dossier DECADENZA P.d.C. (Permesso di Costruire)
- inizio e fine lavori |
maggio 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sulla
corretta esegesi dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), norma che,
nel disciplinare l’ipotesi di decadenza del titolo edilizio, impone a tal
fine una istruttoria ad hoc non potendo un provvedimento di tal fatta
conseguire a valutazioni del Comune sommarie o effettuate nel contesto di
altri procedimenti.
La giurisprudenza ha affermato che:
a) “Ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (T.U.
Edilizia), l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori edilizi che
possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto i lavori debbono
ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi e di
uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati
al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare che il
termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici”;
b) “In materia edilizia la decadenza dalla concessione edilizia va
valutata in relazione all'effettivo inizio dei lavori non in via generale e
astratta, ma con specifico riferimento all'entità e alle dimensioni
dell'intervento edilizio programmato e autorizzato, ciò al fine di evitare
che il termine per l'avvio dell'edificazione possa essere eluso mediante
lavori fittizi e simbolici, e quindi non significativi di un effettivo
intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione” ;
c) “In materia edilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. n.
380/2001 l'inizio lavori deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi,
che debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di mezzi
e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi preordinati
al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il
termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici” ;
d) "L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti con
licenza edilizia incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla
stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto
adottato devono essere accertati dall’autorità emanante".
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9. L’appello va accolto.
9.1. L’art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 prevede che “Il termine
per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può
essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso, oppure in considerazione
della mole dell'opera da realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive emerse
successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.
9.2. La giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che:
a) “Ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R. 06.06.2001, n. 380
(T.U. Edilizia), l'inizio lavori va inteso a fronte di concreti lavori
edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto; pertanto i
lavori debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento di
mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di
elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi
preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio per evitare
che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici” (Cons. Stato, Sez. IV, 03.06.2021, n.
4239);
b) “In materia edilizia la decadenza dalla concessione edilizia
va valutata in relazione all'effettivo inizio dei lavori non in via generale
e astratta, ma con specifico riferimento all'entità e alle dimensioni
dell'intervento edilizio programmato e autorizzato, ciò al fine di evitare
che il termine per l'avvio dell'edificazione possa essere eluso mediante
lavori fittizi e simbolici, e quindi non significativi di un effettivo
intendimento del titolare del permesso di procedere alla costruzione” (Cons.
Stato, Sez. IV, 04.12.2020, n. 7701);
c) “In materia edilizia, ai sensi dell'art. 15, comma 2, D.P.R.
n. 380/2001 l'inizio lavori deve intendersi riferito a concreti lavori
edilizi, che debbono ritenersi iniziati quando consistano nel concentramento
di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di
elementi portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di scavi
preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per evitare
che il termine di decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici” (Cons. Stato, Sez. II, 30.07.2019, n.
5371);
d) "L’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti
con licenza edilizia incombe al Comune che ne dichiara la decadenza, alla
stregua del principio generale in forza del quale i presupposti dell’atto
adottato devono essere accertati dall’autorità emanante" (Cons. Stato,
Sez. V, 11.04.1990 n. 343) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.05.2022 n. 4033 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione
dei lavori nei termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con
formale provvedimento dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario
contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e
di diritto che legittimano la declaratoria di decadenza.
L'istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell'art. 15
del d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di
accertamento di un effetto che consegue ex lege al ricorrere del presupposto
legislativamente indicato.
L'operatività della decadenza della concessione edilizia, dunque, necessita
dell'intermediazione di un formale provvedimento amministrativo di carattere
dichiarativo che deve intervenire per il solo fatto del verificarsi del
presupposto di legge e da adottare previa apposita istruttoria.
Da tanto discende l’impossibilità per il Tribunale adito di pronunciare
l’invocata decadenza, atteso che il divieto di cui all'art. 34, comma 2, c.
proc. amm., in base al quale è inammissibile un'azione di accertamento volta
ad ottenere che il giudice si pronunci con riferimento a poteri
amministrativi non ancora esercitati, impedisce di proporre l'azione di
accertamento dell'avvenuta formazione dell’invocata decadenza del titolo
abilitativo, laddove risulti che il potere di dichiarare la decadenza del
titolo edilizio non sia stato ancora esercitato e sia in astratto ancora
esercitabile dalla p.a..
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3.1.- Nondimeno, anche volendone ammettere l’asserita
applicabilità, il Collegio, come già evidenziato con l’ordinanza cautelare
n. 1499/2017, non può esimersi dal richiamare l’altrettanto costante
orientamento giurisprudenziale secondo cui la perdita di efficacia del
titolo edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini
prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario contraddittorio con il
privato circa l'esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che
legittimano la declaratoria di decadenza (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. V,
12.05.2011, n. 2821).
L'istituto della decadenza del permesso di costruire ai sensi dell'art. 15
del d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di
accertamento di un effetto che consegue ex lege al ricorrere del presupposto
legislativamente indicato (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. IV, 11.04.2014, n. 1747).
L'operatività della decadenza della concessione edilizia,
dunque, necessita dell'intermediazione di un formale provvedimento
amministrativo di carattere dichiarativo che deve intervenire per il solo
fatto del verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa apposita
istruttoria (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.10.2015, n. 4823, TAR
Sicilia–Palermo, sez. I, 25.10.2017, n. 2411).
Da tanto discende l’impossibilità per il Tribunale adito di pronunciare
l’invocata decadenza, atteso che il divieto di cui all'art. 34, comma 2, c.
proc. amm., in base al quale è inammissibile un'azione di accertamento volta
ad ottenere che il giudice si pronunci con riferimento a poteri
amministrativi non ancora esercitati, impedisce di proporre l'azione di
accertamento dell'avvenuta formazione dell’invocata decadenza del titolo
abilitativo, laddove risulti che il potere di dichiarare la decadenza del
titolo edilizio non sia stato ancora esercitato e sia in astratto ancora
esercitabile dalla p.a. (cfr. Cons. St., ad. plen., 29.07.2011, n. 15;
TAR Lazio–Latina, 14/12/2015, n. 824)
(TAR Campania-Napoli, Sez. V,
sentenza 27.07.2020 n. 3344 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza di questo Consiglio è
unanime nel ritenere che la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione
dei lavori è accordata qualora i lavori non possano essere iniziati o
conclusi per iniziative dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria
rivelatesi poi infondati.
I
termini di inizio e di conclusione dei lavori possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso e tali fatti sopravvenuti (che possono consistere nel factum principis
o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma
possono costituire oggetto di valutazione in sede amministrativa quando
l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui accoglimento è
indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza.
Pertanto, il venir
meno ex tunc dell’efficacia del permesso di costruire per il mancato
rispetto del termine di fine lavori in assenza di tempestiva domanda di
proroga si riverbera sugli effetti dei successivi titoli edilizi che non
possono ritenersi efficaci trattandosi di richieste di varianti rispetto ad
un titolo edilizio principale privo di efficacia.
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7.2. Venendo all’esame del primo motivo di appello deve rilevarsi
che l’art. 15, del d.P.R. n. 380/2001 prevede espressamente la decadenza del
permesso di costruire nel caso di mancato rispetto del termine di inizio o
di ultimazione dei lavori, fatta salva la possibilità di proroga, che deve
essere richiesta prima della scadenza dei detti termini e che deve essere
accordata ai sensi del comma 2-bis del citato art. 15: “qualora i lavori non
possano essere iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate.”
Il detto comma 2-bis
sebbene non risulti applicabile alla fattispecie perché introdotto dall'art.
17, comma 1, lett. f), n. 2), D.L. 12.09.2014, n. 133, convertito,
con modificazioni, dalla L. 11.11.2014, n. 164, si limita a confermare
per quanto in questa sede interessa, che anche in caso di pendenza del
procedimento penale e di adozione di eventuali provvedimenti da parte del
giudice penale che incidano sulla possibilità di rispetto dei termini in
questione, la proroga debba comunque essere richiesta e non operi ex lege.
La giurisprudenza di questo Consiglio è, infatti, unanime nel ritenere che
la proroga dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è accordata
qualora i lavori non possano essere iniziati o conclusi per iniziative
dell'amministrazione o dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondati; i
termini di inizio e di conclusione dei lavori possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso e tali fatti sopravvenuti (che possono consistere nel
factum principis o in altri casi di forza maggiore) non hanno un rilievo
automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l'interessato proponga una domanda di proroga, il cui
accoglimento è indefettibile perché non vi sia la pronuncia di decadenza (cfr.
ex multis Cons. St., Sez. VI, 29.08.2019, n. 5978).
Pertanto, il venir
meno ex tunc dell’efficacia del permesso di costruire per il mancato
rispetto del termine di fine lavori in assenza di tempestiva domanda di
proroga si riverbera sugli effetti dei successivi titoli edilizi che non
possono ritenersi efficaci trattandosi di richieste di varianti rispetto ad
un titolo edilizio principale privo di efficacia.
7.3. Del pari non gioca alle tesi dell’appellante il richiamo all’articolo
30, comma 3, del D.l. n. 69/2013, che secondo la prospettazione contenuta
nell’odierno gravame avrebbe comportato la proroga automatica del titolo
edilizio senza necessità di autorizzazione espressa da parte
dell’Amministrazione comunale.
La norma in questione, infatti, recita:
“Salva diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto
interessato, sono prorogati di due anni i termini di inizio e di ultimazione
dei lavori di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, come indicati nei titoli abilitativi
rilasciati o comunque formatisi antecedentemente all'entrata in vigore del
presente decreto, purché i suddetti termini non siano già decorsi al momento
della comunicazione dell'interessato e sempre che i titoli abilitativi non
risultino in contrasto, al momento della comunicazione dell'interessato, con
nuovi strumenti urbanistici approvati o adottati. È altresì prorogato di tre
anni il termine delle autorizzazioni paesaggistiche in corso di efficacia
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto”.
Ma, da un lato, la norma citata si applica a far data dal 09.10.2013 ossia quando i termini di ultimazione dei lavori risultavano
già scaduti; dall’altro, l’appellante non ha in alcun modo dimostrato di
aver inviato la richiesta comunicazione prima della scadenza del termine di
ultimazione dei lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.06.2020 n. 4179 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittima l’ordinanza demolitoria che pone a suo fondamento
l’intervenuta -ma non dichiarata- decadenza del titolo abilitativo
edilizio, tenuto conto che la perdita di efficacia del titolo edilizio per
mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere
accertata e dichiarata con formale provvedimento dell’amministrazione
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3. Ritenuto il ricorso fondato, giacché:
- è illegittima l’ordinanza demolitoria che pone a suo fondamento
l’intervenuta -ma non dichiarata- decadenza del titolo abilitativo
edilizio (TAR Napoli, Sez. VIII, 08.05.2018, n. 3065; TAR Pescara, Sez.
I, 14.11.2014, n. 449), tenuto conto che la perdita di efficacia del titolo
edilizio per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti
deve essere accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. V, 12.05.2011, n. 2821)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 19.05.2020 n. 890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
perdita di efficacia del titolo edilizio, per mancato inizio o ultimazione
dei lavori nei termini prescritti dall’art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, deve essere accertata e dichiarata con formale
provvedimento del competente organo comunale all’esito di apposita
istruttoria, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato
circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza.
Infatti, l’istituto della decadenza del permesso
di costruire di cui alla citata disposizione, pur avendo natura dichiarativa
e vincolata, presuppone, a garanzia degli interessi privati coinvolti, un
atto di accertamento di un effetto legale che si riconnette al manifestarsi
dei presupposti normativi, con la conseguenza che può ben affermarsi che
l’operatività della decadenza postula sempre l’intermediazione provvedimentale,
in assenza della quale il titolo edilizio dovrà continuare ad essere
considerato assolutamente vigente.
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3. Come correttamente eccepito dalla difesa del controinteressato e
come comprovato dalle emergenze processuali (cfr. carteggio intercorso tra
le parti), la nota della Commissione Straordinaria prot. n. 1236 del 02.05.1994 non può essere qualificata alla stregua di un provvedimento decadenziale della concessione edilizia dell’08.07.1985, semplicemente
perché essa non si riferisce a tale titolo abilitativo ma, piuttosto, alla
richiesta di proroga annuale del termine per il completamento dei lavori
presentata dallo stesso Sig. Mo. il 23.04.1988 (prot. n. 8034).
Pertanto, la disposta archiviazione della pratica va propriamente collegata,
al contrario di quanto opinato dalla ricorrente, non all’avvenuto rilascio
del titolo abilitativo, ma alla suddetta istanza di proroga: di qui
l’incontrovertibile giuridica sussistenza dell’originaria concessione
edilizia del 1985, la quale ben poteva costituire valido presupposto dei
contestati permessi di costruire.
4. Il permesso di costruire n. 51/2011 non poteva considerarsi decaduto per
asserito omesso inizio dei lavori entro l’anno dal suo rilascio, dal momento
che non era intervenuto alcun provvedimento dell’amministrazione comunale
significativo in tal senso.
Si rammenta che la perdita di efficacia del titolo edilizio per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti dall’art. 15, comma
2, del d.P.R. n. 380/2001, deve essere accertata e dichiarata con formale
provvedimento del competente organo comunale all’esito di apposita
istruttoria, anche ai fini del necessario contraddittorio con il privato
circa l’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza.
Infatti, l’istituto della decadenza del permesso
di costruire di cui alla citata disposizione, pur avendo natura dichiarativa
e vincolata, presuppone, a garanzia degli interessi privati coinvolti, un
atto di accertamento di un effetto legale che si riconnette al manifestarsi
dei presupposti normativi, con la conseguenza che può ben affermarsi che
l’operatività della decadenza postula sempre l’intermediazione provvedimentale, in assenza della quale il titolo edilizio dovrà continuare
ad essere considerato assolutamente vigente (orientamento consolidato: cfr.
per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 22.10.2015 n. 4823; TAR Campania
Napoli, Sez. III, 07.11.2019 n. 5289; TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 08.05.2018 n. 3065; parte ricorrente, viceversa, fa leva su orientamenti
giurisprudenziali ormai minoritari) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 03.04.2020 n. 1322 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza è costante nel ritenere che la variante in senso proprio
al titolo edilizio comporti “modificazioni qualitative o quantitative di
non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non
comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto
a quello oggetto di approvazione”; mentre la variante essenziale,
caratterizzata da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto
edificatorio originario”, sulla base dei parametri indicati dall'art. 32 del
T.U. 380/2001 costituisca un permesso a costruire del tutto nuovo ed
autonomo rispetto a quello originario.
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La costante giurisprudenza afferma che nel caso di variante semplice
rimangono i termini di efficacia originari del titolo, mentre nel caso della
variante essenziale valgono nuovi termini indicati nel nuovo titolo.
Pertanto, si deve ritenere, pena la violazione della disciplina relativa ai
termini di efficacia del titolo edilizio, che la variante non essenziale non
possa comunque più intervenire quando siano già scaduti i termini originari.
Inoltre, la decadenza del titolo edilizio è considerata effetto legale del
verificarsi del relativo presupposto, ovvero del decorso del termine, sì che
il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo.
Ne deriva che la decadenza, intervenuta per il superamento dei termini
previsti per la realizzazione della costruzione, comporta la impossibilità
di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo
assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le
opere ancora da eseguire.
Una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la
costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve
provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale,
volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con
le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso a
provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione”.
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Ritiene il Collegio che tale motivo di appello sia infondato.
Risulta, infatti, evidente dalla documentazione agli atti di causa e anche
dalla relazione del consulente tecnico nominato nel giudizio di primo grado
che il permesso di costruire dell’08.10.2007 sia del tutto autonomo dal
precedente.
Ciò risulta in fatto sia dalla nuova istruttoria effettuata
dall’Amministrazione, di cui dà atto lo stesso Comune nella nota del
Responsabile del procedimento, prot. n. 12110 del 03.07.2008, allegata alla
relazione del C.T.U. e citata dal giudice di primo grado sia dalle
sostanziali modifiche di sagoma, di prospetti e di cubatura introdotte
rispetto al progetto originario, secondo quanto indicato dal consulente.
Il parametro normativo per la definizione di varianti cd. essenziali che
comportano il rilascio di un nuovo titolo edilizio è costituito dall’art. 32
del D.P.R. 380 del 2001 che, nel testo allora vigente indicava le varianti
essenziali come quelle “mutamento della destinazione d'uso che implichi
variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 02.04.1968,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16.04.1968; b) aumento
consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in
relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri
urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione
dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche
dell'intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in
materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali".
La giurisprudenza è costante nel ritenere che la variante in senso proprio
al titolo edilizio comporti “modificazioni qualitative o quantitative di
non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non
comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto
a quello oggetto di approvazione”; mentre la variante essenziale,
caratterizzata da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto
edificatorio originario”, sulla base dei parametri indicati dall'art. 32
del T.U. 380/2001 costituisca un permesso a costruire del tutto nuovo ed
autonomo rispetto a quello originario (Consiglio di Stato sez. VI 30.03.2017
n. 1484).
Peraltro, nel caso di specie, a monte la configurabilità di una variante è
esclusa anche dalla circostanza che la concessione edilizia rilasciata il
30.01.1997 era scaduta senza che fossero mai stati completati i lavori né
concessa una proroga prima della scadenza del titolo.
Infatti, la concessione edilizia rilasciata il 30.01.1997 prevedeva i
termini di 12 mesi per l’inizio dei lavori e di 36 mesi per l’ultimazione
dalla data del rilascio, aveva quindi perso efficacia il 30.01.2000.
L’immobile non è stato realizzato nel termine previsto dall’originario
titolo edilizio; infatti l’atto del 22.11.2005 di “voltura e rinnovo”
della concessione ha fatto riferimento, quale presupposto per la sua
adozione, “al ritardo sulle lavorazioni dovuto alla particolare
complessità delle opere geotecniche”; a tale data, quindi, i lavori non
erano ancora terminati.
L’art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10, da cui era disciplinata la
concessione rilasciata nel 1997, disponeva che l’atto di concessione
indicasse i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Inoltre,
prevedeva: “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
abitabile o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere
prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà
del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la
loro esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei lavori può
essere concesso esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da
realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive;
ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto
in più esercizi finanziari.
Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario
deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal
caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata”.
Analoga disciplina è contenuta nell’art. 15 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380,
per cui “il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale
l'opera deve essere completata non può superare i tre anni dall'inizio dei
lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte
non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da realizzare o delle
sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari”.
Inoltre, in base al comma 3 della medesima disposizione, “la
realizzazione della parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito
è subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire,
salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia
di inizio attività (ora SCIA) ai sensi dell'articolo 22. Si procede altresì,
ove necessario, al ricalcolo del contributo di costruzione”. Infine “il
permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati
entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.
Tale disciplina comporta che a seguito della concessione edilizia del
30.01.1997, scaduta senza che fosse presentata alcuna richiesta di proroga
prima della scadenza, in alcun modo si potesse configurare una variante; né,
in difetto di proroga tempestiva, avrebbero potuto essere salvati gli
effetti di un titolo edilizio già scaduto.
La costante giurisprudenza afferma, altresì, che nel caso di variante
semplice rimangono i termini di efficacia originari del titolo, mentre nel
caso della variante essenziale valgono nuovi termini indicati nel nuovo
titolo (Cons. Stato Sez. VI, 20.11.2017, n. 5324; Sez. IV, 11.10.2017, n.
4704).
Pertanto, si deve ritenere, pena la violazione della disciplina relativa ai
termini di efficacia del titolo edilizio, che la variante non essenziale non
possa comunque più intervenire quando siano già scaduti i termini originari.
Inoltre, la decadenza del titolo edilizio è considerata effetto legale del
verificarsi del relativo presupposto, ovvero del decorso del termine, sì che
il provvedimento comunale sul punto è meramente dichiarativo.
Ne deriva che la decadenza, intervenuta per il superamento dei termini
previsti per la realizzazione della costruzione, comporta la impossibilità
di realizzare la “parte non eseguita” dell’opera a suo tempo
assentita, e la necessità del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le
opere ancora da eseguire.
Una volta intervenuta la decadenza, chiunque intenda completare la
costruzione necessita di un nuovo ed autonomo titolo edilizio, che deve
provvedere a richiedere, sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale,
volto sia a verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare con
le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità, sia, se del caso a
provvedere al “ricalcolo del contributo di costruzione” (Cons. Stato
sez. IV 11.04.2014 n. 1747).
Infine, i provvedimenti abilitativi in materia edilizia sono tipizzati dal
legislatore
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 25.09.2019 n. 6424 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
maggio 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire formatosi per silentium: é ammessa la decadenza per mancato
avvio dei lavori?
Due cittadine pugliesi presentavano istanza per ottenere dal Comune un
permesso di costruire. L’Amministrazione civica si guardava bene dal
pronunciarsi sulla domanda e, a detta delle istanti, sulla stessa si formava
il silenzio assenso.
Ad un certo punto il Comune emanava invece un provvedimento di decadenza del
titolo, formatosi per silentium, sul presupposto che le due donne non
avevano iniziato i lavori tempestivamente.
A questo punto costoro presentavano ricorso al TAR assumendo in particolare
che l’atto contestato era viziato da sviamento, travisamento,
contraddittorietà-illogicità.
Il TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2019 n. 725, ha accolto l’impugnativa.
Il Collegio ha preliminarmente osservato che la formazione del
silenzio-assenso (art. 5 legge 12.07.2011 n. 106) sulla domanda di
permesso di costruire (art. 20, comma 8, del T.U. 6 giugno 2001 n. 380)
postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e
tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, in quanto in
assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti
presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo
tacito può validamente formarsi.
Tale forma di silenzio, che origina un titolo edilizio tacito, equivalente
al provvedimento, pur tuttavia non incide in senso abrogativo sull’esistenza
del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce
solo un’alternativa modalità, presuntivamente semplificata, di tipo
“rimediale” per il conseguimento dell’autorizzazione anelata, laddove
l’amministrazione rimanga inerte.
Tuttavia trattasi pur sempre di un’alternativa posta nell’interesse del
destinatario, ossia del soggetto passivo che “attende” il provvedimento.
Secondo l’interessante pronuncia dei giudici pugliesi, la natura rimediale
(e derogatoria) del silenzio-assenso, infatti, va qualificata in senso per
così dire “protettivo” dell’interesse del richiedente all’irrinunciabilità
dell’atto esplicito e formale, preordinato ad evitare l’avvio di un’attività
a gravoso impatto territoriale ed economico, peraltro non facilmente
reversibile.
Ciò posto, non può dunque che essere riconosciuta la facoltà per il privato
di optare per il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur
prevista la formazione del titolo in forma tacita (e per di più
condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla “scala” degli atti di assenso
agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (D.P.R. 06.06.2001 n. 380), va compiuta in senso razionale. Se, dunque, per un intervento
minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di parte può optarsi per
il rilascio di un permesso di costruire espresso, è quindi, secondo la
logica giuridica, necessario che, per un intervento maggiore, dove è
previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il rilascio di un
permesso espresso, seppure in alternativa in base alla normativa possa
risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto solo in
funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
E’ stato quindi affermato che rimane nella disponibilità del privato
l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, L.
07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (D.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola
speciale (ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa), la
formazione di un silenzio-assenso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o
meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito,
costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a
realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il
soggetto istante ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di
un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde
evitare di esporsi al successivo esercizio del potere di autotutela, con
lesione della propria sfera economico-patrimoniale.
Ragion per cui, giammai l’Amministrazione comunale può pronunciare una
“decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi,
qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo –com’è avvenuto nel caso
di specie– l’emanazione di un provvedimento espresso. In altri termini, non
può pronunciarsi una decadenza, in ordine ad un provvedimento inespresso e
di contenuto indeterminato e indeterminabile, alla stregua della normativa
da applicarsi in concreto.
In buona sostanza con la sentenza in commento il Comune di Trani è stato
obbligato, laddove invero specificamente richiesto e sollecitato, a
pronunciarsi sul rilascio del permesso edilizio in modo espresso, stante il
principio generale imposto dall’art. 2, comma 1, della citata L. n. 241 del
1990: con conseguente annullamento dell’atto di decadenza (commento tratto
da www.ilquotidianodellapa.it - TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decadenza,
per mancata conclusione dei lavori, del permesso edilizio rilasciato per
silenzio-assenso.
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Edilizia – Permesso di costruire – Rilasciato per silenzio-assenso –
Decadenza per mancata conclusione dei lavori – Esclusione.
L’amministrazione comunale non può pronunciare la
decadenza per mancata attivazione e conclusione dei lavori, in ordine al
titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato
richiesto, più volte nel tempo, l’emanazione di un provvedimento espresso;
non è infatti configurabile la decadenza su un atto tacito “condizionato”
alla presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 20, comma 8, d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (completezza documentale ed esclusione da vincoli), che
sono suscettibili di vario apprezzamento oggettivo e soggettivo
(auto-qualificazione) e, quindi, sono indeterminati ex se nel loro contenuto
precettivo (1).
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(1) Ha ricordato il Tar che la formazione del silenzio-assenso
(art. 5, l. 12.07.2011. n. 106) sulla domanda di permesso di costruire (art.
20, comma 8, d.P.R. 06.06.2001 n. 380) postula che l’istanza sia assistita
da tutti i presupposti amministrativi e tecnici, sia soggettivi che
oggettivi, di accoglibilità, giacché in assenza della documentazione
prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti per la realizzazione
dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può validamente formarsi (Cons.
St., sez. IV, 12.07.2018, n. 4273; id.
05.09.2016, n. 3805).
Detta forma di silenzio-assenso non incide in senso abrogativo
sull’esistenza del regime autorizzatorio edilizio, che rimane inalterato,
bensì introduce solo un’alternativa modalità semplificata di tipo
“rimediale” per il conseguimento dell’autorizzazione edilizia anelata, posta
nell’interesse del destinatario, che “attende” il provvedimento. Resta
pertanto ferma l’irrinunciabilità dell’atto esplicito e formale.
2.- Deve, quindi, ritenersi che, allo stesso modo in cui il legislatore ha
previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi
sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire
espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), è quindi a fortiori
riconosciuta la facoltà di optare per il permesso di costruite in forma
espressa, laddove sia pur prevista la formazione del titolo in forma tacita
(e per di più condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla scala degli atti di assenso
agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (d.P.R.
06.06.2001, n. 380), va infatti compiuta in senso razionale.
Se per un intervento minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di
parte può optarsi per il rilascio di un permesso di costruire espresso, è
quindi, secondo la logica giuridica, necessario che, per un intervento
maggiore, dove è previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il
rilascio di un permesso espresso, seppure in alternativa in base alla
normativa possa risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto
solo in funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
Rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un
provvedimento espresso (art. 2, comma 1, l. 07.08.1990, n. 241), sancito
dalla normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001, n. 380) come regola
generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve
ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un
silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o
minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali
espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta
della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un
provvedimento espresso (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2019 n. 725 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
---------------
SENTENZA
...
per l’annullamento:
- del provvedimento prot. n. 3567/29.01.2019, con cui il Comune di Trani ha
dichiarato la decadenza del permesso di costruire tacito, formatosi in
ordine all’istanza delle ricorrenti (pratica n. 111/2009) per omesso avvio
dei lavori entro il termine annuale.
...
1.- In fatto, le sorelle La. hanno impugnato il provvedimento di
decadenza, per omesso avvio dei lavori entro il termine annuale, pronunciato
in ordine al permesso di costruire tacito, formatosi –secondo quanto
ritenuto dal Comune di Trani– sulla domanda di rilascio del permesso
edilizio presentata dalle ricorrenti.
Difatti, l’amministrazione comunale intimata, a fronte della presentazione
dell’istanza di permesso di costruire, ha serbato silenzio, senza adottare
un provvedimento espresso.
Pertanto, le ricorrenti hanno impugnato il provvedimento in epigrafe per
eccesso di potere, assumendo in particolare l’atto viziato da sviamento,
travisamento, contraddittorietà-illogicità. Inoltre, venivano contestate la
correttezza e la trasparenza dell’azione amministrativa e la violazione del
giudicato di una precedente pronuncia giurisdizionale intervenuta sulla
vicenda.
...
2.- In diritto, va, in via preliminare, osservato che la formazione del
silenzio-assenso (art. 5 legge 12.07.2011 n. 106) sulla domanda di
permesso di costruire (art. 20, comma 8, del d.P.R. 06.06.2001 n. 380)
postula che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti amministrativi e
tecnici, sia soggettivi che oggettivi, di accoglibilità, giacché in assenza
della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei detti presupposti
per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può
validamente formarsi (Cons. St., sez. IV, 12.07.2018 n. 4273; Cons. St.,
sez. IV, 05.09.2016 n. 3805).
La giurisprudenza (TAR Puglia, Bari, sez. III, 14.01.2016 n. 37) ha
già avuto modo di precisare che detta forma di silenzio, che origina un
titolo edilizio tacito, equivalente al provvedimento, pur tuttavia non
incide in senso abrogativo sull’esistenza del regime autorizzatorio
edilizio, che rimane inalterato, bensì introduce solo un’alternativa
modalità, presuntivamente semplificata, di tipo “rimediale” per il
conseguimento dell’autorizzazione anelata, laddove l’amministrazione rimanga
inerte.
Epperò, trattasi pur sempre di un’alternativa posta nell’interesse del
destinatario, ossia del soggetto passivo che “attende” il provvedimento.
La natura rimediale (e derogatoria) del silenzio-assenso, infatti, va
qualificata in senso per così dire “protettivo” dell’interesse del
richiedente all’irrinunciabilità dell’atto esplicito e formale, preordinato
ad evitare l’avvio di un’attività a gravoso impatto territoriale ed
economico, peraltro non facilmente reversibile.
3.- Deve, quindi, ritenersi che, allo stesso modo in cui il legislatore ha
previsto, in favore del richiedente il titolo edilizio, per gli interventi
sottoposti a S.C.I.A., la facoltà di optare per il permesso di costruire
espresso (art. 22, comma 7, d.P.R. 06.06.2001 n. 380), è quindi a fortiori da ritenersi che debba essere riconosciuta la facoltà di optare per
il permesso di costruite in forma espressa, laddove sia pur prevista la
formazione del titolo in forma tacita (e per di più condizionata).
L’interpretazione da fornirsi in ordine alla scala degli atti di assenso
agli interventi edilizi previsti dalla normativa di specie (d.P.R. 06.06.2001 n. 380), va compiuta in senso razionale.
Se per un intervento minore è sufficiente la S.C.I.A., ma su richiesta di
parte può optarsi per il rilascio di un permesso di costruire espresso, è
quindi, secondo la logica giuridica, necessario che, per un intervento
maggiore, dove è previsto il permesso di costruire, si possa pretendere il
rilascio di un permesso espresso, seppure in alternativa in base alla
normativa possa risultare sufficiente il silenzio-assenso, peraltro previsto
solo in funzione rimediale all’inerzia e sottoposto a talune condizioni.
Difatti, nella misura in cui la surriferita disciplina ha introdotto a
carico del privato, che richiede il permesso di costruire, una serie di
gravosi oneri di auto-qualificazione (anche opinabili), circa il possesso
dei requisiti dell’intervento edilizio da realizzarsi e di attestazione di
conformità dello stesso ai presupposti di legge, il silenzio-assenso non è
affatto incondizionato e per di più fa comunque salvi i poteri di autotutela
dell’amministrazione (art. 20, comma 3, legge 07.08.1990 n. 241).
Tali poteri di autotutela, nella forma dell’auto-annullamento, sono
esercitabili, quando il permesso di costruire sia tacito, nell’ipotesi in
cui è necessario tutelare l’interesse pubblico alla legittima utilizzazione
del territorio, sotto il profilo urbanistico-edilizio, in presenza di
situazioni non significativamente consolidate dei privati per il tempo
trascorso (Cons. St., sez. IV, 05.09.2016 n. 3805; Cons. St., sez. IV,
28.06.2016 n. 2908; Cons. St., sez. IV, 12.07.2013 n. 3749).
4.- In ultima analisi, va affermato che rimane nella disponibilità del
privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2,
comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R.
06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come
regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la
formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti
autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti
solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la
possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il
rilascio di un provvedimento espresso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o
meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito,
costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a
realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il
soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio ben può
conservare l’interesse a optare per il rilascio di un titolo edilizio
espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde evitare di esporsi al
successivo esercizio del potere di autotutela, con lesione della propria
sfera economico-patrimoniale.
5.- Motivo per cui, giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una
“decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi,
qualora sia stato richiesto, più volte nel tempo –com’è avvenuto nel caso
di specie– l’emanazione di un provvedimento espresso.
Il Comune di Trani è, dunque, obbligato ex lege, laddove invero
specificamente richiesto e sollecitato, a pronunciarsi sul rilascio del
permesso edilizio in modo espresso, stante il principio generale imposto
dall’art. 2, comma 1, della legge 07.08.1990 n. 241.
Di conseguenza, non è configurabile la decadenza su un atto tacito
“condizionato” alla presenza di tutti i requisiti previsti dall’art. 20,
comma 8, del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (completezza documentale ed
esclusione da vincoli), che sono suscettibili di vario apprezzamento
oggettivo e soggettivo (auto-qualificazione) e, quindi, sono indeterminati
ex se nel loro contenuto precettivo.
Non può pronunciarsi una decadenza, in ordine ad un provvedimento inespresso
e di contenuto indeterminato e indeterminabile, alla stregua della normativa
da applicarsi in concreto.
6.- In conclusione, il Comune di Trani, in quanto sollecitato al rilascio di
un permesso di costruire in forma espressa, è tenuto ad emanare il relativo
provvedimento e non può persistere nell’omissione. Di conseguenza, è
illegittimo il provvedimento di decadenza impugnato nel presente ricorso,
come specificato in epigrafe.
Ergo, il ricorso va accolto e annullato il provvedimento di decadenza
impugnato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo. Il contributo unificato va rifuso, in applicazione dell’art.
13, comma 6-bis, del d.P.R. 30.05.2002 n. 115. |
ottobre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Al fine di impedire la
decadenza del permesso di costruire, l'avvio delle opere
deve essere reale ed effettivo ovvero manifestazione di un
serio e comprovato intento di esercitare il diritto ad
edificare, e non solo apparente o fittizio, volto al solo
scopo di evitare la temuta perdita di efficacia del titolo,
con conseguente irrilevanza di operazioni quali la
ripulitura del sito, l'approntamento del cantiere e dei
materiali occorrenti per l'esecuzione dei lavori
nell'immobile, lo sbancamento del terreno.
---------------
In ogni caso, ad evitare la decadenza del permesso di
costruire tanto la normativa nazionale che quella regionale
chiariscono che la proroga del termine di inizio e fine
lavori “…può essere accordata, con provvedimento motivato,
per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare
del permesso”, ma evidentemente prima della scadenza del
termine di validità del titolo e comunque solo con un
provvedimento espresso e motivato, fondato sulla verifica
dell'idoneità delle condizioni oggettive che giustificano la
richiesta.
---------------
E’ pacifico che la decadenza del permesso di costruire
costituisce l'effetto automatico dell'inutile decorso del
termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e
concludere; pertanto, essa ha natura non già costitutiva,
bensì dichiarativa con efficacia ex tunc di un effetto
verificatosi ex se e direttamente e in tal modo va letto
l'art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, in virtù del
quale, inutilmente decorsi detti termini, il permesso decade
di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga.
Di qui l’evidente ultroneità della comunicazione di avvio
del procedimento dal momento che la partecipazione
dell’interessata non avrebbe comunque potuto determinare
alcun effetto in relazione all’oggettivo decorso del
termine.
---------------
2. Con il primo dei gravami all’esame la società
ricorrente contesta il provvedimento con cui il Comune di
Siena ha dichiarato la decadenza del permesso di costruire
n. 22/2016 rilasciato il 05.04.2016, “per la esecuzione
dei lavori di realizzazione nuovo complesso per varie
attività in Strada Massetana Romana” oltre a opere di
urbanizzazione (viabilità e parcheggi) per circa 6.925 mq.,
ordinando la rimozione di quanto occorrente all’impianto del
cantiere.
Il ricorso è infondato.
3. Con il primo e secondo motivo la società
lamenta la violazione dell'art. 15 del D.P.R. 380/2001 e
dell'art. 133 della L.R. Toscana 65/2014 giacché, a seguito
del rilascio del titolo edilizio, avrebbe posto in essere
tutte le attività che era possibile avviare, allestendo il
cantiere, depositando i materiali necessari all'esecuzione
dei lavori e sistemando il piazzale con materiale di cava.
Dopo di che l’esecuzione dei lavori sarebbe stata interrotta
da cause di forza maggiore sopravvenute, identificate in
primo luogo nella necessità di spostamento della fognatura
pubblica che sarebbe stata eseguibile solo a mezzo di una
preventiva intesa con il Comune (attesa la natura pubblica
dell’infrastruttura) per la quale quest’ultimo sarebbe stato
interpellato con le note del 16-17.06.2016, senza
tuttavia ottenere alcun riscontro.
In secondo luogo, atteso che l’area è sita in fregio alla
strada statale n. 674, si riteneva necessario acquisire
l’autorizzazione dell’ANAS per l’occupazione di un terreno
ai margini del lotto e della strada, con i materiali ed i
mezzi d’opera, oltre che per aprire un varco di accesso
necessario per raggiungere l’area di costruzione.
3.1. La tesi non merita adesione.
E’ indubbio (e del resto neppure contestato
dall’interessata) che le attività preliminari poste in
essere dalla società sulla porzione di terreno interessata
dalla nuova edificazione non potevano ritenersi sufficienti
ad integrare il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori
entro l’anno dal rilascio del permesso.
In tal senso la giurisprudenza è unanime nel ritenere che al
fine di impedire la decadenza del permesso di costruire,
l'avvio delle opere deve essere reale ed effettivo ovvero
manifestazione di un serio e comprovato intento di
esercitare il diritto ad edificare, e non solo apparente o
fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita
di efficacia del titolo, con conseguente irrilevanza di
operazioni quali la ripulitura del sito, l'approntamento del
cantiere e dei materiali occorrenti per l'esecuzione dei
lavori nell'immobile, lo sbancamento del terreno (Cons. St.,
sez. VI, 19.09.2017 n. 4381; id., sez. V, 31.08.2017 n. 4150; TAR Campania Salerno, sez. II, 15.06.2018 n. 961).
3.2. Quanto ai fatti che avrebbero impedito in assenza della
volontà della ricorrente, e quindi per forza maggiore,
l’effettivo avvio dei lavori, in relazione alla problematica
della traslazione della condotta fognaria si rileva come
dagli atti di causa emerga che il titolo edificatorio era
stato rilasciato in conformità al progetto esecutivo, parte
integrante e sostanziale dello stesso, dopo l’adeguamento a
tutte le prescrizioni indicate nella premessa e quindi anche
a quelle inerenti al tracciato del tratto di fognatura
bianca. Non era perciò necessaria alcuna ulteriore intesa o
autorizzazione da parte del Comune.
In relazione poi all’autorizzazione richiesta ad ANAS è la
stessa ricorrente ad ammettere che detta Azienda,
riscontrando l’istanza, aveva comunicato che non era
necessaria alcuna autorizzazione, competendo semmai al
Comune di Siena il rilascio di eventuali permessi, peraltro
mai richiesti dall’interessata.
3.3. In ogni caso, ad evitare la decadenza del permesso di
costruire, tanto la normativa nazionale che quella regionale
chiariscono che la proroga del termine di inizio e fine
lavori “…può essere accordata, con provvedimento motivato,
per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare
del permesso”, ma evidentemente prima della scadenza del
termine di validità del titolo e comunque solo con un
provvedimento espresso e motivato, fondato sulla verifica
dell'idoneità delle condizioni oggettive che giustificano la
richiesta.
4. Con il terzo motivo parte ricorrente si duole che
il Comune abbia adottato la decadenza del permesso di
costruire senza comunicazione dell’avvio del relativo
procedimento.
La doglianza è infondata.
E’ pacifico, infatti, che la decadenza del permesso di
costruire costituisce l'effetto automatico dell'inutile
decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti
iniziare e concludere; pertanto, essa ha natura non già
costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc di un
effetto verificatosi ex se e direttamente e in tal modo va
letto l'art. 15, comma 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, in
virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una
proroga (Cons. St., sez. IV, 04.03.2014, n. 1013; id.,
sez. IV, 15.04.2016 n. 1520).
Di qui l’evidente ultroneità della comunicazione di avvio
del procedimento dal momento che la partecipazione
dell’interessata non avrebbe comunque potuto determinare
alcun effetto in relazione all’oggettivo decorso del
termine.
In conclusione per quanto appena esposto il ricorso va
rigettato (TAR
Toscana, Sez. III,
sentenza 12.10.2018 n. 1309 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La realizzata “recinzione” (costituita da un vero
e proprio muro in calcestruzzo di 1,30 m di altezza, 20 cm
di spessore e 70 metri di lunghezza) è di entità notevole,
non essendo una mera “recinzione del cantiere” (non ritenuta
idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero e
proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e
terrazzamento del terreno adiacente.
Sicché, dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e
in rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato,
va affermato che la realizzazione del muro descritto già
effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei
lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e
rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera
programmata.
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
dell’ordinanza n. 113 del 16.09.2005 recante l’ordine di
demolizione di una recinzione di un lotto di terreno sito in
Caserta alla strada comunale La Rocca;
...
1.1. Con il presente gravame, MU.Ma., impugna il
provvedimento n. 113 del 16.09.2005 con cui il Comune di
Caserta ha ordinato la demolizione di una recinzione di un
lotto di terreno sito in Caserta alla strada comunale La
Rocca in seguito alla decadenza del permesso di costruire
rilasciato per il lotto medesimo (permesso n. 271 del
29.11.2001).
...
2.1. Il risalente provvedimento è adottato, in sostanza, sul
presupposto dell’avvenuta decadenza del titolo edilizio n.
271 del 29.11.2001 che, pacificamente, contemplava la
recinzione in questione tra le opere da realizzare.
2.2. Il Comune di Caserta rileva che il permesso di
costruire sarebbe decaduto per il mancato inizio dei lavori
entro l’anno come previsto dall’art. 15, co. 2, del D.P.R.
380/2001 (“il termine per l'inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello
di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori”)
e, pertanto, ingiunge la demolizione della recinzione poiché
effettuata senza titolo edilizio.
3. In punto di fatto, occorre considerare che la “recinzione”
è costituita da un vero e proprio muro in calcestruzzo di
1,30 m di altezza, 20 cm di spessore e 70 metri di
lunghezza, effettuato previo terrazzamento dei terreni
adiacenti (v. perizia a firma del geom. Toscano), realizzato
a partire dal 18.11.2002, come da comunicazione di inizio
lavori inviata in pari data (in atti).
4.1. La circostanza appena descritta dimostra la fondatezza
della censura sub III che assume rilievo assorbente.
4.2. L’entità dell’opera realizzata, infatti, è notevole non
essendo una mera “recinzione del cantiere” (non
ritenuta idonea a integrare l’inizio dei lavori), ma un vero
e proprio muro di contenimento con annesso sbancamento e
terrazzamento del terreno adiacente.
4.3. Dovendosi valutare l’inizio dei lavori in concreto e in
rapporto all’entità dell’intervento edilizio programmato (v.
Consiglio di Stato, sez. V, 31/08/2017, n. 4150), va
affermato che la realizzazione del muro descritto già
effettuato costituisce senz’altro un valido inizio dei
lavori in quanto implica l’attivazione del cantiere e
rappresenta inequivocamente la volontà di realizzare l’opera
programmata (sull’idoneità di lavori di sbancamento e di
realizzazione di un muro di contenimento a rappresentare
l’inizio dei lavori, v. Cassazione penale, sez. II,
06/02/1979; v. anche Consiglio di Stato, sez. VI,
19/09/2017, n. 4381 e, in termini, TAR Genova, sez. I,
28/01/2016, n. 93).
5. Giova precisare che, al momento dell’adozione del
provvedimento impugnato (in cui si dava per assodata la
decadenza dal titolo edilizio), il 15.09.2004, non era
ancora decorso il termine ultimo per la conclusione dei
lavori (tre anni dall’inizio dei lavori, art. 15, co. 2,
D.P.R. 380/2001, cit.) che, parimenti, avrebbe implicato la
decadenza del titolo edilizio. In ragione dell’adozione del
provvedimento impugnato, peraltro, legittimamente la
ricorrente ha sospeso ogni attività edilizia e, pertanto,
dovrà essere rimessa in termini per concludere l’opera di
cui al menzionato permesso di costruire con un’opportuna
proroga.
6. Il ricorso va, pertanto, accolto nei sensi sopra
precisati. Le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a
carico del Comune intimato per il principio di soccombenza e
dovendosi comunque stigmatizzare il contegno processuale di
mancata ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 628/2018 (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 26.07.2018 n. 5016 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Non integra il delitto di infedele attestazione
la condotta del privato che attesti falsamente, con
dichiarazione diretta al sindaco, l’inizio o l’ultimazione
dei lavori di un fabbricato, considerato che tale
dichiarazione non è destinata a confluire in un atto
pubblico e, quindi, a provare la verità dei fatti in essa
attestati, mentre la fattispecie criminosa di cui all’art.
483 c.p. è configurabile solo nel caso in cui una specifica
norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare
i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale.
---------------
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 16.05.2016, la Corte di
appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Firenze dell'11.11.2014 ha rideterminato la
pena inflitta a Mu.Le. e Ma.Lo. per il reato di cui all'art.
483 c.p., in quanto nella Comunicazione di inizio lavori per
l'esecuzione di opere relative ad un fabbricato posto in
Firenze, via ... n. 60, di cui al permesso di costruire n.
33/2011, rilasciato il 05.07.2011, attestavano
contrariamente al vero che i suddetti lavori erano in corso
al 22.072011, avendo assolto i predetti, ed altri
coimputati, dal reato di cui all'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004, per avere realizzato i lavori nel suddetto immobile
senza avere conseguito preventivamente l'autorizzazione
paesaggistica, essendo i medesimi non punibili ai sensi
dell'art. 181, c. 1-ter, D.lgs. n. 42 del 2004, per il
rilascio della c.d. sanatoria paesaggistica.
...
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso punto, che le Sezioni Unite
di questa Corte hanno ritenuto configurabile il delitto di
falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico
(art. 483 c.p.) solo nei casi in cui una specifica norma
giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i
fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così
collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al
dovere del dichiarante di affermare il vero
(così S. U, n. 28 del 15/12/1999, Gabrielli, Rv. 215413;
Conf. S.U. n. 29/2000 del 15.12.1999, Fanciulli e S.U. n.
30/2000 del 15.12.1999, PM in proc. Bertin, non mass.).
Più di recente, è stato ribadito che la
fattispecie di cui all'art. 483 c.p. sussiste qualora l'atto
pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è trasfusa,
sia destinato a provare la verità dei fatti attestati e,
cioè, quando una norma giuridica obblighi il privato a
dichiarare il vero ricollegando specifici effetti
all'atto-documento nel quale la dichiarazione è inserita dal
pubblico ufficiale ricevente
(cfr. Sez. 5, n. 18279 del 02/04/2014, Scalici, Rv. 259883).
Infatti è orientamento consolidato della
giurisprudenza di legittimità, in tema di falsità
documentale, quello in base al quale va escluso che una
scrittura privata o un altro documento "ab origine"
non costituente atto pubblico possa essere considerato tale
in virtù del solo suo collegamento funzionale ad un atto
amministrativo, per effetto dell'inserimento di esso nella
relativa pratica dell'iter consequenziale occorrente per il
provvedimento finale.
2. Il delitto di falso ideologico commesso
dal privato in atto pubblico contestato sussiste, cioè,
quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare
il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento
nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico
ufficiale ricevente
(in tal senso: Sez. 2, n. 4970 del 12/01/2012, Yu, Rv.
251815). Mentre è stato escluso che integri
tale delitto la condotta del privato (nella specie
proprietario e costruttore di un edificio) che attesti
falsamente, con dichiarazione diretta al sindaco,
l'ultimazione dei lavori di un fabbricato, considerato che
tale dichiarazione non è destinata a confluire in un atto
pubblico e, quindi, a provare la verità dei fatti in essa
attestati, mentre la fattispecie criminosa di cui all'art.
483 c.p. è configurabile solo nel caso in cui una specifica
norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare
i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale
(così, ex multis, Sez. 5, n. 19361 del 13/02/2006,
Caccuri, Rv. 234538).
3. Nel caso di specie la comunicazione di inizio attività
non era destinata ad essere incorporata in alcun atto
redatto da un pubblico ufficiale che avrebbe avuto tale
valenza.
A tale proposito va anzi osservato che le
comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo di
agevolare l'accertamento, da parte dell'amministrazione
comunale, dell'inizio e del completamento dell'intervento
edilizio nei termini e consentire una tempestiva verifica
sull'attività posta in essere e non rappresentano, quindi,
una semplice formalità amministrativa, bensì di un
adempimento strettamente connesso ai contenuti ed alle
finalità del permesso di costruire ed agli obblighi di
vigilanza imposti dall'art. 27 e segg. del Testo Unico
dell'edilizia (si
veda, sul punto: Sez. 3, n. 19110 del 09/04/2013, Vani, non
mass.).
4. Quindi è evidente che la comunicazione
di inizio lavori è un atto del privato senza alcuna valenza
probatoria privilegiata ed il cui contenuto può essere
oggetto di specifica verifica sulla effettiva situazione di
fatto volta a controllare la corrispondenza dei lavori
realizzati con quelli autorizzati e, in seguito, il
completamento dell'attività edilizia alla scadenza del
termine annuale assegnato con il permesso a costruire
(nel caso di specie già rilasciato in data 05.07.2011, a
fronte della comunicazione del 22.07.2011).
5. Inoltre, considerando il documento oggetto del giudizio
nel contesto della intera vicenda che ci occupa,
l'attestazione risulta essere stata del tutto irrilevante,
in quanto, a seguito dell'ispezione avvenuta il giorno
precedente, la pubblica amministrazione era ben a conoscenza
della effettiva data di inizio dei lavori (precedente, per
l'appunto, di un giorno). Di conseguenza l'eventuale "falso",
ossia la non corrispondenza alla realtà fattuale, risulta,
all'evidenza, del pari innocuo. In
relazione all'offensività di tale delitto, infatti, la
giurisprudenza ha affermato che l'innocuità va riferita
all'idoneità della dichiarazione non corrispondente al vero
ad ingannare comunque la fede pubblica
(così Sez. 3, n. 34901 del 19/07/2011, Testori, Rv. 250825),
situazione del tutto mancante nel caso concreto.
6. L'accoglimento del primo motivo di ricorso,
relativo alla sussistenza stessa dell'illecito, comune ad
entrambi i ricorrenti determina, all'evidenza, l'integrale
assorbimento della residua doglianza e, in conclusione,
l'impugnata sentenza va annullata senza rinvio per
insussistenza del delitto di cui all'art. 483 c.p. (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
15.01.2018 n. 1456). |
dicembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 15, co. 2, D.P.R. n. 380/2001,
esige un «provvedimento motivato», nel quale devono essere
adeguatamente rappresentati e valutati i «fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare del permesso» che abbiano
impedito l’inizio dei lavori.
Ciò implica una manifestazione
di volontà espressa da parte dell’Amministrazione
competente, che espliciti gli esiti della valutazione di
congruità dei motivi addotti dal richiedente: «la proroga
dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura
giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto
modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti
giuridici delineati dall’atto originario.
Nell’ambito della materia edilizia, la differente
qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell’originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia che accede all’originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi
disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una
valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce
nella verifica delle condizioni oggettive che la
giustificano, tenendo presente che, proprio perché il
risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina
generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano
la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma
e sono di stretta interpretazione».
---------------
Ai sensi
dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001, senza dubbio la
decadenza del permesso di costruire costituisce “effetto
automatico del trascorrere del tempo”.
Ed infatti, l’art. 15 citato prevede, per quel che interessa
nella presente sede:
“1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere
superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata
non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi
i termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La
proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da
realizzare o delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari.
3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata
nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo
permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le
stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante
denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si
procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo
di costruzione (...)”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire, l’istituto della
decadenza ha natura dichiarativa e presuppone un atto di
accertamento di un effetto che consegue
ex lege al
presupposto legislativamente indicato.
Tuttavia, l’intervenuta decadenza, realizzatasi per
superamento dei termini previsti per la realizzazione della
costruzione (ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001),
comporta la impossibilità di realizzare la “parte non
eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità
del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora
da eseguire, sempre che le stesse non possano essere
realizzate sulla base di denuncia di inizio attività.
In sostanza, una volta intervenuta la decadenza, chiunque
intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed
autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere,
sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a
verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare
con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità,
sia, se del caso (e come la norma prevede), a provvedere al
“ricalcolo del contributo di costruzione”».
Ed ancora: «la pronunzia di decadenza del permesso di
costruire è connotata da un carattere strettamente
vincolato, dovuto all’accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha
natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso
a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc».
---------------
La conseguenza di tale intervenuta decadenza è la
illegittimità derivata del provvedimento in variante
successivamente intervenuto, in quanto adottato
dall’Amministrazione comunale in carenza del titolo
abilitativo presupposto.
Il nuovo provvedimento, infatti, in quanto volto a
introdurre una variante rispetto al precedente permesso, lo
presuppone ancora valido ed efficace, atteso che «rimane in
posizione di sostanziale collegamento con quello originario
ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà
deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in
variante, che giustifica -tra l’altro- le peculiarità del
regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano
sostanziale e procedimentale».
---------------
Tutto ciò premesso, con censura fondata e assorbente i ricorrenti
rilevano la illegittimità del p.a.u. n. 15/2016, in quanto
adottato in variante di un permesso di costruire (il n.
86/2013) ormai decaduto per l’inutile decorso del termine di
inizio dei lavori, non essendo intervenuta alcuna proroga
espressa da parte del Comune di Polllica.
Sul punto non vi è contestazione: il Comune di Pollica,
nella «Relazione di chiarimenti» depositata il 04.03.2017,
dichiara che «non ritenne necessario alcun atto formale di
proroga».
In ordine alla necessità di una proroga espressa, il
Collegio rileva che l’art. 15, co. 2, D.P.R. n. 380/2001,
esige un «provvedimento motivato», nel quale devono essere
adeguatamente rappresentati e valutati i «fatti sopravvenuti
estranei alla volontà del titolare del permesso» che abbiano
impedito l’inizio dei lavori; ciò implica una manifestazione
di volontà espressa da parte dell’Amministrazione
competente, che espliciti gli esiti della valutazione di
congruità dei motivi addotti dal richiedente: «la proroga
dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha la natura
giuridica di provvedimento di secondo grado, in quanto
modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti
giuridici delineati dall’atto originario (ex multis,
Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
Nell’ambito della materia edilizia, la differente
qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che, mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell’originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia che accede all’originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine finale di efficacia. La proroga è quindi
disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una
valutazione discrezionale, che in termini tecnici si traduce
nella verifica delle condizioni oggettive che la
giustificano, tenendo presente che, proprio perché il
risultato è quello di consentire una deroga alla disciplina
generale in tema di edificazione, i presupposti che fondano
la richiesta di proroga sono espressamente indicati in norma
e sono di stretta interpretazione» (Cons. di Stato, IV,
sent. n. 1013/2014).
Pertanto -e in disparte la questione della concreta assentibilità della proroga stessa alla luce delle
giustificazioni fornite dalla Ak.Im., in tutto
riconducibili alla stessa società e non a fatti estranei,
come richiesto invece dalla legge- il permesso di costruire
n. 86/2013 doveva (e deve) ritenersi decaduto: «ai sensi
dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001, senza dubbio la
decadenza del permesso di costruire costituisce “effetto
automatico del trascorrere del tempo”.
Ed infatti, l’art. 15 citato prevede, per quel che interessa
nella presente sede:
“1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l’inizio dei lavori non può essere
superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata
non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi
i termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La
proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da
realizzare o delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari.
3. La realizzazione della parte dell’intervento non ultimata
nel termine stabilito è subordinata al rilascio di nuovo
permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le
stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante
denuncia di inizio attività ai sensi dell’articolo 22. Si
procede altresì, ove necessario, al ricalcolo del contributo
di costruzione (...)”.
Come la giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire (Cons.
Stato, sez. IV, 07.09.2011 n. 5028), l’istituto della
decadenza ha natura dichiarativa e presuppone un atto di
accertamento di un effetto che consegue
ex lege al
presupposto legislativamente indicato.
Tuttavia, l’intervenuta decadenza, realizzatasi per
superamento dei termini previsti per la realizzazione della
costruzione (ai sensi dell’art. 15, co. 2, DPR n. 380/2001),
comporta la impossibilità di realizzare la “parte non
eseguita” dell’opera a suo tempo assentita, e la necessità
del rilascio di un nuovo titolo edilizio per le opere ancora
da eseguire, sempre che le stesse non possano essere
realizzate sulla base di denuncia di inizio attività.
In sostanza, una volta intervenuta la decadenza, chiunque
intenda completare la costruzione necessita di un nuovo ed
autonomo titolo edilizio, che deve provvedere a richiedere,
sottoponendosi ad un nuovo iter procedimentale, volto sia a
verificare la coerenza di quanto occorre ancora realizzare
con le prescrizioni urbanistiche vigenti nell’attualità,
sia, se del caso (e come la norma prevede), a provvedere al
“ricalcolo del contributo di costruzione”» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1747/2014; in termini, Cons. di Stato, IV,
sent. n. 1520/2016 e Cons. di Stato, VI, sent. n.
5324/2017).
E ancora: «la pronunzia di decadenza del permesso di
costruire è connotata da un carattere strettamente
vincolato, dovuto all’accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti ed ha
natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso
a costruire per l’inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di
Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028)» (Cons. di Stato, IV, sent. n. 1013/2014).
La conseguenza di tale intervenuta decadenza è la
illegittimità derivata del provvedimento in variante
successivamente intervenuto, in quanto adottato
dall’Amministrazione comunale in carenza del titolo
abilitativo presupposto.
Il nuovo provvedimento, infatti, in quanto volto a
introdurre una variante rispetto al precedente permesso, lo
presuppone ancora valido ed efficace, atteso che «rimane in
posizione di sostanziale collegamento con quello originario
ed in questo rapporto di complementarietà e di accessorietà
deve ravvisarsi la caratteristica distintiva del permesso in
variante, che giustifica -tra l’altro- le peculiarità del
regime giuridico cui esso viene sottoposto sul piano
sostanziale e procedimentale» (Cass. pen., III, sent. n.
24236/2010).
Nella fattispecie in esame, in esame, invece, il p.a.u. n.
15/2016 interviene quando era già decorso il termine di
efficacia del p.d.c. n. 86/2013, sicché risulta privo dei
presupposti per la sua adozione (TAR Campabia-Salerno, Sez.
I,
sentenza 20.12.2017 n. 1774 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Appare
condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai sensi
dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba
intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono
desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando
consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di
scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo
edificio per evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi
fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di
per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto
dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un
anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di
decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n.
380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia
accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da
altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento
del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera
assentita.
Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera
esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi
lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento dei
muri.
---------------
Ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La proroga
può essere accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari.”.
Nel caso di specie, le varie denunce e contestazioni poste
in essere dai vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti,
estranei alla volontà del titolare del permesso”,
soprattutto nel caso di presentazione di una pluralità di
esposti e di ricorsi avverso il soggetto titolare del
permesso di costruire, il quale s’è visto costretto a dover
assumere tutte le iniziative del caso per difendersi da
questi eventi di forza maggiore che impediscono di portare a
termine, nei tempi prestabiliti, i lavori.
---------------
9. Nel dettaglio ai
motivi di appello.
10. L’infondatezza nel merito dell’appello consente di
prescindere dall’eccezione d’inammissibilità dell’appello (recte
di parte dei motivi d’appello), proposta dalla società
appellata, sul rilievo che gli intervenienti adesivi
dipendenti, intervenuti ad oppenendum in primo grado,
non sono titolari di una posizione che li legittimi ad
impugnare autonomamente la sentenza.
10.1 Per restituire un minimo di organicità ai motivi
d’appello, le censure vanno ricondotte a tre ordini di
argomenti che fungono da comune denominatore: la
legittimità del provvedimento di decadenza; la legittimità o
meno del rilascio della proroga dell’inizio lavori; la
supposta violazione dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 in
combinato disposto con l’art. 167 del D.Lgs. n. 42/2004.
10.2 Sul motivo che deduce la violazione dell’art. 15 e ss.
d.P.R. 380/2001.
10.3 Va condiviso il capo di sentenza che ha affermato
l’illegittimità del provvedimento di decadenza del permesso
di costruire n. 73 del 28.06.2006 per mancato inizio e
termine dei lavori nei tempi stabiliti dalla normativa
edilizia di riferimento.
Il provvedimento è stato emesso sulla base di
un’irragionevole interpretazione dell’art. 15 d.P.R. n.
380/2001, il quale prevede un termine massimo di un anno,
decorrente dal rilascio del permesso di costruire, entro cui
iniziare i lavori, nonché un termine di tre anni,
dall’inizio dei lavori, per completare l’opera.
Appare condiviso in giurisprudenza che l’inizio lavori, ai
sensi dell’art. 15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, debba
intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono
desumersi dagli indizi rilevati sul posto.
Pertanto i lavori debbono ritenersi “iniziati” quando
consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nell’impianto del cantiere, nell’innalzamento di elementi
portanti, nella elevazione di muri e nella esecuzione di
scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo
edificio per evitare che il termine di decadenza del
permesso possa essere eluso con ricorso ad interventi
fittizi e simbolici.
Vero è che la mera esecuzione di lavori di sbancamento è, di
per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto
dell’effettivo inizio dei lavori, entro il termine di un
anno dal rilascio del permesso di costruire a pena di
decadenza del titolo abilitativo (art. 15 d.P.R. n.
380/2001), essendo necessario che lo sbancamento sia
accompagnato dalla compiuta organizzazione del cantiere e da
altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento
del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera
assentita.
10.4 Nondimeno nel caso di specie non si trattava di “mera
esecuzione di sbancamento” ma di concreti ed effettivi
lavori “in corso di esecuzione” per il livellamento
dei muri.
Lo attesta, ai sensi del verbale di sopralluogo redatto dai
Carabinieri, la presenza nei “vani ancora esistenti”
del materiale oggetto di demolizione nonché la nota del
03.07.2007 dell’avv. Ce.Al., nella qualità di procuratore
della confinante Sig.ra An.Zu., con la quale si chiedeva al
Comune, Regione e Soprintendenza di far sospendere i lavori
alla Sn.St. S.a.s.: l’atto dimostra che un inizio di lavori
c’era effettivamente stato prima del verbale del 2009, in
quanto la confinante Sig.ra An.Zu. non avrebbe avuto motivo
di sollecitare l’intervento l’avv. Al. per delle mere
pulizie del fondo e rimozione dei detriti.
10.5 Anche la concessione di proroga emessa dal Comune
risulta legittima.
Infatti, ai sensi dell’art. 15, 2° comma, d.P.R. cit. “La
proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare
del permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera
da realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari.”.
10.6 Le varie denunce e contestazioni poste in essere dai
vicini rappresentano dei “fatti sopravvenuti, estranei
alla volontà del titolare del permesso”, soprattutto nel
caso di presentazione di una pluralità di esposti e di
ricorsi avverso il soggetto titolare del permesso di
costruire, il quale s’è visto costretto a dover assumere
tutte le iniziative del caso per difendersi da questi eventi
di forza maggiore che impediscono di portare a termine, nei
tempi prestabiliti, i lavori
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 19.09.2017 n. 4381 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Per costante giurisprudenza, l’art. 15, comma 2,
del T.U. 380/200107 n. 4423, che si riferisce ad una
decadenza “di diritto”, esclude qualsiasi sospensione
automatica del termine di durata del permesso edilizio, e
quindi a maggior ragione una sua automatica proroga.
