072011, avendo assolto i predetti, ed altri coimputati, dal reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, per avere realizzato i lavori nel suddetto immobile senza avere conseguito preventivamente l'autorizzazione paesaggistica, essendo i medesimi non punibili ai sensi dell'art. 181, c. 1-ter, D.lgs. n. 42 del 2004, per il rilascio della c.d. sanatoria paesaggistica.
...
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso punto, che
le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto configurabile il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (così S. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielli, Rv. 215413; Conf. S.U. n. 29/2000 del 15.12.1999, Fanciulli e S.U. n. 30/2000 del 15.12.1999, PM in proc. Bertin, non mass.).
Più di recente, è stato ribadito che
la fattispecie di cui all'art. 483 c.p. sussiste qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la dichiarazione è inserita dal pubblico ufficiale ricevente (cfr. Sez. 5, n. 18279 del 02/04/2014, Scalici, Rv. 259883).
Infatti
è orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di falsità documentale, quello in base al quale va escluso che una scrittura privata o un altro documento "ab origine" non costituente atto pubblico possa essere considerato tale in virtù del solo suo collegamento funzionale ad un atto amministrativo, per effetto dell'inserimento di esso nella relativa pratica dell'iter consequenziale occorrente per il provvedimento finale.
2.
Il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico contestato sussiste, cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale ricevente (in tal senso: Sez. 2, n. 4970 del 12/01/2012, Yu, Rv. 251815). Mentre è stato escluso che integri tale delitto la condotta del privato (nella specie proprietario e costruttore di un edificio) che attesti falsamente, con dichiarazione diretta al sindaco, l'ultimazione dei lavori di un fabbricato, considerato che tale dichiarazione non è destinata a confluire in un atto pubblico e, quindi, a provare la verità dei fatti in essa attestati, mentre la fattispecie criminosa di cui all'art. 483 c.p. è configurabile solo nel caso in cui una specifica norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale (così, ex multis, Sez. 5, n. 19361 del 13/02/2006, Caccuri, Rv. 234538).
3. Nel caso di specie la comunicazione di inizio attività non era destinata ad essere incorporata in alcun atto redatto da un pubblico ufficiale che avrebbe avuto tale valenza.
A tale proposito va anzi osservato che
le comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo di agevolare l'accertamento, da parte dell'amministrazione comunale, dell'inizio e del completamento dell'intervento edilizio nei termini e consentire una tempestiva verifica sull'attività posta in essere e non rappresentano, quindi, una semplice formalità amministrativa, bensì di un adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle finalità del permesso di costruire ed agli obblighi di vigilanza imposti dall'art. 27 e segg. del Testo Unico dell'edilizia (si veda, sul punto: Sez. 3, n. 19110 del 09/04/2013, Vani, non mass.).
4. Quindi è evidente che
la comunicazione di inizio lavori è un atto del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata ed il cui contenuto può essere oggetto di specifica verifica sulla effettiva situazione di fatto volta a controllare la corrispondenza dei lavori realizzati con quelli autorizzati e, in seguito, il completamento dell'attività edilizia alla scadenza del termine annuale assegnato con il permesso a costruire (nel caso di specie già rilasciato in data 05.07.2011, a fronte della comunicazione del 22.07.2011).
5. Inoltre, considerando il documento oggetto del giudizio nel contesto della intera vicenda che ci occupa, l'attestazione risulta essere stata del tutto irrilevante, in quanto, a seguito dell'ispezione avvenuta il giorno precedente, la pubblica amministrazione era ben a conoscenza della effettiva data di inizio dei lavori (precedente, per l'appunto, di un giorno). Di conseguenza l'eventuale "falso", ossia la non corrispondenza alla realtà fattuale, risulta, all'evidenza, del pari innocuo.
In relazione all'offensività di tale delitto, infatti, la giurisprudenza ha affermato che l'innocuità va riferita all'idoneità della dichiarazione non corrispondente al vero ad ingannare comunque la fede pubblica (così Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825), situazione del tutto mancante nel caso concreto.
6. L'accoglimento del primo motivo di ricorso, relativo alla sussistenza stessa dell'illecito, comune ad entrambi i ricorrenti determina, all'evidenza, l'integrale assorbimento della residua doglianza e, in conclusione, l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio per insussistenza del delitto di cui all'art. 483 c.p. (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 15.01.2018 n. 1456).

dicembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 15, co. 2, D.P.R. n. 380/2001, esige un «provvedimento motivato», nel quale devono essere adeguatamente rappresentati e valutati i «fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso» che abbiano impedito l’inizio dei lavori.
Ciò implica una manifestazione di volontà espressa da parte dell’Amministrazione competente, che espliciti gli esiti della valutazione di congruità dei motivi addotti dal richiedente: «la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario.
Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all’originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione».
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Ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001, senza dubbio la decadenza del permesso di costruire costituisce “effetto automatico del trascorrere del tempo”.
Ed infatti, l’art. 15 citato prevede, per quel che interessa nella presente sede:
   “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
   2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
   3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione (...)”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire, l’istituto della decadenza ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue
ex lege al presupposto legislativamente indicato.
Tuttavia, l’intervenuta decadenza, realizzatasi per superamento dei termini previsti per la realizzazione della costruzione (ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001), comporta la impossibilità di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora da eseguire, sempre che le stesse non possano essere realizzate sulla base di denuncia di inizio attività.
In sostanza, una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso (e come la norma prevede), a provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione”».
Ed ancora: «la pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc».
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La conseguenza di tale intervenuta decadenza è la illegittimità derivata del provvedimento in variante successivamente intervenuto, in quanto adottato dall’Amministrazione comunale in carenza del titolo abilitativo presupposto.
Il nuovo provvedimento, infatti, in quanto volto a introdurre una variante rispetto al precedente permesso, lo presuppone ancora valido ed efficace, atteso che «rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica -tra l’altro- le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale».
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Tutto ciò premesso, con censura fondata e assorbente i ricorrenti rilevano la illegittimità del p.a.u. n. 15/2016, in quanto adottato in variante di un permesso di costruire (il n. 86/2013) ormai decaduto per l’inutile decorso del termine di inizio dei lavori, non essendo intervenuta alcuna proroga espressa da parte del Comune di Polllica.
Sul punto non vi è contestazione: il Comune di Pollica, nella «Relazione di chiarimenti» depositata il 04.03.2017, dichiara che «non ritenne necessario alcun atto formale di proroga».
In ordine alla necessità di una proroga espressa, il Collegio rileva che l’art. 15, co. 2, D.P.R. n. 380/2001, esige un «provvedimento motivato», nel quale devono essere adeguatamente rappresentati e valutati i «fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso» che abbiano impedito l’inizio dei lavori; ciò implica una manifestazione di volontà espressa da parte dell’Amministrazione competente, che espliciti gli esiti della valutazione di congruità dei motivi addotti dal richiedente: «la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498). Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all’originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia. La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1013/2014).
Pertanto -e in disparte la questione della concreta assentibilità della proroga stessa alla luce delle giustificazioni fornite dalla Ak.Im., in tutto riconducibili alla stessa società e non a fatti estranei, come richiesto invece dalla legge- il permesso di costruire n. 86/2013 doveva (e deve) ritenersi decaduto: «ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001, senza dubbio la decadenza del permesso di costruire costituisce “effetto automatico del trascorrere del tempo”.
Ed infatti, l’art. 15 citato prevede, per quel che interessa nella presente sede: “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione (...)”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire (Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2011 n. 5028), l’istituto della decadenza ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue
ex lege al presupposto legislativamente indicato.
Tuttavia, l’intervenuta decadenza, realizzatasi per superamento dei termini previsti per la realizzazione della costruzione (ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001), comporta la impossibilità di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora da eseguire, sempre che le stesse non possano essere realizzate sulla base di denuncia di inizio attività.
In sostanza, una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso (e come la norma prevede), a provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione”
» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1747/2014; in termini, Cons. di Stato, IV, sent. n. 1520/2016 e Cons. di Stato, VI, sent. n. 5324/2017).
E ancora: «la pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028)» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1013/2014).
La conseguenza di tale intervenuta decadenza è la illegittimità derivata del provvedimento in variante successivamente intervenuto, in quanto adottato dall’Amministrazione comunale in carenza del titolo abilitativo presupposto.
Il nuovo provvedimento, infatti, in quanto volto a introdurre una variante rispetto al precedente permesso, lo presuppone ancora valido ed efficace, atteso che «rimane in posizione di sostanziale collegamento con quello originario ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in variante, che giustifica -tra l’altro- le peculiarità del regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano sostanziale e procedimentale» (Cass. pen., III, sent. n. 24236/2010).
Nella fattispecie in esame, in esame, invece, il p.a.u. n. 15/2016 interviene quando era già decorso il termine di efficacia del p.d.c. n. 86/2013, sicché risulta privo dei presupposti per la sua adozione (TAR Campabia-Salerno, Sez. I, sentenza 20.12.2017 n. 1774 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2017

EDILIZIA PRIVATA: Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n. 380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita.
Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei muri.

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Ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.”.
Nel caso di specie, le varie denunce e contestazioni poste in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei tempi prestabiliti, i lavori.
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9. Nel dettaglio ai motivi di appello.
10. L’infondatezza nel merito dell’appello consente di prescindere dall’eccezione d’inammissibilità dell’appello (recte di parte dei motivi d’appello), proposta dalla società appellata, sul rilievo che gli intervenienti adesivi dipendenti, intervenuti ad oppenendum in primo grado, non sono titolari di una posizione che li legittimi ad impugnare autonomamente la sentenza.
10.1 Per restituire un minimo di organicità ai motivi d’appello, le censure vanno ricondotte a tre ordini di argomenti che fungono da comune denominatore: la legittimità del provvedimento di decadenza; la legittimità o meno del rilascio della proroga dell’inizio lavori; la supposta violazione dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 in combinato disposto con l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004.
10.2 Sul motivo che deduce la violazione dell’art. 15 e ss. d.P.R. 380/2001.
10.3 Va condiviso il capo di sentenza che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso di costruire n. 73 del 28.06.2006 per mancato inizio e termine dei lavori nei tempi stabiliti dalla normativa edilizia di riferimento.
Il provvedimento è stato emesso sulla base di un’irragionevole interpretazione dell’art. 15 d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede un termine massimo di un anno, decorrente dal rilascio del permesso di costruire, entro cui iniziare i lavori, nonché un termine di tre anni, dall’inizio dei lavori, per completare l’opera.
Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n. 380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita.
10.4 Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei muri.
Lo attesta, ai sensi del verbale di sopralluogo redatto dai Carabinieri, la presenza nei “vani ancora esistenti” del materiale oggetto di demolizione nonché la nota del 03.07.2007 dell’avv. Ce.Al., nella qualità di procuratore della confinante Sig.ra An.Zu., con la quale si chiedeva al Comune, Regione e Soprintendenza di far sospendere i lavori alla Sn.St. S.a.s.: l’atto dimostra che un inizio di lavori c’era effettivamente stato prima del verbale del 2009, in quanto la confinante Sig.ra An.Zu. non avrebbe avuto motivo di sollecitare l’intervento l’avv. Al. per delle mere pulizie del fondo e rimozione dei detriti.
10.5 Anche la concessione di proroga emessa dal Comune risulta legittima.
Infatti, ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.”.
10.6 Le varie denunce e contestazioni poste in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei tempi prestabiliti, i lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 19.09.2017 n. 4381 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2017

EDILIZIA PRIVATA: Per costante giurisprudenza, l’art. 15, comma 2, del T.U. 380/200107 n. 4423, che si riferisce ad una decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.

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La necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si attivi con un proprio atto rende, comunque, irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza maggiore (in forza della quale si chiede la proroga) da parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
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Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto che le opere di completamento rivestano una particolare natura intrinseca: occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione, che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico edilizia del momento.
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1. L’appello è infondato e va respinto nel merito, per le ragioni di seguito precisate, che rendono superfluo esaminare le eccezioni preliminari dedotte dal Comune.
2. E’infondato il primo motivo, fondato sulla presunta possibilità di ritenere un permesso di costruire automaticamente prorogato in presenza di un asserita causa di forza maggiore che impedisca di completare i lavori relativi nel termine previsto.
L’art. 15, comma 2, del T.U. 380/2001, che qui rileva, dispone in generale, per quanto qui interessa, “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori…”.
Per costante giurisprudenza -così per tutte C.d.S. sez. IV 22.10.2015 n. 4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n. 4423- la norma suddetta, che si riferisce ad una decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.
...
12. Il quarto motivo di ricorso è volto anch’esso, secondo logica, a superare il disposto dell’art. 18 del regolamento, poiché presuppone che la proroga, anche se disposta successivamente ad una prima, fosse in qualche modo dovuta trattandosi di una causa di forza maggiore.
Esso però risulta a sua volta infondato: la necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si attivi con un proprio atto rende comunque irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza maggiore in questione da parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
...
16. Il nono e il decimo motivo vanno esaminati congiuntamente perché connessi fra loro, e vanno a loro volta respinti.
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto, contrariamente a quanto ritiene il Comune nelle proprie difese, che le opere di completamento rivestano una particolare natura intrinseca: occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione, che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico edilizia del momento.
17. Nel caso di specie, però, tale requisito necessario è venuto a mancare.
Nel momento in cui i lavori non sono stati effettivamente completati nel termine previsto dal permesso, l’effetto di ripristino previsto dalle convenzioni nei termini ampiamente illustrati si è verificato, e il terreno è ritornato alla sua destinazione originaria, che l’edificazione non consente.
In proposito, va osservato che le convenzioni stesse qualificano tale effetto come automatico, del resto in conformità al modo in cui opera una clausola risolutiva espressa, cui la clausola in esame è assimilabile.
Il provvedimento del dirigente comunale che ha denegato il rilascio del permesso per il completamento è quindi del tutto estraneo al prodursi di tale effetto, di cui si limita a prender atto, sì che una questione di incompetenza in merito non ha ragione di porsi.
Ne consegue che il permesso di costruire in parola è stato legittimamente rifiutato, trattandosi di opere non più assentibili in base alla destinazione dell’area (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.08.2017 n. 3887 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2016

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc".
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4 comma, del medesimo articolo 15, posto che “l’adozione dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce attività dovuta per il sindaco".
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... per l'annullamento del provvedimento 02.12.2015, prot. n. 6695/2015 avente ad oggetto “diniego alla richiesta di proroga della concessione edilizia n. 341/01".
...
Con ricorso notificato il 03.02.2016, tempestivamente depositato, i deducenti hanno impugnato l’atto 02.12.2015, n. 6695 con cui il Responsabile del servizio Edilizia Privata del comune di Minturno ha respinto la richiesta proroga concessione edilizia n. 341/01, dai medesimi presentata in data 26.03.2015, sul rilievo che: …“il titolo abilitativo rilasciato nel 2001, riguardante la realizzazione di una pertinenza agricola,…i cui termini di validità sono ampliamenti scaduti”; ed ancora: …”l’istanza non può essere accolta in quanto l’intervento edilizio non è più conforme alla normativa sopravvenuta prevista dalla L.r. 38/1999, entrata in vigore nel 2003”.
...
Il ricorso è infondato.
In ordine alla denunciata violazione delle garanzie procedimentali (art. 10-bis della L. 241/1990) va rilevato che –anche a prescindere dal rilievo che l’articolo 10-bis della legge n. 241 è disposizione che ha lo scopo di assicurare la partecipazione al procedimento del privato e il contraddittorio di quest’ultimo con l’amministrazione- nella fattispecie il contraddittorio inequivocabilmente vi è stato come dimostra la documentazione allegata al ricorso; sicché essi hanno avuto la possibilità di interloquire al riguardo (e di fatto hanno interloquito) con l’amministrazione.
In ordine ai profili motivazionali, va invece osservato che l’atto del comune –benché formulato in modo poco felice– reca una motivazione che risulta giuridicamente corretta.
La proroga rilasciata il 16.09.2008, prot. 17986 era stata invero subordinata ai pareri ambientali, da prodursi entro il termine di trentasei mesi dal rilascio della stessa, con l’espressa avvertenza che, decorso tale termine, “il permesso doveva intendersi decaduto di dritto”; ciò di per sé giustifica il diniego di proroga.
Rafforza detta conclusione la previsione dell’articolo 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380. La disposizione del secondo comma stabilisce, in particolare, che la proroga del permesso di costruire “può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori”; il comma 2-bis, invocato dalla difesa dei ricorrenti per supportare l’illegittimità del diniego impugnato, non sembra, del pari, conferente.
Stabilisce, in realtà, detta disposizione che “la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è comunque accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Come si vede nessuna delle suesposte previsioni normative reca riferimenti ai ritardi imputabili all’interessato, tanto più che nella vista proroga accordata nel 2008 era stato espressamente ribadito che la decorrenza del prescritto termine avrebbe comportato la decadenza di diritto del permesso di costruire.
Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc"; inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore" (Tar Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4 comma, del medesimo articolo 15, anch’essa espressamente invocata dalla parte ricorrente, posto che “l’adozione dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce attività dovuta per il sindaco”… (Tar Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
In conclusione il ricorso deve essere respinto (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.12.2016 n. 794 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2016

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 («Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga […]»), l'effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge.
In altri termini «la decadenza del permesso di costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo».
La pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso.

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Il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Pertanto, l’assunto della ricorrente sulla natura di factum principis della controversia giudiziaria con l’impresa e il direttore lavori deve essere respinto.
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Circa l’interpretazione dell’art. 30, comma 3, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 09.08.2013, n. 98, è chiaro il tenore letterale della disposizione secondo cui la stessa si applica solo nelle ipotesi in cui il termine per l’inizio dei lavori non sia già scaduto al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge citato.
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La dichiarazione del direttore dei lavori, riferita allo stato dei lavori eseguiti prima della ripresa dei lavori avvenuta nel dicembre 2014, indica una serie di opere (adeguamento e potenziamento centrale termica esistente; scavi e pozzetti scarichi fognari di pertinenza della dependance; realizzazione piattaforma per posizionamento gru) che non integrano un effettivo inizio di esecuzione delle opere oggetto della concessione.
E ciò sulla scorta della consolidata giurisprudenza secondo cui «l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione.
Detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
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1. – Con il ricorso in esame, la società Mi.Fi. s.r.l. chiede l’annullamento dell’ordinanza n. 8 del 21.04.2015, notificata il 15.05.2015, con la quale il Comune di Olbia ha ordinato alla società di demolire le opere realizzate senza concessione edilizia (nell’immobile censito al Foglio 2, Map. 1508, sub 3, del catasto del Comune di Olbia), in quanto i relativi lavori sarebbero stati iniziati dopo il decorso del termine annuale di inizio previsto nella concessione edilizia n. 322/11, rilasciata alla Mi.Fi. s.r.l. in data 31.10.2011.
2. - Nella motivazione dell’ordinanza, si richiama il rapporto del servizio prevenzione abusi, redatto a seguito del sopralluogo effettuato il 07.01.2015 presso l’immobile in questione, nel corso del quale sarebbero state accertate le opere edilizie abusive oggetto dell’ordinanza di demolizione.
Dal verbale del sopralluogo risulta che i funzionari del servizio comunale, intervenuti mentre nel cantiere si svolgeva attività edilizia, sul presupposto che la concessione edilizia era stata rilasciata in data 31.10.2011, informavano il responsabile del cantiere che i lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro un anno dal rilascio, pena la decadenza dalla concessione.
Il responsabile dichiarava che «i lavori hanno avuto inizio nel mese di dicembre 2014 sotto la direzione del Geom. Antonio Pinna». Sulla scorta di quanto attestato nel verbale di sopralluogo, il dirigente del servizio ha adottato, dapprima, l’ordinanza di sospensione dei lavori (n. 1 dell’08.01.2015, anch’essa impugnata col ricorso in esame); e successivamente l’ordinanza di demolizione, ritenendo che le opere fossero state «iniziate abbondantemente dopo un anno dal rilascio della Concessione Edilizia n. 322/11…», e pertanto da considerare abusive.
...
3. - Passando all’esame delle altre censure, è infondato l’assunto che l’ordinanza avrebbe dovuta essere preceduta dalla dichiarazione di decadenza della concessione per il mancato rispetto del termine di inizio lavori.
Sul punto è sufficiente richiamare la giurisprudenza nettamente prevalente del Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, secondo cui, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 («Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga […]»), l'effetto decadenziale si riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei lavori entro il termine annuale fissato dalla legge; in altri termini «la decadenza del permesso di costruire costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo, che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo abilitativo» (Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2014, n. 1747; in tal senso, ex multis, anche Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870: «la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione»).
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso (Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870; nonché, TAR Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741).
4. - Sotto altro profilo, rilevante nella fattispecie in esame, in giurisprudenza si sottolinea che «il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)» (Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870).
Pertanto, l’assunto della ricorrente sulla natura di factum principis della controversia giudiziaria con l’impresa e il direttore lavori [di cui al punto 4) della esposizione di cui sopra] deve essere respinto.
5. - E’ del tutto infondata anche l’interpretazione dell’art. 30, comma 3, del decreto-legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con modificazioni, in legge 09.08.2013, n. 98, esposta al punto 5) di cui sopra, poiché dal chiaro tenore letterale della disposizione emerge che la norma si applica solo nelle ipotesi in cui il termine per l’inizio dei lavori non sia già scaduto al momento dell’entrata in vigore del decreto-legge citato.
6. - Rimangono da esaminare i rilievi sollevati dalla ricorrente sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione (punto 3 dell’esposizione di cui sopra).
6.1. - Sul punto, le censure della ricorrente non possono essere condivise.
6.2. - Come accennato, la motivazione dell’ordinanza si basa sugli accertamenti istruttori effettuati in occasione del sopralluogo dei funzionari del servizio “Controllo Edilizia e Prevenzione Abusi” del Comune di Olbia, nonché sulla documentazione fotografica dello stato dell’area (al 07.04.2014) in cui dovevano essere iniziati i lavori di cui alla concessione n. 322/11, acquisita mediante “Google Earth” (cfr. il rapporto dell’08.01.2015 e la documentazione fotografica allegata, doc. 2 della produzione del Comune di Olbia).
In particolare, da tali risultanze fotografiche appare evidente che ancora alla data del 07.04.2014 nessun intervento fosse stato iniziato nella proprietà della MI.FI. srl. Il che, costituisce un indiretto riscontro delle dichiarazioni del responsabile del cantiere, acquisite durante il sopralluogo del 07.01.2015 (dichiarazioni, secondo cui i lavori sarebbero iniziati solo nel dicembre 2014).
6.3. - Peraltro, sotto altro connesso profilo, la dichiarazione del direttore dei lavori (rilasciata il 25.05.2015 e prodotta da parte ricorrente quale all. 17 della produzione documentale depositata il 26.05.2016), riferita allo stato dei lavori eseguiti prima della ripresa dei lavori avvenuta nel dicembre 2014, indica una serie di opere (adeguamento e potenziamento centrale termica esistente; scavi e pozzetti scarichi fognari di pertinenza della dependance; realizzazione piattaforma per posizionamento gru) che non integrano un effettivo inizio di esecuzione delle opere oggetto della concessione.
E ciò sulla scorta della consolidata giurisprudenza, fatta propria anche dalla Sezione, secondo cui «l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000, n. 5242)» (TAR Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 08.11.2016 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2016

EDILIZIA PRIVATALa mera attività di indagine geotecnica non può costituire "inizio dei lavori" (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita.
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Invero,
ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente interpretata da questa Corte- deriva che
il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b), del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine.
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4. Ciò premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente vicenda afferisca all'avvenuto inizio delle opere, assentite dalla concessione edilizia n. 107 del 12/04/2012, entro il termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli effetti -automatici o meno- della decadenza dal provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt'altro che assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e privi di qualsivoglia illogicità. Come tale, non censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione cronologica degli eventi, l'ordinanza ha evidenziato che:
   1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata dalla "Pe.To. s.r.l." al Comune di Siracusa l'11/04/2013 (ultimo giorno utile, a fronte di una concessione rilasciata il 12/04/2012);
   2) il 02/12/2014 -ad avvenuta voltura del titolo da parte della "Re. s.r.l.", della quale il ricorrente è legale rappresentante- la Polizia municipale aveva accertato che non vi era alcuna attività lavorativa in corso, verificando soltanto «un terreno totalmente ricoperto da vegetazione autoctona, l'inesistenza in situ di opere di natura edilizia, scavi, sbancamenti, né tantomeno la presenza delle normali infrastrutture mobili che caratterizzano l'insediamento di un cantiere edile»;
   3) il successivo 04/02/2015, un ulteriore sopralluogo aveva riscontrato le medesime circostanze;
   4) soltanto in data 03/03/2015, erano risultati apposti i cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni -che questo Collegio non è autorizzato a contestare, attenendo a profili fattuali, peraltro consacrati in atti pubblici- il Tribunale del riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non più assentite, integravano il fumus del reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (atteso il carattere vincolato dell'area).
Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli stessi è stata implicitamente disattesa dalle affermazioni che precedono, poiché giammai idonei -quantomeno nella presente fase cautelare- a superare gli esiti di accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano riferito nei termini suddetti.
E fermo restando, peraltro, che -per costante indirizzo di legittimità, qui da ribadire-
la mera attività di indagine geotecnica (di cui alla documentazione allegata), quand'anche avvenuta, non potrebbe comunque costituire "inizio dei lavori" nell'ottica in esame (al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita (per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/01/2010, Viola, Rv. 246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il Collegio che la motivazione dell'ordinanza risulta ancora congrua e tutt'altro che assente o meramente apparente.
Ed invero,
ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente interpretata da questa Corte- deriva che
il decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b), del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto termine (Sez. 3, n. 17971 dell'08/04/2010, Garofalo, Rv. 247161: in motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che, diversamente, un provvedimento espresso e motivato dell'Autorità amministrativa è richiesto per la proroga del termine.
Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del 21/02/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del 22/10/2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella motivazione della stessa (resa, all'evidenza, in un'ottica diversa da quella in esame), si afferma -pur aderendo all'indirizzo citato- che il provvedimento di decadenza è «meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l'epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell'evento estintivo».
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con riferimento al contestato art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, sì da non poter esser censurato nei termini invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiché già decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la doglianza -invero astrattamente fondata- con la quale si contesta l'asserita illegittimità della concessione in esame in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla collettività e la balneabilità del mare antistante; trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni della logica, ma che, proprio per ciò, non integra una violazione di legge contestabile in sede di legittimità.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta ex art. 181, d.Lgs. n. 42 del 2004 (in ordine alla quale -alla luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23/03/2016- dovrà peraltro esser verificata la configurabilità del primo o del secondo comma della norma, con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che l'ordinanza ne ha riconosciuto il fumus ancora in ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo paesaggistico gravante sull'area in oggetto; ciò, giusta decreto del competente assessorato a data 30/09/1998 (che aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona) e Piano paesistico del 01.02.2012, che aveva inserito il medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela.
In ragione del quale -giusta valutazione operata dal Tribunale, non sindacabile in questa sede poiché attinente a mero fatto- gli interventi quale quello riscontrato non possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto 13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal Serra, che imporrebbe un esame di merito della tipologia dell'opera de qua ed il suo inserimento -o meno- tra le previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione, osserva poi il Collegio che l'ordinanza -ancora con solido percorso motivazionale- ha confutato la tesi per la quale l'autorizzazione paesaggistica, poiché rilasciata prima dell'approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque valida per i successivi cinque anni, giusta art. 48 di quest'ultimo; ed invero, come si legge nell'ordinanza, al maturare del quinquennio dal 04/06/2009 nessun lavoro aveva ancora avuto inizio sull'area in esame, come da plurimi accertamenti compiuti, sì che i successivi sbancamenti non erano risultati "coperti" da alcun provvedimento al riguardo.
Né, peraltro, può esser invocato
l'art. 146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale "Il termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze imputabili all'interessato"; ed invero, questa disposizione "lega" cronologicamente i due provvedimenti sul presupposto dall'effettiva vigenza di quello urbanistico, da escludere nel caso di specie -alla data di esecuzione dello sbancamento- in ragione della maturata decadenza, come ben riconosciuta dal Tribunale del riesame (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 22.08.2016 n. 35243).

febbraio 2016

EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso, onde accertare che l’avvio delle opere sia effettivo, e non volto al solo scopo di evitare la perdita di efficacia del titolo abilitativo.
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In disparte il dato formale, pur pertinente, evidenziato dalla difesa del Comune, della mancata comunicazione, da parte del ricorrente, dell’inizio dei lavori, osserva il Tribunale come, dall’esame della giurisprudenza in materia, emerga la netta prevalenza di un indirizzo rigoroso, circa l’accertamento giurisdizionale dell’inizio dei lavori, sotto il profilo sostanziale, indirizzo espresso in massime, come le seguenti:
- “La realizzazione di semplici movimenti di terra e gittata di un strato di battuto di calcestruzzo tesi a circoscrivere le fondamenta della costruzione da realizzare non integrano la fattispecie di inizio dei lavori. Ai fini dell’impedimento della decadenza del permesso di costruire, infatti, l’avvio dei lavori può ritenersi sussistente solo quando le opere intraprese siano tali da manifestare l’univoca intenzione di realizzare il manufatto assentito; tale requisito non è soddisfatto dal semplice sbancamento del terreno, dalla pulitura del sito o dall’aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l’esecuzione dei lavori”;
- “Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di perimetrazione non sono sufficienti ad integrare il requisito dell’avvio dei lavori, che deve comunque avvenire entro un anno dal rilascio della concessione edilizia, mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di decadenza della concessione, entro tre anni”;
- “È legittimo il provvedimento di dichiarazione di decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, nell’ipotesi in cui entro detto termine risultino eseguiti unicamente lavori di modesta entità, quali opere di sbancamento e di demolizione parziale”;
- “In ipotesi di rilascio di permesso di costruire per sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso commerciale e ricostruzione ad uso residenziale, la rimozione degli infissi interni ed esterni e lo smontaggio dei controsoffitti configurano opere del tutto marginali e volte solo ad impedire in limine la decadenza del titolo stesso, comunque non idonee ad indicare l’avvenuto inizio dei lavori”.
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Circa le doglianze volte a stigmatizzare la mancata osservanza, da parte dell’Amministrazione, delle disposizioni della l. 241/1990, volte a favorire la partecipazione del privato al contenuto del provvedimento finale, vale a dire l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di decadenza e la conseguente impossibilità, per l’interessato, di rassegnare memorie, da valutarsi da parte della P.A., anche in funzione deflattiva del contenzioso, possono essere oggetto di disamina congiunta, smentite come sono dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, espresso in decisioni, come quelle che seguono:
- “Ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione. Siffatta decadenza, peraltro, opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso”;
- “La decadenza della concessione edilizia (ora permesso di costruire) per mancato inizio lavori nel termine previsto si verifica per legge in modo automatico tanto che non residua all’amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale; da ciò deriva che il provvedimento di annullamento della proroga della concessione edilizia, motivato dalla intervenuta decadenza della concessione edilizia per l’inutile scadenza anche del prorogato termine di inizio lavori, non richiede la previa adozione di un provvedimento dichiarativo della decadenza né tanto meno la comunicazione di avvio del procedimento”;
- “La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio o di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera “di diritto”, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi “ex se” con l’inutile decorso del termine; da ciò consegue che l’eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l’interesse del privato e quello pubblico, essendo quest’ultimo “ope legis” prevalente sul primo e che non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica “ipso iure”, senza che residui all’amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale”.
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Quanto all’evidenziata carenza di motivazione e d’istruttoria, che connoterebbe –secondo il ricorrente– il provvedimento gravato, il Tribunale ritiene che la censura sia priva di pregio; valga, per disattenderla, oltre al riferimento alle massime già riferite, anche il richiamo alle seguenti, ulteriori, decisioni:
- “L’adozione del provvedimento di decadenza dal titolo edilizio autorizzatorio per inosservanza dei termini d’inizio dei lavori o di ultimazione delle opere non comporta la valutazione degli interessi pubblico e privato coinvolti, stanti il carattere ricognitivo con effetti ex tunc e la natura vincolata del provvedimento in parola, elementi quest’ultimi significativi della prevalenza ope legis dell’interesse pubblico, conseguendone che non rileva il tempo decorso tra l’effetto verificatosi e l’adozione dell'atto, e che, per le medesime ragioni, è bastevole come motivazione l’indicazione della norma applicata”;
- “La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato è atto meramente dichiarativo di una situazione verificatasi “ope legis”, senza che residui alcun margine per valutazioni discrezionali: conseguentemente, non è configurabile, in tale atto, il vizio di eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà della motivazione”.

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... per l’annullamento:
-a) del provvedimento, n. prot. 5613 del 19.03.2014, notificato in data 01.04.2014, emesso dalla Città di Campagna, avente ad oggetto la declaratoria della decadenza del permesso di costruire in sanatoria e completamento, n. 89/2012 del 19.06.2012, relativo a un fabbricato rurale destinato a deposito agricolo e box pertinenziale, catastalmente individuato al foglio n. 89 –particella n. 609– del Comune di Campagna e del conseguente ordine di demolire;
-b) della diffida dell’08.03.2013, prot. 5605, di cui si legge nell’atto, impugnato al punto precedente;
-c) d’ogni altro atto, anche non conosciuto, presupposto, consequenziale o comunque connesso, nella parte in cui, anche interpretata, determini la decadenza del permesso di costruire, n. 89/12, nonché l’inefficacia della d. i.a., presentata in data 11.02.2013, prot. 3727, pratica n. 19/13, o comunque ponga a carico del ricorrente la demolizione del fabbricato che ci occupa o comunque impedisca l’accoglimento delle conclusioni, di cui al ricorso;
...
Il ricorso non è fondato.
Iniziando dall’analisi della prima censura, premesso che, secondo la giurisprudenza, “l’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso, onde accertare che l’avvio delle opere sia effettivo, e non volto al solo scopo di evitare la perdita di efficacia del titolo abilitativo” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/12/2013, n. 6151), osserva il Collegio come le opere, indicate in ricorso come indicative dell’estrinsecazione dell’animus aedificandi del ricorrente, consistite in “chiusura del vano scala che dal piano seminterrato conduce al piano sottotetto, tale da creare indipendenza tra i piani seminterrato, rialzato e sottotetto; chiusura dei vani finestra al piano seminterrato, tale da rendere l’attuale piano seminterrato un volume tecnico inaccessibile; svuotamento, mediante rimozione di mobili e suppellettili, dai vani abitativi posti al piano rialzato, al fine di utilizzare quest’ultimo come deposito agricolo e box auto” (opere, testimoniate anche dalla relazione tecnica di parte, allegata all’atto introduttivo del giudizio, ove le stesse erano, in maniera parzialmente difforme, così sintetizzate: “anche se in misura minima, ma dimostrando la sua totale volontà di eseguire tutto quanto previsto nel p. di c., eseguiva piccoli lavori di adeguamento, quali la rimozione della scalinata interna di comunicazione tra il piano rialzato e il piano seminterrato, la chiusura del vuoto posto nel solaio di calpestio del sottotetto” e “l’apposizione di terreno vegetale nella parte retrostante del fabbricato, per un’altezza di circa mt. 1,00 lungo tutto il lato”), non assurgano a un livello tale, da costituire un effettivo e concreto inizio dei lavori.
In disparte il dato formale, pur pertinente, evidenziato dalla difesa del Comune di Campagna, della mancata comunicazione, da parte del ricorrente, dell’inizio dei lavori, osserva il Tribunale come, dall’esame della giurisprudenza in materia, emerga la netta prevalenza di un indirizzo rigoroso, circa l’accertamento giurisdizionale dell’inizio dei lavori, sotto il profilo sostanziale, indirizzo espresso in massime, come le seguenti: - “La realizzazione di semplici movimenti di terra e gittata di un strato di battuto di calcestruzzo tesi a circoscrivere le fondamenta della costruzione da realizzare non integrano la fattispecie di inizio dei lavori. Ai fini dell’impedimento della decadenza del permesso di costruire, infatti, l’avvio dei lavori può ritenersi sussistente solo quando le opere intraprese siano tali da manifestare l’univoca intenzione di realizzare il manufatto assentito; tale requisito non è soddisfatto dal semplice sbancamento del terreno, dalla pulitura del sito o dall’aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l’esecuzione dei lavori” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 15/04/2013, n. 2027);
- “Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di perimetrazione non sono sufficienti ad integrare il requisito dell’avvio dei lavori, che deve comunque avvenire entro un anno dal rilascio della concessione edilizia, mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di decadenza della concessione, entro tre anni” (TAR Latina (Lazio), Sez. I, 19/07/2010, n. 1170);
- “È legittimo il provvedimento di dichiarazione di decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, nell’ipotesi in cui entro detto termine risultino eseguiti unicamente lavori di modesta entità, quali opere di sbancamento e di demolizione parziale” (TAR Toscana, Sez. III, 17/11/2008, n. 2533);
- “In ipotesi di rilascio di permesso di costruire per sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso commerciale e ricostruzione ad uso residenziale, la rimozione degli infissi interni ed esterni e lo smontaggio dei controsoffitti configurano opere del tutto marginali e volte solo ad impedire in limine la decadenza del titolo stesso, comunque non idonee ad indicare l’avvenuto inizio dei lavori” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/12/2013, n. 6151).
A fronte di tale severo orientamento, teso alla verifica di un serio e concreto intento di procedere alle opere, di cui al titolo abilitativo, le opere cui s’è appellato il ricorrente (definite “minime” nella stessa relazione tecnica di parte), ovvero i “piccoli lavori di adeguamento”, consistiti nella rimozione di una scala interna, nella chiusura di un vuoto tecnico e in modesti riporti di terreno vegetale, oltre che –come riferito in ricorso– nell’anodina “rimozione di mobili e suppellettili, dai vani abitativi posti al piano rialzato, al fine di utilizzare quest’ultimo come deposito agricolo e box auto”, appaiono, obiettivamente, di tale scarsa entità, da sconfinare quasi nell’irrilevanza, e, in ogni caso, del tutto inidonei a dimostrare che il ricorrente voleva, effettivamente, accingersi all’esecuzione dei lavori autorizzati.
La seconda e terza doglianza dell’atto introduttivo del giudizio, volte a stigmatizzare la mancata osservanza, da parte dell’Amministrazione, delle disposizioni della l. 241/1990, volte a favorire la partecipazione del privato al contenuto del provvedimento finale, vale a dire l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di decadenza e la conseguente impossibilità, per l’interessato, di rassegnare memorie, da valutarsi da parte della P.A., anche in funzione deflattiva del contenzioso, possono essere oggetto di disamina congiunta, smentite come sono dal prevalente indirizzo giurisprudenziale, espresso in decisioni, come quelle che seguono:
- “Ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione. Siffatta decadenza, peraltro, opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso” (TAR Catania (Sicilia), Sez. I, 10/06/2015, n. 1622);
- “La decadenza della concessione edilizia (ora permesso di costruire) per mancato inizio lavori nel termine previsto si verifica per legge in modo automatico tanto che non residua all’amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale; da ciò deriva che il provvedimento di annullamento della proroga della concessione edilizia, motivato dalla intervenuta decadenza della concessione edilizia per l’inutile scadenza anche del prorogato termine di inizio lavori, non richiede la previa adozione di un provvedimento dichiarativo della decadenza né tanto meno la comunicazione di avvio del procedimento” (TAR Latina (Lazio), Sez. I, 27/11/2015, n. 788);
- “La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio o di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera “di diritto”, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi “ex se” con l’inutile decorso del termine; da ciò consegue che l’eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l’interesse del privato e quello pubblico, essendo quest’ultimo “ope legis” prevalente sul primo e che non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica “ipso iure”, senza che residui all’amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale” (TAR Napoli (Campania), Sez. II, 30/01/2009, n. 542).
Tanto, in disparte la pur rilevante circostanza, opportunamente posta in risalto dalla difesa del Comune, secondo cui nello stesso p. di c. in sanatoria era specificato che il mancato inizio dei lavori, nel termine annuale, ne avrebbe comportato la decadenza, con conseguente piena consapevolezza di tal effetto automatico, da parte del suo titolare.
Del resto, attesa la, già riferita, sostanziale irrilevanza delle opere realizzate, non si vede come l’Amministrazione, anche se informata dal ricorrente dell’esecuzione delle stesse, avrebbe potuto determinarsi altrimenti.
Quanto, infine, all’evidenziata carenza di motivazione e d’istruttoria, che connoterebbe –secondo il ricorrente– il provvedimento gravato, il Tribunale ritiene che la censura sia priva di pregio; valga, per disattenderla, oltre al riferimento alle massime già riferite, anche il richiamo alle seguenti, ulteriori, decisioni:
- “L’adozione del provvedimento di decadenza dal titolo edilizio autorizzatorio per inosservanza dei termini d’inizio dei lavori o di ultimazione delle opere non comporta la valutazione degli interessi pubblico e privato coinvolti, stanti il carattere ricognitivo con effetti ex tunc e la natura vincolata del provvedimento in parola, elementi quest’ultimi significativi della prevalenza ope legis dell’interesse pubblico, conseguendone che non rileva il tempo decorso tra l’effetto verificatosi e l’adozione dell'atto, e che, per le medesime ragioni, è bastevole come motivazione l’indicazione della norma applicata” (TAR Salerno (Campania), Sez. II, 06/04/2012, n. 654);
- “La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato è atto meramente dichiarativo di una situazione verificatasi “ope legis”, senza che residui alcun margine per valutazioni discrezionali: conseguentemente, non è configurabile, in tale atto, il vizio di eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà della motivazione” (TAR Napoli (Campania), Sez. IV, 29/04/2004, n. 7513)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.02.2016 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2016

EDILIZIA PRIVATA: Il mancato inizio dei lavori entro il termine di un anno decorrente dal rilascio del titolo comporta la decadenza dello stesso.
Per evitare la decadenza, l’interessato deve dimostrare di essere seriamente intenzionato a realizzare l’opera; pertanto, non ogni attività intrapresa può costituire elemento che denoti l’effettivo inizio dei lavori, giacché solo quelle attività sintomatiche di un serio proposito possono essere considerate a tal fine rilevanti.
La giurisprudenza ritiene che non possa essere considerato rilevante, affinché i lavori possano dirsi effettivamente iniziati, il compimento delle attività di approntamento del cantiere, nonché quelle di scavo e sbancamento.
Il Collegio ritiene inoltre che attività rilevanti possano essere solo quelle strettamente funzionali alla realizzazione dell’opera oggetto del titolo edilizio e, quindi, oltre ai lavori espressamente previsti dal titolo stesso, anche quei lavori che, sulle base delle risultanze di esso, risultino essere assolutamente necessari per conseguirne il risultato finale e ne costituiscano dunque attività esecutiva.

