dossier
S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività) |
anno 2022 |
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EDILIZIA PRIVATA: Un’opera
volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può
essere considerata alla stregua di un intervento minore,
suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del
permesso di costruire.
---------------
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano co-essenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto
per essere considerato pertinenza deve essere non solo
preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
---------------
"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in
quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è
altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo
cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di
volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra
di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in
quanto non qualificabile come pertinenza in senso
urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in
grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio
cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri
manufatti, non può essere attratta alla categoria
urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è
necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non
è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi
della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura
edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa
ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio
dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso
di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e
degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R.
n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
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Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti
sono infondati e devono essere respinti per le ragioni di
seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non
pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un
intervento minore, suscettibile di essere assentito con
S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta
dirimente per il Collegio, ai fini del decidere,
identificare l’esatta natura (pertinenziale o meno) della
piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a
circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”,
fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella
civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica
non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino
per una propria autonomia rispetto all’opera principale e
non siano coessenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile
allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta
altro che la destinazione della cosa ad un uso servente
durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del
manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che
l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico
urbanistico (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI,
19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id.,
Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di
derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice
civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad
ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il
manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non
solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio
principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma
anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in
quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con
l’edificio principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze
in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione
durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo
all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente
giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali
concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano
essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi
ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile
come pertinenza in senso urbanistico in ragione della
funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a
quella propria dell’edificio cui accede. La piscina,
infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere
attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze,
in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle
abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma
integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà
luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul
sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo
rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal
permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III,
09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)”
(cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768;
inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
07/01/2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, Sez. II,
18/04/2019, n. 642; TAR Campania, Napoli, Sez. II,
30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
30/03/2018, n. 2033; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
19/02/2018, n. 1087; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV,
30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018,
n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97;
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia,
Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli,
Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria, Catanzaro, Sez.
II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012,
n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione
alla sua consistenza modificativa e trasformativa
dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al
novero degli “interventi di manutenzione straordinaria”
e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del
D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli
interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del
combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del
2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le
attività qualificabili come interventi di nuova costruzione
che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel
novero di quelle considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e
n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo
deve essere respinto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: L’unica
tutela attribuita al terzo a fronte delle attività sottoposte a SCIA è
costituita dalla sollecitazione delle verifiche spettanti
all’amministrazione e, in caso di inerzia, l’esperimento dell’azione di cui
all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 104 del 2010, avendo il
Legislatore, con l’art. 6, comma 1, del d.l. 13.08.2011, n. 138 (convertito,
con modificazioni, nella legge 14.09.2011, n. 148), inteso superare gli
esiti interpretativi cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, nella sentenza n. 15 del 2011, che, com’è noto, aveva qualificato in
termini di silenzio provvedimentale, con significato di rigetto
(direttamente impugnabile dal terzo), l’inutile decorso del termine previsto
dall’articolo 19, comma 3, L. n. 241 del 1990 e ciò “con la finalità di
escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto
silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo
all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come
inadempimento”.
---------------
Tanto meno tale atto è idoneo ad incidere sulla natura del titolo
abilitativo che resta l’originaria segnalazione.
Alla stregua della disciplina applicabile ai sensi dell’art. 19, comma
6-ter, L. n. 241 del 1990, l’unica tutela attribuita al terzo a fronte delle
attività sottoposte a segnalazione certificata di inizio attività è
costituita dalla sollecitazione delle verifiche spettanti
all’amministrazione e, in caso di inerzia, l’esperimento dell’azione di cui
all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 104 del 2010, avendo il
Legislatore, con l’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13.08.2011, n. 138
(convertito, con modificazioni, nella legge 14.09.2011, n. 148), inteso
superare gli esiti interpretativi cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, nella sentenza n. 15 del 2011, che, com’è noto, aveva
qualificato in termini di silenzio provvedimentale, con significato di
rigetto (direttamente impugnabile dal terzo), l’inutile decorso del termine
previsto dall’articolo 19, comma 3, L. n. 241 del 1990 e ciò “con la
finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il
cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela
del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come
inadempimento” (così Corte costituzionale, sentenza del 20.03.2019, n.
45, ma cfr. anche TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 16.03.2018 n. 443, Cons.
Stato Sez. IV, 06/10/2017, n. 4659, Cons. Stato Sez. IV Sent., 13/02/2017,
n. 611 e TAR Roma, (Lazio) sez. II, 02/09/2020, (ud. 20/07/2020, dep.
02/09/2020), n. 9300 “Anche il Consiglio di Stato in numerose decisioni
su casi analoghi (cfr. Cons. St. Sez. IV 28.04.2017, n. 1967; 09.05.2017, n.
2120; 05.07.2017, n. 3281) ha precisato che "l'art. 19, co. 6-ter, della
legge 07.08.1990, n. 241, aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del
decreto-legge 13.08.2011, n. 138, stabilisce che la segnalazione certificata
di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili" e che "gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione
di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n.
104")
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.07.2021 n. 880 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Deve
notarsi come l’intervento edilizio (in difformità dal titolo edilizio)
determini un’indebita compromissione delle distanze
legali determinando la violazione di una
norma imperativa.
In simili situazione la giurisprudenza
ritiene sufficiente “il
richiamo
all'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444 che
prescrive la distanza di 10 metri per
l'apertura di finestre antistanti l'edificio
confinante, si fonda sull'interesse pubblico
di impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienicosanitario:
trattasi, come ha rilevato la
giurisprudenza, di prescrizione avente
carattere di assolutezza ed inderogabilità,
risultante da fonte normativa statuale,
sovraordinata rispetto agli strumenti
urbanistici locali […], da sola sufficiente
a fondare la legittimità dell'annullamento
del titolo edilizio senza spazio per la
considerazione e la ponderazione di opposti
interessi”.
In ordine al tema della ragionevolezza
del tempo di intervento si osserva come il
richiamo alla ragionevolezza imponga di
verificare con peculiare attenzione se
l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di
carattere concreto e attuale anche in
considerazione del complesso delle
circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come autorevolmente insegna
l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
n. 8 del 2017, la locuzione “termine
ragionevole” richiama evidentemente un
concetto non parametrico ma relazionale,
riferito al complesso delle circostanze
rilevanti nel singolo caso.
Nel caso di specie, l’Amministrazione
provvede ad inviare la comunicazione di
avvio del procedimento dieci mesi dopo la
prima S.C.I.A. e cinque mesi dopo la
S.C.I.A. in variante nella quale si prevede, ex aliis, la costruzione della scala
esterna che, come spiegato, viola le
distanze legali. Inoltre, l’Amministrazione
provvede tempestivamente alla sospensione
dei lavori in attesa di effettuare i
necessari approfondimenti istruttori e di
espletare il contraddittorio con le parti
interessate.
Il riscontro della ragionevolezza del
termine per l’esercizio del potere, unito ad
un attivo contraddittorio procedimentale,
permette, inoltre, di escludere che il
privato possa vantare un legittimo
affidamento in merito alla conformità del
suo operato agli strumenti urbanistici che
sia di portata tale da prevalere sugli
interessi pubblici sottesi all’annullamento
di un intervento difforme da norme cogenti,
come quelle dettate in materia di distanze.
Al contrario, risulta prevalente nel caso di
specie: a) l’interesse pubblico alla
rimozione di un’opera che risulta idonea a
creare quelle intercapedini dannose che il
legislatore del 1968 ha voluto assolutamente
evitare; b) l’interesse dei proprietari dei
due immobili limitrofi a sentire annullato
un titolo che determina pregiudizi certi in
ordine al rispetto delle distanze.
---------------
12. Concluso l’esame dei motivi di ricorso
concernenti la violazione delle norme
relative alla conformità del progetto alle
regole edilizie occorre, in primo luogo,
esaminare gli ulteriori profili di censura
contenuti nel quarto motivo di ricorso e
relativi alle dedotte violazioni dell’art.
21-nonies l. n. 241/1990.
12.1. Tali profili di censura, esaminanti in
modo congiunto in quanto intimamente
connessi, sono infondati.
12.2. La previsione in esame condiziona
l’esercizio del potere di secondo grado alla
ricorrenza di tre condizioni: i) sussistenza
di ragioni di interesse pubblico; ii)
ragionevolezza del tempo di intervento; iii)
valutazione degli interessi dei destinatari
e dei controinteressati.
12.3. Le ragioni di pubblico interesse
ricorrono con ogni evidenza nel caso di
specie. Infatti, se l’omessa corresponsione
del contributo non è ex se idonea a
legittimare l’intervento comunale (essendo
relativa all’interesse patrimoniale
dell’Ente e non afferendo, quindi, al
diverso concetto di interesse pubblico),
deve notarsi come l’intervento determini
un’indebita compromissione delle distanze
legali determinando la violazione di una
norma imperativa.
In simili situazione la giurisprudenza
ritiene, del resto, sufficiente “il
richiamo, pure operato dal provvedimento,
all'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444 che
prescrive la distanza di 10 metri per
l'apertura di finestre antistanti l'edificio
confinante, si fonda sull'interesse pubblico
di impedire la formazione di intercapedini
nocive sotto il profilo igienicosanitario:
trattasi, come ha rilevato la
giurisprudenza, di prescrizione avente
carattere di assolutezza ed inderogabilità,
risultante da fonte normativa statuale,
sovraordinata rispetto agli strumenti
urbanistici locali […], da sola sufficiente
a fondare la legittimità dell'annullamento
del titolo edilizio senza spazio per la
considerazione e la ponderazione di opposti
interessi” (Consiglio di Stato, sez. VI,
05.03.2014, n. 1054).
12.4. In ordine al tema della ragionevolezza
del tempo di intervento si osserva come il
richiamo alla ragionevolezza imponga di
verificare con peculiare attenzione se
l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di
carattere concreto e attuale anche in
considerazione del complesso delle
circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come autorevolmente insegna
l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
n. 8 del 2017, la locuzione “termine
ragionevole” richiama evidentemente un
concetto non parametrico ma relazionale,
riferito al complesso delle circostanze
rilevanti nel singolo caso.
Nel caso di specie, l’Amministrazione
provvede ad inviare la comunicazione di
avvio del procedimento dieci mesi dopo la
prima S.C.I.A. e cinque mesi dopo la
S.C.I.A. in variante nella quale si prevede,
ex aliis, la costruzione della scala
esterna che, come spiegato, viola le
distanze legali. Inoltre, l’Amministrazione
provvede tempestivamente alla sospensione
dei lavori in attesa di effettuare i
necessari approfondimenti istruttori e di
espletare il contraddittorio con le parti
interessate.
12.5. Il riscontro della ragionevolezza del
termine per l’esercizio del potere, unito ad
un attivo contraddittorio procedimentale,
permette, inoltre, di escludere che il
privato possa vantare un legittimo
affidamento in merito alla conformità del
suo operato agli strumenti urbanistici che
sia di portata tale da prevalere sugli
interessi pubblici sottesi all’annullamento
di un intervento difforme da norme cogenti,
come quelle dettate in materia di distanze.
Al contrario, risulta prevalente nel caso di
specie: a) l’interesse pubblico alla rimozione di un’opera che risulta
idonea a creare quelle intercapedini dannose che il legislatore del 1968 ha
voluto assolutamente evitare; b) l’interesse dei proprietari dei due
immobili limitrofi a sentire annullato un titolo che determina pregiudizi
certi in ordine al rispetto delle distanze
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.02.2021 n. 472 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Se
è vero che, a seguito della presentazione della SCIA, il decorso del tempo
determina il consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua
preventiva rimozione, in vista dell'assunzione di iniziative sanzionatorie,
è altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile perché
la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle
dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo, cosicché,
in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il
potere di inibire l'attività comunicata.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe e successivi motivi aggiunti, la Pl.Ca.
di Va.A. & C. s.r.l. (in appresso, P.C.) impugnava, chiedendone
l’annullamento, previa adozione di misure cautelari:
-- il provvedimento del 07.02.2020, prot. n.
5127, col quale il Responsabile dell’Unità Operativa Complessa (UOC)
Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri aveva
diffidato a sospendere ad horas l’attività imprenditoriale di
packaging esercitata presso il locale ubicato in Angri, alla via ..., n.
..., e censito in catasto al foglio 1, particella 1461, sub 1-2;
-- il verbale di accertamento prot. n. 8460 del
30.09.2019;
-- la relazione di sopralluogo prot. n.
2019/01929/ABU del 30.09.2019;
-- le note comunali del 12.07.2012, prot. n.
23655, e del 07.10.2019, prot. n. 32254;
-- i verbali di sequestro prot. n. 3112 del
27.01.2004 e prot. n. 5095 del 03.02.2011;
-- la nota della UOC – Avvocatura Civica del
Comune di Angri prot. n. 5513 dell’11.02.2020;
-- le note del Responsabile della UOC Promozione,
Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri prot. n. 23655 del
12.07.2012 e prot. n. 1553 del 15.01.2019;
-- la relazione del 19.02.2020, prot. n. 6618, e
le note aggiuntive della UOC Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale
del Comune di Angri, relative all’impugnazione della P.C.;
-- l’ordinanza di demolizione prot. n. 15616 del
10.05.2011;
-- la relazione tecnica di accertamento del
07.10.2019;
- l’adottata misura interdittiva era, segnatamente motivata per
relationem alle risultanze del verbale di accertamento prot. n. 8460 del
30.09.2019, ricognitivo dell’abusività edilizia del su indicato locale,
adibito a sede secondaria dell’attività produttiva esercitata dalla P.C.
(con sede principale in Angri, al corso ..., n. ...), nonché in base al
rilievo dell’incompletezza (già contestata dall’amministrazione con nota del
12.07.2012, prot. n. 23655, e mai rimediata dall’interessata) dell’istanza
del 15.06.2012, prot. n. 20544, volta all’apertura della predetta sede
secondaria;
...
Considerato, innanzitutto, che:
- la contestazione di abusività urbanistico-edilizia e di
conseguente inagibilità del locale condotto dalla P.C. rinviene perspicuo,
ancorché succinto appiglio nel riferimento – riportato in esordio del
gravato provvedimento del 07.02.2020, prot. n. 5127, all’«accertamento
congiunto dei Carabinieri di Angri e della Polizia locale del 30.09.2019,
verb. 8460, svolto [in relazione] all’immobile abusivo, già oggetto in
precedenza di sequestro»;
- ciò vale, dunque, ad elidere le censure attoree in merito
all’asserita integrazione postuma della motivazione dell’adottata misura
interdittiva;
Considerato, poi, che:
- con la nota del 12.07.2012, prot. n. 23655, il Comune di Angri
aveva opposto alla ricorrente che la propria istanza del 15.06.2012, prot.
n. 20544, «è carente della documentazione necessaria a permettere
l’individuazione dell’immobile/struttura edilizia da adibire a sede
secondaria» e l’aveva, quindi, invitata «a presentare gli atti ed
elaborati tecnici che possano consentire agli Uffici di individuare
puntualmente la struttura da adibire a sede secondaria … e permettere
l’avvio del relativo procedimento istruttorio»;
- ora, è incontestato che tale richiesta di integrazione
documentale non sia stata mai esitata dalla P.C.; cosicché è da escludersi
che la menzionata istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, la quale –avuto
riguardo al relativo sostrato teleologico-funzionale, e al di là della
generica dicitura adoperata («richiesta di apertura unità locale»)–
corrisponde al modulo della SCIA per l’insediamento di un’attività
produttiva, abbia potuto mai consolidare i propri effetti abilitativi in
favore della proponente;
- in argomento, giova rammentare che, se è vero che, a seguito
della presentazione della SCIA, il decorso del tempo determina il
consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua preventiva
rimozione, in vista dell'assunzione di iniziative sanzionatorie, è
altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile
perché la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle
dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo, cosicché,
in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il
potere di inibire l'attività comunicata (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II,
18.06.2014, n. 1601; TAR Campania, Napoli, sez. II, 25.07.2016, n. 3869;
sez. VII, 10.01.2019, n. 143; TAR Liguria, Genova, sez. I, 10.05.2019, n.
436);
- pertanto, nella specie, il potere inibitorio esercitato col
provvedimento impugnato ha trovato giustificazione nell’acclarata
incompletezza dell’istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, e, quindi, a
dispetto degli assunti attorei, si è correttamente incanalato nell’alveo del
modello legale tipico disciplinato dall’art. 19, comma 3, della l. n.
241/1990;
- un simile approdo neppure resta menomato dalla dedotta
circostanza del mancato recapito all’interessata della citata nota del
12.07.2012, prot. n. 23655: la preclusione del consolidamento degli effetti
dell’istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, è, infatti, da reputarsi
determinata in ragione dell’incompletezza della documentazione a corredo di
quest’ultima, stante la sua oggettiva e radicale inidoneità abilitativa;
così come non resta menomata dalla pure dedotta reperibilità della
documentazione in parola in allegato alla già esaminata SCIA
dell’11.12.2018, prot. n. 44466, non essendo sufficientemente dimostrato da
parte ricorrente come quest’ultima potesse appieno soddisfare le esigenze
istruttorie ex ante rappresentate dal Comune di Angri, finalizzate,
all’evidenza, a verificare la legittimazione edilizia dell’immobile ubicato
in Angri, alla via ..., n. ..., e censito in catasto al foglio 1, particella
1461, sub 1-2;
- ciò, tanto più che l’insediamento de quo, oltre ad aver
formato oggetto dell’ordinanza di demolizione prot. n. 15616 del 10.05.2011
e oltre a non essere stato, quindi, puntualmente certificato nei suoi
estremi di conformità urbanistico-edilizia, non risulta assistito da
apposita autorizzazione all’emissioni in atmosfera –la quale figura soltanto
richiesta (e, quindi, implicitamente riconosciuta come necessaria) dalla
ricorrente con istanza del 25.02.2019, prot. n. 45555 e tuttora non esitata
dalla competente autorità regionale– né da valido certificato di agibilità
(gli abusi di cui all’istanza di condono prot. n. 28691 del 10.12.2004 non
essendo stati ancora sanati)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 21.07.2020 n. 937 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività,
come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è
configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e
non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto
a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa
dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una
categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di
un privato.
Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri
inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può
esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare
l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi
dell'art. 31 cod. proc. amm..
---------------
5.1. Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività,
come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è
configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e
non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto
a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa
dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una
categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di
un privato. Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri
inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può
esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare
l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi
dell'art. 31 cod. proc. amm. (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV,
05/07/2017, n. 3281; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20/01/2020, n. 645; TAR
Campania, Napoli, sez. III, 01/04/2019, n. 1780).
Tale qualificazione, già ampiamente invalsa nel formante giurisprudenziale
esistente all’epoca in cui è stato introdotto il presente giudizio, è stata
normativamente confermata con la novella dell’art. 19, co. 6-ter, della L.
n. 241/1990.
A ciò consegue, dunque, l’inammissibilità delle censure ricorsuali che
investono le due D.I.A. in variante rilevanti nel presente giudizio e, per relationem, le opere con esse assentite. Tra di esse, in particolare, la
vasca idromassaggio, specificamente indicata nella D.I.A. prot. n. 43880 del
10/8/2009, sulla quale si appuntano gran parte delle doglianze sollevate da
parte ricorrente
(TAR
Basilicata,
sentenza 13.07.2020 n. 454 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
19 della l. n. 241/1990, al comma 6-bis prevede che: “Nei casi di SCIA in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali”.
Una volta
accertato che l’intervento edilizio è difforme dal paradigma normativo, va
richiamato il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui anche dopo la
scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia,
l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono
essere realizzate sulla base della d.i.a., può esercitare i poteri di
vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento e, quindi, permane sia il
potere di autotutela -annullamento d’ufficio, revoca- che il potere di
vigilanza in materia di repressione degli abusi edilizi e, più in generale, mantiene il potere di controllo sulle attività
edilizie per il quale l’art. 27 D.P.R. 380/2001 non prevede alcun termine di
decadenza, sia quando le opere realizzate non corrispondono a quelle oggetto
della denuncia, sia quando le stesse non sono realizzabili con una semplice d.i.a.,
ma richiedono l'avvenuto rilascio del permesso di costruire o di una sua variante.
---------------
Sotto altro profilo la Sezione (n. 4261/2019) ha rammentato che l’art. 19
della l. n. 241/1990, al comma 6-bis prevede che: “Nei casi di SCIA in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente
della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali”; una volta
accertato che l’intervento edilizio è difforme dal paradigma normativo, va
richiamato il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui anche dopo la
scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia,
l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono
essere realizzate sulla base della d.i.a., può esercitare i poteri di
vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento e, quindi, permane sia il
potere di autotutela -annullamento d’ufficio, revoca- che il potere di
vigilanza in materia di repressione degli abusi edilizi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 12.02.2010 n. 781; 18.12.2008 n. 6378; 12.09.2007 n. 4828; 30.06.2005 n. 3498, TAR Campania, Napoli, Sez. II, 14.12.2017, n. 5903, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 28.11.2018,
n. 2513) e, più in generale, mantiene il potere di controllo sulle attività
edilizie per il quale l’art. 27 D.P.R. 380/2001 non prevede alcun termine di
decadenza, sia quando le opere realizzate non corrispondono a quelle oggetto
della denuncia, sia quando le stesse non sono realizzabili con una semplice d.i.a., ma richiedono l'avvenuto rilascio del permesso di costruire (TAR
Campania, Napoli, Sez. VII, 04.10.2007, n. 8951 e Sez. VIII, 12.06.2014, n. 3275, quest’ultima
passata in giudicato per mancata impugnazione, e relativa agli stessi
provvedimenti impugnati) o di una sua variante
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 10.07.2020 n. 3007 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per giurisprudenza
ampiamente consolidata, la natura della SCIA –che non è una vera e propria
istanza di parte per l'avvio di un procedimento amministrativo bensì una
dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività
ammessa direttamente dalla legge– induce ad escludere che l'autorità
procedente debba comunicare al segnalante l'avvio del procedimento prima
dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori.
In tale ipotesi, il segnalante è, infatti, titolare di una posizione
soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato
nella legge e che non necessita di alcun atto di assenso, espresso o tacito,
da parte dell’amministrazione, senza spazio, quindi, per l’instaurazione di
un procedimento autorizzatorio e per la connessa comunicazione di avvio.
---------------
7. Priva di pregio è, poi, la
censura di omessa comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990 (cfr. retro,
in narrativa, sub n. 19.b).
In proposito, è sufficiente obiettare che la nota del 10.04.2018, prot. n.
64286, avuto riguardo al suo contenuto, al potere con essa esercitato ed ai
tempi di sua emanazione, presenta, a tutti gli effetti, i connotati propri
del modello provvedimentale codificato dall’art. 19, comma 3, della l. n.
241/1990, il quale, a fronte dell’avvenuta segnalazione di attività da parte
del privato, e previamente all’adozione della prevista misura interdittiva,
non contempla l’assolvimento dell’incombente partecipativo invocato dalla R.
Ed invero, per giurisprudenza ampiamente consolidata, la natura della SCIA
–cui è equiparabile la comunicazione effettuata dalla ricorrente il
03.04.2018, prot. n. 59661, e che non è una vera e propria istanza di parte
per l'avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma
tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una
determinata attività ammessa direttamente dalla legge– induce ad escludere
che l'autorità procedente debba comunicare al segnalante l'avvio del
procedimento prima dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e
inibitori (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25.01.2013, n. 489; 14.04.2014, n.
1800; 19.06.2014, n. 3112; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23.01.2020, n.
316).
In tale ipotesi, il segnalante è, infatti, titolare di una posizione
soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato
nella legge e che non necessita di alcun atto di assenso, espresso o tacito,
da parte dell’amministrazione, senza spazio, quindi, per l’instaurazione di
un procedimento autorizzatorio e per la connessa comunicazione di avvio (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 18.02.2019; TAR Abruzzo, Pescara, 28.10.2019, n. 256)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 27.05.2020 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA e CILA – Previsione, come regola speciale, ma in via
alternativa, della formazione del silenzio-assenso – Opzione
per il rilascio di un provvedimento espresso – Fondamento –
Pronuncia di decadenza in ordine al titolo edilizio tacito,
qualora sia stato richiesto un provvedimento espresso –
Illegittimità.
Rimane nella disponibilità del privato
l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art.
2, comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla
normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola
generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale,
ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la
formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli
strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e
C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali
espressamente contemplati e fanno comunque salva la
possibilità di scelta della richiesta da parte
dell’interessato per il rilascio di un provvedimento
espresso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la
completezza o meno della documentazione, utili a formare il
titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della
complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una
questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il
soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio
ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di
un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici
comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio
del potere di autotutela, con lesione della propria sfera
economico-patrimoniale.
Motivo per cui, giammai l’amministrazione comunale può
pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio
tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato
richiesta l’emanazione di un provvedimento espresso (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione della SCIA non dà luogo a un
procedimento amministrativo, ma costituisce unicamente, nei casi stabiliti
dalla legge, la condizione per l’avvio di un’attività privata, dovendosi
pertanto escludere che l’autorità destinataria della segnalazione sia tenuta
a comunicare l’avvio del procedimento, ovvero il preavviso di diniego ai
sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, prima dell'esercizio dei
propri poteri di controllo e inibitori.
---------------
2.2. Con il
secondo motivo, la ricorrente lamenta che l’ordinanza n.
171/2019 sarebbe intervenuta ad appena quattro giorni di distanza dalla
comunicazione di avvio del procedimento di inibitoria, seguita alla
presentazione della S.C.I.A..
L’infondatezza della censura è palese avuto riguardo alla natura della
segnalazione certificata di inizio di attività, la cui presentazione non dà
luogo a un procedimento amministrativo, ma costituisce unicamente, nei casi
stabiliti dalla legge, la condizione per l’avvio di un’attività privata,
dovendosi pertanto escludere che l’autorità destinataria della segnalazione
sia tenuta a comunicare l’avvio del procedimento, ovvero il preavviso di
diniego ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, prima
dell'esercizio dei propri poteri di controllo e inibitori (per tutte, da
ultimo cfr. Cons. Stato, sez. V, 18.02.2019, n. 1111).
D’altro canto, i brevi termini assegnati dall’art. 19, co. 3 e 6-bis, per
l’esercizio dei poteri inibitori non sono compatibili con l’instaurazione
preventiva del contraddittorio procedimentale, che nel disegno del
legislatore si svolge, semmai, nella fase successiva all’adozione del
divieto di prosecuzione dell’attività e può eventualmente condurre alla
conformazione dell’attività intrapresa.
Il contraddittorio successivo, in altre parole, è coerente con la natura
stessa del controllo sulla S.C.I.A., che interviene dopo l’avvio
dell’attività secondo un modello di liberalizzazione “temperata”; e proprio
questo spiega l’operato del Comune resistente, che dopo la prima inibitoria
(ordinanza n. 171/2019) ha sollecitato la ricorrente a contraddire per poi rideterminarsi
e confermare motivatamente l’arresto dei lavori (ordinanza n. 253/2019)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 24.03.2020 n. 360 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull’istituto
della SCIA edilizia (che rappresenta un’evoluzione della precedente DIA) si
è recentemente pronunciata la Corte costituzionale, evidenziando che “Il
dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel
senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché
la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una –sia pur
importante– parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una
dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità
indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area
amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente
escludere”.
In questo contesto, secondo la Corte <<Le verifiche cui è chiamata
l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già
puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o
trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro
i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi
questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida
definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e
quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse
legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi,
venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche
l’interesse si estingue>>.
Sulla diffida con la quale si chiede al Comune di intervenire in senso
"repressivo" (cfr. art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990), il termine di
trenta giorni per la sollecitazione del potere inibitorio “… come da ultimo
indicato dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 45 del
13.03.2019, rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela del
"terzo" … e di certezza dell'azione amministrativa e dell'attività edilizia
privata legittimata da una SCIA …”.
Sulle orme della sentenza della Corte costituzionale, è stato rilevato che
il Comune può esercitare i poteri inibitori solo entro il limite temporale
fissato dalla legge, ossia i primi trenta giorni dalla presentazione della
SCIA, seguiti dagli ulteriori diciotto mesi di cui all’art. 21-nonies della
L. 241/1990.
Quest’ultima disposizione disciplina l'annullamento in autotutela degli atti
illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore
rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli
interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera
giuridica dei privati, il potere debba essere appunto esercitato entro il
termine massimo di diciotto mesi.
Nel caso sottoposto al suo esame, il TAR Toscana ha osservato che “nel caso
all'esame tutti i termini appena ricordati risultano ampiamente decorsi di
talché non era possibile configurare un obbligo del Comune di procedere
all'annullamento della SCIA ai soli fini del ripristino della legalità né,
stante la perdurante efficacia del titolo, l'amministrazione avrebbe potuto
determinarsi nel senso di adottare provvedimenti repressivi e
ripristinatori”.
---------------
Non sfugge al Collegio che le norme vigenti all’epoca della diffida e
dell’atto impugnato (cfr. artt. 19 e 21-nonies della L. 241/1990) non
coincidevano esattamente con quelle esaminate dalla Corte costituzionale e
purtuttavia contemplavano ugualmente il rinvio ai poteri di autotutela:
anche considerando la mancata codificazione di un termine massimo per il
loro esercizio le conclusioni non mutano.
Premesso che il Comune ha comunque deciso di occuparsi della fattispecie
sottoposta (rigettando l’istanza dopo aver riesaminato la vicenda),
relativamente alla valutazione delle ragionevolezza del termine entro cui il
potere di autotutela può essere esercitato nonché della correttezza del
bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e affidamento del privato,
l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione è attenuato in ragione
della “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto
che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il
richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni
di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono
integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano
nel senso dell'esercizio dello ius poenitendi”.
L’Adunanza plenaria ha altresì enunciato ulteriori principi sulla questione,
ritenendo che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il
potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il
termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della
scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti
a fondamento dell’atto di ritiro” e che “la non veritiera prospettazione da
parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento
dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a
lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui
l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto
attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di
parte”.
---------------
Il ricorrente censura il provvedimento con il quale il Comune di Brembate si
è pronunciato negativamente sull’istanza tesa a sollecitare la repressione
di un abuso edilizio asseritamente commesso dal controinteressato.
0. Il Collegio può soprassedere dalle questioni in rito sollevate
dall’amministrazione resistente (tardività del gravame, violazione del
principio del ne bis in idem, scorretta evocazione in giudizio del
dirigente comunale), in quanto il gravame è infondato nel merito.
1. Nella memoria conclusionale parte ricorrente insiste nel lamentare la
violazione dell’art. 30 delle NTA per l’avvenuta edificazione di un sopralzo
con due piani (entrambi abitati). Si sarebbe posta in essere una variazione
essenziale della costruzione prevista dalla precedente concessione, sulla
scorta di una denunzia di inizio attività (DIA) che non avrebbe potuto
essere presentata e che deve ritenersi tamquam non esset: si
tratterebbe di un intervento edilizio abusivo sfornito di titolo, e quindi
di un illecito permanente a fronte del quale il dovere repressivo non si
estingue per decorso del termine.
Detta ordine di idee non merita di essere condiviso.
2. Sull’istituto della SCIA edilizia (che rappresenta un’evoluzione della
precedente DIA) si è recentemente pronunciata la Corte costituzionale,
evidenziando che “Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la
scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività
oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede
costituisce una –sia pur importante– parentesi puntualmente delimitata nei
modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di
più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero
dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha
inteso inequivocabilmente escludere”.
In questo contesto, secondo la Corte <<Le verifiche cui è chiamata
l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già
puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o
trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro
i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi
questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida
definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e
quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse
legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi,
venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche
l’interesse si estingue>>.
3. Sulla diffida con la quale si chiede al Comune di intervenire in senso "repressivo"
(cfr. art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990), il termine di trenta giorni
per la sollecitazione del potere inibitorio “… come da ultimo indicato
dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 45 del 13.03.2019,
rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela del "terzo" … e
di certezza dell'azione amministrativa e dell'attività edilizia privata
legittimata da una SCIA …” (TAR Campania Napoli, sez. II – 25/07/2019 n.
4075).
4. Sulle orme della sentenza della Corte costituzionale, è stato rilevato
che il Comune può esercitare i poteri inibitori solo entro il limite
temporale fissato dalla legge, ossia i primi trenta giorni dalla
presentazione della SCIA, seguiti dagli ulteriori diciotto mesi di cui
all’art. 21-nonies della L. 241/1990.
Quest’ultima disposizione disciplina l'annullamento in autotutela degli atti
illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore
rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli
interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera
giuridica dei privati, il potere debba essere appunto esercitato entro il
termine massimo di diciotto mesi.
Nel caso sottoposto al suo esame, il TAR Toscana, sez. III – 14/08/2019 n.
1174 ha osservato che “nel caso all'esame tutti i termini appena
ricordati risultano ampiamente decorsi di talché non era possibile
configurare un obbligo del Comune di procedere all'annullamento della SCIA
ai soli fini del ripristino della legalità né, stante la perdurante
efficacia del titolo, l'amministrazione avrebbe potuto determinarsi nel
senso di adottare provvedimenti repressivi e ripristinatori”.