Richiede invece a tal fine che in ogni caso sia presentata
un’istanza di proroga, sulla quale l’amministrazione deve
pronunciarsi con un provvedimento espresso, nel quale
accerti che i presupposti per accogliere l’istanza
effettivamente sussistono.
---------------
La necessità prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che
l’interessato si attivi con un proprio atto rende, comunque,
irrilevante la conoscenza della presunta causa di forza
maggiore (in forza della quale si chiede la proroga) da
parte dell’amministrazione, conoscenza che in ogni caso
dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non potrebbe esser
fatta derivare da informazioni private di cui un funzionario
fosse in possesso per ragioni sue personali.
---------------
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso
di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei
lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della parte
dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è
subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere
ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto che le opere di completamento
rivestano una particolare natura intrinseca: occorre
soltanto che si tratti delle opere necessarie, secondo il
progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione,
che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire
e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene
richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico
edilizia del momento.
---------------
1. L’appello è infondato e va respinto nel merito, per le
ragioni di seguito precisate, che rendono superfluo
esaminare le eccezioni preliminari dedotte dal Comune.
2. E’infondato il primo motivo, fondato sulla
presunta possibilità di ritenere un permesso di costruire
automaticamente prorogato in presenza di un asserita causa
di forza maggiore che impedisca di completare i lavori
relativi nel termine previsto.
L’art. 15, comma 2, del T.U. 380/2001, che qui rileva,
dispone in generale, per quanto qui interessa, “Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei
alla volontà del titolare del permesso, oppure in
considerazione della mole dell'opera da realizzare, delle
sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, o di
difficoltà tecnico-esecutive emerse successivamente
all'inizio dei lavori…”.
Per costante giurisprudenza -così per tutte C.d.S. sez. IV
22.10.2015 n. 4823, 23.02.2012 n. 974 e 10.08.2007 n. 4423-
la norma suddetta, che si riferisce ad una decadenza “di
diritto”, esclude qualsiasi sospensione automatica del
termine di durata del permesso edilizio, e quindi a maggior
ragione una sua automatica proroga. Richiede invece a tal
fine che in ogni caso sia presentata un’istanza di proroga,
sulla quale l’amministrazione deve pronunciarsi con un
provvedimento espresso, nel quale accerti che i presupposti
per accogliere l’istanza effettivamente sussistono.
...
12. Il quarto motivo di ricorso è volto anch’esso,
secondo logica, a superare il disposto dell’art. 18 del
regolamento, poiché presuppone che la proroga, anche se
disposta successivamente ad una prima, fosse in qualche modo
dovuta trattandosi di una causa di forza maggiore.
Esso però risulta a sua volta infondato: la necessità
prevista dall’art. 15 del T.U. 380/2001 che l’interessato si
attivi con un proprio atto rende comunque irrilevante la
conoscenza della presunta causa di forza maggiore in
questione da parte dell’amministrazione, conoscenza che in
ogni caso dovrebbe risultare da atti ufficiali, e non
potrebbe esser fatta derivare da informazioni private di cui
un funzionario fosse in possesso per ragioni sue personali.
...
16. Il nono e il decimo motivo vanno esaminati
congiuntamente perché connessi fra loro, e vanno a loro
volta respinti.
Il più volte citato art. 15 del T.U. 380/2001, per il caso
di infruttuosa scadenza del termine di ultimazione dei
lavori, prevede al comma 3 che “La realizzazione della
parte dell'intervento non ultimata nel termine stabilito è
subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere
ancora da eseguire”.
In tal senso, non è richiesto, contrariamente a quanto
ritiene il Comune nelle proprie difese, che le opere di
completamento rivestano una particolare natura intrinseca:
occorre soltanto che si tratti delle opere necessarie,
secondo il progetto originario, a completare l’intervento.
Ciò però non è sufficiente a consentirne la realizzazione,
che passa per il rilascio di un nuovo permesso di costruire
e presuppone quindi che esse, nel momento in cui esso viene
richiesto, siano compatibili con la disciplina urbanistico
edilizia del momento.
17. Nel caso di specie, però, tale requisito necessario è
venuto a mancare.
Nel momento in cui i lavori non sono stati effettivamente
completati nel termine previsto dal permesso, l’effetto di
ripristino previsto dalle convenzioni nei termini ampiamente
illustrati si è verificato, e il terreno è ritornato alla
sua destinazione originaria, che l’edificazione non
consente.
In proposito, va osservato che le convenzioni stesse
qualificano tale effetto come automatico, del resto in
conformità al modo in cui opera una clausola risolutiva
espressa, cui la clausola in esame è assimilabile.
Il provvedimento del dirigente comunale che ha denegato il
rilascio del permesso per il completamento è quindi del
tutto estraneo al prodursi di tale effetto, di cui si limita
a prender atto, sì che una questione di incompetenza in
merito non ha ragione di porsi.
Ne consegue che il permesso di costruire in parola è stato
legittimamente rifiutato, trattandosi di opere non più
assentibili in base alla destinazione dell’area (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.08.2017 n. 3887 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 15, comma 2, t.u.
06.06.2001 n. 380 la pronuncia di decadenza del permesso di
costruire è espressione di un potere strettamente vincolato;
ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno
degli effetti del titolo edilizio in conseguenza
dell'inerzia del titolare ovvero della sopravvenienza di un
nuovo piano regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc".
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore".
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4
comma, del medesimo articolo 15, posto che “l’adozione dei
provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei
lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto
con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce
attività dovuta per il sindaco".
---------------
... per l'annullamento del provvedimento 02.12.2015, prot.
n. 6695/2015 avente ad oggetto “diniego alla richiesta di
proroga della concessione edilizia n. 341/01".
...
Con ricorso notificato il 03.02.2016, tempestivamente
depositato, i deducenti hanno impugnato l’atto 02.12.2015,
n. 6695 con cui il Responsabile del servizio Edilizia
Privata del comune di Minturno ha respinto la richiesta
proroga concessione edilizia n. 341/01, dai medesimi
presentata in data 26.03.2015, sul rilievo che: …“il
titolo abilitativo rilasciato nel 2001, riguardante la
realizzazione di una pertinenza agricola,…i cui termini di
validità sono ampliamenti scaduti”; ed ancora: …”l’istanza
non può essere accolta in quanto l’intervento edilizio non è
più conforme alla normativa sopravvenuta prevista dalla L.r.
38/1999, entrata in vigore nel 2003”.
...
Il ricorso è infondato.
In ordine alla denunciata violazione delle garanzie
procedimentali (art. 10-bis della L. 241/1990) va rilevato
che –anche a prescindere dal rilievo che l’articolo 10-bis
della legge n. 241 è disposizione che ha lo scopo di
assicurare la partecipazione al procedimento del privato e
il contraddittorio di quest’ultimo con l’amministrazione-
nella fattispecie il contraddittorio inequivocabilmente vi è
stato come dimostra la documentazione allegata al ricorso;
sicché essi hanno avuto la possibilità di interloquire al
riguardo (e di fatto hanno interloquito) con
l’amministrazione.
In ordine ai profili motivazionali, va invece osservato che
l’atto del comune –benché formulato in modo poco felice–
reca una motivazione che risulta giuridicamente corretta.
La proroga rilasciata il 16.09.2008, prot. 17986 era stata
invero subordinata ai pareri ambientali, da prodursi entro
il termine di trentasei mesi dal rilascio della stessa, con
l’espressa avvertenza che, decorso tale termine, “il
permesso doveva intendersi decaduto di dritto”; ciò di
per sé giustifica il diniego di proroga.
Rafforza detta conclusione la previsione dell’articolo 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380. La disposizione del secondo comma
stabilisce, in particolare, che la proroga del permesso di
costruire “può essere accordata, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del
titolare del permesso, oppure in considerazione della mole
dell'opera da realizzare, delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, o di difficoltà
tecnico-esecutive emerse successivamente all'inizio dei
lavori”; il comma 2-bis, invocato dalla difesa dei
ricorrenti per supportare l’illegittimità del diniego
impugnato, non sembra, del pari, conferente.
Stabilisce, in realtà, detta disposizione che “la proroga
dei termini per l'inizio e l'ultimazione dei lavori è
comunque accordata qualora i lavori non possano essere
iniziati o conclusi per iniziative dell'amministrazione o
dell'autorità giudiziaria rivelatesi poi infondate”.
Come si vede nessuna delle suesposte previsioni normative
reca riferimenti ai ritardi imputabili all’interessato,
tanto più che nella vista proroga accordata nel 2008 era
stato espressamente ribadito che la decorrenza del
prescritto termine avrebbe comportato la decadenza di
diritto del permesso di costruire.
Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che “ai
sensi dell'art. 15, comma 2, t.u. 06.06.2001 n. 380 la
pronuncia di decadenza del permesso di costruire è
espressione di un potere strettamente vincolato; ha una
natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli
effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del
titolare ovvero della sopravvenienza di un nuovo piano
regolatore; ha quindi decorrenza "ex tunc"; inoltre, il
termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un "factum principis" ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore" (Tar
Veneto, sez. II, n. 2346 del 2005).
Né a conclusioni diverse conduce, poi, la previsione del 4
comma, del medesimo articolo 15, anch’essa espressamente
invocata dalla parte ricorrente, posto che “l’adozione
dei provvedimenti di decadenza per mancata ultimazione dei
lavori relativi a licenza edilizia che li ponga in contrasto
con lo strumento urbanistico sopravvenuto costituisce
attività dovuta per il sindaco”… (Tar Veneto, sez. II,
n. 2346 del 2005).
In conclusione il ricorso deve essere respinto (TAR
Lazio-Latina,
sentenza 12.12.2016 n. 794 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 («Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga […]»), l'effetto decadenziale si
riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei
lavori entro il termine annuale fissato dalla legge.
In altri termini «la decadenza del permesso di costruire
costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo,
che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo abilitativo».
La pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha
carattere strettamente vincolato all'accertamento del
mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi
attuazione.
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta
l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
---------------
Il termine di durata del permesso edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Pertanto, l’assunto della ricorrente sulla natura di factum
principis della controversia giudiziaria con l’impresa e il
direttore lavori deve essere respinto.
---------------
Circa l’interpretazione dell’art. 30, comma 3, del
decreto-legge 21.06.2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, in legge 09.08.2013, n. 98, è chiaro il
tenore letterale della disposizione secondo cui la stessa si
applica solo nelle ipotesi in cui il termine per l’inizio
dei lavori non sia già scaduto al momento dell’entrata in
vigore del decreto-legge citato.
---------------
La dichiarazione del direttore dei lavori, riferita allo
stato dei lavori eseguiti prima della ripresa dei lavori
avvenuta nel dicembre 2014, indica una serie di opere
(adeguamento e potenziamento centrale termica esistente;
scavi e pozzetti scarichi fognari di pertinenza della
dependance; realizzazione piattaforma per posizionamento
gru) che non integrano un effettivo inizio di esecuzione
delle opere oggetto della concessione.
E ciò sulla scorta della consolidata giurisprudenza secondo
cui «l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza
della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando
le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva
volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente
il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione
degli strumenti e materiali di costruzione.
Detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile
per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di
sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto
l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che
dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione.
---------------
1. – Con il ricorso in esame, la società Mi.Fi.
s.r.l. chiede l’annullamento dell’ordinanza n. 8 del 21.04.2015, notificata il 15.05.2015, con la quale il
Comune di Olbia ha ordinato alla società di demolire le
opere realizzate senza concessione edilizia (nell’immobile
censito al Foglio 2, Map. 1508, sub 3, del catasto del
Comune di Olbia), in quanto i relativi lavori sarebbero
stati iniziati dopo il decorso del termine annuale di inizio
previsto nella concessione edilizia n. 322/11, rilasciata
alla Mi.Fi. s.r.l. in data 31.10.2011.
2. - Nella motivazione dell’ordinanza, si richiama il
rapporto del servizio prevenzione abusi, redatto a seguito
del sopralluogo effettuato il 07.01.2015 presso
l’immobile in questione, nel corso del quale sarebbero state
accertate le opere edilizie abusive oggetto dell’ordinanza
di demolizione.
Dal verbale del sopralluogo risulta che i
funzionari del servizio comunale, intervenuti mentre nel
cantiere si svolgeva attività edilizia, sul presupposto che
la concessione edilizia era stata rilasciata in data 31.10.2011, informavano il responsabile del cantiere che i
lavori avrebbero dovuto essere iniziati entro un anno dal
rilascio, pena la decadenza dalla concessione.
Il
responsabile dichiarava che «i lavori hanno avuto inizio nel
mese di dicembre 2014 sotto la direzione del Geom. Antonio
Pinna». Sulla scorta di quanto attestato nel verbale di
sopralluogo, il dirigente del servizio ha adottato,
dapprima, l’ordinanza di sospensione dei lavori (n. 1 dell’08.01.2015, anch’essa impugnata col ricorso in esame); e
successivamente l’ordinanza di demolizione, ritenendo che le
opere fossero state «iniziate abbondantemente dopo un anno
dal rilascio della Concessione Edilizia n. 322/11…», e
pertanto da considerare abusive.
...
3. - Passando all’esame delle altre censure, è infondato
l’assunto che l’ordinanza avrebbe dovuta essere preceduta
dalla dichiarazione di decadenza della concessione per il
mancato rispetto del termine di inizio lavori.
Sul punto è
sufficiente richiamare la giurisprudenza nettamente
prevalente del Consiglio di Stato, dalla quale il Collegio
non ritiene di doversi discostare, secondo cui, ai sensi
dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 («Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga
richiesta una proroga […]»), l'effetto decadenziale si
riconnette al mero dato fattuale del mancato avvio dei
lavori entro il termine annuale fissato dalla legge; in
altri termini «la decadenza del permesso di costruire
costituisce effetto automatico del trascorrere del tempo,
che per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo abilitativo» (Cons. Stato, sez. IV, 11.04.2014, n. 1747; in tal senso,
ex multis, anche
Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870: «la pronunzia
di decadenza del permesso a costruire ha carattere
strettamente vincolato all'accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti dalla
norma stessa (rispettivamente un anno e tre anni dal
rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha natura
ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso a
costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione»).
Decadenza che opera di diritto, pertanto non è richiesta
l'adozione di un provvedimento amministrativo espresso
(Cons. St., sez. III, 04.04.2013, n. 1870; nonché, TAR
Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741).
4. - Sotto altro profilo, rilevante nella fattispecie in
esame, in giurisprudenza si sottolinea che «il termine di
durata del permesso edilizio non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo al contrario sempre
necessaria, a tal fine, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di
Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)» (Cons. St., sez. III,
04.04.2013, n. 1870).
Pertanto, l’assunto della ricorrente
sulla natura di factum principis della controversia
giudiziaria con l’impresa e il direttore lavori [di cui al
punto 4) della esposizione di cui sopra] deve essere
respinto.
5. - E’ del tutto infondata anche l’interpretazione
dell’art. 30, comma 3, del decreto-legge 21.06.2013, n.
69, convertito, con modificazioni, in legge 09.08.2013,
n. 98, esposta al punto 5) di cui sopra, poiché dal chiaro
tenore letterale della disposizione emerge che la norma si
applica solo nelle ipotesi in cui il termine per l’inizio
dei lavori non sia già scaduto al momento dell’entrata in
vigore del decreto-legge citato.
6. - Rimangono da esaminare i rilievi sollevati dalla
ricorrente sotto il profilo del difetto di istruttoria e di
motivazione (punto 3 dell’esposizione di cui sopra).
6.1. - Sul punto, le censure della ricorrente non possono
essere condivise.
6.2. - Come accennato, la motivazione dell’ordinanza si basa
sugli accertamenti istruttori effettuati in occasione del
sopralluogo dei funzionari del servizio “Controllo Edilizia
e Prevenzione Abusi” del Comune di Olbia, nonché sulla
documentazione fotografica dello stato dell’area (al 07.04.2014) in cui dovevano essere iniziati i lavori di cui
alla concessione n. 322/11, acquisita mediante “Google Earth”
(cfr. il rapporto dell’08.01.2015 e la documentazione
fotografica allegata, doc. 2 della produzione del Comune di
Olbia).
In particolare, da tali risultanze fotografiche appare
evidente che ancora alla data del 07.04.2014 nessun
intervento fosse stato iniziato nella proprietà della MI.FI. srl. Il che, costituisce un indiretto
riscontro delle dichiarazioni del responsabile del cantiere,
acquisite durante il sopralluogo del 07.01.2015
(dichiarazioni, secondo cui i lavori sarebbero iniziati solo
nel dicembre 2014).
6.3. - Peraltro, sotto altro connesso profilo, la
dichiarazione del direttore dei lavori (rilasciata il 25.05.2015 e prodotta da parte ricorrente quale all. 17
della produzione documentale depositata il 26.05.2016),
riferita allo stato dei lavori eseguiti prima della ripresa
dei lavori avvenuta nel dicembre 2014, indica una serie di
opere (adeguamento e potenziamento centrale termica
esistente; scavi e pozzetti scarichi fognari di pertinenza
della dependance; realizzazione piattaforma per
posizionamento gru) che non integrano un effettivo inizio di
esecuzione delle opere oggetto della concessione.
E ciò
sulla scorta della consolidata giurisprudenza, fatta propria
anche dalla Sezione, secondo cui «l’inizio dei lavori idoneo
ad impedire la decadenza della concessione edilizia può
ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali
da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera,
non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del
terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di
costruzione (così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n.
1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa
a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
03.10.2000, n. 5242)» (TAR Sardegna, sez. II, 04.05.2015, n. 741)
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 08.11.2016 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
mera attività di indagine geotecnica non può costituire
"inizio dei lavori" (al pari, peraltro, degli sbancamenti di
terreno poi accertati), occorrendo a tal fine la compiuta
organizzazione del cantiere e la presenza di altri indizi
idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare
del permesso di costruire di realizzare l'opera assentita.
---------------
Invero, ai sensi dell'art. 15, comma
2, d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei
lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere
accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente
interpretata da questa Corte- deriva che il
decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se
non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di
costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente
configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b),
del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto
termine.
---------------
4. Ciò premesso, il ricorso risulta infondato.
Ritiene la Corte che la questione centrale della presente
vicenda afferisca all'avvenuto inizio delle opere, assentite
dalla concessione edilizia n. 107 del 12/04/2012, entro il
termine annuale fissato nel provvedimento medesimo, ed agli
effetti -automatici o meno- della decadenza dal
provvedimento stesso, in caso di esito negativo della prima
verifica; orbene, con riguardo ad entrambi i profili la
motivazione redatta dal Tribunale risulta tutt'altro che
assente o meramente apparente, emergendo piuttosto come
congrua, fondata su oggettivi riscontri investigativi e
privi di qualsivoglia illogicità. Come tale, non
censurabile.
In particolare, e richiamata la pacifica scansione
cronologica degli eventi, l'ordinanza ha evidenziato che:
1) la comunicazione di inizio lavori era stata inviata
dalla "Pe.To. s.r.l." al Comune di Siracusa
l'11/04/2013 (ultimo giorno utile, a fronte di una
concessione rilasciata il 12/04/2012);
2) il 02/12/2014 -ad avvenuta voltura del titolo da parte
della "Re. s.r.l.", della quale il ricorrente è
legale rappresentante- la Polizia municipale aveva accertato
che non vi era alcuna attività lavorativa in corso,
verificando soltanto «un terreno totalmente ricoperto da
vegetazione autoctona, l'inesistenza in situ di opere di
natura edilizia, scavi, sbancamenti, né tantomeno la
presenza delle normali infrastrutture mobili che
caratterizzano l'insediamento di un cantiere edile»;
3) il successivo 04/02/2015, un ulteriore sopralluogo
aveva riscontrato le medesime circostanze;
4) soltanto in data 03/03/2015, erano risultati apposti i
cartelli di cantiere, con esecuzione di lavori di
sbancamento e terrazzamento del costone.
5. In forza di tali considerazioni -che questo Collegio non
è autorizzato a contestare, attenendo a profili fattuali,
peraltro consacrati in atti pubblici- il Tribunale del
riesame ha quindi concluso che le opere da ultimo accertate
erano state poste in essere ben oltre il termine di un anno
dal rilascio della concessione edilizia e, pertanto, non più
assentite, integravano il fumus del reato di cui
all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001
(atteso il carattere vincolato dell'area).
Quel che, peraltro, priva di rilievo il primo motivo di
gravame, con il quale si assume il difetto di motivazione
con riguardo ai documenti prodotti dalla difesa in sede
camerale; osserva la Corte, infatti, che la rilevanza degli
stessi è stata implicitamente disattesa dalle affermazioni
che precedono, poiché giammai idonei -quantomeno nella
presente fase cautelare- a superare gli esiti di
accertamenti compiuti da pubblici ufficiali, che avevano
riferito nei termini suddetti.
E fermo restando, peraltro, che -per costante indirizzo di
legittimità, qui da ribadire- la mera
attività di indagine geotecnica (di cui alla documentazione
allegata), quand'anche avvenuta, non potrebbe comunque
costituire "inizio dei lavori" nell'ottica in esame
(al pari, peraltro, degli sbancamenti di terreno poi
accertati), occorrendo a tal fine la compiuta organizzazione
del cantiere e la presenza di altri indizi idonei a
confermare l'effettivo intendimento del titolare del
permesso di costruire di realizzare l'opera assentita
(per tutte, Sez. 3, n. 7114 del 27/01/2010, Viola, Rv.
246220: in motivazione, la Corte ha precisato che detti
indizi consistono nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti, nell'elevazione di
muri e nell'esecuzione di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio).
6. Con riguardo, poi, al profilo della decadenza dal titolo
abilitativo, strettamente connesso al precedente, rileva il
Collegio che la motivazione dell'ordinanza risulta ancora
congrua e tutt'altro che assente o meramente apparente.
Ed invero, ai sensi dell'art. 15, comma 2,
d.P.R. n. 380 del 2001, "Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del
titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve
essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei
lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto
per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza, venga richiesta una proroga. La proroga può essere
accordata, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare del
permesso, oppure in considerazione della mole dell'opera da
realizzare, delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, o di difficoltà tecnico-esecutive
emerse successivamente all'inizio dei lavori, ovvero quando
si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia
previsto in più esercizi finanziari".
Orbene, dalla lettera della norma -per come costantemente
interpretata da questa Corte- deriva che il
decorso del termine di ultimazione dei lavori comporta, se
non prorogato, la decadenza di diritto del permesso di
costruire per la parte ancora non eseguita, con conseguente
configurabilità del reato previsto dall'art. 44, lett. b),
del citato decreto, in caso di loro prosecuzione oltre detto
termine (Sez. 3,
n. 17971 dell'08/04/2010, Garofalo, Rv. 247161: in
motivazione, peraltro, la Corte ha precisato che,
diversamente, un provvedimento espresso e motivato
dell'Autorità amministrativa è richiesto per la proroga del
termine.
Negli stessi termini, tra le altre, Sez. 3, n. 12316 del
21/02/2007, Minciarelli, Rv. 236336). E senza che, al
riguardo, possa rilevare il diverso indirizzo che il
Consiglio di Stato ha espresso con la decisione n. 4823 del
22/10/2015, richiamata nel gravame, peraltro non pacifico
neppure in seno al medesimo Consesso; ed invero, nella
motivazione della stessa (resa, all'evidenza, in un'ottica
diversa da quella in esame), si afferma -pur aderendo
all'indirizzo citato- che il provvedimento di decadenza è «meramente
dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia l'epoca
in cui è stato adottato e quindi anche se intervenuto molto
tempo dopo che i termini in questione erano inutilmente
decorsi, e ancorché i suoi effetti retroagiscano al momento
dell'evento estintivo».
7. In forza di quanto precede, dunque, il provvedimento
impugnato risulta sostenuto da adeguata motivazione con
riferimento al contestato art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R.
n. 380 del 2001, sì da non poter esser censurato nei termini
invocati; emerge sufficiente, infatti, il fumus di
opere eseguite in difetto di titolo edilizio, poiché già
decaduto. E senza che, pertanto, assuma alcun rilievo la
doglianza -invero astrattamente fondata- con la quale si
contesta l'asserita illegittimità della concessione in esame
in forza del rapporto (individuato dal Tribunale) tra le
opere in oggetto, la loro destinazione ad esser fruite dalla
collettività e la balneabilità del mare antistante;
trattasi, infatti, di un nesso che pare sfuggire ai canoni
della logica, ma che, proprio per ciò, non integra una
violazione di legge contestabile in sede di legittimità.
8. Di seguito, con particolare riguardo alla condotta ex
art. 181, d.Lgs. n. 42 del 2004 (in ordine alla quale -alla
luce della recente sentenza della Corte costituzionale n. 56
del 23/03/2016- dovrà peraltro esser verificata la
configurabilità del primo o del secondo comma della norma,
con ogni conseguente effetto), osserva il Collegio che
l'ordinanza ne ha riconosciuto il fumus ancora in
ragione di una risultanza obiettiva, quale il vincolo
paesaggistico gravante sull'area in oggetto; ciò, giusta
decreto del competente assessorato a data 30/09/1998 (che
aveva dichiarato il notevole interesse pubblico della zona)
e Piano paesistico del 01.02.2012, che aveva inserito il
medesimo territorio sotto un livello 3 di tutela.
In ragione del quale -giusta valutazione operata dal
Tribunale, non sindacabile in questa sede poiché attinente a
mero fatto- gli interventi quale quello riscontrato non
possono esser compiuti, in quanto esclusi ai sensi del punto
13g dello stesso Piano. E senza che, da parte di questa
Corte, possa accogliersi il motivo proposto al riguardo dal
Serra, che imporrebbe un esame di merito della tipologia
dell'opera de qua ed il suo inserimento -o meno- tra le
previsioni del punto 13g citato.
9. Del pari, con riguardo alla medesima contestazione,
osserva poi il Collegio che l'ordinanza -ancora con solido
percorso motivazionale- ha confutato la tesi per la quale
l'autorizzazione paesaggistica, poiché rilasciata prima
dell'approvazione del Piano, sarebbe risultata comunque
valida per i successivi cinque anni, giusta art. 48 di
quest'ultimo; ed invero, come si legge nell'ordinanza, al
maturare del quinquennio dal 04/06/2009 nessun lavoro aveva
ancora avuto inizio sull'area in esame, come da plurimi
accertamenti compiuti, sì che i successivi sbancamenti non
erano risultati "coperti" da alcun provvedimento al
riguardo.
Né, peraltro, può esser invocato l'art.
146, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004, a mente del quale "Il
termine di efficacia dell'autorizzazione decorre dal giorno
in cui acquista efficacia il titolo edilizio eventualmente
necessario per la realizzazione dell'intervento, a meno che
il ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente
efficacia di quest'ultimo non sia dipeso da circostanze
imputabili all'interessato"; ed invero, questa
disposizione "lega" cronologicamente i due
provvedimenti sul presupposto dall'effettiva vigenza di
quello urbanistico,
da escludere nel caso di specie -alla data di esecuzione
dello sbancamento- in ragione della maturata decadenza, come
ben riconosciuta dal Tribunale del riesame (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 22.08.2016 n. 35243). |
febbraio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori
entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire,
necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da
valutarsi caso per caso, onde accertare che l’avvio delle
opere sia effettivo, e non volto al solo scopo di evitare la
perdita di efficacia del titolo abilitativo.
---------------
In disparte il dato formale, pur pertinente, evidenziato
dalla difesa del Comune, della mancata comunicazione, da
parte del ricorrente, dell’inizio dei lavori, osserva il
Tribunale come, dall’esame della giurisprudenza in materia,
emerga la netta prevalenza di un indirizzo rigoroso, circa
l’accertamento giurisdizionale dell’inizio dei lavori, sotto
il profilo sostanziale, indirizzo espresso in massime, come
le seguenti:
- “La realizzazione di semplici movimenti di terra e gittata
di un strato di battuto di calcestruzzo tesi a circoscrivere
le fondamenta della costruzione da realizzare non integrano
la fattispecie di inizio dei lavori. Ai fini
dell’impedimento della decadenza del permesso di costruire,
infatti, l’avvio dei lavori può ritenersi sussistente solo
quando le opere intraprese siano tali da manifestare
l’univoca intenzione di realizzare il manufatto assentito;
tale requisito non è soddisfatto dal semplice sbancamento
del terreno, dalla pulitura del sito o dall’aver approntato
il cantiere ed i materiali necessari per l’esecuzione dei
lavori”;
- “Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di
perimetrazione non sono sufficienti ad integrare il
requisito dell’avvio dei lavori, che deve comunque avvenire
entro un anno dal rilascio della concessione edilizia,
mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di
decadenza della concessione, entro tre anni”;
- “È legittimo il provvedimento di dichiarazione di
decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei
lavori nel termine annuale, nell’ipotesi in cui entro detto
termine risultino eseguiti unicamente lavori di modesta
entità, quali opere di sbancamento e di demolizione
parziale”;
- “In ipotesi di rilascio di permesso di costruire per
sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso
commerciale e ricostruzione ad uso residenziale, la
rimozione degli infissi interni ed esterni e lo smontaggio
dei controsoffitti configurano opere del tutto marginali e
volte solo ad impedire in limine la decadenza del titolo
stesso, comunque non idonee ad indicare l’avvenuto inizio
dei lavori”.
---------------
Circa le doglianze volte a stigmatizzare la mancata
osservanza, da parte dell’Amministrazione, delle
disposizioni della l. 241/1990, volte a favorire la
partecipazione del privato al contenuto del provvedimento
finale, vale a dire l’obbligo di comunicare l’avvio del
procedimento di decadenza e la conseguente impossibilità,
per l’interessato, di rassegnare memorie, da valutarsi da
parte della P.A., anche in funzione deflattiva del
contenzioso, possono essere oggetto di disamina congiunta,
smentite come sono dal prevalente indirizzo
giurisprudenziale, espresso in decisioni, come quelle che
seguono:
- “Ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001,
la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha
carattere strettamente vincolato all’accertamento del
mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi
attuazione. Siffatta decadenza, peraltro, opera di diritto e
non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento
espresso”;
- “La decadenza della concessione edilizia (ora permesso di
costruire) per mancato inizio lavori nel termine previsto si
verifica per legge in modo automatico tanto che non residua
all’amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine
discrezionale; da ciò deriva che il provvedimento di
annullamento della proroga della concessione edilizia,
motivato dalla intervenuta decadenza della concessione
edilizia per l’inutile scadenza anche del prorogato termine
di inizio lavori, non richiede la previa adozione di un
provvedimento dichiarativo della decadenza né tanto meno la
comunicazione di avvio del procedimento”;
- “La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio o di completamento dei
lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo
strumento urbanistico sopravvenuto, opera “di diritto”, con
la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha
carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi
“ex se” con l’inutile decorso del termine; da ciò consegue
che l’eventuale provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata,
senza che sia necessaria una comparazione tra l’interesse
del privato e quello pubblico, essendo quest’ultimo “ope
legis” prevalente sul primo e che non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento, essendo la
decadenza un effetto che si verifica “ipso iure”, senza che
residui all’amministrazione alcun margine per valutazioni di
ordine discrezionale”.
----------------
Quanto all’evidenziata carenza di motivazione e
d’istruttoria, che connoterebbe –secondo il ricorrente– il
provvedimento gravato, il Tribunale ritiene che la censura
sia priva di pregio; valga, per disattenderla, oltre al
riferimento alle massime già riferite, anche il richiamo
alle seguenti, ulteriori, decisioni:
- “L’adozione del provvedimento di decadenza dal titolo
edilizio autorizzatorio per inosservanza dei termini
d’inizio dei lavori o di ultimazione delle opere non
comporta la valutazione degli interessi pubblico e privato
coinvolti, stanti il carattere ricognitivo con effetti ex
tunc e la natura vincolata del provvedimento in parola,
elementi quest’ultimi significativi della prevalenza ope
legis dell’interesse pubblico, conseguendone che non rileva
il tempo decorso tra l’effetto verificatosi e l’adozione
dell'atto, e che, per le medesime ragioni, è bastevole come
motivazione l’indicazione della norma applicata”;
- “La decadenza dalla concessione edilizia per mancato
inizio dei lavori nel termine prefissato è atto meramente
dichiarativo di una situazione verificatasi “ope legis”,
senza che residui alcun margine per valutazioni
discrezionali: conseguentemente, non è configurabile, in
tale atto, il vizio di eccesso di potere per perplessità e
contraddittorietà della motivazione”.
----------------
... per
l’annullamento:
-a) del provvedimento, n. prot. 5613 del 19.03.2014,
notificato in data 01.04.2014, emesso dalla Città di
Campagna, avente ad oggetto la declaratoria della decadenza
del permesso di costruire in sanatoria e completamento, n.
89/2012 del 19.06.2012, relativo a un fabbricato rurale
destinato a deposito agricolo e box pertinenziale,
catastalmente individuato al foglio n. 89 –particella n.
609– del Comune di Campagna e del conseguente ordine di
demolire;
-b) della diffida dell’08.03.2013, prot. 5605, di cui si
legge nell’atto, impugnato al punto precedente;
-c) d’ogni altro atto, anche non conosciuto, presupposto,
consequenziale o comunque connesso, nella parte in cui,
anche interpretata, determini la decadenza del permesso di
costruire, n. 89/12, nonché l’inefficacia della d. i.a.,
presentata in data 11.02.2013, prot. 3727, pratica n. 19/13,
o comunque ponga a carico del ricorrente la demolizione del
fabbricato che ci occupa o comunque impedisca l’accoglimento
delle conclusioni, di cui al ricorso;
...
Il ricorso non è fondato.
Iniziando dall’analisi della prima censura, premesso che,
secondo la giurisprudenza, “l’accertamento dell’avvenuto
inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di
costruire, necessario a evitarne la decadenza, è questione
di fatto, da valutarsi caso per caso, onde accertare che
l’avvio delle opere sia effettivo, e non volto al solo scopo
di evitare la perdita di efficacia del titolo abilitativo”
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/12/2013, n. 6151), osserva
il Collegio come le opere, indicate in ricorso come
indicative dell’estrinsecazione dell’animus aedificandi
del ricorrente, consistite in “chiusura del vano scala
che dal piano seminterrato conduce al piano sottotetto, tale
da creare indipendenza tra i piani seminterrato, rialzato e
sottotetto; chiusura dei vani finestra al piano
seminterrato, tale da rendere l’attuale piano seminterrato
un volume tecnico inaccessibile; svuotamento, mediante
rimozione di mobili e suppellettili, dai vani abitativi
posti al piano rialzato, al fine di utilizzare quest’ultimo
come deposito agricolo e box auto” (opere, testimoniate
anche dalla relazione tecnica di parte, allegata all’atto
introduttivo del giudizio, ove le stesse erano, in maniera
parzialmente difforme, così sintetizzate: “anche se in
misura minima, ma dimostrando la sua totale volontà di
eseguire tutto quanto previsto nel p. di c., eseguiva
piccoli lavori di adeguamento, quali la rimozione della
scalinata interna di comunicazione tra il piano rialzato e
il piano seminterrato, la chiusura del vuoto posto nel
solaio di calpestio del sottotetto” e “l’apposizione
di terreno vegetale nella parte retrostante del fabbricato,
per un’altezza di circa mt. 1,00 lungo tutto il lato”),
non assurgano a un livello tale, da costituire un effettivo
e concreto inizio dei lavori.
In disparte il dato formale, pur pertinente, evidenziato
dalla difesa del Comune di Campagna, della mancata
comunicazione, da parte del ricorrente, dell’inizio dei
lavori, osserva il Tribunale come, dall’esame della
giurisprudenza in materia, emerga la netta prevalenza di un
indirizzo rigoroso, circa l’accertamento giurisdizionale
dell’inizio dei lavori, sotto il profilo sostanziale,
indirizzo espresso in massime, come le seguenti: - “La
realizzazione di semplici movimenti di terra e gittata di un
strato di battuto di calcestruzzo tesi a circoscrivere le
fondamenta della costruzione da realizzare non integrano la
fattispecie di inizio dei lavori. Ai fini dell’impedimento
della decadenza del permesso di costruire, infatti, l’avvio
dei lavori può ritenersi sussistente solo quando le opere
intraprese siano tali da manifestare l’univoca intenzione di
realizzare il manufatto assentito; tale requisito non è
soddisfatto dal semplice sbancamento del terreno, dalla
pulitura del sito o dall’aver approntato il cantiere ed i
materiali necessari per l’esecuzione dei lavori”
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 15/04/2013, n. 2027);
- “Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di
perimetrazione non sono sufficienti ad integrare il
requisito dell’avvio dei lavori, che deve comunque avvenire
entro un anno dal rilascio della concessione edilizia,
mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena di
decadenza della concessione, entro tre anni” (TAR Latina
(Lazio), Sez. I, 19/07/2010, n. 1170);
- “È legittimo il provvedimento di dichiarazione di
decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei
lavori nel termine annuale, nell’ipotesi in cui entro detto
termine risultino eseguiti unicamente lavori di modesta
entità, quali opere di sbancamento e di demolizione parziale”
(TAR Toscana, Sez. III, 17/11/2008, n. 2533);
- “In ipotesi di rilascio di permesso di costruire per
sostituzione edilizia con demolizione di fabbricato ad uso
commerciale e ricostruzione ad uso residenziale, la
rimozione degli infissi interni ed esterni e lo smontaggio
dei controsoffitti configurano opere del tutto marginali e
volte solo ad impedire in limine la decadenza del titolo
stesso, comunque non idonee ad indicare l’avvenuto inizio
dei lavori” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20/12/2013, n.
6151).
A fronte di tale severo orientamento, teso alla verifica di
un serio e concreto intento di procedere alle opere, di cui
al titolo abilitativo, le opere cui s’è appellato il
ricorrente (definite “minime” nella stessa relazione
tecnica di parte), ovvero i “piccoli lavori di
adeguamento”, consistiti nella rimozione di una scala
interna, nella chiusura di un vuoto tecnico e in modesti
riporti di terreno vegetale, oltre che –come riferito in
ricorso– nell’anodina “rimozione di mobili e
suppellettili, dai vani abitativi posti al piano rialzato,
al fine di utilizzare quest’ultimo come deposito agricolo e
box auto”, appaiono, obiettivamente, di tale scarsa
entità, da sconfinare quasi nell’irrilevanza, e, in ogni
caso, del tutto inidonei a dimostrare che il ricorrente
voleva, effettivamente, accingersi all’esecuzione dei lavori
autorizzati.
La seconda e terza doglianza dell’atto introduttivo del
giudizio, volte a stigmatizzare la mancata osservanza, da
parte dell’Amministrazione, delle disposizioni della l.
241/1990, volte a favorire la partecipazione del privato al
contenuto del provvedimento finale, vale a dire l’obbligo di
comunicare l’avvio del procedimento di decadenza e la
conseguente impossibilità, per l’interessato, di rassegnare
memorie, da valutarsi da parte della P.A., anche in funzione
deflattiva del contenzioso, possono essere oggetto di
disamina congiunta, smentite come sono dal prevalente
indirizzo giurisprudenziale, espresso in decisioni, come
quelle che seguono:
- “Ai sensi dell’art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del
2001, la pronunzia di decadenza del permesso a costruire ha
carattere strettamente vincolato all’accertamento del
mancato inizio e completamento dei lavori entro i termini
stabiliti dalla norma stessa (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi
attuazione. Siffatta decadenza, peraltro, opera di diritto e
non è richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento
espresso” (TAR Catania (Sicilia), Sez. I, 10/06/2015, n.
1622);
- “La decadenza della concessione edilizia (ora permesso
di costruire) per mancato inizio lavori nel termine previsto
si verifica per legge in modo automatico tanto che non
residua all’amministrazione alcun margine per valutazioni di
ordine discrezionale; da ciò deriva che il provvedimento di
annullamento della proroga della concessione edilizia,
motivato dalla intervenuta decadenza della concessione
edilizia per l’inutile scadenza anche del prorogato termine
di inizio lavori, non richiede la previa adozione di un
provvedimento dichiarativo della decadenza né tanto meno la
comunicazione di avvio del procedimento” (TAR Latina
(Lazio), Sez. I, 27/11/2015, n. 788);
- “La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio o di completamento dei
lavori ovvero per sopravvenuta incompatibilità con lo
strumento urbanistico sopravvenuto, opera “di diritto”, con
la conseguenza che il provvedimento, ove adottato, ha
carattere meramente dichiarativo di un effetto verificatosi
“ex se” con l’inutile decorso del termine; da ciò consegue
che l’eventuale provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata,
senza che sia necessaria una comparazione tra l’interesse
del privato e quello pubblico, essendo quest’ultimo “ope
legis” prevalente sul primo e che non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento, essendo la
decadenza un effetto che si verifica “ipso iure”, senza che
residui all’amministrazione alcun margine per valutazioni di
ordine discrezionale” (TAR Napoli (Campania), Sez. II,
30/01/2009, n. 542).
Tanto, in disparte la pur rilevante circostanza,
opportunamente posta in risalto dalla difesa del Comune,
secondo cui nello stesso p. di c. in sanatoria era
specificato che il mancato inizio dei lavori, nel termine
annuale, ne avrebbe comportato la decadenza, con conseguente
piena consapevolezza di tal effetto automatico, da parte del
suo titolare.
Del resto, attesa la, già riferita, sostanziale irrilevanza
delle opere realizzate, non si vede come l’Amministrazione,
anche se informata dal ricorrente dell’esecuzione delle
stesse, avrebbe potuto determinarsi altrimenti.
Quanto, infine, all’evidenziata carenza di motivazione e
d’istruttoria, che connoterebbe –secondo il ricorrente– il
provvedimento gravato, il Tribunale ritiene che la censura
sia priva di pregio; valga, per disattenderla, oltre al
riferimento alle massime già riferite, anche il richiamo
alle seguenti, ulteriori, decisioni:
- “L’adozione del provvedimento di decadenza dal titolo
edilizio autorizzatorio per inosservanza dei termini
d’inizio dei lavori o di ultimazione delle opere non
comporta la valutazione degli interessi pubblico e privato
coinvolti, stanti il carattere ricognitivo con effetti ex
tunc e la natura vincolata del provvedimento in parola,
elementi quest’ultimi significativi della prevalenza ope
legis dell’interesse pubblico, conseguendone che non rileva
il tempo decorso tra l’effetto verificatosi e l’adozione
dell'atto, e che, per le medesime ragioni, è bastevole come
motivazione l’indicazione della norma applicata” (TAR
Salerno (Campania), Sez. II, 06/04/2012, n. 654);
- “La decadenza dalla concessione edilizia per mancato
inizio dei lavori nel termine prefissato è atto meramente
dichiarativo di una situazione verificatasi “ope legis”,
senza che residui alcun margine per valutazioni
discrezionali: conseguentemente, non è configurabile, in
tale atto, il vizio di eccesso di potere per perplessità e
contraddittorietà della motivazione” (TAR Napoli
(Campania), Sez. IV, 29/04/2004, n. 7513)
(TAR
Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.02.2016 n. 448 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il mancato inizio dei lavori entro il termine di
un anno decorrente dal rilascio del titolo comporta la
decadenza dello stesso.
Per evitare la decadenza, l’interessato deve dimostrare di
essere seriamente intenzionato a realizzare l’opera;
pertanto, non ogni attività intrapresa può costituire
elemento che denoti l’effettivo inizio dei lavori, giacché
solo quelle attività sintomatiche di un serio proposito
possono essere considerate a tal fine rilevanti.
La giurisprudenza ritiene che non possa essere considerato
rilevante, affinché i lavori possano dirsi effettivamente
iniziati, il compimento delle attività di approntamento del
cantiere, nonché quelle di scavo e sbancamento.
Il Collegio ritiene inoltre che attività rilevanti possano
essere solo quelle strettamente funzionali alla
realizzazione dell’opera oggetto del titolo edilizio e,
quindi, oltre ai lavori espressamente previsti dal titolo
stesso, anche quei lavori che, sulle base delle risultanze
di esso, risultino essere assolutamente necessari per
conseguirne il risultato finale e ne costituiscano dunque
attività esecutiva.
---------------
Il Collegio non ignora che, secondo una parte della
giurisprudenza, la sussistenza di una causa di forza
maggiore che non consente di dare tempestivo inizio ai
lavori impedisce ex se la decadenza del titolo edilizio.
E’ però preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza,
che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum
principis o di cause di forza maggiore, l'interessato che
voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il
mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato
della proposizione di una richiesta di proroga
dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere
accordata con atto espresso dell'Amministrazione.
Invero, l'atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo
comma, del d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza
dell'accertamento dell'intervenuta decadenza, è atto di
esercizio di discrezionalità amministrativa, che presuppone
l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il
loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente
impeditivo dell'avvio della edificazione.
Inoltre, si deve ritenere che, affinché si possa dare
rilevanza ad un provvedimento che impedisca l’edificazione,
è necessario che questo risulti illegittimo in quanto emesso
in carenza dei presupposti previsti dalla vigente normativa.
In caso contrario, quando cioè l’atto che inibisce
l’esecuzione dei lavori sia conforme alla legge, la parte
non può pretendere di essere ammessa al beneficio della
proroga del termine.
In tal senso è il comma 2-bis dell’art. 15 del d.P.R. n. 380
del 2001 il quale, anche se non applicabile ai fatti di
causa in quanto successivo ad essi, costituisce, a parere
del Collegio, chiave interpretativa della previgente
normativa.
---------------
11. Stabilisce l’art. 15, secondo comma, del d.P.R.
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia) che <<Il
termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad
un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali
termini il permesso decade di diritto per la parte non
eseguita…>>.
12. Come si vede, in base questa norma, dettata in materia
di permesso di costruire ma pacificamente applicabile anche
alla denuncia di inizio attività, il mancato inizio dei
lavori entro il termine di un anno decorrente dal rilascio
del titolo comporta la decadenza dello stesso.
13. Per evitare la decadenza, l’interessato deve dimostrare
di essere seriamente intenzionato a realizzare l’opera;
pertanto, non ogni attività intrapresa può costituire
elemento che denoti l’effettivo inizio dei lavori, giacché
solo quelle attività sintomatiche di un serio proposito
possono essere considerate a tal fine rilevanti.
14. La giurisprudenza ritiene che non possa essere
considerato rilevante, affinché i lavori possano dirsi
effettivamente iniziati, il compimento delle attività di
approntamento del cantiere, nonché quelle di scavo e
sbancamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.04.2015,
n. 2093; TAR Veneto, sez. II, 12.03.2015, n. 299).
15. Il Collegio ritiene inoltre che attività rilevanti
possano essere solo quelle strettamente funzionali alla
realizzazione dell’opera oggetto del titolo edilizio e,
quindi, oltre ai lavori espressamente previsti dal titolo
stesso, anche quei lavori che, sulle base delle risultanze
di esso, risultino essere assolutamente necessari per
conseguirne il risultato finale e ne costituiscano dunque
attività esecutiva.
16. Ciò premesso, si deve osservare che le attività indicate
dalla ricorrente nel primo motivo di ricorso non possono
essere positivamente apprezzate al fine di affermare
l’effettivo inizio dei lavori.
17. Alcune di queste attività -quali l’abbattimento della
tettoia, la rimozione della pavimentazione ad essa
antistante, la deviazione della fognatura e la chiusura
delle finestre– non erano previste nella DIA presentata
dalla ricorrente, né possono essere considerate alla stregua
lavori che, sulle base delle risultanze della DIA stessa,
debbano qualificarsi come assolutamente necessari ai fini
della costruzione dell’edificio che ne costituisce oggetto.
In proposito è sufficiente rilevare che il titolo, oltre a
non prevedere la realizzazione di opere di demolizione,
neppure indica l’esistenza dei manufatti sui quali sono
stati effettuati gli interventi (queste circostanze sono
state allegate dalla difesa dell’Amministrazione resistente
e non smentite dalla ricorrente; pertanto possono
considerarsi provate ai sensi dell’art. 64, comma 2, cod.
proc. amm.).
18. Non si può pertanto ritenere che gli interventi di cui
si discute possano essere considerati alla stregua di
attività esecutive del titolo edilizio conseguito dalla
ricorrente, la cui realizzazione ne possa aver impedito la
decadenza.
19. Analogo discorso può essere svolto con riferimento alle
opere di bonifica dell’area, atteso che la DIA presentata
dalla ricorrente non contemplava affatto questo interevento;
ed anzi lo escludeva espressamente, visto che, in sede di
integrazione documentale, il tecnico incaricato dalla parte
ha depositato presso il Comune una dichiarazione che afferma
l’inesistenza di elementi inquinanti in loco e, dunque,
l’inutilità dell’intervento di bonifica.
20. L’esecuzione di questa attività non può pertanto aver
impedito la decadenza del titolo.
21. Le altre attività indicate dalla ricorrente –quali la
richiesta di allacciamento alla linea elettrica e il
montaggio della gru– costituiscono evidentemente attività di
mero approntamento del cantiere le quali, come si è visto,
non possono ritenersi decisive ai fini che qui interessano.
22. Per queste ragioni i motivi esaminati sono infondati.
23. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la
ricorrente sostiene che il mancato inizio dei lavori è
dipeso dal fatto che l’Amministrazione, in data 26.02.2011,
ha emesso l’ordine di non dar corso ad essi; e che tale
circostanza costituirebbe un elemento impeditivo oggettivo (factum
principis).
Il mancato inizio dei lavori, pertanto, non denoterebbe la
carenza di una seria volontà all’esecuzione dell’opera
prevista nel titolo edilizio; per questa ragiona, a dire
della parte, l’Amministrazione non avrebbe potuto
dichiararne la decadenza.
24. Il Collegio non ignora che, secondo una parte della
giurisprudenza, la sussistenza di una causa di forza
maggiore che non consente di dare tempestivo inizio ai
lavori impedisce ex se la decadenza del titolo
edilizio (cfr. TAR Campania Salerno, sez. II, 10.02.2012,
188).
E’ però preferibile ritenere, come fa altra giurisprudenza,
che, anche laddove si sia in presenza del cd. factum
principis o di cause di forza maggiore, l'interessato
che voglia impedire la decadenza del titolo edilizio per il
mancato tempestivo inizio dei lavori è pur sempre onerato
della proposizione di una richiesta di proroga
dell’efficacia del titolo stesso; proroga che deve essere
accordata con atto espresso dell'Amministrazione. Invero,
l'atto di proroga, previsto dall’art. 15, secondo comma, del
d.P.R. n. 380 del 2001, a differenza dell'accertamento
dell'intervenuta decadenza, è atto di esercizio di
discrezionalità amministrativa, che presuppone
l'accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il
loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente
impeditivo dell'avvio della edificazione (cfr., TAR
Friuli-Venezia Giulia, sez. I, 22.04.2015, n. 186).
25. Inoltre, si deve ritenere che, affinché si possa dare
rilevanza ad un provvedimento che impedisca l’edificazione,
è necessario che questo risulti illegittimo in quanto emesso
in carenza dei presupposti previsti dalla vigente normativa.
In caso contrario, quando cioè l’atto che inibisce
l’esecuzione dei lavori sia conforme alla legge, la parte
non può pretendere di essere ammessa al beneficio della
proroga del termine.
26. In tal senso è il comma 2-bis dell’art. 15 del d.P.R. n.
380 del 2001 il quale, anche se non applicabile ai fatti di
causa in quanto successivo ad essi, costituisce, a parere
del Collegio, chiave interpretativa della previgente
normativa.
27. Nel caso concreto, la ricorrente non ha chiesto la
proroga dei termini di validità della DIA da essa
presentata; né ovviamente alcuna proroga le è stata concessa
dall’Amministrazione.
28. Inoltre l’atto che ha disposto la sospensione dei lavori
è risultato fondato nei presupposti, atteso che, come aveva
rilevato l’Amministrazione stessa e contrariamente da quanto
dichiarato dalla ricorrente, l’area interessata dalla DIA
necessitava effettivamente di opere di bonifica.
29. Per tutte queste concorrenti ragioni non si può ritenere
che l’ordine di sospensione lavori emanato in data
26.02.2011 abbia impedito la decadenza della DIA (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
29.01.2016 n. 201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo un costante insegnamento
giurisprudenziale, l'effettivo inizio dei lavori può
ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali
da evidenziare l'effettiva volontà del titolare di
realizzare l'intervento assentito, tenuto conto della sua
consistenza e, dunque, alla stregua di una valutazione in
concreto.
E’ indubbiamente vero, come sostiene il Comune, sia nella
motivazione del provvedimento impugnato che nelle memorie
difensive, che a tal fine non è sufficiente il semplice
sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti
e dei materiali di costruzione, in mancanza di altri indizi
idonei a comprovare il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione.
Tuttavia sempre la giurisprudenza amministrativa ha
precisato che configura un inizio lavori lo sbancamento
realizzato che si estenda su un’area di vaste dimensioni
come accade nel caso di specie, tenuto conto del volume di
terra movimentato, non contestato dal Comune, nonché
dell’entità dello scavo realizzato, come comprovato dalla
documentazione fotografica versata in atti.
Inoltre la giurisprudenza richiamata precisa che, in ogni
caso, ai fini di un tale accertamento, occorre valorizzare
ogni altro indizio idoneo a comprovare il reale proposito di
dare avvio e proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
---------------
La questione controversa verte in ordine alla idoneità o
meno, a configurare un inizio dei lavori, delle opere di
sbancamento e di avvio del cantiere pacificamente e
tempestivamente realizzate dalla ricorrente nel biennio
dalla sottoscrizione della convenzione.
Il Comune nega che vi sia stato un inizio concreto
dell’attività costruttiva mancando persino il deposito dei
calcoli sismici necessari a realizzare le fondamenta ed
escludendo che possano giovare a tale fine mere attività di
“sbancamento/decoticamento”, pacificamente poste in
essere dalla ricorrente.
Assume invece la ricorrente che l’entità della sbancamento
realizzato (pari a circa 6.033 metri cubi di terreno su una
superficie complessiva pari a 3.540 mq), unitamente ad
ulteriori attività di avvio del cantiere precisate in
premessa (realizzazione dei lavori di protezione delle
scarpate, della strada di accesso al piazzale, alla messa in
sicurezza delle pareti libere di scavo, oltre che alla
predisposizione dei calcoli delle gabbionate), debbano
ritenersi idonei a configurare un inizio dei lavori.
La questione è oggettivamente opinabile e deve essere
risolta attraverso una puntuale verifica in concreto circa
le attività materiali poste in essere.
Sul punto occorre innanzitutto rammentare che secondo un
costante insegnamento giurisprudenziale, l'effettivo inizio
dei lavori può ritenersi sussistente quando le opere
intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva volontà del
titolare di realizzare l'intervento assentito, tenuto conto
della sua consistenza e, dunque, alla stregua di una
valutazione in concreto.
E’ indubbiamente vero, come sostiene il Comune di Agnone,
sia nella motivazione del provvedimento impugnato che nelle
memorie difensive che a tal fine non è sufficiente il
semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli
strumenti e dei materiali di costruzione, in mancanza di
altri indizi idonei a comprovare il reale proposito di
proseguire i lavori sino alla loro ultimazione (Cons. Stato,
IV, 27.04.2015 n. 2093; TAR Campania, Napoli, II, 09.07.2015
n. 3654; TAR Catania, II, 06.11.2015, n. 2585).
Tuttavia sempre la giurisprudenza amministrativa ha
precisato che configura un inizio lavori lo sbancamento
realizzato che si estenda su un’area di vaste dimensioni
(Cons. Stato, V 15.07.2013, n. 3823; Cons. Stato, 2013, n.
4855; TAR Venezia, II, n. 299/2015) come accade nel caso di
specie, tenuto conto del volume di terra movimentato, non
contestato dal Comune, nonché dell’entità dello scavo
realizzato, come comprovato dalla documentazione fotografica
versata in atti.
Inoltre la giurisprudenza richiamata precisa che, in ogni
caso, ai fini di un tale accertamento, occorre valorizzare
ogni altro indizio idoneo a comprovare il reale proposito di
dare avvio e proseguire i lavori sino alla loro ultimazione.
Il collegio ritiene di poter ravvisare tali indizi nelle
seguenti circostanze:
- la tempestiva predisposizione nel 2002 di una relazione
tecnica per fronteggiare le criticità geologiche emerse in
seguito alle opere di sbancamento realizzate dal
proprietario del lotto n. 2 posto a valle;
- le reiterate e documentate richieste rivolte dal
ricorrente al proprietario del lotto n. 2 per ottenere la
realizzazione del muro di contenimento tra i due lotti onde
evitare possibili eventi franosi del terreno posto a monte e
cioè del lotto n. 1;
- il coinvolgimento e l’interessamento dello stesso Comune
di Agnone nella vicenda;
- le reiterate richieste di proroga della concessione
edilizia n. 36/2001 ottenuta per la costruzione del
capannone industriale, sempre concesse dal Comune di Agnone;
- la richiesta di proroga del termine quinquennale di
efficacia della convenzione peraltro non riscontrata dal
Comune; da ultimo, la proposizione nel 2011 di un’azione
civile nei confronti del proprietario del lotto n. 2 per
dirimere la problematica.
Si tratta di circostanze dalle quali è certamente possibile
evincere la concreta e persistente volontà del ricorrente di
realizzare i lavori previsti in convenzione ed autorizzati
con concessione edilizia n. 36/2001.
Da quanto precede emerge dunque che v’è stato inizio dei
lavori nel termine biennale dalla sottoscrizione della
convenzione sicché, non ricorrendo la condizione di
operatività della clausola risolutiva espressa
specificamente azionata con il provvedimento impugnato
(mancato inizio dei lavori nel termine biennale) il ricorso
deve essere accolto.
Peraltro anche a voler accedere alla tesi del Comune di
Agnone per cui, in fatto, non vi sarebbe stato avvio dei
lavori, il ricorrente in giudizio ha comunque fornito ampia
prova circa la non imputabilità del ritardo, avendo
dimostrato mediante deposito di documentazione probante
(stralcio relazione geologo Salzano) oltre che di una
perizia di parte, la effettiva sussistenza di una
problematica di carattere geologico –peraltro ben nota al
Comune- tale da generare una situazione di effettivo e
concreto pericolo in caso di edificazione del capannone in
assenza della preventiva messa in sicurezza della zona di
confine tra i due lotti.
Accedendo a tale prospettazione il ricorrente avrebbe
comunque dimostrato la non imputabilità del ritardo nel
rispetto del termine biennale, ai sensi e per gli effetti
dell’art. 1218 c.c., in applicazione del canone generale
sull’onere della prova che in materia contrattuale onera il
debitore della prestazione della relativa dimostrazione di
incolpevolezza.
E’ indubbiamente vero che il lungo lasso di tempo trascorso
dalla assegnazione del lotto, ben tredici anni, imponeva
all’Amministrazione comunale ogni sollecitudine possibile
nella cura dell’interesse pubblico proprio per non
vanificare le finalità pubblicistiche del p.i.p., tuttavia
per le ragioni espresse, deve escludersi nel caso di specie
la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto per
avvalersi della clausola risolutiva espressa in relazione
allo specifico profilo di inadempimento dedotto.
Resta naturalmente fermo il potere in capo
all’amministrazione di svolgere tutte le verifiche del caso
necessarie ad accertare e, se del caso, a contestare, un
inadempimento imputabile in relazione al mancato rispetto
del termine quinquennale di conclusione dei lavori, anche in
relazione alle possibili iniziative, concretamente
esigibili, che il ricorrente avrebbe potuto assumere per
evitare il protrarsi, per ben 13 anni, di una situazione di
incertezza certamente pregiudizievole per le finalità di
interesse pubblico comunque intrinseche alla causa della
convenzione di acquisto del lotto.
In conclusione il ricorso dev’essere accolto con conseguente
annullamento degli atti impugnati limitatamente alla
posizione della ditta ricorrente. Si ravvisano tuttavia
giustificate ragioni per disporre la compensazione delle
spese del giudizio tra tutte le parti, stante la
particolarità della vicenda in fatto (TAR Molise,
sentenza 29.01.2016 n. 42 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA: Qualora
il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire
ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, viene meno la giustificazione causale della
corresponsione di somme a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di
dare, cosicché l'importo versato va restituito.
---------------
L’accoglimento della domanda di annullamento per mancata
utilizzazione del permesso di costruire, in tale specifico
caso, non comporta la restituzione della somma da parte del
Comune, atteso che il pagamento, dalla documentazione agli
atti, non risulta sia stato effettuato al Comune, bensì a
soggetto, non legittimato dall’Amministrazione a riceverlo,
che poi non abbia effettuato il versamento alla stessa.
In tal caso, resta salva l’applicazione delle regole
civilistiche stabilite per la ripetizione nei confronti di
colui che ha ricevuto il pagamento indebito, ovviamente
nella sussistenza di tutti i presupposti di legge.
---------------
1. La sig.ra Ma.Fr.Ma. ha proposto ricorso in
riassunzione –a seguito di sentenza n. 1411 del 05.09.2015 del Tribunale di Cosenza che ha dichiarato il difetto
di giurisdizione- in opposizione a cartella di pagamento
per l’annullamento, previa sospensione, della cartella e
degli atti di cui in epigrafe.
Ha dedotto i seguenti motivi:
I. la ricorrente avrebbe provveduto al pagamento delle somme
richieste, come si evincerebbe dai bollettini prodotti e
dalla stessa concessione edilizia; l’estinzione non verrebbe
meno per la circostanza che le somme sarebbero state pagate
a un funzionario del Comune che ha rilasciato i bollettini e
che non ha versato le somme al Comune; tanto in quanto il
pagamento -avvenuto nelle mani del funzionario pubblico
preposto al rilascio dei permessi a costruire, che ha poi
patteggiato per il reato di peculato-, sarebbe, comunque,
dimostrato dalle ricevute prodotte, ancorché poi rivelatesi
false; peraltro, secondo quanto riferito
dall’Amministrazione comunale nel precedente giudizio
civile, il Tribunale di Cosenza ha, su ricorso del medesimo
Ente, con ordinanza del 04.01.2013, disposto il sequestro
conservativo sui beni del funzionario in questione, con la
conseguenza che il Comune non potrebbe agire per il recupero
delle dette somme anche nei confronti dell’utente;
II. le somme di cui in cartella, comunque, non sarebbero
dovute per non avere la ricorrente utilizzato la concessione
cui si ricollegano gli oneri.
Ha, quindi, chiesto la declaratoria della illegittimità
della cartella e conseguente l’annullamento; ha, altresì,
chiesto l’ammissione della prova per testi.
2. Il Comune intimato si è costituito, controdeducendo al
ricorso e chiedendone il rigetto.
3. Alla camera di consiglio del 10.12.2015, fissata
per la trattazione dell’istanza cautelare, il ricorso,
sussistendone i presupposti e previo avviso alle parti, è
stato mandato in decisione ai sensi dell’art. 60 del cod.
proc. amm..
4. Il ricorso è fondato per l’accoglimento del terzo motivo,
con cui parte ricorrente ritiene non dovuta la somma in
questione per non avere utilizzato la concessione relativa.
4.1. Reputa il Collegio che non sussistono ragioni per
discostarsi dal principio, ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza amministrativa, secondo cui, qualora il
privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire
ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, venga meno la giustificazione causale della
corresponsione di somme a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione. Il contributo
concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività
di trasformazione del territorio e quindi, ove tale
circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta
privo della causa dell'originaria obbligazione di dare,
cosicché l'importo versato va restituito (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, 02.02.1988 n. 105; id. 12.06.1995 n. 894 e 23.06.2003 n.