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Il Collegio non ignora che, secondo una parte della giurisprudenza, la sussistenza di una causa di forza maggiore che non consente di dare tempestivo inizio ai lavori impedisce ex se la decadenza del titolo edilizio.
E’ però preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza, che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l'interessato che voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato della proposizione di una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere accordata con atto espresso dell'Amministrazione.
Invero, l'atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della edificazione.
Inoltre, si deve ritenere che, affinché si possa dare rilevanza ad un provvedimento che impedisca l’edificazione, è necessario che questo risulti illegittimo in quanto emesso in carenza dei presupposti previsti dalla vigente normativa. In caso contrario, quando cioè l’atto che inibisce l’esecuzione dei lavori sia conforme alla legge, la parte non può pretendere di essere ammessa al beneficio della proroga del termine.
In tal senso è il comma 2-bis dell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale, anche se non applicabile ai fatti di causa in quanto successivo ad essi, costituisce, a parere del Collegio, chiave interpretativa della previgente normativa.
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11. Stabilisce l’art. 15, secondo comma, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) che <<Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita…>>.
12. Come si vede, in base questa norma, dettata in materia di permesso di costruire ma pacificamente applicabile anche alla denuncia di inizio attività, il mancato inizio dei lavori entro il termine di un anno decorrente dal rilascio del titolo comporta la decadenza dello stesso.
13. Per evitare la decadenza, l’interessato deve dimostrare di essere seriamente intenzionato a realizzare l’opera; pertanto, non ogni attività intrapresa può costituire elemento che denoti l’effettivo inizio dei lavori, giacché solo quelle attività sintomatiche di un serio proposito possono essere considerate a tal fine rilevanti.
14. La giurisprudenza ritiene che non possa essere considerato rilevante, affinché i lavori possano dirsi effettivamente iniziati, il compimento delle attività di approntamento del cantiere, nonché quelle di scavo e sbancamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.04.2015, n. 2093; TAR Veneto, sez. II, 12.03.2015, n. 299).
15. Il Collegio ritiene inoltre che attività rilevanti possano essere solo quelle strettamente funzionali alla realizzazione dell’opera oggetto del titolo edilizio e, quindi, oltre ai lavori espressamente previsti dal titolo stesso, anche quei lavori che, sulle base delle risultanze di esso, risultino essere assolutamente necessari per conseguirne il risultato finale e ne costituiscano dunque attività esecutiva.
16. Ciò premesso, si deve osservare che le attività indicate dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso non possono essere positivamente apprezzate al fine di affermare l’effettivo inizio dei lavori.
17. Alcune di queste attività -quali l’abbattimento della tettoia, la rimozione della pavimentazione ad essa antistante, la deviazione della fognatura e la chiusura delle finestre– non erano previste nella DIA presentata dalla ricorrente, né possono essere considerate alla stregua lavori che, sulle base delle risultanze della DIA stessa, debbano qualificarsi come assolutamente necessari ai fini della costruzione dell’edificio che ne costituisce oggetto. In proposito è sufficiente rilevare che il titolo, oltre a non prevedere la realizzazione di opere di demolizione, neppure indica l’esistenza dei manufatti sui quali sono stati effettuati gli interventi (queste circostanze sono state allegate dalla difesa dell’Amministrazione resistente e non smentite dalla ricorrente; pertanto possono considerarsi provate ai sensi dell’art. 64, comma 2, cod. proc. amm.).
18. Non si può pertanto ritenere che gli interventi di cui si discute possano essere considerati alla stregua di attività esecutive del titolo edilizio conseguito dalla ricorrente, la cui realizzazione ne possa aver impedito la decadenza.
19. Analogo discorso può essere svolto con riferimento alle opere di bonifica dell’area, atteso che la DIA presentata dalla ricorrente non contemplava affatto questo interevento; ed anzi lo escludeva espressamente, visto che, in sede di integrazione documentale, il tecnico incaricato dalla parte ha depositato presso il Comune una dichiarazione che afferma l’inesistenza di elementi inquinanti in loco e, dunque, l’inutilità dell’intervento di bonifica.
20. L’esecuzione di questa attività non può pertanto aver impedito la decadenza del titolo.
21. Le altre attività indicate dalla ricorrente –quali la richiesta di allacciamento alla linea elettrica e il montaggio della gru– costituiscono evidentemente attività di mero approntamento del cantiere le quali, come si è visto, non possono ritenersi decisive ai fini che qui interessano.
22. Per queste ragioni i motivi esaminati sono infondati.
23. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente sostiene che il mancato inizio dei lavori è dipeso dal fatto che l’Amministrazione, in data 26.02.2011, ha emesso l’ordine di non dar corso ad essi; e che tale circostanza costituirebbe un elemento impeditivo oggettivo (factum principis).
Il mancato inizio dei lavori, pertanto, non denoterebbe la carenza di una seria volontà all’esecuzione dell’opera prevista nel titolo edilizio; per questa ragiona, a dire della parte, l’Amministrazione non avrebbe potuto dichiararne la decadenza.
24. Il Collegio non ignora che, secondo una parte della giurisprudenza, la sussistenza di una causa di forza maggiore che non consente di dare tempestivo inizio ai lavori impedisce ex se la decadenza del titolo edilizio (cfr. TAR Campania Salerno, sez. II, 10.02.2012, 188).
E’ però preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza, che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l'interessato che voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato della proposizione di una richiesta di proroga dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere accordata con atto espresso dell'Amministrazione. Invero, l'atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell'avvio della edificazione (cfr., TAR Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 22.04.2015, n. 186).
25. Inoltre, si deve ritenere che, affinché si possa dare rilevanza ad un provvedimento che impedisca l’edificazione, è necessario che questo risulti illegittimo in quanto emesso in carenza dei presupposti previsti dalla vigente normativa. In caso contrario, quando cioè l’atto che inibisce l’esecuzione dei lavori sia conforme alla legge, la parte non può pretendere di essere ammessa al beneficio della proroga del termine.
26. In tal senso è il comma 2-bis dell’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale, anche se non applicabile ai fatti di causa in quanto successivo ad essi, costituisce, a parere del Collegio, chiave interpretativa della previgente normativa.
27. Nel caso concreto, la ricorrente non ha chiesto la proroga dei termini di validità della DIA da essa presentata; né ovviamente alcuna proroga le è stata concessa dall’Amministrazione.
28. Inoltre l’atto che ha disposto la sospensione dei lavori è risultato fondato nei presupposti, atteso che, come aveva rilevato l’Amministrazione stessa e contrariamente da quanto dichiarato dalla ricorrente, l’area interessata dalla DIA necessitava effettivamente di opere di bonifica.
29. Per tutte queste concorrenti ragioni non si può ritenere che l’ordine di sospensione lavori emanato in data 26.02.2011 abbia impedito la decadenza della DIA (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.01.2016 n. 201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo un costante insegnamento giurisprudenziale, l'effettivo inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva volontà del titolare di realizzare l'intervento assentito, tenuto conto della sua consistenza e, dunque, alla stregua di una valutazione in concreto.
E’ indubbiamente vero, come sostiene il Comune, sia nella motivazione del provvedimento impugnato che nelle memorie difensive, che a tal fine non è sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e dei materiali di costruzione, in mancanza di altri indizi idonei a comprovare il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
Tuttavia sempre la giurisprudenza amministrativa ha precisato che configura un inizio lavori lo sbancamento realizzato che si estenda su un’area di vaste dimensioni come accade nel caso di specie, tenuto conto del volume di terra movimentato, non contestato dal Comune, nonché dell’entità dello scavo realizzato, come comprovato dalla documentazione fotografica versata in atti.
Inoltre la giurisprudenza richiamata precisa che, in ogni caso, ai fini di un tale accertamento, occorre valorizzare ogni altro indizio idoneo a comprovare il reale proposito di dare avvio e proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
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La questione controversa verte in ordine alla idoneità o meno, a configurare un inizio dei lavori, delle opere di sbancamento e di avvio del cantiere pacificamente e tempestivamente realizzate dalla ricorrente nel biennio dalla sottoscrizione della convenzione.
Il Comune nega che vi sia stato un inizio concreto dell’attività costruttiva mancando persino il deposito dei calcoli sismici necessari a realizzare le fondamenta ed escludendo che possano giovare a tale fine mere attività di “sbancamento/decoticamento”, pacificamente poste in essere dalla ricorrente.
Assume invece la ricorrente che l’entità della sbancamento realizzato (pari a circa 6.033 metri cubi di terreno su una superficie complessiva pari a 3.540 mq), unitamente ad ulteriori attività di avvio del cantiere precisate in premessa (realizzazione dei lavori di protezione delle scarpate, della strada di accesso al piazzale, alla messa in sicurezza delle pareti libere di scavo, oltre che alla predisposizione dei calcoli delle gabbionate), debbano ritenersi idonei a configurare un inizio dei lavori.
La questione è oggettivamente opinabile e deve essere risolta attraverso una puntuale verifica in concreto circa le attività materiali poste in essere.
Sul punto occorre innanzitutto rammentare che secondo un costante insegnamento giurisprudenziale, l'effettivo inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva volontà del titolare di realizzare l'intervento assentito, tenuto conto della sua consistenza e, dunque, alla stregua di una valutazione in concreto.
E’ indubbiamente vero, come sostiene il Comune di Agnone, sia nella motivazione del provvedimento impugnato che nelle memorie difensive che a tal fine non è sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e dei materiali di costruzione, in mancanza di altri indizi idonei a comprovare il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (Cons. Stato, IV, 27.04.2015 n. 2093; TAR Campania, Napoli, II, 09.07.2015 n. 3654; TAR Catania, II, 06.11.2015, n. 2585).
Tuttavia sempre la giurisprudenza amministrativa ha precisato che configura un inizio lavori lo sbancamento realizzato che si estenda su un’area di vaste dimensioni (Cons. Stato, V 15.07.2013, n. 3823; Cons. Stato, 2013, n. 4855; TAR Venezia, II, n. 299/2015) come accade nel caso di specie, tenuto conto del volume di terra movimentato, non contestato dal Comune, nonché dell’entità dello scavo realizzato, come comprovato dalla documentazione fotografica versata in atti.
Inoltre la giurisprudenza richiamata precisa che, in ogni caso, ai fini di un tale accertamento, occorre valorizzare ogni altro indizio idoneo a comprovare il reale proposito di dare avvio e proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
Il collegio ritiene di poter ravvisare tali indizi nelle seguenti circostanze:
- la tempestiva predisposizione nel 2002 di una relazione tecnica per fronteggiare le criticità geologiche emerse in seguito alle opere di sbancamento realizzate dal proprietario del lotto n. 2 posto a valle;
- le reiterate e documentate richieste rivolte dal ricorrente al proprietario del lotto n. 2 per ottenere la realizzazione del muro di contenimento tra i due lotti onde evitare possibili eventi franosi del terreno posto a monte e cioè del lotto n. 1;
- il coinvolgimento e l’interessamento dello stesso Comune di Agnone nella vicenda;
- le reiterate richieste di proroga della concessione edilizia n. 36/2001 ottenuta per la costruzione del capannone industriale, sempre concesse dal Comune di Agnone;
- la richiesta di proroga del termine quinquennale di efficacia della convenzione peraltro non riscontrata dal Comune; da ultimo, la proposizione nel 2011 di un’azione civile nei confronti del proprietario del lotto n. 2 per dirimere la problematica.
Si tratta di circostanze dalle quali è certamente possibile evincere la concreta e persistente volontà del ricorrente di realizzare i lavori previsti in convenzione ed autorizzati con concessione edilizia n. 36/2001.
Da quanto precede emerge dunque che v’è stato inizio dei lavori nel termine biennale dalla sottoscrizione della convenzione sicché, non ricorrendo la condizione di operatività della clausola risolutiva espressa specificamente azionata con il provvedimento impugnato (mancato inizio dei lavori nel termine biennale) il ricorso deve essere accolto.
Peraltro anche a voler accedere alla tesi del Comune di Agnone per cui, in fatto, non vi sarebbe stato avvio dei lavori, il ricorrente in giudizio ha comunque fornito ampia prova circa la non imputabilità del ritardo, avendo dimostrato mediante deposito di documentazione probante (stralcio relazione geologo Salzano) oltre che di una perizia di parte, la effettiva sussistenza di una problematica di carattere geologico –peraltro ben nota al Comune- tale da generare una situazione di effettivo e concreto pericolo in caso di edificazione del capannone in assenza della preventiva messa in sicurezza della zona di confine tra i due lotti.
Accedendo a tale prospettazione il ricorrente avrebbe comunque dimostrato la non imputabilità del ritardo nel rispetto del termine biennale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1218 c.c., in applicazione del canone generale sull’onere della prova che in materia contrattuale onera il debitore della prestazione della relativa dimostrazione di incolpevolezza.
E’ indubbiamente vero che il lungo lasso di tempo trascorso dalla assegnazione del lotto, ben tredici anni, imponeva all’Amministrazione comunale ogni sollecitudine possibile nella cura dell’interesse pubblico proprio per non vanificare le finalità pubblicistiche del p.i.p., tuttavia per le ragioni espresse, deve escludersi nel caso di specie la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto per avvalersi della clausola risolutiva espressa in relazione allo specifico profilo di inadempimento dedotto.
Resta naturalmente fermo il potere in capo all’amministrazione di svolgere tutte le verifiche del caso necessarie ad accertare e, se del caso, a contestare, un inadempimento imputabile in relazione al mancato rispetto del termine quinquennale di conclusione dei lavori, anche in relazione alle possibili iniziative, concretamente esigibili, che il ricorrente avrebbe potuto assumere per evitare il protrarsi, per ben 13 anni, di una situazione di incertezza certamente pregiudizievole per le finalità di interesse pubblico comunque intrinseche alla causa della convenzione di acquisto del lotto.
In conclusione il ricorso dev’essere accolto con conseguente annullamento degli atti impugnati limitatamente alla posizione della ditta ricorrente. Si ravvisano tuttavia giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra tutte le parti, stante la particolarità della vicenda in fatto (TAR Molise, sentenza 29.01.2016 n. 42 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2015

EDILIZIA PRIVATAQualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, viene meno la giustificazione causale della corresponsione di somme a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito.
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L’accoglimento della domanda di annullamento per mancata utilizzazione del permesso di costruire, in tale specifico caso, non comporta la restituzione della somma da parte del Comune, atteso che il pagamento, dalla documentazione agli atti, non risulta sia stato effettuato al Comune, bensì a soggetto, non legittimato dall’Amministrazione a riceverlo, che poi non abbia effettuato il versamento alla stessa.
In tal caso, resta salva l’applicazione delle regole civilistiche stabilite per la ripetizione nei confronti di colui che ha ricevuto il pagamento indebito, ovviamente nella sussistenza di tutti i presupposti di legge.

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1. La sig.ra Ma.Fr.Ma. ha proposto ricorso in riassunzione –a seguito di sentenza n. 1411 del 05.09.2015 del Tribunale di Cosenza che ha dichiarato il difetto di giurisdizione- in opposizione a cartella di pagamento per l’annullamento, previa sospensione, della cartella e degli atti di cui in epigrafe.
Ha dedotto i seguenti motivi:
I. la ricorrente avrebbe provveduto al pagamento delle somme richieste, come si evincerebbe dai bollettini prodotti e dalla stessa concessione edilizia; l’estinzione non verrebbe meno per la circostanza che le somme sarebbero state pagate a un funzionario del Comune che ha rilasciato i bollettini e che non ha versato le somme al Comune; tanto in quanto il pagamento -avvenuto nelle mani del funzionario pubblico preposto al rilascio dei permessi a costruire, che ha poi patteggiato per il reato di peculato-, sarebbe, comunque, dimostrato dalle ricevute prodotte, ancorché poi rivelatesi false; peraltro, secondo quanto riferito dall’Amministrazione comunale nel precedente giudizio civile, il Tribunale di Cosenza ha, su ricorso del medesimo Ente, con ordinanza del 04.01.2013, disposto il sequestro conservativo sui beni del funzionario in questione, con la conseguenza che il Comune non potrebbe agire per il recupero delle dette somme anche nei confronti dell’utente;
II. le somme di cui in cartella, comunque, non sarebbero dovute per non avere la ricorrente utilizzato la concessione cui si ricollegano gli oneri.
Ha, quindi, chiesto la declaratoria della illegittimità della cartella e conseguente l’annullamento; ha, altresì, chiesto l’ammissione della prova per testi.
2. Il Comune intimato si è costituito, controdeducendo al ricorso e chiedendone il rigetto.
3. Alla camera di consiglio del 10.12.2015, fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, il ricorso, sussistendone i presupposti e previo avviso alle parti, è stato mandato in decisione ai sensi dell’art. 60 del cod. proc. amm..
4. Il ricorso è fondato per l’accoglimento del terzo motivo, con cui parte ricorrente ritiene non dovuta la somma in questione per non avere utilizzato la concessione relativa.
4.1. Reputa il Collegio che non sussistono ragioni per discostarsi dal principio, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, venga meno la giustificazione causale della corresponsione di somme a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 02.02.1988 n. 105; id. 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 24.03.2010 n. 728; TAR Lazio, Roma, Sez. I-bis, 12.03.2008 n. 2294; TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890; TAR Parma 07.04.1998 n. 149; da ultimo TAR Marche, sez. I, sent. 06.02.2015 n. 114 e TAR Puglia Bari, sez. III, 17.03.2015 n. 420).
4.2. Al riguardo prive di pregio sono le affermazioni del Comune secondo cui “l’odierna ricorrente non ha mai comunicato alla amministrazione de qua la propria intenzione di rinunciare al titolo edilizio di che trattasi, né ha presentato alcuna istanza di sgravio”; né ha rilievo che, solo con missiva del 27.10.2015, la sig.ra Ma. ha chiesto il detto rimborso.
Il Comune, peraltro, non risulta che, in riscontro a detta richiesta, abbia contestato l’utilizzo del titolo, bensì che abbia solo rilevato che, a seguito di controlli effettuati, non risultavano versate le dette somme all’Amministrazione.
4.3. La fondatezza di tale motivo, con assorbimento degli ulteriori, comporta l’accoglimento della domanda avanzata, con accertamento e declaratoria che la sig.ra Ma.Fr.Ma. non è debitrice della somma contestata nei confronti del Comune di San Fili e il conseguente annullamento della cartella impugnata.
4.4. L’accoglimento della domanda di annullamento per mancata utilizzazione del permesso di costruire, in tale specifico caso, però, non comporta la restituzione della somma da parte del Comune (a cui, peraltro, si fa cenno solo in seno al II motivo), atteso che il pagamento, dalla documentazione agli atti, non risulta sia stato effettuato al Comune, bensì a soggetto, non legittimato dall’Amministrazione a riceverlo, che poi non abbia effettuato il versamento alla stessa; in tal caso, resta salva l’applicazione delle regole civilistiche stabilite per la ripetizione nei confronti di colui che ha ricevuto il pagamento indebito, ovviamente nella sussistenza di tutti i presupposti di legge (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.12.2015 n. 1921 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2015

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza del permesso di costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti.
Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza più volte richiamata, la giurisprudenza del giudice amministrativo, pur mostrandosi concorde nell’affermare che la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto che discende dall’inutile decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati, è, tuttavia, in prevalenza orientata a richiedere, come condizione indispensabile perché detto effetto diventi operativo, l’adozione di un provvedimento formale da parte del competente organo comunale, ancorché meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell’evento estintivo.
Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza risalente nel tempo (cfr. Cons. St., sez. V, 15.06.1998, n. 834; Cons. St., sez. V, 23.11.1996, n. 1414, per il quale l’adozione del provvedimento dichiarativo della decadenza costituisce condizione per l’esercizio dei poteri sanzionatori amministrativi e per l’insorgenza dell’eventuale responsabilità penale del titolare del permesso di costruire per il caso di esecuzione dei lavori oltre il termine prescritto dalla concessione edilizia) e sovente riproposta.
È peraltro incontestabile che anche la giurisprudenza più recente di questo giudice di appello è prevalentemente orientata nel senso che l’operatività della decadenza della concessione edilizia necessita dell’intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria.
Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del permesso di costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 l. 07.08.1990, n. 241; può essere adottato solo previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di una potestà provvedimentale.
In una non recente decisione di questo Consiglio di Stato la ragione, che giustificherebbe l’obbligo per l’ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari l’intervenuta decadenza del permesso di costruire, è stata individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa.
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Con la prima censura parte appellante deduce erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso principale.
La società ricorrente in prime cure ha impugnato il rigetto dell’istanza di permesso di costruire in variante e ha chiesto la condanna del Comune resistente, in via principale, al rilascio del permesso di costruire e al risarcimento del danno da ritardo per equivalente monetario e, in via subordinata, al risarcimento del danno per equivalente.
Il Comune, nel costituirsi, ha eccepito in via preliminare l’avvenuta decadenza del permesso di costruire originario (n. 154 del 21.05.2008) ai sensi dell’articolo 15, comma 2, del d.p.r. n. 380 del 2001 e quindi l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
Il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con la sentenza n. 61 del 2013, impugnata in questa sede, ha ritenuto l’eccezione fondata, ed ha così motivato in proposito: <<La decadenza, inoltre, opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza, non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012)
>>.
Ritiene il Collegio che tale orientamento giurisprudenziale non possa essere condiviso per le ragioni che seguono.
Il Tar Pescara nella pronuncia di inammissibilità ha richiamato la sentenza di questa Sezione 18.05.2012, n. 2915, la quale, nel prendere in esame il problema di fondo che le parti in causa avevano sottoposto al suo giudizio, e cioè se l’inosservanza delle condizioni da parte del costruttore comporta automaticamente la decadenza del permesso di costruire, che gli era stato rilasciato e che fissava anche i termini di inizio e completamento dei lavori, ovvero se a questo effetto è richiesto un apposito provvedimento da parte del competente organo comunale, ha motivatamente dichiarato di optare per la prima soluzione. La tesi svolta, come meglio si vedrà in seguito, è che, ai sensi dell’art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia, la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e completamento dei lavori opera di diritto e il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi.
Ha aggiunto il Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 2915 del 2012 che la sua tesi trova conforto nella notazione (del giudice di primo grado) secondo la quale, diversamente opinando, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari della concessione, ma anche della Pubblica amministrazione, libera in taluni casi di adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibile disparità di trattamento tra situazioni identiche. Invece il diretto riferimento al dettato legislativo, per quanto attiene ai termini e alle conseguenze che derivano dalla loro elusione, elimina in radice ogni ipotesi di disparità di trattamento; al tempo stesso la necessità dell’applicazione del regime sanzionatorio per i lavori eseguiti dopo il decorso del termine stabilito dal titolo abilitativo è, a sua volta, conseguenza necessitata della violazione da parte dell’interessato di puntuali obblighi a lui assegnati dalla stessa legge.
La conclusione che la citata sentenza trae dal suo argomentare è che la pronuncia di decadenza del titolo edilizio è espressione di un potere strettamente vincolato; ha natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza più volte richiamata, la giurisprudenza del giudice amministrativo, pur mostrandosi concorde nell’affermare che la decadenza del permesso di costruire costituisce un effetto che discende dall’inutile decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati, è, tuttavia, in prevalenza orientata a richiedere, come condizione indispensabile perché detto effetto diventi operativo, l’adozione di un provvedimento formale da parte del competente organo comunale, ancorché meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento dell’evento estintivo.
Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza risalente nel tempo (cfr. Cons. St., sez. V, 15.06.1998, n. 834; Cons. St., sez. V, 23.11.1996, n. 1414, per il quale l’adozione del provvedimento dichiarativo della decadenza costituisce condizione per l’esercizio dei poteri sanzionatori amministrativi e per l’insorgenza dell’eventuale responsabilità penale del titolare del permesso di costruire per il caso di esecuzione dei lavori oltre il termine prescritto dalla concessione edilizia) e sovente riproposta (Cons. St., sez. V, 20.10.2004, n. 5228).
È peraltro incontestabile che anche la giurisprudenza più recente di questo giudice di appello è prevalentemente orientata nel senso che l’operatività della decadenza della concessione edilizia necessita dell’intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria.
Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del permesso di costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che, sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e, come tale, non è sottratto all’obbligo di motivazione di cui all’art. 3 l. 07.08.1990, n. 241; può essere adottato solo previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di una potestà provvedimentale.
In una non recente decisione di questo Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez. VI, 17.02.2006, n. 671) la ragione, che giustificherebbe l’obbligo per l’ente locale di adottare un atto che formalmente dichiari l’intervenuta decadenza del permesso di costruire, è stata individuata nella necessità di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che giustifichino la pronuncia stessa.
Ne consegue che, ad avviso del Collegio, il primo motivo è fondato, non avendo il Comune di Pescara mai assunto alcun provvedimento di decadenza del titolo edilizio, essendo, anzi, tale questione stata eccepita per la prima volta in sede di memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, peraltro nemmeno notificata alla controparte, sebbene ampliativa del thema decidendum su circostanze di fatto non contemplate nel ricorso introduttivo (che invece aveva ad oggetto un provvedimento di diniego di variante al permesso di costruire)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.10.2015 n. 4823 - link a www.giustizia-amministratva.it).

settembre 2015

EDILIZIA PRIVATALa decadenza dal titolo edilizio non implica la demolizione delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori opere, dovendo considerarsi abusivi soltanto gli interventi realizzati dopo l’intervenuta decadenza. Pertanto, è illegittimo, in assenza di un’adeguata motivazione e di specifiche e puntuali ragioni di pubblico interesse, l’ordine di demolizione di manufatti realizzati sulla base di un permesso di costruire poi dichiarato decaduto a seguito del mancato completamento dell’intervento nei termini di legge.
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La perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
L’istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue ex lege al presupposto legislativamente indicato.

Il ricorso è fondato.
È fondato, in particolare, il primo motivo di censura, come sopra illustrato, conformemente alla massima che segue: “La decadenza dal titolo edilizio non implica la demolizione delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori opere, dovendo considerarsi abusivi soltanto gli interventi realizzati dopo l’intervenuta decadenza. Pertanto, è illegittimo, in assenza di un’adeguata motivazione e di specifiche e puntuali ragioni di pubblico interesse, l’ordine di demolizione di manufatti realizzati sulla base di un permesso di costruire poi dichiarato decaduto a seguito del mancato completamento dell’intervento nei termini di legge” (TAR Abruzzo– Pescara, Sez. I, 14/11/2014, n. 449).
La tesi di controparte, che l’ordine di demolizione sia stato disposto a cagione del riscontro di abusi, piuttosto che a causa della perdita d’efficacia del permesso di costruire, non trova rispondenza nel tenore testuale del provvedimento gravato, che ancora, manifestamente, la demolizione alla scadenza del titolo abilitativo edilizio e del n.o. paesaggistico.
È fondato, altresì, il secondo motivo di ricorso, in aderenza alla giurisprudenza maggioritaria, secondo cui: “La perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza” (Consiglio di Stato, Sez. V, 12/05/2011, n. 2821); “L’istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue ex lege al presupposto legislativamente indicato” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 11/04/2014, n. 1747).
Il contrario assunto dell’Amministrazione Comunale, secondo cui “la decadenza del titolo è stata correttamente dichiarata con provvedimento di avvio del procedimento in data 28.02.2014” è sfornita di ogni pregio, posto che una comunicazione d’inizio del procedimento è ovviamente cosa ben diversa dal provvedimento formale, dichiarativo della decadenza, richiesto dalla giurisprudenza (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 14.09.2015 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2015

EDILIZIA PRIVATAL'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
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La decadenza del titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, infatti, la tesi prevalente in giurisprudenza, che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche.
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Per consolidata giurisprudenza, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione.
Detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.

... per l'annullamento della determinazione n. 1278 del 21.12.2010 del Direttore dell'Area 5 del Comune di Selargius, avente ad oggetto "Concessione Edilizia n. 58/2009 e n. 111/2010 per la realizzazione di un autolavaggio e sistemazione di parte dell'area a verde pubblico e parte a parcheggio - decadenza ex comma 2°, art. 15 D.P.R. 380/2001", con la quale veniva dichiarata la decadenza della concessione edilizia n. 58 del 25.06.2009 e della concessione edilizia n. 111/2010 di voltura della concessione edilizia n. 58 del 25.06.2009, per mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio della concessione edilizia n. 58 del 25.06.2009;
...
Il ricorso è infondato.
La concessione edilizia n. 58/2009 recava espressamente l’indicazione (art. 2) che “L’inizio lavori dovrà avvenire entro un anno dalla data del rilascio della presente concessione e quindi entro la data del 30.06.2010, pena la decadenza della concessione stessa”.
La concessione n. 111/2010, adottata a seguito della presentazione dell’istanza di voltura da parte della società subentrante all’originaria concessionaria, stabiliva sul punto (art. 2) che “I termini di inizio e fine lavori sono i medesimi previsti dalla concessione n. 58/2009…”.
Orbene, non è superfluo ricordare che l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (così Cons. St., V, 23.11.1996, n. 1414).
Con riguardo al caso di specie la ricorrente assume che, diversamente da quanto ritenuto dall’amministrazione, come da comunicazione di inizio lavori del 23.06.2010, questi ultimi sarebbero stati puntualmente iniziati prima della scadenza di efficacia del titolo edilizio.
L’argomento è privo di un significativo corredo probatorio.
Si richiama, infatti, in proposito, la dichiarazione resa dal geom. G.B. in data 26.11.2010 dalla quale tuttavia risulta che prima della scadenza del termine erano state effettuate mere operazioni preliminari (verifica delle quote plano altimetriche, individuazione del luogo migliore per l’accesso e l’uscita degli autocarri, affidamento dell’incarico a un geologo per il relativo studio dell’area), e la lettera dello studio legale C. & M. che peraltro, si limita a richiamare la corrispondenza intercorsa col geologo incaricato dell’indagine geognostica risalente ai giorni 3 e 15.10.2010, ossia ad epoca ben successiva alla scadenza della concessione risalente al 30.06.2010.
In proposito è opportuno ricordare che la decadenza del titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, infatti, la tesi prevalente in giurisprudenza, che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del 04.02.2013; Consiglio di Stato n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2915/2012).
Per contro, sempre sul piano probatorio, la difesa comunale ha depositato in data 19.02.2015 (all. 7) il verbale del sopralluogo effettuato nell’area interessata dall’intervento per cui è causa in data 29.10.2010, corredato da documentazione fotografica, dal quale si ricava che a tale data i lavori non risultavano affatto iniziati.
Del resto, per consolidata giurisprudenza, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242), circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie dalla ricorrente.
Né, infine, assumono rilievo le ricordate vicende concernenti l’avvicendamento nella compagine sociale che, ad avviso della ricorrente, avrebbero determinato il ritardo nell’inizio dei lavori.
Tali accadimenti sono infatti, per quanto qui rileva, del tutto irrilevanti: mancando nel caso di specie sia una tempestiva richiesta di proroga, sia un formale provvedimento di sospensione del termine da parte dell’amministrazione, la concessione edilizia n. 28/2009 deve ritenersi decaduta fin dal 30.06.2010.
In conclusione quindi il ricorso si rivela infondato e va respinto (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 04.05.2015 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2015

EDILIZIA PRIVATALa pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
Con la conseguenza che non è nemmeno necessario un atto espresso che dichiari la decadenza del titolo edificatorio, perché, diversamente opinando, «si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche».
Se, dunque, l’istituto in esame opera di diritto in presenza dei presupposti fissati dalla norma e l’atto comunale ha natura meramente ricognitiva di un effetto già verificatosi, l’onere motivazionale che incombe sull’Autorità procedente è limitato alla rappresentazione della conformità della fattispecie concreta a quella astratta delineata dalla disposizione: nel caso di specie il mancato avvio dei lavori.
Ora, con riferimento al presente giudizio, la circostanza sulla scorta della quale è stata pronunciata la decadenza non è contestata dall’interessata, che anzi chiedendo una proroga del termine annuale ha ammesso il mancato avvio dei lavori di costruzione. D’altro canto, è indubbio che non possa essere sufficiente una dichiarazione meramente formale di avvio dei lavori non seguita da un’attività sostanziale per impedire il verificarsi dell’effetto decadenziale.
Di contro, il titolare del permesso di costruire può evitare la decadenza anche chiedendo, in presenza di ragioni oggettivamente ostative all’edificazione, una proroga del termine in discussione, prima della scadenza del termine stesso.
Anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l’interessato è pur sempre onerato della richiesta di proroga, che deve essere accordata con atto espresso dell’Amministrazione, non operando automaticamente l’effetto sospensivo. Invero, l’atto di proroga, a differenza dell’accertamento dell’intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, perché presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell’avvio della edificazione.

... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia dell’atto di data 08.02.2010 PG/U 0017710 del Dirigente del Servizio Edilizia Privata del Comune di Udine di accertamento della decadenza del permesso a costruire Cod. PDC/129.1.2008;
...
7.1. Il ricorso è infondato, tenuto conto della natura dell’atto di decadenza del permesso di costruire per mancato avvio dei lavori nel termine annuale di cui al già citato articolo 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e dello svolgimento degli eventi nel caso di specie.
7.2.1. Invero, come chiarito dal prevalente orientamento giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene senz’altro di aderire in considerazione della testuale formulazione della previsione normativa, «la pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc» (così, C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 1013/2014; nello stesso senso, ex plurimis, TAR Sicilia–Palermo, Sez. II, sentenza n. 1081/2014; TAR Piemonte, Sez. I, sentenza n. 2/2014).
Con la conseguenza che non è nemmeno necessario un atto espresso che dichiari la decadenza del titolo edificatorio, perché, diversamente opinando, «si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche» (così, TAR Abruzzo–Pescara, sentenza n. 61/2013).
7.2.2. Se, dunque, l’istituto in esame opera di diritto in presenza dei presupposti fissati dalla norma e l’atto comunale ha natura meramente ricognitiva di un effetto già verificatosi, l’onere motivazionale che incombe sull’Autorità procedente è limitato alla rappresentazione della conformità della fattispecie concreta a quella astratta delineata dalla disposizione (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 2027/2013): nel caso di specie il mancato avvio dei lavori.
7.2.3. Ora, con riferimento al presente giudizio, la circostanza sulla scorta della quale è stata pronunciata la decadenza non è contestata dall’interessata, che anzi chiedendo una proroga del termine annuale ha ammesso il mancato avvio dei lavori di costruzione. D’altro canto, è indubbio che non possa essere sufficiente una dichiarazione meramente formale di avvio dei lavori non seguita da un’attività sostanziale per impedire il verificarsi dell’effetto decadenziale (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 974/2012).
7.3.1. Di contro, il titolare del permesso di costruire può evitare la decadenza anche chiedendo, in presenza di ragioni oggettivamente ostative all’edificazione, una proroga del termine in discussione, prima della scadenza del termine stesso.
7.3.2. Anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o di cause di forza maggiore, l’interessato è pur sempre onerato della richiesta di proroga, che deve essere accordata con atto espresso dell’Amministrazione, non operando automaticamente l’effetto sospensivo (cfr., C.d.S., Sez. III, sentenza n. 1870/2013). Invero, l’atto di proroga, a differenza dell’accertamento dell’intervenuta decadenza, è atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, perché presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente impeditivo dell’avvio della edificazione.
7.3.3. Nel caso in esame, invece, risulta per tabulas, che la pronuncia del Giudice amministrativo che annullava la limitazione di altezza dell’erigendo fabbricato è intervenuta oltre due mesi prima la scadenza del termine annuale in discussione, che la suddetta sentenza era immediatamente autoapplicativa e dunque l’edificazione non necessitava di alcuna ulteriore attività da parte dell’Amministrazione, che la società Edil Friuli S.p.A., anziché chiedere una proroga dell’inizio dei lavori (istanza che in astratto poteva pure essere fondata), ha falsamente attesto l’avvio dei lavori, che la richiesta di proroga è giunta a termine oramai scaduto.
8.1. In presenza dei suindicati presupposti giuridico-fattuali il Comune altro non poteva fare che emettere l’atto –vincolato- ricognitivo dell’intervenuta decadenza ope legis del permesso di costruire per cui è causa (TAR Friuli Venezia Giulia, sentenza 22.04.2015 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2014

EDILIZIA PRIVATALa decadenza dalla concessione edilizia non implica la demolizione delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori opere.
La circostanza, invero, che il provvedimento di decadenza della concessione edilizia abbia carattere dichiarativo e che l’effetto di decadenza del titolo edilizio si verifica automaticamente ope legis a causa del semplice decorso dei termini stabiliti per l’inizio e per il completamento dei lavori, comporta la conseguente legittimità dell’ordine di demolizione solo per quanto realizzato “successivamente” alla intervenuta decadenza, ma non per quanto realizzato in precedenza.
In estrema sintesi, la decadenza del titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori ha efficacia ex nunc e non ex tunc, per cui le opere edilizie realizzate nel periodo di validità del titolo edilizio non possono di certo essere ritenute abusive; di conseguenza, l’ordine di demolizione di tali opere può essere disposto solo in presenza di un interesse pubblico particolarmente rilevante e non per il semplice fatto che il titolo edilizio è nel frattempo decaduto.
Va, invero, al riguardo ricordato che -così come del resto già precisato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., sez. IV, 13.02.2007, n. 804)- la decadenza dalla concessione edilizia non implica la demolizione delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori opere. La circostanza, invero, che il provvedimento di decadenza della concessione edilizia abbia carattere dichiarativo e che l’effetto di decadenza del titolo edilizio si verifica automaticamente ope legis a causa del semplice decorso dei termini stabiliti per l’inizio e per il completamento dei lavori, comporta la conseguente legittimità dell’ordine di demolizione solo per quanto realizzato “successivamente” alla intervenuta decadenza (Cons. giust. amm. Reg. Sic., 16.09.1998, n. 474), ma non per quanto realizzato in precedenza.
In estrema sintesi, la decadenza del titolo edilizio per mancata ultimazione dei lavori ha efficacia ex nunc e non ex tunc, per cui le opere edilizie realizzate nel periodo di validità del titolo edilizio non possono di certo essere ritenute abusive; di conseguenza, l’ordine di demolizione di tali opere può essere disposto solo in presenza di un interesse pubblico particolarmente rilevante e non per il semplice fatto che il titolo edilizio è nel frattempo decaduto
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 14.11.2014 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2014

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
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Per giurisprudenza pacifica, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, prima della sua scadenza, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
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La decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche.
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Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di un potere strettamente vincolato non implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento.

Ritiene anzitutto il Collegio di condividere le conclusioni dell’ufficio regionale quanto all’affermata decadenza della concessione edilizia n. 14/1986 a far data dall’11.03.1990.
Non è superfluo ricordare che in materia edilizia la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ebbene, la prima richiesta inoltrata dalla sig.ra P. al comune di Maracalagonis è inequivocamente una mera richiesta di proroga, oltretutto immotivata, del termine di validità della concessione, il cui decorso non era mai stato sospeso dall’amministrazione che non risulta essere mai stata investita del problema relativo all’asserita presenza nelle vicinanze del cantiere di un traliccio dell’alta tensione.
In relazione ad essa il diniego dell’amministrazione è corretto, restando palesemente infondata la censura con la quale la ricorrente lamenta che il termine di efficacia della concessione n. 14/1986 era sospeso per effetto della predetta situazione di impossibilità nella prosecuzione dei lavori.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, prima della sua scadenza, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr: Tar Piemonte, n. 666 del 05.06.2012; Consiglio di Stato, sez. IV, 23.02.2012, n. 974).
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414).
Mancando nel caso di specie sia una tempestiva richiesta di proroga, sia un formale provvedimento di sospensione del termine da parte dell’amministrazione, la concessione edilizia n. 14/1986 era da ritenersi decaduta fin dall’11.03.1990.
Sotto questo profilo non è decisivo in senso contrario l’argomento della ricorrente secondo il quale la decadenza della concessione doveva essere accertata dall’amministrazione comunale con un provvedimento espresso che, a sua volta, doveva essere preceduto dall’avviso di inizio del procedimento.
In primo luogo, la decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del 04.02.2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
In ogni caso, nella vicenda in esame l’effetto ricognitorio connesso all’atto di decadenza formale asseritamente mancante, meramente accertativo –come detto- del verificarsi del presupposto fattuale del decorso del tempo, ben può rinvenirsi nella stessa impugnata determina n. 12 del 10.03.2008, nella quale, in parte motiva, si richiama per esteso la motivazione della nota regionale n. 5252/2008 sopra ricordata che ribadiva la sopravvenuta inefficacia della concessione edilizia n. 14/1986 per decorso del termine.
Con riguardo al secondo profilo della censura (mancato invio dell’avviso di inizio del procedimento), deve invece rilevarsi che il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di un potere strettamente vincolato non implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n. 5691 dell’08.11.2012) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 30.10.2014 n. 880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Comune legittimamente dichiara la intervenuta decadenza del permesso di costruire una volta accertata la impossibilità di accordare la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la dichiarazione di decadenza.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale dell’edilizia trattasi, invero, di ragioni di carattere generale attinenti a considerazioni di tipo economico del tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse, rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo valido per giustificare l’inerzia.