5. Tornando alla fattispecie che ci occupa, tra la DIA depositata il
16/01/2006 e l’atto di diffida 06/11/2012 sono trascorsi quasi 7 anni,
cosicché non sussisteva in capo al Comune alcun obbligo di provvedere e
nemmeno spazio per l’autotutela (decorrenza dei 18 mesi) ai sensi della
pronuncia della Corte costituzionale n. 45/2019.
6. Non sfugge al Collegio che le norme vigenti all’epoca della diffida e
dell’atto impugnato (cfr. artt. 19 e 21-nonies della L. 241/1990) non
coincidevano esattamente con quelle esaminate dalla Corte costituzionale e
purtuttavia contemplavano ugualmente il rinvio ai poteri di autotutela:
anche considerando la mancata codificazione di un termine massimo per il
loro esercizio le conclusioni non mutano.
6.1 Premesso che il Comune di Brembate ha comunque deciso di occuparsi della
fattispecie sottoposta (rigettando l’istanza dopo aver riesaminato la
vicenda), relativamente alla valutazione delle ragionevolezza del termine
entro cui il potere di autotutela può essere esercitato nonché della
correttezza del bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e
affidamento del privato, l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione
è attenuato in ragione della “rilevanza e autoevidenza degli interessi
pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà
essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in
fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto
violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di
interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio dello ius
poenitendi” (così Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 8/2017,
richiamata da Consiglio di Stato, sez. IV – 25/10/2019 n. 7297; TAR Campania
Salerno, sez. II – 28/03/2019 n. 485).
L’Adunanza plenaria ha altresì enunciato ulteriori principi sulla questione,
ritenendo che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il
potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il
termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della
scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti
a fondamento dell’atto di ritiro” e che “la non veritiera
prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto
poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di
configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la
conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione
potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non
veritiera prospettazione di parte”.
6.2 Il Comune ha affrontato il caso e ha optato per il rigetto della
sollecitazione ricevuta, sottolineando la mancanza di modifiche di
volumetria e sagoma, riflessioni che appaiono avallate dalla CTU esperita in
sede civile, ove si dà conto di un sopralzo modesto realizzato nel rispetto
della distanza tra edifici e anche del distacco dal confine (poiché la
porzione sopraelevata è in linea con il fabbricato preesistente).
6.3 Non è dunque meritevole di apprezzamento la ricostruzione della DIA come
titolo giuridicamente inesistente. Permesso che l’istituto consente al
privato di avviare l’esercizio di un'attività che dipende esclusivamente
dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge (o da
atti amministrativi a contenuto generale), alla luce delle verifiche
condotte dal CTU (cfr. pag. 17 della sua relazione) non siamo in presenza di
dichiarazioni mendaci o false attestazioni, circostanza nella quale
l’attività di autotutela non soggiace a limiti temporali.
Nello specifico, la DIA 16/01/2006 contemplava la formazione di uno
stenditoio, di un locale di sgombero e di un servizio igienico con
disimpegno, e tali vani sono sostanzialmente corrispondenti a quelli
riscontrati dal consulente nel suo sopralluogo del 9/10/2007.
6.4 L’omessa attivazione dei poteri di vigilanza e repressivi di settore (cfr.
in materia edilizia artt. 27 e seguenti del DPR 380/2001, espressamente
richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis, della L. 241/1990) risulta
adeguatamente giustificata, senza sottacere che l’amministrazione è venuta a
conoscenza della situazione di fatto –correttamente rappresentata– in virtù
della DIA del gennaio 2006, e si è pronunciata sull’istanza di autotutela
dopo quasi 7 anni.
7. In conclusione, l’introdotto gravame deve essere rigettato
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.03.2020 n. 197 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Per
espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241
del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011) la SCIA non costituisce provvedimento
tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte
che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una
già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del
caso, ad essa si aggiunge integrandola.
---------------
6. Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del
ricorso.
Il Comune, come detto, ritiene che la presentazione della SCIA 404/2017 (con
l’indicazione dell'avvenuto rilascio, nelle more, dell'autorizzazione
paesaggistica) renda privo di interesse il gravame avverso la declaratoria
di improcedibilità (rectius, annullamento) della SCIA 733/2016 in quanto
quest’ultima sarebbe stata sostituita da una nuova SCIA, a sua volta
dichiarata inefficace con la disposizione PG/2017/374419.
L’assunto del Comune parte dall’errato presupposto di considerare la SCIA
alla stregua di un provvedimento amministrativo (sia pure tacito) la cui
sostituzione con altro provvedimento determina la perdita di interesse
all’annullamento, spostandosi detto interesse sul provvedimento successivo
(fatta eccezione per i casi di atti meramente confermativi).
Invece, per espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241
del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15 del 2011) la SCIA non costituisce provvedimento
tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte
che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una
già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del
caso, ad essa si aggiunge integrandola.
Quand’anche il contenuto sia identico, sia pure con variazioni (nel caso
concreto, nella SCIA 404/2017, nella sezione B9.9 è aggiunta la specifica
che l’area in questione è assoggettata alla l. 1497/1939 / d.lgs. 42/2004), si
è in presenza di due atti privati, di cui uno dichiarato improcedibile dal
Comune, l’altro anche ma con provvedimento successivo, che la parte ha
conosciuto solo in seguito al deposito in giudizio da parte del Comune di
Napoli (all. 11 prod. Comune del 17.07.2018) e per il quale, alla data
della presente decisione (10.10.2018) sono ancora pendenti i termini
per l’impugnazione considerata la sospensione feriale.
La scelta di impugnare il successivo provvedimento di improcedibilità spetta
alla parte, come pure spetta a quest’ultima la decisione in ordine ai
contenuti del ricorso, presumibilmente diversi stante il diverso tenore dei
provvedimenti emessi dal Comune.
In questa sede, pertanto, la perdita di interesse al gravame non può
conseguire alla esistenza di due o più diverse Segnalazioni certificate sul
medesimo immobile, perché ciò implicherebbe l’indebita sostituzione della
volontà del giudice rispetto alla scelta, manifesta, del privato di non
sostituire una Scia con un’altra (nel caso, la SCIA 733/2016, con la SCIA
404/2017) e questo soprattutto in ragione –come rilevato dai ricorrenti
nella memoria di replica del 19.09.2018– della circostanza che la
seconda SCIA è stata anch’essa dichiarata inefficace, per cui l’eventuale
accoglimento del gravame presentato per l’annullamento della declaratoria di
inefficacia della prima SCIA (733/2016) ha l’evidente effetto di salvare
l’attività svolta sino a quel momento, attività che invece diventerebbe
automaticamente sine titulo per effetto dell’unione combinata di una
decisione di improcedibilità del presente giudizio (sulla SCIA 733/2016) con
la declaratoria di inefficacia della SCIA 404/2017
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 07.03.2019 n. 1334 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il potere di
intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la
scadenza del termine perentorio per la verifica della
legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica,
potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti
individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per
l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi
illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di
interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità violata, che depongono per la
loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei
destinatari e degli eventuali controinteressati.
---------------
5.2. Per quanto riguarda poi la rilevanza delle
carenze in questione ai fini dell’esercizio del potere di
annullamento della SCIA edilizia e della conseguente
declaratoria di irricevibilità della segnalazione
certificata di agibilità, si osserva che, fermo l’obbligo
della ricorrente di conformare l’area a parcheggio agli
standard di legge, l’amministrazione comunale non ha operato
la necessaria comparazione tra il pubblico interesse al
ripristino della legalità ed il sacrificio imposto al
privato, specie a fronte dei gravi effetti indiretti
sull’esercizio dell’attività commerciale: “Il potere di
intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la
scadenza del termine perentorio per la verifica della
legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica,
potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti
individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per
l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi
illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di
interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità violata, che depongono per la
loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei
destinatari e degli eventuali controinteressati” (TAR
Napoli, Sez. VII, 23.04.2018 n. 2664) (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 18.12.2018 n. 2141 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'esecuzione in assenza o in difformità degli
interventi subordinati a SCIA comporta l'applicazione della
sanzione penale prevista dall'art. 44, lett. a), d.P.R.
380/2001 se gli stessi non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore,
mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o
difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata
disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa
prevista dall'art. 37 d.P.R. 380/2001.
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22
d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono
realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli
interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e
che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la
disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione
amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in
difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la
loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi
per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta
l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44,
lett. a), in quanto tale disposizione sanziona
"l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità
esecutive previste dal presente titolo, in quanto
applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti
urbanistici e dal permesso di costruire".
---------------
Anche l'infondatezza del secondo motivo di entrambi i
ricorsi è di macroscopica evidenza.
Come affermano i ricorrenti, la giurisprudenza di questa
Corte, ha chiarito che l'esecuzione in assenza o in
difformità degli interventi subordinati a SCIA comporta
l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44,
lett. a), d.P.R. 380/2001 se gli stessi non sono conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore,
mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o
difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata disciplina, è
applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37
d.P.R. 380/2001 (Sez. 3, n. 952 del 07/10/2014 (dep. 2015),
Parisi, Rv. 261783; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo,
Rv. 243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv.
235413).
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22
d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono
realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli
interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi
alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e
che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la
disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione
amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in
difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle
previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la
loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi
per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta
l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44,
lett. a), in quanto tale disposizione sanziona "l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal
presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai
regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal
permesso di costruire".
Il principio richiamato è pienamente condiviso dal Collegio,
che intende ribadirlo, ma, nel fare ciò, deve però rilevarsi
che nella sentenza impugnata risulta accertato in fatto che
le opere erano state realizzate "...in parte in assenza
di titolo ed in parte in difformità dalla DIA n. 322/2010,
nonché in violazione degli strumenti urbanistici ed edilizi
vigenti al momento del fatto presso il Comune di Colle Val
D'Elsa".
A fronte di tale affermazioni, entrambi i ricorsi si
limitano alla apodittica affermazione della conformità delle
opere espressamente smentita dal giudice del merito, con le
conclusioni del quale neppure si confrontano (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 07.11.2018 n. 50144). |
EDILIZIA PRIVATA:
In presenza di una
s.c.i.a. ai sensi dell’art.
19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
Sull'interpretazione dell’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo.
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima.
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta.
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo, finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento, allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
---------------
Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare,
con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
Sicché, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di
provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza
volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela
della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò
in quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi
argomentativa- fosse configurabile l’esercizio del potere di
autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita
l’esercizio, non sussiste –come si è detto- obbligo di
provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie,
alcun titolo od interesse del privato a che
l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di
fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
---------------
Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e
verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare, che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria”.
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico
che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto.
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tanto meno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento.
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
---------------
Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito. Il che comporta che l’attività
edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un
piano dove non è previsto l’esercizio di poteri
amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla
Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza
delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un
titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
Nel caso di specie la verifica richiesta all’amministrazione
(e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un
provvedimento di sospensione degli effetti della Scia),
concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la
sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
---------------
2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto,
con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni di seguito esposte.
2.1. Al fine di meglio chiarire il thema decidendum appare
opportuno precisare, in punto di fatto, che il presente
giudizio trae origine dalla diffida presentata da Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. al Comune di Nocera
Superiore in data 23.02.2016, con la quale gli stessi
diffidavano il Funzionario responsabile dell’area
urbanistica del suddetto Comune “all’assunzione
dell’immediato provvedimento di sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato, in uno alla revoca
dell’attestato prot. n. 29491 del 03.12.2015, essendo
stato reso su inesistenti presupposti”.
I signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id.
fondavano la propria diffida (in particolare alla emanazione
di provvedimento di sospensione) su due argomentazioni:
- la prima, consistente nell’affermare che “l’amministrazione
comunale avrebbe dovuto subordinare il rilascio dell’assenso
edilizio a specifica autorizzazione di assenso dei
comproprietari”;
- la seconda, consistente nel rilievo che “la richiesta di assenso
edilizio non è stata corredata dalla indicazione delle
autorizzazioni ottenute e contemplate dalla normativa di
settore, così come previsto dal DPR 542/1994; in particolare
non sono stati esplicitati appropriatamente natura e
caratteristiche dell’impianto di RM da attivare e dunque
della tipologia di assenso preventivo di cui si doveva già
essere in possesso per la localizzazione dell’impattante
impianto di sfiato”.
Per maggior chiarezza, giova precisare:
- che l’attività edilizia contestata con la diffida era oggetto non
già di un provvedimento amministrativo implicito (o per silentium), bensì di una Scia del 19.12.2014 n. 27051,
integrata con comunicazione 29.09.2015 n. 22728 e con
trasmissione di documentazione integrativa in data 19.10.2015 n. 24599;
- che l’attestato oggetto della richiesta di revoca certificava la
presentazione della Scia e delle integrazioni alla medesima
innanzi indicate, nonché l’assenza di provvedimenti
sospensivi dell’efficacia della Scia dalla sua presentazione
e fino alla data di emissione dell’attestato.
Stante il silenzio serbato dall’amministrazione sulla
diffida 23.02.2016, i signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. (firmatari della diffida), nonché Pa.Fe. e Ba.Ro., proponevano ricorso
giurisdizionale per la declaratoria di illegittimità del
silenzio, deciso poi dalla sentenza impugnata nella presente
sede.
Oggetto, dunque, del presente giudizio, per il tramite della
sentenza impugnata, è il silenzio serbato
dall’amministrazione su quanto richiesto con diffida del 23.02.2016, vale a dire l’adozione di un provvedimento di
sospensione “del titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
e la revoca dell’attestato 03.12.2015.
2.2. Tanto precisato, occorre ricordare che l’ambito del
giudizio avverso il silenzio è definito:
- sul piano soggettivo, con riferimento ai soggetti che
hanno presentato l’istanza rimasta insoddisfatta a causa del
silenzio dell’amministrazione, e dunque titolari della
legittimazione ad agire;
- sul pano oggettivo, dal provvedimento richiesto con
l’istanza ed in ordine al quale l’amministrazione non ha
esercitato il relativo potere, nemmeno in senso negativo.
Quanto al piano soggettivo, è appena il caso di osservare (poiché
il punto non è stato trattato nella sentenza impugnata né ha
formato motivo di appello) che, a fronte di tre soggetti
presentatori della diffida, il ricorso instaurativo del
giudizio di I grado ed il presente appello risultano
proposti da cinque soggetti, per due dei quali sarebbe
discutibile la sussistenza della legittimazione ad agire.
Quanto al piano oggettivo è da rilevare che il provvedimento
di sospensione –in ordine alla mancata adozione del quale è
attivato il presente giudizio- deve essere inteso (in
applicazione di un favor interpretativo per i ricorrenti)
come riferito alla Scia, non sussistendo, nel caso di
specie, alcun “titolo abilitativo per silenzio rilasciato”
(e, dunque, prescindendosi dal rilevare che ben avrebbe
potuto il Comune ritenere la diffida presentata tamquam non
esset, per mancanza di oggetto).
In definitiva, l’eventuale silenzio inadempimento
dell’amministrazione deve essere verificato solo con
riguardo ai due tipi di atto sollecitati con l’istanza e con
riferimento ai presupposti indicati per l’adozione degli
atti medesimi.
Ne consegue che ogni ulteriore valutazione esplicitata in
giudizio –sia per il tramite del ricorso instaurativo del
giudizio sia per il tramite dell’appello– è da considerarsi
del tutto estranea al thema decidendum.
Tanto precisato, può prescindersi dall’eccezione di
inammissibilità proposta dal Comune di Nocera Inferiore,
attesa altresì la infondatezza dell’appello.
3. Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli
attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di
Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n.
241, il quale, nel precisare che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma
altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art.
31, commi 1 e 2” del Cpa.
3.1. Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i
termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e
negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse
può chiedere l’accertamento dell’obbligo
dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto
modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto,
che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non
potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla
tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo
aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice
amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 22.06.2018 n.
3858); sez. V, 08.05.2018 n. 2751 e 06.02.2017, n.
513).
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al
soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque,
essere verificata in relazione alla titolarità di una
posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da
avergli consentito l’attivazione di un procedimento
amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante
l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non
essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art.
20 l. n. 241/1990).
3.2. Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter,
l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre
una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento
riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda
la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità
di una posizione giuridica che legittimi l’istante a
chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni
che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al
pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà
di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo
“sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice
ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto
deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico
(violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la
(eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del
diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione
di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione
di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto
di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi,
ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di
diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio
serbato dall’amministrazione presuppone, come
tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza
amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere
violato o eluso dall’amministrazione medesima (Cons. Stato,
sez. V, 11.06.2018 n. 3598; sez. IV, 07.06.2017 n.
2751; sez. VI, 27.12.2017 n. 4525).
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul
silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di
verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit.,
l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli
aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei
limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di
norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia
edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di
posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente
affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai
presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del
silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi
violato le volte in cui l’istanza proposta sia
manifestamente infondata o costituisca defatigatoria
riproposizione di precedente istanza già in precedenza
respinta (Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751).
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta
dalla verifica dell’interesse dell’istante e,
successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al
medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica
di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo
strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la
Scia innanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV,
06.10.2017 n. 4659), finirebbe con il risolversi in una
“denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi
edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di
provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito
alla generica istanza di attivazione dei propri
discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in
questi casi il conseguente silenzio inadempimento (Cons.
Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751), allo stesso modo non
può sussistere un obbligo di verifica “generale”
dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte
dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co.
6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che,
collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni
soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero
denunciante.
3.3. Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di
verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti
dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di
realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza
prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta
norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o
in corso di realizzazione in base a Scia violi norme
regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la
fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si
ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla
tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei
limiti previsti dall’ordinamento.
4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare
evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere
dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a
sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della
medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in
quanto:
- per un verso, non è configurabile il potere di autotutela
decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto
di precedente esercizio di potere certificativo
(presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio
di un potere costitutivo dell’amministrazione);
- per altro verso, ove anche –per mera ipotesi argomentativa-
fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in
ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non
sussiste –come si è detto- obbligo di provvedere;
- per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun
titolo od interesse del privato a che l’amministrazione
intervenga in rettifica di attestazione di fatti
obiettivamente verificatisi e riscontrati.
Né è dato comprendere, contrariamente a quanto sostenuto
dagli appellanti, come l’attestato del quale si è richiesta
la revoca e/o l’annullamento possa “compenetrare” l’assenso
ricevuto, non presupponendo la disciplina della Scia alcun
“assenso” (espresso o implicito) dell’amministrazione, né
potendo tale assenso minimamente configurarsi con
riferimento ad una mera asseverazione di scienza su fatti
effettivamente verificatisi.
Da quanto esposto consegue il rigetto del relativo motivo di
appello (sub lett. a2) dell’esposizione in fatto).
5. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di
appello.
5.1. Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali
l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei
diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del
privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri
della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle
norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di
intervento) tra verifica della sussistenza della
legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica
del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente
al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende
realizzare sullo stesso.
5.2. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato,
sez. VI, 22.09.2014 n. 4776; sez. IV, 25.09.2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere
rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a
chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto
dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima
espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima
disponibilità dell’area, in base ad una relazione
qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche
solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso
del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di
rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la
legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il
proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento
costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di
disponibilità sufficiente per eseguire l'attività
edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in
senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito
al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in
generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di
un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che
fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto
e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo
destinatario di un provvedimento amministrativo
autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione
debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di
ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso
propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso
di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione
all’amministrazione di un potere di accertamento della
sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto”
non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza
amministrativa ha affermato che, in sede di esame
dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio,
l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare
esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al
titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23.05.2016 n.
2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire
non incide sulla titolarità della proprietà o di altri
diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto
del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o
l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da
quelli oggetto d'intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27.04.2017 n. 1942).
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare
sulla cosa comune si è affermato:
“ogni questione in ordine agli eventuali limiti
dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario
(ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex
art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni
dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato
non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso
che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione
dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una
volumetria su di esso insistente, sia attraverso la
realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo
decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che
incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine
all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali
aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata
dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare
l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia
della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere
illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
5.4. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che
deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi
eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente
compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di
efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia
edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento
amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di
una situazione qualificata di giuridica relazione con il
bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di
trasformazione del territorio che è compatibile con
l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo
ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della
istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto
richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del
potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale
provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui
distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo
stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce
illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le
stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può
costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera
di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve
rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri
del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla
“piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto
esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di
terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità”
del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da
questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono
tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto
amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio,
quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti
interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o
comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una
violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può
rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
5.5. Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento
autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a
(eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior
ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia
che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha
tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento
amministrativo, anche tacito.
Il che comporta che l’attività edilizia che il privato
intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto
l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior
ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni
verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano
ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione
dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni
questione relativa alla titolarità del bene oggetto di
intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non
essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun
coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di
verifica dei presupposti ad essere destinatario di un
provvedimento amministrativo) della Pubblica
Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il
tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n.
241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la
verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende
realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia
applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione
di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di
una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi
possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11
DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude
che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento
amministrativo.
6.1. Nel caso di specie, come si è già detto, la verifica
richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da
parte della medesima di un provvedimento di sospensione
degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la
necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei
comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può
essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior
ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla
base di una Scia:
- sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra
comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e
coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti
l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
- sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere
destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001
è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa
della Pubblica Amministrazione.
E’ in questo senso che deve essere intesa la sentenza
impugnata, laddove essa afferma l’inammisibilità del ricorso
“per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela da parte dell’Ente, in materia sottratta alla
sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
6.2. Altrettanto priva di rilevanza, ai fini edilizi, è la
richiesta di verifica della sussistenza delle autorizzazioni
previste dal DPR n. 542/1994 per gli impianti RM (risonanza
magnetica).
Le autorizzazioni previste dal DPR 08.08.1994 n. 542
(Regolamento recante norme per la semplificazione del
procedimento di autorizzazione all’uso diagnostico di
apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul
territorio nazionale), relative alla “collocazione” delle
stesse (v. in particolare, art. 4), attengono ad aspetti di
programmazione della assistenza sanitaria ovvero alle
caratteristiche dell’apparecchio, aspetti che non
interferiscono con le diverse valutazioni proprie
dell’amministrazioni sotto il profilo urbanistico-edilizio.
6.3. In definitiva, in presenza di una istanza presentata ai
sensi dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su
presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia,
l’amministrazione non aveva alcun obbligo di provvedere e,
conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è
qualificabile come illegittimo inadempimento.
7. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve
essere rigettato, stante la sua infondatezza, con
conseguente conferma della sentenza impugnata, con le
precisazioni ed integrazioni di motivazione innanzi
rappresentate (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.08.2018 n. 5115 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici.
---------------
10. Il Comune, con il primo e secondo motivo di gravame, ha
eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di
primo grado avverso la nota del 14.02.2007 e la seconda DIA,
in collegamento con l’implicito provvedimento di assenso del
Comune.
Sostiene la titolarità in capo al terzo che si assume leso
solo di un’azione di accertamento, non potendosi configurare
la DIA come un provvedimento amministrativo a formazione
tacita, ma come mero atto privato. Argomenta, inoltre, in
ordine alla tardività dell’impugnazione proposta, atteso che
il mutamento di destinazione d’uso era stato oggetto della
prima DIA, conosciuta e non impugnata, e che la seconda DIA
costituiva solo una variante non essenziale della prima.
10.1. Ritiene il Collegio che, in ossequio al criterio della
ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del
2015), possa prescindersi dall’esame di tali eccezioni
essendo il ricorso impugnatorio di primo grado infondato nel
merito.
In limine è appena il caso di rilevare –come ribadito
di recente dalla Sezione (cfr. sentenze nn. 2120 e 1967 del
2017)– che, in materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2017 n. 3281 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato.
---------------
Il
nostro ordinamento vede con
particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da
dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non
possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
---------------
In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19
della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge
per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione
(60 giorni dal ricevimento della dichiarazione),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti
per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza
passata in giudicato.
---------------
Laddove una concessione edilizia sia
stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello
stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al
Comune è consentito di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio).
---------------
Secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel
verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso
edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non
deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all’assetto proprietario, ma deve
accertare soltanto il requisito della legittimazione
soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio.
---------------
Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un
appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle
Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al
foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con
l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta
identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub.
5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei
controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura
in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta
non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di
costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in
sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con
gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo
TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo
edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio
identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio
16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del
04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo
aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento
identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della
dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di
Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore
l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo
abilitativo in relazione ad un edificio di cui il
richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig.
Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso
di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del
Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli
immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale
consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto,
per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati
esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il
divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della
disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al
dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era
indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas
conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe
in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere
sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016,
con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata,
sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di
adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in
autotutela del permesso di costruire, rilasciato al
controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta
inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia
dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31,
comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza
della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34,
comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad
adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia
acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto
formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di
perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario
ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il
ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso
dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che
quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle
disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al
contenuto della dichiarazione del 2011 invocata
dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per
poter compiere l’intervento, dando conto della
legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario
dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il
sopralzo, essendosi privato di una sola porzione
dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10
(autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio,
avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario
dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a
prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse
violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare
negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la
proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il
proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe
palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini
del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto
sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non
sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere
espressamente, trattandosi di richiesta avente natura
meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie
non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al
Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di
permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando
falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha
ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe
conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e
rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile,
senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente,
né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali
calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore
l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V –
15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n.
404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni
mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la
giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio
di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art.
19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di
legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di
conformazione (60 giorni dal ricevimento della
dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque
i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies
(riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n.
2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con
sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta
in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo
dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è
consentito di esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
(cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez.
III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n.
411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV
– 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune,
nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un
permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della
legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR
Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha
trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o
comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di
fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa
all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con
conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in
particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit
istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare
la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili
per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse,
sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi
tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale,
non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo
dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita
ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità
amministrativa e riguardanti:
a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque
il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto
dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato
conto;
b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della
pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e
sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto
per l’accoglimento della domanda formulata in via
subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del
Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere
sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
• entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di
verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione
di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
• entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività
istruttoria;
• entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con
trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a
questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si
nomina sin da ora quale Commissario ad acta il
dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area
Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con
facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la
scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi
tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non
oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo
TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario,
questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad
assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia
alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la
valutazione degli eventuali e concorrenti profili di
responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita
accoglimento nei limiti sopra esposti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in
sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento”.
---------------
Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
---------------
8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i
provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame
assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che
governano l’esercizio del potere di autotutela ed il
connesso principio dell’affidamento del privato, non appare
meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di
conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti,
dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai
contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L.
241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al
Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori,
prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni
relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle
leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune
in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons.
Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del
12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente
(TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141
del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017)
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da
ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR
Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il
rigetto delle censure articolate avverso la successiva
ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto
deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente
vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione
dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito
rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata
essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento
del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo
rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente
argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è
causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo
alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va
rigettato
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Alla Corte costituzionale la mancata previsione, nell’art.
19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, di un termine per la
sollecitazione, da parte del terzo, delle verifiche sulla
Scia.
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Scia – Verifica – Richieste dal terzo – Art. 19, comma
6-ter, l. n. 241 del 1990 – Mancata previsione di un termine
– Violazione artt. 3, 11, 97, 117, comma 1 Cost.
E' rilevante e non manifestamente
infondata -per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117,
comma 1 Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo
addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del
Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost.- la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l.
07.08.1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un
termine per la sollecitazione, da parte del terzo, delle
verifiche sulla Scia (1).
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(1)
Il Tar ha sollevato la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n.
241 nella parte in cui, disponendo che la tutela del terzo a
fronte della Scia da altri presentata sia realizzabile
esclusivamente attraverso lo strumento del silenzio-rifiuto
di cui all’art. 31 c.p.a. rispetto alla mancata risposta
dell’Amministrazione alla sollecitazione delle verifiche
amministrative avanzata dal terzo medesimo, omette tuttavia
di fissare il termine entro il quale il terzo può avanzare
l’istanza di sollecitazione. In assenza della fissazione ad
opera della norma del termine suddetto, e ritenendo il
Collegio che siano prive di convincente base normativa le
soluzioni che mirano ad individuare in via interpretativa il
termine medesimo, la norma censurata finisce per ammettere
una sollecitazione del potere di verifica della Scia da
parte del terzo sine die.
In tal modo essa si espone però a consistenti dubbi di
legittimità costituzionale per violazione dell’affidamento
del segnalante, che a distanza anche di anni può veder messa
in discussione la legittimità della intrapresa attività, per
violazione del buon andamento della p.a., che è costretta a
riaprite a distanza di tempo il procedimento di verifica
suddetto, nonché per violazione del principio di
ragionevolezza e tutela dei livelli essenziali delle
prestazioni, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost..
Ed invero, ha chiarito il Tar, “la mancata previsione di
tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione
somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di
semplificazione delle procedure abilitative per lo
svolgimento di attività (come quella edilizia) non
liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione
dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato
(assentimento dell’iniziativa privata) con un iter
amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale
disciplina della Scia risulta contraddittoria con tali
finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una
riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento
di verifica dei presupposti della segnalazione può essere
avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti
controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non
conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli
interessi contrapposti nella vicenda amministrativa,
residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di
rimettere in discussione la legittimità originaria
dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una
domanda di intervento da parte di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei
livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere
sollecitatorio di cui all’art. 19 comma 6-ter rischia di
pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che
caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso.
Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura
della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
(la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di
dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte
cost. n. 297 del 2012 cit.), apre la strada a discipline
territoriali eterogenee del suddetto termine, con
conseguente disomogeneità degli standards di tutela a
livello nazionale” (TAR Toscana, Sez. III,
ordinanza 11.05.2017 n. 667 - commento tratto da
e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
...per l'accertamento:
- (in tesi): della inefficacia della SCIA presentata dal
sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012;
- (in ipotesi): della illegittimità dell’intervento edilizio
di cui alla suddetta SCIA quanto alla prevista apertura di
finestra;
- (in ulteriore ipotesi): dell’obbligo del Comune di Campi
Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016,
nonché sulle precedenti istanze indicate in atti.
...
1 - Con ricorso notificato in data 23.10.2016 e depositato
il successivo 02.11.2016, la sig.ra Pa.Mu. è
insorta avverso il silenzio serbato dal Comune di Campi
Bisenzio sull’istanza di inibitoria da essa presentata in
data 14.09.2016 avverso la SCIA del 06.12.2012, con
cui il sig. Em.Ca. ha comunicato al suddetto ente
l’intenzione di procedere a lavori di manutenzione
straordinaria (tra cui l’apertura di una finestra)
sull’immobile in cui è compresa (anche) l’abitazione della
ricorrente.
1.1 - Più in particolare la SCIA edilizia per cui è causa ha
ad oggetto la realizzazione di alcune “opere interne ed
esterne di manutenzione straordinaria” in un fabbricato terratetto, facente parte di un più ampio complesso
immobiliare, poi divenuto condominio, sito in Campi
Bisenzio, alla Via ..., n. 79.
In particolare, gli
interventi progettati dal segnalante consistono:
nell’apertura di una finestra a servizio di camera da letto
posta al piano primo dell’edificio; nella demolizione di un
tramezzo interno del sottoscala; nella diversa conformazione
dei gradini di accesso all’abitazione; ed, infine, nella
copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste
dimensioni.
Di queste opere, è stata portata a compimento
soltanto la finestra, posto che, a seguito dell’istanza
rivolta dall’assemblea del condominio di Via degli Allori al
Comune di Campi Bisenzio, e diretta a conseguire la
sospensione dei predetti lavori per asserito contrasto dei
medesimi con l’art. 3 del regolamento condominiale, l’Ente,
con ordinanza n. 4 del 14.01.2013, ne ha disposto
l’immediata sospensione.
1.2 - In data 12.11.2015 la sig.ra Mu. ha
inviato all’amministrazione una richiesta di “parere sulla
legittimità degli atti e delle procedure promosse con la
SCIA” della quale si discute, cui -in assenza di risposta
da parte del Comune- è seguito un primo sollecito del 16.12.2015, poi reiterato il 12.04.2016.
Tutte e tre
le richieste sono rimaste inevase, cosicché la Sig.ra Pa.Mu., con nota del 23.06.2016, ha dapprima
invitato l’amministrazione ad accertare l’inefficacia della
SCIA presentata dal Sig. Em.Ca. e ad adottare
tutti i conseguenti provvedimenti sanzionatori diretti alla
rimessa in pristino dell’edificio e poi, con ulteriore
istanza del 14.09.2016, proposta ai sensi dell’art.
19, comma 6-ter, della L. 241/1990, ha nuovamente
sollecitato l’Ente a svolgere le verifiche ad esso
spettanti.
Il silenzio serbato dall’amministrazione anche su
tale ultima istanza ha condotto alla proposizione da parte
della Sig.ra Patrizia Mu. del ricorso in esame,
proposto ai sensi dell’art. 31 c.p.a.