3714; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 24.03.2010 n. 728; TAR
Lazio, Roma, Sez. I-bis, 12.03.2008 n. 2294; TAR Abruzzo
15.12.2006 n. 890; TAR Parma 07.04.1998 n. 149; da ultimo TAR
Marche, sez. I, sent. 06.02.2015 n. 114 e TAR Puglia Bari, sez. III, 17.03.2015 n. 420).
4.2. Al riguardo prive di pregio sono le affermazioni del
Comune secondo cui “l’odierna ricorrente non ha mai
comunicato alla amministrazione de qua la propria intenzione
di rinunciare al titolo edilizio di che trattasi, né ha
presentato alcuna istanza di sgravio”; né ha rilievo che,
solo con missiva del 27.10.2015, la sig.ra Ma. ha chiesto
il detto rimborso.
Il Comune, peraltro, non risulta che, in riscontro a detta
richiesta, abbia contestato l’utilizzo del titolo, bensì che
abbia solo rilevato che, a seguito di controlli effettuati,
non risultavano versate le dette somme all’Amministrazione.
4.3. La fondatezza di tale motivo, con assorbimento degli
ulteriori, comporta l’accoglimento della domanda avanzata,
con accertamento e declaratoria che la sig.ra Ma.Fr.Ma. non è debitrice della somma contestata nei
confronti del Comune di San Fili e il conseguente
annullamento della cartella impugnata.
4.4. L’accoglimento della domanda di annullamento per
mancata utilizzazione del permesso di costruire, in tale
specifico caso, però, non comporta la restituzione della
somma da parte del Comune (a cui, peraltro, si fa cenno solo
in seno al II motivo), atteso che il pagamento, dalla
documentazione agli atti, non risulta sia stato effettuato
al Comune, bensì a soggetto, non legittimato
dall’Amministrazione a riceverlo, che poi non abbia
effettuato il versamento alla stessa; in tal caso, resta
salva l’applicazione delle regole civilistiche stabilite per
la ripetizione nei confronti di colui che ha ricevuto il
pagamento indebito, ovviamente nella sussistenza di tutti i
presupposti di legge
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 11.12.2015 n. 1921 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La decadenza del permesso di
costruire non opera di per sé, ma deve necessariamente
tradursi in un provvedimento espresso che ne accerti i
presupposti e ne renda operanti gli effetti.
Contrariamente a quanto affermato dal
Consiglio di Stato nella sentenza più volte richiamata, la
giurisprudenza del giudice amministrativo, pur mostrandosi
concorde nell’affermare che la decadenza del permesso di
costruire costituisce un effetto che discende dall’inutile
decorso del termine di inizio e/o completamento dei lavori
autorizzati, è, tuttavia, in prevalenza orientata a
richiedere, come condizione indispensabile perché detto
effetto diventi operativo, l’adozione di un provvedimento
formale da parte del competente organo comunale, ancorché
meramente dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque
sia l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se
intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione
erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti
retroagiscano al momento dell’evento estintivo.
Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza risalente nel
tempo (cfr. Cons. St., sez. V, 15.06.1998, n. 834; Cons.
St., sez. V, 23.11.1996, n. 1414, per il quale l’adozione
del provvedimento dichiarativo della decadenza costituisce
condizione per l’esercizio dei poteri sanzionatori
amministrativi e per l’insorgenza dell’eventuale
responsabilità penale del titolare del permesso di costruire
per il caso di esecuzione dei lavori oltre il termine
prescritto dalla concessione edilizia) e sovente riproposta.
È peraltro incontestabile che anche la giurisprudenza più
recente di questo giudice di appello è prevalentemente
orientata nel senso che l’operatività della decadenza della
concessione edilizia necessita dell’intermediazione di un
formale provvedimento amministrativo di carattere
dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del
verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa
apposita istruttoria.
Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza
del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del
permesso di costruire non opera di per sé, ma deve
necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne
accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che,
sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e,
come tale, non è sottratto all’obbligo di motivazione di cui
all’art. 3 l. 07.08.1990, n. 241; può essere adottato solo
previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di
una potestà provvedimentale.
In una non recente decisione di questo Consiglio di Stato la
ragione, che giustificherebbe l’obbligo per l’ente locale di
adottare un atto che formalmente dichiari l’intervenuta
decadenza del permesso di costruire, è stata individuata
nella necessità di assicurare il contraddittorio con il
privato in ordine all’esistenza dei presupposti di fatto e
di diritto che giustifichino la pronuncia stessa.
---------------
Con la prima censura
parte appellante deduce erronea declaratoria di
inammissibilità del ricorso principale.
La società ricorrente in prime cure ha impugnato il rigetto
dell’istanza di permesso di costruire in variante e ha
chiesto la condanna del Comune resistente, in via
principale, al rilascio del permesso di costruire e al
risarcimento del danno da ritardo per equivalente monetario
e, in via subordinata, al risarcimento del danno per
equivalente.
Il Comune, nel costituirsi, ha eccepito in via preliminare
l’avvenuta decadenza del permesso di costruire originario
(n. 154 del 21.05.2008) ai sensi dell’articolo 15, comma 2,
del d.p.r. n. 380 del 2001 e quindi l’inammissibilità del
ricorso per carenza di interesse.
Il Tar Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con la sentenza
n. 61 del 2013, impugnata in questa sede, ha ritenuto
l’eccezione fondata, ed ha così motivato in proposito: <<La
decadenza, inoltre, opera di diritto e non è richiesta a tal
fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza, non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo (cfr. Consiglio di Stato,
sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma
sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n.
2915/2012)>>.
Ritiene il Collegio che tale orientamento giurisprudenziale
non possa essere condiviso per le ragioni che seguono.
Il Tar Pescara nella pronuncia di inammissibilità ha
richiamato la sentenza di questa Sezione 18.05.2012, n.
2915, la quale, nel prendere in esame il problema di fondo
che le parti in causa avevano sottoposto al suo giudizio, e
cioè se l’inosservanza delle condizioni da parte del
costruttore comporta automaticamente la decadenza del
permesso di costruire, che gli era stato rilasciato e che
fissava anche i termini di inizio e completamento dei
lavori, ovvero se a questo effetto è richiesto un apposito
provvedimento da parte del competente organo comunale, ha
motivatamente dichiarato di optare per la prima soluzione.
La tesi svolta, come meglio si vedrà in seguito, è che, ai
sensi dell’art. 15, co. 2, t.u. dell’edilizia, la decadenza
della concessione edilizia per mancata osservanza del
termine di inizio e completamento dei lavori opera di
diritto e il provvedimento, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto già verificatosi.
Ha aggiunto il Consiglio di Stato nella citata sentenza n.
2915 del 2012 che la sua tesi trova conforto nella notazione
(del giudice di primo grado) secondo la quale, diversamente
opinando, si farebbe dipendere la decadenza non solo da un
comportamento dei titolari della concessione, ma anche della
Pubblica amministrazione, libera in taluni casi di adottare
un provvedimento espresso e in altri casi no, con possibile
disparità di trattamento tra situazioni identiche. Invece il
diretto riferimento al dettato legislativo, per quanto
attiene ai termini e alle conseguenze che derivano dalla
loro elusione, elimina in radice ogni ipotesi di disparità
di trattamento; al tempo stesso la necessità
dell’applicazione del regime sanzionatorio per i lavori
eseguiti dopo il decorso del termine stabilito dal titolo
abilitativo è, a sua volta, conseguenza necessitata della
violazione da parte dell’interessato di puntuali obblighi a
lui assegnati dalla stessa legge.
La conclusione che la citata sentenza trae dal suo
argomentare è che la pronuncia di decadenza del titolo
edilizio è espressione di un potere strettamente vincolato;
ha natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli
effetti del titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del
titolare e assume pertanto decorrenza ex tunc;
inoltre il termine di durata del titolo edilizio non può mai
intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo edilizio che accerti l’impossibilità
del rispetto del termine ab origine fissato, e
solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un
factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di
forza maggiore.
Contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di Stato
nella sentenza più volte richiamata, la giurisprudenza del
giudice amministrativo, pur mostrandosi concorde
nell’affermare che la decadenza del permesso di costruire
costituisce un effetto che discende dall’inutile decorso del
termine di inizio e/o completamento dei lavori autorizzati,
è, tuttavia, in prevalenza orientata a richiedere, come
condizione indispensabile perché detto effetto diventi
operativo, l’adozione di un provvedimento formale da parte
del competente organo comunale, ancorché meramente
dichiarativo e con efficacia ex tunc, qualunque sia
l’epoca in cui è stato adottato e quindi anche se
intervenuto molto tempo dopo che i termini in questione
erano inutilmente decorsi, e ancorché i suoi effetti
retroagiscano al momento dell’evento estintivo.
Si tratta, in effetti, di una giurisprudenza risalente nel
tempo (cfr. Cons. St., sez. V, 15.06.1998, n. 834; Cons.
St., sez. V, 23.11.1996, n. 1414, per il quale l’adozione
del provvedimento dichiarativo della decadenza costituisce
condizione per l’esercizio dei poteri sanzionatori
amministrativi e per l’insorgenza dell’eventuale
responsabilità penale del titolare del permesso di costruire
per il caso di esecuzione dei lavori oltre il termine
prescritto dalla concessione edilizia) e sovente riproposta
(Cons. St., sez. V, 20.10.2004, n. 5228).
È peraltro incontestabile che anche la giurisprudenza più
recente di questo giudice di appello è prevalentemente
orientata nel senso che l’operatività della decadenza della
concessione edilizia necessita dell’intermediazione di un
formale provvedimento amministrativo di carattere
dichiarativo, che deve intervenire per il solo fatto del
verificarsi del presupposto di legge e da adottare previa
apposita istruttoria.
Sulle stesse conclusioni è attestata anche la giurisprudenza
del giudice di primo grado, per la quale la decadenza del
permesso di costruire non opera di per sé, ma deve
necessariamente tradursi in un provvedimento espresso che ne
accerti i presupposti e ne renda operanti gli effetti; che,
sebbene a contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e,
come tale, non è sottratto all’obbligo di motivazione di cui
all’art. 3 l. 07.08.1990, n. 241; può essere adottato solo
previa formale ed apposita contestazione, esplicazione di
una potestà provvedimentale.
In una non recente decisione di questo Consiglio di Stato
(cfr. Cons. St., sez. VI, 17.02.2006, n. 671) la ragione,
che giustificherebbe l’obbligo per l’ente locale di adottare
un atto che formalmente dichiari l’intervenuta decadenza del
permesso di costruire, è stata individuata nella necessità
di assicurare il contraddittorio con il privato in ordine
all’esistenza dei presupposti di fatto e di diritto che
giustifichino la pronuncia stessa.
Ne consegue che, ad avviso del Collegio, il primo motivo è
fondato, non avendo il Comune di Pescara mai assunto alcun
provvedimento di decadenza del titolo edilizio, essendo,
anzi, tale questione stata eccepita per la prima volta in
sede di memoria di costituzione nel giudizio di primo grado,
peraltro nemmeno notificata alla controparte, sebbene
ampliativa del thema decidendum su circostanze di
fatto non contemplate nel ricorso introduttivo (che invece
aveva ad oggetto un provvedimento di diniego di variante al
permesso di costruire)
(Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 22.10.2015 n. 4823 -
link a www.giustizia-amministratva.it). |
settembre 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
decadenza dal titolo edilizio non implica la demolizione
delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di
chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori
opere, dovendo considerarsi abusivi soltanto gli interventi
realizzati dopo l’intervenuta decadenza. Pertanto, è
illegittimo, in assenza di un’adeguata motivazione e di
specifiche e puntuali ragioni di pubblico interesse,
l’ordine di demolizione di manufatti realizzati sulla base
di un permesso di costruire poi dichiarato decaduto a
seguito del mancato completamento dell’intervento nei
termini di legge.
---------------
La perdita di efficacia della concessione edilizia per
mancato inizio o ultimazione dei lavori nei termini
prescritti deve essere accertata e dichiarata con formale
provvedimento dell’Amministrazione, anche ai fini del
necessario contraddittorio con il privato circa l’esistenza
dei presupposti di fatto e di diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza.
L’istituto della decadenza del permesso di costruire ai
sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura
dichiarativa e presuppone un atto di accertamento di un
effetto che consegue ex lege al presupposto legislativamente
indicato.
Il ricorso è fondato.
È fondato, in particolare, il primo motivo di censura, come
sopra illustrato, conformemente alla massima che segue: “La
decadenza dal titolo edilizio non implica la demolizione
delle opere realizzate, ma comporta solo la necessità di
chiedere un nuovo permesso per la esecuzione delle ulteriori
opere, dovendo considerarsi abusivi soltanto gli interventi
realizzati dopo l’intervenuta decadenza. Pertanto, è
illegittimo, in assenza di un’adeguata motivazione e di
specifiche e puntuali ragioni di pubblico interesse,
l’ordine di demolizione di manufatti realizzati sulla base
di un permesso di costruire poi dichiarato decaduto a
seguito del mancato completamento dell’intervento nei
termini di legge” (TAR Abruzzo– Pescara, Sez. I,
14/11/2014, n. 449).
La tesi di controparte, che l’ordine di demolizione sia
stato disposto a cagione del riscontro di abusi, piuttosto
che a causa della perdita d’efficacia del permesso di
costruire, non trova rispondenza nel tenore testuale del
provvedimento gravato, che ancora, manifestamente, la
demolizione alla scadenza del titolo abilitativo edilizio e
del n.o. paesaggistico.
È fondato, altresì, il secondo motivo di ricorso, in
aderenza alla giurisprudenza maggioritaria, secondo cui: “La
perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve
essere accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell’Amministrazione, anche ai fini del necessario
contraddittorio con il privato circa l’esistenza dei
presupposti di fatto e di diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza” (Consiglio di Stato, Sez. V,
12/05/2011, n. 2821); “L’istituto della decadenza del
permesso di costruire ai sensi dell’art. 15 d.P.R. n. 380
del 2001 ha natura dichiarativa e presuppone un atto di
accertamento di un effetto che consegue ex lege al
presupposto legislativamente indicato” (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 11/04/2014, n. 1747).
Il contrario assunto dell’Amministrazione Comunale, secondo
cui “la decadenza del titolo è stata correttamente
dichiarata con provvedimento di avvio del procedimento in
data 28.02.2014” è sfornita di ogni pregio, posto che
una comunicazione d’inizio del procedimento è ovviamente
cosa ben diversa dal provvedimento formale, dichiarativo
della decadenza, richiesto dalla giurisprudenza
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 14.09.2015 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L'apposizione
dei termini di efficacia della concessione edilizia e gli
istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e
della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380
servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche
al fine di garantire un efficiente controllo sulla
conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato
con il relativo titolo.
---------------
La decadenza del titolo edilizio opera di diritto e non è
richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento
espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, infatti, la tesi prevalente in giurisprudenza, che
il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge,
che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche.
---------------
Per consolidata giurisprudenza, l’inizio dei lavori idoneo
ad impedire la decadenza della concessione edilizia può
ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali
da evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera,
non essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del
terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di
costruzione.
Detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile
per effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di
sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto
l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che
dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione.
... per l'annullamento della determinazione n. 1278 del
21.12.2010 del Direttore dell'Area 5 del Comune di
Selargius, avente ad oggetto "Concessione Edilizia n.
58/2009 e n. 111/2010 per la realizzazione di un
autolavaggio e sistemazione di parte dell'area a verde
pubblico e parte a parcheggio - decadenza ex comma 2°, art.
15 D.P.R. 380/2001", con la quale veniva dichiarata la
decadenza della concessione edilizia n. 58 del 25.06.2009 e
della concessione edilizia n. 111/2010 di voltura della
concessione edilizia n. 58 del 25.06.2009, per mancato inizio
dei lavori entro un anno dal rilascio della concessione
edilizia n. 58 del 25.06.2009;
...
Il ricorso è infondato.
La concessione edilizia n. 58/2009 recava espressamente
l’indicazione (art. 2) che “L’inizio lavori dovrà avvenire
entro un anno dalla data del rilascio della presente
concessione e quindi entro la data del 30.06.2010, pena la
decadenza della concessione stessa”.
La concessione n. 111/2010, adottata a seguito della
presentazione dell’istanza di voltura da parte della società
subentrante all’originaria concessionaria, stabiliva sul
punto (art. 2) che “I termini di inizio e fine lavori sono i
medesimi previsti dalla concessione n. 58/2009…”.
Orbene, non è superfluo ricordare che l'apposizione dei
termini di efficacia della concessione edilizia e gli
istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e
della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380
servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di
trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche
al fine di garantire un efficiente controllo sulla
conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato
con il relativo titolo (così Cons. St., V, 23.11.1996, n.
1414).
Con riguardo al caso di specie la ricorrente assume che,
diversamente da quanto ritenuto dall’amministrazione, come
da comunicazione di inizio lavori del 23.06.2010, questi
ultimi sarebbero stati puntualmente iniziati prima della
scadenza di efficacia del titolo edilizio.
L’argomento è privo di un significativo corredo probatorio.
Si richiama, infatti, in proposito, la dichiarazione resa
dal geom. G.B. in data 26.11.2010 dalla
quale tuttavia risulta che prima della scadenza del termine
erano state effettuate mere operazioni preliminari (verifica
delle quote plano altimetriche, individuazione del luogo
migliore per l’accesso e l’uscita degli autocarri,
affidamento dell’incarico a un geologo per il relativo
studio dell’area), e la lettera dello studio legale C. & M. che peraltro, si limita a richiamare la
corrispondenza intercorsa col geologo incaricato
dell’indagine geognostica risalente ai giorni 3 e 15.10.2010, ossia ad epoca ben successiva alla scadenza della
concessione risalente al 30.06.2010.
In proposito è opportuno ricordare che la decadenza del
titolo edilizio opera di diritto e non è richiesta a tal
fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, infatti, la tesi prevalente in giurisprudenza, che
il Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge,
che fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del
04.02.2013; Consiglio di Stato n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma
sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, Sez. IV, n.
2915/2012).
Per contro, sempre sul piano probatorio, la difesa comunale
ha depositato in data 19.02.2015 (all. 7) il verbale
del sopralluogo effettuato nell’area interessata
dall’intervento per cui è causa in data 29.10.2010,
corredato da documentazione fotografica, dal quale si ricava
che a tale data i lavori non risultavano affatto iniziati.
Del resto, per consolidata giurisprudenza, l’inizio dei
lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione
edilizia può ritenersi sussistente quando le opere
intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà di
realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il
semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli
strumenti e materiali di costruzione (così Cons. Stato, Sez.
V, 22.11.1993 n. 1165); ovvero, detto altrimenti,
l’inizio dei lavori non è configurabile per effetto della
sola esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento e senza
che sia manifestamente messa a punto l’organizzazione del
cantiere e sussistendo altri indizi che dimostrino il reale
proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242),
circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie
dalla ricorrente.
Né, infine, assumono rilievo le ricordate vicende
concernenti l’avvicendamento nella compagine sociale che, ad
avviso della ricorrente, avrebbero determinato il ritardo
nell’inizio dei lavori.
Tali accadimenti sono infatti, per quanto qui rileva, del
tutto irrilevanti: mancando nel caso di specie sia una
tempestiva richiesta di proroga, sia un formale
provvedimento di sospensione del termine da parte
dell’amministrazione, la concessione edilizia n. 28/2009
deve ritenersi decaduta fin dal 30.06.2010.
In conclusione quindi il ricorso si rivela infondato e va
respinto
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 04.05.2015 n. 741 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata
da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva
del venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc.
Con la conseguenza che non è nemmeno necessario un atto
espresso che dichiari la decadenza del titolo edificatorio,
perché, diversamente opinando, «si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche».
Se, dunque, l’istituto in esame opera di diritto in presenza
dei presupposti fissati dalla norma e l’atto comunale ha
natura meramente ricognitiva di un effetto già verificatosi,
l’onere motivazionale che incombe sull’Autorità procedente è
limitato alla rappresentazione della conformità della
fattispecie concreta a quella astratta delineata dalla
disposizione: nel caso di specie il mancato avvio dei
lavori.
Ora, con riferimento al presente giudizio, la circostanza
sulla scorta della quale è stata pronunciata la decadenza
non è contestata dall’interessata, che anzi chiedendo una
proroga del termine annuale ha ammesso il mancato avvio dei
lavori di costruzione. D’altro canto, è indubbio che non
possa essere sufficiente una dichiarazione meramente formale
di avvio dei lavori non seguita da un’attività sostanziale
per impedire il verificarsi dell’effetto decadenziale.
Di contro, il titolare del permesso di costruire può evitare
la decadenza anche chiedendo, in presenza di ragioni
oggettivamente ostative all’edificazione, una proroga del
termine in discussione, prima della scadenza del termine
stesso.
Anche laddove si sia in presenza del cd. factum principis o
di cause di forza maggiore, l’interessato è pur sempre
onerato della richiesta di proroga, che deve essere
accordata con atto espresso dell’Amministrazione, non
operando automaticamente l’effetto sospensivo. Invero,
l’atto di proroga, a differenza dell’accertamento
dell’intervenuta decadenza, è atto di esercizio di
discrezionalità amministrativa, perché presuppone
l’accertamento delle circostanze dedotte dal privato e il
loro apprezzamento in termini di evento oggettivamente
impeditivo dell’avvio della edificazione.
... per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia
dell’atto di data 08.02.2010 PG/U 0017710 del Dirigente del
Servizio Edilizia Privata del Comune di Udine di
accertamento della decadenza del permesso a costruire Cod.
PDC/129.1.2008;
...
7.1. Il ricorso è infondato, tenuto conto della natura
dell’atto di decadenza del permesso di costruire per mancato
avvio dei lavori nel termine annuale di cui al già citato
articolo 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001, e dello
svolgimento degli eventi nel caso di specie.
7.2.1. Invero, come chiarito dal prevalente orientamento
giurisprudenziale, cui il Collegio ritiene senz’altro di
aderire in considerazione della testuale formulazione della
previsione normativa, «la pronunzia di decadenza del
permesso di costruire è connotata da un carattere
strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato
inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti
ed ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi
attuazione. Pertanto, un tale provvedimento ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in
via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine
prefissato con conseguente decorrenza ex tunc» (così,
C.d.S., Sez. IV, sentenza n. 1013/2014; nello stesso senso,
ex plurimis, TAR Sicilia–Palermo, Sez. II, sentenza
n. 1081/2014; TAR Piemonte, Sez. I, sentenza n. 2/2014).
Con la conseguenza che non è nemmeno necessario un atto
espresso che dichiari la decadenza del titolo edificatorio,
perché, diversamente opinando, «si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche» (così, TAR
Abruzzo–Pescara, sentenza n. 61/2013).
7.2.2. Se, dunque, l’istituto in esame opera di diritto in
presenza dei presupposti fissati dalla norma e l’atto
comunale ha natura meramente ricognitiva di un effetto già
verificatosi, l’onere motivazionale che incombe
sull’Autorità procedente è limitato alla rappresentazione
della conformità della fattispecie concreta a quella
astratta delineata dalla disposizione (cfr., C.d.S., Sez. IV,
sentenza n. 2027/2013): nel caso di specie il mancato avvio
dei lavori.
7.2.3. Ora, con riferimento al presente giudizio, la
circostanza sulla scorta della quale è stata pronunciata la
decadenza non è contestata dall’interessata, che anzi
chiedendo una proroga del termine annuale ha ammesso il
mancato avvio dei lavori di costruzione. D’altro canto, è
indubbio che non possa essere sufficiente una dichiarazione
meramente formale di avvio dei lavori non seguita da
un’attività sostanziale per impedire il verificarsi
dell’effetto decadenziale (cfr., C.d.S., Sez. IV, sentenza
n. 974/2012).
7.3.1. Di contro, il titolare del permesso di costruire può
evitare la decadenza anche chiedendo, in presenza di ragioni
oggettivamente ostative all’edificazione, una proroga del
termine in discussione, prima della scadenza del termine
stesso.
7.3.2. Anche laddove si sia in presenza del cd. factum
principis o di cause di forza maggiore, l’interessato è
pur sempre onerato della richiesta di proroga, che deve
essere accordata con atto espresso dell’Amministrazione, non
operando automaticamente l’effetto sospensivo (cfr., C.d.S.,
Sez. III, sentenza n. 1870/2013). Invero, l’atto di proroga,
a differenza dell’accertamento dell’intervenuta decadenza, è
atto di esercizio di discrezionalità amministrativa, perché
presuppone l’accertamento delle circostanze dedotte dal
privato e il loro apprezzamento in termini di evento
oggettivamente impeditivo dell’avvio della edificazione.
7.3.3. Nel caso in esame, invece, risulta per tabulas,
che la pronuncia del Giudice amministrativo che annullava la
limitazione di altezza dell’erigendo fabbricato è
intervenuta oltre due mesi prima la scadenza del termine
annuale in discussione, che la suddetta sentenza era
immediatamente autoapplicativa e dunque l’edificazione non
necessitava di alcuna ulteriore attività da parte
dell’Amministrazione, che la società Edil Friuli S.p.A.,
anziché chiedere una proroga dell’inizio dei lavori (istanza
che in astratto poteva pure essere fondata), ha falsamente
attesto l’avvio dei lavori, che la richiesta di proroga è
giunta a termine oramai scaduto.
8.1. In presenza dei suindicati presupposti
giuridico-fattuali il Comune altro non poteva fare che
emettere l’atto –vincolato- ricognitivo dell’intervenuta
decadenza ope legis del permesso di costruire per cui
è causa
(TAR Friuli Venezia Giulia,
sentenza 22.04.2015 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
decadenza dalla concessione edilizia non implica la
demolizione delle opere realizzate, ma comporta solo la
necessità di chiedere un nuovo permesso per la esecuzione
delle ulteriori opere.
La circostanza, invero, che il provvedimento di decadenza
della concessione edilizia abbia carattere dichiarativo e
che l’effetto di decadenza del titolo edilizio si verifica
automaticamente ope legis a causa del semplice decorso dei
termini stabiliti per l’inizio e per il completamento dei
lavori, comporta la conseguente legittimità dell’ordine di
demolizione solo per quanto realizzato “successivamente”
alla intervenuta decadenza, ma non per quanto realizzato in
precedenza.
In estrema sintesi, la decadenza del titolo edilizio per
mancata ultimazione dei lavori ha efficacia ex nunc e non ex
tunc, per cui le opere edilizie realizzate nel periodo di
validità del titolo edilizio non possono di certo essere
ritenute abusive; di conseguenza, l’ordine di demolizione di
tali opere può essere disposto solo in presenza di un
interesse pubblico particolarmente rilevante e non per il
semplice fatto che il titolo edilizio è nel frattempo
decaduto.
Va, invero, al riguardo ricordato che -così come del resto già precisato dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. Cons. St., sez. IV, 13.02.2007,
n. 804)- la decadenza dalla concessione edilizia non
implica la demolizione delle opere realizzate, ma comporta
solo la necessità di chiedere un nuovo permesso per la
esecuzione delle ulteriori opere. La circostanza, invero,
che il provvedimento di decadenza della concessione edilizia
abbia carattere dichiarativo e che l’effetto di decadenza
del titolo edilizio si verifica automaticamente ope legis a
causa del semplice decorso dei termini stabiliti per
l’inizio e per il completamento dei lavori, comporta la
conseguente legittimità dell’ordine di demolizione solo per
quanto realizzato “successivamente” alla intervenuta
decadenza (Cons. giust. amm. Reg. Sic., 16.09.1998,
n. 474), ma non per quanto realizzato in precedenza.
In estrema sintesi, la decadenza del titolo edilizio per
mancata ultimazione dei lavori ha efficacia ex nunc e non
ex tunc, per cui le opere edilizie realizzate nel
periodo di validità del titolo edilizio non possono di certo
essere ritenute abusive; di conseguenza, l’ordine di
demolizione di tali opere può essere disposto solo in
presenza di un interesse pubblico particolarmente rilevante
e non per il semplice fatto che il titolo edilizio è nel
frattempo decaduto
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 14.11.2014 n. 449 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In materia edilizia la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo
della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di
efficacia.
---------------
Per giurisprudenza pacifica, il termine di durata del
permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
prima della sua scadenza, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi
consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
---------------
La decadenza dal titolo edilizio opera di diritto e non è
richiesta a tal fine l’adozione di un provvedimento
espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche.
---------------
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo
edilizio per la sua natura di atto dovuto è espressione di
un potere strettamente vincolato non implicante, quindi,
valutazioni discrezionali ma meri accertamenti tecnici,
senza necessità della comunicazione di avvio del
procedimento.
Ritiene anzitutto il Collegio di condividere le conclusioni
dell’ufficio regionale quanto all’affermata decadenza della
concessione edilizia n. 14/1986 a far data dall’11.03.1990.
Non è superfluo ricordare che in materia edilizia la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo
della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di
efficacia.
Ebbene, la prima richiesta inoltrata dalla sig.ra P. al
comune di Maracalagonis è inequivocamente una mera richiesta
di proroga, oltretutto immotivata, del termine di validità
della concessione, il cui decorso non era mai stato sospeso
dall’amministrazione che non risulta essere mai stata
investita del problema relativo all’asserita presenza nelle
vicinanze del cantiere di un traliccio dell’alta tensione.
In relazione ad essa il diniego dell’amministrazione è
corretto, restando palesemente infondata la censura con la
quale la ricorrente lamenta che il termine di efficacia
della concessione n. 14/1986 era sospeso per effetto della
predetta situazione di impossibilità nella prosecuzione dei
lavori.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, il termine di durata
del permesso edilizio non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo al contrario sempre necessaria, a tal fine,
prima della sua scadenza, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo ablativo che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, ciò che avviene solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un factum principis
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore (cfr: Tar
Piemonte, n. 666 del 05.06.2012; Consiglio di Stato, sez. IV,
23.02.2012, n. 974).
Ed invero, l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia e gli istituti della proroga (nei casi
consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414).
Mancando nel caso di specie sia una tempestiva richiesta di
proroga, sia un formale provvedimento di sospensione del
termine da parte dell’amministrazione, la concessione
edilizia n. 14/1986 era da ritenersi decaduta fin
dall’11.03.1990.
Sotto questo profilo non è decisivo in senso contrario
l’argomento della ricorrente secondo il quale la decadenza
della concessione doveva essere accertata
dall’amministrazione comunale con un provvedimento espresso
che, a sua volta, doveva essere preceduto dall’avviso di
inizio del procedimento.
In primo luogo, la decadenza dal titolo edilizio opera di
diritto e non è richiesta a tal fine l’adozione di un
provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo (cfr. TAR Pescara, n. 61 del
04.02.2013; Consiglio di Stato, sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma
sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n.
2915/2012).
In ogni caso, nella vicenda in esame l’effetto ricognitorio
connesso all’atto di decadenza formale asseritamente
mancante, meramente accertativo –come detto- del verificarsi
del presupposto fattuale del decorso del tempo, ben può
rinvenirsi nella stessa impugnata determina n. 12 del
10.03.2008, nella quale, in parte motiva, si richiama per
esteso la motivazione della nota regionale n. 5252/2008
sopra ricordata che ribadiva la sopravvenuta inefficacia
della concessione edilizia n. 14/1986 per decorso del
termine.
Con riguardo al secondo profilo della censura (mancato invio
dell’avviso di inizio del procedimento), deve invece
rilevarsi che il provvedimento di pronuncia di decadenza del
titolo edilizio per la sua natura di atto dovuto è
espressione di un potere strettamente vincolato non
implicante, quindi, valutazioni discrezionali ma meri
accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di
avvio del procedimento (cfr: Cons. Stato, Sez. V, n. 5691
dell’08.11.2012) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 30.10.2014 n. 880 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il Comune legittimamente
dichiara la intervenuta decadenza del permesso di costruire
una volta accertata la impossibilità di accordare la
richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole
inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento
dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la
dichiarazione di decadenza.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale
dell’edilizia trattasi, invero, di ragioni di carattere
generale attinenti a considerazioni di tipo economico del
tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse,
rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di
inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto
impossibile considerare la “crisi congiunturale” un motivo
valido per giustificare l’inerzia.
Le doglianze di parte appellante non appaiono condivisibili.
Dunque la richiesta di proroga di che trattasi è stata
avanzata dagli interessati come esposto nel provvedimento in
contestazione, per due precipue ragioni:
a) per le incertezze economiche e finanziarie derivanti
dall’operazione immobiliare in relazione al contenzioso
intercorso col Comune circa la quantificazione del
contributo di costruzione;
b) per la grave crisi economica che ha afflitto il settore
dell’edilizia con le relative, concrete ricadute.
Occorre andare a verificare se tali ragioni collimano con le
circostanze previste dall’art. 15 del DPR n.380/2001 per
farsi luogo alla proroga, come sostenuto dalla parte
appellante, oppure no, come in sostanza assunto
dall’Amministrazione comunale.
Il citato articolo di legge prevede che “i termini
possono essere prorogati con provvedimento motivato per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” e ancora che … “la proroga può essere
accordata con provvedimento motivato esclusivamente in
considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle
particolari caratteristiche tecnico- costruttive:..”.
Ebbene, il diniego risulta essere stato correttamente
adottato, atteso che le ragioni addotte a sostegno della
richiesta di proroga appaiono eccedere l’ambito naturale
descritto dal citato art. 15 per la concessione del
beneficio de quo.
La norma in questione presuppone infatti una condizione ben
precisa, costituita dalla sopravvenienza di fatti estranei
alla volontà del titolare della concessione edilizia e tali
non sono le circostanze dedotte dai sigg.ri Marconi.
Quanto al motivo costituito dalla crisi congiunturale
dell’edilizia, trattasi invero, di ragioni di carattere
generale attinenti a considerazioni di tipo economico del
tutto generiche, non aventi, per l’astrattezza delle stesse,
rilevanza alcuna con l’obbligo di osservare i tempi di
inizio e completamento dei lavori, sicché appare del tutto
impossibile considerare la “crisi congiunturale” un
motivo valido per giustificare l’inerzia.
Alcuna incidenza diretta e concreta può altresì avere la
pendenza tra le stesse parti del contenzioso in ordine alla
quantificazione del contributo di costruzione, la cui
determinazione, come stabilita dal Comune, peraltro, nasce
ed è conosciuta in coincidenza del rilascio del titolo ad
aedificandum (e non successivamente).
Non si riesce in ogni caso a comprendere invero il ruolo per
così dire “paralizzante” della questione del
quantum degli oneri concessori con riguardo ai termini
fissati dal citato art. 15, se non come circostanza del
tutto estranea alla tempistica dei lavori, dovendosi altresì
rilevare, a voler entrare nell’ottica della “pesantezza”
dei costi finanziari da sostenersi per l’operazione
immobiliare, che non viene data dimostrazione della concreta
incidenza sulla situazione finanziaria degli appellanti e
tenuto altresì conto del fatto che in teoria un eventuale
esito positivo della controversia consentirebbe la
ripetizione degli oneri richiesti (in più) in pagamento.
Ferma restando la inattendibilità ai fini della proroga
delle circostanze addotte, neppure si invera la condizione,
pure prevista dall’art. 15 citato, secondo cui la proroga
potrebbe essere possibile in considerazione della mole
dell’opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive: invero circostanze
relative alla difficoltà di esecuzione delle modalità di
realizzazione dell’opera edilizia non vengono minimamente in
rilievo dalla documentazione di causa e comunque non sono
rappresentate dagli interessati e tantomeno documentate.
In definitiva sul punto occorre convenire che a sostegno
della chiesta proroga parte appellante ha posto delle “problematiche”
che non rispondono ai requisiti dettati dall’art. 15 citato,
perché non possono farsi rientrare tra i “fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
Se così è, il Comune ha del pari correttamente proceduto a
dichiarare la intervenuta decadenza del permesso di
costruire, una volta accertata la impossibilità di accordare
la richiesta proroga e quindi l’inverarsi di una colpevole
inerzia nell’osservanza dei tempi di inizio e completamento
dei lavori, quale presupposto di fatto e di diritto per la
dichiarazione di decadenza (cfr Cons. Stato Sez. IV
07/09/2011 n. 5028; idem 29/01/2008 n. 249) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 06.10.2014 n. 4975 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso prescritto stanato con Google maps.
Una sentenza del Tar Toscana.
Non basta aver spianato o soltanto picchettato il terreno
dove si vuole edificare l'opera per evitare la decadenza
annuale dal permesso ottenuto dal comune: per interrompere
la «prescrizione» del titolo abilitativo, infatti, serve un
inizio dei lavori vero e proprio, cioè caratterizzato da
interventi che denotano un «serio intento» di costruire. E
l'amministrazione locale per «stanare» chi non ha cominciato
in tempo i lavori assentiti ricorre alle immagini scaricate
da Google Maps in modo da provare in modo certo
l'intervenuta «prescrizione».
È quanto emerge dalla
sentenza
03.10.2014 n. 1515 pubblicata dalla III Sez. del TAR Toscana.
Assunto infondato
Niente da fare per l'ex titolare dell'autorizzazione non
sfruttata dopo che il comune ha dichiarato la decadenza per
mancato tempestivo avvio dei lavori ai sensi dell'articolo
15 del Testo unico dell'edilizia. Non risultano sufficienti
a evitare la «tagliola» dell'ente le mere «verifiche del
caso», vale a dire un semplice picchettamento per
determinare l'esatta posizione del capannone da realizzare.
In realtà dopo aver rimosso il terreno vengono fuori le
rocce, e gli operai sono costretti a fermarsi: troppo presto
per poter invocare un regolare inizio dei lavori in base
all'articolo 15 del dpr 380/2001, che esclude la sussistenza
di effetti interruttivi anche in caso di meri scavi di
sondaggio. E altrettanto vale nell'ipotesi di livellamento.
L'amministrazione locale porta in giudizio le foto tratte da
Google Maps per dimostrare che nell'ottobre 2011 i lavori di
cui al permesso di costruire in considerazione non erano
ancora stati avviati. Ma prima ancora delle immagini
scaricate dal popolare motore di ricerca pesa l'infondatezza
dell'assunto del titolare del permesso.
Decorso oggettivo
Inutile invocare il maltempo in Maremma che avrebbe bloccato
i lavori. La forza maggiore non può comportare una
sospensione legale del termine di inizio e ultimazione dei
lavori, al massimo può legittimare una richiesta di proroga
da parte dell'interessato: sarà l'ufficio a valutare poi i
fatti rappresentati.
Insomma: la decadenza si verifica per l'oggettivo decorso
del termine quando il cittadino non presenta un'istanza
tempestiva. Nulla per le spese
(articolo ItaliaOggi del 09.10.2014). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza ha chiarito che per aversi
“inizio dei lavori”, tale da escludere la pronuncia di
decadenza nel termine annuale dal rilascio del permesso di
costruire, occorre aver dato avvio ad opere che denotino un
<serio intento costruttivo>, sicché sono inidonei a
configurare un effettivo “inizio dei lavori” il mero
spianamento del terreno o meri scavi di sondaggio o anche la
“mera picchettatura” del terreno interessato dalla
costruzione e il suo livellamento.
---------------
La presenza di elementi di “forza maggiore” che avrebbero
impedito l’avvio tempestivo dei lavori nei termini di legge
non può comportare una sospensione legale del termine di
inizio e ultimazione dei lavori, semmai potendo legittimare
una richiesta di proroga da parte dell'interessato
all’Amministrazione, cui seguirà una valutazione dei fatti
rappresentati da parte dell’ufficio pubblico competente.
Ne segue che la decadenza si verifica invece per l'oggettivo
decorso del termine quando, come nel caso in esame,
l'interessato non abbia presentato una tempestiva istanza di
proroga del termine rappresentato all’Amministrazione
l’essersi verificati fatti oggettivamente impeditivi
all’avvio dei lavori.
6 – Con il primo mezzo parte ricorrente evidenzia che non
sussisterebbero nella specie i presupposti per la
declaratoria di decadenza del permesso di costruire, avendo
essa avviato l’inizio dei lavori nel termine annuale, da
computarsi dalla data di ritiro del permesso di costruire, e
contestando parte ricorrente gli accertamenti svolti
dall’Amministrazione e i profili probatori sui quali la
parte pubblica fonda il proprio assunto di mancato avvio dei
lavoro nell’anno (in particolare le fotografie tratte da
Google Maps).
La censure è infondata.
Rileva il Collegio che non vi è neppure necessità di
affrontare la questione, sulla quale la ricorrente si
diffonde, relativa alla idoneità delle fotografie tratte da
Internet a dimostrare che nell’ottobre 2011 i lavori di cui
al permesso di costruire in considerazione non sarebbero
ancora stati avviati; infatti tale questione è superata
dalla infondatezza dell’assunto stesso di parte ricorrente
secondo cui l’avvio di esecuzione che essa avrebbe posto in
essere nei primi giorni di gennaio 2011 sarebbe idoneo ad
escludere la pronuncia di decadenza; infatti parte
ricorrente afferma di aver posto in essere in quel periodo “i
primi lavori necessari, ovvero il picchettamento per
determinare l’esatta posizione del nuovo capannone”,
aggiungendo che “si evidenziava quasi subito, tolto il
primo strato terroso, che vi era stata una sottovalutazione
di quello pietroso inferiore”, affermando quindi il
compimento di operazioni che, alla luce delle costante
elaborazione giurisprudenziale, non risultano sufficienti a
integrare “l’inizio dei lavori” di cui alla’art. 15
del DPR n. 380 del 2001.
La giurisprudenza ha infatti chiarito che per aversi “inizio
dei lavori”, tale da escludere la pronuncia di decadenza
nel termine annuale dal rilascio del permesso di costruire,
occorre aver dato avvio ad opere che denotino un <serio
intento costruttivo>, sicché sono inidonei a configurare
un effettivo “inizio dei lavori” il mero spianamento
del terreno o meri scavi di sondaggio o anche la “mera
picchettatura” del terreno interessato dalla costruzione
e il suo livellamento (TAR Torino, sez. 1^, 03.01.2014, n.
2), che è quanto la ricorrente afferma di aver effettuato
nella specie.
7 – Con il secondo mezzo parte ricorrente evidenzia le
avversità che le hanno impedito di procedere più
speditamente all’avvio dei lavori, come il rinvenimento di
strati pietrosi o la pessima situazione metereologica che ha
interessato la Maremma.
La censura è infondata.
Nella sostanza la ricorrente invoca la presenza di elementi
di “forza maggiore” che le avrebbero impedito l’avvio
tempestivo dei lavori. Osserva tuttavia il Collegio che la
forza maggiore non può comportare una sospensione legale del
termine di inizio e ultimazione dei lavori, semmai potendo
legittimare una richiesta di proroga da parte
dell'interessato all’Amministrazione, cui seguirà una
valutazione dei fatti rappresentati da parte dell’ufficio
pubblico competente; ne segue che la decadenza si verifica
invece per l'oggettivo decorso del termine quando, come nel
caso in esame, l'interessato non abbia presentato una
tempestiva istanza di proroga del termine rappresentato
all’Amministrazione l’essersi verificati fatti
oggettivamente impeditivi all’avvio dei lavori (Cons. St.,
sez. 3^, 03.04.2013, n. 1870).
8 – Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso
deve essere respinto
(TAR Toscana, Sez. II,
sentenza
03.10.2014 n. 1515
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA: A
seguito della decadenza per mancato completamento dei lavori
il titolare del permesso deve chiedere un nuovo permesso di
costruire per poter realizzare la parte di lavori non
eseguita salvo che essi rientrino tra quelli soggetti a
denuncia di inizio di attività e salvo eventuale ricalcolo
del contributo di costruzione.
---------------
La proroga presuppone che il permesso di costruire non sia
ancora decaduto (in altri termini la proroga –che oltretutto
presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti dalla volontà
del titolare del permesso– va chiesta prima della scadenza
del termine di ultimazione dei lavori).
Quale che sia la soluzione, è però innegabile che al più tardi alla data
del 26.04.2008 il permesso di costruire n. 54 del 2004
aveva perduto ogni attitudine a produrre effetti giuridici.
Di conseguenza esso non avrebbe potuto essere oggetto di
proroga, dato che a seguito della decadenza per mancato
completamento dei lavori il titolare del permesso deve
chiedere un nuovo permesso di costruire per poter realizzare
la parte di lavori non eseguita salvo che essi rientrino tra
quelli soggetti a denuncia di inizio di attività e salvo
eventuale ricalcolo del contributo di costruzione (cfr.
articolo 15, comma 3, D.P.R. 06.06.2001, n. 380).
E’ quindi in base a questo principio che va operata la
qualificazione dell’atto di proroga del 14.07.2009 del
comune, tenendo presente che gli atti amministrativi devono
essere qualificati in base alle loro oggettive
caratteristiche a prescindere dal nomen usato.
Ciò premesso
è evidente la volontà del redattore dell’atto di limitarsi a
una proroga del precedente permesso (sintomatico è che
quest’ultimo sia richiamato e che l’efficacia della proroga
sia limitata a un anno, mentre se si fosse trattato del
rilascio del permesso di costruire per la parte di lavori
non eseguiti sarebbero stati richiesti e acquisiti elaborati
grafici e sarebbero stati fissati nuovi termini per inizio e
completamento dei lavori); nella fattispecie quindi si
tratta di proroga; tuttavia l’atto è chiaramente illegittimo
dato che la proroga presuppone che il permesso di costruire
non sia ancora decaduto (in altri termini la proroga –che
oltretutto presuppone fatti sopravvenuti non dipendenti
dalla volontà del titolare del permesso– va chiesta prima
della scadenza del termine di ultimazione dei lavori)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 24.07.2014 n. 651 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2014 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Come espressamente stabilito dall’art. 15, comma
3, del d.p.r. n. 380/2001, riproduttivo del comma 5
dell’art. 4 della legge n. 10/1977 vigente ratione temporis,
la mancata ultimazione dell’intervento nei termini stabiliti
resta subordinata al rilascio di un nuovo permesso di
costruire per la parte non ultimata.
Sicché la mancata ultimazione dei lavori di costruzione nel
termine stabilito dalla concessione determina la necessità
per il titolare della concessione, di chiedere il rilascio
di una nuova concessione edilizia, per ultimare i lavori
edilizi assentiti.
Tale nuova concessione è indubitabilmente assoggettata agli
obblighi di natura urbanistica e patrimoniale previsti dalla
normativa in materia alla data del relativo rilascio,
incluso l’obbligo di attualizzazione del contributo
concessorio secondo i parametri di riferimento vigenti in
tale data.
Va rilevato innanzitutto
che, come espressamente stabilito dall’art. 15, comma 3, del
d.p.r. n. 380/2001, riproduttivo del comma 5 dell’art. 4
della legge n. 10/1977 vigente ratione temporis, la mancata
ultimazione dell’intervento nei termini stabiliti resta
subordinata al rilascio di un nuovo permesso di costruire
per la parte non ultimata.
Sicché la mancata ultimazione dei lavori di costruzione nel
termine stabilito dalla concessione determina la necessità
per il titolare della concessione, di chiedere il rilascio
di una nuova concessione edilizia, per ultimare i lavori
edilizi assentiti. Tale nuova concessione è indubitabilmente
assoggettata agli obblighi di natura urbanistica e
patrimoniale previsti dalla normativa in materia alla data
del relativo rilascio, incluso l’obbligo di attualizzazione
del contributo concessorio secondo i parametri di
riferimento vigenti in tale data.
Difatti il fabbricato oggetto della prima concessione
edilizia in quanto realizzato “al rustico” non poteva
ritenersi ultimato.
Suggestiva risulta la tesi difensiva secondo cui il
presupposto sostanziale dei contributi di concessione è la
sussistenza di un carico urbanistico, per cui le opere che
non inducono un nuovo carico urbanistico gravante sul
territorio e nemmeno lo ampliano, come nel caso di specie,
dovrebbero essere esenti da contribuzione.
Tuttavia tale assunto viene smentito dalla circostanza che
il contributo relativo al costo di costruzione, a differenza
degli oneri di urbanizzazione, non concorre alla
realizzazione delle infrastrutture pubbliche a servizio
della nuova opera, ma sorge semplicemente a fronte
dell’incremento del patrimonio del titolare del permesso, e
dunque della sua capacità contributiva, conseguente
all’intervento edilizio.
Inoltre la fattispecie in esame non rientra in alcuno dei
casi di esenzione o gratuità della concessione contemplati
dall’art. 9 della legge n. 10/1977 che riconosce il diritto
all’esenzione nei casi di interventi di manutenzione
straordinaria, restauro risanamento conservativo,
ristrutturazione e ampliamento in misura non superiore al
20% di edifici unifamiliari, modifiche interne o
realizzazione di volumi tecnici indispensabili per esigenze
abitative.
I casi di gratuità o di esenzione costituiscono difatti
fattispecie eccezionali e di stretta interpretazione, per
cui non è consentita all’interprete l’individuazione in via
pretoria di ulteriori ipotesi non previste dalla legge, ivi
inclusi i casi di fabbricati non ultimati sulla base di una
precedente concessioni edilizia.
In ogni caso parte ricorrente non ha nemmeno dimostrato
quale fosse l’effettivo stato di avanzamento dei lavori, né
ha comprovato l’assunto secondo cui il progetto di
completamento del fabbricato, sulla cui base il Comune ha
calcolato gli oneri in esame, non apportava alcun elemento
di novità rispetto a quanto previsto dalla concessione
originaria.
Non può quindi sostenersi che attraverso l’ingiunzione in
oggetto il Comune abbia inteso in qualche modo indebitamente
realizzare una duplicazione di un’entrata di cui aveva già
in precedenza beneficiato
(TAR
Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza
16.04.2014 n. 2170 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La
pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata
da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva
del venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale
provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se, in via diretta, con
l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente
decorrenza ex tunc.
Al
contrario, la proroga dei termini stabiliti da un
atto amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento
di secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente,
il complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto
originario.
Nell’ambito della materia
edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di
rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che,
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato
sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in
termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni
oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio
perché il risultato è quello di consentire una deroga alla
disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti
che fondano la richiesta di proroga sono espressamente
indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
---------------
La proroga può aver luogo per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” o per ragioni collegate alla natura
dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della
mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”.
In secondo luogo, la disciplina
dell’art. 15 “Efficacia temporale e decadenza del permesso
di costruire” del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 “Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia” mette in luce l’esistenza di un diverso regime che
distingue, da un lato, il provvedimento di decadenza da
quello di proroga e, all’interno delle tipologie di proroga,
quella determinata dal sopravvenire di un fatto esterno da
quella determinata da profili ontologici dell’opera.
La prima diade si basa sulla distanza esistente tra un
provvedimento legato ai soli presupposti di legge e uno
caratterizzato dalla scelta discrezionale. Infatti, la
pronunzia di decadenza del permesso di costruire è connotata
da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti ed ha natura ricognitiva
del venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione. Pertanto, un tale
provvedimento ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se, in via diretta, con
l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente
decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV,
21.08.2013, n. 4206; id., 07.09.2011, n. 5028).
Al
contrario, la proroga dei termini stabiliti da un atto
amministrativo ha la natura giuridica di provvedimento di
secondo grado, in quanto modifica, ancorché parzialmente, il
complesso degli effetti giuridici delineati dall'atto
originario (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498).
Nell’ambito della materia
edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di
rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini
di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che,
mentre il rinnovo della concessione presuppone la
sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio
e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione,
la proroga è atto sfornito di propria autonomia che accede
all'originaria concessione ed opera semplicemente uno
spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
La proroga è quindi disposta con provvedimento motivato
sulla scorta di una valutazione discrezionale, che in
termini tecnici si traduce nella verifica delle condizioni
oggettive che la giustificano, tenendo presente che, proprio
perché il risultato è quello di consentire una deroga alla
disciplina generale in tema di edificazione, i presupposti
che fondano la richiesta di proroga sono espressamente
indicati in norma e sono di stretta interpretazione.
La seconda diade evidenzia come la proroga possa aver luogo
per factum principis, ossia, come afferma la norma, “per
fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso” o per ragioni collegate alla natura
dell’opera, ossia “esclusivamente in considerazione della
mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.03.2014 n. 1013 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Natura oggettiva del concetto di ultimazione dei
lavori.
Il reato urbanistico ha natura di reato permanente la cui
consumazione ha inizio con l'avvio dei lavori di costruzione
e perdura fino alla cessazione dell'attività edificatoria
abusiva.
La cessazione dell'attività si ha con
l'ultimazione dei lavori per completamento dell'opera, con
la sospensione dei lavori volontaria o imposta (ad esempio
mediante sequestro penale), con la sentenza di primo grado,
se i lavori continuano dopo l'accertamento del reato e sino
alla data del giudizio.
Inoltre, l'ultimazione dei lavori
coincide con la conclusione dei lavori di rifinitura interni
ed esterni quali gli intonaci e gli infissi.
Entro tale
preciso ambito deve dunque individuarsi il concetto di
"ultimazione" che ha natura oggettiva e non può, pertanto,
dipendere da valutazioni soggettive (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.02.2014 n. 5480 - tratto da
www.lexambiente.it). |
gennaio 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Se è vero che la
declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce
manifestazione di attività vincolata della pubblica
amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti
della decadenza richiedono un rigoroso e completo
accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria,
che non può basarsi su affermazioni apodittiche né
prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso
concreto.
--------------
In disparte le giustificazioni addotte dalla ricorrente a
proposito dell’ostruzionismo praticato dai vicini nel
rendere inagibile l’unica strada di accesso al fondo, è
dirimente osservare che il permesso di costruire di cui
trattasi è stato rilasciato alla Società nella giornata di
venerdì, 28.12.2012, in pieno periodo feriale, per
l’approssimarsi del Capodanno ed in una stagione con
condizioni climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che
costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma
2°, del codice di procedura civile).
In siffatte circostanze appare al Collegio irragionevole la
pretesa del Comune di far discendere la prova dell’intento
costruttivo dalla realizzazione, nell’ultimo scorcio
dell’anno 2012, in pieno periodo feriale ed in pieno
inverno, delle lavorazioni necessarie all’inizio dell’opera.
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa non rispettosa del
principio di proporzionalità che dovrebbe presiedere
all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in sede di
accertamento della decadenza di cui al citato art. 15, oltre
che in contrasto con il principio della buona fede oggettiva
che deve comunque caratterizzare il rapporto fra privato e
pubblica amministrazione.
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede
ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo
per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del d.P.R.
n. 380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto
–realisticamente– che sussista un fisiologico intervallo
temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio
dell’attività edilizia.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione del
menzionato art. 15 effettuata da parte dell’Amministrazione
di Como.
Il ricorso merita parziale accoglimento, secondo
quanto di seguito meglio specificato.
Preliminarmente, il Collegio ritiene di soprassedere
rispetto all’eccezione di irricevibilità sollevata da parte
resistente in ordine all’impugnazione dei provvedimenti
elencati in premessa sub nn. 4 e ss., stante l’evidente
inammissibilità del ricorso rispetto all’impugnazione
predetta, non assistita dall’articolazione di specifiche
censure, in violazione dell’art. 40, co. 1, lett. d), c.p.a.
Per il resto, e nel merito, il Collegio ritiene di
confermare l’orientamento già espresso in ordine
all’interpretazione del combinato disposto degli artt. 15,
co. 4, del d.P.R. n. 380/2001, 25, co. 1-quater, della legge
regionale n. 12/2005.
In tal senso, è sufficiente richiamare quanto di recente
affermato da questa stessa Sezione in un caso analogo a
quello per cui è causa, in cui era stato impugnato da altra
società un provvedimento di decadenza di un permesso di
costruire, emesso in circostanze analoghe a quelle per cui è
causa da parte del Comune di Como (cfr. sentenza TAR
Milano, Sez. II, del 24.07.2013, n. 1943).
Ivi, è stato così chiarito che l’art. 15, comma 4°, del
d.P.R. n. 380/2001 (in forza del quale <<Il permesso decade
con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e
vengano completati entro il termine di tre anni dalla data
di inizio>>), non può essere letto, come affermato dal
resistente, nel senso di poter dichiarare la decadenza di un
titolo edilizio, rilasciato a distanza di pochi giorni, a
causa della sopravvenienza dell’art. 25, comma 1-quater,
della legge regionale della Lombardia n. 12/2005, assunto
alla stregua di previsione urbanistica contrastante con
l’intervento assentito.
Il comma da ultimo citato (oggi abrogato, come meglio si
dirà in seguito, ma vigente a gennaio 2013), ha stabilito
che -nei comuni che entro il 31.12.2012 non avessero ancora
approvato il Piano di Governo del Territorio (PGT, ai sensi
dell’art. 13 della già citata LR 12/2005)- sarebbero stati
ammessi, nelle zone omogenee A, B, C e D, soltanto gli
interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione
straordinaria, restauro e risanamento conservativo, con
esclusione degli interventi, come quello di cui è causa, di
nuova costruzione.
Ebbene, nella fattispecie in esame, se da un lato il Comune
di Como –la circostanza è pacifica– non aveva ancora
approvato il proprio PGT al 31.12.2012, dall’altro, almeno
stando al provvedimento impugnato, Stradivari non aveva
avviato, al 01.01.2013, l’attività edilizia oggetto
dell’intervento assentito.
In siffatte evenienze, a parere del resistente, l’art. 25,
co. 1–quater cit., giustificherebbe l’impugnata decadenza
del titolo edilizio rilasciato, giova ribadire, il
28.12.2012, in esecuzione del già richiamato art. 15, comma
4°, del Testo Unico dell’edilizia.
Nei motivi di ricorso sopra sintetizzati la Società contesta
la violazione e l’erronea applicazione, sotto vari profili,
delle norme –statali e regionali– poste
dall’Amministrazione di Como a fondamento della
determinazione di decadenza del permesso di costruire.
La Sezione, pur ritenendo assorbente il terzo motivo di
ricorso (su cui ci si diffonderà nel prosieguo), ritiene
utile accennare anche ai profili di fondatezza emergenti in
relazione al primo motivo di ricorso, con cui si contesta
l’affermazione del Comune, secondo cui la Società non
avrebbe avviato alcuna attività edilizia al 31.12.2012,
sicché non sarebbe ravvisabile in capo ad essa alcun “serio
intento costruttivo”.
Al riguardo, preme al Collegio richiamare, in primo luogo il
proprio orientamento, secondo cui, se è vero che la
declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce
manifestazione di attività vincolata della pubblica
amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti
della decadenza richiedono un rigoroso e completo
accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria,
che non può basarsi su affermazioni apodittiche né
prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso
concreto (cfr. sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. II,
22.1.2013, n. 189).
Nel caso di specie, il permesso di costruire è stato
adottato il 18.12.2012 e rilasciato all’interessata in data
28.12.2012 (cfr. il doc. 8 della ricorrente e il doc. 14
della resistente), mentre la comunicazione di inizio lavori
è stata protocollata lo stesso 28.12.2012 (cfr. il doc. 13
della ricorrente e il doc. 16 della resistente).
Il Comune di Como ha effettuato il sopralluogo assunto a
presupposto della decadenza in data 11.01.2013 (cfr. il
doc. 17 della resistente).
Ebbene, in disparte le giustificazioni addotte dalla
ricorrente a proposito dell’ostruzionismo praticato dai
vicini nel rendere inagibile l’unica strada di accesso al
fondo, è dirimente osservare che il permesso di costruire di
cui trattasi è stato rilasciato alla Società nella giornata
di venerdì, 28.12.2012, in pieno periodo feriale, per
l’approssimarsi del Capodanno ed in una stagione con
condizioni climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che
costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma
2°, del codice di procedura civile).
In siffatte circostanze appare al Collegio irragionevole la
pretesa del Comune di far discendere la prova dell’intento
costruttivo dalla realizzazione, nell’ultimo scorcio
dell’anno 2012, in pieno periodo feriale ed in pieno
inverno, delle lavorazioni necessarie all’inizio dell’opera
(a nulla rilevando quanto successivamente accertato, ma non
emergente dal provvedimento qui gravato).
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa non rispettosa del
principio di proporzionalità che dovrebbe presiedere
all’esercizio dell’azione amministrativa, anche in sede di
accertamento della decadenza di cui al citato art. 15, oltre
che in contrasto con il principio della buona fede oggettiva
che deve comunque caratterizzare il rapporto fra privato e
pubblica amministrazione (cfr. sul punto, fra le tante,
Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012, n. 5692, nonché
TAR Milano, II, sent. n. 1943/2013).
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede
ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo
per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del d.P.R.
n. 380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto –realisticamente– che sussista un fisiologico intervallo
temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio
dell’attività edilizia.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione del
menzionato art. 15 effettuata da parte dell’Amministrazione
di Como.
Passando, a questo punto, ad esaminare il terzo motivo, il
Collegio osserva quanto segue.
L’esponente contesta, qui, l’interpretazione dell’art. 25
della legge regionale n. 12/2005, come modificato dalla
legge regionale n. 21/2012, assunta dal Comune a fondamento
del provvedimento di decadenza, sul presupposto che la
normativa regionale costituisca una nuova previsione
urbanistica –di rango legislativo– volta a precludere
definitivamente ogni attività edilizia con essa
contrastante.
Il comma 1-quater, giova ribadire, permetteva a partire dal
01.01.2013 nei Comuni sprovvisti di Piano di Governo
del Territorio una limitatissima attività edilizia,
consentendo soltanto gli interventi di manutenzione,
restauro e risanamento, vietando -al contempo- altri
interventi edilizi, come quelli di ristrutturazione e di
nuova costruzione, fra cui l’attività di cui al permesso
ottenuto da Stradivari, che rientra in tale ultima
categoria.
L’interpretazione degli uffici comunali non era stata
condivisa dallo scrivente Collegio che, in sede di
cognizione sommaria (cfr. l’ordinanza cautelare n.
439/2013), aveva disatteso l’impostazione comunale e, in
un’altra coeva ordinanza (n. 363/2013, poi confermata con la
sentenza n. 1943/2013 già citata), aveva offerto una diversa
esegesi dei commi da 1-ter a 1-quinquies dell’art. 25 della
LR 12/2005, ritenendo che gli stessi imponessero non la
decadenza, bensì la sospensione dei titoli edilizi, in
attesa dell’approvazione definitiva dello strumento
urbanistico generale (PGT).
Si trattava di un’interpretazione del dettato legislativo
regionale rispettosa del canone di ragionevolezza che –ex
art. 3 della Costituzione– deve sempre accompagnare
l’esercizio della funzione legislativa, anche da parte delle
Regioni (sulla rilevanza della “ragionevolezza”, quale
parametro costituzionale, si veda, fra le decisioni più
recenti, Corte Costituzionale, 27.6.2013, n. 160).
La questione interpretativa dei menzionati commi dell’art.
25 della LR 12/2005 ha, tuttavia, perso rilevanza, visto che
la stessa Regione Lombardia, con la legge regionale
04.06.2013, n. 1, ha espressamente abrogato i commi in
questione (cfr. l’art. 2, comma 2, della citata legge),
fissando un nuovo termine per l’approvazione del PGT per i
Comuni rimasti ancora inerti, al 30.06.2014.
In ordine alle conseguenze derivanti dalla recente modifica
legislativa, preme segnalare che, con circolare del
19.06.2013, n. 14 (pubblicata sul BURL 21.06.2013, n. 25),
Regione Lombardia ha stabilito che possono essere riattivate
le istanze di intervento presentate entro il 31.12.2012 ma
non definite per effetto della pregressa disciplina
restrittiva, sicché le novità della LR 1/2013 finiscono per
avere un effetto sostanzialmente retroattivo (ex tunc).
Di fronte a tale efficacia retroattiva, si potrebbe
addirittura dubitare dell’applicabilità, alla presente
fattispecie, dell’art. 15, comma 4°, del d.P.R. n. 380/2001,
visto che alla data del 31.12.2012 non è stata, in realtà,
introdotta, da parte della legislazione regionale, alcuna
nuova normativa urbanistica.
Da ultimo e con riguardo alla rilevanza sull’intervento di
cui è causa del nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT)
del Comune di Como, approvato definitivamente il 13.06.2013, valgano le considerazioni seguenti.