Le doglianze di parte appellante non appaiono condivisibili.
Dunque la richiesta di proroga di che trattasi è stata avanzata dagli interessati come esposto nel provvedimento in contestazione, per due precipue ragioni:
a) per le incertezze economiche e finanziarie derivanti dall’operazione immobiliare in relazione al contenzioso intercorso col Comune circa la quantificazione del contributo di costruzione;
b) per la grave crisi economica che ha afflitto il settore dell’edilizia con le relative, concrete ricadute.
Occorre andare a verificare se tali ragioni collimano con le circostanze previste dall’art. 15 del DPR n.380/2001 per farsi luogo alla proroga, come sostenuto dalla parte appellante, oppure no, come in sostanza assunto dall’Amministrazione comunale.
Il citato articolo di legge prevede che “i termini possono essere prorogati con provvedimento motivato per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” e ancora che … “la proroga può essere accordata con provvedimento motivato esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle particolari caratteristiche tecnico- costruttive:..”.
Ebbene, il diniego risulta essere stato correttamente adottato, atteso che le ragioni addotte a sostegno della richiesta di proroga appaiono eccedere l’ambito naturale descritto dal citato art. 15 per la concessione del beneficio de quo.
La norma in questione presuppone infatti una condizione ben precisa, costituita dalla sopravvenienza di fatti estranei alla volontà del titolare della concessione edilizia e tali non sono le circostanze dedotte dai sigg.ri Marconi.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale dell’edilizia, trattasi invero, di ragioni di carattere generale attinenti a considerazioni di tipo economico del tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse, rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo valido per giustificare l’inerzia.
Alcuna incidenza diretta e concreta può altresì avere la pendenza tra le stesse parti del contenzioso in ordine alla quantificazione del contributo di costruzione, la cui determinazione, come stabilita dal Comune, peraltro, nasce ed è conosciuta in coincidenza del rilascio del titolo ad aedificandum (e non successivamente).
Non si riesce in ogni caso a comprendere invero il ruolo per così dire “paralizzante” della questione del quantum degli oneri concessori con riguardo ai termini fissati dal citato art. 15, se non come circostanza del tutto estranea alla tempistica dei lavori, dovendosi altresì rilevare, a voler entrare nell’ottica della “pesantezza” dei costi finanziari da sostenersi per l’operazione immobiliare, che non viene data dimostrazione della concreta incidenza sulla situazione finanziaria degli appellanti e tenuto altresì conto del fatto che in teoria un eventuale esito positivo della controversia consentirebbe la ripetizione degli oneri richiesti (in più) in pagamento.
Ferma restando la inattendibilità ai fini della proroga delle circostanze addotte, neppure si invera la condizione, pure prevista dall’art. 15 citato, secondo cui la proroga potrebbe essere possibile in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive: invero circostanze relative alla difficoltà di esecuzione delle modalità di realizzazione dell’opera edilizia non vengono minimamente in rilievo dalla documentazione di causa e comunque non sono rappresentate dagli interessati e tantomeno documentate.
In definitiva sul punto occorre convenire che a sostegno della chiesta proroga parte appellante ha posto delle “problematiche” che non rispondono ai requisiti dettati dall’art. 15 citato, perché non possono farsi rientrare tra i “fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Se così è, il Comune ha del pari correttamente proceduto a dichiarare la intervenuta decadenza del permesso di costruire, una volta accertata la impossibilità di accordare la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la dichiarazione di decadenza (cfr Cons. Stato Sez. IV 07/09/2011 n. 5028; idem 29/01/2008 n. 249) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.10.2014 n. 4975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso prescritto stanato con Google maps. Una sentenza del Tar Toscana.
Non basta aver spianato o soltanto picchettato il terreno dove si vuole edificare l'opera per evitare la decadenza annuale dal permesso ottenuto dal comune: per interrompere la «prescrizione» del titolo abilitativo, infatti, serve un inizio dei lavori vero e proprio, cioè caratterizzato da interventi che denotano un «serio intento» di costruire. E l'amministrazione locale per «stanare» chi non ha cominciato in tempo i lavori assentiti ricorre alle immagini scaricate da Google Maps in modo da provare in modo certo l'intervenuta «prescrizione».

È quanto emerge dalla sentenza 03.10.2014 n. 1515 pubblicata dalla III Sez. del TAR Toscana.
Assunto infondato
Niente da fare per l'ex titolare dell'autorizzazione non sfruttata dopo che il comune ha dichiarato la decadenza per mancato tempestivo avvio dei lavori ai sensi dell'articolo 15 del Testo unico dell'edilizia. Non risultano sufficienti a evitare la «tagliola» dell'ente le mere «verifiche del caso», vale a dire un semplice picchettamento per determinare l'esatta posizione del capannone da realizzare.
In realtà dopo aver rimosso il terreno vengono fuori le rocce, e gli operai sono costretti a fermarsi: troppo presto per poter invocare un regolare inizio dei lavori in base all'articolo 15 del dpr 380/2001, che esclude la sussistenza di effetti interruttivi anche in caso di meri scavi di sondaggio. E altrettanto vale nell'ipotesi di livellamento. L'amministrazione locale porta in giudizio le foto tratte da Google Maps per dimostrare che nell'ottobre 2011 i lavori di cui al permesso di costruire in considerazione non erano ancora stati avviati. Ma prima ancora delle immagini scaricate dal popolare motore di ricerca pesa l'infondatezza dell'assunto del titolare del permesso.
Decorso oggettivo
Inutile invocare il maltempo in Maremma che avrebbe bloccato i lavori. La forza maggiore non può comportare una sospensione legale del termine di inizio e ultimazione dei lavori, al massimo può legittimare una richiesta di proroga da parte dell'interessato: sarà l'ufficio a valutare poi i fatti rappresentati.
Insomma: la decadenza si verifica per l'oggettivo decorso del termine quando il cittadino non presenta un'istanza tempestiva. Nulla per le spese (articolo ItaliaOggi del 09.10.2014).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha chiarito che per aversi “inizio dei lavori”, tale da escludere la pronuncia di decadenza nel termine annuale dal rilascio del permesso di costruire, occorre aver dato avvio ad opere che denotino un <serio intento costruttivo>, sicché sono inidonei a configurare un effettivo “inizio dei lavori” il mero spianamento del terreno o meri scavi di sondaggio o anche la “mera picchettatura” del terreno interessato dalla costruzione e il suo livellamento.
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La presenza di elementi di “forza maggiore” che avrebbero impedito l’avvio tempestivo dei lavori nei termini di legge non può comportare una sospensione legale del termine di inizio e ultimazione dei lavori, semmai potendo legittimare una richiesta di proroga da parte dell'interessato all’Amministrazione, cui seguirà una valutazione dei fatti rappresentati da parte dell’ufficio pubblico competente.
Ne segue che la decadenza si verifica invece per l'oggettivo decorso del termine quando, come nel caso in esame, l'interessato non abbia presentato una tempestiva istanza di proroga del termine rappresentato all’Amministrazione l’essersi verificati fatti oggettivamente impeditivi all’avvio dei lavori.

6 – Con il primo mezzo parte ricorrente evidenzia che non sussisterebbero nella specie i presupposti per la declaratoria di decadenza del permesso di costruire, avendo essa avviato l’inizio dei lavori nel termine annuale, da computarsi dalla data di ritiro del permesso di costruire, e contestando parte ricorrente gli accertamenti svolti dall’Amministrazione e i profili probatori sui quali la parte pubblica fonda il proprio assunto di mancato avvio dei lavoro nell’anno (in particolare le fotografie tratte da Google Maps).
La censure è infondata.
Rileva il Collegio che non vi è neppure necessità di affrontare la questione, sulla quale la ricorrente si diffonde, relativa alla idoneità delle fotografie tratte da Internet a dimostrare che nell’ottobre 2011 i lavori di cui al permesso di costruire in considerazione non sarebbero ancora stati avviati; infatti tale questione è superata dalla infondatezza dell’assunto stesso di parte ricorrente secondo cui l’avvio di esecuzione che essa avrebbe posto in essere nei primi giorni di gennaio 2011 sarebbe idoneo ad escludere la pronuncia di decadenza; infatti parte ricorrente afferma di aver posto in essere in quel periodo “i primi lavori necessari, ovvero il picchettamento per determinare l’esatta posizione del nuovo capannone”, aggiungendo che “si evidenziava quasi subito, tolto il primo strato terroso, che vi era stata una sottovalutazione di quello pietroso inferiore”, affermando quindi il compimento di operazioni che, alla luce delle costante elaborazione giurisprudenziale, non risultano sufficienti a integrare “l’inizio dei lavori” di cui alla’art. 15 del DPR n. 380 del 2001.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che per aversi “inizio dei lavori”, tale da escludere la pronuncia di decadenza nel termine annuale dal rilascio del permesso di costruire, occorre aver dato avvio ad opere che denotino un <serio intento costruttivo>, sicché sono inidonei a configurare un effettivo “inizio dei lavori” il mero spianamento del terreno o meri scavi di sondaggio o anche la “mera picchettatura” del terreno interessato dalla costruzione e il suo livellamento (TAR Torino, sez. 1^, 03.01.2014, n. 2), che è quanto la ricorrente afferma di aver effettuato nella specie.
7 – Con il secondo mezzo parte ricorrente evidenzia le avversità che le hanno impedito di procedere più speditamente all’avvio dei lavori, come il rinvenimento di strati pietrosi o la pessima situazione metereologica che ha interessato la Maremma.
La censura è infondata.
Nella sostanza la ricorrente invoca la presenza di elementi di “forza maggiore” che le avrebbero impedito l’avvio tempestivo dei lavori. Osserva tuttavia il Collegio che la forza maggiore non può comportare una sospensione legale del termine di inizio e ultimazione dei lavori, semmai potendo legittimare una richiesta di proroga da parte dell'interessato all’Amministrazione, cui seguirà una valutazione dei fatti rappresentati da parte dell’ufficio pubblico competente; ne segue che la decadenza si verifica invece per l'oggettivo decorso del termine quando, come nel caso in esame, l'interessato non abbia presentato una tempestiva istanza di proroga del termine rappresentato all’Amministrazione l’essersi verificati fatti oggettivamente impeditivi all’avvio dei lavori (Cons. St., sez. 3^, 03.04.2013, n. 1870).
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 03.10.2014 n. 1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2014

EDILIZIA PRIVATAA seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo del contributo di costruzione.
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La proroga presuppone che il permesso di costruire non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori).

Quale che sia la soluzione, è però innegabile che al più tardi alla data del 26.04.2008 il permesso di costruire n. 54 del 2004 aveva perduto ogni attitudine a produrre effetti giuridici.
Di conseguenza esso non avrebbe potuto essere oggetto di proroga, dato che a seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo del contributo di costruzione (cfr. articolo 15, comma 3, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
E’ quindi in base a questo principio che va operata la qualificazione dell’atto di proroga del 14.07.2009 del comune, tenendo presente che gli atti amministrativi devono essere qualificati in base alle loro oggettive caratteristiche a prescindere dal nomen usato.
Ciò premesso è evidente la volontà del redattore dell’atto di limitarsi a una proroga del precedente permesso (sintomatico è che quest’ultimo sia richiamato e che l’efficacia della proroga sia limitata a un anno, mentre se si fosse trattato del rilascio del permesso di costruire per la parte di lavori non eseguiti sarebbero stati richiesti e acquisiti elaborati grafici e sarebbero stati fissati nuovi termini per inizio e completamento dei lavori); nella fattispecie quindi si tratta di proroga; tuttavia l’atto è chiaramente illegittimo dato che la proroga presuppone che il permesso di costruire non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza del termine di ultimazione dei lavori) (TAR Lazio-Latina, sentenza 24.07.2014 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2014

EDILIZIA PRIVATA: Come espressamente stabilito dall’art. 15, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, riproduttivo del comma 5 dell’art. 4 della legge n. 10/1977 vigente ratione temporis, la mancata ultimazione dell’intervento nei termini stabiliti resta subordinata al rilascio di un nuovo permesso di costruire per la parte non ultimata.
Sicché la mancata ultimazione dei lavori di costruzione nel termine stabilito dalla concessione determina la necessità per il titolare della concessione, di chiedere il rilascio di una nuova concessione edilizia, per ultimare i lavori edilizi assentiti.
Tale nuova concessione è indubitabilmente assoggettata agli obblighi di natura urbanistica e patrimoniale previsti dalla normativa in materia alla data del relativo rilascio, incluso l’obbligo di attualizzazione del contributo concessorio secondo i parametri di riferimento vigenti in tale data.

Va rilevato innanzitutto che, come espressamente stabilito dall’art. 15, comma 3, del d.p.r. n. 380/2001, riproduttivo del comma 5 dell’art. 4 della legge n. 10/1977 vigente ratione temporis, la mancata ultimazione dell’intervento nei termini stabiliti resta subordinata al rilascio di un nuovo permesso di costruire per la parte non ultimata.
Sicché la mancata ultimazione dei lavori di costruzione nel termine stabilito dalla concessione determina la necessità per il titolare della concessione, di chiedere il rilascio di una nuova concessione edilizia, per ultimare i lavori edilizi assentiti. Tale nuova concessione è indubitabilmente assoggettata agli obblighi di natura urbanistica e patrimoniale previsti dalla normativa in materia alla data del relativo rilascio, incluso l’obbligo di attualizzazione del contributo concessorio secondo i parametri di riferimento vigenti in tale data.
Difatti il fabbricato oggetto della prima concessione edilizia in quanto realizzato “al rustico” non poteva ritenersi ultimato.
Suggestiva risulta la tesi difensiva secondo cui il presupposto sostanziale dei contributi di concessione è la sussistenza di un carico urbanistico, per cui le opere che non inducono un nuovo carico urbanistico gravante sul territorio e nemmeno lo ampliano, come nel caso di specie, dovrebbero essere esenti da contribuzione.
Tuttavia tale assunto viene smentito dalla circostanza che il contributo relativo al costo di costruzione, a differenza degli oneri di urbanizzazione, non concorre alla realizzazione delle infrastrutture pubbliche a servizio della nuova opera, ma sorge semplicemente a fronte dell’incremento del patrimonio del titolare del permesso, e dunque della sua capacità contributiva, conseguente all’intervento edilizio.
Inoltre la fattispecie in esame non rientra in alcuno dei casi di esenzione o gratuità della concessione contemplati dall’art. 9 della legge n. 10/1977 che riconosce il diritto all’esenzione nei casi di interventi di manutenzione straordinaria, restauro risanamento conservativo, ristrutturazione e ampliamento in misura non superiore al 20% di edifici unifamiliari, modifiche interne o realizzazione di volumi tecnici indispensabili per esigenze abitative.
I casi di gratuità o di esenzione costituiscono difatti fattispecie eccezionali e di stretta interpretazione, per cui non è consentita all’interprete l’individuazione in via pretoria di ulteriori ipotesi non previste dalla legge, ivi inclusi i casi di fabbricati non ultimati sulla base di una precedente concessioni edilizia.
In ogni caso parte ricorrente non ha nemmeno dimostrato quale fosse l’effettivo stato di avanzamento dei lavori, né ha comprovato l’assunto secondo cui il progetto di completamento del fabbricato, sulla cui base il Comune ha calcolato gli oneri in esame, non apportava alcun elemento di novità rispetto a quanto previsto dalla concessione originaria.
Non può quindi sostenersi che attraverso l’ingiunzione in oggetto il Comune abbia inteso in qualche modo indebitamente realizzare una duplicazione di un’entrata di cui aveva già in precedenza beneficiato
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 16.04.2014 n. 2170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2014

EDILIZIA PRIVATA: La pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
Al contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto originario.
Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
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La proroga può aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” o per ragioni collegate alla natura dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

In secondo luogo, la disciplina dell’art. 15 “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire” del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” mette in luce l’esistenza di un diverso regime che distingue, da un lato, il provvedimento di decadenza da quello di proroga e, all’interno delle tipologie di proroga, quella determinata dal sopravvenire di un fatto esterno da quella determinata da profili ontologici dell’opera.
La prima diade si basa sulla distanza esistente tra un provvedimento legato ai soli presupposti di legge e uno caratterizzato dalla scelta discrezionale. Infatti, la pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028).
Al contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
Nell’ambito della materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia. La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio perché il risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
La seconda diade evidenzia come la proroga possa aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso” o per ragioni collegate alla natura dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari” (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.03.2014 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2014

EDILIZIA PRIVATA: Natura oggettiva del concetto di ultimazione dei lavori.
Il reato urbanistico ha natura di reato permanente la cui consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria abusiva.
La cessazione dell'attività si ha con l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado, se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino alla data del giudizio.
Inoltre, l'ultimazione dei lavori coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni quali gli intonaci e gli infissi.
Entro tale preciso ambito deve dunque individuarsi il concetto di "ultimazione" che ha natura oggettiva e non può, pertanto, dipendere da valutazioni soggettive
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.02.2014 n. 5480 - tratto da www.lexambiente.it).

gennaio 2014

EDILIZIA PRIVATA: Se è vero che la declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce manifestazione di attività vincolata della pubblica amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti della decadenza richiedono un rigoroso e completo accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria, che non può basarsi su affermazioni apodittiche né prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso concreto.
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In disparte le giustificazioni addotte dalla ricorrente a proposito dell’ostruzionismo praticato dai vicini nel rendere inagibile l’unica strada di accesso al fondo, è dirimente osservare che il permesso di costruire di cui trattasi è stato rilasciato alla Società nella giornata di venerdì, 28.12.2012, in pieno periodo feriale, per l’approssimarsi del Capodanno ed in una stagione con condizioni climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma 2°, del codice di procedura civile).
In siffatte circostanze appare al Collegio irragionevole la pretesa del Comune di far discendere la prova dell’intento costruttivo dalla realizzazione, nell’ultimo scorcio dell’anno 2012, in pieno periodo feriale ed in pieno inverno, delle lavorazioni necessarie all’inizio dell’opera.
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa non rispettosa del principio di proporzionalità che dovrebbe presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in sede di accertamento della decadenza di cui al citato art. 15, oltre che in contrasto con il principio della buona fede oggettiva che deve comunque caratterizzare il rapporto fra privato e pubblica amministrazione.
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del d.P.R. n. 380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto –realisticamente– che sussista un fisiologico intervallo temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio dell’attività edilizia.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione del menzionato art. 15 effettuata da parte dell’Amministrazione di Como.

Il ricorso merita parziale accoglimento, secondo quanto di seguito meglio specificato.
Preliminarmente, il Collegio ritiene di soprassedere rispetto all’eccezione di irricevibilità sollevata da parte resistente in ordine all’impugnazione dei provvedimenti elencati in premessa sub nn. 4 e ss., stante l’evidente inammissibilità del ricorso rispetto all’impugnazione predetta, non assistita dall’articolazione di specifiche censure, in violazione dell’art. 40, co. 1, lett. d), c.p.a.
Per il resto, e nel merito, il Collegio ritiene di confermare l’orientamento già espresso in ordine all’interpretazione del combinato disposto degli artt. 15, co. 4, del d.P.R. n. 380/2001, 25, co. 1-quater, della legge regionale n. 12/2005.
In tal senso, è sufficiente richiamare quanto di recente affermato da questa stessa Sezione in un caso analogo a quello per cui è causa, in cui era stato impugnato da altra società un provvedimento di decadenza di un permesso di costruire, emesso in circostanze analoghe a quelle per cui è causa da parte del Comune di Como (cfr. sentenza TAR Milano, Sez. II, del 24.07.2013, n. 1943).
Ivi, è stato così chiarito che l’art. 15, comma 4°, del d.P.R. n. 380/2001 (in forza del quale <<Il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio>>), non può essere letto, come affermato dal resistente, nel senso di poter dichiarare la decadenza di un titolo edilizio, rilasciato a distanza di pochi giorni, a causa della sopravvenienza dell’art. 25, comma 1-quater, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, assunto alla stregua di previsione urbanistica contrastante con l’intervento assentito.
Il comma da ultimo citato (oggi abrogato, come meglio si dirà in seguito, ma vigente a gennaio 2013), ha stabilito che -nei comuni che entro il 31.12.2012 non avessero ancora approvato il Piano di Governo del Territorio (PGT, ai sensi dell’art. 13 della già citata LR 12/2005)- sarebbero stati ammessi, nelle zone omogenee A, B, C e D, soltanto gli interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, con esclusione degli interventi, come quello di cui è causa, di nuova costruzione.
Ebbene, nella fattispecie in esame, se da un lato il Comune di Como –la circostanza è pacifica– non aveva ancora approvato il proprio PGT al 31.12.2012, dall’altro, almeno stando al provvedimento impugnato, Stradivari non aveva avviato, al 01.01.2013, l’attività edilizia oggetto dell’intervento assentito.
In siffatte evenienze, a parere del resistente, l’art. 25, co. 1–quater cit., giustificherebbe l’impugnata decadenza del titolo edilizio rilasciato, giova ribadire, il 28.12.2012, in esecuzione del già richiamato art. 15, comma 4°, del Testo Unico dell’edilizia.
Nei motivi di ricorso sopra sintetizzati la Società contesta la violazione e l’erronea applicazione, sotto vari profili, delle norme –statali e regionali– poste dall’Amministrazione di Como a fondamento della determinazione di decadenza del permesso di costruire.
La Sezione, pur ritenendo assorbente il terzo motivo di ricorso (su cui ci si diffonderà nel prosieguo), ritiene utile accennare anche ai profili di fondatezza emergenti in relazione al primo motivo di ricorso, con cui si contesta l’affermazione del Comune, secondo cui la Società non avrebbe avviato alcuna attività edilizia al 31.12.2012, sicché non sarebbe ravvisabile in capo ad essa alcun “serio intento costruttivo”.
Al riguardo, preme al Collegio richiamare, in primo luogo il proprio orientamento, secondo cui, se è vero che la declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce manifestazione di attività vincolata della pubblica amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti della decadenza richiedono un rigoroso e completo accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria, che non può basarsi su affermazioni apodittiche né prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso concreto (cfr. sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. II, 22.1.2013, n. 189).
Nel caso di specie, il permesso di costruire è stato adottato il 18.12.2012 e rilasciato all’interessata in data 28.12.2012 (cfr. il doc. 8 della ricorrente e il doc. 14 della resistente), mentre la comunicazione di inizio lavori è stata protocollata lo stesso 28.12.2012 (cfr. il doc. 13 della ricorrente e il doc. 16 della resistente).
Il Comune di Como ha effettuato il sopralluogo assunto a presupposto della decadenza in data 11.01.2013 (cfr. il doc. 17 della resistente).
Ebbene, in disparte le giustificazioni addotte dalla ricorrente a proposito dell’ostruzionismo praticato dai vicini nel rendere inagibile l’unica strada di accesso al fondo, è dirimente osservare che il permesso di costruire di cui trattasi è stato rilasciato alla Società nella giornata di venerdì, 28.12.2012, in pieno periodo feriale, per l’approssimarsi del Capodanno ed in una stagione con condizioni climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma 2°, del codice di procedura civile).
In siffatte circostanze appare al Collegio irragionevole la pretesa del Comune di far discendere la prova dell’intento costruttivo dalla realizzazione, nell’ultimo scorcio dell’anno 2012, in pieno periodo feriale ed in pieno inverno, delle lavorazioni necessarie all’inizio dell’opera (a nulla rilevando quanto successivamente accertato, ma non emergente dal provvedimento qui gravato).
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa non rispettosa del principio di proporzionalità che dovrebbe presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in sede di accertamento della decadenza di cui al citato art. 15, oltre che in contrasto con il principio della buona fede oggettiva che deve comunque caratterizzare il rapporto fra privato e pubblica amministrazione (cfr. sul punto, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012, n. 5692, nonché TAR Milano, II, sent. n. 1943/2013).
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del d.P.R. n. 380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto –realisticamente– che sussista un fisiologico intervallo temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio dell’attività edilizia.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione del menzionato art. 15 effettuata da parte dell’Amministrazione di Como.
Passando, a questo punto, ad esaminare il terzo motivo, il Collegio osserva quanto segue.
L’esponente contesta, qui, l’interpretazione dell’art. 25 della legge regionale n. 12/2005, come modificato dalla legge regionale n. 21/2012, assunta dal Comune a fondamento del provvedimento di decadenza, sul presupposto che la normativa regionale costituisca una nuova previsione urbanistica –di rango legislativo– volta a precludere definitivamente ogni attività edilizia con essa contrastante.
Il comma 1-quater, giova ribadire, permetteva a partire dal 01.01.2013 nei Comuni sprovvisti di Piano di Governo del Territorio una limitatissima attività edilizia, consentendo soltanto gli interventi di manutenzione, restauro e risanamento, vietando -al contempo- altri interventi edilizi, come quelli di ristrutturazione e di nuova costruzione, fra cui l’attività di cui al permesso ottenuto da Stradivari, che rientra in tale ultima categoria.
L’interpretazione degli uffici comunali non era stata condivisa dallo scrivente Collegio che, in sede di cognizione sommaria (cfr. l’ordinanza cautelare n. 439/2013), aveva disatteso l’impostazione comunale e, in un’altra coeva ordinanza (n. 363/2013, poi confermata con la sentenza n. 1943/2013 già citata), aveva offerto una diversa esegesi dei commi da 1-ter a 1-quinquies dell’art. 25 della LR 12/2005, ritenendo che gli stessi imponessero non la decadenza, bensì la sospensione dei titoli edilizi, in attesa dell’approvazione definitiva dello strumento urbanistico generale (PGT).
Si trattava di un’interpretazione del dettato legislativo regionale rispettosa del canone di ragionevolezza che –ex art. 3 della Costituzione– deve sempre accompagnare l’esercizio della funzione legislativa, anche da parte delle Regioni (sulla rilevanza della “ragionevolezza”, quale parametro costituzionale, si veda, fra le decisioni più recenti, Corte Costituzionale, 27.6.2013, n. 160).
La questione interpretativa dei menzionati commi dell’art. 25 della LR 12/2005 ha, tuttavia, perso rilevanza, visto che la stessa Regione Lombardia, con la legge regionale 04.06.2013, n. 1, ha espressamente abrogato i commi in questione (cfr. l’art. 2, comma 2, della citata legge), fissando un nuovo termine per l’approvazione del PGT per i Comuni rimasti ancora inerti, al 30.06.2014.
In ordine alle conseguenze derivanti dalla recente modifica legislativa, preme segnalare che, con circolare del 19.06.2013, n. 14 (pubblicata sul BURL 21.06.2013, n. 25), Regione Lombardia ha stabilito che possono essere riattivate le istanze di intervento presentate entro il 31.12.2012 ma non definite per effetto della pregressa disciplina restrittiva, sicché le novità della LR 1/2013 finiscono per avere un effetto sostanzialmente retroattivo (ex tunc).
Di fronte a tale efficacia retroattiva, si potrebbe addirittura dubitare dell’applicabilità, alla presente fattispecie, dell’art. 15, comma 4°, del d.P.R. n. 380/2001, visto che alla data del 31.12.2012 non è stata, in realtà, introdotta, da parte della legislazione regionale, alcuna nuova normativa urbanistica.
Da ultimo e con riguardo alla rilevanza sull’intervento di cui è causa del nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT) del Comune di Como, approvato definitivamente il 13.06.2013, valgano le considerazioni seguenti.
Il permesso di costruire più volte ricordato, è stato rilasciato il 28.12.2012 in conformità allo strumento urbanistico generale allora vigente; il P.G.T. oggi in vigore è stato adottato il 20.12.2012 ed il relativo avviso è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia (BURL) il successivo 16.01.2013.
E’ quindi evidente che, attesa l’anteriorità del rilascio del titolo rispetto all’adozione del P.G.T., le prescrizioni di quest’ultimo non potevano di per sé incidere sull’attività edilizia già regolarmente autorizzata, tanto è vero che il provvedimento impugnato nulla dice in ordine al P.G.T. adottato.
Parimenti, l’intervenuta approvazione definitiva del P.G.T. in data 13.06.2013 non rileva in alcun modo, trattandosi di circostanza sopravvenuta al provvedimento ivi gravato.
Di conseguenza, qualsivoglia richiamo ad un preteso contrasto del titolo edilizio di Stradivari con le prescrizioni del P.G.T., contenuto negli scritti difensivi del Comune, non può che rappresentare un inammissibile tentativo di integrazione della motivazione attraverso gli atti di causa (cfr. sull’impossibilità dell’integrazione “postuma” della motivazione dell’atto amministrativo, Consiglio di Stato, sez. V, 27.03.2013, n. 1808).
Per le suesposte considerazioni, assorbiti i mezzi non espressamente scrutinati, il ricorso in epigrafe specificato deve essere accolto, limitatamente all’impugnazione del provvedimento di decadenza del 15.01.2013 che, per l’effetto, deve essere annullato; deve, per contro, essere dichiarata inammissibile la restante parte del gravame.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, la stessa deve essere respinta, attesa la mancata dimostrazione dei presupposti richiesti dall’art. 2043 c.c. in ordine, in particolare, al nesso di causalità ai fini della riconducibilità dei lamentati danni all’agire illegittimo della p.a., nonché alla colpevolezza della resistente amministrazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.01.2014 n. 2 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

dicembre 2013

EDILIZIA PRIVATA: L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo.
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L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori spettanti all’Amministrazione comunale.
Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno.
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La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato.

Per costante giurisprudenza, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. V, 02.11.2004, n. 7748; Id., sez. IV, 15.04.2013, n. 2027, ove riferimenti ulteriori).
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L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori spettanti all’Amministrazione comunale. Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno (si veda più ampiamente Cons. Stato, sez. IV, n. 2017 del 2013, cit.).
Non c’è dubbio che una pluralità di fattori abbia impedito il reale avvio delle opere nel termine prescritto; essi sono ricordati nelle dichiarazioni riferite nel verbale del 2008 (tardivo rilascio dell’immobile da parte degli occupanti, problematiche inerenti la scarsa tenuta della rampa di collegamento tra la via pubblica e il resede, mancata acquisizione della deroga per i rumori).
Queste circostanze obiettive avrebbero potuto forse anche giustificare la proroga del termine per l’inizio dei lavori (come prevede l’art. 15, comma 2, secondo periodo, t.u., e l’art. 6-quinquies del regolamento edilizio); ma la proroga non risulta accordata e nemmeno richiesta, cosicché essi non possono produrre alcuna giustificazione circa il mancato rispetto del termine di legge.
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Quanto, infine, all’intervallo di tempo tra l’accertamento e la dichiarazione di decadenza, che l’appello censura come eccessivo, esso non appare comunque tale, alla luce della scansione temporale della vicenda (come detto più volte, il primo accertamento è del settembre 2008; il primo provvedimento di decadenza del febbraio 2009; l’ispezione è ripetuta nel luglio 2009 e la decadenza reiterata nell’agosto successivo).
Peraltro, anche in disparte il rilievo che precede, il Collegio esprime convinta adesione all’orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente, secondo cui la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2011, n. 5028; Id., sez. IV, 23.02.2012, n. 974; Id., sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Lo scarto temporale lamentato dalla Società appellante, quindi, rimane comunque irrilevante sul piano della disciplina giuridica della vicenda
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal citato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
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L’asserito impedimento, qualificato dalla ricorrente come ritardo incolpevole, derivante dal preteso ritardo dell’azienda titolare del servizio pubblico elettrico nell’operare lo spostamento della linea elettrica -peraltro tardivamente allegato soltanto dopo l’adozione degli impugnati provvedimenti- non è comunque idoneo ad integrare gli estremi della forza maggiore che, dunque, nel caso di specie deve escludersi.
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L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi configurabile quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e dei materiali da costruzione.
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Per la pronuncia di decadenza, in quanto tipico atto d'ufficio, la comunicazione ai sensi dell’art. 10-bis della l. 241/1990 risulta esclusa.

La giurisprudenza è pacifica nell'affermare che la pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, sia connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal citato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id. sez. III, 04.04.2013, n. 1870).
D’altra parte, l’asserito impedimento, qualificato dalla ricorrente come ritardo incolpevole, derivante dal preteso ritardo dell’azienda titolare del servizio pubblico elettrico nell’operare lo spostamento della linea elettrica -peraltro tardivamente allegato soltanto dopo l’adozione degli impugnati provvedimenti- non sarebbe comunque idoneo ad integrare gli estremi della forza maggiore che, dunque, nel caso di specie deve escludersi.
Ciò posto deve rammentarsi che, per costante giurisprudenza, l'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi configurabile quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e dei materiali da costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.07.2013, n. 3823).
Nel caso in esame, al di là di affermazioni opinabili per cui l’abbozzo della canaletta per l’elettrodotto rappresenterebbe inizio dei lavori, non risultano neanche tali attività minime; dunque non è contestato che la costruzione non sia stata iniziata, per cui non vi è dubbio che il Comune dovesse emettere un provvedimento di natura dichiarativa sul mancato rispetto del termine annuale decadenziale, già prorogato.
Stante l’adottata decadenza dai titoli era, dunque, inevitabile che venisse negata la proroga degli stessi risultando, dunque, la comunicazione ai sensi dell’art. 10-bis un atto meramente formale posto in essere solo perché in presenza di atti a istanza di parte.
Viceversa, per la pronuncia di decadenza, in quanto tipico atto d'ufficio, tale comunicazione risulta esclusa (TAR Veneto sez. II, 14.11.2008, n. 3550) (TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 18.12.2013 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Laddove le parti controvertono in punto di sussistenza, nella fattispecie in esame, di elementi fattuali idonei a integrare il presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè <l’avvio dei lavori>, ovverosia si abbiano posizioni diverse sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>, in siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta certamente necessario, non potendosi seguire la difesa dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza] non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi per legge”.
Al contrario il contraddittorio procedimentale risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i presupposti per l’esercizio del potere.

Il Collegio ritiene di dover procedere al preliminare esame del terzo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente censura la gravata ordinanza per violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, cioè per mancata comunicazione di avvio del procedimento, necessaria in ipotesi in cui si contesta la sussistenza dei presupposti fattuali idonei a integrare i presupposti per l’emissione del provvedimento di decadenza.
La censura è fondata.
È significativo rilevare, ai fini dello scrutinio della presente doglianza, che le parti controvertono, come sopra rilevato, in punto di sussistenza, nella fattispecie in esame, di elementi fattuali idonei a integrare il presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè <l’avvio dei lavori>, in particolare avendo posizioni diverse sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>.
In siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta certamente necessario, non potendosi seguire la difesa dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza] non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi per legge”; al contrario il contraddittorio procedimentale risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i presupposti per l’esercizio del potere.
La gravata ordinanza, peraltro, non esclude la necessità partecipativa, ma afferma che la precedente ordinanza di sospensione dei lavori, la n. 9 del 2010, “aveva valore di comunicazione di garanzia nei confronti dell’interessato, onde consentire la partecipazione al procedimento tramite la presentazione di scritti difensivi e quanto altro”. Anche questa ricostruzione, tuttavia, non convince.
La richiamata ordinanza di sospensione n. 9 del 2010, infatti, non attiene in alcun modo al profilo di avvio dei lavori e del possibile maturarsi del termine di decadenza, ma enuncia la problematica della conformità del permesso di costruire rilasciato rispetto agli artt. 33 e 12 delle NTA del PRG del Comune di Montespertoli, sicché essa può valere come comunicazione di avvio di un procedimento di annullamento d’ufficio per illegittimità del titolo edilizio rilasciato, non già rispetto all’atto di decadenza qui gravato (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.12.2013 n. 1714 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2013

EDILIZIA PRIVATANel caso in cui l’amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione.
... per l'annullamento del provvedimento di decadenza permesso di costruire;
...
- Considerato che il mancato inizio dei lavori di cui al permesso di costruire n. 31/2011 risulta correlato all’adozione del provvedimento con il quale il Comune ha negato il rilascio della concessione relativa all’installazione di chiosco per la vendita di prodotti non alimentari, annullato con sentenza n. 714/2013 del 25.06.2013 di questo Tribunale;
- Considerato che il ricorso risulta manifestamente fondato, atteso che secondo la giurisprudenza, nel caso in cui l’amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione (così, da ultimo, TAR Calabria, Reggio Calabria, 20.04.2010 n. 420);
- Considerato che deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno, in quanto l’annullamento del provvedimento impugnato soddisfa l’interesse di parte ricorrente (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 15.11.2013 n. 1008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2013

EDILIZIA PRIVATA: Inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio.
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione, ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione, con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge, o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4855 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza del titolo edilizio di cui all’art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10 e –ora– dell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione.
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L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione; ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione, con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni.
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Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento recante la pronuncia di decadenza della concessione si configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in ordine al quale la regola generale di per sé impone l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore; ma anche in tale evenienza l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa informazione.

... il Collegio rileva che ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza del titolo edilizio di cui all’art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10 e –ora– dell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.11.1998 n. 1615 e, ancor più recentemente, Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2012 n. 2915).
Sempre in tal senso, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242), con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato, Sez. V, 15.10.1992 n. 1006) o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni (Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n. 535): circostanze, queste ultime, non sussistenti nel caso di specie.
Dalla lettura del verbale del sopralluogo effettuato in data 21.03.2002 dal personale dell’Ufficio tecnico comunale, nonché dall’esame dell’annessa documentazione fotografica, si evince incontrovertibilmente che a quella data, ossia a quattro anni dal rilascio della concessione edilizia n. 1650/98 dd. 18.03.1998 era stato eseguito soltanto “un modesto scavo recintato, delle dimensioni di circa due metri”.
La circostanza -allegata da Ste.Ros.- che siano stati anche abbattuti due alberi d’alto fusto per realizzare tale scavo, nonché la parimenti allegata presenza di una recinzione e di macchinari edili nell’area nulla aggiungono a tale oggettiva realtà, dalla quale pertanto inoppugnabilmente si ricava che il titolo edilizio non è stato nella sostanza fruito dal soggetto a favore del quale esso era stato rilasciato, e che pertanto la pronuncia della decadenza dallo stesso era atto dovuto per l’Amministrazione Comunale.
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Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento recante la pronuncia di decadenza della concessione si configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in ordine al quale la regola generale di per sé impone l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo destinatario originate da un provvedimento precedentemente adottato in suo favore (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29.07.2003 n. 3169); ma anche in tale evenienza l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa informazione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 26.10.2006, n. 6413; Sez. V, 18.11.2004,n. 7553 e 22.01.2003 n. 243)   (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.09.2013 n. 4855 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2013

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire con decadenza vincolata.
La pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve ora una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del dpr n. 380 del 2001, è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2 (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) e ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.

Lo ha affermato la IV Sez. del Consiglio di Stato con sentenza 21.08.2013 n. 4206.
I giudici di palazzo Spada hanno poi sottolineato, in ossequio anche alla più recente giurisprudenza, come un tale provvedimento abbia carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di stato, sez. III, 04.04.2013, n. 1870).
Nel caso in cui la costruzione non sia stata iniziata, non vi è dubbio che il Comune debba emettere un provvedimento di natura dichiarativa sul mancato rispetto del termine annuale decadenziale, con conseguente effetto sul permesso rilasciato in precedenza, prescindendo integralmente dalle ragioni che avevano determinato il soggetto che doveva costruire a non intraprendere l'opera, salvo il caso di forza maggiore.
Si tratta, pertanto, di provvedimento amministrativo di natura ricognitiva di una situazione di fatto realmente esistente, ed oggettivamente il giudice amministrativo di prime cure non ha altre opzioni se non provvedere alla declaratoria di improcedibilità, non essendovi più alcun titolo edilizio in relazione al quale valutare la legittimità delle condizioni apposte (articolo ItaliaOggi Sette del 09.09.2013).

EDILIZIA PRIVATA: La pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve ora una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.

Occorre subito rammentare che la giurisprudenza è del tutto pacifica nell’affermare che la pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve ora una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, sia connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 04.04.2013, n. 1870) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21.08.2013 n. 4206 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sull’adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001 in quanto non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia della decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto.
Ai fini dell'impedimento della decadenza l’avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto del permesso di costruire siano tali da manifestare l'univoca intenzione del titolare di realizzare il manufatto assentito.

Per costante e condivisibile giurisprudenza l’'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sull’adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001 in quanto non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia della decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2011, n. 5028).
Tanto premesso ritiene il Collegio che non sussistessero i presupposti di fatto per la declaratoria della decadenza dal titolo edilizio in quanto la giurisprudenza ha costantemente affermato il principio per cui ai fini dell'impedimento della decadenza l’avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto del permesso di costruire siano tali da manifestare l'univoca intenzione del titolare di realizzare il manufatto assentito (TAR Basilicata, sentenza 21.08.2013 n. 526 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2013

EDILIZIA PRIVATA: Se è pur vero che la declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce manifestazione di attività vincolata della pubblica amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti della decadenza richiedono un rigoroso e completo accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria, che non può basarsi su affermazioni apodittiche né prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso concreto.
Sul punto, preme al Collegio dapprima richiamare il proprio orientamento secondo cui, se è pur vero che la declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce manifestazione di attività vincolata della pubblica amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti della decadenza richiedono un rigoroso e completo accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria, che non può basarsi su affermazioni apodittiche né prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso concreto (cfr. sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. II, 22.1.2013, n. 189).
Nel caso di specie, il permesso di costruire è stato rilasciato il 14.12.2012 ed il relativo avviso è stato spedito alla società in data 19.12.2012 (cfr. il doc. 9 della ricorrente), mentre la comunicazione di inizio lavori è stata protocollata il successivo 20.12.2012 (cfr. il doc. 10 della ricorrente).
Contestualmente, è stata depositata presso gli uffici comunali la denuncia delle opere in cemento armato, oltre alla copia della notificazione preliminare di cantiere alla Regione, in applicazione della disciplina sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 99 del D.Lgs. 81/2008, cfr. ancora il doc. 10 della ricorrente).
Parimenti, è stato concluso un contratto d’appalto per l’esecuzione dei lavori edili (cfr. il doc. 11 della ricorrente), predisposto il piano di sicurezza (cfr. il doc. 12 della ricorrente) ed assegnati gli incarichi per la progettazione e la direzione lavori (cfr. i documenti da 16 a 18 della ricorrente).
Unitamente alla predisposizione della documentazione necessaria per l’avvio dei lavori, la società iniziava nel dicembre 2010 i lavori preparatori di cantiere, mediante allestimento dell’ufficio e deposito del materiale (cfr. il doc. 14 della ricorrente).
Il Comune di Como, dal canto suo, ha effettuato nella prima metà del mese di gennaio 2013 tre sopralluoghi sull’area (cfr. il doc. 4 del resistente).
Il primo sopralluogo risale al 01.01.2013 (giorno festivo e normalmente non destinato all’attività lavorativa), mentre i successivi, in data 10 e 22 gennaio, hanno consentito di appurare l’intervenuta recinzione dell’area di cantiere.
Ciò premesso, reputa il Collegio che le attività di carattere preparatorio e di adempimento degli obblighi inerenti la sicurezza del cantiere, posti in essere da Cosed nel dicembre 2013, siano sufficienti a manifestare quel “serio intento costruttivo”, che esclude la possibilità di declaratoria di decadenza del titolo edilizio rilasciato.
Non si dimentichi, infatti, che il permesso di costruire è stato rilasciato il 14.12.2012, allorché si approssimava il periodo di ferie natalizie ed in una stagione con condizioni climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma 2°, del codice di procedura civile), sicché appare irragionevole la pretesa del Comune di Como, che vorrebbe invece far discendere la prova dell’intento costruttivo dalla realizzazione, nelle ultime due settimane dell’anno ed in pieno inverno, di gran parte delle lavorazioni necessarie piuttosto al completamento e non all’inizio dell’opera.
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa abnorme, non rispettosa del principio di proporzionalità che dovrebbe presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in sede di accertamento della decadenza di cui al citato art. 15, oltre che in contrasto con il principio della buona fede oggettiva, che deve comunque caratterizzare il rapporto fra privato e pubblica amministrazione (cfr. sul punto, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012, n. 5692).
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del DPR 380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto –realisticamente– che sussiste un fisiologico intervallo temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio dell’attività edilizia.
Nel caso di specie, intervenuto il rilascio del titolo il 14.12.2012, l’attività preparatoria svolta dalla società nei pochi giorni successivi e fino al 01.01.2013, appare rispettosa dei requisiti minimi per integrare un serio e concreto “inizio dei lavori”.
Sul punto preme ancora evidenziare che lo scrivente non ignora la giurisprudenza formatasi sull’art. 15 del DPR 380/2001, citata anche dall’Avvocatura Comunale nei propri scritti difensivi; tuttavia si deve ricordare che le sentenze richiamate dal resistente attengono al mancato inizio dei lavori nell’ordinario termine annuale di cui al comma 2° dell’art. 15, mentre nel caso di specie si tratta di verificare l’effettivo avvio dei lavori in un ben più ristretto termine di circa quindici giorni.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione dell’art. 15 menzionato effettuata dall’Amministrazione di Como (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.07.2013 n. 1943 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio (e completamento) dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione, con la precisazione che l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente solo allorquando le opere intraprese siano tali da manifestare un'effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, tale non potendo considerarsi il semplice sbancamento del terreno e la collocazione sullo stesso del materiale necessario per la costruzione.
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La controversia tra proprietari di fondi finitimi non costituisce idonea causa di forza maggiore, ai fini dell’utile aspirazione ad una proroga del conseguito permesso di costruire.
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La natura strettamente vincolata della misura decadenziale, riconnessa alla sua consistenza puramente dichiarativa, rende irrilevante la denunziata omissione della previa partecipazione di avvio del procedimento, giusta il canone antiformalistico scolpito all’art. 21-octies l. n. 241/1990.