1.3 - Nello specifico la sig.ra Mu. rileva che la
suddetta SCIA è stata presentata dal sig. Ca. senza
previa acquisizione del nullaosta previsto dall’art. 3.2.
del regolamento edilizio comunale per gli interventi su
immobili di interesse “documentale” ai sensi del d.lgs.
490/1999 –quale sarebbe l’edificio de quo– con conseguente
inefficacia della segnalazione ai sensi dell’art. 84 l. r.
1/2005.
Essa censura, inoltre, il contrasto con l’art.
3.2.2. del suddetto regolamento, poiché quest’ultimo
stabilisce che su immobili del tipo in questione siano
eseguibili soltanto interventi ripristinatori di aperture
preesistenti, mentre il sig. Ca. ha realizzato ex novo
una finestra. In via preventiva rispetto a possibili
eccezioni, la ricorrente ha evidenziato che il gravame dalla
stessa proposto risulterebbe tempestivo, poiché l’art. 19
comma 6-ter l. n. 241/1990, non prevedendo alcun termine per
la proposizione dell’istanza di inibitoria di una SCIA da
parte del terzo controinteressato, consentirebbe a
quest’ultimo di sollecitare l’intervento repressivo
dell’Amministrazione nonché –ove questa non provveda– di
proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. senza alcun
limite di tempo (ad eccezione dell’ordinario termine di
prescrizione decennale). A fronte delle suesposte
argomentazioni, la sig.ra Mu. ha concluso affinché
l’adito Tribunale Amministrativo:
a) in tesi, accerti e dichiari «che la SCIA presentata dal
sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012 è inefficace» e per l’effetto accerti e
dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare
i provvedimenti necessari a sanzionare le opere eseguite in
assenza di titolo abilitativo»;
b) in ipotesi, accerti e dichiari «che l’intervento di cui
alla SCIA presentata dal sig. Em.Ca.…è illegittimo
quanto alla apertura della finestra» e, per l’effetto,
accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio
di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare detto
abuso mediante chiusura della finestra suddetta»;
c) in ulteriore ipotesi, dichiari «l’obbligo del Comune di
Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016, nonché sulle precedenti istanze presentate in atti».
1.4 - Si sono costituti in giudizio, per resistere al
ricorso, il Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato,
che hanno eccepito la tardività del gravame, per tardiva
sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, la
inammissibilità delle azioni di accertamento e, per quanto
concerne l’Amministrazione resistente, anche la
inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione di
parte ricorrente.
1.5 - Con ordinanza n. 141 del 2017 la Sezione ha
evidenziato che con il presente ricorso parte ricorrente ha
invero proposto una pluralità di azioni, volte sia
all’accertamento della inefficacia della SCIA presentata dal
controinteressato, sia all’accertamento della illegittimità
dell’intervento edilizio segnalato, sia, infine,
all’accertamento della sussistenza dell’obbligo
dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di
verifica presentata dalla ricorrente in relazione alla SCIA
medesima, concludendo che solo l’ultima azione fosse
trattabile con il rito camerale di cui all’art. 31 c.p.a. e
che fosse quindi necessario, ai sensi dell’art. 32 c.p.a.,
disporre la congiunta trattazione delle più domande proposte
con rito ordinario, a tal uopo fissando l’udienza pubblica a
ciò deputata.
1.6 - In esito alla svolta udienza pubblica, con sentenza
non definitiva n. 618 del 2017 il Collegio:
a) ha esaminato
e respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intero
gravame per difetto di legittimazione attiva, evidenziando
come nella specie sussistano i presupposti della c.d. vicinitas, quale peculiare fattore di legittimazione
all’azione giurisdizionale amministrativa, in forza del
quale chi si trova in un rapporto di contiguità spaziale con
un particolare luogo può contestare i provvedimenti che in
concreto autorizzino la realizzazione di opere o impianti
atti ad incidere sulla sua configurazione;
b) ha esaminato e
dichiarato inammissibili le due prime azioni di accertamento
dispiegate dalla ricorrente nell’atto introduttivo del
giudizio, stante il chiaro disposto dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 a mente del quale “gli interessati possono
sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3
del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”, con
l’effetto che l’unica azione esperibile dal terzo è l’azione
sul silenzio di cui all’art. 31 c.p.a.;
c) ha avviato lo
scrutinio dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a., proposta in
via di ulteriore ipotesi dalla sig.ra Mu., esaminando
l’eccezione di tardività della sollecitazione da parte del
terzo del potere inibitorio della p.a.; nella suddetta
sentenza non definitiva la Sezione è giunta alla conclusione
che l’art. 19 l. n. 241/1990 non indichi un termine entro il
quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a
sollecitare le verifiche amministrative relative alla SCIA
presentata e che un simile termine non sia ricavabile dal
sistema, giacché i termini di cui all’art. 29 e 31 c.p.a.,
evocati dalle parti resistenti, hanno natura affatto diversa
e non sono quindi richiamabili in via analogica per coprire
il segnalato vuoto normativo; la Sezione ha quindi
evidenziato che tutto ciò porterebbe al risultato di
ritenere infondata l’eccezione di tardività formulata dai
resistenti, per mancanza di un termine legale sul quale
parametrare la tempestività o meno della sollecitazione del
potere di verifica effettuata dalla ricorrente; tuttavia la
Sezione medesima ha infine posto in evidenza come l’evocato
art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura in cui non
prevede un termine entro il quale il terzo è legittimato ad
esercitare il potere sollecitatorio delle verifiche
amministrative previsto dalla stessa disposizione, risulti
in contrasto con le disposizioni costituzionali di cui agli
artt. 11, 117, comma 1°, 3, 97, 117, comma 2°, lett. m)
Cost., anticipando che con separata ordinanza avrebbe
provveduto a rimettere la evidenziata questione di
legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
2 – E’ necessario richiamare, preliminarmente, l’insieme
delle norme attualmente regolanti l’istituto della SCIA e
quindi ripercorrere i passaggi fondamentali dell’evoluzione
giurisprudenziale riguardante la tutela del terzo
controinteressato rispetto all’attività oggetto di
segnalazione.
3 - Com’è noto, l’art. 19 della l. n. 241/1990 consente al
privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di
un’attività che dipende «esclusivamente dall’accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti
amministrativi a contenuto generale» e per la quale «non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale» (comma 1).
Ai sensi di tale norma, l’attività oggetto di SCIA «può
essere iniziata…dalla data della presentazione della
segnalazione all’amministrazione competente» (comma 2),
salvo il potere di quest’ultima di verificare
successivamente l’effettiva sussistenza dei presupposti per
lo svolgimento dell’attività medesima.
A tal proposito, l’art. 19, comma 3 (come modificato dalla
l. n. 124/2015) prevede che, in caso di accertata carenza
dei suddetti presupposti, l’Amministrazione possa adottare
«motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi» nonché –ove possibili– provvedimenti diretti alla
conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché
proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento
della segnalazione certificata del privato (comma 3) ovvero
trenta giorni «nei casi di SCIA in materia edilizia» (comma
6-bis, introdotto dall’art. 5, co. 2, lett. b, del D.L. n.
70/2011).
Viceversa, una volta decorsi i suddetti termini,
«l'amministrazione competente adotta comunque i
provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 (ma in tal caso)
alle condizioni previste dall'articolo 21-nonies», che –com’è noto– disciplina il potere di annullamento in
autotutela dei provvedimenti illegittimi (cfr. art. 19,
comma 4).
4 - Le sopra citate norme fissano i tratti significativi del
potere di verifica ufficioso spettante all’amministrazione a
seguito della presentazione di una SCIA. Da esse si evince,
in particolare, che tale potere assume natura diversa a
seconda che venga esercitato prima o dopo il decorso dei
suddetti termini di sessanta o trenta giorni.
Invero, nel primo caso, l’amministrazione è tenuta
semplicemente ad accertare la sussistenza o meno dei
presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività
segnalata e, pertanto, i poteri repressivi ad essa spettanti
sulla SCIA assumono carattere doveroso e vincolato.
Viceversa, una volta scaduti i suddetti termini, il potere
dell’amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta
soggetto agli stessi presupposti previsti dalla legge per
l’annullamento d’ufficio, tra cui –com’è noto– rientra
l’obbligo di previa valutazione delle «ragioni di interesse
pubblico» giustificative del provvedimento repressivo. Ne
deriva che, in quest’ultimo caso, il potere
dell’amministrazione di interdire la prosecuzione
dell’attività segnalata ha natura discrezionale e non
doverosa.
5 - In tale quadro, si inserisce il tema della tutela del
terzo pregiudicato dall’intervento oggetto di SCIA, il quale
ha costituito oggetto di un serrato dibattito
giurisprudenziale negli anni che hanno preceduto
l’emanazione del d.l. n. 138/2011.
5.1 - Invero, ancor prima dell’introduzione (ad opera di
tale decreto legge) del comma 6-ter dell’art. 19 –il quale
ha espressamente disciplinato il potere di reazione del
terzo a fronte di una SCIA ritenuta illegittima– la
giurisprudenza era suddivisa in più orientamenti.
Il primo, assumendo che il mancato esercizio del potere di
verifica dell’Amministrazione desse luogo ad un
provvedimento tacito di assenso all’attività segnalata,
riteneva che il terzo leso da tale attività potesse
esercitare l’ordinaria azione di annullamento avverso il
suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2008, n.
5811; id., 29.07.2008, n. 3742; id., 12.09.2007, n. 4828:
Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007, n. 1550).
Un secondo orientamento stabiliva che il terzo pregiudicato
da una SCIA dovesse proporre un’azione di accertamento
negativo dei presupposti dell’attività segnalata. Azione che
–in caso di accoglimento– avrebbe obbligato
l’Amministrazione a conformarsi ai contenuti della pronuncia
giudiziale nel successivo esercizio dei poteri repressivi
(Cons. St., sez. VI, 09.03.2009, n. 717; Con. Stato, Sez. VI, 15.04.2010, n. 2139; Cons. St., sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
Infine, un’ulteriore filone giurisprudenziale reputava che
lo strumento appropriato per assicurare protezione giuridica
al terzo fosse l’azione (originariamente disciplinata
dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ossia quella)
avverso il silenzio serbato dall’amministrazione nel
procedimento di verifica ufficiosa dei presupposti della
SCIA. Azione che, qualora accolta dal giudice dopo la
scadenza dei termini di cui all’art. 19 comma 3, avrebbe
comportato –secondo certe pronunce– la condanna
dell’Amministrazione ad esercitare il potere inibitorio
avente carattere doveroso e vincolato (Cons. Stato, Sez. V,
22.02.2007, n. 948); viceversa –secondo altri arresti–
l’ordine all’amministrazione stessa di attivare l’autotutela
decisoria (avente invece contenuto discrezionale: Cons.
Stato, Sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
5.2 – I suesposti contrasti giurisprudenziali sono stati in
parte (e solo temporaneamente) sanati dalla sentenza
dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 29.07.2011,
n. 15, la quale ha stabilito:
a) che la scadenza dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e
6-bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri
inibitori di cui alle medesime norme, dà luogo alla
formazione di una determinazione tacita di conclusione
negativa dell’accertamento in ordine ad eventuali vizi della
segnalazione nonché di diniego di esercizio delle suddette
potestà repressive; con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento
l’azione di annullamento entro l’ordinario termine
decadenziale, termine che, secondo la Plenaria, decorre
dalla data di acquisita conoscenza, da parte del terzo
medesimo, dell’iniziativa per lui pregiudizievole;
b) che il controinteressato che abbia impugnato il silenzio
negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei
suddetti provvedimenti inibitori, ha comunque diritto «ad
ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di
un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario
puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione
aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale»; perciò
egli può sempre proporre, congiuntamente all’azione di
annullamento del diniego tacito, la c.d. azione di
adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga
all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento
inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione
della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge
n. 241/1990;
c) infine che, nelle more della formazione del titolo
tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa
segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in
ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione
suscettibile di conversione automatica in mezzo impugnatorio
in caso di emanazione dell’atto conclusivo del procedimento
di verifica) nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere
la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 c.p.a..
5.3 - Gli assunti fatti propri dall’autorevole arresto
giurisprudenziale richiamato sono stati (pressoché
immediatamente) superati con l’introduzione (ad opera
dell’art. 6, comma 1, lett. c, del D.L. n. 138/2011) del
comma 6-ter dell’art. 19, l. n. 241/1990, il quale
disciplina espressamente gli strumenti di tutela del terzo a
fronte della segnalazione di un’attività privata per esso
lesiva.
Tale norma ha anzitutto previsto che «la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili».
In secondo luogo, il citato comma 6-ter ha precisato che, al
fine di contestare la sussistenza dei presupposti
dell’attività segnalata da altro soggetto, il terzo ha
facoltà:
a) di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione»;
b) di «esperire –in caso di inerzia di quest’ultima–
esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3
del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
In altri termini, il nuovo testo dell’art. 19, comma 6-ter
obbliga il privato che intenda contrastare l’attività
oggetto di SCIA a sollecitare in via amministrativa
l’intervento repressivo dell’Ente pubblico e, in caso di
mancata risposta di quest’ultimo, a ricorrere in sede
giurisdizionale avverso il silenzio dallo stesso serbato.
La citata previsione esclude quindi radicalmente
l’ammissibilità –nell’attuale quadro normativo– degli
strumenti di tutela a suo tempo riconosciuti dalla sentenza
n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria al soggetto pregiudicato
dall’altrui segnalazione.
Tanto si evince, in primo luogo, dall’affermazione per cui
«la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia
e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Ciò che,
evidentemente, nel nuovo contesto disciplinare, manifesta
l’intento del legislatore di escludere che l’inerzia
dell’Amministrazione nell’attività di verifica abbia il
valore di silenzio significativo e, conseguentemente, di
espungere l’azione di annullamento dal quadro delle tutele
spettanti al terzo avverso l’altrui segnalazione
certificata.
In secondo luogo, la suddetta norma precisa che la tutela
del controinteressato può essere realizzata «esclusivamente»
mediante l’azione avverso il silenzio, ciò che evidentemente
rende inammissibili le azioni di accertamento autonome che
la sentenza n. 15/2011 consentiva al terzo di esperire nella
fase compresa fra la presentazione dell’altrui SCIA e la
scadenza dei termini per l’inibitoria ufficiosa.
Ne deriva che l’unico strumento di reazione processuale
spettante al terzo in virtù della nuova disposizione è
l’azione avverso il silenzio.
6 - L’esposta scelta legislativa impone di stabilire se il
potere sollecitato con l’azione avverso il silenzio
(proposta dopo il decorso dei termini di cui all’art. 19,
commi 3 e 6-bis) sia quello inibitorio ovvero quello di
autotutela. Rileva il Collegio come il citato comma 6-ter
pare aver (implicitamente) superato le incertezze a suo
tempo messe in luce dalla giurisprudenza sotto tale profilo,
poiché la formulazione della norma rende evidente che il
potere stimolato dal controinteressato mediante il ricorso
ex art. 31 c.p.a. è quello inibitorio (avente natura
doverosa e vincolata) e non quello di autotutela,
caratterizzato invece da alto tasso di discrezionalità. In
tal senso depongono molteplici elementi logici e testuali.
6.1 - Il primo di essi è certamente costituito dalla
previsione secondo cui il terzo, prima di promuovere
l’eventuale ricorso avverso il silenzio, è tenuto a
«sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione». Da tale prescrizione si desume infatti
che il controinteressato ha onere di attivare un
procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato
ed autonomo rispetto a quello ufficioso disciplinato dal
comma 3 dell’art. 19 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII,
23.10.2015, n. 4998). Dal che deriva, all’evidenza, che il
regime dettato dal comma 4 –secondo cui il potere
repressivo ufficioso dell’amministrazione degrada in
autotutela dopo il decorso dei termini di cui al comma 3–
non è applicabile alla procedura di controllo avviata su
istanza del terzo. Al contrario, nell’ambito di tale
procedura, l’amministrazione esercita (solo) le proprie
potestà inibitorie.
6.2 - Nel senso che il terzo solleciti il potere inibitorio
dell’Ente pubblico depone anche il richiamo operato dal
comma 6-ter all’art. 31, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104/2010
(d’ora innanzi “c.p.a.”).
Invero, com’è noto, tali norme individuano il presupposto
essenziale dell’azione avverso il silenzio
nell’inadempimento dell’Ente pubblico all’obbligo di
concludere il procedimento amministrativo mediante una
determinazione espressa. Obbligo che, com’è noto, non è
configurabile rispetto al potere di autotutela, il quale è
incoercibile dall’esterno mediante il ricorso contro
l’inerzia amministrativa (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez.
IV, 07.07.2014, n. 3426; id., sez. V, 22.01.2014 n. 322; id.,
Sez. IV, 22.01.2013, n. 355; con particolare riferimento
all’autotutela sulla SCIA: cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
12.11.2015, n. 5161; TAR Campania, Sez. VII, n. 4998/2015).
Ne consegue che il rinvio alle suddette prescrizioni si
spiega solo accedendo alla tesi secondo cui terzo –con
l’istanza ex art. 19 comma 6-ter– attiva il potere
inibitorio dell’Amministrazione.
6.3 - Infine, un’ulteriore (ed ancora più significativa)
conferma di tale tesi, è costituita dal richiamo compiuto
dal comma 6-ter al comma 3 del citato art. 31 c.p.a.,
secondo cui il giudice adito con l’azione avverso il
silenzio può «pronunciare sulla fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio» nei casi in cui l’Amministrazione ha
esaurito le valutazioni discrezionali e gli adempimenti
istruttori di sua competenza ovvero quando il potere da essa
esercitato ha natura vincolata.
Ora, il riferimento espresso a tale disposizione implica che
il terzo esercente la suddetta azione possa richiedere al
giudice l’accertamento in ordine alla spettanza o meno del
bene della vita oggetto del procedimento (rappresentato,
nella specie, dal provvedimento repressivo dell’intervento
denunciato) e che, in caso di accertamento positivo, tale
giudice possa condannare l’Amministrazione all’emanazione
del provvedimento medesimo (cfr. TAR Liguria, Sez. I,
09.04.2013, n. 611). Ciò implica necessariamente che il
legislatore –laddove ha richiamato il comma 3 dell’art. 31 c.p.a.– ha implicitamente riconosciuto che gli strumenti di
reazione del privato, di cui al comma 6-ter dell’art. 19,
sono volti a stimolare la (sola) potestà inibitoria
dell’Ente pubblico e non anche il suo intervento in
autotutela.
6.4 - In favore di questa soluzione si è peraltro espressa
autorevole giurisprudenza, secondo cui «il comma 6-ter
dell'art. 19, riservando al terzo la possibilità di
sollecitare l'amministrazione ad effettuare le verifiche di
sua competenza e contemplando altresì la possibilità che
avverso il silenzio mantenuto su tale istanza il terzo possa
tutelarsi mediante l'azione ex art. 31 c.p.a., ha
evidentemente presupposto che in esito alla presentazione
della S.c.i.a. e della D.i.a. non si formi alcun
provvedimento espresso o tacito e che pertanto le istanze
sollecitatorie del terzo non hanno la finalità di eccitare
dei poteri di autotutela amministrativa di secondo grado»
(TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 30.11.2016, n. 2274; id., 15.04.2016, n.
735; id., 21.1.2014, n. 2799; TAR Campania, Napoli, Sez. III,
05.03.2015, n. 1410; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038
e n. 1039).
6.5. Del resto, l’opposta tesi giurisprudenziale –secondo
cui, decorsi i termini di cui all’art. 19 comma 3, il terzo
attiva il (mero) potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI,
n. 4610/2016; id., 22.09.2014, n. 4780; Cons. Stato, Sez. IV,
19.03.2015, n. 1493; TAR Calabria, Sez. I, n. 1533/2016)–
oltre ad essere incompatibile con il disposto dell’art. 19,
comma 6-ter, per le suesposte ragioni, contrasta con
l’interpretazione conforme a Costituzione della norma
stessa.
A quest’ultimo proposito, giova ricordare che, secondo il
condivisibile principio affermato dalla Plenaria n. 15/2011
(in questa parte non scalfita dall’introduzione del comma 6-ter dell’art. 19), i caratteri dell’interesse pretensivo del
terzo impongono «in un’ottica costituzionalmente orientata,
di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che
consenta al terzo stesso di esperire un’azione idonea ad
ottenere il risultato della cessazione dell’attività lesiva
non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento
dell’amministrazione titolare del potere di inibizione». In
altri termini, secondo la Plenaria, il controinteressato
rispetto all’altrui SCIA ha diritto «ad ottenere una
pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività
illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e
vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria
dell’esercizio di un potere discrezionale».
Ebbene, è evidente che la tesi che riconduce l’intervento
dell’amministrazione su istanza del terzo al mero potere di
autotutela è incompatibile col suddetto principio, poiché
subordina integralmente la tutela del terzo stesso ad una
valutazione discrezionale dell’Amministrazione in ordine
alla sussistenza o meno di un interesse pubblico alla
rimozione degli effetti della SCIA contestata.
7 – Il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art.
19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 richiede, per la sua concreta
operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il
primo è il termine entro il quale il terzo deve sollecitare
le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la
relativa istanza; il secondo è il termine concesso
all’amministrazione per pronunciarsi su tale istanza, ovvero
quel lasso temporale decorso il quale, come dice la norma,
essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è il termine entro
il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio
mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di
provvedere.
Osserva il Collegio come il secondo e terzo
termine siano agevolmente rinvenibili; il termine concesso
all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza
sollecitatoria del privato, ancorché non fissato
espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia
agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla
disciplina generale codificata dall’art. 2 l. n. 241/1990,
secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa
espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte
devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento
della domanda da parte dell’amministrazione competente; il
termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è
invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui
secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto
che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno
dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6-ter, l. n.
241/1990, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale
il terzo deve presentare la propria istanza di
sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura
della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo
resterebbe sempre libero di presentare l’istanza
sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di
agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente
serbato dall’Amministrazione, che è esattamente la lettura
offerta dalla ricorrente (che richiama solo il termine
prescrizionale decennale).
8 –
Ritiene il Collegio che, prima di analizzare l’opzione
ermeneutica da ultimo evocata –che, come si vedrà, espone
la norma a censure di incostituzionalità–
sia necessario
procedere ad un’attenta verifica interpretativa circa la
possibilità di rinvenire la delimitazione temporale del
potere sollecitatorio del terzo da altre previsioni
regolanti la materia in questione.
8.1 - Una prima soluzione interpretativa è quella di
ritenere che il termine concesso al controinteressato per
presentare l’istanza sollecitatoria sia lo stesso che la
norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere
inibitorio ufficioso, cioè sessanta ovvero trenta giorni
dalla presentazione della SCIA, secondo quanto disposto dai
commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della L. 241/1990; in tale
lettura una volta che l’amministrazione è decaduta dalle
potestà inibitorie ufficiose ex art. 19, commi 3 e 6-bis,
sarebbe anche definitivamente preclusa la possibilità per il
terzo di ottenere un intervento repressivo, con conseguente
onere per lo stesso di presentare l’istanza sollecitatoria
prima della scadenza dei suddetti termini, onde conservare
l’aspettativa alla soddisfazione del suo interesse pretensivo.
Si tratta tuttavia di opzione ermeneutica non convincente,
in quanto manifestamente illogica.
I termini in considerazione sono strutturati con riferimento
all’esercizio del potere di verifica ufficiosa, il che
giustifica che il loro dies a quo sia fatto coincidere con
il <ricevimento della segnalazione> da parte
dell’amministrazione; ma essi finirebbero per risultare di
pratica inoperatività ove applicati all’esercizio del potere
sollecitatorio del terzo, atteso che nessuna norma assicura
al medesimo la tempestiva comunicazione della presentazione
della SCIA né tanto meno dell’inizio dell’attività
segnalata; il terzo finirebbe quindi per rimanere privo di
qualsiasi forma di tutela ove apprendesse della lesività
dell’intervento dopo il decorso del termine concesso
all’amministrazione per provvedere; d’altra parte, anche
laddove il terzo fosse tempestivo, ma la sua istanza
intervenisse in prossimità della scadenza di tale termine,
ben difficilmente egli otterrebbe l’intervento di tutela cui
aspira, restringendosi l’arco temporale entro il quale
l’amministrazione dovrebbe accertare l’illegittimità
dell’attività oggetto di SCIA nonché inibirne la
prosecuzione.
8.2 - Una seconda prospettiva interpretativa sostiene che la
facoltà del controinteressato di proporre l’istanza
inibitoria ex art. 19, comma 6-ter, sarebbe soggetta al
termine decadenziale di sessanta giorni, valido anche per la
proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine
che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui
l’istante ha avuto notizia della segnalazione per esso
lesiva. La tesi è sostenuta da Cons. Stato, Sez. IV, n.
5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del TAR Lombardia
(Milano) Sez. II, 30.11.2016, n. 2274, 15.04.2016, n. 735 e
05.12.2016, n. 2301, le quali precisano inoltre che il terzo,
una volta decorso il suddetto termine decadenziale, non
rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma
conserva, nei confronti dell’Amministrazione, il potere di
diffida all’adozione di atti di autotutela.
Il Collegio ritiene non condivisibile la proposta
interpretazione.
Si tratta di statuizioni giurisdizionali sicuramente
apprezzabili nel loro tentativo di eliminare le incertezze
applicative della norma in commento, ma che risultano prive
di base normativa, alla luce delle norme
sull’interpretazione, e danno conseguentemente luogo ad una
inammissibile integrazione pretoria del precetto normativo.
Il problema in esame riguarda infatti l’individuazione del
termine assegnato al terzo per sollecitare l’intervento di
verifica da parte dell’amministrazione sulla SCIA presentata
da altro soggetto; si tratta quindi di termine inerente
l’esercizio di una facoltà di attivazione del privato,
funzionale a mettere in moto l’esecuzione di verifiche
amministrative ad istanza di parte, sulla legittimità della
SCIA presentata da altri; l’operazione ermeneutica che
ritiene qui applicabile l’ordinario termine di sessanta
giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale
avverso provvedimenti amministrativi, non tiene conto della
diversità ontologica della disciplina invocata (termine per
le proposizione di atto “processuale”) rispetto all’ambito
di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del
privato in sede “amministrativa”); non sussiste quindi nella
specie il presupposto di “casi simili o materie analoghe”
solo ricorrendo il quale è possibile l’utilizzo
dell’analogia ai sensi dell’art. 12 delle Disposizioni sulla
legge in generale.
8.3 - Una terza tesi richiama il termine annuale di cui
all’art. 31, comma 2, c.p.a., ritenendo che il terzo debba
sollecitare l’amministrazione nell’anno dal deposito della
SCIA presso i competenti uffici.
Anche questa tesi non convince, posto che il termine
richiamato è concesso al terzo, non per stimolare
l’intervento dell’amministrazione, ma per la proposizione
dell’azione avverso il silenzio eventualmente formatosi
sulla sua istanza; la richiesta di provvedere avanzata dal
terzo apre, infatti, una nuova fase procedimentale,
all’esito della quale l’amministrazione ha l’obbligo di
pronunciarsi con un provvedimento espresso, sia esso di
accoglimento (caso della SCIA illegittima) oppure di rigetto
(caso della SCIA legittima); nell’ipotesi in cui poi essa
rimanga inerte, lasciando inutilmente decorrere il termine
di trenta giorni assegnatole, secondo la regola generale di
cui all’art. 2 l. n. 241/1990, per la conclusione dei
procedimenti amministrativi ad istanza di parte, il terzo
potrà proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. entro un
anno dalla formazione del silenzio.
Ne consegue che anche
l’operazione ermeneutica qui evocata, nella misura in cui
trasporta il termine annuale dall’art. 31 c.p.a. alla
disciplina dell’esercizio della sollecitazione
amministrativa del terzo, compie una interpretazione non
consentita e che, ancora una volta, confonde un termine
processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine
amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche
da parte della p.a.).
8.4 - Una diversa lettura del sistema è fornita da una
pronuncia (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016 cit.) che
supera invero il problema del termine per la proposizione
dell’istanza sollecitatoria, affermando che il soggetto leso
dall’iniziativa segnalata è comunque tenuto a proporre il
ricorso di cui all’art. 31 c.p.a. entro il termine
complessivo di un anno dalla data di acquisita «piena
conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio
nella sua sfera giuridica».
La tesi non convince.
Essa utilizza il termine annuale dell’art. 31 c.p.a. non
come termine per la presentazione della diffida del terzo,
ma come termine per la proposizione dell’azione ex art. 31
c.p.a., da proporsi anche prescindendo dalla presentazione
della diffida di cui all’art. 19 comma 6-ter l. n. 241/1990,
termine che decorrerebbe dalla piena conoscenza della SCIA.
Da un primo punto di vista tale ricostruzione risulta
contraddire la natura propria del ricorso ex art. 31 c.p.a,
il quale presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza
di avvio (ovvero l’attivazione ufficiosa) di un procedimento
amministrativo e la formazione del c.d.
silenzio-inadempimento dell’amministrazione procedente.
D’altra parte essa contrasta con il chiaro disposto del
comma 2 del medesimo art. 31, secondo cui l’azione avverso
il silenzio «può essere proposta fintanto che perdura
l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla
scadenza del termine di conclusione del procedimento».
Pertanto, anche la suddetta impostazione non appare al
Collegio idonea a superare le criticità riscontrate.
8.5 - Né varrebbe a sanare la criticità in esame il richiamo
del termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio
dall’art. 21-nonies (come modificato dalla l. 124/2015) ed
oggi applicabile anche all’intervento in autotutela sulla
SCIA in base al combinato disposto della suddetta norma con
l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990.
Invero, tale soluzione risulterebbe in contrasto con il
disposto dell’art. 19, comma 6-ter, in primo luogo, poiché
quest’ultimo consente al terzo di stimolare l’esercizio del
potere inibitorio puro (e non dell’autotutela) dell’Ente
pubblico. In secondo luogo, perché tale termine, riferendosi
all’autotutela ufficiosa, risulta difficilmente conciliabile
con le caratteristiche di un procedimento ad istanza di
parte, come quello attivato dal terzo ai sensi dell’art. 19,
comma 6-ter.
Tanto appare, peraltro, confermato da quanto prevede oggi
l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 222/2016, secondo cui, nei
casi di autotutela sulla SCIA, il suddetto periodo di 18
mesi «decorre dalla data di scadenza del termine previsto
dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica
da parte dell’amministrazione competente». Ciò che chiarisce
la riferibilità del suddetto limite temporale alle (sole)
potestà repressive esercitate dall’Amministrazione in via
ufficiosa.
Da tutto ciò consegue, che l’applicazione della suddetta
disposizione al procedimento di cui all’art. 19, comma 6-ter,
esorbiterebbe totalmente dai limiti che l’art. 12 delle
Disposizioni sulla legge in generale impone
all’interpretazione analogica del giudice e, in definitiva,
si tradurrebbe in una inammissibile modificazione pretoria
dell’ambito applicativo del precetto legislativo.
9 – Le considerazioni che precedono evidenziano chiaramente
che l’attuale regime della SCIA non prevede un termine per
la presentazione da parte del terzo dell’istanza
sollecitatoria delle verifiche amministrative di cui
all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che tale termine
non è desumibile dal sistema normativo, con la conseguenza
che la diffida del terzo dovrebbe ritenersi tempestiva anche
se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto
deposito della segnalazione presso l’Ente competente.
Ritiene tuttavia il Collegio che una simile lettura si
porrebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare
l’affidamento del segnalante circa la legittimità
dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione nonché con il
generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e
Pubblica Amministrazione. Ne consegue che, ad avviso del
Collegio, l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura
in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte
del terzo dei poteri di verifica amministrativa della SCIA
presentata da altri, si espone a dubbi di legittimità
costituzionale che risultano rilevanti nella presente
fattispecie e non manifestamente infondati.
10 –
La prospettata questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, cit. risulta connotata dal
requisito della rilevanza, ai fini della proposizione della
questione incidentale di costituzionalità.
La rilevanza discende dalla diretta applicabilità al caso
concreto della norma la cui costituzionalità è messa in
discussione (cfr. Corte Cost., ordd. nn. 264/2015; 111/2009)
e deve valutarsi alla stregua del criterio della
pregiudizialità, in virtù del quale la rilevanza va
affermata ogniqualvolta la causa non possa essere definita
indipendentemente dalla risoluzione della questione (cfr.
Corte Cost., sentt. nn. 270/2010; 151/2009; 303/2007;
50/2007; 84/2006).
Non è dubitabile che nella fattispecie in esame debba farsi
applicazione della disciplina di cui all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che la questione controversa non possa
essere definita senza fare applicazione della suddetta norma
e affrontando da parte del giudice il tema del termine entro
il quale il terzo può porre in essere l’intervento
sollecitatorio delle verifiche spettanti
all’amministrazione.
