dossier
S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività) |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Per
espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241
del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011) la SCIA non costituisce provvedimento
tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte
che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una
già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del
caso, ad essa si aggiunge integrandola.
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6. Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del
ricorso.
Il Comune, come detto, ritiene che la presentazione della SCIA 404/2017 (con
l’indicazione dell'avvenuto rilascio, nelle more, dell'autorizzazione
paesaggistica) renda privo di interesse il gravame avverso la declaratoria
di improcedibilità (rectius, annullamento) della SCIA 733/2016 in quanto
quest’ultima sarebbe stata sostituita da una nuova SCIA, a sua volta
dichiarata inefficace con la disposizione PG/2017/374419.
L’assunto del Comune parte dall’errato presupposto di considerare la SCIA
alla stregua di un provvedimento amministrativo (sia pure tacito) la cui
sostituzione con altro provvedimento determina la perdita di interesse
all’annullamento, spostandosi detto interesse sul provvedimento successivo
(fatta eccezione per i casi di atti meramente confermativi).
Invece, per espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241
del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15 del 2011) la SCIA non costituisce provvedimento
tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte
che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una
già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del
caso, ad essa si aggiunge integrandola.
Quand’anche il contenuto sia identico, sia pure con variazioni (nel caso
concreto, nella SCIA 404/2017, nella sezione B9.9 è aggiunta la specifica
che l’area in questione è assoggettata alla l. 1497/1939 / d.lgs. 42/2004), si
è in presenza di due atti privati, di cui uno dichiarato improcedibile dal
Comune, l’altro anche ma con provvedimento successivo, che la parte ha
conosciuto solo in seguito al deposito in giudizio da parte del Comune di
Napoli (all. 11 prod. Comune del 17.07.2018) e per il quale, alla data
della presente decisione (10.10.2018) sono ancora pendenti i termini
per l’impugnazione considerata la sospensione feriale.
La scelta di impugnare il successivo provvedimento di improcedibilità spetta
alla parte, come pure spetta a quest’ultima la decisione in ordine ai
contenuti del ricorso, presumibilmente diversi stante il diverso tenore dei
provvedimenti emessi dal Comune.
In questa sede, pertanto, la perdita di interesse al gravame non può
conseguire alla esistenza di due o più diverse Segnalazioni certificate sul
medesimo immobile, perché ciò implicherebbe l’indebita sostituzione della
volontà del giudice rispetto alla scelta, manifesta, del privato di non
sostituire una Scia con un’altra (nel caso, la SCIA 733/2016, con la SCIA
404/2017) e questo soprattutto in ragione –come rilevato dai ricorrenti
nella memoria di replica del 19.09.2018– della circostanza che la
seconda SCIA è stata anch’essa dichiarata inefficace, per cui l’eventuale
accoglimento del gravame presentato per l’annullamento della declaratoria di
inefficacia della prima SCIA (733/2016) ha l’evidente effetto di salvare
l’attività svolta sino a quel momento, attività che invece diventerebbe
automaticamente sine titulo per effetto dell’unione combinata di una
decisione di improcedibilità del presente giudizio (sulla SCIA 733/2016) con
la declaratoria di inefficacia della SCIA 404/2017
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.03.2019 n. 1334 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il potere di
intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la
scadenza del termine perentorio per la verifica della
legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica,
potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti
individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per
l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi
illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di
interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità violata, che depongono per la
loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei
destinatari e degli eventuali controinteressati.
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5.2. Per quanto riguarda poi la rilevanza delle
carenze in questione ai fini dell’esercizio del potere di
annullamento della SCIA edilizia e della conseguente
declaratoria di irricevibilità della segnalazione
certificata di agibilità, si osserva che, fermo l’obbligo
della ricorrente di conformare l’area a parcheggio agli
standard di legge, l’amministrazione comunale non ha operato
la necessaria comparazione tra il pubblico interesse al
ripristino della legalità ed il sacrificio imposto al
privato, specie a fronte dei gravi effetti indiretti
sull’esercizio dell’attività commerciale: “Il potere di
intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la
scadenza del termine perentorio per la verifica della
legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica,
potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti
individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per
l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi
illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di
interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità violata, che depongono per la
loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei
destinatari e degli eventuali controinteressati” (TAR
Napoli, Sez. VII, 23.04.2018 n. 2664) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 18.12.2018 n. 2141 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'esecuzione in assenza o in difformità degli
interventi subordinati a SCIA comporta l'applicazione della
sanzione penale prevista dall'art. 44, lett. a), d.P.R.
380/2001 se gli stessi non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore,
mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o
difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata
disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa
prevista dall'art. 37 d.P.R. 380/2001.
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22
d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono
realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli
interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e
che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la
disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione
amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in
difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la
loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi
per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta
l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44,
lett. a), in quanto tale disposizione sanziona
"l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità
esecutive previste dal presente titolo, in quanto
applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dal permesso di costruire".
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Anche l'infondatezza del secondo motivo di entrambi i
ricorsi è di macroscopica evidenza.
Come affermano i ricorrenti, la giurisprudenza di questa
Corte, ha chiarito che l'esecuzione in assenza o in
difformità degli interventi subordinati a SCIA comporta
l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44,
lett. a), d.P.R. 380/2001 se gli stessi non sono conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore,
mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o
difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata disciplina, è
applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37
d.P.R. 380/2001 (Sez. 3, n. 952 del 07/10/2014 (dep. 2015),
Parisi, Rv. 261783; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo,
Rv. 243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv.
235413).
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22
d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono
realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli
interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e
che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la
disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione
amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in
difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la
loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi
per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta
l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44,
lett. a), in quanto tale disposizione sanziona "l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal
presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai
regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal
permesso di costruire".
Il principio richiamato è pienamente condiviso dal Collegio,
che intende ribadirlo, ma, nel fare ciò, deve però rilevarsi
che nella sentenza impugnata risulta accertato in fatto che
le opere erano state realizzate "...in parte in assenza
di titolo ed in parte in difformità dalla DIA n. 322/2010,
nonché in violazione degli strumenti urbanistici ed edilizi
vigenti al momento del fatto presso il Comune di Colle Val
D'Elsa".
A fronte di tale affermazioni, entrambi i ricorsi si
limitano alla apodittica affermazione della conformità delle
opere espressamente smentita dal giudice del merito, con le
conclusioni del quale neppure si confrontano (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.11.2018 n. 50144). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di una
s.c.i.a. ai sensi dell’art.
19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
Sull'interpretazione dell’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo.
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima.
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta.
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo, finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento, allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
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Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare,
con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
Sicché, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di
provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza
volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela
della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò
in quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi
argomentativa- fosse configurabile l’esercizio del potere di
autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita
l’esercizio, non sussiste –come si è detto- obbligo di
provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie,
alcun titolo od interesse del privato a che
l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di
fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
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Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e
verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare, che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria”.
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico
che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto.
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tanto meno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento.
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
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Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito. Il che comporta che l’attività
edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un
piano dove non è previsto l’esercizio di poteri
amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla
Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza
delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un
titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
Nel caso di specie la verifica richiesta all’amministrazione
(e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un
provvedimento di sospensione degli effetti della Scia),
concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la
sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
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2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto,
con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni di seguito esposte.
2.1. Al fine di meglio chiarire il thema decidendum appare
opportuno precisare, in punto di fatto, che il presente
giudizio trae origine dalla diffida presentata da Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. al Comune di Nocera
Superiore in data 23.02.2016, con la quale gli stessi
diffidavano il Funzionario responsabile dell’area
urbanistica del suddetto Comune “all’assunzione
dell’immediato provvedimento di sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato, in uno alla revoca
dell’attestato prot. n. 29491 del 03.12.2015, essendo
stato reso su inesistenti presupposti”.
I signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id.
fondavano la propria diffida (in particolare alla emanazione
di provvedimento di sospensione) su due argomentazioni:
- la prima, consistente nell’affermare che “l’amministrazione
comunale avrebbe dovuto subordinare il rilascio dell’assenso
edilizio a specifica autorizzazione di assenso dei
comproprietari”;
- la seconda, consistente nel rilievo che “la richiesta di assenso
edilizio non è stata corredata dalla indicazione delle
autorizzazioni ottenute e contemplate dalla normativa di
settore, così come previsto dal DPR 542/1994; in particolare
non sono stati esplicitati appropriatamente natura e
caratteristiche dell’impianto di RM da attivare e dunque
della tipologia di assenso preventivo di cui si doveva già
essere in possesso per la localizzazione dell’impattante
impianto di sfiato”.
Per maggior chiarezza, giova precisare:
- che l’attività edilizia contestata con la diffida era oggetto non
già di un provvedimento amministrativo implicito (o per silentium), bensì di una Scia del 19.12.2014 n. 27051,
integrata con comunicazione 29.09.2015 n. 22728 e con
trasmissione di documentazione integrativa in data 19.10.2015 n. 24599;
- che l’attestato oggetto della richiesta di revoca certificava la
presentazione della Scia e delle integrazioni alla medesima
innanzi indicate, nonché l’assenza di provvedimenti
sospensivi dell’efficacia della Scia dalla sua presentazione
e fino alla data di emissione dell’attestato.
Stante il silenzio serbato dall’amministrazione sulla
diffida 23.02.2016, i signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. (firmatari della diffida), nonché Pa.Fe. e Ba.Ro., proponevano ricorso
giurisdizionale per la declaratoria di illegittimità del
silenzio, deciso poi dalla sentenza impugnata nella presente
sede.
Oggetto, dunque, del presente giudizio, per il tramite della
sentenza impugnata, è il silenzio serbato
dall’amministrazione su quanto richiesto con diffida del 23.02.2016, vale a dire l’adozione di un provvedimento di
sospensione “del titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
e la revoca dell’attestato 03.12.2015.
2.2. Tanto precisato, occorre ricordare che l’ambito del
giudizio avverso il silenzio è definito:
- sul piano soggettivo, con riferimento ai soggetti che
hanno presentato l’istanza rimasta insoddisfatta a causa del
silenzio dell’amministrazione, e dunque titolari della
legittimazione ad agire;
- sul pano oggettivo, dal provvedimento richiesto con
l’istanza ed in ordine al quale l’amministrazione non ha
esercitato il relativo potere, nemmeno in senso negativo.
Quanto al piano soggettivo, è appena il caso di osservare (poiché
il punto non è stato trattato nella sentenza impugnata né ha
formato motivo di appello) che, a fronte di tre soggetti
presentatori della diffida, il ricorso instaurativo del
giudizio di I grado ed il presente appello risultano
proposti da cinque soggetti, per due dei quali sarebbe
discutibile la sussistenza della legittimazione ad agire.
Quanto al piano oggettivo è da rilevare che il provvedimento
di sospensione –in ordine alla mancata adozione del quale è
attivato il presente giudizio- deve essere inteso (in
applicazione di un favor interpretativo per i ricorrenti)
come riferito alla Scia, non sussistendo, nel caso di
specie, alcun “titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
(e, dunque, prescindendosi dal rilevare che ben avrebbe
potuto il Comune ritenere la diffida presentata tamquam non
esset, per mancanza di oggetto).
In definitiva, l’eventuale silenzio inadempimento
dell’amministrazione deve essere verificato solo con
riguardo ai due tipi di atto sollecitati con l’istanza e con
riferimento ai presupposti indicati per l’adozione degli
atti medesimi.
Ne consegue che ogni ulteriore valutazione esplicitata in
giudizio –sia per il tramite del ricorso instaurativo del
giudizio sia per il tramite dell’appello– è da considerarsi
del tutto estranea al thema decidendum.
Tanto precisato, può prescindersi dall’eccezione di
inammissibilità proposta dal Comune di Nocera Inferiore,
attesa altresì la infondatezza dell’appello.
3. Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
3.1. Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 22.06.2018 n.
3858); sez. V, 08.05.2018 n. 2751 e 06.02.2017, n.
513).
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
3.2. Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima (Cons. Stato,
sez. V, 11.06.2018 n. 3598; sez. IV, 07.06.2017 n.
2751; sez. VI, 27.12.2017 n. 4525).
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta (Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751).
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV,
06.10.2017 n. 4659), finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento (Cons.
Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751), allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
3.3. Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di
verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare
evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere
dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a
sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della
medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in
quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi argomentativa-
fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in
ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non
sussiste –come si è detto- obbligo di provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun
titolo od interesse del privato a che l’amministrazione
intervenga in rettifica di attestazione di fatti
obiettivamente verificatisi e riscontrati.
Né è dato comprendere, contrariamente a quanto sostenuto
dagli appellanti, come l’attestato del quale si è richiesta
la revoca e/o l’annullamento possa “compenetrare” l’assenso
ricevuto, non presupponendo la disciplina della Scia alcun
“assenso” (espresso o implicito) dell’amministrazione, né
potendo tale assenso minimamente configurarsi con
riferimento ad una mera asseverazione di scienza su fatti
effettivamente verificatisi.
Da quanto esposto consegue il rigetto del relativo motivo di
appello (sub lett. a2) dell’esposizione in fatto).
5. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di
appello.
5.1. Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
5.2. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato,
sez. VI, 22.09.2014 n. 4776; sez. IV, 25.09.2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in
senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23.05.2016 n.
2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27.04.2017 n. 1942).
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
5.4. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
5.5. Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito.
Il che comporta che l’attività edilizia che il privato
intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto
l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior
ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni
verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano
ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
6.1. Nel caso di specie, come si è già detto, la verifica
richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da
parte della medesima di un provvedimento di sospensione
degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la
necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei
comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
E’ in questo senso che deve essere intesa la sentenza
impugnata, laddove essa afferma l’inammisibilità del ricorso
“per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela da parte dell’Ente, in materia sottratta alla
sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
6.2. Altrettanto priva di rilevanza, ai fini edilizi, è la
richiesta di verifica della sussistenza delle autorizzazioni
previste dal DPR n. 542/1994 per gli impianti RM (risonanza
magnetica).
Le autorizzazioni previste dal DPR 08.08.1994 n. 542
(Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento di autorizzazione all’uso diagnostico di
apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul
territorio nazionale), relative alla “collocazione” delle
stesse (v. in particolare, art. 4), attengono ad aspetti di
programmazione della assistenza sanitaria ovvero alle
caratteristiche dell’apparecchio, aspetti che non
interferiscono con le diverse valutazioni proprie
dell’amministrazioni sotto il profilo urbanistico-edilizio.
6.3. In definitiva, in presenza di una istanza presentata ai
sensi dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non aveva alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
7. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve
essere rigettato, stante la sua infondatezza, con
conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni ed integrazioni di motivazione innanzi
rappresentate (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.08.2018 n. 5115 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
 |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici.
---------------
10. Il Comune, con il primo e secondo motivo di gravame, ha
eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di
primo grado avverso la nota del 14.02.2007 e la seconda DIA,
in collegamento con l’implicito provvedimento di assenso del
Comune.
Sostiene la titolarità in capo al terzo che si assume leso
solo di un’azione di accertamento, non potendosi configurare
la DIA come un provvedimento amministrativo a formazione
tacita, ma come mero atto privato. Argomenta, inoltre, in
ordine alla tardività dell’impugnazione proposta, atteso che
il mutamento di destinazione d’uso era stato oggetto della
prima DIA, conosciuta e non impugnata, e che la seconda DIA
costituiva solo una variante non essenziale della prima.
10.1. Ritiene il Collegio che, in ossequio al criterio della
ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del
2015), possa prescindersi dall’esame di tali eccezioni
essendo il ricorso impugnatorio di primo grado infondato nel
merito.
In limine è appena il caso di rilevare –come ribadito
di recente dalla Sezione (cfr. sentenze nn. 2120 e 1967 del
2017)– che, in materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2017 n. 3281 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato.
---------------
Il
nostro ordinamento vede con
particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da
dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non
possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
---------------
In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19
della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge
per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione
(60 giorni dal ricevimento della dichiarazione),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti
per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza
passata in giudicato.
---------------
Laddove una concessione edilizia sia
stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello
stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al
Comune è consentito di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio).
---------------
Secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel
verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso
edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non
deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all’assetto proprietario, ma deve
accertare soltanto il requisito della legittimazione
soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio.
---------------
Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un
appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle
Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al
foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con
l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta
identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub.
5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei
controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura
in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta
non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di
costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in
sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con
gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo
TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo
edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio
identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio
16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del
04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo
aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento
identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della
dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di
Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore
l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo
abilitativo in relazione ad un edificio di cui il
richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig.
Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso
di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del
Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli
immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale
consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto,
per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati
esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il
divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della
disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al
dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era
indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas
conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe
in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere
sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016,
con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata,
sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di
adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in
autotutela del permesso di costruire, rilasciato al
controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta
inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia
dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31,
comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza
della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34,
comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad
adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia
acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto
formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di
perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario
ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il
ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso
dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che
quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle
disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al
contenuto della dichiarazione del 2011 invocata
dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per
poter compiere l’intervento, dando conto della
legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario
dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il
sopralzo, essendosi privato di una sola porzione
dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10
(autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio,
avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario
dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a
prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse
violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare
negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la
proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il
proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe
palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini
del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto
sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non
sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere
espressamente, trattandosi di richiesta avente natura
meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie
non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al
Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di
permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando
falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha
ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe
conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e
rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile,
senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente,
né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali
calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore
l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V –
15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n.
404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni
mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la
giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio
di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art.
19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di
legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di
conformazione (60 giorni dal ricevimento della
dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque
i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies
(riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n.
2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con
sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta
in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo
dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è
consentito di esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
(cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez.
III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n.
411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV
– 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune,
nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un
permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della
legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR
Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha
trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o
comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di
fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa
all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con
conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in
particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit
istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare
la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili
per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse,
sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi
tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale,
non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo
dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita
ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità
amministrativa e riguardanti:
a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque
il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto
dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato
conto;
b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della
pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e
sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto
per l’accoglimento della domanda formulata in via
subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del
Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere
sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
• entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di
verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione
di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
• entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività
istruttoria;
• entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con
trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a
questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si
nomina sin da ora quale Commissario ad acta il
dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area
Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con
facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la
scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi
tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non
oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo
TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario,
questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad
assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia
alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la
valutazione degli eventuali e concorrenti profili di
responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita
accoglimento nei limiti sopra esposti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in
sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento”.
---------------
Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
---------------
8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i
provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame
assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che
governano l’esercizio del potere di autotutela ed il
connesso principio dell’affidamento del privato, non appare
meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di
conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti,
dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai
contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L.
241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al
Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori,
prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni
relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle
leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune
in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons.
Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del
12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente
(TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141
del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017)
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da
ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR
Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il
rigetto delle censure articolate avverso la successiva
ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto
deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente
vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione
dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito
rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata
essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento
del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo
rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente
argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è
causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo
alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va
rigettato
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alla Corte costituzionale la mancata previsione, nell’art.
19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, di un termine per la
sollecitazione, da parte del terzo, delle verifiche sulla
Scia.
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Scia – Verifica – Richieste dal terzo – Art. 19, comma
6-ter, l. n. 241 del 1990 – Mancata previsione di un termine
– Violazione artt. 3, 11, 97, 117, comma 1 Cost.
E' rilevante e non manifestamente
infondata -per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117,
comma 1 Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo
addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del
Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost.- la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l.
07.08.1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un
termine per la sollecitazione, da parte del terzo, delle
verifiche sulla Scia (1).
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(1)
Il Tar ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n.
241 nella parte in cui, disponendo che la tutela del terzo a
fronte della Scia da altri presentata sia realizzabile
esclusivamente attraverso lo strumento del silenzio-rifiuto
di cui all’art. 31 c.p.a. rispetto alla mancata risposta
dell’Amministrazione alla sollecitazione delle verifiche
amministrative avanzata dal terzo medesimo, omette tuttavia
di fissare il termine entro il quale il terzo può avanzare
l’istanza di sollecitazione. In assenza della fissazione ad
opera della norma del termine suddetto, e ritenendo il
Collegio che siano prive di convincente base normativa le
soluzioni che mirano ad individuare in via interpretativa il
termine medesimo, la norma censurata finisce per ammettere
una sollecitazione del potere di verifica della Scia da
parte del terzo sine die.
In tal modo essa si espone però a consistenti dubbi di
legittimità costituzionale per violazione dell’affidamento
del segnalante, che a distanza anche di anni può veder messa
in discussione la legittimità della intrapresa attività, per
violazione del buon andamento della p.a., che è costretta a
riaprite a distanza di tempo il procedimento di verifica
suddetto, nonché per violazione del principio di
ragionevolezza e tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost..
Ed invero, ha chiarito il Tar, “la mancata previsione di
tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione
somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di
semplificazione delle procedure abilitative per lo
svolgimento di attività (come quella edilizia) non
liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione
dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato
(assentimento dell’iniziativa privata) con un iter
amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale
disciplina della Scia risulta contraddittoria con tali
finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una
riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento
di verifica dei presupposti della segnalazione può essere
avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti
controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non
conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli
interessi contrapposti nella vicenda amministrativa,
residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di
rimettere in discussione la legittimità originaria
dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una
domanda di intervento da parte di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei
livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere
sollecitatorio di cui all’art. 19 comma 6-ter rischia di
pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che
caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso.
Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura
della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
(la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di
dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte
cost. n. 297 del 2012 cit.), apre la strada a discipline
territoriali eterogenee del suddetto termine, con
conseguente disomogeneità degli standards di tutela a
livello nazionale” (TAR Toscana, Sez. III,
ordinanza 11.05.2017 n. 667 - commento tratto da
e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
...per l'accertamento:
- (in tesi): della inefficacia della SCIA presentata dal
sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012;
- (in ipotesi): della illegittimità dell’intervento edilizio
di cui alla suddetta SCIA quanto alla prevista apertura di
finestra;
- (in ulteriore ipotesi): dell’obbligo del Comune di Campi
Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016,
nonché sulle precedenti istanze indicate in atti.
...
1 - Con ricorso notificato in data 23.10.2016 e depositato
il successivo 02.11.2016, la sig.ra Pa.Mu. è
insorta avverso il silenzio serbato dal Comune di Campi
Bisenzio sull’istanza di inibitoria da essa presentata in
data 14.09.2016 avverso la SCIA del 06.12.2012, con
cui il sig. Em.Ca. ha comunicato al suddetto ente
l’intenzione di procedere a lavori di manutenzione
straordinaria (tra cui l’apertura di una finestra)
sull’immobile in cui è compresa (anche) l’abitazione della
ricorrente.
1.1 - Più in particolare la SCIA edilizia per cui è causa ha
ad oggetto la realizzazione di alcune “opere interne ed
esterne di manutenzione straordinaria” in un fabbricato terratetto, facente parte di un più ampio complesso
immobiliare, poi divenuto condominio, sito in Campi
Bisenzio, alla Via ..., n. 79.
In particolare, gli
interventi progettati dal segnalante consistono:
nell’apertura di una finestra a servizio di camera da letto
posta al piano primo dell’edificio; nella demolizione di un
tramezzo interno del sottoscala; nella diversa conformazione
dei gradini di accesso all’abitazione; ed, infine, nella
copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste
dimensioni.
Di queste opere, è stata portata a compimento
soltanto la finestra, posto che, a seguito dell’istanza
rivolta dall’assemblea del condominio di Via degli Allori al
Comune di Campi Bisenzio, e diretta a conseguire la
sospensione dei predetti lavori per asserito contrasto dei
medesimi con l’art. 3 del regolamento condominiale, l’Ente,
con ordinanza n. 4 del 14.01.2013, ne ha disposto
l’immediata sospensione.
1.2 - In data 12.11.2015 la sig.ra Mu. ha
inviato all’amministrazione una richiesta di “parere sulla
legittimità degli atti e delle procedure promosse con la
SCIA” della quale si discute, cui -in assenza di risposta
da parte del Comune- è seguito un primo sollecito del 16.12.2015, poi reiterato il 12.04.2016.
Tutte e tre
le richieste sono rimaste inevase, cosicché la Sig.ra Pa.Mu., con nota del 23.06.2016, ha dapprima
invitato l’amministrazione ad accertare l’inefficacia della
SCIA presentata dal Sig. Em.Ca. e ad adottare
tutti i conseguenti provvedimenti sanzionatori diretti alla
rimessa in pristino dell’edificio e poi, con ulteriore
istanza del 14.09.2016, proposta ai sensi dell’art.
19, comma 6-ter, della L. 241/1990, ha nuovamente
sollecitato l’Ente a svolgere le verifiche ad esso
spettanti.
Il silenzio serbato dall’amministrazione anche su
tale ultima istanza ha condotto alla proposizione da parte
della Sig.ra Patrizia Mu. del ricorso in esame,
proposto ai sensi dell’art. 31 c.p.a.
1.3 - Nello specifico la sig.ra Mu. rileva che la
suddetta SCIA è stata presentata dal sig. Ca. senza
previa acquisizione del nullaosta previsto dall’art. 3.2.
del regolamento edilizio comunale per gli interventi su
immobili di interesse “documentale” ai sensi del d.lgs.
490/1999 –quale sarebbe l’edificio de quo– con conseguente
inefficacia della segnalazione ai sensi dell’art. 84 l. r.
1/2005.
Essa censura, inoltre, il contrasto con l’art.
3.2.2. del suddetto regolamento, poiché quest’ultimo
stabilisce che su immobili del tipo in questione siano
eseguibili soltanto interventi ripristinatori di aperture
preesistenti, mentre il sig. Ca. ha realizzato ex novo
una finestra. In via preventiva rispetto a possibili
eccezioni, la ricorrente ha evidenziato che il gravame dalla
stessa proposto risulterebbe tempestivo, poiché l’art. 19
comma 6-ter l. n. 241/1990, non prevedendo alcun termine per
la proposizione dell’istanza di inibitoria di una SCIA da
parte del terzo controinteressato, consentirebbe a
quest’ultimo di sollecitare l’intervento repressivo
dell’Amministrazione nonché –ove questa non provveda– di
proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. senza alcun
limite di tempo (ad eccezione dell’ordinario termine di
prescrizione decennale). A fronte delle suesposte
argomentazioni, la sig.ra Mu. ha concluso affinché
l’adito Tribunale Amministrativo:
a) in tesi, accerti e dichiari «che la SCIA presentata dal
sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012 è inefficace» e per l’effetto accerti e
dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare
i provvedimenti necessari a sanzionare le opere eseguite in
assenza di titolo abilitativo»;
b) in ipotesi, accerti e dichiari «che l’intervento di cui
alla SCIA presentata dal sig. Em.Ca.…è illegittimo
quanto alla apertura della finestra» e, per l’effetto,
accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio
di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare detto
abuso mediante chiusura della finestra suddetta»;
c) in ulteriore ipotesi, dichiari «l’obbligo del Comune di
Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016, nonché sulle precedenti istanze presentate in atti».
1.4 - Si sono costituti in giudizio, per resistere al
ricorso, il Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato,
che hanno eccepito la tardività del gravame, per tardiva
sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, la
inammissibilità delle azioni di accertamento e, per quanto
concerne l’Amministrazione resistente, anche la
inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione di
parte ricorrente.
1.5 - Con ordinanza n. 141 del 2017 la Sezione ha
evidenziato che con il presente ricorso parte ricorrente ha
invero proposto una pluralità di azioni, volte sia
all’accertamento della inefficacia della SCIA presentata dal
controinteressato, sia all’accertamento della illegittimità
dell’intervento edilizio segnalato, sia, infine,
all’accertamento della sussistenza dell’obbligo
dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in relazione alla SCIA
medesima, concludendo che solo l’ultima azione fosse
trattabile con il rito camerale di cui all’art. 31 c.p.a. e
che fosse quindi necessario, ai sensi dell’art. 32 c.p.a.,
disporre la congiunta trattazione delle più domande proposte
con rito ordinario, a tal uopo fissando l’udienza pubblica a
ciò deputata.
1.6 - In esito alla svolta udienza pubblica, con sentenza
non definitiva n. 618 del 2017 il Collegio:
a) ha esaminato
e respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intero
gravame per difetto di legittimazione attiva, evidenziando
come nella specie sussistano i presupposti della c.d. vicinitas, quale peculiare fattore di legittimazione
all’azione giurisdizionale amministrativa, in forza del
quale chi si trova in un rapporto di contiguità spaziale con
un particolare luogo può contestare i provvedimenti che in
concreto autorizzino la realizzazione di opere o impianti
atti ad incidere sulla sua configurazione;
b) ha esaminato e
dichiarato inammissibili le due prime azioni di accertamento
dispiegate dalla ricorrente nell’atto introduttivo del
giudizio, stante il chiaro disposto dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 a mente del quale “gli interessati possono
sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3
del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”, con
l’effetto che l’unica azione esperibile dal terzo è l’azione
sul silenzio di cui all’art. 31 c.p.a.;
c) ha avviato lo
scrutinio dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a., proposta in
via di ulteriore ipotesi dalla sig.ra Mu., esaminando
l’eccezione di tardività della sollecitazione da parte del
terzo del potere inibitorio della p.a.; nella suddetta
sentenza non definitiva la Sezione è giunta alla conclusione
che l’art. 19 l. n. 241/1990 non indichi un termine entro il
quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a
sollecitare le verifiche amministrative relative alla SCIA
presentata e che un simile termine non sia ricavabile dal
sistema, giacché i termini di cui all’art. 29 e 31 c.p.a.,
evocati dalle parti resistenti, hanno natura affatto diversa
e non sono quindi richiamabili in via analogica per coprire
il segnalato vuoto normativo; la Sezione ha quindi
evidenziato che tutto ciò porterebbe al risultato di
ritenere infondata l’eccezione di tardività formulata dai
resistenti, per mancanza di un termine legale sul quale
parametrare la tempestività o meno della sollecitazione del
potere di verifica effettuata dalla ricorrente; tuttavia la
Sezione medesima ha infine posto in evidenza come l’evocato
art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura in cui non
prevede un termine entro il quale il terzo è legittimato ad
esercitare il potere sollecitatorio delle verifiche
amministrative previsto dalla stessa disposizione, risulti
in contrasto con le disposizioni costituzionali di cui agli
artt. 11, 117, comma 1°, 3, 97, 117, comma 2°, lett. m)
Cost., anticipando che con separata ordinanza avrebbe
provveduto a rimettere la evidenziata questione di
legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
2 – E’ necessario richiamare, preliminarmente, l’insieme
delle norme attualmente regolanti l’istituto della SCIA e
quindi ripercorrere i passaggi fondamentali dell’evoluzione
giurisprudenziale riguardante la tutela del terzo
controinteressato rispetto all’attività oggetto di
segnalazione.
3 - Com’è noto, l’art. 19 della l. n. 241/1990 consente al
privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di
un’attività che dipende «esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti
amministrativi a contenuto generale» e per la quale «non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale» (comma 1).
Ai sensi di tale norma, l’attività oggetto di SCIA «può
essere iniziata…dalla data della presentazione della
segnalazione all’amministrazione competente» (comma 2),
salvo il potere di quest’ultima di verificare
successivamente l’effettiva sussistenza dei presupposti per
lo svolgimento dell’attività medesima.
A tal proposito, l’art. 19, comma 3 (come modificato dalla
l. n. 124/2015) prevede che, in caso di accertata carenza
dei suddetti presupposti, l’Amministrazione possa adottare
«motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi» nonché –ove possibili– provvedimenti diretti alla
conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché
proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento
della segnalazione certificata del privato (comma 3) ovvero
trenta giorni «nei casi di SCIA in materia edilizia» (comma
6-bis, introdotto dall’art. 5, co. 2, lett. b, del D.L. n.
70/2011).
Viceversa, una volta decorsi i suddetti termini,
«l'amministrazione competente adotta comunque i
provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 (ma in tal caso)
alle condizioni previste dall'articolo 21-nonies», che –com’è noto– disciplina il potere di annullamento in
autotutela dei provvedimenti illegittimi (cfr. art. 19,
comma 4).
4 - Le sopra citate norme fissano i tratti significativi del
potere di verifica ufficioso spettante all’amministrazione a
seguito della presentazione di una SCIA. Da esse si evince,
in particolare, che tale potere assume natura diversa a
seconda che venga esercitato prima o dopo il decorso dei
suddetti termini di sessanta o trenta giorni.
Invero, nel primo caso, l’amministrazione è tenuta
semplicemente ad accertare la sussistenza o meno dei
presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività
segnalata e, pertanto, i poteri repressivi ad essa spettanti
sulla SCIA assumono carattere doveroso e vincolato.
Viceversa, una volta scaduti i suddetti termini, il potere
dell’amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta
soggetto agli stessi presupposti previsti dalla legge per
l’annullamento d’ufficio, tra cui –com’è noto– rientra
l’obbligo di previa valutazione delle «ragioni di interesse
pubblico» giustificative del provvedimento repressivo. Ne
deriva che, in quest’ultimo caso, il potere
dell’amministrazione di interdire la prosecuzione
dell’attività segnalata ha natura discrezionale e non
doverosa.
5 - In tale quadro, si inserisce il tema della tutela del
terzo pregiudicato dall’intervento oggetto di SCIA, il quale
ha costituito oggetto di un serrato dibattito
giurisprudenziale negli anni che hanno preceduto
l’emanazione del d.l. n. 138/2011.
5.1 - Invero, ancor prima dell’introduzione (ad opera di
tale decreto legge) del comma 6-ter dell’art. 19 –il quale
ha espressamente disciplinato il potere di reazione del
terzo a fronte di una SCIA ritenuta illegittima– la
giurisprudenza era suddivisa in più orientamenti.
Il primo, assumendo che il mancato esercizio del potere di
verifica dell’Amministrazione desse luogo ad un
provvedimento tacito di assenso all’attività segnalata,
riteneva che il terzo leso da tale attività potesse
esercitare l’ordinaria azione di annullamento avverso il
suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2008, n.
5811; id., 29.07.2008, n. 3742; id., 12.09.2007, n. 4828:
Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007, n. 1550).
Un secondo orientamento stabiliva che il terzo pregiudicato
da una SCIA dovesse proporre un’azione di accertamento
negativo dei presupposti dell’attività segnalata. Azione che
–in caso di accoglimento– avrebbe obbligato
l’Amministrazione a conformarsi ai contenuti della pronuncia
giudiziale nel successivo esercizio dei poteri repressivi
(Cons. St., sez. VI, 09.03.2009, n. 717; Con. Stato, Sez. VI, 15.04.2010, n. 2139; Cons. St., sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
Infine, un’ulteriore filone giurisprudenziale reputava che
lo strumento appropriato per assicurare protezione giuridica
al terzo fosse l’azione (originariamente disciplinata
dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ossia quella)
avverso il silenzio serbato dall’amministrazione nel
procedimento di verifica ufficiosa dei presupposti della
SCIA. Azione che, qualora accolta dal giudice dopo la
scadenza dei termini di cui all’art. 19 comma 3, avrebbe
comportato –secondo certe pronunce– la condanna
dell’Amministrazione ad esercitare il potere inibitorio
avente carattere doveroso e vincolato (Cons. Stato, Sez. V,
22.02.2007, n. 948); viceversa –secondo altri arresti–
l’ordine all’amministrazione stessa di attivare l’autotutela
decisoria (avente invece contenuto discrezionale: Cons.
Stato, Sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
5.2 – I suesposti contrasti giurisprudenziali sono stati in
parte (e solo temporaneamente) sanati dalla sentenza
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 29.07.2011,
n. 15, la quale ha stabilito:
a) che la scadenza dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e
6-bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri
inibitori di cui alle medesime norme, dà luogo alla
formazione di una determinazione tacita di conclusione
negativa dell’accertamento in ordine ad eventuali vizi della
segnalazione nonché di diniego di esercizio delle suddette
potestà repressive; con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento
l’azione di annullamento entro l’ordinario termine
decadenziale, termine che, secondo la Plenaria, decorre
dalla data di acquisita conoscenza, da parte del terzo
medesimo, dell’iniziativa per lui pregiudizievole;
b) che il controinteressato che abbia impugnato il silenzio
negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei
suddetti provvedimenti inibitori, ha comunque diritto «ad
ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di
un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario
puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione
aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale»; perciò
egli può sempre proporre, congiuntamente all’azione di
annullamento del diniego tacito, la c.d. azione di
adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga
all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento
inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione
della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge
n. 241/1990;
c) infine che, nelle more della formazione del titolo
tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa
segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in
ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione
suscettibile di conversione automatica in mezzo impugnatorio
in caso di emanazione dell’atto conclusivo del procedimento
di verifica) nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere
la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 c.p.a..
5.3 - Gli assunti fatti propri dall’autorevole arresto
giurisprudenziale richiamato sono stati (pressoché
immediatamente) superati con l’introduzione (ad opera
dell’art. 6, comma 1, lett. c, del D.L. n. 138/2011) del
comma 6-ter dell’art. 19, l. n. 241/1990, il quale
disciplina espressamente gli strumenti di tutela del terzo a
fronte della segnalazione di un’attività privata per esso
lesiva.
Tale norma ha anzitutto previsto che «la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili».
In secondo luogo, il citato comma 6-ter ha precisato che, al
fine di contestare la sussistenza dei presupposti
dell’attività segnalata da altro soggetto, il terzo ha
facoltà:
a) di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione»;
b) di «esperire –in caso di inerzia di quest’ultima–
esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3
del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
In altri termini, il nuovo testo dell’art. 19, comma 6-ter
obbliga il privato che intenda contrastare l’attività
oggetto di SCIA a sollecitare in via amministrativa
l’intervento repressivo dell’Ente pubblico e, in caso di
mancata risposta di quest’ultimo, a ricorrere in sede
giurisdizionale avverso il silenzio dallo stesso serbato.
La citata previsione esclude quindi radicalmente
l’ammissibilità –nell’attuale quadro normativo– degli
strumenti di tutela a suo tempo riconosciuti dalla sentenza
n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria al soggetto pregiudicato
dall’altrui segnalazione.
Tanto si evince, in primo luogo, dall’affermazione per cui
«la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia
e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Ciò che,
evidentemente, nel nuovo contesto disciplinare, manifesta
l’intento del legislatore di escludere che l’inerzia
dell’Amministrazione nell’attività di verifica abbia il
valore di silenzio significativo e, conseguentemente, di
espungere l’azione di annullamento dal quadro delle tutele
spettanti al terzo avverso l’altrui segnalazione
certificata.
In secondo luogo, la suddetta norma precisa che la tutela
del controinteressato può essere realizzata «esclusivamente»
mediante l’azione avverso il silenzio, ciò che evidentemente
rende inammissibili le azioni di accertamento autonome che
la sentenza n. 15/2011 consentiva al terzo di esperire nella
fase compresa fra la presentazione dell’altrui SCIA e la
scadenza dei termini per l’inibitoria ufficiosa.
Ne deriva che l’unico strumento di reazione processuale
spettante al terzo in virtù della nuova disposizione è
l’azione avverso il silenzio.
6 - L’esposta scelta legislativa impone di stabilire se il
potere sollecitato con l’azione avverso il silenzio
(proposta dopo il decorso dei termini di cui all’art. 19,
commi 3 e 6-bis) sia quello inibitorio ovvero quello di
autotutela. Rileva il Collegio come il citato comma 6-ter
pare aver (implicitamente) superato le incertezze a suo
tempo messe in luce dalla giurisprudenza sotto tale profilo,
poiché la formulazione della norma rende evidente che il
potere stimolato dal controinteressato mediante il ricorso
ex art. 31 c.p.a. è quello inibitorio (avente natura
doverosa e vincolata) e non quello di autotutela,
caratterizzato invece da alto tasso di discrezionalità. In
tal senso depongono molteplici elementi logici e testuali.
6.1 - Il primo di essi è certamente costituito dalla
previsione secondo cui il terzo, prima di promuovere
l’eventuale ricorso avverso il silenzio, è tenuto a
«sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione». Da tale prescrizione si desume infatti
che il controinteressato ha onere di attivare un
procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato
ed autonomo rispetto a quello ufficioso disciplinato dal
comma 3 dell’art. 19 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
23.10.2015, n. 4998). Dal che deriva, all’evidenza, che il
regime dettato dal comma 4 –secondo cui il potere
repressivo ufficioso dell’amministrazione degrada in
autotutela dopo il decorso dei termini di cui al comma 3–
non è applicabile alla procedura di controllo avviata su
istanza del terzo. Al contrario, nell’ambito di tale
procedura, l’amministrazione esercita (solo) le proprie
potestà inibitorie.
6.2 - Nel senso che il terzo solleciti il potere inibitorio
dell’Ente pubblico depone anche il richiamo operato dal
comma 6-ter all’art. 31, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104/2010
(d’ora innanzi “c.p.a.”).
Invero, com’è noto, tali norme individuano il presupposto
essenziale dell’azione avverso il silenzio
nell’inadempimento dell’Ente pubblico all’obbligo di
concludere il procedimento amministrativo mediante una
determinazione espressa. Obbligo che, com’è noto, non è
configurabile rispetto al potere di autotutela, il quale è
incoercibile dall’esterno mediante il ricorso contro
l’inerzia amministrativa (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez.
IV, 07.07.2014, n. 3426; id., sez. V, 22.01.2014 n. 322; id.,
Sez. IV, 22.01.2013, n. 355; con particolare riferimento
all’autotutela sulla SCIA: cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12.11.2015, n. 5161; TAR Campania, Sez. VII, n. 4998/2015).
Ne consegue che il rinvio alle suddette prescrizioni si
spiega solo accedendo alla tesi secondo cui terzo –con
l’istanza ex art. 19 comma 6-ter– attiva il potere
inibitorio dell’Amministrazione.
6.3 - Infine, un’ulteriore (ed ancora più significativa)
conferma di tale tesi, è costituita dal richiamo compiuto
dal comma 6-ter al comma 3 del citato art. 31 c.p.a.,
secondo cui il giudice adito con l’azione avverso il
silenzio può «pronunciare sulla fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio» nei casi in cui l’Amministrazione ha
esaurito le valutazioni discrezionali e gli adempimenti
istruttori di sua competenza ovvero quando il potere da essa
esercitato ha natura vincolata.
Ora, il riferimento espresso a tale disposizione implica che
il terzo esercente la suddetta azione possa richiedere al
giudice l’accertamento in ordine alla spettanza o meno del
bene della vita oggetto del procedimento (rappresentato,
nella specie, dal provvedimento repressivo dell’intervento
denunciato) e che, in caso di accertamento positivo, tale
giudice possa condannare l’Amministrazione all’emanazione
del provvedimento medesimo (cfr. TAR Liguria, Sez. I,
09.04.2013, n. 611). Ciò implica necessariamente che il
legislatore –laddove ha richiamato il comma 3 dell’art. 31 c.p.a.– ha implicitamente riconosciuto che gli strumenti di
reazione del privato, di cui al comma 6-ter dell’art. 19,
sono volti a stimolare la (sola) potestà inibitoria
dell’Ente pubblico e non anche il suo intervento in
autotutela.
6.4 - In favore di questa soluzione si è peraltro espressa
autorevole giurisprudenza, secondo cui «il comma 6-ter
dell'art. 19, riservando al terzo la possibilità di
sollecitare l'amministrazione ad effettuare le verifiche di
sua competenza e contemplando altresì la possibilità che
avverso il silenzio mantenuto su tale istanza il terzo possa
tutelarsi mediante l'azione ex art. 31 c.p.a., ha
evidentemente presupposto che in esito alla presentazione
della S.c.i.a. e della D.i.a. non si formi alcun
provvedimento espresso o tacito e che pertanto le istanze
sollecitatorie del terzo non hanno la finalità di eccitare
dei poteri di autotutela amministrativa di secondo grado»
(TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 30.11.2016, n. 2274; id., 15.04.2016, n.
735; id., 21.1.2014, n. 2799; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
05.03.2015, n. 1410; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038
e n. 1039).
6.5. Del resto, l’opposta tesi giurisprudenziale –secondo
cui, decorsi i termini di cui all’art. 19 comma 3, il terzo
attiva il (mero) potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI,
n. 4610/2016; id., 22.09.2014, n. 4780; Cons. Stato, Sez. IV,
19.03.2015, n. 1493; TAR Calabria, Sez. I, n. 1533/2016)–
oltre ad essere incompatibile con il disposto dell’art. 19,
comma 6-ter, per le suesposte ragioni, contrasta con
l’interpretazione conforme a Costituzione della norma
stessa.
A quest’ultimo proposito, giova ricordare che, secondo il
condivisibile principio affermato dalla Plenaria n. 15/2011
(in questa parte non scalfita dall’introduzione del comma 6-ter dell’art. 19), i caratteri dell’interesse pretensivo del
terzo impongono «in un’ottica costituzionalmente orientata,
di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che
consenta al terzo stesso di esperire un’azione idonea ad
ottenere il risultato della cessazione dell’attività lesiva
non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento
dell’amministrazione titolare del potere di inibizione». In
altri termini, secondo la Plenaria, il controinteressato
rispetto all’altrui SCIA ha diritto «ad ottenere una
pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività
illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e
vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria
dell’esercizio di un potere discrezionale».