Il permesso di costruire più volte ricordato, è stato
rilasciato il 28.12.2012 in conformità allo strumento
urbanistico generale allora vigente; il P.G.T. oggi in
vigore è stato adottato il 20.12.2012 ed il relativo avviso
è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione
Lombardia (BURL) il successivo 16.01.2013.
E’ quindi evidente che, attesa l’anteriorità del rilascio
del titolo rispetto all’adozione del P.G.T., le prescrizioni
di quest’ultimo non potevano di per sé incidere
sull’attività edilizia già regolarmente autorizzata, tanto è
vero che il provvedimento impugnato nulla dice in ordine al
P.G.T. adottato.
Parimenti, l’intervenuta approvazione definitiva del P.G.T.
in data 13.06.2013 non rileva in alcun modo, trattandosi di
circostanza sopravvenuta al provvedimento ivi gravato.
Di conseguenza, qualsivoglia richiamo ad un preteso
contrasto del titolo edilizio di Stradivari con le
prescrizioni del P.G.T., contenuto negli scritti difensivi
del Comune, non può che rappresentare un inammissibile
tentativo di integrazione della motivazione attraverso gli
atti di causa (cfr. sull’impossibilità dell’integrazione
“postuma” della motivazione dell’atto amministrativo,
Consiglio di Stato, sez. V, 27.03.2013, n. 1808).
Per le suesposte considerazioni, assorbiti i mezzi non
espressamente scrutinati, il ricorso in epigrafe specificato
deve essere accolto, limitatamente all’impugnazione del
provvedimento di decadenza del 15.01.2013 che, per
l’effetto, deve essere annullato; deve, per contro, essere
dichiarata inammissibile la restante parte del gravame.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, la stessa
deve essere respinta, attesa la mancata dimostrazione dei
presupposti richiesti dall’art. 2043 c.c. in ordine, in
particolare, al nesso di causalità ai fini della
riconducibilità dei lamentati danni all’agire illegittimo
della p.a., nonché alla colpevolezza della resistente
amministrazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.01.2014 n. 2 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
dicembre 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori
entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire,
necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da
valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle
circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso, deve essere reale ed
effettivo, manifestazione di un serio e comprovato intento
di esercitare il diritto di edificare, e non solo apparente
o fittizio, volto al solo scopo di evitare la temuta perdita
di efficacia del titolo.
---------------
L’effettivo inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un
interesse pubblico, relativo all’esercizio dei poteri
programmatori spettanti all’Amministrazione comunale.
Per tale ragione, la giurisprudenza è orientata a valutare i
dati di fatto con rigore e a ritenere irrilevanti, ad
esempio, la ripulitura del sito, l’approntamento del
cantiere e dei materiali occorrenti per l’esecuzione dei
lavori nell’immobile, lo sbancamento del terreno.
---------------
La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio dei lavori ha natura
vincolata e opera di diritto, di tal che il provvedimento
che la dichiara, ove adottato, ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato.
Per costante giurisprudenza, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei
lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire,
necessario a evitarne la decadenza, è questione di fatto, da
valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle
circostanze concrete.
L’avvio delle opere, in ogni caso,
deve essere reale ed effettivo, manifestazione di un serio e
comprovato intento di esercitare il diritto di edificare, e
non solo apparente o fittizio, volto al solo scopo di
evitare la temuta perdita di efficacia del titolo (cfr. per
tutte Cons. Stato, sez. V, 02.11.2004, n. 7748; Id.,
sez. IV, 15.04.2013, n. 2027, ove riferimenti
ulteriori).
---------------
L’effettivo
inizio dei lavori nell’anno corrisponde a un interesse
pubblico, relativo all’esercizio dei poteri programmatori
spettanti all’Amministrazione comunale. Per tale ragione, la
giurisprudenza è orientata a valutare i dati di fatto con
rigore e a ritenere irrilevanti, ad esempio, la ripulitura
del sito, l’approntamento del cantiere e dei materiali
occorrenti per l’esecuzione dei lavori nell’immobile, lo
sbancamento del terreno (si veda più ampiamente Cons. Stato,
sez. IV, n. 2017 del 2013, cit.).
Non c’è dubbio che una pluralità di fattori abbia impedito
il reale avvio delle opere nel termine prescritto; essi sono
ricordati nelle dichiarazioni riferite nel verbale del 2008
(tardivo rilascio dell’immobile da parte degli occupanti,
problematiche inerenti la scarsa tenuta della rampa di
collegamento tra la via pubblica e il resede, mancata
acquisizione della deroga per i rumori).
Queste circostanze obiettive avrebbero potuto forse anche
giustificare la proroga del termine per l’inizio dei lavori
(come prevede l’art. 15, comma 2, secondo periodo, t.u., e
l’art. 6-quinquies del regolamento edilizio); ma la proroga
non risulta accordata e nemmeno richiesta, cosicché essi non
possono produrre alcuna giustificazione circa il mancato
rispetto del termine di legge.
---------------
Quanto,
infine, all’intervallo di tempo tra l’accertamento e la
dichiarazione di decadenza, che l’appello censura come
eccessivo, esso non appare comunque tale, alla luce della
scansione temporale della vicenda (come detto più volte, il
primo accertamento è del settembre 2008; il primo
provvedimento di decadenza del febbraio 2009; l’ispezione è
ripetuta nel luglio 2009 e la decadenza reiterata
nell’agosto successivo).
Peraltro, anche in disparte il
rilievo che precede, il Collegio esprime convinta adesione
all’orientamento giurisprudenziale del tutto prevalente,
secondo cui la decadenza della concessione edilizia per
mancata osservanza del termine di inizio dei lavori ha
natura vincolata e opera di diritto, di tal che il
provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in
via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine
prefissato (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2011, n. 5028; Id., sez. IV, 23.02.2012, n.
974; Id., sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
Lo scarto
temporale lamentato dalla Società appellante, quindi, rimane
comunque irrilevante sul piano della disciplina giuridica
della vicenda (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6151 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che riceve
una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del D.P.R. n.
380 del 2001, è connotata da un carattere strettamente
vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal
citato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni
dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha
natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso
a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc.
---------------
L’asserito impedimento, qualificato dalla ricorrente come
ritardo incolpevole, derivante dal preteso ritardo
dell’azienda titolare del servizio pubblico elettrico
nell’operare lo spostamento della linea elettrica -peraltro
tardivamente allegato soltanto dopo l’adozione degli
impugnati provvedimenti- non è comunque idoneo ad integrare
gli estremi della forza maggiore che, dunque, nel caso di
specie deve escludersi.
---------------
L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della
concessione edilizia può ritenersi configurabile quando le
opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva
volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò
sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la
predisposizione degli strumenti e dei materiali da
costruzione.
--------------
Per la pronuncia di decadenza, in quanto tipico atto
d'ufficio, la comunicazione ai sensi dell’art. 10-bis della
l. 241/1990 risulta esclusa.
La giurisprudenza è pacifica nell'affermare che la pronunzia
di decadenza del permesso di costruire, che riceve una
puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380
del 2001, sia connotata da un carattere strettamente
vincolato, dovuto all'accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal
citato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre anni
dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed ha
natura ricognitiva del venir meno degli effetti del permesso
a costruire per l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. IV, 21.08.2013, n. 4206; id. sez.
III, 04.04.2013, n. 1870).
D’altra parte, l’asserito impedimento, qualificato dalla
ricorrente come ritardo incolpevole, derivante dal preteso
ritardo dell’azienda titolare del servizio pubblico
elettrico nell’operare lo spostamento della linea elettrica
-peraltro tardivamente allegato soltanto dopo l’adozione
degli impugnati provvedimenti- non sarebbe comunque idoneo
ad integrare gli estremi della forza maggiore che, dunque,
nel caso di specie deve escludersi.
Ciò posto deve rammentarsi che, per costante giurisprudenza,
l'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della
concessione edilizia può ritenersi configurabile quando le
opere intraprese siano tali da evidenziare l'effettiva
volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò
sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la
predisposizione degli strumenti e dei materiali da
costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15.07.2013, n. 3823).
Nel caso in esame, al di là di affermazioni opinabili per
cui l’abbozzo della canaletta per l’elettrodotto
rappresenterebbe inizio dei lavori, non risultano neanche
tali attività minime; dunque non è contestato che la
costruzione non sia stata iniziata, per cui non vi è dubbio
che il Comune dovesse emettere un provvedimento di natura
dichiarativa sul mancato rispetto del termine annuale
decadenziale, già prorogato.
Stante l’adottata decadenza dai titoli era, dunque,
inevitabile che venisse negata la proroga degli stessi
risultando, dunque, la comunicazione ai sensi dell’art.
10-bis un atto meramente formale posto in essere solo perché
in presenza di atti a istanza di parte.
Viceversa, per la pronuncia di decadenza, in quanto tipico
atto d'ufficio, tale comunicazione risulta esclusa (TAR
Veneto sez. II, 14.11.2008, n. 3550)
(TAR Emilia Romagna-Parma,
sentenza 18.12.2013 n. 388 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Laddove le parti
controvertono in punto di sussistenza, nella fattispecie in
esame, di elementi fattuali idonei a integrare il
presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè
<l’avvio dei lavori>, ovverosia si abbiano posizioni diverse
sulla idoneità degli svolti interventi di demolizione a
costituire, appunto, <avvio dei lavori>, in siffatto
contesto il contraddittorio procedimentale risulta
certamente necessario, non potendosi seguire la difesa
dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non
risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza]
non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi
per legge”.
Al contrario il contraddittorio procedimentale risulta
utile, e necessario per legge, in ipotesi come la presente
in cui ci sia contestazione e diversa valutazione dei
presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i
presupposti per l’esercizio del potere.
Il Collegio ritiene di dover procedere al preliminare esame del
terzo motivo di ricorso, con il quale la società ricorrente
censura la gravata ordinanza per violazione dell’art. 7
della legge n. 241 del 1990, cioè per mancata comunicazione
di avvio del procedimento, necessaria in ipotesi in cui si
contesta la sussistenza dei presupposti fattuali idonei a
integrare i presupposti per l’emissione del provvedimento di
decadenza.
La censura è fondata.
È significativo rilevare, ai fini dello scrutinio della
presente doglianza, che le parti controvertono, come sopra
rilevato, in punto di sussistenza, nella fattispecie in
esame, di elementi fattuali idonei a integrare il
presupposto normativo costitutivo della decadenza, cioè
<l’avvio dei lavori>, in particolare avendo posizioni
diverse sulla idoneità degli svolti interventi di
demolizione a costituire, appunto, <avvio dei lavori>.
In
siffatto contesto il contraddittorio procedimentale risulta
certamente necessario, non potendosi seguire la difesa
dell’Amministrazione resistente ove osserva che esso non
risulta utile “poiché tale provvedimento [cioè la decadenza]
non fa altro che dare atto di un effetto già determinatosi
per legge”; al contrario il contraddittorio procedimentale
risulta utile, e necessario per legge, in ipotesi come la
presente in cui ci sia contestazione e diversa valutazione
dei presupposti fattuali e giuridici idonei ad integrare i
presupposti per l’esercizio del potere.
La gravata
ordinanza, peraltro, non esclude la necessità partecipativa,
ma afferma che la precedente ordinanza di sospensione dei
lavori, la n. 9 del 2010, “aveva valore di comunicazione di
garanzia nei confronti dell’interessato, onde consentire la
partecipazione al procedimento tramite la presentazione di
scritti difensivi e quanto altro”. Anche questa
ricostruzione, tuttavia, non convince.
La richiamata
ordinanza di sospensione n. 9 del 2010, infatti, non attiene
in alcun modo al profilo di avvio dei lavori e del possibile
maturarsi del termine di decadenza, ma enuncia la
problematica della conformità del permesso di costruire
rilasciato rispetto agli artt. 33 e 12 delle NTA del PRG del
Comune di Montespertoli, sicché essa può valere come
comunicazione di avvio di un procedimento di annullamento
d’ufficio per illegittimità del titolo edilizio rilasciato,
non già rispetto all’atto di decadenza qui gravato (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.12.2013 n. 1714 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso in cui l’amministrazione sia a conoscenza di eventi che
hanno impedito al titolare della concessione edilizia di
ultimare i lavori, la stessa non può adottare un
provvedimento di decadenza della concessione, trovando
applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti
estranei alla volontà del concessionario che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione.
... per l'annullamento del provvedimento di decadenza
permesso di costruire;
...
- Considerato che il mancato inizio dei lavori di cui al
permesso di costruire n. 31/2011 risulta correlato
all’adozione del provvedimento con il quale il Comune ha
negato il rilascio della concessione relativa
all’installazione di chiosco per la vendita di prodotti non
alimentari, annullato con sentenza n. 714/2013 del
25.06.2013 di questo Tribunale;
- Considerato che il ricorso risulta manifestamente fondato,
atteso che secondo la giurisprudenza, nel caso in cui
l’amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno
impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare
i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di
decadenza della concessione, trovando applicazione, anche
senza richiesta del concessionario, la proroga del termine
per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla
volontà del concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro esecuzione (così, da
ultimo, TAR Calabria, Reggio Calabria, 20.04.2010 n. 420);
- Considerato che deve essere rigettata la domanda di
risarcimento del danno, in quanto l’annullamento del
provvedimento impugnato soddisfa l’interesse di parte
ricorrente
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 15.11.2013 n. 1008 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del titolo
edilizio.
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire
la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente
quando le opere intraprese siano tali da evidenziare
l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a
ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la
predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione,
ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa
a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione, con la conseguenza che la
declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato
inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima
solo se sono stati perlomeno eseguiti lo scavo ed il
riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni
perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il
termine di legge, o se lo sbancamento realizzato si estende
un’area di vaste dimensioni
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4855 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza del
titolo edilizio di cui all’art. 4 della L. 28.01.1977 n. 10
e –ora– dell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R.
06.06.2001 n. 380, l’effettivo inizio dei lavori deve essere
valutato non in via generale ed astratta, ma con specifico e
puntuale riferimento all’entità ed alle dimensioni
dell’intervento edilizio così come programmato e
autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il
termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con
ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non
oggettivamente significativi di un effettivo intendimento
del titolare della concessione stessa di procedere alla
costruzione.
--------------
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del
titolo edilizio può ritenersi sussistente quando le opere
intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva volontà da
di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente il
semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli
strumenti e materiali da costruzione; ovvero, detto
altrimenti, l’inizio dei lavori non è configurabile per
effetto della sola esecuzione dei lavori di scavo di
sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto
l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri indizi che
dimostrino il reale proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione, con la conseguenza che la
declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato
inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima
solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il
riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni
perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il
termine di legge” o se lo sbancamento realizzato si estende
un’area di vaste dimensioni.
---------------
Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento
recante la pronuncia di decadenza della concessione si
configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in
ordine al quale la regola generale di per sé impone
l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento
in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo
destinatario originate da un provvedimento precedentemente
adottato in suo favore; ma anche in tale evenienza l’inoltro
medesimo non è ritenuto necessario se risulta che
l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa
informazione.
... il Collegio rileva che ai fini
della sussistenza dei presupposti per la decadenza del
titolo edilizio di cui all’art. 4 della L. 28.01.1977
n. 10 e –ora– dell’art. 15, comma 2, del T.U. approvato
con D.P.R. 06.06.2001 n. 380, l’effettivo inizio dei
lavori deve essere valutato non in via generale ed astratta,
ma con specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle
dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e
autorizzato, e ciò al ben evidente scopo di evitare che il
termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con
ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non
oggettivamente significativi di un effettivo intendimento
del titolare della concessione stessa di procedere alla
costruzione (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.11.1998 n. 1615 e, ancor più recentemente, Cons.
Stato, Sez. IV, 18.05.2012 n. 2915).
Sempre in tal senso, l’inizio dei lavori idoneo ad impedire
la decadenza del titolo edilizio può ritenersi sussistente
quando le opere intraprese siano tali da evidenziare
l’effettiva volontà da di realizzare l’opera, non essendo a
ciò sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la
predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione
(così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165);
ovvero, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa
a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
03.10.2000 n. 5242), con la conseguenza che la
declaratoria di decadenza del titolo edilizio per mancato
inizio dei lavori entro il termine fissato è illegittima
solo se sono stati perlomeno eseguiti “lo scavo ed il
riempimento in conglomerato cementizio delle fondazioni
perimetrali fino alla quota del piano di campagna entro il
termine di legge” (Cons. Stato, Sez. V, 15.10.1992 n.
1006) o se lo sbancamento realizzato si estende un’area di
vaste dimensioni (Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n.
535): circostanze, queste ultime, non sussistenti nel caso
di specie.
Dalla lettura del verbale del sopralluogo effettuato in data
21.03.2002 dal personale dell’Ufficio tecnico comunale,
nonché dall’esame dell’annessa documentazione fotografica,
si evince incontrovertibilmente che a quella data, ossia a
quattro anni dal rilascio della concessione edilizia n.
1650/98 dd. 18.03.1998 era stato eseguito soltanto “un
modesto scavo recintato, delle dimensioni di circa due
metri”.
La circostanza -allegata da Ste.Ros.- che siano stati anche
abbattuti due alberi d’alto fusto per realizzare tale scavo,
nonché la parimenti allegata presenza di una recinzione e di
macchinari edili nell’area nulla aggiungono a tale oggettiva
realtà, dalla quale pertanto inoppugnabilmente si ricava che
il titolo edilizio non è stato nella sostanza fruito dal
soggetto a favore del quale esso era stato rilasciato, e che
pertanto la pronuncia della decadenza dallo stesso era atto
dovuto per l’Amministrazione Comunale.
---------------
Il Collegio non sottace che l’anzidetto provvedimento
recante la pronuncia di decadenza della concessione si
configura come provvedimento c.d. “di secondo grado”, in
ordine al quale la regola generale di per sé impone
l’inoltro dell’avviso dell’avvio del relativo procedimento
in quanto incidente su posizioni giuridiche del suo
destinatario originate da un provvedimento precedentemente
adottato in suo favore (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato,
Sez. V, 29.07.2003 n. 3169); ma anche in tale evenienza
l’inoltro medesimo non è ritenuto necessario se risulta che
l’interessato ha comunque avuto aliunde la relativa
informazione (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato,
Sez. VI, 26.10.2006, n. 6413; Sez. V, 18.11.2004,n. 7553 e
22.01.2003 n. 243)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.09.2013 n. 4855 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire con decadenza vincolata.
La pronunzia di decadenza del permesso di costruire, che
riceve ora una puntuale disciplina all'art. 15, comma 2, del
dpr n. 380 del 2001, è connotata da un carattere
strettamente vincolato, dovuto all'accertamento del mancato
inizio e completamento dei lavori entro i termini stabiliti
dal cit. art. 15, comma 2 (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) e
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l'inerzia del titolare a darvi
attuazione.
Lo ha affermato la IV Sez. del Consiglio di Stato con
sentenza
21.08.2013 n. 4206.
I giudici di palazzo Spada hanno poi sottolineato, in
ossequio anche alla più recente giurisprudenza, come un tale
provvedimento abbia carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se, in via diretta, con
l'infruttuoso decorso del termine prefissato con conseguente
decorrenza ex tunc (da ultimo, Consiglio di stato, sez. III,
04.04.2013, n. 1870).
Nel caso in cui la costruzione non sia stata iniziata, non
vi è dubbio che il Comune debba emettere un provvedimento di
natura dichiarativa sul mancato rispetto del termine annuale
decadenziale, con conseguente effetto sul permesso
rilasciato in precedenza, prescindendo integralmente dalle
ragioni che avevano determinato il soggetto che doveva
costruire a non intraprendere l'opera, salvo il caso di
forza maggiore.
Si tratta, pertanto, di provvedimento amministrativo di
natura ricognitiva di una situazione di fatto realmente
esistente, ed oggettivamente il giudice amministrativo di
prime cure non ha altre opzioni se non provvedere alla
declaratoria di improcedibilità, non essendovi più alcun
titolo edilizio in relazione al quale valutare la
legittimità delle condizioni apposte (articolo
ItaliaOggi Sette del 09.09.2013). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La pronunzia di decadenza
del permesso di costruire, che riceve ora una puntuale
disciplina all'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001,
è connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2,
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo
abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del
venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc.
Occorre subito rammentare che la giurisprudenza è del tutto
pacifica nell’affermare che la pronunzia di decadenza del
permesso di costruire, che riceve ora una puntuale
disciplina all'art. 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001,
sia connotata da un carattere strettamente vincolato, dovuto
all'accertamento del mancato inizio e completamento dei
lavori entro i termini stabiliti dal cit. art. 15, comma 2,
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo
abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del
venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione.
Pertanto, un tale provvedimento ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l'infruttuoso decorso del termine prefissato
con conseguente decorrenza ex tunc (da ultimo,
Consiglio di Stato, sez. III, 04.04.2013, n. 1870) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 21.08.2013
n. 4206 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'amministrazione non è tenuta a fornire
specifiche motivazioni sull’adozione dell'atto di decadenza
del permesso di costruire di cui all'art. 15 del D.P.R. n.
380/2001 in quanto non si è in presenza di un provvedimento
negativo o di autotutela e la pronuncia della decadenza, per
il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la
sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei
presupposti di fatto.
Ai fini dell'impedimento della decadenza l’avvio dei lavori
può senz'altro ritenersi sussistente quando le opere
intraprese ed oggetto del permesso di costruire siano tali
da manifestare l'univoca intenzione del titolare di
realizzare il manufatto assentito.
Per costante e condivisibile giurisprudenza
l’'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche
motivazioni sull’adozione dell'atto di decadenza del
permesso di costruire di cui all'art. 15 del D.P.R. n.
380/2001 in quanto non si è in presenza di un provvedimento
negativo o di autotutela e la pronuncia della decadenza, per
il suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la
sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei
presupposti di fatto (cfr. Cons. Stato, IV, 07.09.2011, n.
5028).
Tanto premesso ritiene il Collegio che non sussistessero
i presupposti di fatto per la declaratoria della decadenza
dal titolo edilizio in quanto la giurisprudenza ha
costantemente affermato il principio per cui ai fini
dell'impedimento della decadenza l’avvio dei lavori può
senz'altro ritenersi sussistente quando le opere intraprese
ed oggetto del permesso di costruire siano tali da
manifestare l'univoca intenzione del titolare di realizzare
il manufatto assentito (TAR Basilicata,
sentenza 21.08.2013 n. 526 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Se è pur vero che la
declaratoria di decadenza di un titolo edilizio costituisce
manifestazione di attività vincolata della pubblica
amministrazione, è parimenti innegabile che i presupposti
della decadenza richiedono un rigoroso e completo
accertamento in fatto, vale a dire una adeguata istruttoria,
che non può basarsi su affermazioni apodittiche né
prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso
concreto.
Sul punto, preme al Collegio dapprima
richiamare il proprio orientamento secondo cui, se è pur
vero che la declaratoria di decadenza di un titolo edilizio
costituisce manifestazione di attività vincolata della
pubblica amministrazione, è parimenti innegabile che i
presupposti della decadenza richiedono un rigoroso e
completo accertamento in fatto, vale a dire una adeguata
istruttoria, che non può basarsi su affermazioni apodittiche
né prescindere dall’esame di tutte le circostanze del caso
concreto (cfr. sul punto TAR Lombardia, Milano, sez. II,
22.1.2013, n. 189).
Nel caso di specie, il permesso di costruire è stato
rilasciato il 14.12.2012 ed il relativo avviso è stato
spedito alla società in data 19.12.2012 (cfr. il doc. 9
della ricorrente), mentre la comunicazione di inizio lavori
è stata protocollata il successivo 20.12.2012 (cfr. il doc.
10 della ricorrente).
Contestualmente, è stata depositata presso gli uffici
comunali la denuncia delle opere in cemento armato, oltre
alla copia della notificazione preliminare di cantiere alla
Regione, in applicazione della disciplina sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro (art. 99 del D.Lgs. 81/2008, cfr.
ancora il doc. 10 della ricorrente).
Parimenti, è stato concluso un contratto d’appalto per
l’esecuzione dei lavori edili (cfr. il doc. 11 della
ricorrente), predisposto il piano di sicurezza (cfr. il doc.
12 della ricorrente) ed assegnati gli incarichi per la
progettazione e la direzione lavori (cfr. i documenti da 16
a 18 della ricorrente).
Unitamente alla predisposizione della documentazione
necessaria per l’avvio dei lavori, la società iniziava nel
dicembre 2010 i lavori preparatori di cantiere, mediante
allestimento dell’ufficio e deposito del materiale (cfr. il
doc. 14 della ricorrente).
Il Comune di Como, dal canto suo, ha effettuato nella prima
metà del mese di gennaio 2013 tre sopralluoghi sull’area
(cfr. il doc. 4 del resistente).
Il primo sopralluogo risale al 01.01.2013 (giorno
festivo e normalmente non destinato all’attività
lavorativa), mentre i successivi, in data 10 e 22 gennaio,
hanno consentito di appurare l’intervenuta recinzione
dell’area di cantiere.
Ciò premesso, reputa il Collegio che le attività di
carattere preparatorio e di adempimento degli obblighi
inerenti la sicurezza del cantiere, posti in essere da Cosed
nel dicembre 2013, siano sufficienti a manifestare quel
“serio intento costruttivo”, che esclude la possibilità di
declaratoria di decadenza del titolo edilizio rilasciato.
Non si dimentichi, infatti, che il permesso di costruire è
stato rilasciato il 14.12.2012, allorché si approssimava il
periodo di ferie natalizie ed in una stagione con condizioni
climatiche sfavorevoli (circostanze, queste, che
costituiscono fatto notorio ai sensi dell’art. 115, comma
2°, del codice di procedura civile), sicché appare
irragionevole la pretesa del Comune di Como, che vorrebbe
invece far discendere la prova dell’intento costruttivo
dalla realizzazione, nelle ultime due settimane dell’anno ed
in pieno inverno, di gran parte delle lavorazioni necessarie
piuttosto al completamento e non all’inizio dell’opera.
Si tratta, a ben vedere, di una pretesa abnorme, non
rispettosa del principio di proporzionalità che dovrebbe
presiedere all’esercizio dell’azione amministrativa, anche
in sede di accertamento della decadenza di cui al citato
art. 15, oltre che in contrasto con il principio della buona
fede oggettiva, che deve comunque caratterizzare il rapporto
fra privato e pubblica amministrazione (cfr. sul punto, fra
le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012, n. 5692).
Del resto, la norma di legge sopra menzionata prevede
ordinariamente il termine di un anno dal rilascio del titolo
per l’inizio dei lavori (cfr. art. 15, comma 2°, del DPR
380/2001), in quanto il legislatore ha ritenuto –realisticamente– che sussiste un fisiologico intervallo
temporale fra l’ottenimento del titolo ed il concreto avvio
dell’attività edilizia.
Nel caso di specie, intervenuto il rilascio del titolo il
14.12.2012, l’attività preparatoria svolta dalla società nei
pochi giorni successivi e fino al 01.01.2013, appare
rispettosa dei requisiti minimi per integrare un serio e
concreto “inizio dei lavori”.
Sul punto preme ancora evidenziare che lo scrivente non
ignora la giurisprudenza formatasi sull’art. 15 del DPR
380/2001, citata anche dall’Avvocatura Comunale nei propri
scritti difensivi; tuttavia si deve ricordare che le
sentenze richiamate dal resistente attengono al mancato
inizio dei lavori nell’ordinario termine annuale di cui al
comma 2° dell’art. 15, mentre nel caso di specie si tratta
di verificare l’effettivo avvio dei lavori in un ben più
ristretto termine di circa quindici giorni.
Non appare, di conseguenza, corretta l’applicazione
dell’art. 15 menzionato effettuata dall’Amministrazione di
Como (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 24.07.2013 n. 1943 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell'art. 15,
comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza
del permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato
all'accertamento del mancato inizio (e completamento) dei
lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo
abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del
venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione, con la
precisazione che l'inizio dei lavori può ritenersi
sussistente solo allorquando le opere intraprese siano tali
da manifestare un'effettiva volontà da parte del
concessionario di realizzare il manufatto assentito, tale
non potendo considerarsi il semplice sbancamento del terreno
e la collocazione sullo stesso del materiale necessario per
la costruzione.
---------------
La controversia tra proprietari di fondi finitimi non
costituisce idonea causa di forza maggiore, ai fini
dell’utile aspirazione ad una proroga del conseguito
permesso di costruire.
---------------
La natura strettamente vincolata della misura decadenziale,
riconnessa alla sua consistenza puramente dichiarativa,
rende irrilevante la denunziata omissione della previa
partecipazione di avvio del procedimento, giusta il canone
antiformalistico scolpito all’art. 21-octies l. n. 241/1990.
- CONSIDERATO che, alla luce degli atti di causa e delle difese assunte
dalle parti, il ricorso si appalesa senz’altro infondato e
merita di essere, conseguentemente respinto, alla luce del
comune intendimento per cui, ai sensi dell'art. 15, comma 2, d.lgs. n. 380 del 2001, la pronunzia di decadenza del
permesso a costruire ha carattere strettamente vincolato
all'accertamento del mancato inizio (e completamento) dei
lavori entro i termini stabiliti dalla norma stessa
(rispettivamente un anno e tre anni dal rilascio del titolo
abilitativo, salvo proroga) ed ha natura ricognitiva del
venir meno degli effetti del permesso a costruire per
l'inerzia del titolare a darvi attuazione (Cons. Stato, sez.
III, 04.04.2013, n. 1870), con la precisazione che l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente solo allorquando
le opere intraprese siano tali (come non verificatosi nella
specie, in cui se ebbe a dare mera e formale comunicazione)
da manifestare un'effettiva volontà da parte del
concessionario di realizzare il manufatto assentito, tale
non potendo considerarsi il semplice sbancamento del terreno
e la collocazione sullo stesso del materiale necessario per
la costruzione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15.04.2013,
n. 2027);
-
RITENUTO che la controversia tra proprietari di fondi
finitimi non costituisce idonea causa di forza maggiore, ai
fini dell’utile aspirazione ad una proroga del conseguito
permesso;
-
RITENUTO che la natura strettamente vincolata della misura
decadenziale, riconnessa alla sua consistenza puramente
dichiarativa, rende irrilevante la denunziata omissione
della previa partecipazione di avvio del procedimento,
giusta il canone antiformalistico scolpito all’art. 21-octies l. n. 241/1990;
-
CONSIDERATO che, per lo stesso ordine di ragioni, debbono
essere disattese (in disparte la disamina della contestata
ammissibilità in rito) le censure articolate per aggiunzione
avverso il sopravvenuto provvedimento di reiezione
dell’istanza di proroga (oltretutto correttamente motivato
sulla scorta della tardività della formulazione della
relativa istanza);
- CONSIDERATO, infine, che la ritenuta legittimità
dell’azione amministrativa rende carente dei relativi
presupposti la correlata istanza risarcitoria, che deve,
quindi, essere disattesa (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.07.2013 n. 1690 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
può essere opposto il decorso del termine decadenziale a
colui che non poteva comunque continuare o avviare
l'edificazione per fatti estranei alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall'art. 15
D.P.R. n. 380/2001 consegue all'inerzia dell'interessato,
questa deve essere esclusa se venga rappresentata la
sussistenza di fatti impedienti che possano giustificare
l’interruzione dei termini, e questi fatti siano oggetto di
valutazione e verifica in sede amministrativa.
Tale situazione deve poi essere considerata in modo del
tutto peculiare quando si tratti di ragioni di vera e
propria forza maggiore. In tale prospettiva la natura
forzosamente estranea alla sfera del controllo del titolare
del titolo abilitativo a costruire fa ritenere che il
termine per l'ultimazione delle opere non possa decorrere.
In quanto ipotesi di "causa di forza maggiore",
l'interessato non può -e quindi non deve neanche-
preoccuparsi di procedere alla richiesta di proroga. Il
tempo necessario per l'esecuzione delle opere in tali casi è
automaticamente prolungato in misura proporzionale al tempo
necessario a rimuovere l’impedimento.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è
illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale
di declaratoria di decadenza della concessione edilizia
allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei
lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla condotta del
concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di
forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti
dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10.
Posto quindi che la scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio dei lavori non
determina, automaticamente, la cessazione di effetti del
provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per
l'accertamento della eventuale decadenza dall'autorizzazione
edilizia, la Sezione non può che ribadire il proprio
precedente orientamento per cui le ipotesi di sospensione o
proroga connesse a forza maggiore o ad altre cause non
riferibili alla condotta del titolare della concessione,
quando assolutamente ostative dei lavori, producono
l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l'esecuzione delle opere.
Peraltro nella fattispecie non può trovare piena
applicazione la disposizione di cui al 2° comma dell’art. 15
del D.P.R. n. 380/2001, la quale contempla una decadenza “di
diritto” del permesso di costruire nell’ipotesi in cui i
termini per l’inizio e la conclusione dei lavori edili siano
decorsi e non ne sia stata chiesta la proroga anteriormente
alla scadenza. La norma opera nel caso di “fatti
sopravvenuti” estranei alla volontà del titolare del
permesso, che ostacolino le attività edificatorie. Nel caso
di specie gli impedimenti non sono stati determinati da
sopravvenienze, ma da circostanze di fatto preesistenti –la
presenza di condutture interrate nel suolo interessato dalle
opere realizzande- e sconosciute all’impresa prima
dell’avvio delle operazioni di scavo.
Vale, perciò, il principio generale dell’interruzione per
cause di forza maggiore dei termini volti ad effetti a
rilevanza giuridica, e non invece la predetta disposizione
restrittiva, la quale in caso di eventi sopravvenuti correla
l’effetto decadenziale sul titolo edilizio sia al decorso
dei termini sia all’assenza di richiesta di proroga
anteriormente ad esso. Norma peculiare che deroga al
generale principio dell’interruzione per forza maggiore e
che, per questa ragione e per le regole dell’interpretazione
legislativa, non può essere applicata oltre i casi
strettamente previsti.
Con permesso di costruire rilasciato il 17.06.2009 la Delta
Parcheggi s.r.l. è stata autorizzata a realizzare in via
Leonardi Cattolica, Roma, un’autorimessa interrata per gli
effetti di cui alla legge n. 122/1989.
Con nota del 24.07.2009 la società ha comunicato
all’Amministrazione di Roma Capitale l’avvio delle attività.
Durante l’esecuzione delle opere di sbancamento è stata
riscontrata dagli operai del cantiere la presenza di
condutture interrate per il passaggio del metano. La Delta
Parcheggi, pertanto, in data 02.08.2009 ha inoltrato
richiesta di spostamento dei condotti alla società
proprietaria, la ITALGAS. Le operazioni hanno richiesto
l’accordo con i proprietari dei suoli e la formalizzazione e
l’accettazione del preventivo di costo per le opere di
spostamento.
Gli interventi sono stati completati il 12.01.2010; ma
ripreso lo scavo è emersa l’esistenza di una conduttura
elettrica. È stato dunque richiesto l’intervento della
società proprietaria, l’ACEA, alla quale è stato sollecitato
lo spostamento dei cavi. I lavori di spostamento del
condotto elettrico sono stati ultimati il 19.07.2010.
Con nota n. prot. 5630 del 01.02.2011 la U.O. Permessi di
Costruire di Roma Capitale ha comunicato l’avvio del
procedimento per la dichiarazione di decadenza del titolo
edilizio, ai sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n.
380/2001, giacché a seguito di verifiche in loco del
26.11.2010 e del 19.01.2011 è stata constatata l’assenza di
attività edilizia utile a definire l’inizio dei lavori quale
dies a quo per la decorrenza del termine annuale,
alla scadenza del quale il titolo edificatorio decade di
diritto in assenza di richiesta di proroga anteriormente
presentata.
Con i provvedimenti impugnati è stata pronunciata la
decadenza del permesso di costruire.
Il Collegio, come per fattispecie simili esaminate dalla
Sezione (cfr. TAR Lazio, II, 07.06.2010 n. 15939), ritiene
che non possa essere opposto il decorso del termine
decadenziale a colui che non poteva comunque continuare o
avviare l'edificazione per fatti estranei alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata dall'art. 15
D.P.R. n. 380/2001 consegue all'inerzia dell'interessato,
questa deve essere esclusa se venga rappresentata la
sussistenza di fatti impedienti che possano giustificare
l’interruzione dei termini, e questi fatti siano oggetto di
valutazione e verifica in sede amministrativa.
Tale situazione deve poi essere considerata in modo del
tutto peculiare quando si tratti di ragioni di vera e
propria forza maggiore. In tale prospettiva la natura
forzosamente estranea alla sfera del controllo del titolare
del titolo abilitativo a costruire fa ritenere che il
termine per l'ultimazione delle opere non possa decorrere.
In quanto ipotesi di "causa di forza maggiore",
l'interessato non può -e quindi non deve neanche-
preoccuparsi di procedere alla richiesta di proroga. Il
tempo necessario per l'esecuzione delle opere in tali casi è
automaticamente prolungato in misura proporzionale al tempo
necessario a rimuovere l’impedimento.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto che è
illegittimo il provvedimento dell'Amministrazione comunale
di declaratoria di decadenza della concessione edilizia
allorché sussistano impedimenti assoluti all'esecuzione dei
lavori segnalati o comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla condotta del
concessionario, per cui è tale da costituire quella causa di
forza maggiore che sospende il decorso dei termini previsti
dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10 (cfr. TAR Lazio
Roma, II, 15.04.2004 n. 3297; Cons. St., V, 29.01.2003 n.
453; TAR Liguria, I, 22.06.2007 n. 1200).
Posto quindi che la scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio dei lavori non
determina, automaticamente, la cessazione di effetti del
provvedimento, ma costituisce soltanto il presupposto per
l'accertamento della eventuale decadenza dall'autorizzazione
edilizia (cfr. Consiglio Stato, V, 18.09.2008 n. 4498), la
Sezione non può che ribadire il proprio precedente
orientamento per cui le ipotesi di sospensione o proroga
connesse a forza maggiore o ad altre cause non riferibili
alla condotta del titolare della concessione, quando
assolutamente ostative dei lavori, producono l'effetto di
prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per
l'esecuzione delle opere (cfr. TAR Lazio Roma, II,
24.11.2004 n. 13996; id., 07.06.2010 n. 15939 cit.).
Peraltro nella fattispecie non può trovare piena
applicazione la disposizione di cui al 2° comma dell’art. 15
del D.P.R. n. 380/2001, la quale contempla una decadenza “di
diritto” del permesso di costruire nell’ipotesi in cui i
termini per l’inizio e la conclusione dei lavori edili siano
decorsi e non ne sia stata chiesta la proroga anteriormente
alla scadenza. La norma opera nel caso di “fatti
sopravvenuti” estranei alla volontà del titolare del
permesso, che ostacolino le attività edificatorie. Nel caso
di specie gli impedimenti non sono stati determinati da
sopravvenienze, ma da circostanze di fatto preesistenti –la
presenza di condutture interrate nel suolo interessato dalle
opere realizzande- e sconosciute all’impresa prima
dell’avvio delle operazioni di scavo.
Vale, perciò, il principio generale dell’interruzione per
cause di forza maggiore dei termini volti ad effetti a
rilevanza giuridica, e non invece la predetta disposizione
restrittiva, la quale in caso di eventi sopravvenuti correla
l’effetto decadenziale sul titolo edilizio sia al decorso
dei termini sia all’assenza di richiesta di proroga
anteriormente ad esso. Norma peculiare che deroga al
generale principio dell’interruzione per forza maggiore e
che, per questa ragione e per le regole dell’interpretazione
legislativa, non può essere applicata oltre i casi
strettamente previsti.
Il provvedimento decadenziale del 31.03.2011, che non tiene
conto delle circostanze impeditive di forza maggiore
preesistenti, deve perciò essere annullato. Altresì deve
essere annullato il provvedimento del 31.08.2011, che, sotto
la specie del riesame disposto dal Giudice con l’ordinanza
n. 2497/2011, è invece atto di mera conferma del precedente,
né rinnova l’istruttoria già definita con le verifiche del
novembre 2010 e del gennaio 2011, sulla quale fonda il
provvedimento del 31.03.2011.
Non sussistono pregiudizi che possano essere oggetto di
risarcimento, anche considerato che i provvedimenti
cautelari di sospensione concessi dal TAR hanno consentito
il prosieguo delle attività edilizie
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 18.07.2013 n. 7256 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la
decadenza della concessione edilizia può ritenersi
sussistente quando le opere intraprese siano tali da
evidenziare l’effettiva volontà di realizzare l’opera, non
essendo a ciò sufficiente il semplice sbancamento del
terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali da
costruzione.
In termini più espliciti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto
l’organizzazione del cantiere, con la sussistenza di altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione.
Conseguentemente la declaratoria di decadenza della licenza
edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine
fissato, può considerarsi illegittima solo se siano stati
almeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato
cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del
piano di campagna entro il termine di legge” o se lo
sbancamento realizzato si estende su un’area di vaste
dimensioni.
Con un primo motivo l’appellante
lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 4
della legge n. 10/1977, eccesso di potere per difetto di
istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti di
legge, sviamento della causa tipica dell’atto, illogicità ed
ingiustizia manifeste.
L’appellante sostiene che la sentenza gravata sarebbe
erronea in quanto non avrebbe considerato, in modo
complessivo, l’attività da lui posta in essere come “una
reale e seria intenzione” di dare corso ai lavori di
edificazione, non ritenendo sussistere, nel caso di specie,
il così detto principio dell’animus aedificandi.
Sul punto si deve da subito osservare che, diversamente da
quanto assunto dall’appellante, il TAR nel determinarsi
ha invece tenuto conto di tutte le attività edilizie in
atto, evidenziandone l’inconsistenza e proprio dall’esame
contestuale di esse ha ricavato che il titolare della
concessione non ha dimostrato alcuna volontà di edificare.
La legge n. 10/1977 all’art. 4, commi 3, 4 e 6, dispone che
“nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio
e di ultimazione dei lavori”; “Il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di
ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o
agibile non può essere superiore a tre anni e può essere
prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti
estranei alla volontà del concessionario, che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione”; “Qualora i lavori non siano ultimati nel
termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza
diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la
nuova concessione concerne la parte non ultimata”.
Invero l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza
della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando
le opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva
volontà di realizzare l’opera, non essendo a ciò sufficiente
il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione
degli strumenti e materiali da costruzione (così Cons.
Stato, sez. V, 22.11.1993, n. 1165).
In termini più espliciti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di sbancamento e senza che sia manifestamente messa a punto
l’organizzazione del cantiere, con la sussistenza di altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
03.10.2000, n. 5242).
Conseguentemente la declaratoria di decadenza della licenza
edilizia per mancato inizio dei lavori entro il termine
fissato, può considerarsi illegittima solo se siano stati
almeno eseguiti “lo scavo ed il riempimento in conglomerato
cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del
piano di campagna entro il termine di legge” (Cons. Stato,
sez. V, 15.10.1992, n. 1006) o se lo sbancamento
realizzato si estende su un’area di vaste dimensioni;
circostanze, queste ultime, non comprovate nella specie dal
Boschi (Cons. Stato, sez IV, 18.05.2012, n. 2915)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 15.07.2013 n. 3823 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza formatasi in materia (e riferita sia all’art.
15, comma 2, DPR 380/2001, sia al previgente art. 4 L.
10/1977) ha chiarito che all'istituto giuridico della
decadenza della concessione edilizia fanno eccezione i casi
di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza
maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla
legge, non riferibili alla condotta del titolare della
concessione e assolutamente ostative ai lavori.
L’intento legislativo sotteso a tale disposizione normativa
e valorizzato dalla costante interpretazione
giurisprudenziale è quello di circoscrivere le ipotesi di
proroga ai casi in cui insorgano fatti ostativi di rilevanza
oggettiva, slegati da responsabilità del titolare del titolo
concessorio o comunque non riconducibili a evenienze allo
stesso imputabili.
Va ulteriormente rilevato che le norme sulla proroga dei
termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti
a permesso di costruire, di cui all'art. 15 del D.P.R. n.
380/2001, sono ritenute di stretta interpretazione,
rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale
dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata
nel vigore di un determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo consente più.
Indicativa di tale ratio legis è anche la previsione
normativa, di cui al comma 4 dell’art. 15, D.P.R. n.
380/2001, secondo la quale il permesso di costruire decade
con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e
vengano completati entro il termine di tre anni dalla data
di inizio dei lavori.
Ai sensi dell’art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001,
“il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione,
entro il quale l'opera deve essere completata, non può
superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i
termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso”.
La giurisprudenza formatasi in materia (e riferita sia
all’art. 15, comma 2, DPR 380/2001, sia al previgente art. 4
L. 10/1977) ha chiarito che all'istituto giuridico della
decadenza della concessione edilizia fanno eccezione i casi
di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza
maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla
legge, non riferibili alla condotta del titolare della
concessione e assolutamente ostative ai lavori (cfr., fra le
tante, TAR Napoli sez. II, 07.05.2007, n. 4788 e sez. IV, 29.04.2004; TAR Lazio sez. II, 15.04.2004, n.
3297; Cons. St. sez. V, 03.02.2000 n. 597).
L’intento legislativo sotteso a tale disposizione normativa
e valorizzato dalla costante interpretazione
giurisprudenziale è quello di circoscrivere le ipotesi di
proroga ai casi in cui insorgano fatti ostativi di rilevanza
oggettiva, slegati da responsabilità del titolare del titolo
concessorio o comunque non riconducibili a evenienze allo
stesso imputabili.
Va ulteriormente rilevato che le norme sulla proroga dei
termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti
a permesso di costruire, di cui all'art. 15 del D.P.R. n.
380/2001, sono ritenute di stretta interpretazione,
rappresentando le stesse una deroga alla disciplina generale
dettata al fine di evitare che una edificazione autorizzata
nel vigore di un determinato regime urbanistico venga
realizzata quando il mutato regime non lo consente più (cfr.
TAR Marche sez. I, 20.04.2010, n. 193).
Indicativa di tale ratio legis è anche la previsione
normativa, di cui al comma 4 dell’art. 15, D.P.R. n.
380/2001, secondo la quale il permesso di costruire decade
con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e
vengano completati entro il termine di tre anni dalla data
di inizio dei lavori (TAR Veneto sez. II, 22.04.2011,
n. 671; TAR Napoli sez. II, 12.01.2011, n. 74).
Nel caso in esame, il giudizio civile radicato innanzi al
Tribunale di Torino non può configurarsi come fatto impeditivo rilevante ai sensi dell’art. 15, comma 2, D.P.R.
n. 380/2001, e ciò sotto un duplice profilo.
Innanzitutto, la controversia è stata avviata dal titolare
del permesso e quindi, in termini puramente formali,
costituisce evenienza interamente riferibile alla sua
condotta e priva di rilievo oggettivo.
Andando poi a indagare le ragioni del contenzioso, si
osserva che lo stesso è sorto come impugnazione di una
delibera condominiale intervenuta in data 07.06.2006
(quindi in epoca successiva al rilascio del permesso di
costruire) con la quale alcuni condomini avevano negato il
nulla osta all'esecuzione dei lavori di rifacimento del
sottotetto.
Secondo quanto accertato dalla sentenza del giudice civile
n. 209/2009, la tipologia dei lavori in progetto avrebbe reso
necessaria l’approvazione preventiva degli stessi da parte
di tutti i condomini, in applicazione dell’art. 5 del
regolamento condominiale (il quale dispone che “per ogni
lavoro esterno ed interno che possa interessare l’estetica e
la struttura organica, od anche la solidità del fabbricato,
si dovrà ottenere l’approvazione preventiva dei
comproprietari”).
La clausola regolamentare è stata cioè intesa come dotata di
natura contrattuale, in quanto implicante limitazioni al
diritto del condomino anche relativamente al contenuto delle
facoltà dominicali sulle parti di sua esclusiva proprietà
(per una fattispecie analoga si veda Cass. Civ. sez. II, 21.05.1997, n. 4509).
È sulla base di tale previsione regolamentare che i
condomini riuniti nell’assemblea del 07.06.2006 hanno
ritenuto di negare il loro consenso all’esecuzione dei
lavori, ritenendo che gli stessi incidessero sulle parti
comuni del fabbricato.
Come detto, che tale autorizzazione preventiva fosse
necessaria è circostanza confermata dalla sentenza emessa
dal Giudice Civile, la quale ha fatto applicazione del
richiamato art. 5 del regolamento condominiale, correlando
tale disposizione alla natura e alla consistenza degli
interventi edilizi.
Alla luce di queste necessarie premesse, va ulteriormente
chiarito che un consenso unanime ai lavori da parte della
totalità dei condomini non è mai venuto in essere in epoca
antecedente alla richiesta del permesso di costruire.
Ne consegue che l’assenza della previa autorizzazione
condominiale ha costituito circostanza ostativa ai lavori,
integratasi in un momento antecedente al rilascio del
premesso di costruire.
In questo senso appare corretta la valutazione da parte del
Comune secondo cui le circostanze addotte dal ricorrente non
integrano “fatti sopravvenuti”, in quanto il fatto
ostativo (l’assenza della necessaria preventiva
autorizzazione condominiale) risale ad epoca antecedente al
rilascio del titolo edilizio
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 12.07.2013 n. 892 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 15 D.P.R. 380/2001 i termini per l'inizio
dei lavori e per la loro ultimazione, da indicare
obbligatoriamente nell'atto di concessione, sono configurati
come termini di validità ed efficacia della concessione
stessa, per cui operano automaticamente, indipendentemente
da un’apposita dichiarazione amministrativa, con la
conseguenza che, dopo l'inutile scadenza di tale termine la
concessione è tamquam non esset, sicché i lavori edilizi
iniziati o ultimati dopo la relativa scadenza restano privi
di titolo abilitativo, indipendentemente da una
dichiarazione amministrativa di decadenza.
Sul punto, deve infatti osservarsi che anche in assenza di
un provvedimento di “decadenza” espresso (cfr. Cass.
Penale, Sez. III, Sent. n. 12316 del 21.02.2007), non
possono sussistere dubbi sulla insussistenza in specie di
alcuna validità od efficacia del pregresso titolo
concessorio invocato dalla ricorrente avendo riguardo:
a) all’art. 15 D.P.R. 380/2001, con particolare riferimento
anche al comma 4 dello stesso articolo;
b) allo stato dei luoghi e allo stadio dei lavori al momento
dell’apposizione del vincolo, come accertati in atti;
c) alla incompatibilità dell’opera rispetto alla nuova
previsione urbanistica, alla mancata conclusione dei lavori
nel termini previsti e alla mancanza di alcuna richiesta di
proroga.
Infatti, ai sensi dell’art. 15 D.P.R. 380/2001 i termini per
l'inizio dei lavori e per la loro ultimazione, da indicare
obbligatoriamente nell'atto di concessione, sono configurati
come termini di validità ed efficacia della concessione
stessa, per cui operano automaticamente, indipendentemente
da un’apposita dichiarazione amministrativa, con la
conseguenza che, dopo l'inutile scadenza di tale termine la
concessione è tamquam non esset, sicché i lavori
edilizi iniziati o ultimati dopo la relativa scadenza
restano privi di titolo abilitativo, indipendentemente da
una dichiarazione amministrativa di decadenza (nel caso di
specie la struttura alberghiera non è mai stata completata
consistendo oggi, in una struttura di cemento armato grezza,
in stato di abbandono e disfacimento, costituita da pilastri
di cemento armato a vista, senza tompagni, i cui lavori sono
stati realizzati dal 1989 al 1990 senza che da allora siano
più proseguiti) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 10.07.2013 n. 1481 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La pronuncia di decadenza del permesso di
costruire è espressione di un potere strettamente vincolato,
ha una natura ricognitiva, perché accerta il venir meno
degli effetti del titolo edilizio in conseguenza
dell'inerzia del titolare ed ha decorrenza ex tunc (secondo
l'art. 15 dpr 380/2001 "Il termine per l'inizio dei lavori
non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo;
quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata non può superare i tre anni dall'inizio dei
lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento
motivato, esclusivamente in considerazione della mole
dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”).
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha
rilasciato il titolo abilitativo, che accerti
l'impossibilità del rispetto del termine (e solamente nei
casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum
principis" ovvero l'insorgenza di una causa di forza
maggiore).
Peraltro, ai
sensi dell'art. 15, secondo comma, T.U. Edilizia e alla luce
dell’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa
(Consiglio di Stato, Sez. IV, 23.02.2012 n. 974), la
pronuncia di decadenza del permesso di costruire è
espressione di un potere strettamente vincolato, ha una
natura ricognitiva, perché accerta il venir meno degli
effetti del titolo edilizio in conseguenza dell'inerzia del
titolare ed ha decorrenza ex tunc (secondo la menzionata
disposizione “Il termine per l'inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello
di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere
completata non può superare i tre anni dall'inizio dei
lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne
che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una
proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento
motivato, esclusivamente in considerazione della mole
dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari”).
Inoltre, il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa amministrazione che ha
rilasciato il titolo abilitativo, che accerti
l'impossibilità del rispetto del termine (e solamente nei
casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un "factum principis"
ovvero l'insorgenza di una causa di forza maggiore) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.05.2013 n. 2395 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Comunicazioni di inizio e fine lavori.
Le
comunicazioni di inizio e fine lavori hanno lo scopo
evidente di agevolare l'accertamento, da parte
dell'amministrazione comunale, dell'inizio e del
completamento dell'intervento edilizio nei termini e
consentire una tempestiva verifica sull'attività posta in
essere e non rappresentano, quindi, una semplice formalità
amministrativa, bensì di un adempimento strettamente
connesso ai contenuti ed alle finalità del permesso di
costruire ed agli obblighi di vigilanza imposti dall'art. 27
e segg. del Testo Unico.
E' tuttavia evidente che la comunicazione è comunque un atto
del privato senza alcuna valenza probatoria privilegiata ed
il cui contenuto può essere oggetto di specifica verifica
sulla effettiva situazione di fatto (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 03.05.2013 n. 19110 - tratto da
www.lexambiente.it). |
aprile 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il semplice sbancamento del terreno non
testimonia l’intenzione del concessionario di realizzare il
manufatto assentito.
Ai fini dell'impedimento della decadenza
della concessione ai sensi dell'art. 31, legge 17.08.1942,
n. 1150, l'avvio dei lavori può senz'altro ritenersi
sussistente quando le opere intraprese ed oggetto della
concessione siano tali da manifestare l'univoca intenzione
del concessionario di realizzare il manufatto assentito.
La circostanza relativa alla ripulitura del sito e di aver
approntato il cantiere ed i materiali necessari per
l'esecuzione dei lavori sull'immobile non può certamente
considerarsi come volontà diretta ed univoca volta al
compimento delle opere assentite.
Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di
impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L.
17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L.
06.08.1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28.01.1977, n. 10
l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le
opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva
volontà da parte del concessionario di realizzare il
manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice
sbancamento del terreno.
Nel merito, nel rimarcare che per costante e condivisibile
giurisprudenza di questa Sezione l”'amministrazione non è
tenuta a fornire specifiche motivazioni sulla adozione
dell'atto di decadenza del permesso di costruire di cui
all'art. 15, comma 4, d.p.r. n. 380/2001, in quanto qui non
si è in presenza di un provvedimento negativo o di
autotutela e la pronuncia di decadenza, per il suo carattere
dovuto, è sufficientemente motivata con la sola
evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei presupposti di
fatto.
Né è richiesta alcuna ulteriore specificazione, stante la
immediata e diretta prevalenza dell'interesse pubblico
all'attuazione della regolamentazione sopravvenuta che è
imposta dalla norma in questione (Cons. Stato Sez. IV,
07.09.2011, n. 5028), ritiene il Collegio di dovere
sinteticamente richiamare alcuni precedenti
giurisprudenziali di merito, che hanno costantemente
affermato il principio (riferibile sia all'art. 31, legge
17.08.1942, n. 1150 che all’art. 15 del TU edilizia) per cui
ai fini dell'impedimento della decadenza della concessione
ai sensi dell'art. 31, legge 17.08.1942, n. 1150, l'avvio
dei lavori può senz'altro ritenersi sussistente quando le
opere intraprese ed oggetto della concessione siano tali da
manifestare l'univoca intenzione del concessionario di
realizzare il manufatto assentito. La circostanza relativa
alla ripulitura del sito e di aver approntato il cantiere ed
i materiali necessari per l'esecuzione dei lavori
sull'immobile non può certamente considerarsi come volontà
diretta ed univoca volta al compimento delle opere assentite
(ex multis TAR Molise Campobasso Sez. I, 19.09.2005,
n. 875).
Del pari, è stato in passato rimarcato che al fine di
impedire la decadenza comminata dall'art. 31 della L.
17.08.1942, n. 1150, come sostituito dall'art. 10 della L.
06.08.1967, n. 765 e dall'art. 4 della L. 28.01.1977, n. 10
l'inizio dei lavori può ritenersi sussistente quando le
opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva
volontà da parte del concessionario di realizzare il
manufatto assentito e tale non può considerarsi il semplice
sbancamento del terreno (cfr. ex multis, Cons. St.,
Sez. V, 22.11.1993, n. 1165, ma anche TAR Marche Ancona,
Sez. I, Sent., 13.03.2008, n. 195).
Nel caso di specie, nei tre lotti attinti dal provvedimento
dichiarativo decadenziale veniva notata la realizzazione
(soltanto) di “movimenti terra e gittata di uno strato di
battuto di calcestruzzo a circoscrivere le fondamenta della
costruzione a farsi”.
Appare evidente pertanto che non sussistevano i requisiti
minimali per ritenere che i lavori fossero stati iniziati e,
stante la circostanza che erano state rilasciate a parte
appellante autonome e separate concessioni edilizie non
giova alla posizione di quest’ultima il richiamo
all’avvenuto inizio dei lavori nell’altro lotto.
La prescrizione relativa all’inizio “serio e comprovato”
delle opere assentite entro l’anno risponde ad un evidente
interesse pubblico, incidente sui poteri programmatori
dell’amministrazione comunale: si è detto infatti, in
passato, che affinché non operi la decadenza della
concessione edilizia per mancato inizio dei lavori entro
l'anno, non possono essere valutate come cause di forza
maggiore le libere scelte imprenditoriali, come tali
implicanti un'alea, le cui conseguenze negative non possono
che essere imputate al concessionario (tra le tante, TAR
Sicilia Catania Sez. I, 21.11.2006, n. 2316).
Esattamente, ad avviso del Collegio il comune ha riscontrato
il mancato inizio dei lavori sui lotti per cui è causa
(massima tratta da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.04.2013 n. 2027 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. n. 380/2001,
rubricato “efficacia temporale e decadenza del permesso di
costruire”, il termine per l’inizio dei lavori non può
essere superiore ad un anno. Il suddetto termine può essere
prorogato, con provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del
permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita (cfr. comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la certezza
temporale dell’attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell’intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo.
L’unanime giurisprudenza ha affermato che la decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio lavori opera di diritto e il provvedimento
pronunciante la decadenza ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla
legge.
In materia è stato poi sostenuto che l’eventuale sospensione
del termine di durata di un titolo edilizio non può
realizzarsi in via automatica, essendo a tal fine necessaria
la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve
seguire un provvedimento motivato dell’amministrazione che
accerti l’impossibilità del rispetto del termine per “factum
principis”, ovvero per l’insorgenza di una causa di forza
maggiore.
---------------
L’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di
un titolo non più sussistente (scaduto), non può fare altro
che prendere atto dell’intervenuta decadenza con un
provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo
scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non
dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il
cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di
fuori dell’alveo normativo.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Lo stesso ricorrente rappresenta in fatto che il termine
annuale per l’inizio dei lavori di realizzazione del
deposito di cui al permesso di costruire n. 96/2004 è
scaduto in data 22.02.2008. Solo in data successiva
(e, segnatamente, una prima volta il 28.02.2008 e, una
seconda, il 13.10.2011), l’interessato si è attivato
per richiedere la proroga del termine. Domanda sulla quale
con l’odierno gravame chiede l’accertamento dell’illegittima
inerzia del Comune.
E’ necessario premettere, che ai sensi dell’art. 15 del
D.P.R. n. 380/2001, rubricato “efficacia temporale e
decadenza del permesso di costruire”, il termine per
l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno. Il
suddetto termine può essere prorogato, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Ciò nondimeno, decorso il termine, il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita (cfr.
comma 2).
La richiamata disposizione mira ad assicurare la
certezza temporale dell’attività di trasformazione edilizia
ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell’intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(TAR Liguria, Genova, 08.01.2013, n. 34). L’unanime
giurisprudenza ha affermato che la decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio lavori opera di diritto e il provvedimento
pronunciante la decadenza ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in via
diretta, con l’infruttuoso decorso del termine fissato dalla
legge (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 18.05.2012, n. 2915).
In materia è stato poi sostenuto che
l’eventuale sospensione del termine di durata di un titolo
edilizio non può realizzarsi in via automatica, essendo a
tal fine necessaria la presentazione di una formale istanza
di proroga, cui deve seguire un provvedimento motivato
dell’amministrazione che accerti l’impossibilità del
rispetto del termine per “factum principis”, ovvero per
l’insorgenza di una causa di forza maggiore.
Tornando al caso che occupa, si deve quindi ritenere, da una
parte, che l’intervenuto sequestro dell’area non ha
determinato ex se la sospensione del termine annuale
assegnato per la realizzazione dei lavori, dall’altra, che
il permesso di costruire, in assenza di una formale
richiesta di proroga (entro la scadenza del termine) è ormai
decaduto. E ciò per il solo fatto del verificarsi del
presupposto previsto dalla legge, costituito dal mancato
inizio dell’attività edificatoria nel periodo assegnato.
Dunque, la richiesta di proroga è intervenuta allorquando il
permesso di costruire aveva ormai esaurito i suoi effetti.
Chiariti i contorni della questione, deve affermarsi che
nessuna inerzia può imputarsi al Comune avverso la quale si
possa invocare la tutela offerta dallo strumento processuale
di cui all’art. 117 c.p.a. Il silenzio-rifiuto disciplinato
dall'ordinamento, infatti, è istituto riconducibile a
inadempienza dell’amministrazione, in rapporto a un
sussistente obbligo di provvedere, che può discendere dalla
legge, da un regolamento o anche da un atto di
autolimitazione dell'amministrazione stessa, e in ogni caso
deve corrispondere ad una situazione soggettiva protetta,
qualificata come tale dall'ordinamento; al di là
dell'obbligo normativamente imposto alla pubblica
amministrazione di concludere il procedimento mediante
l'adozione di un provvedimento espresso e motivato, siccome
previsto dagli artt. 2 e 3, l. 07.08.1990 n. 241,
l'amministrazione è parimenti tenuta a pronunciarsi laddove
ragioni di giustizia ed equità le impongono l'adozione di un
provvedimento, nonché tutte le volte in cui, in relazione al
dovere di correttezza e di buona amministrazione, sorga per
il privato una legittima aspettativa a conoscere il
contenuto e le ragioni delle determinazioni amministrative,
quali che esse siano (ex multis, TAR Puglia, Lecce, 12.11.2012, n. 1863).
Nella fattispecie, per espressa previsione normativa,
l’amministrazione, di fronte a una richiesta di proroga di
un titolo non più sussistente, non potrebbe fare altro che
prendere atto dell’intervenuta decadenza con un
provvedimento di natura dichiarativa. In altri termini, allo
scadere del termine di inizio lavori, l’amministrazione non
dispone più del potere dilatorio previsto dalla legge e il
cui esercizio è invece invocato con l’istanza de qua al di
fuori dell’alveo normativo.