In primo luogo, infatti, come risulta
dalla narrativa in fatto, la ricorrente sig.ra Pa.Mu. ha posto in essere una serie di atti di
sollecitazione del potere di verifica da parte
dell’amministrazione della legittimità della SCIA presentata
dal sig. Em.Ca. in data 06.12.2012; essa in
particolare ha sollecitato il Comune di Campi Bisenzio ad
effettuare le suddette verifiche con note del 12.11.2015,
16.12.2015, 12.04.2016, 23.06.2016 e 14.09.2016, quest’ultima
istanza proposta anche espressamente ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n. 241/1990. In
secondo luogo, come
chiarito nella narrativa in fatto, nel giudizio di merito
questo Tribunale Amministrativo, sciolte altre questioni
pregiudiziali, ha dovuto affrontare l’eccezione di tardiva
sollecitazione dei poteri di verifica da parte del terzo,
sollevata dalla parti resistenti, ed ha ritenuto che tale
questione non fosse risolvibile senza la proposizione della
presente questione di costituzionalità. Allo stato della
legislazione la suddetta eccezione dovrebbe essere respinta.
Come già ampiamente illustrato, il comma 6-ter non prevede
un termine entro il quale il terzo debba sollecitare
l’intervento dell’amministrazione, né tale termine, come
sopra evidenziato, può ricavarsi dal sistema, con la
conseguenza che, stando così le cose, appare del tutto
irrilevante la circostanza che, rispetto alla data di
presentazione della SCIA edilizia da parte del Sig. Em.Ca., avvenuta il
06.12.2012, la Sig.ra Pa.Mu. abbia atteso ben due anni ed undici mesi per
rivolgersi al Comune di Campi Bisenzio (la prima richiesta
di intervento è del 12.11.2015) ed addirittura tre
anni e nove mesi (se si considera l’istanza del 14.09.2016) prima di stimolare l’Ente ad esercitare i poteri
inibitori ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n.
241/1990.
D’altra parte l’azione giudiziaria ai sensi
dell’art. 31 c.p.a. risulta proposta nell’anno dalla
formazione del silenzio sulla richiesta di provvedere
rivolta dalla medesima all’amministrazione; dagli atti di
causa si rileva infatti che la Sig.ra Pa.Mu. ha
notificato il proprio ricorso in data 23.10.2016 e,
quindi, anche considerando la prima delle istanze dalla
stessa formulate, ovvero quella del 12.11.2015, entro
il prescritto termine di un anno; posto, infatti, che su
tale istanza il silenzio si è formato il 12.12.2015 (e
cioè, secondo quanto disposto dall’art. 2 della L. 241/1990,
decorsi trenta giorni dalla presentazione dell’istanza senza
che l’amministrazione si sia pronunciata su di essa) e che
il menzionato termine di un anno è cominciato a decorrere
proprio da tale data, la ricorrente avrebbe avuto a
disposizione sino al 12.12.2016 per proporre l’azione
avverso il silenzio mantenuto dal Comune di Campi Bisenzio.
Ne consegue, come già rilevato, che in applicazione della
disciplina vigente, questo Tribunale Amministrativo dovrebbe
dichiarare la infondatezza dell’avanzata eccezione di
tardività. Ma, ad avviso del Collegio, la mancata fissazione
di un termine entro il quale il terzo debba sollecitare le
verifiche spettanti all’amministrazione si pone in
contrasto, come meglio si vedrà di seguito, con una serie di
parametri costituzionali.
La pronuncia della Corte
costituzionale che dovesse accogliere la questione di
legittimità costituzionale, come di seguito proposta,
avrebbe sicuri effetti sulla decisione della presente
questione, sia nell’ipotesi di pronuncia additiva, con la
quale cioè la Corte dovesse fornire al giudice remittente il
parametro temporale sulla cui base verificare la tardività o
meno della sollecitazione dei poteri inibitori da parte del
terzo, sia nell’ipotesi di declaratoria pura della
illegittimità dell’art. 19, comma 6-ter, cit. per mancata
previsione del termine di sollecitazione da parte del terzo
dei poteri di verifica dell’amministrazione, la quale ultima
renderebbe inoperativo, sino all’intervento additivo del
legislatore, il sistema del silenzio-inadempimento,
imponendo all’interprete, al fine di decidere la
controversia, di applicare il diritto vivente così come
ricostruito dalla giurisprudenza anteriormente
all’introduzione del comma 6-ter da parte del legislatore
medesimo.
11 –
Ritiene il Collegio che la mancanza di indicazione di
un termine entro il quale il terzo possa sollecitare le
verifiche amministrative sulla SCIA presentata da altri
renda l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990
costituzionalmente illegittimo.
In punto di non manifesta
infondatezza, il Collegio evidenzia come la citata
disposizione normativa contrasta con svariati principi di
rilievo costituzionale, tra cui, in primo luogo, quello di
tutela dell’affidamento del segnalante (quale desumibile
dagli articoli 3, 11 e 117, co. 1 Cost., in relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed
all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE), in secondo luogo,
quello del buon andamento dell’azione amministrativa (art.
97 Cost.) ed infine quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.)
e di tutela dei livelli essenziali di cui all’art. 117, comma
2, lett. m) Cost..
11.1 – In primo luogo il Collegio ritiene non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, laddove non prevede
un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle
verifiche amministrative, per violazione della necessaria
tutela dell’affidamento del segnalante, come desumibile
dagli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione
all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed
all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE.
L’esigenza di tutelare l’affidamento circa la stabilità dei
rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce
principio cardine dell’attività amministrativa in tutti i
settori dell’intervento pubblico.
A questo proposito, già con la sentenza del 12.07.1957, Algera, C-7/56 e C- 3-7/57, la Corte di Giustizia Europea ha
riconosciuto che l’affidamento del privato circa la
stabilità del provvedimento amministrativo a lui favorevole
dev’essere tutelato anche laddove l’Amministrazione disponga
di un potere amministrativo repressivo del provvedimento
stesso (quale quello di revoca e/o annullamento d’ufficio).
In particolare, tale principio impone che i suddetti poteri
vengano esercitati dall’Ente pubblico «almeno entro un
limite di tempo ragionevole» dal rilascio dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato. Tale principio
è stato poi ripetutamente confermato dalla giurisprudenza
comunitaria (ex multis CGCE, 03.03.1982, Alpha Steel Ltd. c.
Commissione, C-14/81; id., 26.02.1987, Consorzio Cooperative
d’Abruzzo c. Commissione, C-15/85).
Com’è noto, peraltro, il suddetto assunto ha trovato
riconoscimento espresso nell’ordinamento nazionale, il
quale, con varie disposizioni, ha sancito un limite
temporale alla possibilità per l’Amministrazione di tornare
su decisioni precedentemente adottate ed incidenti sulla
sfera giuridica di soggetti privati. Così ad esempio l’art.
1, comma 136, della l. 311/2004 (non più vigente), stabiliva
che l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi
incidenti su rapporti negoziali non potesse «essere adottato
oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del
provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia
perdurante».
Analogamente, l’art. 21-nonies l. n. 241/1990 ha sancito che
l’annullamento ufficioso di un (qualsivoglia) atto
amministrativo debba intervenire «entro un termine
ragionevole». Peraltro, a seguito delle modifiche introdotte
a tale norma dalla l. 124/2015, si è precisato che il
suddetto termine ragionevole non può comunque eccedere i
«diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti
di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Ebbene, il citato principio di affidamento trova
applicazione anche in materia di SCIA.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990
prevede che «decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di
cui al comma 6-bis (cioè degli atti propriamente inibitori),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 alle condizioni previste
dall'articolo 21-nonies»: e cioè (tra l’altro) nel rispetto
del suddetto termine ragionevole.
Ebbene, come recentemente chiarito dalla Corte
costituzionale (pronunciatasi in un caso di SCIA edilizia),
le suddette previsioni «debbono considerarsi il necessario
completamento della disciplina dei titoli abilitativi,
poiché la individuazione della loro consistenza e della loro
efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza
rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione
successivamente alla maturazione degli stessi». Più nello
specifico, la Corte ha chiarito che il rinvio all’autotutela
(e conseguentemente al termine ragionevole di cui all’art.
21-nonies) contenuto in suddette norme «si colloca allo
snodo delicatissimo del rapporto fra il potere
amministrativo ed il suo riesercizio, da una parte, e la
tutela dell’affidamento del privato, dall’altra» (Corte
Cost. n. 49/2016).
In altri termini –secondo la Corte– le suddette previsioni
hanno espressamente tutelato l’affidamento del segnalante in
ordine alla legittimità dell’intervento denunciato,
prevedendo che il mancato esercizio dei poteri inibitori
puri entro i termini perentori di cui all’art. 19, commi 3 e
6-bis, fondi una legittima aspettativa del privato circa la
legittimità dell’iniziativa intrapresa. Aspettativa che può
essere nuovamente posta in discussione dall’Ente pubblico
solo mediante ricorso alle forme (aggravate) dell’autotutela
decisoria e che si consolida definitivamente con il decorso
dell’ulteriore termine di 18 mesi per l’esercizio di tale
autotutela.
È ben vero che il sistema introdotto dal citato art. 19,
comma 4, non può operare laddove la verifica dei presupposti
della SCIA sia stata sollecitata dal terzo ai sensi del
comma 6-ter del medesimo articolo (infatti, come sopra
chiarito, l’attuale testo dell’art. 19 consente al
controinteressato di attivare un autonomo procedimento di
controllo sulla legittimità della segnalazione, il quale
deve concludersi, in caso di accertata insussistenza dei
presupposti di legge, con un provvedimento di repressione
dell’attività abusiva).
Tuttavia, è evidente che le esigenze di salvaguardia
dell’affidamento del segnalante si ripropongono (con analoga
cogenza) anche nei rapporti tra quest’ultimo ed il terzo
proponente l’istanza di cui all’art. 19, comma 6-ter. Sarebbe
infatti irragionevolmente discriminatoria l’interpretazione
che riconoscesse tutela all’affidamento dell’autore della
segnalazione solo nei confronti dell’iniziativa repressiva
ufficiosa dell’amministrazione e non anche rispetto alle
verifiche che quest’ultima effettua su richiesta del
controinteressato.
Pur a fronte di ciò, tuttavia, la norma in esame non prevede
un termine per la proposizione dell’istanza diretta a
stimolare tali verifiche e conseguentemente espone il
segnalante al rischio permanente dell’inibizione
dell’attività iniziata. Così facendo, l’attuale meccanismo
legislativo, da un lato esaspera la tutela del terzo,
d’altro lato pretermette quella del segnalante e, in
definitiva, vanifica l’intento (chiaramente palesato dal
testo complessivo dell’art. 19) di favorire il
consolidamento dell’aspettativa del segnalante stesso per
effetto del mero decorso del tempo.
Da quanto sopra, ad avviso del Collegio, emerge la
violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di
affidamento, nonché la violazione dell’art. 3 Cost., essendo
irragionevole che la tutela dell’affidamento venga
espressamente contemplata (con la temporizzazione
dell’intervento) a fronte dell’esercizio dell’autotutela
amministrativa e non a fronte dell’esercizio dei poteri di
verifica attivati dal terzo.
La SCIA è infatti idonea ad ingenerare nel segnalante –a
fronte del mancato esercizio dei poteri amministrativi
repressivi– un certo affidamento in ordine alla legittimità
dell’intervento avviato. Affidamento che dev’essere
garantito –sia nei confronti dell’amministrazione che in
quelli del controinteressato– mediante la fissazione di
precisi termini entro (e non oltre) i quali i controlli
amministrativi sulla regolarità della SCIA non possono più
essere attivati né in via ufficiosa, né su istanza di parte.
Alla luce di quanto sopra, dunque, risulta evidente
l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, il
quale –in aperto contrasto con i suddetti principi–
attribuisce al terzo un potere di sollecito a tempo
indeterminato nei confronti dell’Ente pubblico e,
conseguentemente, restituisce a quest’ultimo una potestà di
intervento sine die sull’iniziativa denunciata.
A ciò si aggiunga che, con specifico riguardo alla materia
edilizia, la suesposta soluzione normativa dà luogo ad
un’irragionevole disparità di trattamento dei privati il cui
intervento sia assoggettato, rispettivamente, al regime
della SCIA ovvero a quello del permesso a costruire, ponendo
ulteriore questione di violazione dell’art. 3 Cost..
Invero, com’è noto, in quest’ultimo caso lo strumento di
tutela azionabile dal controinteressato è l’azione di
annullamento del titolo abilitativo eventualmente rilasciato
al richiedente. In tale ipotesi, dunque, l’affidamento di
quest’ultimo è garantito dalla previsione del termine
decadenziale generale di sessanta giorni per l’esperimento
della suddetta azione, decorso il quale il permesso diventa
inoppugnabile e l’aspettativa del richiedente stesso si
consolida definitivamente (almeno nei confronti dei
controinteressati).
Viceversa, in caso di SCIA, l’art. 19, comma 6-ter, codifica
il principio opposto: di fronte ai terzi lesi
dall’iniziativa segnalata, l’interesse del segnalante alla
prosecuzione di quest’ultima non si consolida mai e, al
contrario, recede sempre a fronte della pretesa dei terzi
stessi alla rimozione dell’attività per essi lesiva.
Orbene, pur non potendosi predicare la necessaria
parificazione delle tutele del segnalante e del soggetto
richiedente il permesso di costruire, data la notevole
differenza dei citati meccanismi abilitativi, è pur vero che
tale diversità non giustifica la totale pretermissione (ma
casomai il diverso bilanciamento) dell’affidamento maturato
in capo all’autore della SCIA. Pena il crearsi di
un’irragionevole disparità di trattamento tra posizioni
soggettive aventi contenuto (se non analogo, quantomeno)
affine.
Da quanto sopra deriva, ad avviso di questo Tribunale, la
violazione dei principi costituzionali sopra richiamati.
11.2 – La prospettata questione di illegittimità
costituzionale risulta del pari non manifestamente infondata
per contrasto della norma in questione con i principi di
ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97
Cost..
A questo proposito, merita anzitutto osservare che il
meccanismo introdotto dall’art. 19, comma 6-ter, impone
all’amministrazione, su semplice istanza del terzo, di
avviare un procedimento di verifica a contenuto (in tutto e
per tutto) analogo a quello già svolto in via ufficiosa ai
sensi dell’art. 19 comma 3.
Peraltro, come sopra chiarito, la citata norma non prevede
un termine per la presentazione della suddetta istanza, con
la conseguenza che l’Ente pubblico è tenuto a verificare
nuovamente i presupposti dell’attività segnalata anche
qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla
relativa comunicazione.
Ora, è chiaro che il suesposto modello si pone in contrasto
con i principi di cui alle citate norme costituzionali,
nella misura in cui impone all’amministrazione, quale che
sia il momento in cui sopravviene l’istanza del
controinteressato, di rivedere la posizione assunta in
precedenza (in sede di verifica ufficiosa) circa la
legittimità dell’iniziativa segnalata.
Sul punto, si rileva anzitutto che la fissazione di precisi
limiti temporali entro cui devono essere adottati i
provvedimenti definitivi in ordine alle procedure (ivi
comprese quelle di verifica) di competenza
dell’amministrazione costituisce «applicazione generale…,
sia pure non esaustiva, del principio costituzionale di buon
andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione)
negli obiettivi di tempestività, pubblicità, partecipazione
dell'azione amministrativa, quali valori essenziali in un
ordinamento democratico» (Corte cost. n. 262/1997). Invero,
è evidente che il rispetto dei termini perentori entro cui
devono essere conclusi gli accertamenti e le valutazioni
rimessi agli apparati pubblici incentiva l’efficienza degli
apparati stessi nonché la ponderazione delle scelte
adottate, stante l’impossibilità del loro ripensamento.
Viceversa, la possibilità incondizionata di rivalutare –anche a notevole distanza di tempo– l’assetto di interessi
raggiunto con le precedenti determinazioni produce un
effetto deflattivo sull’efficienza, aumenta il rischio di
adozione di decisioni contraddittorie da parte dello stesso
Ente e, in definitiva, pregiudica il buon andamento
dell’azione pubblica.
Peraltro, si evidenzia che, riguardo al controllo ufficioso
sulla legittimità o meno della SCIA, il legislatore ha
fissato precisi termini alle facoltà di intervento
dell’amministrazione (tanto in via inibitoria quanto in via
di autotutela). Dacché si desume che lo stesso regime del
controllo ufficioso prevede un limite temporale oltre il
quale l’interesse pubblico all’eliminazione delle attività
abusive viene meno, prevalendo su di esso l’esigenza di
certezza dei rapporti tra privati e Pubblica
Amministrazione.
E’ dunque evidente che la riapertura del procedimento di
verifica dei presupposti della SCIA a fronte di un’istanza
presentata dal terzo oltre i suddetti limiti temporali non
può dirsi funzionale alla tutela di alcun interesse
pubblico, il quale invece recede a fronte delle suddette
esigenze di certezza.
Al contrario, il riavvio del suddetto procedimento si
traduce in un inutile dispendio di attività per l’Ente
pubblico, il quale, dopo un periodo di tempo (anche
notevole) dalla presentazione della SCIA, sarebbe tenuto ad
intraprendere una complessa attività istruttoria volta ad
accertare l’originaria legittimità o meno dell’attività
segnalata.
Peraltro tale ulteriore aggravio non trova assolutamente
giustificazione nel rango dell’interesse tutelato dall’art.
19, comma 6-ter.
Infatti tale norma salvaguarda (solo) un’aspettativa
individuale: quella del terzo leso dall’iniziativa segnalata
a che la stessa iniziativa venga interrotta. Nondimeno,
l’Ente pubblico, quando procede su istanza del
controinteressato è sempre tenuto a provvedere in via
inibitoria (anche a discapito del buon andamento
amministrativo e dell’affidamento del segnalante).
Viceversa, quando procede alle verifiche ufficiose –le
quali assicurano il ben più pregnante interesse collettivo
al controllo sul legittimo avviamento delle attività
regolamentate– l’Ente stesso è tenuto a rispettare gli
stringenti limiti temporali imposti dall’art. 19 commi 3, 4
e 6-bis. Ciò che evidentemente configura un meccanismo di
tutela sproporzionatamente asimmetrico in capo al segnalante
a seconda che l’attivazione delle verifiche amministrative
avvenga in via ufficiosa o ad istanza del terzo.
Né in senso contrario può sostenersi che l’esclusione di una
simile potestà di intervento sine die pregiudicherebbe le
esigenze di contrasto agli illeciti commessi dai privati nei
vari settori di attività in cui trova applicazione
l’istituto della SCIA. Invero, per tutelare tali esigenze
l’Amministrazione dispone di autonomi poteri repressivi
sottratti al regime generale dell’art. 19 della l. n.
241/1990 (così ad esempio, nella materia che ci occupa,
l’Amministrazione stessa dispone di poteri c.d. di
“vigilanza edilizia” -cfr. artt. 27, 30-34, 37 del D.P.R.
n. 380/2001– che sfuggono anche al «termine ragionevole» di
cui all’art. 21-nonies: ex multis TAR Lazio, Roma, Sez.
I-quater, 22.4.2016, n. 4713). Ma tali poteri non comportano
un riesame della legittimità originaria dell’intervento già
assentito con il precedente titolo abilitativo. Bensì
attengono al riscontro di eventuali successive violazioni
del titolo stesso ovvero alla repressione di iniziative
intraprese senza previa consultazione dell’autorità
competente.
Con la conseguenza che neanche la generale esigenza di
repressione degli abusi nei settori di attività non
liberalizzate (quale è in buona parte l’attività edilizia)
giustifica il modello di tutela del terzo introdotto
dall’art. 19, comma 6-ter.
Orbene, le suesposte considerazioni mostrano già come tale
modello costituisca un ostacolo al buon andamento
dell’azione amministrativa, traducendosi potenzialmente in
un notevole aggravio di attività per l’Amministrazione
coinvolta, con effetti pregiudizievoli per i valori di
celerità, stabilità ed efficienza sopra richiamati.
Vi è tuttavia un altro dato che rende evidente il contrasto
tra la citata norma ed il suddetto principio costituzionale,
ossia il rischio di un vero e proprio stallo delle
Amministrazioni preposte al controllo delle attività oggetto
di SCIA, a causa delle incertezze interpretative derivanti
dall’attuale formulazione dell’art. 19, comma 6-ter.
A questo proposito, giova premettere che –come
ripetutamente chiarito dal Giudice delle leggi– il
principio del buon andamento sancito dall’art. 97 Cost.
rappresenta, non solo un parametro di legittimità
dell’azione amministrativa, ma anche un canone per il
corretto esercizio della potestà normativa, in virtù del
quale il legislatore deve assicurare quanto più possibile la
chiarezza ed univocità interpretativa delle norme che
l’amministrazione è tenuta ad applicare nell’esercizio del
potere pubblico. Configurandosi, in caso contrario, un vizio
capace di inficiare la stessa legittimità costituzionale
della legge approvata.
Ed invero, la Corte costituzionale ha più volte sancito che
«non è conforme a tale disposizione (art. 97 Cost.)
l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una
disciplina normativa “foriera di incertezza”, posto che essa
può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate
alla cura della pubblica amministrazione» (Corte Cost.,
16.04.2013, n. 70; Corte Cost., 22.12.2010, n. 364; in
termini –anche se con riguardo alla violazione dell’art. 3
Cost.– Corte Cost., 20.07.2012, n. 200).
Ebbene, è evidente che la norma in questione pone l’Ente
pubblico –chiamato a provvedere sull’istanza sollecitatoria
del terzo– in stato di totale incertezza in ordine
all’esistenza (o meno) di un obbligo a provvedere
sull’istanza medesima.
Invero, a seconda dell’interpretazione data dall’Ente alla
disposizione in esame, il sollecito del privato può
ritenersi, di volta in volta, tardivo ovvero tempestivo. Con
la conseguenza che, nel primo caso, l’Amministrazione è
legittimata a dichiarare l’irricevibilità dell’istanza senza
previo svolgimento di alcuna istruttoria (cfr. art. 2 comma
1, l. 241/1990). Viceversa, nel secondo caso, essa è tenuta
a svolgere la verifica sui presupposti della SCIA ed a
concluderla tramite l’emanazione di un atto espresso, pena
la proposizione dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a. da
parte del terzo pretermesso.
Del resto, la molteplicità delle tesi proposte dalla
giurisprudenza in ordine all’individuazione del termine per
la presentazione dell’istanza del controinteressato, da un
lato, acuisce le difficoltà interpretative poste dall’art.
19 comma 6-ter a carico dell’amministrazione e, d’altro
lato, conferma la sostanziale incertezza del disposto di
tale articolo. Dacché emerge, plasticamente, il contrasto di
quest’ultimo con i suesposti principi costituzionali.
11.3 - Fermo quanto sopra, il Collegio ritiene che la non
manifesta infondatezza della questione in oggetto emerga
altresì dal contrasto tra la norma censurata ed il canone di
ragionevolezza delle scelte legislative sancito nell’art. 3
Cost, in relazione all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost..
Sul punto, si osserva anzitutto che svariate disposizioni di
legge riconducono la normativa nazionale in materia di SCIA
ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono
rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai
sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29,
comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l.
78/2010, conv. con l. 122/2010).
Peraltro, nel condividere il suddetto assunto legislativo,
la Corte Costituzionale ha chiarito che tutto il meccanismo
della segnalazione certificata di inizio attività
costituisce «prestazione specifica» dello Stato nei
confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il
diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte
della pubblica amministrazione competente, dei presupposti
di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima»
(Corte Cost., 27.06.2012, n. 164).
Tale assunto si riferisce evidentemente ai controlli
amministrativi sulla legittimità o meno della SCIA che,
secondo il Giudice delle leggi, devono essere assistiti
dalla previsione legislativa di puntuali limiti temporali,
diretti ad assicurare il «sollecito esame» dell’iniziativa
denunciata e, in quanto tali, rientranti nei “livelli
essenziali” di tutela della posizione del segnalante ex art.
117, comma 2, lett. m) Cost..
La suddetta affermazione –benché espressa dalla Corte con
precipuo riferimento ai controlli ufficiosi di cui all’art.
19, commi 3, 4 e 6-bis– non può non valere anche riguardo
alle verifiche amministrative svolte su istanza del terzo.
Invero, rispetto a queste ultime, la posizione del
segnalante presenta le stesse esigenze di sollecita
definizione del procedimento inibitorio che le citate norme
tutelano quando il procedimento stesso è avviato d’ufficio
dall’Ente pubblico.
Sennonché, mentre rispetto a tali controlli ufficiosi il
segnalante può contare sulla previsione di specifici termini
decadenziali entro cui i controlli stessi devono
necessariamente concludersi (e che, come detto,
costituiscono “livelli essenziali” ex art. 117, co. 2, lett.
m, Cost.), l’art. 19, comma 6-ter, non prevede alcun limite
temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere
inibitorio dell’amministrazione. Con la conseguenza che il
termine per il compimento di tale sollecito resta escluso
dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma
2, lett. m), Cost.
Tale soluzione normativa è palesemente irragionevole, poiché
omette di disciplinare un elemento indispensabile alla
tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto
dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli
essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale.
A questo proposito, è appena il caso di accennare che –secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza
costituzionale– l’art. 117, comma 2, lett. m) Cost. pone, in
materia di livelli essenziali, una riserva di legge
(relativa, ma) rinforzata «in quanto vincola il legislatore
ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio
nazionale» (Corte Cost., 19.12.2012, n. 297). In
particolare, nell’attuazione di tale riserva, il legislatore
è tenuto a determinare gli «standard strutturali e
qualitativi delle prestazioni da garantire (come detto, in
modo uniforme) agli aventi diritto» (Corte Cost. 10.6.2010,
n. 207; id., 05.04.2013, n. 62; id., 15.01.2010, n. 10), dacché
deriva che la riserva stessa, oltre a ripartire le
competenze normative in materia di livelli essenziali,
impone al legislatore di prevedere standards minimi uniformi
delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi.
È evidente che nei suddetti standards minimi non possono non
rientrare anche i termini per la conclusione dei controlli
amministrativi sui presupposti della SCIA tanto nei casi in
cui l’iniziativa repressiva è avviata d’ufficio dall’Ente
pubblico (come del resto già affermato dalla citata sentenza
n. 164/2012) quanto nelle ipotesi in cui il procedimento
inibitorio è avviato su istanza del terzo.
Invero, la mancata previsione di tali termini è idonea a
vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo
Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle
procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come
quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la
semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il
medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata)
con un iter amministrativo più snello di quello ordinario,
l’attuale disciplina della SCIA risulta contraddittoria con
tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre
una riduzione dell’attività burocratica (poiché il
procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione
può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di
soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale
disciplina non conduce mai ad una regolamentazione
definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda
amministrativa, residuando sempre un potere-dovere
dell’Amministrazione di rimettere in discussione la
legittimità originaria dell’intervento segnalato,
ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte
di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei
livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere
sollecitatorio di cui all’art. 19, comma 6-ter, rischia di
pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che
caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso.
Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura
della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.
(la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di
dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte
Cost. n. 297/2012 cit.), apre la strada a discipline
territoriali eterogenee del suddetto termine, con
conseguente disomogeneità degli standards di tutela a
livello nazionale.
Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio,
l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di
tutela sine die apprestato dall’art. 19, comma 6-ter,
alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in
definitiva, un’illegittima compressione dei livelli
essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante
dalla norma nazionale.
Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo
censurato risulta palesemente incostituzionale.
12 – Alla luce delle considerazioni che precedono
il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella parte in
cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte
del terzo delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli
artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all'art. 1
del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6,
paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost..
Dispone quindi la trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale per la decisione della suddetta questione,
sospendendo nelle more il presente giudizio. |
EDILIZIA PRIVATA: La
DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA”
disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale.
---------------
È impugnato -unitamente agli atti presupposti e conseguenti- il provvedimento con il quale il Comune di Andria ha
intimato alla ditta esecutrice, odierna ricorrente, ai
proprietari e al direttore dei lavori "la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre 90
giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione,
delle opere realizzate presso il lastrico solare sovrastante
il quinto piano del complesso edilizio ubicato in via
Catullo, in difformità al permesso di costruire n. 190 del
20.10.2004 (P.E. n. 260/01) e relativa variante in corso
d'opera n. 190/ A/ V del 10.10.2005, in zona classificata
B/5 nel vigente P.R.G. e consistenti così come decritti
nella premessa, che qui s'intende integralmente richiamata".
Le opere in questione, così come descritte nella premessa
dell’ordine di demolizione, hanno ad oggetto “la
realizzazione di una unità volumetrica, composta da un unico
vano con scala di collegamento con la sottostante unità
immobiliare ed un vano w.c., ultimata e rifinita, completa
di impianto elettrico, idrico-fognante e termico il tutto
funzionale ad uso di civile abitazione, con superficie lorda
complessiva coperta di circa mq. 31,00 (anziché mq. 16,00
circa), altezza utile interna di circa mt. 2,80 (anziché mt.
2,30 circa) e con volume complessivo lordo di circa mc.
95,00 (anziché mc. 41,00 circa)”.
L’ordinanza di demolizione, espressamente richiama, quale
atto presupposto, l’annullamento d’ufficio della DIA
presentata il 31.10.2006 dalla Società Ed.Ma. s.r.l.,
titolare del permesso di costruire il complesso edilizio in
questione.
Il Comune aveva infatti riscontrato, in sede di sopralluogo
del 30.9.2008, un aumento della superficie, dell’altezza
interna e della volumetria, nonché la trasformazione, in
locali residenziali, dei vani tecnici –fra i quali quello
oggetto del provvedimento impugnato- posti sul lastrico
solare delle otto palazzine di cui detto complesso si
compone in quanto dette opere sono state ritenute non
assentibili tramite DIA.
...
3.1. Il primo motivo è infondato, al pari del secondo che da esso
dipende.
La DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus
“DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art.
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n.
104.
---------------
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del
1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito
certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il
termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n.
380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il
procedimento) cui la legge subordina il potere di
annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e,
quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di
illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a.
ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo
al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque,
esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del
provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento
espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione
legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di
autotutela decisoria.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento
repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano
oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del
decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
---------------
... per l'annullamento:
- della dichiarazione di inizio attività n. 13/05 depositata
da Da.Fe. in data 16.02.2005 ed avente ad oggetto “ristrutturazione
e divisione unità immobiliare al piano terreno e recupero
del sottotetto a fini abitativi” di un immobile sito in
Uboldo;
- con motivi aggiunti, del provvedimento dell’01.06.2007 con
il quale il comune di Uboldo ha deciso di non procedere
all’annullamento d’ufficio della DIA succitata.
...
Con il ricorso principale e per i motivi nello stesso
dedotti, gli istanti, proprietari di fabbricati siti in
prossimità di quello del controinteressato nel comune di
Uboldo, hanno impugnato la dichiarazione di inizio attività
indicata in epigrafe, avente ad oggetto la ristrutturazione
e la divisione di un’unità immobiliare al piano terreno e il
recupero del sottotetto a fini abitativi depositata dal
controinteressato medesimo.
Con ricorso per motivi aggiunti hanno, invece,
impugnato, limitatamente alla porzione concernente la
ristrutturazione al piano terreno dell’immobile, il
provvedimento del primo giugno 2007 con il quale il comune
di Uboldo, dopo avere avviato il procedimento teso
all’eventuale esercizio dell’autotutela, ha deciso di non
procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA
succitata.
...
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di accogliere
l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale
sollevata dall’Amministrazione intimata e dal
controinteressato.
Ed invero, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 19 della legge
n. 241/1990, così come introdotto dal d.l. n. 138/2011: “La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Ne risulta l’inammissibilità del ricorso proposto in via
principale avverso la DIA presentata dal controinteressato.
Riguardo, invece, al ricorso per motivi aggiunti, instaurato
avverso il provvedimento con il quale il comune di Uboldo ha
ritenuto di non procedere all’annullamento d’ufficio degli
effetti della DIA succitata, gli istanti hanno dedotto,
sostanzialmente: l’illegittimità dell’intervento di
ristrutturazione e divisione dell’unità immobiliare al piano
terreno ai sensi dell’art. 42 delle NTA del PRG vigente,
trattandosi di un edificio ubicato in zona produttiva D1 e
non residenziale, ove sarebbero consentiti solo interventi
di manutenzione ordinaria; l’illegittimo esercizio da parte
del Comune del potere di autotutela, subordinato alla
verifica di un particolare interesse pubblico
all’annullamento, invece che di quello sanzionatorio;
l’illegittimità del provvedimento comunale nella parte in
cui si riferisce alla normativa urbanistica sopravvenuta,
che pacificamente ammette l’intervento di ristrutturazione
in questione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, atteso
che, indipendentemente dal verificarsi o meno di un minimo
aumento del carico urbanistico a seguito dell’effettuazione
dell’intervento di ristrutturazione al piano terreno, il
Comune intimato, nell’esercizio discrezionale del proprio
potere di autotutela, si è determinato nel senso della
prevalenza dell’interesse del privato che aveva presentato
la DIA, in capo al quale si era ingenerato l’affidamento
della legittimità della ristrutturazione dallo stesso
eseguita.