Ebbene, è evidente che la tesi che riconduce l’intervento
dell’amministrazione su istanza del terzo al mero potere di
autotutela è incompatibile col suddetto principio, poiché
subordina integralmente la tutela del terzo stesso ad una
valutazione discrezionale dell’Amministrazione in ordine
alla sussistenza o meno di un interesse pubblico alla
rimozione degli effetti della SCIA contestata.
7 – Il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art.
19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 richiede, per la sua concreta
operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il
primo è il termine entro il quale il terzo deve sollecitare
le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la
relativa istanza; il secondo è il termine concesso
all’amministrazione per pronunciarsi su tale istanza, ovvero
quel lasso temporale decorso il quale, come dice la norma,
essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è il termine entro
il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio
mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di
provvedere.
Osserva il Collegio come il secondo e terzo
termine siano agevolmente rinvenibili; il termine concesso
all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza
sollecitatoria del privato, ancorché non fissato
espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia
agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla
disciplina generale codificata dall’art. 2 l. n. 241/1990,
secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa
espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte
devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento
della domanda da parte dell’amministrazione competente; il
termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è
invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui
secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto
che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno
dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6-ter, l. n.
241/1990, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale
il terzo deve presentare la propria istanza di
sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura
della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo
resterebbe sempre libero di presentare l’istanza
sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di
agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente
serbato dall’Amministrazione, che è esattamente la lettura
offerta dalla ricorrente (che richiama solo il termine
prescrizionale decennale).
8 –
Ritiene il Collegio che, prima di analizzare l’opzione
ermeneutica da ultimo evocata –che, come si vedrà, espone
la norma a censure di incostituzionalità–
sia necessario
procedere ad un’attenta verifica interpretativa circa la
possibilità di rinvenire la delimitazione temporale del
potere sollecitatorio del terzo da altre previsioni
regolanti la materia in questione.
8.1 - Una prima soluzione interpretativa è quella di
ritenere che il termine concesso al controinteressato per
presentare l’istanza sollecitatoria sia lo stesso che la
norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere
inibitorio ufficioso, cioè sessanta ovvero trenta giorni
dalla presentazione della SCIA, secondo quanto disposto dai
commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della L. 241/1990; in tale
lettura una volta che l’amministrazione è decaduta dalle
potestà inibitorie ufficiose ex art. 19, commi 3 e 6-bis,
sarebbe anche definitivamente preclusa la possibilità per il
terzo di ottenere un intervento repressivo, con conseguente
onere per lo stesso di presentare l’istanza sollecitatoria
prima della scadenza dei suddetti termini, onde conservare
l’aspettativa alla soddisfazione del suo interesse pretensivo.
Si tratta tuttavia di opzione ermeneutica non convincente,
in quanto manifestamente illogica.
I termini in considerazione sono strutturati con riferimento
all’esercizio del potere di verifica ufficiosa, il che
giustifica che il loro dies a quo sia fatto coincidere con
il <ricevimento della segnalazione> da parte
dell’amministrazione; ma essi finirebbero per risultare di
pratica inoperatività ove applicati all’esercizio del potere
sollecitatorio del terzo, atteso che nessuna norma assicura
al medesimo la tempestiva comunicazione della presentazione
della SCIA né tanto meno dell’inizio dell’attività
segnalata; il terzo finirebbe quindi per rimanere privo di
qualsiasi forma di tutela ove apprendesse della lesività
dell’intervento dopo il decorso del termine concesso
all’amministrazione per provvedere; d’altra parte, anche
laddove il terzo fosse tempestivo, ma la sua istanza
intervenisse in prossimità della scadenza di tale termine,
ben difficilmente egli otterrebbe l’intervento di tutela cui
aspira, restringendosi l’arco temporale entro il quale
l’amministrazione dovrebbe accertare l’illegittimità
dell’attività oggetto di SCIA nonché inibirne la
prosecuzione.
8.2 - Una seconda prospettiva interpretativa sostiene che la
facoltà del controinteressato di proporre l’istanza
inibitoria ex art. 19, comma 6-ter, sarebbe soggetta al
termine decadenziale di sessanta giorni, valido anche per la
proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine
che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui
l’istante ha avuto notizia della segnalazione per esso
lesiva. La tesi è sostenuta da Cons. Stato, Sez. IV, n.
5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del TAR Lombardia
(Milano) Sez. II, 30.11.2016, n. 2274, 15.04.2016, n. 735 e
05.12.2016, n. 2301, le quali precisano inoltre che il terzo,
una volta decorso il suddetto termine decadenziale, non
rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma
conserva, nei confronti dell’Amministrazione, il potere di
diffida all’adozione di atti di autotutela.
Il Collegio ritiene non condivisibile la proposta
interpretazione.
Si tratta di statuizioni giurisdizionali sicuramente
apprezzabili nel loro tentativo di eliminare le incertezze
applicative della norma in commento, ma che risultano prive
di base normativa, alla luce delle norme
sull’interpretazione, e danno conseguentemente luogo ad una
inammissibile integrazione pretoria del precetto normativo.
Il problema in esame riguarda infatti l’individuazione del
termine assegnato al terzo per sollecitare l’intervento di
verifica da parte dell’amministrazione sulla SCIA presentata
da altro soggetto; si tratta quindi di termine inerente
l’esercizio di una facoltà di attivazione del privato,
funzionale a mettere in moto l’esecuzione di verifiche
amministrative ad istanza di parte, sulla legittimità della
SCIA presentata da altri; l’operazione ermeneutica che
ritiene qui applicabile l’ordinario termine di sessanta
giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale
avverso provvedimenti amministrativi, non tiene conto della
diversità ontologica della disciplina invocata (termine per
le proposizione di atto “processuale”) rispetto all’ambito
di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del
privato in sede “amministrativa”); non sussiste quindi nella
specie il presupposto di “casi simili o materie analoghe”
solo ricorrendo il quale è possibile l’utilizzo
dell’analogia ai sensi dell’art. 12 delle Disposizioni sulla
legge in generale.
8.3 - Una terza tesi richiama il termine annuale di cui
all’art. 31, comma 2, c.p.a., ritenendo che il terzo debba
sollecitare l’amministrazione nell’anno dal deposito della
SCIA presso i competenti uffici.
Anche questa tesi non convince, posto che il termine
richiamato è concesso al terzo, non per stimolare
l’intervento dell’amministrazione, ma per la proposizione
dell’azione avverso il silenzio eventualmente formatosi
sulla sua istanza; la richiesta di provvedere avanzata dal
terzo apre, infatti, una nuova fase procedimentale,
all’esito della quale l’amministrazione ha l’obbligo di
pronunciarsi con un provvedimento espresso, sia esso di
accoglimento (caso della SCIA illegittima) oppure di rigetto
(caso della SCIA legittima); nell’ipotesi in cui poi essa
rimanga inerte, lasciando inutilmente decorrere il termine
di trenta giorni assegnatole, secondo la regola generale di
cui all’art. 2 l. n. 241/1990, per la conclusione dei
procedimenti amministrativi ad istanza di parte, il terzo
potrà proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. entro un
anno dalla formazione del silenzio.
Ne consegue che anche
l’operazione ermeneutica qui evocata, nella misura in cui
trasporta il termine annuale dall’art. 31 c.p.a. alla
disciplina dell’esercizio della sollecitazione
amministrativa del terzo, compie una interpretazione non
consentita e che, ancora una volta, confonde un termine
processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine
amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche
da parte della p.a.).
8.4 - Una diversa lettura del sistema è fornita da una
pronuncia (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016 cit.) che
supera invero il problema del termine per la proposizione
dell’istanza sollecitatoria, affermando che il soggetto leso
dall’iniziativa segnalata è comunque tenuto a proporre il
ricorso di cui all’art. 31 c.p.a. entro il termine
complessivo di un anno dalla data di acquisita «piena
conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio
nella sua sfera giuridica».
La tesi non convince.
Essa utilizza il termine annuale dell’art. 31 c.p.a. non
come termine per la presentazione della diffida del terzo,
ma come termine per la proposizione dell’azione ex art. 31
c.p.a., da proporsi anche prescindendo dalla presentazione
della diffida di cui all’art. 19 comma 6-ter l. n. 241/1990,
termine che decorrerebbe dalla piena conoscenza della SCIA.
Da un primo punto di vista tale ricostruzione risulta
contraddire la natura propria del ricorso ex art. 31 c.p.a,
il quale presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza
di avvio (ovvero l’attivazione ufficiosa) di un procedimento
amministrativo e la formazione del c.d.
silenzio-inadempimento dell’amministrazione procedente.
D’altra parte essa contrasta con il chiaro disposto del
comma 2 del medesimo art. 31, secondo cui l’azione avverso
il silenzio «può essere proposta fintanto che perdura
l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento».
Pertanto, anche la suddetta impostazione non appare al
Collegio idonea a superare le criticità riscontrate.
8.5 - Né varrebbe a sanare la criticità in esame il richiamo
del termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio
dall’art. 21-nonies (come modificato dalla l. 124/2015) ed
oggi applicabile anche all’intervento in autotutela sulla
SCIA in base al combinato disposto della suddetta norma con
l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990.
Invero, tale soluzione risulterebbe in contrasto con il
disposto dell’art. 19, comma 6-ter, in primo luogo, poiché
quest’ultimo consente al terzo di stimolare l’esercizio del
potere inibitorio puro (e non dell’autotutela) dell’Ente
pubblico. In secondo luogo, perché tale termine, riferendosi
all’autotutela ufficiosa, risulta difficilmente conciliabile
con le caratteristiche di un procedimento ad istanza di
parte, come quello attivato dal terzo ai sensi dell’art. 19,
comma 6-ter.
Tanto appare, peraltro, confermato da quanto prevede oggi
l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 222/2016, secondo cui, nei
casi di autotutela sulla SCIA, il suddetto periodo di 18
mesi «decorre dalla data di scadenza del termine previsto
dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica
da parte dell’amministrazione competente». Ciò che chiarisce
la riferibilità del suddetto limite temporale alle (sole)
potestà repressive esercitate dall’Amministrazione in via
ufficiosa.
Da tutto ciò consegue, che l’applicazione della suddetta
disposizione al procedimento di cui all’art. 19, comma 6-ter,
esorbiterebbe totalmente dai limiti che l’art. 12 delle
Disposizioni sulla legge in generale impone
all’interpretazione analogica del giudice e, in definitiva,
si tradurrebbe in una inammissibile modificazione pretoria
dell’ambito applicativo del precetto legislativo.
9 – Le considerazioni che precedono evidenziano chiaramente
che l’attuale regime della SCIA non prevede un termine per
la presentazione da parte del terzo dell’istanza
sollecitatoria delle verifiche amministrative di cui
all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che tale termine
non è desumibile dal sistema normativo, con la conseguenza
che la diffida del terzo dovrebbe ritenersi tempestiva anche
se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto
deposito della segnalazione presso l’Ente competente.
Ritiene tuttavia il Collegio che una simile lettura si
porrebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare
l’affidamento del segnalante circa la legittimità
dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione nonché con il
generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e
Pubblica Amministrazione. Ne consegue che, ad avviso del
Collegio, l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura
in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte
del terzo dei poteri di verifica amministrativa della SCIA
presentata da altri, si espone a dubbi di legittimità
costituzionale che risultano rilevanti nella presente
fattispecie e non manifestamente infondati.
10 –
La prospettata questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, cit. risulta connotata dal
requisito della rilevanza, ai fini della proposizione della
questione incidentale di costituzionalità.
La rilevanza discende dalla diretta applicabilità al caso
concreto della norma la cui costituzionalità è messa in
discussione (cfr. Corte Cost., ordd. nn. 264/2015; 111/2009)
e deve valutarsi alla stregua del criterio della
pregiudizialità, in virtù del quale la rilevanza va
affermata ogniqualvolta la causa non possa essere definita
indipendentemente dalla risoluzione della questione (cfr.
Corte Cost., sentt. nn. 270/2010; 151/2009; 303/2007;
50/2007; 84/2006).
Non è dubitabile che nella fattispecie in esame debba farsi
applicazione della disciplina di cui all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che la questione controversa non possa
essere definita senza fare applicazione della suddetta norma
e affrontando da parte del giudice il tema del termine entro
il quale il terzo può porre in essere l’intervento
sollecitatorio delle verifiche spettanti
all’amministrazione.
In primo luogo, infatti, come risulta
dalla narrativa in fatto, la ricorrente sig.ra Pa.Mu. ha posto in essere una serie di atti di
sollecitazione del potere di verifica da parte
dell’amministrazione della legittimità della SCIA presentata
dal sig. Em.Ca. in data 06.12.2012; essa in
particolare ha sollecitato il Comune di Campi Bisenzio ad
effettuare le suddette verifiche con note del 12.11.2015,
16.12.2015, 12.04.2016, 23.06.2016 e 14.09.2016, quest’ultima
istanza proposta anche espressamente ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n. 241/1990. In
secondo luogo, come
chiarito nella narrativa in fatto, nel giudizio di merito
questo Tribunale Amministrativo, sciolte altre questioni
pregiudiziali, ha dovuto affrontare l’eccezione di tardiva
sollecitazione dei poteri di verifica da parte del terzo,
sollevata dalla parti resistenti, ed ha ritenuto che tale
questione non fosse risolvibile senza la proposizione della
presente questione di costituzionalità. Allo stato della
legislazione la suddetta eccezione dovrebbe essere respinta.
Come già ampiamente illustrato, il comma 6-ter non prevede
un termine entro il quale il terzo debba sollecitare
l’intervento dell’amministrazione, né tale termine, come
sopra evidenziato, può ricavarsi dal sistema, con la
conseguenza che, stando così le cose, appare del tutto
irrilevante la circostanza che, rispetto alla data di
presentazione della SCIA edilizia da parte del Sig. Em.Ca., avvenuta il
06.12.2012, la Sig.ra Pa.Mu. abbia atteso ben due anni ed undici mesi per
rivolgersi al Comune di Campi Bisenzio (la prima richiesta
di intervento è del 12.11.2015) ed addirittura tre
anni e nove mesi (se si considera l’istanza del 14.09.2016) prima di stimolare l’Ente ad esercitare i poteri
inibitori ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n.
241/1990.
D’altra parte l’azione giudiziaria ai sensi
dell’art. 31 c.p.a. risulta proposta nell’anno dalla
formazione del silenzio sulla richiesta di provvedere
rivolta dalla medesima all’amministrazione; dagli atti di
causa si rileva infatti che la Sig.ra Pa.Mu. ha
notificato il proprio ricorso in data 23.10.2016 e,
quindi, anche considerando la prima delle istanze dalla
stessa formulate, ovvero quella del 12.11.2015, entro
il prescritto termine di un anno; posto, infatti, che su
tale istanza il silenzio si è formato il 12.12.2015 (e
cioè, secondo quanto disposto dall’art. 2 della L. 241/1990,
decorsi trenta giorni dalla presentazione dell’istanza senza
che l’amministrazione si sia pronunciata su di essa) e che
il menzionato termine di un anno è cominciato a decorrere
proprio da tale data, la ricorrente avrebbe avuto a
disposizione sino al 12.12.2016 per proporre l’azione
avverso il silenzio mantenuto dal Comune di Campi Bisenzio.
Ne consegue, come già rilevato, che in applicazione della
disciplina vigente, questo Tribunale Amministrativo dovrebbe
dichiarare la infondatezza dell’avanzata eccezione di
tardività. Ma, ad avviso del Collegio, la mancata fissazione
di un termine entro il quale il terzo debba sollecitare le
verifiche spettanti all’amministrazione si pone in
contrasto, come meglio si vedrà di seguito, con una serie di
parametri costituzionali.
La pronuncia della Corte
costituzionale che dovesse accogliere la questione di
legittimità costituzionale, come di seguito proposta,
avrebbe sicuri effetti sulla decisione della presente
questione, sia nell’ipotesi di pronuncia additiva, con la
quale cioè la Corte dovesse fornire al giudice remittente il
parametro temporale sulla cui base verificare la tardività o
meno della sollecitazione dei poteri inibitori da parte del
terzo, sia nell’ipotesi di declaratoria pura della
illegittimità dell’art. 19, comma 6-ter, cit. per mancata
previsione del termine di sollecitazione da parte del terzo
dei poteri di verifica dell’amministrazione, la quale ultima
renderebbe inoperativo, sino all’intervento additivo del
legislatore, il sistema del silenzio-inadempimento,
imponendo all’interprete, al fine di decidere la
controversia, di applicare il diritto vivente così come
ricostruito dalla giurisprudenza anteriormente
all’introduzione del comma 6-ter da parte del legislatore
medesimo.
11 –
Ritiene il Collegio che la mancanza di indicazione di
un termine entro il quale il terzo possa sollecitare le
verifiche amministrative sulla SCIA presentata da altri
renda l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990
costituzionalmente illegittimo.
In punto di non manifesta
infondatezza, il Collegio evidenzia come la citata
disposizione normativa contrasta con svariati principi di
rilievo costituzionale, tra cui, in primo luogo, quello di
tutela dell’affidamento del segnalante (quale desumibile
dagli articoli 3, 11 e 117, co. 1 Cost., in relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed
all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE), in secondo luogo,
quello del buon andamento dell’azione amministrativa (art.
97 Cost.) ed infine quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.)
e di tutela dei livelli essenziali di cui all’art. 117, comma
2, lett. m) Cost..
11.1 – In primo luogo il Collegio ritiene non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, laddove non prevede
un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle
verifiche amministrative, per violazione della necessaria
tutela dell’affidamento del segnalante, come desumibile
dagli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed
all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE.
L’esigenza di tutelare l’affidamento circa la stabilità dei
rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce
principio cardine dell’attività amministrativa in tutti i
settori dell’intervento pubblico.
A questo proposito, già con la sentenza del 12.07.1957, Algera, C-7/56 e C- 3-7/57, la Corte di Giustizia Europea ha
riconosciuto che l’affidamento del privato circa la
stabilità del provvedimento amministrativo a lui favorevole
dev’essere tutelato anche laddove l’Amministrazione disponga
di un potere amministrativo repressivo del provvedimento
stesso (quale quello di revoca e/o annullamento d’ufficio).
In particolare, tale principio impone che i suddetti poteri
vengano esercitati dall’Ente pubblico «almeno entro un
limite di tempo ragionevole» dal rilascio dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato. Tale principio
è stato poi ripetutamente confermato dalla giurisprudenza
comunitaria (ex multis CGCE, 03.03.1982, Alpha Steel Ltd. c.
Commissione, C-14/81; id., 26.02.1987, Consorzio Cooperative
d’Abruzzo c. Commissione, C-15/85).
Com’è noto, peraltro, il suddetto assunto ha trovato
riconoscimento espresso nell’ordinamento nazionale, il
quale, con varie disposizioni, ha sancito un limite
temporale alla possibilità per l’Amministrazione di tornare
su decisioni precedentemente adottate ed incidenti sulla
sfera giuridica di soggetti privati. Così ad esempio l’art.
1, comma 136, della l. 311/2004 (non più vigente), stabiliva
che l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi
incidenti su rapporti negoziali non potesse «essere adottato
oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del
provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia
perdurante».
Analogamente, l’art. 21-nonies l. n. 241/1990 ha sancito che
l’annullamento ufficioso di un (qualsivoglia) atto
amministrativo debba intervenire «entro un termine
ragionevole». Peraltro, a seguito delle modifiche introdotte
a tale norma dalla l. 124/2015, si è precisato che il
suddetto termine ragionevole non può comunque eccedere i
«diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti
di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Ebbene, il citato principio di affidamento trova
applicazione anche in materia di SCIA.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990
prevede che «decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di
cui al comma 6-bis (cioè degli atti propriamente inibitori),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 alle condizioni previste
dall'articolo 21-nonies»: e cioè (tra l’altro) nel rispetto
del suddetto termine ragionevole.
Ebbene, come recentemente chiarito dalla Corte
costituzionale (pronunciatasi in un caso di SCIA edilizia),
le suddette previsioni «debbono considerarsi il necessario
completamento della disciplina dei titoli abilitativi,
poiché la individuazione della loro consistenza e della loro
efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza
rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione
successivamente alla maturazione degli stessi». Più nello
specifico, la Corte ha chiarito che il rinvio all’autotutela
(e conseguentemente al termine ragionevole di cui all’art.
21-nonies) contenuto in suddette norme «si colloca allo
snodo delicatissimo del rapporto fra il potere
amministrativo ed il suo riesercizio, da una parte, e la
tutela dell’affidamento del privato, dall’altra» (Corte
Cost. n. 49/2016).
In altri termini –secondo la Corte– le suddette previsioni
hanno espressamente tutelato l’affidamento del segnalante in
ordine alla legittimità dell’intervento denunciato,
prevedendo che il mancato esercizio dei poteri inibitori
puri entro i termini perentori di cui all’art. 19, commi 3 e
6-bis, fondi una legittima aspettativa del privato circa la
legittimità dell’iniziativa intrapresa. Aspettativa che può
essere nuovamente posta in discussione dall’Ente pubblico
solo mediante ricorso alle forme (aggravate) dell’autotutela
decisoria e che si consolida definitivamente con il decorso
dell’ulteriore termine di 18 mesi per l’esercizio di tale
autotutela.
È ben vero che il sistema introdotto dal citato art. 19,
comma 4, non può operare laddove la verifica dei presupposti
della SCIA sia stata sollecitata dal terzo ai sensi del
comma 6-ter del medesimo articolo (infatti, come sopra
chiarito, l’attuale testo dell’art. 19 consente al
controinteressato di attivare un autonomo procedimento di
controllo sulla legittimità della segnalazione, il quale
deve concludersi, in caso di accertata insussistenza dei
presupposti di legge, con un provvedimento di repressione
dell’attività abusiva).
Tuttavia, è evidente che le esigenze di salvaguardia
dell’affidamento del segnalante si ripropongono (con analoga
cogenza) anche nei rapporti tra quest’ultimo ed il terzo
proponente l’istanza di cui all’art. 19, comma 6-ter. Sarebbe
infatti irragionevolmente discriminatoria l’interpretazione
che riconoscesse tutela all’affidamento dell’autore della
segnalazione solo nei confronti dell’iniziativa repressiva
ufficiosa dell’amministrazione e non anche rispetto alle
verifiche che quest’ultima effettua su richiesta del
controinteressato.
Pur a fronte di ciò, tuttavia, la norma in esame non prevede
un termine per la proposizione dell’istanza diretta a
stimolare tali verifiche e conseguentemente espone il
segnalante al rischio permanente dell’inibizione
dell’attività iniziata. Così facendo, l’attuale meccanismo
legislativo, da un lato esaspera la tutela del terzo,
d’altro lato pretermette quella del segnalante e, in
definitiva, vanifica l’intento (chiaramente palesato dal
testo complessivo dell’art. 19) di favorire il
consolidamento dell’aspettativa del segnalante stesso per
effetto del mero decorso del tempo.
Da quanto sopra, ad avviso del Collegio, emerge la
violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di
affidamento, nonché la violazione dell’art. 3 Cost., essendo
irragionevole che la tutela dell’affidamento venga
espressamente contemplata (con la temporizzazione
dell’intervento) a fronte dell’esercizio dell’autotutela
amministrativa e non a fronte dell’esercizio dei poteri di
verifica attivati dal terzo.
La SCIA è infatti idonea ad ingenerare nel segnalante –a
fronte del mancato esercizio dei poteri amministrativi
repressivi– un certo affidamento in ordine alla legittimità
dell’intervento avviato. Affidamento che dev’essere
garantito –sia nei confronti dell’amministrazione che in
quelli del controinteressato– mediante la fissazione di
precisi termini entro (e non oltre) i quali i controlli
amministrativi sulla regolarità della SCIA non possono più
essere attivati né in via ufficiosa, né su istanza di parte.
Alla luce di quanto sopra, dunque, risulta evidente
l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, il
quale –in aperto contrasto con i suddetti principi–
attribuisce al terzo un potere di sollecito a tempo
indeterminato nei confronti dell’Ente pubblico e,
conseguentemente, restituisce a quest’ultimo una potestà di
intervento sine die sull’iniziativa denunciata.
A ciò si aggiunga che, con specifico riguardo alla materia
edilizia, la suesposta soluzione normativa dà luogo ad
un’irragionevole disparità di trattamento dei privati il cui
intervento sia assoggettato, rispettivamente, al regime
della SCIA ovvero a quello del permesso a costruire, ponendo
ulteriore questione di violazione dell’art. 3 Cost..
Invero, com’è noto, in quest’ultimo caso lo strumento di
tutela azionabile dal controinteressato è l’azione di
annullamento del titolo abilitativo eventualmente rilasciato
al richiedente. In tale ipotesi, dunque, l’affidamento di
quest’ultimo è garantito dalla previsione del termine
decadenziale generale di sessanta giorni per l’esperimento
della suddetta azione, decorso il quale il permesso diventa
inoppugnabile e l’aspettativa del richiedente stesso si
consolida definitivamente (almeno nei confronti dei
controinteressati).
Viceversa, in caso di SCIA, l’art. 19, comma 6-ter, codifica
il principio opposto: di fronte ai terzi lesi
dall’iniziativa segnalata, l’interesse del segnalante alla
prosecuzione di quest’ultima non si consolida mai e, al
contrario, recede sempre a fronte della pretesa dei terzi
stessi alla rimozione dell’attività per essi lesiva.
Orbene, pur non potendosi predicare la necessaria
parificazione delle tutele del segnalante e del soggetto
richiedente il permesso di costruire, data la notevole
differenza dei citati meccanismi abilitativi, è pur vero che
tale diversità non giustifica la totale pretermissione (ma
casomai il diverso bilanciamento) dell’affidamento maturato
in capo all’autore della SCIA. Pena il crearsi di
un’irragionevole disparità di trattamento tra posizioni
soggettive aventi contenuto (se non analogo, quantomeno)
affine.
Da quanto sopra deriva, ad avviso di questo Tribunale, la
violazione dei principi costituzionali sopra richiamati.
11.2 – La prospettata questione di illegittimità
costituzionale risulta del pari non manifestamente infondata
per contrasto della norma in questione con i principi di
ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97
Cost..
A questo proposito, merita anzitutto osservare che il
meccanismo introdotto dall’art. 19, comma 6-ter, impone
all’amministrazione, su semplice istanza del terzo, di
avviare un procedimento di verifica a contenuto (in tutto e
per tutto) analogo a quello già svolto in via ufficiosa ai
sensi dell’art. 19 comma 3.
Peraltro, come sopra chiarito, la citata norma non prevede
un termine per la presentazione della suddetta istanza, con
la conseguenza che l’Ente pubblico è tenuto a verificare
nuovamente i presupposti dell’attività segnalata anche
qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla
relativa comunicazione.
Ora, è chiaro che il suesposto modello si pone in contrasto
con i principi di cui alle citate norme costituzionali,
nella misura in cui impone all’amministrazione, quale che
sia il momento in cui sopravviene l’istanza del
controinteressato, di rivedere la posizione assunta in
precedenza (in sede di verifica ufficiosa) circa la
legittimità dell’iniziativa segnalata.
Sul punto, si rileva anzitutto che la fissazione di precisi
limiti temporali entro cui devono essere adottati i
provvedimenti definitivi in ordine alle procedure (ivi
comprese quelle di verifica) di competenza
dell’amministrazione costituisce «applicazione generale…,
sia pure non esaustiva, del principio costituzionale di buon
andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione)
negli obiettivi di tempestività, pubblicità, partecipazione
dell'azione amministrativa, quali valori essenziali in un
ordinamento democratico» (Corte cost. n. 262/1997). Invero,
è evidente che il rispetto dei termini perentori entro cui
devono essere conclusi gli accertamenti e le valutazioni
rimessi agli apparati pubblici incentiva l’efficienza degli
apparati stessi nonché la ponderazione delle scelte
adottate, stante l’impossibilità del loro ripensamento.
Viceversa, la possibilità incondizionata di rivalutare –anche a notevole distanza di tempo– l’assetto di interessi
raggiunto con le precedenti determinazioni produce un
effetto deflattivo sull’efficienza, aumenta il rischio di
adozione di decisioni contraddittorie da parte dello stesso
Ente e, in definitiva, pregiudica il buon andamento
dell’azione pubblica.
Peraltro, si evidenzia che, riguardo al controllo ufficioso
sulla legittimità o meno della SCIA, il legislatore ha
fissato precisi termini alle facoltà di intervento
dell’amministrazione (tanto in via inibitoria quanto in via
di autotutela). Dacché si desume che lo stesso regime del
controllo ufficioso prevede un limite temporale oltre il
quale l’interesse pubblico all’eliminazione delle attività
abusive viene meno, prevalendo su di esso l’esigenza di
certezza dei rapporti tra privati e Pubblica
Amministrazione.
E’ dunque evidente che la riapertura del procedimento di
verifica dei presupposti della SCIA a fronte di un’istanza
presentata dal terzo oltre i suddetti limiti temporali non
può dirsi funzionale alla tutela di alcun interesse
pubblico, il quale invece recede a fronte delle suddette
esigenze di certezza.
Al contrario, il riavvio del suddetto procedimento si
traduce in un inutile dispendio di attività per l’Ente
pubblico, il quale, dopo un periodo di tempo (anche
notevole) dalla presentazione della SCIA, sarebbe tenuto ad
intraprendere una complessa attività istruttoria volta ad
accertare l’originaria legittimità o meno dell’attività
segnalata.
Peraltro tale ulteriore aggravio non trova assolutamente
giustificazione nel rango dell’interesse tutelato dall’art.
19, comma 6-ter.
Infatti tale norma salvaguarda (solo) un’aspettativa
individuale: quella del terzo leso dall’iniziativa segnalata
a che la stessa iniziativa venga interrotta. Nondimeno,
l’Ente pubblico, quando procede su istanza del
controinteressato è sempre tenuto a provvedere in via
inibitoria (anche a discapito del buon andamento
amministrativo e dell’affidamento del segnalante).
Viceversa, quando procede alle verifiche ufficiose –le
quali assicurano il ben più pregnante interesse collettivo
al controllo sul legittimo avviamento delle attività
regolamentate– l’Ente stesso è tenuto a rispettare gli
stringenti limiti temporali imposti dall’art. 19 commi 3, 4
e 6-bis. Ciò che evidentemente configura un meccanismo di
tutela sproporzionatamente asimmetrico in capo al segnalante
a seconda che l’attivazione delle verifiche amministrative
avvenga in via ufficiosa o ad istanza del terzo.
Né in senso contrario può sostenersi che l’esclusione di una
simile potestà di intervento sine die pregiudicherebbe le
esigenze di contrasto agli illeciti commessi dai privati nei
vari settori di attività in cui trova applicazione
l’istituto della SCIA. Invero, per tutelare tali esigenze
l’Amministrazione dispone di autonomi poteri repressivi
sottratti al regime generale dell’art. 19 della l. n.
241/1990 (così ad esempio, nella materia che ci occupa,
l’Amministrazione stessa dispone di poteri c.d. di
“vigilanza edilizia” -cfr. artt. 27, 30-34, 37 del D.P.R.
n. 380/2001– che sfuggono anche al «termine ragionevole» di
cui all’art. 21-nonies: ex multis TAR Lazio, Roma, Sez.
I-quater, 22.4.2016, n. 4713). Ma tali poteri non comportano
un riesame della legittimità originaria dell’intervento già
assentito con il precedente titolo abilitativo. Bensì
attengono al riscontro di eventuali successive violazioni
del titolo stesso ovvero alla repressione di iniziative
intraprese senza previa consultazione dell’autorità
competente.
Con la conseguenza che neanche la generale esigenza di
repressione degli abusi nei settori di attività non
liberalizzate (quale è in buona parte l’attività edilizia)
giustifica il modello di tutela del terzo introdotto
dall’art. 19, comma 6-ter.
Orbene, le suesposte considerazioni mostrano già come tale
modello costituisca un ostacolo al buon andamento
dell’azione amministrativa, traducendosi potenzialmente in
un notevole aggravio di attività per l’Amministrazione
coinvolta, con effetti pregiudizievoli per i valori di
celerità, stabilità ed efficienza sopra richiamati.
Vi è tuttavia un altro dato che rende evidente il contrasto
tra la citata norma ed il suddetto principio costituzionale,
ossia il rischio di un vero e proprio stallo delle
Amministrazioni preposte al controllo delle attività oggetto
di SCIA, a causa delle incertezze interpretative derivanti
dall’attuale formulazione dell’art. 19, comma 6-ter.
A questo proposito, giova premettere che –come
ripetutamente chiarito dal Giudice delle leggi– il
principio del buon andamento sancito dall’art. 97 Cost.
rappresenta, non solo un parametro di legittimità
dell’azione amministrativa, ma anche un canone per il
corretto esercizio della potestà normativa, in virtù del
quale il legislatore deve assicurare quanto più possibile la
chiarezza ed univocità interpretativa delle norme che
l’amministrazione è tenuta ad applicare nell’esercizio del
potere pubblico. Configurandosi, in caso contrario, un vizio
capace di inficiare la stessa legittimità costituzionale
della legge approvata.
Ed invero, la Corte costituzionale ha più volte sancito che
«non è conforme a tale disposizione (art. 97 Cost.)
l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una
disciplina normativa “foriera di incertezza”, posto che essa
può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate
alla cura della pubblica amministrazione» (Corte Cost.,
16.04.2013, n. 70; Corte Cost., 22.12.2010, n. 364; in
termini –anche se con riguardo alla violazione dell’art. 3
Cost.– Corte Cost., 20.07.2012, n. 200).
Ebbene, è evidente che la norma in questione pone l’Ente
pubblico –chiamato a provvedere sull’istanza sollecitatoria
del terzo– in stato di totale incertezza in ordine
all’esistenza (o meno) di un obbligo a provvedere
sull’istanza medesima.
Invero, a seconda dell’interpretazione data dall’Ente alla
disposizione in esame, il sollecito del privato può
ritenersi, di volta in volta, tardivo ovvero tempestivo. Con
la conseguenza che, nel primo caso, l’Amministrazione è
legittimata a dichiarare l’irricevibilità dell’istanza senza
previo svolgimento di alcuna istruttoria (cfr. art. 2 comma
1, l. 241/1990). Viceversa, nel secondo caso, essa è tenuta
a svolgere la verifica sui presupposti della SCIA ed a
concluderla tramite l’emanazione di un atto espresso, pena
la proposizione dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a. da
parte del terzo pretermesso.
Del resto, la molteplicità delle tesi proposte dalla
giurisprudenza in ordine all’individuazione del termine per
la presentazione dell’istanza del controinteressato, da un
lato, acuisce le difficoltà interpretative poste dall’art.
19 comma 6-ter a carico dell’amministrazione e, d’altro
lato, conferma la sostanziale incertezza del disposto di
tale articolo. Dacché emerge, plasticamente, il contrasto di
quest’ultimo con i suesposti principi costituzionali.
11.3 - Fermo quanto sopra, il Collegio ritiene che la non
manifesta infondatezza della questione in oggetto emerga
altresì dal contrasto tra la norma censurata ed il canone di
ragionevolezza delle scelte legislative sancito nell’art. 3
Cost, in relazione all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost..
Sul punto, si osserva anzitutto che svariate disposizioni di
legge riconducono la normativa nazionale in materia di SCIA
ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono
rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai
sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29,
comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l.
78/2010, conv. con l. 122/2010).
Peraltro, nel condividere il suddetto assunto legislativo,
la Corte Costituzionale ha chiarito che tutto il meccanismo
della segnalazione certificata di inizio attività
costituisce «prestazione specifica» dello Stato nei
confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il
diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte
della pubblica amministrazione competente, dei presupposti
di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima»
(Corte Cost., 27.06.2012, n. 164).
Tale assunto si riferisce evidentemente ai controlli
amministrativi sulla legittimità o meno della SCIA che,
secondo il Giudice delle leggi, devono essere assistiti
dalla previsione legislativa di puntuali limiti temporali,
diretti ad assicurare il «sollecito esame» dell’iniziativa
denunciata e, in quanto tali, rientranti nei “livelli
essenziali” di tutela della posizione del segnalante ex art.
117, comma 2, lett. m) Cost..
La suddetta affermazione –benché espressa dalla Corte con
precipuo riferimento ai controlli ufficiosi di cui all’art.
19, commi 3, 4 e 6-bis– non può non valere anche riguardo
alle verifiche amministrative svolte su istanza del terzo.
Invero, rispetto a queste ultime, la posizione del
segnalante presenta le stesse esigenze di sollecita
definizione del procedimento inibitorio che le citate norme
tutelano quando il procedimento stesso è avviato d’ufficio
dall’Ente pubblico.
Sennonché, mentre rispetto a tali controlli ufficiosi il
segnalante può contare sulla previsione di specifici termini
decadenziali entro cui i controlli stessi devono
necessariamente concludersi (e che, come detto,
costituiscono “livelli essenziali” ex art. 117, co. 2, lett.
m, Cost.), l’art. 19, comma 6-ter, non prevede alcun limite
temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere
inibitorio dell’amministrazione. Con la conseguenza che il
termine per il compimento di tale sollecito resta escluso
dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma
2, lett. m), Cost.
Tale soluzione normativa è palesemente irragionevole, poiché
omette di disciplinare un elemento indispensabile alla
tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto
dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli
essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale.
A questo proposito, è appena il caso di accennare che –secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza
costituzionale– l’art. 117, comma 2, lett. m) Cost. pone, in
materia di livelli essenziali, una riserva di legge
(relativa, ma) rinforzata «in quanto vincola il legislatore
ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio
nazionale» (Corte Cost., 19.12.2012, n. 297). In
particolare, nell’attuazione di tale riserva, il legislatore
è tenuto a determinare gli «standard strutturali e
qualitativi delle prestazioni da garantire (come detto, in
modo uniforme) agli aventi diritto» (Corte Cost. 10.6.2010,
n. 207; id., 05.04.2013, n. 62; id., 15.01.2010, n. 10), dacché
deriva che la riserva stessa, oltre a ripartire le
competenze normative in materia di livelli essenziali,
impone al legislatore di prevedere standards minimi uniformi
delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi.
È evidente che nei suddetti standards minimi non possono non
rientrare anche i termini per la conclusione dei controlli
amministrativi sui presupposti della SCIA tanto nei casi in
cui l’iniziativa repressiva è avviata d’ufficio dall’Ente
pubblico (come del resto già affermato dalla citata sentenza
n. 164/2012) quanto nelle ipotesi in cui il procedimento
inibitorio è avviato su istanza del terzo.
Invero, la mancata previsione di tali termini è idonea a
vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo
Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle
procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come
quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la
semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il
medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata)
con un iter amministrativo più snello di quello ordinario,
l’attuale disciplina della SCIA risulta contraddittoria con
tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre
una riduzione dell’attività burocratica (poiché il
procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione
può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di
soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale
disciplina non conduce mai ad una regolamentazione
definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda
amministrativa, residuando sempre un potere-dovere
dell’Amministrazione di rimettere in discussione la
legittimità originaria dell’intervento segnalato,
ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte
di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei
livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere
sollecitatorio di cui all’art. 19, comma 6-ter, rischia di
pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che
caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso.
Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura
della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
(la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di
dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte
Cost. n. 297/2012 cit.), apre la strada a discipline
territoriali eterogenee del suddetto termine, con
conseguente disomogeneità degli standards di tutela a
livello nazionale.
Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio,
l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di
tutela sine die apprestato dall’art. 19, comma 6-ter,
alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in
definitiva, un’illegittima compressione dei livelli
essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante
dalla norma nazionale.
Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo
censurato risulta palesemente incostituzionale.
12 – Alla luce delle considerazioni che precedono
il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella parte in
cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte
del terzo delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli
artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all'art. 1
del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6,
paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost..
Dispone quindi la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale per la decisione della suddetta questione,
sospendendo nelle more il presente giudizio. |
EDILIZIA PRIVATA: La
DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA”
disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale.
---------------
È impugnato -unitamente agli atti presupposti e conseguenti- il provvedimento con il quale il Comune di Andria ha
intimato alla ditta esecutrice, odierna ricorrente, ai
proprietari e al direttore dei lavori "la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre 90
giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione,
delle opere realizzate presso il lastrico solare sovrastante
il quinto piano del complesso edilizio ubicato in via
Catullo, in difformità al permesso di costruire n. 190 del
20.10.2004 (P.E. n. 260/01) e relativa variante in corso
d'opera n. 190/ A/ V del 10.10.2005, in zona classificata
B/5 nel vigente P.R.G. e consistenti così come decritti
nella premessa, che qui s'intende integralmente richiamata".
Le opere in questione, così come descritte nella premessa
dell’ordine di demolizione, hanno ad oggetto “la
realizzazione di una unità volumetrica, composta da un unico
vano con scala di collegamento con la sottostante unità
immobiliare ed un vano w.c., ultimata e rifinita, completa
di impianto elettrico, idrico-fognante e termico il tutto
funzionale ad uso di civile abitazione, con superficie lorda
complessiva coperta di circa mq. 31,00 (anziché mq. 16,00
circa), altezza utile interna di circa mt. 2,80 (anziché mt.
2,30 circa) e con volume complessivo lordo di circa mc.
95,00 (anziché mc. 41,00 circa)”.
L’ordinanza di demolizione, espressamente richiama, quale
atto presupposto, l’annullamento d’ufficio della DIA
presentata il 31.10.2006 dalla Società Ed.Ma. s.r.l.,
titolare del permesso di costruire il complesso edilizio in
questione.
Il Comune aveva infatti riscontrato, in sede di sopralluogo
del 30.9.2008, un aumento della superficie, dell’altezza
interna e della volumetria, nonché la trasformazione, in
locali residenziali, dei vani tecnici –fra i quali quello
oggetto del provvedimento impugnato- posti sul lastrico
solare delle otto palazzine di cui detto complesso si
compone in quanto dette opere sono state ritenute non
assentibili tramite DIA.
...
3.1. Il primo motivo è infondato, al pari del secondo che da esso
dipende.
La DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus
“DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art.
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n.
104.
---------------
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del
1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito
certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il
termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n.
380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il
procedimento) cui la legge subordina il potere di
annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e,
quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di
illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a.
ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo
al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque,
esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del
provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento
espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione
legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di
autotutela decisoria.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento
repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano
oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del
decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
---------------
... per l'annullamento:
- della dichiarazione di inizio attività n. 13/05 depositata
da Da.Fe. in data 16.02.2005 ed avente ad oggetto “ristrutturazione
e divisione unità immobiliare al piano terreno e recupero
del sottotetto a fini abitativi” di un immobile sito in
Uboldo;
- con motivi aggiunti, del provvedimento dell’01.06.2007 con
il quale il comune di Uboldo ha deciso di non procedere
all’annullamento d’ufficio della DIA succitata.
...
Con il ricorso principale e per i motivi nello stesso
dedotti, gli istanti, proprietari di fabbricati siti in
prossimità di quello del controinteressato nel comune di
Uboldo, hanno impugnato la dichiarazione di inizio attività
indicata in epigrafe, avente ad oggetto la ristrutturazione
e la divisione di un’unità immobiliare al piano terreno e il
recupero del sottotetto a fini abitativi depositata dal
controinteressato medesimo.
Con ricorso per motivi aggiunti hanno, invece,
impugnato, limitatamente alla porzione concernente la
ristrutturazione al piano terreno dell’immobile, il
provvedimento del primo giugno 2007 con il quale il comune
di Uboldo, dopo avere avviato il procedimento teso
all’eventuale esercizio dell’autotutela, ha deciso di non
procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA
succitata.
...
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di accogliere
l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale
sollevata dall’Amministrazione intimata e dal
controinteressato.
Ed invero, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 19 della legge
n. 241/1990, così come introdotto dal d.l. n. 138/2011: “La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Ne risulta l’inammissibilità del ricorso proposto in via
principale avverso la DIA presentata dal controinteressato.
Riguardo, invece, al ricorso per motivi aggiunti, instaurato
avverso il provvedimento con il quale il comune di Uboldo ha
ritenuto di non procedere all’annullamento d’ufficio degli
effetti della DIA succitata, gli istanti hanno dedotto,
sostanzialmente: l’illegittimità dell’intervento di
ristrutturazione e divisione dell’unità immobiliare al piano
terreno ai sensi dell’art. 42 delle NTA del PRG vigente,
trattandosi di un edificio ubicato in zona produttiva D1 e
non residenziale, ove sarebbero consentiti solo interventi
di manutenzione ordinaria; l’illegittimo esercizio da parte
del Comune del potere di autotutela, subordinato alla
verifica di un particolare interesse pubblico
all’annullamento, invece che di quello sanzionatorio;
l’illegittimità del provvedimento comunale nella parte in
cui si riferisce alla normativa urbanistica sopravvenuta,
che pacificamente ammette l’intervento di ristrutturazione
in questione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, atteso
che, indipendentemente dal verificarsi o meno di un minimo
aumento del carico urbanistico a seguito dell’effettuazione
dell’intervento di ristrutturazione al piano terreno, il
Comune intimato, nell’esercizio discrezionale del proprio
potere di autotutela, si è determinato nel senso della
prevalenza dell’interesse del privato che aveva presentato
la DIA, in capo al quale si era ingenerato l’affidamento
della legittimità della ristrutturazione dallo stesso
eseguita.