- CONSIDERATO che, alla luce degli atti di causa e delle difese assunte dalle parti, il ricorso si appalesa senz’altro infondato e merita di essere, conseguentemente respinto, alla luce del comune intendimento per cui, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio (e completamento) dei lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione (Cons. Stato, sez. III, 04.04.2013, n. 1870), con la precisazione che l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente solo allorquando le opere intraprese siano tali (come non verificatosi nella specie, in cui se ebbe a dare mera e formale comunicazione) da manifestare un'effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, tale non potendo considerarsi il semplice sbancamento del terreno e la collocazione sullo stesso del materiale necessario per la costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.04.2013, n. 2027);
- RITENUTO che la controversia tra proprietari di fondi finitimi non costituisce idonea causa di forza maggiore, ai fini dell’utile aspirazione ad una proroga del conseguito permesso;
- RITENUTO che la natura strettamente vincolata della misura decadenziale, riconnessa alla sua consistenza puramente dichiarativa, rende irrilevante la denunziata omissione della previa partecipazione di avvio del procedimento, giusta il canone antiformalistico scolpito all’art. 21-octies l. n. 241/1990;
- CONSIDERATO che, per lo stesso ordine di ragioni, debbono essere disattese (in disparte la disamina della contestata ammissibilità in rito) le censure articolate per aggiunzione avverso il sopravvenuto provvedimento di reiezione dell’istanza di proroga (oltretutto correttamente motivato sulla scorta della tardività della formulazione della relativa istanza);
- CONSIDERATO, infine, che la ritenuta legittimità dell’azione amministrativa rende carente dei relativi presupposti la correlata istanza risarcitoria, che deve, quindi, essere disattesa (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.07.2013 n. 1690 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare o avviare l'edificazione per fatti estranei alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall'art. 15 D.P.R. n. 380/2001 consegue all'inerzia dell'interessato, questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti impedienti che possano giustificare l’interruzione dei termini, e questi fatti siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
Tale situazione deve poi essere considerata in modo del tutto peculiare quando si tratti di ragioni di vera e propria forza maggiore. In tale prospettiva la natura forzosamente estranea alla sfera del controllo del titolare del titolo abilitativo a costruire fa ritenere che il termine per l'ultimazione delle opere non possa decorrere.
In quanto ipotesi di "causa di forza maggiore", l'interessato non può -e quindi non deve neanche- preoccuparsi di procedere alla richiesta di proroga. Il tempo necessario per l'esecuzione delle opere in tali casi è automaticamente prolungato in misura proporzionale al tempo necessario a rimuovere l’impedimento.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza della concessione edilizia allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10.
Posto quindi che la scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio dei lavori non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento della eventuale decadenza dall'autorizzazione edilizia, la Sezione non può che ribadire il proprio precedente orientamento per cui le ipotesi di sospensione o proroga connesse a forza maggiore o ad altre cause non riferibili alla condotta del titolare della concessione, quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere.
Peraltro nella fattispecie non può trovare piena applicazione la disposizione di cui al 2° comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, la quale contempla una decadenza “di diritto” del permesso di costruire nell’ipotesi in cui i termini per l’inizio e la conclusione dei lavori edili siano decorsi e non ne sia stata chiesta la proroga anteriormente alla scadenza. La norma opera nel caso di “fatti sopravvenuti” estranei alla volontà del titolare del permesso, che ostacolino le attività edificatorie. Nel caso di specie gli impedimenti non sono stati determinati da sopravvenienze, ma da circostanze di fatto preesistenti –la presenza di condutture interrate nel suolo interessato dalle opere realizzande- e sconosciute all’impresa prima dell’avvio delle operazioni di scavo.
Vale, perciò, il principio generale dell’interruzione per cause di forza maggiore dei termini volti ad effetti a rilevanza giuridica, e non invece la predetta disposizione restrittiva, la quale in caso di eventi sopravvenuti correla l’effetto decadenziale sul titolo edilizio sia al decorso dei termini sia all’assenza di richiesta di proroga anteriormente ad esso. Norma peculiare che deroga al generale principio dell’interruzione per forza maggiore e che, per questa ragione e per le regole dell’interpretazione legislativa, non può essere applicata oltre i casi strettamente previsti.

Con permesso di costruire rilasciato il 17.06.2009 la Delta Parcheggi s.r.l. è stata autorizzata a realizzare in via Leonardi Cattolica, Roma, un’autorimessa interrata per gli effetti di cui alla legge n. 122/1989.
Con nota del 24.07.2009 la società ha comunicato all’Amministrazione di Roma Capitale l’avvio delle attività. Durante l’esecuzione delle opere di sbancamento è stata riscontrata dagli operai del cantiere la presenza di condutture interrate per il passaggio del metano. La Delta Parcheggi, pertanto, in data 02.08.2009 ha inoltrato richiesta di spostamento dei condotti alla società proprietaria, la ITALGAS. Le operazioni hanno richiesto l’accordo con i proprietari dei suoli e la formalizzazione e l’accettazione del preventivo di costo per le opere di spostamento.
Gli interventi sono stati completati il 12.01.2010; ma ripreso lo scavo è emersa l’esistenza di una conduttura elettrica. È stato dunque richiesto l’intervento della società proprietaria, l’ACEA, alla quale è stato sollecitato lo spostamento dei cavi. I lavori di spostamento del condotto elettrico sono stati ultimati il 19.07.2010.
Con nota n. prot. 5630 del 01.02.2011 la U.O. Permessi di Costruire di Roma Capitale ha comunicato l’avvio del procedimento per la dichiarazione di decadenza del titolo edilizio, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, giacché a seguito di verifiche in loco del 26.11.2010 e del 19.01.2011 è stata constatata l’assenza di attività edilizia utile a definire l’inizio dei lavori quale dies a quo per la decorrenza del termine annuale, alla scadenza del quale il titolo edificatorio decade di diritto in assenza di richiesta di proroga anteriormente presentata.
Con i provvedimenti impugnati è stata pronunciata la decadenza del permesso di costruire.
Il Collegio, come per fattispecie simili esaminate dalla Sezione (cfr. TAR Lazio, II, 07.06.2010 n. 15939), ritiene che non possa essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare o avviare l'edificazione per fatti estranei alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall'art. 15 D.P.R. n. 380/2001 consegue all'inerzia dell'interessato, questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti impedienti che possano giustificare l’interruzione dei termini, e questi fatti siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
Tale situazione deve poi essere considerata in modo del tutto peculiare quando si tratti di ragioni di vera e propria forza maggiore. In tale prospettiva la natura forzosamente estranea alla sfera del controllo del titolare del titolo abilitativo a costruire fa ritenere che il termine per l'ultimazione delle opere non possa decorrere.
In quanto ipotesi di "causa di forza maggiore", l'interessato non può -e quindi non deve neanche- preoccuparsi di procedere alla richiesta di proroga. Il tempo necessario per l'esecuzione delle opere in tali casi è automaticamente prolungato in misura proporzionale al tempo necessario a rimuovere l’impedimento.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza della concessione edilizia allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. TAR Lazio Roma, II, 15.04.2004 n. 3297; Cons. St., V, 29.01.2003 n. 453; TAR Liguria, I, 22.06.2007 n. 1200).
Posto quindi che la scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio dei lavori non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento della eventuale decadenza dall'autorizzazione edilizia (cfr. Consiglio Stato, V, 18.09.2008 n. 4498), la Sezione non può che ribadire il proprio precedente orientamento per cui le ipotesi di sospensione o proroga connesse a forza maggiore o ad altre cause non riferibili alla condotta del titolare della concessione, quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere (cfr. TAR Lazio Roma, II, 24.11.2004 n. 13996; id., 07.06.2010 n. 15939 cit.).
Peraltro nella fattispecie non può trovare piena applicazione la disposizione di cui al 2° comma dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, la quale contempla una decadenza “di diritto” del permesso di costruire nell’ipotesi in cui i termini per l’inizio e la conclusione dei lavori edili siano decorsi e non ne sia stata chiesta la proroga anteriormente alla scadenza. La norma opera nel caso di “fatti sopravvenuti” estranei alla volontà del titolare del permesso, che ostacolino le attività edificatorie. Nel caso di specie gli impedimenti non sono stati determinati da sopravvenienze, ma da circostanze di fatto preesistenti –la presenza di condutture interrate nel suolo interessato dalle opere realizzande- e sconosciute all’impresa prima dell’avvio delle operazioni di scavo.
Vale, perciò, il principio generale dell’interruzione per cause di forza maggiore dei termini volti ad effetti a rilevanza giuridica, e non invece la predetta disposizione restrittiva, la quale in caso di eventi sopravvenuti correla l’effetto decadenziale sul titolo edilizio sia al decorso dei termini sia all’assenza di richiesta di proroga anteriormente ad esso. Norma peculiare che deroga al generale principio dell’interruzione per forza maggiore e che, per questa ragione e per le regole dell’interpretazione legislativa, non può essere applicata oltre i casi strettamente previsti.
Il provvedimento decadenziale del 31.03.2011, che non tiene conto delle circostanze impeditive di forza maggiore preesistenti, deve perciò essere annullato. Altresì deve essere annullato il provvedimento del 31.08.2011, che, sotto la specie del riesame disposto dal Giudice con l’ordinanza n. 2497/2011, è invece atto di mera conferma del precedente, né rinnova l’istruttoria già definita con le verifiche del novembre 2010 e del gennaio 2011, sulla quale fonda il provvedimento del 31.03.2011.
Non sussistono pregiudizi che possano essere oggetto di risarcimento, anche considerato che i provvedimenti cautelari di sospensione concessi dal TAR hanno consentito il prosieguo delle attività edilizie (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 18.07.2013 n. 7256 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione.
In termini più espliciti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere, con la sussistenza di altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
Conseguentemente la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato, può considerarsi illegittima solo se siano stati almeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” o se lo sbancamento realizzato si estende su un’area di vaste dimensioni.

Con un primo motivo l’appellante lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 4 della legge n. 10/1977, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti di legge, sviamento della causa tipica dell’atto, illogicità ed ingiustizia manifeste.
L’appellante sostiene che la sentenza gravata sarebbe erronea in quanto non avrebbe considerato, in modo complessivo, l’attività da lui posta in essere come “una reale e seria intenzione” di dare corso ai lavori di edificazione, non ritenendo sussistere, nel caso di specie, il così detto principio dell’animus aedificandi.
Sul punto si deve da subito osservare che, diversamente da quanto assunto dall’appellante, il TAR nel determinarsi ha invece tenuto conto di tutte le attività edilizie in atto, evidenziandone l’inconsistenza e proprio dall’esame contestuale di esse ha ricavato che il titolare della concessione non ha dimostrato alcuna volontà di edificare.
La legge n. 10/1977 all’art. 4, commi 3, 4 e 6, dispone che “nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”; “Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione”; “Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”.
Invero l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons. Stato, sez. V, 22.11.1993, n. 1165).
In termini più espliciti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere, con la sussistenza di altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 03.10.2000, n. 5242).
Conseguentemente la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato, può considerarsi illegittima solo se siano stati almeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato, sez. V, 15.10.1992, n. 1006) o se lo sbancamento realizzato si estende su un’area di vaste dimensioni; circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie dal Boschi (Cons. Stato, sez IV, 18.05.2012, n. 2915) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 15.07.2013 n. 3823 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza formatasi in materia (e riferita sia all’art. 15, comma 2, DPR 380/2001, sia al previgente art. 4 L. 10/1977) ha chiarito che all'istituto giuridico della decadenza della concessione edilizia fanno eccezione i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori.
L’intento legislativo sotteso a tale disposizione normativa e valorizzato dalla costante interpretazione giurisprudenziale è quello di circoscrivere le ipotesi di proroga ai casi in cui insorgano fatti ostativi di rilevanza oggettiva, slegati da responsabilità del titolare del titolo concessorio o comunque non riconducibili a evenienze allo stesso imputabili.
Va ulteriormente rilevato che le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire, di cui all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, sono ritenute di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
Indicativa di tale ratio legis è anche la previsione normativa, di cui al comma 4 dell’art. 15, D.P.R. n. 380/2001, secondo la quale il permesso di costruire decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio dei lavori.

Ai sensi dell’art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
La giurisprudenza formatasi in materia (e riferita sia all’art. 15, comma 2, DPR 380/2001, sia al previgente art. 4 L. 10/1977) ha chiarito che all'istituto giuridico della decadenza della concessione edilizia fanno eccezione i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori (cfr., fra le tante, TAR Napoli sez. II, 07.05.2007, n. 4788 e sez. IV, 29.04.2004; TAR Lazio sez. II, 15.04.2004, n. 3297; Cons. St. sez. V, 03.02.2000 n. 597).
L’intento legislativo sotteso a tale disposizione normativa e valorizzato dalla costante interpretazione giurisprudenziale è quello di circoscrivere le ipotesi di proroga ai casi in cui insorgano fatti ostativi di rilevanza oggettiva, slegati da responsabilità del titolare del titolo concessorio o comunque non riconducibili a evenienze allo stesso imputabili.
Va ulteriormente rilevato che le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire, di cui all'art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, sono ritenute di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più (cfr. TAR Marche sez. I, 20.04.2010, n. 193).
Indicativa di tale ratio legis è anche la previsione normativa, di cui al comma 4 dell’art. 15, D.P.R. n. 380/2001, secondo la quale il permesso di costruire decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio dei lavori (TAR Veneto sez. II, 22.04.2011, n. 671; TAR Napoli sez. II, 12.01.2011, n. 74).
Nel caso in esame, il giudizio civile radicato innanzi al Tribunale di Torino non può configurarsi come fatto impeditivo rilevante ai sensi dell’art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e ciò sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, la controversia è stata avviata dal titolare del permesso e quindi, in termini puramente formali, costituisce evenienza interamente riferibile alla sua condotta e priva di rilievo oggettivo.
Andando poi a indagare le ragioni del contenzioso, si osserva che lo stesso è sorto come impugnazione di una delibera condominiale intervenuta in data 07.06.2006 (quindi in epoca successiva al rilascio del permesso di costruire) con la quale alcuni condomini avevano negato il nulla osta all'esecuzione dei lavori di rifacimento del sottotetto.
Secondo quanto accertato dalla sentenza del giudice civile n. 209/2009, la tipologia dei lavori in progetto avrebbe reso necessaria l’approvazione preventiva degli stessi da parte di tutti i condomini, in applicazione dell’art. 5 del regolamento condominiale (il quale dispone che “per ogni lavoro esterno ed interno che possa interessare l’estetica e la struttura organica, od anche la solidità del fabbricato, si dovrà ottenere l’approvazione preventiva dei comproprietari”).
La clausola regolamentare è stata cioè intesa come dotata di natura contrattuale, in quanto implicante limitazioni al diritto del condomino anche relativamente al contenuto delle facoltà dominicali sulle parti di sua esclusiva proprietà (per una fattispecie analoga si veda Cass. Civ. sez. II, 21.05.1997, n. 4509).
È sulla base di tale previsione regolamentare che i condomini riuniti nell’assemblea del 07.06.2006 hanno ritenuto di negare il loro consenso all’esecuzione dei lavori, ritenendo che gli stessi incidessero sulle parti comuni del fabbricato.
Come detto, che tale autorizzazione preventiva fosse necessaria è circostanza confermata dalla sentenza emessa dal Giudice Civile, la quale ha fatto applicazione del richiamato art. 5 del regolamento condominiale, correlando tale disposizione alla natura e alla consistenza degli interventi edilizi.
Alla luce di queste necessarie premesse, va ulteriormente chiarito che un consenso unanime ai lavori da parte della totalità dei condomini non è mai venuto in essere in epoca antecedente alla richiesta del permesso di costruire.
Ne consegue che l’assenza della previa autorizzazione condominiale ha costituito circostanza ostativa ai lavori, integratasi in un momento antecedente al rilascio del premesso di costruire.
In questo senso appare corretta la valutazione da parte del Comune secondo cui le circostanze addotte dal ricorrente non integrano “fatti sopravvenuti”, in quanto il fatto ostativo (l’assenza della necessaria preventiva autorizzazione condominiale) risale ad epoca antecedente al rilascio del titolo edilizio (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 12.07.2013 n. 892 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 15 D.P.R. 380/2001 i termini per l'inizio dei lavori e per la loro ultimazione, da indicare obbligatoriamente nell'atto di concessione, sono configurati come termini di validità ed efficacia della concessione stessa, per cui operano automaticamente, indipendentemente da un’apposita dichiarazione amministrativa, con la conseguenza che, dopo l'inutile scadenza di tale termine la concessione è tamquam non esset, sicché i lavori edilizi iniziati o ultimati dopo la relativa scadenza restano privi di titolo abilitativo, indipendentemente da una dichiarazione amministrativa di decadenza.
Sul punto, deve infatti osservarsi che anche in assenza di un provvedimento di “decadenza” espresso (cfr. Cass. Penale, Sez. III, Sent. n. 12316 del 21.02.2007), non possono sussistere dubbi sulla insussistenza in specie di alcuna validità od efficacia del pregresso titolo concessorio invocato dalla ricorrente avendo riguardo:
a) all’art. 15 D.P.R. 380/2001, con particolare riferimento anche al comma 4 dello stesso articolo;
b) allo stato dei luoghi e allo stadio dei lavori al momento dell’apposizione del vincolo, come accertati in atti;
c) alla incompatibilità dell’opera rispetto alla nuova previsione urbanistica, alla mancata conclusione dei lavori nel termini previsti e alla mancanza di alcuna richiesta di proroga.
Infatti, ai sensi dell’art. 15 D.P.R. 380/2001 i termini per l'inizio dei lavori e per la loro ultimazione, da indicare obbligatoriamente nell'atto di concessione, sono configurati come termini di validità ed efficacia della concessione stessa, per cui operano automaticamente, indipendentemente da un’apposita dichiarazione amministrativa, con la conseguenza che, dopo l'inutile scadenza di tale termine la concessione è tamquam non esset, sicché i lavori edilizi iniziati o ultimati dopo la relativa scadenza restano privi di titolo abilitativo, indipendentemente da una dichiarazione amministrativa di decadenza (nel caso di specie la struttura alberghiera non è mai stata completata consistendo oggi, in una struttura di cemento armato grezza, in stato di abbandono e disfacimento, costituita da pilastri di cemento armato a vista, senza tompagni, i cui lavori sono stati realizzati dal 1989 al 1990 senza che da allora siano più proseguiti) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 10.07.2013 n. 1481 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2013

EDILIZIA PRIVATA: La pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato, ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ed ha decorrenza ex tunc (secondo l'art. 15 dpr 380/2001 "Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”).
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo abilitativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine (e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore).

Peraltro, ai sensi dell'art. 15, secondo comma, T.U. Edilizia e alla luce dell’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23.02.2012 n. 974), la pronuncia di decadenza del permesso di costruire è espressione di un potere strettamente vincolato, ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ed ha decorrenza ex tunc (secondo la menzionata disposizione “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”).
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo abilitativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine (e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.05.2013 n. 2395 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Comunicazioni di inizio e fine lavori.
Le comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo evidente di agevolare l'accertamento, da parte dell'amministrazione comunale, dell'inizio e del completamento dell'intervento edilizio nei termini e consentire una tempestiva verifica sull'attività posta in essere e non rappresentano, quindi, una semplice formalità amministrativa, bensì di un adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle finalità del permesso di costruire ed agli obblighi di vigilanza imposti dall'art. 27 e segg. del Testo Unico.
E' tuttavia evidente che la comunicazione è comunque un atto del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata ed il cui contenuto può essere oggetto di specifica verifica sulla effettiva situazione di fatto (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 03.05.2013 n. 19110 - tratto da www.lexambiente.it).

aprile 2013

EDILIZIA PRIVATA: Il semplice sbancamento del terreno non testimonia l’intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito.
Ai fini dell'impedimento della decadenza della concessione ai sensi dell'art. 31, legge 17.08.1942, n. 1150, l'avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da manifestare l'univoca intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito.
La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l'esecuzione dei lavori sull'immobile non può certamente considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite.
Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L. 17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L. 06.08.1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28.01.1977, n. 10 l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice sbancamento del terreno.

Nel merito, nel rimarcare che per costante e condivisibile giurisprudenza di questa Sezione l”'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui all'art. 15, comma 4, d.p.r. n. 380/2001, in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto.
Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in questione (Cons. Stato Sez. IV, 07.09.2011, n. 5028), ritiene il Collegio di dovere sinteticamente richiamare alcuni precedenti giurisprudenziali di merito, che hanno costantemente affermato il principio (riferibile sia all'art. 31, legge 17.08.1942, n. 1150 che all’art. 15 del TU edilizia) per cui ai fini dell'impedimento della decadenza della concessione ai sensi dell'art. 31, legge 17.08.1942, n. 1150, l'avvio dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da manifestare l'univoca intenzione del concessionario di realizzare il manufatto assentito. La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed i materiali necessari per l'esecuzione dei lavori sull'immobile non può certamente considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite (ex multis TAR Molise Campobasso Sez. I, 19.09.2005, n. 875).
Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L. 17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L. 06.08.1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28.01.1977, n. 10 l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice sbancamento del terreno (cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 22.11.1993, n. 1165, ma anche TAR Marche Ancona, Sez. I, Sent., 13.03.2008, n. 195).
Nel caso di specie, nei tre lotti attinti dal provvedimento dichiarativo decadenziale veniva notata la realizzazione (soltanto) di “movimenti terra e gittata di uno strato di battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della costruzione a farsi”.
Appare evidente pertanto che non sussistevano i requisiti minimali per ritenere che i lavori fossero stati iniziati e, stante la circostanza che erano state rilasciate a parte appellante autonome e separate concessioni edilizie non giova alla posizione di quest’ultima il richiamo all’avvenuto inizio dei lavori nell’altro lotto.
La prescrizione relativa all’inizio “serio e comprovato” delle opere assentite entro l’anno risponde ad un evidente interesse pubblico, incidente sui poteri programmatori dell’amministrazione comunale: si è detto infatti, in passato, che affinché non operi la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro l'anno, non possono essere valutate come cause di forza maggiore le libere scelte imprenditoriali, come tali implicanti un'alea, le cui conseguenze negative non possono che essere imputate al concessionario (tra le tante, TAR Sicilia Catania Sez. I, 21.11.2006, n. 2316).
Esattamente, ad avviso del Collegio il comune ha riscontrato il mancato inizio dei lavori sui lotti per cui è causa (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.04.2013 n. 2027 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell’intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge.
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
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L’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di un titolo non più sussistente (scaduto), non può fare altro che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di fuori dell’alveo normativo.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Lo stesso ricorrente rappresenta in fatto che il termine annuale per l’inizio dei lavori di realizzazione del deposito di cui al permesso di costruire n. 96/2004 è scaduto in data 22.02.2008. Solo in data successiva (e, segnatamente, una prima volta il 28.02.2008 e, una seconda, il 13.10.2011), l’interessato si è attivato per richiedere la proroga del termine. Domanda sulla quale con l’odierno gravame chiede l’accertamento dell’illegittima inerzia del Comune.
E’ necessario premettere, che ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell’intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (TAR Liguria, Genova, 08.01.2013, n. 34). L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio lavori opera di diritto e il provvedimento pronunciante la decadenza ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla legge (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Tornando al caso che occupa, si deve quindi ritenere, da una parte, che l’intervenuto sequestro dell’area non ha determinato ex se la sospensione del termine annuale assegnato per la realizzazione dei lavori, dall’altra, che il permesso di costruire, in assenza di una formale richiesta di proroga (entro la scadenza del termine) è ormai decaduto. E ciò per il solo fatto del verificarsi del presupposto previsto dalla legge, costituito dal mancato inizio dell’attività edificatoria nel periodo assegnato. Dunque, la richiesta di proroga è intervenuta allorquando il permesso di costruire aveva ormai esaurito i suoi effetti.
Chiariti i contorni della questione, deve affermarsi che nessuna inerzia può imputarsi al Comune avverso la quale si possa invocare la tutela offerta dallo strumento processuale di cui all’art. 117 c.p.a. Il silenzio-rifiuto disciplinato dall'ordinamento, infatti, è istituto riconducibile a inadempienza dell’amministrazione, in rapporto a un sussistente obbligo di provvedere, che può discendere dalla legge, da un regolamento o anche da un atto di autolimitazione dell'amministrazione stessa, e in ogni caso deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta, qualificata come tale dall'ordinamento; al di là dell'obbligo normativamente imposto alla pubblica amministrazione di concludere il procedimento mediante l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, siccome previsto dagli artt. 2 e 3, l. 07.08.1990 n. 241, l'amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove ragioni di giustizia ed equità le impongono l'adozione di un provvedimento, nonché tutte le volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative, quali che esse siano (ex multis, TAR Puglia, Lecce, 12.11.2012, n. 1863).
Nella fattispecie, per espressa previsione normativa, l’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di un titolo non più sussistente, non potrebbe fare altro che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di fuori dell’alveo normativo.
Deve, pertanto, concludersi che l’istanza in questione è inidonea a fondare un obbligo di provvedere in capo all’amministrazione comunale e la domanda di accertamento giudiziale dell’inerzia colpevole della stessa deve essere respinta (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 08.04.2013 n. 1864 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa pronunzia di decadenza del permesso a costruire riceve puntuale disciplina all’art. 15 comma 2, del d.lgs. n. 380 del 2001 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Si tratta di provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal richiamato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione.
Il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
La riconduzione entro precisi termini dell’attuazione del contenuto abilitante del permesso di costruire trova invero la sua ragione d’essere nell’esigenza che essa sia sempre conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia della porzione di territorio interessata, che può, in progressione di tempo, mutare in presenza di nuove e diverse scelte di pianificazione.
Come tutti i provvedimenti che incidono sullo jus aedificandi la pronunzia di decadenza si caratterizza per tipicità.
Essa può essere adottata in presenza dei presupposti strettamente prefigurati dalla disciplina di legge (violazione del dato temporale dell’inizio e completamento dei lavori in presenza dell’ inerzia, non assistita da giustificazione, del titolare del permesso di costruire a realizzare l’intervento) ed a tutela dell’interesse primario ad essa peculiare, di non mantenere nel tempo in vita titoli non più conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona in atto (salvo l’ultrattività dell’efficacia del titolo abilitativo nel limite triennale previsto dall’art. 15, comma 4, del d.lgs., in presenza di nuove e diverse previsioni urbanistiche).
Inoltre il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.

La pronunzia di decadenza del permesso a costruire riceve puntuale disciplina all’art. 15 comma 2, del d.lgs. n. 380 del 2001 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
Si tratta di provvedimento che ha carattere strettamente vincolato all’accertamento del mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal richiamato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 974 del 23.02.2012; n. 2915 del 2012).
Il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
La riconduzione entro precisi termini dell’attuazione del contenuto abilitante del permesso di costruire trova invero la sua ragione d’essere nell’esigenza che essa sia sempre conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia della porzione di territorio interessata, che può, in progressione di tempo, mutare in presenza di nuove e diverse scelte di pianificazione.
Come tutti i provvedimenti che incidono sullo jus aedificandi la pronunzia di decadenza si caratterizza per tipicità.
Essa può essere adottata in presenza dei presupposti strettamente prefigurati dalla disciplina di legge (violazione del dato temporale dell’inizio e completamento dei lavori in presenza dell’ inerzia, non assistita da giustificazione, del titolare del permesso di costruire a realizzare l’intervento) ed a tutela dell’interesse primario ad essa peculiare, di non mantenere nel tempo in vita titoli non più conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia della zona in atto (salvo l’ultrattività dell’efficacia del titolo abilitativo nel limite triennale previsto dall’art. 15, comma 4, del d.lgs., in presenza di nuove e diverse previsioni urbanistiche).
Inoltre il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.) (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 04.04.2013 n. 1870 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2013

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini del rispetto del termine di inizio dei lavori di cui all’articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, occorre il compimento di attività direttamente e immediatamente collegate all’inizio dei lavori, e tali non possono essere considerate la realizzazione della recinzione del cantiere, la pulizia dell'area, l'installazione della cartellonistica di cantiere, e nemmeno possono esserlo il taglio degli alberi, l’apertura di un varco di accesso al terreno, la demolizione di parte di un muro di confine; secondo la giurisprudenza prevalente, inoltre, non sono segno univoco di un serio inizio dei lavori neanche lo sbancamento del terreno e l'esecuzione dei lavori di scavo.
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La decadenza del permesso di costruire (per mancato inizio lavori entro l'anno) opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche.

Ciò premesso, è sufficiente rilevare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini del rispetto del termine di inizio dei lavori di cui all’articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, occorre il compimento di attività direttamente e immediatamente collegate all’inizio dei lavori, e tali non possono essere considerate la realizzazione della recinzione del cantiere, la pulizia dell'area, l'installazione della cartellonistica di cantiere (cfr. tra le tante, Consiglio di Stato, sentenza n. 3030/2008), e nemmeno possono esserlo il taglio degli alberi, l’apertura di un varco di accesso al terreno, la demolizione di parte di un muro di confine (cfr. Tar Napoli, sentenza n. 10890/2008); secondo la giurisprudenza prevalente, inoltre, non sono segno univoco di un serio inizio dei lavori neanche lo sbancamento del terreno e l'esecuzione dei lavori di scavo (cfr. Tar Napoli, sentenza n. 10890/2008; TAR Milano, sentenza n. 372/2007; TAR Napoli sentenza n. 59/2006; TAR Roma sentenza n. 5370/2005; Consiglio di Stato sentenza n. 5242/2000).
Ne consegue che le attività compiute dalla società ricorrente e descritte nei sopralluoghi dei funzionari comunali non sono idonee ad evitare la decadenza di cui all’articolo 15 cit. per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire.
La decadenza, inoltre, opera di diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari del permesso di costruire ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 04.02.2013 n. 61 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2013

EDILIZIA PRIVATAAllorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.

Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II, 24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune (9.08.2011) della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo, della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di tali importi (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 4 della legge 10 del 1977, vigente all’epoca, disponeva, infatti, al terzo comma che “nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”, nel mentre nel susseguente quarto comma disponeva che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno”, che “il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni”, e disciplinava quindi le ipotesi di proroga della concessione stessa.
Nel quinto comma disponeva –altresì– che “qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”, nel mentre nel sesto comma, quale norma di chiusura del “sistema”, stabiliva che la concessione era “irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi della presente legge” e le sanzioni previste dall'articolo 15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale contesto, non ravvisandosi la presenza di una norma che imponesse l’emanazione di un provvedimento di decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori, la stessa si è verificata di diritto a seguito dell’infruttuoso decorso del termine prefissato.

Nel caso di specie, l’originaria concessione edilizia è, infatti, decaduta di diritto, non avendo la concessionaria iniziato ed ultimato il basso fabbricato nei termini stabiliti.
L’art. 4 della legge 10 del 1977, vigente all’epoca, disponeva, infatti, al terzo comma che “nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”, nel mentre nel susseguente quarto comma disponeva che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno”, che “il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni”, e disciplinava quindi le ipotesi di proroga della concessione stessa.
Nel quinto comma disponeva –altresì– che “qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”, nel mentre nel sesto comma, quale norma di chiusura del “sistema”, stabiliva che la concessione era “irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi della presente legge” e le sanzioni previste dall'articolo 15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale contesto, non ravvisandosi la presenza di una norma che imponesse l’emanazione di un provvedimento di decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori, la stessa si è verificata di diritto a seguito dell’infruttuoso decorso del termine prefissato (in termini C.d.S., IV, 18.05.2012, n. 2915).
La concessionaria avrebbe dovuto, pertanto, munirsi di un nuovo titolo edilizio e non limitarsi a chiedere, nell’anno 2001, il nulla osta per la costruzione al Presidente della IV Circoscrizione ovvero ad un soggetto privo di specifiche competenze in materia.
Ne deriva, conseguentemente, che anche l’affidamento dalla medesima riposto sull’assentibilità delle opere realizzate e soprattutto sulla possibilità di mantenerle in essere deve ritenersi non meritevole di tutela.
L’affidamento tutelabile è, infatti, unicamente quello incolpevole e tale non può ritenersi quello di colui che ha realizzato un’opera edilizia in assenza dei prescritti titoli autorizzativi, viepiù quando, come nel caso di specie, l’Amministrazione, sin dalla fase dell’esecuzione, ha evidenziato al soggetto interessato la presunta violazione alle norme urbanistico-edilizie (vedi relazione Polizia Municipale in data 15.05.2003 – all. 3 fascicolo doc. Comune) e a soli tre anni di distanza lo ha diffidato a demolire le opere realizzate in assenza di concessione edilizia e a ripristinare lo stato dei luoghi (vedi provv. 14.06.2006 – all. 1 fascicolo ricorrente), previo diniego del permesso di costruire in sanatoria nel frattempo dallo stesso invocato (vedi provv. 19.12.2005 – all. 2 fascicolo cit.).
Non pare, dunque, condivisibile l’assunto della ricorrente, secondo il quale sarebbe stata la stessa Amministrazione ad indurla a confidare sulla legittimità del proprio operato (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 18.01.2013 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

novembre 2012

EDILIZIA PRIVATA: In via di principio, l’atto dovuto è a contenuto vincolato per cui non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990, poiché alcun apporto collaborativo potrebbe dare la partecipazione del ricorrente al procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato.
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio, per la sua natura di atto urgente e dovuto, è espressione di un potere strettamente vincolato, non implicante quindi valutazioni discrezionali, ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento .
Esso provvedimento, essendo fondato su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell'interessato, non richiede apporti partecipativi del soggetto destinatario, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'Amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive.

Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal Comune di Cariati, di annullamento della sentenza del TAR in epigrafe specificata, con la quale è stato accolto il ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del funzionario responsabile dell’Ufficio urbanistica del Comune, del 09.06.2000, prot. 1/B, di annullamento della concessione edilizia n. 25 rilasciata il 18.06.1999 alla sig.ra Giuseppina Liguori per la costruzione di una cappella gentilizia nel locale cimitero.
Con il primo motivo di appello è stato dedotto che erroneamente il TAR avrebbe ritenuto che il provvedimento impugnato fosse viziato dalla mancata partecipazione della deducente al procedimento conclusosi con l’atto di annullamento impugnato, perché questo costituiva un atto necessitato volto alla celere e doverosa attività di autotutela dell’Ente, conseguente all’avvenuto esame, da parte della Commissione edilizia, nella seduta del 14.03.2000, di una richiesta di variante alla concessione edilizia n. 25/1999 rilasciata alla sig.ra Giuseppina Liguori, dal quale era risultato che il progetto allegato alla originaria richiesta di concessione edilizia era difforme dalla planimetria redatta dall’ufficio Tecnico comunale (cui, secondo la deliberazione di rilascio della concessione, avrebbe dovuto conformarsi per il corretto sviluppo dell’area cimiteriale), prevedendo l’ingombro anche del viale cimiteriale.
Non sarebbe quindi sussistita alcuna violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, perché la particolarità della situazione imponeva la Comune di attivarsi con la massima celerità, con conseguente impossibilità di avviare la procedura di partecipazione della parte al procedimento, che avrebbe consentito la ultimazione dell’opera prevista in detta concessione.
Comunque la sig.ra Liguori sarebbe stata messa in condizione di partecipare al procedimento, essendo stata ripetutamente invitata dall’Ufficio Tecnico comunale a partecipare a sedute di revisione della sua pratica.
La suddetta non avrebbe potuto ignorare le reali intenzioni dell'Amministrazione, essendo a conoscenza che la deliberazione del Comune n. 46 del 1997, in base alla quale le era stata rilasciata la concessione edilizia, imponeva di allegare il progetto di realizzazione dell'opera in termini conformi a quanto stabilito nella planimetria redatta dall’U.T.C..
Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che il TAR non avrebbe considerato che la astratta previsione della partecipazione del privato al procedimento amministrativo prevista dall’art. 7 della l. n. 241/1990 non può essere applicata meccanicamente e formalisticamente, se l’atto, come nel caso di specie, ha raggiunto lo scopo, né avrebbe tenuto conto della circostanza che detta partecipazione ha senso solo quando il provvedimento da adottare implichi valutazioni discrezionali o di circostanze di fatto suscettibili di vario apprezzamento, ma non quando, come nel caso di specie, la difformità totale dell’opera dal piano comunale implicava l’annullamento della concessione quale atto dovuto.
Considera la Sezione che, in via di principio, l’atto dovuto è a contenuto vincolato per cui non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241 del 1990, poiché alcun apporto collaborativo potrebbe dare la partecipazione del ricorrente al procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato.
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo edilizio, per la sua natura di atto urgente e dovuto, è espressione di un potere strettamente vincolato, non implicante quindi valutazioni discrezionali, ma meri accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di avvio del procedimento .
Esso provvedimento, essendo fondato su un presupposto di fatto rientrante nella sfera di controllo dell'interessato, non richiede apporti partecipativi del soggetto destinatario, il quale, in relazione alla disciplina tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene, in ogni caso, posto in condizione di interloquire con l'Amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di rimozione d'ufficio delle opere abusive.
Il Collegio ritiene, sulla base di tali principi, di non poter condividere le conclusioni cui è pervenuto il Giudice di prime cure, che (dopo aver affermato preliminarmente la doverosità del coinvolgimento partecipativo del privato all’attività istruttoria dell’Amministrazione procedente, quando l’Amministrazione debba valutare la sussistenza dei presupposti per l’annullamento o la revoca di un previo atto adottato, e dopo aver evidenziato che con l’atto impugnato, almeno in parte, l’Amministrazione aveva manifestato la volontà di annullamento, in sede di autotutela, della concessione edilizia n. 25 rilasciata alla ricorrente in data 18.06.1999) ha asserito che il provvedimento di annullamento adottato dal Comune era viziato dalla violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, poiché la ricorrente (del tutto ignara delle reali intenzioni dell’Amministrazione, dal momento che aveva richiesto, con istanza, l’approvazione di una variante al primo progetto realizzativo già assentito con la concessione n. 25 del 1999) aveva poi ottenuto una diversa risposta dall’Amministrazione, cioè l’annullamento, senza essere posta in grado di partecipare al relativo procedimento.
Non solo, infatti, la natura di atto vincolato di detto atto di ritiro esclude la necessità della previa comunicazione dell'avvio del procedimento, ma risulta invero da documentazione versata in atti che la sig.ra Liguori è stata più volte invitata a presenziare all’esame della pratica edilizia n. 65/1999 dalla Commissione Edilizia Comunale (in particolare con nota prot. n. 407-3143 del 03.03.2000 le è stata comunicata l’acquisizione di copia della planimetria originale del terreno su cui era prevista la costruzione della cappella de qua), sicché, se avesse partecipato alle sedute in questione, avrebbe potuto rendersi conto che, in sede di esame della richiesta di variante (n. 65/1999) alla concessione edilizia n. 25/1999, erano emersi elementi tecnici relativi alla difformità del progetto allegato alla originaria richiesta di concessione edilizia dalla planimetria redatta dall’ufficio Tecnico comunale; il che non poteva avere altra conseguenza che l’annullamento della originaria concessione.
Le esaminate censure contenute nell’atto di appello sono quindi fondate e vanno accolte
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2012 n. 5691 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2012

EDILIZIA PRIVATA: La posizione giuridica del soggetto che presenta un esposto al comune chiedendo che venga dichiarato decaduto un permesso di costruire.
Il TAR Veneto, Sez. II, con l’ordinanza 25.10.2012 n. 644, chiarisce come, coloro che presentano un esposto al Comune, chiedendo l’accertamento della decadenza del permesso di costruire del vicino, per mancato inizio dei lavori entro l’anno, non sono da considerarsi ex se come controinteressati: “gli odierni ricorrenti, in qualità di presentatori dell’esposto da cui ha preso avvio l’attività di controllo da parte dell’amministrazione, non assumono la qualifica di contro interessati, per cui il Comune, all’esito dei controlli effettuati, non era tenuto ad effettuare le comunicazioni ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990”.
L’interesse di tali soggetti, infatti, “risulta soddisfatto dall’avvio dei controlli effettuati dall’amministrazione, essendo rimessa alla valutazione della stessa, all’esito degli accertamenti operati, l’adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire”.
Il TAR conferma le considerazione già espresse in un caso analogo: “Premesso che l’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990 risulta applicabile ai soli atti a istanza di parte, in materia di decadenza (nella specie: decadenza da permesso di costruire) e con riguardo al caso in cui l’azione d’ufficio sia eccitata da un terzo mediante diffida, posto che la pronuncia di decadenza si configura come atto d’ufficio la diffida ha la sola funzione di far determinare l’amministrazione all’adozione del provvedimento, ma una volta che questa abbia autonomamente deciso di avviare il procedimento di decadenza e, acquisite le deduzioni delle parti interessate, decida per l’archiviazione dello stesso, la posizione del diffidante è del tutto recessiva per non dire irrilevante di fronte all’azione pubblica; in altri termini due sono i procedimenti, quello cui mira la diffida e quello deciso dalla p.a.; la pretesa del diffidante è dunque soddisfatta con l’avvio del procedimento di decadenza, le cui vicende sono tuttavia governate esclusivamente dalla amministrazione, la quale richieste le deduzioni delle parti si determina discrezionalmente; non deve dunque essere attivato il sub procedimento dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 comportante il preavviso di diniego per consentire così agli stessi istanti di controdedurre ulteriormente (fattispecie relativa a richiesta di adozione di decadenza dal permesso di costruire , il cui procedimento, avviato a seguito di diffida, si era concluso con un’archiviazione)” (TAR Veneto, Venezia, sez. II, 14.11.2008, n. 3550) (link a http://venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come si evince dall’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 che dispone la decadenza “di diritto” dal permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal rilascio dello stesso, il provvedimento dichiarativo di decadenza ha natura ricognitiva e si concreta in un atto d’accertamento il cui effetto nasce ex lege, conseguendone che siffatto effetto può essere evitato, come la medesima disposizione legislativa prevede, solo a seguito dell’accoglimento della domanda di proroga dell’efficacia del titolo di assentimento inoltrata anteriormente alla scadenza dello stesso.
Si deve, poi, osservare che, come si evince dall’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 che dispone la decadenza “di diritto” dal permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal rilascio dello stesso, il provvedimento dichiarativo di decadenza ha natura ricognitiva e si concreta in un atto d’accertamento il cui effetto nasce ex lege (Cfr. Cons. di Stato – Sez. IV – 10/08/2007 n. 4423; TAR - Liguria – GE – Sez. I – 11/12/2007 n. 2050), conseguendone che siffatto effetto può essere evitato, come la medesima disposizione legislativa prevede, solo a seguito dell’accoglimento della domanda di proroga dell’efficacia del titolo di assentimento inoltrata anteriormente alla scadenza dello stesso, circostanza questa non verificatasi nel caso in esame (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 19.10.2012 n. 1900 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Ferrari, EFFICACIA TEMPORALE E DECADENZA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE (12.10.2012 - link a www.lexambiente.it).