Ed invero, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della
legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a.
illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di
intervenire anche oltre il termine perentorio di cui
all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle
condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge
subordina il potere di annullamento d'ufficio dei
provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre
che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori
assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi,
dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto
del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di
interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del
provvedimento espresso), che può essere rimosso, per
espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio
del potere di autotutela decisoria. Ne consegue
l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio
avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a.
già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non
previamente rimossa in autotutela (cfr., per tutte, Cons.
Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780).
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso
principale va dichiarato inammissibile e il ricorso per
motivi aggiunti va respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 31.01.2017 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla tempistica da osservare, da parte del terzo, per
inibire l'esecuzione dei lavori edilizi con DIA/SCIA.
Vi è un orientamento, seguito dal giudice d’appello, secondo
cui l’istanza di esercizio del potere inibitorio riguardante
una denuncia di inizio attività deve essere inoltrata
all’amministrazione –pena la tardività del giudizio
istaurato avverso il provvedimento che dà ad essa riscontro–
non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla
conoscenza della denuncia stessa.
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in
quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti
alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo
deve formulare la predetta istanza, non contenendo
l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna
prescrizione in proposito.
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento
alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune
recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti
principi:
a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del
potere inibitorio;
b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di
sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della
DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto
potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base
del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima
(potere inibitorio puro);
c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso
del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire
unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio
del potere di autotutela;
d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione
si pronuncia sulla sua istanza.
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al
solo fine di stabilire quale tipo di potere
l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo
interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai
sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a
quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente
impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo
caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del
mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo
l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri
effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non
conformità della stessa alla vigente normativa).
---------------
Il
controinteressato eccepisce ancora la tardività del ricorso
rilevando che, nella sostanza, la ricorrente intende
paralizzare gli effetti della DIA del 30.01.2014 e che, per
questo motivo, l’istanza di esercizio del potere inibitorio
avrebbe dovuto essere depositata non oltre il termine di
sessanta giorni decorrente dalla sua conoscenza.
Con altra eccezione, lo stesso controinteressato rileva che,
nel caso specifico, sono ormai decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio e che, quindi, l’istanza
della ricorrente non potrebbe aver l’effetto di rimettere in
termini l’Amministrazione. Potrebbe dunque esercitarsi il
solo potere di autotutela del quale, comunque, non
sussisterebbero i presupposti, non avendo la medesima
Amministrazione effettuato l’attività di comparazione degli
interessi a tal fine necessaria. La ricorrente non avrebbe,
quindi, secondo il controinteressato, alcun interesse alla
proposizione del ricorso.
In proposito si osserva quanto segue.
Si deve dare atto che, effettivamente, vi è un orientamento,
seguito dal giudice d’appello, secondo cui l’istanza di
esercizio del potere inibitorio riguardante una denuncia di
inizio attività deve essere inoltrata all’amministrazione
–pena la tardività del giudizio istaurato avverso il
provvedimento che dà ad essa riscontro– non oltre il termine
di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza della
denuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n.
5161).
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in
quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti
alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo
deve formulare la predetta istanza, non contenendo
l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna
prescrizione in proposito (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sez.
II, 01.07.2015, n. 1114).
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento
alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune
recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti
principi:
a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del
potere inibitorio;
b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di
sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della
DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto
potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base
del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima
(potere inibitorio puro);
c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso
del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire
unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio
del potere di autotutela;
d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione
si pronuncia sulla sua istanza (cfr. TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 15.04.2016, n. 735).
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al
solo fine di stabilire quale tipo di potere
l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo
interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai
sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a
quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente
impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo
caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del
mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo
l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri
effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non
conformità della stessa alla vigente normativa).
Non è dunque rilevante, ai fini della valutazione della
tempestività del ricorso in esame, il fatto che, nel caso
concreto, l’istanza della ricorrente sia stata inoltrata
all’Amministrazione dopo il decorso del termine di sessanta
giorni dal momento di piena conoscenza della DIA presentata
dal controinteressato, essendo unicamente rilevante il fatto
che sia stato tempestivamente impugnato l’atto che ha dato
riscontro all’istanza di sollecitazione all’esercizio del
potere inibitorio.
Né tale ritardo rileva ai fini della valutazione
dell’interesse alla proposizione del gravame, posto che
l’Amministrazione conserva comunque la possibilità di
effettuare un intervento subordinato al riscontro dei
presupposti dell’autotutela.
Neppure è decisivo il fatto che l’Amministrazione, in
occasione dell’adozione degli atti impugnati, non abbia
effettuato l’attività di comparazione degli interessi
coinvolti.
L’accoglimento del ricorso costringerebbe infatti la stessa
Amministrazione ad aprire nuovamente il procedimento, nel
corso del quale ben potrà essere effettuata l’attività di
comparazione degli interessi coinvolti; attività considerata
in prima battuta non necessaria stante la ritenuta
insussistenza dei profili di illegittimità denunciati dalla
ricorrente.
Vi è dunque, quantomeno, un interesse strumentale alla
proposizione del ricorso, posto che, in esito al nuovo
procedimento, potrebbe essere adottato un atto favorevole
alla ricorrente stessa.
Per tutte queste ragioni, le eccezioni in esame risultano
infondate
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.11.2016 n. 2274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema
di reati edilizi, nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale.
---------------
2.1. Nella specie, la Corte territoriale non si è uniformata a tali
principi,
rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado ed agli
elementi probatori acquisiti, ma non esaminando, dall'altro,
le specifiche censure rivolte con l'appello
a quella pronuncia.
Al ricorrente è stato contestato il reato previsto dall'art.
44, lett. b), del D.P.R.
n. 380/2001 per aver realizzato lavori di esecuzione di un
deposito temporaneo di
rifiuti non pericolosi provenienti da demolizioni edili, con
difformità rispetto alle
previsioni progettuali.
E' stato accertato che, in sede di accesso, venivano
riscontrate le difformità
rispetto alle previsioni progettuali di cui alla denuncia di
inizio lavori presentata
dall'imputato al Comune di San Marco d'Alunzio in data
04.08.2011 e, cioè,
occupazione di un'area della superficie pari a mq 92,82
anziché mq 79,56,
realizzazione di muretti dell'altezza di m 3,20 anziché m.
2,00, aumento
dell'altezza del muretto di divisione esterno lato ovest,
omessa realizzazione di un
adeguato sistema di canalizzazione delle acque meteoriche.
Va ricordato, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R.
n. 380 del 2001, art.
22, comma 3 (cd DIA alternativa o SuperDIA), non è istituto
ontologicamente
diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti (cd
DIA semplice, ora
SCIA) dal quale non si distingue certo per il carattere
dell'onerosità, che ben può
essere comune e differisce da esso soltanto in relazione
agli interventi
assoggettabili (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio.
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, commi
1 e 2, -in cui la
DIA (ora S.C.I.A.), si pone come titolo abilitativo esclusivo
(non alternativo, cioè,
al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di
inizio dell'attività o la
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA
effettivamente presentata non
comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono
sanzionate soltanto in via
amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6).
Dovendo ritenersi,
però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380
del 2001, art. 44, lett.
a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio-
l'esecuzione di interventi
sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti
urbanistici e regolamenti
edilizi.
Questa Corte ha, infatti, affermato che l'esecuzione in
assenza o in difformità
degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività
(DIA) D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, ex art. 22, commi 1 e 2, (ora S.C.I.A.), allorché
non conformi alle previsioni
degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia
in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale
prevista dal citato
D.P.R. n. 380, art. 44, lett. a), atteso che soltanto in
caso di interventi eseguiti in
assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi
alla citata disciplina, è
applicabile la sanzione amministrativa prevista dallo stesso
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, (Sez. 3, n. 41619 del
22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894
del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, comma
3, invece, in cui
la DIA (DIA alternativa o superDIA), ai sensi del successivo
art. 44, comma 2-bis,
si pone come alternativa al permesso di costruire, l'assenza
sia del permesso di
costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero
la totale difformità delle
opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata
integrano il reato di cui
al successivo art. 44, lett. b) (Sez. 5, 26.04.2005,
Giordano; Sez. 3, 09.03.2006,
n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon).
La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla
tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta
dell'intervento. Ciò che conta non è la
qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA
presentata ma la esatta
indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere,
poi, effettivamente
eseguite (Sez. 3, n. 47046 del 26/10/2007, Rv. 238463).
Non trova, comunque, sanzione penale la difformità parziale:
le sanzioni di
cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 sono applicabili soltanto
in caso di assenza o
totale difformità dalla DIA, atteso che la esclusione
dell'ipotesi di parziale
difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di
edificazione con permesso
di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la
DIA (Sez. 3, n.44248 del 23/09/2004, Croattini).
E' stato osservato, a tal proposito, che le opere per le
quali l'art. 1, comma 6,
della legge 21.12.2001 n. 443 ha previsto la possibilità, a
scelta dell'interessato, di
procedere in base a DIA in alternativa al premesso di
costruire (previsioni trasfuse,
poi, con modificazioni nell'art. 22, comma 3, del T.U. n.
380/2001) sono rimaste
soggette, rientrando in origine esclusivamente nel regime
concessorio, alla
sanzione di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001,
con la conseguenza che
integrano il reato previsto da tale norma le opere suddette,
quando siano state
realizzate in assenza sia del permesso di costruire sia
della DIA, ovvero in totale
difformità rispetto alla DIA inoltrata (Sez. 5, n. 23668 del
26/04/2005, Rv. 231905).
2.2. In definitiva, in tema di reati edilizi,
nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001;
diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009,
Rv. 243099, cit.) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.11.2016 n. 47970). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia è un alert per la p.a..
Sentenza Cds.
L'amministrazione, a fronte di una denuncia da parte
del terzo leso da una attività posta in essere da
altro privato a seguito di una Scia, ha l'obbligo di
procedere all'accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento
repressivo. Ma scaduti i termini per l'esercizio dei
poteri inibitori subentra la discrezionalità
dell'ente il quale deve tenere conto anche
dell'eventuale affidamento.
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, con
sentenza 03.11.2016 n. 4610.
Decisione che assume particolare rilevanza in
relazione al fatto che gli artt. 19 e 21-nonies
della legge 241/1990, che disciplinano
rispettivamente la Scia ed il potere di autotutela
esercitato dalla p.a., sono stati di recente
modificati dalla legge Madia, ovvero la legge
124/2015 e questo è uno dei primi pronunciamenti che
affrontano la problematica connessa ai poteri
dell'amministrazione a seguito di una azione
proposta dal cosiddetto terzo.
Alla luce del fatto che il comma 6-ter dell'art. 19,
ha rilevato il collegio, ha stabilito che la Scia
non è provvedimento tacito direttamente impugnabile,
ma gli interessati possono soltanto sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l'azione prevista dal codice del
processo amministrativo avverso il silenzio della
p.a., vanno chiarite le questioni relative al tempo
dell'azione esperibile dal terzo e al tipo di potere
che il terzo stesso può «sollecitare».
A tale proposito il collegio, pur dando atto
dell'esistenza di un orientamento il quale ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all'amministrazione di esercitare i poteri
inibitori, anche dopo la scadenza del termine di 30
(per l'edilizia) e di 60 giorni per le altre
fattispecie previsti dall'art. 19, legge 241/1990,
la sezione ha ritenuto preferibile l'interpretazione
della disposizione nel senso che il terzo può
chiedere la condanna dell'amministrazione
all'esercizio del potere ma in tal caso quest'ultimo
deve comunque rispettare i requisiti che
giustificano l'autotutela amministrativa per l'atto
di secondo grado il quale, oggi, tiene conto anche
dell'affidamento nel frattempo maturato
(articolo ItaliaOggi del 16.11.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
il potere inibitorio dell’amministrazione sulla presentata
SCIA, su denuncia del terzo, può essere esercitato anche
oltre il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto
dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
In relazione al tempo, non è
perfettamente adattabile lo schema dell’azione avverso il
silenzio inadempimento a quella proposto dal terzo
nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone
entro il termine di un anno dalla conclusione del
procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo
titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di
un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua
istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento
si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a
decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un
interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti
sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa.
Non è, pertanto, a conoscenza “diretta” dell’andamento
procedimentale della vicenda. Ne consegue che il termine
decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei
fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera
giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo
orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche
nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o
sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene
preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la
condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che
devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela
amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame,
si connota in modo peculiare perché:
i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e
dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado”
che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di
“secondo grado”;
ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo,
ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò
diversamente da quanto accade in presenza di un “normale”
potere di autotutela che si connota per la sussistenza di
una discrezionalità che attiene non solo al contenuto
dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in
quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di
liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del
terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza
limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle
posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di
azione verrebbero frustrate le ragioni della
liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo
dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti
dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe
essere destinatario di atti amministrativi inibitori
dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela
costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il
privato che ha presentato la SCIA, in quanto
l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che
legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in
particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario
dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le
esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può
comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le
proprie pretese.
---------------
... per la riforma della
sentenza 11.07.2015 n. 1114 del TAR Piemonte,
Torino, Sez. II.
...
1.– La questione all’esame del Collegio attiene alla natura
dei poteri che l’amministrazione può esercitare a seguito di
una azione proposta da un terzo leso da una attività posta
in essere da altro privato a seguito di segnalazione
certificata di inizio attività.
...
3.– Nel merito è necessario stabilire se è corretta
l’interpretazione, seguita dal primo giudice, secondo cui il
potere inibitorio dell’amministrazione, su denuncia del
terzo, può essere esercitato anche oltre il termine di
trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19 della legge
n. 241 del 1990.
4.– Il suddetto art. 19 dispone che l’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della sua
presentazione all’amministrazione competente.
Il comma 3 di prevede che l’amministrazione competente, in
caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti
per lo svolgimento dell’attività oggetto di SCIA, «nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni».
La stessa norma aggiungeva che: «è fatto comunque salvo
il potere dell'amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies 21-nonies» della stessa legge 241. Il comma
6-bis dispone che «nei casi di Scia in materia edilizia,
il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del
comma 3 è ridotto a trenta giorni».
Il comma 4 prevedeva che: «decorso il termine per
l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del
comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all'amministrazione è
consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente».
L’ art. 25, comma 1, lett. b-bis), del decreto-legge
12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla
legge 11.11.2014, n. 164, ha modificato quest’ultimo inciso,
disponendo che «è fatto comunque salvo il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni
in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies, nei casi di cui al comma 4 del presente articolo».
Il richiamato comma 4, anch’esso modificato, prevede che
decorso il termine per l’esercizio dei poteri inibitori «all’amministrazione
è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi
mediante conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente».
La legge n. 124 del 2015 ha nuovamente modificato il comma
4, disponendo che decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti inibitori «l'amministrazione competente
adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma
3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo
21-nonies». Quest’ultima norma è stata anch’essa
modificata dall’art. 6 della legge n. 124 del 2015, il quale
ha previsto che il provvedimento illegittimo «può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
Il comma 6-ter, introdotto dall’ art. 6, comma 1, lett. c),
del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla l. 14.09.2011, n. 148, dispone che: «La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
Il richiamo anche al terzo comma dell’art. 31 implica che il
giudice amministrativo «può pronunciare sulla fondatezza
della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di
attività vincolata o quando risulta che non residuano
ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non
sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere
compiuti dall’amministrazione».
5.– La non chiarezza del vigente quadro normativo ha posto
le questioni –non risolte dal legislatore (cfr. Consiglio di
Stato, comm. spec.,
parere 30.03.2016, n. 839)– relative al tempo
dell’azione esperibile dal terzo e al tipo di potere che il
terzo stesso può “sollecitare”.
In relazione al tempo, non è perfettamente adattabile lo
schema dell’azione avverso il silenzio inadempimento a
quella proposto dal terzo nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone
entro il termine di un anno dalla conclusione del
procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo
titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di
un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua
istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento
si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a
decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un
interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti
sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa.
Non è, pertanto, a conoscenza “diretta”
dell’andamento procedimentale della vicenda. Ne consegue che
il termine decorre da quando il terzo ha avuto piena
conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio
nella sua sfera giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo
orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene
che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare
all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche
nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o
sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene
preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la
condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che
devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela
amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame,
si connota in modo peculiare perché:
i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e
dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado”
che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di
“secondo grado”;
ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo,
ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che
potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò
diversamente da quanto accade in presenza di un “normale”
potere di autotutela che si connota per la sussistenza di
una discrezionalità che attiene non solo al contenuto
dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in
quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di
liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del
terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza
limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle
posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di
azione verrebbero frustrate le ragioni della
liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo
dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti
dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe
essere destinatario di atti amministrativi inibitori
dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela
costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il
privato che ha presentato la SCIA, in quanto
l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che
legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in
particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario
dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le
esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può
comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le
proprie pretese.
6.– Applicando le regole sopra esposte alla fattispecie
all’esame del Collegio ne discende la fondatezza
dell’appello.
L’appellante ha presentato la SCIA il 31.01.2014 e il terzo
ha diffidato l’amministrazione ad esercitare i propri poteri
il successivo 5 giugno. La fattispecie sostanziale si è,
pertanto, perfezionata prima dell’entrata in vigore del
decreto-legge n. 133 del 2014, con conseguente applicazione
della disciplina vigente in quel dato momento.
Chiarito ciò, la Sezione rileva come l’azione del terzo non
poteva ritenersi finalizzata alla sollecitazione di poteri
inibitori bensì di autotutela. Il primo giudice avrebbe,
pertanto, dovuto, alla luce del quadro normativo riportato,
qualificare correttamente l’azione e condannare
l’amministrazione ad iniziare il procedimento di “secondo
grado” finalizzato a stabilire la sussistenza dei
presupposti per l’adozione del provvedimento richiesto dal
terzo, senza valutare, in ragione della natura discrezionale
dell’attività, la fondatezza della pretesa azionata.
7.– Alla luce di quanto esposto, l’appello è fondato nei
limiti indicati, senza che sia necessario esaminare l’altro
motivo proposto.
8.– La fase esecutiva successiva a questo giudizio impone
all’amministrazione di dare esecuzione alla presente
sentenza mediante l’inizio di un procedimento di autotutela
amministrativa finalizzato a verificare non soltanto
l’asserita illegittimità dell’attività posta in essere
dall’appellante ma anche la sussistenza degli ulteriori
presupposti costituiti dalla sussistenza di un interesse
concreto e attuale all’esercizio dei poteri in esame e dalla
mancanza di un legittimo affidamento dell’appellante stesso.
9.– La particolarità dell’esito del presente giudizio che,
pur accogliendo l’appello, impone comunque
all’amministrazione di iniziare il procedimento di
autotutela, unitamente alla non chiarezza del complessivo
quadro normativo, giustifica l’integrale compensazione tra
le parti delle spese di entrambi i gradi giudizio (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 03.11.2016 n. 4610 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Edilizia, Scia contestabile ma solo entro 30 giorni.
Il Tar Marche: per interesse pubblico autotutela entro 18
mesi.
Nuovi limiti per l'impugnazione della Scia in edilizia. Alla
luce dei nuovi dettami normativi la documentazione della
Scia può essere contestata entro 30 giorni. Per motivi di
interesse pubblico il termine per agire in autotutela è di
18 mesi.
Questo è quanto si legge nella
sentenza
07.10.2016 n. 546
del TAR Marche in
merito alle tempistiche per l'impugnativa della
segnalazione certificata di inizio attività.
IL FATTO: venivano realizzati su un appezzamento
terriero degli immobili abusivi, realizzati
con Scia. Il confinante del soggetto
che aveva fatto i lavori sosteneva che il comune
dovesse procedere all'accertamento degli
abusi ed esercitare i suoi poteri repressivi.
I giudici, dopo aver accertato che il comune
aveva agito secondo le regole e che gli interventi
erano legittimi , ha spiegato che, in base
alle regole vigenti, erano scaduti i termini per
eventuali azioni. I giudici del Consiglio di stato
hanno ricordato che, in base all'articolo 19,
comma 3, della legge n. 241/1990, il comune
ha 30 giorni per fermare l'attività intrapresa
dopo il deposito della Scia se gli interventi non
rispettano quanto dichiarato nei documenti.
La Scia, sottolinea palazzo Spada, è un atto
privato perché riguarda attività liberalizzate,
quindi non è possibile l'impugnativa diretta. A
fronte di una Scia ritenuta illegittima, quindi,
i controinteressati possono
solamente sollecitare l'esercizio
dei poteri di controllo da
parte dell'amministrazione
competente, la quale è tenuta
a compiere le verifiche
necessarie al fine di accertare la legittimità
dell'attività o dell'intervento oggetto di denuncia
o segnalazione (art. 19, comma 6-ter,
legge n. 241/1990).
In altri termini, in base
alla normativa vigente, tre le ipotesi possibili,
a fronte di una segnalazione certificata di
inizio attività rispetto alla quale è decorso il
termine per l'esercizio, da parte dell'amministrazione, dei poteri inibitori «ordinari»:
esercizio di poteri di autotutela, esercizio di
poteri sanzionatori per dichiarazioni mendaci
ed esercizio dei poteri di vigilanza e inibitori
in materia urbanistica.
Il potere di autotutela deve intendersi come
potere sui generis, in quanto si differenzia
dalla consueta autotutela decisoria, non implicando
un'attività di secondo grado insistente
su un precedente provvedimento amministrativo,
e pur condividendo, con l'autotutela
classica, i presupposti e il procedimento. In
particolare, il ricorso all'autotutela (mediante
annullamento d'ufficio), sia classica sia sui
generis, può avvenire solamente in presenza
delle condizioni di cui all'articolo 21-nonies
della legge n. 241/1990 , ovvero sussistendo
le ragioni di interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte
dal decreto legge 12.09.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, sussiste uno sbarramento
temporale all'esercizio del potere di
autotutela, fissato in «18 mesi
dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione
o di attribuzione di vantaggi
economici»
(articolo ItaliaOggi del 14.10.2016
- tratto da www.centrostudicni.it).
---------------
MASSIMA
III.1. Ciò posto, reputa il Collegio che non sussiste
alcun silenzio inadempimento dell’Amministrazione rispetto
alla diffida del 27.11.2015, sia perché il Comune ha
ragionevolmente argomentato i motivi del proprio diniego
nella citata nota prot. 36505 del 21.12.2015, sia perché
quest’ultima non costituisce violazione o elusione
dell’obbligo di provvedere nel senso prospettato dal
ricorrente e ciò per le seguenti ragioni.
- Occorre in primo luogo precisare che con tale ultima
diffida il ricorrente ha richiesto all’Amministrazione, per
le opere indicate nelle segnalazioni/denunce n. 258/2013 e
n. 167/2014, l’esercizio dei poteri inibitori ex art. 19,
commi 3, 4, 6-bis della legge n. 241/1990, nonché di
autotutela ex art. 21-nonies della medesima legge, previe le
opportune e necessarie verifiche e imponendo, altresì,
l’attuazione dell’ordinanza dirigenziale n. 43442 del
10.12.2008; entro tali limiti, pertanto, va accertata la
sussistenza dell’obbligo di provvedere in capo al Comune di
Osimo.
- Come è noto, la nuova formulazione
dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, pur
prevedendo un regime dei poteri di intervento dell’autorità
pubblica modificato rispetto al passato, conferma il potere
dell’Amministrazione di inibire motivatamente l’attività
intrapresa con SCIA e rimuovere gli effetti dannosi in caso
di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui
al comma 1 del medesimo articolo, il tutto entro sessanta
giorni (trenta in materia edilizia).
Ciò che cambia è la natura di atto privato della
segnalazione certificata di inizio di attività, trattandosi
di attività ormai liberalizzata, dal che consegue
l’affermazione circa la “non impugnabilità” diretta
della SCIA (art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990).
A fronte di una SCIA ritenuta illegittima, quindi, i
controinteressati possono solamente sollecitare l’esercizio
dei poteri di controllo da parte dell’Amministrazione
competente, la quale è tenuta a compiere le verifiche
necessarie al fine di accertare la legittimità dell’attività
o dell’intervento oggetto di denuncia o segnalazione (art.
19, comma 6-ter, cit.).
Inoltre, “decorso il termine per l'adozione dei
provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di
cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta
comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in
presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”
(art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990).
In altri termini, in base alla normativa
vigente, sono tre le ipotesi possibili, a fronte di una
segnalazione certificata di inizio di attività rispetto alla
quale è decorso il termine per l’esercizio, da parte
dell’Amministrazione, dei poteri inibitori “ordinari”:
esercizio di poteri di autotutela (art. 21-nonies della
legge n. 241/1990); esercizio di poteri sanzionatori per
dichiarazioni mendaci (art. 19, comma 3, seconda parte e
art. 21, comma 1, della legge n. 241/1990); esercizio dei
poteri di vigilanza e inibitori in materia urbanistica (art.
19, comma 6-bis, e art. 21, comma 2, della legge n.
241/1990).
- Il potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 4 cit. deve intendersi come potere
sui generis, in quanto si differenzia dalla consueta
autotutela decisoria, non implicando un’attività di secondo
grado insistente su un precedente provvedimento
amministrativo, e pur condividendo, con l’autotutela
classica, i presupposti e il procedimento
(TAR Bolzano-Trentino-Alto Adige, sez. I, 18.07.2016, n.
233; TAR Firenze–Toscana, sez. III, 08.06.2016, n. 960).
In particolare, il ricorso all’autotutela
(mediante annullamento d’ufficio) -sia classica che sui
generis- può avvenire solamente in presenza delle
condizioni di cui all’art. 21-nonies della legge n.
241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte dal
decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164,
sussiste uno sbarramento temporale all’esercizio del
potere di autotutela, fissato in “diciotto mesi dal
momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o
di attribuzione di vantaggi economici”. Il Consiglio di
Stato ha già avuto modo di chiarire che, pur se tale norma
non sia applicabile ratione temporis, in ogni caso,
essa rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del
sistema degli interessi rilevanti
(Consiglio di Stato, sez. VI, 10.12.2015, n. 5625 e
31.08.2016, n. 3762).
- Oltre ai limiti legislativamente fissati,
il ricorso all’autotutela incontra l’ulteriore limite della
discrezionalità amministrativa.
Anche a seguito della riforma dell’art. 19
della legge n. 241/1990, le regole cui è assoggettato il
potere amministrativo di controllo e di
inibizione-conformazione, decorsi sessanta (o trenta) giorni
dalla presentazione della SCIA, sono sempre e comunque
quelle di cui al primo comma dell’art. 21-nonies; ciò in
quanto il potere inibitorio originario è comunque esaurito
per decorso del termine di legge, sicché detto potere -sia
che riviva per effetto dell’autonoma iniziativa
dell’Amministrazione, sia che riviva per effetto dell’azione
sollecitatoria del terzo e, quindi, del giudice
amministrativo- resta nella sfera di disponibilità
dell’Amministrazione solo a particolari condizioni
(TAR Napoli-Campania, sez. IV, 05.04.2016, n. 1658).
- Facendo applicazione, al caso in esame, dei suesposti
principi, se ne ricava l’infondatezza delle censure con cui
il ricorrente lamenta l’elusione dell’obbligo di provvedere
ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 con
riferimento alla nota prot. 36505 del 21.12.2015, dal
momento che tale obbligo, per i motivi innanzi detti, non
sussiste in capo all’Amministrazione e può essere esercitato
solo in presenza di determinate condizioni.
- Non può dirsi neppure che il Comune di Osimo abbia violato
o eluso l’obbligo di provvedere rispetto all’esercizio dei
poteri inibitori sine die previsti per il caso di
dichiarazioni false o mendaci oppure rispetto all’esercizio
dei poteri sanzionatori conseguenti alla vigilanza
sull’attività edilizia, di cui all’art. 21, comma 2, della
legge n. 241/1990.
Si osserva, infatti, che le incompletezze e le incongruità
segnalate dal ricorrente nella diffida del 27.11.2015
rispetto alle segnalazioni n. 258/2013 e n. 167/2014 non
sono tali da determinare una falsa rappresentazione della
realtà o da trarre in inganno l’Amministrazione;
quest’ultima, invece, da un semplice raffronto tra la
documentazione già in suo possesso e la documentazione
allegata alle segnalazioni certificate di inizio attività di
cui si discute, avrebbe potuto agevolmente cogliere sin nei
primi trenta giorni dalla loro presentazione, le lamentate
difformità e omissioni, tanto più che esse attengono, per lo
più, a profili di tipo formale o documentale.
In particolare, le asserite incompletezze relative alla SCIA
n. 258/2013 potevano essere riscontrate dal raffronto tra la
tavola n. 3 allegata alla domanda di permesso di costruire
n. 42/2007 e la tavola unica allegata alla stessa SCIA n.
258/2013, entrambe in possesso dell’Amministrazione.
Analogamente, le incompletezze rilevate dal ricorrente
riguardo alla SCIA n. 167/2014 sono relative all’omessa
menzione di atti anch’essi già in possesso
dell’Amministrazione o addirittura adottati dallo stesso
Comune di Osimo, nonché di prescrizioni edilizie e
regolamentari la cui eventuale violazione poteva essere
comunque verificata dall’Ente sulla base della
documentazione prodotta; del pari, l’omessa indicazione,
nella tavola unica allegata alla suddetta SCIA n. 167/2014,
della distanza del fabbricato dalla strada privata, era
verificabile dal Comune, in quanto già indicata nella tavola
unica allegata alla SCIA n. 258/2013.
Né il ricorrente, nella propria diffida, ha allegato atti,
fatti o circostanze ulteriori su cui l’Amministrazione
avrebbe potuto aprire una nuova istruttoria, essendosi
limitato a riproporre le medesime questioni su cui già più
volte il Comune di Osimo aveva provveduto a dare risposta e
fatte oggetto di precedenti contenziosi.
III.2. In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto. |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario
unico spiegherà l'iter per ogni intervento.
Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto
Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee
e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E
che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario
per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl
40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati
sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione
asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al
restauro e al risanamento conservativo che non riguardano
parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia
(Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia
con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i
procedimenti relativi alla certificazione di agibilità,
prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di
agibilità.
E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia
2”
(Atto
del Governo n. 322 - Schema di decreto
legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto
di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e
definizione dei regimi amministrativi applicabili a
determinate attività e procedimenti),
già varato in via preliminare dal consiglio dei
ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il
parere
04.08.2016 n.1784.
Si tratta di
uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a
completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”),
ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28
luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove
il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la
disciplina generale applicabile alle attività private non
soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a
Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di
decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una
ricognizione delle attività private nei settori
dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo
viene data piena attuazione alla legge delega di riforma
della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei
procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso,
autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo
le novità più rilevanti.
Glossario unico.
L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce
l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in
materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A
tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle
infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico».
Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul
proprio sito web un glossario che consenta l'immediata
individuazione della tipologia dell'intervento e del
conseguente regime giuridico, indicando i documenti
necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha
evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio
sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio.
Viene abolita la
Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010,
che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori
e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto,
osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non
liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i
quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso
l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo
un regime a metà strada tra l'attività completamente libera
e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli
interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva
all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della
comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di
allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo
per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono
quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa
assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito
tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e
il risanamento conservativo che non riguardi parti
strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia
in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una
Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di
stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto
terminologica, già in parte realizzata a livello regionale,
onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni
valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale».
Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al
certificato di agibilità, prevedendo un'apposita
segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi
basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza
adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono
la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi
assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali
è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in
alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi
quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le
ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto
sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria
forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di
Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni
casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle
altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità
ovvero Cila incompleta o irregolare)
(articolo ItaliaOggi del 09.08.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di
regolamento in tema di individuazione dei procedimenti
oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio-assenso e
comunicazione.
I punti principali del parere del Consiglio
di Stato sullo schema di “decreto scia”.
Consiglio di Stato, Commissione speciale,
parere 04.08.2016 n. 1784, reso sullo "Schema
di decreto legislativo in materia di individuazione di
procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione
certificata di inizio attività (Scia), silenzio-assenso e
comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi
applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124".
1. La delega
Lo schema di decreto sottoposto all’esame costituisce
attuazione della delega conferita dell’articolo 5 della
legge 07.08.2015, n. 124 per la precisa individuazione
dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di
inizio attività o di silenzio assenso, ai sensi degli
articoli 19 e 20 della legge 07.08.1990, n. 241, nonché
di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa
e di quelli per i quali è sufficiente una comunicazione
preventiva, sulla base dei principi e criteri direttivi
desumibili dagli stessi articoli, dei principi del diritto
dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di
servizi e dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.
La seconda parte di tale delega, concernente la disciplina
generale della segnalazione certificata di inizio attività,
era già stata attuata con il decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. L’art. 1, comma 2 di detto provvedimento
stabilisce che “Con successivi decreti legislativi, ai sensi
e in attuazione della delega di cui all’articolo 5 della
legge n. 124 del 2015, sono individuate le attività oggetto
di procedimento di mera comunicazione o segnalazione
certificata di inizio di attività (di seguito «SCIA») od
oggetto di silenzio-assenso, nonché quelle per le quali è
necessario il titolo espresso. Allo scopo di garantire
certezza sui regimi applicabili alle attività private e di
salvaguardare la libertà di iniziativa economica, le
attività private non espressamente individuate ai sensi dei
medesimi decreti o specificamente oggetto di disciplina da
parte della normativa europea, statale e regionale, sono
libere”.