Deve, pertanto, concludersi che l’istanza in questione è
inidonea a fondare un obbligo di provvedere in capo
all’amministrazione comunale e la domanda di accertamento
giudiziale dell’inerzia colpevole della stessa deve essere
respinta (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 08.04.2013 n. 1864 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
pronunzia di decadenza del permesso a costruire riceve
puntuale disciplina all’art. 15 comma 2, del d.lgs. n. 380
del 2001 (t.u. delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia).
Si tratta di provvedimento che ha carattere strettamente
vincolato all’accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal
richiamato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi
attuazione.
Il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se, in
via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine
prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
La riconduzione entro precisi termini dell’attuazione del
contenuto abilitante del permesso di costruire trova invero
la sua ragione d’essere nell’esigenza che essa sia sempre
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia della
porzione di territorio interessata, che può, in progressione
di tempo, mutare in presenza di nuove e diverse scelte di
pianificazione.
Come tutti i provvedimenti che incidono sullo jus
aedificandi la pronunzia di decadenza si caratterizza per
tipicità.
Essa può essere adottata in presenza dei presupposti
strettamente prefigurati dalla disciplina di legge
(violazione del dato temporale dell’inizio e completamento
dei lavori in presenza dell’ inerzia, non assistita da
giustificazione, del titolare del permesso di costruire a
realizzare l’intervento) ed a tutela dell’interesse primario
ad essa peculiare, di non mantenere nel tempo in vita titoli
non più conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia
della zona in atto (salvo l’ultrattività dell’efficacia del
titolo abilitativo nel limite triennale previsto dall’art.
15, comma 4, del d.lgs., in presenza di nuove e diverse
previsioni urbanistiche).
Inoltre il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore.
La pronunzia di decadenza del permesso a costruire riceve
puntuale disciplina all’art. 15 comma 2, del d.lgs. n. 380
del 2001 (t.u. delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia).
Si tratta di provvedimento che ha carattere strettamente
vincolato all’accertamento del mancato inizio e
completamento dei lavori entro i termini stabiliti dal
richiamato art. 15, comma 2, (rispettivamente un anno e tre
anni dal rilascio del titolo abilitativo, salvo proroga) ed
ha natura ricognitiva del venir meno degli effetti del
permesso a costruire per l’inerzia del titolare a darvi
attuazione (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 974 del 23.02.2012;
n. 2915 del 2012).
Il provvedimento che la dichiara, ove adottato, ha carattere
meramente dichiarativo di un effetto verificatosi ex se,
in via diretta, con l'infruttuoso decorso del termine
prefissato con conseguente decorrenza ex tunc.
La riconduzione entro precisi termini dell’attuazione del
contenuto abilitante del permesso di costruire trova invero
la sua ragione d’essere nell’esigenza che essa sia sempre
conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia della
porzione di territorio interessata, che può, in progressione
di tempo, mutare in presenza di nuove e diverse scelte di
pianificazione.
Come tutti i provvedimenti che incidono sullo jus
aedificandi la pronunzia di decadenza si caratterizza
per tipicità.
Essa può essere adottata in presenza dei presupposti
strettamente prefigurati dalla disciplina di legge
(violazione del dato temporale dell’inizio e completamento
dei lavori in presenza dell’ inerzia, non assistita da
giustificazione, del titolare del permesso di costruire a
realizzare l’intervento) ed a tutela dell’interesse primario
ad essa peculiare, di non mantenere nel tempo in vita titoli
non più conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia
della zona in atto (salvo l’ultrattività dell’efficacia del
titolo abilitativo nel limite triennale previsto dall’art.
15, comma 4, del d.lgs., in presenza di nuove e diverse
previsioni urbanistiche).
Inoltre il termine di durata del permesso edilizio non può
mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al contrario
sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di una
formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione, che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti l'impossibilità
del rispetto del termine, e solamente nei casi in cui possa
ritenersi sopravvenuto un factum principis ovvero
l'insorgenza di una causa di forza maggiore (Consiglio di
Stato sez. IV, n. 974/2012, cit.)
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 04.04.2013 n. 1870 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini del rispetto del
termine di inizio dei lavori di cui all’articolo 15 del
d.p.r. n. 380 del 2001, occorre il compimento di attività
direttamente e immediatamente collegate all’inizio dei
lavori, e tali non possono essere considerate la
realizzazione della recinzione del cantiere, la pulizia
dell'area, l'installazione della cartellonistica di
cantiere, e nemmeno possono esserlo il taglio degli alberi,
l’apertura di un varco di accesso al terreno, la demolizione
di parte di un muro di confine; secondo la giurisprudenza
prevalente, inoltre, non sono segno univoco di un serio
inizio dei lavori neanche lo sbancamento del terreno e
l'esecuzione dei lavori di scavo.
---------------
La decadenza del permesso di costruire (per mancato inizio
lavori entro l'anno) opera di diritto e non è richiesta a
tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche.
Ciò premesso, è sufficiente rilevare che, secondo un
consolidato orientamento giurisprudenziale, ai fini del
rispetto del termine di inizio dei lavori di cui
all’articolo 15 del d.p.r. n. 380 del 2001, occorre il
compimento di attività direttamente e immediatamente
collegate all’inizio dei lavori, e tali non possono essere
considerate la realizzazione della recinzione del cantiere,
la pulizia dell'area, l'installazione della cartellonistica
di cantiere (cfr. tra le tante, Consiglio di Stato, sentenza
n. 3030/2008), e nemmeno possono esserlo il taglio degli
alberi, l’apertura di un varco di accesso al terreno, la
demolizione di parte di un muro di confine (cfr. Tar Napoli,
sentenza n. 10890/2008); secondo la giurisprudenza
prevalente, inoltre, non sono segno univoco di un serio
inizio dei lavori neanche lo sbancamento del terreno e
l'esecuzione dei lavori di scavo (cfr. Tar Napoli, sentenza
n. 10890/2008; TAR Milano, sentenza n. 372/2007; TAR Napoli
sentenza n. 59/2006; TAR Roma sentenza n. 5370/2005;
Consiglio di Stato sentenza n. 5242/2000).
Ne consegue che le attività compiute dalla società
ricorrente e descritte nei sopralluoghi dei funzionari
comunali non sono idonee ad evitare la decadenza di cui
all’articolo 15 cit. per mancato inizio dei lavori nel
termine di un anno dal rilascio del permesso di costruire.
La decadenza, inoltre, opera di diritto e non è richiesta a
tal fine l’adozione di un provvedimento espresso.
Nonostante la presenza di un minoritario orientamento
diverso, la tesi prevalente in giurisprudenza, e che il
Collegio condivide, si basa sulla lettera della legge, che
fa dipendere la decadenza non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice fatto
dell'inutile decorso del tempo (cfr. Consiglio di Stato,
sentenza n. 2915/2012).
Diversamente opinando, del resto, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari del
permesso di costruire ma anche della Pubblica
Amministrazione che potrebbe in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no, con possibili
ipotesi di disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presenterebbero identiche (cfr. Tar Roma
sentenza n. 5530/2005; Consiglio di Stato, sentenza n.
2915/2012)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 04.02.2013 n. 61 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2013 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Allorché
il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire
ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo
edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o,
comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme
corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione.
Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente.
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune della richiesta
di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che
questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una
complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi
tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi
avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo
abilitativo edilizio.
Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di
costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza
del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt.
2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle
somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il
diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il
contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso
all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove
tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento
risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di
dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto
alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la
mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove
il permesso di costruire sia stato utilizzato solo
parzialmente (cfr: CS, V, 02.02.1988 n. 105, 12.06.1995 n.
894 e 23.06.2003 n. 3714; TAR Lombardia, Sez. II,
24.03.2010, n. 728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n. 890, TAR
Parma 07.04.1998 n. 149).
Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al
tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie,
dalla data di ricezione da parte del Comune (9.08.2011)
della richiesta di restituzione inviata dagli odierni
ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente
dato luogo ad una complessa ed articolata attività
amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non
significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche
in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.
In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla
restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo,
della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale
a partire dal 09.08.2011 all’effettivo soddisfo, con
conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di
tali importi
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 18.01.2013 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 4 della legge 10 del 1977,
vigente all’epoca, disponeva, infatti, al terzo comma che
“nell’atto di concessione sono indicati i termini di inizio
e di ultimazione dei lavori”, nel mentre nel susseguente
quarto comma disponeva che “il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno”, che “il termine
di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile
o agibile, non può essere superiore a tre anni”, e
disciplinava quindi le ipotesi di proroga della concessione
stessa.
Nel quinto comma disponeva –altresì– che “qualora i lavori
non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario
deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova
concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la
parte non ultimata”, nel mentre nel sesto comma, quale norma
di chiusura del “sistema”, stabiliva che la concessione era
“irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi
della presente legge” e le sanzioni previste dall'articolo
15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale contesto, non
ravvisandosi la presenza di una norma che imponesse
l’emanazione di un provvedimento di decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio dei lavori, la stessa si è verificata di diritto a
seguito dell’infruttuoso decorso del termine prefissato.
Nel caso di specie, l’originaria concessione edilizia è,
infatti, decaduta di diritto, non avendo la concessionaria
iniziato ed ultimato il basso fabbricato nei termini
stabiliti.
L’art. 4 della legge 10 del 1977, vigente all’epoca,
disponeva, infatti, al terzo comma che “nell’atto di
concessione sono indicati i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori”, nel mentre nel susseguente quarto
comma disponeva che “il termine per l’inizio dei lavori non
può essere superiore ad un anno”, che “il termine di
ultimazione, entro il quale l’opera deve essere abitabile o
agibile, non può essere superiore a tre anni”, e
disciplinava quindi le ipotesi di proroga della concessione
stessa.
Nel quinto comma disponeva –altresì– che “qualora i lavori
non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario
deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova
concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la
parte non ultimata”, nel mentre nel sesto comma, quale norma
di chiusura del “sistema”, stabiliva che la concessione era
“irrevocabile, fatti salvi i casi di decadenza ai sensi
della presente legge” e le sanzioni previste dall'articolo
15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale contesto, non
ravvisandosi la presenza di una norma che imponesse
l’emanazione di un provvedimento di decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio dei lavori, la stessa si è verificata di diritto a
seguito dell’infruttuoso decorso del termine prefissato (in
termini C.d.S., IV, 18.05.2012, n. 2915).
La concessionaria avrebbe dovuto, pertanto, munirsi di un
nuovo titolo edilizio e non limitarsi a chiedere, nell’anno
2001, il nulla osta per la costruzione al Presidente della
IV Circoscrizione ovvero ad un soggetto privo di specifiche
competenze in materia.
Ne deriva, conseguentemente, che anche l’affidamento dalla
medesima riposto sull’assentibilità delle opere realizzate e
soprattutto sulla possibilità di mantenerle in essere deve
ritenersi non meritevole di tutela.
L’affidamento tutelabile è, infatti, unicamente quello
incolpevole e tale non può ritenersi quello di colui che ha
realizzato un’opera edilizia in assenza dei prescritti
titoli autorizzativi, viepiù quando, come nel caso di
specie, l’Amministrazione, sin dalla fase dell’esecuzione,
ha evidenziato al soggetto interessato la presunta
violazione alle norme urbanistico-edilizie (vedi relazione
Polizia Municipale in data 15.05.2003 – all. 3 fascicolo
doc. Comune) e a soli tre anni di distanza lo ha diffidato a
demolire le opere realizzate in assenza di concessione
edilizia e a ripristinare lo stato dei luoghi (vedi provv.
14.06.2006 – all. 1 fascicolo ricorrente), previo
diniego del permesso di costruire in sanatoria nel frattempo
dallo stesso invocato (vedi provv. 19.12.2005 – all. 2
fascicolo cit.).
Non pare, dunque, condivisibile l’assunto della ricorrente,
secondo il quale sarebbe stata la stessa Amministrazione ad
indurla a confidare sulla legittimità del proprio operato
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 18.01.2013 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
novembre 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
In via di principio, l’atto dovuto è a contenuto
vincolato per cui non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento ai sensi dell'art. 7 della l. n. 241 del
1990, poiché alcun apporto collaborativo potrebbe dare la
partecipazione del ricorrente al procedimento conclusosi con
il provvedimento impugnato.
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo
edilizio, per la sua natura di atto urgente e dovuto, è
espressione di un potere strettamente vincolato, non
implicante quindi valutazioni discrezionali, ma meri
accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di
avvio del procedimento .
Esso provvedimento, essendo fondato su un presupposto di
fatto rientrante nella sfera di controllo dell'interessato,
non richiede apporti partecipativi del soggetto
destinatario, il quale, in relazione alla disciplina
tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la
preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino
di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene,
in ogni caso, posto in condizione di interloquire con
l'Amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di
rimozione d'ufficio delle opere abusive.
Il giudizio in esame verte sulla richiesta, formulata dal
Comune di Cariati, di annullamento della sentenza del TAR in
epigrafe specificata, con la quale è stato accolto il
ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento del
funzionario responsabile dell’Ufficio urbanistica del
Comune, del 09.06.2000, prot. 1/B, di annullamento della
concessione edilizia n. 25 rilasciata il 18.06.1999 alla
sig.ra Giuseppina Liguori per la costruzione di una cappella
gentilizia nel locale cimitero.
Con il primo motivo di appello è stato dedotto che
erroneamente il TAR avrebbe ritenuto che il provvedimento
impugnato fosse viziato dalla mancata partecipazione della
deducente al procedimento conclusosi con l’atto di
annullamento impugnato, perché questo costituiva un atto
necessitato volto alla celere e doverosa attività di
autotutela dell’Ente, conseguente all’avvenuto esame, da
parte della Commissione edilizia, nella seduta del
14.03.2000, di una richiesta di variante alla concessione
edilizia n. 25/1999 rilasciata alla sig.ra Giuseppina
Liguori, dal quale era risultato che il progetto allegato
alla originaria richiesta di concessione edilizia era
difforme dalla planimetria redatta dall’ufficio Tecnico
comunale (cui, secondo la deliberazione di rilascio della
concessione, avrebbe dovuto conformarsi per il corretto
sviluppo dell’area cimiteriale), prevedendo l’ingombro anche
del viale cimiteriale.
Non sarebbe quindi sussistita alcuna violazione dell’art. 7
della l. n. 241/1990, perché la particolarità della
situazione imponeva la Comune di attivarsi con la massima
celerità, con conseguente impossibilità di avviare la
procedura di partecipazione della parte al procedimento, che
avrebbe consentito la ultimazione dell’opera prevista in
detta concessione.
Comunque la sig.ra Liguori sarebbe stata messa in condizione
di partecipare al procedimento, essendo stata ripetutamente
invitata dall’Ufficio Tecnico comunale a partecipare a
sedute di revisione della sua pratica.
La suddetta non avrebbe potuto ignorare le reali intenzioni
dell'Amministrazione, essendo a conoscenza che la
deliberazione del Comune n. 46 del 1997, in base alla quale
le era stata rilasciata la concessione edilizia, imponeva di
allegare il progetto di realizzazione dell'opera in termini
conformi a quanto stabilito nella planimetria redatta dall’U.T.C..
Con il secondo motivo di gravame è stato dedotto che
il TAR non avrebbe considerato che la astratta previsione
della partecipazione del privato al procedimento
amministrativo prevista dall’art. 7 della l. n. 241/1990 non
può essere applicata meccanicamente e formalisticamente, se
l’atto, come nel caso di specie, ha raggiunto lo scopo, né
avrebbe tenuto conto della circostanza che detta
partecipazione ha senso solo quando il provvedimento da
adottare implichi valutazioni discrezionali o di circostanze
di fatto suscettibili di vario apprezzamento, ma non quando,
come nel caso di specie, la difformità totale dell’opera dal
piano comunale implicava l’annullamento della concessione
quale atto dovuto.
Considera la Sezione che, in via di principio, l’atto dovuto
è a contenuto vincolato per cui non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7
della l. n. 241 del 1990, poiché alcun apporto collaborativo
potrebbe dare la partecipazione del ricorrente al
procedimento conclusosi con il provvedimento impugnato.
Il provvedimento di pronuncia di decadenza del titolo
edilizio, per la sua natura di atto urgente e dovuto, è
espressione di un potere strettamente vincolato, non
implicante quindi valutazioni discrezionali, ma meri
accertamenti tecnici, senza necessità della comunicazione di
avvio del procedimento .
Esso provvedimento, essendo fondato su un presupposto di
fatto rientrante nella sfera di controllo dell'interessato,
non richiede apporti partecipativi del soggetto
destinatario, il quale, in relazione alla disciplina
tipizzata dei procedimenti repressivi, contemplante la
preventiva contestazione dell'abuso, ai fini del ripristino
di sua iniziativa dell'originario assetto dei luoghi, viene,
in ogni caso, posto in condizione di interloquire con
l'Amministrazione prima di ogni definitiva statuizione di
rimozione d'ufficio delle opere abusive.
Il Collegio ritiene, sulla base di tali principi, di non
poter condividere le conclusioni cui è pervenuto il Giudice
di prime cure, che (dopo aver affermato preliminarmente la
doverosità del coinvolgimento partecipativo del privato
all’attività istruttoria dell’Amministrazione procedente,
quando l’Amministrazione debba valutare la sussistenza dei
presupposti per l’annullamento o la revoca di un previo atto
adottato, e dopo aver evidenziato che con l’atto impugnato,
almeno in parte, l’Amministrazione aveva manifestato la
volontà di annullamento, in sede di autotutela, della
concessione edilizia n. 25 rilasciata alla ricorrente in
data 18.06.1999) ha asserito che il provvedimento di
annullamento adottato dal Comune era viziato dalla
violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, poiché la
ricorrente (del tutto ignara delle reali intenzioni
dell’Amministrazione, dal momento che aveva richiesto, con
istanza, l’approvazione di una variante al primo progetto
realizzativo già assentito con la concessione n. 25 del
1999) aveva poi ottenuto una diversa risposta
dall’Amministrazione, cioè l’annullamento, senza essere
posta in grado di partecipare al relativo procedimento.
Non solo, infatti, la natura di atto vincolato di detto atto
di ritiro esclude la necessità della previa comunicazione
dell'avvio del procedimento, ma risulta invero da
documentazione versata in atti che la sig.ra Liguori è stata
più volte invitata a presenziare all’esame della pratica
edilizia n. 65/1999 dalla Commissione Edilizia Comunale (in
particolare con nota prot. n. 407-3143 del 03.03.2000 le è
stata comunicata l’acquisizione di copia della planimetria
originale del terreno su cui era prevista la costruzione
della cappella de qua), sicché, se avesse partecipato
alle sedute in questione, avrebbe potuto rendersi conto che,
in sede di esame della richiesta di variante (n. 65/1999)
alla concessione edilizia n. 25/1999, erano emersi elementi
tecnici relativi alla difformità del progetto allegato alla
originaria richiesta di concessione edilizia dalla
planimetria redatta dall’ufficio Tecnico comunale; il che
non poteva avere altra conseguenza che l’annullamento della
originaria concessione.
Le esaminate censure contenute nell’atto di appello sono
quindi fondate e vanno accolte
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2012 n. 5691 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La posizione giuridica del soggetto che presenta un esposto
al comune chiedendo che venga dichiarato decaduto un
permesso di costruire.
Il TAR Veneto, Sez. II, con l’ordinanza
25.10.2012 n. 644, chiarisce come, coloro che presentano
un esposto al Comune, chiedendo l’accertamento della
decadenza del permesso di costruire del vicino, per mancato
inizio dei lavori entro l’anno, non sono da considerarsi
ex se come controinteressati: “gli odierni
ricorrenti, in qualità di presentatori dell’esposto da cui
ha preso avvio l’attività di controllo da parte
dell’amministrazione, non assumono la qualifica di contro
interessati, per cui il Comune, all’esito dei controlli
effettuati, non era tenuto ad effettuare le comunicazioni ai
sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990”.
L’interesse di tali soggetti, infatti, “risulta
soddisfatto dall’avvio dei controlli effettuati
dall’amministrazione, essendo rimessa alla valutazione della
stessa, all’esito degli accertamenti operati, l’adozione del
provvedimento di decadenza del permesso di costruire”.
Il TAR conferma le considerazione già espresse in un caso
analogo: “Premesso che l’art. 10-bis, l. n. 241 del 1990
risulta applicabile ai soli atti a istanza di parte, in
materia di decadenza (nella specie: decadenza da permesso di
costruire) e con riguardo al caso in cui l’azione d’ufficio
sia eccitata da un terzo mediante diffida, posto che la
pronuncia di decadenza si configura come atto d’ufficio la
diffida ha la sola funzione di far determinare
l’amministrazione all’adozione del provvedimento, ma una
volta che questa abbia autonomamente deciso di avviare il
procedimento di decadenza e, acquisite le deduzioni delle
parti interessate, decida per l’archiviazione dello stesso,
la posizione del diffidante è del tutto recessiva per non
dire irrilevante di fronte all’azione pubblica; in altri
termini due sono i procedimenti, quello cui mira la diffida
e quello deciso dalla p.a.; la pretesa del diffidante è
dunque soddisfatta con l’avvio del procedimento di
decadenza, le cui vicende sono tuttavia governate
esclusivamente dalla amministrazione, la quale richieste le
deduzioni delle parti si determina discrezionalmente; non
deve dunque essere attivato il sub procedimento dell’art.
10-bis della legge n. 241 del 1990 comportante il preavviso
di diniego per consentire così agli stessi istanti di
controdedurre ulteriormente (fattispecie relativa a
richiesta di adozione di decadenza dal permesso di costruire
, il cui procedimento, avviato a seguito di diffida, si era
concluso con un’archiviazione)” (TAR Veneto, Venezia,
sez. II, 14.11.2008, n. 3550) (link a http://venetoius.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Come si evince dall’art. 15, comma 2, del D.P.R.
n. 380/2001 che dispone la decadenza “di diritto” dal
permesso di costruire per mancato inizio dei lavori nel
termine di un anno dal rilascio dello stesso, il
provvedimento dichiarativo di decadenza ha natura
ricognitiva e si concreta in un atto d’accertamento il cui
effetto nasce ex lege, conseguendone che siffatto effetto
può essere evitato, come la medesima disposizione
legislativa prevede, solo a seguito dell’accoglimento della
domanda di proroga dell’efficacia del titolo di assentimento
inoltrata anteriormente alla scadenza dello stesso.
Si deve, poi, osservare che, come si evince dall’art. 15,
comma 2, del D.P.R. n. 380/2001 che dispone la decadenza “di
diritto” dal permesso di costruire per mancato inizio
dei lavori nel termine di un anno dal rilascio dello stesso,
il provvedimento dichiarativo di decadenza ha natura
ricognitiva e si concreta in un atto d’accertamento il cui
effetto nasce ex lege (Cfr. Cons. di Stato – Sez. IV
– 10/08/2007 n. 4423; TAR - Liguria – GE – Sez. I –
11/12/2007 n. 2050), conseguendone che siffatto effetto può
essere evitato, come la medesima disposizione legislativa
prevede, solo a seguito dell’accoglimento della domanda di
proroga dell’efficacia del titolo di assentimento inoltrata
anteriormente alla scadenza dello stesso, circostanza questa
non verificatasi nel caso in esame (TAR Campania-Salerno,
Sez. II,
sentenza 19.10.2012 n. 1900 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
G. Ferrari,
EFFICACIA TEMPORALE E DECADENZA DEL PERMESSO DI COSTRUIRE
(12.10.2012 - link a www.lexambiente.it). |
settembre 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA: M.
Acquasaliente,
Note sulla decadenza del permesso di costruire
(17.09.2012 - link a www.venetoius.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
M. Grisanti,
Non ultimare le opere edili nei termini prescritti da leggi,
regolamenti e/o permesso di costruire è reato? (10.09.2012
- link a www.lexambiente.it). |
luglio 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Al fine dell’emissione del
provvedimento di decadenza di un permesso di
costruire per inosservanza del termine di
ultimazione dei lavori occorre solo
accertare il fatto obiettivo della mancata
ultimazione dell’opera nel triennio e
constatare che non sussistono cause che
rendano giustificabile l’inadempimento per
elementi ostativi non addebitabili
all’interessato.
Con il provvedimento
impugnato il Comune di Sant'Antimo ha
dichiarato la decadenza della concessione
rilasciata al ricorrente il 23.10.2009,
avendo accertato il mancato inizio dei
lavori nel termine perentorio di un anno e
comunque il loro mancato completamento entro
il triennio successivo.
L’istante sostiene che il ritardo
nell’inizio dell’esecuzione dei lavori
sarebbe dovuto al tardivo rilascio della
autorizzazione sismica da parte del Settore
provinciale del Genio Civile della Regione
Campania, che pertanto dovrebbe essere
considerato alla stregua di un factum principis, che avrebbe dovuto impedire la
pronuncia di decadenza.
La questione ha carattere assorbente in
quanto attiene all'esistenza del presupposto
per l'esercizio del potere.
Dalla documentazione versata agli atti del
giudizio risulta, in particolare, che in
data 31.03.2010 l’interessato ha chiesto
al Settore provinciale del genio Civile
della Regione Campania, l’autorizzazione
sismica necessaria per dare inizio ai lavori
per realizzare i parcheggi interrati pertinenziali e che l’autorizzazione sismica
è stata rilasciata il 19.10.2010 e
comunicata al ricorrente il successivo
3.11.2010.
Appare evidente quindi che, in assenza della
predetta autorizzazione l’interessato non
avrebbe potuto iniziare i lavori, per cui
buona parte del periodo considerato
dall’art. 15 del d.P.R. 380/2001 ai fini
dell’inizio dei lavori (circa sette mesi su
dodici) è trascorso in attesa di un atto
prodromico il cui rilascio era rimasto
sottratto alla volontà dell’interessato.
Orbene la presentazione dei calcoli
strutturali all’Ufficio provinciale del
genio civile, di cui l’amministrazione aveva
contezza perché prevista tra le condizioni
generali del permesso di costruire n.
145/2006 e la conseguente attesa per il
rilascio della autorizzazione sismica senza
la quale i lavori non sarebbero potuti
iniziare (come evidenziato dallo stesso
Ufficio provinciale del Genio Civile
all’interessato nella nota prto. 2010 del
24.6.2010) indubbiamente rappresentano un
impedimento assoluto alla esecuzione delle
opere.
L’impedimento, inoltre, non è riferibile
alla condotta del ricorrente, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini,
previsti dall'art. 4, comma 4, della l. 28.01.1977, n. 10.
Al riguardo la giurisprudenza amministrativa
ha costantemente affermato che, al fine
dell’emissione del provvedimento di
decadenza di un permesso di costruire per
inosservanza del termine di ultimazione dei
lavori occorre solo accertare il fatto
obiettivo della mancata ultimazione
dell’opera nel triennio e constatare che non
sussistono cause che rendano giustificabile
l’inadempimento per elementi ostativi non
addebitabili all’interessato
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 06.07.2012 n. 3258 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
INIZIO DEI LAVORI DI COSTRUZIONE E MOMENTO
IDENTIFICATIVO.
Si configura inizio di lavori di
costruzione ogni volta che le opere intraprese, di qualsiasi
tipo esse siano e quale che sia lo loro entità, manifestino
oggettivamente un’effettiva volontà di realizzare un
manufatto. Il proposito criminoso si realizza anche nella
fase, necessariamente prodromica e funzionale, dell’armatura
dei pilastri con l’installazione delle gabbie di ferro e
della carpenteria di contenimento.
La Cassazione si pronuncia, con la sentenza in commento,
sulla questione dell’individuazione del momento in cui può
affermarsi, senza rischio di errore percettivo, che siano
effettivamente iniziati i lavori di costruzione di un
immobile abusivo.
La vicenda processuale segue al decreto di sequestro
preventivo di un cantiere e di una rampa di collegamento
stradale; in particolare, al titolare di una s.r.l. era
stato contestato di avere proseguito i lavori, mediante
accumulo di un rilevato di mq. 4.000, alto in media metri
2.5 e costituito da materiale da scavo, nonostante
l’ordinanza di sospensione immediata dei lavori adottata dal
responsabile del Settore servizi tecnici del Comune e di
altra ordinanza di sospensione immediata dei lavori
notificatagli a distanza di pochi mesi dalla prima.
Si contestava, ancora, di avere realizzato, in zona
vincolata, una rampa di collegamento tra due comparti senza
avere conseguito il permesso di costruire e il nullaosta
paesaggistico procedendo anche al taglio di essenze non
protette, non rilevando la presentazione di una SCIA perché
i lavori erano stati eseguiti in zona sottoposta a vincolo
d’inedificabilità e paesaggistico; in particolare, era
irrilevante se la SCIA presentata fosse sostitutiva o
integrativa di quella presentata precedentemente; infine,
era infondata la tesi difensiva che la prodotta
documentazione valesse a caducare l’ordinanza di sospensione
dei lavori, stante la sua reiterazione.
Contro l’ordinanza proponeva ricorso per cassazione,
censurando le argomentazioni dei giudici di merito, in
particolare osservando -per quanto qui di interesse- come la
SCIA successivamente presentata era autonoma e sganciata da
quella presentata in precedenza e che, ancora, non era
ipotizzabile il reato paesaggistico per la natura temporanea
e provvisoria della rampa di collegamento, che al termine
dei lavori sarebbe stata eliminata.
La doglianza difensiva non è stata però accolta dalla
Cassazione.
In particolare, i Supremi Giudici hanno osservato come non
potesse ritenersi fondata l’osservazione del ricorrente,
secondo cui il disvalore penale del costruito va valutato
sul risultato finale perché, per la configurazione del reato
di abuso edilizio, è irrilevante che la costruzione sia
stata completata in ogni sua parte essendo sufficiente il
solo inizio delle opere e delle relative attività
prodromiche (v., in termini: Cass. pen., sez. III,
07.10.1998, n. 10505, in Ced. Cass., n. 211984) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.05.2012 n.
19659 - tratto
da Urbanistica e appalti n. 7-8/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Provvedimento di decadenza del Permesso di
costruire.
La decadenza del titolo edilizio -come si evince peraltro
dalla normativa (v. l’art. 4 della L. 10 del 1977, nella
specie applicabile ratione temporis; v. oggi l’art.
15, comma 2, del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001 n.
380)- consegue dal mero decorso del tempo correlato
all’inattività dell’interessato e non necessita a tal fine
un esplicito provvedimento amministrativo, costitutivo o
dichiarativo.
La pronuncia di decadenza del titolo edilizio è espressione
di un potere strettamente vincolato; ha una natura
ricognitiva, perché accerta il venir meno degli effetti del
titolo edilizio in conseguenza dell’inerzia del titolare,
ovvero della sopravvenienza di una nuova e diversa
strumentazione edilizia, e assume pertanto decorrenza ex
tunc. Inoltre il termine di durata del titolo edilizio
non può mai intendersi automaticamente sospeso, essendo al
contrario sempre necessaria, a tal fine, la presentazione di
una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha
rilasciato il titolo edilizio e che accerti l’impossibilità
del rispetto del termine ab origine fissato, e
solamente nei casi in cui possa ritenersi sopravvenuto un
factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa di
forza maggiore (1).
Nel caso di impugnativa in s.g. del provvedimento di
decadenza di un permesso di costruire per mancato inizio dei
lavori entro il termine annuale, secondo il generale
principio di distribuzione dell’onere della prova di cui al
combinato disposto dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 cod.
proc. civ. –ora espressamente recepito dall’art. 64, comma
1, cod. proc. amm. ma reputato immanente nell’ordinamento
processuale amministrativo, se non altro per quanto attiene
alle ipotesi che come per il caso di specie pertengono alla
giurisdizione esclusiva, anche in epoca antecedente
all’entrata in vigore del nuovo codice di rito (2)– spetta
al ricorrente dedurre che le opere asseritamente realizzate
prima della scadenza del termine annuale fissato per l’avvio
dei lavori erano comunque idonee a dimostrare una sua seria
e concreta volontà di utilizzare il titolo edilizio a lei
rilasciato.
Ai fini della sussistenza dei presupposti per la decadenza
dal permesso di costruire, l’effettivo inizio dei lavori
deve essere valutato non in via generale ed astratta, ma con
specifico e puntuale riferimento all’entità ed alle
dimensioni dell’intervento edilizio così come programmato e
autorizzato, e ciò all' evidente scopo di evitare che il
termine per l’avvio dell’edificazione possa essere eluso con
ricorso a lavori fittizi e simbolici, e quindi non
oggettivamente significativi di un effettivo intendimento
del titolare della concessione stessa di procedere alla
costruzione (3).
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza del
permesso di costruire può ritenersi sussistente quando le
opere intraprese siano tali da evidenziare l’effettiva
volontà di realizzare il manufatto, non essendo a ciò
sufficiente il semplice sbancamento del terreno e la
predisposizione degli strumenti e materiali da costruzione
(4); o, detto altrimenti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola esecuzione dei lavori
di scavo di sbancamento e senza che sia manifestamente messa
a punto l’organizzazione del cantiere e sussistendo altri
indizi che dimostrino il reale proposito di proseguire i
lavori sino alla loro ultimazione (5), con la conseguenza
che la declaratoria di decadenza del permesso di costruire
per mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è
illegittima solo se sono stati perlomeno eseguiti lo scavo
ed il riempimento in conglomerato cementizio delle
fondazioni perimetrali fino alla quota del piano di campagna
entro il termine di legge (6) o se lo sbancamento realizzato
si estenda su di un’area di vaste dimensioni (7).
--------------
(1) Cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV,
10.08.2007, n. 4423 e 18.06.2008 n. 3030
(2) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 07.10.2009
n. 6118
(3) Cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 16.11.1998
n. 1615.
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993 n. 1165.
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242.
(6) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15.10.1992 n. 1006.
(7) Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n. 535 (massima
tratta www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.05.2012 n. 2915 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
pronuncia di decadenza del titolo edilizio è
per certo espressione di un potere
strettamente vincolato; ha una natura
ricognitiva, perché accerta il venir meno
degli effetti del titolo edilizio in
conseguenza dell’inerzia del titolare,
ovvero della sopravvenienza di una nuova e
diversa strumentazione edilizia, e assume
pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il
termine di durata del titolo edilizio non
può mai intendersi automaticamente sospeso,
essendo al contrario sempre necessaria, a
tal fine, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque
seguire un provvedimento da parte della
stessa Amministrazione che ha rilasciato il
titolo edilizio e che accerti
l’impossibilità del rispetto del termine ab
origine fissato, e solamente nei casi in cui
possa ritenersi sopravvenuto un factum principis,
ovvero l’insorgenza di una causa di forza
maggiore.
Ai fini della sussistenza dei presupposti
per la decadenza dalla concessione edilizia,
l’effettivo inizio dei lavori deve essere
valutato non in via generale ed astratta, ma
con specifico e puntuale riferimento
all’entità ed alle dimensioni
dell’intervento edilizio così come
programmato e autorizzato, e ciò al ben
evidente scopo di evitare che il termine per
l’avvio dell’edificazione possa essere eluso
con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e
quindi non oggettivamente significativi di
un effettivo intendimento del titolare della
concessione stessa di procedere alla
costruzione.
L’inizio dei lavori idoneo ad impedire la
decadenza della concessione edilizia può
ritenersi sussistente quando le opere
intraprese siano tali da evidenziare
l’effettiva volontà da di realizzare il
manufatto l’opera, non essendo a ciò
sufficiente il semplice sbancamento del
terreno e la predisposizione degli strumenti
e materiali da costruzione; ovvero, detto
altrimenti, l’inizio dei lavori non è
configurabile per effetto della sola
esecuzione dei lavori di scavo di
sbancamento e senza che sia manifestamente
messa a punto l’organizzazione del cantiere
e sussistendo altri indizi che dimostrino il
reale proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione, con la conseguenza
che la declaratoria di decadenza della
licenza edilizia per mancato inizio dei
lavori entro il termine fissato è
illegittima solo se sono stati perlomeno
eseguiti “lo scavo ed il riempimento in
conglomerato cementizio delle fondazioni
perimetrali fino alla quota del piano di
campagna entro il termine di legge” o se lo
sbancamento realizzato si estende un’area di
vaste dimensioni.
Per quanto attiene alla
questione di fondo che contraddistingue la
causa, ossia se la decadenza del titolo
edilizio consegue dal mero decorso del tempo
correlato all’inattività dell’interessato o
se necessita a tal fine un esplicito
provvedimento amministrativo, costitutivo o
dichiarativo, nella sentenza impugnata si
legge che “l’orientamento giurisprudenziale
sulla necessità di un espresso provvedimento
di decadenza non è costante. … Infatti una
parte della giurisprudenza ritiene che la
decadenza della concessione edilizia per
mancato inizio ed ultimazione dei lavori non
sia automatica e, pertanto, tale decadenza
debba essere necessariamente dichiarata con
apposito provvedimento, nei cui riguardi il
privato non vanta che una posizione
giuridica di interesse legittimo, sicché non
è configurabile nella specie un giudizio
d’accertamento (TAR Abruzzo Pescara, 28.06.2002, n. 595) e che, pertanto,
affinché la concessione edilizia perda, per
decadenza , la propria efficacia occorre un
atto formale dell’Amministrazione che renda
operanti gli effetti della decadenza
accertata (Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612)”, con la conseguenza –quindi– che “la decadenza avrebbe,
pertanto, dovuto formare oggetto di un
apposito provvedimento sindacale, che ne
avesse accertato i presupposti rendendone
operanti gli effetti, come richiesto per
tutti i casi di decadenza di concessioni
edilizie (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez.
V, 15.06.1998, n. 834), considerato che la
perdita di efficacia della concessione è
subordinata all’esplicazione di una potestà provvedimentale” (cfr. pag. 11 e ss. della
sentenza impugnata).
Ad avviso del Collegio, a ragione il giudice
di primo grado ha respinto la tesi testé
riassunta, “in aderenza all’orientamento che
appare prevalente nella materia da ultimo” e
sulla scorta del diretto “riferimento … alla
lettera della legge, la quale fa dipendere
la decadenza, non da un atto amministrativo,
costitutivo o dichiarativo, ma dal semplice
fatto dell’inutile decorso del tempo” (cfr.
ibidem).
Nell’art. 4 della L. 10 del 1977, vigente
all’epoca dei fatti di causa, si disponeva
infatti al terzo comma che “nell’atto di
concessione sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori”, nel
mentre nel susseguente sua quarto comma si
disponeva che “il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno”,
che “il termine di ultimazione, entro il
quale l’opera deve essere abitabile o
agibile, non può essere superiore a tre
anni”, e si disciplinavano quindi le ipotesi
di proroga della concessione stessa.
Nel quinto comma si disponeva –altresì–
che “qualora i lavori non siano ultimati nel
termine stabilito, il concessionario deve
presentare istanza diretta ad ottenere una
nuova concessione; in tal caso la nuova
concessione concerne la parte non ultimata”,
nel mentre nel sesto comma era stata
introdotta una norma di chiusura del
“sistema”, in forza della quale la
concessione era “irrevocabile, fatti salvi i
casi di decadenza ai sensi della presente
legge” e le sanzioni previste dall'articolo
15 della stessa.
Risulta ben evidente, pertanto, che in tale
contesto non era ravvisabile la presenza di
una norma che imponesse l’emanazione di un
provvedimento al riguardo, posto che la
legge stessa disciplinava in via diretta la
durata della concessione e, in via
tassativa, le ipotesi per ottenerne la
proroga: con la conseguenza, quindi, che la
decadenza della concessione edilizia per
mancata osservanza del termine di inizio dei
lavori operava di diritto e che il
provvedimento pronunciante la decadenza, ove
adottato, aveva carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi “ex
se” , in via diretta,con l’infruttuoso
decorso del termine prefissato.
Va opportunamente denotato che tale assetto
delle cose permane anche nell’attuale
disciplina contenuta nell’art. 15, comma 2,
del T.U. approvato con D.P.R. 06.06.2001
n. 380, laddove si dispone, in tema di
rilascio del permesso di costruire ma in via
ancor più puntuale, che “il termine per
l’inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno dal rilascio del titolo; quello
di ultimazione, entro il quale l’opera deve
essere completata non può superare i tre
anni dall'inizio dei lavori. Entrambi i
termini possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini
il permesso decade di diritto per la parte
non eseguita, tranne che, anteriormente alla
scadenza venga richiesta una proroga. La
proroga può essere accordata, con
provvedimento motivato, esclusivamente in
considerazione della mole dell’opera da
realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive.”.
L’adesione all’orientamento maggioritario
della giurisprudenza trova conforto nella
notazione –puntualmente svolta dal giudice
di primo grado– secondo la quale,
diversamente opinando, si farebbe dipendere
la decadenza non solo da un comportamento
dei titolari della concessione ma anche
della Pubblica Amministrazione che potrebbe
–quindi– in taluni casi adottare un
provvedimento espresso e in altri casi no,
con non evanescenti ipotesi di disparità di
trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presentano tuttavia identiche
sul punto di fondo che qui segnatamente
interessa.
Tale constatazione toglie, pertanto, per se
stessa pregio alle surriportate obiezioni
dell’appellante secondo le quali
risulterebbe problematico configurare la
sopravvenuta caducazione dei permessi di
costruire in assenza di un atto espresso in
tal senso, ancorché avente natura
dichiarativa, ovvero si ingenererebbero
incertezze nei rapporti tra privati e,
ancora, conseguenze inaccettabili.
Semmai, proprio il diretto riferimento dei
termini e delle conseguenze per la loro
violazione alla previsione di legge elimina
in radice –come detto innanzi– ogni
ipotesi di disparità di trattamento, e la
necessità dell’applicazione del regime
sanzionatorio per i lavori eseguiti dopo il
decorso del termine stabilito dal titolo
edilizio è, a sua volta, conseguenza
necessitata -e non già “inaccettabile”-
della violazione da parte dell’interessato
di puntuali obblighi a lui commessi dalla
stessa legge.
Deve dunque concludersi sul punto che la
pronuncia di decadenza del titolo edilizio è
per certo espressione di un potere
strettamente vincolato; ha una natura
ricognitiva, perché accerta il venir meno
degli effetti del titolo edilizio in
conseguenza dell’inerzia del titolare,
ovvero della sopravvenienza di una nuova e
diversa strumentazione edilizia, e assume
pertanto decorrenza ex tunc; inoltre il
termine di durata del titolo edilizio non
può mai intendersi automaticamente sospeso,
essendo al contrario sempre necessaria, a
tal fine, la presentazione di una formale
istanza di proroga, cui deve comunque
seguire un provvedimento da parte della
stessa Amministrazione che ha rilasciato il
titolo edilizio e che accerti
l’impossibilità del rispetto del termine ab
origine fissato, e solamente nei casi in cui
possa ritenersi sopravvenuto un factum principis, ovvero l’insorgenza di una causa
di forza maggiore (cfr. al riguardo, ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423 e 18.06.2008 n. 3030).
Circa l’allegazione dell’attuale
appellante secondo la quale non sarebbe
stata nella specie ottemperata
dall’Amministrazione Comunale l’ordinanza
istruttoria emanata dal giudice di primo
grado al fine di acquisire agli atti di
causa, tra l’altro, copia del verbale del
sopralluogo asseritamente effettuato
dall’Ufficio Tecnico Comunale in data 27.02.1998 e che pertanto non
risulterebbe comprovato nella sua
materialità l’assunto del Comune medesimo
secondo il quale i lavori non sarebbero
nella specie regolarmente iniziati, il
Collegio –per parte propria– non può non
evidenziare che, secondo il generale
principio di distribuzione dell’onere della
prova di cui al combinato disposto dell’art.
2697 c.c. e dell’art. 115 cod. proc. civ. –ora espressamente recepito dall’art. 64,
comma 1, cod. proc. amm. ma reputato
immanente nell’ordinamento processuale
amministrativo, se non altro per quanto
attiene alle ipotesi che come per il caso di
specie pertengono alla giurisdizione
esclusiva, anche in epoca antecedente
all’entrata in vigore del nuovo codice di
rito (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato,
Sez. V, 07.10.2009 n. 6118)– competeva
all’attuale appellante dedurre che le opere
da lei asseritamente realizzate prima della
scadenza del termine annuale fissato per
l’avvio dei lavori erano comunque idonee a
dimostrare una sua seria e concreta volontà
di utilizzare il titolo edilizio a lei
rilasciato.
Al riguardo, risulta corretta la notazione
di fondo del primo giudice secondo la quale
tra i “modesti sbancamenti di terreno oramai
ricoperti di acqua e vegetazione”
testualmente riferiti dall’Amministrazione
Comunale in esito al sopralluogo da essa
effettuato e i lavori affermati come già
eseguiti dalla Jaconelli in sede di
richiesta di riesame del primo diniego di
proroga a lei opposto (“picchettatura del
terreno interessato dalla costruzione,
livellamento del medesimo terreno al livello
delle fondazioni, creazione degli scavi per
il getto dei plinti di fondazione di
entrambi gli assentiti edifici,
realizzazione della strada di accesso”) non
esiste, in realtà, un reale contrasto.
Al di là del diverso impianto descrittivo
delle due rappresentazioni di fatto, ben si
evince infatti che secondo entrambe le tesi
poste a raffronto i lavori in questione si
sono fermati al livello dello sbancamento
dei terreni e della loro preparazione
all’edificazione, senza che quest’ultima
possa effettivamente reputarsi come in
concreto iniziata.
Come è ben noto, ai fini della sussistenza
dei presupposti per la decadenza dalla
concessione edilizia, l’effettivo inizio dei
lavori deve essere valutato non in via
generale ed astratta, ma con specifico e
puntuale riferimento all’entità ed alle
dimensioni dell’intervento edilizio così
come programmato e autorizzato, e ciò al ben
evidente scopo di evitare che il termine per
l’avvio dell’edificazione possa essere eluso
con ricorso a lavori fittizi e simbolici, e
quindi non oggettivamente significativi di
un effettivo intendimento del titolare della
concessione stessa di procedere alla
costruzione (cfr. sul punto, ad es., Cons.
Stato, Sez. V, 16.11.1998 n. 1615).
Sempre in tal senso, l’inizio dei lavori
idoneo ad impedire la decadenza della
concessione edilizia può ritenersi
sussistente quando le opere intraprese siano
tali da evidenziare l’effettiva volontà da
di realizzare il manufatto l’opera, non
essendo a ciò sufficiente il semplice
sbancamento del terreno e la predisposizione
degli strumenti e materiali da costruzione
(così Cons. Stato, Sez. V, 22.11.1993
n. 1165); ovvero, detto altrimenti, l’inizio
dei lavori non è configurabile per effetto
della sola esecuzione dei lavori di scavo di
sbancamento e senza che sia manifestamente
messa a punto l’organizzazione del cantiere
e sussistendo altri indizi che dimostrino il
reale proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 03.10.2000 n. 5242), con la
conseguenza che la declaratoria di decadenza
della licenza edilizia per mancato inizio
dei lavori entro il termine fissato è
illegittima solo se sono stati perlomeno
eseguiti “lo scavo ed il riempimento in
conglomerato cementizio delle fondazioni
perimetrali fino alla quota del piano di
campagna entro il termine di legge” (Cons.
Stato, Sez. V, 15.10.1992 n. 1006) o se
lo sbancamento realizzato si estende un’area
di vaste dimensioni (Cons. Stato, Sez. V, 13.05.1996 n. 535): circostanze, queste
ultime, non comprovate nella specie dalla Jaconelli
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.05.2012 n. 2915 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 15, co. 2, d.P.R. n. 380/2001, “Il termine per l'inizio
dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo”. Dunque, non è
previsto un termine “minimo” a favore del
privato per l’inizio dei lavori; la legge
prevede solo un termine “massimo”, nel senso
che l’Amministrazione non può, nel permesso
di costruire, fissare un termine superiore
ad un anno per l’inizio dei lavori.
Il "cantieramento" dell'intervento deve
concretarsi nell'effettivo inizio dei lavori
tramite impianto del cantiere, secondo i
criteri ordinariamente utilizzati per
rilevare il rispetto dei termini di inizio e
fine dei lavori di cui alla concessione
edilizia, previsti dall'art. 15, d.P.R. n.
380 del 2001.
La mera esecuzione di lavori di sbancamento
è, di per sé, inidonea per ritenere
soddisfatto il presupposto dell'effettivo
"inizio dei lavori" entro il termine di un
anno dal rilascio del permesso di costruire
a pena di decadenza del titolo abilitativo
(art. 15, d.P.R. 06.06.2001, n. 380),
essendo necessario, al fine di escludere la
configurabilità del reato di costruzione
abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato
dalla compiuta organizzazione del cantiere e
da altri indizi idonei a confermare
l'effettivo intendimento del titolare del
permesso di costruire di realizzare l'opera
assentita (in motivazione la Corte ha
precisato che detti indizi consistono
nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti,
nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di
scavi coordinati al gettito delle fondazioni
del costruendo edificio).
Ai sensi dell’art. 15, co. 2, d.P.R. n. 380/2001, “Il termine per l'inizio
dei lavori non può essere superiore ad un
anno dal rilascio del titolo”. Dunque, non è
previsto un termine “minimo” a favore del
privato per l’inizio dei lavori; la legge
prevede solo un termine “massimo”, nel senso
che l’Amministrazione non può, nel permesso
di costruire, fissare un termine superiore
ad un anno per l’inizio dei lavori. Ne
consegue che l’Amministrazione ben può
fissare un termine inferiore ad un anno; nel
caso di specie, la parte ricorrente contesta
la legittimità del termine in concreto
concesso perché inferiore ad un anno, ma
tale censura –atteso la lettera della legge– deve ritenersi infondata.
Soprattutto, anche ammesso il termine in
concreto concesso fosse troppo esiguo, e
dunque contestabile sotto i profili della
ragionevolezza e della correttezza che deve
comunque caratterizzare i rapporti tra p.a.
e soggetto privato, il provvedimento
impugnato deve comunque ritenersi
sostanzialmente non censurabile, ai sensi
dell’art. 21-octies, co. 2, l. n. 241/1990.
Infatti, l’Amministrazione –pur avendo
fissato un termine di un solo giorno per
l’inizio dei lavori– ha eseguito il
controllo oltre un anno dopo (in data
24.06.2010), riscontrando che non solo non
erano iniziati i lavori, ma che l’area era
utilizzata come parcheggio e ricoveri di
auto e camion (tanto che l’area era stata
pavimentata): il che significa che,
quand’anche fosse stato concesso un termine
di un anno, la ricorrente non lo avrebbe
comunque rispettato; e che, anzi, la
ricorrente non ha avuto alcuna seria
intenzione di iniziare davvero i lavori
autorizzati. In altri termini, riscontrato
che –oltre un anno dopo il rilascio del
permesso di costruire– i lavori non erano
iniziati, né avrebbero potuto iniziare in un
prossimo futuro (atteso il diverso utilizzo
dell’area), non si vede come
l’Amministrazione potesse non adottare un
provvedimento di decadenza del permesso di
costruire.
Poiché non vi è stato alcun effettivo inizio
dei lavori, appare superfluo chiarire cosa
debba intendersi per “cantieramento”;
comunque, anche sul tale punto devono
ritenersi infondate le osservazioni di parte
ricorrente: come già ritenuto da questa
Sezione, “Il "cantieramento" dell'intervento
(in relazione al quale inizia a decorrere il
termine quinquennale di cui all'art. 125
della Variante generale al p.r.g. del Comune
di Napoli) deve concretarsi nell'effettivo
inizio dei lavori tramite impianto del
cantiere, secondo i criteri ordinariamente
utilizzati per rilevare il rispetto dei
termini di inizio e fine dei lavori di cui
alla concessione edilizia, previsti
dall'art. 15, d.P.R. n. 380 del 2001” (Tar
Campania, Napoli, sez. IV, n. 28002/2010).
Anche secondo la Cassazione penale “La mera
esecuzione di lavori di sbancamento è, di
per sé, inidonea per ritenere soddisfatto il
presupposto dell'effettivo "inizio dei
lavori" entro il termine di un anno dal
rilascio del permesso di costruire a pena di
decadenza del titolo abilitativo (art. 15, d.P.R.
06.06.2001, n. 380), essendo
necessario, al fine di escludere la
configurabilità del reato di costruzione
abusiva, che lo sbancamento sia accompagnato
dalla compiuta organizzazione del cantiere e
da altri indizi idonei a confermare
l'effettivo intendimento del titolare del
permesso di costruire di realizzare l'opera
assentita (in motivazione la Corte ha
precisato che detti indizi consistono
nell'impianto del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti,
nell'elevazione di muri e nell'esecuzione di
scavi coordinati al gettito delle fondazioni
del costruendo edificio)”: così Cass. Pen.
Sez. III, n. 7114/2010
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza
14.05.2012 n.
2225 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Per accertare se
sussistono o meno i presupposti per la
decadenza di un permesso di costruire o di
una concessione edilizia l'effettivo inizio
dei lavori deve essere valutato non in via
generale ed astratta, ma con specifico
riferimento all'entità ed alle dimensioni
dell'intervento edificatorio programmato ed
autorizzato, all'evidente scopo di evitare
che il termine prescritto possa essere eluso
con ricorso a lavori fittizi e simbolici e
non oggettivamente significativi di un
effettivo intendimento del titolare della
concessione di procedere alla realizzazione
dell'opera assentita.
Si afferma condivisibilmente in giurisprudenza che “Per accertare se
sussistono o meno i presupposti per la
decadenza di un permesso di costruire o di
una concessione edilizia l'effettivo inizio
dei lavori deve essere valutato non in via
generale ed astratta, ma con specifico
riferimento all'entità ed alle dimensioni
dell'intervento edificatorio programmato ed
autorizzato, all'evidente scopo di evitare
che il termine prescritto possa essere eluso
con ricorso a lavori fittizi e simbolici e
non oggettivamente significativi di un
effettivo intendimento del titolare della
concessione di procedere alla realizzazione
dell'opera assentita” (cfr. T.A.R Abruzzo
Pescara, sez. I, 29.03.2011, n. 193).
Proprio l’assai ridotta consistenza dello
scavo realizzato (mq. 6 per una profondità
di cm. 90), peraltro unico intervento
riscontrato nell’area di cantiere, rispetto
a quello programmato (mq. 250 per una
profondità di mt. 9,00) non consente di
configurare un effettivo inizio dei lavori
secondo i criteri enucleati in
giurisprudenza.
Né può assumere l’auspicato
rilievo la circostanza del ridotto lasso
temporale intercorrente tra la data di
rilascio del permesso di costruire
(11.03.2010) e l’entrata in vigore delle
nuove disposizioni del P.U.C. (13.03.2010)
in quanto essa può al più rilevare
nell’ambito di un giudizio di colpevolezza
che non ha diritto di cittadinanza rispetto
al dato obiettivo -il solo preso in
considerazione dalla norma di cui all’art.
15, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001,- del
mancato inizio dei lavori quale causa ex
se giustificativa ai fini della
decadenza del permesso di costruire in caso
di sopravvenienza di contrastanti
disposizioni urbanistiche (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 24.04.2012 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2012 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 15 secondo comma, del T.U.
06.06.2001 n. 380 (che
peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra
l’altro, che decorsi i termini di durata del
permesso di costruire “il permesso decade di
diritto per la parte non eseguita”
espressamente prevede che, in via di
eccezione, i termini di durata (dell’allora
licenza ed oggi) del permesso di costruire
“possono essere prorogati ... per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso ...”.
In base a tale norme dunque non può essere
opposto il decorso del termine decadenziale
a colui che non poteva comunque continuare
l’edificazione per un fatto sopravvenuto
estraneo alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata
dall’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue
all’inerzia dell’interessato questa deve essere esclusa se venga
rappresentata la sussistenza di fatti
sopravvenuti che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell’art.
15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, e
queste siano oggetto di valutazione e
verifica in sede amministrativa.
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto
che è illegittimo il provvedimento
dell’Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza della concessione
edilizia allorché sussistano impedimenti
assoluti all’esecuzione dei lavori segnalati
o comunque conosciuti all’Amministrazione e
l’impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini previsti
dall’art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10.
Posto quindi che la scadenza del termine
apposto all’autorizzazione edilizia per
l’avvio dei lavori non determina,
automaticamente, la cessazione di effetti
del provvedimento, ma costituisce soltanto
il presupposto per l’accertamento della
eventuale decadenza dall’autorizzazione
edilizia, le ipotesi di sospensione o
proroga connessi a “factum principis”, forza
maggiore o ad altre cause non riferibili
alla condotta del titolare della concessione
quando assolutamente ostative dei lavori,
producono l’effetto di prolungare
automaticamente il tempo massimo stabilito
per l’esecuzione delle opere.
Nei casi in cui l’amministrazione comunale
<<sia a conoscenza di eventi che hanno
impedito al titolare della concessione
edilizia di ultimare i lavori>>, essa <<non
può adottare un provvedimento di decadenza
della concessione, trovando applicazione,
anche senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei
lavori per fatti estranei alla volontà del
concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro
esecuzione.
... deve tuttavia evidenziarsi come la
giurisprudenza amministrativa abbia ritenuto
che, <<se, come è noto, secondo la regola
generale i termini di decadenza decorrono
per il solo fatto materiale del trascorrere
del tempo, cioè indipendentemente dalle
situazioni soggettive ed oggettive
verificatesi “medio tempore” e dalle quali
sia dipeso l’inutile decorso del termine,
devono esser fatti salvi i casi e le
eccezioni tassativamente previste dalla
legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a
base del provvedimento, l’art. 15 secondo
comma, del T.U. 06.06.2001 n. 380 (che
peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977, n. 10), nel disporre tra
l’altro, che decorsi i termini di durata del
permesso di costruire “il permesso decade di
diritto per la parte non eseguita”
espressamente prevede che, in via di
eccezione, i termini di durata (dell’allora
licenza ed oggi) del permesso di costruire
“possono essere prorogati ... per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso ...”.
In base a tale norme dunque non può essere
opposto il decorso del termine decadenziale
a colui che non poteva comunque continuare
l’edificazione per un fatto sopravvenuto
estraneo alla sua volontà.
Se ordinariamente la decadenza disciplinata
dall’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001 consegue
all’inerzia dell’interessato (arg. ex
Consiglio Stato, IV, 08.02.2008, n.
434) questa deve essere esclusa se venga
rappresentata la sussistenza di fatti
sopravvenuti che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell’art.
15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, e queste
siano oggetto di valutazione e verifica in
sede amministrativa (cfr. Consiglio Stato,
IV, 10.08.2007, n. 4423).
[…]
La giurisprudenza ha concordemente ritenuto
che è illegittimo il provvedimento
dell’Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza della concessione
edilizia allorché sussistano impedimenti
assoluti all’esecuzione dei lavori segnalati
o comunque conosciuti all’Amministrazione e
l’impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini previsti
dall’art. 4, comma 4, l. 28.01.1977 n. 10
(cfr. TAR Lazio Roma, II, 15.04.2004,
n. 3297; Consiglio Stato, V, 29.01.2003, n. 453; Consiglio Stato, V, 13.05.1996, n. 535; TAR Liguria Genova, I, 22.06.2007, n. 1200).
Posto quindi che la scadenza del termine
apposto all’autorizzazione edilizia per
l’avvio dei lavori non determina,
automaticamente, la cessazione di effetti
del provvedimento, ma costituisce soltanto
il presupposto per l’accertamento della
eventuale decadenza dall’autorizzazione
edilizia (cfr. Consiglio Stato, V, 18.09.2008, n. 4498), la Sezione non può
che ribadire il proprio precedente
orientamento (ricordato anche dai
ricorrenti) per cui le ipotesi di
sospensione o proroga connessi a “factum principis”, forza maggiore o ad altre cause
non riferibili alla condotta del titolare
della concessione quando assolutamente
ostative dei lavori, producono l’effetto di
prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l’esecuzione delle opere (cfr.
TAR Lazio Roma, II, 24.11.2004, n.
13996)>> (v. TAR Lazio Roma, II, 07.06.2010, n. 15939).
Nel caso di specie, dunque,
sinteticamente ricordata la cronologia degli
eventi e degli atti che portavano infine
alla stipula del contratto (08.11.1999:
rilascio c.e. n. 459; 28.12.1999: ammissione
del progetto al finanziamento da parte del
C.E.R. - Comitato per l’Edilizia
Residenziale; 08.06.2000: l’I.A.C.P. rilevava
che il finanziamento era erroneamente
concesso per lavori di recupero e non,
invece, per la realizzazione ex novo della
struttura; 26.06.2000: la Comunità Airone
chiedeva di rettificare il provvedimento di
finanziamento; 08.11.2000: decreto di
correzione da parte del C.E.R.; 05.12.2000:
comunicazione al Comune che i lavori
sarebbero iniziati il 06.12.2000; 03.12.2002:
non avendo l’IACP ancora espletato la gara,
nuova richiesta di proroga da parte della
Comunità; 28.01.2003: nuovo titolo edilizio;
20.11.2003: stipula del contratto;
04.12.2003: comunicazione inizio lavori; 06.08.2004: emissione del provvedimento
impugnato), non può che rilevarsi come i
ritardi determinatisi nell’avvio dei lavori
non fossero in alcun modo dipesi
dall’inerzia della Comunità Airone ma,
piuttosto, dalle obiettive difficoltà dei
sub-procedimenti svoltisi avanti al
Ministero dei Lavori Pubblici e all’Istituto
Autonomo Case Popolari.
In questa prospettiva, dunque, sulla base di
quanto fin qui esposto, deve respingersi
<<la tesi dell’amministrazione, che sostiene
che la proroga avrebbe necessariamente
dovuto essere richiesta dalla ricorrente
prima della scadenza del termine in
parola>>, dovendo invece evidenziarsi che
nei casi in cui, come quello de quo,
l’amministrazione medesima <<sia a
conoscenza di eventi che hanno impedito al
titolare della concessione edilizia di
ultimare i lavori>>, essa <<non può adottare
un provvedimento di decadenza della
concessione, trovando applicazione, anche
senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei
lavori per fatti estranei alla volontà del
concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro
esecuzione>> (TAR Calabria Reggio
Calabria, I, 20.04.2010, n. 420; TAR
Sicilia, III, 19.02.2007, n. 560) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza
12.03.2012 n.
490 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2012 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Decadenza del permesso di
costruire per mancata osservanza del termine
annuale per l’inizio dei lavori e di quello
triennale per il loro completamento. Termini
di efficacia del Permesso di costruire.
Istituzione della commissione edilizia
comunale e sue competenze.
La decadenza del permesso di costruire, per
mancata osservanza del termine annuale per
l’inizio dei lavori e di quello triennale
per il loro completamento, disciplinata
dall’art. 15 del t.u. 06.06.2001 n. 380: a)
è espressione di un potere strettamente
vincolato; b) ha una natura ricognitiva,
perché accerta il venir meno degli effetti
del titolo edilizio in conseguenza
dell'inerzia del titolare ovvero della
sopravvenienza di un nuovo piano regolatore;
c) pertanto ha decorrenza ex tunc
(1).
Il termine di durata del permesso edilizio
non può mai intendersi automaticamente
sospeso, essendo, al contrario, sempre
necessaria, a tal fine, la presentazione di
una formale istanza di proroga, cui deve
comunque seguire un provvedimento da parte
della stessa amministrazione che ha
rilasciato il titolo ablativo, che accerti
l’impossibilità del rispetto del termine; e
solamente nei casi in cui possa ritenersi
sopravvenuto un "factum principis"
ovvero l’insorgenza di una causa di forza
maggiore (2).
Una istanza con la quale il titolare di un
permesso di costruire ha dichiarato di aver
iniziato le opere, è meramente formale ed è
comunque ininfluente ai fini del rispetto
del termine di decadenza per l’inizio dei
lavori, nel caso in cui sia stata effettuata
in totale assenza di una qualsiasi attività
edilizia per la realizzazione dell'edificio,
non testimoniando affatto un effettivo e
significativo inizio dei lavori edilizi nel
termine stabilito (3).