settembre 2012

EDILIZIA PRIVATA: M. Acquasaliente, Note sulla decadenza del permesso di costruire (17.09.2012 - link a www.venetoius.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Non ultimare le opere edili nei termini prescritti da leggi, regolamenti e/o permesso di costruire è reato? (10.09.2012 - link a www.lexambiente.it).

luglio 2012

EDILIZIA PRIVATA: Al fine dell’emissione del provvedimento di decadenza di un permesso di costruire per inosservanza del termine di ultimazione dei lavori occorre solo accertare il fatto obiettivo della mancata ultimazione dell’opera nel triennio e constatare che non sussistono cause che rendano giustificabile l’inadempimento per elementi ostativi non addebitabili all’interessato.
Con il provvedimento impugnato il Comune di Sant'Antimo ha dichiarato la decadenza della concessione rilasciata al ricorrente il 23.10.2009, avendo accertato il mancato inizio dei lavori nel termine perentorio di un anno e comunque il loro mancato completamento entro il triennio successivo.
L’istante sostiene che il ritardo nell’inizio dell’esecuzione dei lavori sarebbe dovuto al tardivo rilascio della autorizzazione sismica da parte del Settore provinciale del Genio Civile della Regione Campania, che pertanto dovrebbe essere considerato alla stregua di un factum principis, che avrebbe dovuto impedire la pronuncia di decadenza.
La questione ha carattere assorbente in quanto attiene all'esistenza del presupposto per l'esercizio del potere.
Dalla documentazione versata agli atti del giudizio risulta, in particolare, che in data 31.03.2010 l’interessato ha chiesto al Settore provinciale del genio Civile della Regione Campania, l’autorizzazione sismica necessaria per dare inizio ai lavori per realizzare i parcheggi interrati pertinenziali e che l’autorizzazione sismica è stata rilasciata il 19.10.2010 e comunicata al ricorrente il successivo 3.11.2010.
Appare evidente quindi che, in assenza della predetta autorizzazione l’interessato non avrebbe potuto iniziare i lavori, per cui buona parte del periodo considerato dall’art. 15 del d.P.R. 380/2001 ai fini dell’inizio dei lavori (circa sette mesi su dodici) è trascorso in attesa di un atto prodromico il cui rilascio era rimasto sottratto alla volontà dell’interessato.
Orbene la presentazione dei calcoli strutturali all’Ufficio provinciale del genio civile, di cui l’amministrazione aveva contezza perché prevista tra le condizioni generali del permesso di costruire n. 145/2006 e la conseguente attesa per il rilascio della autorizzazione sismica senza la quale i lavori non sarebbero potuti iniziare (come evidenziato dallo stesso Ufficio provinciale del Genio Civile all’interessato nella nota prto. 2010 del 24.6.2010) indubbiamente rappresentano un impedimento assoluto alla esecuzione delle opere.
L’impedimento, inoltre, non è riferibile alla condotta del ricorrente, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini, previsti dall'art. 4, comma 4, della l. 28.01.1977, n. 10.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che, al fine dell’emissione del provvedimento di decadenza di un permesso di costruire per inosservanza del termine di ultimazione dei lavori occorre solo accertare il fatto obiettivo della mancata ultimazione dell’opera nel triennio e constatare che non sussistono cause che rendano giustificabile l’inadempimento per elementi ostativi non addebitabili all’interessato (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 06.07.2012 n. 3258 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2012

EDILIZIA PRIVATA: INIZIO DEI LAVORI DI COSTRUZIONE E MOMENTO IDENTIFICATIVO.
Si configura inizio di lavori di costruzione ogni volta che le opere intraprese, di qualsiasi tipo esse siano e quale che sia lo loro entità, manifestino oggettivamente un’effettiva volontà di realizzare un manufatto. Il proposito criminoso si realizza anche nella fase, necessariamente prodromica e funzionale, dell’armatura dei pilastri con l’installazione delle gabbie di ferro e della carpenteria di contenimento.
La Cassazione si pronuncia, con la sentenza in commento, sulla questione dell’individuazione del momento in cui può affermarsi, senza rischio di errore percettivo, che siano effettivamente iniziati i lavori di costruzione di un immobile abusivo.
La vicenda processuale segue al decreto di sequestro preventivo di un cantiere e di una rampa di collegamento stradale; in particolare, al titolare di una s.r.l. era stato contestato di avere proseguito i lavori, mediante accumulo di un rilevato di mq. 4.000, alto in media metri 2.5 e costituito da materiale da scavo, nonostante l’ordinanza di sospensione immediata dei lavori adottata dal responsabile del Settore servizi tecnici del Comune e di altra ordinanza di sospensione immediata dei lavori notificatagli a distanza di pochi mesi dalla prima.
Si contestava, ancora, di avere realizzato, in zona vincolata, una rampa di collegamento tra due comparti senza avere conseguito il permesso di costruire e il nullaosta paesaggistico procedendo anche al taglio di essenze non protette, non rilevando la presentazione di una SCIA perché i lavori erano stati eseguiti in zona sottoposta a vincolo d’inedificabilità e paesaggistico; in particolare, era irrilevante se la SCIA presentata fosse sostitutiva o integrativa di quella presentata precedentemente; infine, era infondata la tesi difensiva che la prodotta documentazione valesse a caducare l’ordinanza di sospensione dei lavori, stante la sua reiterazione.
Contro l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione, censurando le argomentazioni dei giudici di merito, in particolare osservando -per quanto qui di interesse- come la SCIA successivamente presentata era autonoma e sganciata da quella presentata in precedenza e che, ancora, non era ipotizzabile il reato paesaggistico per la natura temporanea e provvisoria della rampa di collegamento, che al termine dei lavori sarebbe stata eliminata.
La doglianza difensiva non è stata però accolta dalla Cassazione.
In particolare, i Supremi Giudici hanno osservato come non potesse ritenersi fondata l’osservazione del ricorrente, secondo cui il disvalore penale del costruito va valutato sul risultato finale perché, per la configurazione del reato di abuso edilizio, è irrilevante che la costruzione sia stata completata in ogni sua parte essendo sufficiente il solo inizio delle opere e delle relative attività prodromiche (v., in termini: Cass. pen., sez. III, 07.10.1998, n. 10505, in Ced. Cass., n. 211984) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.05.2012 n. 19659 - tratto da Urbanistica e appalti n. 7-8/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento di decadenza del Permesso di costruire.
La decadenza del titolo edilizio -come si evince peraltro dalla normativa (v. l’art. 4 della L. 10 del 1977, nella specie applicabile ratione temporis; v. oggi l’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380)- consegue dal mero decorso del tempo correlato all’inattività dell’interessato e non necessita a tal fine un esplicito provvedimento amministrativo, costitutivo o dichiarativo.
La pronuncia di decadenza del titolo edilizio è espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia, e assume pertanto decorrenza ex tunc. Inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (1).
Nel caso di impugnativa in s.g. del provvedimento di decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei lavori entro il termine annuale, secondo il generale principio di distribuzione dell’onere della prova di cui al combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 cod. proc. civ. –ora espressamente recepito dall’art. 64, comma 1, cod. proc. amm. ma reputato immanente nell’ordinamento processuale amministrativo, se non altro per quanto attiene alle ipotesi che come per il caso di specie pertengono alla giurisdizione esclusiva, anche in epoca antecedente all’entrata in vigore del nuovo codice di rito (2)– spetta al ricorrente dedurre che le opere asseritamente realizzate prima della scadenza del termine annuale fissato per l’avvio dei lavori erano comunque idonee a dimostrare una sua seria e concreta volontà di utilizzare il titolo edilizio a lei rilasciato.
Ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza dal permesso di costruire, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò all' evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione (3).
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del permesso di costruire può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (4); o, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (5), con la conseguenza che la declaratoria di decadenza del permesso di costruire per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge (6) o se lo sbancamento realizzato si estenda su di un’area di vaste dimensioni (7).
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(1) Cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423 e 18.06.2008 n. 3030
(2) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 07.10.2009 n. 6118
(3) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.11.1998 n. 1615.
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165.
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242.
(6) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.10.1992 n. 1006.
(7) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n. 535
(massima tratta www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.05.2012 n. 2915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa pronuncia di decadenza del titolo edilizio è per certo espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia, e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza dalla concessione edilizia, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione.
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare il manufatto l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione; ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione, con la conseguenza che la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni.

Per quanto attiene alla questione di fondo che contraddistingue la causa, ossia se la decadenza del titolo edilizio consegue dal mero decorso del tempo correlato all’inattività dell’interessato o se necessita a tal fine un esplicito provvedimento amministrativo, costitutivo o dichiarativo, nella sentenza impugnata si legge che “l’orientamento giurisprudenziale sulla necessità di un espresso provvedimento di decadenza non è costante. … Infatti una parte della giurisprudenza ritiene che la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non sia automatica e, pertanto, tale decadenza debba essere necessariamente dichiarata con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d’accertamento (TAR Abruzzo Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che, pertanto, affinché la concessione edilizia perda, per decadenza , la propria efficacia occorre un atto formale dell’Amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata (Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612)”, con la conseguenza –quindi– che “la decadenza avrebbe, pertanto, dovuto formare oggetto di un apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 15.06.1998, n. 834), considerato che la perdita di efficacia della concessione è subordinata all’esplicazione di una potestà provvedimentale” (cfr. pag. 11 e ss. della sentenza impugnata).
Ad avviso del Collegio, a ragione il giudice di primo grado ha respinto la tesi testé riassunta, “in aderenza all’orientamento che appare prevalente nella materia da ultimo” e sulla scorta del diretto “riferimento … alla lettera della legge, la quale fa dipendere la decadenza, non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell’inutile decorso del tempo” (cfr. ibidem).
Nell’art. 4 della L. 10 del 1977, vigente all’epoca dei fatti di causa, si disponeva infatti al terzo comma che “nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori”, nel mentre nel susseguente sua quarto comma si disponeva che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno”, che “il termine di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni”, e si disciplinavano quindi le ipotesi di proroga della concessione stessa.
Nel quinto comma si disponeva –altresì– che “qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”, nel mentre nel sesto comma era stata introdotta una norma di chiusura del “sistema”, in forza della quale la concessione era “irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi della presente legge” e le sanzioni previste dall'articolo 15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale contesto non era ravvisabile la presenza di una norma che imponesse l’emanazione di un provvedimento al riguardo, posto che la legge stessa disciplinava in via diretta la durata della concessione e, in via tassativa, le ipotesi per ottenerne la proroga: con la conseguenza, quindi, che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori operava di diritto e che il provvedimento pronunciante la decadenza, ove adottato, aveva carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi “ex se” , in via diretta,con l’infruttuoso decorso del termine prefissato.
Va opportunamente denotato che tale assetto delle cose permane anche nell’attuale disciplina contenuta nell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, laddove si dispone, in tema di rilascio del permesso di costruire ma in via ancor più puntuale, che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive.”.
L’adesione all’orientamento maggioritario della giurisprudenza trova conforto nella notazione –puntualmente svolta dal giudice di primo grado– secondo la quale, diversamente opinando, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari della concessione ma anche della Pubblica Amministrazione che potrebbe –quindi– in taluni casi adottare un provvedimento espresso e in altri casi no, con non evanescenti ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presentano tuttavia identiche sul punto di fondo che qui segnatamente interessa.
Tale constatazione toglie, pertanto, per se stessa pregio alle surriportate obiezioni dell’appellante secondo le quali risulterebbe problematico configurare la sopravvenuta caducazione dei permessi di costruire in assenza di un atto espresso in tal senso, ancorché avente natura dichiarativa, ovvero si ingenererebbero incertezze nei rapporti tra privati e, ancora, conseguenze inaccettabili.
Semmai, proprio il diretto riferimento dei termini e delle conseguenze per la loro violazione alla previsione di legge elimina in radice –come detto innanzi– ogni ipotesi di disparità di trattamento, e la necessità dell’applicazione del regime sanzionatorio per i lavori eseguiti dopo il decorso del termine stabilito dal titolo edilizio è, a sua volta, conseguenza necessitata -e non già “inaccettabile”- della violazione da parte dell’interessato di puntuali obblighi a lui commessi dalla stessa legge.
Deve dunque concludersi sul punto che la pronuncia di decadenza del titolo edilizio è per certo espressione di un potere strettamente vincolato; ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare, ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa strumentazione edilizia, e assume pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità del rispetto del termine ab origine fissato, e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423 e 18.06.2008 n. 3030).
Circa l’allegazione dell’attuale appellante secondo la quale non sarebbe stata nella specie ottemperata dall’Amministrazione Comunale l’ordinanza istruttoria emanata dal giudice di primo grado al fine di acquisire agli atti di causa, tra l’altro, copia del verbale del sopralluogo asseritamente effettuato dall’Ufficio Tecnico Comunale in data 27.02.1998 e che pertanto non risulterebbe comprovato nella sua materialità l’assunto del Comune medesimo secondo il quale i lavori non sarebbero nella specie regolarmente iniziati, il Collegio –per parte propria– non può non evidenziare che, secondo il generale principio di distribuzione dell’onere della prova di cui al combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 cod. proc. civ. –ora espressamente recepito dall’art. 64, comma 1, cod. proc. amm. ma reputato immanente nell’ordinamento processuale amministrativo, se non altro per quanto attiene alle ipotesi che come per il caso di specie pertengono alla giurisdizione esclusiva, anche in epoca antecedente all’entrata in vigore del nuovo codice di rito (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 07.10.2009 n. 6118)– competeva all’attuale appellante dedurre che le opere da lei asseritamente realizzate prima della scadenza del termine annuale fissato per l’avvio dei lavori erano comunque idonee a dimostrare una sua seria e concreta volontà di utilizzare il titolo edilizio a lei rilasciato.
Al riguardo, risulta corretta la notazione di fondo del primo giudice secondo la quale tra i “modesti sbancamenti di terreno oramai ricoperti di acqua e vegetazione” testualmente riferiti dall’Amministrazione Comunale in esito al sopralluogo da essa effettuato e i lavori affermati come già eseguiti dalla Jaconelli in sede di richiesta di riesame del primo diniego di proroga a lei opposto (“picchettatura del terreno interessato dalla costruzione, livellamento del medesimo terreno al livello delle fondazioni, creazione degli scavi per il getto dei plinti di fondazione di entrambi gli assentiti edifici, realizzazione della strada di accesso”) non esiste, in realtà, un reale contrasto.
Al di là del diverso impianto descrittivo delle due rappresentazioni di fatto, ben si evince infatti che secondo entrambe le tesi poste a raffronto i lavori in questione si sono fermati al livello dello sbancamento dei terreni e della loro preparazione all’edificazione, senza che quest’ultima possa effettivamente reputarsi come in concreto iniziata.
Come è ben noto, ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza dalla concessione edilizia, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.11.1998 n. 1615).
Sempre in tal senso, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da di realizzare il manufatto l’opera, non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242), con la conseguenza che la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato, Sez. V, 15.10.1992 n. 1006) o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di vaste dimensioni (Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n. 535): circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie dalla Jaconelli (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.05.2012 n. 2915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 15, co. 2, d.P.R. n. 380/2001, “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”. Dunque, non è previsto un termine “minimo” a favore del privato per l’inizio dei lavori; la legge prevede solo un termine “massimo”, nel senso che l’Amministrazione non può, nel permesso di costruire, fissare un termine superiore ad un anno per l’inizio dei lavori.
Il "cantieramento" dell'intervento deve concretarsi nell'effettivo inizio dei lavori tramite impianto del cantiere, secondo i criteri ordinariamente utilizzati per rilevare il rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori di cui alla concessione edilizia, previsti dall'art. 15, d.P.R. n. 380 del 2001.
La mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell'effettivo "inizio dei lavori" entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), essendo necessario, al fine di escludere la configurabilità del reato di costruzione abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita (in motivazione la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio).

Ai sensi dell’art. 15, co. 2, d.P.R. n. 380/2001, “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”. Dunque, non è previsto un termine “minimo” a favore del privato per l’inizio dei lavori; la legge prevede solo un termine “massimo”, nel senso che l’Amministrazione non può, nel permesso di costruire, fissare un termine superiore ad un anno per l’inizio dei lavori. Ne consegue che l’Amministrazione ben può fissare un termine inferiore ad un anno; nel caso di specie, la parte ricorrente contesta la legittimità del termine in concreto concesso perché inferiore ad un anno, ma tale censura –atteso la lettera della legge– deve ritenersi infondata.
Soprattutto, anche ammesso il termine in concreto concesso fosse troppo esiguo, e dunque contestabile sotto i profili della ragionevolezza e della correttezza che deve comunque caratterizzare i rapporti tra p.a. e soggetto privato, il provvedimento impugnato deve comunque ritenersi sostanzialmente non censurabile, ai sensi dell’art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/1990.
Infatti, l’Amministrazione –pur avendo fissato un termine di un solo giorno per l’inizio dei lavori– ha eseguito il controllo oltre un anno dopo (in data 24.06.2010), riscontrando che non solo non erano iniziati i lavori, ma che l’area era utilizzata come parcheggio e ricoveri di auto e camion (tanto che l’area era stata pavimentata): il che significa che, quand’anche fosse stato concesso un termine di un anno, la ricorrente non lo avrebbe comunque rispettato; e che, anzi, la ricorrente non ha avuto alcuna seria intenzione di iniziare davvero i lavori autorizzati. In altri termini, riscontrato che –oltre un anno dopo il rilascio del permesso di costruire– i lavori non erano iniziati, né avrebbero potuto iniziare in un prossimo futuro (atteso il diverso utilizzo dell’area), non si vede come l’Amministrazione potesse non adottare un provvedimento di decadenza del permesso di costruire.
Poiché non vi è stato alcun effettivo inizio dei lavori, appare superfluo chiarire cosa debba intendersi per “cantieramento”; comunque, anche sul tale punto devono ritenersi infondate le osservazioni di parte ricorrente: come già ritenuto da questa Sezione, “Il "cantieramento" dell'intervento (in relazione al quale inizia a decorrere il termine quinquennale di cui all'art. 125 della Variante generale al p.r.g. del Comune di Napoli) deve concretarsi nell'effettivo inizio dei lavori tramite impianto del cantiere, secondo i criteri ordinariamente utilizzati per rilevare il rispetto dei termini di inizio e fine dei lavori di cui alla concessione edilizia, previsti dall'art. 15, d.P.R. n. 380 del 2001” (Tar Campania, Napoli, sez. IV, n. 28002/2010).
Anche secondo la Cassazione penale “La mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell'effettivo "inizio dei lavori" entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo (art. 15, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), essendo necessario, al fine di escludere la configurabilità del reato di costruzione abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita (in motivazione la Corte ha precisato che detti indizi consistono nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio)”: così Cass. Pen. Sez. III, n. 7114/2010 (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.05.2012 n. 2225 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2012

EDILIZIA PRIVATA: Per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di un permesso di costruire o di una concessione edilizia l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita.
Si afferma condivisibilmente in giurisprudenza che “Per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di un permesso di costruire o di una concessione edilizia l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita” (cfr. T.A.R Abruzzo Pescara, sez. I, 29.03.2011, n. 193).
Proprio l’assai ridotta consistenza dello scavo realizzato (mq. 6 per una profondità di cm. 90), peraltro unico intervento riscontrato nell’area di cantiere, rispetto a quello programmato (mq. 250 per una profondità di mt. 9,00) non consente di configurare un effettivo inizio dei lavori secondo i criteri enucleati in giurisprudenza.
Né può assumere l’auspicato rilievo la circostanza del ridotto lasso temporale intercorrente tra la data di rilascio del permesso di costruire (11.03.2010) e l’entrata in vigore delle nuove disposizioni del P.U.C. (13.03.2010) in quanto essa può al più rilevare nell’ambito di un giudizio di colpevolezza che non ha diritto di cittadinanza rispetto al dato obiettivo -il solo preso in considerazione dalla norma di cui all’art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001,- del mancato inizio dei lavori quale causa ex se giustificativa ai fini della decadenza del permesso di costruire in caso di sopravvenienza di contrastanti disposizioni urbanistiche (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 24.04.2012 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2012

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 15 secondo comma, del T.U. 06.06.2001 n. 380 (che peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i termini di durata del permesso di costruire “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita” espressamente prevede che, in via di eccezione, i termini di durata (dell’allora licenza ed oggi) del permesso di costruire “possono essere prorogati ... per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso ...”.
In base a tale norme dunque non può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all’inerzia dell’interessato questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, e queste siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è illegittimo il provvedimento dell’Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza della concessione edilizia allorché sussistano impedimenti assoluti all’esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all’Amministrazione e l’impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti dall’art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10.
Posto quindi che la scadenza del termine apposto all’autorizzazione edilizia per l’avvio dei lavori non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l’accertamento della eventuale decadenza dall’autorizzazione edilizia, le ipotesi di sospensione o proroga connessi a “factum principis”, forza maggiore o ad altre cause non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l’effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere.
Nei casi in cui l’amministrazione comunale <<sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori>>, essa <<non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione.

... deve tuttavia evidenziarsi come la giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto che, <<se, come è noto, secondo la regola generale i termini di decadenza decorrono per il solo fatto materiale del trascorrere del tempo, cioè indipendentemente dalle situazioni soggettive ed oggettive verificatesi “medio tempore” e dalle quali sia dipeso l’inutile decorso del termine, devono esser fatti salvi i casi e le eccezioni tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a base del provvedimento, l’art. 15 secondo comma, del T.U. 06.06.2001 n. 380 (che peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i termini di durata del permesso di costruire “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita” espressamente prevede che, in via di eccezione, i termini di durata (dell’allora licenza ed oggi) del permesso di costruire “possono essere prorogati ... per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso ...”.
In base a tale norme dunque non può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all’inerzia dell’interessato (arg. ex Consiglio Stato, IV, 08.02.2008, n. 434) questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, e queste siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa (cfr. Consiglio Stato, IV, 10.08.2007, n. 4423).
[…]
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è illegittimo il provvedimento dell’Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza della concessione edilizia allorché sussistano impedimenti assoluti all’esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all’Amministrazione e l’impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti dall’art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. TAR Lazio Roma, II, 15.04.2004, n. 3297; Consiglio Stato, V, 29.01.2003, n. 453; Consiglio Stato, V, 13.05.1996, n. 535; TAR Liguria Genova, I, 22.06.2007, n. 1200).
Posto quindi che la scadenza del termine apposto all’autorizzazione edilizia per l’avvio dei lavori non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l’accertamento della eventuale decadenza dall’autorizzazione edilizia (cfr. Consiglio Stato, V, 18.09.2008, n. 4498), la Sezione non può che ribadire il proprio precedente orientamento (ricordato anche dai ricorrenti) per cui le ipotesi di sospensione o proroga connessi a “factum principis”, forza maggiore o ad altre cause non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l’effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere (cfr. TAR Lazio Roma, II, 24.11.2004, n. 13996)
>> (v. TAR Lazio Roma, II, 07.06.2010, n. 15939).
Nel caso di specie, dunque, sinteticamente ricordata la cronologia degli eventi e degli atti che portavano infine alla stipula del contratto (08.11.1999: rilascio c.e. n. 459; 28.12.1999: ammissione del progetto al finanziamento da parte del C.E.R. - Comitato per l’Edilizia Residenziale; 08.06.2000: l’I.A.C.P. rilevava che il finanziamento era erroneamente concesso per lavori di recupero e non, invece, per la realizzazione ex novo della struttura; 26.06.2000: la Comunità Airone chiedeva di rettificare il provvedimento di finanziamento; 08.11.2000: decreto di correzione da parte del C.E.R.; 05.12.2000: comunicazione al Comune che i lavori sarebbero iniziati il 06.12.2000; 03.12.2002: non avendo l’IACP ancora espletato la gara, nuova richiesta di proroga da parte della Comunità; 28.01.2003: nuovo titolo edilizio; 20.11.2003: stipula del contratto; 04.12.2003: comunicazione inizio lavori; 06.08.2004: emissione del provvedimento impugnato), non può che rilevarsi come i ritardi determinatisi nell’avvio dei lavori non fossero in alcun modo dipesi dall’inerzia della Comunità Airone ma, piuttosto, dalle obiettive difficoltà dei sub-procedimenti svoltisi avanti al Ministero dei Lavori Pubblici e all’Istituto Autonomo Case Popolari.
In questa prospettiva, dunque, sulla base di quanto fin qui esposto, deve respingersi <<la tesi dell’amministrazione, che sostiene che la proroga avrebbe necessariamente dovuto essere richiesta dalla ricorrente prima della scadenza del termine in parola>>, dovendo invece evidenziarsi che nei casi in cui, come quello de quo, l’amministrazione medesima <<sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori>>, essa <<non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione>> (TAR Calabria Reggio Calabria, I, 20.04.2010, n. 420; TAR Sicilia, III, 19.02.2007, n. 560) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.03.2012 n. 490 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2012

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza del permesso di costruire per mancata osservanza del termine annuale per l’inizio dei lavori e di quello triennale per il loro completamento. Termini di efficacia del Permesso di costruire. Istituzione della commissione edilizia comunale e sue competenze.
La decadenza del permesso di costruire, per mancata osservanza del termine annuale per l’inizio dei lavori e di quello triennale per il loro completamento, disciplinata dall’art. 15 del t.u. 06.06.2001 n. 380: a) è espressione di un potere strettamente vincolato; b) ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore; c) pertanto ha decorrenza ex tunc (1).
Il termine di durata del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo, al contrario, sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine; e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (2).
Una istanza con la quale il titolare di un permesso di costruire ha dichiarato di aver iniziato le opere, è meramente formale ed è comunque ininfluente ai fini del rispetto del termine di decadenza per l’inizio dei lavori, nel caso in cui sia stata effettuata in totale assenza di una qualsiasi attività edilizia per la realizzazione dell'edificio, non testimoniando affatto un effettivo e significativo inizio dei lavori edilizi nel termine stabilito (3).
Nel caso in cui sia stata presentata una istanza di proroga del termine annuale per l’inizio dei lavori previsti dal permesso di costruire, il Comune deve comunque valutare l'idoneità delle opere realizzande a costituire un inizio effettivo dei lavori edilizi in rapporto al contesto complessivo del progetto stesso (4).
L'art. 4 del d.P.R. n. 380/2001 (T.U. edilizia), nel rendere per i Comuni facoltativa l'istituzione della Commissione edilizia, ha introdotto un principio fondamentale in materia di governo del territorio, al quale deve sottostare la normativa regionale, ai sensi dell'art. 117 Cost. (5). A seguito dell’entrata in vigore di tale disposizione, le norme regionali in materia devono essere interpretate in senso costituzionalmente coerente con i principi generali introdotti in materia dal predetto T.U. (6) e deve quindi ritenersi che le eventuali norme legislative regionali che prevedano l’obbligatorietà del parere della C.E.C. sono state implicitamente abrogate ai sensi dell’art. 10 della L. n. 62/1953.
La Commissione edilizia comunale ha competenza in materia di specifiche valutazioni sul merito tecnico, urbanistico, costruttivo ed architettonico dei progetti, ma non è titolare di alcun potere in ordine alla verifica dell'inesistenza o al venir meno dei presupposti legali dell’edificazione effettuata (7); ne discende che la dichiarazione di decadenza della concessione di costruzione non richiede l'acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale (8).
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(1) Cfr. infra multa: Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio 2008, n. 3527; Cons. Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434.
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n. 7748
(4) Cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030; Cons. Stato, sez. IV, 15.07.2008, n. 3527.
(5) Cfr, Cons. Stato, sez. IV, 02.10.2008, n. 4793
(6) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.10.2008, n. 4793
(7) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 01.10.2007, n. 5049.
(8) V. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 31.08.2010, n. 3955 e Cons. Stato, sez. V, 11.01.2011, n. 79
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2012 n. 974 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADecadenza del permesso di costruire: solo l'insorgenza di cause di forza maggiore possono fondare l'istanza di proroga del termine di durata del permesso di costruire.
In linea di principio, alla luce della predetta disposizione è dunque esatto (cfr. infra multa: Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030) che la pronuncia di decadenza del permesso di costruire:
1) è espressione di un potere strettamente vincolato;
2) ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano regolatore;
3) pertanto ha decorrenza ex tunc.
Il termine di durata del permesso edilizio, infatti, non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo, al contrario, sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha rilasciato il titolo ablativo, che accerti l’impossibilità del rispetto del termine; e solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un “factum principis” ovvero l’insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 15.07.2008, n. 3527; Consiglio Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.02.2012 n. 974 
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio e la conclusione dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia.
Invero, la decadenza della concessione edilizia per mancata ultimazione dei lavori nel termine previsto dalla legge, ancorché assuma carattere esclusivamente oggettivo -giacché essa presuppone il mero decorso del tempo, eccettuati i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o cause espressamente contemplate dalla legge- e sebbene i suoi effetti retroagiscano al momento dell'evento estintivo, deve essere necessariamente dichiarata dall’amministrazione.

... per l'annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Reggio Calabria n. 414-93 del 27.11.1995, pratica n. 380/93, con la quale è ordinata a carico degli “eredi ...” la demolizione delle opere di soprelevazione (secondo, terzo, quarto e quinto piano f.t.) su preesistente fabbricato ad un piano f.t., costruito con licenza edilizia n. 3685/173 del 05.07.1965, in località Pellaro, via S. Cosimo;
...
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio e la conclusione dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia (cfr. C.S., V, 18.09.2008, n. 4498).
Ed invero, secondo l’orientamento giurisprudenziale che il collegio ritiene di condividere, la decadenza della concessione edilizia per mancata ultimazione dei lavori nel termine previsto dalla legge, ancorché assuma carattere esclusivamente oggettivo -giacché essa presuppone il mero decorso del tempo, eccettuati i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o cause espressamente contemplate dalla legge- e sebbene i suoi effetti retroagiscano al momento dell'evento estintivo, deve essere necessariamente dichiarata dall’amministrazione (TAR Calabria, Reggio Calabria, 20.04.2010, n. 420; v. pure C.S., V, 15.06.1998, n. 834; TAR Abruzzo, Pescara, 28.06.2002, n. 595; TAR Sardegna, II, 15.11.2005, n. 2126; TAR Lazio, II, 24.11.2004, n. 13996).
Nella fattispecie in esame, il Comune di Reggio Calabria non ha proceduto, prima di adottare l’impugnato ordine di demolizione delle opere realizzate –peraltro da lungo tempo- ad accertare l’intervenuta decadenza dell’autorizzazione edilizia che originariamente li assentiva, con conseguenti:
a) perdurante efficacia di essa; e
b) illegittimità del provvedimento sanzionatorio (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 23.02.2012 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori previsti nel permesso di costruire, esclusivamente <<per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4 della legge 10/1977 (oggi parzialmente abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel senso che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire (già concessione edilizia), allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui al titolo edilizio previsti dalla legge.

In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori previsti nel permesso di costruire, esclusivamente <<per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4 della legge 10/1977 (oggi parzialmente abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel senso che è illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire (già concessione edilizia), allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e l'impedimento non sia riferibile alla condotta del concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di forza maggiore che sospende il decorso dei termini di inizio e di ultimazione dei lavori di cui al titolo edilizio previsti dalla legge (cfr. fra le tante, TAR Lazio, sez. II-quater, 07.06.2010, n. 15939, con la giurisprudenza ivi richiamata).
Nel caso di specie, la richiesta di proroga è stata giustificata dai ricorrenti attraverso il richiamo sia alla situazione di crisi del settore dell’edilizia, sia alla controversia che oppone i ricorrenti stessi al il Comune di Milano e relativa alla determinazione del contributo concessorio inerente al permesso di costruire di cui alla presente causa (cfr. docc. 18 e 19 dei ricorrenti per le istanze di proroga).
Orbene, reputa il Collegio che nessuna delle due circostanze suindicate possa costituire un “fatto sopravvenuto”, idoneo a giustificare la proroga ai sensi dell’art. 15 del Testo Unico dell’edilizia.
La crisi del settore edile, collegata alla difficile congiuntura economica italiana, appare una circostanza estremamente generica, non idonea di per sé ad impedire in maniera assoluta la possibilità di edificazione legata al permesso di costruire ottenuto dagli esponenti.
D’altronde, se il mero richiamo alla situazione economica generale –e a quella del settore edile in particolare- potesse costituire una oggettiva ragione per la proroga dei termini dei titoli edilizi, si potrebbe giungere alla paradossale conclusione che in relazione a qualsivoglia intervento potrebbero essere disposte proroghe, nell’attesa di un -non ben precisato ed identificato- momento di ripresa economica generale.
In ordine all’altra ragione posta a fondamento della domanda di proroga, effettivamente è in corso un contenzioso fra i ricorrenti ed il Comune di Milano, legato all’esatta determinazione dei contributi concessori relativi al permesso di costruire di cui è causa, n. 137/2008.
Il ricorso promosso dagli esponenti per l’esatta determinazione del contributo suddetto è stato respinto dal TAR Lombardia, sez. II, con sentenza n. 4455/2009, che ha così confermato la correttezza della quantificazione del contributo effettuata dall’Amministrazione nel permesso di costruire (cfr. doc. 20 dei ricorrenti per il testo della sentenza).
Contro tale sentenza è stato proposto appello al Consiglio di Stato, tuttora pendente, senza domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza (cfr. il documento dei ricorrenti, allegato ai motivi aggiunti depositati il 17.06.2011), sicché quest’ultima deve ritenersi produttiva dei propri effetti giuridici.
Tuttavia, non si comprende perché l’esistenza del contenzioso di cui è causa –attualmente in grado d’appello- possa costituire una circostanza oggettivamente ostativa alla realizzazione dell’intervento edilizio, che può comunque essere effettuato, in attesa della definitiva determinazione del contributo concessorio.
Le ragioni per la proroga addotte degli esponenti attengono –a ben vedere- a valutazioni di opportunità e di convenienza economica dell’intervento, ma non costituiscono assoluti impedimenti ad edificare.
Il provvedimento comunale impugnato coi motivi aggiunti (cfr. doc. 4 del resistente), dà atto di quanto sopra esposto, con motivazione congrua ed analitica, indubbiamente più ampia ed esaustiva rispetto alla scarna motivazione del primo diniego di proroga, gravato col ricorso principale.
Neppure può ritenersi violata, da parte del Comune, l’ordinanza cautelare della Sezione n. 1250/2009, la quale aveva fatto salvo il potere dell’Amministrazione di pronunciarsi nuovamente –ancorché motivatamente– sull’istanza di proroga (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.02.2012 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl decorso del termine annuale di decadenza del titolo edilizio presuppone l'efficacia del titolo stesso, con l'effetto che la sospensione, disposta dal Comune, arresta al contempo la possibilità dell'interessato di porre in essere una legittima attività edilizia ed il procedere del tempo assegnato per darvi inizio.
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 67840 dell’01.08.1991 del Sindaco di Salerno, che ha decretato la decadenza della concessione edilizia commissariale n. 191/1989, ...
...
Assume rilievo viziante, con assorbimento di ogni altra censura, quanto articolato dal ricorrente al secondo motivo di ricorso a proposito della insussistenza del presupposto dell’impugnato provvedimento, ovverosia l’inerzia del titolare della concessione edilizia. Invero, come può agevolmente desumersi dalla narrazione dei fatti di causa, il lasso temporale di un anno per l’inizio dei lavori assentiti mediante titolo edilizio a norma dell’art. 31, comma 11, della l.n. 1150/1942, è stato interessato nel caso di specie da taluni provvedimenti interdittivi emessi dal Comune di Salerno che hanno impedito il naturale inizio dei lavori, peraltro oggetto di comunicazione da parte del ricorrente già in data 7 agosto 1989.
Invero il Sindaco di Salerno ha disposto in data 07.09.1989 la sospensione dei lavori, con ordinanza n. 229, mentre, in data 03.12.1990, è stato effettuato il sequestro del cantiere ad opera della Polizia Municipale.
La giurisprudenza (TAR Toscana Firenze, sez. III, 12.07.2010, n. 2447) ha avuto modo di affermare, del tutto condivisibilmente, che “il decorso del termine annuale di decadenza del titolo edilizio presuppone l'efficacia del titolo stesso, con l'effetto che la sospensione, disposta dal Comune, arresta al contempo la possibilità dell'interessato di porre in essere una legittima attività edilizia ed il procedere del tempo assegnato per darvi inizio” (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 10.02.2012 n. 188 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn presenza della clausola di concessione edilizia che impone l’inizio dei lavori entro un anno dal rilascio e della clausola che subordina l’inizio dei lavori comportanti “la mutazione dei suoli nella loro natura ivi compreso il naturale deflusso delle acque superficiali” all’ottenimento del n.o. idrogeologico, l’unica interpretazione che permette di evitare l’intrinseca illogicità del provvedimento è quella di ritenere che il termine di un anno sia sospeso sino al rilascio del n.o. idrogeologico.
Sicché è illegittimo il provvedimento del comune che ha dichiarato la decadenza della concessione edilizia nel presupposto che i lavori non siano stati iniziati nel termine di un anno dal suo rilascio e ingiunto alla ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi.

... per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione dell’ordinanza n. 40 del 09.05.2005 recante decadenza della concessione edilizia n. 348 del 23.04.2001 e intimazione al ripristino dello stato dei luoghi e di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e /o consequenziale e per la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.
...Il Collegio condivide le argomentazioni della ricorrente in punto di interpretazione coordinata e sistematica della clausole della concessione edilizia nel senso che, in presenza della clausola che imponeva l’inizio dei lavori entro un anno dal rilascio e della clausola che subordinava l’inizio dei lavori comportanti “la mutazione dei suoli nella loro natura ivi compreso il naturale deflusso delle acque superficiali” all’ottenimento del n.o. idrogeologico, l’unica interpretazione che permette di evitare l’intrinseca illogicità del provvedimento è quella di ritenere che il termine di un anno fosse sospeso sino al rilascio del n.o. idrogeologico.
In questa prospettiva sarebbe inutile chiedersi se a impedire la decadenza fossero sufficienti i lavori compatibili con il punto 4, a) della concessione il cui inizio è stato comunicato dalla ricorrente sin dal 24.04.2001, tanto più che non è chiarito in cosa questi lavori consistessero e francamente appare dubitabile che fossero possibili lavori non incidenti sul naturale deflusso delle acque (anche l’eliminazione della vegetazione e il semplice scavo per le fondazioni incide sul deflusso delle acque).
E’ più corretto ritenere che la concessione implicasse per la Monte Ducale l’onere di attivarsi per ottenere il n.o. idrogeologico, coltivando il relativo procedimento, e che per il periodo di pendenza di tale procedimento il termine di inizio dei lavori fosse sospeso; né potrebbe sostenersi che in capo alla ricorrente gravasse l’onere di compulsare la provincia di Latina attraverso atti di diffida et similia e l’instaurazione del giudizio sul silenzio, dato che l’obbligo di concludere il procedimento effettivamente discende dalla legge che le amministrazioni sono obbligate a rispettare e dall’amministrato può pretendersi solo la normale diligenza nel coltivare il procedimento (cosa che non risulta che la Monte Ducale non abbia fatto) (TAR Lazio-Latina, sentenza 09.02.2012 n. 104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATASe è vero che la decadenza di una concessione edilizia "avviene "di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo”, resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto formale dell'Amministrazione in proposito.
Per quanto attiene al successivo atto implicito di dichiarazione della decadenza della concessione edilizia, si ritiene opportuno premettere che, pur non essendo stato dimostrato l’effettivo, tempestivo, invio della comunicazione di inizio dei lavori, il comportamento del Comune, che ha consentito il completamento, almeno al rustico, di tutti gli edifici previsti, che ha incassato gli oneri concessori e che ha preteso, successivamente, la cessione delle aree da destinare ad opere di urbanizzazione, induce a ritenere che tale comunicazione vi sia effettivamente stata e sia stata in concreto ricevuta dal Comune. In caso contrario, infatti, si dovrebbe ritenere gravemente omissivo e comunque contradditorio l’agire dell’Amministrazione.
Con riferimento al rispetto dei termini di completamento dei lavori, invece, il Collegio ritiene di poter condivide la tesi di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10.05.2011, n. 2765, secondo cui: “se è vero che la decadenza stessa "avviene "di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo”, resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto formale dell'Amministrazione in proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.10.2007 n. 5228).
Anche nel caso di specie, quindi, non può ritenersi in concreto intervenuta la dichiarazione di decadenza, con la conseguenza che il provvedimento impugnato, con cui il Comune ha negato la possibilità di proseguire i lavori, risulta fondato su di un presupposto, l’intervenuta decadenza della concessione edilizia, inesistente per carenza del provvedimento di formale accertamento della stessa e che, peraltro, non sembrerebbe comunque precludere il rilascio di un nuovo titolo legittimante il suddetto completamento
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAl fine di precludere la decadenza della concessione edilizia per inosservanza del termine iniziale dei lavori dal rilascio del titolo, non è sufficiente la presentazione della denuncia di inizio degli stessi, essendo necessario che le opere concretamente poste in essere entro l’anno siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare della concessione di realizzare quanto da lui progettato e non meramente simboliche, fittizie o comunque solamente preparatorie.
Ed a tal proposito, la recinzione del fondo, l’installazione del cantiere, lo sbancamento del terreno e finanche l’esecuzione dei lavori di scavo non sono elementi idonei ad integrare di per sé un valido inizio dei lavori e, di conseguenza, ad evitare la decadenza del titolo abilitativo.
Né, in ogni caso, l’apertura di un procedimento penale per fatti connessi al rilascio dell’atto, anche se sfociato in un rinvio a giudizio, può rappresentare –in mancanza di un provvedimento di sequestro che determini l’indisponibilità del cantiere– un factum principis od una causa di forza maggiore, idonei a sospendere i termini di cui all’art. 4 della legge n. 10/1977.