Ed invero, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della
legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a.
illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di
intervenire anche oltre il termine perentorio di cui
all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle
condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge
subordina il potere di annullamento d'ufficio dei
provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre
che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori
assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi,
dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto
del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di
interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del
provvedimento espresso), che può essere rimosso, per
espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio
del potere di autotutela decisoria. Ne consegue
l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio
avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a.
già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non
previamente rimossa in autotutela (cfr., per tutte, Cons.
Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780).
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso
principale va dichiarato inammissibile e il ricorso per
motivi aggiunti va respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 31.01.2017 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
 |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla tempistica da osservare, da parte del terzo, per
inibire l'esecuzione dei lavori edilizi con DIA/SCIA.
Vi è un orientamento, seguito dal giudice d’appello, secondo
cui l’istanza di esercizio del potere inibitorio riguardante
una denuncia di inizio attività deve essere inoltrata
all’amministrazione –pena la tardività del giudizio
istaurato avverso il provvedimento che dà ad essa riscontro–
non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla
conoscenza della denuncia stessa.
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in
quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti
alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo
deve formulare la predetta istanza, non contenendo
l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna
prescrizione in proposito.
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento
alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune
recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti
principi:
a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del
potere inibitorio;
b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di
sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della
DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto
potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base
del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima
(potere inibitorio puro);
c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso
del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire
unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio
del potere di autotutela;
d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione
si pronuncia sulla sua istanza.
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al
solo fine di stabilire quale tipo di potere
l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo
interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai
sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a
quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente
impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo
caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del
mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo
l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri
effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non
conformità della stessa alla vigente normativa).
---------------
Il
controinteressato eccepisce ancora la tardività del ricorso
rilevando che, nella sostanza, la ricorrente intende
paralizzare gli effetti della DIA del 30.01.2014 e che, per
questo motivo, l’istanza di esercizio del potere inibitorio
avrebbe dovuto essere depositata non oltre il termine di
sessanta giorni decorrente dalla sua conoscenza.
Con altra eccezione, lo stesso controinteressato rileva che,
nel caso specifico, sono ormai decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio e che, quindi, l’istanza
della ricorrente non potrebbe aver l’effetto di rimettere in
termini l’Amministrazione. Potrebbe dunque esercitarsi il
solo potere di autotutela del quale, comunque, non
sussisterebbero i presupposti, non avendo la medesima
Amministrazione effettuato l’attività di comparazione degli
interessi a tal fine necessaria. La ricorrente non avrebbe,
quindi, secondo il controinteressato, alcun interesse alla
proposizione del ricorso.
In proposito si osserva quanto segue.
Si deve dare atto che, effettivamente, vi è un orientamento,
seguito dal giudice d’appello, secondo cui l’istanza di
esercizio del potere inibitorio riguardante una denuncia di
inizio attività deve essere inoltrata all’amministrazione
–pena la tardività del giudizio istaurato avverso il
provvedimento che dà ad essa riscontro– non oltre il termine
di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza della
denuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n.
5161).
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in
quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti
alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo
deve formulare la predetta istanza, non contenendo
l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna
prescrizione in proposito (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sez.
II, 01.07.2015, n. 1114).
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento
alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune
recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti
principi:
a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del
potere inibitorio;
b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di
sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della
DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto
potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base
del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima
(potere inibitorio puro);
c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso
del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire
unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio
del potere di autotutela;
d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione
si pronuncia sulla sua istanza (cfr. TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 15.04.2016, n. 735).
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al
solo fine di stabilire quale tipo di potere
l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo
interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai
sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a
quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente
impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo
caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del
mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo
l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri
effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non
conformità della stessa alla vigente normativa).
Non è dunque rilevante, ai fini della valutazione della
tempestività del ricorso in esame, il fatto che, nel caso
concreto, l’istanza della ricorrente sia stata inoltrata
all’Amministrazione dopo il decorso del termine di sessanta
giorni dal momento di piena conoscenza della DIA presentata
dal controinteressato, essendo unicamente rilevante il fatto
che sia stato tempestivamente impugnato l’atto che ha dato
riscontro all’istanza di sollecitazione all’esercizio del
potere inibitorio.
Né tale ritardo rileva ai fini della valutazione
dell’interesse alla proposizione del gravame, posto che
l’Amministrazione conserva comunque la possibilità di
effettuare un intervento subordinato al riscontro dei
presupposti dell’autotutela.
Neppure è decisivo il fatto che l’Amministrazione, in
occasione dell’adozione degli atti impugnati, non abbia
effettuato l’attività di comparazione degli interessi
coinvolti.
L’accoglimento del ricorso costringerebbe infatti la stessa
Amministrazione ad aprire nuovamente il procedimento, nel
corso del quale ben potrà essere effettuata l’attività di
comparazione degli interessi coinvolti; attività considerata
in prima battuta non necessaria stante la ritenuta
insussistenza dei profili di illegittimità denunciati dalla
ricorrente.
Vi è dunque, quantomeno, un interesse strumentale alla
proposizione del ricorso, posto che, in esito al nuovo
procedimento, potrebbe essere adottato un atto favorevole
alla ricorrente stessa.
Per tutte queste ragioni, le eccezioni in esame risultano
infondate
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.11.2016 n. 2274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema
di reati edilizi, nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale.
---------------
2.1. Nella specie, la Corte territoriale non si è uniformata a tali
principi,
rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado ed agli
elementi probatori acquisiti, ma non esaminando, dall'altro,
le specifiche censure rivolte con l'appello
a quella pronuncia.
Al ricorrente è stato contestato il reato previsto dall'art.
44, lett. b), del D.P.R.
n. 380/2001 per aver realizzato lavori di esecuzione di un
deposito temporaneo di
rifiuti non pericolosi provenienti da demolizioni edili, con
difformità rispetto alle
previsioni progettuali.
E' stato accertato che, in sede di accesso, venivano
riscontrate le difformità
rispetto alle previsioni progettuali di cui alla denuncia di
inizio lavori presentata
dall'imputato al Comune di San Marco d'Alunzio in data
04.08.2011 e, cioè,
occupazione di un'area della superficie pari a mq 92,82
anziché mq 79,56,
realizzazione di muretti dell'altezza di m 3,20 anziché m.
2,00, aumento
dell'altezza del muretto di divisione esterno lato ovest,
omessa realizzazione di un
adeguato sistema di canalizzazione delle acque meteoriche.
Va ricordato, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R.
n. 380 del 2001, art.
22, comma 3 (cd DIA alternativa o SuperDIA), non è istituto
ontologicamente
diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti (cd
DIA semplice, ora
SCIA) dal quale non si distingue certo per il carattere
dell'onerosità, che ben può
essere comune e differisce da esso soltanto in relazione
agli interventi
assoggettabili (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio.
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, commi
1 e 2, -in cui la
DIA (ora S.C.I.A.), si pone come titolo abilitativo esclusivo
(non alternativo, cioè,
al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di
inizio dell'attività o la
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA
effettivamente presentata non
comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono
sanzionate soltanto in via
amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6).
Dovendo ritenersi,
però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380
del 2001, art. 44, lett.
a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio-
l'esecuzione di interventi
sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti
urbanistici e regolamenti
edilizi.
Questa Corte ha, infatti, affermato che l'esecuzione in
assenza o in difformità
degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività
(DIA) D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, ex art. 22, commi 1 e 2, (ora S.C.I.A.), allorché
non conformi alle previsioni
degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia
in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale
prevista dal citato
D.P.R. n. 380, art. 44, lett. a), atteso che soltanto in
caso di interventi eseguiti in
assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi
alla citata disciplina, è
applicabile la sanzione amministrativa prevista dallo stesso
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, (Sez. 3, n. 41619 del
22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894
del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, comma
3, invece, in cui
la DIA (DIA alternativa o superDIA), ai sensi del successivo
art. 44, comma 2-bis,
si pone come alternativa al permesso di costruire, l'assenza
sia del permesso di
costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero
la totale difformità delle
opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata
integrano il reato di cui
al successivo art. 44, lett. b) (Sez. 5, 26.04.2005,
Giordano; Sez. 3, 09.03.2006,
n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon).
La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla
tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta
dell'intervento. Ciò che conta non è la
qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA
presentata ma la esatta
indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere,
poi, effettivamente
eseguite (Sez. 3, n. 47046 del 26/10/2007, Rv. 238463).
Non trova, comunque, sanzione penale la difformità parziale:
le sanzioni di
cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 sono applicabili soltanto
in caso di assenza o
totale difformità dalla DIA, atteso che la esclusione
dell'ipotesi di parziale
difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di
edificazione con permesso
di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la
DIA (Sez. 3, n.44248 del 23/09/2004, Croattini).
E' stato osservato, a tal proposito, che le opere per le
quali l'art. 1, comma 6,
della legge 21.12.2001 n. 443 ha previsto la possibilità, a
scelta dell'interessato, di
procedere in base a DIA in alternativa al premesso di
costruire (previsioni trasfuse,
poi, con modificazioni nell'art. 22, comma 3, del T.U. n.
380/2001) sono rimaste
soggette, rientrando in origine esclusivamente nel regime
concessorio, alla
sanzione di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001,
con la conseguenza che
integrano il reato previsto da tale norma le opere suddette,
quando siano state
realizzate in assenza sia del permesso di costruire sia
della DIA, ovvero in totale
difformità rispetto alla DIA inoltrata (Sez. 5, n. 23668 del
26/04/2005, Rv. 231905).
2.2. In definitiva, in tema di reati edilizi,
nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001;
diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009,
Rv. 243099, cit.) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.11.2016 n. 47970). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia è un alert per la p.a..
Sentenza Cds.
L'amministrazione, a fronte di una denuncia da parte
del terzo leso da una attività posta in essere da
altro privato a seguito di una Scia, ha l'obbligo di
procedere all'accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento
repressivo. Ma scaduti i termini per l'esercizio dei
poteri inibitori subentra la discrezionalità
dell'ente il quale deve tenere conto anche
dell'eventuale affidamento.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, con
sentenza 03.11.2016 n. 4610.
Decisione che assume particolare rilevanza in
relazione al fatto che gli artt. 19 e 21-nonies
della legge 241/1990, che disciplinano
rispettivamente la Scia ed il potere di autotutela
esercitato dalla p.a., sono stati di recente
modificati dalla legge Madia, ovvero la legge
124/2015 e questo è uno dei primi pronunciamenti che
affrontano la problematica connessa ai poteri
dell'amministrazione a seguito di una azione
proposta dal cosiddetto terzo.
Alla luce del fatto che il comma 6-ter dell'art. 19,
ha rilevato il collegio, ha stabilito che la Scia
non è provvedimento tacito direttamente impugnabile,
ma gli interessati possono soltanto sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l'azione prevista dal codice del
processo amministrativo avverso il silenzio della
p.a., vanno chiarite le questioni relative al tempo
dell'azione esperibile dal terzo e al tipo di potere
che il terzo stesso può «sollecitare».
A tale proposito il collegio, pur dando atto
dell'esistenza di un orientamento il quale ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all'amministrazione di esercitare i poteri
inibitori, anche dopo la scadenza del termine di 30
(per l'edilizia) e di 60 giorni per le altre
fattispecie previsti dall'art. 19, legge 241/1990,
la sezione ha ritenuto preferibile l'interpretazione
della disposizione nel senso che il terzo può
chiedere la condanna dell'amministrazione
all'esercizio del potere ma in tal caso quest'ultimo
deve comunque rispettare i requisiti che
giustificano l'autotutela amministrativa per l'atto
di secondo grado il quale, oggi, tiene conto anche
dell'affidamento nel frattempo maturato
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
il potere inibitorio dell’amministrazione sulla presentata
SCIA, su denuncia del terzo, può essere esercitato anche
oltre il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto
dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
In relazione al tempo, non è
perfettamente adattabile lo schema dell’azione avverso il
silenzio inadempimento a quella proposto dal terzo
nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone
entro il termine di un anno dalla conclusione del
procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo
titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di
un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua
istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento
si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a
decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un
interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti
sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa.
Non è, pertanto, a conoscenza “diretta” dell’andamento
procedimentale della vicenda. Ne consegue che il termine
decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei
fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera
giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo
orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche
nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o
sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene
preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la
condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che
devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela
amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame,
si connota in modo peculiare perché:
i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e
dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado”
che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di
“secondo grado”;
ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo,
ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò
diversamente da quanto accade in presenza di un “normale”
potere di autotutela che si connota per la sussistenza di
una discrezionalità che attiene non solo al contenuto
dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in
quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di
liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del
terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza
limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle
posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di
azione verrebbero frustrate le ragioni della
liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo
dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti
dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe
essere destinatario di atti amministrativi inibitori
dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela
costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il
privato che ha presentato la SCIA, in quanto
l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che
legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in
particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario
dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le
esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può
comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le
proprie pretese.
---------------
... per la riforma della
sentenza 11.07.2015 n. 1114 del TAR Piemonte,
Torino, Sez. II.
...
1.– La questione all’esame del Collegio attiene alla natura
dei poteri che l’amministrazione può esercitare a seguito di
una azione proposta da un terzo leso da una attività posta
in essere da altro privato a seguito di segnalazione
certificata di inizio attività.
...
3.– Nel merito è necessario stabilire se è corretta
l’interpretazione, seguita dal primo giudice, secondo cui il
potere inibitorio dell’amministrazione, su denuncia del
terzo, può essere esercitato anche oltre il termine di
trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19 della legge
n. 241 del 1990.
4.– Il suddetto art. 19 dispone che l’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della sua
presentazione all’amministrazione competente.
Il comma 3 di prevede che l’amministrazione competente, in
caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti
per lo svolgimento dell’attività oggetto di SCIA, «nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni».
La stessa norma aggiungeva che: «è fatto comunque salvo
il potere dell'amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies 21-nonies» della stessa legge 241. Il comma
6-bis dispone che «nei casi di Scia in materia edilizia,
il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 è ridotto a trenta giorni».
Il comma 4 prevedeva che: «decorso il termine per
l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del
comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all'amministrazione è
consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente».
L’ art. 25, comma 1, lett. b-bis), del decreto-legge
12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla
legge 11.11.2014, n. 164, ha modificato quest’ultimo inciso,
disponendo che «è fatto comunque salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni
in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies, nei casi di cui al comma 4 del presente articolo».
Il richiamato comma 4, anch’esso modificato, prevede che
decorso il termine per l’esercizio dei poteri inibitori «all’amministrazione
è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente».
La legge n. 124 del 2015 ha nuovamente modificato il comma
4, disponendo che decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti inibitori «l'amministrazione competente
adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma
3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo
21-nonies». Quest’ultima norma è stata anch’essa
modificata dall’art. 6 della legge n. 124 del 2015, il quale
ha previsto che il provvedimento illegittimo «può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
Il comma 6-ter, introdotto dall’ art. 6, comma 1, lett. c),
del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla l. 14.09.2011, n. 148, dispone che: «La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
Il richiamo anche al terzo comma dell’art. 31 implica che il
giudice amministrativo «può pronunciare sulla fondatezza
della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di
attività vincolata o quando risulta che non residuano
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non
sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere
compiuti dall’amministrazione».
5.– La non chiarezza del vigente quadro normativo ha posto
le questioni –non risolte dal legislatore (cfr. Consiglio di
Stato, comm. spec.,
parere 30.03.2016, n. 839)– relative al tempo
dell’azione esperibile dal terzo e al tipo di potere che il
terzo stesso può “sollecitare”.
In relazione al tempo, non è perfettamente adattabile lo
schema dell’azione avverso il silenzio inadempimento a
quella proposto dal terzo nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone
entro il termine di un anno dalla conclusione del
procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo
titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di
un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua
istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento
si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a
decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un
interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti
sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa.
Non è, pertanto, a conoscenza “diretta”
dell’andamento procedimentale della vicenda. Ne consegue che
il termine decorre da quando il terzo ha avuto piena
conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio
nella sua sfera giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo
orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche
nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o
sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene
preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la
condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che
devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela
amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame,
si connota in modo peculiare perché:
i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e
dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado”
che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di
“secondo grado”;
ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo,
ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò
diversamente da quanto accade in presenza di un “normale”
potere di autotutela che si connota per la sussistenza di
una discrezionalità che attiene non solo al contenuto
dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in
quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di
liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del
terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza
limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle
posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di
azione verrebbero frustrate le ragioni della
liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo
dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti
dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe
essere destinatario di atti amministrativi inibitori
dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela
costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il
privato che ha presentato la SCIA, in quanto
l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che
legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in
particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario
dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le
esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può
comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le
proprie pretese.
6.– Applicando le regole sopra esposte alla fattispecie
all’esame del Collegio ne discende la fondatezza
dell’appello.
L’appellante ha presentato la SCIA il 31.01.2014 e il terzo
ha diffidato l’amministrazione ad esercitare i propri poteri
il successivo 5 giugno. La fattispecie sostanziale si è,
pertanto, perfezionata prima dell’entrata in vigore del
decreto-legge n. 133 del 2014, con conseguente applicazione
della disciplina vigente in quel dato momento.
Chiarito ciò, la Sezione rileva come l’azione del terzo non
poteva ritenersi finalizzata alla sollecitazione di poteri
inibitori bensì di autotutela. Il primo giudice avrebbe,
pertanto, dovuto, alla luce del quadro normativo riportato,
qualificare correttamente l’azione e condannare
l’amministrazione ad iniziare il procedimento di “secondo
grado” finalizzato a stabilire la sussistenza dei
presupposti per l’adozione del provvedimento richiesto dal
terzo, senza valutare, in ragione della natura discrezionale
dell’attività, la fondatezza della pretesa azionata.
7.– Alla luce di quanto esposto, l’appello è fondato nei
limiti indicati, senza che sia necessario esaminare l’altro
motivo proposto.
8.– La fase esecutiva successiva a questo giudizio impone
all’amministrazione di dare esecuzione alla presente
sentenza mediante l’inizio di un procedimento di autotutela
amministrativa finalizzato a verificare non soltanto
l’asserita illegittimità dell’attività posta in essere
dall’appellante ma anche la sussistenza degli ulteriori
presupposti costituiti dalla sussistenza di un interesse
concreto e attuale all’esercizio dei poteri in esame e dalla
mancanza di un legittimo affidamento dell’appellante stesso.
9.– La particolarità dell’esito del presente giudizio che,
pur accogliendo l’appello, impone comunque
all’amministrazione di iniziare il procedimento di
autotutela, unitamente alla non chiarezza del complessivo
quadro normativo, giustifica l’integrale compensazione tra
le parti delle spese di entrambi i gradi giudizio (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.11.2016 n. 4610 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, Scia contestabile ma solo entro 30 giorni.
Il Tar Marche: per interesse pubblico autotutela entro 18
mesi.
Nuovi limiti per l'impugnazione della Scia in edilizia. Alla
luce dei nuovi dettami normativi la documentazione della
Scia può essere contestata entro 30 giorni. Per motivi di
interesse pubblico il termine per agire in autotutela è di
18 mesi.
Questo è quanto si legge nella
sentenza
07.10.2016 n. 546
del TAR Marche in
merito alle tempistiche per l'impugnativa della
segnalazione certificata di inizio attività.
IL FATTO: venivano realizzati su un appezzamento
terriero degli immobili abusivi, realizzati
con Scia. Il confinante del soggetto
che aveva fatto i lavori sosteneva che il comune
dovesse procedere all'accertamento degli
abusi ed esercitare i suoi poteri repressivi.
I giudici, dopo aver accertato che il comune
aveva agito secondo le regole e che gli interventi
erano legittimi , ha spiegato che, in base
alle regole vigenti, erano scaduti i termini per
eventuali azioni. I giudici del Consiglio di stato
hanno ricordato che, in base all'articolo 19,
comma 3, della legge n. 241/1990, il comune
ha 30 giorni per fermare l'attività intrapresa
dopo il deposito della Scia se gli interventi non
rispettano quanto dichiarato nei documenti.
La Scia, sottolinea palazzo Spada, è un atto
privato perché riguarda attività liberalizzate,
quindi non è possibile l'impugnativa diretta. A
fronte di una Scia ritenuta illegittima, quindi,
i controinteressati possono
solamente sollecitare l'esercizio
dei poteri di controllo da
parte dell'amministrazione
competente, la quale è tenuta
a compiere le verifiche
necessarie al fine di accertare la legittimità
dell'attività o dell'intervento oggetto di denuncia
o segnalazione (art. 19, comma 6-ter,
legge n. 241/1990).
In altri termini, in base
alla normativa vigente, tre le ipotesi possibili,
a fronte di una segnalazione certificata di
inizio attività rispetto alla quale è decorso il
termine per l'esercizio, da parte dell'amministrazione, dei poteri inibitori «ordinari»:
esercizio di poteri di autotutela, esercizio di
poteri sanzionatori per dichiarazioni mendaci
ed esercizio dei poteri di vigilanza e inibitori
in materia urbanistica.
Il potere di autotutela deve intendersi come
potere sui generis, in quanto si differenzia
dalla consueta autotutela decisoria, non implicando
un'attività di secondo grado insistente
su un precedente provvedimento amministrativo,
e pur condividendo, con l'autotutela
classica, i presupposti e il procedimento. In
particolare, il ricorso all'autotutela (mediante
annullamento d'ufficio), sia classica sia sui
generis, può avvenire solamente in presenza
delle condizioni di cui all'articolo 21-nonies
della legge n. 241/1990 , ovvero sussistendo
le ragioni di interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte
dal decreto legge 12.09.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, sussiste uno sbarramento
temporale all'esercizio del potere di
autotutela, fissato in «18 mesi
dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione
o di attribuzione di vantaggi
economici»
(articolo ItaliaOggi del 14.10.2016
- tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
III.1. Ciò posto, reputa il Collegio che non sussiste
alcun silenzio inadempimento dell’Amministrazione rispetto
alla diffida del 27.11.2015, sia perché il Comune ha
ragionevolmente argomentato i motivi del proprio diniego
nella citata nota prot. 36505 del 21.12.2015, sia perché
quest’ultima non costituisce violazione o elusione
dell’obbligo di provvedere nel senso prospettato dal
ricorrente e ciò per le seguenti ragioni.
- Occorre in primo luogo precisare che con tale ultima
diffida il ricorrente ha richiesto all’Amministrazione, per
le opere indicate nelle segnalazioni/denunce n. 258/2013 e
n. 167/2014, l’esercizio dei poteri inibitori ex art. 19,
commi 3, 4, 6-bis della legge n. 241/1990, nonché di
autotutela ex art. 21-nonies della medesima legge, previe le
opportune e necessarie verifiche e imponendo, altresì,
l’attuazione dell’ordinanza dirigenziale n. 43442 del
10.12.2008; entro tali limiti, pertanto, va accertata la
sussistenza dell’obbligo di provvedere in capo al Comune di
Osimo.
- Come è noto, la nuova formulazione
dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, pur
prevedendo un regime dei poteri di intervento dell’autorità
pubblica modificato rispetto al passato, conferma il potere
dell’Amministrazione di inibire motivatamente l’attività
intrapresa con SCIA e rimuovere gli effetti dannosi in caso
di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui
al comma 1 del medesimo articolo, il tutto entro sessanta
giorni (trenta in materia edilizia).
Ciò che cambia è la natura di atto privato della
segnalazione certificata di inizio di attività, trattandosi
di attività ormai liberalizzata, dal che consegue
l’affermazione circa la “non impugnabilità” diretta
della SCIA (art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990).
A fronte di una SCIA ritenuta illegittima, quindi, i
controinteressati possono solamente sollecitare l’esercizio
dei poteri di controllo da parte dell’Amministrazione
competente, la quale è tenuta a compiere le verifiche
necessarie al fine di accertare la legittimità dell’attività
o dell’intervento oggetto di denuncia o segnalazione (art.
19, comma 6-ter, cit.).
Inoltre, “decorso il termine per l'adozione dei
provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di
cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta
comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in
presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”
(art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990).
In altri termini, in base alla normativa
vigente, sono tre le ipotesi possibili, a fronte di una
segnalazione certificata di inizio di attività rispetto alla
quale è decorso il termine per l’esercizio, da parte
dell’Amministrazione, dei poteri inibitori “ordinari”:
esercizio di poteri di autotutela (art. 21-nonies della
legge n. 241/1990); esercizio di poteri sanzionatori per
dichiarazioni mendaci (art. 19, comma 3, seconda parte e
art. 21, comma 1, della legge n. 241/1990); esercizio dei
poteri di vigilanza e inibitori in materia urbanistica (art.
19, comma 6-bis, e art. 21, comma 2, della legge n.
241/1990).
- Il potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 4 cit. deve intendersi come potere
sui generis, in quanto si differenzia dalla consueta
autotutela decisoria, non implicando un’attività di secondo
grado insistente su un precedente provvedimento
amministrativo, e pur condividendo, con l’autotutela
classica, i presupposti e il procedimento
(TAR Bolzano-Trentino-Alto Adige, sez. I, 18.07.2016, n.
233; TAR Firenze–Toscana, sez. III, 08.06.2016, n. 960).
In particolare, il ricorso all’autotutela
(mediante annullamento d’ufficio) -sia classica che sui
generis- può avvenire solamente in presenza delle
condizioni di cui all’art. 21-nonies della legge n.
241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte dal
decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164,
sussiste uno sbarramento temporale all’esercizio del
potere di autotutela, fissato in “diciotto mesi dal
momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o
di attribuzione di vantaggi economici”. Il Consiglio di
Stato ha già avuto modo di chiarire che, pur se tale norma
non sia applicabile ratione temporis, in ogni caso,
essa rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del
sistema degli interessi rilevanti
(Consiglio di Stato, sez. VI, 10.12.2015, n. 5625 e
31.08.2016, n. 3762).
- Oltre ai limiti legislativamente fissati,
il ricorso all’autotutela incontra l’ulteriore limite della
discrezionalità amministrativa.
Anche a seguito della riforma dell’art. 19
della legge n. 241/1990, le regole cui è assoggettato il
potere amministrativo di controllo e di
inibizione-conformazione, decorsi sessanta (o trenta) giorni
dalla presentazione della SCIA, sono sempre e comunque
quelle di cui al primo comma dell’art. 21-nonies; ciò in
quanto il potere inibitorio originario è comunque esaurito
per decorso del termine di legge, sicché detto potere -sia
che riviva per effetto dell’autonoma iniziativa
dell’Amministrazione, sia che riviva per effetto dell’azione
sollecitatoria del terzo e, quindi, del giudice
amministrativo- resta nella sfera di disponibilità
dell’Amministrazione solo a particolari condizioni
(TAR Napoli-Campania, sez. IV, 05.04.2016, n. 1658).
- Facendo applicazione, al caso in esame, dei suesposti
principi, se ne ricava l’infondatezza delle censure con cui
il ricorrente lamenta l’elusione dell’obbligo di provvedere
ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 con
riferimento alla nota prot. 36505 del 21.12.2015, dal
momento che tale obbligo, per i motivi innanzi detti, non
sussiste in capo all’Amministrazione e può essere esercitato
solo in presenza di determinate condizioni.
- Non può dirsi neppure che il Comune di Osimo abbia violato
o eluso l’obbligo di provvedere rispetto all’esercizio dei
poteri inibitori sine die previsti per il caso di
dichiarazioni false o mendaci oppure rispetto all’esercizio
dei poteri sanzionatori conseguenti alla vigilanza
sull’attività edilizia, di cui all’art. 21, comma 2, della
legge n. 241/1990.
Si osserva, infatti, che le incompletezze e le incongruità
segnalate dal ricorrente nella diffida del 27.11.2015
rispetto alle segnalazioni n. 258/2013 e n. 167/2014 non
sono tali da determinare una falsa rappresentazione della
realtà o da trarre in inganno l’Amministrazione;
quest’ultima, invece, da un semplice raffronto tra la
documentazione già in suo possesso e la documentazione
allegata alle segnalazioni certificate di inizio attività di
cui si discute, avrebbe potuto agevolmente cogliere sin nei
primi trenta giorni dalla loro presentazione, le lamentate
difformità e omissioni, tanto più che esse attengono, per lo
più, a profili di tipo formale o documentale.
In particolare, le asserite incompletezze relative alla SCIA
n. 258/2013 potevano essere riscontrate dal raffronto tra la
tavola n. 3 allegata alla domanda di permesso di costruire
n. 42/2007 e la tavola unica allegata alla stessa SCIA n.
258/2013, entrambe in possesso dell’Amministrazione.
Analogamente, le incompletezze rilevate dal ricorrente
riguardo alla SCIA n. 167/2014 sono relative all’omessa
menzione di atti anch’essi già in possesso
dell’Amministrazione o addirittura adottati dallo stesso
Comune di Osimo, nonché di prescrizioni edilizie e
regolamentari la cui eventuale violazione poteva essere
comunque verificata dall’Ente sulla base della
documentazione prodotta; del pari, l’omessa indicazione,
nella tavola unica allegata alla suddetta SCIA n. 167/2014,
della distanza del fabbricato dalla strada privata, era
verificabile dal Comune, in quanto già indicata nella tavola
unica allegata alla SCIA n. 258/2013.
Né il ricorrente, nella propria diffida, ha allegato atti,
fatti o circostanze ulteriori su cui l’Amministrazione
avrebbe potuto aprire una nuova istruttoria, essendosi
limitato a riproporre le medesime questioni su cui già più
volte il Comune di Osimo aveva provveduto a dare risposta e
fatte oggetto di precedenti contenziosi.
III.2. In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto. |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di
regolamento in tema di individuazione dei procedimenti
oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio-assenso e
comunicazione.
I punti principali del parere del Consiglio
di Stato sullo schema di “decreto scia”.
Consiglio di Stato, Commissione speciale,
parere 04.08.2016 n. 1784, reso sullo "Schema
di decreto legislativo in materia di individuazione di
procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione
certificata di inizio attività (Scia), silenzio-assenso e
comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi
applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124".
1. La delega
Lo schema di decreto sottoposto all’esame costituisce
attuazione della delega conferita dell’articolo 5 della
legge 07.08.2015, n. 124 per la precisa individuazione
dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di
inizio attività o di silenzio assenso, ai sensi degli
articoli 19 e 20 della legge 07.08.1990, n. 241, nonché
di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa
e di quelli per i quali è sufficiente una comunicazione
preventiva, sulla base dei principi e criteri direttivi
desumibili dagli stessi articoli, dei principi del diritto
dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di
servizi e dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.
La seconda parte di tale delega, concernente la disciplina
generale della segnalazione certificata di inizio attività,
era già stata attuata con il decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. L’art. 1, comma 2 di detto provvedimento
stabilisce che “Con successivi decreti legislativi, ai sensi
e in attuazione della delega di cui all’articolo 5 della
legge n. 124 del 2015, sono individuate le attività oggetto
di procedimento di mera comunicazione o segnalazione
certificata di inizio di attività (di seguito «SCIA») od
oggetto di silenzio-assenso, nonché quelle per le quali è
necessario il titolo espresso. Allo scopo di garantire
certezza sui regimi applicabili alle attività private e di
salvaguardare la libertà di iniziativa economica, le
attività private non espressamente individuate ai sensi dei
medesimi decreti o specificamente oggetto di disciplina da
parte della normativa europea, statale e regionale, sono
libere”.
2. L’oggetto del decreto legislativo
Lo schema di decreto si compone di 6 articoli e
dell’allegata tabella A.
Il testo compie una duplice opera di semplificazione: in
primo luogo introducendo regimi meno restrittivi in tali
materie; in secondo luogo dando attuazione alla
concentrazione dei regimi di cui all’art. 19-bis della legge
n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. c)
del decreto legislativo n. 126 del 2016.
Il rapporto tra la tabella e il testo è regolato dall’art. 2
del presente decreto, il quale stabilisce le corrispondenze
tra le previsioni tabellari e la disciplina normativa
applicabile, nonché l’applicazione dell’art. 19-bis della
legge n. 241 del 1990 alle ipotesi in cui per lo svolgimento
dell’attività siano necessari diversi atti di assenso,
segnalazioni o comunicazioni.
La tabella effettua una ricognizione della disciplina delle
attività private in materia di edilizia, ambiente e
commercio, distinguendo tra SCIA, SCIA unica, comunicazione,
autorizzazione ed eventuale silenzio-assenso.
3. Le questioni generali
Le questioni ancora aperte
Il decreto, inoltre, non risolve alcune criticità relative
al raccordo con la legge 241 del 1990, in particolare: quale
sia la decorrenza del termine di diciotto mesi previsto
dall’art. 21-nonies, comma 1; se il limite temporale massimo
di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi anche
all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci
ex art. 21, comma 1; quale sia la esatta delimitazione della
fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art.
21-nonies, comma 2-bis. Il Consiglio di Stato suggerisce,
pertanto, al Governo di intervenire su tali punti.
Si osserva, altresì, come risulta ancora non esercitata
un’ultima parte della delega: quella relativa alla
disciplina generale del silenzio assenso e della
comunicazione preventiva, di cui alla parte finale del comma
1 dell’articolo 5 della legge n. 124 del 2015.
I problemi affrontati e le relative soluzioni
Il decreto mira a risolvere i seguenti problemi:
- difficoltà a comprendere, da parte degli operatori
economici, le modalità di svolgimento del procedimento
amministrativo per l’inizio di un’attività, con particolare
riferimento agli adempimenti a carico del richiedente e di
quelli a carico della PA;
- scarsa certezza del diritto dovuta alla mancanza di un
quadro di regole chiare, tassative e comprensibili per gli
operatori chiamati ad applicarle;
- sdoppiamenti procedurali e oneri non previsti;
- esistenza di regimi differenziati da Regione a Regione;
- mancata attuazione delle direttive e dei principi
comunitari;
- molteplicità di atti presupposti che hanno vanificato la
Scia;
- ambiguità ancora esistenti nel regime della SCIA.
Le soluzioni si articolano su quattro piani:
3.1 La semplificazione normativa
3.2 La fase attuativa della riforma: centralità di
monitoraggio e VIR
3.3 Concentrazione dei regimi amministrativi
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia, ambiente,
commercio
3.1 La semplificazione normativa
La scelta del legislatore delegato nella complessa opera di
individuazione dei procedimenti di regolazione delle
attività economiche private è stata quella di demandare a
una tabella l’elencazione di quattro elementi:
a) tipo di attività, attraverso specificazioni progressive;
b) regime amministrativo;
c) concentrazione di regimi amministrativi;
d) riferimenti normativi.
Il Consiglio di Stato commenta favorevolmente la innovativa
tecnica utilizzata, che unisce esigenze di
riordino/codificazione a esigenze di semplificazione
sostanziale delle materie interessate, che definisce una
tecnica di “codificazione soft”. Benché non appartenga
letteralmente alla classe dei testi unici e non copra tutte
le materie, il provvedimento in esame realizza una raccolta
di tutte le discipline vigenti dell’attività privata nei
settori interessati.
È sempre più forte, tanto a livello
scientifico quanto nella pubblica opinione, il convincimento
che l’unificazione “orizzontale” della legislazione vigente
sia il principale strumento per reagire all’abnorme aumento
del carico normativo, imposto da una società sempre più
complessa e dall’avvento di cambiamenti strutturali che non
possono restare senza regolazione.
Il parere sottolinea come
il censimento effettuato attraverso la tabella e il rapporto
tabella/testo, in cui le norme si adattano al contenuto
della tabella e ne garantiscono l’inserimento nel sistema,
non ha solo il merito di contribuire a dare certezza del
diritto, ma anche quello di semplificare e liberalizzare,
laddove possibile.
Si rileva, invece, criticamente, l’assenza di una effettiva
Analisi di impatto della regolazione, con adeguato supporto
di dati quantitativi: tale carenza, però, potrà essere
effettuata in progress.
3.2 La fase attuativa della riforma:
centralità di monitoraggio e VIR
In più occasioni nell’esame della riforma Madia il Consiglio
di Stato ha sottolineato la rilevanza cruciale della fase
attuativa di un intervento che mira a un cambiamento
profondo nell’amministrazione pubblica del Paese. Strumento
essenziale di tale fase è il monitoraggio, del funzionamento
delle norme, volto a verificarne l’idoneità a perseguire gli
obiettivi fissati dalla legge: ciò rende necessaria anche
una verifica di impatto successiva all’entrata in vigore
delle nuove norme (VIR).
Il parere individua sul piano tecnico-normativo quattro
profili da osservare con grande attenzione:
- la possibilità di limitare o ampliare le semplificazioni
previste nella tabella attraverso meri atti amministrativi;
- l’aggiornamento della tabella in relazione alle
disposizioni legislative intervenute successivamente o alla
necessità di completare la ricognizione delle attività;
- la regolazione di nuove attività, in particolare nel
commercio, che, altrimenti, sarebbero libere, ai sensi
dell’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30.06.2016,
n. 126.
- l’analisi della fattibilità dei regimi di semplificazione
introdotti.
Il Consiglio di Stato raccomanda di considerare
l’individuazione e l’inquadramento giuridico delle attività
private come un work in progress, sensibile, oltre che alle
novità normative, ai mutamenti reali, pertanto destinato ad
essere rivisto ed implementato continuativamente.
3.3 Concentrazione dei regimi
amministrativi
Il Consiglio di Stato rileva con favore che il Governo,
dando seguito al suo precedente parere (n. 839, sulla cd.
SCIA 1), ha optato per un modello di “concentrazione
procedimentale”, disciplinandolo al massimo livello,
introducendo un art. 19-bis alla l. n. 241, tramite il
d.lgs. n. 126 del 30.06.2016.
Il presente parere analizza approfonditamente il rapporto
tra l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e i commi 2 e 3
del successivo art. 19-bis, che introduce la concentrazione
dei regimi amministrativi rispettivamente per le ipotesi di:
- attività che necessitano di altre SCIA, comunicazioni,
attestazioni, asseverazioni e notifiche (cd. SCIA unica);
- attività in cui si innestano sul modello della SCIA anche
provvedimenti propedeutici (atti di assenso comunque
denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni,
ovvero verifiche preventive).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto di distinguere nettamente
le due fattispecie di cui all’art. 19-bis, il cui unico
elemento comune è dato dall’integrazione della SCIA con
altre fattispecie legittimanti.
La SCIA unica di cui all’art. 19-bis, comma 2, è in rapporto
di specialità unilaterale per aggiunta con la SCIA pura e ad
essa si applica la disciplina di cui all’art. 19.
La figura (da non confondere con la precedente SCIA unica)
di cui all’art. 19-bis, comma 3, è invece sui generis,
poiché il meccanismo della SCIA (e, quindi, il riferimento
all’art. 19) vale soltanto all’inizio del procedimento,
ossia nella fase di presentazione della SCIA, e nella sua
fase finale, ovvero una volta ottenute tutti gli atti di
assenso, da conseguire tramite conferenza di servizi. Tra
questi due momenti, si inserisce un regime provvedimentale
tradizionale.
Nel parere si invita il Governo a chiarire che, quando nella
tabella si fa riferimento alla SCIA unica, si intende la
fattispecie di cui all’art. 19-bis, comma 2, e quale sia
allora l’ambito di applicazione dell’art. 19-bis, comma 3. Va
anche chiarito il regime delle cd. “autorizzazioni plurime”,
in cui occorrono più autorizzazioni ma non vi è alcun
elemento procedimentale della SCIA.
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia,
ambiente, commercio
Un sistema di titoli edilizi semplificato: rapporti tra CILA,
SCIA e SCIA edilizia
Il parere si sofferma sul nuovo sistema dei titoli edilizi,
articolato su cinque livelli (invece dei sette attuali): 1)
interventi in attività edilizia libera, senza adempimenti;
2) interventi in attività libera, ma che richiedono la CILA;
3) interventi assoggettati a SCIA; 4) interventi
assoggettati a permesso di costruire; 5) interventi per i
quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire
in alternativa alla SCIA.
Il nuovo sistema è caratterizzato dalla centralità della
CILA, ragion per cui il Consiglio di Stato suggerisce la
costruzione di una norma di carattere generale relativa
all’istituto, che, da un lato ne evidenzi la linea di
continuità con il modello teorico rappresentato dalla SCIA,
dall’altro individui i tratti innovativi della disciplina,
con particolare riferimento ai poteri sanzionatori,
distinguendo le ipotesi di irregolarità (CILA mancante,
incompleta o irregolare, ovvero lavori eseguiti in
difformità), da quella di abusi edilizi (opere eseguite in
regime di CILA invece che di permesso di costruire o di
SCIA).
Ulteriore raccomandazione riguarda il coordinamento tra SCIA
edilizia e SCIA ordinaria: non si è in presenza di due
fattispecie diverse, ma dell’applicazione di un modello
unico (quello della SCIA) anche alla materia edilizia.
La questione degli abusi edilizi
Sugli abusi edilizi, va chiarito che, nei casi in cui
un’opera che avrebbe richiesto un permesso di costruire o
una SCIA è stata eseguita dall’interessato sotto il regime
di CILA, l’abuso non viene sanato con le sanzioni relative
alla CILA.
Diverso è il caso in cui l’opera abusiva sia stata oggetto
di SCIA e non di CILA: in tal caso, salvo espressa
disposizione del legislatore, non si ravvisano ragioni per
non applicare integralmente il regime dell’art. 19 della l.
n. 241, ivi compreso il riferimento al meccanismo dell’art.
21-nonies.
La rilevanza del glossario unico in materia
edilizia
Tra gli elementi di semplificazione burocratica introdotti
appare meritevole di segnalazione la previsione di un
glossario unico, che costituirà il parametro di riferimento
per l’attività di cittadini ed imprese in questo settore,
caratterizzato spesso da oscurità ed eccesso di tecnicismo.
Al riguardo il Consiglio di Stato raccomanda una maggiore
definizione sul piano dei contenuti e la fissazione di un
termine breve per la sua adozione, con integrale superamento
di tutti gli eventuali glossari transitori approvati in sede
locale.
La riforma della bonifica ambientale
In materia di ambiente, il Consiglio di Stato apprezza la
nuova disciplina della bonifica volontaria da parte del
soggetto estraneo alla contaminazione, evidenziandone le
esternalità positive sul ciclo economico e invitando, anzi,
il legislatore a intervenire per incentivare il ricorso a
tale istituto, incoraggiandone l’uso da parte degli
interessati.
I margini di ulteriore semplificazione in materia
di commercio
In materia di commercio l’intervento appare piuttosto
limitato, residuando sensibili margini di semplificazione,
pur considerando che tale materia è spesso coinvolta da
importanti profili di discrezionalità amministrativa.
4. Le materie non contemplate nel decreto:
l’invito a proseguire con i decreti correttivi e
integrativi. Le attività “libere”
Il decreto riguarda solo le materie dell’edilizia,
dell’ambiente, del commercio, della pubblica sicurezza
(materia, quest’ultima, che però non è oggetto della
individuazione dei procedimenti di cui alla Tabella A),
mentre la delega copre l’intero ordinamento delle funzioni
amministrative.
Premesso che il completamento dell’operazione non può che
avvenire con fonte primaria, il Consiglio di Stato invita il
Governo a non interrompere l’opera di ricognizione della
disciplina degli altri settori di attività private,
specialmente quelle oggetto di libertà di iniziativa
economica, considerando l’importanza di un progressivo
completamento della riforma tramite decreti integrativi e
correttivi, entro dodici mesi dalla entrata in vigore dello
schema in esame, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge
delega.
Medio tempore, per prevenire incertezze applicative, il
parere fornisce un’interpretazione chiarificatrice del
citato art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. Tale clausola di chiusura è applicabile ai
(soli) settori oggetto del decreto e non anche ai settori
rimasti al di fuori di tale opera di riordino.
Resta invece fermo che, nei tre settori interessati dalla
tabella A (“Commercio”, “Edilizia” e “Ambiente”), salvo
interventi correttivi, le attività non comprese nella
tabella medesima devono considerarsi effettivamente
“libere”.
5. Le questioni particolari
In materia edilizia si chiede al Governo la delimitazione
del potere delle Amministrazioni di escludere regimi di
semplificazione nelle zone di particolare pregio
archeologico, storico, artistico e paesaggistico, o di
ridurre il novero delle attività “libere”, poiché
considerate assimilabili a quelle previste dalla tabella.
In materia di ambiente si rimarca la doverosità
dell’intervento di bonifica, una volta che l’interessato
abbia attivato la procedura all’uopo prevista.
In materia di commercio, il parere rileva come la
classificazione delle attività contenuta nella tabella
risenta di un’impostazione giuridico-formale, che origina
dall’inquadramento di cui al d.lgs. n. 114/1998. Ciò implica
la possibilità che le nuove attività, generate dal mercato,
sfuggano a questa classificazione, ricadendo nella norma di
chiusura contemplata dall’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 30.06.2016, n. 126.
Il parere si conclude con alcuni rilievi, formali e
sostanziali, sulle indicazioni contenute nella tabella A
(commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Comune ha violato le garanzie previste
dall’art. 19, comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza
di una s.c.i.a. illegittima, consente certamente
all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine
perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia)
previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il
procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere
di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi
e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili
di illegittimità dell’attività assentita per effetto della
s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi
in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e,
comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a
sostegno del provvedimento repressivo.
Invero, la d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento
espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione
legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di
autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate
dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.
Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto dalla legge
per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve
considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento
repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le
garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21-nonies l. n.
241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio.