2. L’oggetto del decreto legislativo
Lo schema di decreto si compone di 6 articoli e
dell’allegata tabella A.
Il testo compie una duplice opera di semplificazione: in
primo luogo introducendo regimi meno restrittivi in tali
materie; in secondo luogo dando attuazione alla
concentrazione dei regimi di cui all’art. 19-bis della legge
n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. c)
del decreto legislativo n. 126 del 2016.
Il rapporto tra la tabella e il testo è regolato dall’art. 2
del presente decreto, il quale stabilisce le corrispondenze
tra le previsioni tabellari e la disciplina normativa
applicabile, nonché l’applicazione dell’art. 19-bis della
legge n. 241 del 1990 alle ipotesi in cui per lo svolgimento
dell’attività siano necessari diversi atti di assenso,
segnalazioni o comunicazioni.
La tabella effettua una ricognizione della disciplina delle
attività private in materia di edilizia, ambiente e
commercio, distinguendo tra SCIA, SCIA unica, comunicazione,
autorizzazione ed eventuale silenzio-assenso.
3. Le questioni generali
Le questioni ancora aperte
Il decreto, inoltre, non risolve alcune criticità relative
al raccordo con la legge 241 del 1990, in particolare: quale
sia la decorrenza del termine di diciotto mesi previsto
dall’art. 21-nonies, comma 1; se il limite temporale massimo
di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi anche
all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci
ex art. 21, comma 1; quale sia la esatta delimitazione della
fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art.
21-nonies, comma 2-bis. Il Consiglio di Stato suggerisce,
pertanto, al Governo di intervenire su tali punti.
Si osserva, altresì, come risulta ancora non esercitata
un’ultima parte della delega: quella relativa alla
disciplina generale del silenzio assenso e della
comunicazione preventiva, di cui alla parte finale del comma
1 dell’articolo 5 della legge n. 124 del 2015.
I problemi affrontati e le relative soluzioni
Il decreto mira a risolvere i seguenti problemi:
- difficoltà a comprendere, da parte degli operatori
economici, le modalità di svolgimento del procedimento
amministrativo per l’inizio di un’attività, con particolare
riferimento agli adempimenti a carico del richiedente e di
quelli a carico della PA;
- scarsa certezza del diritto dovuta alla mancanza di un
quadro di regole chiare, tassative e comprensibili per gli
operatori chiamati ad applicarle;
- sdoppiamenti procedurali e oneri non previsti;
- esistenza di regimi differenziati da Regione a Regione;
- mancata attuazione delle direttive e dei principi
comunitari;
- molteplicità di atti presupposti che hanno vanificato la
Scia;
- ambiguità ancora esistenti nel regime della SCIA.
Le soluzioni si articolano su quattro piani:
3.1 La semplificazione normativa
3.2 La fase attuativa della riforma: centralità di
monitoraggio e VIR
3.3 Concentrazione dei regimi amministrativi
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia, ambiente,
commercio
3.1 La semplificazione normativa
La scelta del legislatore delegato nella complessa opera di
individuazione dei procedimenti di regolazione delle
attività economiche private è stata quella di demandare a
una tabella l’elencazione di quattro elementi:
a) tipo di attività, attraverso specificazioni progressive;
b) regime amministrativo;
c) concentrazione di regimi amministrativi;
d) riferimenti normativi.
Il Consiglio di Stato commenta favorevolmente la innovativa
tecnica utilizzata, che unisce esigenze di
riordino/codificazione a esigenze di semplificazione
sostanziale delle materie interessate, che definisce una
tecnica di “codificazione soft”. Benché non appartenga
letteralmente alla classe dei testi unici e non copra tutte
le materie, il provvedimento in esame realizza una raccolta
di tutte le discipline vigenti dell’attività privata nei
settori interessati.
È sempre più forte, tanto a livello
scientifico quanto nella pubblica opinione, il convincimento
che l’unificazione “orizzontale” della legislazione vigente
sia il principale strumento per reagire all’abnorme aumento
del carico normativo, imposto da una società sempre più
complessa e dall’avvento di cambiamenti strutturali che non
possono restare senza regolazione.
Il parere sottolinea come
il censimento effettuato attraverso la tabella e il rapporto
tabella/testo, in cui le norme si adattano al contenuto
della tabella e ne garantiscono l’inserimento nel sistema,
non ha solo il merito di contribuire a dare certezza del
diritto, ma anche quello di semplificare e liberalizzare,
laddove possibile.
Si rileva, invece, criticamente, l’assenza di una effettiva
Analisi di impatto della regolazione, con adeguato supporto
di dati quantitativi: tale carenza, però, potrà essere
effettuata in progress.
3.2 La fase attuativa della riforma:
centralità di monitoraggio e VIR
In più occasioni nell’esame della riforma Madia il Consiglio
di Stato ha sottolineato la rilevanza cruciale della fase
attuativa di un intervento che mira a un cambiamento
profondo nell’amministrazione pubblica del Paese. Strumento
essenziale di tale fase è il monitoraggio, del funzionamento
delle norme, volto a verificarne l’idoneità a perseguire gli
obiettivi fissati dalla legge: ciò rende necessaria anche
una verifica di impatto successiva all’entrata in vigore
delle nuove norme (VIR).
Il parere individua sul piano tecnico-normativo quattro
profili da osservare con grande attenzione:
- la possibilità di limitare o ampliare le semplificazioni
previste nella tabella attraverso meri atti amministrativi;
- l’aggiornamento della tabella in relazione alle
disposizioni legislative intervenute successivamente o alla
necessità di completare la ricognizione delle attività;
- la regolazione di nuove attività, in particolare nel
commercio, che, altrimenti, sarebbero libere, ai sensi
dell’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30.06.2016,
n. 126.
- l’analisi della fattibilità dei regimi di semplificazione
introdotti.
Il Consiglio di Stato raccomanda di considerare
l’individuazione e l’inquadramento giuridico delle attività
private come un work in progress, sensibile, oltre che alle
novità normative, ai mutamenti reali, pertanto destinato ad
essere rivisto ed implementato continuativamente.
3.3 Concentrazione dei regimi
amministrativi
Il Consiglio di Stato rileva con favore che il Governo,
dando seguito al suo precedente parere (n. 839, sulla cd.
SCIA 1), ha optato per un modello di “concentrazione
procedimentale”, disciplinandolo al massimo livello,
introducendo un art. 19-bis alla l. n. 241, tramite il
d.lgs. n. 126 del 30.06.2016.
Il presente parere analizza approfonditamente il rapporto
tra l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e i commi 2 e 3
del successivo art. 19-bis, che introduce la concentrazione
dei regimi amministrativi rispettivamente per le ipotesi di:
- attività che necessitano di altre SCIA, comunicazioni,
attestazioni, asseverazioni e notifiche (cd. SCIA unica);
- attività in cui si innestano sul modello della SCIA anche
provvedimenti propedeutici (atti di assenso comunque
denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni,
ovvero verifiche preventive).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto di distinguere nettamente
le due fattispecie di cui all’art. 19-bis, il cui unico
elemento comune è dato dall’integrazione della SCIA con
altre fattispecie legittimanti.
La SCIA unica di cui all’art. 19-bis, comma 2, è in rapporto
di specialità unilaterale per aggiunta con la SCIA pura e ad
essa si applica la disciplina di cui all’art. 19.
La figura (da non confondere con la precedente SCIA unica)
di cui all’art. 19-bis, comma 3, è invece sui generis,
poiché il meccanismo della SCIA (e, quindi, il riferimento
all’art. 19) vale soltanto all’inizio del procedimento,
ossia nella fase di presentazione della SCIA, e nella sua
fase finale, ovvero una volta ottenute tutti gli atti di
assenso, da conseguire tramite conferenza di servizi. Tra
questi due momenti, si inserisce un regime provvedimentale
tradizionale.
Nel parere si invita il Governo a chiarire che, quando nella
tabella si fa riferimento alla SCIA unica, si intende la
fattispecie di cui all’art. 19-bis, comma 2, e quale sia
allora l’ambito di applicazione dell’art. 19-bis, comma 3. Va
anche chiarito il regime delle cd. “autorizzazioni plurime”,
in cui occorrono più autorizzazioni ma non vi è alcun
elemento procedimentale della SCIA.
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia,
ambiente, commercio
Un sistema di titoli edilizi semplificato: rapporti tra CILA,
SCIA e SCIA edilizia
Il parere si sofferma sul nuovo sistema dei titoli edilizi,
articolato su cinque livelli (invece dei sette attuali): 1)
interventi in attività edilizia libera, senza adempimenti;
2) interventi in attività libera, ma che richiedono la CILA;
3) interventi assoggettati a SCIA; 4) interventi
assoggettati a permesso di costruire; 5) interventi per i
quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire
in alternativa alla SCIA.
Il nuovo sistema è caratterizzato dalla centralità della
CILA, ragion per cui il Consiglio di Stato suggerisce la
costruzione di una norma di carattere generale relativa
all’istituto, che, da un lato ne evidenzi la linea di
continuità con il modello teorico rappresentato dalla SCIA,
dall’altro individui i tratti innovativi della disciplina,
con particolare riferimento ai poteri sanzionatori,
distinguendo le ipotesi di irregolarità (CILA mancante,
incompleta o irregolare, ovvero lavori eseguiti in
difformità), da quella di abusi edilizi (opere eseguite in
regime di CILA invece che di permesso di costruire o di
SCIA).
Ulteriore raccomandazione riguarda il coordinamento tra SCIA
edilizia e SCIA ordinaria: non si è in presenza di due
fattispecie diverse, ma dell’applicazione di un modello
unico (quello della SCIA) anche alla materia edilizia.
La questione degli abusi edilizi
Sugli abusi edilizi, va chiarito che, nei casi in cui
un’opera che avrebbe richiesto un permesso di costruire o
una SCIA è stata eseguita dall’interessato sotto il regime
di CILA, l’abuso non viene sanato con le sanzioni relative
alla CILA.
Diverso è il caso in cui l’opera abusiva sia stata oggetto
di SCIA e non di CILA: in tal caso, salvo espressa
disposizione del legislatore, non si ravvisano ragioni per
non applicare integralmente il regime dell’art. 19 della l.
n. 241, ivi compreso il riferimento al meccanismo dell’art.
21-nonies.
La rilevanza del glossario unico in materia
edilizia
Tra gli elementi di semplificazione burocratica introdotti
appare meritevole di segnalazione la previsione di un
glossario unico, che costituirà il parametro di riferimento
per l’attività di cittadini ed imprese in questo settore,
caratterizzato spesso da oscurità ed eccesso di tecnicismo.
Al riguardo il Consiglio di Stato raccomanda una maggiore
definizione sul piano dei contenuti e la fissazione di un
termine breve per la sua adozione, con integrale superamento
di tutti gli eventuali glossari transitori approvati in sede
locale.
La riforma della bonifica ambientale
In materia di ambiente, il Consiglio di Stato apprezza la
nuova disciplina della bonifica volontaria da parte del
soggetto estraneo alla contaminazione, evidenziandone le
esternalità positive sul ciclo economico e invitando, anzi,
il legislatore a intervenire per incentivare il ricorso a
tale istituto, incoraggiandone l’uso da parte degli
interessati.
I margini di ulteriore semplificazione in materia
di commercio
In materia di commercio l’intervento appare piuttosto
limitato, residuando sensibili margini di semplificazione,
pur considerando che tale materia è spesso coinvolta da
importanti profili di discrezionalità amministrativa.
4. Le materie non contemplate nel decreto:
l’invito a proseguire con i decreti correttivi e
integrativi. Le attività “libere”
Il decreto riguarda solo le materie dell’edilizia,
dell’ambiente, del commercio, della pubblica sicurezza
(materia, quest’ultima, che però non è oggetto della
individuazione dei procedimenti di cui alla Tabella A),
mentre la delega copre l’intero ordinamento delle funzioni
amministrative.
Premesso che il completamento dell’operazione non può che
avvenire con fonte primaria, il Consiglio di Stato invita il
Governo a non interrompere l’opera di ricognizione della
disciplina degli altri settori di attività private,
specialmente quelle oggetto di libertà di iniziativa
economica, considerando l’importanza di un progressivo
completamento della riforma tramite decreti integrativi e
correttivi, entro dodici mesi dalla entrata in vigore dello
schema in esame, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge
delega.
Medio tempore, per prevenire incertezze applicative, il
parere fornisce un’interpretazione chiarificatrice del
citato art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. Tale clausola di chiusura è applicabile ai
(soli) settori oggetto del decreto e non anche ai settori
rimasti al di fuori di tale opera di riordino.
Resta invece fermo che, nei tre settori interessati dalla
tabella A (“Commercio”, “Edilizia” e “Ambiente”), salvo
interventi correttivi, le attività non comprese nella
tabella medesima devono considerarsi effettivamente
“libere”.
5. Le questioni particolari
In materia edilizia si chiede al Governo la delimitazione
del potere delle Amministrazioni di escludere regimi di
semplificazione nelle zone di particolare pregio
archeologico, storico, artistico e paesaggistico, o di
ridurre il novero delle attività “libere”, poiché
considerate assimilabili a quelle previste dalla tabella.
In materia di ambiente si rimarca la doverosità
dell’intervento di bonifica, una volta che l’interessato
abbia attivato la procedura all’uopo prevista.
In materia di commercio, il parere rileva come la
classificazione delle attività contenuta nella tabella
risenta di un’impostazione giuridico-formale, che origina
dall’inquadramento di cui al d.lgs. n. 114/1998. Ciò implica
la possibilità che le nuove attività, generate dal mercato,
sfuggano a questa classificazione, ricadendo nella norma di
chiusura contemplata dall’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo 30.06.2016, n. 126.
Il parere si conclude con alcuni rilievi, formali e
sostanziali, sulle indicazioni contenute nella tabella A
(commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Comune ha violato le garanzie previste
dall’art. 19, comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza
di una s.c.i.a. illegittima, consente certamente
all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine
perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia)
previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il
procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere
di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi
e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili
di illegittimità dell’attività assentita per effetto della
s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi
in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e,
comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a
sostegno del provvedimento repressivo.
Invero, la d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento
espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione
legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di
autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate
dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.
Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto dalla legge
per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve
considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento
repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le
garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21-nonies l. n.
241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio.
---------------
Con ricorso, integrato da motivi aggiunti, la società
ricorrente ha impugnato gli atti con i quali il Comune di
Venezia ha rimosso in autotutela gli effetti legittimanti
della s.c.i.a. presentata, in data 18.03.2015, in relazione
all'attività di affittacamere esercitata in Venezia, Via...
n. ..., e le ha intimato la chiusura dell’attività
ricettiva.
Resiste il Comune di Venezia contrastando le avverse
pretese.
Il ricorso e i motivi aggiunti meritano accoglimento per una
duplice e assorbente ragione.
In primo luogo perché gli atti impugnati, ovvero il
cd. annullamento in autotutela della s.c.i.a. e la
successiva diffida alla chiusura dell’attività di
affittacamere, diversamente da quanto sostenuto dal Comune
nei propri scritti difensivi, non appaiono fondati sui
verbali di accertamento conseguenti ai sopralluoghi
effettuati dalla Polizia Municipale in data 9 luglio e
26.11.2015 (neppure menzionati nei provvedimenti impugnati),
bensì su violazioni minori, molte delle quali risalenti al
2007.
Vi è dunque una sfasatura tra la struttura argomentativa dei
provvedimenti impugnati, che non risultano incentrati sulle
violazioni riscontrate dalla Polizia Municipale in data 9
luglio e 26.11.2015, e le difese svolte in giudizio
dall’Ente Locale, che cercano di giustificare l’operato del
Comune richiamando le violazioni accertate in esito a tali
sopralluoghi.
In secondo luogo -e il rilievo è dirimente, comunque
s’interpretino i provvedimenti impugnati- perché l’atto del
05.02.2016, che ha rimosso in autotutela gli effetti
legittimanti della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente il
18.03.2015, non contiene una puntuale e specifica
motivazione in ordine alle ragioni d’interesse pubblico,
attuale e concreto, diverse dal ripristino della legalità
violata, poste a fondamento dell’esercizio del potere di
autotutela decisoria.
Il Comune ha violato le garanzie previste dall’art. 19,
comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza di una
s.c.i.a. illegittima, consente certamente
all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine
perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia)
previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il
procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere
di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi
e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili
di illegittimità dell’attività assentita per effetto della
s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi
in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e,
comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a
sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per
l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile quoad effectum al rilascio del
provvedimento espresso), che può essere rimosso, per
espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio
del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle
prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n.
241/1990. Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto
dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi
presupposti, deve considerarsi illegittima l’adozione di un
provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela
adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti
dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990 per l’esercizio del
potere di annullamento d’ufficio (cfr., in questi termini,
Cons. Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780; TAR Lazio-Roma,
08.01.2015, n. 192; TAR Veneto, Sez. III, 10.09.2015, n.
958).
All’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti consegue
l’annullamento degli atti impugnati (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 26.07.2016 n. 893 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni
thrilling. Inibitoria anche con Dia-Scia
consolidata. Il Tar Lombardia accoglie il
ricorso di un proprietario di immobile.
Anche se la Dia-Scia per i lavori si è
consolidata, il vicino di casa può sempre
ottenere l'inibitoria sul progetto di
ristrutturazione della costruzione contigua
alla sua se ha agito entro 60 giorni dal
momento in cui si è reso conto che il titolo
edilizio del confinante risulta viziato,
dopo essersi procurato le relativa pratiche.
È quanto emerge dalla
sentenza 15.04.2016 n. 735,
pubblicata dalla II Sez. del TAR Lombardia.
Lesione e consapevolezza.
Accolto il ricorso del proprietario
dell'immobile preoccupato per le intenzioni
del vicino, che punta ad abbattere e
ricostruire un fabbricato. Secondo il
confinante il progetto contiene violazioni
alle norme sulle distanze minime tra
fabbricati oltre che delle stesse
disposizioni urbanistiche.
Per il Comune, invece, niente da segnalare:
«decorsi i termini a seguito della
presentazione della documentazione
integrativa», spiega l'ufficio tecnico,
la Dia-Scia ha ormai consolidato i suoi
effetti. E invece no, perché è l'articolo
19, comma 6-ter, legge 241/1990 a imporre
all'amministrazione anzitutto di riscontrare
l'istanza che proviene dal terzo titolare di
un situazione giuridica differenziata, come
è il vicino di casa che vuole bloccare il
lavori.
Ma soprattutto il Comune deve anche bloccare
l'opera se risulta che il confinante ha
comunque agito entro sessanta giorni da
quando ha avuto notizia dei profili lesivi
dell'intervento: altrimenti il terzo
subirebbe una diminuzione della tutela
accordatagli rispetto a chi sia leso da un
permesso di costruire.
Canale unico.
È vero, il riferimento ai 60 giorni di tempo
non risulta dal comma 3-bis dell'articolo 19
della legge sulla trasparenza: si tratta di
un'interpretazione sistematica perché la
diffida prevista dalla norma costituisce
l'unico «canale» percorribile
dall'interessato al fine di ottenere la
tutela dal giudice in un secondo momento.
Obbligo di motivazione.
E se invece sono passati più di due mesi? Il
terzo può sempre chiedere all'ente locale di
agire in autotutela. Anche in questo caso
l'amministrazione è tenuta a pronunciarsi
sull'istanza del confinante spiegando i
motivi per i quali non intende esercitare il
potere di «rimangiarsi» il nulla osta
all'opera «incriminata».
Spese di giudizio compensate per la novità
della questione (articolo ItaliaOggi
Sette del 13.06.2016).
---------------
MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si
rende necessario chiarire la portata delle
previsioni normative rilevanti nel presente
giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le
mosse proprio dalla sentenza di questa
Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto
conclusioni che il Collegio condivide e
ritiene di dover ribadire, e che tuttavia
non conducono all’esito sostenuto dal
controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività,
secondo quanto autorevolmente chiarito,
ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, “non
è un provvedimento amministrativo a
formazione tacita e non dà luogo in ogni
caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a
comunicare l’intenzione di intraprendere
un’attività direttamente ammessa dalla legge”
(Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione,
questa, che ha poi trovato piena conferma da
parte del legislatore, posto che l’attuale
articolo 19, comma 6-ter, primo periodo
della legge n. 241 del 1990 –introdotto
dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del
decreto legge 13.08.2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge
14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente
che “La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia
e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo
il decorso del termine normativamente
previsto per l’esercizio delle verifiche da
parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che,
una volta che il terzo sia venuto a
conoscenza del titolo, ormai consolidatosi
per mancato esercizio dei poteri inibitori,
lo stesso terzo disponga di sessanta giorni
di tempo per proporre impugnazione
giurisdizionale. E’ vero infatti che la
sussistenza, in tale ipotesi, di un atto
impugnabile era stata autorevolmente
sostenuta, sulla base del quadro normativo
allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15
del 2011, che aveva ravvisato un
provvedimento suscettibile di tutela
giurisdizionale demolitoria nel diniego
tacito di esercizio del potere inibitorio.
Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta
l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla
luce delle successive novità legislative e,
in particolare, di quanto ora disposto dal
richiamato articolo 19, comma 6-ter, della
legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “(...)
Gli interessati possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui
all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Previsione, questa, che come evidenziato
dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta
sostanzialmente l’impugnazione diretta della
DIA o della SCIA –non costituenti
provvedimenti amministrativi, neppure
impliciti– ma consente la sola tutela
giurisdizionale secondo il citato meccanismo
di cui all’art. 31”
(TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n.
126).
9. In tale quadro si colloca il tema della
tutela del soggetto che alleghi di essere
stato leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del
2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti
all’amministrazione nei confronti degli
interventi oggetto di una denuncia di inizio
di attività vanno esercitati entro il
termine normativamente prescritto, decorso
il quale il “consolidarsi” della
d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità
per il Comune di intervenire, se non
nell’esercizio dei poteri di autotutela
(Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai
pieno riscontro nell’attuale previsione del
comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990, come sostituito dall'articolo 6,
comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n.
124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio
del controllo sulla denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, “l'amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo
21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì
inapplicabile ratione temporis nel
presente giudizio, ma che ha sostanzialmente
codificato gli esiti del dibattito
giurisprudenziale sul punto. E ciò anche
avuto riguardo alla natura dei poteri
esercitati dall’amministrazione in
quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di
tipo inibitorio, ma subordinatamente al
riscontro dei presupposti per l’intervento
in autotutela (in coerenza con quanto già da
tempo autorevolmente chiarito da Cons.
Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n.
2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da
ritenere doveroso, e non soggetto al
ricorrere dei presupposti propri del potere
di autotutela, laddove la carenza dei
presupposti della d.i.a. sia denunciata dal
terzo, titolare di una posizione giuridica
qualificata e differenziata, ai sensi del
richiamato comma 6-ter del medesimo articolo
19.
E ciò
–come già affermato nella sentenza
richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore testuale
della previsione normativa richiamata a non
fare alcun riferimento al decorso del
termine per il “consolidarsi” della
denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato
nella sentenza n. 2799 del 2014– “laddove
dovesse ritenersi che il terzo, venuto a
conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del
termine per il compimento delle verifiche,
non possa chiedere l’esercizio dei poteri
inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei
confronti della tutela offerta
dall’ordinamento nei confronti di tale
soggetto.”
Questi, infatti, da un lato non disporrebbe
di alcun provvedimento impugnabile
(ostandovi il chiaro tenore del richiamato
comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro,
potrebbe solo invocare l’intervento in
autotutela, che è però esercitabile solo in
presenza di precisi presupposti, ulteriori
rispetto al mero riscontro
dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di
questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata
condivisa e ribadita da numerose successive
pronunce di primo grado (TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR
Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n.
1039).
In particolare, la giurisprudenza ha
evidenziato che “Una
tale interpretazione appare peraltro
obbligata secondo una lettura
costituzionalmente orientata delle norme
alla luce dei principi di pienezza ed
effettività della tutela giurisdizionale
sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti
giustificabile, rispetto all’intento di
garantire una tendenziale stabilità ai
titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio
che verrebbe imposto al diritto di azione
del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la
denuncia e la dichiarazione di inizio
attività costituiscano provvedimenti taciti
direttamente impugnabili, ammettendo solo
che i terzi interessati possano sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il
silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio
a tutela della propria sfera giuridica,
quando l’intervento di verifica risulti
dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse
differenziato e qualificato, il divieto di
prosecuzione dell’attività o l’inibitoria
deve potersi svolgere in modo pieno e senza
i limiti propri dell’autotutela avviata
d’ufficio.”
(così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui
accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone
all’amministrazione di esercitare pieni
poteri inibitori della denuncia di inizio di
attività, anche dopo il “consolidarsi”
del titolo edilizio, qualora sia a ciò
sollecitata da un terzo titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, occorre chiedersi se tale
soggetto possa sollecitare in qualunque
momento l’intervento dell’amministrazione
stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro
un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata
affrontata, sia pure sinteticamente, nella
richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come
correttamente rilevato, nel presente
giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato
esplicitamente evidenziato che il terzo che
si assumeva leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata dal confinante si era
rivolto all’amministrazione entro sessanta
giorni dal momento in cui, accedendo agli
atti della pratica edilizia, aveva preso
piena conoscenza del contenuto della d.i.a.
e delle esatte caratteristiche
dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente
ritenuto rilevante la circostanza che
l’istanza volta a provocare l’esercizio del
potere inibitorio fosse intervenuta entro il
suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta
pronuncia al momento della presentazione
dell’istanza rivolta all’amministrazione non
è stato condiviso da un altro orientamento
giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il
terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.)
potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo
all’amministrazione, e ottenere comunque il
pieno esercizio dei poteri inibitori, senza
necessità del riscontro dei presupposti
propri dell’autotutela (in questo senso: TAR
Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia
sulla base del tenore testuale del comma
3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990 –il quale non indica testualmente
alcun limite temporale per la diffida
diretta all’amministrazione– sia in
considerazione della circostanza che la
possibilità di un intervento “a tutto
campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in
presenza di una sollecitazione proveniente
da un terzo che si assuma pregiudicato
dall’intervento, dovrebbe ritenersi
giustificata dalla natura stessa
dell’istituto, che non dà luogo alla
formazione di un provvedimento
amministrativo e si basa sulla
responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali
considerazioni possano essere condivise
soltanto in parte, come meglio si illustrerà
nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in
questa sede l’orientamento già espresso
–anche in relazione al profilo inerente ai
termini per la sollecitazione dei poteri
inibitori–
dalla sentenza della Sezione n. 2799 del
2014. E’ infatti da ritenere che le
conclusioni raggiunte, sul punto, dalla
pronuncia richiamata siano necessitate, alla
stregua dell’interpretazione sistematica e
–ancora una volta– costituzionalmente
orientata del dato normativo, costituito
dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge
n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve
necessariamente tenere conto della
circostanza che l’intera disciplina della
denuncia di inizio di attività, fino ai più
recenti interventi normativi (in parte
successivi alla formazione dei titoli
oggetto del presente giudizio, ma comunque
rilevanti ai fini interpretativi e
ricostruttivi del sistema), risulta
chiaramente ispirata dalla finalità di
coniugare l’esigenza di incentrare il
fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità
del privato con quella di assicurare
comunque una sostanziale stabilità del
titolo edilizio –analoga a quella propria
del permesso di costruire– dopo il decorso
del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario
–come sopra detto–
assicurare al terzo la possibilità di
ottenere piena tutela, mediante l’esercizio
dei poteri inibitori dell’amministrazione,
anche dopo che sia trascorso tale termine di
tendenziale “stabilizzazione” del
titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi
nell’eliminazione di qualunque garanzia
attinente al “consolidarsi” della
d.i.a., né eccedere quanto necessario e
sufficiente ad assicurare al terzo leso
dalla denuncia di inizio attività una tutela
equivalente a quella riconosciuta al
soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di
una situazione giuridica qualificata e
differenziata che lamenti un pregiudizio
derivante da una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività possa
ottenere il pieno e doveroso esercizio dei
poteri inibitori, senza i limiti propri
dell’autotutela, soltanto laddove abbia
sollecitato l’intervento
dell’amministrazione entro sessanta giorni
dal momento in cui ha avuto conoscenza della
lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur
non espressamente previsto dal comma 3-bis
dell’articolo 19 della legge n. 241 del
1990, deve infatti ricavarsi in via
sistematica, tenendo conto che la diffida
prevista dalla disposizione ora richiamata
costituisce l’unico “canale”
percorribile dall’interessato al fine di
adire eventualmente, in un secondo momento,
la tutela giurisdizionale. In tale
prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la
pienezza della tutela
(ai sensi dell’articolo 24 della
Costituzione),
che la parità di trattamento rispetto al
soggetto leso da un permesso di costruire
(in relazione all’articolo 3 della
Costituzione)
impone di fare applicazione del termine
ordinariamente previsto per l’impugnazione
dei provvedimenti amministrativi, fissato
dall’articolo 29 del codice del processo
amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui
all’articolo 29 ora richiamato ha natura
processuale e non procedimentale; tuttavia,
come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita
dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 costituisce un passaggio
obbligato per l’accesso alla tutela
giurisdizionale, per cui è dalla disciplina
propria di quest’ultima che può e deve
trarsi il dato necessario all’integrazione
in via interpretativa della lacuna
normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere
stata accolta, del resto, anche dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la
quale non ha mancato di rimarcare, in una
recente pronuncia, che “il
potere di sollecitazione del terzo non è da
intendersi come esercitabile ad libitum,
bensì rimane assoggettato al rispetto del
termine di decadenza decorrente dalla
conoscenza della D.I.A.”
(così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n.
5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi
quid iuris nel caso in cui il terzo
abbia richiesto l’intervento
dell’amministrazione dopo il decorso di
sessanta giorni dal momento in cui ha avuto
piena conoscenza del contenuto lesivo della
denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che,
in questo caso, l’impugnazione del
provvedimento con cui l’amministrazione ha
negato l’esercizio dei poteri relativi alla
d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale
soluzione risulta essere stata accolta dalla
sentenza del Consiglio di Stato da ultimo
richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015,
cit.), ma ritiene –su questo specifico
aspetto– di dover addivenire a conclusioni
in parte diverse rispetto al giudice
d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato
imprescindibile (ben evidenziato, come
detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015,
cit., che però perviene a conclusioni non
coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 non prevede alcun termine
per la sollecitazione dei poteri
dell’amministrazione e per l’insorgere del
correlativo obbligo, per quest’ultima, di
pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo
titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata, entro il
termine di sessanta giorni dalla conoscenza
della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione
non potrà esimersi dall’esercitare
pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa
sollecitare l’intervento
dell’amministrazione anche oltre tale
termine, al fine di invocare non già il
pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì
il riscontro della sussistenza dei –diversi–
presupposti normativamente previsti per
l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la
sollecitazione debba intendersi diretta a
provocare l’esercizio dei poteri di
autotutela– l’amministrazione è comunque
tenuta ad esprimersi sull’istanza,
eventualmente illustrando le ragioni per le
quali ritenga non sussistenti i presupposti
per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi–
l’esercizio dell’autotutela è, di regola,
tipicamente discrezionale nell’an,
per cui l’amministrazione non è tenuta, di
norma, neppure a riscontrare l’istanza di
autotutela presentata da un privato
(v. ex multis Cons. Stato, V,
03.05.2012 n. 2549). Tuttavia,
nel caso della denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, la
sussistenza di un dovere
dell’amministrazione di verificare
l’esistenza dei presupposti per l’esercizio
del potere è imposta dal chiaro tenore
testuale del richiamato comma 3-bis
dell’articolo 19, il quale attribuisce
espressamente al terzo che si assuma leso
dal titolo edilizio un incondizionato
accesso anche alla tutela giurisdizionale
avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal
legislatore è coerente con il fondamentale
rilievo che, nel caso di intervento di
controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a.,
non si fa questione di esercizio di poteri
di autotutela in senso proprio, poiché manca
un provvedimento amministrativo rispetto al
quale possa esercitarsi un potere di secondo
grado. Piuttosto –come sopra detto–
l’amministrazione, in questo caso, esercita
pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei
presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto
sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del
comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n.
241 del 1990 imponga all’amministrazione di
riscontrare motivatamente, in ogni caso,
l’istanza con cui un terzo, titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, abbia sollecitato
l’intervento della stessa amministrazione in
relazione a una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta
giorni dal momento in cui tale soggetto
risulta aver avuto conoscenza dei profili
lesivi dell’intervento, l’amministrazione
sarà tenuta a esercitare, sussistendone i
presupposti, pieni poteri inibitori, poiché
–in difetto– il terzo subirebbe una
diminuzione della tutela accordatagli
rispetto a chi sia leso da un permesso di
costruire.