Nel caso in cui sia stata presentata una
istanza di proroga del termine annuale per
l’inizio dei lavori previsti dal permesso di
costruire, il Comune deve comunque valutare
l'idoneità delle opere realizzande a
costituire un inizio effettivo dei lavori
edilizi in rapporto al contesto complessivo
del progetto stesso (4).
L'art. 4 del d.P.R. n. 380/2001 (T.U.
edilizia), nel rendere per i Comuni
facoltativa l'istituzione della Commissione
edilizia, ha introdotto un principio
fondamentale in materia di governo del
territorio, al quale deve sottostare la
normativa regionale, ai sensi dell'art. 117
Cost. (5). A seguito dell’entrata in vigore
di tale disposizione, le norme regionali in
materia devono essere interpretate in senso
costituzionalmente coerente con i principi
generali introdotti in materia dal predetto
T.U. (6) e deve quindi ritenersi che le
eventuali norme legislative regionali che
prevedano l’obbligatorietà del parere della
C.E.C. sono state implicitamente abrogate ai
sensi dell’art. 10 della L. n. 62/1953.
La Commissione edilizia comunale ha
competenza in materia di specifiche
valutazioni sul merito tecnico, urbanistico,
costruttivo ed architettonico dei progetti,
ma non è titolare di alcun potere in ordine
alla verifica dell'inesistenza o al venir
meno dei presupposti legali
dell’edificazione effettuata (7); ne
discende che la dichiarazione di decadenza
della concessione di costruzione non
richiede l'acquisizione del parere della
Commissione edilizia comunale (8).
---------------
(1) Cfr. infra multa: Cons. Stato, sez.
IV, 10.08.2007, n. 4423; Cons. Stato, sez.
IV, 18.06.2008, n. 3030
(2) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 luglio
2008, n. 3527; Cons. Stato, sez. IV,
08.02.2008, n. 434.
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n.
7748
(4) Cfr. Consiglio Stato, sez. IV,
18.06.2008, n. 3030; Cons. Stato, sez. IV,
15.07.2008, n. 3527.
(5) Cfr, Cons. Stato, sez. IV, 02.10.2008,
n. 4793
(6) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 02.10.2008,
n. 4793
(7) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 01.10.2007,
n. 5049.
(8) V. per tutte Cons. Stato, sez. IV,
31.08.2010, n. 3955 e Cons. Stato, sez. V,
11.01.2011, n. 79 (massima tratta da
www.regione.piemonte.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2012 n. 974
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decadenza
del permesso di costruire: solo l'insorgenza
di cause di forza maggiore possono fondare
l'istanza di proroga del termine di durata
del permesso di costruire.
In linea di principio, alla luce della
predetta disposizione è dunque esatto (cfr.
infra multa: Consiglio Stato, sez. IV,
10.08.2007, n. 4423; Consiglio Stato, sez.
IV, 18.06.2008, n. 3030) che la pronuncia di
decadenza del permesso di costruire:
1) è espressione di un potere strettamente
vincolato;
2) ha una natura ricognitiva, perché accerta
il venir meno degli effetti del titolo
edilizio in conseguenza dell'inerzia del
titolare ovvero della sopravvenienza di un
nuovo piano regolatore;
3) pertanto ha decorrenza ex tunc.
Il termine di durata del permesso edilizio,
infatti, non può mai intendersi
automaticamente sospeso, essendo, al
contrario, sempre necessaria, a tal fine, la
presentazione di una formale istanza di
proroga, cui deve comunque seguire un
provvedimento da parte della stessa
amministrazione che ha rilasciato il titolo
ablativo, che accerti l’impossibilità del
rispetto del termine; e solamente nei casi
in cui possa ritenersi sopravvenuto un “factum
principis” ovvero l’insorgenza di una
causa di forza maggiore (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 15.07.2008, n. 3527;
Consiglio Stato, sez. IV, 08.02.2008, n.
434) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.02.2012 n. 974 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio e la
conclusione dei lavori, riferendosi soltanto
alle modalità cronologiche di esercizio di
una facoltà del destinatario, non determina,
automaticamente, la cessazione di effetti
del provvedimento, ma costituisce soltanto
il presupposto per l'accertamento eventuale
della decadenza dall'autorizzazione
edilizia.
Invero, la decadenza della concessione
edilizia per mancata ultimazione dei lavori
nel termine previsto dalla legge, ancorché
assuma carattere esclusivamente oggettivo
-giacché essa presuppone il mero decorso del
tempo, eccettuati i casi di sospensione o
proroga connessi a factum principis, forza
maggiore o cause espressamente contemplate
dalla legge- e sebbene i suoi effetti
retroagiscano al momento dell'evento
estintivo, deve essere necessariamente
dichiarata dall’amministrazione.
... per
l'annullamento dell’ordinanza del Sindaco di
Reggio Calabria n. 414-93 del 27.11.1995,
pratica n. 380/93, con la quale è ordinata a
carico degli “eredi ...” la
demolizione delle opere di soprelevazione
(secondo, terzo, quarto e quinto piano f.t.)
su preesistente fabbricato ad un piano f.t.,
costruito con licenza edilizia n. 3685/173
del 05.07.1965, in località Pellaro, via S.
Cosimo;
...
La scadenza del termine apposto
all'autorizzazione edilizia per l'avvio e la
conclusione dei lavori, riferendosi soltanto
alle modalità cronologiche di esercizio di
una facoltà del destinatario, non determina,
automaticamente, la cessazione di effetti
del provvedimento, ma costituisce soltanto
il presupposto per l'accertamento eventuale
della decadenza dall'autorizzazione edilizia
(cfr. C.S., V, 18.09.2008, n. 4498).
Ed invero, secondo l’orientamento
giurisprudenziale che il collegio ritiene di
condividere, la decadenza della concessione
edilizia per mancata ultimazione dei lavori
nel termine previsto dalla legge, ancorché
assuma carattere esclusivamente oggettivo
-giacché essa presuppone il mero decorso del
tempo, eccettuati i casi di sospensione o
proroga connessi a factum principis,
forza maggiore o cause espressamente
contemplate dalla legge- e sebbene i suoi
effetti retroagiscano al momento dell'evento
estintivo, deve essere necessariamente
dichiarata dall’amministrazione (TAR
Calabria, Reggio Calabria, 20.04.2010, n.
420; v. pure C.S., V, 15.06.1998, n. 834;
TAR Abruzzo, Pescara, 28.06.2002, n. 595;
TAR Sardegna, II, 15.11.2005, n. 2126; TAR
Lazio, II, 24.11.2004, n. 13996).
Nella fattispecie in esame, il Comune di
Reggio Calabria non ha proceduto, prima di
adottare l’impugnato ordine di demolizione
delle opere realizzate –peraltro da lungo
tempo- ad accertare l’intervenuta decadenza
dell’autorizzazione edilizia che
originariamente li assentiva, con
conseguenti:
a) perdurante efficacia di essa; e
b) illegittimità del provvedimento
sanzionatorio
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 23.02.2012 n. 159 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
15 del DPR 380/2001 consente la proroga dei
termini di inizio e di ultimazione dei
lavori previsti nel permesso di costruire,
esclusivamente <<per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4
della legge 10/1977 (oggi parzialmente
abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel
senso che è illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire (già concessione edilizia),
allorché sussistano impedimenti assoluti
all'esecuzione dei lavori segnalati o
comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui al
titolo edilizio previsti dalla legge.
In primo luogo, occorre ricordare che l’art. 15 del DPR 380/2001 consente
la proroga dei termini di inizio e di
ultimazione dei lavori previsti nel permesso
di costruire, esclusivamente <<per fatti
sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso>>.
La norma, che ricalca quella dell’art. 4
della legge 10/1977 (oggi parzialmente
abrogato), è intesa dalla giurisprudenza nel
senso che è illegittimo il provvedimento
dell'Amministrazione comunale di
declaratoria di decadenza del permesso di
costruire (già concessione edilizia),
allorché sussistano impedimenti assoluti
all'esecuzione dei lavori segnalati o
comunque conosciuti all'Amministrazione e
l'impedimento non sia riferibile alla
condotta del concessionario, per cui è tale
da costituire quella causa di forza maggiore
che sospende il decorso dei termini di
inizio e di ultimazione dei lavori di cui al
titolo edilizio previsti dalla legge (cfr.
fra le tante, TAR Lazio, sez. II-quater,
07.06.2010, n. 15939, con la giurisprudenza
ivi richiamata).
Nel caso di specie, la richiesta di proroga
è stata giustificata dai ricorrenti
attraverso il richiamo sia alla situazione
di crisi del settore dell’edilizia, sia alla
controversia che oppone i ricorrenti stessi
al il Comune di Milano e relativa alla
determinazione del contributo concessorio
inerente al permesso di costruire di cui
alla presente causa (cfr. docc. 18 e 19 dei
ricorrenti per le istanze di proroga).
Orbene, reputa il Collegio che nessuna delle
due circostanze suindicate possa costituire
un “fatto sopravvenuto”, idoneo a
giustificare la proroga ai sensi dell’art.
15 del Testo Unico dell’edilizia.
La crisi del settore edile, collegata alla
difficile congiuntura economica italiana,
appare una circostanza estremamente
generica, non idonea di per sé ad impedire
in maniera assoluta la possibilità di
edificazione legata al permesso di costruire
ottenuto dagli esponenti.
D’altronde, se il mero richiamo alla
situazione economica generale –e a quella
del settore edile in particolare- potesse
costituire una oggettiva ragione per la
proroga dei termini dei titoli edilizi, si
potrebbe giungere alla paradossale
conclusione che in relazione a qualsivoglia
intervento potrebbero essere disposte
proroghe, nell’attesa di un -non ben
precisato ed identificato- momento di
ripresa economica generale.
In ordine all’altra ragione posta a
fondamento della domanda di proroga,
effettivamente è in corso un contenzioso fra
i ricorrenti ed il Comune di Milano, legato
all’esatta determinazione dei contributi
concessori relativi al permesso di costruire
di cui è causa, n. 137/2008.
Il ricorso promosso dagli esponenti per
l’esatta determinazione del contributo
suddetto è stato respinto dal TAR Lombardia,
sez. II, con sentenza n. 4455/2009, che ha
così confermato la correttezza della
quantificazione del contributo effettuata
dall’Amministrazione nel permesso di
costruire (cfr. doc. 20 dei ricorrenti per
il testo della sentenza).
Contro tale sentenza è stato proposto
appello al Consiglio di Stato, tuttora
pendente, senza domanda di sospensione
dell’efficacia della sentenza (cfr. il
documento dei ricorrenti, allegato ai motivi
aggiunti depositati il 17.06.2011), sicché
quest’ultima deve ritenersi produttiva dei
propri effetti giuridici.
Tuttavia, non si comprende perché
l’esistenza del contenzioso di cui è causa –attualmente in grado d’appello- possa
costituire una circostanza oggettivamente
ostativa alla realizzazione dell’intervento
edilizio, che può comunque essere
effettuato, in attesa della definitiva
determinazione del contributo concessorio.
Le ragioni per la proroga addotte degli
esponenti attengono –a ben vedere- a
valutazioni di opportunità e di convenienza
economica dell’intervento, ma non
costituiscono assoluti impedimenti ad
edificare.
Il provvedimento comunale impugnato coi
motivi aggiunti (cfr. doc. 4 del
resistente), dà atto di quanto sopra
esposto, con motivazione congrua ed
analitica, indubbiamente più ampia ed
esaustiva rispetto alla scarna motivazione
del primo diniego di proroga, gravato col
ricorso principale.
Neppure può ritenersi violata, da parte del
Comune, l’ordinanza cautelare della Sezione
n. 1250/2009, la quale aveva fatto salvo il
potere dell’Amministrazione di pronunciarsi
nuovamente –ancorché motivatamente–
sull’istanza di proroga
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.02.2012 n. 580 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
decorso del termine annuale di decadenza del titolo edilizio
presuppone l'efficacia del titolo stesso, con l'effetto che
la sospensione, disposta dal Comune, arresta al contempo la
possibilità dell'interessato di porre in essere una
legittima attività edilizia ed il procedere del tempo
assegnato per darvi inizio.
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 67840
dell’01.08.1991 del Sindaco di Salerno, che ha decretato la
decadenza della concessione edilizia commissariale n.
191/1989, ...
...
Assume rilievo viziante, con assorbimento di ogni altra
censura, quanto articolato dal ricorrente al secondo motivo
di ricorso a proposito della insussistenza del presupposto
dell’impugnato provvedimento, ovverosia l’inerzia del
titolare della concessione edilizia. Invero, come può
agevolmente desumersi dalla narrazione dei fatti di causa,
il lasso temporale di un anno per l’inizio dei lavori
assentiti mediante titolo edilizio a norma dell’art. 31,
comma 11, della l.n. 1150/1942, è stato interessato nel caso
di specie da taluni provvedimenti interdittivi emessi dal
Comune di Salerno che hanno impedito il naturale inizio dei
lavori, peraltro oggetto di comunicazione da parte del
ricorrente già in data 7 agosto 1989.
Invero il Sindaco di Salerno ha disposto in data 07.09.1989
la sospensione dei lavori, con ordinanza n. 229, mentre, in
data 03.12.1990, è stato effettuato il sequestro del
cantiere ad opera della Polizia Municipale.
La giurisprudenza (TAR Toscana Firenze, sez. III,
12.07.2010, n. 2447) ha avuto modo di affermare, del tutto
condivisibilmente, che “il decorso del termine annuale di
decadenza del titolo edilizio presuppone l'efficacia del
titolo stesso, con l'effetto che la sospensione, disposta
dal Comune, arresta al contempo la possibilità
dell'interessato di porre in essere una legittima attività
edilizia ed il procedere del tempo assegnato per darvi
inizio” (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 10.02.2012 n. 188 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
presenza della clausola di concessione edilizia che impone
l’inizio dei lavori entro un anno dal rilascio e della
clausola che subordina l’inizio dei lavori comportanti “la
mutazione dei suoli nella loro natura ivi compreso il
naturale deflusso delle acque superficiali” all’ottenimento
del n.o. idrogeologico, l’unica interpretazione che permette
di evitare l’intrinseca illogicità del provvedimento è
quella di ritenere che il termine di un anno sia sospeso
sino al rilascio del n.o. idrogeologico.
Sicché è illegittimo il provvedimento del comune che ha
dichiarato la decadenza della concessione edilizia nel
presupposto che i lavori non siano stati iniziati nel
termine di un anno dal suo rilascio e ingiunto alla
ricorrente il ripristino dello stato dei luoghi.
... per
l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione
dell’ordinanza n. 40 del 09.05.2005 recante decadenza della
concessione edilizia n. 348 del 23.04.2001 e intimazione al
ripristino dello stato dei luoghi e di ogni altro atto e/o
provvedimento presupposto, connesso e /o consequenziale e
per la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei
danni.
...Il Collegio condivide le argomentazioni della ricorrente
in punto di interpretazione coordinata e sistematica della
clausole della concessione edilizia nel senso che, in
presenza della clausola che imponeva l’inizio dei lavori
entro un anno dal rilascio e della clausola che subordinava
l’inizio dei lavori comportanti “la mutazione dei suoli
nella loro natura ivi compreso il naturale deflusso delle
acque superficiali” all’ottenimento del n.o.
idrogeologico, l’unica interpretazione che permette di
evitare l’intrinseca illogicità del provvedimento è quella
di ritenere che il termine di un anno fosse sospeso sino al
rilascio del n.o. idrogeologico.
In questa prospettiva sarebbe inutile chiedersi se a
impedire la decadenza fossero sufficienti i lavori
compatibili con il punto 4, a) della concessione il cui
inizio è stato comunicato dalla ricorrente sin dal
24.04.2001, tanto più che non è chiarito in cosa questi
lavori consistessero e francamente appare dubitabile che
fossero possibili lavori non incidenti sul naturale deflusso
delle acque (anche l’eliminazione della vegetazione e il
semplice scavo per le fondazioni incide sul deflusso delle
acque).
E’ più corretto ritenere che la concessione implicasse per
la Monte Ducale l’onere di attivarsi per ottenere il n.o.
idrogeologico, coltivando il relativo procedimento, e che
per il periodo di pendenza di tale procedimento il termine
di inizio dei lavori fosse sospeso; né potrebbe sostenersi
che in capo alla ricorrente gravasse l’onere di compulsare
la provincia di Latina attraverso atti di diffida et
similia e l’instaurazione del giudizio sul silenzio,
dato che l’obbligo di concludere il procedimento
effettivamente discende dalla legge che le amministrazioni
sono obbligate a rispettare e dall’amministrato può
pretendersi solo la normale diligenza nel coltivare il
procedimento (cosa che non risulta che la Monte Ducale non
abbia fatto) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 09.02.2012 n. 104 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA: Se
è vero che la decadenza di una concessione edilizia "avviene
"di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art.
15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di
decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo”,
resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto
formale dell'Amministrazione in proposito.
Per quanto attiene al
successivo atto implicito di dichiarazione della decadenza
della concessione edilizia, si ritiene opportuno premettere
che, pur non essendo stato dimostrato l’effettivo,
tempestivo, invio della comunicazione di inizio dei lavori,
il comportamento del Comune, che ha consentito il
completamento, almeno al rustico, di tutti gli edifici
previsti, che ha incassato gli oneri concessori e che ha
preteso, successivamente, la cessione delle aree da
destinare ad opere di urbanizzazione, induce a ritenere che
tale comunicazione vi sia effettivamente stata e sia stata
in concreto ricevuta dal Comune. In caso contrario, infatti,
si dovrebbe ritenere gravemente omissivo e comunque
contradditorio l’agire dell’Amministrazione.
Con riferimento al rispetto dei termini di completamento dei
lavori, invece, il Collegio ritiene di poter condivide la
tesi di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV,
10.05.2011, n. 2765, secondo cui: “se è vero che la
decadenza stessa "avviene "di diritto" al verificarsi dei
presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del
2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con
effetto retroattivo”, resta comunque ferma la necessità
dell’adozione di un atto formale dell'Amministrazione in
proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 09.10.2007 n. 5228).
Anche nel caso di specie, quindi, non può ritenersi in
concreto intervenuta la dichiarazione di decadenza, con la
conseguenza che il provvedimento impugnato, con cui il
Comune ha negato la possibilità di proseguire i lavori,
risulta fondato su di un presupposto, l’intervenuta
decadenza della concessione edilizia, inesistente per
carenza del provvedimento di formale accertamento della
stessa e che, peraltro, non sembrerebbe comunque precludere
il rilascio di un nuovo titolo legittimante il suddetto
completamento
(TAR Sicilia-Palermo, Sez.
II,
sentenza 20.12.2011 n. 2429 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Al
fine di precludere la decadenza della concessione edilizia
per inosservanza del termine iniziale dei lavori dal
rilascio del titolo, non è sufficiente la presentazione
della denuncia di inizio degli stessi, essendo necessario
che le opere concretamente poste in essere entro l’anno
siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà
del titolare della concessione di realizzare quanto da lui
progettato e non meramente simboliche, fittizie o comunque
solamente preparatorie.
Ed a tal proposito, la recinzione del fondo, l’installazione
del cantiere, lo sbancamento del terreno e finanche
l’esecuzione dei lavori di scavo non sono elementi idonei ad
integrare di per sé un valido inizio dei lavori e, di
conseguenza, ad evitare la decadenza del titolo abilitativo.
Né, in ogni caso, l’apertura di un procedimento penale per
fatti connessi al rilascio dell’atto, anche se sfociato in
un rinvio a giudizio, può rappresentare –in mancanza di un
provvedimento di sequestro che determini l’indisponibilità
del cantiere– un factum principis od una causa di forza
maggiore, idonei a sospendere i termini di cui all’art. 4
della legge n. 10/1977.
Al fine di precludere la decadenza della concessione
edilizia per inosservanza del termine iniziale dei lavori
dal rilascio del titolo, non è sufficiente la presentazione
della denuncia di inizio degli stessi, essendo necessario
che le opere concretamente poste in essere entro l’anno
siano di consistenza tale da comprovare l’effettiva volontà
del titolare della concessione di realizzare quanto da lui
progettato e non meramente simboliche, fittizie o comunque
solamente preparatorie.
Ed a tal proposito, la recinzione del fondo, l’installazione
del cantiere, lo sbancamento del terreno e finanche
l’esecuzione dei lavori di scavo non sono elementi idonei ad
integrare di per sé un valido inizio dei lavori e, di
conseguenza, ad evitare la decadenza del titolo abilitativo
(cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 13.07.2010, n. 16715).
Né, in ogni caso, l’apertura di un procedimento penale per
fatti connessi al rilascio dell’atto, anche se sfociato in
un rinvio a giudizio, può rappresentare –in mancanza di un
provvedimento di sequestro che determini l’indisponibilità
del cantiere– un factum principis od una causa di
forza maggiore, idonei a sospendere i termini di cui
all’art. 4 della legge n. 10/1977.
Superflua, infine, è ogni valutazione circa l’esistenza di
un obbligo, per la P.A., di dare avviso di avvio del
procedimento di declaratoria di decadenza della concessione,
incidentalmente contenuta nel provvedimento di rigetto
dell’istanza di proroga, posto che ogni eventuale
conseguenza caducatoria sull’atto finale sarebbe comunque
preclusa al giudicante dal chiaro disposto del sopravvenuto
art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241/1990, in ragione
del fatto che, in ogni caso, alla luce di quanto detto sulla
precedente censura, il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 14.12.2011 n. 1988 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo ha
la natura giuridica di provvedimento di secondo grado,
perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli
effetti giuridici delineati dall’atto originario e, nello
specifico, in materia edilizia, la differente qualificazione
tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di
proroga dei termini di ultimazione dei lavori è
riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della
concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga
può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta
di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si
traduce nella verifica delle condizioni che la
giustificano).
In materia edilizia, le norme sulla proroga dei termini
previsti per la realizzazione di interventi soggetti a
permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono, peraltro,
di stretta interpretazione, rappresentando le stesse una
deroga alla disciplina generale dettata al fine di evitare
che una edificazione autorizzata nel vigore di un
determinato regime urbanistico venga realizzata quando il
mutato regime non lo consente più.
---------------
L'inizio dei lavori, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, DPR
380/2001, deve intendersi riferito a concreti lavori
edilizi; pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati"
quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini,
cioè nell'impianto del cantiere, nell'innalzamento di
elementi portanti, nella elevazione di muri e nella
esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni
del costruendo edificio, per evitare che il termine di
decadenza del permesso possa essere eluso con ricorso ad
interventi fittizi e simbolici (e sarebbe illegittimo un
provvedimento di decadenza ai sensi del comma 4 laddove non
sia preceduto da una rigorosa istruttoria volta a comprovare
in modo inequivoco che i lavori non siano effettivamente già
iniziati al momento dell'entrata in vigore della nuova
disposizione urbanistica).
Il termine per l'inizio dei lavori deve farsi decorrere non
dalla semplice emanazione del permesso di costruire, bensì
dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o
comunque da un momento non anteriore a quello in cui
l'interessato stesso sia stato posto in condizione di
conoscere l'avvenuta emanazione del permesso.
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia
per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi
soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una
facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la
cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce
soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della
decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza
che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta
anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale
termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione
attraverso una motivazione "per relationem" al provvedimento
originario, considerato che nei provvedimenti ampliativi
della sfera giuridica di un soggetto determinato, qualora
non emerga, con immediatezza, la presenza di soggetti
controinteressati, non è necessaria una motivazione
particolarmente ampia e complessa.
---------------
La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori
dalla data di rilascio della concessione edilizia può
avvenire solo in presenza di fatti estranei alla volontà del
concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i lavori
durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza
incombe esclusivamente sul richiedente la proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai
sensi dell'articolo 15, comma 2, dpr 380/2001, non hanno un
rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di
valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato
proponga un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento
è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza
del titolo edilizio (e, al riguardo, si ritiene che la
presentazione della domanda di variante in corso d'opera non
può essere configurata di per sé come fatto estraneo alla
volontà del titolare della concessione edilizia e, pertanto
come causa di forza maggiore idonea a giustificare la
proroga del termine di ultimazione dei lavori).
Nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi
che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di
ultimare i lavori, la stessa non può adottare un
provvedimento di decadenza della concessione, trovando
applicazione, anche senza richiesta del concessionario, la
proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti
estranei alla volontà del concessionario che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione.
In presenza di una tempestiva istanza di proroga che non
contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non
imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la
richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a
conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti,
legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la
richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori
edilizi.
Il richiamato articolo 15 del
d.P.R. n. 380 del 2001, rubricato “Efficacia temporale e
decadenza del permesso di costruire”, dispone
testualmente che “1. Nel permesso di costruire sono
indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
2. Il termine per l'inizio dei lavori non può essere
superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di
ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata
non può superare i tre anni dall'inizio dei lavori. Entrambi
i termini possono essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del
titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La
proroga può essere accordata, con provvedimento motivato,
esclusivamente in considerazione della mole dell'opera da
realizzare o delle sue particolari caratteristiche
tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere
pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi
finanziari. …”.
La proroga dei termini stabiliti da un atto amministrativo
ha la natura giuridica di provvedimento di secondo grado,
perché modifica, solo parzialmente, il complesso degli
effetti giuridici delineati dall’atto originario (cfr. sul
punto Consiglio di Stato, sez. V, 18.09.2008, n. 4498) e,
nello specifico, in materia edilizia, la differente
qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine finale di efficacia (e, peraltro, la proroga
può essere disposta con provvedimento motivato sulla scorta
di una valutazione discrezionale che in termini tecnici si
traduce nella verifica delle condizioni che la giustificano)
(cfr. da ultimo, TAR Abruzzo-L'Aquila, sez. I, 02.07.2008,
n. 863); in materia edilizia, le norme sulla proroga dei
termini previsti per la realizzazione di interventi soggetti
a permesso di costruire di cui all'articolo 15 sono,
peraltro, di stretta interpretazione, rappresentando le
stesse una deroga alla disciplina generale dettata al fine
di evitare che una edificazione autorizzata nel vigore di un
determinato regime urbanistico venga realizzata quando il
mutato regime non lo consente più.
Per quanto attiene ai termini di cui sopra –poiché il
termine triennale di ultimazione dei lavori decorre per
espresso disposto normativo dalla data di inizio dei
lavori-, si premette che, l'inizio dei lavori, ai sensi
dell'articolo 15, comma 2, deve intendersi riferito a
concreti lavori edilizi; pertanto, i lavori debbono
ritenersi "iniziati" quando consistano nel
concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto del
cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella
elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al
gettito delle fondazioni del costruendo edificio, per
evitare che il termine di decadenza del permesso possa
essere eluso con ricorso ad interventi fittizi e simbolici
(e sarebbe illegittimo un provvedimento di decadenza ai
sensi del comma 4 laddove non sia preceduto da una rigorosa
istruttoria volta a comprovare in modo inequivoco che i
lavori non siano effettivamente già iniziati al momento
dell'entrata in vigore della nuova disposizione urbanistica)
e che il senso della disposizione va ricostruito in
conformità con i principi generali dell'ordinamento, con
particolare riferimento a quelli di efficacia, pubblicità e
trasparenza sanciti dalla legge n. 241 del 1990 e che,
pertanto, in forza di tali principi, non pare discutibile
che il termine per l'inizio dei lavori debba farsi decorrere
non dalla semplice emanazione del permesso di costruire,
bensì dalla materiale consegna dell'atto al destinatario, o
comunque da un momento non anteriore a quello in cui
l'interessato stesso sia stato posto in condizione di
conoscere l'avvenuta emanazione del permesso (TAR
Liguria-Genova, sez. I, 17.02.2011, n. 322; TAR
Sicilia-Palermo, sez. II, 01.02.2011, n. 181).
La scadenza del termine apposto all'autorizzazione edilizia
per l'avvio (e l’ultimazione) dei lavori, riferendosi
soltanto alle modalità cronologiche di esercizio di una
facoltà del destinatario, non determina, automaticamente, la
cessazione di effetti del provvedimento, ma costituisce
soltanto il presupposto per l'accertamento eventuale della
decadenza dall'autorizzazione edilizia; con la conseguenza
che, ove la richiesta di proroga del termine sia proposta
anteriormente alla scadenza del termine, legittimamente tale
termine viene prorogato dalla pubblica amministrazione
attraverso una motivazione "per relationem" al
provvedimento originario, considerato che nei provvedimenti
ampliativi della sfera giuridica di un soggetto determinato,
qualora non emerga, con immediatezza, la presenza di
soggetti controinteressati, non è necessaria una motivazione
particolarmente ampia e complessa (Consiglio di Stato, sez.
V, 18.09.2008, n. 4498).
La decadenza disciplinata dall'articolo 15 consegue
all'inerzia dell'interessato; e, tuttavia, per l’appunto
questa deve essere esclusa se venga rappresentata la
sussistenza di fatti sopravvenuti che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai
sensi del comma 2 dello stesso articolo 15 e queste siano
oggetto di valutazione e verifica in sede amministrativa.
La proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori
dalla data di rilascio della concessione edilizia può
avvenire tuttavia solo in presenza di fatti estranei alla
volontà del concessionario, che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della
cui sussistenza incombe esclusivamente sul richiedente la
proroga stessa.
I detti fatti sopravvenuti che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai
sensi dell'articolo 15, comma 2, non hanno un rilievo
automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in
sede amministrativa qualora l'interessato proponga
un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è
indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del
titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. IV, 10.08.2007, n.
4423) (e, al riguardo, si ritiene che la presentazione della
domanda di variante in corso d'opera non può essere
configurata di per sé come fatto estraneo alla volontà del
titolare della concessione edilizia e, pertanto come causa
di forza maggiore idonea a giustificare la proroga del
termine di ultimazione dei lavori).
Peraltro, secondo un orientamento in materia, nel caso in
cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi che hanno
impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare
i lavori, la stessa non può adottare un provvedimento di
decadenza della concessione, trovando applicazione, anche
senza richiesta del concessionario, la proroga del termine
per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla
volontà del concessionario che siano sopravvenuti a
ritardare i lavori durante la loro esecuzione (TAR
Calabria-Reggio Calabria, sez. I, 20.04.2010, n. 420 e TAR
Sicilia-Palermo, sez. III, 19.02.2007, n. 560); senza
necessariamente dovere giungere a condividere le predette
conclusioni, tuttavia, può fondatamente ritenersi che, in
presenza di una tempestiva istanza di proroga che non
contenga la puntuale indicazione dei fatti sopravvenuti non
imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la
richiesta, nel caso in cui l’amministrazione sia comunque a
conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti,
legittimamente la stessa possa provvedere a concedere la
richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori
edilizi
(TAR Lazio-Roma, Sez.
II-ter,
sentenza 06.12.2011 n. 9600 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Inizio lavori e decadenza permesso di
costruire.
La mera
esecuzione di lavori di sbancamento è, di per sé, inidonea
per ritenere soddisfatto il presupposto dell'effettivo "inizio
dei lavori" entro il termine di un anno dal rilascio del
permesso di costruire a pena di decadenza del titolo
abilitativo, essendo necessario, al fine di escludere la
configurabilità del reato di costruzione abusiva, che lo
sbancamento sia accompagnato dalla compiuta organizzazione
del cantiere e da altri indizi idonei a confermare
l'effettivo intendimento del titolare del permesso di
costruire di realizzare l'opera assentita (tratto da
www.lexambiente.it - Corte di cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.10.2011 n. 35900). |
EDILIZIA
PRIVATA: Per
accertare se sussistono o meno i presupposti per la
decadenza di un permesso di costruire o di una concessione
edilizia l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato
non in via generale ed astratta, ma con specifico
riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento
edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo
di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con
ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente
significativi di un effettivo intendimento del titolare
della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera
assentita.
In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per
mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la
qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio
dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono
essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché
avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che
possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo
fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano
l'esistenza di una concreta voluntas aedificandi da parte
del titolare della concessione edilizia. Deve trattarsi, in
altre parole, di un inizio serio e significativo dei lavori.
Di conseguenza, l'accertamento del tempestivo inizio dei
lavori deve basarsi non solo sulla quantità e qualità delle
opere realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a
dimostrare la reale volontà del concessionario di dare corso
all'opera autorizzata.
In particolare, l'idoneità delle opere a costituire
l'effettivo inizio dei lavori edilizi deve essere
concretamente considerata in rapporto al contesto
complessivo del progetto stesso.
L'inizio dei lavori, ai sensi del citato art. 15, comma 2,
deve dunque intendersi riferito a concreti lavori edilizi;
pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati" quando
consistano nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè
nella compiuta organizzazione del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di
muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il
termine di decadenza del permesso possa essere eluso con
ricorso ad interventi fittizi e simbolici.
Per accertare se sussistono o
meno i presupposti per la decadenza di un permesso di
costruire o di una concessione edilizia l'effettivo inizio
dei lavori deve essere valutato non in via generale ed
astratta, ma con specifico riferimento all'entità ed alle
dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed
autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine
prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e
simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo
intendimento del titolare della concessione di procedere
alla realizzazione dell'opera assentita (TAR Abruzzo
Pescara, sez. I, 29.03.2011, n. 193).
In ordine alla decadenza dalla concessione edilizia per
mancato inizio dei lavori nel termine prefissato, la
qualificazione delle opere da ritenersi come valido inizio
dei lavori presuppone infatti che le opere realizzate devono
essere finalizzate alla realizzazione del manufatto oltreché
avere una certa consistenza, dovendosi così escludere che
possano costituire inizio dei lavori quelle opere solo
fittiziamente eseguite e che, perciò stesso, non evidenziano
l'esistenza di una concreta voluntas aedificandi da
parte del titolare della concessione edilizia (TAR Toscana,
sez. III, 17.11.2008, n. 2533).
Deve trattarsi, in altre parole, di un inizio serio e
significativo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. II,
28.04.2010, n. 4170; Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n.
7748; Cons. Stato, sez. V, 29.11.2004, n. 7748).
Di conseguenza, l'accertamento del tempestivo inizio dei
lavori deve basarsi non solo sulla quantità e qualità delle
opere realizzate, ma soprattutto sulla loro idoneità a
dimostrare la reale volontà del concessionario di dare corso
all'opera autorizzata (TAR Puglia Bari, sez. II, 05.05.2010,
n. 1731; Cons. Stato, sez. IV, 18.06.2008, n. 3030 ).
In particolare, l'idoneità delle opere a costituire
l'effettivo inizio dei lavori edilizi deve essere
concretamente considerata in rapporto al contesto
complessivo del progetto stesso (Cons. Stato, sez. IV,
15.07.2008, n. 3527; TAR Lazio Latina, sez. I, 12.11.2008,
n. 1587).
L'inizio dei lavori, ai sensi del citato art. 15, comma 2,
deve dunque intendersi riferito a concreti lavori edilizi;
pertanto, i lavori debbono ritenersi "iniziati"
quando consistano nel concentramento di mezzi e di uomini,
cioè nella compiuta organizzazione del cantiere,
nell'innalzamento di elementi portanti, nella elevazione di
muri e nella esecuzione di scavi coordinati al gettito delle
fondazioni del costruendo edificio, per evitare che il
termine di decadenza del permesso possa essere eluso con
ricorso ad interventi fittizi e simbolici (Cass. penale,
sez. III, 27.01.2010, n. 7114)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 09.09.2011 n. 1582 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
permesso di costruire decade con l'entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio. La regola generale -con la
sola eccezione dell'ipotesi che i lavori precedentemente
assentiti siano già cominciati- della decadenza del permesso
di costruire in caso di contrasto con la pianificazione
disciplinata dall'art. 15, comma 4, dpr 380/2001, trova
infatti la sua ratio nell'esigenza di garantire
indefettibile applicazione alle sopravvenute previsioni in
quanto volte ad un più razionale assetto del territorio.
Nel caso di sopravvenienza di una nuova disciplina del
territorio, la decadenza di cui all'art. 15 d.P.R. n. 380
del 2001 consegue infatti automaticamente dalla circostanza
obiettiva del mancato inizio dei lavori alla data di entrata
in vigore del nuovo piano e, quindi, all'inerzia
dell'interessato. La pronuncia di decadenza di cui all'art.
15, comma 4, è espressione di un potere vincolato, avente
natura ricognitiva con effetti "ex tunc", diretto ad
accertare il venir meno degli effetti del titolo edilizio
difforme dal piano urbanistico sopravvenuto.
---------------
L'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche
motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del
permesso di costruire (ex art. 15, comma 4, dpr 380/2011),
in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento
negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il
suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la
sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei
presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore
specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza
dell'interesse pubblico all'attuazione della
regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in
questione.
---------------
L'istituto della decadenza del permesso di costruire
dall'art. 15, comma 4, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ha natura
dichiarativa, e presuppone un atto di accertamento di un
effetto che consegue "ex lege" e che è espressione di un
potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex
tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti del
titolo edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto.
L’atto emanato per il solo verificarsi dell’evento indicato
dalla legge, come tale, è sottratto alla disponibilità delle
parti, per cui il privato, anche se fosse tempestivamente
avvertito dell'avvio del relativo procedimento, non avrebbe
alcuna possibilità d'influirvi a proprio vantaggio.
L'avviso d'avvio del procedimento ex. art. 7 l. 07.08.1990
n. 241 intende assicurare l'apporto partecipativo dei
destinatari dell'atto conclusivo -affinché quest'ultimo
realizzi un assetto ragionevole degli interessi, pubblici e
privati, coinvolti e confliggenti, per cui tale possibilità
non sussiste nel caso di decadenza dalla concessione
edilizia, per mancato inizio dei lavori .
La violazione dell'art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 non può
dunque essere ritenuta sussistente in caso di adozione del
provvedimento di decadenza del permesso di costruire,
essendo questo strettamente correlato al verificarsi delle
condizioni che ne legittimano l'adozione; di talché, la
partecipazione del privato al relativo procedimento
risulterebbe inutile e defatigante.
Come esattamente rilevato dal TAR, nel caso di specie è, in
ogni caso, risolvente ai fini del decidere il fatto che
l’appellante non avesse iniziato i lavori di cui al permesso
di costruzione dichiarato decaduto.
In tale ottica, doveva farsi applicazione del principio di
cui all’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001,
per cui “Il permesso decade con l'entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio”. La regola generale -con
la sola eccezione dell'ipotesi che i lavori precedentemente
assentiti siano già cominciati- della decadenza del permesso
di costruire in caso di contrasto con la pianificazione
disciplinata dal cit. art. 15, comma 4, trova infatti la sua
ratio nell'esigenza di garantire indefettibile
applicazione alle sopravvenute previsioni in quanto volte ad
un più razionale assetto del territorio (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; Consiglio Stato, sez.
IV, 08.02.2008, n. 434).
Nel caso di sopravvenienza di una nuova disciplina del
territorio, la decadenza di cui all'art. 15 d.P.R. n. 380
del 2001 consegue infatti automaticamente dalla circostanza
obiettiva del mancato inizio dei lavori alla data di entrata
in vigore del nuovo piano e, quindi, all'inerzia
dell'interessato (cfr. in tal senso: Consiglio Stato, sez.
IV, 08.02.2008, n. 434). La pronuncia di decadenza di cui
all'art. 15, comma 4, è espressione di un potere vincolato,
avente natura ricognitiva con effetti "ex tunc",
diretto ad accertare il venir meno degli effetti del titolo
edilizio difforme dal piano urbanistico sopravvenuto (cfr.
Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n. 4423).
---------------
L'amministrazione non è tenuta a fornire specifiche
motivazioni sulla adozione dell'atto di decadenza del
permesso di costruire (ex art. 15, comma 4, dpr 380/2011),
in quanto qui non si è in presenza di un provvedimento
negativo o di autotutela e la pronuncia di decadenza, per il
suo carattere dovuto, è sufficientemente motivata con la
sola evidenziazione dell'effettiva sussistenza dei
presupposti di fatto. Né è richiesta alcuna ulteriore
specificazione, stante la immediata e diretta prevalenza
dell'interesse pubblico all'attuazione della
regolamentazione sopravvenuta che è imposta dalla norma in
questione (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 10.08.2007, n.
4423).
Quanto all’interesse pubblico appare prevalente quello alla
tutela del paesaggio ed alla preservazione naturalistica
della riserva protetta, che l’intervento dichiarato decaduto
per mancato inizio lavori avrebbe del tutto vanificato.
--------------
L'istituto della decadenza del permesso di costruire
dall'art. 15, comma 4, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ha natura
dichiarativa, e presuppone un atto di accertamento di un
effetto che consegue "ex lege" e che è espressione di
un potere vincolato, avente natura ricognitiva con effetti "ex
tunc", diretto ad accertare il venir meno degli effetti
del titolo edilizio difforme dal piano urbanistico
sopravvenuto (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, n. 4423 cit.).
L’atto emanato per il solo verificarsi dell’evento indicato
dalla legge, come tale, è sottratto alla disponibilità delle
parti, per cui il privato, anche se fosse tempestivamente
avvertito dell'avvio del relativo procedimento, non avrebbe
alcuna possibilità d'influirvi a proprio vantaggio.
L'avviso d'avvio del procedimento ex. art. 7 l. 07.08.1990
n. 241 intende assicurare l'apporto partecipativo dei
destinatari dell'atto conclusivo -affinché quest'ultimo
realizzi un assetto ragionevole degli interessi, pubblici e
privati, coinvolti e confliggenti, per cui tale possibilità
non sussiste nel caso di decadenza dalla concessione
edilizia, per mancato inizio dei lavori .
La violazione dell'art. 7 l. 07.08.1990 n. 241 non può
dunque essere ritenuta sussistente in caso di adozione del
provvedimento di decadenza del permesso di costruire,
essendo questo strettamente correlato al verificarsi delle
condizioni che ne legittimano l'adozione; di talché, la
partecipazione del privato al relativo procedimento
risulterebbe inutile e defatigante (cfr. Consiglio Stato,
sez. VI, 29.03.2002, n. 1785) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 07.09.2011 n. 5028 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
può essere opposto il decorso del termine decadenziale a
colui che non poteva comunque continuare l’edificazione per
un fatto sopravvenuto estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la
decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001
consegue all'inerzia dell'interessato questa deve essere
esclusa se venga rappresentata la sussistenza di fatti
sopravvenuti non riferibili alla condotta del titolare della
concessione quando assolutamente ostative dei lavori,
producono l'effetto di prolungare automaticamente il tempo
massimo stabilito per l'esecuzione delle opere.
Se, come è noto, secondo la regola generale i termini di
decadenza decorrono per il solo fatto materiale del
trascorrere del tempo, cioè indipendentemente dalle
situazioni soggettive ed oggettive verificatesi "medio
tempore" e dalle quali sia dipeso l'inutile decorso del
termine, devono esser fatti salvi i casi e le eccezioni
tassativamente previste dalla legge.
Nel caso di specie, proprio la norma posta a base del
provvedimento, l’art. 15, comma 2, del T.U. 06.06.2001, n.
380 (che peraltro riprende l’art. 4 della legge 28.01.1977,
n. 10), nel disporre tra l’altro, che decorsi i termini di
durata del permesso di costruire “il permesso decade di
diritto per la parte non eseguita” espressamente prevede
che, in via di eccezione, i termini di durata (dell’allora
licenza ed oggi) del permesso di costruire “possono
essere prorogati… per fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso....”.
In base a tale norma dunque non può essere opposto il
decorso del termine decadenziale a colui che non poteva
comunque continuare l’edificazione per un fatto sopravvenuto
estraneo alla sua volontà.
Va, al riguardo, evidenziato che se in via ordinaria la
decadenza disciplinata dall'art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001
consegue all'inerzia dell'interessato (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 08.02.2008, n. 434) questa deve essere esclusa se
venga rappresentata la sussistenza di fatti sopravvenuti non
riferibili alla condotta del titolare della concessione
quando assolutamente ostative dei lavori, producono
l'effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo
stabilito per l'esecuzione delle opere (cfr. Cons. Stato,
sez. IV, 10.08.2007, n. 4423; TAR Lazio, Roma, sez. II,
24.11.2004, n. 13996).
Ed è questo un punto peculiare della fattispecie.
Al riguardo, l’atto impugnato ha disposto che, nel caso di
specie, doveva trovare applicazione la decadenza di diritto
per decorrenza dei termini, ai sensi dell’art. 15 del Dpr n.
380 del 2001, mentre non ha tenuto conto della circostanza
che l’atto di proroga accede all’originaria concessione,
spostando in avanti il termine finale di efficacia dell’atto
concessorio, in modo tale da costituire una continuazione
dello stesso (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II, 06.11.2006, n.
11809; TAR Valle d'Aosta, sez. I, 19.03.2009, n. 19) .
Orbene, emerge dagli atti che tra la domanda di proroga e la
conclusione del procedimento è decorso un certo lasso di
tempo e che il Comune ha dichiarato la decadenza del
permesso di costruire soltanto dopo due mesi dalla
concessione della proroga di un anno, impedendo la
produzione dell’effetto specifico della proroga che è quello
di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per
l’esecuzione delle opere.
Né varrebbe obiettare che assumerebbero rilievo, quali
presupposti legittimanti della decadenza, le dimissioni del
direttore dei lavori (vicenda interna al rapporto tra il
titolare del permesso di costruire e il professionista
incaricato) e la mancata presentazione della richiesta
documentazione integrativa, alla cui inadempienza soccorre
la irrogazione di sanzioni amministrative e non la decadenza
del titolo edilizio (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 16.06.2011 n. 5354 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Con
riferimento alla decadenza del permesso di costruire con
l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche,
l'effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in
termini generali ed astratti ma con una valutazione di
carattere concreto, che contenga uno specifico e puntuale
riferimento all'entità delle opere ed all'intervento
edificatorio programmato ed autorizzato considerato nel suo
complesso.
Secondo quanto disposto dall’art. 15, comma 4, del d.P.R. n.
380 del 2001: “Il permesso decade con l'entrata in vigore
di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio”.
Invero, come chiarito in giurisprudenza, l'effettivo inizio
dei lavori deve essere valutato non in termini generali ed
astratti ma con una valutazione di carattere concreto, che
contenga uno specifico e puntuale riferimento all'entità
delle opere ed all'intervento edificatorio programmato ed
autorizzato considerato nel suo complesso (cfr. Consiglio di
Stato, Sezione IV, 15.07.2008, n. 3527; TAR Toscana, Sezione
III, 17.11.2008, n. 2533; TAR Lazio, Latina, Sezione I,
12.11.2008, n. 1587) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.05.2011 n. 2856 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
perdita di efficacia della concessione edilizia per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve
essere accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario
contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei
presupposti di fatto e diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza, sicché non essendo stato adottato
nel caso che occupa alcun provvedimento comunale di formale
declaratoria della decadenza della concessione edilizia di
cui trattasi, deve ritenersi che all’atto dell’adozione del
provvedimento di annullamento della stessa l’atto era
formalmente efficace e sussisteva interesse all’annullamento
dell’atto di ritiro.
Osserva al riguardo la Sezione che la censura non è
suscettibile di positiva valutazione, atteso che la perdita
di efficacia della concessione edilizia per mancato inizio o
ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve essere
accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell'Amministrazione, anche ai fini del necessario
contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei
presupposti di fatto e diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza (Consiglio Stato, sez. IV,
29.01.2008, n. 249), sicché non essendo stato adottato nel
caso che occupa alcun provvedimento comunale di formale
declaratoria della decadenza della concessione edilizia di
cui trattasi, deve ritenersi che all’atto dell’adozione del
provvedimento di annullamento della stessa l’atto era
formalmente efficace e sussisteva interesse all’annullamento
dell’atto di ritiro
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.05.2011 n. 2821 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Essendo
la concessione edilizia un provvedimento amministrativo
“recettizio” che si perfeziona con la comunicazione agli
interessati e considerato che il termine di inizio lavori è
posto anche a tutela dell’interesse del privato per
consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione
dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di
consegna dell’atto.
Il termine “rilascio” riferito al titolo concessorio ai fini
del computo del termine annuale per l’inizio dei lavori,
contenuto nell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, in
prima lettura, non appare, infatti, univoco, potendo
sostanzialmente significare sia la “emanazione” che la
“consegna” dell’atto; ma è preferibile il secondo
significato che appare più rispondente al lessico del
legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo
avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione”
dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto
significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data di
adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Ritiene il Collegio di aderire all’orientamento recentemente
espresso in fattispecie analoga alla presente, con dovizia
di argomentazioni, da questo Tribunale (Sezione staccata di
Catania, sez. I, 07.04.2009, n. 678), secondo il quale:
- essendo la concessione edilizia un provvedimento
amministrativo “recettizio” che si perfeziona con la
comunicazione agli interessati (Consiglio di Stato, V,
27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte, Torino, II,
04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I, 01.09.2006,
nr. 3166), e considerato che il termine di inizio lavori è
posto anche a tutela dell’interesse del privato per
consentirgli di predisporre i mezzi necessari all’esecuzione
dei lavori, tale termine non può che decorrere dalla data di
consegna dell’atto;
- il termine “rilascio” riferito al titolo
concessorio ai fini del computo del termine annuale per
l’inizio dei lavori, contenuto nell’art. 15, comma 2, del
D.P.R. n. 380/2001, in prima lettura, non appare, infatti,
univoco, potendo sostanzialmente significare sia la “emanazione”
che la “consegna” dell’atto; ma è preferibile il
secondo significato che appare più rispondente al lessico
del legislatore, se si considera che, laddove quest’ultimo
avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione”
dell’atto, avrebbe usato sinonimi dal più corretto
significato tecnico, come “data dell’atto” oppure, “data
di adozione” o, più semplicemente “adozione”;
- in un contesto procedimentale doveroso che trae origine
dalla istanza di parte, il termine “rilascio” non può
non equivalere a “consegna” del documento perché
l’interesse della parte è di natura pretensiva, ossia
attiene alla acquisizione di una specifica utilità, che può
derivargli solo da un provvedimento espresso debitamente
portato a conoscenza dell’interessato nella sua interezza e
quindi anche per ciò che riguarda l’espletamento di
determinate attività entro specifici termini posti a pena di
decadenza.
Nel caso di specie, la consegna della concessione edilizia
emanata il 26.06.2009 è avvenuta il 23.04.2010, con la
sottoscrizione dell’atto da parte della ricorrente: deve
ritenersi che il Comune di Racalmuto non ne potesse
pronunziare la decadenza, stante che l’inizio dei lavori è
stato comunicato in data 27.09.2010, e cioè entro il termine
annuale dal materiale rilascio del titolo, per cui,
assorbito quant’altro, il ricorso va accolto, con
compensazione delle spese di giudizio, ricorrendo giusti
motivi correlati alla particolare natura della controversia
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 01.02.2011 n. 181 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L’atto
di decadenza della concessione edilizia, per
il decorso infruttuoso del termine triennale
fissato per la conclusione dei lavori, ha
natura meramente ricognitiva.
In ogni caso la predetta decadenza
rappresenta un approdo ineludibile in
ipotesi di mancato completamento delle opere
nel termine di legge.
Invero è necessario evidenziare:
- che l’atto di decadenza della
concessione edilizia, per il decorso
infruttuoso del termine triennale fissato
per la conclusione dei lavori, ha natura
meramente ricognitiva (cfr. Cons. Stato, IV,
n. 511 del 1992);
- che lo stesso è desumibile per implicito
dall’ordinanza di demolizione impugnata del
09.02.2002 ed in particolare dalle sue
premesse (cfr. TAR Lazio, I, n. 264 del
2009);
- che in ogni caso la predetta decadenza
rappresenta un approdo ineludibile in
ipotesi di mancato completamento delle opere
nel termine di legge;
- che, quindi, nella specie trova
applicazione il disposto normativo contenuto
nell’art. 21-octies, comma 2, della Legge n.
241 del 1990, anche per l’ordinanza
impugnata, che ne rappresenta la conseguenza
necessitata;
- che l’ordinanza di sospensione dei lavori
produce effetti per soli 45 giorni (cfr.
art. 4 Legge n.47 del 1985);
- che non risulta richiesta, né tantomeno
accordata, la proroga dei termini per
l’ultimazione dei lavori (cfr. art. 4 Legge
n. 10 del 1977);
- che del pari è a dirsi per il titolo in
variante dell’11.05.1995, risultando le
opere in ogni caso non eseguite e i lavori
fermi al 22.12.1992 (cfr. verbale del
sopralluogo, all. 3 al ricorso e
documentazione fotografica, all. 1 agli atti
del Comune), a fronte di titoli edilizi non
annullati (cfr. anche Corte Cass., III, n.
111 del 1996, all. 3 agli atti del Comune);
- che quindi assumeva rilevanza anche la
sopravvenuta entrata in vigore di nuove
norme urbanistiche, preclusive
dell’edificazione, non ultimata
tempestivamente (cfr. art. 31, comma 11,
Legge n. 1150 del 1942 in relazione al Piano
dell’Arenile, art. 7.3, all. 4 agli atti del
Comune)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza
14.09.2010
n. 5944 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La decadenza della concessione edilizia
per mancata osservanza del termine di inizio e di
completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta
incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto,
opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento,
ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del
termine.
Il Collegio condivide infatti quella parte della
giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Campania Napoli,
sez. II, 30.01.2009, n. 542; TAR Campania Napoli, sez. II,
21.11.2006, n.10044) che ritiene che la decadenza della
concessione edilizia per mancata osservanza del termine di
inizio e di completamento dei lavori ovvero per sopravvenuta
incompatibilità con lo strumento urbanistico sopravvenuto,
opera di diritto, con la conseguenza che il provvedimento,
ove adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un
effetto verificatosi ex se con l'inutile decorso del
termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato con il richiamo alla norma
applicata, senza che sia necessaria una comparazione tra
l'interesse del privato e quello pubblico, essendo
quest'ultimo ope legis prevalente sul primo e non è
necessaria la comunicazione di avvio del procedimento,
essendo la decadenza un effetto che si verifica ipso iure,
senza che residui all'amministrazione alcun margine per
valutazioni di ordine discrezionale
(TAR Bsasilicata,
sentenza 10.09.2010 n. 593 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La realizzazione di mere operazioni di
sbancamento non è, invero, sufficiente a configurare
l’inizio di una vera e propria attività edificatoria.
La realizzazione di mere operazioni di sbancamento
non è, invero, sufficiente a configurare l’inizio di una
vera e propria attività edificatoria (cfr. la giurisprudenza
in tema di decadenza del permesso di costruire: Tar
Lombardia Milano, sez. II, 08.03.2007, n. 372; Tar Lazio,
Roma, sez. II, 11.05.2006, n. 3480; Cons. Stato, sez. IV,
03.10.2000, n. 5242) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
CONCESSIONE EDILIZIA: AVVIO E FINE DEI
LAVORI.
Concessione - Decadenza - Mancata prova
dell'avvio dei lavori entro un anno dal rilascio -
Legittimità - Richiesta di proroga - Conseguenze.
Le opere di sbancamento, di sottofondazione e di
perimetrazione non sono considerate sufficienti ad integrare
il requisito dell'avvio dei lavori, che deve comunque
avvenire entro un anno dal rilascio della concessione
edilizia, mentre i medesimi lavori devono terminare, a pena
di decadenza della concessione, entro tre anni (1).
La comunicazione dell'inizio dei lavori e, dopo tre anni, la
richiesta di proroga della concessione edilizia, senza
tuttavia fornire la prova dell'avvio effettivo dei lavori
entro il prescritto anno dal rilascio della concessione,
consente all'amministrazione di disporre legittimamente la
decadenza ai termini di legge della concessione edilizia.
La domanda di proroga non può legittimamente essere
interpretata dall'amministrazione comunale come richiesta di
proroga della concessione rilasciata, ed oramai scaduta, ma
solo ed esclusivamente come richiesta di nuova concessione,
ai sensi e per gli effetti dell'art. 4 ultimo comma, L. n.
10/1977.
---------------
(1) Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16-11-1998 n.
1615 (massima tratta da http://mondolegale.it/ - TAR
Lazio-Latina, Sez. I,
sentenza 19.07.2010 n. 1170 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I fatti sopravvenuti che possono
legittimare la proroga del termine di inizio o completamento
dei lavori, della concessione ddilizia, ai sensi dell'art.
15, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo
automatico, ma possono costituire oggetto di valutazione in
sede amministrativa qualora l'interessato proponga
un'apposita domanda di proroga, il cui accoglimento è
indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del
titolo edilizio.
In tema di efficacia della concessione edilizia, il termine
di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l. 28.01.1977,
n. 10, per l'ultimazione dei lavori di costruzione è
perentorio e, come tale, non tollera interruzioni o
sospensioni.
La giurisprudenza ha affermato che “i fatti sopravvenuti
che possono legittimare la proroga del termine di inizio o
completamento dei lavori ai sensi dell'art. 15, comma 2,
d.P.R. n. 380 del 2001, non hanno un rilievo automatico, ma
possono costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita
domanda di proroga, il cui accoglimento è indefettibile
affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo
edilizio” (Cons. di St., IV, 10.08.2007, n. 4423).
Nello stesso senso è del resto anche la giurisprudenza
penale: “in tema di efficacia della concessione edilizia,
il termine di tre anni stabilito dall'art. 4, comma 4, l.
28.01.1977, n. 10, per l'ultimazione dei lavori di
costruzione è perentorio e, come tale, non tollera
interruzioni o sospensioni. In relazione all'insorgenza di
fatti estranei alla volontà del concessionario e non
imputabili a sua colpa, la legge, invero, consente di poter
fruire di un più lungo periodo, ma soltanto a condizione che
ci si avvalga delle procedure a tale scopo predisposte dai
commi 4 e 5 del succitato art. 4 (che prevedono la richiesta
di un provvedimento di proroga della concessione edilizia,
ovvero di una nuova concessione per la parte non ultimata)”
(Cass. Pen., 25.03.1993) (TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
decadenza della concessione edilizia opera “di diritto”,
cioè si verifica automaticamente, ope legis.
Per quanto concerne la mancanza di un formale provvedimento
di decadenza della concessione edilizia, si osserva che, nel
vigore della precedente normativa (art. 4 L. 28.01.1977 n.
10), la giurisprudenza discuteva circa la natura costitutiva
o dichiarativa della pronuncia di decadenza (in quest’ultimo
senso cfr. Cons. di St., V, 27.03.2000, n. 1755).
Orbene, il testo unico in materia edilizia D.P.R. n.
380/2001 ha inteso per l’appunto porre fine a tale diatriba,
chiarendo che la decadenza opera “di diritto”, cioè
si verifica automaticamente, ope legis (TAR Liguria,
Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5569 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Decadenza della concessione edilizia -
Effetti - Dichiarazione della P.A. - Necessità.
La decadenza della concessione edilizia per mancato inizio
ed ultimazione dei lavori non è automatica e deve, pertanto,
essere dichiarata con apposito provvedimento della P.A. che
renda operanti gli effetti della decadenza accertata
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 11.03.2010 n. 582 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La decadenza della concessione edilizia
per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è
automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito
provvedimento dell'amministrazione che renda operanti gli
effetti della decadenza accertata.
Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale
dominante secondo cui la decadenza della concessione
edilizia per mancato inizio ed ultimazione dei lavori non è
automatica e deve, pertanto, essere dichiarata con apposito
provvedimento dell'amministrazione che renda operanti gli
effetti della decadenza accertata (Cons. Stato, sez. V,
29.01.2008 n. 249; Cons. Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612;
Cons. Stato, sez. V, 15.06.1998, n. 834).
Il provvedimento demolitorio impugnato è quindi illegittimo
non essendo preceduto da un provvedimento dichiarativo della
intervenuta decadenza; è, altresì, illegittimo in quanto
adottato in violazione dell’affidamento nella legittimità
dell’intervento edilizio, ingenerato dall’inerzia
dell’amministrazione protratta per un notevole lasso di
tempo, a fronte di un illecito (il mancato inizio dei lavori
entro il termine previsto dalla concessione) che, non avendo
carattere permanente, necessita di una tempestiva
contestazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.03.2010 n. 582 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Per accertare se sussistono o meno i
presupposti per la decadenza di una concessione edilizia,
l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non via
generale ed astratta, ma con specifico riferimento
all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio
programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare
che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a
lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente
significativi di un effettivo intendimento del titolare
della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera
assentita.
Il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione
degli strumenti e materiali di costruzione non sono di norma
sufficienti a manifestare una reale volontà di esecuzione
del manufatto (occorrendo, a tal fine, anche la messa a
punto dell’organizzazione del cantiere e altri indizi che
dimostrino il concreto proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione).
La giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi in ordine a
fattispecie analoghe a quella ora all’esame, ha già chiarito
che per accertare se sussistono o meno i presupposti per la
decadenza di una concessione edilizia, l’effettivo inizio
dei lavori deve essere valutato non via generale ed
astratta, ma con specifico riferimento all’entità ed alle
dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed
autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine
prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e
simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo
intendimento del titolare della concessione di procedere
alla realizzazione dell'opera assentita.
Il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione
degli strumenti e materiali di costruzione non sono di norma
sufficienti a manifestare una reale volontà di esecuzione
del manufatto (occorrendo, a tal fine, anche la messa a
punto dell’organizzazione del cantiere e altri indizi che
dimostrino il concreto proposito di proseguire i lavori sino
alla loro ultimazione), ma possono, tuttavia, verificarsi
casi particolari in cui il solo sbancamento, per interessare
un’area di vaste proporzioni, costituisce sicuro indizio di
un animus aedificandi e configura quindi valido avvio
dei lavori, impedendo il verificarsi della decadenza della
concessione;
Nel caso di specie le opere eseguite, con specifico
riferimento a quanto dichiarato e documentato con il
gravame, sembrano di modesta entità in relazione
all’intervento programmato, ove si consideri che con il
permesso in questione è stata autorizzata la costruzione di
un edificio ad uso residenziale dell’altezza di oltre
quindici metri e della volumetria di oltre mc. 3.700, mentre
lo scavo realizzato appare di modeste dimensioni e di costo
ridotto in relazione all’impegno finanziario richiesto per
realizzare l’opera progettata (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 08.03.2010 n. 152 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Decadenza del permesso di costruire per
decorso del termine di inizio o di ultimazione dei lavori -
Nozione di "inizio dei lavori” - Art. 15, 2° c., T.U. n.
380/2001.
Ai sensi dell'art. 15, 2° comma, del T.U. n. 380/2001, i
lavori devono ritenersi "iniziati" quando consistano
nel concentramento di mezzi e di uomini, cioè nell'impianto
del cantiere, nell'innalzamento di elementi portanti, nella
elevazione di muri e nella esecuzione di scavi coordinati al
gettito delle fondazioni del costruendo edificio. Sicché, va
salvaguardata, l'esigenza di evitare che il termine
prescritto possa essere eluso con ricorso ad interventi
fittizi e simbolici.
I soli lavori di sbancamento -non accompagnati dalla
compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi
idonei a confermare l'effettivo intendimento del titolare
del permesso di costruire di addivenire al compimento
dell'opera assentata, attraverso un concreto, continuativo e
durevole impiego di risorse finanziarie e materiali- non
possono ritenersi idonei a dare dimostrazione dell'esistenza
dei presupposti indispensabili per configurare un effettivo
inizio dei lavori.
Nuovo permesso di costruire susseguente
alla decadenza di altro già assentito - Vincolo
dell'amministrazione comunale - Esclusione - Esamina delle
condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento della
presentazione - Necessità - T.U. n. 380/2001.
In sede di rilascio di nuovo permesso susseguente alla
decadenza di altro già assentito, l'amministrazione comunale
non può ritenersi vincolata da quello precedentemente dato,
poiché si trova di fronte ad una istanza del tutto nuova, da
esaminare in relazione alle condizioni di fatto e di diritto
esistenti al momento della presentazione [C.Stato, Sez. IV,
ordinanza cautelare 25.02.2005, n. 966] (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 23.02.2010 n. 7114 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La decadenza di una concessione edilizia (ed oggi
di un permesso di costruire) per la mancata osservanza del
termine di inizio o di completamento dei lavori (ovvero per
sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico
sopravvenuto) opera "di diritto", con la conseguenza che il
provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con
l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata,
senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse
del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope
legis" prevalente sul primo, e che non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento, essendo la
decadenza un effetto che si verifica "ipso iure", senza che
residui all'amministrazione alcun margine per valutazioni di
ordine discrezionale.