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Con ricorso, integrato da motivi aggiunti, la società
ricorrente ha impugnato gli atti con i quali il Comune di
Venezia ha rimosso in autotutela gli effetti legittimanti
della s.c.i.a. presentata, in data 18.03.2015, in relazione
all'attività di affittacamere esercitata in Venezia, Via...
n. ..., e le ha intimato la chiusura dell’attività
ricettiva.
Resiste il Comune di Venezia contrastando le avverse
pretese.
Il ricorso e i motivi aggiunti meritano accoglimento per una
duplice e assorbente ragione.
In primo luogo perché gli atti impugnati, ovvero il
cd. annullamento in autotutela della s.c.i.a. e la
successiva diffida alla chiusura dell’attività di
affittacamere, diversamente da quanto sostenuto dal Comune
nei propri scritti difensivi, non appaiono fondati sui
verbali di accertamento conseguenti ai sopralluoghi
effettuati dalla Polizia Municipale in data 9 luglio e
26.11.2015 (neppure menzionati nei provvedimenti impugnati),
bensì su violazioni minori, molte delle quali risalenti al
2007.
Vi è dunque una sfasatura tra la struttura argomentativa dei
provvedimenti impugnati, che non risultano incentrati sulle
violazioni riscontrate dalla Polizia Municipale in data 9
luglio e 26.11.2015, e le difese svolte in giudizio
dall’Ente Locale, che cercano di giustificare l’operato del
Comune richiamando le violazioni accertate in esito a tali
sopralluoghi.
In secondo luogo -e il rilievo è dirimente, comunque
s’interpretino i provvedimenti impugnati- perché l’atto del
05.02.2016, che ha rimosso in autotutela gli effetti
legittimanti della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente il
18.03.2015, non contiene una puntuale e specifica
motivazione in ordine alle ragioni d’interesse pubblico,
attuale e concreto, diverse dal ripristino della legalità
violata, poste a fondamento dell’esercizio del potere di
autotutela decisoria.
Il Comune ha violato le garanzie previste dall’art. 19,
comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza di una
s.c.i.a. illegittima, consente certamente
all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine
perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia)
previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il
procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere
di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi
e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili
di illegittimità dell’attività assentita per effetto della
s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi
in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e,
comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a
sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile quoad effectum al rilascio del
provvedimento espresso), che può essere rimosso, per
espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio
del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle
prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n.
241/1990. Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto
dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi
presupposti, deve considerarsi illegittima l’adozione di un
provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela
adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti
dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990 per l’esercizio del
potere di annullamento d’ufficio (cfr., in questi termini,
Cons. Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780; TAR Lazio-Roma,
08.01.2015, n. 192; TAR Veneto, Sez. III, 10.09.2015, n.
958).
All’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti consegue
l’annullamento degli atti impugnati (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 26.07.2016 n. 893 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni
thrilling. Inibitoria anche con Dia-Scia
consolidata. Il Tar Lombardia accoglie il
ricorso di un proprietario di immobile.
Anche se la Dia-Scia per i lavori si è
consolidata, il vicino di casa può sempre
ottenere l'inibitoria sul progetto di
ristrutturazione della costruzione contigua
alla sua se ha agito entro 60 giorni dal
momento in cui si è reso conto che il titolo
edilizio del confinante risulta viziato,
dopo essersi procurato le relativa pratiche.
È quanto emerge dalla
sentenza 15.04.2016 n. 735,
pubblicata dalla II Sez. del TAR Lombardia.
Lesione e consapevolezza.
Accolto il ricorso del proprietario
dell'immobile preoccupato per le intenzioni
del vicino, che punta ad abbattere e
ricostruire un fabbricato. Secondo il
confinante il progetto contiene violazioni
alle norme sulle distanze minime tra
fabbricati oltre che delle stesse
disposizioni urbanistiche.
Per il Comune, invece, niente da segnalare:
«decorsi i termini a seguito della
presentazione della documentazione
integrativa», spiega l'ufficio tecnico,
la Dia-Scia ha ormai consolidato i suoi
effetti. E invece no, perché è l'articolo
19, comma 6-ter, legge 241/1990 a imporre
all'amministrazione anzitutto di riscontrare
l'istanza che proviene dal terzo titolare di
un situazione giuridica differenziata, come
è il vicino di casa che vuole bloccare il
lavori.
Ma soprattutto il Comune deve anche bloccare
l'opera se risulta che il confinante ha
comunque agito entro sessanta giorni da
quando ha avuto notizia dei profili lesivi
dell'intervento: altrimenti il terzo
subirebbe una diminuzione della tutela
accordatagli rispetto a chi sia leso da un
permesso di costruire.
Canale unico.
È vero, il riferimento ai 60 giorni di tempo
non risulta dal comma 3-bis dell'articolo 19
della legge sulla trasparenza: si tratta di
un'interpretazione sistematica perché la
diffida prevista dalla norma costituisce
l'unico «canale» percorribile
dall'interessato al fine di ottenere la
tutela dal giudice in un secondo momento.
Obbligo di motivazione.
E se invece sono passati più di due mesi? Il
terzo può sempre chiedere all'ente locale di
agire in autotutela. Anche in questo caso
l'amministrazione è tenuta a pronunciarsi
sull'istanza del confinante spiegando i
motivi per i quali non intende esercitare il
potere di «rimangiarsi» il nulla osta
all'opera «incriminata».
Spese di giudizio compensate per la novità
della questione (articolo ItaliaOggi
Sette del 13.06.2016).
---------------
MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si
rende necessario chiarire la portata delle
previsioni normative rilevanti nel presente
giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le
mosse proprio dalla sentenza di questa
Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto
conclusioni che il Collegio condivide e
ritiene di dover ribadire, e che tuttavia
non conducono all’esito sostenuto dal
controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività,
secondo quanto autorevolmente chiarito,
ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, “non
è un provvedimento amministrativo a
formazione tacita e non dà luogo in ogni
caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a
comunicare l’intenzione di intraprendere
un’attività direttamente ammessa dalla legge”
(Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione,
questa, che ha poi trovato piena conferma da
parte del legislatore, posto che l’attuale
articolo 19, comma 6-ter, primo periodo
della legge n. 241 del 1990 –introdotto
dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del
decreto legge 13.08.2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge
14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente
che “La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia
e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo
il decorso del termine normativamente
previsto per l’esercizio delle verifiche da
parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che,
una volta che il terzo sia venuto a
conoscenza del titolo, ormai consolidatosi
per mancato esercizio dei poteri inibitori,
lo stesso terzo disponga di sessanta giorni
di tempo per proporre impugnazione
giurisdizionale. E’ vero infatti che la
sussistenza, in tale ipotesi, di un atto
impugnabile era stata autorevolmente
sostenuta, sulla base del quadro normativo
allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15
del 2011, che aveva ravvisato un
provvedimento suscettibile di tutela
giurisdizionale demolitoria nel diniego
tacito di esercizio del potere inibitorio.
Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta
l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla
luce delle successive novità legislative e,
in particolare, di quanto ora disposto dal
richiamato articolo 19, comma 6-ter, della
legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “(...)
Gli interessati possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui
all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Previsione, questa, che come evidenziato
dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta
sostanzialmente l’impugnazione diretta della
DIA o della SCIA –non costituenti
provvedimenti amministrativi, neppure
impliciti– ma consente la sola tutela
giurisdizionale secondo il citato meccanismo
di cui all’art. 31”
(TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n.
126).
9. In tale quadro si colloca il tema della
tutela del soggetto che alleghi di essere
stato leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del
2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti
all’amministrazione nei confronti degli
interventi oggetto di una denuncia di inizio
di attività vanno esercitati entro il
termine normativamente prescritto, decorso
il quale il “consolidarsi” della
d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità
per il Comune di intervenire, se non
nell’esercizio dei poteri di autotutela
(Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai
pieno riscontro nell’attuale previsione del
comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990, come sostituito dall'articolo 6,
comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n.
124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio
del controllo sulla denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, “l'amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo
21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì
inapplicabile ratione temporis nel
presente giudizio, ma che ha sostanzialmente
codificato gli esiti del dibattito
giurisprudenziale sul punto. E ciò anche
avuto riguardo alla natura dei poteri
esercitati dall’amministrazione in
quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di
tipo inibitorio, ma subordinatamente al
riscontro dei presupposti per l’intervento
in autotutela (in coerenza con quanto già da
tempo autorevolmente chiarito da Cons.
Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n.
2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da
ritenere doveroso, e non soggetto al
ricorrere dei presupposti propri del potere
di autotutela, laddove la carenza dei
presupposti della d.i.a. sia denunciata dal
terzo, titolare di una posizione giuridica
qualificata e differenziata, ai sensi del
richiamato comma 6-ter del medesimo articolo
19.
E ciò
–come già affermato nella sentenza
richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore testuale
della previsione normativa richiamata a non
fare alcun riferimento al decorso del
termine per il “consolidarsi” della
denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato
nella sentenza n. 2799 del 2014– “laddove
dovesse ritenersi che il terzo, venuto a
conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del
termine per il compimento delle verifiche,
non possa chiedere l’esercizio dei poteri
inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei
confronti della tutela offerta
dall’ordinamento nei confronti di tale
soggetto.”
Questi, infatti, da un lato non disporrebbe
di alcun provvedimento impugnabile
(ostandovi il chiaro tenore del richiamato
comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro,
potrebbe solo invocare l’intervento in
autotutela, che è però esercitabile solo in
presenza di precisi presupposti, ulteriori
rispetto al mero riscontro
dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di
questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata
condivisa e ribadita da numerose successive
pronunce di primo grado (TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR
Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n.
1039).
In particolare, la giurisprudenza ha
evidenziato che “Una
tale interpretazione appare peraltro
obbligata secondo una lettura
costituzionalmente orientata delle norme
alla luce dei principi di pienezza ed
effettività della tutela giurisdizionale
sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti
giustificabile, rispetto all’intento di
garantire una tendenziale stabilità ai
titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio
che verrebbe imposto al diritto di azione
del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la
denuncia e la dichiarazione di inizio
attività costituiscano provvedimenti taciti
direttamente impugnabili, ammettendo solo
che i terzi interessati possano sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il
silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio
a tutela della propria sfera giuridica,
quando l’intervento di verifica risulti
dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse
differenziato e qualificato, il divieto di
prosecuzione dell’attività o l’inibitoria
deve potersi svolgere in modo pieno e senza
i limiti propri dell’autotutela avviata
d’ufficio.”
(così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui
accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone
all’amministrazione di esercitare pieni
poteri inibitori della denuncia di inizio di
attività, anche dopo il “consolidarsi”
del titolo edilizio, qualora sia a ciò
sollecitata da un terzo titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, occorre chiedersi se tale
soggetto possa sollecitare in qualunque
momento l’intervento dell’amministrazione
stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro
un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata
affrontata, sia pure sinteticamente, nella
richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come
correttamente rilevato, nel presente
giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato
esplicitamente evidenziato che il terzo che
si assumeva leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata dal confinante si era
rivolto all’amministrazione entro sessanta
giorni dal momento in cui, accedendo agli
atti della pratica edilizia, aveva preso
piena conoscenza del contenuto della d.i.a.
e delle esatte caratteristiche
dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente
ritenuto rilevante la circostanza che
l’istanza volta a provocare l’esercizio del
potere inibitorio fosse intervenuta entro il
suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta
pronuncia al momento della presentazione
dell’istanza rivolta all’amministrazione non
è stato condiviso da un altro orientamento
giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il
terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.)
potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo
all’amministrazione, e ottenere comunque il
pieno esercizio dei poteri inibitori, senza
necessità del riscontro dei presupposti
propri dell’autotutela (in questo senso: TAR
Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia
sulla base del tenore testuale del comma
3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990 –il quale non indica testualmente
alcun limite temporale per la diffida
diretta all’amministrazione– sia in
considerazione della circostanza che la
possibilità di un intervento “a tutto
campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in
presenza di una sollecitazione proveniente
da un terzo che si assuma pregiudicato
dall’intervento, dovrebbe ritenersi
giustificata dalla natura stessa
dell’istituto, che non dà luogo alla
formazione di un provvedimento
amministrativo e si basa sulla
responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali
considerazioni possano essere condivise
soltanto in parte, come meglio si illustrerà
nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in
questa sede l’orientamento già espresso
–anche in relazione al profilo inerente ai
termini per la sollecitazione dei poteri
inibitori–
dalla sentenza della Sezione n. 2799 del
2014. E’ infatti da ritenere che le
conclusioni raggiunte, sul punto, dalla
pronuncia richiamata siano necessitate, alla
stregua dell’interpretazione sistematica e
–ancora una volta– costituzionalmente
orientata del dato normativo, costituito
dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge
n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve
necessariamente tenere conto della
circostanza che l’intera disciplina della
denuncia di inizio di attività, fino ai più
recenti interventi normativi (in parte
successivi alla formazione dei titoli
oggetto del presente giudizio, ma comunque
rilevanti ai fini interpretativi e
ricostruttivi del sistema), risulta
chiaramente ispirata dalla finalità di
coniugare l’esigenza di incentrare il
fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità
del privato con quella di assicurare
comunque una sostanziale stabilità del
titolo edilizio –analoga a quella propria
del permesso di costruire– dopo il decorso
del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario
–come sopra detto–
assicurare al terzo la possibilità di
ottenere piena tutela, mediante l’esercizio
dei poteri inibitori dell’amministrazione,
anche dopo che sia trascorso tale termine di
tendenziale “stabilizzazione” del
titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi
nell’eliminazione di qualunque garanzia
attinente al “consolidarsi” della
d.i.a., né eccedere quanto necessario e
sufficiente ad assicurare al terzo leso
dalla denuncia di inizio attività una tutela
equivalente a quella riconosciuta al
soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di
una situazione giuridica qualificata e
differenziata che lamenti un pregiudizio
derivante da una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività possa
ottenere il pieno e doveroso esercizio dei
poteri inibitori, senza i limiti propri
dell’autotutela, soltanto laddove abbia
sollecitato l’intervento
dell’amministrazione entro sessanta giorni
dal momento in cui ha avuto conoscenza della
lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur
non espressamente previsto dal comma 3-bis
dell’articolo 19 della legge n. 241 del
1990, deve infatti ricavarsi in via
sistematica, tenendo conto che la diffida
prevista dalla disposizione ora richiamata
costituisce l’unico “canale”
percorribile dall’interessato al fine di
adire eventualmente, in un secondo momento,
la tutela giurisdizionale. In tale
prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la
pienezza della tutela
(ai sensi dell’articolo 24 della
Costituzione),
che la parità di trattamento rispetto al
soggetto leso da un permesso di costruire
(in relazione all’articolo 3 della
Costituzione)
impone di fare applicazione del termine
ordinariamente previsto per l’impugnazione
dei provvedimenti amministrativi, fissato
dall’articolo 29 del codice del processo
amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui
all’articolo 29 ora richiamato ha natura
processuale e non procedimentale; tuttavia,
come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita
dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 costituisce un passaggio
obbligato per l’accesso alla tutela
giurisdizionale, per cui è dalla disciplina
propria di quest’ultima che può e deve
trarsi il dato necessario all’integrazione
in via interpretativa della lacuna
normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere
stata accolta, del resto, anche dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la
quale non ha mancato di rimarcare, in una
recente pronuncia, che “il
potere di sollecitazione del terzo non è da
intendersi come esercitabile ad libitum,
bensì rimane assoggettato al rispetto del
termine di decadenza decorrente dalla
conoscenza della D.I.A.”
(così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n.
5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi
quid iuris nel caso in cui il terzo
abbia richiesto l’intervento
dell’amministrazione dopo il decorso di
sessanta giorni dal momento in cui ha avuto
piena conoscenza del contenuto lesivo della
denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che,
in questo caso, l’impugnazione del
provvedimento con cui l’amministrazione ha
negato l’esercizio dei poteri relativi alla
d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale
soluzione risulta essere stata accolta dalla
sentenza del Consiglio di Stato da ultimo
richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015,
cit.), ma ritiene –su questo specifico
aspetto– di dover addivenire a conclusioni
in parte diverse rispetto al giudice
d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato
imprescindibile (ben evidenziato, come
detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015,
cit., che però perviene a conclusioni non
coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 non prevede alcun termine
per la sollecitazione dei poteri
dell’amministrazione e per l’insorgere del
correlativo obbligo, per quest’ultima, di
pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo
titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata, entro il
termine di sessanta giorni dalla conoscenza
della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione
non potrà esimersi dall’esercitare
pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa
sollecitare l’intervento
dell’amministrazione anche oltre tale
termine, al fine di invocare non già il
pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì
il riscontro della sussistenza dei –diversi–
presupposti normativamente previsti per
l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la
sollecitazione debba intendersi diretta a
provocare l’esercizio dei poteri di
autotutela– l’amministrazione è comunque
tenuta ad esprimersi sull’istanza,
eventualmente illustrando le ragioni per le
quali ritenga non sussistenti i presupposti
per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi–
l’esercizio dell’autotutela è, di regola,
tipicamente discrezionale nell’an,
per cui l’amministrazione non è tenuta, di
norma, neppure a riscontrare l’istanza di
autotutela presentata da un privato
(v. ex multis Cons. Stato, V,
03.05.2012 n. 2549). Tuttavia,
nel caso della denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, la
sussistenza di un dovere
dell’amministrazione di verificare
l’esistenza dei presupposti per l’esercizio
del potere è imposta dal chiaro tenore
testuale del richiamato comma 3-bis
dell’articolo 19, il quale attribuisce
espressamente al terzo che si assuma leso
dal titolo edilizio un incondizionato
accesso anche alla tutela giurisdizionale
avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal
legislatore è coerente con il fondamentale
rilievo che, nel caso di intervento di
controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a.,
non si fa questione di esercizio di poteri
di autotutela in senso proprio, poiché manca
un provvedimento amministrativo rispetto al
quale possa esercitarsi un potere di secondo
grado. Piuttosto –come sopra detto–
l’amministrazione, in questo caso, esercita
pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei
presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto
sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del
comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n.
241 del 1990 imponga all’amministrazione di
riscontrare motivatamente, in ogni caso,
l’istanza con cui un terzo, titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, abbia sollecitato
l’intervento della stessa amministrazione in
relazione a una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta
giorni dal momento in cui tale soggetto
risulta aver avuto conoscenza dei profili
lesivi dell’intervento, l’amministrazione
sarà tenuta a esercitare, sussistendone i
presupposti, pieni poteri inibitori, poiché
–in difetto– il terzo subirebbe una
diminuzione della tutela accordatagli
rispetto a chi sia leso da un permesso di
costruire.
Superati i sessanta giorni,
l’amministrazione dovrà comunque a
verificare, dandone conto motivatamente,
unicamente la sussistenza dei presupposti
per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui
affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo
edilizio da più di sessanta giorni non
comporta conseguenze processuali, in
relazione alla eventuale successiva azione
giurisdizionale contro il silenzio o il
provvedimento negativo emesso
dall’amministrazione, ma ha unicamente
conseguenze di tipo procedimentale
(secondo quanto già rilevato dalla Sezione
con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il
ricorso giurisdizionale avverso il
provvedimento con cui l’amministrazione
abbia negato il proprio intervento sarà
quindi ammissibile –sussistendo, beninteso,
tutte le altre condizioni dell’azione– ma la
risposta dell’amministrazione dovrà essere
verificata tenendo conto del diverso potere
esercitato nelle due ipotesi sopra dette. |
EDILIZIA PRIVATA: Il Cds boccia la riforma Scia. Ignoti i procedimenti
soggetti ai diversi istituti di verifica.
Palazzo Spada: al buio segnalazione, silenzio-assenso,
autorizzazione e comunicazione.
Parere negativo del consiglio di stato sullo schema di dlgs
relativo alla Scia approvato lo scorso 20.01.2015 dal
consiglio dei ministri. In quanto manca, la «precisa
individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione
preventiva. Tale individuazione viene espressamente rinviata
a successivi decreti legislativi ma, almeno dal punto di
vista ricognitivo, è uno degli oggetti principali della
delega.
Dopo che la Conferenza unificata del 03.03.2016
aveva espresso parere favorevole all'intesa sul decreto
legislativo che riforma la «Scia» arriva adesso il parere
negativo del Consiglio di stato espresso dall'adunanza della
commissione speciale (parere 30.03.2016 n. 839).
La
conclusione per il Consiglio di stato è che il testo del
decreto legislativo vada riscritto recependo i rilievi
presentati e che il nuovo testo le venga sottoposto per un
nuovo parere.
Individuazione procedimenti soggetti a Scia. La commissione
speciale del Consiglio di stato evidenzia che lo schema del dlgs sulla Scia, sceglie di non esercitare una parte
importante della delega: manca, infatti, la «precisa
individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione
preventiva, che viene espressamente rinviata ai successivi
decreti legislativi ma che, almeno dal punto di vista
ricognitivo, appare come uno degli oggetti principali della
delega.
Sarebbe stato auspicabile che l'attuazione della
delega, preferibilmente con un unico decreto legislativo,
non prescindesse dalla pur non facile opera di ricognizione
e classificazione dei procedimenti, di indiscutibile utilità
per il cittadino chiamato a orientarsi tra le nuove
potenzialità della liberalizzazione delle attività
economiche e il permanente potere di intervento delle
pubbliche amministrazioni, con le sue diverse tipologie.
Un'opera che dovrà essere portata a termine, a tempo debito,
tenendo conto, comunque, dei «princìpi del diritto
dell'Unione europea relativi all'accesso alle attività di
servizi» e di quelli di «ragionevolezza e proporzionalità»,
al fine di tracciare un percorso riconfigurativo del
complesso delle norme regolatrici dei rapporti tra poteri
delle pubbliche amministrazioni e attività private.
I
«regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti
solo se giustificati da motivi imperativi di interesse
generale, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione,
di proporzionalità», costituendo il regime autorizzatorio
l'eccezione, che deve essere adeguatamente motivata.
Silenzio-assenso e comunicazione preventiva.
Un'altra parte della delega che non risulta esercitata è
quella relativa alla disciplina generale del silenzio
assenso e della comunicazione preventiva, di cui alla parte
finale del comma 1 dell'articolo 5 della legge n. 124 del
2015.
Ad essa, sostiene la commissione del Consiglio di stato, non
si fa alcun riferimento nello schema di decreto legislativo
(nemmeno nel titolo), ancorché anch'essa sia espressamente
prevista come oggetto della delega. Manca, in particolare,
la previsione dell'obbligo di comunicazione ai soggetti
interessati dei «termini entro i quali l'amministrazione
è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio
dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda».
I giudici del Consiglio di stato invitano, pertanto, il
Governo a valutare l'opportunità di intervenire, almeno
limitatamente ai suddetti aspetti, integrando la modulistica
e prevedendo la conoscibilità dei detti elementi per il
tramite dei siti istituzionali delle pubbliche
amministrazioni
(articolo ItaliaOggi del 02.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
I punti principali del parere del Consiglio di Stato sullo
schema di “decreto scia” [Schema di decreto
legislativo recante attuazione della delega di cui
all’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124, in materia di
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)].
---------------
1. Le raccomandazioni generali sulla
riforma di cui alla legge n. 124 del 2015
Il Consiglio di Stato riprende le considerazioni generali
sulla importanza di una “riforma organica” della pubblica
amministrazione di cui alla legge n. 124 del 2015 e sulla
necessità di una ‘visione nuova’ della pubblica
amministrazione, già esposte nel parere del 18.02.2016 (n.
343/2016), sul “decreto trasparenza”, e ribadisce
soprattutto:
• la rilevanza cruciale dell’implementazione della riforma,
anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi;
• l’importanza, in particolare, della creazione di una
cabina di regia per l’attuazione ‘in concreto’, che
curi anche gli strumenti ‘non normativi’ di
intervento (quali: la formazione dei dipendenti incaricati
dell’attuazione, la comunicazione istituzionale a cittadini
e imprese sui loro nuovi diritti, l’adeguata
informatizzazione dei procedimenti, etc.);
• l’importanza della “manutenzione” della riforma,
attraverso una fase di monitoraggio e verifica dell’impatto
delle nuove regole, nonché con la definizione, se del caso,
di decreti correttivi, o di quesiti attuativi da porre al
Consiglio di Stato.
2. La SCIA si riferisce ad attività ‘libere’
e non richiede alcun intervento preventivo della p.a.
Il parere opera una ricostruzione dell’evoluzione
dall’istituto della SCIA e ne ricava indicazioni di
principio, che possono indirizzare la successiva attività
attuativa e interpretativa. Si conferma che le attività
soggette a SCIA:
• sono ‘libere’, ‘consentite direttamente dalla
legge’ in presenza dei presupposti normativamente
stabiliti, senza più spazio per alcun potere di assenso
preventivo della p.a.;
• sono ‘conformate’ dalle leggi amministrative, e
quindi sottoposte a successiva verifica dei requisiti da
parte delle autorità pubbliche, entro un termine stabilito.
3. Le parti della delega non esercitate
Il Consiglio di Stato rileva il mancato esercizio di due
profili della delega:
- la ricognizione dei procedimenti soggetti a SCIA, a
silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a
comunicazione preventiva (indicata, invece, tra gli oggetti
principali della delega). Tale “precisa individuazione”
–richiesta dalla delega– va assolutamente effettuata con
successivo decreto;
- la previsione dell’obbligo di comunicare ai soggetti
interessati i “termini entro i quali l’amministrazione è
tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio
dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda”.
Tale adempimento può svolgersi già con il decreto in
oggetto.
4. L’opportunità di novellare direttamente
l’art. 19 della legge n. 241 del 1990
Il Consiglio di Stato suggerisce di introdurre le
innovazioni della disciplina generale in materia di SCIA non
in un decreto a sé, ma novellando direttamente l’articolo 19
della l. n. 241: la concentrazione della disciplina dello
stesso istituto nella stessa legge la rende più sistematica
e più facilmente conoscibile.
5. Il ‘nuovo paradigma’ nei rapporti
tra cittadini e pubbliche amministrazioni: i rapporti si
consolidano dopo 18 mesi
Il parere ritiene che la legge n. 124 del 2015 abbia
introdotto un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra
cittadino e pubblica amministrazione, prevedendo un limite
massimo di 18 mesi all’intervento “in autotutela”,
dopo il quale si consolidano le situazioni dei privati.
Secondo il Consiglio di Stato, il legislatore del 2015 ha
fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti
a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse
dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere
pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il
principio di affidamento.
Tale ‘regola generale’ si rinviene nel nuovo testo
dell’art. 21-nonies della legge n. 241.
6. Le applicazioni di tale ‘nuovo
paradigma’ in materia di SCIA
Il ‘nuovo paradigma’ si applica anche alla SCIA, ma
in modo diverso.
Difatti, per la SCIA non può parlarsi di ‘autotutela’
in senso tecnico, poiché essa costituisce un provvedimento ‘di
secondo grado’ ed esso appare impossibile per la SCIA,
dove il provvedimento iniziale manca del tutto.
Il nuovo art. 21-nonies detta piuttosto, per la SCIA, la ‘disciplina
di riferimento’ per l’esercizio del potere ex post
dell’amministrazione: un potere inibitorio, repressivo o
conformativo da esercitarsi solo motivando sulle ragioni di
interesse pubblico e sugli interessi dei destinatari e dei
controinteressati oltre che, ovviamente, entro un termine
comunque non superiore a 18 mesi per adottare il
provvedimento definitivo.
7. Le perduranti esigenze di coordinamento
per il legislatore delegato
Questo importante principio generale impone un’opera di
raccordo con il resto della disciplina in materia di SCIA,
per fugare i dubbi interpretativi che iniziano a emergere in
dottrina e in giurisprudenza.
Tale intervento può essere fornito sia con una integrazione
dello schema in esame sia con un successivo provvedimento.
Tra le varie questioni, il Consiglio di Stato segnala la
necessità di precisare:
- quale sia il dies a quo per la decorrenza dei
diciotto mesi dell’art. 21-nonies;
- se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies
debba applicarsi o meno anche all’intervento in caso di
sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1,
della l. n. 241;
- che, in fase di prima applicazione della riforma, il
termine generale dell’art. 21-nonies debba valere per tutti
i provvedimenti, anche precedenti all’entrata in vigore
della legge n. 124, sembrando infondata l’interpretazione di
una sorta di ‘rimessione in termini’
dell’amministrazione ad opera della riforma;
- che la regola generale dell’art. 21-nonies si applichi
anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti di “annullamento”,
ma di “revoca”, “risoluzione”, “decadenza”
o analoghe;
- quale sia la esatta delimitazione della (unica)
fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art.
21-nonies, comma 2-bis.
8. Il ‘principio di concentrazione e di
esaustività della modulistica’
Il parere ritiene molto rilevante la previsione di “moduli
unificati e standardizzati” per la SCIA, da pubblicare
sui siti istituzionali delle amministrazioni destinatarie
delle segnalazioni, che ne indichino esaustivamente i
contenuti tipici, ma anche tutta la documentazione da
allegare.
Se ne ricava, a livello interpretativo, un ‘principio di
concentrazione e di esaustività della modulistica’, che
impone che:
- i moduli siano effettivamente ‘unificati’ ed ‘esaustivi’,
e non rinviino di fatto ad altri formulari presso altre
amministrazioni;
- si introduca un chiaro divieto di richiesta di
documentazione ulteriore rispetto a quella indicata dai
moduli unificati: tutta la documentazione necessaria deve
essere indicata ‘a monte’ nel modulo unificato; eventuali
richieste istruttorie potranno solo evidenziare la mancata
corrispondenza degli allegati presentati con quelli previsti
in quella sede, non chiedere ulteriori documenti non
indicati ex ante.
9. L’importanza di una ‘SCIA unica’
Il parere esprime il suo apprezzamento per la scelta di
regolare la fattispecie, finora non normata, di attività
soggette a SCIA che, tuttavia, per il loro svolgimento,
necessitano di “altre SCIA, comunicazioni, attestazioni,
asseverazioni e notifiche” (cd. SCIA ‘plurima’).
La disciplina si ispira correttamente alla “concentrazione
dei regimi” delle SCIA presupposte presso la SCIA
finale. Resta, invece, ancora non risolto il caso in cui la
SCIA abbia come presupposto non soltanto ‘requisiti di
fatto’, bensì uno o più provvedimenti di autorizzazione.
Il Consiglio di Stato configura tre diverse opzioni, in
parte anche cumulabili fra loro, che consistono in:
- escludere espressamente tali fattispecie dalla SCIA,
concentrandosi solo sulla cd. ‘SCIA pura’;
- considerare anche i casi di ‘SCIA non pura’ e
imporre esplicitamente che la presentazione della SCIA possa
avvenire soltanto una volta acquisito l’atto autorizzativo
presupposto, ‘a cura del privato’;
- prevedere che la presentazione della SCIA attivi un
meccanismo per l’ottenimento dell’autorizzazione ‘a cura
dell’amministrazione ricevente’, rinviando però l’avvio
dell’attività al momento di tale ottenimento (trasformando
di fatto, in questi casi, la ‘segnalazione di inizio di
attività’ in una sorta di ‘richiesta di inizio di
attività’, che potrebbe essere un modello complementare
rispetto a quello della ‘SCIA pura’).
Tutte e tre queste soluzioni richiedono comunque un
intervento sul decreto in oggetto: la scelta fra queste (e
la preferenza tra i rispettivi vantaggi e svantaggi) va
lasciata alla potestà normativa del Governo, che deve tener
conto delle esigenze pratiche dei destinatari della riforma
(Consiglio di Stato, Commissione Speciale,
parere 30.03.2016 n. 839 - tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
 |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una SCIA in forma cartacea anziché
telematica non presuppone la sua stessa
configurazione ed ammissibilità.
Una Scia presentata al
SUAP in modalità cartacea non può, per il solo fatto
di essere stata lì depositata, ritenersi una
segnalazione valida, mancando il presupposto per la
sua stessa configurazione e ammissibilità, ovvero la
modalità telematica.
Invero, il legislatore
è stato chiaro nello stabilire che le domande, le
dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni
concernenti le attività produttive, di prestazione di
servizi e quelle relative alle azioni di localizzazione,
realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o
riconversione, ampliamento o trasferimento, e i relativi
elaborati tecnici e allegati debbano presentarsi
esclusivamente in modalità telematica al Suap competente per
territorio (cfr. art. 2 del DPR n. 160/2010).
---------------
... per
l'annullamento, previo accoglimento dell’istanza cautelare:
- del provvedimento prot. n. 821 del 21.01.2015 a firma del
Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di
Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota
prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico
del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;
con Motivi Aggiunti depositati in data 03.06.2015:
- del provvedimento prot. n. 5875 del 12.03.2015 a firma del
Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di
Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota
prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico
del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;.
...
La Telecom Italia
s.p.a., proprietaria di una stazione radio base per
telefonia cellulare sita nel territorio del Comune di
Santeramo in Colle, presentava, congiuntamente alla Vodafone
Omnitel B.V., una segnalazione certificata di inizio
attività (scia), indirizzata al Comune stesso ed acquisita
in formato cartaceo, per l’implementazione di un impianto di
proprietà Vodafone sulla suddetta stazione radio base.
Con provvedimento del 13.05.2014, veniva però disposta
l’archiviazione dell’istanza sul rilievo che la stessa
avrebbe dovuto essere presentata, a pena di inammissibilità,
presso il SUAP su apposita modulistica, ai sensi del DPR
447/1998, rilevando altresì che le installazioni di nuove
SRB avrebbero potuto essere realizzate esclusivamente nei
siti comunali all’uopo individuati col piano di
localizzazione comunale.
Il suddetto provvedimento veniva annullato da questo Tar con
Sentenza n. 1267/2014, ritenendo sussistente in capo
all’Amministrazione, con particolare riferimento al profilo
dell’inammissibilità dell’istanza, un obbligo di
trasmissione ufficiosa della domanda alla competente
articolazione del proprio apparato.
Tale sentenza è stata formalmente notificata in data
05.12.2014 al Comune di Santeramo - che l’ha successivamente
impugnata innanzi la Terza Sezione del Consiglio di Stato (Rg.
1129/2015).
Ritenendo da tale data decorso il termine per la formazione
del silenzio assenso ai sensi dell’art. 87-bis, D.Lgs.
259/03, la ricorrente comunicava quindi all’Amministrazione
comunale l’avvio dei lavori oggetto della scia.
Il Comune, con provvedimento n. 1821 del 21.01.2015,
disponeva tuttavia per ragioni istruttorie la sospensione
temporanea dell’efficacia della segnalazione, ai sensi degli
artt. 2 e 21-quater, comma 2, l. n. 241/1990, per la durata
di 60 giorni, inibendo per l’effetto, l’inizio dei lavori
preannunciati.
Successivamente, il SUAP–Murgia Sviluppo s.c.a.r.l.,
rilevata l’improcedibilità dell’istanza sottoscritta da
Telecom e Vodafone e trasmessa dall’Amministrazione
comunale, ne disponeva l’archiviazione – circostanza che ha
determinato in sede processuale la rinuncia alla domanda
cautelare incidentalmente avanzata con l’appello suddetto,
per sopravvenuto difetto di interesse.
Avverso la nota comunale del 21.01.2015, nonché il successivo
provvedimento di improcedibilità e archiviazione del SUAP,
l’odierna ricorrente ha quindi proposto un nuovo gravame
censurando la violazione e falsa applicazione degli artt. 87
e 87-bis, D.Lgs. 259/2003 nonché dell’art. 19, L. n. 241/1990, ed
eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone
pertanto l’annullamento previa sospensione dell’efficacia.
Con controricorso del 30.04.2015, si è costituito il Comune
intimato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità e
improcedibilità del ricorso sotto diversi profili - ovvero
in considerazione della natura temporanea e provvisoria del
provvedimento di sospensione impugnato, che avrebbe quindi
già cessato di produrre effetti; della mancata notifica al SUAP; nonché della mancata impugnazione della successiva
nota comunale, prot. n. 5875 del 12.03.2015, con cui nel
trasmettere la nota di archiviazione del SUAP del 02.03.2015,
il Comune ha preso atto dell’arresto procedimentale così
determinatosi e dell’inefficacia della comunicazione di
inizio dei lavori.
Alla Camera di Consiglio del 06.05.2015, avvisate le parti
della possibile definizione in forma semplificata del
gravame ai sensi dell’art. 60 cpa, parte ricorrente ha
chiesto disporsi un rinvio per la presentazione di motivi
aggiunti.
Con atto di motivi aggiunti del 19.05.2015, notificati anche
al SUAP, la ricorrente ha infatti impugnato il sopra detto
provvedimento n. 5875 del 12.03.2015, conosciuto in data 20
marzo, deducendo vizi in via derivata e vizi propri, quali
violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 6, l. n.
291/1990, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto chiedere
una regolarizzazione postuma della scia; eccesso di potere
sotto diversi profili, ed elusione della Sentenza n.
1267/2014 resa da questo Tar.
Alla successiva Camera di Consiglio del 02.07.2015, avvertite
nuovamente le parti ai sensi dell’art.60 c.p.a., la causa è
quindi passata in decisione.
Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il
provvedimento comunale di sospensione per esigenze
istruttorie, è stato superato dalla successiva nota di
arresto procedimentale -impugnata con motivi aggiunti-
determinando in tal modo l’improcedibilità dell’azione di
annullamento proposta contro lo stesso.
Ritenute inoltre superate, con la proposizione dei motivi
aggiunti, le eccezioni di inammissibilità come sollevate
dalla difesa comunale, può quindi passarsi all’esame delle
censure mosse dalla ricorrente avverso la nota di
archiviazione Suap e la nota comunale di arresto
procedimentale, che il Collegio ritiene infondate per le
seguenti ragioni.
Pur condividendo in via di principio quanto affermato nella
precedente pronuncia resa da questo stesso TAR, il Collegio
deve tuttavia rilevare che l’applicazione nella specie dei
principi ivi esposti non avrebbe potuto determinare comunque
l’ammissibilità e la corretta formazione della scia.
Invero,
se in un’ottica di leale collaborazione tra la p.a.
e il cittadino, la mancata trasmissione in via officiosa di
una istanza alla competente articolazione amministrativa può
costituire violazione dei principi di economicità ed
efficacia dell’azione amministrativa, nel caso di specie
l’improcedibilità dell’istanza presentata dalla ricorrente
non ha concretizzato “un appello dell’Amministrazione a meri
formalismi”, come tali da censurare in sede giurisdizionale,
venendo invece in rilievo la possibile configurabilità, e
quindi esistenza, della domanda (recte, scia) stessa.
Il legislatore è stato infatti chiaro nello stabilire che le
domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le
comunicazioni concernenti le attività produttive, di
prestazione di servizi, e quelle relative alle azioni di
localizzazione, realizzazione, trasformazione,
ristrutturazione o riconversione, ampliamento o
trasferimento, ed i relativi elaborati tecnici e allegati,
debbano presentarsi esclusivamente in modalità telematica,
al Suap competente per territorio (art. 2, DPR 160/2010).
Di tale modalità tiene infatti conto anche l’art. 19, l. n.
241/1990, laddove nel disciplinare la scia, prescrive che la
stessa, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e
asseverazioni nonché dai relativi elaborati tecnici, possa
essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso
di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è
previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica. In
tal caso la segnalazione può considerarsi presentata solo al
momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
Non è infatti estraneo all’ordinamento, tanto più nella
recente ottica di semplificazione e snellimento delle
procedure,
un procedimento interamente informatizzato,
articolato sin dalla fase di avvio in modalità
esclusivamente telematica.
Pertanto,
una Scia presentata al SUAP in modalità cartacea,
come nella specie, non può, per il solo fatto di essere
stata lì depositata, ritenersi una segnalazione valida,
mancando il presupposto per la sua stessa configurazione e
ammissibilità, ovvero la modalità telematica.
Prova ne è che dalla sentenza più volte citata -che la
parte assume essere stata elusa- non è derivato l’avvio del
relativo iter ai sensi dell’art. 87-bis del Dlgs. n. 259, per
il perfezionamento della scia, essendo stato invece statuito
il mero obbligo del Comune, ottemperato nella specie, di
trasmissione della domanda all’organismo competente.
Pertanto,
non può affatto ritenersi formato il silenzio-assenso, come invece asserito dalla ricorrente facendo
erroneamente decorrere il termine per la sua formazione
dalla notifica della sentenza all’Amministrazione, dovendosi
invece considerare quale unico dies a quo il momento di
recepimento dell’istanza da parte del Suap rappresentato dal
rilascio dell’apposita ricevuta, come sancito espressamente
dall’art. 5, DPR 160/2010.
Nella specie, il Suap si è tempestivamente espresso con un
provvedimento di archiviazione in considerazione
dell’inammissibilità dell’istanza, in quanto inoltrata dal
Comune, e non dal soggetto richiedente, in modalità
cartacea, e non telematica.
Né vale appellarsi al soccorso istruttorio, posto che tale
istituto deve intervenire a fronte di irregolarità ed
incompletezze sanabili, che presuppongono l’esistenza stessa
dell’istanza, condizione che, per le argomentazioni
suddette, non può però ritenersi verificata a fronte di una
scia cartacea.
Seguendo la tesi della ricorrente infatti, si arriverebbe
comunque alle medesime conclusioni del Collegio, a riprova
dell’inammissibilità di una segnalazione cartacea: la parte
sostiene invero che lo Sportello Unico avrebbe dovuto
invitarla a presentare la scia in modalità telematica,
anziché disporne l’archiviazione. Ma ripresentare la scia
secondo tale modalità -si ribadisce, l’unica possibile-
equivale a presentarla ex novo.
Il soccorso istruttorio invocato, è evidente, non potrebbe
diversamente giovare.
Nulla ha vietato, né vieta, infatti alla società ricorrente
di presentare una nuova scia nei termini previsti dalla
normativa di riferimento.
Alla luce delle considerazioni su fatte, le doglianze
formulate non meritano quindi accoglimento
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 16.10.2015 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
vero che il sistema delineato
dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare
la tutela di affidamento del privato che abbia presentato
una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in
cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
Sicché, il provvedimento comunale di archiviazione del
procedimento di verifica (di terzi) deve essere annullato,
ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo
all’Amministrazione di completare sollecitamente il
procedimento di verifica accertando analiticamente la
fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando
i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle
illegittimità segnalate hanno carattere doveroso e non
soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica
attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel
caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso
nella propria posizione qualificata e differenziata.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta
l’illegittimità del provvedimento di archiviazione, è invece
fondato e deve essere accolto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha disposto l’archiviazione
del procedimento di verifica della legittimità delle denunce
di inizio attività ritenendo di per sé ostativa, e quindi
senza svolgere un approfondimento istruttorio sui singoli
rilievi sollevati nelle richieste di verifica, la norma di
cui all’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241,
nel testo allora vigente.
Secondo il Comune anche a seguito della richiesta di
verifica da parte di un terzo non è possibile procedere al
divieto di prosecuzione dell’attività se non vi siano
lesioni agli specifici interessi sensibili menzionati
dall’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241.
Tale norma ammette il divieto di prosecuzione dell’attività
“solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, che nel caso di
specie non ricorrono.
La tesi non è condivisibile.
La giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce (cfr. Tar
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; Tar Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; Tar Lombardia,
Milano, Sez. II, 21.11.2014, n. 4799), ha infatti
chiarito che è vero che il sistema delineato dal citato art.
19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la
tutela di affidamento del privato che abbia presentato una
dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui
alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
In definitiva, in accoglimento delle censure del secondo
motivo, il provvedimento di archiviazione del procedimento
di verifica deve essere annullato, ed a tale annullamento
consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare
sollecitamente il procedimento di verifica accertando
analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi
proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in
caso di riscontro delle illegittimità segnalate, come sopra
precisato, hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai
limiti previsti per le attività di verifica attivate
d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di
specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella
propria posizione qualificata e differenziata
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.10.2015 n. 1039 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
termini generali, la SCIA (come la precedente DIA) non
modifica la disciplina sostanziale dell’attività
interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo
il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi
a seguito della domanda del privato, con un procedimento di
verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte
pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa
esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante”
presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine
di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia,
ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal
ricevimento della segnalazione, l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo il
potere dell'amministrazione competente "di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false
o mendaci, l'amministrazione...può sempre e in ogni tempo
adottare i provvedimenti di cui al primo periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione
dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3
(ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio),
all'amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell'attività dei privati
alla normativa vigente.
Sulla base del delineato quadro normativo, la giurisprudenza
ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che,
in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile
sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti
inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine
previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare
i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile
esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt.
21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere
inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio
temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale
di autotutela;
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione
competente entro un termine ragionevole, e va supportato
dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e
concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il
privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la
realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla
regolarità dell'autorizzazione;
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario
esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto
delle regole generali che informano i rapporti tra
amministrazioni e amministrati: così, è necessario
comunicare l’avvio del procedimento, consentire
all’interessato e a eventuali cointeressati e
controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza
dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e
21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono
l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole
per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la
comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del
privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che
ne giustificano l’adozione;
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, giustifica la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio.
Il ricorso è
fondato e merita accoglimento.