Al fine di precludere la decadenza della concessione edilizia per inosservanza del termine iniziale dei lavori dal rilascio del titolo, non è sufficiente la presentazione della denuncia di inizio degli stessi, essendo necessario che le opere concretamente poste in essere entro l’anno siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà del titolare della concessione di realizzare quanto da lui progettato e non meramente simboliche, fittizie o comunque solamente preparatorie.
Ed a tal proposito, la recinzione del fondo, l’installazione del cantiere, lo sbancamento del terreno e finanche l’esecuzione dei lavori di scavo non sono elementi idonei ad integrare di per sé un valido inizio dei lavori e, di conseguenza, ad evitare la decadenza del titolo abilitativo (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 13.07.2010, n. 16715).
Né, in ogni caso, l’apertura di un procedimento penale per fatti connessi al rilascio dell’atto, anche se sfociato in un rinvio a giudizio, può rappresentare –in mancanza di un provvedimento di sequestro che determini l’indisponibilità del cantiere– un factum principis od una causa di forza maggiore, idonei a sospendere i termini di cui all’art. 4 della legge n. 10/1977.
Superflua, infine, è ogni valutazione circa l’esistenza di un obbligo, per la P.A., di dare avviso di avvio del procedimento di declaratoria di decadenza della concessione, incidentalmente contenuta nel provvedimento di rigetto dell’istanza di proroga, posto che ogni eventuale conseguenza caducatoria sull’atto finale sarebbe comunque preclusa al giudicante dal chiaro disposto del sopravvenuto art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, in ragione del fatto che, in ogni caso, alla luce di quanto detto sulla precedente censura, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 14.12.2011 n. 1988 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario e, nello specifico, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni che la giustificano).
In materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono, peraltro, di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
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L'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, DPR 380/2001, deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (e sarebbe illegittimo un provvedimento di decadenza ai sensi del comma 4 laddove non sia preceduto da una rigorosa istruttoria volta a comprovare in modo inequivoco che i lavori non siano effettivamente già iniziati al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione urbanistica).
Il termine per l'inizio dei lavori deve farsi decorrere non dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o comunque da un momento non anteriore a quello in cui l'interessato stesso sia stato posto in condizione di conoscere l'avvenuta emanazione del permesso.
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione attraverso una motivazione "per relationem" al provvedimento originario, considerato che nei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica di un soggetto determinato, qualora non emerga, con immediatezza, la presenza di soggetti controinteressati, non è necessaria una motivazione particolarmente ampia e complessa.
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La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori dalla data di rilascio della concessione edilizia può avvenire solo in presenza di fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza incombe esclusivamente sul richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'articolo 15, comma 2, dpr 380/2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (e, al riguardo, si ritiene che la presentazione della domanda di variante in corso d'opera non può essere configurata di per sé come fatto estraneo alla volontà del titolare della concessione edilizia e, pertanto come causa di forza maggiore idonea a giustificare la proroga del termine di ultimazione dei lavori).
Nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione.
In presenza di una tempestiva istanza di proroga che non contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti, legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori edilizi.

Il richiamato articolo 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire”, dispone testualmente che “1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. …
”.
La proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado, perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario (cfr. sul punto Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498) e, nello specifico, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni che la giustificano) (cfr. da ultimo, TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, 02.07.2008, n. 863); in materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti a permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono, peraltro, di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un determinato regime urbanistico venga realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
Per quanto attiene ai termini di cui sopra –poiché il termine triennale di ultimazione dei lavori decorre per espresso disposto normativo dalla data di inizio dei lavori-, si premette che, l'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (e sarebbe illegittimo un provvedimento di decadenza ai sensi del comma 4 laddove non sia preceduto da una rigorosa istruttoria volta a comprovare in modo inequivoco che i lavori non siano effettivamente già iniziati al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione urbanistica) e che il senso della disposizione va ricostruito in conformità con i principi generali dell'ordinamento, con particolare riferimento a quelli di efficacia, pubblicità e trasparenza sanciti dalla legge n. 241 del 1990 e che, pertanto, in forza di tali principi, non pare discutibile che il termine per l'inizio dei lavori debba farsi decorrere non dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o comunque da un momento non anteriore a quello in cui l'interessato stesso sia stato posto in condizione di conoscere l'avvenuta emanazione del permesso (TAR Liguria-Genova, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR Sicilia-Palermo, sez. II, 01.02.2011, n. 181).
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione attraverso una motivazione "per relationem" al provvedimento originario, considerato che nei provvedimenti ampliativi della sfera giuridica di un soggetto determinato, qualora non emerga, con immediatezza, la presenza di soggetti controinteressati, non è necessaria una motivazione particolarmente ampia e complessa (Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
La decadenza disciplinata dall'articolo 15 consegue all'inerzia dell'interessato; e, tuttavia, per l’appunto questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi del comma 2 dello stesso articolo 15 e queste siano oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori dalla data di rilascio della concessione edilizia può avvenire tuttavia solo in presenza di fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza incombe esclusivamente sul richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'articolo 15, comma 2, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423) (e, al riguardo, si ritiene che la presentazione della domanda di variante in corso d'opera non può essere configurata di per sé come fatto estraneo alla volontà del titolare della concessione edilizia e, pertanto come causa di forza maggiore idonea a giustificare la proroga del termine di ultimazione dei lavori).
Peraltro, secondo un orientamento in materia, nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione (TAR Calabria-Reggio Calabria, sez. I, 20.04.2010, n. 420 e TAR Sicilia-Palermo, sez. III, 19.02.2007, n. 560); senza necessariamente dovere giungere a condividere le predette conclusioni, tuttavia, può fondatamente ritenersi che, in presenza di una tempestiva istanza di proroga che non contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti, legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori edilizi
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 06.12.2011 n. 9600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Inizio lavori e decadenza permesso di costruire.
La mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell'effettivo "inizio dei lavori" entro il termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di decadenza del titolo abilitativo, essendo necessario, al fine di escludere la configurabilità del reato di costruzione abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita (tratto da www.lexambiente.it - Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.10.2011 n. 35900).

EDILIZIA PRIVATAPer accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di un permesso di costruire o di una concessione edilizia l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita.
In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l'esistenza di una concreta voluntas aedificandi da parte del titolare della concessione edilizia. Deve trattarsi, in altre parole, di un inizio serio e significativo dei lavori.
Di conseguenza, l'accertamento del tempestivo inizio dei lavori deve basarsi non solo sulla quantità e qualità delle opere realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a dimostrare la reale volontà del concessionario di dare corso all'opera autorizzata.
In particolare, l'idoneità delle opere a costituire l'effettivo inizio dei lavori edilizi deve essere concretamente considerata in rapporto al contesto complessivo del progetto stesso.
L'inizio dei lavori, ai sensi del citato art. 15, comma 2, deve dunque intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nella compiuta organizzazione del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.

Per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di un permesso di costruire o di una concessione edilizia l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita (TAR Abruzzo Pescara, sez. I, 29.03.2011, n. 193).
In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l'esistenza di una concreta voluntas aedificandi da parte del titolare della concessione edilizia (TAR Toscana, sez. III, 17.11.2008, n. 2533).
Deve trattarsi, in altre parole, di un inizio serio e significativo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. II, 28.04.2010, n. 4170; Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n. 7748; Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n. 7748).
Di conseguenza, l'accertamento del tempestivo inizio dei lavori deve basarsi non solo sulla quantità e qualità delle opere realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a dimostrare la reale volontà del concessionario di dare corso all'opera autorizzata (TAR Puglia Bari, sez. II, 05.05.2010, n. 1731; Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030 ).
In particolare, l'idoneità delle opere a costituire l'effettivo inizio dei lavori edilizi deve essere concretamente considerata in rapporto al contesto complessivo del progetto stesso (Cons. Stato, sez. IV, 15.07.2008, n. 3527; TAR Lazio Latina, sez. I, 12.11.2008, n. 1587).
L'inizio dei lavori, ai sensi del citato art. 15, comma 2, deve dunque intendersi riferito a concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nella compiuta organizzazione del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici (Cass. penale, sez. III, 27.01.2010, n. 7114)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 09.09.2011 n. 1582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl permesso di costruire decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio. La regola generale -con la sola eccezione dell'ipotesi che i lavori precedentemente assentiti siano già cominciati- della decadenza del permesso di costruire in caso di contrasto con la pianificazione disciplinata dall'art. 15, comma 4, dpr 380/2001, trova infatti la sua ratio nell'esigenza di garantire indefettibile applicazione alle sopravvenute previsioni in quanto volte ad un più razionale assetto del territorio.
Nel caso di sopravvenienza di una nuova disciplina del territorio, la decadenza di cui all'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue infatti automaticamente dalla circostanza obiettiva del mancato inizio dei lavori alla data di entrata in vigore del nuovo piano e, quindi, all'inerzia dell'interessato. La pronuncia di decadenza di cui all'art. 15, comma 4, è espressione di un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto.
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L'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire (ex art. 15, comma 4, dpr 380/2011), in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in questione.
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L'istituto della decadenza del permesso di costruire dall'art. 15, comma 4, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ha natura dichiarativa, e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue "ex lege" e che è espressione di un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto.
L’atto emanato per il solo verificarsi dell’evento indicato dalla legge, come tale, è sottratto alla disponibilità delle parti, per cui il privato, anche se fosse tempestivamente avvertito dell'avvio del relativo procedimento, non avrebbe alcuna possibilità d'influirvi a proprio vantaggio.
L'avviso d'avvio del procedimento ex. art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 intende assicurare l'apporto partecipativo dei destinatari dell'atto conclusivo -affinché quest'ultimo realizzi un assetto ragionevole degli interessi, pubblici e privati, coinvolti e confliggenti, per cui tale possibilità non sussiste nel caso di decadenza dalla concessione edilizia, per mancato inizio dei lavori .
La violazione dell'art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 non può dunque essere ritenuta sussistente in caso di adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire, essendo questo strettamente correlato al verificarsi delle condizioni che ne legittimano l'adozione; di talché, la partecipazione del privato al relativo procedimento risulterebbe inutile e defatigante.

Come esattamente rilevato dal TAR, nel caso di specie è, in ogni caso, risolvente ai fini del decidere il fatto che l’appellante non avesse iniziato i lavori di cui al permesso di costruzione dichiarato decaduto.
In tale ottica, doveva farsi applicazione del principio di cui all’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, per cui “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”. La regola generale -con la sola eccezione dell'ipotesi che i lavori precedentemente assentiti siano già cominciati- della decadenza del permesso di costruire in caso di contrasto con la pianificazione disciplinata dal cit. art. 15, comma 4, trova infatti la sua ratio nell'esigenza di garantire indefettibile applicazione alle sopravvenute previsioni in quanto volte ad un più razionale assetto del territorio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; Consiglio Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434).
Nel caso di sopravvenienza di una nuova disciplina del territorio, la decadenza di cui all'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue infatti automaticamente dalla circostanza obiettiva del mancato inizio dei lavori alla data di entrata in vigore del nuovo piano e, quindi, all'inerzia dell'interessato (cfr. in tal senso: Consiglio Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434). La pronuncia di decadenza di cui all'art. 15, comma 4, è espressione di un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423).
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L'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del permesso di costruire (ex art. 15, comma 4, dpr 380/2011), in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in questione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423).
Quanto all’interesse pubblico appare prevalente quello alla tutela del paesaggio ed alla preservazione naturalistica della riserva protetta, che l’intervento dichiarato decaduto per mancato inizio lavori avrebbe del tutto vanificato.
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L'istituto della decadenza del permesso di costruire dall'art. 15, comma 4, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ha natura dichiarativa, e presuppone un atto di accertamento di un effetto che consegue "ex lege" e che è espressione di un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, n. 4423 cit.).
L’atto emanato per il solo verificarsi dell’evento indicato dalla legge, come tale, è sottratto alla disponibilità delle parti, per cui il privato, anche se fosse tempestivamente avvertito dell'avvio del relativo procedimento, non avrebbe alcuna possibilità d'influirvi a proprio vantaggio.
L'avviso d'avvio del procedimento ex. art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 intende assicurare l'apporto partecipativo dei destinatari dell'atto conclusivo -affinché quest'ultimo realizzi un assetto ragionevole degli interessi, pubblici e privati, coinvolti e confliggenti, per cui tale possibilità non sussiste nel caso di decadenza dalla concessione edilizia, per mancato inizio dei lavori .
La violazione dell'art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 non può dunque essere ritenuta sussistente in caso di adozione del provvedimento di decadenza del permesso di costruire, essendo questo strettamente correlato al verificarsi delle condizioni che ne legittimano l'adozione; di talché, la partecipazione del privato al relativo procedimento risulterebbe inutile e defatigante (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 29.03.2002, n. 1785) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 07.09.2011 n. 5028 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all'inerzia dell'interessato questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere.

Se, come è noto, secondo la regola generale i termini di decadenza decorrono per il solo fatto materiale del trascorrere del tempo, cioè indipendentemente dalle situazioni soggettive ed oggettive verificatesi "medio tempore" e dalle quali sia dipeso l'inutile decorso del termine, devono esser fatti salvi i casi e le eccezioni tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a base del provvedimento, l’art. 15, comma 2, del T.U. 06.06.2001, n. 380 (che peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i termini di durata del permesso di costruire “il permesso decade di diritto per la parte non eseguita” espressamente prevede che, in via di eccezione, i termini di durata (dell’allora licenza ed oggi) del permesso di costruire “possono essere prorogati… per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso....”.
In base a tale norma dunque non può essere opposto il decorso del termine decadenziale a colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue all'inerzia dell'interessato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 08.02.2008, n. 434) questa deve essere esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti non riferibili alla condotta del titolare della concessione quando assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l'esecuzione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; TAR Lazio, Roma, sez. II, 24.11.2004, n. 13996).
Ed è questo un punto peculiare della fattispecie.
Al riguardo, l’atto impugnato ha disposto che, nel caso di specie, doveva trovare applicazione la decadenza di diritto per decorrenza dei termini, ai sensi dell’art. 15 del Dpr n. 380 del 2001, mentre non ha tenuto conto della circostanza che l’atto di proroga accede all’originaria concessione, spostando in avanti il termine finale di efficacia dell’atto concessorio, in modo tale da costituire una continuazione dello stesso (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 06.11.2006, n. 11809; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 19.03.2009, n. 19) .
Orbene, emerge dagli atti che tra la domanda di proroga e la conclusione del procedimento è decorso un certo lasso di tempo e che il Comune ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire soltanto dopo due mesi dalla concessione della proroga di un anno, impedendo la produzione dell’effetto specifico della proroga che è quello di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere.
Né varrebbe obiettare che assumerebbero rilievo, quali presupposti legittimanti della decadenza, le dimissioni del direttore dei lavori (vicenda interna al rapporto tra il titolare del permesso di costruire e il professionista incaricato) e la mancata presentazione della richiesta documentazione integrativa, alla cui inadempienza soccorre la irrogazione di sanzioni amministrative e non la decadenza del titolo edilizio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 16.06.2011 n. 5354 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento alla decadenza del permesso di costruire con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in termini generali ed astratti ma con una valutazione di carattere concreto, che contenga uno specifico e puntuale riferimento all'entità delle opere ed all'intervento edificatorio programmato ed autorizzato considerato nel suo complesso.
Secondo quanto disposto dall’art. 15, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001: “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
Invero, come chiarito in giurisprudenza, l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in termini generali ed astratti ma con una valutazione di carattere concreto, che contenga uno specifico e puntuale riferimento all'entità delle opere ed all'intervento edificatorio programmato ed autorizzato considerato nel suo complesso (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 15.07.2008, n. 3527; TAR Toscana, Sezione III, 17.11.2008, n. 2533; TAR Lazio, Latina, Sezione I, 12.11.2008, n. 1587) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.05.2011 n. 2856 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza, sicché non essendo stato adottato nel caso che occupa alcun provvedimento comunale di formale declaratoria della decadenza della concessione edilizia di cui trattasi, deve ritenersi che all’atto dell’adozione del provvedimento di annullamento della stessa l’atto era formalmente efficace e sussisteva interesse all’annullamento dell’atto di ritiro.
Osserva al riguardo la Sezione che la censura non è suscettibile di positiva valutazione, atteso che la perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza (Consiglio Stato, sez. IV, 29.01.2008, n. 249), sicché non essendo stato adottato nel caso che occupa alcun provvedimento comunale di formale declaratoria della decadenza della concessione edilizia di cui trattasi, deve ritenersi che all’atto dell’adozione del provvedimento di annullamento della stessa l’atto era formalmente efficace e sussisteva interesse all’annullamento dell’atto di ritiro
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.05.2011 n. 2821 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEssendo la concessione edilizia un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati e considerato che il termine di inizio lavori è posto anche a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di consegna dell’atto.
Il termine “rilascio” riferito al titolo concessorio ai fini del computo del termine annuale per l’inizio dei lavori, contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in prima lettura, non appare, infatti, univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la “consegna” dell’atto; ma è preferibile il secondo significato che appare più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.

Ritiene il Collegio di aderire all’orientamento recentemente espresso in fattispecie analoga alla presente, con dovizia di argomentazioni, da questo Tribunale (Sezione staccata di Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678), secondo il quale:
- essendo la concessione edilizia un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr. 3166), e considerato che il termine di inizio lavori è posto anche a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di consegna dell’atto;
- il termine “rilascio” riferito al titolo concessorio ai fini del computo del termine annuale per l’inizio dei lavori, contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in prima lettura, non appare, infatti, univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la “consegna” dell’atto; ma è preferibile il secondo significato che appare più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”;
- in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a “consegna” del documento perché l’interesse della parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, che può derivargli solo da un provvedimento espresso debitamente portato a conoscenza dell’interessato nella sua interezza e quindi anche per ciò che riguarda l’espletamento di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza.
Nel caso di specie, la consegna della concessione edilizia emanata il 26.06.2009 è avvenuta il 23.04.2010, con la sottoscrizione dell’atto da parte della ricorrente: deve ritenersi che il Comune di Racalmuto non ne potesse pronunziare la decadenza, stante che l’inizio dei lavori è stato comunicato in data 27.09.2010, e cioè entro il termine annuale dal materiale rilascio del titolo, per cui, assorbito quant’altro, il ricorso va accolto, con compensazione delle spese di giudizio, ricorrendo giusti motivi correlati alla particolare natura della controversia (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 01.02.2011 n. 181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATAL’atto di decadenza della concessione edilizia, per il decorso infruttuoso del termine triennale fissato per la conclusione dei lavori, ha natura meramente ricognitiva.
In ogni caso la predetta decadenza rappresenta un approdo ineludibile in ipotesi di mancato completamento delle opere nel termine di legge.

Invero è necessario evidenziare:
-  che l’atto di decadenza della concessione edilizia, per il decorso infruttuoso del termine triennale fissato per la conclusione dei lavori, ha natura meramente ricognitiva (cfr. Cons. Stato, IV, n. 511 del 1992);
- che lo stesso è desumibile per implicito dall’ordinanza di demolizione impugnata del 09.02.2002 ed in particolare dalle sue premesse (cfr. TAR Lazio, I, n. 264 del 2009);
- che in ogni caso la predetta decadenza rappresenta un approdo ineludibile in ipotesi di mancato completamento delle opere nel termine di legge;
- che, quindi, nella specie trova applicazione il disposto normativo contenuto nell’art. 21-octies, comma 2, della Legge n. 241 del 1990, anche per l’ordinanza impugnata, che ne rappresenta la conseguenza necessitata;
- che l’ordinanza di sospensione dei lavori produce effetti per soli 45 giorni (cfr. art. 4 Legge n.47 del 1985);
- che non risulta richiesta, né tantomeno accordata, la proroga dei termini per l’ultimazione dei lavori (cfr. art. 4 Legge n. 10 del 1977);
- che del pari è a dirsi per il titolo in variante dell’11.05.1995, risultando le opere in ogni caso non eseguite e i lavori fermi al 22.12.1992 (cfr. verbale del sopralluogo, all. 3 al ricorso e documentazione fotografica, all. 1 agli atti del Comune), a fronte di titoli edilizi non annullati (cfr. anche Corte Cass., III, n. 111 del 1996, all. 3 agli atti del Comune);
- che quindi assumeva rilevanza anche la sopravvenuta entrata in vigore di nuove norme urbanistiche, preclusive dell’edificazione, non ultimata tempestivamente (cfr. art. 31, comma 11, Legge n. 1150 del 1942 in relazione al Piano dell’Arenile, art. 7.3, all. 4 agli atti del Comune) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.09.2010 n. 5944 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del termine.
Il Collegio condivide infatti quella parte della giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Campania Napoli, sez. II, 30.01.2009, n. 542; TAR Campania Napoli, sez. II, 21.11.2006, n.10044) che ritiene che la decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio e di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con il richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo ope legis prevalente sul primo e non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica ipso iure, senza che residui all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale
(TAR Bsasilicata, sentenza 10.09.2010 n. 593 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La realizzazione di mere operazioni di sbancamento non è, invero, sufficiente a configurare l’inizio di una vera e propria attività edificatoria.
La realizzazione di mere operazioni di sbancamento non è, invero, sufficiente a configurare l’inizio di una vera e propria attività edificatoria (cfr. la giurisprudenza in tema di decadenza del permesso di costruire: Tar Lombardia Milano, sez. II, 08.03.2007, n. 372; Tar Lazio, Roma, sez. II, 11.05.2006, n. 3480; Cons. Stato, sez. IV, 03.10.2000, n. 5242) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: CONCESSIONE EDILIZIA: AVVIO E FINE DEI LAVORI.
Concessione - Decadenza - Mancata prova dell'avvio dei lavori entro un anno dal rilascio - Legittimità - Richiesta di proroga - Conseguenze.
Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di perimetrazione non sono considerate sufficienti ad integrare il requisito dell'avvio dei lavori, che deve comunque avvenire entro un anno dal rilascio della concessione edilizia, mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di decadenza della concessione, entro tre anni (1).
La comunicazione dell'inizio dei lavori e, dopo tre anni, la richiesta di proroga della concessione edilizia, senza tuttavia fornire la prova dell'avvio effettivo dei lavori entro il prescritto anno dal rilascio della concessione, consente all'amministrazione di disporre legittimamente la decadenza ai termini di legge della concessione edilizia.
La domanda di proroga non può legittimamente essere interpretata dall'amministrazione comunale come richiesta di proroga della concessione rilasciata, ed oramai scaduta, ma solo ed esclusivamente come richiesta di nuova concessione, ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 ultimo comma, L. n. 10/1977.
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(1) Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16-11-1998 n. 1615 (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR Lazio-Latina, Sez. I, sentenza 19.07.2010 n. 1170 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: I fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori, della concessione ddilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio.
In tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni.

La giurisprudenza ha affermato che “i fatti sopravvenuti che possono legittimare la proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007, n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la giurisprudenza penale: “in tema di efficacia della concessione edilizia, il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o sospensioni. In relazione all'insorgenza di fatti estranei alla volontà del concessionario e non imputabili a sua colpa, la legge, invero, consente di poter fruire di un più lungo periodo, ma soltanto a condizione che ci si avvalga delle procedure a tale scopo predisposte dai commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che prevedono la richiesta di un provvedimento di proroga della concessione edilizia, ovvero di una nuova concessione per la parte non ultimata)” (Cass. Pen., 25.03.1993) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa decadenza della concessione edilizia opera “di diritto”, cioè si verifica automaticamente, ope legis.
Per quanto concerne la mancanza di un formale provvedimento di decadenza della concessione edilizia, si osserva che, nel vigore della precedente normativa (art. 4 L. 28.01.1977 n. 10), la giurisprudenza discuteva circa la natura costitutiva o dichiarativa della pronuncia di decadenza (in quest’ultimo senso cfr. Cons. di St., V, 27.03.2000, n. 1755).
Orbene, il testo unico in materia edilizia D.P.R. n. 380/2001 ha inteso per l’appunto porre fine a tale diatriba, chiarendo che la decadenza opera “di diritto”, cioè si verifica automaticamente, ope legis (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza della concessione edilizia - Effetti - Dichiarazione della P.A. - Necessità.
La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito provvedimento della P.A. che renda operanti gli effetti della decadenza accertata (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito provvedimento dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata.
Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito provvedimento dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata (Cons. Stato, sez. V, 29.01.2008 n. 249; Cons. Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612; Cons. Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).
Il provvedimento demolitorio impugnato è quindi illegittimo non essendo preceduto da un provvedimento dichiarativo della intervenuta decadenza; è, altresì, illegittimo in quanto adottato in violazione dell’affidamento nella legittimità dell’intervento edilizio, ingenerato dall’inerzia dell’amministrazione protratta per un notevole lasso di tempo, a fronte di un illecito (il mancato inizio dei lavori entro il termine previsto dalla concessione) che, non avendo carattere permanente, necessita di una tempestiva contestazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.03.2010 n. 582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di una concessione edilizia, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita.
Il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione non sono di norma sufficienti a manifestare una reale volontà di esecuzione del manufatto (occorrendo, a tal fine, anche la messa a punto dell’organizzazione del cantiere e altri indizi che dimostrino il concreto proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione).

La giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi in ordine a fattispecie analoghe a quella ora all’esame, ha già chiarito che per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di una concessione edilizia, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita.
Il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione non sono di norma sufficienti a manifestare una reale volontà di esecuzione del manufatto (occorrendo, a tal fine, anche la messa a punto dell’organizzazione del cantiere e altri indizi che dimostrino il concreto proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione), ma possono, tuttavia, verificarsi casi particolari in cui il solo sbancamento, per interessare un’area di vaste proporzioni, costituisce sicuro indizio di un animus aedificandi e configura quindi valido avvio dei lavori, impedendo il verificarsi della decadenza della concessione;
Nel caso di specie le opere eseguite, con specifico riferimento a quanto dichiarato e documentato con il gravame, sembrano di modesta entità in relazione all’intervento programmato, ove si consideri che con il permesso in questione è stata autorizzata la costruzione di un edificio ad uso residenziale dell’altezza di oltre quindici metri e della volumetria di oltre mc. 3.700, mentre lo scavo realizzato appare di modeste dimensioni e di costo ridotto in relazione all’impegno finanziario richiesto per realizzare l’opera progettata (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 08.03.2010 n. 152 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza del permesso di costruire per decorso del termine di inizio o di ultimazione dei lavori - Nozione di "inizio dei lavori” - Art. 15, 2° c., T.U. n. 380/2001.
Ai sensi dell'art. 15, 2° comma, del T.U. n. 380/2001, i lavori devono ritenersi "iniziati" quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio. Sicché, va salvaguardata, l'esigenza di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
I soli lavori di sbancamento -non accompagnati dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di addivenire al compimento dell'opera assentata, attraverso un concreto, continuativo e durevole impiego di risorse finanziarie e materiali- non possono ritenersi idonei a dare dimostrazione dell'esistenza dei presupposti indispensabili per configurare un effettivo inizio dei lavori.
Nuovo permesso di costruire susseguente alla decadenza di altro già assentito - Vincolo dell'amministrazione comunale - Esclusione - Esamina delle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della presentazione - Necessità - T.U. n. 380/2001.
In sede di rilascio di nuovo permesso susseguente alla decadenza di altro già assentito, l'amministrazione comunale non può ritenersi vincolata da quello precedentemente dato, poiché si trova di fronte ad una istanza del tutto nuova, da esaminare in relazione alle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della presentazione [C.Stato, Sez. IV, ordinanza cautelare 25.02.2005, n. 966] (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.02.2010 n. 7114 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza di una concessione edilizia (ed oggi di un permesso di costruire) per la mancata osservanza del termine di inizio o di completamento dei lavori (ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto) opera "di diritto", con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo, e che non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica "ipso iure", senza che residui all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale.
Si è anche precisato che la pronunzia di decadenza del permesso di costruire per omesso rispetto dei termini fissati per l'inizio dei lavori o per il completamento degli stessi -in mancanza di apposita istanza di proroga entro la scadenza di tali termini- si qualifica come atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato inizio o completamento dei lavori nel termine assegnato, con la conseguenza che la decadenza del titolo si verifica in modo automatico e non è subordinata alla sua previa dichiarazione con atto amministrativo, e che l’istituto della decadenza ha carattere oggettivo trovando fondamento nel mero decorso del termine previsto, fatta eccezione per i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o altre cause espressamente contemplate dalle legge non riferibili alla condotta del titolare del permesso e assolutamente ostative all’esecuzione dei lavori.
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Per quanto riguarda poi la tipologia delle opere che possono far ritenere iniziati i lavori la giurisprudenza ha chiarito che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l'esistenza di una concreta "voluntas aedificandi" da parte del titolare del titolo edilizio.
In particolare si è affermato che, al fine di contestare la dichiarata decadenza della concessione edilizia (ed oggi di un permesso di costruire) per mancato inizio dei lavori nei termini non è sufficiente addurre l'avvenuta recinzione del cantiere, il posizionamento della baracca degli attrezzi, la pulizia dell'area, la realizzazione dell'impianto elettrico e di terra del cantiere, l'installazione della cartellonistica di cantiere, etc., trattandosi di circostanze che oltre ad esaurirsi in un brevissimo arco temporale non possono essere considerate significative di un effettivo inizio dei lavori di costruzione dell'edificio progettato e assentito.
Anche questa Sezione ha di recente affermato sul punto che l'esecuzione di mere attività preparatorie, quali il taglio degli alberi, l'apertura di un varco di accesso al terreno, la demolizione di parte di un muro di confine e la realizzazione di una nuova recinzione, non accompagnate dalla compiuta organizzazione del cantiere di lavoro, non costituiscono valido inizio dei lavori tale da impedire la decadenza del permesso di costruire per mancato rispetto del termine iniziale.

Al riguardo si deve preliminarmente ricordare che, come anche questa Sezione ha avuto modo di recente di affermare, la decadenza di una concessione edilizia (ed oggi di un permesso di costruire) per la mancata osservanza del termine di inizio o di completamento dei lavori (ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto) opera "di diritto", con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo, e che non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto che si verifica "ipso iure", senza che residui all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale (TAR Campania Napoli, sez. II, 30.01.2009, n. 542; TAR Sicilia Catania, sez. I, 15.09.2009, n. 1507).
Si è anche precisato che la pronunzia di decadenza del permesso di costruire per omesso rispetto dei termini fissati per l'inizio dei lavori o per il completamento degli stessi -in mancanza di apposita istanza di proroga entro la scadenza di tali termini- si qualifica come atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato inizio o completamento dei lavori nel termine assegnato, con la conseguenza che la decadenza del titolo si verifica in modo automatico e non è subordinata alla sua previa dichiarazione con atto amministrativo (TAR Valle d'Aosta Aosta, sez. I, 19.03.2009, n. 19), e che l’istituto della decadenza ha carattere oggettivo trovando fondamento nel mero decorso del termine previsto, fatta eccezione per i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o altre cause espressamente contemplate dalle legge non riferibili alla condotta del titolare del permesso e assolutamente ostative all’esecuzione dei lavori (TAR Piemonte, Sez. I, n. 2113 del 28.07.2009).
Per quanto riguarda poi la tipologia delle opere che possono far ritenere iniziati i lavori la giurisprudenza ha chiarito che le opere realizzate devono essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché avere una certa consistenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 29.11.2004, n. 7748; TAR Toscana, sez. III, 17.11.2008, n. 2533), dovendosi così escludere che possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano l'esistenza di una concreta "voluntas aedificandi" da parte del titolare del titolo edilizio.
In particolare si è affermato che, al fine di contestare la dichiarata decadenza della concessione edilizia (ed oggi di un permesso di costruire) per mancato inizio dei lavori nei termini non è sufficiente addurre l'avvenuta recinzione del cantiere, il posizionamento della baracca degli attrezzi, la pulizia dell'area, la realizzazione dell'impianto elettrico e di terra del cantiere, l'installazione della cartellonistica di cantiere, etc., trattandosi di circostanze che oltre ad esaurirsi in un brevissimo arco temporale non possono essere considerate significative di un effettivo inizio dei lavori di costruzione dell'edificio progettato e assentito (Consiglio Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030).
Anche questa Sezione ha di recente affermato sul punto che l'esecuzione di mere attività preparatorie, quali il taglio degli alberi, l'apertura di un varco di accesso al terreno, la demolizione di parte di un muro di confine e la realizzazione di una nuova recinzione, non accompagnate dalla compiuta organizzazione del cantiere di lavoro, non costituiscono valido inizio dei lavori tale da impedire la decadenza del permesso di costruire per mancato rispetto del termine iniziale (TAR Campania Napoli, sez. II, 25.09.2008, n. 10890) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 27.01.2010 n. 335 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: La decadenza della concessione edilizia non deve essere dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la stessa natura dichiarativa.
Osserva il Collegio che, come si evince dalla documentazione in atti, il ritiro del suddetto titolo edilizio è avvenuto il 16.02.2007, quando era decorso il termine di un anno dal suo rilascio (14.02.2006), con conseguente decadenza del medesimo ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”.
Ciò è stato del resto riconosciuto dallo stesso Comune di Fano, che con nota in data 17.05.2007 prot. n. 34219 ha accolto l’istanza della s.r.l. Domega di rimborso degli oneri (prima rata) già corrisposti, dando atto che il P.d.C. n. 818/2005 “è ormai decaduto”. Né, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa della società concessionaria, la decadenza deve essere dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la stessa natura dichiarativa (cfr. Cons. St., Sez. IV, 18.06.2008, n. 3030).
In accoglimento della censura deve essere pertanto disposto l’annullamento dell’atto di accertamento da ultimo menzionato
(TAR Marche, sentenza 28.12.2009 n. 1475  - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon riferimento all’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, laddove prevede che «... b) il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal “rilascio” del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare i tre anni dall'inizio dei lavori», appare più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine a quo del computo dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
E' da ritenere la concessione edilizia atto avente natura recettizia e, dunque, il termine di decadenza di un anno per l'inizio dei lavori prende corso non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato.
Parte ricorrente lamenta che, nel disporre l’archiviazione del procedimento finalizzato alla prospettica declaratoria di decadenza del permesso di costruire n. 104/2005 per mancato rispetto dei termini di inizio e di conclusione dei lavori, l’Amministrazione abbia violato la regola, a suo dire inequivocamente desumibile dalla lettera dell’art. 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, secondo cui la decorrenza dei termini de quibus dovrebbe ancorarsi alla data di adozione e non di partecipazione del titolo abilitativo alla edificazione, in quanto per definizione non recettizio.
L’assunto non è condivisibile.
In verità, la questione (di puro diritto) non trova a tutt’oggi concordi gli interpreti.
Importa, in ogni caso, premettere che l’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, prevede che:
a) nel permesso di costruire siano indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori;
b) che, in particolare, il termine per l’inizio dei lavori non possa essere superiore ad un anno dal “rilascio” del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare i tre anni dall'inizio dei lavori;
c) che, decorsi tali termini, il permesso decada di diritto per la parte non eseguita, a meno che, anteriormente alla scadenza venga richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque, decorrere il termine “dal rilascio del titolo” (e non dalla sua successiva comunicazione all’interessato), ciò che induce un corposo filone giurisprudenziale (con l’assenso di parte della dottrina) alla tesi della non ricettizietà (confermata, per un verso, dalla ratio della previsione –preordinata a tutelare l’interesse pubblico a che il rilascio di titoli edilizi non seguiti dalla pronta ed effettiva realizzazione delle opere progettate non precluda l’immutazione degli assetti programmatori del territorio– e, per altro verso, dal tenore dell’attuale art. 21-bis della l. n. 241 del 1990, il quale, recependo sul punto le elaborazioni pretorie, dice recettizi solo i provvedimenti limitativi della sfera del destinatario, legittimando l’argomentazione a contrario per quelli ampliativi). In tali sensi sono, esemplificativamente, Cass., sez. I, 30.11.2006, n. 25536; TAR Liguria, 11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna, 10.11.1992, n. 1429; Cons. Stato, sez. V, 02.07.1993, n. 770 (e secondo TAR Lazio Latina, 09.07.2007, n. 482, mentre a norma dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del provvedimento concessorio, nel vigore della attuale disciplina la decorrenza è ancorata alla data di “rilascio” e non più di “ritiro”).
Non mancano, peraltro, pronunce secondo le quali la concessione edilizia deve ritenersi provvedimento amministrativo “recettizio”, che, come tale, si perfeziona solo con la comunicazione agli interessati (in tal senso, per esempio, Cons. Stato, sez. V, 27.09.1996, n. 1152, TAR Piemonte, 04.11.2008, n. 2749; TAR Sicilia Catania, 07.04.2009, n. 678).
Al Collegio appare preferibile la tesi della natura recettizia del provvedimento.
A tal fine importa preliminarmente osservare, sul piano della interpretazione letterale, che il termine “rilascio” (sul quale fa anzitutto leva l’opposta opzione ricostruttiva) non appare, di per sé, univoco, potendo sematicamente evocare sia la “emanazione” del provvedimento, sia la “consegna” al destinatario.
Peraltro, tra le due possibili significazioni, la seconda appare sicuramente più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest'ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell'atto, avrebbe verisimilmente usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell'atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Tra l'altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l'interesse della parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale e nessuna formalità avrebbe pieno senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
La tesi trova implicita conferma, sul piano della analisi sistematica della disciplina normativa in subiecta materia, dalla lettura dell’art. 20 del d.p.r. n. 380, che prospetta il contestuale riferimento alla “adozione”, alla “notifica” ed, appunto, al “rilascio” del provvedimento, legittimando l’assunto che quest’ultimo –per non coincidere con la mera adozione– debba riferirsi alla notifica del provvedimento al beneficiario.
Dispone, infatti, il comma 7 dell’art. 20 cit. che “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all'interessato, è adottato dal dirigente [...] entro quindici giorni dalla proposta di cui al comma 3” e che “dell'avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all'albo pretorio”.
Appare allora evidente che, essendo espressamente contemplata l’“adozione” del provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione” mediante notifica, quel “rilascio” del provvedimento cui tutta la disciplina dell'art. 20 è preordinata non può che essere costituito da una fase complessa che si compone di due momenti, appunto l’“adozione” (che è ad opera del dirigente o del responsabile) e la “notifica” dello stesso provvedimento (che avviene a cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica” e non alla comunicazione pura e semplice, ne discende che il legislatore connette effetti costitutivi alla fase della trasmissione dell'atto al destinatario, dal momento che richiede l'acquisizione di una data certa in cui ciò avviene e disciplina espressamente la responsabilità di tale adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello chiamato all'adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma della riassunta interpretazione si trae dall’esame della disciplina del silenzio rifiuto che, secondo il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro il termine di legge, non viene “adottato” il provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa ancora riferimento all'adozione dell'atto, non al suo rilascio, con ciò dimostrando come l'uso del termine sia consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa. E ciò tanto più che, formandosi il silenzio rifiuto per mancanza “adozione” dell'atto finale, si conferma non solo che le nozioni di “adozione” e “rilascio” sono diverse, ma anche che l'eventuale adozione non seguita dalla notifica non determina silenzio rifiuto. In altri termini, l'atto adottato e non comunicato, per effetto del comma 9 dell'art. 20 cit., va considerato come “perfetto” ed inefficace, in quanto carente della necessaria fase integrativa dell'efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine a quo del computo dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
Argomento contrario non può trarsi, per contro, dalla lettera dell’art. 21-bis della legge n. 241/1990, il quale, come è noto, pone il principio secondo il quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato sono a carattere necessariamente recettizio (avendo, in sostanza, il legislatore recepito l’elaborazione giurisprudenziale e l’insegnamento dottrinario, alla cui stregua l'atto amministrativo è, per sua natura, recettizio ogni qual volta richieda, per essere portato ad esecuzione, la collaborazione del privato e dunque postuli la sua effettiva conoscenza, in capo a quest'ultimo)
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti "sfavorevoli" deriva da esigenze di certezza dell'azione amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, si ritiene, argomentando a contrario, che tutti gli altri atti amministrativi non siano recettizi e dunque si perfezionino solo con la loro emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione successiva carattere di necessità ai fini della perfezione dell'atto.
Vero è, peraltro, che, in un singolo provvedimento amministrativo “ampliativo” possono sussistere clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione, ai fini della integrazione della efficacia, appare, dunque, una evidente contraddizione con il principio e la ratio dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un atto limitativo della sfera giuridica del privato quello specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne condiziona l'utilità al compimento necessitato di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza (in termini, TAR Sicilia Catania, 07.04.2009, n. 678, al cui complessivo ragionamento il Collegio presta adesione).
Con più lungo discorso, l'atto ampliativo, sebbene favorevole al privato, quando contiene prescrizioni restrittive connesse, quale condizione di mantenimento, all'effetto favorevole (peraltro, relative proprio al decorso del tempo), è comunque atto recettizio e, dunque, va necessariamente comunicato.
Vale anche (con argomento orientato alle conseguenze) apprezzare le implicazioni pratiche del riassunto principio.
Se si ammettesse, invero, che la concessione edilizia non è atto recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto, incolpevolmente, ai ritardi dell'ufficio comunale preposto alla comunicazione dell'atto, il quale, a sua volta, potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con il proprio comportamento più o meno negligente, parte del termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, ben potrebbe non essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o addirittura oltre la consumazione del termine annuale, potrebbe ipotizzarsi la richiesta di una rimessione in termini o, comunque, di una proroga: ma è evidente che si tratterebbe pur sempre di una attività ulteriore e ad esito non garantito, oltretutto in tesi imposta per implausibilmente ovviare ad una circostanza che non è a lui imputabile e dunque, per fare fronte a quella che resterebbe pur sempre una inefficienza dell'ufficio comunale.
Sono, in definitiva, non meno ragioni testuali che esigenze sostanziali di tutela ad imporre di ritenere la concessione edilizia come atto avente natura recettizia e dunque sancire che il termine di decadenza di un anno per l'inizio dei lavori prende corso non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia, come chiarito, consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato (che tale risulti agli atti del Comune) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 16.12.2009 n. 7923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACirca l’efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire (art. 15 T.U. n. 380 del 2001) è stato affermato in giurisprudenza che la perdita di efficacia della concessione di costruzione edilizia per mancato inizio od ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale pronuncia di decadenza da parte dell’amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio col privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possano giustificare la pronuncia stessa.
Essa, invero, costituisce atto che presuppone il mero decorso del tempo, eccettuati i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o cause espressamente contemplate dalla legge, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, nel caso in cui manchi un espresso atto sindacale di proroga del termine stesso, non potendosi configurare un atto tacito di proroga del termine stesso, pur in presenza delle condizioni di legge per farvi luogo.
E’ stato, altresì, affermato che l’atto di decadenza della concessione di costruzione, per mancato inizio dei lavori nel termine stabilito, non ha carattere dichiarativo, ma costitutivo, comportando esercizio del potere di discrezionalità tecnica, in funzione di un interesse pubblico.