Si è anche precisato che la pronunzia di decadenza del
permesso di costruire per omesso rispetto dei termini
fissati per l'inizio dei lavori o per il completamento degli
stessi -in mancanza di apposita istanza di proroga entro la
scadenza di tali termini- si qualifica come atto vincolato,
a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per
il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge,
costituito dal mancato inizio o completamento dei lavori nel
termine assegnato, con la conseguenza che la decadenza del
titolo si verifica in modo automatico e non è subordinata
alla sua previa dichiarazione con atto amministrativo, e che
l’istituto della decadenza ha carattere oggettivo trovando
fondamento nel mero decorso del termine previsto, fatta
eccezione per i casi di sospensione o proroga connessi a
factum principis, forza maggiore o altre cause espressamente
contemplate dalle legge non riferibili alla condotta del
titolare del permesso e assolutamente ostative
all’esecuzione dei lavori.
---------------
Per quanto riguarda poi la tipologia delle opere che possono
far ritenere iniziati i lavori la giurisprudenza ha chiarito
che le opere realizzate devono essere finalizzate alla
realizzazione del manufatto oltreché avere una certa
consistenza, dovendosi così escludere che possano costituire
inizio dei lavori quelle opere solo fittiziamente eseguite e
che, perciò stesso, non evidenziano l'esistenza di una
concreta "voluntas aedificandi" da parte del titolare del
titolo edilizio.
In particolare si è affermato che, al fine di contestare la
dichiarata decadenza della concessione edilizia (ed oggi di
un permesso di costruire) per mancato inizio dei lavori nei
termini non è sufficiente addurre l'avvenuta recinzione del
cantiere, il posizionamento della baracca degli attrezzi, la
pulizia dell'area, la realizzazione dell'impianto elettrico
e di terra del cantiere, l'installazione della
cartellonistica di cantiere, etc., trattandosi di
circostanze che oltre ad esaurirsi in un brevissimo arco
temporale non possono essere considerate significative di un
effettivo inizio dei lavori di costruzione dell'edificio
progettato e assentito.
Anche questa Sezione ha di recente affermato sul punto che
l'esecuzione di mere attività preparatorie, quali il taglio
degli alberi, l'apertura di un varco di accesso al terreno,
la demolizione di parte di un muro di confine e la
realizzazione di una nuova recinzione, non accompagnate
dalla compiuta organizzazione del cantiere di lavoro, non
costituiscono valido inizio dei lavori tale da impedire la
decadenza del permesso di costruire per mancato rispetto del
termine iniziale.
Al riguardo si deve preliminarmente ricordare che, come
anche questa Sezione ha avuto modo di recente di affermare,
la decadenza di una concessione edilizia (ed oggi di un
permesso di costruire) per la mancata osservanza del termine
di inizio o di completamento dei lavori (ovvero per
sopravvenuta incompatibilità con lo strumento urbanistico
sopravvenuto) opera "di diritto", con la conseguenza
che il provvedimento, ove adottato, ha carattere meramente
dichiarativo di un effetto verificatosi "ex se" con
l'inutile decorso del termine.
Da ciò consegue che l'eventuale provvedimento di decadenza è
sufficientemente motivato col richiamo alla norma applicata,
senza che sia necessaria una comparazione tra l'interesse
del privato e quello pubblico, essendo quest'ultimo "ope
legis" prevalente sul primo, e che non è necessaria la
comunicazione di avvio del procedimento, essendo la
decadenza un effetto che si verifica "ipso iure",
senza che residui all'amministrazione alcun margine per
valutazioni di ordine discrezionale (TAR Campania Napoli,
sez. II, 30.01.2009, n. 542; TAR Sicilia Catania, sez. I,
15.09.2009, n. 1507).
Si è anche precisato che la pronunzia di decadenza del
permesso di costruire per omesso rispetto dei termini
fissati per l'inizio dei lavori o per il completamento degli
stessi -in mancanza di apposita istanza di proroga entro la
scadenza di tali termini- si qualifica come atto vincolato,
a carattere meramente dichiarativo, che deve intervenire per
il solo fatto del verificarsi del presupposto di legge,
costituito dal mancato inizio o completamento dei lavori nel
termine assegnato, con la conseguenza che la decadenza del
titolo si verifica in modo automatico e non è subordinata
alla sua previa dichiarazione con atto amministrativo (TAR
Valle d'Aosta Aosta, sez. I, 19.03.2009, n. 19), e che
l’istituto della decadenza ha carattere oggettivo trovando
fondamento nel mero decorso del termine previsto, fatta
eccezione per i casi di sospensione o proroga connessi a
factum principis, forza maggiore o altre cause
espressamente contemplate dalle legge non riferibili alla
condotta del titolare del permesso e assolutamente ostative
all’esecuzione dei lavori (TAR Piemonte, Sez. I, n. 2113 del
28.07.2009).
Per quanto riguarda poi la tipologia delle opere che possono
far ritenere iniziati i lavori la giurisprudenza ha chiarito
che le opere realizzate devono essere finalizzate alla
realizzazione del manufatto oltreché avere una certa
consistenza (Consiglio di Stato, Sez. V, 29.11.2004, n.
7748; TAR Toscana, sez. III, 17.11.2008, n. 2533), dovendosi
così escludere che possano costituire inizio dei lavori
quelle opere solo fittiziamente eseguite e che, perciò
stesso, non evidenziano l'esistenza di una concreta "voluntas
aedificandi" da parte del titolare del titolo edilizio.
In particolare si è affermato che, al fine di contestare la
dichiarata decadenza della concessione edilizia (ed oggi di
un permesso di costruire) per mancato inizio dei lavori nei
termini non è sufficiente addurre l'avvenuta recinzione del
cantiere, il posizionamento della baracca degli attrezzi, la
pulizia dell'area, la realizzazione dell'impianto elettrico
e di terra del cantiere, l'installazione della
cartellonistica di cantiere, etc., trattandosi di
circostanze che oltre ad esaurirsi in un brevissimo arco
temporale non possono essere considerate significative di un
effettivo inizio dei lavori di costruzione dell'edificio
progettato e assentito (Consiglio Stato, sez. IV,
18.06.2008, n. 3030).
Anche questa Sezione ha di recente affermato sul punto che
l'esecuzione di mere attività preparatorie, quali il taglio
degli alberi, l'apertura di un varco di accesso al terreno,
la demolizione di parte di un muro di confine e la
realizzazione di una nuova recinzione, non accompagnate
dalla compiuta organizzazione del cantiere di lavoro, non
costituiscono valido inizio dei lavori tale da impedire la
decadenza del permesso di costruire per mancato rispetto del
termine iniziale (TAR Campania Napoli, sez. II, 25.09.2008,
n. 10890) (TAR Campania-Napoli,
Sez. II,
sentenza 27.01.2010 n. 335 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: La
decadenza della concessione edilizia non deve essere
dichiarata mediante un provvedimento formale, avendo la
stessa natura dichiarativa.
Osserva il Collegio che, come
si evince dalla documentazione in atti, il ritiro del
suddetto titolo edilizio è avvenuto il 16.02.2007, quando
era decorso il termine di un anno dal suo rilascio
(14.02.2006), con conseguente decadenza del medesimo ai
sensi dell’art. 15, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001,
secondo il quale “il termine per l'inizio dei lavori non
può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo”.
Ciò è stato del resto riconosciuto dallo stesso Comune di
Fano, che con nota in data 17.05.2007 prot. n. 34219 ha
accolto l’istanza della s.r.l. Domega di rimborso degli
oneri (prima rata) già corrisposti, dando atto che il P.d.C.
n. 818/2005 “è ormai decaduto”. Né, contrariamente a
quanto dedotto dalla difesa della società concessionaria, la
decadenza deve essere dichiarata mediante un provvedimento
formale, avendo la stessa natura dichiarativa (cfr. Cons.
St., Sez. IV, 18.06.2008, n. 3030).
In accoglimento della censura deve essere pertanto disposto
l’annullamento dell’atto di accertamento da ultimo
menzionato (TAR Marche,
sentenza 28.12.2009 n. 1475 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Con
riferimento all’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380,
laddove prevede che «... b) il termine per l’inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno dal “rilascio”
del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare
i tre anni dall'inizio dei lavori», appare più che
verosimile ritenere che la nozione legislativa faccia
riferimento alla data della consegna del titolo in mani del
destinatario quale termine a quo del computo dell'anno di
tempo per l'inizio dei lavori, ossia al “rilascio” inteso ai
sensi del comma 7 della disposizione, comprensivo quindi
della avvenuta notifica che perfeziona la fattispecie.
E' da
ritenere la concessione edilizia atto
avente natura recettizia e, dunque, il termine di decadenza
di un anno per l'inizio dei lavori prende corso non dalla
data in cui il provvedimento è emanato, ma dalla data in cui
esso è “rilasciato” ossia consegnato nelle debite forme
amministrative facenti fede certa della data, al titolare o
al suo delegato.
Parte ricorrente lamenta che, nel disporre l’archiviazione
del procedimento finalizzato alla prospettica declaratoria
di decadenza del permesso di costruire n. 104/2005 per
mancato rispetto dei termini di inizio e di conclusione dei
lavori, l’Amministrazione abbia violato la regola, a suo
dire inequivocamente desumibile dalla lettera dell’art. 15
del d.p.r. n. 380 del 2001, secondo cui la decorrenza dei
termini de quibus dovrebbe ancorarsi alla data di
adozione e non di partecipazione del titolo abilitativo alla
edificazione, in quanto per definizione non recettizio.
L’assunto non è condivisibile.
In verità, la
questione (di puro diritto) non trova a tutt’oggi concordi
gli interpreti.
Importa, in ogni caso, premettere che l’art. 15 del d.p.r.
06.06.2001 n. 380, prevede che:
a) nel permesso di costruire siano indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori;
b) che, in particolare, il termine per l’inizio dei lavori
non possa essere superiore ad un anno dal “rilascio”
del titolo, laddove quello di ultimazione non possa superare
i tre anni dall'inizio dei lavori;
c) che, decorsi tali termini, il permesso decada di diritto
per la parte non eseguita, a meno che, anteriormente alla
scadenza venga richiesta (e conseguita) una proroga.
La disposizione in esame fa, dunque, decorrere il termine “dal
rilascio del titolo” (e non dalla sua successiva
comunicazione all’interessato), ciò che induce un corposo
filone giurisprudenziale (con l’assenso di parte della
dottrina) alla tesi della non ricettizietà (confermata, per
un verso, dalla ratio della previsione –preordinata a
tutelare l’interesse pubblico a che il rilascio di titoli
edilizi non seguiti dalla pronta ed effettiva realizzazione
delle opere progettate non precluda l’immutazione degli
assetti programmatori del territorio– e, per altro verso,
dal tenore dell’attuale art. 21-bis della l. n. 241 del
1990, il quale, recependo sul punto le elaborazioni pretorie,
dice recettizi solo i provvedimenti limitativi della sfera
del destinatario, legittimando l’argomentazione a contrario
per quelli ampliativi). In tali sensi sono,
esemplificativamente, Cass., sez. I, 30.11.2006, n. 25536;
TAR Liguria, 11.03.2003, n. 279; TAR Sardegna, 10.11.1992,
n. 1429; Cons. Stato, sez. V, 02.07.1993, n. 770 (e secondo
TAR Lazio Latina, 09.07.2007, n. 482, mentre a norma
dell'art. 31 della l. 17.08.1942, n. 1150, la decorrenza dei
termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del
provvedimento concessorio, nel vigore della attuale
disciplina la decorrenza è ancorata alla data di “rilascio”
e non più di “ritiro”).
Non mancano, peraltro, pronunce secondo le quali la
concessione edilizia deve ritenersi provvedimento
amministrativo “recettizio”, che, come tale, si
perfeziona solo con la comunicazione agli interessati (in
tal senso, per esempio, Cons. Stato, sez. V, 27.09.1996, n.
1152, TAR Piemonte, 04.11.2008, n. 2749; TAR Sicilia
Catania, 07.04.2009, n. 678).
Al Collegio appare preferibile la tesi
della natura recettizia del provvedimento.
A tal fine importa
preliminarmente osservare, sul piano della interpretazione
letterale, che il termine “rilascio” (sul quale fa
anzitutto leva l’opposta opzione ricostruttiva) non appare,
di per sé, univoco, potendo sematicamente evocare sia la “emanazione”
del provvedimento, sia la “consegna” al destinatario.
Peraltro, tra le due possibili significazioni, la seconda
appare sicuramente più rispondente al lessico del
legislatore, se si considera che, laddove quest'ultimo
avesse voluto fare riferimento alla data della “emanazione”
dell'atto, avrebbe verisimilmente usato sinonimi dal più
corretto significato tecnico, come “data dell'atto”
oppure, “data di adozione” o, più semplicemente “adozione”.
Tra l'altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae
origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio”
non può non equivalere a consegna perché l'interesse della
parte è di natura pretensiva, ossia attiene alla
acquisizione di una specifica utilità, riconnessa ad un bene
della vita, che può derivargli solo da un provvedimento
espresso, ossia formale e nessuna formalità avrebbe pieno
senso se fosse disgiunta da una successiva comunicazione
materiale del documento.
La tesi trova implicita conferma, sul piano della analisi
sistematica della disciplina normativa in subiecta
materia, dalla lettura dell’art. 20 del d.p.r. n. 380, che
prospetta il contestuale riferimento alla “adozione”,
alla “notifica” ed, appunto, al “rilascio” del
provvedimento, legittimando l’assunto che quest’ultimo –per
non coincidere con la mera adozione– debba riferirsi alla
notifica del provvedimento al beneficiario.
Dispone, infatti, il comma 7 dell’art. 20 cit. che “il
provvedimento finale, che lo sportello unico provvede a
notificare all'interessato, è adottato dal dirigente [...]
entro quindici giorni dalla proposta di cui al comma 3”
e che “dell'avvenuto rilascio del permesso di costruire è
data notizia al pubblico mediante affissione all'albo
pretorio”.
Appare allora evidente che, essendo espressamente
contemplata l’“adozione” del provvedimento finale ed
altresì la sua “comunicazione” mediante notifica,
quel “rilascio” del provvedimento cui tutta la
disciplina dell'art. 20 è preordinata non può che essere
costituito da una fase complessa che si compone di due
momenti, appunto l’“adozione” (che è ad opera del
dirigente o del responsabile) e la “notifica” dello
stesso provvedimento (che avviene a cura dello sportello
unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica”
e non alla comunicazione pura e semplice, ne discende che il
legislatore connette effetti costitutivi alla fase della
trasmissione dell'atto al destinatario, dal momento che
richiede l'acquisizione di una data certa in cui ciò avviene
e disciplina espressamente la responsabilità di tale
adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola
in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello
chiamato all'adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma della riassunta interpretazione si trae
dall’esame della disciplina del silenzio rifiuto che,
secondo il comma 9 dell’art. 20, si forma se, entro il
termine di legge, non viene “adottato” il
provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa
ancora riferimento all'adozione dell'atto, non al suo
rilascio, con ciò dimostrando come l'uso del termine sia
consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa. E
ciò tanto più che, formandosi il silenzio rifiuto per
mancanza “adozione” dell'atto finale, si conferma non
solo che le nozioni di “adozione” e “rilascio”
sono diverse, ma anche che l'eventuale adozione non seguita
dalla notifica non determina silenzio rifiuto. In altri
termini, l'atto adottato e non comunicato, per effetto del
comma 9 dell'art. 20 cit., va considerato come “perfetto”
ed inefficace, in quanto carente della necessaria fase
integrativa dell'efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione
legislativa faccia riferimento alla data della consegna del
titolo in mani del destinatario quale termine a quo
del computo dell'anno di tempo per l'inizio dei lavori,
ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della
disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che
perfeziona la fattispecie.
Argomento contrario non può trarsi, per contro, dalla
lettera dell’art. 21-bis della legge n. 241/1990, il quale,
come è noto, pone il principio secondo il quale i
provvedimenti limitativi della sfera giuridica del privato
sono a carattere necessariamente recettizio (avendo, in
sostanza, il legislatore recepito l’elaborazione
giurisprudenziale e l’insegnamento dottrinario, alla cui
stregua l'atto amministrativo è, per sua natura, recettizio
ogni qual volta richieda, per essere portato ad esecuzione,
la collaborazione del privato e dunque postuli la sua
effettiva conoscenza, in capo a quest'ultimo)
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti "sfavorevoli"
deriva da esigenze di certezza dell'azione amministrativa e
di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, si ritiene, argomentando
a contrario, che tutti gli altri atti amministrativi non
siano recettizi e dunque si perfezionino solo con la loro
emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione
successiva carattere di necessità ai fini della perfezione
dell'atto.
Vero è, peraltro, che, in un singolo provvedimento
amministrativo “ampliativo” possono sussistere
clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono
corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura
limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con
effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di
decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto
ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione, ai
fini della integrazione della efficacia, appare, dunque, una
evidente contraddizione con il principio e la ratio
dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un
atto limitativo della sfera giuridica del privato quello
specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne
condiziona l'utilità al compimento necessitato di
determinate attività entro specifici termini posti a pena di
decadenza (in termini, TAR Sicilia Catania, 07.04.2009, n.
678, al cui complessivo ragionamento il Collegio presta
adesione).
Con più lungo discorso, l'atto ampliativo, sebbene
favorevole al privato, quando contiene prescrizioni
restrittive connesse, quale condizione di mantenimento,
all'effetto favorevole (peraltro, relative proprio al
decorso del tempo), è comunque atto recettizio e, dunque, va
necessariamente comunicato.
Vale anche (con argomento orientato alle conseguenze)
apprezzare le implicazioni pratiche del riassunto principio.
Se si ammettesse, invero, che la concessione edilizia non è
atto recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto,
incolpevolmente, ai ritardi dell'ufficio comunale preposto
alla comunicazione dell'atto, il quale, a sua volta,
potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con
il proprio comportamento più o meno negligente, parte del
termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo
al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere
neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il
rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, ben potrebbe
non essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo
favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o
addirittura oltre la consumazione del termine annuale,
potrebbe ipotizzarsi la richiesta di una rimessione in
termini o, comunque, di una proroga: ma è evidente che si
tratterebbe pur sempre di una attività ulteriore e ad esito
non garantito, oltretutto in tesi imposta per
implausibilmente ovviare ad una circostanza che non è a lui
imputabile e dunque, per fare fronte a quella che resterebbe
pur sempre una inefficienza dell'ufficio comunale.
Sono, in definitiva, non meno ragioni testuali che esigenze
sostanziali di tutela ad imporre di ritenere la concessione
edilizia come atto avente natura recettizia e dunque sancire
che il termine di decadenza di un anno per l'inizio dei
lavori prende corso non dalla data in cui il provvedimento è
emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato”
ossia, come chiarito, consegnato nelle debite forme
amministrative facenti fede certa della data, al titolare o
al suo delegato (che tale risulti agli atti del Comune) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.12.2009 n. 7923 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Circa
l’efficacia temporale e decadenza del
permesso di costruire (art. 15 T.U. n. 380
del 2001) è stato affermato in
giurisprudenza che la perdita di efficacia
della concessione di costruzione edilizia
per mancato inizio od ultimazione dei lavori
nei termini prescritti deve essere accertata
e dichiarata con formale pronuncia di
decadenza da parte dell’amministrazione,
anche ai fini del necessario contraddittorio
col privato in ordine all’esistenza dei
presupposti di fatto e di diritto che
possano giustificare la pronuncia stessa.
Essa, invero, costituisce atto che
presuppone il mero decorso del tempo,
eccettuati i casi di sospensione o proroga
connessi a factum principis, forza maggiore
o cause espressamente contemplate dalla
legge, che deve intervenire per il solo
fatto del verificarsi del presupposto di
legge, nel caso in cui manchi un espresso
atto sindacale di proroga del termine
stesso, non potendosi configurare un atto
tacito di proroga del termine stesso, pur in
presenza delle condizioni di legge per farvi
luogo.
E’ stato, altresì, affermato che l’atto di
decadenza della concessione di costruzione,
per mancato inizio dei lavori nel termine
stabilito, non ha carattere dichiarativo, ma
costitutivo, comportando esercizio del
potere di discrezionalità tecnica, in
funzione di un interesse pubblico.
Il Collegio
ritiene che la censura svolta al riguardo
dall’appellante sia fondata. Invero, circa
l’efficacia temporale e decadenza del
permesso di costruire (art. 15 T.U. n. 380
del 2001) è stato affermato in
giurisprudenza che la perdita di efficacia
della concessione di costruzione edilizia
per mancato inizio od ultimazione dei lavori
nei termini prescritti deve essere accertata
e dichiarata con formale pronuncia di
decadenza da parte dell’amministrazione,
anche ai fini del necessario contraddittorio
col privato in ordine all’esistenza dei
presupposti di fatto e di diritto che
possano giustificare la pronuncia stessa
(Cons. Stato, VI Sez., n. 671/2006; V Sez.
n. 4954/2006).
Essa, invero, costituisce atto che
presuppone il mero decorso del tempo,
eccettuati i casi di sospensione o proroga
connessi a factum principis, forza
maggiore o cause espressamente contemplate
dalla legge, che deve intervenire per il
solo fatto del verificarsi del presupposto
di legge, nel caso in cui manchi un espresso
atto sindacale di proroga del termine
stesso, non potendosi configurare un atto
tacito di proroga del termine stesso, pur in
presenza delle condizioni di legge per farvi
luogo (Cons. Stato, IV Sez., n. 3196/2006; V
Sez. n. 597/2000).
E’ stato, altresì, affermato che l’atto di
decadenza della concessione di costruzione,
per mancato inizio dei lavori nel termine
stabilito, non ha carattere dichiarativo, ma
costitutivo, comportando esercizio del
potere di discrezionalità tecnica, in
funzione di un interesse pubblico (C.G.A. n.
743/2006) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.10.2009 n. 6545 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai fini della sussistenza dei presupposti per la
decadenza della concessione edilizia (ora permesso di
costruire), l'effettivo inizio dei relativi lavori deve
essere valutato non in termini generali ed astratti, ma con
specifico e puntuale riferimento all'entità ed alle
dimensioni dell'intervento edificatorio programmato ed
autorizzato, allo scopo di evitare che il termine prescritto
possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e/o
simbolici e in ogni caso non oggettivamente significativi di
un effettivo intendimento del titolare della concessione di
procedere alla costruzione dell'opera progettata.
---------------
... per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia,
del permesso di costruire n. 720/2004, emesso con
riferimento alla pratica edilizia n. 4/2004, rilasciato
dall’arch. De.Pa. nella sua qualità di
responsabile comunale del servizio urbanistico ai sigg.
Ma.Ru.Fa., ora deceduto, e alla sig.ra De Do.Ri.Ma. -
conosciuto dalla ricorrente solo in data 01.04.2008;
...
Anche il quarto motivo di ricorso con il quale
la ricorrente deduce la decadenza della concessione edilizia
per mancato inizio dei lavori nel termine di un anno dal
rilascio del titolo ai sensi dell’art. 15 del DPR 380/2001,
non coglie nel segno (a prescindere dalla considerazione che
la decadenza deve essere dichiarata con un atto che, pur se
dovuto e di carattere ricognitivo,è nondimeno un atto,
sicché la sua assenza non determina un vizio delle fasi del
procedimento amministrativo susseguenti ma va censurata nei
modi debiti).
Secondo la ricorrente la comunicazione dell’inizio dei
lavori (avvenuta in data 27.10.2005) due giorni prima della
scadenza del termine di un anno (29.10.2005) non può essere
ritenuta adempimento utile ai fini della dimostrazione
dell’inizio tempestivo dei lavori stessi mancando dei
presupposti essenziali (in assenza di comunicazione del
nominativo, qualifica e residenza del direttore dei lavori e
del nominativo e residenza del costruttore con la firma di
questi ultimi).
La Sezione ritiene, al riguardo, e condividendo sul punto
quanto precisato dal prevalente orientamento della giustizia
amministrativa in materia, che ai fini della sussistenza dei
presupposti per la decadenza della concessione edilizia (ora
permesso di costruire), l'effettivo inizio dei relativi
lavori debba essere valutato non in termini generali ed
astratti, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità
ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato
ed autorizzato, allo scopo di evitare che il termine
prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi
e/o simbolici e in ogni caso non oggettivamente
significativi di un effettivo intendimento del titolare
della concessione di procedere alla costruzione dell'opera
progettata (v. TAR Liguria, sez. I, 19/10/2007 n. 1775;
TAR Lazio - LT - 23/02/2007 n. 132; TAR Marche, sez. I,
11/07/2006 n. 525; TAR Campania - NA - sez. IV, 05/01/2006
n. 56).
Nella specie, il Collegio ritiene che la nota del
20.12.2007 della ditta M., con la quale si comunica
che era stato provveduto al tracciamento di plinti e travi
in fondazione per la realizzazione dello scavo, allo
sbancamento parziale del terreno e all’organizzazione del
cantiere, evidenzia di per se la sussistenza di un concreto
animus aedificandi; peraltro, l’affermazione della
ricorrente riguardante il mancato concreto inizio dei lavori
nel termine suddetto non risulta suffragata da alcun
concreto elemento probatorio, sicché non vi sono ragioni per
condividere la tesi da quest’ultima esposta
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 11.07.2009 n. 1809 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Decadenza titolo abilitativo.
Ai fini della
decadenza del permesso di costruire se, da un lato, non può
considerarsi dirimente allo scopo la mera comunicazione
circa l’avvio dell’intervento edilizio, allo stesso modo non
può ritenersi dotata di univoca rilevanza probatoria di
segno contrario la dichiarazione verbale, fatta in buona
fede ed a proprio danno, dall’interessato, nel quale non può
presumersi una conoscenza tecnico-giuridica degli elementi
idonei ad integrare validamente la nozione di “inizio dei
lavori”, secondo le acquisizioni giurisprudenziali
formatesi sul punto (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 02.07.2009 n. 3655 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La perdita di efficacia della
concessione edilizia richiede sempre l'adozione di un atto
dell'amministrazione che accerti i presupposti della
decadenza e ne renda operanti gli effetti.
La decadenza di una concessione edilizia non può essere
implicitamente ritenuta dall’Amministrazione, ma deve al
contrario costituire oggetto di formale ed apposita
contestazione.
Per giurisprudenza da ritenersi consolidata la perdita di
efficacia della concessione edilizia richiede sempre
l’adozione di un atto dell’amministrazione che accerti i
presupposti della decadenza e ne renda operanti gli effetti,
per cui è indifferente che l’atto abbia carattere
dichiarativo ovvero costitutivo giacché in un caso e
nell’altro la perdita di efficacia della concessione è
subordinata all’esplicitazione di una potestà
provvedimentale (ex plurimis, CdS V Sez., 15.06.1998 n. 834;
Tar L’Aquila, 04.10.2006, n. 750; Tar Campania, Salerno Sez.
II, 12.04.2005) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 23.04.2009 n. 1004 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Se
alla D.I.A. si applichi l’istituto della decadenza previsto
per il permesso di costruire dall’art. 15, comma 4, del
D.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale “Il permesso decade
con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e
vengano completati entro il termine di tre anni dalla data
di inizio”.
In base ad una analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380
del 2001, in assenza di una specifica previsione normativa,
deve ritenersi possibile anche alla D.I.A. l’applicazione
degli istituti previsti per il permesso di costruire, in
quanto entrambi gli istituti hanno in comune la natura di “titoli
edilizi” e secondariamente alla luce dei poteri che il
legislatore ha previsto in capo alle Amministrazioni
deputate al controllo degli interventi posti in essere con
la D.I.A..
Il Collegio premette che, al fine di decidere la fattispecie
oggetto di gravame, non è necessario assumere posizione in
ordine alla natura giuridica della D.I.A (provvedimentale o
dichiarazione del privato), considerato che tale vexata
quaestio non incide sull’esercizio del potere inibitorio
che l’Amministrazione può esercitare nel corso dei 30 giorni
dalla denuncia, né sui poteri di autotutela che è
legittimata ad esercitare una volta spirato il suddetto
termine.
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento di quella
parte della giurisprudenza alla luce del quale, nonostante
il richiamo specifico dell’art. 19, comma 3, della legge n.
241 del 1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, che
disciplinano la revoca e l’annullamento d’ufficio, il potere
dell’Amministrazione di assumere determinazioni in via di
autotutela che la suddetta norma fa salvo, non si esaurisce
nell’utilizzazione dei suddetti istituti, ma deve intendersi
comprensivo di tutte le iniziative che l’Amministrazione è
legittimata ad assumere per ristabilire, nel pubblico
interesse, la legalità violata, compresa, quindi, la
decadenza, come sostenuto da parte resistente.
La giurisprudenza ha, d’altro canto, già ritenuto
applicabile alla D.I.A. edilizia l’art. 31, comma 11 della
legge n. 1150 del 1942, avente lo stesso contenuto del
citato art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in
quanto espressione dei permanenti poteri di vigilanza che,
nel pubblico interesse, sono attribuiti all’Amministrazione
in ordine all’esecuzione dell’opera autorizzata ed ai sensi
dell’art. 4, comma 10 del D.L. 05-10-1993 n. 398, convertito
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L.
04.12.1993, n. 493 che recita: “L'esecuzione delle opere
per cui sia esercitata la facoltà di denuncia di attività ai
sensi del comma 7 è subordinata alla medesima disciplina
definita dalle norme nazionali e regionali vigenti per le
corrispondenti opere eseguite su rilascio di concessione
edilizia” (TAR Lombardia, Brescia, ord. n. 27/2003,
giurisprudenza alla quale il Collegio non ritiene di doversi
discostare) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del
2001 - Permesso di costruire - Decadenza a seguito
dell’entrata in vigore di nuova disciplina urbanistica -
Applicabilità alla D.I.A..
L’istituto della decadenza previsto per il permesso di
costruire dall’art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001,
in base al quale “Il permesso decade con l'entrata in
vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i
lavori siano già iniziati e vengano completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio”, si applica
anche alla D.I.A.
Ciò, prioritariamente, in base ad una analisi logico
sistematica del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di una
specifica previsione normativa, deve ritenersi possibile
anche alla D.I.A. l’applicazione degli istituti previsti per
il permesso di costruire, in quanto entrambi gli istituti
hanno in comune la natura di “titoli edilizi” e
secondariamente alla luce dei poteri che il legislatore ha
previsto in capo alle Amministrazioni deputate al controllo
degli interventi posti in essere con la D.I.A. (TAR Umbria,
15.07.2007, n. 518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Art. 15 d.p.r. n. 380/2001 - Decadenza
del permesso di costruire - Ipotesi - Limiti tassativi -
Disciplina civilistica - Assimilabilità al vizio funzionale
della causa.
La decadenza del permesso di costruire è regolata dall’art.
15 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede due ipotesi: un
primo caso per il decorso dei termini indicati nel
titolo assentito; una seconda specie per il
sopravvenire di previsioni urbanistiche contrastanti con il
permesso di costruire.
L’opinione interpretativa prevalente tende, quindi, a
ritenere che il legislatore abbia voluto consentire la
decadenza solo nei due casi sopra indicati, da intendersi
come limiti tassativi di applicabilità dell’istituto. La
decadenza postula, quindi un titolo valido ab inizio ed una
sopravvenienza che incide sul rapporto.
Tale fattispecie può assimilarsi al vizio funzionale della
causa del negozio giuridico nella disciplina civilistica,
che si differenzia dal vizio genetico della causa che
ricorre quando l’atto nasce viziato ab origine (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.04.2009 n. 981 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
merito al rilascio della concessione edilizia (ora permesso
di costruire), il termine “rilascio” non può non equivalere
a consegna perché l’interesse della parte è a natura
pretensiva, ossia attiene alla acquisizione di una specifica
utilità, riconnessa ad un bene della vita, che può
derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia formale
(infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR 380/2001, il
decorso del termine a provvedere è qualificato come silenzio
rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se fosse
disgiunta da una successiva comunicazione materiale del
documento.
Appare più che verosimile ritenere che la nozione
legislativa faccia riferimento alla data della consegna del
titolo in mani del destinatario quale termine “a quo” del
computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori, ossia al
“rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della disposizione,
comprensivo quindi della avvenuta notifica che perfeziona la
fattispecie.
Nella disciplina in vigore a livello nazionale, viene in
esame l’art. 15 D.P.R. 06.06.2001 n. 380, a norma del quale
”1. Nel permesso di costruire sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori. 2. Il termine per
l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal
rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale
l'opera deve essere completata non può superare i tre anni
dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso
decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che,
anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga”.
Tale disposizione pare recare una espressa ed esplicita
decorrenza del termine “dal rilascio del titolo” che,
nella lettura della giurisprudenza più recente, non consente
di conferire rilevanza alla comunicazione del titolo agli
interessati.
A tale proposito, si osserva infatti che secondo alcune
pronunce (TAR Lazio Latina, I, 09.07.2007, nr. 482), a norma
dell’art. 31 della l. 17.08.1942, nr. 1150, la decorrenza
dei termini dipendeva dalla effettiva conoscenza del
provvedimento concessorio, mentre nel vigore della
disciplina attuale (art. 15, comma 2 del DPR 380/2001),
decorre dalla data di “rilascio” e non più di “ritiro”.
Analogamente, altre pronunce espressamente ritengono la c.e.
un atto non recettizio idoneo a produrre gli effetti suoi
propri dalla data di emanazione (Cass. Civ. I 30.11.2006, nr.
25536; TAR Liguria Genova, I, 11.03.2003 n. 279; TAR
Sardegna 10.11.1992, nr. 1429; sulla natura non recettizia
della licenza edilizia, cfr. anche Consiglio di Stato, V,
11.07.1980, nr. 695; V, 28.04.1981 nr. 141; V, 30.09.1983 nr.
413; 02/07/1993, nr. 770).
Confermerebbe, nell’ordinamento regionale siciliano, la
natura non recettizia della concessione edilizia, il regime
del rilascio della concessione ex art. 2 della LR 17/1994,
considerato che, secondo la giurisprudenza, la comunicazione
di inizio dei lavori non potrebbe intervenire oltre l’anno
dalla formazione del titolo tacito (TAR Sicilia Palermo, III,
09.11.2006 n. 2979), a pena di evidenti disparità di
trattamento tra il titolare del titolo tacito e quello in
possesso di un titolo formale (per il quale varrebbero i
termini di inizio ed ultimazione delle opere secondo la
disciplina di cui all’art. 36 LR 71/1978 che rappresenta
l’equivalente normativo dell’attuale art. 15 del DPR
380/22001 in ambito nazionale e che, come quest’ultima
norma, fa riferimento alla data di “rilascio” del
titolo per la decorrenza dei suddetti termini, che viene
letta, in tal senso, come data di emanazione dell’atto
concessorio).
Non mancano, comunque, nella giurisprudenza più risalente,
pronunce secondo le quali la concessione edilizia è un
provvedimento amministrativo “recettizio” che si
perfeziona con la comunicazione agli interessati (Consiglio
di Stato, V, 27.09.1996, nr. 1152; cfr. anche TAR Piemonte,
Torino, II, 04.11.2008, nr. 2749; TAR Piemonte, Torino, I,
01.09.2006, nr. 3166).
Quest’ultimo ordine di principi è dominante nella dottrina
specialistica, che, tra le voci più autorevoli, ha
evidenziato che la natura del problema dipende
dall’interesse tutelato: se si considera che il termine di
inizio dei lavori tutela l’interesse pubblico alla celere
esecuzione dei lavori, al fine di non permettere che essi
avvengano in un contesto urbanistico modificatosi per
effetto del trascorrere del tempo, rispetto a quello preso
in esame al momento del rilascio del titolo, la decorrenza
dell’anno per l’inizio dei lavori avviene dalla data del
titolo. Se, invece, si considera il termine come posto a
tutela dell’interesse del privato per consentirgli di
predisporre i mezzi necessari all’esecuzione dei lavori,
decorre dalla data di consegna dell’atto. Attesa, comunque,
la natura sanzionatoria del termine, quest’ultima tesi
dovrebbe essere preferita.
Il Collegio non è pago delle conclusioni cui è pervenuto
l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, per più
ordini di ragioni.
La norma previgente, che nell’art. 15 del DPR in esame è
confluita, ossia l’art. 4 L. n. 10/1977, prevedeva che “nell'atto
di concessione sono indicati i termini di inizio e di
ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei lavori
non può essere superiore ad un anno; il termine di
ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o
agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere
prorogato, ….omississ”.
Come è evidente, la disposizione oggi in vigore è chiara nel
fissare, quale termine a quo la data di “rilascio”
del titolo, a differenza della disposizione di cui all’art.
4 che, invece, fissava solo una espressa disciplina del
termine finale.
Tuttavia, il termine “rilascio” non appare univoco,
in prima lettura, perché può sostanzialmente significare (da
un punto di vista semantico) sia “emanazione”, sia “consegna”,
con ovvie diverse conseguenze ai fini della decorrenza degli
effetti.
Tra le due possibili significazioni, la seconda appare
sicuramente più rispondente al lessico del legislatore, se
si considera che, laddove quest’ultimo avesse voluto fare
riferimento alla data della “emanazione” dell’atto,
avrebbe usato sinonimi dal più corretto significato tecnico,
come “data dell’atto” oppure, “data di adozione” o,
più semplicemente “adozione”.
Tra l’altro, in un contesto procedimentale doveroso che trae
origine dalla istanza di parte, il termine “rilascio”
non può non equivalere a consegna perché l’interesse della
parte è a natura pretensiva, ossia attiene alla acquisizione
di una specifica utilità, riconnessa ad un bene della vita,
che può derivargli solo da un provvedimento espresso, ossia
formale (infatti, a norma dell’art. 20 comma 9 del DPR
380/2001, il decorso del termine a provvedere è qualificato
come silenzio rifiuto) e nessuna formalità avrebbe senso se
fosse disgiunta da una successiva comunicazione materiale
del documento.
Conferme in tal senso derivano all’interprete dall’analisi
sistematica del complesso di norme che, nel DPR 380/2001,
disciplinano il procedimento di formazione della concessione
edilizia.
L’art. 20 è, infatti, rubricato “procedimento per il
‘rilascio’ del permesso di costruire”; il comma 1
disciplina la presentazione della “domanda per il
‘rilascio’ del permesso..”; altri riferimenti al termine
“rilascio” sono contenuti in varie parti della
disposizione; ciò che più appare pertinente alla analisi in
oggetto è, però, il comma 7 della disposizione in esame, a
norma del quale “il provvedimento finale, che lo
sportello unico provvede a notificare all’interessato, è
adottato dal dirigente…entro quindici giorni dalla proposta
di cui al comma 3….dell’avvenuto rilascio del permesso di
costruire è data notizia al pubblico mediante affissione
all’albo pretorio….”.
Secondo la lettura della disposizione, globalmente
considerata, appare evidente che, poiché è, per la prima
volta, chiaramente contemplata l’”adozione” del
provvedimento finale ed altresì la sua “comunicazione”
mediante notifica, è evidente che quel “rilascio” del
provvedimento cui tutta la disciplina dell’art. 20 è
preordinata, non può che essere costituito da una fase
complessa che si compone di due momenti, appunto l’”adozione”
(che è ad opera del dirigente o del responsabile) e la “notifica”
dello stesso provvedimento (che avviene, quest’ultima, a
cura dello sportello unico).
Poiché, inoltre, la norma fa riferimento alla “notifica”
e non alla comunicazione pura e semplice, ne deriva che il
legislatore connette effetti costitutivi alla fase della
trasmissione dell’atto al destinatario, dal momento che
richiede l’acquisizione di una data certa in cui ciò avviene
e disciplina espressamente la responsabilità di tale
adempimento individuandone la competenza (ossia fissandola
in capo allo sportello unico) in soggetto diverso da quello
chiamato all’adozione del provvedimento.
Ulteriore conferma si ha nell’esame della disciplina del
silenzio rifiuto che, secondo il comma 9 dell’art. 20, si
forma se, entro il termine di legge, non viene “adottato”
il provvedimento finale: in questo caso, il legislatore fa
ancora riferimento all’adozione dell’atto, non al suo
rilascio, con ciò dimostrando come l’uso del termine sia
consapevole e indicatore di una precisa scelta normativa.
Inoltre, formandosi il silenzio rifiuto per mancanza “adozione”
dell’atto finale, si conferma non solo che le nozioni di “adozione”
e “rilascio” sono diverse, ma anche che l’eventuale adozione
non seguita dalla notifica non determina silenzio rifiuto.
Su questo aspetto si tornerà oltre. Qui vale rilevare che
l’atto adottato e non comunicato, per effetto del comma 9
dell’art. 20, va considerato come “perfetto” ed
inefficace, in quanto carente della necessaria fase
integrativa dell’efficacia.
Appare dunque più che verosimile ritenere che la nozione
legislativa faccia riferimento alla data della consegna del
titolo in mani del destinatario quale termine “a quo”
del computo dell’anno di tempo per l’inizio dei lavori,
ossia al “rilascio” inteso ai sensi del comma 7 della
disposizione, comprensivo quindi della avvenuta notifica che
perfeziona la fattispecie.
Ad avviso del Collegio, altri argomenti di natura
sistematica portano a dover concludere nel medesimo segno e
dunque in diverso avviso dalla giurisprudenza dominante.
L’art. 21-bis della l. 241/1990 pone il principio secondo il
quale i provvedimenti limitativi della sfera giuridica del
privato sono a carattere necessariamente recettizio; il
legislatore ha così recepito l’insegnamento anche della
dottrina, secondo il quale l’atto amministrativo è per sua
natura recettizio ogni qual volta richieda, per essere
portato ad esecuzione, la collaborazione del privato e
dunque postuli la sua effettiva conoscenza, in capo a
quest’ultimo.
La affermazione della natura recettizia dei provvedimenti “sfavorevoli”
deriva da esigenze di certezza dell’azione amministrativa e
di giustizia sostanziale.
Sulla base di questa disposizione, la dottrina ha ritenuto
anche che tutti gli altri atti amministrativi non sono
recettizi e dunque si perfezionano solo con la loro
emanazione, non rivestendo la fase della comunicazione
successiva, un carattere di necessità ai fini della
perfezione dell’atto.
Anche aderendo a tale ricostruzione dottrinaria, il Collegio
deve però osservare che, in un singolo provvedimento
amministrativo “ampliativo” possono sussistere
clausole, ovvero vere e proprie condizioni, che assistono
corrispondenti interessi pubblici, a carattere e natura
limitativa, come quelle che comminano oneri sanzionati con
effetti pregiudizievoli, come appunto, i termini di
decadenza nella concessione edilizia.
Sostenere che la concessione edilizia, in quanto atto
ampliativo, non è soggetta ad obbligo di comunicazione,ai
fini della integrazione della efficacia, appare, dunque,una
evidente contraddizione con il principio e la ratio
dell’art. 21-bis della l. 241/1990, perché è sicuramente un
atto limitativo della sfera giuridica del privato quello
specifico contenuto di un provvedimento ampliativo, che ne
condiziona l’utilità al compimento necessitato di
determinate attività entro specifici termini posti a pena di
decadenza.
In altri termini, l’atto ampliativo, sebbene favorevole al
privato, quando contiene prescrizioni restrittive connesse,
quale condizione di mantenimento, all’effetto favorevole
(peraltro, relative proprio al decorso del tempo), è
comunque atto recettizio e, dunque, va necessariamente
comunicato.
Si considerino anche le implicazioni pratiche del principio
appena espresso.
Se si ammettesse che la concessione edilizia non è atto
recettizio, il privato sarebbe praticamente esposto,
incolpevolmente, ai ritardi dell’ufficio comunale preposto
alla comunicazione dell’atto, il quale, a sua volta,
potrebbe “consumare” con i propri adempimenti, o con
il proprio comportamento più o meno negligente, parte del
termine decadenziale fissato, con ovvie conseguenze in capo
al privato, il quale, a sua volta, potrebbe non essere
neppure in condizioni di difendersi, “esigendo” il
rilascio del titolo, perché, sempre in ipotesi, potrebbe
anche (ed ordinariamente dovrebbe essere proprio così) non
essere a conoscenza della esistenza di un titolo a suo
favore.
Vero è che, una volta ottenuto il titolo con ritardo o
addirittura oltre la consumazione del termine annuale,
potrebbe chiedere una rimessione in termini o comunque una
proroga: ma è evidente che si tratterebbe pur sempre di una
attività ulteriore che gli si richiederebbe per ovviare ad
una circostanza che non è a lui imputabile e dunque, per
fare fronte a quella che resterebbe pur sempre una
inefficienza dell’ufficio comunale.
Pertanto, a giudizio del Collegio, ragioni testuali e
sostanziali di tutela impongono di ritenere la concessione
edilizia come atto avente natura recettizia e dunque
ritenere che il termine di decadenza di un anno per l’inizio
dei lavori, ha inizio non dalla data in cui il provvedimento
è emanato, ma dalla data in cui esso è “rilasciato”
ossia consegnato nelle debite forme amministrative facenti
fede certa della data, al titolare o al suo delegato (che
tale risulti agli atti del Comune).
Dall’analisi appena svolta, emerge dunque che, secondo il
Collegio, la concessione edilizia dei controinteressati ha
acquisito effetti, nei confronti di questi ultimi, solo
dalla data della notifica come risulta dalla relata apposta
in calce al provvedimento depositato in atti.
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Venendo adesso alla fattispecie
che è all’esame del giudizio, dalla esposizione che precede,
si è visto che il legislatore (sia quello regionale che
quello nazionale), non contempla i termini di “notifica”
o comunicazione dell’atto ampliativo costituito dal titolo
edilizio al suo titolare da parte del Comune.
A stretto rigore, quindi, l’Ufficio comunale competente
potrebbe non procedere alla notifica nella stessa data di
emanazione; anzi, la differenza temporale tra i due momenti
potrebbe essere significativa, non essendo normata.
Tuttavia, sebbene non sussista una previsione espressa di
procedere “immediatamente” alla notifica della
concessione edilizia, dal complesso delle disposizioni in
esame e dalla ratio della disciplina dei termini
decadenziali contenuti nella concessione per l’inizio e per
la fine dei lavori, emerge che sull’Ufficio comunale incombe
un obbligo ben preciso di evasione immediata della
comunicazione della concessione edilizia all’interessato.
Infatti, scopo della disciplina dei termini per l’inizio e
fine dei lavori, nella concessione edilizia, è quello di
assicurare l’effettività della disciplina edilizia, ossia
che la trasformazione urbana assentita avvenga in quel
medesimo contesto territoriale e del comprensorio che è
stato considerato nella fase autorizzatoria, in modo da
scongiurare che l’evoluzione dell’abitato possa in qualche
maniera essere compromessa, rispetto al disegno dello
strumento urbanistico, da fenomeni edilizi risalenti, o
comunque assentiti in contesti mutati (Consiglio di Stato,
V, 28.06.2000, nr. 3638).
Se, dunque, fosse concesso all’Ufficio comunale competente,
di dilazionare a sua discrezione il momento della
comunicazione dell’atto, si consentirebbe, al di fuori
dell’esercizio del potere vincolato che in materia
urbanistica incombe circa l’esame delle istanze di
concessione edilizia, di rendere inefficace la riconosciuta
pretesa del privato al conseguimento del bene della vita,
con ogni intuibile conseguenza sia in termini di
conservazione dell’interesse legittimo pretensivo (che viene
esposto alla possibile mutazione della normativa
urbanistica, con conseguente decadenza della concessione
edilizia ex art. 15 comma 4 del DPR 380/2001, ossia per
l’entrata in vigore di norme urbanistiche in contrasto con
la concessione i cui lavori non sono iniziati e, se
iniziati, non sono completati entro tre anni), sia in
termini di effettività della disciplina urbanistica.
In altri termini, il ritardo dell’ufficio nella doverosa
comunicazione del titolo edilizio al richiedente comporta
una corrispondente lesione sia dell’interesse privato, che
dell’interesse pubblico ed è illegittimo.
Inoltre, si consideri che il “rilascio” della
concessione è soggetto ad un regime di pubblicità a terzi
costituito dalla pubblicazione all’albo pretorio.
Nella fattispecie, tale pubblicazione è avvenuta
contestualmente all’adozione della concessione edilizia,
ossia nel 2002.
Laddove la pubblicità a terzi preceda la notifica della
concessione al privato richiedente (che non può considerarsi
compreso nel novero dei soggetti dei quali si presume la
conoscenza per effetto della pubblicazione all’Albo, perché
ha diritto alla comunicazione personale), si crea nella
collettività dei consociati la consapevolezza dell’avvenuta
formazione del titolo tacito, con la conseguenza che
ciascuno ha ragione di attendersi la modifica edilizia
assentita e, nella mancanza di essa, ritenere decaduto il
titolo.
Questa è appunto la posizione dell’odierno ricorrente, il
quale ha concretizzato un proprio affidamento sulla
decadenza del titolo edilizio (giustificabile, come si è
visto, alla luce della maggioritaria giurisprudenza in
merito), che lo ha portato, da un lato, ad intentare
l’odierno ricorso, dall’altro a non impugnare nella sede di
annullamento il titolo edilizio che riteneva decaduto,
consumando così i termini di proposizione del gravame (che,
in ipotesi, potrebbe essere riproposto solo previo
riconoscimento dell’errore scusabile e la rimessione in
termini da parte del giudice adito, cosa che presuppone
però, da parte sua, l’assunzione del rischio di un giudizio
dall’esito, sul punto, tutt’altro che prevedibile).
Quindi la discrasia tra il regime di pubblicità a terzi e la
comunicazione dell’atto all’interessato genera incertezza
anche nel novero dei possibili controinteressati.
Da questa esposizione e dalla precedente premessa, deriva
che, laddove un titolo edilizio sia stato notificato al
richiedente in tempi irragionevolmente lunghi, da
apprezzarsi in base alle concrete dimensioni degli uffici e
della organizzazione del Comune, sussiste in capo all’Ente
un preciso obbligo di intervento volto ad accertare:
a) l’attuale validità del titolo edilizio: il contesto
potrebbe infatti essere mutato e l’oggetto dell’intervento
edilizio a suo tempo assentito potrebbe necessitare di
modifiche, adeguamenti o, in ipotesi, potrebbe anche essere
divenuto irrealizzabile, con ogni evidente conseguenza in
ordine al potere-dovere di annullamento del titolo
sussistente in capo al Comune (tale obbligo, nella
fattispecie in esame è rafforzato dal fatto che il
ricorrente ha chiesto espressamente la verifica della
compatibilità tra il titolo edilizio e lo strumento
urbanistico, lamentando varie violazioni di quest’ultimo);
b) la responsabilità della mancata comunicazione, che
costituisce violazione dei doveri di ufficio dei
responsabili degli uffici preposti.
Nella odierna fattispecie, l’attivazione di tali poteri di
intervento va considerata come implicitamente compresa nella
istanza del ricorrente che è rimasta inevasa: sul Comune
incombe infatti l’obbligo, come si è visto prima, di dare
risposta alla istanza del privato volta ad ottenere
l’esercizio di un potere doveroso quale quello del controllo
della validità delle trasformazioni edilizie in corso sul
territorio; inoltre, sussiste in capo al ricorrente un
preciso interesse alla trasparenza dell’azione
amministrativa, che è tutelato dalla legge come interesse
generale ed altresì come interesse legittimo sussistente in
capo agli interessati ed ai controinteressati di un
procedimento amministrativo.
In tal senso, il Comune deve rispondere al ricorrente
informandolo di ogni aspetto del procedimento che possa
concorrere a fare piena chiarezza sulle ragioni del ritardo
con il quale il rilascio del titolo si è completato ed,
inoltre, deve accertare l’attuale coerenza del progetto
edilizio con il contesto territoriale nel procedimento
amministrativo aperto alla partecipazione degli interessati
e dei controinteressati.
A tale proposito non soddisfa l’obbligo di attualizzazione
del titolo edilizio l’allegato con il quale è stato “modificato”
il progetto originale prescrivendo un prolungamento del
marciapiede.
L’accertamento va, infatti, condotto anche nelle forme e con
le garanzie proprie del procedimento edilizio, primo tra
tutte l’acquisizione del parere della Commissione edilizia,
ove esistente nell’ordinamento comunale, nonché l’adozione
di un atto di modifica della concessione edilizia
originaria, nelle forme di legge e l’adeguamento degli
importi degli oneri concessori e del contributo di
costruzione, ove necessario.
Per tutte queste ragioni e nei limiti indicati, il ricorso è
fondato limitatamente alla domanda di condanna del Comune a
provvedere sulla istanza del ricorrente, che andrà evaso nei
termini sopra indicati, entro il termine di giorni 30
(trenta) decorrenti dalla comunicazione della presente
sentenza.
Per assicurare effettività al precetto di cui alla presente
sentenza, il Collegio ritiene di ordinarne l’esecuzione al
Comune e, per esso, alle persone del Sindaco, del Segretario
comunale e del Responsabile dell’Ufficio tecnico, o altro
ufficio comunale avente competenza in materia di edilizia ed
urbanistica, secondo lo Statuto ed il regolamento dell’Ente,
ciascuno secondo la propria competenza e responsabilità.
L’obbligo a provvedere incombe anche sull’ARTA, destinatario
della diffida inevasa, il quale non ha attivato i propri
poteri di controllo e di intervento, ex art. 53, LR 71/1978.
Quest’ultimo si assicurerà che nei termini indicati avvenga
l’esecuzione dell’obbligo a provvedere.
In mancanza, provvederà, a sua volta, ad esercitare i propri
poteri di intervento, nei successivi 30 (trenta) giorni.
Decorso quindi anche quest’ultimo termine, in mancanza di
puntuale e completa esecuzione dell’obbligo a provvedere,
dietro istanza di parte ritualmente notificata a
controparte, il Tribunale nominerà un commissario ad acta
che, sostituitosi al Comune inadempiente, provvederà in
luogo di quest’ultimo, con spese ed oneri a carico del
Comune e dell’ARTA in solido.
La presente sentenza è trasmessa alla Procura della
Repubblica di Messina perché accerti se sussistano elementi
di reato perseguibili d’ufficio
(TAR Sicilia-Catania, Sez.
I,
sentenza 07.04.2009 n. 678 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
F. Barchielli,
La decadenza del titolo ed il ricalcolo del contributo di
costruzione (sulla decadenza del permesso di
costruire e sui conseguenti effetti riguardo al contributo
di costruzione già versato all’Amministrazione nei casi in
cui il privato presenti una nuova istanza di titolo
edilizio, rinunci all’edificazione senza aver iniziato i
lavori, oppure rinunci dopo avere comunque effettuato una
rilevante alterazione dell’assetto del territorio)
(link a www.urbanisticatoscana.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire - Termine inizio lavori -
Decorrenza - Emanazione titolo - Eventuale
ritiro o notifica in un momento successivo -
Non rileva.
La decorrenza del termine di inizio lavori
va ancorata alla data di notifica
dell'avviso di emanazione del permesso di
costruire, secondo un'interpretazione
conforme all'art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (TU edilizia), ove il termine
"rilascio" va inteso come "emanazione", e
non come ritiro materiale del documento.
---------------
Ritenuta l’infondatezza del primo motivo in
quanto:
- la decorrenza del termine di inizio lavori va ancorata alla data
di notifica (09.07.2007) dell’avviso di
emanazione del permesso di costruire, stante
l’espressa avvertenza in tal senso contenuta
in calce all’avviso, del resto conforme
all’art. 15 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380 (TU
edilizia), ove il termine “rilascio”
va inteso come “emanazione”, e non
come ritiro materiale del documento (ritiro
avvenuto, nella specie, il 02.10.2007) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 24.11.2008 n. 5540 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
linea generale, la comminatoria della
decadenza del titolo edilizio in contrasto
col nuovo piano regolatore trova la sua
“ratio” nell'esigenza che le sopravvenute
previsioni urbanistiche devono trovare
indefettibile applicazione (salva la
possibilità per l'interessato di
impugnarle), in quanto volte -per
definizione- ad un più razionale assetto del
territorio, per soddisfare gli interessi
pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le
aree destinate all'edificazione e soddisfa
gli “standards”, eliminando la natura
edificatoria di alcune aree determinate nel
piano precedente, l’edificazione delle aree
indicate nel piano precedente, ma destinate
a servizi in quello successivo,
determinerebbe un'alterazione delle
previsioni urbanistiche ed un irrazionale
assetto del territorio, con violazione della
normativa sugli standards.
Per contemperare i contrapposti interessi
pubblici e privati coinvolti in queste
situazioni, l'art. 15, comma 4, del testo
unico n. 380 del 2001 (così come il
precedente art. 31 della legge n. 1150 del
1942) ha previsto una eccezione alla regola
generale, secondo cui i lavori
precedentemente assentiti -pur contrastando
col piano sopravvenuto in vigore- possano
continuare ad essere realizzati se già
cominciati nel vigore del piano precedente
(e se siano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell'inizio
dei lavori nel vigore del piano in base al
quale è stato emesso il titolo edilizio, la
legge dispone che va dichiarata la sua
decadenza, con un atto dovuto di natura
ricognitiva, avente effetti “ex tunc”.
Per l'art. 15, comma 2, del testo unico n.
380 del 2001 (riproduttivo di un principio
desumibile già dall'art. 31 della legge n.
1150 del 1942), il termine per l'inizio e
quello di compimento dei lavori "possono
essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare del permesso".
Per il legislatore, tali "fatti
sopravvenuti" (che possono consistere nel
“factum principis” o in altri casi di “forza
maggiore”) non hanno un rilievo automatico,
ma possono costituire oggetto di valutazione
in sede amministrativa quando l'interessato
proponga una domanda di proroga, il cui
accoglimento è indefettibile purché non vi
sia la pronuncia di decadenza.
---------------
Sussiste la violazione dell’art. 7 della
legge 07.08.1990 n. 241 per omessa
comunicazione dell’avvio del procedimento
inteso alla declaratoria di decadenza della
concessione edilizia n. 577 del 17.05.1995,
per mancato completamento dei lavori entro
il termine, di cui all'art. 4 della legge n.
10/1977.
L’istituto è fondato sull'oggettivo decorso
del tempo previsto, con possibilità di
sospensione solo per cause espressamente
previste dalla legge o per ragioni di forza
maggiore, fra cui il cosiddetto "factum
principis", ovvero il provvedimento
dell'Autorità, non imputabile al titolare
della concessione e oggettivamente ostativo
dei lavori.
La declaratoria di decadenza non può
prescindere da un momento accertativo e -ove
detti presupposti sussistano- deve tradursi
in un provvedimento, a contenuto vincolato
ma con carattere autoritativo, non sottratto
all'obbligo generale di motivazione, di cui
all'art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241 né
alla comunicazione di avvio del
procedimento.
La soluzione della questione non può che
muovere dalla rassegna dei riferimenti
normativi che presiedono agli effetti della
successione nel tempo degli strumenti
urbanistici, con particolare riguardo
all'adozione dei piani e delle relative
varianti.
L'art. 31, comma 11, della legge 17.08.1942
n. 150, stabilisce: "L'entrata in vigore
di nuove previsioni urbanistiche comporta la
decadenza delle licenze in contrasto con le
previsioni stesse, salvo che i relativi
lavori siano stati iniziati e vengano
completati entro il termine di tre anni
dalla data di inizio".
Tale disposizione è stata trasfusa nell'art.
15, comma 4, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380
(vigente alla data di emanazione
dell'impugnato atto di diniego della
concessione demaniale), il quale precisa: "il
permesso decade con l'entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo
che i lavori siano già iniziati e vengano
completati entro il termine di tre anni
dalla data di inizio".
In linea generale, la comminatoria della
decadenza del titolo edilizio in contrasto
col nuovo piano regolatore trova la sua “ratio”
nell'esigenza che le sopravvenute previsioni
urbanistiche devono trovare indefettibile
applicazione (salva la possibilità per
l'interessato di impugnarle), in quanto
volte -per definizione- ad un più razionale
assetto del territorio, per soddisfare gli
interessi pubblici e privati coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le
aree destinate all'edificazione e soddisfa
gli “standards”, eliminando la natura
edificatoria di alcune aree determinate nel
piano precedente, l’edificazione delle aree
indicate nel piano precedente, ma destinate
a servizi in quello successivo,
determinerebbe un'alterazione delle
previsioni urbanistiche ed un irrazionale
assetto del territorio, con violazione della
normativa sugli standards.
Per contemperare i contrapposti interessi
pubblici e privati coinvolti in queste
situazioni, l'art. 15, comma 4, del testo
unico n. 380 del 2001 (così come il
precedente art. 31 della legge n. 1150 del
1942) ha previsto una eccezione alla regola
generale, secondo cui i lavori
precedentemente assentiti -pur contrastando
col piano sopravvenuto in vigore- possano
continuare ad essere realizzati se già
cominciati nel vigore del piano precedente
(e se siano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio).
In assenza del dato obiettivo dell'inizio
dei lavori nel vigore del piano in base al
quale è stato emesso il titolo edilizio, la
legge dispone che va dichiarata la sua
decadenza, con un atto dovuto di natura
ricognitiva, avente effetti “ex tunc”
(ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V,
09.09.1985, n. 288).
Per l'art. 15, comma 2, del testo unico n.
380 del 2001 (riproduttivo di un principio
desumibile già dall'art. 31 della legge n.
1150 del 1942), il termine per l'inizio e
quello di compimento dei lavori "possono
essere prorogati, con provvedimento
motivato, per fatti sopravvenuti estranei
alla volontà del titolare del permesso".
Per il legislatore, tali "fatti
sopravvenuti" (che possono consistere
nel “factum principis” o in altri
casi di “forza maggiore”) non hanno
un rilievo automatico, ma possono costituire
oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l'interessato proponga
una domanda di proroga, il cui accoglimento
è indefettibile purché non vi sia la
pronuncia di decadenza.
---------------
Con il primo
dei motivi aggiunti, la ricorrente deduce
violazione dell’art. 7 della legge
07.08.1990 n. 241 per omessa comunicazione
dell’avvio del procedimento inteso alla
declaratoria di decadenza della concessione
edilizia n. 577 del 17.05.1995, per mancato
completamento dei lavori entro il termine,
di cui all'art. 4 della legge n. 10/1977.
L’istituto è fondato sull'oggettivo decorso
del tempo previsto, con possibilità di
sospensione solo per cause espressamente
previste dalla legge o per ragioni di forza
maggiore, fra cui il cosiddetto "factum
principis", ovvero il provvedimento
dell'Autorità, non imputabile al titolare
della concessione e oggettivamente ostativo
dei lavori (ex plurimis: Cons. Stato,
Sez. V: 30.07.1986 n. 374; 12.03.1996 n. 256
e 23.11.1996 n. 1414; TAR Lazio, Roma, Sez.
II, 07.04.1993. n. 424; TAR Lazio, Latina,
24.01.1989, n. 35; TAR Sicilia, Palermo
13.10.1997 n. 1589).
Proprio in considerazione dei presupposti
sopra indicati, la declaratoria di decadenza
non può prescindere da un momento
accertativo e -ove detti presupposti
sussistano- deve tradursi in un
provvedimento, a contenuto vincolato ma con
carattere autoritativo, non sottratto
all'obbligo generale di motivazione, di cui
all'art. 3 della legge 07.08.1990 n. 241 né
alla comunicazione di avvio del procedimento
(ex plurimis: TAR Toscana,
07.11.2000, n. 2216).