2. Parte ricorrente ha anzitutto dedotto la violazione
dell’art. 19 della L. 241/1990 e del principio di
affidamento, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria,
difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta,
in quanto il potere di intervento sulla SCIA può essere
esercitato entro il termine di 60 giorni dalla sua
presentazione, salva la possibilità di agire ex post
a tutela di preminenti interessi pubblici (pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale), che non sono stati rilevati nella
fattispecie: il Comune era da oltre un anno privo del potere
ordinario di inibizione degli effetti della SCIA, tenuto
conto che il provvedimento dispone una semplice
archiviazione, senza menzionare né motivare l’autotutela con
riferimento ai requisiti contemplati all’art. 21-quinques
della L. 241/1990.
Il motivo è meritevole di accoglimento, avendo
l'amministrazione pacificamente adottato l'atto di controllo
inibitorio oltre il termine di legge.
2.1 In termini generali, la SCIA (come la precedente DIA)
non modifica la disciplina sostanziale dell’attività
interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo
il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi
a seguito della domanda del privato, con un procedimento di
verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte
pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa
esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante”
presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine
di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia,
ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal
ricevimento della segnalazione, l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo
il potere dell'amministrazione competente "di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di
notorietà false o mendaci, l'amministrazione...può sempre e
in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione
dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3
(ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio),
all'amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell'attività dei privati
alla normativa vigente.
2.2 Sulla base del delineato quadro normativo, la
giurisprudenza ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che,
in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile
sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti
inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine
previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare
i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile
esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt.
21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990 (Consiglio di
Stato, sez. IV – 20/02/2014 n. 788 in materia edilizia, con
riflessioni che ben possono essere estese alla DIA –e alla
SCIA– in materia commerciale;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere
inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio
temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale
di autotutela (Consiglio di Stato, sez. VI – 14/11/2012 n.
5751; TAR Veneto, sez. II – 26/01/2015 n. 59);
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione
competente entro un termine ragionevole, e va supportato
dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e
concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il
privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la
realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla
regolarità dell'autorizzazione (sentenza TAR Campania
Salerno, sez. I – 07/04/2015 n. 732, resa in ambito
edilizio);
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario
esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto
delle regole generali che informano i rapporti tra
amministrazioni e amministrati: così, è necessario
comunicare l’avvio del procedimento, consentire
all’interessato e a eventuali cointeressati e
controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza
dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e
21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono
l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole
per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la
comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del
privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che
ne giustificano l’adozione (TAR Friuli Venezia Giulia –
25/09/2014 n. 463).
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, giustifica la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio (Consiglio di Stato,
adunanza plenaria – 29/07/2011 n. 15).
2.3 Nella fattispecie, i 60 giorni erano abbondantemente
decorsi quando l’amministrazione è intervenuta, e non
affiora alcun elemento o circostanza a supporto
dell’esercizio della potestà di autotutela. Non è stata
neppure adombrata l’unica ipotesi derogatoria della
perentorietà del predetto termine contemplata dal
legislatore, ossia l’esistenza di dichiarazioni sostitutive
di certificazione e dell'atto di notorietà "false o
mendaci", che abilita l'amministrazione ad assumere i
provvedimenti repressivi "sempre e in ogni tempo"
(cfr. TAR Abruzzo L’Aquila – 19/03/2015 n. 163)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.05.2015 n. 739 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
19, comma 4, della legge 241/1990 pone significative
limitazioni al potere di intervento in autotutela
dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia conseguito
efficacia per decorrenza del termine di controllo pari a 30
giorni fissato dal comma 6-bis della medesima disposizione
normativa.
Tuttavia, il potere di controllo non si può tuttavia
considerare esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora
il progetto allegato alla SCIA contenga elementi di
ambiguità che, pur non essendo qualificabili come
dichiarazioni sostitutive false o mendaci ex art. 19, comma
3, della legge 241/1990, rendano comunque l’esame più
difficoltoso, omettendo o non evidenziando a sufficienza
eventuali criticità e il percorso argomentativo seguito per
superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su
parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra
edifici posti a confine, è compito del progettista dare il
giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli
uffici comunali di effettuare una verifica completa del
progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione
appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei
tempi di controllo.
Sul termine di controllo della SCIA
8. L’art. 19, comma 4, della legge 241/1990 pone
significative limitazioni al potere di intervento in
autotutela dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia
conseguito efficacia per decorrenza del termine di controllo
pari a 30 giorni fissato dal comma 6-bis della medesima
disposizione normativa.
9. Nel caso il esame il termine è in effetti decorso
(09.01.2014-17.02.2014), e il Comune non evidenzia pericoli
per il patrimonio artistico e culturale o per l’ambiente (e
tantomeno per la salute, la sicurezza pubblica e la difesa
nazionale). Sull’edificio della ricorrente non grava un
vincolo paesistico in senso proprio: l’esame paesistico è
imposto dall’inquadramento del centro storico nella classe 5
di sensibilità paesistica, situazione non coincidente con
quella descritta nell’art. 19, comma 4, della legge
241/1990. L’edificio, benché l’architrave in pietra
collocato sopra l’ingresso riporti la data del 1706, non è
neppure assoggettato a vincolo monumentale.
10. Il potere di controllo non si può tuttavia considerare
esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora il progetto
allegato alla SCIA contenga elementi di ambiguità che, pur
non essendo qualificabili come dichiarazioni sostitutive
false o mendaci ex art. 19, comma 3, della legge 241/1990,
rendano comunque l’esame più difficoltoso, omettendo o non
evidenziando a sufficienza eventuali criticità e il percorso
argomentativo seguito per superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su
parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra
edifici posti a confine, è compito del progettista dare il
giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli
uffici comunali di effettuare una verifica completa del
progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione
appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei
tempi di controllo.
11. Nel caso in esame, la relazione paesistica datata
08.01.2014 evidenzia la formazione in gronda di un “piccolo
dislivello” con il tetto del vicino, senza però una
precisa quantificazione. Inoltre, come viene sottolineato
nel provvedimento del 07.04.2014, omette di riferire che
l’intervento riguarda anche parti comuni dell’edificio.
Poiché entrambe le questioni assumono importanza nell’esame
della SCIA, si deve riconoscere la legittimità
dell’estensione del termine di conclusione del procedimento.
Le ordinanze di sospensione e di rimessione in pristino sono
quindi qualificabili come atti finali della procedura
tempestivamente adottati, e non come provvedimenti in
autotutela
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 20.05.2015 n. 731 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come già ricordato da questa Sezione, per effetto
dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in
caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione
certificata di inizio attività), reputate illegittime, i
soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia
possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima,
esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della
Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti-
ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato
meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a.; mentre, l’art. 133,
comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva,
a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo
pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di ordinare il ripristino dei luoghi e la
demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
4. Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la domanda
di accertamento della illegittimità/inefficacia della DIA
del 22.10.2012 e della successiva SCIA del 02.07.2013.
Come già ricordato da questa Sezione con la sentenza n. 233
del 17.02.2013, resa nel precedente giudizio sul
silenzio, infatti, per effetto dell'art. 19, ultimo comma,
della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una
DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio
attività), reputate illegittime, i soggetti che si
considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia di quest'ultima, esperire
"esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica
Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo
questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il
citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a. (cfr. Sez. II:
05.03.2012, n. 298; 15.02.2013, n. 230); mentre,
l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione
esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal
terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Quello appena descritto è
d’altra parte il percorso seguito dai ricorrenti, che hanno
prima reagito giudizialmente al silenzio della P.A.,
ottenendo la condanna di quest’ultima a provvedere sulla
loro diffida, e poi hanno impugnato il provvedimento del 23.04.2014 di diniego di autotutela.
5. Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di Vicenza di ordinare il ripristino dei luoghi e
la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
Inoltre, non risulta che nel caso in esame siano state poste
in essere falsità progettuali tali da legittimare un
vincolato intervento sanzionatorio, venendo in rilievo, come
testimoniato dalla presente motivazione, solo questioni
interpretative di norme legislative e regolamentari
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.04.2015 n. 424 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come è noto, nel sistema
del T.U. edilizia 06.06.2001 n. 380, in forza dell’art. 22,
sono realizzabili mediante SCIA quattro categorie di interventi:
le prime tre, che qui non
interessano riguardano le varianti a permesso di costruire
(comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a)
e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già
dettagliatamente disciplinate da un piano di livello
superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta
categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle
gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli
interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso
di costruire (comma 1).
---------------
Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per cui
è causa (tamponamento pareti laterali di tre tettoie e,
quindi, nella loro trasformazione in capannoni) non sarebbe
assentibile con SCIA, ma richiederebbe il permesso di
costruire, comportando quanto meno un aumento di volumetria.
---------------
Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4,
consente alla legge regionale di ampliare o restringere il
campo di applicazione della SCIA.
In Lombardia, dispone in proposito l’art. 41 della l.
11.03.2005 n. 12, modificato proprio dopo l’introduzione
della SCIA, che nella parte rilevante recita: “Ferma
restando l’applicabilità della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti
dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5,
comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011, chi ha titolo per
presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà,
alternativamente e per gli stessi interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al
comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto
dall'articolo 52, comma 3-bis”.
La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata, com’è
noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla scorta di
conformi istruzioni ministeriali (comunicato 08.10.2010
della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad applicarsi
ai soli interventi edilizi minori, ovvero alle sole
ristrutturazioni cd. leggere, ovvero non rientranti, come
nella specie, nella previsione dell’art. 10 T.U..
---------------
La ricorrente, che è titolare in Ospitaletto, alla locale
via ..., di un complesso produttivo formato da vari edifici
(ricorso, p. 2 § 1, fatti pacifici in causa), ha presentato
a quel Comune, al fine di procedere al cd. tamponamento,
ovvero alla chiusura con pareti laterali, di tre tettoie
comprese nel perimetro del proprio stabilimento, una prima
DIA 25.02.2014 (doc. 12 Comune, copia di essa), a fronte
della quale ha ricevuto l’inibitoria di cui al provvedimento
del 21.03.2014 (doc. 15 Comune, copia di essa).
Ha allora da un lato richiesto l’annullamento d’ufficio di
tale inibitoria, e se lo è visto negare (doc. 3 ricorrente,
copia provvedimento); dall’altro ha presentato, in data
23.04.2014, una SCIA per lo stesso intervento (doc. 19
Comune, copia di essa e memoria Comune 27.06.2014 p. 5
ultime tre righe), ed ha ricevuto una nuova inibitoria
16.05.2014 (doc. 1 ricorrente, copia di essa).
Nel ricorso principale, come si desume dal contenuto dei
motivi dedotti, la ricorrente impugna in sostanza la sola
inibitoria 16.05.2014, motivata unicamente con l’esistenza
sulle tettoie in questione di un “vincolo unilaterale di
concessione precaria che garantisce al Comune…il diritto di
richiedere la demolizione delle velette [nome tecnico delle
tettoie in parola]…per motivi legati a nuova viabilità…in
forza dell’impegnativa [testuale] registrata il 27.12.1979 a
Brescia …” e ivi trascritta nei registri immobiliari”
(doc. 1 ricorrente, cit.).
A sostegno, ha dedotto cinque censure, corrispondenti in
ordine logico ai seguenti tre motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla censura quarta a
p. 8 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l.
07.08.1990 n. 241, per omissione dell’avviso di inizio del
procedimento;
- con il secondo motivo, corrispondente alle censure prima e
quinta alle pp. 5 e 9 dell’atto, deduce violazione del
principio di tipicità dell’atto amministrativo, non essendo,
in sostanza, il vincolo descritto previsto dalla legge;
- con il terzo motivo, corrispondente alla censura terza a
p. 7 dell’atto, deduce eccesso di potere per difetto di
motivazione, in quanto il vincolo, a tutto voler concedere,
sarebbe stato posto a servizio di una viabilità allo stato
da tempo realizzata, e comunque non sarebbe stato
pregiudicato dalla richiesta modifica delle pensiline
esistenti, che sarebbero rimaste pur sempre amovibili, come
nel loro assetto precedente.
Ha resistito il Comune, con memoria 27.06.2014, ed ha
chiesto la reiezione del ricorso.
Questo Tribunale, con ordinanza 04.07.2014 n. 471, ha
sospeso tale provvedimento, ritenendo tale “impegnativa”
in sostanza priva di efficacia, ma facendo salvi ulteriori
provvedimenti dell’amministrazione relativi ad altri profili
di legittimità dell’opera in questione.
Il Comune ha adottato quindi il provvedimento (doc. 11
ricorrente, copia di esso) impugnato con i motivi aggiunti,
motivato con riguardo all’importanza dell’intervento
consistente nella chiusura delle tettoie in questione e
quindi nella loro trasformazione in capannoni e ritenuto non
realizzabile con semplice SCIA.
...
... per (A – ricorso principale) l’annullamento, previa
sospensiva:
- del provvedimento 16.05.2014 prot. n. 9682, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti
della ricorrente Aran R.E. S.r.l. il divieto di prosecuzione
dell’attività di cui alla segnalazione certificata di inizio
attività – SCIA edilizia 23.04.2014 prot. n. 8058;
- del provvedimento 21.03.2014 prot. n. 5617, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti
della medesima ricorrente il divieto di dare inizio
all’attività di cui alla dichiarazione di inizio attività –
DIA edilizia 25.02.2014 prot. n. 3712;
- del provvedimento 16.04.2014 prot. n. 7654, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha denegato l’annullamento
in autotutela del predetto provvedimento 21.03.2014 prot. n.
5617;
...
4. Infondato è poi il secondo motivo, dovendosi condividere
quanto evidenziato dall’amministrazione sia nel
provvedimento, sia nelle proprie difese. L’intervento per
cui è causa, che in sostanza porterebbe a trasformare alcune
tettoie in altrettanti capannoni chiusi, non è infatti, nei
termini che ora si illustreranno, fra quelli realizzabili
con semplice SCIA.
5. Come è noto, nel sistema del T.U. edilizia 06.06.2001 n.
380, in forza dell’art. 22, sono realizzabili mediante SCIA
quattro categorie di interventi: le prime tre, che qui non
interessano riguardano le varianti a permesso di costruire
(comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a)
e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già
dettagliatamente disciplinate da un piano di livello
superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta
categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle
gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli
interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso
di costruire (comma 1).
6. Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per
cui è causa non sarebbe assentibile con SCIA, ma
richiederebbe il permesso di costruire, comportando quanto
meno –come correttamente rilevato dal Comune (memoria
29.08.2014 p. 9)- un aumento di volumetria, come ritenuto da
TAR Abruzzo L’Aquila 07.03.2008 n. 123 in un caso analogo.
7. Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4,
consente alla legge regionale di ampliare o restringere il
campo di applicazione della SCIA. In Lombardia, dispone in
proposito l’art. 41 della l. 11.03.2005 n. 12, modificato
proprio dopo l’introduzione della SCIA, che nella parte
rilevante recita: “Ferma restando l’applicabilità della
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi
e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990
e dall’articolo 5, comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011,
chi ha titolo per presentare istanza di permesso di
costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi
interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di
inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo
quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis”.
8. La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata,
com’è noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla
scorta di conformi istruzioni ministeriali (comunicato
08.10.2010 della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad
applicarsi ai soli interventi edilizi minori, ovvero, per
quanto qui interessa, alle sole ristrutturazioni cd.
leggere, ovvero non rientranti, come nella specie, nella
previsione dell’art. 10 T.U..
9. Da quanto sin qui esposto, risulta che l’intervento non
era e non è assentibile con lo strumento della SCIA invocato
dalla ricorrente: vanno quindi respinte, per difetto del
requisito del danno ingiusto, tutte le domande risarcitorie
proposte
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.02.2015 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
climatizzatori o i condizionatori, per consolidata
giurisprudenza amministrativa, costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001.
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma
1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004.
----------------
1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello
di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di
Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato
Ca.An.Pa. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e
23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva
nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di
ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in
23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto
dagli artt. 81 cod. pen. e 44, lett. a), d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in
area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore
d'aria a servizio del proprio esercizio commerciale in
assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b)
previsto dall'art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42 per aver
eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona
sottoposta al vincolo paesaggistico in Ostuni il 14.10.2008.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre per
cassazione, a mezzo del difensore, Ca.An.Pa. affidando il
gravame a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia
l'erronea ed illegittima applicazione dell'art. 44, lett.
a), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea
apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente
all'esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun
modo, nella previsione di cui all'art. 44, lett. a), del DPR
380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere
alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si
contesta, infatti, la presunta violazione dell'art. 17 del
regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa
e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno
allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame.
Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non
rientra e non può rientrare nella previsione dell'art. 44,
lett. a), del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea
installazione di un piccolo supporto tecnologico non può
configurare e/o costituire attività urbanistica-edilizia,
non incidendo minimamente sull'uso del territorio.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione
della legge penale in relazione all'art. 54 cod. pen. (art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) per aver la Corte
territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di
necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo
operato essere inquadrato in una condizione di necessità non
altrimenti risolvibile.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione
dell'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa
alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del
vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto
che l'ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di
natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna
incidenza sotto il profilo paesaggistico.
2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa
applicazione della legge penale e del difetto di motivazione
(art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in
ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di
legge (sospensione condizionale della pena e non menzione
della condanna) per la violazione del principio di
proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità
dell'intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il
Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.
...
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi e per la proposizione di essi nei casi non
consentiti.
2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare
come i climatizzatori o i condizionatori,
per consolidata giurisprudenza amministrativa
(ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del
01/10/2008), costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
L'articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del
2001 (come modificato dall'art. 17, comma 1, decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e
la redazione della presente sentenza, nella legge
11.11.2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di
manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed
integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre
che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e
non comportino modifiche delle destinazioni di uso", e
l'articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede,
per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi
dell'istallazione di impianti che si pongano in rapporto di
strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto "Sblocca Italia" (decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito in legge 11.11.2014, n. 164)
ha introdotto modifiche alla nozione di "manutenzione
straordinaria", irrilevanti ai fini dello scrutinio
della questione sottoposta alla Corte, in quanto il
riferimento a "volumi e superfici delle singole unità
immobiliari" è stato modificato, come si è in precedenza
segnalato, nel concetto di "volumetria complessiva degli
edifici" ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa,
nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli
interventi di frazionamento o accorpamento delle unità
immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la
variazione delle superfici delle singole unità immobiliari
nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia
modificata la volumetria complessiva degli edifici e si
mantenga l'originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001
(Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez.
3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame
attengono a questioni che sono state già proposte al giudice
d'appello e sono state motivatamente respinte.
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. Va
quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
(art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004 (manifesta
infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte
territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due
precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano
infausta la prognosi relativa all'astensione dalla futura
commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del
quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il
principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi
proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo
grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3,
n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.01.2015 n. 952). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
SCIA in via telematica, senza leale collaborazione rigetto
illegittimo. Il destinatario della pec deve informare il
mittente incolpevole della difficoltà di aprire e visionare
il file.
A fronte di una SCIA (Segnalazione
certificata di inizio attività) presentata in via
telematica, l’Amministrazione procedente è tenuta al
rispetto delle regole che ordinariamente informano i
rapporti con i privati, e, prima di tutte, del principio di
leale collaborazione.
Infatti la posta elettronica certificata (Pec), “quale
tecnologia telematica, è strumento con il quale i privati
possono relazionarsi con la pubblica Amministrazione
(articolo 3 D.Lgs. n. 82/2005); la trasmissione a mezzo pec
equivale a notificazione a mezzo posta (articolo 48 D.Lgs.
n. 82/2005); se rispondenti ai requisiti formali
normativamente fissati, le istanze e dichiarazioni inviate
alla pubblica Amministrazione in via telematica equivalgono
a quelle presentate su supporto cartaceo con sottoscrizione
autografa (articolo 65 D.Lgs. n. 82/2005)”.
Lo ha evidenziato il TAR Friuli Venezia Giulia con la
sentenza 03.12.2014 n. 610.
LA VICENDA.
Nel caso affrontato dai giudici amministrativi del Friuli,
la società Telecom Italia aveva presentato a mezzo pec una
SCIA per la modifica di un proprio impianto fisso per la
telefonia mobile nel Comune di Pocenia.
È però intervenuto il divieto comunale di prosecuzione
dell’attività oggetto di SCIA, disposto per una serie di
ragioni, tra le quali il fatto che uno dei file digitali
contenenti la documentazione allegata alla segnalazione non
risultava apribile e quindi visionabile.
IL DESTINATARIO DELLA PEC DEVE INFORMARE IL
MITTENTE DELLA DIFFICOLTÀ DI VISIONARE IL FILE.
Nella sentenza, il Tar Friuli osserva che “Nel momento in
cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec
e di consegna della stessa nella casella del destinatario si
determina una presunzione di conoscenza della comunicazione
da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema
di dichiarazioni negoziali, dall’articolo 1335 Cod. civ..
Spetta la destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere
edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di
cognizione del contenuto della comunicazione legate
all’utilizzo dello strumento telematico, pure ammesso dalla
legge”.
Nel caso esaminato, “il Comune non ha nemmeno prospettato
che la mancata apertura dei file contenenti la
documentazione allegati alla SCIA dipendesse da una scelta
deliberata delle segnalanti: ne consegue che era suo dovere
rappresentare agli interessati la circostanza, fissando un
termine per ovviare al problema, con l’avvertimento che il
mancato tempestivo adempimento dell’incombente avrebbe
determinato l’esercizio dei poteri inibitori nel termine di
cui all’articolo 87-bis D.Lgs. n. 259/2003. A ben guardare
–concludono i giudici amministrativi- non si trattava
nemmeno di chiedere un’integrazione documentale, perché nel
caso di specie il documento era stato inviato, ma di
sollecitare, nell’interesse delle stesse segnalanti, una
riproduzione dello stesso in un formato visionabile
dall’Amministrazione”
(commento tratto da www.casaeclima.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina nazionale dell’attività edilizia -
Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia
(SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività
edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera
previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia
soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del
permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso
di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4.
Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5.
L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.;
5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito
applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina
applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La
S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla
commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e
successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle
difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del
certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio
del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di
agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di
conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e
riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano
nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio
Nazionale del Notariato,
studio
10.01.2014 n. 893-2013/C). |
anno 2013 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La Scia non dribbla la verifica d'agibilità.
La verifica dell'agibilità di un locale destinato al
trattenimento, anche se capace di accogliere meno di 200
persone, non può essere sostituita da una Scia e
l'intervenuta abrogazione dell'art. 124 del regolamento al
Tulps, disposta dal dl 5/2012, non fa venir meno gli
obblighi in materia di sicurezza per bar e ristoranti che
organizzano spettacoli.
Lo dice il ministero dell'interno nella circolare prot. 557/Pas/u/
003524/13500.A (8) del 2013 diffusa dalla prefettura di
Ravenna con nota n. 2013/2013.
Presupposto della Scia è la natura vincolata dell'atto
autorizzativo sostituito, subordinatamente all'accertamento
positivo dei requisiti di legge; e poiché il parere della
commissione di vigilanza presuppone l'esercizio di una
discrezionalità tecnica con un contenuto più ampio di una
mera verifica del rispetto delle norme vigenti in materia di
sicurezza, l'agibilità deve essere formalmente accertata.
Non sempre, peraltro, ha aggiunto il ministero, ogni
spettacolo o trattenimento musicale o danzante svolto in un
pubblico esercizio è soggetto agli art., 68, 69 e 80 Tulps.
Sono esenti, infatti, gli spettacoli e i trattenimenti
organizzati occasionalmente o per specifiche ricorrenze,
sempreché rappresentino un'attività. Poco è cambiato quindi
dopo l'abrogazione dell'art. 124 del rd 635/1940. Perché il
legislatore non ha fatto altro che sancire a livello
normativo il principio già ricavato dal dicastero a livello
interpretativo.
In sostanza nessun obbligo per l'esercente quando il
trattenimento è funzionale all'attività commerciale ed è
lecito che l'esercente attui una maggiore attrattiva sul
pubblico, ma senza quella specifica imprenditorialità nel
campo dell'intrattenimento e dello spettacolo che farebbe,
invece, scattare l'obbligo del rispetto delle specifiche
norme
(tratto da ItaliaOggi del
17.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO
DEL FARE/
Ristrutturazioni, meno vincoli.
Demolizioni seguite da ricostruzione: sagoma esclusa.
Via libera alla deburocratizzazione dei
pareri per la Scia.
L'esclusione della sagoma, quale vincolo per considerare
ristrutturazione le demolizioni seguite da ricostruzione; la
sburocratizzazione dei pareri necessari per la Scia; la
proroga dei termini di inizio e fine lavori; le agibilità
parziali; il silenzio rigetto per i permessi di costruire in
aree vincolate.
Queste alcune delle novità in materia di edilizia apportate
dal pacchetto di semplificazioni contenuto nel decreto del
Fare (69/2013).
Vincoli ambientali. Si passa dal silenzio-rifiuto al
silenzio-rigetto, immediatamente impugnabile. Secondo il
Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001), nel caso in cui
manchi un atto di assenso per vincolo ambientale,
paesaggistico e culturale, si viene a formare il silenzio
rifiuto. Il decreto legge modifica il procedimento in caso
di immobili vincolati nel seguente modo.
Se l'assenso
dell'autorità preposta al vincolo è favorevole, il comune
sarà tenuto a concludere il procedimento di rilascio del
permesso di costruire con un provvedimento espresso e
motivato. Se, invece, l'atto di assenso viene negato,
decorso il termine per il rilascio del permesso di
costruire, questo si intenderà respinto. L'atto è
immediatamente impugnabile.
Pareri. Allo sportello unico per l'edilizia va il compito di
acquisire i pareri anche prima della presentazione della
Scia. Il testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione,
da parte dello Sportello unico per l'edilizia (Sue), degli
atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso
in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione
della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia
libera o della Scia edilizia. Il decreto estende la
disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, dispone che l'interessato possa,
prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere
allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di
assenso necessari per l'intervento edilizio.
Lo sportello si
deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di
costruire: se non sono rilasciati gli atti di assenso delle
altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso
di una o più amministrazioni interpellate, il responsabile
dello sportello unico indice la conferenza di servizi per
acquisirli. Se poi l'istanza di acquisizione di tutti gli
atti di assenso è contestuale alla segnalazione certificata
di inizio attività, l'interessato potrà dare inizio ai
lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello
unico dell'avvenuta acquisizione degli atti di assenso o
dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità
si applicano anche alla comunicazione dell'inizio dei lavori
per l'attività edilizia libera, qualora siano necessari atti
di assenso per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Edilizia libera. Una dichiarazione in meno per la
comunicazione di inizio lavori. Il Testo unico per
l'edilizia prevede per l'attività edilizia libera l'invio di
una comunicazione dell'inizio dei lavori, a cui deve essere
allegata una relazione asseverata firmata da un tecnico
abilitato, che dichiari di non avere rapporti di dipendenza
con l'impresa né con il committente. Il decreto dispone di
eliminare tale dichiarazione da parte del tecnico abilitato.
Agibilità parziale. Il decreto modifica la disciplina del
certificato di agibilità, consentendone la richiesta anche
per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso
stabile. Questo a condizione che le unità siano
funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e
collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative
all'intero intervento edilizio e siano state completate e
collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati
e certificati gli impianti relativi alle parti comuni.
L'agibilità parziale potrà essere richiesta anche per
singole unità immobiliari, purché siano completate e
collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati
gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere
di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto
all'edificio oggetto di agibilità parziale.
Decorrenza.
Le nuove disposizioni si applicano dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto
(tratto da ItaliaOggi del
14.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Iter più snello, ma niente Scia per modificare la sagoma.
Semplificazione a metà sugli
immobili vincolati.
Iter semplificato –ma solo in parte– per gli immobili
vincolati. Il decreto del fare (Dl 69/2013, convertito in
legge dal Parlamento) da un lato alleggerisce la procedura
per il rilascio del permesso di costruire per gli immobili
sottoposti a vincoli, mentre dall'altro continua a
richiederlo –o in alternativa la Dia– quando si realizzano
su edifici vincolati interventi di demolizione e
ricostruzione con modifica della sagoma.
Il vincolo di sagoma
Di fatto, la deregulation sul rispetto della sagoma
introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr
380/2001 (si veda l'articolo in basso) non si applica agli
immobili assoggettati a vincoli previsti dal Dlgs 42/2004.
Nel caso di questi immobili gli interventi di demolizione e
ricostruzione per essere considerati di ristrutturazione
edilizia devono conservare volumetria e sagoma preesistenti
(negli immobili non vincolati è sufficiente il rispetto solo
del primo vincolo).
In altri termini, quando il nuovo
edificio riproduce la stessa forma di quello demolito,
l'intervento può essere essere eseguito con la Scia, se la
forma cambia è indispensabile chiedere il rilascio del
permesso di costruire o la Dia. Peraltro, è bene ricordare
che il quadro delle norme nazionali –così come modificato
dal decreto "del fare"– va sempre coordinato con le norme
regionali (si veda la scheda a destra).
L'iter più leggero
Relativamente alle procedure, le nuove norme intervengono
sui commi 8, 9 e 10 dell'articolo 20 del Dpr 380/2001. Il
comma 10 viene abrogato: disciplinava il rilascio del
permesso di costruire relativo agli immobili sottoposti a
vincoli la cui tutela è attribuita ad amministrazioni
diverse da quella comunale. La norma abrogata prevedeva che
per acquisire i pareri di quelle amministrazioni, il
responsabile comunale del provvedimento dovesse convocare
una conferenza di servizi. L'attivazione di questa fase
procedurale non era richiesta quando i pareri erano di
pertinenza del Comune oppure quando l'amministrazione
comunale era stata delegata a rilasciarli dalle
amministrazioni titolari della relativa competenza. Con le
nuove norme l'ufficio comunale convoca la conferenza dei
servizi se lo ritiene opportuno, ma non è più obbligato a
farlo.
Rilevanti sono anche le modifiche introdotte al comma 9
dell'articolo 20. Nella versione precedente, questa norma
prevedeva che nel caso di parere negativo delle
amministrazioni competenti a esprimersi sui vincoli
ricadenti sull'immobile, «decorso il termine per l'adozione
del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di
costruire si intende formato il silenzio-rifiuto». Se gli
altri enti erano contrari, pertanto, l'amministrazione
comunale non era tenuta ad assumere alcun provvedimento in
risposta all'istanza presentata da un'impresa o un
cittadino.
Con le nuove regole, invece, la procedura di rilascio o di
diniego del permesso di costruire deve concludersi con un
atto dell'amministrazione comunale, che deve essere
notificato all'interessato e nel quale devono essere
indicati il termine e l'autorità a cui è possibile ricorrere
nel caso di non accoglimento della richiesta.
Pur senza ammettere una valutazione meno rigorosa dei
vincoli paesaggistici e storico-artistici, l'eliminazione
del silenzio-rifiuto introduce una maggiore tutela nei
rapporti con la pubblica amministrazione dei soggetti
titolari di diritti su quegli immobili: non possono
accampare alcun diritto in più a vedere accolte le proprie
proposte, ma hanno il diritto di conoscere le ragioni per le
quali i progetti avanzati non possono essere realizzati.
Il rendimento energetico
Novità anche in fatto di applicazione del Dlgs 192/2005,
relativamente alle regole sul rendimento energetico degli
edifici vincolati. In sede di conversione del Dl 63/2013, si
è infatti intervenuti sulla norma che escludeva dal
l'applicazione del Dlgs 192/2005 gli edifici vincolati «solo
nel caso in cui il rispetto della prescrizione implichi
un'alterazione sostanziale del loro carattere e aspetto con
particolare riferimento ai profili storici e artistici». Ora
si precisa che sono le amministrazioni titolari delle
autorizzazioni relative al vincolo a dover chiarire se «il
rispetto della prescrizione imposta implichi un'alterazione
sostanziale del carattere o aspetto» dell'edificio.
Viene quindi reintrodotto il vincolo paesaggistico tra
quelli che possono far venir meno l'applicazione del Dlgs
192, ferma restando la valutazione affidata all'autorità
preposta al vincolo. La sola violazione di uno dei vincoli,
inoltre, dovrebbe essere sufficiente a disapplicare il
decreto.
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Le altre misure. Le disposizioni per gli edifici «ordinari»
fuori dai centri storici.
Ricostruzione anche difforme e otto anni per finire i lavori.
Per classificare come ristrutturazione edilizia la
demolizione e ricostruzione di un edificio non sarà più
necessario rifarlo esattamente uguale a come era in
precedenza, con la stessa sagoma. I Comuni possono, però,
limitare l'applicazione di questa norma nei centri storici.
Sono alcune delle semplificazioni che il decreto legge "del
fare" (Dl 69/2013) ha apportato, in materia di edilizia, al
testo unico dell'edilizia.
La modifica introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c),
del Dpr 380/2001, permette di includere la demolizione di un
edificio e la sua successiva ricostruzione (anche di ruderi
di consistenza certa prima del crollo) con una forma
differente dalla precedente tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia, con la possibilità, quindi, di
realizzare i progetti con segnalazione certificata di inizio
attività (Scia). Finora questi interventi passavano per
nuove costruzioni, con la conseguenza che per realizzarli
occorreva il permesso di costruire o la denuncia di inizio
attività (Dia). Naturalmente, tra il vecchio e il nuovo
edificio deve restare invariata la volumetria.
In sede di conversione del Dl 69 è stata introdotta una
limitazione all'applicazione generalizzata e automatica
della semplificazione sulla sagoma. Entro il 30 giugno del
prossimo anno i sindaci devono, se non vogliono che al loro
posto lo faccia un commissario regionale o ministeriale,
individuare le aree dei centri storici e le altre
classificate come zone omogenee A dal decreto ministeriale
1444/1968 nelle quali per gli interventi di demolizione e
ricostruzione con modifica della sagoma continua ad essere
necessario il permesso di costruire. Nelle restanti aree
delle zone A, i lavori potranno iniziare solo dopo 30 giorni
dalla presentazione della Scia. In queste zone
l'applicazione della Scia a interventi con modifica della
sagoma è sospesa: sarà possibile solo dopo che i Comuni
avranno indicato le aree assoggettate a permesso di
costruire.
Questa novità si lega a un'altra disposizione del decreto,
in base alla quale lo sportello unico per l'edilizia (Sue) è
diventato l'ufficio del Comune che deve acquisire tutti i
pareri e nullaosta anche per gli interventi realizzati con
la comunicazione di inizio dei lavori e la Scia.
L'interessato può presentare la richiesta di acquisizione di
parere contestualmente alla Scia o comunicazione. In
alternativa può dividere in due tempi l'operazione: prima
chiede al Sue di acquisire gli assensi necessari e poi, una
volta ottenuti, presenta la comunicazione del titolo
abilitativo.
Un'altra misura anticrisi riguarda la validità temporale dei
titoli abilitativi. Con il decreto del fare non occorre più
alcuna motivazione per chiedere, al Comune, di iniziare i
lavori oltre il termine di un anno dal ritiro del permesso
di costruire o per terminarli oltre i tre anni dalla posa
della prima pietra.
D'ora in avanti per ottenere una proroga di due anni di
ognuno di quei termini è sufficiente una semplice istanza,
senza che l'amministrazione comunale possa sindacare sul
perché.
In sostanza vengono raddoppiati da quattro a otto gli anni a
disposizione degli interessati per completare gli
interventi. Le imprese, quindi, hanno più tempo per
realizzare gli interventi senza chiedere il rilascio di un
nuovo permesso e senza pagare il contributo commisurato agli
oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione per la
parte dell'opera non completata entro il termine di validità
del titolo. La proroga vale anche per gli interventi
realizzati con Dia e Scia. Finora solo nelle Marche operava
la proroga automatica dei titoli abilitativi.
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Il recepimento.
Attività edilizia libera a geometria variabile.
Meno limiti per alcune attività di edilizia libera. È il
risultato delle modifiche apportate dal decreto "del fare"
al comma 2 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 che elenca gli
interventi per la cui realizzazione è richiesta una
preventiva comunicazione di inizio lavori al Comune, anche
tramite internet (nel comma 1 dello stesso articolo sono
riportate le attività libere per le quali non occorre
nessuna comunicazione).
Per gli interventi di manutenzione che non toccano le parti
strutturali dell'edificio, non comportano aumento del numero
delle unità immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici –nonché per le attività edilizie
relative a modifiche interne relative alla superficie
coperta dei capannoni e negozi oppure per il cambio della
destinazione d'uso degli immobili in cui si svolge
l'attività di una impresa– è inoltre necessario trasmettere
anche i dati dell'impresa incaricata dei lavori, gli
elaborati progettuale e la relazione di un tecnico
abilitato.
Prima dell'entrata in vigore del decreto, il sottoscrittore
della relazione poteva essere solo un libero professionista
indipendente sia dall'impresa esecutrice sia dal
committente. Soprattutto per le imprese con propri uffici
tecnici ciò costituiva un costo aggiuntivo. Ora questa
condizione è superata: il tecnico può essere anche un
dipendente di uno dei due soggetti interessati
all'intervento.
Questi interventi, al pari di ogni altra attività di
edilizia libera, possono essere realizzati senza alcun
titolo abilitativo solo se rispettano gli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche, sulla
sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie e quelle relative
all'efficienza energetica; devono anche tenere conto delle
disposizioni contenute nel Dlgs 42/2004.
Dall'esame delle norme regionali che hanno recepito il
contenuto del testo unico dell'edilizia (o parti di esso),
si ricava che nell'elencazione delle attività di edilizia
libera molte Regioni si sono attenute a quando previsto dal
Dpr 380/2001. In qualche caso è stata mantenuta la
distinzione tra le attività di edilizia libera per le quali
è richiesta la comunicazione anticipata al Comune e quelle
per le quali essa non occorre.
In Umbria la comunicazione è
richiesta per i cambi d'uso di non più del 50% della
superficie utile dell'unità immobiliare, entro un tetto
massimo di 50 mq. In Sardegna la comunicazione è richiesta
per tutti gli interventi. La lista delle attività libere è
molto lunga in Friuli Venezia Giulia. Se non sono
stabilmente ancorate al terreno e hanno allacciamenti mobili
ai servizi anche le strutture ricettive turistiche all'aria
aperta possono essere realizzate senza titolo abilitativo
(tratto da Il Sole 24 Ore del
12.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche
per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di
60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n.
380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3.
Sempre in via
preliminare, va rilevato che i provvedimenti impugnati sono
stati emanati nei termini legali, atteso che anche per le
domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60
giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3
(TAR Basilicata,
sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: Al comune il compito di recuperare i pareri per la Scia.
Lo sportello unico dovrà acquisire gli atti presupposti
all'inizio dei lavori.
Al comune il compito di recuperare i pareri necessari per la
Scia, agibilità edilizia parziale e semplificazioni nella
comunicazione di inizio attività per l'attività di edilizia
libera.
Sono queste alcune delle novità in materia edilizia
della bozza di decreto legge sulle semplificazioni, che va
oggi in Consiglio dei ministri. Partiamo proprio dai pareri
per esaminare le possibili innovazioni al Testo unico per
l'edilizia.
Pareri. Allo sportello unico andrebbe il compito di
acquisire i pareri anche prima della presentazione della
Scia. Il Testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione,
da parte dello sportello unico per l'edilizia (Sue), degli
atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso
in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione
della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia
libera o della Scia edilizia. Il decreto estenderebbe la
disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, propone che l'interessato possa,
prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere
allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di
assenso necessari per l'intervento edilizio. Lo sportello si
deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di
costruire, ma con termini ridotti alla metà: se entro 30
giorni dalla domanda non sono stati rilasciati gli atti di
assenso delle altre amministrazioni pubbliche, o è
intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni
interpellate, il responsabile dello sportello unico indice
la conferenza di servizi per acquisirli.
In dettaglio si
propone l'inserimento nel Testo unico dell'edilizia di un
nuovo articolo che prevede che nei casi in cui si applica la
disciplina della segnalazione certificata di inizio attività
prima della presentazione della segnalazione, l'interessato
potrà richiedere allo sportello unico di provvedere
all'acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque
denominati, necessari per l'intervento edilizio, o
presentare istanza di acquisizione dei medesimi atti di
assenso contestualmente alla segnalazione.
Lo sportello
unico comunicherà tempestivamente all'interessato l'avvenuta
acquisizione degli atti di assenso. In caso di presentazione
contestuale della segnalazione certificata di inizio
attività e dell'istanza di acquisizione di tutti gli atti di
assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento
edilizio, l'interessato potrà dare inizio ai lavori solo
dopo la comunicazione da parte dello sportello unico
dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o
dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità
proposte si applicheranno anche alla comunicazione
dell'inizio dei lavori per l'attività di edilizia libera
qualora siano necessari atti di assenso, comunque
denominati, per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Agibilità parziale. Il decreto modificherebbe la disciplina
del certificato di agibilità, consentendone la richiesta
anche per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso
stabile. Questo a condizione che le unità siano
funzionalmente autonome, e sempre che siano state realizzate
e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative
all'intero intervento edilizio e siano state completate le
parti comuni relative al singolo edificio o singola porzione
della costruzione.
L'agibilità parziale potrebbe essere
richiesta anche per singole unità immobiliari (se complete
delle opere strutturali, impianti, parti comuni e opere di
urbanizzazione primarie ultimate o dichiarate funzionali
rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale). Nei
casi di rilascio del certificato di agibilità parziale prima
della scadenza del termine entro il quale l'opera deve
essere completata, lo stesso è prorogato per una sola volta
di tre anni.
Attività edilizia libera.
Una dichiarazione in meno per la comunicazione di inizio
lavori. Il Testo unico per l'edilizia prevede per l'attività
edilizia libera l'invio di una comunicazione dell'inizio dei
lavori, a cui deve essere allegata una relazione asseverata
firmata da un tecnico abilitato, che dichiari di non avere
rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.
Il decreto propone di eliminare tale dichiarazione da parte
del tecnico abilitato, consentendo di conseguenza di
rimuovere l'obbligo di assumere un tecnico indipendente: la
prescrizione che non trova riscontro nelle altre procedure
edilizie (Scia, Dia in alternativa al permesso di costruire,
permesso di costruire)
(articolo ItaliaOggi del 15.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Gustapane,
SCIA edilizia e responsabilità penale dei funzionari
comunali
(maggio 2013 - tratto da www.filodirittto.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia senza imposta di bollo. Le Entrate esonerano dal
tributo, salvo altre certificazioni.
Risoluzione dell'amministrazione
finanziaria sul nullaosta in materia di prevenzione incendi.
No all'applicazione dell'imposta di
bollo per la presentazione della Segnalazione certificata
d'inizio attività (Scia), purché la stessa non preveda il
rilascio di un provvedimento o, comunque, di certificazioni.
Imposta di bollo nella misura di euro 14,62 a foglio,
invece, per nulla osta di fattibilità che i titolari delle
attività soggette ai controlli di prevenzione possono
richiedere, al comando dei vigili del fuoco.
L'Agenzia delle entrate, con la
risoluzione 08.04.2013 n. 24/E, risponde al quesito
posto dal dipartimento dei vigili del fuoco in ordine al
corretto trattamento da riservare, ai fini dell'imposta di
bollo, su alcuni documenti. In pratica si tratta del
nullaosta di fattibilità che i titolari delle attività
soggette al controllo dei vigili del fuoco possono
richiedere preventivamente al comando provinciale vigili del
fuoco e delle richieste di verifiche in corso d'opera al
fine di attestare la rispondenza delle opere alle
disposizioni in materia di prevenzione incendi, anche
durante la loro realizzazione.
I tecnici di prassi sostengono il nulla osta di fattibilità
rientra tra gli «Atti e provvedimenti_» di cui
all'articolo 4 della tariffa allegata al dpr n. 642 del
1972, «_ rilasciati (_) a coloro che ne abbiano fatto
richiesta» e, pertanto, è soggetto all'imposta di bollo
nella misura di euro 14,62 per ogni foglio. Nel caso delle
richieste di verifiche in corso d'opera, se a seguito della
effettuazione di queste visite, l'amministrazione proceda
all'emanazione di un atto amministrativo, sia l'istanza
presentata dall'ente o dal privato che il relativo atto
rilasciato devono essere assoggettati ad imposta di bollo,
ai sensi degli articoli 3 e 4 della tariffa del dpr n. 642
del 1972.
Per quanto riguarda la Scia, l'Agenzia delle entrate con la
risoluzione 05.07.2001 n. 109, ha avuto modo di chiarire,
con riferimento alle denunce di inizio attività di cui alla
legge 07.08.1990 n. 241, che le stesse «_ non sono da
assimilare alle istanze volte ad ottenere l'emanazione di un
provvedimento_ Non essendo prevista l'emanazione di un
provvedimento (_) non è possibile far rientrare tra le
istanze_» di cui al citato articolo 3 dpr n. 642 del
1972 «_ le denunce di inizio attività (_) che sono
infatti da considerare come semplici comunicazioni e
pertanto non soggette ad imposta di bollo_».
Oggi, sulla base di tale risoluzione del 2001, i tecnici di
prassi ritengono che la Scia, non deve essere assoggettata a
imposta di bollo, sempreché la stessa non preveda il
rilascio di un provvedimento o, comunque, il rilascio di
certificazioni (articolo
ItaliaOggi del 09.04.2013 - tratto da
www.fiscooggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Asprone e A. Magliulo,
LE AZIONI ESPERIBILI DAI TERZI CONTROINTERESSATI IN MATERIA
DI SCIA ALLA LUCE DEGLI ULTIMI APPRODI NORMATIVI E
GIURISPRUDENZIALI
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Segnalazione certificata di inizio attività, SCIA. Il
delicato aspetto controverso, connesso alla questione
relativa alla natura giuridica e i termini entro cui
proporre tale azione.