Il Collegio ritiene che la censura svolta al riguardo dall’appellante sia fondata. Invero, circa l’efficacia temporale e decadenza del permesso di costruire (art. 15 T.U. n. 380 del 2001) è stato affermato in giurisprudenza che la perdita di efficacia della concessione di costruzione edilizia per mancato inizio od ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale pronuncia di decadenza da parte dell’amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio col privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che possano giustificare la pronuncia stessa (Cons. Stato, VI Sez., n. 671/2006; V Sez. n. 4954/2006).
Essa, invero, costituisce atto che presuppone il mero decorso del tempo, eccettuati i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o cause espressamente contemplate dalla legge, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, nel caso in cui manchi un espresso atto sindacale di proroga del termine stesso, non potendosi configurare un atto tacito di proroga del termine stesso, pur in presenza delle condizioni di legge per farvi luogo (Cons. Stato, IV Sez., n. 3196/2006; V Sez. n. 597/2000).
E’ stato, altresì, affermato che l’atto di decadenza della concessione di costruzione, per mancato inizio dei lavori nel termine stabilito, non ha carattere dichiarativo, ma costitutivo, comportando esercizio del potere di discrezionalità tecnica, in funzione di un interesse pubblico (C.G.A. n. 743/2006)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.10.2009 n. 6545 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza della concessione edilizia (ora permesso di costruire), l'effettivo inizio dei relativi lavori deve essere valutato non in termini generali ed astratti, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, allo scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e/o simbolici e in ogni caso non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla costruzione dell'opera progettata.
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... per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, del permesso di costruire n. 720/2004, emesso con riferimento alla pratica edilizia n. 4/2004, rilasciato dall’arch. De.Pa. nella sua qualità di responsabile comunale del servizio urbanistico ai sigg. Ma.Ru.Fa., ora deceduto, e alla sig.ra De Do.Ri.Ma. - conosciuto dalla ricorrente solo in data 01.04.2008;
...
Anche il quarto motivo di ricorso con il quale la ricorrente deduce la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal rilascio del titolo ai sensi dell’art. 15 del DPR 380/2001, non coglie nel segno (a prescindere dalla considerazione che la decadenza deve essere dichiarata con un atto che, pur se dovuto e di carattere ricognitivo,è nondimeno un atto, sicché la sua assenza non determina un vizio delle fasi del procedimento amministrativo susseguenti ma va censurata nei modi debiti).
Secondo la ricorrente la comunicazione dell’inizio dei lavori (avvenuta in data 27.10.2005) due giorni prima della scadenza del termine di un anno (29.10.2005) non può essere ritenuta adempimento utile ai fini della dimostrazione dell’inizio tempestivo dei lavori stessi mancando dei presupposti essenziali (in assenza di comunicazione del nominativo, qualifica e residenza del direttore dei lavori e del nominativo e residenza del costruttore con la firma di questi ultimi).
La Sezione ritiene, al riguardo, e condividendo sul punto quanto precisato dal prevalente orientamento della giustizia amministrativa in materia, che ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza della concessione edilizia (ora permesso di costruire), l'effettivo inizio dei relativi lavori debba essere valutato non in termini generali ed astratti, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, allo scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e/o simbolici e in ogni caso non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla costruzione dell'opera progettata (v. TAR Liguria, sez. I, 19/10/2007 n. 1775; TAR Lazio - LT - 23/02/2007 n. 132; TAR Marche, sez. I, 11/07/2006 n. 525; TAR Campania - NA - sez. IV, 05/01/2006 n. 56).
Nella specie, il Collegio ritiene che la nota del 20.12.2007 della ditta M., con la quale si comunica che era stato provveduto al tracciamento di plinti e travi in fondazione per la realizzazione dello scavo, allo sbancamento parziale del terreno e all’organizzazione del cantiere, evidenzia di per se la sussistenza di un concreto animus aedificandi; peraltro, l’affermazione della ricorrente riguardante il mancato concreto inizio dei lavori nel termine suddetto non risulta suffragata da alcun concreto elemento probatorio, sicché non vi sono ragioni per condividere la tesi da quest’ultima esposta (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 11.07.2009 n. 1809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decadenza titolo abilitativo.
Ai fini della decadenza del permesso di costruire se, da un lato, non può considerarsi dirimente allo scopo la mera comunicazione circa l’avvio dell’intervento edilizio, allo stesso modo non può ritenersi dotata di univoca rilevanza probatoria di segno contrario la dichiarazione verbale, fatta in buona fede ed a proprio danno, dall’interessato, nel quale non può presumersi una conoscenza tecnico-giuridica degli elementi idonei ad integrare validamente la nozione di “inizio dei lavori”, secondo le acquisizioni giurisprudenziali formatesi sul punto (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 02.07.2009 n. 3655 - link a www.
lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La perdita di efficacia della concessione edilizia richiede sempre l'adozione di un atto dell'amministrazione che accerti i presupposti della decadenza e ne renda operanti gli effetti.
La decadenza di una concessione edilizia non può essere implicitamente ritenuta dall’Amministrazione, ma deve al contrario costituire oggetto di formale ed apposita contestazione.
Per giurisprudenza da ritenersi consolidata la perdita di efficacia della concessione edilizia richiede sempre l’adozione di un atto dell’amministrazione che accerti i presupposti della decadenza e ne renda operanti gli effetti, per cui è indifferente che l’atto abbia carattere dichiarativo ovvero costitutivo giacché in un caso e nell’altro la perdita di efficacia della concessione è subordinata all’esplicitazione di una potestà provvedimentale (ex plurimis, CdS V Sez., 15.06.1998 n. 834; Tar L’Aquila, 04.10.2006, n. 750; Tar Campania, Salerno Sez. II, 12.04.2005) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 23.04.2009 n. 1004 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe alla D.I.A. si applichi l’istituto della decadenza previsto per il permesso di costruire dall’art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
In base ad una analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi possibile anche alla D.I.A. l’applicazione degli istituti previsti per il permesso di costruire, in quanto entrambi gli istituti hanno in comune la natura di “titoli edilizi” e secondariamente alla luce dei poteri che il legislatore ha previsto in capo alle Amministrazioni deputate al controllo degli interventi posti in essere con la D.I.A..
Il Collegio premette che, al fine di decidere la fattispecie oggetto di gravame, non è necessario assumere posizione in ordine alla natura giuridica della D.I.A (provvedimentale o dichiarazione del privato), considerato che tale vexata quaestio non incide sull’esercizio del potere inibitorio che l’Amministrazione può esercitare nel corso dei 30 giorni dalla denuncia, né sui poteri di autotutela che è legittimata ad esercitare una volta spirato il suddetto termine.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento di quella parte della giurisprudenza alla luce del quale, nonostante il richiamo specifico dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, che disciplinano la revoca e l’annullamento d’ufficio, il potere dell’Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela che la suddetta norma fa salvo, non si esaurisce nell’utilizzazione dei suddetti istituti, ma deve intendersi comprensivo di tutte le iniziative che l’Amministrazione è legittimata ad assumere per ristabilire, nel pubblico interesse, la legalità violata, compresa, quindi, la decadenza, come sostenuto da parte resistente.
La giurisprudenza ha, d’altro canto, già ritenuto applicabile alla D.I.A. edilizia l’art. 31, comma 11 della legge n. 1150 del 1942, avente lo stesso contenuto del citato art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto espressione dei permanenti poteri di vigilanza che, nel pubblico interesse, sono attribuiti all’Amministrazione in ordine all’esecuzione dell’opera autorizzata ed ai sensi dell’art. 4, comma 10 del D.L. 05-10-1993 n. 398, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 04.12.1993, n. 493 che recita: “L'esecuzione delle opere per cui sia esercitata la facoltà di denuncia di attività ai sensi del comma 7 è subordinata alla medesima disciplina definita dalle norme nazionali e regionali vigenti per le corrispondenti opere eseguite su rilascio di concessione edilizia” (TAR Lombardia, Brescia, ord. n. 27/2003, giurisprudenza alla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 - Permesso di costruire - Decadenza a seguito dell’entrata in vigore di nuova disciplina urbanistica - Applicabilità alla D.I.A..
L’istituto della decadenza previsto per il permesso di costruire dall’art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”, si applica anche alla D.I.A.
Ciò, prioritariamente, in base ad una analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi possibile anche alla D.I.A. l’applicazione degli istituti previsti per il permesso di costruire, in quanto entrambi gli istituti hanno in comune la natura di “titoli edilizi” e secondariamente alla luce dei poteri che il legislatore ha previsto in capo alle Amministrazioni deputate al controllo degli interventi posti in essere con la D.I.A. (TAR Umbria, 15.07.2007, n. 518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 15 d.p.r. n. 380/2001 - Decadenza del permesso di costruire - Ipotesi - Limiti tassativi - Disciplina civilistica - Assimilabilità al vizio funzionale della causa.
La decadenza del permesso di costruire è regolata dall’art. 15 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede due ipotesi: un primo caso per il decorso dei termini indicati nel titolo assentito; una seconda specie per il sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con il permesso di costruire.
L’opinione interpretativa prevalente tende, quindi, a ritenere che il legislatore abbia voluto consentire la decadenza solo nei due casi sopra indicati, da intendersi come limiti tassativi di applicabilità dell’istituto. La decadenza postula, quindi un titolo valido ab inizio ed una sopravvenienza che incide sul rapporto.
Tale fattispecie può assimilarsi al vizio funzionale della causa del negozio giuridico nella disciplina civilistica, che si differenzia dal vizio genetico della causa che ricorre quando l’atto nasce viziato ab origine (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 981 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIn merito al rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire), il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l’interesse della parte è a natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale (infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il decorso del termine a provvedere è qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
Appare più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine “a quo” del computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.

Nella disciplina in vigore a livello nazionale, viene in esame l’art. 15 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, a norma del quale ”1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. 2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga”.
Tale disposizione pare recare una espressa ed esplicita decorrenza del termine “dal rilascio del titolo” che, nella lettura della giurisprudenza più recente, non consente di conferire rilevanza alla comunicazione del titolo agli interessati.
A tale proposito, si osserva infatti che secondo alcune pronunce (TAR Lazio Latina, I, 09.07.2007, nr. 482), a norma dell’art. 31 della l. 17.08.1942, nr. 1150, la decorrenza dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del provvedimento concessorio, mentre nel vigore della disciplina attuale (art. 15, comma 2 del DPR 380/2001), decorre dalla data di “rilascio” e non più di “ritiro”.
Analogamente, altre pronunce espressamente ritengono la c.e. un atto non recettizio idoneo a produrre gli effetti suoi propri dalla data di emanazione (Cass. Civ. I 30.11.2006, nr. 25536; TAR Liguria Genova, I, 11.03.2003 n. 279; TAR Sardegna 10.11.1992, nr. 1429; sulla natura non recettizia della licenza edilizia, cfr. anche Consiglio di Stato, V, 11.07.1980, nr. 695; V, 28.04.1981 nr. 141; V, 30.09.1983 nr. 413; 02/07/1993, nr. 770).
Confermerebbe, nell’ordinamento regionale siciliano, la natura non recettizia della concessione edilizia, il regime del rilascio della concessione ex art. 2 della LR 17/1994, considerato che, secondo la giurisprudenza, la comunicazione di inizio dei lavori non potrebbe intervenire oltre l’anno dalla formazione del titolo tacito (TAR Sicilia Palermo, III, 09.11.2006 n. 2979), a pena di evidenti disparità di trattamento tra il titolare del titolo tacito e quello in possesso di un titolo formale (per il quale varrebbero i termini di inizio ed ultimazione delle opere secondo la disciplina di cui all’art. 36 LR 71/1978 che rappresenta l’equivalente normativo dell’attuale art. 15 del DPR 380/22001 in ambito nazionale e che, come quest’ultima norma, fa riferimento alla data di “rilascio” del titolo per la decorrenza dei suddetti termini, che viene letta, in tal senso, come data di emanazione dell’atto concessorio).
Non mancano, comunque, nella giurisprudenza più risalente, pronunce secondo le quali la concessione edilizia è un provvedimento amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006, nr. 3166).
Quest’ultimo ordine di principi è dominante nella dottrina specialistica, che, tra le voci più autorevoli, ha evidenziato che la natura del problema dipende dall’interesse tutelato: se si considera che il termine di inizio dei lavori tutela l’interesse pubblico alla celere esecuzione dei lavori, al fine di non permettere che essi avvengano in un contesto urbanistico modificatosi per effetto del trascorrere del tempo, rispetto a quello preso in esame al momento del rilascio del titolo, la decorrenza dell’anno per l’inizio dei lavori avviene dalla data del titolo. Se, invece, si considera il termine come posto a tutela dell’interesse del privato per consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori, decorre dalla data di consegna dell’atto. Attesa, comunque, la natura sanzionatoria del termine, quest’ultima tesi dovrebbe essere preferita.
Il Collegio non è pago delle conclusioni cui è pervenuto l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, per più ordini di ragioni.
La norma previgente, che nell’art. 15 del DPR in esame è confluita, ossia l’art. 4 L. n. 10/1977, prevedeva che “nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, ….omississ”.
Come è evidente, la disposizione oggi in vigore è chiara nel fissare, quale termine a quo la data di “rilascio” del titolo, a differenza della disposizione di cui all’art. 4 che, invece, fissava solo una espressa disciplina del termine finale.
Tuttavia, il termine “rilascio” non appare univoco, in prima lettura, perché può sostanzialmente significare (da un punto di vista semantico) sia “emanazione”, sia “consegna”, con ovvie diverse conseguenze ai fini della decorrenza degli effetti.
Tra le due possibili significazioni, la seconda appare sicuramente più rispondente al lessico del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione” dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Tra l’altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può non equivalere a consegna perché l’interesse della parte è a natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale (infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il decorso del termine a provvedere è qualificato come silenzio rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale del documento.
Conferme in tal senso derivano all’interprete dall’analisi sistematica del complesso di norme che, nel DPR 380/2001, disciplinano il procedimento di formazione della concessione edilizia.
L’art. 20 è, infatti, rubricato “procedimento per il ‘rilascio’ del permesso di costruire”; il comma 1 disciplina la presentazione della “domanda per il ‘rilascio’ del permesso..”; altri riferimenti al termine “rilascio” sono contenuti in varie parti della disposizione; ciò che più appare pertinente alla analisi in oggetto è, però, il comma 7 della disposizione in esame, a norma del quale “il provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a notificare all’interessato, è adottato dal dirigente…entro quindici giorni dalla proposta di cui al comma 3….dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire è data notizia al pubblico mediante affissione all’albo pretorio….”.
Secondo la lettura della disposizione, globalmente considerata, appare evidente che, poiché è, per la prima volta, chiaramente contemplata l’”adozione” del provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione” mediante notifica, è evidente che quel “rilascio” del provvedimento cui tutta la disciplina dell’art. 20 è preordinata, non può che essere costituito da una fase complessa che si compone di due momenti, appunto l’”adozione” (che è ad opera del dirigente o del responsabile) e la “notifica” dello stesso provvedimento (che avviene, quest’ultima, a cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica” e non alla comunicazione pura e semplice, ne deriva che il legislatore connette effetti costitutivi alla fase della trasmissione dell’atto al destinatario, dal momento che richiede l’acquisizione di una data certa in cui ciò avviene e disciplina espressamente la responsabilità di tale adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello chiamato all’adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma si ha nell’esame della disciplina del silenzio rifiuto che, secondo il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro il termine di legge, non viene “adottato” il provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa ancora riferimento all’adozione dell’atto, non al suo rilascio, con ciò dimostrando come l’uso del termine sia consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa.
Inoltre, formandosi il silenzio rifiuto per mancanza “adozione” dell’atto finale, si conferma non solo che le nozioni di “adozione” e “rilascio” sono diverse, ma anche che l’eventuale adozione non seguita dalla notifica non determina silenzio rifiuto. Su questo aspetto si tornerà oltre. Qui vale rilevare che l’atto adottato e non comunicato, per effetto del comma 9 dell’art. 20, va considerato come “perfetto” ed inefficace, in quanto carente della necessaria fase integrativa dell’efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia riferimento alla data della consegna del titolo in mani del destinatario quale termine “a quo” del computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
Ad avviso del Collegio, altri argomenti di natura sistematica portano a dover concludere nel medesimo segno e dunque in diverso avviso dalla giurisprudenza dominante.
L’art. 21-bis della l. 241/1990 pone il principio secondo il quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato sono a carattere necessariamente recettizio; il legislatore ha così recepito l’insegnamento anche della dottrina, secondo il quale l’atto amministrativo è per sua natura recettizio ogni qual volta richieda, per essere portato ad esecuzione, la collaborazione del privato e dunque postuli la sua effettiva conoscenza, in capo a quest’ultimo.
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti “sfavorevoli” deriva da esigenze di certezza dell’azione amministrativa e di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, la dottrina ha ritenuto anche che tutti gli altri atti amministrativi non sono recettizi e dunque si perfezionano solo con la loro emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione successiva, un carattere di necessità ai fini della perfezione dell’atto.
Anche aderendo a tale ricostruzione dottrinaria, il Collegio deve però osservare che, in un singolo provvedimento amministrativo “ampliativo” possono sussistere clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione,ai fini della integrazione della efficacia, appare, dunque,una evidente contraddizione con il principio e la ratio dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un atto limitativo della sfera giuridica del privato quello specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne condiziona l’utilità al compimento necessitato di determinate attività entro specifici termini posti a pena di decadenza.
In altri termini, l’atto ampliativo, sebbene favorevole al privato, quando contiene prescrizioni restrittive connesse, quale condizione di mantenimento, all’effetto favorevole (peraltro, relative proprio al decorso del tempo), è comunque atto recettizio e, dunque, va necessariamente comunicato.
Si considerino anche le implicazioni pratiche del principio appena espresso.
Se si ammettesse che la concessione edilizia non è atto recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto, incolpevolmente, ai ritardi dell’ufficio comunale preposto alla comunicazione dell’atto, il quale, a sua volta, potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con il proprio comportamento più o meno negligente, parte del termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, potrebbe anche (ed ordinariamente dovrebbe essere proprio così) non essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o addirittura oltre la consumazione del termine annuale, potrebbe chiedere una rimessione in termini o comunque una proroga: ma è evidente che si tratterebbe pur sempre di una attività ulteriore che gli si richiederebbe per ovviare ad una circostanza che non è a lui imputabile e dunque, per fare fronte a quella che resterebbe pur sempre una inefficienza dell’ufficio comunale.
Pertanto, a giudizio del Collegio, ragioni testuali e sostanziali di tutela impongono di ritenere la concessione edilizia come atto avente natura recettizia e dunque ritenere che il termine di decadenza di un anno per l’inizio dei lavori, ha inizio non dalla data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato” ossia consegnato nelle debite forme amministrative facenti fede certa della data, al titolare o al suo delegato (che tale risulti agli atti del Comune).
Dall’analisi appena svolta, emerge dunque che, secondo il Collegio, la concessione edilizia dei controinteressati ha acquisito effetti, nei confronti di questi ultimi, solo dalla data della notifica come risulta dalla relata apposta in calce al provvedimento depositato in atti.
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Venendo adesso alla fattispecie che è all’esame del giudizio, dalla esposizione che precede, si è visto che il legislatore (sia quello regionale che quello nazionale), non contempla i termini di “notifica” o comunicazione dell’atto ampliativo costituito dal titolo edilizio al suo titolare da parte del Comune.
A stretto rigore, quindi, l’Ufficio comunale competente potrebbe non procedere alla notifica nella stessa data di emanazione; anzi, la differenza temporale tra i due momenti potrebbe essere significativa, non essendo normata.
Tuttavia, sebbene non sussista una previsione espressa di procedere “immediatamente” alla notifica della concessione edilizia, dal complesso delle disposizioni in esame e dalla ratio della disciplina dei termini decadenziali contenuti nella concessione per l’inizio e per la fine dei lavori, emerge che sull’Ufficio comunale incombe un obbligo ben preciso di evasione immediata della comunicazione della concessione edilizia all’interessato.
Infatti, scopo della disciplina dei termini per l’inizio e fine dei lavori, nella concessione edilizia, è quello di assicurare l’effettività della disciplina edilizia, ossia che la trasformazione urbana assentita avvenga in quel medesimo contesto territoriale e del comprensorio che è stato considerato nella fase autorizzatoria, in modo da scongiurare che l’evoluzione dell’abitato possa in qualche maniera essere compromessa, rispetto al disegno dello strumento urbanistico, da fenomeni edilizi risalenti, o comunque assentiti in contesti mutati (Consiglio di Stato, V, 28.06.2000, nr. 3638).
Se, dunque, fosse concesso all’Ufficio comunale competente, di dilazionare a sua discrezione il momento della comunicazione dell’atto, si consentirebbe, al di fuori dell’esercizio del potere vincolato che in materia urbanistica incombe circa l’esame delle istanze di concessione edilizia, di rendere inefficace la riconosciuta pretesa del privato al conseguimento del bene della vita, con ogni intuibile conseguenza sia in termini di conservazione dell’interesse legittimo pretensivo (che viene esposto alla possibile mutazione della normativa urbanistica, con conseguente decadenza della concessione edilizia ex art. 15 comma 4 del DPR 380/2001, ossia per l’entrata in vigore di norme urbanistiche in contrasto con la concessione i cui lavori non sono iniziati e, se iniziati, non sono completati entro tre anni), sia in termini di effettività della disciplina urbanistica.
In altri termini, il ritardo dell’ufficio nella doverosa comunicazione del titolo edilizio al richiedente comporta una corrispondente lesione sia dell’interesse privato, che dell’interesse pubblico ed è illegittimo.
Inoltre, si consideri che il “rilascio” della concessione è soggetto ad un regime di pubblicità a terzi costituito dalla pubblicazione all’albo pretorio.
Nella fattispecie, tale pubblicazione è avvenuta contestualmente all’adozione della concessione edilizia, ossia nel 2002.
Laddove la pubblicità a terzi preceda la notifica della concessione al privato richiedente (che non può considerarsi compreso nel novero dei soggetti dei quali si presume la conoscenza per effetto della pubblicazione all’Albo, perché ha diritto alla comunicazione personale), si crea nella collettività dei consociati la consapevolezza dell’avvenuta formazione del titolo tacito, con la conseguenza che ciascuno ha ragione di attendersi la modifica edilizia assentita e, nella mancanza di essa, ritenere decaduto il titolo.
Questa è appunto la posizione dell’odierno ricorrente, il quale ha concretizzato un proprio affidamento sulla decadenza del titolo edilizio (giustificabile, come si è visto, alla luce della maggioritaria giurisprudenza in merito), che lo ha portato, da un lato, ad intentare l’odierno ricorso, dall’altro a non impugnare nella sede di annullamento il titolo edilizio che riteneva decaduto, consumando così i termini di proposizione del gravame (che, in ipotesi, potrebbe essere riproposto solo previo riconoscimento dell’errore scusabile e la rimessione in termini da parte del giudice adito, cosa che presuppone però, da parte sua, l’assunzione del rischio di un giudizio dall’esito, sul punto, tutt’altro che prevedibile).
Quindi la discrasia tra il regime di pubblicità a terzi e la comunicazione dell’atto all’interessato genera incertezza anche nel novero dei possibili controinteressati.
Da questa esposizione e dalla precedente premessa, deriva che, laddove un titolo edilizio sia stato notificato al richiedente in tempi irragionevolmente lunghi, da apprezzarsi in base alle concrete dimensioni degli uffici e della organizzazione del Comune, sussiste in capo all’Ente un preciso obbligo di intervento volto ad accertare:
a) l’attuale validità del titolo edilizio: il contesto potrebbe infatti essere mutato e l’oggetto dell’intervento edilizio a suo tempo assentito potrebbe necessitare di modifiche, adeguamenti o, in ipotesi, potrebbe anche essere divenuto irrealizzabile, con ogni evidente conseguenza in ordine al potere-dovere di annullamento del titolo sussistente in capo al Comune (tale obbligo, nella fattispecie in esame è rafforzato dal fatto che il ricorrente ha chiesto espressamente la verifica della compatibilità tra il titolo edilizio e lo strumento urbanistico, lamentando varie violazioni di quest’ultimo);
b) la responsabilità della mancata comunicazione, che costituisce violazione dei doveri di ufficio dei responsabili degli uffici preposti.
Nella odierna fattispecie, l’attivazione di tali poteri di intervento va considerata come implicitamente compresa nella istanza del ricorrente che è rimasta inevasa: sul Comune incombe infatti l’obbligo, come si è visto prima, di dare risposta alla istanza del privato volta ad ottenere l’esercizio di un potere doveroso quale quello del controllo della validità delle trasformazioni edilizie in corso sul territorio; inoltre, sussiste in capo al ricorrente un preciso interesse alla trasparenza dell’azione amministrativa, che è tutelato dalla legge come interesse generale ed altresì come interesse legittimo sussistente in capo agli interessati ed ai controinteressati di un procedimento amministrativo.
In tal senso, il Comune deve rispondere al ricorrente informandolo di ogni aspetto del procedimento che possa concorrere a fare piena chiarezza sulle ragioni del ritardo con il quale il rilascio del titolo si è completato ed, inoltre, deve accertare l’attuale coerenza del progetto edilizio con il contesto territoriale nel procedimento amministrativo aperto alla partecipazione degli interessati e dei controinteressati.
A tale proposito non soddisfa l’obbligo di attualizzazione del titolo edilizio l’allegato con il quale è stato “modificato” il progetto originale prescrivendo un prolungamento del marciapiede.
L’accertamento va, infatti, condotto anche nelle forme e con le garanzie proprie del procedimento edilizio, primo tra tutte l’acquisizione del parere della Commissione edilizia, ove esistente nell’ordinamento comunale, nonché l’adozione di un atto di modifica della concessione edilizia originaria, nelle forme di legge e l’adeguamento degli importi degli oneri concessori e del contributo di costruzione, ove necessario.
Per tutte queste ragioni e nei limiti indicati, il ricorso è fondato limitatamente alla domanda di condanna del Comune a provvedere sulla istanza del ricorrente, che andrà evaso nei termini sopra indicati, entro il termine di giorni 30 (trenta) decorrenti dalla comunicazione della presente sentenza.
Per assicurare effettività al precetto di cui alla presente sentenza, il Collegio ritiene di ordinarne l’esecuzione al Comune e, per esso, alle persone del Sindaco, del Segretario comunale e del Responsabile dell’Ufficio tecnico, o altro ufficio comunale avente competenza in materia di edilizia ed urbanistica, secondo lo Statuto ed il regolamento dell’Ente, ciascuno secondo la propria competenza e responsabilità.
L’obbligo a provvedere incombe anche sull’ARTA, destinatario della diffida inevasa, il quale non ha attivato i propri poteri di controllo e di intervento, ex art. 53, LR 71/1978.
Quest’ultimo si assicurerà che nei termini indicati avvenga l’esecuzione dell’obbligo a provvedere.
In mancanza, provvederà, a sua volta, ad esercitare i propri poteri di intervento, nei successivi 30 (trenta) giorni.
Decorso quindi anche quest’ultimo termine, in mancanza di puntuale e completa esecuzione dell’obbligo a provvedere, dietro istanza di parte ritualmente notificata a controparte, il Tribunale nominerà un commissario ad acta che, sostituitosi al Comune inadempiente, provvederà in luogo di quest’ultimo, con spese ed oneri a carico del Comune e dell’ARTA in solido.
La presente sentenza è trasmessa alla Procura della Repubblica di Messina perché accerti se sussistano elementi di reato perseguibili d’ufficio
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.04.2009 n. 678 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Barchielli, La decadenza del titolo ed il ricalcolo del contributo di costruzione (sulla decadenza del permesso di costruire e sui conseguenti effetti riguardo al contributo di costruzione già versato all’Amministrazione nei casi in cui il privato presenti una nuova istanza di titolo edilizio, rinunci all’edificazione senza aver iniziato i lavori, oppure rinunci dopo avere comunque effettuato una rilevante alterazione dell’assetto del territorio) (link a www.urbanisticatoscana.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Termine inizio lavori - Decorrenza - Emanazione titolo - Eventuale ritiro o notifica in un momento successivo - Non rileva.
La decorrenza del termine di inizio lavori va ancorata alla data di notifica dell'avviso di emanazione del permesso di costruire, secondo un'interpretazione conforme all'art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (TU edilizia), ove il termine "rilascio" va inteso come "emanazione", e non come ritiro materiale del documento.
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Ritenuta l’infondatezza del primo motivo in quanto:
   - la decorrenza del termine di inizio lavori va ancorata alla data di notifica (09.07.2007) dell’avviso di emanazione del permesso di costruire, stante l’espressa avvertenza in tal senso contenuta in calce all’avviso, del resto conforme all’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (TU edilizia), ove il termine “rilascio” va inteso come “emanazione”, e non come ritiro materiale del documento (ritiro avvenuto, nella specie, il 02.10.2007) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.11.2008 n. 5540 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn linea generale, la comminatoria della decadenza del titolo edilizio in contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua “ratio” nell'esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche devono trovare indefettibile applicazione (salva la possibilità per l'interessato di impugnarle), in quanto volte -per definizione- ad un più razionale assetto del territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate all'edificazione e soddisfa gli “standards”, eliminando la natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano precedente, l’edificazione delle aree indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in quello successivo, determinerebbe un'alterazione delle previsioni urbanistiche ed un irrazionale assetto del territorio, con violazione della normativa sugli standards.
Per contemperare i contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti in queste situazioni, l'art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001 (così come il precedente art. 31 della legge n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola generale, secondo cui i lavori precedentemente assentiti -pur contrastando col piano sopravvenuto in vigore- possano continuare ad essere realizzati se già cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell'inizio dei lavori nel vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente effetti “ex tunc”.
Per l'art. 15, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001 (riproduttivo di un principio desumibile già dall'art. 31 della legge n. 1150 del 1942), il termine per l'inizio e quello di compimento dei lavori "possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso".
Per il legislatore, tali "fatti sopravvenuti" (che possono consistere nel “factum principis” o in altri casi di “forza maggiore”) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
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Sussiste la violazione dell’art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento inteso alla declaratoria di decadenza della concessione edilizia n. 577 del 17.05.1995, per mancato completamento dei lavori entro il termine, di cui all'art. 4 della legge n. 10/1977.
L’istituto è fondato sull'oggettivo decorso del tempo previsto, con possibilità di sospensione solo per cause espressamente previste dalla legge o per ragioni di forza maggiore, fra cui il cosiddetto "factum principis", ovvero il provvedimento dell'Autorità, non imputabile al titolare della concessione e oggettivamente ostativo dei lavori.
La declaratoria di decadenza non può prescindere da un momento accertativo e -ove detti presupposti sussistano- deve tradursi in un provvedimento, a contenuto vincolato ma con carattere autoritativo, non sottratto all'obbligo generale di motivazione, di cui all'art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241 né alla comunicazione di avvio del procedimento.

La soluzione della questione non può che muovere dalla rassegna dei riferimenti normativi che presiedono agli effetti della successione nel tempo degli strumenti urbanistici, con particolare riguardo all'adozione dei piani e delle relative varianti.
L'art. 31, comma 11, della legge 17.08.1942 n. 150, stabilisce: "L'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio".
Tale disposizione è stata trasfusa nell'art. 15, comma 4, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (vigente alla data di emanazione dell'impugnato atto di diniego della concessione demaniale), il quale precisa: "il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio".
In linea generale, la comminatoria della decadenza del titolo edilizio in contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua “ratio” nell'esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche devono trovare indefettibile applicazione (salva la possibilità per l'interessato di impugnarle), in quanto volte -per definizione- ad un più razionale assetto del territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate all'edificazione e soddisfa gli “standards”, eliminando la natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano precedente, l’edificazione delle aree indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in quello successivo, determinerebbe un'alterazione delle previsioni urbanistiche ed un irrazionale assetto del territorio, con violazione della normativa sugli standards.
Per contemperare i contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti in queste situazioni, l'art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001 (così come il precedente art. 31 della legge n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola generale, secondo cui i lavori precedentemente assentiti -pur contrastando col piano sopravvenuto in vigore- possano continuare ad essere realizzati se già cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell'inizio dei lavori nel vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente effetti “ex tunc” (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 09.09.1985, n. 288).
Per l'art. 15, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001 (riproduttivo di un principio desumibile già dall'art. 31 della legge n. 1150 del 1942), il termine per l'inizio e quello di compimento dei lavori "possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso".
Per il legislatore, tali "fatti sopravvenuti" (che possono consistere nel “factum principis” o in altri casi di “forza maggiore”) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile purché non vi sia la pronuncia di decadenza.
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Con il primo dei motivi aggiunti, la ricorrente deduce violazione dell’art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento inteso alla declaratoria di decadenza della concessione edilizia n. 577 del 17.05.1995, per mancato completamento dei lavori entro il termine, di cui all'art. 4 della legge n. 10/1977.
L’istituto è fondato sull'oggettivo decorso del tempo previsto, con possibilità di sospensione solo per cause espressamente previste dalla legge o per ragioni di forza maggiore, fra cui il cosiddetto "factum principis", ovvero il provvedimento dell'Autorità, non imputabile al titolare della concessione e oggettivamente ostativo dei lavori (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V: 30.07.1986 n. 374; 12.03.1996 n. 256 e 23.11.1996 n. 1414; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 07.04.1993. n. 424; TAR Lazio, Latina, 24.01.1989, n. 35; TAR Sicilia, Palermo 13.10.1997 n. 1589).
Proprio in considerazione dei presupposti sopra indicati, la declaratoria di decadenza non può prescindere da un momento accertativo e -ove detti presupposti sussistano- deve tradursi in un provvedimento, a contenuto vincolato ma con carattere autoritativo, non sottratto all'obbligo generale di motivazione, di cui all'art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241 né alla comunicazione di avvio del procedimento (ex plurimis: TAR Toscana, 07.11.2000, n. 2216).
In conformità ai principi sopra enunciati, una giurisprudenza largamente prevalente ritiene superato l'indirizzo, secondo cui gli effetti della decadenza opererebbero automaticamente, senza necessità di un provvedimento formale (per quest'ultimo indirizzo cfr. Cons. St. Sez. V, 27.06.1983, n. 283 e 18.02.1991, n. 139; TAR Lombardia, Brescia, 04.09.1995, n. 880; TAR Lombardia, Milano, 05.02.2002, n. 434; contra -ovvero a favore della tesi, qui accolta, dell'esigenza di esplicita pronuncia- TAR Lazio Roma, sez. I, 02.01.2008 n. 1; TAR Veneto Venezia Sez. II 15.06.2007 n. 1940; Cons. St., Sez. V: 24.10.1980, n. 886; 09.05.1983 n. 141; 15.06.1998 n. 834 e 26.06.2000 n. 3612; TAR Lazio, Latina: 04.02.1986 n. 18 e 24.01.1989, n. 35; TAR Marche, Ancona, 14.05.1999, n. 562; TAR Valle d'Aosta, 16.12.1998 n. 156; TAR Campania, Salerno, 12.05.1998 n. 238; TAR Umbria 09.06.1994 n. 366; TAR Abruzzo, L'Aquila 04.04.1984 n. 177 e 05.10.2000 n. 803; TAR Abruzzo, Pescara 28.06.2002 n. 595; TAR Lazio, Sez. II 08.03.1984 n. 386; TAR Lombardia, Milano 31.12.1983, n. 1615; TAR Calabria, Catanzaro 26.10.1983 n. 242).
Né nella specie può trovare applicazione l’art. 21–octies, comma 2, primo periodo, della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, poiché la ricorrente ha comprovato l’utilità che sarebbe derivata all’Amministrazione dal proprio contributo partecipativo mediante l’indicazione delle argomentazioni svolte con le censure proposte in questo giudizio, e, in particolare, con quelle già positivamente delibate in sede di disamina del quarto e del quinto profilo di gravame del ricorso principale.
Pertanto, la censura merita accoglimento
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 24.11.2008 n. 1500 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa parziale recinzione del fondo e finanche lo sbancamento del terreno e l’esecuzione dei lavori di scavo non sono idonei ad integrare di per sé un valido inizio dei lavori.
Facendo applicazione dei richiamati criteri al caso in trattazione, il Collegio ritiene, dunque, che le modeste attività intraprese, non accompagnate dalla compiuta organizzazione del cantiere, sono state legittimamente considerate come non sufficienti a dimostrare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di realizzare la costruzione assentita, giustificando così l’adozione del provvedimento in discussione.

Ad avviso del Collegio, l’assunto non può essere condiviso, essendo smentito, in punto di fatto, dalle risultanze istruttorie poste a base dell’azione amministrativa. In particolare, il personale incaricato del sopralluogo (cfr. relazione prot. n. 38/U.T. del 18.07.2007), dopo aver dato atto dello svolgimento di alcune attività preparatorie (taglio degli alberi, apertura di un varco di accesso al terreno, demolizione di parte di un muro di confine e realizzazione di una nuova recinzione, saggi geologici), ha rilevato che “[…] non esistono in sito opere di scavo o di getto di calcestruzzo relative all’immobile da realizzare, né materiali edili ed attrezzature di cantiere in deposito […]”.
Al riguardo, va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza, la parziale recinzione del fondo e finanche lo sbancamento del terreno e l’esecuzione dei lavori di scavo –nella specie insussistenti– non sono idonei ad integrare di per sé un valido inizio dei lavori (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sezione II, 08.03.2007 n. 372; TAR Campania, Napoli, Sezione IV, 05.01.2006 n. 59; TAR Lazio, Roma, Sezione II, 28.06.2005 n. 5370; Consiglio di Stato, Sezione IV, 03.10.2000, n. 5242).
Facendo applicazione dei richiamati criteri al caso in trattazione, il Collegio ritiene, dunque, che le modeste attività intraprese, non accompagnate dalla compiuta organizzazione del cantiere, sono state legittimamente considerate come non sufficienti a dimostrare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di realizzare la costruzione assentita, giustificando così l’adozione del provvedimento in discussione (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 25.09.2008 n. 10890 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa perdita di efficacia del permesso di costruire per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di previa comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990.

L’eventuale decadenza del permesso per effetto dell’inerzia dei soggetti legittimati a costruire, infatti, non costituisce vizio idoneo ad inficiare la legittimità del provvedimento.
Sotto altro profilo, la perdita di efficacia del permesso di costruire per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento dell'amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che legittimano la declaratoria di decadenza (Consiglio Stato , sez. IV, 29.01.2008, n. 249).
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del 1990 nonché di previa comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990 (TAR Lazio Roma, sez. I, 02.01.2008, n. 1)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se i lavori non sono terminati va dichiarato decaduto il relativo permesso di costruire.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la pronuncia di decadenza (ndr: del permesso di costruire), in mancanza di apposita istanza di proroga, si qualifica come atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge, costituito dal mancato completamento dei lavori nel termine assegnato (C.d.S., sez. IV, 26.05.2006, n. 3196; Sez. V, 03.02.2000, n. 597) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.06.2008 n. 3030 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARilascio di proroga del permesso di costruire - Sopravvenute previsioni urbanistiche - Compatibilità con la nuova disciplina - Necessità - Art. 15 T. Unico D.P.R. 380/2001 - Fattispecie: vincolo sopravvenuto di inedificabilità ai sensi dell'art. 10 legge 21.11.2000 n. 353 (Area boscata percorsa da fuoco).
Le norme sulla proroga del permesso a costruire, che consentono di prolungare il termine ordinario di tre anni per l’esecuzione delle opere, devono considerarsi di stretta interpretazione. Pertanto, secondo l’art. 15, comma quarto, del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, l’abilitazione a costruire “decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio” (comma 4), ricavandosi la conseguenza che l'istituto della proroga non può più essere applicabile allorquando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l’intervento assentito. Inoltre, ben può il giudice penale accertare la conseguente mancanza dei presupposti legali per l’esercizio discrezionale della proroga e ritenere quindi la intervenuta decadenza del permesso a costruire.
Permesso di costruire - Termine decadenziale - La proroga nella disciplina urbanistica - Limiti - Sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili - Art. 15 T. Unico D.P.R. 380/2001 (che riproduce gli abrogati art. 4, c. 3, 4 e 5, l. 28.1.1977 n. 10, e art. 31, c. 11, L. 17.8.1942 n. 1150).
La disciplina urbanistica consente la proroga, con provvedimento motivato, soltanto quando siano sopravvenuti fatti estranei alla volontà del titolare della concessione o del permesso di costruire, che impediscono in modo assoluto il rispetto dei termini prescritti. Pertanto, in materia di concessione edilizia, la domanda di proroga del termine di ultimazione dei lavori stabilito nella concessione deve fondarsi su circostanze sopravvenute ed estranee alla volontà del concessionario, che abbiano reso obiettivamente impossibile concludere l'attività edificatoria (C. St., Sez. V, n. 300 del 01.03.1993, Comune di Camaiore e. Oceano s.r.l.). La consolidata giurisprudenza amministrativa ha individuato questo impedimento nel factum principis (come un'ordinanza di sospensione dei lavori, o un sequestro del cantiere, rivelatisi poi illegittimi) o nella causa di forza maggiore (come una pubblica calamità). Peraltro, la proroga non può essere più accordata quando siano sopravvenute previsioni urbanistiche incompatibili con l'intervento assentito. In altre parole, il termine decadenziale non ammette proroga quando il regime urbanistico sopravvenuto non consente più la realizzazione dell'intervento.
Richiesta proroga di una concessione edilizia o di un permesso di costruire - Disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo - Decadenza del titolo abilitativo - Art. 44 D.P.R. 380/2001.
In tema di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, il giudice penale, se non può sindacare l'esercizio del potere discrezionale da parte dell'autorità amministrativa che concede o nega la richiesta proroga di una concessione edilizia o di un permesso di costruire, può tuttavia accertare la mancanza dei presupposti legali per l'esercizio discrezionale della proroga stessa, e ritenere per conseguenza la decadenza della concessione edilizia o del permesso di costruire e l'integrazione del reato ora previsto e punito dall'art. 44 D.P.R. 380/2001. Nel caso in cui la decadenza del titolo abilitativo derivi dalla sopravvenienza di un regime urbanistico incompatibile, il reato finisce per ledere non solo l'interesse formale al previo controllo amministrativo dell'intervento edilizio, ma anche l'interesse sostanziale alla regolarità urbanistica dell'intervento medesimo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.05.2008 n. 19101 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Art. 4. L. n. 47/1985 - Abuso edilizio - Ordinanza di sospensione lavori - Scadenza del termine di 45 giorni - Inefficacia del provvedimento sospensivo - Sussiste - Improcedibilità dell'impugnazione dell'ordinanza di sospensione - Sussiste.
2. Concessione edilizia - Rilascio della concessione e sua sottoscrizione - Comporta il perfezionamento del titolo - Eventuale ritiro o notifica in un momento successivo - Non rileva.
3. Concessione edilizia - Carattere recettizio - Non sussiste.
4. Titolo abilitativo edilizio rilasciato - Contrasto con la pianificazione generale sopravvenuta - Art. 31, comma 11, L. n. 1150/1942 - Potere di annullamento del titolo - Non sussiste - Decadenza con effetti ex nunc, con il limite dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini di legge - Sussiste.