In conformità ai principi sopra enunciati,
una giurisprudenza largamente prevalente
ritiene superato l'indirizzo, secondo cui
gli effetti della decadenza opererebbero
automaticamente, senza necessità di un
provvedimento formale (per quest'ultimo
indirizzo cfr. Cons. St. Sez. V, 27.06.1983,
n. 283 e 18.02.1991, n. 139; TAR Lombardia,
Brescia, 04.09.1995, n. 880; TAR Lombardia,
Milano, 05.02.2002, n. 434; contra -ovvero a
favore della tesi, qui accolta,
dell'esigenza di esplicita pronuncia- TAR
Lazio Roma, sez. I, 02.01.2008 n. 1; TAR
Veneto Venezia Sez. II 15.06.2007 n. 1940;
Cons. St., Sez. V: 24.10.1980, n. 886;
09.05.1983 n. 141; 15.06.1998 n. 834 e
26.06.2000 n. 3612; TAR Lazio, Latina:
04.02.1986 n. 18 e 24.01.1989, n. 35; TAR
Marche, Ancona, 14.05.1999, n. 562; TAR
Valle d'Aosta, 16.12.1998 n. 156; TAR
Campania, Salerno, 12.05.1998 n. 238; TAR
Umbria 09.06.1994 n. 366; TAR Abruzzo,
L'Aquila 04.04.1984 n. 177 e 05.10.2000 n.
803; TAR Abruzzo, Pescara 28.06.2002 n. 595;
TAR Lazio, Sez. II 08.03.1984 n. 386; TAR
Lombardia, Milano 31.12.1983, n. 1615; TAR
Calabria, Catanzaro 26.10.1983 n. 242).
Né nella specie può trovare applicazione
l’art. 21–octies, comma 2, primo periodo,
della legge n. 241 del 1990, secondo cui “non
è annullabile il provvedimento adottato in
violazione di norme sul procedimento o sulla
forma degli atti qualora, per la natura
vincolata del provvedimento, sia palese che
il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto
adottato”, poiché la ricorrente ha
comprovato l’utilità che sarebbe derivata
all’Amministrazione dal proprio contributo
partecipativo mediante l’indicazione delle
argomentazioni svolte con le censure
proposte in questo giudizio, e, in
particolare, con quelle già positivamente
delibate in sede di disamina del quarto e
del quinto profilo di gravame del ricorso
principale.
Pertanto, la censura merita accoglimento
(TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 24.11.2008 n. 1500 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
parziale recinzione del fondo e finanche lo sbancamento del
terreno e l’esecuzione dei lavori di scavo non sono idonei
ad integrare di per sé un valido inizio dei lavori.
Facendo applicazione dei richiamati criteri al caso in
trattazione, il Collegio ritiene, dunque, che le modeste
attività intraprese, non accompagnate dalla compiuta
organizzazione del cantiere, sono state legittimamente
considerate come non sufficienti a dimostrare l’effettivo
intendimento del titolare del permesso di realizzare la
costruzione assentita, giustificando così l’adozione del
provvedimento in discussione.
Ad avviso del Collegio, l’assunto non può essere condiviso,
essendo smentito, in punto di fatto, dalle risultanze
istruttorie poste a base dell’azione amministrativa. In
particolare, il personale incaricato del sopralluogo (cfr.
relazione prot. n. 38/U.T. del 18.07.2007), dopo aver dato
atto dello svolgimento di alcune attività preparatorie
(taglio degli alberi, apertura di un varco di accesso al
terreno, demolizione di parte di un muro di confine e
realizzazione di una nuova recinzione, saggi geologici), ha
rilevato che “[…] non esistono in sito opere di scavo o
di getto di calcestruzzo relative all’immobile da
realizzare, né materiali edili ed attrezzature di cantiere
in deposito […]”.
Al riguardo, va osservato che, secondo la consolidata
giurisprudenza, la parziale recinzione del fondo e finanche
lo sbancamento del terreno e l’esecuzione dei lavori di
scavo –nella specie insussistenti– non sono idonei ad
integrare di per sé un valido inizio dei lavori (cfr. TAR
Lombardia, Milano, Sezione II, 08.03.2007 n. 372; TAR
Campania, Napoli, Sezione IV, 05.01.2006 n. 59; TAR Lazio,
Roma, Sezione II, 28.06.2005 n. 5370; Consiglio di Stato,
Sezione IV, 03.10.2000, n. 5242).
Facendo applicazione dei richiamati criteri al caso in
trattazione, il Collegio ritiene, dunque, che le modeste
attività intraprese, non accompagnate dalla compiuta
organizzazione del cantiere, sono state legittimamente
considerate come non sufficienti a dimostrare l’effettivo
intendimento del titolare del permesso di realizzare la
costruzione assentita, giustificando così l’adozione del
provvedimento in discussione
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 25.09.2008 n. 10890 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
perdita di efficacia del permesso di costruire per mancato
inizio o ultimazione dei lavori nei termini prescritti deve
essere accertata e dichiarata con formale provvedimento
dell'amministrazione, anche ai fini del necessario
contraddittorio con il privato circa l'esistenza dei
presupposti di fatto e diritto che legittimano la
declaratoria di decadenza.
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera
di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un
provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne
renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a
contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace
all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del
1990 nonché di previa comunicazione di avvio del
procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990.
L’eventuale decadenza del
permesso per effetto dell’inerzia dei soggetti legittimati a
costruire, infatti, non costituisce vizio idoneo ad
inficiare la legittimità del provvedimento.
Sotto altro profilo, la perdita di efficacia del permesso di
costruire per mancato inizio o ultimazione dei lavori nei
termini prescritti deve essere accertata e dichiarata con
formale provvedimento dell'amministrazione, anche ai fini
del necessario contraddittorio con il privato circa
l'esistenza dei presupposti di fatto e diritto che
legittimano la declaratoria di decadenza (Consiglio Stato ,
sez. IV, 29.01.2008, n. 249).
La decadenza dei permessi di costruire, infatti, non opera
di per sé, bensì deve necessariamente tradursi in un
provvedimento espresso che ne accerti i presupposti e ne
renda operanti gli effetti. Tale provvedimento, ancorché a
contenuto vincolato, ha carattere autoritativo e soggiace
all'obbligo di motivazione di cui all'art. 3, l. n. 241 del
1990 nonché di previa comunicazione di avvio del
procedimento, prescritta dall'art. 7, l. n. 241 del 1990
(TAR Lazio Roma, sez. I, 02.01.2008, n. 1)
(TAR Campania-Napoli, Sez.
IV,
sentenza 03.09.2008 n. 10036 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Se i lavori non sono terminati va dichiarato decaduto il
relativo permesso di costruire.
Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, la
pronuncia di decadenza (ndr: del permesso di costruire), in
mancanza di apposita istanza di proroga, si qualifica come
atto vincolato, a carattere meramente dichiarativo, che deve
intervenire per il solo fatto del verificarsi del
presupposto di legge, costituito dal mancato completamento
dei lavori nel termine assegnato (C.d.S., sez. IV,
26.05.2006, n. 3196; Sez. V, 03.02.2000, n. 597) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.06.2008 n. 3030 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Rilascio
di proroga del permesso di costruire - Sopravvenute
previsioni urbanistiche - Compatibilità con la nuova
disciplina - Necessità - Art. 15 T. Unico D.P.R. 380/2001 -
Fattispecie: vincolo sopravvenuto di inedificabilità ai
sensi dell'art. 10 legge 21.11.2000 n. 353 (Area boscata
percorsa da fuoco).
Le norme sulla proroga del permesso a costruire, che
consentono di prolungare il termine ordinario di tre anni
per l’esecuzione delle opere, devono considerarsi di stretta
interpretazione. Pertanto, secondo l’art. 15, comma quarto,
del T.U. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001,
l’abilitazione a costruire “decade con l’entrata in vigore
di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio” (comma 4), ricavandosi la
conseguenza che l'istituto della proroga non può più essere
applicabile allorquando siano sopravvenute previsioni
urbanistiche incompatibili con l’intervento assentito.
Inoltre, ben può il giudice penale accertare la conseguente
mancanza dei presupposti legali per l’esercizio
discrezionale della proroga e ritenere quindi la intervenuta
decadenza del permesso a costruire.
Permesso di costruire - Termine decadenziale - La
proroga nella disciplina urbanistica - Limiti - Sopravvenute
previsioni urbanistiche incompatibili - Art. 15 T. Unico
D.P.R. 380/2001 (che riproduce gli abrogati art. 4, c. 3, 4
e 5, l. 28.1.1977 n. 10, e art. 31, c. 11, L. 17.8.1942 n.
1150).
La disciplina urbanistica consente la proroga, con
provvedimento motivato, soltanto quando siano sopravvenuti
fatti estranei alla volontà del titolare della concessione o
del permesso di costruire, che impediscono in modo assoluto
il rispetto dei termini prescritti. Pertanto, in materia di
concessione edilizia, la domanda di proroga del termine di
ultimazione dei lavori stabilito nella concessione deve
fondarsi su circostanze sopravvenute ed estranee alla
volontà del concessionario, che abbiano reso obiettivamente
impossibile concludere l'attività edificatoria (C. St., Sez.
V, n. 300 del 01.03.1993, Comune di Camaiore e. Oceano
s.r.l.). La consolidata giurisprudenza amministrativa ha
individuato questo impedimento nel factum principis (come
un'ordinanza di sospensione dei lavori, o un sequestro del
cantiere, rivelatisi poi illegittimi) o nella causa di forza
maggiore (come una pubblica calamità). Peraltro, la proroga
non può essere più accordata quando siano sopravvenute
previsioni urbanistiche incompatibili con l'intervento
assentito. In altre parole, il termine decadenziale non
ammette proroga quando il regime urbanistico sopravvenuto
non consente più la realizzazione dell'intervento.
Richiesta proroga di una concessione edilizia o di un
permesso di costruire - Disapplicazione dell'atto
amministrativo illegittimo - Decadenza del titolo
abilitativo - Art. 44 D.P.R. 380/2001.
In tema di disapplicazione dell'atto amministrativo
illegittimo, il giudice penale, se non può sindacare
l'esercizio del potere discrezionale da parte dell'autorità
amministrativa che concede o nega la richiesta proroga di
una concessione edilizia o di un permesso di costruire, può
tuttavia accertare la mancanza dei presupposti legali per
l'esercizio discrezionale della proroga stessa, e ritenere
per conseguenza la decadenza della concessione edilizia o
del permesso di costruire e l'integrazione del reato ora
previsto e punito dall'art. 44 D.P.R. 380/2001. Nel caso in
cui la decadenza del titolo abilitativo derivi dalla
sopravvenienza di un regime urbanistico incompatibile, il
reato finisce per ledere non solo l'interesse formale al
previo controllo amministrativo dell'intervento edilizio, ma
anche l'interesse sostanziale alla regolarità urbanistica
dell'intervento medesimo (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 12.05.2008 n. 19101
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Art. 4. L. n. 47/1985 - Abuso
edilizio - Ordinanza di sospensione lavori - Scadenza del
termine di 45 giorni - Inefficacia del provvedimento
sospensivo - Sussiste - Improcedibilità dell'impugnazione
dell'ordinanza di sospensione - Sussiste.
2. Concessione edilizia - Rilascio della concessione e sua
sottoscrizione - Comporta il perfezionamento del titolo -
Eventuale ritiro o notifica in un momento successivo - Non
rileva.
3. Concessione edilizia - Carattere recettizio - Non
sussiste.
4. Titolo abilitativo edilizio rilasciato - Contrasto con la
pianificazione generale sopravvenuta - Art. 31, comma 11, L.
n. 1150/1942 - Potere di annullamento del titolo - Non
sussiste - Decadenza con effetti ex nunc, con il limite
dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini
di legge - Sussiste.
1.
Secondo giurisprudenza unanime, la norma dell'art. 4 della
legge 28.02.1985, n. 47 (trasfuso poi nell'art. 27 D.P.R.
380/2001) dev'essere interpretata nel senso che la scadenza
del termine di quarantacinque giorni dall'ordine di
sospensione dei lavori comporta l'inefficacia del
provvedimento sospensivo adottato. Ne consegue, dal punto di
vista processuale, che è improcedibile, per sopravvenuta
carenza d'interesse, l'impugnazione dell'ordinanza cautelare
di sospensione dei lavori abusivi, che sia successivamente
divenuta inefficace per decorso del termine previsto
dall'art. 4, l. 28.02.1985 n. 47, quando sia stata seguita
dal provvedimento sanzionatorio definitivo, anch'esso
impugnato, con la conseguente inutilità per il ricorrente
dell'eventuale annullamento della precedente ordinanza.
2.
Nel caso in cui la consegna del titolo abilitativo edilizio
avvenga dopo molto tempo dalla sua emanazione, il momento
del rilascio della concessione è quello in cui si
perfeziona, con la sottoscrizione, a nulla rilevando
l'eventuale ritiro o notifica in un momento successivo.
3.
La giurisprudenza inserisce la concessione tra i
provvedimenti la cui forza esecutiva può esprimersi senza
bisogno della collaborazione dei destinatari e che, di
conseguenza, producono effetti dal momento in cui si
perfezionano. Tale interpretazione, sorta al fine di
combattere la prassi di emanare il titolo edilizio ma di non
rilasciarlo fino all'integrale pagamento degli oneri di
urbanizzazione, risulta oggi confermata dall'art. 21-bis
della L. 241/1990, introdotto dall'art. 14 della legge
11.02.2005 n. 15, il quale attribuisce carattere recettizio
ai provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei
destinatari e non ai provvedimenti ampliativi, ai quali è da
ascrivere la concessione edilizia.
4.
Nel caso in cui il titolo abilitativo edilizio già
rilasciato si ponga in contrasto con la pianificazione
generale sopravvenuta, il potere che la legge (art. 31 comma
11, L. n. 1150/1942) riconosce all'Amministrazione non è
quello dell'annullamento del titolo, che può essere
esercitato solo per vizi coevi al sorgere del provvedimento,
ma la decadenza con effetti ex nunc, con il limite
dell'inizio dei lavori e del loro completamento nei termini
di legge. Ne consegue l'illegittimità dell'esercizio del
potere di annullamento del titolo edilizio
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 21.04.2008 n. 1236
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Concessione edilizia - Decadenza - Per mancato inizio
dei lavori nel termine annuale - Realizzazione, da parte del
beneficiario del titolo edilizio, di lavori di modesta
entità - Non impedisce la decadenza.
E’ legittimo il provvedimento con il quale è stata
dichiarata la decadenza di una concessione edilizia per
mancato inizio dei lavori entro un anno dal rilascio, nel
caso in cui sia stato accertato che il beneficiario
dell’atto di assenso edificatorio, entro tale termine, abbia
realizzato esclusivamente opere edilizie di modesta entità
(nella specie, si trattava di un setto di muratura di
laterizio a forma di "L", avente una lunghezza alla base di
circa mt. 1,10 e altezza massima di circa cm. 1,05/1,10,
dell’installazione di un contatore di energia elettrica, del
cartello di cantiere e del taglio di alcuni alberi nella
zona interessata alla costruzione dell’ampliamento); tali
opere, infatti, non sono idonee ad evitare la decadenza del
titolo edilizio, poiché non dimostrano, in modo univoco,
l’inizio dell’attività di trasformazione del territorio
finalizzata alla costruzione assentita (a differenza ad
esempio della rimozione del terreno, della realizzazione di
scavi, seppure modesti, ma coordinati al gettito delle
fondazioni, dello spianamento o del picchettamento del
terreno) (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 24.01.2008 n. 174
- link a
www.ambientelegale.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Permesso di costruire ex art. 15, comma 4 del
D.P.R. n. 380/2001 rilasciato in deroga agli strumenti
urbanistici sulla base di una normativa che lo legittimava -
Sopravvenuta normativa che non ammette deroghe prima
dell'inizio lavori - Decadenza.
2. Sopravvenienza di legge regionale che sancisce la deroga
agli strumenti urbanistici nel recupero dei sottotetti a
fini abitativi - Carenza di interesse del ricorrente
all'impugnazione di un titolo abilitativo di recupero
sottotetto in deroga agli strumenti urbanistici rilasciato
in vigenza di normativa che non prevede tale deroga - Non
sussiste - Verifica della rispondenza ai requisiti di legge,
anche sopravvenuti, del titolo abilitativi da parte della PA
- Necessità.
3. Posa di un ponteggio su terrazzo e/o apertura praticata
sul tetto - Inizio lavori - Non sussiste.
1. Ai sensi dell'art. 15, comma 4 del D.P.R.
380/2001 il permesso di costruire rilasciato in deroga a
previsioni urbanistiche, sulla base di una normativa che lo
legittimava, decade qualora, prima che siano iniziati i
lavori, sopravvenga una nuova normativa che non ammette le
deroghe consentite in precedenza.
2. La sopravvenienza di una ulteriore legge regionale
(L.R. n. 20/2005) che modifica il regime giuridico del
recupero dei sottotetti, ripristinando la possibilità di
deroga ai limiti ed alle prescrizioni degli strumenti di
pianificazione comunale, non determina la sopravvenuta
carenza di interesse di chi abbia impugnato il permesso di
costruire rilasciato a terzi per il recupero di sottotetti a
fini abitativi in deroga agli strumenti urbanistici in
vigenza della L.R. n. 12/2005 che, prima delle modifiche
apportate alla stessa dalla L.R. n. 20/2005, non prevedeva
espressamente tale deroga, e ciò in quanto è in ogni caso il
titolare della potestà amministrativa che deve verificare
che il permesso di costruire, rispetti tutti i requisiti di
cui alla L.R. n. 12/2005, come modificata dalla L.R. n.
20/2005.
3. La posa di un ponteggio su un terrazzo o
l'apertura praticata sul tetto non possono considerarsi
fatti da cui desumere l'inizio lavori (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 08.11.2007 n. 6207
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
regola generale della decadenza del titolo edilizio in
contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua ratio
nell’esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche
devono trovare indefettibile applicazione (salva la
possibilità per l’interessato di impugnarle), in quanto
volte –per definizione– ad un più razionale assetto del
territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati
coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate
all’edificazione e soddisfa gli standard eliminando la
natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano
precedente, vi sarebbe l’alterazione delle previsioni
urbanistiche e un irrazionale assetto del territorio (con la
violazione della normativa sugli standard) se fossero
edificate sia le aree indicate nel nuovo piano, sia quelle
indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in
quello successivo.
Per contemperare gli opposti interessi, l’art. 15, comma 4,
del testo unico (così come il precedente art. 31 della legge
n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola
generale, che si ha quando i lavori precedentemente
assentiti –pur contrastando col piano sopravvenuto in
vigore– possano continuare ad essere realizzati se già
cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano
completati entro il termine di tre anni dalla data di
inizio).
In assenza del dato obiettivo dell’inizio dei lavori nel
vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo
edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua
decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente
effetti ex tunc.
---------------
La pronuncia di decadenza è espressione di un potere
vincolato, ha natura ricognitiva con effetti ex tunc e va
emanata anche a notevole distanza di tempo, proprio perché
accerta il venir meno degli effetti del titolo edilizio
difforme dal piano sopravvenuto.
La pronuncia di decadenza –per il suo carattere di atto
dovuto– deve basarsi su una motivazione che evidenzi
l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti di fatto (cioè
il mancato inizio dei lavori e l’entrata in vigore del piano
regolatore incompatibile col titolo in precedenza
rilasciato): la prevalenza dell’interesse pubblico alla
attuazione del piano sopravvenuto è imposta dall’art. 15,
comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, che determina la
pronuncia di decadenza in presenza dei relativi presupposti
oggettivi.
Va premesso che, per l’art. 31, comma 11, della legge n.
1150 del 1942, “l’entrata in vigore di nuove previsioni
urbanistiche comporta la decadenza delle licenze in
contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi
lavori siano stati iniziati e vengano completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio”.
Tale disposizione è stata trasfusa nell’art. 15, comma 4,
del testo unico n. 380 del 2001 (vigente alla data di
emanazione dell’atto impugnato in primo grado), per il quale
“il permesso decade con l'entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori
siano già iniziati e vengano completati entro il termine di
tre anni dalla data di inizio”.
La regola generale della decadenza del titolo edilizio in
contrasto col nuovo piano regolatore trova la sua ratio
nell’esigenza che le sopravvenute previsioni urbanistiche
devono trovare indefettibile applicazione (salva la
possibilità per l’interessato di impugnarle), in quanto
volte –per definizione– ad un più razionale assetto del
territorio, per soddisfare gli interessi pubblici e privati
coinvolti.
Infatti, quando un nuovo piano determina le aree destinate
all’edificazione e soddisfa gli standard eliminando la
natura edificatoria di alcune aree determinate nel piano
precedente, vi sarebbe l’alterazione delle previsioni
urbanistiche e un irrazionale assetto del territorio (con la
violazione della normativa sugli standard) se fossero
edificate sia le aree indicate nel nuovo piano, sia quelle
indicate nel piano precedente, ma destinate a servizi in
quello successivo.
Per contemperare gli opposti interessi, l’art. 15, comma 4,
del testo unico (così come il precedente art. 31 della legge
n. 1150 del 1942) ha previsto una eccezione alla regola
generale, che si ha quando i lavori precedentemente
assentiti –pur contrastando col piano sopravvenuto in
vigore– possano continuare ad essere realizzati se già
cominciati nel vigore del piano precedente (e se siano
completati entro il termine di tre anni dalla data di
inizio).
In assenza del dato obiettivo dell’inizio dei lavori nel
vigore del piano in base al quale è stato emesso il titolo
edilizio, la legge dispone che va dichiarata la sua
decadenza, con un atto dovuto di natura ricognitiva, avente
effetti ex tunc (cfr. Sez. V, 09.09.1985, n. 288).
Ciò premesso, ritiene la Sezione che del tutto
legittimamente l’Amministrazione comunale ha dichiarato la
decadenza della concessione edilizia del 12.03.1992
(ritenuta sussistente dalla sentenza del TAR n. 10860 del
2004).
E’ decisivo considerare che l’interessato (ovvero la sua
dante causa) –pur a seguito dell’entrata in vigore del nuovo
piano regolatore- non ha mai formulato alcuna istanza di
proroga, volta a far accertare dall’Amministrazione la
sussistenza di circostanze tali da giustificare il mancato
inizio dei lavori.
Per l’art. 15, comma 2, del testo unico n. 380 del 2001
(riproduttivo di un principio desumibile dall’art. 31 della
legge n. 1150 del 1942), il termine per l’inizio e quello di
compimento dei lavori “possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso”.
Per il legislatore, tali “fatti sopravvenuti” (che
possono consistere nel factum principis o in altri
casi di forza maggiore) non hanno un rilievo automatico, ma
possono costituire oggetto di valutazione in sede
amministrativa quando l’interessato proponga una domanda di
proroga, il cui accoglimento è indefettibile perché non vi
sia la pronuncia di decadenza.
Nella specie, non risulta che l’interessato abbia mai
proposto una istanza di proroga del termine di inizio dei
lavori, né prima né dopo l’entrata in vigore del nuovo piano
regolatore e nemmeno dopo la pubblicazione della sentenza
del TAR n. 18860 del 2004.
In assenza dell’atto di proroga, con l’atto impugnato in
primo grado il Comune non poteva che prendere atto della
circostanza obiettiva del mancato inizio dei lavori,
risalente alla data di entrata in vigore del nuovo piano e
successivamente perdurante.
Sono conseguentemente irrilevanti le circostanze che -ad
avviso dell’appellante– avrebbero dovuto comportare il
riconoscimento della sussistenza di un factum principis.
---------------
Per quanto riguarda il notevole
decorso del tempo intercorso tra il rilascio della
concessione edilizia e la pronuncia di decadenza e la
sussistenza di un legittimo affidamento, rilevano le
precedenti considerazioni sull’ambito di applicazione
dell’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, per
il quale l’entrata in vigore di un nuovo piano regolatore
comporta la pronuncia di decadenza del titolo edilizio
basato sul piano precedente, quando i relativi lavori non
siano cominciati.
La pronuncia di decadenza è espressione di un potere
vincolato, ha natura ricognitiva con effetti ex tunc
e va emanata anche a notevole distanza di tempo, proprio
perché accerta il venir meno degli effetti del titolo
edilizio difforme dal piano sopravvenuto.
Inoltre, non sussiste il dedotto difetto di motivazione
sulla mancata indicazione della prevalenza degli interessi
pubblici, poiché la pronuncia di decadenza –per il suo
carattere di atto dovuto– deve basarsi su una motivazione
che evidenzi l’effettiva sussistenza dei suoi presupposti di
fatto (cioè il mancato inizio dei lavori e l’entrata in
vigore del piano regolatore incompatibile col titolo in
precedenza rilasciato): la prevalenza dell’interesse
pubblico alla attuazione del piano sopravvenuto è imposta
dall’art. 15, comma 4, del testo unico n. 380 del 2001, che
determina la pronuncia di decadenza in presenza dei relativi
presupposti oggettivi (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 10.08.2007 n. 4423 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: A
seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
il provvedimento autorizzatorio decade ove nel termine
triennale, non prorogato, l'opera non risulti completata,
senza che tale decadenza debba essere dichiarata con
provvedimento espresso, con la conseguente illegittimità dei
lavori proseguiti oltre detto termine.
La non necessità di provvedimenti caducatori da parte della
Pubblica Amministrazione è ora introdotta dal TU 380/2001,
art. 15, comma 2, che prevede espressamente come, decorsi i
termini fissati, il permesso di costruire decada di diritto
per la parte non eseguita; la norma supera la diatriba e
rende non di attualità la copiosa giurisprudenza citata
dallo indagato che non tiene conto della novazione
legislativa.
Allo scopo di evitare che una edificazione, autorizzata in
un dato momento, venga realizzata quando la situazione
fattuale e normativa è mutata, il lavori devono essere
iniziati ed ultimati nel termine prescritto nel permesso di
costruire.
In esito al mancato rispetto del termine, il provvedimento
autorizzatorio decade per la parte di edificazione non
ultimata. Tale decadenza, secondo alcuni, deve essere
necessariamente dichiarata con espresso provvedimento che ha
natura costitutiva; secondo altri, l'effetto caducatorio
opera di diritto anche in assenza di una dichiarazione
formale che, se esistente, ha carattere dichiarativo.
La non necessità di provvedimenti da parte della Pubblica
Amministrazione è ora introdotta dal TU 380/2001, art. 15,
comma 2, che prevede espressamente come, decorsi i termini
fissati, il permesso di costruire decada di diritto per la
parte non eseguita; la norma supera la diatriba e rende non
di attualità la copiosa giurisprudenza citata dallo indagato
che non tiene conto della novazione legislativa.
Ora, nel caso concreto, è circostanza indiscussa che il
termine per la ultimazione dei lavori fosse decorso; il
ricorrente segnala -e documenta- che l'evento non gli è
addebitabile in quanto dipeso da un fatto indipendente dalla
sua volontà (interruzione dei lavori a causa della citata
ordinanza del Corpo Forestale impugnata al TAR con
procedimento ancora pendente).
Pertanto, è applicabile al caso la previsione del TU
380/2001, art. 15, comma 2, secondo la quale il termine
triennale può essere prorogato per fatti intervenuti dopo
l'inizio dei lavori, ritardanti la loro esecuzione, che non
siano imputabili al titolare del permesso di costruire.
Nella ipotesi che ci occupa, è stata tempestivamente, prima
della scadenza del termine, proposta la richiesta di proroga
sulla quale non si è ancora pronunciata la competente
autorità; non è questa la sede per valutare se sussistano, o
meno, i requisiti per il prolungamento del termine e,
quindi, i relativi motivi di ricorso sono inconferenti.
Stante la ricordata decadenza ope legis del permesso
di costruire, l'indagato, in attesa delle determinazioni
della Pubblica Amministrazione sulla proroga, non ha titolo
autorizzatorio per continuare la edificazione.
L'atto del 02.08.2006 qualificato come "variante",
per il suo contenuto intrinseco, può essere considerato un
nuovo permesso di costruire, ma inficiato la palese
illegittimità in quanto non tiene conto del vincolo di
inedificabilità introdotto con la L. n. 353 del 2000 (Corte
di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 23.03.2007 n.
12316). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: La
previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7
della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento
è stato attivato su istanza di parte.
---------------
Non è condivisibile neanche la doglianza circa
l’effettuazione senza preavviso, da parte
dell’Amministrazione, di un sopralluogo sull’area di
cantiere finalizzato ad accertare l’inizio o meno dei
lavori, sia perché la ricorrente era ben consapevole della
sussistenza di un procedimento per il rilascio della
proroga, sia perché, comunque, si deve considerare legittima
l’effettuazione di accertamenti a sorpresa da parte della
P.A. qualora le circostanze lo impongano per garantire la
genuinità di tali accertamenti.
---------------
A fronte di ciò la difesa comunale ha sottolineato la
diversità tra le fattispecie della proroga della concessione
edilizia, ex art. 4, quarto comma, della l. n. 10/1977, e
della decadenza di tale concessione, ex art. 31 della l. n.
1150/1942.
Ed invero, mentre l’art. 4 cit. consente la proroga della
concessione edilizia qualora, ferma restando la capacità
edificatoria dell’area interessata, nel corso
dell’esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non
imputabili al titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul
soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili,
l’art. 31 della l. n. 1150 cit. disciplina la diversa
ipotesi della decadenza per fatti impeditivi discendenti
dalle scelte del Legislatore o della P.A. in sede di
pianificazione, che incidano sulla capacità edificatoria del
terreno. In questa seconda ipotesi, allora, non ha alcun
rilievo la non imputabilità del fatto al titolare della
concessione, né vi è possibilità di proroga della
concessione stessa, attesa la diversità degli interessi ivi
tutelati rispetto alla fattispecie ex art. 4, comma quarto
della l. n. 10/1977.
Con la comminatoria della decadenza ex art. 31 cit.,
infatti, il Legislatore ha inteso evitare che le costruzioni
ancora da realizzare alterino l’assetto urbanistico
stabilito con la nuova pianificazione. Nondimeno, la
disposizione in esame impedisce che si addivenga alla
pronuncia di decadenza quando i lavori siano iniziati e
purché vengano completati entro tre anni dalla data di
inizio.
---------------
Per la giurisprudenza consolidata lo sbancamento del terreno
non può, da solo, essere considerato quale inizio dei
lavori, non essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà
effettiva del titolare della concessione di realizzare il
manufatto assentito.
Con il primo motivo di ricorso la società deduce la
violazione delle regole sul procedimento amministrativo ed
in specie dell’art. 7 della l. n. 241/1990, perché il Comune
resistente non l’avrebbe avvisata dall’avvio del
procedimento di diniego di proroga, né l’avrebbe avvertita
dell’effettuazione del sopralluogo nel cantiere volto ad
accertare l’inizio o meno dei lavori, in modo da consentirle
di parteciparvi.
Il motivo è manifestamente infondato, atteso che il
procedimento di proroga ha avuto avvio sulla base di
apposita istanza dell’odierna ricorrente, la quale era,
quindi, a conoscenza del procedimento stesso. Si rammenta in
proposito che, secondo la costante giurisprudenza (cfr.
ex plurimis, C.d.S., Sez. IV, 20.12.2005, n. 7257), la
previa comunicazione di avvio del procedimento, ex art. 7
della l. n. 241/1990, non è richiesta quando il procedimento
è stato attivato su istanza di parte.
Non è, pertanto, condivisibile neanche la doglianza circa
l’effettuazione senza preavviso, da parte
dell’Amministrazione, di un sopralluogo sull’area di
cantiere finalizzato ad accertare l’inizio o meno dei
lavori, sia perché la ricorrente, come già detto, era ben
consapevole della sussistenza di un procedimento per il
rilascio della proroga, sia perché, comunque, si deve
considerare legittima l’effettuazione di accertamenti a
sorpresa da parte della P.A. qualora le circostanze lo
impongano per garantire la genuinità di tali accertamenti
(C.d.S., Sez. VI, 18.05.2004, n. 3190).
---------------
A fronte di ciò la difesa
comunale ha sottolineato la diversità tra le fattispecie
della proroga della concessione edilizia, ex art. 4, quarto
comma, della l. n. 10/1977, e della decadenza di tale
concessione, ex art. 31 della l. n. 1150/1942.
Ed invero, mentre l’art. 4 cit. consente la proroga della
concessione edilizia qualora, ferma restando la capacità
edificatoria dell’area interessata, nel corso
dell’esecuzione dei lavori si siano verificati dei fatti non
imputabili al titolare della concessione, che abbiano
ritardato i suddetti lavori, onde non far ricadere sul
soggetto incolpevole dei fatti a lui non attribuibili,
l’art. 31 della l. n. 1150 cit. disciplina la diversa
ipotesi della decadenza per fatti impeditivi discendenti
dalle scelte del Legislatore o della P.A. in sede di
pianificazione, che incidano sulla capacità edificatoria del
terreno. In questa seconda ipotesi, allora, non ha alcun
rilievo la non imputabilità del fatto al titolare della
concessione, né vi è possibilità di proroga della
concessione stessa, attesa la diversità degli interessi ivi
tutelati rispetto alla fattispecie ex art. 4, comma quarto
della l. n. 10/1977.
Con la comminatoria della decadenza ex art. 31 cit.,
infatti, il Legislatore ha inteso evitare che le costruzioni
ancora da realizzare alterino l’assetto urbanistico
stabilito con la nuova pianificazione (TAR Basilicata,
20.07.1996, n. 163). Nondimeno, la disposizione in esame
impedisce che si addivenga alla pronuncia di decadenza
quando i lavori siano iniziati e purché vengano completati
entro tre anni dalla data di inizio.
Sotto quest’ultimo profilo, pertanto, diventa decisivo
stabilire se nella fattispecie in esame i lavori fossero o
no iniziati.
Orbene, in proposito debbono essere sicuramente condivise le
conclusioni cui è addivenuta l’Amministrazione Comunale in
ordine al mancato inizio dei lavori. Per la giurisprudenza
consolidata, infatti, lo sbancamento del terreno non può, da
solo, essere considerato quale inizio dei lavori, non
essendo di per sé idoneo a dimostrare la volontà effettiva
del titolare della concessione di realizzare il manufatto
assentito (cfr., ex plurimis, TARLazio, Roma, Sez. II,
11.05.2006, n. 3480; C.d.S., Sez. IV, 03.10.2000, n. 5242)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2007 n. 372 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio dei
lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della L.
28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato
sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi
dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti
termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza
temporale all'attività edificatoria; detto istituto è
rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività
costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare
certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei
presupposti stabiliti dalla legge.
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è
suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è,
pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di
validità del titolo autorizzatorio, l'attività di
trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale
l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico,
la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento
assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che,
invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza
di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata
per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore.
---------------
La decadenza dalla conseguita concessione edilizia si
verifica automaticamente "ope legis" per effetto del
semplice decorso dei termini stabiliti per l'inizio e
l'ultimazione dei lavori, avendo una portata ricognitiva e
dichiarativa del verificarsi dei presupposti richiesti dalla
legge e non sanzionatoria.
La perdita di efficacia della concessione edilizia si
collega infatti al mero decorso del termine indicato
nell'atto concessorio, inteso a dare certezza temporale
all'attività edificatoria; ne consegue che il provvedimento
di decadenza serve solo a certificare una situazione già
verificatasi al momento in cui sono venuti in essere i
presupposti stabiliti dalla legge e, come tale, è un atto
vincolato a carattere meramente dichiarativo.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la
violazione ed errata applicazione dell’art. 4 della legge
28.01.1977 n. 10 ed eccesso di potere per presupposto
erroneo, atteso che nel caso concreto i lavori sarebbero
stati iniziati entro un anno dal rilascio della concessione
edilizia n. 76/82 del 14.09.1982.
Orbene, l'art. 4 della L. n. 10/1977 dispone testualmente
che "nell'atto di concessione sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio
dei lavori non può essere superiore ad un anno; il termine
di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile
o agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere
prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti
estranei alla volontà del concessionario, che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei
lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione
della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari. Qualora i lavori non siano ultimati nel
termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza
diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la
nuova concessione concerne la parte non ultimata.".
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio
dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della
L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato
sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi
dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti
termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza
temporale all'attività edificatoria; detto istituto è
rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività
costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare
certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei
presupposti stabiliti dalla legge (TAR Campania Napoli, sez.
IV, 29.04.2004, n. 7513).
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è
suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è,
pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di
validità del titolo autorizzatorio, l'attività di
trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale
l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico,
la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento
assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che,
invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza
di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata
per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore (TAR
Sardegna, 06.08.2003, n. 1001).
---------------
Oltretutto, la decadenza dalla
conseguita concessione edilizia si verifica automaticamente
"ope legis" per effetto del semplice decorso dei
termini stabiliti per l'inizio e l'ultimazione dei lavori,
avendo una portata ricognitiva e dichiarativa del
verificarsi dei presupposti richiesti dalla legge e non
sanzionatoria (Consiglio Stato, sez. IV, 13.04.2005, n.
1738).
La perdita di efficacia della concessione edilizia si
collega infatti al mero decorso del termine indicato
nell'atto concessorio, inteso a dare certezza temporale
all'attività edificatoria; ne consegue che il provvedimento
di decadenza serve solo a certificare una situazione già
verificatasi al momento in cui sono venuti in essere i
presupposti stabiliti dalla legge e, come tale, è un atto
vincolato a carattere meramente dichiarativo (TAR Lazio,
sez. II, 24.11.2004, n. 13996) (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 05.01.2006 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
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EDILIZIA PRIVATA: In
caso di reiterazione della domanda di concessione edilizia,
quando quella precedentemente rilasciata sia decaduta per
mancato inizio dei lavori, non ci si trova in presenza di
provvedimenti meramente confermativi o di proroga della
concessione già rilasciata ma di una nuova concessione, il
cui rilascio è subordinato all'adempimento degli obblighi
relativi.
---------------
L’art. 4 della L. n. 10/1977 dispone testualmente che
“Nell'atto di concessione sono indicati i termini di inizio
e di ultimazione dei lavori. Il termine per l'inizio dei
lavori non può essere superiore ad un anno; il termine di
ultimazione, entro il quale l'opera deve essere abitabile o
agibile, non può essere superiore a tre anni e può essere
prorogato, con provvedimento motivato, solo per fatti
estranei alla volontà del concessionario, che siano
sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro
esecuzione. Un periodo più lungo per l'ultimazione dei
lavori può essere concesso esclusivamente in considerazione
della mole dell'opera da realizzare o delle sue particolari
caratteristiche tecnico-costruttive; ovvero quando si tratti
di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più
esercizi finanziari. Qualora i lavori non siano ultimati nel
termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza
diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la
nuova concessione concerne la parte non ultimata.”.
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio
dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della
L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato
sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi
dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i predetti
termini indicati nell'atto sono intesi a dare certezza
temporale all'attività edificatoria; detto istituto è
rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività
costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare
certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei
presupposti stabiliti dalla legge.
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è
suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è,
pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di
validità del titolo autorizzatorio, l'attività di
trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale
l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico,
la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento
assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che,
invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza
di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata
per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore.
---------------
E' irrilevante lo stato di salute della ricorrente, quale
manifestatosi successivamente al presunto inizio dei detti
lavori di realizzazione degli edifici e ritenuto causa della
predetta interruzione, indipendentemente dalla circostanza
che il predetto stato sia stato previamente portato a
conoscenza dell’amministrazione comunale interessata con
l’istanza di proroga della concessione e non invece dedotto,
esclusivamente, in un momento successivo, in sede di
richiesta di riesame del rigetto di rilascio della nuova
concessione edilizia.
--------------
Deve rilevarsi che l'orientamento giurisprudenziale sulla
necessità di un espresso provvedimento di decadenza della
concessione edilizia non è costante.
Ed infatti una parte della giurisprudenza ritiene che la
decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed
ultimazione dei lavori non sia automatica e, pertanto, tale
decadenza debba essere necessariamente dichiarata con
apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non
vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo,
sicché non è configurabile nella specie un giudizio
d'accertamento e che, pertanto, affinché la concessione
edilizia perda, per decadenza, la propria efficacia occorre
un atto formale dell'amministrazione che renda operanti gli
effetti della decadenza accertata.
La decadenza avrebbe, pertanto, dovuto formare oggetto di un
apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i
presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto
per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie,
considerato che la perdita di efficacia della concessione è
subordinata all'esplicazione di una potestà provvedimentale.
Il Collegio, in tale situazione, in aderenza
all’orientamento che appare prevalente nella materia da
ultimo, ritiene che debba farsi riferimento invece alla
lettera della legge, la quale fa dipendere la decadenza, non
da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma
dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, infatti, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari della
concessione ma anche della Pubblica Amministrazione, ai fini
dell’accertamento con apposito atto amministrativa
dell’intervenuta decadenza della concessione edilizia per
l’inutile scadenza del termine di inizio lavori, con
probabili disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presentano identiche sul punto che interessa.
La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio dei lavori, pertanto, opera
di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove
adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto
verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine.
Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza
è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo
previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria
una comparazione tra l'interesse del privato e quello
pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul
primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure"
del mancato inizio dei lavori e non residuando
all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine
discrezionale.
La decadenza della concessione edilizia si determina,
pertanto, anche in assenza di un'espressa dichiarazione da
parte dell’amministrazione competente.
---------------
Ai fini della sussistenza -o meno- dei presupposti per la
decadenza dalla concessione edilizia, l'effettivo inizio dei
lavori relativi deve essere valutato non in via generale ed
astratta, ma con specifico e puntuale riferimento all'entità
ed alle dimensioni dell'intervento edificatorio programmato
ed autorizzato, all'evidente scopo di evitare che il termine
prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e
simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo
intendimento del titolare della concessione stessa di
procedere alla costruzione dell'opera progettata.
L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della
concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le
opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva
volontà da parte del concessionario di realizzare il
manufatto assentito, non essendo sufficiente il semplice
sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti
e materiali da costruzione.
Pertanto l'inizio dei lavori non si configura con la sola
esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento senza che sia
manifestamente messa a punto l'organizzazione del cantiere e
vi siano altri indizi che dimostrino il reale proposito del
titolare della concessione edilizia di proseguire i lavori
sino alla loro ultimazione ed al completamento dell'opera.
E la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per
mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è
illegittima solo ove il titolare della concessione abbia
eseguito "lo scavo ed il riempimento in conglomerato
cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del
piano di campagna entro il termine di legge" oppure lo
sbancamento interessi un'area di vaste proporzioni.
Né si ritiene che assuma rilevanza, ai fini che interessano
della verifica del regolare e tempestivo inizio dei lavori
ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10/1977, la circostanza che
sia stata data comunicazione dell’inizio dei lavori come da
nota prot. n. 06799 del 05.10.1994, atteso che la predetta
circostanza non è idonea ad attestare l’effettivo inizio
degli stessi, in assenza di positivi riscontri materiali al
riguardo; ed altrettanto è a dirsi per la nomina del
direttore dei lavori di cui alla nota prot. n. 06798 della
medesima data.
Con il secondo motivo di censura di cui al ricorso sub A) e
con il primo ed il secondo motivo di censura di cui al
ricorso sub B), la ricorrente ha sostenuto che la
concessione edilizia originariamente rilasciata non era
decaduta per inutile decorso del termine di un anno senza
inizio dei lavori sia perché i lavori erano, invece,
iniziati sia perché, comunque, la decadenza non era stata
dichiarata tempestivamente ed espressamente da parte del
Comune; ha ulteriormente dedotto di avere presentato in data
15.03.1997 istanza di proroga della concessione edilizia
rilasciatagli, che sarebbe, tuttavia, rimasta priva di
riscontro da parte dell’amministrazione comunale.
Si premette che, in caso di reiterazione della domanda di
concessione edilizia, quando quella precedentemente
rilasciata sia decaduta per mancato inizio dei lavori, non
ci si trova in presenza di provvedimenti meramente
confermativi o di proroga della concessione già rilasciata
ma di una nuova concessione, il cui rilascio è subordinato
all'adempimento degli obblighi relativi.
Ne consegue la non rilevanza dell’argomentazione di cui da
ultimo della difesa della ricorrente, secondo cui la
richiesta di rilascio della seconda concessione edilizia, in
realtà nella sostanza, andava interpretata da parte del
Comune come istanza di proroga del termine della concessione
edilizia già rilasciata, reiterativi della precedente
istanza, tempestivamente presentata nelle more di decorrenza
del termine annuale di inizio di lavori di costruzione in
data 15.03.1997.
Ed infatti una volta ritenuta la sostanziale decadenza della
predetta concessione edilizia, correttamente il Comune ha
valutato la nuova istanza alla stregua di quanto emergeva
dal suo dato testuale, ossia di richiesta di rilascio di una
nuova concessione edilizia del medesimo contenuto.
L’art. 4 della L. n. 10/1977 dispone, infatti, testualmente
che “Nell'atto di concessione sono indicati i termini di
inizio e di ultimazione dei lavori.
Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore
ad un anno; il termine di ultimazione, entro il quale
l'opera deve essere abitabile o agibile, non può essere
superiore a tre anni e può essere prorogato, con
provvedimento motivato, solo per fatti estranei alla volontà
del concessionario, che siano sopravvenuti a ritardare i
lavori durante la loro esecuzione. Un periodo più lungo per
l'ultimazione dei lavori può essere concesso esclusivamente
in considerazione della mole dell'opera da realizzare o
delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive;
ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui
finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito,
il concessionario deve presentare istanza diretta ad
ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova
concessione concerne la parte non ultimata.”.
La decadenza dalla concessione edilizia per mancato inizio
dei lavori nel termine prefissato, a norma dell'art. 4 della
L. 28.01.1977 n. 10, è un istituto giuridico fondato
sull'elemento oggettivo del decorso del tempo e, ai sensi
dell'art. 4, 4º comma, della L. 28.01.1977 n. 10, i
predetti termini indicati nell'atto sono intesi a dare
certezza temporale all'attività edificatoria; detto istituto
è rivolto, previo accertamento dello stato dell'attività
costruttiva alla scadenza del termine suddetto, solo a dare
certezza di una situazione già prodottasi al verificarsi dei
presupposti stabiliti dalla legge (TAR Campania Napoli,
sez. IV, 29.04.2004, n. 7513).
Il termine per l'inizio dell'attività edificatoria non è
suscettibile né di sospensione né di interruzione e non è,
pertanto, prorogabile; se, infatti, scaduto il termine di
validità del titolo autorizzatorio, l'attività di
trasformazione edilizia non è ancora iniziata, prevale
l'esigenza di consentire, nel preminente interesse pubblico,
la rivalutazione della perdurante conformità dell'intervento
assentito alla vigente normativa urbanistica, esigenza, che,
invece, nell'ottica del legislatore, si attenua in presenza
di un'attività edilizia già iniziata, benché non terminata
per fatti indipendenti dalla volontà del costruttore (TAR Sardegna,
06.08.2003, n. 1001).
Ne consegue, ai fini che interessano, la assoluta
irrilevanza dello stato di salute della ricorrente, quale
manifestatosi successivamente al presunto inizio dei detti
lavori di realizzazione degli edifici e ritenuto causa della
predetta interruzione, indipendentemente dalla circostanza
che il predetto stato sia stato previamente portato a
conoscenza dell’amministrazione comunale interessata con
l’istanza di proroga della concessione e non invece dedotto,
esclusivamente, in un momento successivo, in sede di
richiesta di riesame del rigetto di rilascio della nuova
concessione edilizia.
Ed infatti, alla luce della citata interpretazione oggettiva
del suddetto termine di inizio lavori, la proroga dello
stesso non sarebbe giuridicamente configurabile per alcun
motivo, neppure quello inerente allo stato di salute del
titola del titolo edificatorio.
Peraltro la ricorrente, considerata l’inerzia del Comune nel
riscontrare la predetta istanza di proroga, presentata nelle
more di decorrenza del termine annuale di inizio dei lavori
(che si evidenzia non essere stata depositata nemmeno in
copia nel presente giudizio né a cura della ricorrente,
direttamente interessata, né a cura del Comune, che è
rimasto, nella sostanza, assolutamente inottemperante all’O.P.I.
n. 10/2005), avrebbe dovuto tempestivamente, e nei modi di
legge, attivarsi contro la predetta inerzia, ai fini di fare
valere, eventualmente, le proprie ragioni al riguardo nei
confronti dell’amministrazione comunale.
Ciò premesso, deve rilevarsi che l'orientamento
giurisprudenziale sulla necessità di un espresso
provvedimento di decadenza non è costante.
Ed infatti una parte della giurisprudenza ritiene che la
decadenza della concessione edilizia per mancato inizio ed
ultimazione dei lavori non sia automatica e, pertanto, tale
decadenza debba essere necessariamente dichiarata con
apposito provvedimento, nei cui riguardi il privato non
vanta che una posizione giuridica di interesse legittimo,
sicché non è configurabile nella specie un giudizio
d'accertamento (TAR Abruzzo Pescara, 28.06.2002, n.
595) e che, pertanto, affinché la concessione edilizia
perda, per decadenza, la propria efficacia occorre un atto
formale dell'amministrazione che renda operanti gli effetti
della decadenza accertata (Consiglio Stato, sez. V, 26.06.2000, n. 3612).
La decadenza avrebbe, pertanto, dovuto formare oggetto di un
apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato i
presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto
per tutti i casi di decadenza di concessioni edilizie (Cfr.
da ultimo V, 15.06.1998, n. 834), considerato che la perdita
di efficacia della concessione è subordinata
all'esplicazione di una potestà provvedimentale.
Il Collegio, in tale situazione, in aderenza
all’orientamento che appare prevalente nella materia da
ultimo, ritiene che debba farsi riferimento invece alla
lettera della legge, la quale fa dipendere la decadenza, non
da un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma
dal semplice fatto dell'inutile decorso del tempo.
Diversamente opinando, infatti, si farebbe dipendere la
decadenza non solo da un comportamento dei titolari della
concessione ma anche della Pubblica Amministrazione, ai fini
dell’accertamento con apposito atto amministrativa
dell’intervenuta decadenza della concessione edilizia per
l’inutile scadenza del termine di inizio lavori, con
probabili disparità di trattamento tra situazioni che nella
sostanza si presentano identiche sul punto che interessa.
La decadenza della concessione edilizia per mancata
osservanza del termine di inizio dei lavori, pertanto, opera
di diritto, con la conseguenza che il provvedimento, ove
adottato, ha carattere meramente dichiarativo di un effetto
verificatosi "ex se" con l'inutile decorso del termine.
Segue da ciò che: a) l'eventuale provvedimento di decadenza
è sufficientemente motivato con richiamo al termine ultimo
previsto per l'inizio dei lavori, senza che sia necessaria
una comparazione tra l'interesse del privato e quello
pubblico, essendo quest'ultimo "ope legis" prevalente sul
primo; b) non è necessaria la comunicazione di avvio del
procedimento, essendo la decadenza un effetto "ipso iure"
del mancato inizio dei lavori e non residuando
all'amministrazione alcun margine per valutazioni di ordine
discrezionale (TAR Basilicata, 23.05.2003, n. 471).
La decadenza della concessione edilizia si determina,
pertanto, anche in assenza di un'espressa dichiarazione da
parte dell’amministrazione competente.
Ai fini della verifica dell’effettivo inizio dei suddetti
lavori nei termini di legge di cui sopra, in punto di fatto,
non può che prendersi dal contenuto essenziale del verbale
di sopralluogo dell’U.T.C. del 27.02.1998, che, sebbene non
depositato in copia agli atti del giudizio, nonostante
apposita O.P.I. al riguardo, tuttavia è stato riportato,
nella sua parte motivazionale, nel testo del provvedimento
di cui al prot. n. 10466 del 05.11.1998, impugnato con il
ricorso sub B), rileva la consistenza dei lavori effettuati
quali “modesti sbancamenti di terreno oramai ricoperti di
acqua e vegetazione”;
Si ricorda, infatti, come tale attestazione debba
considerarsi veridica fino a prova contraria, prova che la
ricorrente non è riuscita a fornire nel presente giudizio.
Ed infatti anche dall’elencazione dei lavori effettuati,
come riportati nella richiesta di riesame, dette opere
consistono in “picchettatura del terreno interessato dalla
costruzione, livellamento del medesimo terreno al livello
delle fondazioni, creazione degli scavi per il getto dei
plinti di fondazione di entrambi gli assentiti edifici,
realizzazione della strada di accesso”.
Ne consegue che, nella sostanza, non appare esservi un reale
contrasto tra le parti in ordine alla natura dei detti
lavori, che, secondo entrambe le rappresentazioni dello
stato dei fatti, si sono fermati al livello dello
sbancamento dei terreni e della loro preparazione
all’edificazione, senza che, tuttavia, la edificazione in
senso stretto, come intesa dalla prevalente giurisprudenza
sul punto, possa effettivamente considerasi iniziata.
Ed infatti, ai fini della sussistenza -o meno- dei
presupposti per la decadenza dalla concessione edilizia,
l'effettivo inizio dei lavori relativi deve essere valutato
non in via generale ed astratta, ma con specifico e puntuale
riferimento all'entità ed alle dimensioni dell'intervento
edificatorio programmato ed autorizzato, all'evidente scopo
di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con
ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente
significativi di un effettivo intendimento del titolare
della concessione stessa di procedere alla costruzione
dell'opera progettata (Consiglio Stato, sez. V, 16.11.1998, n. 1615).
L'inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della
concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le
opere intraprese siano tali da manifestare una effettiva
volontà da parte del concessionario di realizzare il
manufatto assentito, non essendo sufficiente il semplice
sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti
e materiali da costruzione (Consiglio Stato, sez. V, 22.11.1993, n. 1165).
Pertanto l'inizio dei lavori non si configura con la sola
esecuzione dei lavori di scavo di sbancamento senza che sia
manifestamente messa a punto l'organizzazione del cantiere e
vi siano altri indizi che dimostrino il reale proposito del
titolare della concessione edilizia di proseguire i lavori
sino alla loro ultimazione ed al completamento dell'opera (Consiglio Stato, sez. IV,
03.10.2000, n. 5242).
E la declaratoria di decadenza della licenza edilizia per
mancato inizio dei lavori entro il termine fissato è
illegittima solo ove il titolare della concessione abbia
eseguito "lo scavo ed il riempimento in conglomerato
cementizio delle fondazioni perimetrali fino alla quota del
piano di campagna entro il termine di legge" (Consiglio
Stato, sez. V, 15.10.1992, n. 1006) oppure lo
sbancamento interessi un'area di vaste proporzioni (Consiglio Stato, sez. V, 13.05.1996, n. 535).
Né si ritiene che assuma rilevanza, ai fini che interessano
della verifica del regolare e tempestivo inizio dei lavori
ai sensi dell’art. 4 della L. n. 10/1977, la circostanza che
sia stata data comunicazione dell’inizio dei lavori come da
nota prot. n. 06799 del 05.10.1994, atteso che la predetta
circostanza non è idonea ad attestare l’effettivo inizio
degli stessi, in assenza di positivi riscontri materiali al
riguardo; ed altrettanto è a dirsi per la nomina del
direttore dei lavori di cui alla nota prot. n. 06798 della
medesima data.
Non si riscontra, pertanto, la dedotta violazione dell’art.
8, co. 3, della L.R. n. 29/1997, il quale, nel prevedere le
misure di salvaguardia, testualmente dispone che “3.
All'interno delle zone A previste dall'articolo 7, comma 4,
lettera a), numero 1), delle aree naturali protette
individuate dal piano regionale, sono vietati: … omissis …
q) la realizzazione di nuovi edifici all'interno delle zone
territoriali omogenee E) previste dall'articolo 2 del
decreto del Ministro per i lavori pubblici 02.04.1968,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 16.04.1968, n. 97,
in cui sono comunque consentiti: 1) interventi già
autorizzati e regolarmente iniziati alla data di entrata in
vigore della presente legge”, atteso che, nel caso di
specie, si è ritenuto che non vi fosse stato alcun effettivo
inizio dei lavori tale da giustificare la mancata decadenza
della concessione edilizia in precedenza rilasciata.
Il “regolare inizio”, alla data di entrata in vigore della
presente legge, degli interventi già autorizzati, infatti,
non può essere intesa in senso difforme dall’inizio dei
lavori ai fini della decadenza dalla concessione edilizia di
cui al richiamato art. 4 della L. n. 10/1977,
indipendentemente dalla irrilevante circostanza che
effettivamente il Comune abbia provveduto tempestivamente
all’adozione di un atto formale ed espresso di decadenza
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza
28.06.2005 n. 5370). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Il
provvedimento di decadenza della concessione edilizia ha
natura dichiarativa a carattere vincolato e il relativo
effetto estintivo non è disponibile per l’Amministrazione; pur dovendo essere adottato ogni volta
che ne sussistono i presupposti il provvedimento di decadenza,
tuttavia, non è automatico; pertanto, la decadenza deve essere
necessariamente dichiarata, ai sensi dell’art. 31 della legge
n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui
riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di
interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie
un giudizio d’accertamento, in quanto la competenza
esclusiva del G.A. ex art. 16 della legge n. 10 del 1977
lascia ferma, in soggetta materia, la distinzione tra
diritti soggettivi ed interessi legittimi e, quindi, per
questi ultimi il solo rito impugnatorio annullatorio.
Il Collegio considera
che, secondo la giurisprudenza, il provvedimento di
decadenza della concessione edilizia ha natura dichiarativa
a carattere vincolato e che il relativo effetto estintivo
non è disponibile per l’Amministrazione (Cons. St., Sez. V,
07.03.1997 n. 204); pur dovendo essere adottato ogni volta
che ne sussistono i presupposti (Cons. St., Sez. V, 03.02.2000 n. 597) il provvedimento di decadenza,
tuttavia, non è automatico (Cons. St., Sez. V, 23.11.1996 n. 1414); pertanto, la decadenza deve essere
necessariamente dichiarata, ai sensi dell’art. 31 della legge
n. 1150 del 1942, con apposito provvedimento, nei cui
riguardi il privato non vanta che una posizione giuridica di
interesse legittimo, sicché non è configurabile nella specie
un giudizio d’accertamento, in quanto la competenza
esclusiva del G.A. ex art. 16 della legge n. 10 del 1977
lascia ferma, in soggetta materia, la distinzione tra
diritti soggettivi ed interessi legittimi e, quindi, per
questi ultimi il solo rito impugnatorio annullatorio (Cons.
St., Sez. V, 15.06.1998 n.834).
Quest’ultima pronuncia appare attuale anche in seguito alla
devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G. A. delle
controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e
i comportamenti delle Amministrazioni pubbliche in materia
urbanistica ed edilizia, disposta dall’art. 34 del D.Lgs.
n. 80 del 1998 come sostituito dall’art. 7, comma 1, lett. b),
della legge n. 205 del 2000, essendo ferma la disposizione
contenuta nell’art. 103, I comma, della Costituzione.
Tuttavia, il Collegio considera che l’art. 34 cit. estende la
giurisdizione del G. A. alle controversie sui
“comportamenti” delle Amministrazioni in materia
urbanistica ed edilizia. Pertanto, ben può essere sindacato,
ad avviso del Collegio, il comportamento
dell’Amministrazione che, pur sussistendo i presupposti per
dichiarare la decadenza di una concessione edilizia, non
adotti il relativo provvedimento (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 28.06.2002 n. 595 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: 1.
- Processo amministrativo - Domanda di accertamento
dell'obbligo di rilascio della concessione edilizia in
sanatoria - Posizione di interesse legittimo -
Inammissibilità.
2. - Concessione - Decadenza - Espressa dichiarazione -
Necessità - Esclusione.
1. - Deve ritenersi inammissibile la domanda di accertamento
dell'obbligo del rilascio della concessione edilizia in
sanatoria dal momento che una pronuncia di accertamento è
possibile solo in presenza di un diritto soggettivo e non di
un interesse legittimo, posizione rivestita in ordine alle
concessioni edilizie.
2. - La decadenza della concessione edilizia si determina
anche in assenza di un'espressa dichiarazione poiché, in
riferimento alla lettera della legge questa non dipende da
un atto amministrativo, costitutivo o dichiarativo, ma dal
semplice fatto dell'inutile decorso del tempo, ovvero del
termine di un anno senza che sia dato inizio ai lavori;
diversamente la decadenza si farebbe dipendere non solo da
un comportamento dei titolari della concessione ma anche
della pubblica amministrazione, con probabili disparità di
trattamento tra situazioni identiche (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza
28.12.2000 n. 2704). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza è sostanzialmente univoca nel
non riconoscere ai soli lavori di sbancamento, non
accompagnati dalla compiuta organizzazione del cantiere e da
altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento
del titolare della licenza (concessione) edilizia di
addivenire al compimento dell’opera, la qualità di inizio
dei lavori utile ai fini dell’applicazione del citato comma
decimo dell’articolo 31 della legge 17.08.1942, n. 1150.
Invero le opere realizzate, pur di modesta entità, debbono
risultare obiettivamente finalizzate alla realizzazione del
manufatto assentito sicché i lavori non possano considerarsi
fittizi o simbolici e, a questa stregua, non assumono
univoca valenza edificatoria preordinata all’intervento
edilizio specificamente assentito i semplici sbancamenti di
terreno.
Risulta per tabulas, infatti, le uniche opere poste
in essere prima della sospensione sindacale dei lavori
edilizi fossero semplicemente degli sbancamenti, non seguiti
da alcuna altra opera.
La giurisprudenza è sostanzialmente univoca nel non
riconoscere ai soli lavori di sbancamento, non accompagnati
dalla compiuta organizzazione del cantiere e da altri indizi
idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare
della licenza (concessione) edilizia di addivenire al
compimento dell’opera, la qualità di inizio dei lavori utile
ai fini dell’applicazione del citato comma decimo
dell’articolo 31 della legge 17.08.1942, n. 1150.
Invero le opere realizzate, pur di modesta entità, debbono
risultare obiettivamente finalizzate alla realizzazione del
manufatto assentito sicché i lavori non possano considerarsi
fittizi o simbolici e, a questa stregua, non assumono
univoca valenza edificatoria preordinata all’intervento
edilizio specificamente assentito i semplici sbancamenti di
terreno (C.d.S., V, 11.10.1996, n. 1227; V 30.06.1995, n.
938; V, 22.11.1993, n. 1165; V, 18.05.1987, n. 300; IV,
17.12.1984, n. 921)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.10.2000 n. 5242 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
decadenza della concessione edilizia, per mancato inizio
lavori nel termine di legge, deve formare oggetto di un
apposito provvedimento sindacale, che ne accerti i
presupposti rendendone operanti gli effetti, come richiesto
dalla giurisprudenza amministrativa per tutti i casi di
decadenza di concessioni edilizie.
Osserva la Sezione, innanzitutto, che l’art. 15 della legge
regionale ora citata non collega la decadenza della
concessione edilizia al mancato ritiro del documento ma al
mancato inizio dei lavori entro il termine di un anno
decorrente da quello del ritiro del titolo.
La disposizione stabilisce anche che l’interessato “è
tenuto” a prendere in consegna il documento nel termine
di sessanta giorni dal suo rilascio.
La norma è evidentemente diretta a dare certezza al termine
di validità della concessione edilizia ai fini di una
puntuale individuazione del termine di inizio dei lavori di
costruzione, non a sanzionarne la decadenza per il mancato
ritiro del titolo nel termine da essa fissato.
In ogni caso, la decadenza avrebbe dovuto formare oggetto di
un apposito provvedimento sindacale, che ne avesse accertato
i presupposti rendendone operanti gli effetti, come
richiesto dalla giurisprudenza amministrativa per tutti i
casi di decadenza di concessioni edilizie (Cfr. da ultimo V,
15.06.1998, n. 834). Nel caso in esame, infine, la
concessione edilizia è stata ritenuta operante dalla stessa
amministrazione comunale, che, per l’appunto, l’ha annullata
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 26.06.2000 n. 3612 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
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