Superati i sessanta giorni,
l’amministrazione dovrà comunque a
verificare, dandone conto motivatamente,
unicamente la sussistenza dei presupposti
per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui
affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo
edilizio da più di sessanta giorni non
comporta conseguenze processuali, in
relazione alla eventuale successiva azione
giurisdizionale contro il silenzio o il
provvedimento negativo emesso
dall’amministrazione, ma ha unicamente
conseguenze di tipo procedimentale
(secondo quanto già rilevato dalla Sezione
con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il
ricorso giurisdizionale avverso il
provvedimento con cui l’amministrazione
abbia negato il proprio intervento sarà
quindi ammissibile –sussistendo, beninteso,
tutte le altre condizioni dell’azione– ma la
risposta dell’amministrazione dovrà essere
verificata tenendo conto del diverso potere
esercitato nelle due ipotesi sopra dette. |
EDILIZIA PRIVATA: Il Cds boccia la riforma Scia. Ignoti i procedimenti
soggetti ai diversi istituti di verifica.
Palazzo Spada: al buio segnalazione, silenzio-assenso,
autorizzazione e comunicazione.
Parere negativo del consiglio di stato sullo schema di dlgs
relativo alla Scia approvato lo scorso 20.01.2015 dal
consiglio dei ministri. In quanto manca, la «precisa
individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione
preventiva. Tale individuazione viene espressamente rinviata
a successivi decreti legislativi ma, almeno dal punto di
vista ricognitivo, è uno degli oggetti principali della
delega.
Dopo che la Conferenza unificata del 03.03.2016
aveva espresso parere favorevole all'intesa sul decreto
legislativo che riforma la «Scia» arriva adesso il parere
negativo del Consiglio di stato espresso dall'adunanza della
commissione speciale (parere 30.03.2016 n. 839).
La
conclusione per il Consiglio di stato è che il testo del
decreto legislativo vada riscritto recependo i rilievi
presentati e che il nuovo testo le venga sottoposto per un
nuovo parere.
Individuazione procedimenti soggetti a Scia. La commissione
speciale del Consiglio di stato evidenzia che lo schema del dlgs sulla Scia, sceglie di non esercitare una parte
importante della delega: manca, infatti, la «precisa
individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione
preventiva, che viene espressamente rinviata ai successivi
decreti legislativi ma che, almeno dal punto di vista
ricognitivo, appare come uno degli oggetti principali della
delega.
Sarebbe stato auspicabile che l'attuazione della
delega, preferibilmente con un unico decreto legislativo,
non prescindesse dalla pur non facile opera di ricognizione
e classificazione dei procedimenti, di indiscutibile utilità
per il cittadino chiamato a orientarsi tra le nuove
potenzialità della liberalizzazione delle attività
economiche e il permanente potere di intervento delle
pubbliche amministrazioni, con le sue diverse tipologie.
Un'opera che dovrà essere portata a termine, a tempo debito,
tenendo conto, comunque, dei «princìpi del diritto
dell'Unione europea relativi all'accesso alle attività di
servizi» e di quelli di «ragionevolezza e proporzionalità»,
al fine di tracciare un percorso riconfigurativo del
complesso delle norme regolatrici dei rapporti tra poteri
delle pubbliche amministrazioni e attività private.
I
«regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti
solo se giustificati da motivi imperativi di interesse
generale, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione,
di proporzionalità», costituendo il regime autorizzatorio
l'eccezione, che deve essere adeguatamente motivata.
Silenzio-assenso e comunicazione preventiva.
Un'altra parte della delega che non risulta esercitata è
quella relativa alla disciplina generale del silenzio
assenso e della comunicazione preventiva, di cui alla parte
finale del comma 1 dell'articolo 5 della legge n. 124 del
2015.
Ad essa, sostiene la commissione del Consiglio di stato, non
si fa alcun riferimento nello schema di decreto legislativo
(nemmeno nel titolo), ancorché anch'essa sia espressamente
prevista come oggetto della delega. Manca, in particolare,
la previsione dell'obbligo di comunicazione ai soggetti
interessati dei «termini entro i quali l'amministrazione
è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio
dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda».
I giudici del Consiglio di stato invitano, pertanto, il
Governo a valutare l'opportunità di intervenire, almeno
limitatamente ai suddetti aspetti, integrando la modulistica
e prevedendo la conoscibilità dei detti elementi per il
tramite dei siti istituzionali delle pubbliche
amministrazioni
(articolo ItaliaOggi del 02.04.2016). |
EDILIZIA PRIVATA:
I punti principali del parere del Consiglio di Stato sullo
schema di “decreto scia” [Schema di decreto
legislativo recante attuazione della delega di cui
all’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124, in materia di
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)].
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1. Le raccomandazioni generali sulla
riforma di cui alla legge n. 124 del 2015
Il Consiglio di Stato riprende le considerazioni generali
sulla importanza di una “riforma organica” della pubblica
amministrazione di cui alla legge n. 124 del 2015 e sulla
necessità di una ‘visione nuova’ della pubblica
amministrazione, già esposte nel parere del 18.02.2016 (n.
343/2016), sul “decreto trasparenza”, e ribadisce
soprattutto:
• la rilevanza cruciale dell’implementazione della riforma,
anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi;
• l’importanza, in particolare, della creazione di una
cabina di regia per l’attuazione ‘in concreto’, che
curi anche gli strumenti ‘non normativi’ di
intervento (quali: la formazione dei dipendenti incaricati
dell’attuazione, la comunicazione istituzionale a cittadini
e imprese sui loro nuovi diritti, l’adeguata
informatizzazione dei procedimenti, etc.);
• l’importanza della “manutenzione” della riforma,
attraverso una fase di monitoraggio e verifica dell’impatto
delle nuove regole, nonché con la definizione, se del caso,
di decreti correttivi, o di quesiti attuativi da porre al
Consiglio di Stato.
2. La SCIA si riferisce ad attività ‘libere’
e non richiede alcun intervento preventivo della p.a.
Il parere opera una ricostruzione dell’evoluzione
dall’istituto della SCIA e ne ricava indicazioni di
principio, che possono indirizzare la successiva attività
attuativa e interpretativa. Si conferma che le attività
soggette a SCIA:
• sono ‘libere’, ‘consentite direttamente dalla
legge’ in presenza dei presupposti normativamente
stabiliti, senza più spazio per alcun potere di assenso
preventivo della p.a.;
• sono ‘conformate’ dalle leggi amministrative, e
quindi sottoposte a successiva verifica dei requisiti da
parte delle autorità pubbliche, entro un termine stabilito.
3. Le parti della delega non esercitate
Il Consiglio di Stato rileva il mancato esercizio di due
profili della delega:
- la ricognizione dei procedimenti soggetti a SCIA, a
silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a
comunicazione preventiva (indicata, invece, tra gli oggetti
principali della delega). Tale “precisa individuazione”
–richiesta dalla delega– va assolutamente effettuata con
successivo decreto;
- la previsione dell’obbligo di comunicare ai soggetti
interessati i “termini entro i quali l’amministrazione è
tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio
dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda”.
Tale adempimento può svolgersi già con il decreto in
oggetto.
4. L’opportunità di novellare direttamente
l’art. 19 della legge n. 241 del 1990
Il Consiglio di Stato suggerisce di introdurre le
innovazioni della disciplina generale in materia di SCIA non
in un decreto a sé, ma novellando direttamente l’articolo 19
della l. n. 241: la concentrazione della disciplina dello
stesso istituto nella stessa legge la rende più sistematica
e più facilmente conoscibile.
5. Il ‘nuovo paradigma’ nei rapporti
tra cittadini e pubbliche amministrazioni: i rapporti si
consolidano dopo 18 mesi
Il parere ritiene che la legge n. 124 del 2015 abbia
introdotto un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra
cittadino e pubblica amministrazione, prevedendo un limite
massimo di 18 mesi all’intervento “in autotutela”,
dopo il quale si consolidano le situazioni dei privati.
Secondo il Consiglio di Stato, il legislatore del 2015 ha
fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti
a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse
dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere
pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il
principio di affidamento.
Tale ‘regola generale’ si rinviene nel nuovo testo
dell’art. 21-nonies della legge n. 241.
6. Le applicazioni di tale ‘nuovo
paradigma’ in materia di SCIA
Il ‘nuovo paradigma’ si applica anche alla SCIA, ma
in modo diverso.
Difatti, per la SCIA non può parlarsi di ‘autotutela’
in senso tecnico, poiché essa costituisce un provvedimento ‘di
secondo grado’ ed esso appare impossibile per la SCIA,
dove il provvedimento iniziale manca del tutto.
Il nuovo art. 21-nonies detta piuttosto, per la SCIA, la ‘disciplina
di riferimento’ per l’esercizio del potere ex post
dell’amministrazione: un potere inibitorio, repressivo o
conformativo da esercitarsi solo motivando sulle ragioni di
interesse pubblico e sugli interessi dei destinatari e dei
controinteressati oltre che, ovviamente, entro un termine
comunque non superiore a 18 mesi per adottare il
provvedimento definitivo.
7. Le perduranti esigenze di coordinamento
per il legislatore delegato
Questo importante principio generale impone un’opera di
raccordo con il resto della disciplina in materia di SCIA,
per fugare i dubbi interpretativi che iniziano a emergere in
dottrina e in giurisprudenza.
Tale intervento può essere fornito sia con una integrazione
dello schema in esame sia con un successivo provvedimento.
Tra le varie questioni, il Consiglio di Stato segnala la
necessità di precisare:
- quale sia il dies a quo per la decorrenza dei
diciotto mesi dell’art. 21-nonies;
- se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies
debba applicarsi o meno anche all’intervento in caso di
sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1,
della l. n. 241;
- che, in fase di prima applicazione della riforma, il
termine generale dell’art. 21-nonies debba valere per tutti
i provvedimenti, anche precedenti all’entrata in vigore
della legge n. 124, sembrando infondata l’interpretazione di
una sorta di ‘rimessione in termini’
dell’amministrazione ad opera della riforma;
- che la regola generale dell’art. 21-nonies si applichi
anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti di “annullamento”,
ma di “revoca”, “risoluzione”, “decadenza”
o analoghe;
- quale sia la esatta delimitazione della (unica)
fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art.
21-nonies, comma 2-bis.
8. Il ‘principio di concentrazione e di
esaustività della modulistica’
Il parere ritiene molto rilevante la previsione di “moduli
unificati e standardizzati” per la SCIA, da pubblicare
sui siti istituzionali delle amministrazioni destinatarie
delle segnalazioni, che ne indichino esaustivamente i
contenuti tipici, ma anche tutta la documentazione da
allegare.
Se ne ricava, a livello interpretativo, un ‘principio di
concentrazione e di esaustività della modulistica’, che
impone che:
- i moduli siano effettivamente ‘unificati’ ed ‘esaustivi’,
e non rinviino di fatto ad altri formulari presso altre
amministrazioni;
- si introduca un chiaro divieto di richiesta di
documentazione ulteriore rispetto a quella indicata dai
moduli unificati: tutta la documentazione necessaria deve
essere indicata ‘a monte’ nel modulo unificato; eventuali
richieste istruttorie potranno solo evidenziare la mancata
corrispondenza degli allegati presentati con quelli previsti
in quella sede, non chiedere ulteriori documenti non
indicati ex ante.
9. L’importanza di una ‘SCIA unica’
Il parere esprime il suo apprezzamento per la scelta di
regolare la fattispecie, finora non normata, di attività
soggette a SCIA che, tuttavia, per il loro svolgimento,
necessitano di “altre SCIA, comunicazioni, attestazioni,
asseverazioni e notifiche” (cd. SCIA ‘plurima’).
La disciplina si ispira correttamente alla “concentrazione
dei regimi” delle SCIA presupposte presso la SCIA
finale. Resta, invece, ancora non risolto il caso in cui la
SCIA abbia come presupposto non soltanto ‘requisiti di
fatto’, bensì uno o più provvedimenti di autorizzazione.
Il Consiglio di Stato configura tre diverse opzioni, in
parte anche cumulabili fra loro, che consistono in:
- escludere espressamente tali fattispecie dalla SCIA,
concentrandosi solo sulla cd. ‘SCIA pura’;
- considerare anche i casi di ‘SCIA non pura’ e
imporre esplicitamente che la presentazione della SCIA possa
avvenire soltanto una volta acquisito l’atto autorizzativo
presupposto, ‘a cura del privato’;
- prevedere che la presentazione della SCIA attivi un
meccanismo per l’ottenimento dell’autorizzazione ‘a cura
dell’amministrazione ricevente’, rinviando però l’avvio
dell’attività al momento di tale ottenimento (trasformando
di fatto, in questi casi, la ‘segnalazione di inizio di
attività’ in una sorta di ‘richiesta di inizio di
attività’, che potrebbe essere un modello complementare
rispetto a quello della ‘SCIA pura’).
Tutte e tre queste soluzioni richiedono comunque un
intervento sul decreto in oggetto: la scelta fra queste (e
la preferenza tra i rispettivi vantaggi e svantaggi) va
lasciata alla potestà normativa del Governo, che deve tener
conto delle esigenze pratiche dei destinatari della riforma
(Consiglio di Stato, Commissione Speciale,
parere 30.03.2016 n. 839 - tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una SCIA in forma cartacea anziché
telematica non presuppone la sua stessa
configurazione ed ammissibilità.
Una Scia presentata al
SUAP in modalità cartacea non può, per il solo fatto
di essere stata lì depositata, ritenersi una
segnalazione valida, mancando il presupposto per la
sua stessa configurazione e ammissibilità, ovvero la
modalità telematica.
Invero, il legislatore
è stato chiaro nello stabilire che le domande, le
dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni
concernenti le attività produttive, di prestazione di
servizi e quelle relative alle azioni di localizzazione,
realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o
riconversione, ampliamento o trasferimento, e i relativi
elaborati tecnici e allegati debbano presentarsi
esclusivamente in modalità telematica al Suap competente per
territorio (cfr. art. 2 del DPR n. 160/2010).
---------------
... per
l'annullamento, previo accoglimento dell’istanza cautelare:
- del provvedimento prot. n. 821 del 21.01.2015 a firma del
Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di
Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota
prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico
del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;
con Motivi Aggiunti depositati in data 03.06.2015:
- del provvedimento prot. n. 5875 del 12.03.2015 a firma del
Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di
Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o
consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota
prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico
del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;.
...
La Telecom Italia
s.p.a., proprietaria di una stazione radio base per
telefonia cellulare sita nel territorio del Comune di
Santeramo in Colle, presentava, congiuntamente alla Vodafone
Omnitel B.V., una segnalazione certificata di inizio
attività (scia), indirizzata al Comune stesso ed acquisita
in formato cartaceo, per l’implementazione di un impianto di
proprietà Vodafone sulla suddetta stazione radio base.
Con provvedimento del 13.05.2014, veniva però disposta
l’archiviazione dell’istanza sul rilievo che la stessa
avrebbe dovuto essere presentata, a pena di inammissibilità,
presso il SUAP su apposita modulistica, ai sensi del DPR
447/1998, rilevando altresì che le installazioni di nuove
SRB avrebbero potuto essere realizzate esclusivamente nei
siti comunali all’uopo individuati col piano di
localizzazione comunale.
Il suddetto provvedimento veniva annullato da questo Tar con
Sentenza n. 1267/2014, ritenendo sussistente in capo
all’Amministrazione, con particolare riferimento al profilo
dell’inammissibilità dell’istanza, un obbligo di
trasmissione ufficiosa della domanda alla competente
articolazione del proprio apparato.
Tale sentenza è stata formalmente notificata in data
05.12.2014 al Comune di Santeramo - che l’ha successivamente
impugnata innanzi la Terza Sezione del Consiglio di Stato (Rg.
1129/2015).
Ritenendo da tale data decorso il termine per la formazione
del silenzio assenso ai sensi dell’art. 87-bis, D.Lgs.
259/03, la ricorrente comunicava quindi all’Amministrazione
comunale l’avvio dei lavori oggetto della scia.
Il Comune, con provvedimento n. 1821 del 21.01.2015,
disponeva tuttavia per ragioni istruttorie la sospensione
temporanea dell’efficacia della segnalazione, ai sensi degli
artt. 2 e 21-quater, comma 2, l. n. 241/1990, per la durata
di 60 giorni, inibendo per l’effetto, l’inizio dei lavori
preannunciati.
Successivamente, il SUAP–Murgia Sviluppo s.c.a.r.l.,
rilevata l’improcedibilità dell’istanza sottoscritta da
Telecom e Vodafone e trasmessa dall’Amministrazione
comunale, ne disponeva l’archiviazione – circostanza che ha
determinato in sede processuale la rinuncia alla domanda
cautelare incidentalmente avanzata con l’appello suddetto,
per sopravvenuto difetto di interesse.
Avverso la nota comunale del 21.01.2015, nonché il successivo
provvedimento di improcedibilità e archiviazione del SUAP,
l’odierna ricorrente ha quindi proposto un nuovo gravame
censurando la violazione e falsa applicazione degli artt. 87
e 87-bis, D.Lgs. 259/2003 nonché dell’art. 19, L. n. 241/1990, ed
eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone
pertanto l’annullamento previa sospensione dell’efficacia.
Con controricorso del 30.04.2015, si è costituito il Comune
intimato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità e
improcedibilità del ricorso sotto diversi profili - ovvero
in considerazione della natura temporanea e provvisoria del
provvedimento di sospensione impugnato, che avrebbe quindi
già cessato di produrre effetti; della mancata notifica al SUAP; nonché della mancata impugnazione della successiva
nota comunale, prot. n. 5875 del 12.03.2015, con cui nel
trasmettere la nota di archiviazione del SUAP del 02.03.2015,
il Comune ha preso atto dell’arresto procedimentale così
determinatosi e dell’inefficacia della comunicazione di
inizio dei lavori.
Alla Camera di Consiglio del 06.05.2015, avvisate le parti
della possibile definizione in forma semplificata del
gravame ai sensi dell’art. 60 cpa, parte ricorrente ha
chiesto disporsi un rinvio per la presentazione di motivi
aggiunti.
Con atto di motivi aggiunti del 19.05.2015, notificati anche
al SUAP, la ricorrente ha infatti impugnato il sopra detto
provvedimento n. 5875 del 12.03.2015, conosciuto in data 20
marzo, deducendo vizi in via derivata e vizi propri, quali
violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 6, l. n.
291/1990, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto chiedere
una regolarizzazione postuma della scia; eccesso di potere
sotto diversi profili, ed elusione della Sentenza n.
1267/2014 resa da questo Tar.
Alla successiva Camera di Consiglio del 02.07.2015, avvertite
nuovamente le parti ai sensi dell’art.60 c.p.a., la causa è
quindi passata in decisione.
Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il
provvedimento comunale di sospensione per esigenze
istruttorie, è stato superato dalla successiva nota di
arresto procedimentale -impugnata con motivi aggiunti-
determinando in tal modo l’improcedibilità dell’azione di
annullamento proposta contro lo stesso.
Ritenute inoltre superate, con la proposizione dei motivi
aggiunti, le eccezioni di inammissibilità come sollevate
dalla difesa comunale, può quindi passarsi all’esame delle
censure mosse dalla ricorrente avverso la nota di
archiviazione Suap e la nota comunale di arresto
procedimentale, che il Collegio ritiene infondate per le
seguenti ragioni.
Pur condividendo in via di principio quanto affermato nella
precedente pronuncia resa da questo stesso TAR, il Collegio
deve tuttavia rilevare che l’applicazione nella specie dei
principi ivi esposti non avrebbe potuto determinare comunque
l’ammissibilità e la corretta formazione della scia.
Invero,
se in un’ottica di leale collaborazione tra la p.a.
e il cittadino, la mancata trasmissione in via officiosa di
una istanza alla competente articolazione amministrativa può
costituire violazione dei principi di economicità ed
efficacia dell’azione amministrativa, nel caso di specie
l’improcedibilità dell’istanza presentata dalla ricorrente
non ha concretizzato “un appello dell’Amministrazione a meri
formalismi”, come tali da censurare in sede giurisdizionale,
venendo invece in rilievo la possibile configurabilità, e
quindi esistenza, della domanda (recte, scia) stessa.
Il legislatore è stato infatti chiaro nello stabilire che le
domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le
comunicazioni concernenti le attività produttive, di
prestazione di servizi, e quelle relative alle azioni di
localizzazione, realizzazione, trasformazione,
ristrutturazione o riconversione, ampliamento o
trasferimento, ed i relativi elaborati tecnici e allegati,
debbano presentarsi esclusivamente in modalità telematica,
al Suap competente per territorio (art. 2, DPR 160/2010).
Di tale modalità tiene infatti conto anche l’art. 19, l. n.
241/1990, laddove nel disciplinare la scia, prescrive che la
stessa, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e
asseverazioni nonché dai relativi elaborati tecnici, possa
essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso
di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è
previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica. In
tal caso la segnalazione può considerarsi presentata solo al
momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
Non è infatti estraneo all’ordinamento, tanto più nella
recente ottica di semplificazione e snellimento delle
procedure,
un procedimento interamente informatizzato,
articolato sin dalla fase di avvio in modalità
esclusivamente telematica.
Pertanto,
una Scia presentata al SUAP in modalità cartacea,
come nella specie, non può, per il solo fatto di essere
stata lì depositata, ritenersi una segnalazione valida,
mancando il presupposto per la sua stessa configurazione e
ammissibilità, ovvero la modalità telematica.
Prova ne è che dalla sentenza più volte citata -che la
parte assume essere stata elusa- non è derivato l’avvio del
relativo iter ai sensi dell’art. 87-bis del Dlgs. n. 259, per
il perfezionamento della scia, essendo stato invece statuito
il mero obbligo del Comune, ottemperato nella specie, di
trasmissione della domanda all’organismo competente.
Pertanto,
non può affatto ritenersi formato il silenzio-assenso, come invece asserito dalla ricorrente facendo
erroneamente decorrere il termine per la sua formazione
dalla notifica della sentenza all’Amministrazione, dovendosi
invece considerare quale unico dies a quo il momento di
recepimento dell’istanza da parte del Suap rappresentato dal
rilascio dell’apposita ricevuta, come sancito espressamente
dall’art. 5, DPR 160/2010.
Nella specie, il Suap si è tempestivamente espresso con un
provvedimento di archiviazione in considerazione
dell’inammissibilità dell’istanza, in quanto inoltrata dal
Comune, e non dal soggetto richiedente, in modalità
cartacea, e non telematica.
Né vale appellarsi al soccorso istruttorio, posto che tale
istituto deve intervenire a fronte di irregolarità ed
incompletezze sanabili, che presuppongono l’esistenza stessa
dell’istanza, condizione che, per le argomentazioni
suddette, non può però ritenersi verificata a fronte di una
scia cartacea.
Seguendo la tesi della ricorrente infatti, si arriverebbe
comunque alle medesime conclusioni del Collegio, a riprova
dell’inammissibilità di una segnalazione cartacea: la parte
sostiene invero che lo Sportello Unico avrebbe dovuto
invitarla a presentare la scia in modalità telematica,
anziché disporne l’archiviazione. Ma ripresentare la scia
secondo tale modalità -si ribadisce, l’unica possibile-
equivale a presentarla ex novo.
Il soccorso istruttorio invocato, è evidente, non potrebbe
diversamente giovare.
Nulla ha vietato, né vieta, infatti alla società ricorrente
di presentare una nuova scia nei termini previsti dalla
normativa di riferimento.
Alla luce delle considerazioni su fatte, le doglianze
formulate non meritano quindi accoglimento
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 16.10.2015 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
vero che il sistema delineato
dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare
la tutela di affidamento del privato che abbia presentato
una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in
cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
Sicché, il provvedimento comunale di archiviazione del
procedimento di verifica (di terzi) deve essere annullato,
ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo
all’Amministrazione di completare sollecitamente il
procedimento di verifica accertando analiticamente la
fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando
i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle
illegittimità segnalate hanno carattere doveroso e non
soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica
attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel
caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso
nella propria posizione qualificata e differenziata.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta
l’illegittimità del provvedimento di archiviazione, è invece
fondato e deve essere accolto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha disposto l’archiviazione
del procedimento di verifica della legittimità delle denunce
di inizio attività ritenendo di per sé ostativa, e quindi
senza svolgere un approfondimento istruttorio sui singoli
rilievi sollevati nelle richieste di verifica, la norma di
cui all’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241,
nel testo allora vigente.
Secondo il Comune anche a seguito della richiesta di
verifica da parte di un terzo non è possibile procedere al
divieto di prosecuzione dell’attività se non vi siano
lesioni agli specifici interessi sensibili menzionati
dall’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241.
Tale norma ammette il divieto di prosecuzione dell’attività
“solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, che nel caso di
specie non ricorrono.
La tesi non è condivisibile.
La giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce (cfr. Tar
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; Tar Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; Tar Lombardia,
Milano, Sez. II, 21.11.2014, n. 4799), ha infatti
chiarito che è vero che il sistema delineato dal citato art.
19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la
tutela di affidamento del privato che abbia presentato una
dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui
alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
In definitiva, in accoglimento delle censure del secondo
motivo, il provvedimento di archiviazione del procedimento
di verifica deve essere annullato, ed a tale annullamento
consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare
sollecitamente il procedimento di verifica accertando
analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi
proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in
caso di riscontro delle illegittimità segnalate, come sopra
precisato, hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai
limiti previsti per le attività di verifica attivate
d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di
specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella
propria posizione qualificata e differenziata
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.10.2015 n. 1039 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
termini generali, la SCIA (come la precedente DIA) non
modifica la disciplina sostanziale dell’attività
interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo
il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi
a seguito della domanda del privato, con un procedimento di
verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte
pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa
esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante”
presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine
di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia,
ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal
ricevimento della segnalazione, l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo il
potere dell'amministrazione competente "di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false
o mendaci, l'amministrazione...può sempre e in ogni tempo
adottare i provvedimenti di cui al primo periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione
dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3
(ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio),
all'amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell'attività dei privati
alla normativa vigente.
Sulla base del delineato quadro normativo, la giurisprudenza
ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che,
in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile
sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti
inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine
previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare
i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile
esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt.
21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere
inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio
temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale
di autotutela;
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione
competente entro un termine ragionevole, e va supportato
dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e
concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il
privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la
realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla
regolarità dell'autorizzazione;
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario
esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto
delle regole generali che informano i rapporti tra
amministrazioni e amministrati: così, è necessario
comunicare l’avvio del procedimento, consentire
all’interessato e a eventuali cointeressati e
controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza
dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e
21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono
l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole
per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la
comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del
privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che
ne giustificano l’adozione;
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, giustifica la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio.
Il ricorso è
fondato e merita accoglimento.
2. Parte ricorrente ha anzitutto dedotto la violazione
dell’art. 19 della L. 241/1990 e del principio di
affidamento, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria,
difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta,
in quanto il potere di intervento sulla SCIA può essere
esercitato entro il termine di 60 giorni dalla sua
presentazione, salva la possibilità di agire ex post
a tutela di preminenti interessi pubblici (pericolo di un
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale), che non sono stati rilevati nella
fattispecie: il Comune era da oltre un anno privo del potere
ordinario di inibizione degli effetti della SCIA, tenuto
conto che il provvedimento dispone una semplice
archiviazione, senza menzionare né motivare l’autotutela con
riferimento ai requisiti contemplati all’art. 21-quinques
della L. 241/1990.
Il motivo è meritevole di accoglimento, avendo
l'amministrazione pacificamente adottato l'atto di controllo
inibitorio oltre il termine di legge.
2.1 In termini generali, la SCIA (come la precedente DIA)
non modifica la disciplina sostanziale dell’attività
interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo
il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi
a seguito della domanda del privato, con un procedimento di
verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte
pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa
esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante”
presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine
di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia,
ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal
ricevimento della segnalazione, l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei
presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo
che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in
ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo
il potere dell'amministrazione competente "di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di
notorietà false o mendaci, l'amministrazione...può sempre e
in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione
dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3
(ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio),
all'amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato
accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell'attività dei privati
alla normativa vigente.
2.2 Sulla base del delineato quadro normativo, la
giurisprudenza ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che,
in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile
sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti
inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine
previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare
i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile
esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt.
21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990 (Consiglio di
Stato, sez. IV – 20/02/2014 n. 788 in materia edilizia, con
riflessioni che ben possono essere estese alla DIA –e alla
SCIA– in materia commerciale;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere
inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio
temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale
di autotutela (Consiglio di Stato, sez. VI – 14/11/2012 n.
5751; TAR Veneto, sez. II – 26/01/2015 n. 59);
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione
competente entro un termine ragionevole, e va supportato
dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e
concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il
privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la
realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla
regolarità dell'autorizzazione (sentenza TAR Campania
Salerno, sez. I – 07/04/2015 n. 732, resa in ambito
edilizio);
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario
esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto
delle regole generali che informano i rapporti tra
amministrazioni e amministrati: così, è necessario
comunicare l’avvio del procedimento, consentire
all’interessato e a eventuali cointeressati e
controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza
dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e
21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono
l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole
per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la
comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del
privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che
ne giustificano l’adozione (TAR Friuli Venezia Giulia –
25/09/2014 n. 463).
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, giustifica la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio (Consiglio di Stato,
adunanza plenaria – 29/07/2011 n. 15).
2.3 Nella fattispecie, i 60 giorni erano abbondantemente
decorsi quando l’amministrazione è intervenuta, e non
affiora alcun elemento o circostanza a supporto
dell’esercizio della potestà di autotutela. Non è stata
neppure adombrata l’unica ipotesi derogatoria della
perentorietà del predetto termine contemplata dal
legislatore, ossia l’esistenza di dichiarazioni sostitutive
di certificazione e dell'atto di notorietà "false o
mendaci", che abilita l'amministrazione ad assumere i
provvedimenti repressivi "sempre e in ogni tempo"
(cfr. TAR Abruzzo L’Aquila – 19/03/2015 n. 163)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.05.2015 n. 739 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
19, comma 4, della legge 241/1990 pone significative
limitazioni al potere di intervento in autotutela
dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia conseguito
efficacia per decorrenza del termine di controllo pari a 30
giorni fissato dal comma 6-bis della medesima disposizione
normativa.
Tuttavia, il potere di controllo non si può tuttavia
considerare esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora
il progetto allegato alla SCIA contenga elementi di
ambiguità che, pur non essendo qualificabili come
dichiarazioni sostitutive false o mendaci ex art. 19, comma
3, della legge 241/1990, rendano comunque l’esame più
difficoltoso, omettendo o non evidenziando a sufficienza
eventuali criticità e il percorso argomentativo seguito per
superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su
parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra
edifici posti a confine, è compito del progettista dare il
giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli
uffici comunali di effettuare una verifica completa del
progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione
appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei
tempi di controllo.
Sul termine di controllo della SCIA
8. L’art. 19, comma 4, della legge 241/1990 pone
significative limitazioni al potere di intervento in
autotutela dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia
conseguito efficacia per decorrenza del termine di controllo
pari a 30 giorni fissato dal comma 6-bis della medesima
disposizione normativa.
9. Nel caso il esame il termine è in effetti decorso
(09.01.2014-17.02.2014), e il Comune non evidenzia pericoli
per il patrimonio artistico e culturale o per l’ambiente (e
tantomeno per la salute, la sicurezza pubblica e la difesa
nazionale). Sull’edificio della ricorrente non grava un
vincolo paesistico in senso proprio: l’esame paesistico è
imposto dall’inquadramento del centro storico nella classe 5
di sensibilità paesistica, situazione non coincidente con
quella descritta nell’art. 19, comma 4, della legge
241/1990. L’edificio, benché l’architrave in pietra
collocato sopra l’ingresso riporti la data del 1706, non è
neppure assoggettato a vincolo monumentale.
10. Il potere di controllo non si può tuttavia considerare
esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora il progetto
allegato alla SCIA contenga elementi di ambiguità che, pur
non essendo qualificabili come dichiarazioni sostitutive
false o mendaci ex art. 19, comma 3, della legge 241/1990,
rendano comunque l’esame più difficoltoso, omettendo o non
evidenziando a sufficienza eventuali criticità e il percorso
argomentativo seguito per superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su
parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra
edifici posti a confine, è compito del progettista dare il
giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli
uffici comunali di effettuare una verifica completa del
progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione
appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei
tempi di controllo.
11. Nel caso in esame, la relazione paesistica datata
08.01.2014 evidenzia la formazione in gronda di un “piccolo
dislivello” con il tetto del vicino, senza però una
precisa quantificazione. Inoltre, come viene sottolineato
nel provvedimento del 07.04.2014, omette di riferire che
l’intervento riguarda anche parti comuni dell’edificio.
Poiché entrambe le questioni assumono importanza nell’esame
della SCIA, si deve riconoscere la legittimità
dell’estensione del termine di conclusione del procedimento.