1. Secondo giurisprudenza unanime, la norma dell'art. 4 della legge 28.02.1985, n. 47 (trasfuso poi nell'art. 27 D.P.R. 380/2001) dev'essere interpretata nel senso che la scadenza del termine di quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori comporta l'inefficacia del provvedimento sospensivo adottato. Ne consegue, dal punto di vista processuale, che è improcedibile, per sopravvenuta carenza d'interesse, l'impugnazione dell'ordinanza cautelare di sospensione dei lavori abusivi, che sia successivamente divenuta inefficace per decorso del termine previsto dall'art. 4, l. 28.02.1985 n. 47, quando sia stata seguita dal provvedimento sanzionatorio definitivo, anch'esso impugnato, con la conseguente inutilità per il ricorrente dell'eventuale annullamento della precedente ordinanza.
2. Nel caso in cui la consegna del titolo abilitativo edilizio avvenga dopo molto tempo dalla sua emanazione, il momento del rilascio della concessione è quello in cui si perfeziona, con la sottoscrizione, a nulla rilevando l'eventuale ritiro o notifica in un momento successivo.
3. La giurisprudenza inserisce la concessione tra i provvedimenti la cui forza esecutiva può esprimersi senza bisogno della collaborazione dei destinatari e che, di conseguenza, producono effetti dal momento in cui si perfezionano. Tale interpretazione, sorta al fine di combattere la prassi di emanare il titolo edilizio ma di non rilasciarlo fino all'integrale pagamento degli oneri di urbanizzazione, risulta oggi confermata dall'art. 21-bis della L. 241/1990, introdotto dall'art. 14 della legge 11.02.2005 n. 15, il quale attribuisce carattere recettizio ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari e non ai provvedimenti ampliativi, ai quali è da ascrivere la concessione edilizia.
4. Nel caso in cui il titolo abilitativo edilizio già rilasciato si ponga in contrasto con la pianificazione generale sopravvenuta, il potere che la legge (art. 31 comma 11, L. n. 1150/1942) riconosce all'Amministrazione non è quello dell'annullamento del titolo, che può essere esercitato solo per vizi coevi al sorgere del provvedimento, ma la decadenza con effetti ex nunc, con il limite dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini di legge. Ne consegue l'illegittimità dell'esercizio del potere di annullamento del titolo edilizio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 21.04.2008 n. 1236 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Concessione edilizia - Decadenza - Per mancato inizio dei lavori nel termine annuale - Realizzazione, da parte del beneficiario del titolo edilizio, di lavori di modesta entità - Non impedisce la decadenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale è stata dichiarata la decadenza di una concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio, nel caso in cui sia stato accertato che il beneficiario dell’atto di assenso edificatorio, entro tale termine, abbia realizzato esclusivamente opere edilizie di modesta entità (nella specie, si trattava di un setto di muratura di laterizio a forma di "L", avente una lunghezza alla base di circa mt. 1,10 e altezza massima di circa cm. 1,05/1,10, dell’installazione di un contatore di energia elettrica, del cartello di cantiere e del taglio di alcuni alberi nella zona interessata alla costruzione dell’ampliamento); tali opere, infatti, non sono idonee ad evitare la decadenza del titolo edilizio, poiché non dimostrano, in modo univoco, l’inizio dell’attività di trasformazione del territorio finalizzata alla costruzione assentita (a differenza ad esempio della rimozione del terreno, della realizzazione di scavi, seppure modesti, ma coordinati al gettito delle fondazioni, dello spianamento o del picchettamento del terreno)
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 24.01.2008 n. 174 - link a www.ambientelegale.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire ex art. 15, comma 4 del D.P.R. n. 380/2001 rilasciato in deroga agli strumenti urbanistici sulla base di una normativa che lo legittimava - Sopravvenuta normativa che non ammette deroghe prima dell'inizio lavori - Decadenza.
2. Sopravvenienza di legge regionale che sancisce la deroga agli strumenti urbanistici nel recupero dei sottotetti a fini abitativi - Carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione di un titolo abilitativo di recupero sottotetto in deroga agli strumenti urbanistici rilasciato in vigenza di normativa che non prevede tale deroga - Non sussiste - Verifica della rispondenza ai requisiti di legge, anche sopravvenuti, del titolo abilitativi da parte della PA - Necessità.
3. Posa di un ponteggio su terrazzo e/o apertura praticata sul tetto - Inizio lavori - Non sussiste.
1.
Ai sensi dell'art. 15, comma 4 del D.P.R. 380/2001 il permesso di costruire rilasciato in deroga a previsioni urbanistiche, sulla base di una normativa che lo legittimava, decade qualora, prima che siano iniziati i lavori, sopravvenga una nuova normativa che non ammette le deroghe consentite in precedenza.
2. La sopravvenienza di una ulteriore legge regionale (L.R. n. 20/2005) che modifica il regime giuridico del recupero dei sottotetti, ripristinando la possibilità di deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale, non determina la sopravvenuta carenza di interesse di chi abbia impugnato il permesso di costruire rilasciato a terzi per il recupero di sottotetti a fini abitativi in deroga agli strumenti urbanistici in vigenza della L.R. n. 12/2005 che, prima delle modifiche apportate alla stessa dalla L.R. n. 20/2005, non prevedeva espressamente tale deroga, e ciò in quanto è in ogni caso il titolare della potestà amministrativa che deve verificare che il permesso di costruire, rispetti tutti i requisiti di cui alla L.R. n. 12/2005, come modificata dalla L.R. n. 20/2005.
3. La posa di un ponteggio su un terrazzo o l'apertura praticata sul tetto non possono considerarsi fatti da cui desumere l'inizio lavori (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.11.2007 n. 6207 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa regola generale della decadenza del titolo edilizio in contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua ratio nell’esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche devono trovare indefettibile applicazione (salva la possibilità per l’interessato di impugnarle), in quanto volte –per definizione– ad un più razionale assetto del territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate all’edificazione e soddisfa gli standard eliminando la natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano precedente, vi sarebbe l’alterazione delle previsioni urbanistiche e un irrazionale assetto del territorio (con la violazione della normativa sugli standard) se fossero edificate sia le aree indicate nel nuovo piano, sia quelle indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in quello successivo.
Per contemperare gli opposti interessi, l’art. 15, comma 4, del testo unico (così come il precedente art. 31 della legge n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola generale, che si ha quando i lavori precedentemente assentiti –pur contrastando col piano sopravvenuto in vigore– possano continuare ad essere realizzati se già cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell’inizio dei lavori nel vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente effetti ex tunc.
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La pronuncia di decadenza è espressione di un potere vincolato, ha natura ricognitiva con effetti ex tunc e va emanata anche a notevole distanza di tempo, proprio perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano sopravvenuto.
La pronuncia di decadenza –per il suo carattere di atto dovuto– deve basarsi su una motivazione che evidenzi l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti di fatto (cioè il mancato inizio dei lavori e l’entrata in vigore del piano regolatore incompatibile col titolo in precedenza rilasciato): la prevalenza dell’interesse pubblico alla attuazione del piano sopravvenuto è imposta dall’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, che determina la pronuncia di decadenza in presenza dei relativi presupposti oggettivi.

Va premesso che, per l’art. 31, comma 11, della legge n. 1150 del 1942, “l’entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
Tale disposizione è stata trasfusa nell’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001 (vigente alla data di emanazione dell’atto impugnato in primo grado), per il quale “il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
La regola generale della decadenza del titolo edilizio in contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua ratio nell’esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche devono trovare indefettibile applicazione (salva la possibilità per l’interessato di impugnarle), in quanto volte –per definizione– ad un più razionale assetto del territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate all’edificazione e soddisfa gli standard eliminando la natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano precedente, vi sarebbe l’alterazione delle previsioni urbanistiche e un irrazionale assetto del territorio (con la violazione della normativa sugli standard) se fossero edificate sia le aree indicate nel nuovo piano, sia quelle indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in quello successivo.
Per contemperare gli opposti interessi, l’art. 15, comma 4, del testo unico (così come il precedente art. 31 della legge n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola generale, che si ha quando i lavori precedentemente assentiti –pur contrastando col piano sopravvenuto in vigore– possano continuare ad essere realizzati se già cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell’inizio dei lavori nel vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente effetti ex tunc (cfr. Sez. V, 09.09.1985, n. 288).
Ciò premesso, ritiene la Sezione che del tutto legittimamente l’Amministrazione comunale ha dichiarato la decadenza della concessione edilizia del 12.03.1992 (ritenuta sussistente dalla sentenza del TAR n. 10860 del 2004).
E’ decisivo considerare che l’interessato (ovvero la sua dante causa) –pur a seguito dell’entrata in vigore del nuovo piano regolatore- non ha mai formulato alcuna istanza di proroga, volta a far accertare dall’Amministrazione la sussistenza di circostanze tali da giustificare il mancato inizio dei lavori.
Per l’art. 15, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001 (riproduttivo di un principio desumibile dall’art. 31 della legge n. 1150 del 1942), il termine per l’inizio e quello di compimento dei lavori “possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Per il legislatore, tali “fatti sopravvenuti” (che possono consistere nel factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando l’interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Nella specie, non risulta che l’interessato abbia mai proposto una istanza di proroga del termine di inizio dei lavori, né prima né dopo l’entrata in vigore del nuovo piano regolatore e nemmeno dopo la pubblicazione della sentenza del TAR n. 18860 del 2004.
In assenza dell’atto di proroga, con l’atto impugnato in primo grado il Comune non poteva che prendere atto della circostanza obiettiva del mancato inizio dei lavori, risalente alla data di entrata in vigore del nuovo piano e successivamente perdurante.
Sono conseguentemente irrilevanti le circostanze che -ad avviso dell’appellante– avrebbero dovuto comportare il riconoscimento della sussistenza di un factum principis.
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Per quanto riguarda il notevole decorso del tempo intercorso tra il rilascio della concessione edilizia e la pronuncia di decadenza e la sussistenza di un legittimo affidamento, rilevano le precedenti considerazioni sull’ambito di applicazione dell’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, per il quale l’entrata in vigore di un nuovo piano regolatore comporta la pronuncia di decadenza del titolo edilizio basato sul piano precedente, quando i relativi lavori non siano cominciati.
La pronuncia di decadenza è espressione di un potere vincolato, ha natura ricognitiva con effetti ex tunc e va emanata anche a notevole distanza di tempo, proprio perché accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio difforme dal piano sopravvenuto.
Inoltre, non sussiste il dedotto difetto di motivazione sulla mancata indicazione della prevalenza degli interessi pubblici, poiché la pronuncia di decadenza –per il suo carattere di atto dovuto– deve basarsi su una motivazione che evidenzi l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti di fatto (cioè il mancato inizio dei lavori e l’entrata in vigore del piano regolatore incompatibile col titolo in precedenza rilasciato): la prevalenza dell’interesse pubblico alla attuazione del piano sopravvenuto è imposta dall’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, che determina la pronuncia di decadenza in presenza dei relativi presupposti oggettivi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 10.08.2007 n. 4423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAA seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, il provvedimento autorizzatorio decade ove nel termine triennale, non prorogato, l'opera non risulti completata, senza che tale decadenza debba essere dichiarata con provvedimento espresso, con la conseguente illegittimità dei lavori proseguiti oltre detto termine.
La non necessità di provvedimenti caducatori da parte della Pubblica Amministrazione è ora introdotta dal TU 380/2001, art. 15, comma 2, che prevede espressamente come, decorsi i termini fissati, il permesso di costruire decada di diritto per la parte non eseguita; la norma supera la diatriba e rende non di attualità la copiosa giurisprudenza citata dallo indagato che non tiene conto della novazione legislativa.

Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in un dato momento, venga realizzata quando la situazione fattuale e normativa è mutata, il lavori devono essere iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di costruire.
In esito al mancato rispetto del termine, il provvedimento autorizzatorio decade per la parte di edificazione non ultimata. Tale decadenza, secondo alcuni, deve essere necessariamente dichiarata con espresso provvedimento che ha natura costitutiva; secondo altri, l'effetto caducatorio opera di diritto anche in assenza di una dichiarazione formale che, se esistente, ha carattere dichiarativo.
La non necessità di provvedimenti da parte della Pubblica Amministrazione è ora introdotta dal TU 380/2001, art. 15, comma 2, che prevede espressamente come, decorsi i termini fissati, il permesso di costruire decada di diritto per la parte non eseguita; la norma supera la diatriba e rende non di attualità la copiosa giurisprudenza citata dallo indagato che non tiene conto della novazione legislativa.
Ora, nel caso concreto, è circostanza indiscussa che il termine per la ultimazione dei lavori fosse decorso; il ricorrente segnala -e documenta- che l'evento non gli è addebitabile in quanto dipeso da un fatto indipendente dalla sua volontà (interruzione dei lavori a causa della citata ordinanza del Corpo Forestale impugnata al TAR con procedimento ancora pendente).
Pertanto, è applicabile al caso la previsione del TU 380/2001, art. 15, comma 2, secondo la quale il termine triennale può essere prorogato per fatti intervenuti dopo l'inizio dei lavori, ritardanti la loro esecuzione, che non siano imputabili al titolare del permesso di costruire. Nella ipotesi che ci occupa, è stata tempestivamente, prima della scadenza del termine, proposta la richiesta di proroga sulla quale non si è ancora pronunciata la competente autorità; non è questa la sede per valutare se sussistano, o meno, i requisiti per il prolungamento del termine e, quindi, i relativi motivi di ricorso sono inconferenti. Stante la ricordata decadenza ope legis del permesso di costruire, l'indagato, in attesa delle determinazioni della Pubblica Amministrazione sulla proroga, non ha titolo autorizzatorio per continuare la edificazione.
L'atto del 02.08.2006 qualificato come "variante", per il suo contenuto intrinseco, può essere considerato un nuovo permesso di costruire, ma inficiato la palese illegittimità in quanto non tiene conto del vincolo di inedificabilità introdotto con la L. n. 353 del 2000 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.03.2007 n. 12316).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALa previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7 della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento è stato attivato su istanza di parte.
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Non è condivisibile neanche la doglianza circa l’effettuazione senza preavviso, da parte dell’Amministrazione, di un sopralluogo sull’area di cantiere finalizzato ad accertare l’inizio o meno dei lavori, sia perché la ricorrente era ben consapevole della sussistenza di un procedimento per il rilascio della proroga, sia perché, comunque, si deve considerare legittima l’effettuazione di accertamenti a sorpresa da parte della P.A. qualora le circostanze lo impongano per garantire la genuinità di tali accertamenti.
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A fronte di ciò la difesa comunale ha sottolineato la diversità tra le fattispecie della proroga della concessione edilizia, ex art. 4, quarto comma, della l. n. 10/1977, e della decadenza di tale concessione, ex art. 31 della l. n. 1150/1942.
Ed invero, mentre l’art. 4 cit. consente la proroga della concessione edilizia qualora, ferma restando la capacità edificatoria dell’area interessata, nel corso dell’esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili, l’art. 31 della l. n. 1150 cit. disciplina la diversa ipotesi della decadenza per fatti impeditivi discendenti dalle scelte del Legislatore o della P.A. in sede di pianificazione, che incidano sulla capacità edificatoria del terreno. In questa seconda ipotesi, allora, non ha alcun rilievo la non imputabilità del fatto al titolare della concessione, né vi è possibilità di proroga della concessione stessa, attesa la diversità degli interessi ivi tutelati rispetto alla fattispecie ex art. 4, comma quarto della l. n. 10/1977.
Con la comminatoria della decadenza ex art. 31 cit., infatti, il Legislatore ha inteso evitare che le costruzioni ancora da realizzare alterino l’assetto urbanistico stabilito con la nuova pianificazione. Nondimeno, la disposizione in esame impedisce che si addivenga alla pronuncia di decadenza quando i lavori siano iniziati e purché vengano completati entro tre anni dalla data di inizio.
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Per la giurisprudenza consolidata lo sbancamento del terreno non può, da solo, essere considerato quale inizio dei lavori, non essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà effettiva del titolare della concessione di realizzare il manufatto assentito.

Con il primo motivo di ricorso la società deduce la violazione delle regole sul procedimento amministrativo ed in specie dell’art. 7 della l. n. 241/1990, perché il Comune resistente non l’avrebbe avvisata dall’avvio del procedimento di diniego di proroga, né l’avrebbe avvertita dell’effettuazione del sopralluogo nel cantiere volto ad accertare l’inizio o meno dei lavori, in modo da consentirle di parteciparvi.
Il motivo è manifestamente infondato, atteso che il procedimento di proroga ha avuto avvio sulla base di apposita istanza dell’odierna ricorrente, la quale era, quindi, a conoscenza del procedimento stesso. Si rammenta in proposito che, secondo la costante giurisprudenza (cfr. ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 20.12.2005, n. 7257), la previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7 della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento è stato attivato su istanza di parte.
Non è, pertanto, condivisibile neanche la doglianza circa l’effettuazione senza preavviso, da parte dell’Amministrazione, di un sopralluogo sull’area di cantiere finalizzato ad accertare l’inizio o meno dei lavori, sia perché la ricorrente, come già detto, era ben consapevole della sussistenza di un procedimento per il rilascio della proroga, sia perché, comunque, si deve considerare legittima l’effettuazione di accertamenti a sorpresa da parte della P.A. qualora le circostanze lo impongano per garantire la genuinità di tali accertamenti (C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190).
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A fronte di ciò la difesa comunale ha sottolineato la diversità tra le fattispecie della proroga della concessione edilizia, ex art. 4, quarto comma, della l. n. 10/1977, e della decadenza di tale concessione, ex art. 31 della l. n. 1150/1942.
Ed invero, mentre l’art. 4 cit. consente la proroga della concessione edilizia qualora, ferma restando la capacità edificatoria dell’area interessata, nel corso dell’esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non imputabili al titolare della concessione, che abbiano ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili, l’art. 31 della l. n. 1150 cit. disciplina la diversa ipotesi della decadenza per fatti impeditivi discendenti dalle scelte del Legislatore o della P.A. in sede di pianificazione, che incidano sulla capacità edificatoria del terreno. In questa seconda ipotesi, allora, non ha alcun rilievo la non imputabilità del fatto al titolare della concessione, né vi è possibilità di proroga della concessione stessa, attesa la diversità degli interessi ivi tutelati rispetto alla fattispecie ex art. 4, comma quarto della l. n. 10/1977.
Con la comminatoria della decadenza ex art. 31 cit., infatti, il Legislatore ha inteso evitare che le costruzioni ancora da realizzare alterino l’assetto urbanistico stabilito con la nuova pianificazione (TAR Basilicata, 20.07.1996, n. 163). Nondimeno, la disposizione in esame impedisce che si addivenga alla pronuncia di decadenza quando i lavori siano iniziati e purché vengano completati entro tre anni dalla data di inizio.
Sotto quest’ultimo profilo, pertanto, diventa decisivo stabilire se nella fattispecie in esame i lavori fossero o no iniziati.
Orbene, in proposito debbono essere sicuramente condivise le conclusioni cui è addivenuta l’Amministrazione Comunale in ordine al mancato inizio dei lavori. Per la giurisprudenza consolidata, infatti, lo sbancamento del terreno non può, da solo, essere considerato quale inizio dei lavori, non essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà effettiva del titolare della concessione di realizzare il manufatto assentito (cfr., ex plurimis, TARLazio, Roma, Sez. II, 11.05.2006, n. 3480; C.d.S., Sez. IV, 03.10.2000, n. 5242)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATALa decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza temporale all'attività edificatoria; detto istituto è rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge.
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è, pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di validità del titolo autorizzatorio, l'attività di trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico, la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che, invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore.
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La decadenza dalla conseguita concessione edilizia si verifica automaticamente "ope legis" per effetto del semplice decorso dei termini stabiliti per l'inizio e l'ultimazione dei lavori, avendo una portata ricognitiva e dichiarativa del verificarsi dei presupposti richiesti dalla legge e non sanzionatoria.
La perdita di efficacia della concessione edilizia si collega infatti al mero decorso del termine indicato nell'atto concessorio, inteso a dare certezza temporale all'attività edificatoria; ne consegue che il provvedimento di decadenza serve solo a certificare una situazione già verificatasi al momento in cui sono venuti in essere i presupposti stabiliti dalla legge e, come tale, è un atto vincolato a carattere meramente dichiarativo.

Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione dell’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10 ed eccesso di potere per presupposto erroneo, atteso che nel caso concreto i lavori sarebbero stati iniziati entro un anno dal rilascio della concessione edilizia n. 76/82 del 14.09.1982.
Orbene, l'art. 4 della L. n. 10/1977 dispone testualmente che "nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata.".
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza temporale all'attività edificatoria; detto istituto è rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge (TAR Campania Napoli, sez. IV, 29.04.2004, n. 7513).
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è, pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di validità del titolo autorizzatorio, l'attività di trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico, la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che, invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore (TAR Sardegna, 06.08.2003, n. 1001).
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Oltretutto, la decadenza dalla conseguita concessione edilizia si verifica automaticamente "ope legis" per effetto del semplice decorso dei termini stabiliti per l'inizio e l'ultimazione dei lavori, avendo una portata ricognitiva e dichiarativa del verificarsi dei presupposti richiesti dalla legge e non sanzionatoria (Consiglio Stato, sez. IV, 13.04.2005, n. 1738).
La perdita di efficacia della concessione edilizia si collega infatti al mero decorso del termine indicato nell'atto concessorio, inteso a dare certezza temporale all'attività edificatoria; ne consegue che il provvedimento di decadenza serve solo a certificare una situazione già verificatasi al momento in cui sono venuti in essere i presupposti stabiliti dalla legge e, come tale, è un atto vincolato a carattere meramente dichiarativo (TAR Lazio, sez. II, 24.11.2004, n. 13996)
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 05.01.2006 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005
EDILIZIA PRIVATAIn caso di reiterazione della domanda di concessione edilizia, quando quella precedentemente rilasciata sia decaduta per mancato inizio dei lavori, non ci si trova in presenza di provvedimenti meramente confermativi o di proroga della concessione già rilasciata ma di una nuova concessione, il cui rilascio è subordinato all'adempimento degli obblighi relativi.
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L’art. 4 della L. n. 10/1977 dispone testualmente che “Nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata.”.
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza temporale all'attività edificatoria; detto istituto è rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge.
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è, pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di validità del titolo autorizzatorio, l'attività di trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico, la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che, invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore.
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E' irrilevante lo stato di salute della ricorrente, quale manifestatosi successivamente al presunto inizio dei detti lavori di realizzazione degli edifici e ritenuto causa della predetta interruzione, indipendentemente dalla circostanza che il predetto stato sia stato previamente portato a conoscenza dell’amministrazione comunale interessata con l’istanza di proroga della concessione e non invece dedotto, esclusivamente, in un momento successivo, in sede di richiesta di riesame del rigetto di rilascio della nuova concessione edilizia.
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Deve rilevarsi che l'orientamento giurisprudenziale sulla necessità di un espresso provvedimento di decadenza della concessione edilizia non è costante.
Ed infatti una parte della giurisprudenza ritiene che la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non sia automatica e, pertanto, tale decadenza debba essere necessariamente dichiarata con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d'accertamento e che, pertanto, affinché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia occorre un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata.
La decadenza avrebbe, pertanto, dovuto formare oggetto di un apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie, considerato che la perdita di efficacia della concessione è subordinata all'esplicazione di una potestà provvedimentale.
Il Collegio, in tale situazione, in aderenza all’orientamento che appare prevalente nella materia da ultimo, ritiene che debba farsi riferimento invece alla lettera della legge, la quale fa dipendere la decadenza, non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, infatti, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari della concessione ma anche della Pubblica Amministrazione, ai fini dell’accertamento con apposito atto amministrativa dell’intervenuta decadenza della concessione edilizia per l’inutile scadenza del termine di inizio lavori, con probabili disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presentano identiche sul punto che interessa.
La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori, pertanto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine. Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure" del mancato inizio dei lavori e non residuando all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale.
La decadenza della concessione edilizia si determina, pertanto, anche in assenza di un'espressa dichiarazione da parte dell’amministrazione competente.
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Ai fini della sussistenza -o meno- dei presupposti per la decadenza dalla concessione edilizia, l'effettivo inizio dei lavori relativi deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione dell'opera progettata.
L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, non essendo sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione.
Pertanto l'inizio dei lavori non si configura con la sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento senza che sia manifestamente messa a punto l'organizzazione del cantiere e vi siano altri indizi che dimostrino il reale proposito del titolare della concessione edilizia di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione ed al completamento dell'opera.
E la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo ove il titolare della concessione abbia eseguito "lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge" oppure lo sbancamento interessi un'area di vaste proporzioni.
Né si ritiene che assuma rilevanza, ai fini che interessano della verifica del regolare e tempestivo inizio dei lavori ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10/1977, la circostanza che sia stata data comunicazione dell’inizio dei lavori come da nota prot. n. 06799 del 05.10.1994, atteso che la predetta circostanza non è idonea ad attestare l’effettivo inizio degli stessi, in assenza di positivi riscontri materiali al riguardo; ed altrettanto è a dirsi per la nomina del direttore dei lavori di cui alla nota prot. n. 06798 della medesima data.

Con il secondo motivo di censura di cui al ricorso sub A) e con il primo ed il secondo motivo di censura di cui al ricorso sub B), la ricorrente ha sostenuto che la concessione edilizia originariamente rilasciata non era decaduta per inutile decorso del termine di un anno senza inizio dei lavori sia perché i lavori erano, invece, iniziati sia perché, comunque, la decadenza non era stata dichiarata tempestivamente ed espressamente da parte del Comune; ha ulteriormente dedotto di avere presentato in data 15.03.1997 istanza di proroga della concessione edilizia rilasciatagli, che sarebbe, tuttavia, rimasta priva di riscontro da parte dell’amministrazione comunale.
Si premette che, in caso di reiterazione della domanda di concessione edilizia, quando quella precedentemente rilasciata sia decaduta per mancato inizio dei lavori, non ci si trova in presenza di provvedimenti meramente confermativi o di proroga della concessione già rilasciata ma di una nuova concessione, il cui rilascio è subordinato all'adempimento degli obblighi relativi.
Ne consegue la non rilevanza dell’argomentazione di cui da ultimo della difesa della ricorrente, secondo cui la richiesta di rilascio della seconda concessione edilizia, in realtà nella sostanza, andava interpretata da parte del Comune come istanza di proroga del termine della concessione edilizia già rilasciata, reiterativi della precedente istanza, tempestivamente presentata nelle more di decorrenza del termine annuale di inizio di lavori di costruzione in data 15.03.1997.
Ed infatti una volta ritenuta la sostanziale decadenza della predetta concessione edilizia, correttamente il Comune ha valutato la nuova istanza alla stregua di quanto emergeva dal suo dato testuale, ossia di richiesta di rilascio di una nuova concessione edilizia del medesimo contenuto.
L’art. 4 della L. n. 10/1977 dispone, infatti, testualmente che “Nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari. Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata.”.
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza temporale all'attività edificatoria; detto istituto è rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei presupposti stabiliti dalla legge (TAR Campania Napoli, sez. IV, 29.04.2004, n. 7513).
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è, pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di validità del titolo autorizzatorio, l'attività di trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico, la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che, invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore (TAR Sardegna, 06.08.2003, n. 1001).
Ne consegue, ai fini che interessano, la assoluta irrilevanza dello stato di salute della ricorrente, quale manifestatosi successivamente al presunto inizio dei detti lavori di realizzazione degli edifici e ritenuto causa della predetta interruzione, indipendentemente dalla circostanza che il predetto stato sia stato previamente portato a conoscenza dell’amministrazione comunale interessata con l’istanza di proroga della concessione e non invece dedotto, esclusivamente, in un momento successivo, in sede di richiesta di riesame del rigetto di rilascio della nuova concessione edilizia.
Ed infatti, alla luce della citata interpretazione oggettiva del suddetto termine di inizio lavori, la proroga dello stesso non sarebbe giuridicamente configurabile per alcun motivo, neppure quello inerente allo stato di salute del titola del titolo edificatorio.
Peraltro la ricorrente, considerata l’inerzia del Comune nel riscontrare la predetta istanza di proroga, presentata nelle more di decorrenza del termine annuale di inizio dei lavori (che si evidenzia non essere stata depositata nemmeno in copia nel presente giudizio né a cura della ricorrente, direttamente interessata, né a cura del Comune, che è rimasto, nella sostanza, assolutamente inottemperante all’O.P.I. n. 10/2005), avrebbe dovuto tempestivamente, e nei modi di legge, attivarsi contro la predetta inerzia, ai fini di fare valere, eventualmente, le proprie ragioni al riguardo nei confronti dell’amministrazione comunale.
Ciò premesso, deve rilevarsi che l'orientamento giurisprudenziale sulla necessità di un espresso provvedimento di decadenza non è costante.
Ed infatti una parte della giurisprudenza ritiene che la decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non sia automatica e, pertanto, tale decadenza debba essere necessariamente dichiarata con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d'accertamento (TAR Abruzzo Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che, pertanto, affinché la concessione edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia occorre un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti della decadenza accertata (Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612).
La decadenza avrebbe, pertanto, dovuto formare oggetto di un apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie (Cfr. da ultimo V, 15.06.1998, n. 834), considerato che la perdita di efficacia della concessione è subordinata all'esplicazione di una potestà provvedimentale.
Il Collegio, in tale situazione, in aderenza all’orientamento che appare prevalente nella materia da ultimo, ritiene che debba farsi riferimento invece alla lettera della legge, la quale fa dipendere la decadenza, non da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, infatti, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un comportamento dei titolari della concessione ma anche della Pubblica Amministrazione, ai fini dell’accertamento con apposito atto amministrativa dell’intervenuta decadenza della concessione edilizia per l’inutile scadenza del termine di inizio lavori, con probabili disparità di trattamento tra situazioni che nella sostanza si presentano identiche sul punto che interessa.
La decadenza della concessione edilizia per mancata osservanza del termine di inizio dei lavori, pertanto, opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine. Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure" del mancato inizio dei lavori e non residuando all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine discrezionale (TAR Basilicata, 23.05.2003, n. 471).
La decadenza della concessione edilizia si determina, pertanto, anche in assenza di un'espressa dichiarazione da parte dell’amministrazione competente.
Ai fini della verifica dell’effettivo inizio dei suddetti lavori nei termini di legge di cui sopra, in punto di fatto, non può che prendersi dal contenuto essenziale del verbale di sopralluogo dell’U.T.C. del 27.02.1998, che, sebbene non depositato in copia agli atti del giudizio, nonostante apposita O.P.I. al riguardo, tuttavia è stato riportato, nella sua parte motivazionale, nel testo del provvedimento di cui al prot. n. 10466 del 05.11.1998, impugnato con il ricorso sub B), rileva la consistenza dei lavori effettuati quali “modesti sbancamenti di terreno oramai ricoperti di acqua e vegetazione”;
Si ricorda, infatti, come tale attestazione debba considerarsi veridica fino a prova contraria, prova che la ricorrente non è riuscita a fornire nel presente giudizio.
Ed infatti anche dall’elencazione dei lavori effettuati, come riportati nella richiesta di riesame, dette opere consistono in “picchettatura del terreno interessato dalla costruzione, livellamento del medesimo terreno al livello delle fondazioni, creazione degli scavi per il getto dei plinti di fondazione di entrambi gli assentiti edifici, realizzazione della strada di accesso”.
Ne consegue che, nella sostanza, non appare esservi un reale contrasto tra le parti in ordine alla natura dei detti lavori, che, secondo entrambe le rappresentazioni dello stato dei fatti, si sono fermati al livello dello sbancamento dei terreni e della loro preparazione all’edificazione, senza che, tuttavia, la edificazione in senso stretto, come intesa dalla prevalente giurisprudenza sul punto, possa effettivamente considerasi iniziata.
Ed infatti, ai fini della sussistenza -o meno- dei presupposti per la decadenza dalla concessione edilizia, l'effettivo inizio dei lavori relativi deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione stessa di procedere alla costruzione dell'opera progettata (Consiglio Stato, sez. V, 16.11.1998, n. 1615).
L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito, non essendo sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione (Consiglio Stato, sez. V, 22.11.1993, n. 1165).
Pertanto l'inizio dei lavori non si configura con la sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento senza che sia manifestamente messa a punto l'organizzazione del cantiere e vi siano altri indizi che dimostrino il reale proposito del titolare della concessione edilizia di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione ed al completamento dell'opera (Consiglio Stato, sez. IV, 03.10.2000, n. 5242).
E la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima solo ove il titolare della concessione abbia eseguito "lo scavo ed il riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il termine di legge" (Consiglio Stato, sez. V, 15.10.1992, n. 1006) oppure lo sbancamento interessi un'area di vaste proporzioni (Consiglio Stato, sez. V, 13.05.1996, n. 535).
Né si ritiene che assuma rilevanza, ai fini che interessano della verifica del regolare e tempestivo inizio dei lavori ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10/1977, la circostanza che sia stata data comunicazione dell’inizio dei lavori come da nota prot. n. 06799 del 05.10.1994, atteso che la predetta circostanza non è idonea ad attestare l’effettivo inizio degli stessi, in assenza di positivi riscontri materiali al riguardo; ed altrettanto è a dirsi per la nomina del direttore dei lavori di cui alla nota prot. n. 06798 della medesima data.
Non si riscontra, pertanto, la dedotta violazione dell’art. 8, co. 3, della L.R. n. 29/1997, il quale, nel prevedere le misure di salvaguardia, testualmente dispone che “3. All'interno delle zone A previste dall'articolo 7, comma 4, lettera a), numero 1), delle aree naturali protette individuate dal piano regionale, sono vietati: … omissis … q) la realizzazione di nuovi edifici all'interno delle zone territoriali omogenee E) previste dall'articolo 2 del decreto del Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 16.04.1968, n. 97, in cui sono comunque consentiti: 1) interventi già autorizzati e regolarmente iniziati alla data di entrata in vigore della presente legge”, atteso che, nel caso di specie, si è ritenuto che non vi fosse stato alcun effettivo inizio dei lavori tale da giustificare la mancata decadenza della concessione edilizia in precedenza rilasciata.
Il “regolare inizio”, alla data di entrata in vigore della presente legge, degli interventi già autorizzati, infatti, non può essere intesa in senso difforme dall’inizio dei lavori ai fini della decadenza dalla concessione edilizia di cui al richiamato art. 4 della L. n. 10/1977, indipendentemente dalla irrilevante circostanza che effettivamente il Comune abbia provveduto tempestivamente all’adozione di un atto formale ed espresso di decadenza (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 28.06.2005 n. 5370).
anno 2002

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di decadenza della concessione edilizia ha natura dichiarativa a carattere vincolato e il relativo effetto estintivo non è disponibile per l’Amministrazione; pur dovendo essere adottato ogni volta che ne sussistono i presupposti il provvedimento di decadenza, tuttavia, non è automatico; pertanto, la decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d’accertamento, in quanto la competenza esclusiva del G.A. ex art. 16 della legge n. 10 del 1977 lascia ferma, in soggetta materia, la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e, quindi, per questi ultimi il solo rito impugnatorio annullatorio.
Il Collegio considera che, secondo la giurisprudenza, il provvedimento di decadenza della concessione edilizia ha natura dichiarativa a carattere vincolato e che il relativo effetto estintivo non è disponibile per l’Amministrazione (Cons. St., Sez. V, 07.03.1997 n. 204); pur dovendo essere adottato ogni volta che ne sussistono i presupposti (Cons. St., Sez. V, 03.02.2000 n. 597) il provvedimento di decadenza, tuttavia, non è automatico (Cons. St., Sez. V, 23.11.1996 n. 1414); pertanto, la decadenza deve essere necessariamente dichiarata, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie un giudizio d’accertamento, in quanto la competenza esclusiva del G.A. ex art. 16 della legge n. 10 del 1977 lascia ferma, in soggetta materia, la distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e, quindi, per questi ultimi il solo rito impugnatorio annullatorio (Cons. St., Sez. V, 15.06.1998 n.834).
Quest’ultima pronuncia appare attuale anche in seguito alla devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G. A. delle controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia, disposta dall’art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998 come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b), della legge n. 205 del 2000, essendo ferma la disposizione contenuta nell’art. 103, I comma, della Costituzione.
Tuttavia, il Collegio considera che l’art. 34 cit. estende la giurisdizione del G. A. alle controversie sui “comportamenti” delle Amministrazioni in materia urbanistica ed edilizia. Pertanto, ben può essere sindacato, ad avviso del Collegio, il comportamento dell’Amministrazione che, pur sussistendo i presupposti per dichiarare la decadenza di una concessione edilizia, non adotti il relativo provvedimento
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 28.06.2002 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA1. - Processo amministrativo - Domanda di accertamento dell'obbligo di rilascio della concessione edilizia in sanatoria - Posizione di interesse legittimo - Inammissibilità.
2. - Concessione - Decadenza - Espressa dichiarazione - Necessità - Esclusione.

1. - Deve ritenersi inammissibile la domanda di accertamento dell'obbligo del rilascio della concessione edilizia in sanatoria dal momento che una pronuncia di accertamento è possibile solo in presenza di un diritto soggettivo e non di un interesse legittimo, posizione rivestita in ordine alle concessioni edilizie.
2. - La decadenza della concessione edilizia si determina anche in assenza di un'espressa dichiarazione poiché, in riferimento alla lettera della legge questa non dipende da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo, ovvero del termine di un anno senza che sia dato inizio ai lavori; diversamente la decadenza si farebbe dipendere non solo da un comportamento dei titolari della concessione ma anche della pubblica amministrazione, con probabili disparità di trattamento tra situazioni identiche (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 28.12.2000 n. 2704).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è sostanzialmente univoca nel non riconoscere ai soli lavori di sbancamento, non accompagnati dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare della licenza (concessione) edilizia di addivenire al compimento dell’opera, la qualità di inizio dei lavori utile ai fini dell’applicazione del citato comma decimo dell’articolo 31 della legge 17.08.1942, n. 1150.
Invero le opere realizzate, pur di modesta entità, debbono risultare obiettivamente finalizzate alla realizzazione del manufatto assentito sicché i lavori non possano considerarsi fittizi o simbolici e, a questa stregua, non assumono univoca valenza edificatoria preordinata all’intervento edilizio specificamente assentito i semplici sbancamenti di terreno.

Risulta per tabulas, infatti, le uniche opere poste in essere prima della sospensione sindacale dei lavori edilizi fossero semplicemente degli sbancamenti, non seguiti da alcuna altra opera.
La giurisprudenza è sostanzialmente univoca nel non riconoscere ai soli lavori di sbancamento, non accompagnati dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare della licenza (concessione) edilizia di addivenire al compimento dell’opera, la qualità di inizio dei lavori utile ai fini dell’applicazione del citato comma decimo dell’articolo 31 della legge 17.08.1942, n. 1150.
Invero le opere realizzate, pur di modesta entità, debbono risultare obiettivamente finalizzate alla realizzazione del manufatto assentito sicché i lavori non possano considerarsi fittizi o simbolici e, a questa stregua, non assumono univoca valenza edificatoria preordinata all’intervento edilizio specificamente assentito i semplici sbancamenti di terreno (C.d.S., V, 11.10.1996, n. 1227; V 30.06.1995, n. 938; V, 22.11.1993, n. 1165; V, 18.05.1987, n. 300; IV, 17.12.1984, n. 921) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.10.2000 n. 5242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa decadenza della concessione edilizia, per mancato inizio lavori nel termine di legge, deve formare oggetto di un apposito provvedimento sindacale, che ne accerti i presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto dalla giurisprudenza amministrativa per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie.
Osserva la Sezione, innanzitutto, che l’art. 15 della legge regionale ora citata non collega la decadenza della concessione edilizia al mancato ritiro del documento ma al mancato inizio dei lavori entro il termine di un anno decorrente da quello del ritiro del titolo.
La disposizione stabilisce anche che l’interessato “è tenuto” a prendere in consegna il documento nel termine di sessanta giorni dal suo rilascio.
La norma è evidentemente diretta a dare certezza al termine di validità della concessione edilizia ai fini di una puntuale individuazione del termine di inizio dei lavori di costruzione, non a sanzionarne la decadenza per il mancato ritiro del titolo nel termine da essa fissato.
In ogni caso, la decadenza avrebbe dovuto formare oggetto di un apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto dalla giurisprudenza amministrativa per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie (Cfr. da ultimo V, 15.06.1998, n. 834). Nel caso in esame, infine, la concessione edilizia è stata ritenuta operante dalla stessa amministrazione comunale, che, per l’appunto, l’ha annullata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 26.06.2000 n. 3612 - link a www.giustizia-amministrativa.it).