-----------------
Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e
giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. - 2.
Considerazioni conclusive. |
anno 2012 |
 |
EDILIZIA
PRIVATA:
I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal
Consiglio di Stato.
La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri.
Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso
di costruire i conteggi vengono differiti fino
all'approvazione del progetto.
L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del
provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività),
insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione
della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento
del carico urbanistico, quindi all'attività di
trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al
momento di presentazione della Scia o della denuncia che
l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli
oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari
successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un
principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza
04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece,
l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del
progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di
anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe
vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più
favorevoli, in vigore alla data di presentazione della
domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e
n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato
introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi
trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il
Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha
progressivamente definito i contenuti e la portata,
chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di
Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il
contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed
obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato,
sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di
una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle
parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione
dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione
V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso
che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a
fronte di un asserito inadempimento del Comune della
"controprestazione" pattuita, che nel caso specifico
consisteva nella costruzione di una strada indispensabile
per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso
di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato
nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che
viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento
di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e
la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere
collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata
area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente
sia dalle spese effettivamente occorrenti
all'amministrazione per realizzare le opere di
urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il
proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale
titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire
l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni
cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative
disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la
delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione
edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli
oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento
comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e
localizzazione del manufatto, oppure all'entità della
trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV,
sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla
giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta
all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua
impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non
vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci
si limiti a contestare la concreta quantificazione del
contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le
controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e
sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni
innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012,
n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
---------------
I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA
CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della
concessione edilizia si configura come fatto costitutivo
dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per
oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così
alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili
affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato
e grazie alle quali l'area acquista un beneficio
economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo
i parametri vigenti al momento del rilascio della
concessione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n.
4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO
È IMMEDIATO
Nel caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
(Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il
costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione
della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione
esistente al momento della presentazione della domanda -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO
IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati i contributi concessori per gli interventi
edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale,
è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della
sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla
contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a
posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel
termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI
NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di
urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato
sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede
una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011,
n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare
il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le
tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del
complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi
effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva
qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio
oggetto di concessione edilizia e di contribuzione
urbanistica -
Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato
tenendo conto anche delle "superfici di calpestio",
ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite
dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani
utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno
escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai
pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali
cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per
l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di
urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del
carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento
edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non
nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di
quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior
incremento del carico urbanistico -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n.
4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono
dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle
zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi
adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da
parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla
collettività comunale per effetto della trasformazione del
territorio -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009,
n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE
DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri
d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle
tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di
costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come
definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze
edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo
abilitativo -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza
22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria
dell'insussistenza o di una diversa entità del debito
contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a
prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con
cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un
giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio
pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011,
n. 1752 (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: W.
Fumagalli,
IL LAVORO DEGLI OPERATORI DELL’EDILIZIA È SEMPRE PIÙ
COMPLICATO - La S.C.I.A. edilizia in Lombardia - Come se
la crisi non bastasse, da Palazzo Lombardia ecco arrivare
un’altra bella gatta da pelare
(AL n. 9-10/2012). |
EDILIZIA PRIVATA: SCIA,
super-DIA, permesso di costruire: tutto
quello che c’è da sapere, in un documento
semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi,
dalla semplice manutenzione alla costruzione
di un nuovo fabbricato, è necessario
possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la
super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse
attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o
l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un
documento di sintesi, contenente le
definizioni relative alle diverse attività
edilizie, le tipologie dei permessi
previsti, le relative normative di
riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni
previste.
Il documento risulterà certamente utile a
tutti i tecnici dell’edilizia e non solo
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La Scia è
materia riservata allo stato. Respinti i
ricorsi di quattro regioni.
La Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) va ricondotta al parametro dei
livelli essenziali delle prestazioni (art.
117, II comma, lettera m) Cost. e, in quanto
tale, rientra nella competenza dello Stato.
È quanto ha stabilito la Corte
Costituzionale con la
sentenza
27.06.2012 n. 164 respingendo i
ricorsi presentati da Toscana, Liguria,
Emilia Romagna, e Regione autonoma Valle
d'Aosta/Vallée d'Aoste.
A distanza di due anni, quindi, dalla
modifica dell'articolo 19 della legge
241/1990, con l'introduzione della Scia
(immediatamente efficace) in luogo della Dia
(ad efficacia differita) il giudice delle
leggi ha affermato che la disciplina della
Scia attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni e, quindi, di competenza dello
stato. Ciò in quanto tale affidamento in via
esclusiva si collega al fondamentale
principio di uguaglianza stabilito dall'art.
3 della Costituzione. Ciò comporta,
inevitabilmente, ha osservato la Corte, una
restrizione dell'autonomia legislativa delle
regioni, allo scopo di assicurare un livello
uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione.
La Corte ha invece condiviso uno dei motivi
di ricorso delle regioni, ovvero che la Scia
non poteva considerarsi attinente anche alla
tutela della concorrenza, così come
affermato dall'art. 49, commi 4-bis e 4-ter,
del dl 78/2010. Il riferimento alla «tutela
della concorrenza» contenuto nella legge
che ha introdotto il nuovo istituto, ha
rilevato la Corte, è del tutto
inappropriato. Perché detta disciplina ha un
ambito applicativo diretto alla generalità
dei cittadini e perciò va oltre tale
materia. anche se è ben possibile che vi
siano casi nei quali quella materia venga in
rilievo. Uno dei motivi di ricorso delle
regioni riguardava anche la Scia ed il
settore dell'edilizia.
A tale proposito, la Corte ha sottolineato
che ogni dubbio interpretativo circa
l'applicabilità a tale settore è stato
superato in forza del fatto che il
legislatore è intervenuto successivamente
con il dl 70/2011. Ma relativamente a tale
aspetto ha precisato che «non può porsi
in dubbio che le esigenze di semplificazione
e di uniforme trattamento sull'intero
territorio nazionale valgano anche per
l'edilizia anche se questa, come
l'urbanistica, rientra nel governo del
territorio», materia appartenente alla
competenza legislativa concorrente tra Stato
e regioni»
(articolo ItaliaOggi del 28.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure
urgenti per la crescita del Paese"
(D.L.
22.06.2012 n. 83).
---------------
Le disposizioni del Decreto Legge sono
già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per
ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni
di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi
(SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl
semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del Decreto, riproponiamo
il documento di sintesi delle principali
disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a
http://www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Tenuto
conto del lungo tempo intercorso dalla
presentazione della SCIA e delle numerose
integrazioni documentali, è illegittimo il
provvedimento di demolizione recante un mero
richiamo alla presunta contrarietà
dell’opera alle NTA vigente e senza alcun
cenno ai presupposti per l’esercizio del
potere di autotutela, come del resto
stabilito dalla prevalente giurisprudenza in
analoghe fattispecie, nelle quali
l’esercizio del potere repressivo in materia
edilizia non è stato preceduto dal rituale
esercizio del potere ex art. 21-nonies della
legge 241/1990.
L’ordinanza di demolizione concerne un’opera
(box per auto), realizzata dall’esponente in
esecuzione della SCIA depositata il
24.05.2011 e successivamente integrata
attraverso la produzione documentale del
21.06.2011 e del 13.09.2011 (cfr. doc. 1 del
ricorrente).
A fondamento della propria decisione, il
Comune assume la presunta difformità
dell’opera rispetto agli elaborati
progettuali (distanza dal fabbricato
principale di metri 4,2 anziché 5 ed altezza
di metri 2,92 anziché 2,5).
L’art. 19 della legge 241/1990, nel testo
attualmente vigente relativo alla SCIA,
consente all’Amministrazione, in caso di
accertata carenza dei requisiti di legge per
la segnalazione certificata di inizio
attività, di adottare provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività o di
rimozione degli effetti, entro 30 giorni dal
ricevimento della SCIA in materia edilizia
(così il combinato disposto dei commi 3 e
6-bis dell’art. 19).
Dopo la scadenza del suddetto termine, è
consentito l’intervento dell’Amministrazione
per la tutela di beni giuridici di
particolare valore (ambiente, salute ed
altri), oppure l’esercizio del potere di
autotutela ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies della legge
241/1990 (così i commi 3 e 4 dell’art. 19).
Nel caso di specie, l’ordinanza di
demolizione è stata adottata il 13.02.2102
(cfr. doc. 1 del ricorrente), allorché
l’ultima produzione documentale integrativa
da parte dell’esponente era avvenuta il
19.12.2011, come del resto ammesso anche nel
provvedimento ivi impugnato.
Nell’ordinanza di demolizione, manca ogni
accenno ai presupposti per l’esercizio del
potere di autotutela ai sensi dell’art.
21-nonies sopra citato, né è fatto
riferimento ad un eventuale pericolo di
danno per il patrimonio artistico od altro,
ai sensi del comma 4 dell’art. 19.
Il Comune si limita infatti, nell’ordinanza
stessa, a sostenere la presunta contrarietà
dell’intervento edilizio all’art. 13 delle
NTA del vigente PRG, senza altro addurre per
giustificare il provvedimento di carattere
demolitorio adottato nei confronti della
SCIA dell’esponente.
Tenuto conto del lungo tempo intercorso
dalla presentazione per la prima volta della
SCIA (24.05.2011) e che l’ultima delle
–peraltro numerose– integrazioni documentali
é stata effettuata il 19.11.2011, il
provvedimento di demolizione del 13.02.2012,
recante un mero richiamo alla presunta
contrarietà dell’opera alle NTA vigente e
senza alcun cenno ai presupposti per
l’esercizio del potere di autotutela, appare
illegittimo, come del resto stabilito dalla
prevalente giurisprudenza in analoghe
fattispecie, nelle quali l’esercizio del
potere repressivo in materia edilizia non è
stato preceduto dal rituale esercizio del
potere ex art. 21-nonies della legge
241/1990 (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez.
IV, 07.06.2011, n. 1405; TAR Marche,
27.09.2010, n. 3305 e TAR Campania, Napoli,
sez. VIII, 02.07.2010, n. 16562).
Si conferma pertanto l’accoglimento del
ricorso, con assorbimento di ogni altra
censura e con conseguente annullamento
dell’ordinanza comunale del 13.02.2012
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.06.2012 n. 1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
SCIA in edilizia e tutela del terzo (esegesi
dell’art. 19 della legge n. 241/1990 e
ss.mm.ii., con invito alla chiarezza
normativa rivolto al Presidente del
Consiglio dei Ministri) (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di ricorsi
proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a.
anteriormente all'esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione, in
virtù del principio di economia processuale,
l'azione di accertamento, una volta maturato
il termine per la definizione del
procedimento amministrativo, si converte
automaticamente in domanda di impugnazione
del provvedimento sopravvenuto in ragione
del fatto che la portata sostanziale del
ricorso iniziale finisce per investire sia
sul piano del petitum che della causa
petendi la decisione della p.a. di non
adottare il provvedimento inibitorio.
Dunque, è riconosciuta la possibilità di
un’azione giurisdizionale di accertamento
della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a.
presentate dai privati, prima dell’esercizio
da parte dell’amministrazione competente
dell’azione inibitoria di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di
legittimità.
Per quanto
riguarda la contestabilità in giudizio della
s.c.i.a., va preliminarmente ricordato come
l’istituto sia nuovo nel nostro ordinamento.
Introdotte con modifica all’art. 19 della L.
07.08.1990 n. 241 dalla L. 30.07.2010 n.
122, le s.c.i.a. (segnalazioni certificate
d’inizio attività edilizia) insieme alle
d.i.a. s’inseriscono tra le modalità di
semplificazione dell’azione amministrativa
con effetto sostitutivo, a mezzo
dichiarazione, di provvedimenti pubblici di
autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominati, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
requisiti e presupposti di legge o di atti
amministrativi a contenuto generale (art.
19, comma 1, della L. n. 241/1990).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,
con decisione 29.7.2011 n. 15, ha statuito
che nel caso di ricorsi proposti avverso
d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente
all'esercizio del potere inibitorio da parte
dell’amministrazione, in virtù del principio
di economia processuale, l'azione di
accertamento, una volta maturato il termine
per la definizione del procedimento
amministrativo, si converte automaticamente
in domanda di impugnazione del provvedimento
sopravvenuto in ragione del fatto che la
portata sostanziale del ricorso iniziale
finisce per investire sia sul piano del
petitum che della causa petendi la
decisione della p.a. di non adottare il
provvedimento inibitorio.
La pronuncia, dunque, riconosce la
possibilità di un’azione giurisdizionale di
accertamento della illegittimità di d.i.a. e
s.c.i.a. presentate dai privati, prima
dell’esercizio da parte dell’amministrazione
competente dell’azione inibitoria di divieto
di prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di legittimità
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 04.05.2012 n. 4007 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
il comune è silente la Scia va in tribunale.
Al chi si ritiene leso dagli effetti della
Dia (oggi Scia) concessa, per esempio, a un
vicino di casa, non resta che esperire
l'azione di cui all'articolo 31 del codice
del processo amministrativo in materia di
silenzio della pubblica amministrazione.
È
il risultato della manovra di Ferragosto
prima e del correttivo al Cpa poi che,
recependo solo in parte le indicazioni
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di
stato, hanno di fatto cancellato
dall'ordinamento giuridico l'azione di
annullamento del provvedimento tacito di
diniego dei provvedimenti inibitori,
introdotta solo per via giurisprudenziale da
palazzo Spada. Chi si ritiene danneggiato
dalla Dia-Scia, comunque, potrà agire ben
prima della scadenza del termine finale
assegnato all'amministrazione per
l'esercizio del potere di bloccare
l'iniziativa o modificare il titolo. E ciò
fin da quando la Scia o la Dia sono
presentate e il terzo viene a sapere della
loro utilizzazione.
Lo precisa la
sentenza
05.03.2012 n. 298 della II Sez. del TAR
Veneto.
Unico rimedio
L'adunanza plenaria 15/2011 di palazzo Spada
ha stabilito che la Dia costituisce una mera
dichiarazione del privato rivolta
all'amministrazione competente e non un
provvedimento tacito formatosi per il
decorso del termine. In base al nuovo quadro
normativo, tuttavia, il legislatore
recepisce sì l'indicazione proveniente dal
Consiglio di stato rispetto alla Dia-Scia,
in quanto atto del privato non
immediatamente impugnabile, ma se ne
discosta sui rimedi esperibili dal terzo
controinteressato, il quale ha ora a
disposizione soltanto l'azione prevista
dall'articolo 31 Cpa per i casi di silenzio
dell'amministrazione.
Ma l'azione, più che
il silenzio, riguarderà direttamente
l'accertamento dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
segnalazione, con i conseguenti effetti
conformativi rispetto ai provvedimenti
spettanti all'amministrazione. Il rinvio
all'istituto del silenzio, insomma, non
riduce molto la tutela in favore del terzo:
chi si ritiene leso dalla Dia-Scia concessa
al vicino di casa potrà sollecitare con una
diffida l'esercizio dei poteri sanzionatori
e repressivi che spettano
all'amministrazione in materia edilizia,
oltre che l'esercizio del potere di
autotutela.
Entro un anno dalla scadenza del
termine per l'adempimento si potrà esperire
l'azione di cui all'articolo 31 Cpa,
richiamata dal comma 6-ter dell'articolo 19
della legge 241/1990
(articolo ItaliaOggi
del 04.04.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una DIA o di una SCIA, non
dà luogo ad alcun procedimento
amministrativo, per cui il decorso del
termine di legge di 60 o 30 giorni per
l’adozione di provvedimenti inibitori o
repressivi da parte della Pubblica
Amministrazione non configura alcuna
conclusione di procedimento amministrativo
né alcuna adozione di un provvedimento
tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990,
consente al terzo che si reputa leso dalla
presentazione della DIA/SCIA una sola
modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo
periodo, contiene a tale proposito la parola
<<esclusivamente>>, introdotta in sede di
conversione del decreto legge), vale a dire
la sollecitazione all’esercizio delle
verifiche spettanti all’Amministrazione e,
in caso di inerzia di quest’ultima, la
proposizione dell’azione prevista dall’art.
31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro
il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo.
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la
“sollecitazione” del terzo
all’Amministrazione, affinché quest’ultima
eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a porre
in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i
propri poteri di verifica e correlativamente
a configurare, in caso di inerzia della P.A.
stessa, un silenzio inadempimento,
giuridicamente rilevante, censurabile
davanti al giudice amministrativo con
l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs.
104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione.
Come noto, il regime della tutela
giurisdizionale del terzo a fronte della
presentazione di una denuncia/dichiarazione
di inizio attività (DIA) o di una
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA), reputate dal terzo contra legem,
è oggi contenuto nell’art. 19 della legge
241/1990, come modificato dal decreto legge
138/2011, convertito con legge 148/2011.
Il comma 6-ter dell’art. 19 citato, esclude
in primo luogo che la DIA e la SCIA
costituiscano provvedimenti amministrativi
taciti direttamente impugnabili: si tratta
di una scelta legislativa conforme alla
conclusione alla quale era giunta –seppure
dopo un serrato dibattito– la stessa
giurisprudenza amministrativa, con la
sentenza dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011, di poco
anteriore alla riforma legislativa del
decreto legge 138/2011.
Di conseguenza, nello schema normativo del
citato comma 6-ter, la presentazione di una
DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun
procedimento amministrativo, per cui il
decorso del termine di legge di 60 o 30
giorni per l’adozione di provvedimenti
inibitori o repressivi da parte della
Pubblica Amministrazione non configura
alcuna conclusione di procedimento
amministrativo né alcuna adozione di un
provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, consente al terzo
che si reputa leso dalla presentazione della
DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il
comma 6-ter, secondo periodo, contiene a
tale proposito la parola <<esclusivamente>>,
introdotta in sede di conversione del
decreto legge), vale a dire la
sollecitazione all’esercizio delle verifiche
spettanti all’Amministrazione e, in caso di
inerzia di quest’ultima, la proposizione
dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs.
104/2010, cioè l’azione contro il silenzio
della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo (a tale proposito, si
comprende perché il D.Lgs. 195/2011,
costituente il primo decreto correttivo al
codice del processo amministrativo, abbia
modificato il primo comma dell’art. 31 del
codice stesso, permettendo l’azione contro
il silenzio non solo dal momento della
conclusione del procedimento, ma anche <<negli
altri casi previsti dalla legge>>, fra
cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19,
comma 6-ter, succitato).
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione”
del terzo all’Amministrazione, affinché
quest’ultima eserciti i propri poteri di
verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a
porre in capo alla P.A. l’obbligo di
esercitare i propri poteri di verifica e
correlativamente a configurare, in caso di
inerzia della P.A. stessa, un silenzio
inadempimento, giuridicamente rilevante,
censurabile davanti al giudice
amministrativo con l’azione di cui all’art.
31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.04.2012 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
Lombardia, Scia sì, Scia no: l'atto finale ?? |
Da questo Portale ci siamo prodigati più volte (e,
precisamente, lo scorso:
06.06.2011;
13.07.2011;
17.10.2011;
27.10.2011)
nel cercare di far capire la bontà delle nostre
ragioni secondo cui, ad oggi, in Lombardia non è
possibile applicare l'istituto della Scia
(Segnalazione certificata di inizio attività) nella
materia edilizia.
Nello specifico, lo scorso 27.10.2011 davamo conto come
l'ANCI Lombardia avesse diffuso,
il 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia”
(testo
19.10.2011) ove, in pratica, si tratta
del cosiddetto "PIANO CASA-BIS" con altre modifiche
legislative di non poco conto. E, nel contempo,
evidenziavamo come il Pdl lombardo NULLA dicesse in
merito all'istituto della Scia edilizia, ovverosia NULLA
avesse recepito per quanto disposto dal noto
D.L. n. 70/2011 convertito con
modificazioni dalla
legge 12.07.2011 n. 106, pervenendo,
per l'ennesima volta, alla conclusione che
in Lombardia NON si può
applicare (nella materia edilizia) l'istituto della Scia.
Ciò premesso e ricordato, la Giunta Regionale lombarda
con la recente
deliberazione 09.11.2011 n. 2428 ha
approvato la bozza di Pdl di cui sopra e cioè la
proposta di progetto di legge recante “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia",
definito comunemente "PIANO CASA-BIS", già
presentato l'11.11.2011 al Consiglio Regionale per
il vaglio preliminare delle competenti commissioni
assumendo l'identificativo "progetto
di legge n. 0133". E le novità introdotte
all'ultimo momento non sono di poco conto ...
Ma andiamo con ordine.
L'art. 14 del Pdl de quo così recita: "Art.
14 - (Disposizioni in materia di titoli abilitativi)
1.
Ai fini del rilascio del permesso di costruire si
applica la disciplina di cui all’articolo 20 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A).
2.
L'articolo 38 della l.r. 12/2005 è sostituito dal
seguente: “Art. 38 - (Oneri di urbanizzazione
afferenti il permesso di costruire)
1. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria dovuti è determinato con
riferimento alla data di presentazione della
richiesta del permesso di costruire, purché completa
della documentazione prevista. Nel caso di piani
attuativi o di atti di programmazione negoziata con
valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è
determinato al momento della loro approvazione, a
condizione che la richiesta del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio attività
siano presentate entro e non oltre trentasei mesi
dalla data della approvazione medesima.
2. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la
corresponsione al comune della quota di contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti,
dev’essere fatta all’atto del rilascio del permesso
di costruire, ovvero allo scadere del termine di
trenta giorni previsto dall’articolo 20, comma 6,
primo periodo, del d.P.R. 380/2001 nei casi di cui
al comma 8 del medesimo articolo 20.”.
3.
All’articolo 40 della l.r. 12/2005 è apportata la
seguente modifica:
a) al comma 2 sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: ", nonché la destinazione d'uso.".
4.
All’articolo 41 della l.r. 12/2005 sono apportate le
seguenti modifiche:
a) la rubrica
è sostituita dalla seguente: “(Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)”;
b) al comma 1 sono inserite, all’inizio, le seguenti
parole: “Ferma restando l’applicabilità della
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19
della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2,
lett. c), del D.L. 70/2011,”.
5.
Alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 103 della
l.r. 12/2005 sono soppressi i seguenti numeri: “20”
e “21”.".
La relazione di accompagnamento al Pdl così spiega la
portata del sopra riportato art. 14: "L’articolo
14 chiarisce che ai fini del rilascio del permesso
di costruire si applica la nuova disciplina
introdotta dal D.L. n. 70/2011 (cfr. art. 5, comma
2, lett. a), punto 3), basata sul silenzio-assenso,
con conseguente riscrittura dell’articolo 38 della
l.r. n. 12/2005, recuperando, dal testo precedente,
le sole disposizioni in materia di oneri di
urbanizzazione, opportunamente integrate in
relazione alla nuova procedura.
Al comma 4 del medesimo articolo si
recepisce all’interno dell’ordinamento regionale
lombardo la SCIA in materia edilizia.". |
Avete letto bene ?? |
E' la stessa Regione Lombardia a
scrivere, nero su bianco, che il suddetto comma 4 "recepisce
all'interno dell'ordinamento regionale lombardo la
SCIA in materia edilizia": quindi,
ad oggi in Lombardia NON esiste la
Scia edilizia !!
Ma andiamo con ordine e
cerchiamo di capire ogni singolo dettaglio della
questione.
Innanzitutto, proviamo a
rileggere il testo coordinato dell'articolo 41 L.R.
12/2005,
siccome modificato/integrato dal Pdl de quo,
che di seguito si riporta:
Art. 41.
(Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio
attività) (Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)
1. Ferma restando
l’applicabilità della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini
previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e
dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L.
70/2011, Chi ha titolo per presentare istanza
di permesso di costruire ha facoltà,
alternativamente e per gli stessi interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare
al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto
disposto dall'articolo 52, comma 3-bis. Gli
interventi edificatori nelle aree destinate
all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III
della Parte II.
2. Nel caso di interventi assentiti in forza di
permesso di costruire o di denuncia di inizio
attività, è data facoltà all’interessato di
presentare comunicazione di eseguita attività
sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che
non incidano sugli indici urbanistici e sulle
volumetrie, che non modifichino la destinazione
d’uso e la categoria edilizia, non alterino la
sagoma dell’edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai
fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed
edilizia, nonché ai fini del rilascio del
certificato di agibilità, tali comunicazioni
costituiscono parte integrante del procedimento
relativo al titolo abilitativo dell’intervento
principale e possono essere presentate al comune
sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.
|
Ma
cosa significano le nuove parole inserite al comma 1
?? |
L'art.
19 della legge n. 241/1990 così recita: |
Art. 19 (Segnalazione
certificata di inizio attività - SCIA)
(articolo così sostituito dall'articolo 49, comma
4-bis, legge n. 122 del 2010) -
(per l'interpretazione si veda l'articolo
5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
1.
Ogni atto di autorizzazione,
licenza, concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande
per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale
o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale, e non sia previsto alcun limite
o contingente complessivo o specifici strumenti di
programmazione settoriale per il rilascio degli atti
stessi, è sostituito da una segnalazione
dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in
cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo,
alla cittadinanza, all’amministrazione della
giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi
compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco,
nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti
dalla normativa comunitaria. La segnalazione è
corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto
riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i
fatti previsti negli
articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni
e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle
dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia
delle imprese di cui all’articolo
38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza
dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono
corredate dagli elaborati tecnici necessari per
consentire le verifiche di competenza
dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge
prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti
appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche
preventive, essi sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o
certificazioni di cui al presente comma, salve le
verifiche successive degli organi e delle
amministrazioni competenti. La segnalazione,
corredata delle dichiarazioni, attestazioni e
asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici,
può essere presentata a mezzo posta con raccomandata
con avviso di ricevimento, ad eccezione dei
procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo
della modalità telematica; in tal caso la
segnalazione si considera presentata al momento
della ricezione da parte dell'amministrazione.
(comma così modificato
dall'articolo 5, comma 2, lettera b), legge n. 106
del 2011)
2. L’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione all’amministrazione
competente.
3. L’amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile,
l’interessato provveda a conformare alla normativa
vigente detta attività ed i suoi effetti entro un
termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso
non inferiore a trenta giorni. E ' fatto comunque
salvo il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In
caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione
e dell’atto di notorietà false o mendaci,
l’amministrazione, ferma restando l’applicazione
delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di
quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al
d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in
ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo.
4. Decorso il termine per
l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo
del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis,
all’amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l’ambiente, per la
salute, per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento
dell’impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell’attività dei
privati alla normativa vigente.
(comma
così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
4-bis. Il presente articolo
non si applica alle attività economiche a prevalente
carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate
dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia di cui al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia
di intermediazione finanziaria di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
(comma
introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, legge
n. 163 del 2010)
5.
(comma
abrogato dal n. 14 del comma 1 dell'art. 4
dell'allegato 4 al
d.lgs. n. 104 del 2010)
6. Ove il fatto non
costituisca più grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che
corredano la segnalazione di inizio attività,
dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei
requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è
punito con la reclusione da uno a tre anni.
6-bis. Nei casi di Scia in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di
cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta
giorni. Fatta salva l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano
altresì ferme le disposizioni relative alla
vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.
(comma
aggiunto dall'art. 5, comma 2, legge n. 106 del
2011, poi così modificato dall'art. 6, comma 1,
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla
legge n. 148 del 2011)
6-ter. La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad
attività liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso
di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui
all'articolo
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104.
(comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
|
L'art.
5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 così
recita: |
c) le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel
senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali che, in
attuazione dell'articolo 22, comma 4, del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito
applicativo delle disposizioni di cui all'articolo
22, comma 3, del medesimo decreto e
nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non
sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni preposte
alla tutela dell'ambiente e del patrimonio
culturale. |
Tutto chiaro ?? |
A noi sembra di sì nel senso di seguito esposto: la
Regione Lombardia con le nuove parole da introdursi
al comma 1 dell'art. 41 L.R. n. 12/2005 non fa altro
che ribadire quanto già statuito dall'art. 5, comma
2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 e cioè che "le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire".
In altri termini, e per l'ennesima volta, si
ribadisce che in Lombardia
-ad oggi- non si può applicare in materia
edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività)
e, men che meno, quando il Pdl "PIANO CASA-BIS"
sarà pubblicato sul BURL siccome approvato nel testo
sopra indicato.
Se la Regione Lombardia vuole, nei fatti e non solo a
parole, che l'istituto della Scia
in materia edilizia sia realmente applicabile anche
nel proprio ordinamento ha solo una cosa da fare:
modificare/integrare la L.R. n. 12/2005 nel senso di
restringere la gamma di interventi edilizi che oggi
possono essere realizzati con la DIA in alternativa
al permesso di costruire.
In
altri termini, deve elencare puntualmente gli
interventi edilizi che sono obbligatoriamente
soggetti a DIA: magari, riprendendo pedissequamente
la formulazione dell'art. 22, comma 1, del DPR n.
380/2001. Allora sì che per questi
interventi si potrà applicare la Scia e, nel
contempo, avrà ragion d'essere l'esposizione
argomentativa di cui al
comunicato regionale 08.10.2010
(circa l'esistenza della Scia già dal lontano
31.07.2010 ... il che -ad oggi- non è affatto vero
!!).
09.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
anno 2011 |
 |
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
controversie in materia di DIA e SCIA decide
il giudice amministrativo.
Ogni controversia avente ad oggetto il
corretto e tempestivo esercizio del potere
amministrativo di controllo circa la
conformità dell'attività dichiarata al
paradigma normativo, con conseguente
adozione della misura inibitoria in caso di
esito negativo del riscontro, rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133 del codice del processo
amministrativo, comma 1, lett. a n. 3 e
lett. f dispone che le controversie in
materia di “Dia” devono essere affidate alla
giurisdizione esclusiva del plesso
giurisdizionale amministrativo. Muovendo
dall’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011 (“SCIA e
DIA sono dichiarazioni imputabili a
manifestazione di volontà privata dalla
quale scaturisce, ai sensi degli artt. 19,
comma 3, legge n. 241/1990 un procedimento
doveroso di verifica che, in assenza di
requisiti alla continuazione o all'avvio
dell'attività, si conclude con un diniego
espresso o con un "diniego tacito" di
adozione del provvedimento inibitorio.
Il silenzio che segue allo scadere del
termine perentorio per la verifica e
l'inibizione dell'attività denunciata, va
equiparato, in assenza dei previsti
requisiti, all'"atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio" che rappresenta
l'esito negativo del procedimento
finalizzato all'adozione del provvedimento
restrittivo dell'attività esercitata. La
formazione dell'"atto tacito di diniego"
alla scadenza del termine previsto per
l'esercizio della potestà di verifica è
direttamente connessa alla perentorietà del
termine stabilito negli artt. 19, comma 3,
legge n. 241/1990 -per la SCIA- e 23 comma
6, D.P.R. n. 380/2001 -per la DIA- , decorso
il quale la competente amministrazione perde
la potestà inibitoria dell'attività
esercitata salva la residua potestà di
autotutela.
Nei confronti dell'atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio -espresso o
tacito-, il terzo pregiudicato dispone
dell'azione di annullamento a tutela
dell'interesse pretensivo al corretto
esercizio della potestà di verifica e
controllo. Al terzo pregiudicato
dall'attività proseguita o iniziata
illegittimamente è altresì attribuita,
congiuntamente o separatamente da quella di
annullamento dell'"atto tacito di diniego",
l'azione di adempimento dell'obbligo
dell'amministrazione di adottare i
provvedimenti interdittivi o restrittivi, da
esercitare comunque nel termine di un anno
previsto dall'art. 31, co. 3, cod. proc. amm.
- D.Lgs. n. 104/2010 - per l'azione avverso
il silenzio.”) deve affermarsi che,
quale che sia la tecnica di tutela prescelta
dal controinteressato asseritamente leso,
ciò non incide sul riparto della
giurisdizione in subiecta materia
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6614 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LOMBARDIA: ANCORA SULLA QUESTIONE DELLA SCIA
E DEL SILENZIO-ASSENSO SULL'ISTANZA DI
PERMESSO DI COSTRUIRE. |
L'ANCI Lombardia ha diffuso, lo scorso 21.10.2011,
la bozza del Pdl “Norme per la valorizzazione del
patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni
in materia urbanistico-edilizia” (testo
19.10.2011) ove, in pratica, si tratta
del cosiddetto PIANO CASA-BIS con altre modifiche
legislative di non poco conto.
Il Pdl non è stato ancora approvato dalla Giunta
Regione e, pertanto, è suscettibile di eventuali
modifiche e/o integrazioni prima di essere posto al
vaglio delle competenti commissioni regionali e,
poi, del Consiglio regionale.
Più volte abbiamo scritto su questo Portale [e,
precisamente
il 06.06.2011,
il 13.07.2011 ed
il
17.10.2011 (nella rubrica UTILITA')] esplicitando le motivazioni per
cui in Lombardia -ad
oggi- non si può applicare in materia edilizia
l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di
inizio attività) e non si può applicare l'istituto
del silenzio-assenso alle istanze di permesso di
costruire.
Orbene, la Regione Lombardia -col nuovo PIANO CASA-BIS
di cui sopra- si accinge a recepire l'istituto del
silenzio-assenso sulle istanze di permesso di
costruire laddove l'art. 14, comma 1, del Pdl così
recita:
"Art.
14 (Procedimento per il rilascio del permesso di
costruire).
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire si
applica la disciplina di cui all’articolo 20 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A).".
E l'art. 20 del DPR n. 380/2011 (come sostituito
dall'articolo 5, comma 2, lettera a), legge n.
106/2011) così recita al comma 8:
"8.
Decorso inutilmente il termine per l'adozione del
provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il
responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato
diniego, sulla domanda di permesso di costruire si
intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, per i quali si applicano
le disposizioni di cui ai commi 9 e 10.".
Ciò premesso,
la bontà delle nostre
argomentazioni sulla NON applicabilità -ad oggi-
dell'istituto del silenzio-assenso trova conferma
e tutti coloro che ancora oggi sostengono il
contrario si devono ricredere senza appello.
Sulla questione, invece, della cosiddetta Scia possiamo
constatare come il Pdl lombardo NULLA dica in
merito, ovverosia NULLA abbia recepito di quanto
disposto dal
noto
D.L. n. 70/2011 convertito con
modificazioni dalla
legge 12.07.2011 n. 106.
Conseguentemente, e per l'ennesima volta, non ci resta
che rimarcare come l'odierno legislatore
nazionale, col decreto-legge de quo, abbia
scritto, nero su bianco, che
"...
Le disposizioni di
cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n.
241 si interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce
stesse, in base alla normativa statale o regionale,
siano alternative o sostitutive del permesso di
costruire.".
E se è vero, come è
vero, che in Lombardia la DIA è alternativa al
permesso di costruire senza alcuna limitazione (a
parte i nuovi fabbricati in zona agricola ed i
mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52,
comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005, assoggettati
unicamente al permesso di costruire) e cioè, in
altri termini, non esistono interventi edilizi che
sono obbligatoriamente soggetti alla DIA, ne
deriva una conclusione evidente, chiara,
incontrovertibile:
in Lombardia NON si può applicare
l'istituto della Scia!!
27.10.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: Armi
spuntate contro la Scia. Pochi rimedi se il
Comune non blocca il cantiere.
Non è facile impugnare la Scia del vicino.
La proliferazione dei titoli edilizi e della
relative procedure di formazione ha
complicato l'attivazione dei rimedi
giurisdizionali per contestare la
costruzione di un nuovo edificio o
l'ampliamento di quelli esistenti.
I titoli edilizi possono dividersi in due
generali categorie a seconda che siano
espressamente rilasciati dal Comune, oppure
che si formino in ragione della mancata
assunzione dell'ordine comunale di non
eseguire l'intervento.
Nel primo gruppo, i titoli "espressi",
ricadono così il permesso di costruire
ordinario (anche in variante) e in sanatoria
(tanto ordinaria, ai sensi cioè
dell'articolo 36 del testo unico
dell'edilizia, quanto straordinaria, il
condono introdotto dalla legge 47/1985),
nonché le sanzioni pecuniarie non di natura
ripristinatoria (che in sostanza autorizzano
il mantenimento degli abusi, per cui è
imposto solo il pagamento di una somma di
denaro).
Nel secondo, i titoli "taciti", si
collocano invece la Dia (denuncia di inizio
attività), la Scia (segnalazione certificata
di inizio attività, anche edilizia) e la
comunicazione di inizio lavori introdotta
dal Dl 40/2010, asseverata o meno. Sempre al
secondo gruppo vanno ricondotti gli
interventi liberi (quelli non soggetti ad
alcun titolo edilizio) che il vicino ritiene
illegittimi lamentandosi per il mancato
intervento repressivo del Comune.
L'impugnativa dei titoli "espressi"
non pone particolari problemi: è possibile
proporre ricorso al Tar entro 60 giorni
dalla loro conoscenza (termine che decorre
al più tardi dal momento in cui i lavori
raggiungono uno stadio tale da evidenziarne
la concreta lesività per il vicino), ma
impugnare i titoli "taciti" è più
complicato. Per un certo un periodo, la
giurisprudenza amministrativa si era divisa
tra la tesi secondo cui la Dia/Scia restava
un atto privato, come tale non impugnabile,
e la tesi che riconosceva la diretta
aggredibilità al Tar della Dia/Scia
(interpretazione che in sostanza afferma la
natura provvedimentale del comportamento
inerte mantenuto dal Comune, in questo
senso). Su questo secondo punto, lo scorso
29 luglio si era assestato il Consiglio di
Stato, con l'adunanza plenaria 15/2011: la
situazione si è consolidata con l'articolo
6, comma 1, lettera c), del Dl 138/2011 –la
manovra di Ferragosto– convertito nella
legge 148 dello scorso 14 settembre.
La nuova disposizione prevede espressamente
che «la segnalazione certificata di
inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili». Gli
interessati –prosegue la norma– possono
sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, possono impugnare al Tar il
silenzio che il Comune mantenga sulla
domanda volta a impedire lo svolgimento
dell'attività in contestazione.
È importante rilevare che, in questi casi,
l'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Dlgs
104/2010 (codice del processo
amministrativo) assegna normalmente al
giudice soltanto il potere di ordinare al
Comune di provvedere sulla verifica
richiesta dal privato. La possibilità di
riconoscere direttamente l'illegittimità
dell'attività disponendone la cessazione è
infatti riconosciuta al Tar solo quando si
tratti di attività vincolata o quando
risulti che non residuano ulteriori margini
di esercizio della discrezionalità e non
siano necessari adempimenti istruttori che
debbano essere compiuti
dall'amministrazione. Condizioni che non
sempre ricorrono in edilizia, specie
rispetto ai progetti più complessi, e che
rendono dunque difficile la tutela rispetto
ai lavori oggetto di Dia/Scia
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dia e Scia
stoppate subito.
Istanza al Tar per accertare illegittimità
in atto. È questo quanto emerso nel corso di
un convegno organizzato a Torino.
Dia e Scia alla sbarra subito: il terzo,
interessato a bloccare l'attività iniziata
con una denuncia o una segnalazione di
inizio attività, può chiedere immediatamente
al Tar di accertare l'illegittimità in
corso. Senza dover aspettare il termine (60
giorni) lasciato alla Pubblica
Amministrazione per disporre il blocco
dell'attività, quando questa è illegittima.
È quanto emerso al convegno di studi sul
codice del processo amministrativo,
organizzato il 13.10.2011 a Torino dal
Tar Piemonte, dalla sezione piemontese della
Associazione degli avvocati amministrativisti e dalla avvocatura del
comune di Torino.
Al centro dell'attenzione una delle più
significative della manovra di Ferragosto
(decreto legge 138/2011).
Il decreto 138 ha modificato l'articolo 19
della legge 241/1990 inserendo il comma
6-ter. Questo comma prevede che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività non costituiscono provvedimenti
taciti direttamente impugnabili e che gli
interessati possono sollecitare l'esercizio
delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il
silenzio dell'amministrazione (articolo 31
del codice del processo amministrativo, dlgs
104/2010).
In sostanza il problema è di individuare
quali strumenti di tutela abbia, per
esempio, il vicino di casa di chi sta
realizzando un'opera edilizia con una Scia o
con una Dia oppure il titolare di un
esercizio commerciale concorrente di chi sta
aprendo un negozio dall'altro lato della
strada e così via. In sostanza se, da una
parte, c'è l'esigenza di semplificare e
sburocratizzare le attività economiche e
produttive, dall'altro lato c'è l'esigenza
di non trascurare la tutela dei
controinteressati, nel caso vengano iniziate
attività non in regola con leggi e
regolamenti.
Il problema si pone soprattutto in relazione
a quei casi in cui l'attività può essere
iniziata subito prima dello scadere del
termine assegnato all'amministrazione per
fare i controlli e ordinare il blocco
dell'attività.
Si prenda il caso della Scia. L'attività
oggetto della segnalazione può essere
iniziata già dalla data della presentazione
della segnalazione all'amministrazione
competente. A questo punto l'amministrazione
ha sessanta giorni di tempo per adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi a meno che
non sia possibile ricondurre l'attività alla
piena regolarità.
Ora, siccome il comma 6-ter sopra citato
individua come unica possibilità di reazione
contro la scia la contestazione dell'inerzia
dell'amministrazione (che non adotta i
provvedimenti inibitori), ci si chiede se si
devono aspettare i sessanta giorni oppure se
il terzo possa agire subito. Anche perché
magari una volta passati i sessanta giorni
il danno per il terzo si è definitivamente
consumato (ad esempio l'opera edilizia è
completamente terminata).
Tra l'altro c'è una complicazione ad andare
dal giudice amministrativo: l'articolo 34,
comma 2, del codice del processo
amministrativo prescrive che in nessun caso
il giudice può pronunciarsi con riferimento
a poteri amministrativi non ancora
esercitati. Dunque se si agisce prima dello
scadere dei sessanta giorni lo si farebbe in
un momento in cui l'amministrazione avrebbe
ancora tempo per adottare i provvedimento di
blocco dell'attività e allora si rischia di
incorrere nel divieto dell'articolo 34.
Secondo quanto emerso al convegno torinese
il controinteressato ha la possibilità di
agire subito senza dovere aspettare i
sessanta giorni. Questo perché in questo
caso (controllo su Dia e Scia)
l'amministrazione ha un dovere di attivarsi
subito a colpire una scia o una dia
illegittima e il termine è un termine
massimo. Ma l'obbligo di adozione dei
provvedimenti di blocco sorge subito.
Quindi l'inerzia matura subito e si protrae
giorno per giorno. Inoltre non c'è
violazione dell'articolo 34 sui poteri del
giudice, perché la regola di non ingerenza
rispetto a poteri non ancora esercitati vale
solo nel caso di atti discrezionali e non
nel caso di attività vincolata (come quella
relativa ai casi in cui si può operare con
Dia e Scia)
(articolo ItaliaOggi del 21.10.2011 - link a www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia a pieno titolo negli ordinamenti locali.
In Toscana e in Umbria esce di scena la Dia
e per tutti gli interventi costruttivi per
la cui realizzazione non è richiesto il
permesso di costruire è sufficiente la Scia
(Segnalazione certificata di inizio
attività).
Sono i principali risultati
prodotti, almeno finora, dall'adesione delle
Regioni alle previsioni della parte
dell'articolo 5 del Dl 70/2011 sulla
semplificazione delle procedure relative
all'edilizia privata.
In Toscana, con la sparizione
dall'ordinamento regionale della Dia (legge
40/2001), possono essere realizzati con il
ricorso alla Scia –e quindi avviati appena
dopo aver presentato la documentazione in
Comune– interventi per l'abbattimento delle
barriere architettoniche (anche se
comportano un aumento delle superfici
esistenti o se sono eseguiti in deroga agli
indici di edificabilità), interventi di
manutenzione straordinaria, di restauro e
risanamento conservativo, di
ristrutturazione edilizia. È sufficiente la
Scia anche per particolari casi di mutamento
della destinazione d'uso degli immobili,
edifici e aree.
Tra la documentazione che
deve essere allegata alla Scia vi è la
relazione con la quale il progettista
assevera che l'opera da realizzare è
conforme agli strumenti urbanistico
comunali. Il professionista che attesta il
falso dovrà affrontare oltre al giudizio
disciplinare dell'ordine professionale di
appartenenza anche quello di una corte
penale.
Anche in Umbria si restringe il ventaglio
dei titoli abilitativi alla costruzione, con
la sostituzione generalizzata della Dia con
la Scia. Con un ampio provvedimento di
semplificazione amministrativa
dell'ordinamento regionale e di quello degli
enti locali territoriali (legge 8/2011)
viene recepito nella normativa regionale il
comma 4-ter dell'articolo 49 del Dl 78/2010,
che stabilisce che «le espressioni
segnalazione certificata di inizio attività
o Scia sostituiscono, rispettivamente,
quelle di dichiarazione di inizio attività
Dia, ovunque ricorrano, anche come parte di
una espressione più ampia».
Un ribaltamento
totale pure in fatto di silenzio-assenso:
nella normativa previgente se il
responsabile del procedimento nei 15 giorni
successivi alla richiesta non rilasciava il
permesso di costruire operava il
silenzio-rifiuto; con la nuova legge,
trascorso quello stesso periodo di tempo
senza che l'amministrazione comunale «abbia
adottato un provvedimento di diniego, il
permesso di costruire si intende assentito».
La Regione Lazio con la legge 10/2011, di
modifica del piano casa, è intervenuta per
semplificare le procedure di approvazione
degli strumenti urbanistici. Viene riformata
la legge regionale 36/1987, sullo
snellimento delle procedure urbanistiche ed
edilizie, assegnando esclusivamente alla
giunta regionale l'approvazione dei piani
attuativi degli strumento urbanistici.
Le
nuove norme elencano le modifiche che non
costituiscono variante a un piano attuativo
e che possono essere approvate dallo stesso
organo comunale che rilascia il permesso di
costruire
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Titoli
abilitativi. Il quadro completo dopo la
manovra. Permessi edilizi su cinque livelli
con la nuova Scia. Attività libera e permesso
di costruire.
Il quadro è completo, ma solo a livello
statale. Con la conversione in legge della
manovra di Ferragosto (Dl 138/2011, ora
legge 148/2011) che ha chiarito termini e
modi per contestare al Tar l'illegittimità
delle opere edilizie realizzate attraverso
la Scia (segnalazione certificata di inizio
attività) e mediante la Dia (denuncia di
inizio attività) –nei limitati casi per cui
essa è ancora prevista nell'ordinamento–
tutte le "cinque tessere" del mosaico
statale delle procedure edilizie sono al
proprio posto.
Tuttavia, ai sensi del decreto Sviluppo (Dl
70/2011 convertito in legge 106/2011), manca
ancora il dispiegamento delle leggi
regionali, che possono ulteriormente
semplificare la disciplina procedurale delle
costruzioni. E questo anche in relazione al
meccanismo del silenzio-assenso ora previsto
sulle domande di permesso di costruire
(nuovo articolo 20, comma 8, del Testo unico
sull'edilizia, Dpr 380/2001) e al rilascio
dei titoli in deroga anche rispetto alle
destinazioni d'uso imposte dai piani
regolatori (articolo 5, comma 13, Dl 70).
Sempre le Regioni, d'altra parte, sono
chiamate anche a dare attuazione al
cosiddetto nuovo piano casa (o piano città)
finalizzato ad agevolare la riqualificazione
di aree urbane degradate attraverso la
concessione dei premi volumetrici. Una
disposizione, quest'ultima, che non incide
direttamente sul fronte dei titoli edilizi,
ma che potrebbe ulteriormente modificare la
situazione dei permessi edilizi, così come
si è delineata nell'ultimo anno e mezzo.
La parola alla Consulta.
Il primo tema che si è posto agli operatori
ha addirittura investito l'applicabilità al
l'edilizia della Scia. Le incertezze anche
lessicali del primo decreto (Dl 78/2010
convertito in legge 122/2010) sono state
definitivamente spazzate via dalla legge di
conversione del decreto Sviluppo, che ha
espressamente previsto che le ultime
disposizioni (cioè la nuova formulazione
dell'articolo 20 della legge 241/1990) «si
interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380».
Resta comunque il dubbio sull'esito dei
ricorsi proposti da diverse Regioni
(Toscana, Emilia Romagna, Puglia) alla Corte
costituzionale, che contestano soprattutto
l'intrusione statale nella disciplina
edilizia che, ove di dettaglio, è di
competenza regionale.
La scala degli interventi.
Il sistema vigente è sicuramente articolato,
si va dagli interventi liberi a quelli
soggetti a comunicazione e a comunicazione
asseverata, dalle opere sottoposte a Scia, a
Dia (casi residuali) e a permesso di
costruire (ora ottenibile anche per silentium e in deroga anche alle
destinazioni d'uso e non soltanto a indici e
parametri edilizi stereometrici).
Il grafico qui a fianco ricostruisce la
disciplina statale, che resta valida in
mancanza di specifiche disposizioni
regionali e suddivide gli interventi in
cinque tipologie:
- interventi liberi;
- interventi soggetti a comunicazione
(semplice e asseverata a seconda dei casi);
- interventi soggetti a Scia;
- interventi soggetti a Dia;
- interventi soggetti a permesso di
costruire.
L'iter della Scia.
A differenza della Dia, per la quale i
lavori possono partire solo dopo il decorso
di 30 giorni dalla presentazione della
denuncia, nella Scia l'attività edilizia può
essere avviata contestualmente al l'inoltro
della segnalazione. Ecco come:
●
la Scia è corredata dalle dichiarazioni
sostitutive di certificazioni, nonché dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati, oppure dalle dichiarazioni di
conformità relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti sulla conformità
dell'intervento alle disposizioni di legge
regolamentari, corredate dagli elaborati
tecnici necessari per consentire le
verifiche di competenza
dell'amministrazione;
●
l'attività oggetto può essere iniziata dalla
data della presentazione della segnalazione;
●
se l'immobile è vincolato, i lavori potranno
cominciare dopo l'ottenimento
dell'autorizzazione dell'amministrazione
competente alla tutela del vincolo
(Soprintendenza, Regione, Provincia, Comune,
Parco);
●
in caso di accertata carenza della
conformità dell'intervento alla legge o ai
regolamenti, il Comune –nel termine di 60
giorni dal ricevimento della segnalazione–
adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione del l'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa,
salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività e i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a 30 giorni;
● dopo 60 giorni il Comune può intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente.
Alle violazioni di questa procedura si
accompagnano poi sanzioni che variano dal
livello amministrativo fino alle conseguenze
penali per chi effettua false attestazioni.
---------------
Non
impugnabile il mancato diniego del Comune.
Le ultime manovre finanziarie cambiano anche
il sistema delle impugnazioni, stabilendo
che la Dia e la Scia non possono essere
direttamente impugnate al Tar. Con la
conversione in legge 111/2011 del Dl per la
stabilizzazione finanziaria (98/2011) è
legge la disposizione per cui Dia e Scia
«non costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili. Gli interessati
possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire esclusivamente
l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2
e 3 del decreto legislativo 02.07.2010,
n. 104» (articolo 6, comma 1, lettera c, del
Dl 131/2011).
In concreto, vuol dire che i vicini lesi
dall'attività edilizia o le associazioni
ambientaliste possono chiedere al Comune di
impedire lo svolgimento dell'attività e poi
–in caso di silenzio dell'amministrazione e
comunque non oltre un anno dalla scadenza
del termine di conclusione del procedimento– ricorrere al Tar contro il silenzio del
Comune sulla loro richiesta.
Parrebbe però un'arma spuntata, perché al
giudice la norma assegna in generale solo il
potere di ordinare al Comune di provvedere
sulla verifica richiesta dal privato e
rimasta inevasa. Il Tar, infatti, ha la
possibilità di riconoscere direttamente
l'illegittimità dell'attività disponendone
la cessazione solo quando si tratti di
attività vincolata o quando risulta che non
ci sono ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità amministrativa e non siano
necessari adempimenti istruttori che debbano
essere compiuti dal Comune. Condizioni che
non sempre ricorrono in edilizia, specie
rispetto ai progetti più complessi.
La norma è stata introdotta con la rubrica
«Ulteriori semplificazioni». Non pare però
che l'obbiettivo della semplificazione sia
stato centrato, dato che la giurisprudenza
amministrativa era recentemente approdata a
una soluzione molto più diretta sul tema del
l'impugnabilità di Dia e Scia. L'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 15 depositata lo scorso 29
luglio aveva infatti statuito –attraverso
una costruzione forse coraggiosa– che
l'inerzia del Comune sulla Dia/Scia (inerzia
che consente il legittimo svolgimento
dell'attività privata) equivalesse a un
«atto tacito di diniego del provvedimento
inibitorio» direttamente impugnabile al Tar,
a cui era possibile richiedere non solo
l'annullamento di questa "finzione di atto",
ma anche l'ordine all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto del ricorso.
L'Adunanza plenaria aveva addirittura
stabilito che in caso di Scia (per cui
l'attività edilizia può iniziare
contestualmente al deposito della
segnalazione e per cui il Comune può solo
emettere sanzioni, non necessariamente
inibitorie) il Tar potesse disporre subito
la sospensione dei lavori appena avviati,
nonostante in quel momento non esistesse
alcun atto nemmeno sotto la forma del
«tacito diniego di provvedimento
inibitorio». Con la nuova legge,
l'articolata ricostruzione del giudice
amministrativo viene spazzata via e non
sembra che il legislatore abbia fatto meglio
del Consiglio di Stato in termini di
effettività della tutela dei terzi
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino,
Scia: stop alle impugnazioni dirette
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: T.
Tessaro,
Una nuova tutela dei terzi nella c.d. SCIA
voluta dal d.l. 138/2011
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
MANOVRA BIS/
Interventi edilizi rapidi e indolori.
C'è la Scia per i piccoli lavori. È gratis e
l'attività inizia subito. Segnalazione certificata
d'inizio attività al posto della Dia. Ecco
cosa cambia.
La Scia (Segnalazione certificata inizio
attività) manda in soffitta la Dia (Denuncia
inizio attività) per gli interventi edilizi
minori, espone il privato e il
professionista privato a responsabilità
penali e disciplinari. Inoltre è gratuita e
consente di iniziare subito l'intervento
edilizio, da terminare nel triennio.
La Dia rimane solo nella versione SuperDia
(alternativa al permesso di costruire). Per
la Scia gli uffici comunali devono correre e
controllarle entro 30 giorni, anche perché
dopo, di regola, si potrà bloccare i lavori
solo in casi eccezionali. Tuttavia
l'autotutela (annullamento e revoca) potrà
essere esercitata senza termini di
decadenza. Questo in sintesi l'identikit
della Scia dopo le due manovre (decreto 70 e
decreto 138 del 2011), che hanno revisionato
il Testo unico per l'edilizia. Vediamo come.
La Scia.
La Scia sostituisce la Dia per tutti gli
interventi edilizi cosiddetti minori
(articolo 22, comma 1 e comma 2, del Testo
unico edilizia, dpr 380/2001).
Per gli interventi edilizi di
ristrutturazione o nuova costruzione si
applica, la SuperDia o in alternativa, in
base alla legge statale o a quella
regionale, il permesso di costruire. Le
regioni possono ampliare il catalogo degli
interventi sottoposti a SuperDia. La Scia
non sostituisce gli atti di autorizzazione o
nulla osta ambientali, paesaggistici o
culturali.
Termini.
Con la Scia l'attività edilizia può essere
iniziata subito fin dalla data di
presentazione della pratica all'ufficio
tecnico del comune. Per la SuperDia bisogna,
invece, aspettare 30 giorni.
Trenta giorni è anche il termine entro il
quale il comune, se mancano i requisiti o i
presupposti di legge, può decidere di
vietare la prosecuzione dell'attività e la
rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa.
Si noti che il termine di 30 giorni vale per
il settore dell'edilizia, mentre in altri
campi vale il termine più lungo di sessanta
giorni.
Decorso il termine il potere di bloccare
l'attività è limitato a casi specifici e
cioè pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per
la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e comunque previo motivato
accertamento dell'impossibilità far
regolarizzare al private la situazione.
Il divieto di prosecuzione dell'attività è
misura residuale, in quanto deve essere
preferita la strada di fissare un termine
all'interessato per la regolarizzazione.
L'articolo 19 della legge 241/1990, anche a
seguito del decreto 138/2011, continua a
fare salva la possibilità per
l'amministrazione di intervenire in
autotutela (con provvedimento di revoca o
annullamento) anche decorso il termine di 30
giorni.
Cosa cambia.
Il privato deve assumersi la responsabilità
della regolarità dell'intervento edilizio e
lo deve attestare tramite il professionista.
La Scia, infatti, deve essere corredata da
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati corredate dagli elaborati tecnici
necessari per consentire le verifiche di
competenza dell'amministrazione.
In sostanza il privato deve dichiarare che
tutto è a posto con la normative urbanistica
ed edilizia e con i parametri (costruttivi,
igienico–sanitari). Questo da un lato
significa che il privato avrà maggiori
responsabilità, le quali ricadranno anche
sul professionista ed, inoltre, che il costo
del progetto e dell'assistenza del
professionista risentirà di questo surplus
di responsabilità.
Deve, sul punto, ricordarsi che è punita con
la reclusione fino a tre anni la falsa
dichiarazione o attestazione dell'esistenza
dei requisiti o dei presupposti della scia.
In questo caso vi sono pure strascichi
penali e disciplinari, in quanto il
responsabile dell'ufficio comunale deve
denunciare il professionista all'autorità
giudiziaria e al consiglio dell'ordine di
appartenenza. L'ufficio comunale, dal canto
suo, deve dedicarsi a una pronta e rapida
verifica dei presupposti, organizzando la
vigilanza sulle pratiche edilizi, secondo
criteri di maggiore impatto degli interventi
segnalati.
Efficacia.
La Scia edilizia ha efficacia limitata a tre
anni dalla data della sua presentazione,
anche se i lavori non ultimati possano
essere completati presentando una nuova
scia. A ultimazione lavori il privato deve
presentare al comune un certificato di
collaudo finale, attestante la conformità al
progetto.
Atti.
Vi sono ricadute anche in ambito notarile.
Se la scia ha per oggetto lavori che
incidono sul classamento dell'immobile
(stato, consistenza, classe, categoria),
deve essere effettuata una variazione
catastale. In caso di trasferimento di
un'unità immobiliare urbana la parte deve
attestare (eventualmente tramute un tecnico)
la conformità del bene ai dati catastali e
alle planimetrie depositate.
Oneri.
In materia è necessario consultare la
legislazione regionale. In mancanza di
specifica legge regionale gli interventi
soggetti a scia non pagano il contributo
concessorio.
Impugnabilità
Il decreto 138/2011 stabilisce che la Scia e
la Dia non costituiscono provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ma veri e
propri istituti di liberalizzazione e che
pertanto gli interessati, dopo avere
sollecitato l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione, esperiscono
l'azione avverso il silenzio, ricorrendo al
Tar.
Sanzioni.
La realizzazione, in assenza della o in
difformità dalla Scia espone alla sanzione
pecuniaria pari al doppio dell'aumento del
valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi e
comunque in misura non inferiore a € 516,00 (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA
BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai
contenziosi. In base al decreto legge la
segnalazione certificata di inizio attività
non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia
sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso
e non sono, quindi, direttamente
impugnabili. La manovra-bis interviene sulla
legge generale del procedimento
amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce
una volta per tutte le modalità per gli
interessati di reagire contro le iniziative
assunte da chi vuole avviare un'attività,
anche edilizia, sfruttando le misure di
sburocratizzazione.
Il decreto legge
138/2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una
strada già individuata dai Tar e dal
Consiglio di stato (anche se non
univocamente) e cioè sbarra la possibilità
di ricorrere direttamente al giudice
amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare
l'intervento dell'amministrazione pubblica
competente e, solo in caso di inerzia, può
successivamente rivolgersi al Tribunale
amministrativo regionale per ottenere
l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi
deve iniziare l'attività, in quanto
impedisce al controinteressato di rivolgersi
subito al giudice amministrativo e sposta al
futuro ogni possibile iniziativa
giudiziaria, subordinandola all'inerzia
della pubblica amministrazione sollecitata a
intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera
edilizia subito con l'invio della Scia; il
controinteressato (per esempio, il vicino di
casa) non può impugnare la Scia, ma deve
inviare al comune una denuncia-diffida,
chiedendo all'amministrazione di verificare
la legittimità dell'attività. Se il comune
rimane inerte, allora, il cittadino potrà
rivolgersi al Tribunale amministrativo
regionale, chiedendo al Tar l'accertamento
dell'obbligo di provvedere in capo
all'amministrazione e quindi la condanna
della stessa a intervenire. Fino a che non
interviene la sentenza del giudice chi ha
presentato la Scia non ha alcun obbligo
giuridico di bloccare o interrompere
l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge
il comma 6-ter all'articolo 19 della legge
241/1990 (dedicato alla segnalazione
certificata di inizio attività). La nuova
disposizione precisa subito che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività
liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente
impugnabili. Ciò segna la differenza con il
silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo
di fronte a un atto della p.a., sia pure
tacito. In quanto provvedimento
dell'amministrazione è autonomamente
impugnabile. Dia e Scia non sono
provvedimenti taciti e quindi non sono
impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento
sia alla Scia sia alle Dia (come
dichiarazione e come denuncia) comprendendo
tutte le ipotesi in cui la legge ha
introdotto procedimenti liberalizzati di
questo tipo, anche se con nomi diversi:
averli enumerati tutti serve a non fare
confusione (come è invece avvenuto per la
scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore
di Scia e Dia non è, però, sfornito di
tutela: può sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire l'azione
avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2
e 3 del Codice del processo amministrativo,
decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due
orientamenti. Il primo ha sostenuto che il
comportamento inerte dell'amministrazione
sulla denuncia di inizio attività ha valenza
di silenzio-assenso e da ciò faceva
conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia
è un mero atto di iniziativa privata non
impugnabile davanti al giudice
amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa
seconda impostazione, con l'obiettivo di
impedire intralci all'attività privata,
stavolta non da lungaggini della burocrazia,
ma da iniziative di privati
controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo
differendo nel tempo, la possibilità per il
controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta
sollecitare l'amministrazione ad adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa e,
comunque, a esercitare il potere di assumere
determinazioni in via di autotutela,
mediante revoca o annullamento ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies
della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non
fa nulla, si può chiedere al Tar
l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare
all'amministrazione di provvedere, ma può
anche pronunciarsi sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio: questo solo
quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti
dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può
aggiungersi la richiesta di risarcimento dei
danni subiti. Anche se può risultare
inefficace una tutela meramente risarcitoria
e a posteriori
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia libera. O quasi.
Alcuni interventi restano soggetti a
preventiva comunicazione. Uno studio del
Consiglio nazionale del notariato sgombera
il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure.
Con le progressive modifiche che hanno
interessato in questi anni il Testo unico di
cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle
costruzioni è diventata frammentaria e di
difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese
di giugno
(circolare
08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale
del notariato ha quindi inteso riepilogare
in modo sintetico le regole che presiedono
allo svolgimento dell'attività edilizia,
soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia.
Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr
n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo
testo originario distingueva tra attività
edilizia libera, per la quale non era
richiesto alcun titolo abilitativo, e
attività edilizia subordinata,
rispettivamente, al permesso di costruire e
alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia
(fattispecie residuale prevista per tutti
gli interventi non rientranti tra le
attività di edilizia libera né tra quelli
per cui era obbligatorio il permesso di
costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di
numerose modifiche che hanno portato, da un
lato, all'ampliamento delle fattispecie di
attività edilizia libera, dall'altro
all'introduzione della segnalazione
certificata di inizio attività, meglio nota
come Scia, all'utilizzo dell'istituto del
c.d. silenzio assenso per il rilascio del
permesso di costruire (a eccezione dei casi
in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici e culturali) e alla previsione
di una sorta di sanatoria edilizia per le
difformità contenute entro il limite del 2%
delle misure progettuali. Attualmente la
disciplina dell'attività edilizia risulta
quindi abbastanza variegata (si veda la
tabella in pagina) e pone i privati e gli
operatori del settore dinanzi a problemi
interpretativi spesso di non facile
soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti
più interessanti della nuova disciplina
dell'attività edilizia riguarda sicuramente
la progressiva liberalizzazione del settore,
che permette ai privati di eseguire una
serie di opere senza avere rapporti con la
pubblica amministrazione.
All'interno di
questa categoria occorre però distinguere
tra attività totalmente libere e attività
soggette a preventiva comunicazione di
inizio lavori. In tutti e due i casi devono
comunque essere rispettate le eventuali
diverse prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche,
di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, nonché quelle relative
all'efficienza energetica e alla tutela dei
beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera
riguarda principalmente gli interventi di
manutenzione ordinaria e quelli volti
all'eliminazione delle barriere
architettoniche che non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece,
previamente operare la comunicazione al
comune interessato degli interventi di
manutenzione straordinaria (ivi compresa
l'apertura di porte interne o lo spostamento
di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell'edificio, non
comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici), delle opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee e a essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e,
comunque, entro un termine non superiore a
90 giorni, delle opere di pavimentazione e
di finitura di spazi esterni,
dell'installazione di pannelli solari,
fotovoltaici e termici, senza serbatoio di
accumulo esterno, nonché delle aree ludiche
senza fini di lucro e degli elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici.
In questo secondo caso, la mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero
la mancata trasmissione della relazione
tecnica (nel caso di interventi di
manutenzione straordinaria) comportano per
il privato l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due
terzi se la comunicazione è effettuata
spontaneamente quando l'intervento è ancora
in corso di esecuzione.
---------------
Scia
e superDia si dividono così il campo.
Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma
interpretativa opportunamente introdotta
nell'ordinamento dal legislatore con il dl
n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto
in via residuale per tutti gli interventi
che non rientrano nel campo applicativo del
permesso di costruire né in quello
dell'attività edilizia libera, in entrambe
le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono
indicare i seguenti interventi: restauro e
risanamento conservativo, mutamenti di
destinazione d'uso funzionale, interventi di
manutenzione straordinaria che riguardino
parti strutturali dell'edificio, ampliamento
di fabbricati all'interno della sagoma
esistente che non determini volumi
funzionalmente autonomi e semplici modifiche
prospettiche (per esempio l'apertura o la
chiusura di una o più finestre o di una o
più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della
superDia tutti quegli interventi per i quali
è ammesso il ricorso alla Dia medesima in
alternativa ovvero in sostituzione al
permesso di costruire, dagli interventi di
ristrutturazione di maggiore impatto a
quelli di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica, fino agli
interventi di nuova costruzione, qualora gli
stessi avvengano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali recanti
precise disposizioni plano-volumetriche. A
queste opere devono poi aggiungersi tutte
quelle ipotesi per le quali le leggi
regionali prevedano la possibilità di
ricorrere a questo strumento in alternativa
o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo
sportello unico dell'ente locale 30 giorni
prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il
responsabile comunale, ove entro il suddetto
termine riscontri l'assenza di una o più
delle condizioni stabilite dal Tu, deve
notificare all'interessato l'ordine motivato
di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di
ripresentare l'istanza con le modifiche o le
integrazioni necessarie. L'attività oggetto
della Scia, invece, può essere iniziata
dalla data stessa di presentazione della
domanda allo sportello unico, salvo che il
responsabile comunale, in caso di accertata
carenza dei requisiti e dei presupposti di
legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione
locale è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia edilizia dura tre anni.
Scaduto il termine, per chiudere i lavori ne
serve un'altra. Lo studio del Consiglio
nazionale del notariato sulla disciplina
dopo il decreto sviluppo.
La Scia edilizia dura tre anni. Una volta
scaduti, senza completamento delle opere,
per finire i lavori se ne deve chiedere
un'altra.
È questa l'interpretazione data
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C
del Consiglio nazionale dei notai, che ha illustrato la disciplina
edilizia dopo il decreto sullo sviluppo n.
70/2011 (si veda ItaliaOggi del 4 agosto
scorso).
Vediamo, dunque, le principali in materia di
segnalazione certificata di inizio attività
in ambito edilizio, concentrandosi su due
aspetti: efficacia del titoli e sistema
sanzionatorio.
La legge non dispone esplicitamente
sull'efficacia della Scia, alla quale si
applica la disciplina del Testo unico per
l'edilizia (dpr 380/2001).
Ne deriva che anche la scia edilizia ha tre
anni di efficacia, decorrenti dalla data
della sua presentazione: quindi i lavori non
ultimati entro il triennio possono essere
completati previa presentazione di una nuova
scia. Inoltre l'interessato deve comunicare
all'ufficio tecnico del comune la data di
ultimazione dei lavori.
Lo studio dei notai aggiunge che, ultimato
l'intervento, il progettista o un tecnico
abilitato dovrà rilasciare un certificato di
collaudo finale, con il quale si attesta la
conformità dell'opera al progetto presentato
con la scia.
Il certificato di collaudo dovrà essere
presentato allo sportello unico, unitamente
alla ricevuta dell'avvenuta presentazione
della variazione catastale conseguente alle
opere realizzate o a dichiarazione che le
stesse non hanno comportato modificazioni
del classamento.
Tra l'altro si deve fare molta attenzione
agli aspetti catastali, considerato che il
decreto legge 78/2010 ha disposto la nullità
degli atto di trasferimento immobiliare, se
non vi è dichiarazione di conformità tra
dati catastali e le planimetrie catastali
depositate in Catasto e lo stato di fatto.
Se manca il certificato di collaudo finale e
la variazione catastale si applicazione
della sanzione di 516 euro.
Ai fini della documentazione della
regolarità edilizia, la sussistenza del
titolo è provata con la copia della stessa,
dalla quale risulti la data di ricevimento,
l'elenco di quanto presentato a corredo del
progetto, e l'attestazione del
professionista abilitato, e gli atti di
assenso eventualmente necessari.
Nel caso di interventi edilizi eseguiti in
assenza ovvero in difformità dalla scia si
applica la disciplina dettata per gli
interventi eseguiti in assenza o in
difformità dalla Dia (articolo 37, T.u. dpr
380/2001).
Pertanto la realizzazione di interventi
edilizi rientranti nell'ambito di
applicazione della Scia in assenza della o
in difformità dalla scia comporterà la
sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro.
Quando le opere realizzate in assenza di
scia consistono in interventi di restauro e
di risanamento conservativo, eseguiti su
immobili comunque vincolati in base a leggi
statali e regionali, e dalle altre norme
urbanistiche vigenti, l'autorità competente
a vigilare sull'osservanza del vincolo,
salva l'applicazione di altre misure e
sanzioni previste da norme vigenti, potrà
ordinare la restituzione in pristino a cura
e spese del responsabile ed irrogherà una
sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro.
Qualora gli interventi di restauro e di
risanamento conservativo siano eseguiti su
immobili, anche non vincolati, compresi nei
centri storici, il dirigente o il
responsabile dell'ufficio richiederà al
Ministero per i beni e le attività culturali
apposito parere vincolante circa la
restituzione in pristino o la irrogazione
della sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro. Se il parere non verrà
reso entro 60 giorni dalla richiesta, il
dirigente o il responsabile dell'ufficio
provvederà autonomamente.
Anche per gli interventi in assenza o in
difformità della scia è prevista la
sanatoria.
In caso di abusi formali (mancata
presentazione della Scia) e, quindi, se
l'intervento realizzato risulta conforme
alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione
dell'intervento, sia al momento della
presentazione della domanda (cosiddetta
doppia conformità), il responsabile
dell'abuso o il proprietario dell'immobile
potranno ottenere la sanatoria
dell'intervento versando la somma, non
superiore a 5.164,00 euro e non inferiore a
516,00 euro, stabilita dal responsabile del
procedimento in relazione all'aumento di
valore dell'immobile valutato dall'Agenzia
del territorio.
La presentazione spontanea della scia,
effettuata quando l'intervento è in corso di
esecuzione, obbliga al pagamento, a titolo
di sanzione, della somma di 516 euro.
Rimane ferma la possibilità per il dirigente
o il responsabile del competente ufficio
comunale, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti, di adottare,
entro i successivi 30 giorni, motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa.
La mancata presentazione della Scia non
comporta l'applicazione di sanzioni penali
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, la Dia non dà certezze.
Il Tar può bloccare i lavori se il comune
non controlla. Per l'adunanza plenaria del
Consiglio di stato la denuncia di inizio
attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita
dalla Scia) non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma è un
atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli
accertamenti necessari per il controllo dei
presupposti, il giudice può imporre
l'adozione dei provvedimenti inibitori
all'esercizio dell'attività intrapresa.
È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria
del Consiglio di stato, con la
sentenza
29.07.2011 n.
15.
L'intervento del Consesso era stato
richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi
dell'art. 99 del codice del processo
amministrativo, anche a fronte di precedenti
contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura
giuridica della dichiarazione di inizio
attività ed alle conseguenti tecniche di
tutela sperimentabili dal terzo leso dallo
svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata
sentenza (disponibile nel sito), non si è
sottratta al compito affermando che, con la
Dia, il denunciante è «titolare di una
posizione soggettiva di vantaggio
immediatamente riconosciuta
dall'ordinamento, che lo abilita a
realizzare direttamente il proprio
interesse, previa instaurazione di una
relazione con la pubblica amministrazione,
ossia un contatto amministrativo, mediante
l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo
pregiudicato dallo svolgimento dell'attività
«è titolare di una posizione qualificabile
come interesse pretensivo all'esercizio del
potere di verifica» da parte della p.a..
Ma
stando così le cose, afferma la sentenza, il
sistema complessivo della tutela previsto
dall'ordinamento deve consentire comunque al
terzo, anche se il codice espressamente non
lo prevede, di ottenere la cessazione
dell'attività non consentita dalla legge,
attraverso l'azione di accertamento tesa a
ottenere una pronuncia che verifichi
l'insussistenza dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
denuncia.
In altre parole, rileva
l'Adunanza, «anche per gli interessi
legittimi, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la
garanzia costituzionale impone di
riconoscere l'esperibilità dell'azione di
accertamento autonomo, con particolare
riguardo a tutti i casi in cui, mancando il
provvedimento da impugnare, una simile
azione risulti indispensabile per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la
mancata previsione nel testo finale del
codice, di una norma esplicita sull'azione
generale di accertamento, non è sintomatica
della volontà legislativa di sancire una
preclusione di dubbia costituzionalità» e,
quindi, l'azione di accertamento atipica,
nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c.,
risulta comunque praticabile; in forza delle
coordinate costituzionali e comunitarie
richiamate dallo stesso art. 1 del codice
oltre che dai criteri di delega di cui
all'art. 44 della legge n. 69/2009
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Aumentano
le tutele dei terzi sull'applicazione della
«Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di
attività (la Dia) è un animale giuridico
strano che crea difficoltà applicative. Ora
l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(sentenza
29.07.2011 n. 15)
interviene a porre alcuni paletti, forse
opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa
presenta al Comune di Venezia una Dia
edilizia per rendere carrabile il transito
sotto un porticato gravato da servitù di
passaggio pedonale pubblico. Il
comproprietario del porticato impugna la Dia
in quanto produttiva di un aggravio
illegittimo della servitù. Il Tar Veneto,
nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia,
qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato
conferma la sentenza con diversa
motivazione. I giudici di Palazzo Spada,
infatti, negano anzitutto che la Dia, dal
2010 sostituita dalla segnalazione
certificata d'inizio di attività (Scia),
possa essere assimilata a un provvedimento
amministrativo impugnabile. Essa è solo una
dichiarazione privata presentata a una
pubblica amministrazione. La Scia attua una
liberalizzazione delle attività private, in
precedenza assoggettate a un regime di
autorizzazione preventiva. Essa è diversa
anche dal silenzio-assenso, che serve solo a
equiparare l'inerzia protratta oltre un
certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il
Consiglio di Stato si sofferma sul regime
della Scia e ricorda che l'amministrazione
può vietare l'attività entro 30 giorni (con
la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa
viola la legge. Quest'ultimo è un termine
perentorio: successivamente
l'amministrazione può intervenire solo con i
poteri di autotutela (annullamento
d'ufficio) che hanno però natura
discrezionale e devono rispettare gli
affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha
un'implicazione pratica processuale per il
terzo che vuole contestare la Scia.
La
sentenza equipara l'inerzia
dell'amministrazione protratta oltre il
termine di 30 giorni a un «atto tacito di
diniego del provvedimento inibitorio».
Pertanto, in quanto atto amministrativo, il
terzo può impugnarlo davanti al Tar nel
termine ordinario di 60 giorni. Se il
ricorso viene accolto, il giudice può, non
solo annullare questa finzione di atto, ma
anche ordinare all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto della Scia.
Vengono così ribaltati alcuni precedenti che
avevano consentito al terzo di esperire
un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il
terzo possa promuovere un giudizio prima dei
30 giorni, in modo da impedire l'avvio
dell'attività oggetto della Scia o di farla
cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta
interpretativa, superando alcuni ostacoli
contenuti nel Codice del processo
amministrativo (articolo 34, comma 2), la
sentenza ammette un'azione di accertamento
atipica che consente solo la richiesta di
misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se
l'amministrazione emana il provvedimento
inibitorio, cessa la materia del contendere
e il processo si estingue. Se invece
l'amministrazione resta inerte, l'azione di
accertamento si converte nell'azione di
annullamento dell'atto tacito di diniego di
esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e
completa: altro miracolo del nuovo Codice,
unito alla fantasia creativa del giudice
amministrativo
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Il
"decreto sviluppo" è legge!!
Sulla Gazzetta Ufficiale 12.07.02011 n. 160
è stato pubblicato il "Testo
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
coordinato con la legge di conversione
12.07.2011, n. 106, recante:
«Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia.»
La legge di conversione ha apportato
numerose modifiche/integrazioni al testo
originario ma non ha interessato la parte
che più ci stava a cuore ovverosia la Scia
(Segnalazione certificata di inizio
attività).
Già
lo scorso 06.06.2011 dicevamo la
nostra (in maniera più esaustiva che non in
questo contesto) sulle novità in materia di
permesso di costruire e di Scia pervenendo
alla conclusione che in Lombardia:
1-
fintantoché la Regione non
modificherà/integrerà (semmai lo volesse
fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la
novità del "silenzio-assenso" nazionale (e
non solo), si dovrà continuare ad applicare
l'art. 38 della medesima legge regionale in
relazione alla procedura di istruttoria
delle istanze di permesso di costruire;
2- in Lombardia NON si può applicare
l'istituto della Scia già dal 31.07.2010.
La norma è chiara (miracolo!!), scritta in
maniera leggibile e comprensibile, sicché
non occorre alcuna interpretazione di sorta.
Ma se non si è ancora convinti, risulta
allora utile leggere il
dossier n. 299/I del giugno 2011
approntato dal Senato della Repubblica
recante "Disegno di legge A.S. n. 2791
"Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
concernente Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l’economia" - Vol.
I - Schede di lettura" laddove a pag.
227 si legge, nero su bianco, quanto segue:
"Comma
2, lett. b) e c) – Modifiche alla SCIA nella
legge 241/1990.
Le lettere b) e c) recano alcune modifiche
all’art. 19 della legge n. 241/1990 relativo
alla disciplina della SCIA (Segnalazione
certificata di inizio attività) che viene
estesa anche alla DIA in edilizia, ad
esclusione della DIA alternativa o
sostitutiva del permesso di costruire.".
E ad oggi, a distanza di 60 gg. dall'entrata
in vigore del decreto-legge, la Regione
Lombardia non si è ancora pronunziata in
merito fornendo l'autorevole contributo
interpretativo agli addetti ai lavori
(comuni e liberi professionisti) ... ma va
da sé che "chi tace acconsente" !!
13.07.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U.
12.07.2011 n. 160 "Testo
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
coordinato con la legge di conversione
12.07.2011, n. 106, recante:
«Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia.».
---------------
N.B.: le modifiche
apportate dalla legge di conversione hanno
efficacia dal giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella G.U. e cioè
dal 13.07.2011.
Per comodità, si veda e si legga
a confronto il testo del Decreto Sviluppo
prima e dopo la conversione (link
a www.leggioggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
"Decreto sviluppo": Regione
Lombardia, se ci sei batti un colpo!!
E' dallo scorso 14 maggio che il D.L.
70/2011 è in vigore e da quella data
(invero, prima ancora che il decreto -già di
dominio pubblico- fosse pubblicato in G.U.)
ci siamo posti due elementari domande e
cioè:
1) nell'istruire le
istanze di permesso di costruire, si applica
la procedura del novellato art. 20 del
D.P.R. n. 380/2001 oppure si continua ad
applicare la
procedura di cui all'art. 38
della L.R. n. 12/2005??
2) la Scia in materia edilizia adesso
esiste??
Orbene, martedì scorso 31.05 si è tenuta a
Bergamo una mezza giornata di studio
(organizzata da PTPL) circa le
novità introdotte in materia edilizio-urbanistica dal suddetto "decreto
sviluppo" con relatore l'Avv. Mario
VIVIANI del foro di Milano.
L'Amico Mario, come sempre brillante ed
arguto analizzatore della norma, ha chiarito
ai partecipati -seduti in platea- i dubbi di
maggior interesse ed ha fornito le
condivisibili risposte ai due quesiti sopra
elencati ... ma restiamo, comunque,
nell'attesa che la Regione Lombardia
fornisca chiarimenti ufficiali,
possibilmente prima di Natale p.v..
Ma andiamo con ordine ...
---------------
1)
L'art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 titola "Procedimento
per il rilascio del permesso di costruire"
ed in Lombardia è stato disapplicato ad
opera dell'art. 103, comma 1, della L.R. n.
12/2005 per cui l'iter istruttorio è quello
di cui all'art. 38 del medesima legge
regionale.
Se è vero che il legislatore nazionale ha
riscritto l'iter istruttorio de quo
ad opera dell'art. 5, comma 2, lett. a), del
D.L. n. 70/2011 è altrettanto vero che si
tratta di "materia di legislazione
concorrente" di competenza regionale (ex
art. 117 della Carta costituzionale) talché
la Regione Lombardia dal 2005 si è dotata
di una procedura speciale/differenziata da
quella nazionale. La novità nazionale, non
di poco conto, è l'introduzione del "silenzio-assenso"
con alcune eccezioni.
Ma fintantoché la Regione Lombardia non
modificherà/integrerà (semmai lo volesse
fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la
novità del "silenzio-assenso"
nazionale (e non solo)
si dovrà continuare ad applicare l'art. 38
della medesima legge regionale in relazione
alla procedura di istruttoria delle istanze
di permesso di costruire.
---------------
2)
Da questo sito abbiamo sempre sostenuto come il
nuovo istituto della Scia (segnalazione
certificata di inizio attività) in materia
edilizia non esistesse, e ciò per una serie
di motivazioni tecnico-giuridiche troppo lunghe da riportare
qui.
Ripercorriamo velocemente i trascorsi ...
Lo scorso 31.07.2010 è entrata in vigore la
Scia (L. 122/2010 di conversione del D.L.
78/2010). Il Ministero per la
Semplificazione Normativa esordiva "ufficialmente" per primo
(e ultimo) con la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
in risposta ad un quesito formulato dalla
Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla
portata della Scia (Segnalazione Certificata
di Inizio Attività) in materia edilizia.
Successivamente, anche la Regione Lombardia
diceva la propria col
comunicato 08.10.2010 circa la
portata della Scia, in materia edilizia,
nell'ordinamento regionale.
Nell'AGGIORNAMENTO
AL 29.11.2010 scrivevamo la news
di seguito riportata:
Il
Governo, nella settimana del’08.11.2010, ha
presentato
l’emendamento n. 1.500 al ddl di
stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la
Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita
“Semplificazioni in materia di
urbanistica, edilizia e di segnalazione
certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato
ritenuto “inammissibile” dal
Presidente della Camera dei Deputati (si
legga la "Sintesi
del contenuto ed analisi degli effetti
finanziari" a cura della
Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed
approfondire il contenuto del suddetto art.
4 in ordine alla volontà del legislatore di
introdurre ancòra novità nel panorama
legislativo in materia di edilizia ed
urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare
è l’intenzione di chiarire la portata della
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) anche nell’ambito edilizio di cui
al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle
numerose prese di posizione, da più parti-
in ordine alla non applicabilità della
stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett.
b), così recita:
«b)
all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le
parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le
seguenti: “previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli” e
dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente
articolo si interpretano nel senso che le
stesse si applicano limitatamente alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire, e che
non sostituiscano la disciplina prevista
dalle leggi regionali che, in attuazione
dell’articolo 22, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, abbiano ampliato l’ambito
applicativo delle disposizioni di cui
all’articolo 22, comma 3, del medesimo
decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata
di inizio attività in materia edilizia, il
termine di cui al periodo del comma 3 è
ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al
comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, e delle leggi
regionali.”».
Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio),
con
nota 11.11.2010 n. 95098 di prot.
di accompagnamento della relazione tecnica
di finanza pubblica all'emendamento de
quo, scrive -tra l'altro- che "Viene
altresì specificato meglio l'ambito di
applicazione della Scia, introducendo un
comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge
241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi
interpretativi emersi in sede di prima
applicazione dell'istituto, precisando che
esso si estende anche alla materia edilizia,
con esclusione dei casi di Superdia, in
linea con quanto già osservato nella nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa. ...".
Ebbene,
che bisogno c'era di integrare
ulteriormente il novellato art. 19 della L.
n. 241/1990?? La circolare del Cons. Chinè
non era sufficiente, come dallo stesso
dichiarato pubblicamente, a fugare ogni
sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria
2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della
L. n. 241/1990 non è stato ammesso e,
quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia
edilizia, NON ESISTE!!
Ora, il Governo ha emanato il noto
D.L. n. 70/2011 ove, nella
sostanza, ha riproposto le
modifiche/integrazioni alla L. n. 241/1990
siccome avanzate lo scorso fine anno e
precisamente:
"c) Le disposizioni di cui all’articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si
interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, con
esclusione dei casi in cui le denunce
stesse, in base alla normativa statale o
regionale, siano alternative o sostitutive
del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all’articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano
altresì nel senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali
che, in attuazione dell’articolo 22, comma
4, del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano
ampliato l’ambito applicativo delle
disposizioni di cui all’articolo 22, comma
3, del medesimo decreto e nel senso che, nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, la Scia non
sostituisce gli atti di autorizzazione o
nulla osta, comunque denominati, delle
amministrazioni preposte alla tutela
dell’ambiente e del patrimonio culturale."
[cfr. art. 5, comma 2, lett. c), D.L.
70/2011].
Ciò detto, sovvengono le seguenti
considerazioni:
1)
la norma di cui alla suddetta lett. c) è, di
fatto, una interpretazione autentica di
quanto dispone la L. 241/1990 siccome
modificata/integrata ad opera della
L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010
e, quindi, con effetto retroattivo (cioè dal
31.07.2010).
Ciò avvalora ancor più la tesi secondo cui
la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
del Ministero per la Semplificazione
Normativa,
non appena di dominio pubblico,
non aveva per
niente convinto circa l'esistenza (dal
31.07.2010) della Scia in materia edilizia,
seppur con alcune limitazioni ...
altrimenti, che bisogno c'era -oggi- con il
D.L. 70/2011 di interpretare quella norma in
maniera autentica e cioè con effetto
retroattivo??
E' evidente che il legislatore nazionale si
è accorto di aver "toppato" lo scorso
anno nel redigere il testo della norma ed
ora è corso ai ripari ... tra l'altro, il
Cons. Chinè che ha sottoscritto la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
in risposta ad un quesito formulato dalla
Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla
portata della Scia (Segnalazione Certificata
di Inizio Attività) in materia edilizia,
parrebbe che sia stato "sollevato"
dall'incarico di Capo Ufficio Legislativo
(forse, proprio per quell'infelice ed
alquanto discutibile e discussa nota??) visto che alla
data del 03.05.2011 il Capo Ufficio
Legislativo del Ministero della
Semplificazione Normativa risulta altra
persona (cfr.
nota 03.05.2011 n. 810 di prot.).
2)
l'odierno legislatore nazionale, col
decreto-legge de quo, ha scritto,
nero su bianco, che "...
Le
disposizioni di cui all’articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano
nel senso che le stesse si applicano alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione
dei casi in cui le denunce stesse, in base
alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di
costruire.".
Avete
capito bene??
Se è vero, come è vero, che in Lombardia la
DIA è alternativa al permesso di costruire
senza alcuna limitazione (a parte i nuovi
fabbricati in zona agricola ed i mutamenti
di destinazione d’uso di cui all’art. 52,
comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005,
assoggettati unicamente al permesso di
costruire) e cioè, in altri
termini, non esistono interventi edilizi che
sono obbligatoriamente soggetti alla
DIA, ne deriva una conclusione evidente,
chiara, incontrovertibile:
in
Lombardia NON si può applicare l'istituto
della Scia!!
Paradossalmente, potremmo dire che il
Governo ha contribuito non poco ad un
clamoroso "autogol" laddove si
continuava a sostenere che la Scia, in
Lombardia, esistesse così come nel resto del
territorio nazionale ... tesi sostenuta
anche e soprattutto dal Cons. Chinè (in un convegno
pubblico, dello scorso anno, intervenuto
quale relatore) che additava la Lombardia
come caso esemplare di diffusa applicazione
(ma quando mai!!) del nuovo istituto.
E paradossalmente, altresì, la Regione
Lombardia se volesse far decollare sul
proprio territorio l'istituto della Scia
dovrebbe mettere mano alla L.R. n. 12/2005 e
prevedere alcuni interventi edilizi come
soggetti obbligatoriamente a DIA ... allora
sì che per quest'ultimi si applicherebbe la
Scia.
06.06.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
NOTA DI LETTURA DECRETO-LEGGE 13.05.2011
N. 70 “SEMESTRE EUROPEO - PRIME DISPOSIZIONI
URGENTI PER L'ECONOMIA” (ANCI,
nota 24.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
La SCIA in edilizia.
L’entrata in vigore del decreto legge
13.05.2011, n. 70, noto come “decreto
sviluppo”, ha esteso l’istituto della
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA) anche al settore degli interventi
edilizi prima oggetto di denuncia di inizio
attività (DIA).
Si ricorderà che la legge del 30.07.2010, n.
122, di conversione al D.l. 78/2010 (c.d.
maxiemendamento), tra le diverse ed
articolate novità introdotte alla sua
versione originaria, all’art. 48-quater,
aveva riscritto l’art. 19 della legge
07.08.1990 n. 241, riguardante la c.d.
dichiarazione di inizio attività (DIA).
Tuttavia, contemporaneamente al vigore della
richiamata riforma, erano stati manifestati
orientamenti contrastanti circa il campo di
applicazione della richiamata SCIA.
In particolare il dibattito era incentrato
sulla possibilità di estendere la riforma
anche al settore edilizio, ritenendo
sostituita non solo la dia (dichiarazione di
inizio attività) di cui al citato art. 19
della legge 241/1990, ma anche la dia
(denuncia di inizio attività) di cui
all’art. 22 del Dpr 380/2001.
Sul punto era intervenuta la nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa, pubblicata il
16.09.2010, la quale riteneva che la “nuova”
SCIA doveva ritenersi applicabile anche al
settore degli interventi edilizi.
Tuttavia, nonostante tali chiarimenti e
considerato il dato letterale, il dubbio
restava e veniva manifestato anche dal
Consiglio di Stato che, con ordinanza del
05.01.2011 n. 14, aveva rilevato il dubbio
applicativo.
Come anticipato, il c.d. decreto sviluppo,
all’art. 5 incide sul tema e prevede
definitivamente l’estensione della SCIA agli
interventi edilizi: la norma già nelle
battute iniziali chiarisce che uno degli
obbiettivi che intende perseguire è la “estensione
della segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA) agli interventi edilizi
precedentemente compiuti con denuncia di
inizio attività (DIA);”.
In dettaglio, viene dapprima aggiunto il
comma 6-bis dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241, il quale prevede che “Nei
casi di Scia in materia edilizia, il termine
di sessanta giorni di cui al primo periodo
del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta
salva l'applicazione delle disposizioni di
cui al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.”.
Il decreto sviluppo chiarisce inoltre che “Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire. Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano
altresì nel senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali
che, in attuazione dell'articolo 22, comma
4, del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, abbiano
ampliato l'ambito applicativo delle
disposizioni di cui all'articolo 22, comma
3, del medesimo decreto e nel senso che, nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, non sostituisce
gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni
preposte alla tutela dell'ambiente e del
patrimonio culturale.” (tratto e link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
In merito al cosiddetto "decreto sviluppo"
(D.L.
13.05.2011 n. 70) si legga anche
l'interessante
relazione di accompagnamento al
decreto-legge per la relativa conversione in
legge al fine di poter comprendere appieno
la ratio dell'articolato. |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l’economia" (D.L.
13.05.2011 n. 70).
---------------
In Gazzetta Ufficiale il "decreto
sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante,
in merito:
- agli appalti
(art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e
precisamente:
a)
estensione del campo di applicazione della
finanza di progetto, anche con riferimento
al cosiddetto "leasing in costruendo";
b)
limite alla possibilità' di iscrivere
"riserve";
c)
introduzione di un tetto di spesa per le
"varianti";
d)
introduzione di un tetto di spesa per le
opere cosiddette "compensative";
e)
contenimento della spesa per
compensazione,in caso di variazione del
prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f)
riduzione della spesa per gli accordi
bonari;
g)
istituzione nelle Prefetture di un elenco di
fornitori e prestatori di servizi non
soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h)
disincentivo per le liti "temerarie";
i)
individuazione, accertamento e prova dei
requisiti di partecipazione alle gare
mediante collegamento telematico alla Banca
dati nazionale dei contratti pubblici;
l)
estensione del criterio di
autocertificazione per la dimostrazione dei
requisiti richiesti per l'esecuzione dei
lavori pubblici;
m)
controlli essenzialmente "ex post" sul
possesso dei requisiti di partecipazione
alle gare da parte delle stazioni
appaltanti;
n)
tipizzazione delle cause di esclusione dalle
gare, cause che possono essere solo quelle
previste dal codice dei contratti pubblici e
dal relativo regolamento di esecuzione e
attuazione, con irrilevanza delle clausole
addizionali eventualmente previste dalle
stazioni appaltanti nella documentazione di
gara;
o)
obbligo di scorrimento della graduatoria, in
caso di risoluzione del contratto;
p)
razionalizzazione e semplificazione del
procedimento per la realizzazione di
infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q)
innalzamento dei limiti di importo per
l'affidamento degli appalti di lavori
mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per
l'accesso alla procedura semplificata
ristretta per gli appalti di lavori.
Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta
anni la soglia per la presunzione di
interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del
permesso di costruire ed in materia di
SCIA
(art. 5 - Costruzioni private) e
precisamente:
a)
introduzione del "silenzio assenso" per il
rilascio del permesso di costruire, ad
eccezione dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici e culturali;
b)
estensione della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) agli interventi
edilizi precedentemente compiuti con
denuncia di inizio attività' (DIA);
c)
tipizzazione di un nuovo schema contrattuale
diffuso nella prassi: la "cessione di
cubatura";
d)
la registrazione dei contratti di
compravendita immobiliare assorbe l'obbligo
di comunicazione all'autorità locale di
pubblica sicurezza;
e)
per gli edifici adibiti a civile abitazione
l'"autocertificazione" asseverata da un
tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta
relazione "acustica";
f)
obbligo per i Comuni di pubblicare sul
proprio sito istituzionale gli allegati
tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione
della procedura di valutazione ambientale
strategica (VAS) per gli strumenti attuativi
di piani urbanistici già sottoposti a
valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la
riqualificazione incentivata delle aree
urbane. Termine fisso per eventuali
normative regionali;
- agli adempimenti
burocratici di atti amministrativi
(art. 6 - Ulteriori riduzione e
semplificazione degli adempimenti
burocratici) e precisamente:
a)
in corretta applicazione della normativa
europea le comunicazioni relative alla
riservatezza dei dati personali sono
limitate alla tutela dei cittadini,
conseguentemente non trovano applicazione
nei rapporti tra imprese;
b)
le pubbliche amministrazioni devono
pubblicare sul proprio sito istituzionale
l'elenco degli atti e documenti necessari
per ottenere provvedimenti amministrativi;
altri atti o documenti possono essere
richiesti solo se strettamente necessari e
non possono costituire ragione di rigetto
dell'istanza del privato;
c)
riduzione degli adempimenti concernenti
l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d)
facoltà di effettuare "on line" qualunque
transazione finanziaria ASL-imprese e
cittadini;
e)
per i trasporti eccezionali l'attuale
autorizzazione prevista per ciascun
trasporto e' sostituita, per i trasporti
della medesima tipologia ripetuti nel tempo,
da un autorizzazione periodica da
rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da
parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in
questione è in vigore già da sabato scorso
(14.05.2011) e che da oggi ci si pone il
problema, uno fra tanti, di come istruire le
richieste di permesso di costruire
pervenute:
si applica il
novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011
oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo,
incontrovertibile che la SCIA si applica
anche in materia edilizia??
Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei
giorni scorsi e non appena di dominio
pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della
Regione Lombardia affinché intervenga
tempestivamente con una nota
chiarificatrice al fine di non lasciare allo
"sbando operativo" i 1.546 comuni
lombardi così come già successo l'anno
scorso con l'introduzione -nel panorama
legislativo nazionale (e regionale)- della
famigerata SCIA, per la quale la Regione
Lombardia intervenne, fugando affatto i
dubbi che ancora oggi permangono in merito
alla sussistenza della stessa in materia
edilizia, con il proprio
comunicato 08.10.2010 dopo la
bellezza di 70 giorni che la SCIA era già
entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento automatico, SCIA e prevenzione
incendi. In vigore le nuove procedure dal
29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce
il “Nuovo Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP)” e
sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando
in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e
VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni
devono esercitare le funzioni amministrative
in materia di insediamenti produttivi,
affidando l’intero procedimento ad un’unica
struttura, il SUAP, alla quale gli
interessati si rivolgono per
l'autorizzazione finalizzata alla
realizzazione, ristrutturazione e
ampliamento di impianti produttivi di beni e
servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le
amministrazioni pubbliche diverse dal Comune
che sono interessate dal procedimento, non
possono trasmettere al richiedente nessun
tipo di atto o comunicazione e sono tenute a
trasmettere tutto al SUAP dandone
comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla
distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla
SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli
atti e i procedimenti ai quali non è
applicabile la SCIA, che entra in vigore il
30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
ritenuto opportuno emanare la Circolare n.
3791 del 24.03.2011 contenente le modalità
applicative per il Procedimento
Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a
realizzazione e modifica di impianti
produttivi di beni e servizi e ad attività
di impresa soggetti a SCIA devono essere
presentati al SUAP, esclusivamente per via
telematica e con gli standard previsti dal
DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette
al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al
D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito
il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per
gli interventi di prevenzione incendi non
soggetti a SCIA, che presuppongono un
giudizio tecnico-discrezionale dell’organo
di controllo (ad esempio attività non
normate, attività particolarmente complesse,
procedure secondo l’approccio
ingegneristico, deroghe), continuano ad
utilizzarsi in via transitoria le
disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i.,
sino all’entrata in vigore del Procedimento
Ordinario di cui al Capo IV del regolamento
SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato,
il SUAP, al momento della presentazione
della SCIA, dovrà verificare con modalità
informatica la completezza formale della
segnalazione e dei relativi allegati e, in
caso di verifica positiva, rilasciare
automaticamente la ricevuta che autorizza
l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il
SUAP trasmetterà, sempre per via telematica,
la segnalazione e i relativi allegati alle
Amministrazioni e agli uffici competenti,
quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file,
allegati alle domande di prevenzione incendi
prodotte digitalmente, sono pubblicati nel
sito internet istituzionale dei Vigili del
Fuoco, nella sezione prevenzione incendi
on-line; le estensioni ammesse dei file da
allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in
forma digitale devono pervenire ai Comandi
attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”,
oppure attraverso la PEC del SUAP (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
segnalazione certificata di inizio attività (marzo
2011 - tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 12 del
22.03.2011, "Art. 19 legge n. 241/1990:
la segnalazione certificata di inizio
attività – Prime indicazioni applicative"
(circolare
regionale 21.03.2011 n. 3). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 12 del
22.03.2011, "Testo
coordinato del d.d.g. 18.03.2011, n. 2481
“Adeguamento degli schemi di dichiarazione e
dei relativi allegati in attuazione della
l.r. 02.02.2007 n. 1, art. 5 alla disciplina
SCIA di cui al d.l. 31.05.2010 e
approvazione schema incarico per la loro
sottoscrizione digitale e presentazione
telematica”, rettificato dal d.d.g.
21.03.2011, n. 2520".
---------------
Per comodità di utilizzo pratico, si
ripropone la modulistica della SCIA senza
l'intestazione del BURL:
1-
modello A --->
SEGNALAZIONE CERTIFICATA INIZIO / MODIFICA
ATTIVITÀ (SCIA);
2-
modello B --->
SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI SUBINGRESSO /
CESSAZIONE / SOSPENSIONE E RIPRESA /
CAMBIAMENTO RAGIONE SOCIALE DI ATTIVITÀ
PRODUTTIVA;
3-
scheda 1 --->
ATTIVITÀ DI VENDITA EX ART. 7 D.LGS.
114/1998 / FORME SPECIALI DI VENDITA EX ARTT.
DA 16 A 21 D.LGS. 114/1998 / SOMMINISTRAZIONE
EX ART. 68, COMMA 4, L.R. 06/2010;
4-
scheda 2 --->
REQUISITI MORALI E PROFESSIONALI PER LE
ATTIVITÀ DI VENDITA E SOMMINISTRAZIONE DI
ALIMENTI E BEVANDE;
5-
scheda 3 -
REQUISITI PROFESSIONALI PER ATTIVITÀ DI
SERVIZI ALLA PERSONA;
6-
scheda 4 --->
ATTIVITÀ DI PRODUZIONE;
7-
scheda 5 --->
COMPATIBILITÀ AMBIENTALE;
8-
scheda 6 --->
ATTIVITÀ TURISTICO RICETTIVA;
9-
SEGNALAZIONE
CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ PER
L’ESERCIZIO ATTIVITÀ AGRITURISTICA
(ai sensi L.R. n. 31/2008 art. 154) E
COMUNICAZIONI VARIE;
10-
allegato c --->
INCARICO PER LA SOTTOSCRIZIONE DIGITALE E
PRESENTAZIONE TELEMATICA DELLA SEGNALAZIONE
CERTIFICATA DI INIZIO/MODIFICA ATTIVITÀ (S.C.I.A.)
PROCURA ai sensi dell’art. 1392 c.c. |
EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione
certificata di inizio attività
(Geometra Orobico n. 1/2011). |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
La segnalazione certificata di inizio
attività nell’edilizia (AL
n. 01-02/2011). |
EDILIZIA PRIVATA: TITOLI
EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di
Stato, l'incertezza sulla natura giuridica
della Dia e della Scia condiziona le
contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai
lavori avviati in base a uno di questi due
titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop
ai lavori e, al contempo, domandare al Tar
l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il
Consiglio di Stato decida sull'inquadramento
della dichiarazione servono più livelli di
tutela. Contro la Dia non basta il ricorso.
I terzi che contestano i lavori devono
rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio
di attività (Dia), della segnalazione
certificata di inizio attività (Scia) e
della comunicazione di inizio lavori non è
solo una questione teorica: anzi, ha
importante ricadute pratiche. La possibilità
di contestare al Tar gli interventi edilizi
realizzabili con questi titoli edilizi
dipende infatti da come si definiscono le
dichiarazioni con cui il privato può avviare
i lavori senza dover attendere il rilascio
del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto
provvedimento espresso della p.a.- è
pacifico che possa essere impugnato al Tar
entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che
al più tardi coincide con l'avvio dei lavori
o con il momento in cui gli stessi
raggiungono lo stadio che consente ai terzi
di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni
presentate dai privati c'è più di un dubbio:
è possibile impugnarle? Oppure bisogna
chiedere al comune di bloccare i lavori ed
eventualmente portare al giudice la
decisione dell'amministrazione di lasciar
correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si
può andare subito dal giudice anche per
chiedere l'immediata sospensione dei lavori,
nell'altro caso possono non bastare alcuni
anni e si rischia di arrivare al Tar a opere
finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il
Consiglio di Stato si è recentemente
interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per
rendere carrabile un porticato, impugnata
dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il
costruttore ha quindi proposto appello
sostenendo che la Dia non costituirebbe atto
amministrativo impugnabile e suscettibile di
rimedi demolitori, trattandosi di attività
del privato e non assumendo valore
provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi
erronea laddove ha ritenuto direttamente
impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza
14/2011 del 07.12.2010, alla luce del
contrasto giurisprudenziale in atto
addirittura all'interno della stessa sezione
chiamata a dirimere la controversia, ha
deciso di rimettere la questione
all'Adunanza plenaria deputata a dare un
univoco indirizzo che possa guidare i Tar e
i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno
tre tesi ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
anno 2010 |
 |
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di inizio
attività di D.I.A. - Art. 23 D.P.R. n.
380/2001 - Volontà dell'Amministrazione -
Principio di economicità del procedimento -
Illegittimità.
Sebbene l'art. 23 D.P.R. n. 380/2001 non
preveda parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine di trenta giorni
entro cui l'Amministrazione deve esercitare
il potere inibitorio, nel caso in cui
l'Amministrazione abbia espressamente
rinviato l'esame della D.I.A. al momento
della presentazione dell'autorizzazione per
l'attività industriale, non può la stessa
richiedere, in contrasto con il principio di
economicità del procedimento, la
presentazione della medesima D.I.A.
integrata dall'autorizzazione, risultando
conseguentemente illegittimo il diniego
impugnato motivato sulla base di tale
mancata ripresentazione della domanda (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.12.2010 n.
7630 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Termine di impugnazione -
Decorrenza dalla percezione della lesività
dell'opera.
2. DIA - Duplice e
contestuale intervento di
demolizione/ricostruzione di immobile e
recupero di sottotetto - Legittimità -
Presupposti.
1.
In tema di tempestività dell'impugnazione
della DIA -o del permesso di costruire- il
termine di impugnazione decorre
dall'effettiva percezione della lesività
delle opere edilizie assentite (cfr. TAR
Milano, sent. nn. 1147/2010, 1149/2010 e
1150/2010).
2. L'intervento conseguente ad una DIA che,
in realtà, debba qualificarsi come una sorta
di doppio intervento edilizio, seppure
oggetto di un solo titolo abilitativo -da
una parte una ristrutturazione edilizia,
mediante demolizione e ricostruzione
dell'immobile, ex art. 27, comma 1, lettera
d) L.R. 12/2005, e dall'altra un contestuale
recupero ai fini abitativi del sottotetto
esistente, ex art. 63 della medesima legge
regionale- è legittimo, purché sussistano i
presupposti di legge per entrambi gli
interventi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.12.2010 n.
7511 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Potere
della P.A. di inibire l'esecuzione dei
lavori - Grado di motivazione dell'atto in
autotutela - Principio di diretta
proporzionalità tra la motivazione ed il
trascorrere del tempo.
2. D.I.A. - Potere
sanzionatorio della P.A. - Presupposti.
1. In materia di D.I.A. e di relativo
annullamento in autotutela, tanto maggiore è
il lasso di tempo trascorso tra l'avvio
dell'attività e l'esercizio del potere di
autotutela, maggiore deve, dunque, essere il
grado di motivazione sulle ragioni di
pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 6465/2006, n. 5622/2006, n. 846/2006).
2. In materia di DIA, una volta decorso il
termine perentorio di 30 giorni previsto
dall'art. 23, D.P.R. 380/2001, la P.A., per
potere esercitare il potere sanzionatorio,
deve, in primis, incidere sul titolo
edilizio, intervenendo su di esso in
autotutela, sempre che ne ricorrano i
presupposti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 03.12.2010 n.
7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Produzione effetti dal
trentesimo giorno dalla presentazione -
Presupposti.
2. Denuncia di
inizio attività - Modifiche normative
successive alla presentazione della DIA -
Principio della sensibilità della DIA - Ratio.
3. Denuncia di
inizio attività - Modifiche normative
successive alla presentazione della DIA -
Principio della sensibilità della DIA -
Applicabilità alle disposizioni
regolamentari.
1. La DIA, indipendentemente dalla qualifica
giuridica assegnata -punto su cui si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita e di atto privato-
produce effetti al trentesimo giorno dalla
sua presentazione, purché, sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla legge
(cfr. TAR Milano, sent. n. 5737/2008).
2. Nello
spatium deliberandi dei 30
giorni dalla presentazione della DIA,
periodo durante il quale la P.A. ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui la P.A. è
tenuta ad applicare la normativa in vigore
al momento dell'adozione del provvedimento
definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non
già, salvo che espresse norme statuiscano
diversamente, quella in vigore al momento
dell'avvio del procedimento.
3. Il principio della "sensibilità" della
DIA alle modifiche legislative nei trenta
giorni tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.12.2010 n.
7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dissertazioni sulla SCIA.
Sul sito http://tv.architettiroma.it è
possibile accedere ai video del Convegno
nazionale sulla semplificazione delle
procedure edilizie, tenutosi martedì
05.10.2010.
Suggeriamo di ascoltare
l'intervento del Cons. Chinè,
capo ufficio legislativo Ministero per la
semplificazione normativa.
Intervento che non solo ignora le
problematiche giuridiche sollevate da più
parti (ANCI in prima linea) sulla
correttezza dell'interpretazione
dell'articolo 19 l. 241/1990 fornita dal
Ministero, ma che rivela l'affanno e
l'imbarazzo del Ministero
(minuto 21:30)
nel momento in cui la platea ne contesta la
posizione.
Segnaliamo che, a seguito dell'incontro con
il Ministero della Semplificazione, il
Consiglio Nazionale Architetti ha richiesto
la riscrittura del testo legislativo sulla
materia della SCIA, tenuto conto della "diffusa
incertezza da parte degli operatori
professionali, imprenditoriali nonché degli
Enti locali nell'applicazione della nuova
disciplina, oltre che della possibile
disomogeneità interpretativa sul territorio
nazionale, si ritiene utile suggerire la
emanazione di un urgente provvedimento
legislativo che consenta di dirimere i dubbi
circa la applicazione del nuovo regime
semplificazione".
Si ascolti, altresì,
la replica sempre del Cons. Chiné
a fronte di alcuni quesiti formulati in
sala.
Buona visione (commento tratto dalla
newsletter del sito http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: C'è
ancora qualcuno che sia convinto
dell'esistenza della SCIA in luogo della DIA
in materia edilizia??
Il Governo, nella settimana del’08.11.2010,
ha presentato
l’emendamento n. 1.500 al ddl di
stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la
Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita
“Semplificazioni in materia di
urbanistica, edilizia e di segnalazione
certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato
ritenuto “inammissibile” dal
Presidente della Camera dei Deputati (si
legga la "Sintesi
del contenuto ed analisi degli effetti
finanziari" a cura della
Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed
approfondire il contenuto del suddetto art.
4 in ordine alla volontà del legislatore di
introdurre ancòra novità nel panorama
legislativo in materia di edilizia ed
urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare
è l’intenzione di chiarire la portata della
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) anche nell’ambito edilizio di cui
al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle
numerose prese di posizione, da più parti-
in ordine alla non applicabilità della
stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett.
b), così recita:
«b)
all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le
parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le
seguenti: “previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli” e
dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente
articolo si interpretano nel senso che le
stesse si applicano limitatamente alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire, e che
non sostituiscano la disciplina prevista
dalle leggi regionali che, in attuazione
dell’articolo 22, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, abbiano ampliato l’ambito
applicativo delle disposizioni di cui
all’articolo 22, comma 3, del medesimo
decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata
di inizio attività in materia edilizia, il
termine di cui al periodo del comma 3 è
ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al
comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, e delle leggi
regionali.”».
Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio),
con
nota 11.11.2010 n. 95098 di prot.
di accompagnamento della relazione tecnica
di finanza pubblica all'emendamento de
quo, scrive -tra l'altro- che "Viene
altresì specificato meglio l'ambito di
applicazione della Scia, introducendo un
comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge
241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi
interpretativi emersi in sede di prima
applicazione dell'istituto, precisando che
esso si estende anche alla materia edilizia,
con esclusione dei casi di Superdia, in
linea con quanto già osservato nella nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa. ...".
Ebbene, che bisogno c'era
di integrare ulteriormente il novellato art.
19 della L. n. 241/1990?? La circolare del
Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo
stesso dichiarato pubblicamente, a fugare
ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria
2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della
L. n. 241/1990 non è stato ammesso e,
quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia
edilizia, NON ESISTE!!
Tuttavia, circola voce che l'emendamento in
questione sarà riproposto, nei suoi
contenuti, nel consueto decreto "milleproroghe"
di fine anno ... quindi, ci riaggiorniamo. |
EDILIZIA PRIVATA: E.
Boscolo,
La segnalazione certificata di inizio
attività: tra esigenze di semplificazione ed
effettività dei controlli (link a www.upel.va.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
C. Colombo,
Passaggio dalla D.I.A. alla S.C.I.A. in
materia edilizia: provvedimenti riguardanti
le D.I.A. presentate dopo il 30.07.2010 (link a www.upel.va.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA in edilizia: l'Approfondimento
dell'ANCE.
L'articolo 49, comma 4-bis del D.L. 78/2010,
convertito dalla L. 122/2010, ha introdotto
la "segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA)", sostituendo
integralmente la disciplina della
dichiarazione di inizio attività contenuta
nel previgente articolo 19 della legge
07.08.1990 n. 241.
I primi chiarimenti del Governo sulla
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) sono giunti attraverso una nota
dell'Ufficio legislativo del ministero della
Semplificazione, di concerto con i ministeri
della Pubblica Amministrazione, delle
Infrastrutture e dell'Economia, che ritiene
applicabile la disciplina della SCIA alla
materia edilizia.
Considerati i riflessi per il settore delle
costruzioni, l'Ance (Associazione Nazionale
dei Costruttori Edili) ha ritenuto opportuno
analizzare, con una nota di approfondimento,
i principali effetti derivanti
dall'applicazione del nuovo istituto
all'attività edilizia, anche alla luce dei
recenti chiarimenti forniti dal ministero
della semplificazione normativa (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
S.C.I.A., La Strana Creatura Indubbiamente
Aliena (LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 2^
parte.
---------------
Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di
Piedimonte Matese (CE), per il contributo
ricevuto. |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
La SCIA non sostituisce la DIA regolata dal
DPR 380/2001 (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Diglio,
Dalla Dia alla Scia: la segnalazione
certificata di inizio attività
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
comunicazioni in merito alla disciplina
della segnalazione certificata di inizio
attività, di cui all'art. 49 del D.L. n. 78
del 2010 convertito con modifiche dalla L.
n. 122 del 2010 (Regione Emilia Romagna,
nota 12.11.2010 n.
280997 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione
Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Art.
49, commi 4-bis e seguenti, della Legge n.
122/2010
(Consiglio Nazionale degli Architetti
Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori,
nota 14.10.2010 n. 821
di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA, La Regione Lombardia dopo la bellezza
di 70 gg. -che è in vigore la SCIA- batte un
colpo e dice la propria in merito. Di
seguito il testo del comunicato esplicativo
datato 08.10.2010.
---------------
Comunicato della
Direzione Generale Territorio e Urbanistica:
Segnalazione Certificata Inizio Attività
(SCIA).
La legge 30.07.2010, n. 122, di conversione
del D.L. n. 78, ha introdotto una nuova
disciplina in materia di semplificazione che
ha posto da subito dubbi e problemi per
quanto attiene specificamente al settore
dell’edilizia. Ci si riferisce all'art. 49,
commi 4-bis e 4-ter, inseriti dalla legge di
conversione e per ciò stesso efficaci a far
tempo dal 31.07.2010.
Con il comma 4-bis il legislatore, "riscrivendo"
l'art. 19 della L. n. 241/1990, introduce la
"Segnalazione certificata di inizio
attività - SCIA", in sostituzione della
"Dichiarazione di inizio attività - DIA";
con il successivo comma 4-ter, dichiara
espressamente la nuova disciplina attinente
alla "tutela della concorrenza" e la
qualifica "livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali", così riconducendola alla
competenza esclusiva statale.
In risposta ad una richiesta di chiarimenti
urgenti, tempestivamente formulata da
Regione Lombardia, il Ministero per la
Semplificazione normativa, con un’articolata
nota in data 16.09.2010, ha avuto
modo di delineare l’esatto ambito di
operatività del nuovo istituto in campo
edilizio.
Risolta in senso positivo la prima
importante questione e cioè l’applicabilità
della nuova disciplina anche all'edilizia,
il Ministero ha chiarito che la SCIA può
sostituire solo la DIA “ordinaria”,
non anche la DIA alternativa al permesso di
costruire, particolarmente estesa nella
nostra legislazione regionale.
Questo importante chiarimento interpretativo
fornito dal Ministero sostanzialmente fa
salvo il regime giuridico in materia di
procedure edilizie che Regione Lombardia ha
consolidato con successo da oltre un
decennio e che risulta fondato, come noto,
sull’alternatività pressoché totale tra
permesso di costruire e DIA.
A seguito delle intervenute modifiche
legislative, come sopra delineate, sono
cinque le procedure edilizie operative nella
nostra Regione a far tempo dal 31.07.2010
per i diversi interventi, secondo la
seguente articolazione:
1.
Permesso di costruire per tutti gli
interventi edilizi, nonché per i mutamenti
di destinazione d’uso di cui all’art.
52,comma 3 bis, della L.R. n. 12/2005;
2.
Denuncia di inizio attività (DIA)
alternativa al permesso di costruire di cui
al punto 1), fatta eccezione per gli
interventi di cui al p.to 3, assoggettati in
via principale a SCIA, nonché per i nuovi
fabbricati in zona agricola e per i
mutamenti di destinazione d’uso di cui
all’art. 52, comma 3-bis, della L.R. n.
12/2005, assoggettati unicamente al permesso
di costruire;
3.
SCIA per tutti gli interventi non previsti
dagli artt. 6 e 10 (per quanto,
quest’ultimo, disapplicato in Regione
Lombardia) del D.P.R. n. 380/2001, più
precisamente:
- interventi di manutenzione straordinaria
non liberalizzati, ovvero eccedenti rispetto
alla previsione di cui all’art. 6, comma 2,
lett. a), del D.P.R. n. 380/2001,
- interventi di restauro e di risanamento
conservativo,
- interventi di ristrutturazione edilizia
“leggera”, ovvero non rientranti nella
fattispecie di cui all’art. 10, comma 1,
lett. c), del D.P.R. n. 380/2001;
4.
Comunicazione asseverata per gli interventi
di manutenzione straordinaria di cui
all’art. 6, comma 2, lett. a), del D.P.R. n.
380/2001;
5.
Comunicazione per le opere di cui all’art.
6, comma 2, lett. b) - c) - d) - e) del
D.P.R. n. 380/2001.
Per quanto riguarda specificamente la nuova
disciplina della SCIA, applicabile
nell’ambito sopra delineato (p.to 3), si
precisa che, nel caso di interventi da
realizzarsi in zona soggetta a vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali, alla
SCIA dev’essere allegato lo specifico atto
di assenso dell’ente preposto alla tutela
del vincolo, atto di assenso che non può
essere sostituito da SCIA.
Si richiama l’attenzione sugli adempimenti
dovuti nel caso di interventi da realizzarsi
in ambito non sottoposto a vincolo
paesaggistico e sempre che incidano
sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli
edifici: i relativi progetti sono soggetti
all’esame di impatto paesistico previsto dal
P.T.R. (vedi artt. 35 e ss., Parte 3, Piano
Paesaggistico e DGR. n. 11045/2002).
In tal caso, se il progetto rimane sotto la
soglia di rilevanza, alla SCIA dev’essere
allegato l’esame di impatto paesistico,
sopra soglia dev’essere acquisito,
preliminarmente alla presentazione della
SCIA, il giudizio di impatto paesistico con
parere obbligatorio della Commissione per il
paesaggio.
Relativamente agli interventi previsti dalla
L.R. n. 13/2009, in materia di rilancio
dell’edilizia, trattandosi di iniziative
contemplate da una disciplina avente
carattere speciale e derogatorio, la SCIA
non trova applicazione, rimanendo pertanto
confermati gli specifici disposti
procedurali della stessa L.R. 13 (art. 2,
comma 4; art. 3, comma 8; art. 4, comma 3).
Da ultimo, per quanto riguarda le DIA
edilizie presentate prima del 31.07.2010,
quand’anche a tale data non risultasse
decorso il termine di trenta giorni previsto
per l’esercizio del potere inibitorio dal
parte dell’amministrazione, il Ministero ha
chiarito che rimangono operative, salva la
possibilità per il privato di avvalersi
degli effetti della sopraggiunta disciplina
presentando per il medesimo intervento una
SCIA, ovviamente se l’intervento rientra tra
quelli passibili di SCIA (p.to 3 sopra
dettagliato).
Daniele Belotti - Assessore al
Territorio e Urbanistica
Bruno Mori - Direttore Generale DG.
Territorio e Urbanistica
Milano, 08.10.2010 |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Montini,
L'applicabilità alla materia edilizia della
Segnalazione Certificata d'Inizio Attività (Ufficio
Tecnico n. 9/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
S.C.I.A.,
La Strana Creatura Indubbiamente Aliena (LE
PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 1^ parte.
---------------
Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di
Piedimonte Matese (CE), per il contributo
ricevuto. |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
La grammatica ha la sua importanza ... anche
nelle leggi. Il caso della SCIA
(link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) - Applicabilità alla normativa
edilizia (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
la "telenovela" sulla SCIA non finisce ...
Nell'aggiornamento al 18.09.2010
davamo notizia dell'emanazione della
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
da parte del Ministero per la
Semplificazione Normativa, in risposta ad un
quesito formulato dalla Regione Lombardia,
circa chiarimenti sulla portata della SCIA
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) in materia edilizia.
Ebbene, la suddetta nota ministeriale
l'avevamo definita come tale e non come la
tanto auspicata ed invocata "circolare"
chiarificatrice che sarebbe stata licenziata
di lì a qualche giorno ... dobbiamo rettificare
poiché quella nota, haimè, risulta essere la
CIRCOLARE CHIARIFICATRICE!!
Invero, dopo averla letta chi scrive non ha
le idee ben chiare sul nuovo istituto in
relazione al fatto se la DIA, la SUPER-DIA e
quant'altro siano stati abrogati o meno.
In un confronto dialettico con un
responsabile di U.T.C. sono sortite le
considerazioni che -di seguito-
riproponiamo, le quali sono già state
inviate, con nota comunale ufficiale, sia al
Ministero della Semplificazione Normativa
sia al Servizio Giuridico dell'Assessorato
Territorio e Urbanistica della Regione
Lombardia.
Adesso, stiamo a vedere cosa ci
risponderanno ...
---------------
La Segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA) non si
applica nella REGIONE LOMBARDIA.
Una
recente nota del Ministero per la
Semplificazione (nota 16.09.2010 n. 1340 di
prot. a firma del Capo Ufficio Legislativo,
Dott. Giuseppe Chinè), in risposta ad alcuni
quesiti dell’Assessore al Territorio della
REGIONE LOMBARDIA, chiarisce che:
• la SCIA si applica anche
all’edilizia;
• la SCIA si intende quale “sostitutiva”
della Dichiarazione Inizio attività (DIA);
• la SCIA non “sostituisce”
né il PERMESSO DI COSTRUIRE né
la DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Forse altre Regioni d'Italia hanno
diversamente applicato il d.p.r. n. 380/2001
estendendo o sottraendo ambiti di
applicazione della DIA, ma -nella REGIONE
LOMBARDIA- non esistono due DIA cioè non
esiste:
• una DIA (semplice)
• e una DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Nella REGIONE LOMBARDIA, in virtù dell’art.
41 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i.,
esiste un'unica DIA che consente
–appunto- di utilizzare il PERMESSO DI
COSTRUIRE o la DIA alternativamente e per
gli stessi interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia. In altre
parole, in LOMBARDIA, la DIA è unica
ed è alternativa al permesso di costruire.
Ne consegue che la citata nota del Dott.
Giuseppe Chinè esclude, nella REGIONE
LOMBARDIA, l’applicabilità della SCIA
dall’ambito edilizio poiché –appunto- il
Ministero ritiene che la SCIA
si intenda unicamente “sostitutiva”
della DIA ma non anche del
PERMESSO DI COSTRUIRE e della
DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
27.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla inapplicabilità della SCIA
in ambito edilizio in difetto del necessario
adeguamento del DPR 380/2001: postilla sulla
nota ministeriale 16.09.2010 (ANCI
Toscana,
nota
27.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione Certificata di Inizio
Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e
seguenti, della Legge n. 122/2010
(Consiglio Nazionale degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori,
nota 24.09.2010 n. 764 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Addio permessi. Con le nuove
regole (SCIA) i lavori di ristrutturazione
partono subito.
La Scia si applica
nell'edilizia.
Con il deposito in comune della Segnalazione
certificata di inizio attività (Scia,
appunto) si possono immediatamente avviare i
lavori di restauro e risanamento
conservativo, di ristrutturazione edilizia "fedele"
e le varianti a permessi di costruire. La
presenza di un vincolo non impedisce poi
l'utilizzo della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività), fatto
comunque salvo l'ottenimento, prima di
avviare i lavori, dell'autorizzazione
specifica in caso di vincoli.
Questa, in sintesi è l'interpretazione
fornita dal ministero delle Infrastrutture
al quesito posto dalla regione Lombardia
sull'applicabilità al mondo delle
costruzioni del nuovo testo dell'articolo 19
della legge 241/1990, introdotto dalla
manovra correttiva.
Restano invece soggetti a permesso di
costruire gli interventi di nuova
costruzione, quelli di ristrutturazione
urbanistica e le opere di ristrutturazione
edilizia "infedele" che comportino
cioè l'aumento di unità immobiliari,
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che,
limitatamente agli immobili compresi nelle
zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d'uso.
Nulla viene quindi modificato rispetto alle
opere già liberalizzate: restano soggette a
semplice «comunicazione» i lavori di
manutenzione straordinaria, le opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee, quelle di pavimentazione e di
finitura di spazi esterni, anche per aree di
sosta, gli interventi per realizzare i
pannelli solari, fotovoltaici e termici, le
aree ludiche senza fini di lucro e gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici. Restano infine del tutto
libere (senza neppure la «comunicazione»)
le opere di manutenzione ordinaria, quelle
volte all'eliminazione di barriere
architettoniche che non alterano la sagoma
dell'edificio, le opere temporanee per
attività di ricerca nel sottosuolo i
movimenti di terra pertinenti all'esercizio
dell'attività agricola, le serre mobili
stagionali.
Infine, una precisazione importante del
ministero: restano in vita le previsioni
regionali che assoggettano a Dia (la
cosiddetta "superDia") le opere che
secondo il Testo unico sull'edilizia
richiedono il permesso di costruire.
L'impatto della manovra è così fortemente
ridotto in Lombardia, dove ai sensi della
legge regionale 12/2005 le grandi opere
continuano a essere assoggettate a Dia e
quelle minori, se non liberalizzate, sono
ora sottoposte a Scia.
L'assetto tracciato dal
ministero (riassunto nelle schede della
pagina) può dirsi definitivo?
A dire il vero, sulla Scia le
interpretazioni in campo sono davvero tante
e, per quanto autorevole, quella
ministeriale non ha valore di legge e non
risolve i dubbi che, sull'utilizzabilità
della nuova procedura, sono stati sollevati
dagli uffici tecnici delle amministrazioni
comunali quotidianamente chiamati ad
applicare sul campo le nuove disposizioni.
In primo luogo è stato osservato che la
natura stessa dell'attività edilizia
impedirebbe l'applicabilità della Scia alle
costruzioni escluse dalle previsioni
dell'articolo 19 della legge 241/1990 e
assoggettate alle previsioni speciali del
Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001).
A supporto dell'inapplicabilità della Scia
all'edilizia sta poi la considerazione che
dalla segnalazione certificata restano
comunque escluse –lo prevede la manovra– le
attività soggette a limiti o contingenti
complessivi, ai quali sarebbero
riconducibili gli indici edilizi che
regolamentano tutta l'attività di
trasformazione del territorio.
Sotto un altro profilo, è stato inoltre
osservato che mentre l'articolo 22 del Testo
unico disciplina la denuncia di inizio
attività, la manovra, riscrivendo l'articolo
19 citato, ha cancellato la dichiarazione di
inizio attività, per cui non vi sarebbe
motivo di porre in dubbio la perdurante
efficacia delle disposizioni sulla Dia
edilizia: «Le espressioni "segnalazione
certificata di inizio di attività" e "Scia"
sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio di attività" e
"Dia", ovunque ricorrano, anche come parte
di una espressione più ampia, e la
disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio di attività recata da ogni
normativa statale e regionale».
Le ragioni a favore della non applicazione
della Scia all'edilizia non sono considerate
dalla nota ministeriale, che porta a
sostegno della sua tesi i lavori preparatori
della legge di conversione del Dl 78/2010
(As 2228). In particolare, il dossier di
documentazione del Servizio studi del Senato
suggerisce la seguente lettura della
disposizione: «La norma ha anche un
profilo abrogativo della normativa statale
difforme, per cui si deve intendere che a
essa va ricondotta anche la denuncia di
inizio di attività edilizia, disciplinata
dagli articoli 22 e 23 del Dpr n. 380 del
2001».
Di fronte a posizioni così distanti, però,
gli operatori del settore sono in
difficoltà. Alcuni, nel dubbio, scelgono di
attendere comunque il decorso dei 30 giorni
previsti dal Testo unico edilizia prima di
dare avvio a lavori che, in base alla Scia,
potrebbero avviare subito (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA). Articolo 49, commi 4-bis e
seguenti, legge n. 122 del 2010
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
Ufficio Legislativo,
nota
16.09.2010 n. 1340 di prot.).
---------------
L'Ufficio Legislativo del Ministero per la
Semplificazione Normativa risponde alla
Regione Lombardia in merito a chiarimenti
richiesti (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.09.2010).
Ma non è la tanto auspicata ed invocata
circolare chiarificatrice, a tutto campo, la
quale è in fase di stesura e dovrebbe essere
imminente (settimana prossima??) la sua
divulgazione. |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA, Prime indicazioni sulle conseguenze
della modifica dell’art. 19, legge
07.08.1990, n. 241, disposta con legge
30.07.2010, n. 122, nell’ordinamento
edilizio (ANCI Toscana,
nota 16.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Meneguzzo,
Non sempre la SCIA appare utilizzabile in
materia edilizia (link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla SCIA: la Regione Liguria dice
no all'applicazione all'edilizia,
soprattutto in ambiti vincolati.
Il 28.10.2010 la Regione Liguria ha
trasmesso alle amministrazioni locali la
nota 08.09.2010 n.
126099 di prot. -a firma del Vice
Presidente della Giunta Regionale e
Assessore alla Pianificazione Territoriale,
Urbanistica- in risposta al quesito posto
dal Comune di Genova relativamente alla
applicabilità in materia di attività
edilizia del nuovo istituto della
Segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA).
Oltre a ricordare di aver proposto ricorso
alla Corte Costituzionale con altre otto
regioni, la Regione ha evidenziato che la
procedura pare essere circoscritta alle
attività di Impresa, maggiormente bisognose
di "semplificazione", escludendone in
ogni caso l'applicazione in casi in cui
sussistono vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali (commento tratto e link a
http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ultime
news sulla S.C.I.A..
Ad oggi sono già 38 gg. (dal 31.07.2010) che è in
vigore il nuovo istituto della S.C.I.A.
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) e nulla di nuovo si intravede
all'orizzonte ...
Invero, non si contano più le telefonate che
abbiamo fatto -già dai primi giorni di
agosto- sia al Ministero della
Semplificazione Normativa (che ha "partorito"
questa bella novità ... potremmo definirla
un nuovo "Porcellum??") sia all'Assessorato
Regionale Territorio e Urbanistica per avere
lumi in merito e la risposta è sempre stata
la stessa:
boh!!
La domanda, nell'immediato, è una sola:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
A questo semplice interrogativo nessuno (chi
di dovere!!) sa rispondere e fornire
certezze nell'operare quotidiano
dell'ufficio tecnico comunale ... e,
intanto, il tempo passa.
Ad onor del vero, venerdì 03.09.2010 abbiamo
fatto
BINGO!!
... cioè?? Finalmente, dopo l'ennesima telefonata, al
Ministero della Semplificazione Normativa
siamo riusciti ad interloquire
col Capo dell'ufficio legislativo (perché
gli altri funzionari non sapevano nulla
oppure erano introvabili fuori
stanza oppure erano in ferie) il quale ci ha
anticipato che oggi pomeriggio (06.09.2010)
si terrà una riunione fra i responsabili dei
Ministeri della Semplificazione Normativa
(Calderoli), per la Pubblica Amministrazione
e l'Innovazione (Brunetta) e delle
Infrastrutture e Trasporti (Matteoli) al
fine di pervenire -al più presto- ad un
chiarimento congiunto e, forse, "partorire"
l'auspicata circolare che dia risposte ai
mille dubbi e quesiti sorti nel frattempo.
Comunque, da commenti ufficiosi trapelati
dal Ministero, parrebbe chiaro che la S.C.I.A. abbia sostituito anche la D.I.A. in
materia edilizia ... almeno,
nell'intendimento del legislatore, così come
si sono svolti i lavori parlamentari da cui
è sortita la Finanziaria estiva.
E ciò risulta ufficialmente confermato, dal
Capo ufficio legislativo -Cons. Chiné, a
seguito di intervista pubblicata su "Edilizia
e Territorio" del 26.07.2010, n. 29, che
potete
leggere qui
... tuttavia, perché al telefono il
Ministero non si sbilancia ufficialmente??
Questa è l'ennesima pessima figura (tanto
per usare un eufemismo) che il legislatore
e, nel caso di specie, il Ministro collezionano ...
ma
credete che gliene importi qualcosa??
In TV si fanno "belli" in
interviste nelle quali decantano le innumerevoli
semplificazioni legiferate di cui si sono fatti
promotori, tutte a vantaggio del Cittadino,
delle Imprese, degli Operatori economici ...
tuttavia, dopo ben 38 gg. il Ministero non sa
ancora dare una risposta
semplice e chiara al seguente interrogativo:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
VERGOGNA !!
Siamo di fronte a veri e propri "dilettanti
allo sbaraglio della politica" ai quali
rivolgiamo un caloroso invito a dimettersi
e, successivamente, partecipare alla
trasmissione televisiva "la Corrida"
... lì, forse, avranno una fulgida carriera.
Della S.C.I.A. già se ne era a conoscenza
-in tempi non sospetti- con la presentazione del maxiemendamento al
Senato del Ministro Tremonti prima del voto
finale di fiducia alla Finanziaria estiva
... il Ministero dello Sviluppo Economico,
invero, è stato abbastanza tempestivo nell'emanare la propria circolare 10.08.2010
n. 3637/C ma questa inerisce unicamente
sulle attività economiche che possono essere
intraprese con la S.C.I.A. e non anche sulle
attività edilizie.
Perché
il Ministro Calderoli ha permesso che tutti
i direttori generali, dirigenti, funzionari
se ne andassero bellamente in vacanza
anziché restare in ufficio a redigere
tempestivamente la necessaria circolare
esplicativa evitando, così, di "lasciare allo sbando"
gli 8.094 uffici tecnici comunali d'Italia??
Dalle nostre parti (in ufficio tecnico) una
fattispecie del genere ovverosia un sim | |