Le ordinanze di sospensione e di rimessione in pristino sono
quindi qualificabili come atti finali della procedura
tempestivamente adottati, e non come provvedimenti in
autotutela
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 20.05.2015 n. 731 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come già ricordato da questa Sezione, per effetto
dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in
caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione
certificata di inizio attività), reputate illegittime, i
soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia
possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima,
esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della
Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti-
ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato
meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a.; mentre, l’art. 133,
comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva,
a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo
pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di ordinare il ripristino dei luoghi e la
demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
4. Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la domanda
di accertamento della illegittimità/inefficacia della DIA
del 22.10.2012 e della successiva SCIA del 02.07.2013.
Come già ricordato da questa Sezione con la sentenza n. 233
del 17.02.2013, resa nel precedente giudizio sul
silenzio, infatti, per effetto dell'art. 19, ultimo comma,
della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una
DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio
attività), reputate illegittime, i soggetti che si
considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia di quest'ultima, esperire
"esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica
Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo
questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il
citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a. (cfr. Sez. II:
05.03.2012, n. 298; 15.02.2013, n. 230); mentre,
l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione
esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal
terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Quello appena descritto è
d’altra parte il percorso seguito dai ricorrenti, che hanno
prima reagito giudizialmente al silenzio della P.A.,
ottenendo la condanna di quest’ultima a provvedere sulla
loro diffida, e poi hanno impugnato il provvedimento del 23.04.2014 di diniego di autotutela.
5. Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di Vicenza di ordinare il ripristino dei luoghi e
la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
Inoltre, non risulta che nel caso in esame siano state poste
in essere falsità progettuali tali da legittimare un
vincolato intervento sanzionatorio, venendo in rilievo, come
testimoniato dalla presente motivazione, solo questioni
interpretative di norme legislative e regolamentari
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.04.2015 n. 424 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come è noto, nel sistema
del T.U. edilizia 06.06.2001 n. 380, in forza dell’art. 22,
sono realizzabili mediante SCIA quattro categorie di interventi:
le prime tre, che qui non
interessano riguardano le varianti a permesso di costruire
(comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a)
e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già
dettagliatamente disciplinate da un piano di livello
superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta
categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle
gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli
interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso
di costruire (comma 1).
---------------
Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per cui
è causa (tamponamento pareti laterali di tre tettoie e,
quindi, nella loro trasformazione in capannoni) non sarebbe
assentibile con SCIA, ma richiederebbe il permesso di
costruire, comportando quanto meno un aumento di volumetria.
---------------
Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4,
consente alla legge regionale di ampliare o restringere il
campo di applicazione della SCIA.
In Lombardia, dispone in proposito l’art. 41 della l.
11.03.2005 n. 12, modificato proprio dopo l’introduzione
della SCIA, che nella parte rilevante recita: “Ferma
restando l’applicabilità della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti
dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5,
comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011, chi ha titolo per
presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà,
alternativamente e per gli stessi interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al
comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto
dall'articolo 52, comma 3-bis”.
La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata, com’è
noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla scorta di
conformi istruzioni ministeriali (comunicato 08.10.2010
della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad applicarsi
ai soli interventi edilizi minori, ovvero alle sole
ristrutturazioni cd. leggere, ovvero non rientranti, come
nella specie, nella previsione dell’art. 10 T.U..
---------------
La ricorrente, che è titolare in Ospitaletto, alla locale
via ..., di un complesso produttivo formato da vari edifici
(ricorso, p. 2 § 1, fatti pacifici in causa), ha presentato
a quel Comune, al fine di procedere al cd. tamponamento,
ovvero alla chiusura con pareti laterali, di tre tettoie
comprese nel perimetro del proprio stabilimento, una prima
DIA 25.02.2014 (doc. 12 Comune, copia di essa), a fronte
della quale ha ricevuto l’inibitoria di cui al provvedimento
del 21.03.2014 (doc. 15 Comune, copia di essa).
Ha allora da un lato richiesto l’annullamento d’ufficio di
tale inibitoria, e se lo è visto negare (doc. 3 ricorrente,
copia provvedimento); dall’altro ha presentato, in data
23.04.2014, una SCIA per lo stesso intervento (doc. 19
Comune, copia di essa e memoria Comune 27.06.2014 p. 5
ultime tre righe), ed ha ricevuto una nuova inibitoria
16.05.2014 (doc. 1 ricorrente, copia di essa).
Nel ricorso principale, come si desume dal contenuto dei
motivi dedotti, la ricorrente impugna in sostanza la sola
inibitoria 16.05.2014, motivata unicamente con l’esistenza
sulle tettoie in questione di un “vincolo unilaterale di
concessione precaria che garantisce al Comune…il diritto di
richiedere la demolizione delle velette [nome tecnico delle
tettoie in parola]…per motivi legati a nuova viabilità…in
forza dell’impegnativa [testuale] registrata il 27.12.1979 a
Brescia …” e ivi trascritta nei registri immobiliari”
(doc. 1 ricorrente, cit.).
A sostegno, ha dedotto cinque censure, corrispondenti in
ordine logico ai seguenti tre motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla censura quarta a
p. 8 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l.
07.08.1990 n. 241, per omissione dell’avviso di inizio del
procedimento;
- con il secondo motivo, corrispondente alle censure prima e
quinta alle pp. 5 e 9 dell’atto, deduce violazione del
principio di tipicità dell’atto amministrativo, non essendo,
in sostanza, il vincolo descritto previsto dalla legge;
- con il terzo motivo, corrispondente alla censura terza a
p. 7 dell’atto, deduce eccesso di potere per difetto di
motivazione, in quanto il vincolo, a tutto voler concedere,
sarebbe stato posto a servizio di una viabilità allo stato
da tempo realizzata, e comunque non sarebbe stato
pregiudicato dalla richiesta modifica delle pensiline
esistenti, che sarebbero rimaste pur sempre amovibili, come
nel loro assetto precedente.
Ha resistito il Comune, con memoria 27.06.2014, ed ha
chiesto la reiezione del ricorso.
Questo Tribunale, con ordinanza 04.07.2014 n. 471, ha
sospeso tale provvedimento, ritenendo tale “impegnativa”
in sostanza priva di efficacia, ma facendo salvi ulteriori
provvedimenti dell’amministrazione relativi ad altri profili
di legittimità dell’opera in questione.
Il Comune ha adottato quindi il provvedimento (doc. 11
ricorrente, copia di esso) impugnato con i motivi aggiunti,
motivato con riguardo all’importanza dell’intervento
consistente nella chiusura delle tettoie in questione e
quindi nella loro trasformazione in capannoni e ritenuto non
realizzabile con semplice SCIA.
...
... per (A – ricorso principale) l’annullamento, previa
sospensiva:
- del provvedimento 16.05.2014 prot. n. 9682, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti
della ricorrente Aran R.E. S.r.l. il divieto di prosecuzione
dell’attività di cui alla segnalazione certificata di inizio
attività – SCIA edilizia 23.04.2014 prot. n. 8058;
- del provvedimento 21.03.2014 prot. n. 5617, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti
della medesima ricorrente il divieto di dare inizio
all’attività di cui alla dichiarazione di inizio attività –
DIA edilizia 25.02.2014 prot. n. 3712;
- del provvedimento 16.04.2014 prot. n. 7654, conosciuto in
data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area
tecnica del Comune di Ospitaletto ha denegato l’annullamento
in autotutela del predetto provvedimento 21.03.2014 prot. n.
5617;
...
4. Infondato è poi il secondo motivo, dovendosi condividere
quanto evidenziato dall’amministrazione sia nel
provvedimento, sia nelle proprie difese. L’intervento per
cui è causa, che in sostanza porterebbe a trasformare alcune
tettoie in altrettanti capannoni chiusi, non è infatti, nei
termini che ora si illustreranno, fra quelli realizzabili
con semplice SCIA.
5. Come è noto, nel sistema del T.U. edilizia 06.06.2001 n.
380, in forza dell’art. 22, sono realizzabili mediante SCIA
quattro categorie di interventi: le prime tre, che qui non
interessano riguardano le varianti a permesso di costruire
(comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a)
e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già
dettagliatamente disciplinate da un piano di livello
superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta
categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle
gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli
interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso
di costruire (comma 1).
6. Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per
cui è causa non sarebbe assentibile con SCIA, ma
richiederebbe il permesso di costruire, comportando quanto
meno –come correttamente rilevato dal Comune (memoria
29.08.2014 p. 9)- un aumento di volumetria, come ritenuto da
TAR Abruzzo L’Aquila 07.03.2008 n. 123 in un caso analogo.
7. Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4,
consente alla legge regionale di ampliare o restringere il
campo di applicazione della SCIA. In Lombardia, dispone in
proposito l’art. 41 della l. 11.03.2005 n. 12, modificato
proprio dopo l’introduzione della SCIA, che nella parte
rilevante recita: “Ferma restando l’applicabilità della
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi
e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990
e dall’articolo 5, comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011,
chi ha titolo per presentare istanza di permesso di
costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi
interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di
inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo
quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis”.
8. La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata,
com’è noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla
scorta di conformi istruzioni ministeriali (comunicato
08.10.2010 della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad
applicarsi ai soli interventi edilizi minori, ovvero, per
quanto qui interessa, alle sole ristrutturazioni cd.
leggere, ovvero non rientranti, come nella specie, nella
previsione dell’art. 10 T.U..
9. Da quanto sin qui esposto, risulta che l’intervento non
era e non è assentibile con lo strumento della SCIA invocato
dalla ricorrente: vanno quindi respinte, per difetto del
requisito del danno ingiusto, tutte le domande risarcitorie
proposte
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.02.2015 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
climatizzatori o i condizionatori, per consolidata
giurisprudenza amministrativa, costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001.
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma
1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004.
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1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello
di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di
Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato
Ca.An.Pa. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e
23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva
nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di
ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in
23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto
dagli artt. 81 cod. pen. e 44, lett. a), d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in
area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore
d'aria a servizio del proprio esercizio commerciale in
assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b)
previsto dall'art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42 per aver
eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona
sottoposta al vincolo paesaggistico in Ostuni il 14.10.2008.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre per
cassazione, a mezzo del difensore, Ca.An.Pa. affidando il
gravame a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia
l'erronea ed illegittima applicazione dell'art. 44, lett.
a), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea
apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente
all'esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun
modo, nella previsione di cui all'art. 44, lett. a), del DPR
380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere
alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si
contesta, infatti, la presunta violazione dell'art. 17 del
regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa
e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno
allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame.
Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non
rientra e non può rientrare nella previsione dell'art. 44,
lett. a), del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea
installazione di un piccolo supporto tecnologico non può
configurare e/o costituire attività urbanistica-edilizia,
non incidendo minimamente sull'uso del territorio.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione
della legge penale in relazione all'art. 54 cod. pen. (art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) per aver la Corte
territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di
necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo
operato essere inquadrato in una condizione di necessità non
altrimenti risolvibile.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione
dell'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa
alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del
vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto
che l'ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di
natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna
incidenza sotto il profilo paesaggistico.
2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa
applicazione della legge penale e del difetto di motivazione
(art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in
ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di
legge (sospensione condizionale della pena e non menzione
della condanna) per la violazione del principio di
proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità
dell'intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il
Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.
...
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi e per la proposizione di essi nei casi non
consentiti.
2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare
come i climatizzatori o i condizionatori,
per consolidata giurisprudenza amministrativa
(ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del
01/10/2008), costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
L'articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del
2001 (come modificato dall'art. 17, comma 1, decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e
la redazione della presente sentenza, nella legge
11.11.2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di
manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed
integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre
che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e
non comportino modifiche delle destinazioni di uso", e
l'articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede,
per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi
dell'istallazione di impianti che si pongano in rapporto di
strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto "Sblocca Italia" (decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito in legge 11.11.2014, n. 164)
ha introdotto modifiche alla nozione di "manutenzione
straordinaria", irrilevanti ai fini dello scrutinio
della questione sottoposta alla Corte, in quanto il
riferimento a "volumi e superfici delle singole unità
immobiliari" è stato modificato, come si è in precedenza
segnalato, nel concetto di "volumetria complessiva degli
edifici" ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa,
nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli
interventi di frazionamento o accorpamento delle unità
immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la
variazione delle superfici delle singole unità immobiliari
nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia
modificata la volumetria complessiva degli edifici e si
mantenga l'originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001
(Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez.
3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame
attengono a questioni che sono state già proposte al giudice
d'appello e sono state motivatamente respinte.
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. Va
quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
(art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004 (manifesta
infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte
territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due
precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano
infausta la prognosi relativa all'astensione dalla futura
commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del
quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il
principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi
proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo
grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3,
n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.01.2015 n. 952). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
SCIA in via telematica, senza leale collaborazione rigetto
illegittimo. Il destinatario della pec deve informare il
mittente incolpevole della difficoltà di aprire e visionare
il file.
A fronte di una SCIA (Segnalazione
certificata di inizio attività) presentata in via
telematica, l’Amministrazione procedente è tenuta al
rispetto delle regole che ordinariamente informano i
rapporti con i privati, e, prima di tutte, del principio di
leale collaborazione.
Infatti la posta elettronica certificata (Pec), “quale
tecnologia telematica, è strumento con il quale i privati
possono relazionarsi con la pubblica Amministrazione
(articolo 3 D.Lgs. n. 82/2005); la trasmissione a mezzo pec
equivale a notificazione a mezzo posta (articolo 48 D.Lgs.
n. 82/2005); se rispondenti ai requisiti formali
normativamente fissati, le istanze e dichiarazioni inviate
alla pubblica Amministrazione in via telematica equivalgono
a quelle presentate su supporto cartaceo con sottoscrizione
autografa (articolo 65 D.Lgs. n. 82/2005)”.
Lo ha evidenziato il TAR Friuli Venezia Giulia con la
sentenza 03.12.2014 n. 610.
LA VICENDA.
Nel caso affrontato dai giudici amministrativi del Friuli,
la società Telecom Italia aveva presentato a mezzo pec una
SCIA per la modifica di un proprio impianto fisso per la
telefonia mobile nel Comune di Pocenia.
È però intervenuto il divieto comunale di prosecuzione
dell’attività oggetto di SCIA, disposto per una serie di
ragioni, tra le quali il fatto che uno dei file digitali
contenenti la documentazione allegata alla segnalazione non
risultava apribile e quindi visionabile.
IL DESTINATARIO DELLA PEC DEVE INFORMARE IL
MITTENTE DELLA DIFFICOLTÀ DI VISIONARE IL FILE.
Nella sentenza, il Tar Friuli osserva che “Nel momento in
cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec
e di consegna della stessa nella casella del destinatario si
determina una presunzione di conoscenza della comunicazione
da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema
di dichiarazioni negoziali, dall’articolo 1335 Cod. civ..
Spetta la destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere
edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di
cognizione del contenuto della comunicazione legate
all’utilizzo dello strumento telematico, pure ammesso dalla
legge”.
Nel caso esaminato, “il Comune non ha nemmeno prospettato
che la mancata apertura dei file contenenti la
documentazione allegati alla SCIA dipendesse da una scelta
deliberata delle segnalanti: ne consegue che era suo dovere
rappresentare agli interessati la circostanza, fissando un
termine per ovviare al problema, con l’avvertimento che il
mancato tempestivo adempimento dell’incombente avrebbe
determinato l’esercizio dei poteri inibitori nel termine di
cui all’articolo 87-bis D.Lgs. n. 259/2003. A ben guardare
–concludono i giudici amministrativi- non si trattava
nemmeno di chiedere un’integrazione documentale, perché nel
caso di specie il documento era stato inviato, ma di
sollecitare, nell’interesse delle stesse segnalanti, una
riproduzione dello stesso in un formato visionabile
dall’Amministrazione”
(commento tratto da www.casaeclima.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
C'è semplificazione in edilizia. Modelli Scia e
permesso di costruire validi ovunque.
Il via libera dal ministero ai moduli unificati.
Stop alle richieste di documenti.
Un unico modello, valido per tutto il territorio nazionale,
di Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e
permesso di costruire.
A diffonderli è stato ieri il ministero per la
semplificazione e la pubblica amministrazione che li ha
adottati in forza dell'accordo Italia Semplice siglato il
12.06.2014 tra governo, regioni ed enti locali. In sostanza
dunque, spiega una nota ministeriale, invece degli oltre 8
mila moduli, sinora in uso, ci sarà un solo modulo che, dove
necessario, potrà essere adeguato alle specificità della
normativa regionale.
Tra le altre novità previste, lo stop alla richiesta di
documentazione che l'amministrazione ha già in possesso.
Basterà una semplice autocertificazione o l'indicazione
degli elementi che consentono all'amministrazione di
reperire la documentazione.
Le due versioni dei moduli unificati per la
Scia e il
permesso di costruire prevedono tutta la
casistica degli adempimenti connessi ai due adempimenti su
tutto il territorio nazionale.
Adesso, spiegano dal dicastero, le prossime tappe saranno la
verifica dell'effettiva diffusione del modulo (il risultato
non è raggiunto fino a quando non è percepito da imprese e
cittadini), adottare gli altri moduli per l'edilizia,
l'ambiente e l'avvio delle attività produttive, proseguire
infine con la semplificazione delle procedure connesse alle
attività edilizie.
Intanto, i modelli unificati diffusi ieri puntano ad
agevolare l'informatizzazione delle procedure e la
trasparenza per cittadini e imprese. L'accordo Italia
Semplice lancia un'alleanza istituzionale per riformare la
pubblica amministrazione, attraverso la condivisione tra
governo e autonomie di punti e obiettivi da raggiungere
insieme nei vari livelli e organismi dello stato. L'intesa
prevede il ripensamento dell'organizzazione delle pubbliche
amministrazioni territoriali e nazionali sul territorio e la
valorizzazione del capitale umano quale elemento vitale
della capacità della p.a. di dare risposte certe in tempi
rapidi.
Tra le priorità vi sono: la mobilità intercompartimentale,
la staffetta generazionale, pochi parametri e limiti alla
spesa per il personale, l'adozione di un sistema di regole
per il personale che coinvolga anche le società partecipate,
la realizzazione di un «mercato» organico della
dirigenza su base territoriale, che implichi anche un
intervento sulla disciplina dei segretari comunali e
provinciali, il ripensamento del sistema di accesso e norme
tendenzialmente uniformi per tutti i soggetti che compongono
la p.a. nel suo complesso, la semplificazione per crescere,
ridefinire e rendere semplici le procedure, la
digitalizzazione come unica forma di dialogo fra p.a.,
cittadini e imprese, l'Open data e la trasparenza come
elementi centrali dell'azione amministrativa.
A molte di queste esigenze provano a dare risposta i
provvedimenti (un decreto legge e un ddl) approvati venerdì
scorso dal consiglio dei ministri
(articolo ItaliaOggi del 18.06.2014
- tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La Scia spia degli abusi edilizi.
La segnalazione ha valore confessorio dell'irregolarità.
Il Consiglio di stato: se il comune non interviene entro 30
giorni scatta la sanatoria.
La Scia è spia d'abuso edilizio. Deve ritenersi che la
segnalazione certificata di inizio attività abbia valore
confessorio dell'irregolarità commessa dal proprietario
dell'immobile: se quindi il Comune non interviene entro
trenta giorni a bloccare i lavori, scatta il titolo
abilitativo in sanatoria come effetto previsto dalla legge,
indipendentemente da un'eventuale diversa volontà delle
parti.
Risultato: è da considerarsi sanato l'abuso edilizio che
aveva fatto scattare l'ordine di demolizione del solaio,
rivelatosi più alto di sessanta centimetri rispetto al
dovuto. E dunque l'ente locale non ha più interesse ad
agire.
Lo precisa il Consiglio di
Stato, Sez. V, con la
sentenza
31.03.2014 n. 1534.
Azione e condizioni
A far scattare l'ordine di demolizione è stato
l'accertamento che il manufatto risulta difforme rispetto ai
grafici allegati alla concessione edilizia. Ma ora viene
dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza
d'interesse il ricorso proposto dall'amministrazione contro
la sentenza di annullamento pronunciato dal tribunale
amministrativo regionale dell'Umbria.
Il Comune non contesta
che sia effettivamente decorso il termine di trenta giorni
dalla presentazione della Scia senza che sia stato adottato
e comunicato alcun provvedimento di divieto di prosecuzione
dell'attività: ne consegue che oggi il solaio un tempo
abusivo dispone di un titolo abilitativo, sia pure in
sanatoria dell'attività edilizia originariamente abusiva. Si
configura infatti la sopravvenuta carenza di interesse
all'appello principale da parte del Comune che impugnava la
sentenza del Tar favorevole al proprietario dell'immobile:
la successiva Scia in sanatoria ha comunque sanato l'abuso
dal quale è scaturita la controversia.
Sono quindi venute
meno nelle more del giudizio le condizioni dell'azione che
devono persistere per tutto il tempo della lite. Non ha buon
gioco l'ente locale a porre la questione dell'ipotetico
risarcimento in caso di rovesciamento del verdetto di primo
grado. Spese compensate per la particolarità della
questione
(articolo ItaliaOggi del 16.05.2014). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina nazionale dell’attività edilizia -
Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia
(SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività
edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera
previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia
soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del
permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso
di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4.
Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5.
L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.;
5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito
applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina
applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La
S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla
commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e
successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle
difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del
certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio
del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di
agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di
conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e
riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano
nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio
Nazionale del Notariato,
studio
10.01.2014 n. 893-2013/C). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
La Scia non dribbla la verifica d'agibilità.
La verifica dell'agibilità di un locale destinato al
trattenimento, anche se capace di accogliere meno di 200
persone, non può essere sostituita da una Scia e
l'intervenuta abrogazione dell'art. 124 del regolamento al
Tulps, disposta dal dl 5/2012, non fa venir meno gli
obblighi in materia di sicurezza per bar e ristoranti che
organizzano spettacoli.
Lo dice il ministero dell'interno nella circolare prot. 557/Pas/u/
003524/13500.A (8) del 2013 diffusa dalla prefettura di
Ravenna con nota n. 2013/2013.
Presupposto della Scia è la natura vincolata dell'atto
autorizzativo sostituito, subordinatamente all'accertamento
positivo dei requisiti di legge; e poiché il parere della
commissione di vigilanza presuppone l'esercizio di una
discrezionalità tecnica con un contenuto più ampio di una
mera verifica del rispetto delle norme vigenti in materia di
sicurezza, l'agibilità deve essere formalmente accertata.
Non sempre, peraltro, ha aggiunto il ministero, ogni
spettacolo o trattenimento musicale o danzante svolto in un
pubblico esercizio è soggetto agli art., 68, 69 e 80 Tulps.
Sono esenti, infatti, gli spettacoli e i trattenimenti
organizzati occasionalmente o per specifiche ricorrenze,
sempreché rappresentino un'attività. Poco è cambiato quindi
dopo l'abrogazione dell'art. 124 del rd 635/1940. Perché il
legislatore non ha fatto altro che sancire a livello
normativo il principio già ricavato dal dicastero a livello
interpretativo.
In sostanza nessun obbligo per l'esercente quando il
trattenimento è funzionale all'attività commerciale ed è
lecito che l'esercente attui una maggiore attrattiva sul
pubblico, ma senza quella specifica imprenditorialità nel
campo dell'intrattenimento e dello spettacolo che farebbe,
invece, scattare l'obbligo del rispetto delle specifiche
norme
(tratto da ItaliaOggi del
17.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: DECRETO
DEL FARE/
Ristrutturazioni, meno vincoli.
Demolizioni seguite da ricostruzione: sagoma esclusa.
Via libera alla deburocratizzazione dei
pareri per la Scia.
L'esclusione della sagoma, quale vincolo per considerare
ristrutturazione le demolizioni seguite da ricostruzione; la
sburocratizzazione dei pareri necessari per la Scia; la
proroga dei termini di inizio e fine lavori; le agibilità
parziali; il silenzio rigetto per i permessi di costruire in
aree vincolate.
Queste alcune delle novità in materia di edilizia apportate
dal pacchetto di semplificazioni contenuto nel decreto del
Fare (69/2013).
Vincoli ambientali. Si passa dal silenzio-rifiuto al
silenzio-rigetto, immediatamente impugnabile. Secondo il
Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001), nel caso in cui
manchi un atto di assenso per vincolo ambientale,
paesaggistico e culturale, si viene a formare il silenzio
rifiuto. Il decreto legge modifica il procedimento in caso
di immobili vincolati nel seguente modo.
Se l'assenso
dell'autorità preposta al vincolo è favorevole, il comune
sarà tenuto a concludere il procedimento di rilascio del
permesso di costruire con un provvedimento espresso e
motivato. Se, invece, l'atto di assenso viene negato,
decorso il termine per il rilascio del permesso di
costruire, questo si intenderà respinto. L'atto è
immediatamente impugnabile.
Pareri. Allo sportello unico per l'edilizia va il compito di
acquisire i pareri anche prima della presentazione della
Scia. Il testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione,
da parte dello Sportello unico per l'edilizia (Sue), degli
atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso
in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione
della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia
libera o della Scia edilizia. Il decreto estende la
disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, dispone che l'interessato possa,
prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere
allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di
assenso necessari per l'intervento edilizio.
Lo sportello si
deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di
costruire: se non sono rilasciati gli atti di assenso delle
altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso
di una o più amministrazioni interpellate, il responsabile
dello sportello unico indice la conferenza di servizi per
acquisirli. Se poi l'istanza di acquisizione di tutti gli
atti di assenso è contestuale alla segnalazione certificata
di inizio attività, l'interessato potrà dare inizio ai
lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello
unico dell'avvenuta acquisizione degli atti di assenso o
dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità
si applicano anche alla comunicazione dell'inizio dei lavori
per l'attività edilizia libera, qualora siano necessari atti
di assenso per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Edilizia libera. Una dichiarazione in meno per la
comunicazione di inizio lavori. Il Testo unico per
l'edilizia prevede per l'attività edilizia libera l'invio di
una comunicazione dell'inizio dei lavori, a cui deve essere
allegata una relazione asseverata firmata da un tecnico
abilitato, che dichiari di non avere rapporti di dipendenza
con l'impresa né con il committente. Il decreto dispone di
eliminare tale dichiarazione da parte del tecnico abilitato.
Agibilità parziale. Il decreto modifica la disciplina del
certificato di agibilità, consentendone la richiesta anche
per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso
stabile. Questo a condizione che le unità siano
funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e
collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative
all'intero intervento edilizio e siano state completate e
collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati
e certificati gli impianti relativi alle parti comuni.
L'agibilità parziale potrà essere richiesta anche per
singole unità immobiliari, purché siano completate e
collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati
gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere
di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto
all'edificio oggetto di agibilità parziale.
Decorrenza.
Le nuove disposizioni si applicano dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del decreto
(tratto da ItaliaOggi del
14.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Iter più snello, ma niente Scia per modificare la sagoma.
Semplificazione a metà sugli
immobili vincolati.
Iter semplificato –ma solo in parte– per gli immobili
vincolati. Il decreto del fare (Dl 69/2013, convertito in
legge dal Parlamento) da un lato alleggerisce la procedura
per il rilascio del permesso di costruire per gli immobili
sottoposti a vincoli, mentre dall'altro continua a
richiederlo –o in alternativa la Dia– quando si realizzano
su edifici vincolati interventi di demolizione e
ricostruzione con modifica della sagoma.
Il vincolo di sagoma
Di fatto, la deregulation sul rispetto della sagoma
introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr
380/2001 (si veda l'articolo in basso) non si applica agli
immobili assoggettati a vincoli previsti dal Dlgs 42/2004.
Nel caso di questi immobili gli interventi di demolizione e
ricostruzione per essere considerati di ristrutturazione
edilizia devono conservare volumetria e sagoma preesistenti
(negli immobili non vincolati è sufficiente il rispetto solo
del primo vincolo).
In altri termini, quando il nuovo
edificio riproduce la stessa forma di quello demolito,
l'intervento può essere essere eseguito con la Scia, se la
forma cambia è indispensabile chiedere il rilascio del
permesso di costruire o la Dia. Peraltro, è bene ricordare
che il quadro delle norme nazionali –così come modificato
dal decreto "del fare"– va sempre coordinato con le norme
regionali (si veda la scheda a destra).
L'iter più leggero
Relativamente alle procedure, le nuove norme intervengono
sui commi 8, 9 e 10 dell'articolo 20 del Dpr 380/2001. Il
comma 10 viene abrogato: disciplinava il rilascio del
permesso di costruire relativo agli immobili sottoposti a
vincoli la cui tutela è attribuita ad amministrazioni
diverse da quella comunale. La norma abrogata prevedeva che
per acquisire i pareri di quelle amministrazioni, il
responsabile comunale del provvedimento dovesse convocare
una conferenza di servizi. L'attivazione di questa fase
procedurale non era richiesta quando i pareri erano di
pertinenza del Comune oppure quando l'amministrazione
comunale era stata delegata a rilasciarli dalle
amministrazioni titolari della relativa competenza. Con le
nuove norme l'ufficio comunale convoca la conferenza dei
servizi se lo ritiene opportuno, ma non è più obbligato a
farlo.
Rilevanti sono anche le modifiche introdotte al comma 9
dell'articolo 20. Nella versione precedente, questa norma
prevedeva che nel caso di parere negativo delle
amministrazioni competenti a esprimersi sui vincoli
ricadenti sull'immobile, «decorso il termine per l'adozione
del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di
costruire si intende formato il silenzio-rifiuto». Se gli
altri enti erano contrari, pertanto, l'amministrazione
comunale non era tenuta ad assumere alcun provvedimento in
risposta all'istanza presentata da un'impresa o un
cittadino.
Con le nuove regole, invece, la procedura di rilascio o di
diniego del permesso di costruire deve concludersi con un
atto dell'amministrazione comunale, che deve essere
notificato all'interessato e nel quale devono essere
indicati il termine e l'autorità a cui è possibile ricorrere
nel caso di non accoglimento della richiesta.
Pur senza ammettere una valutazione meno rigorosa dei
vincoli paesaggistici e storico-artistici, l'eliminazione
del silenzio-rifiuto introduce una maggiore tutela nei
rapporti con la pubblica amministrazione dei soggetti
titolari di diritti su quegli immobili: non possono
accampare alcun diritto in più a vedere accolte le proprie
proposte, ma hanno il diritto di conoscere le ragioni per le
quali i progetti avanzati non possono essere realizzati.
Il rendimento energetico
Novità anche in fatto di applicazione del Dlgs 192/2005,
relativamente alle regole sul rendimento energetico degli
edifici vincolati. In sede di conversione del Dl 63/2013, si
è infatti intervenuti sulla norma che escludeva dal
l'applicazione del Dlgs 192/2005 gli edifici vincolati «solo
nel caso in cui il rispetto della prescrizione implichi
un'alterazione sostanziale del loro carattere e aspetto con
particolare riferimento ai profili storici e artistici». Ora
si precisa che sono le amministrazioni titolari delle
autorizzazioni relative al vincolo a dover chiarire se «il
rispetto della prescrizione imposta implichi un'alterazione
sostanziale del carattere o aspetto» dell'edificio.
Viene quindi reintrodotto il vincolo paesaggistico tra
quelli che possono far venir meno l'applicazione del Dlgs
192, ferma restando la valutazione affidata all'autorità
preposta al vincolo. La sola violazione di uno dei vincoli,
inoltre, dovrebbe essere sufficiente a disapplicare il
decreto.
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Le altre misure. Le disposizioni per gli edifici «ordinari»
fuori dai centri storici.
Ricostruzione anche difforme e otto anni per finire i lavori.
Per classificare come ristrutturazione edilizia la
demolizione e ricostruzione di un edificio non sarà più
necessario rifarlo esattamente uguale a come era in
precedenza, con la stessa sagoma. I Comuni possono, però,
limitare l'applicazione di questa norma nei centri storici.
Sono alcune delle semplificazioni che il decreto legge "del
fare" (Dl 69/2013) ha apportato, in materia di edilizia, al
testo unico dell'edilizia.
La modifica introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c),
del Dpr 380/2001, permette di includere la demolizione di un
edificio e la sua successiva ricostruzione (anche di ruderi
di consistenza certa prima del crollo) con una forma
differente dalla precedente tra gli interventi di
ristrutturazione edilizia, con la possibilità, quindi, di
realizzare i progetti con segnalazione certificata di inizio
attività (Scia). Finora questi interventi passavano per
nuove costruzioni, con la conseguenza che per realizzarli
occorreva il permesso di costruire o la denuncia di inizio
attività (Dia). Naturalmente, tra il vecchio e il nuovo
edificio deve restare invariata la volumetria.
In sede di conversione del Dl 69 è stata introdotta una
limitazione all'applicazione generalizzata e automatica
della semplificazione sulla sagoma. Entro il 30 giugno del
prossimo anno i sindaci devono, se non vogliono che al loro
posto lo faccia un commissario regionale o ministeriale,
individuare le aree dei centri storici e le altre
classificate come zone omogenee A dal decreto ministeriale
1444/1968 nelle quali per gli interventi di demolizione e
ricostruzione con modifica della sagoma continua ad essere
necessario il permesso di costruire. Nelle restanti aree
delle zone A, i lavori potranno iniziare solo dopo 30 giorni
dalla presentazione della Scia. In queste zone
l'applicazione della Scia a interventi con modifica della
sagoma è sospesa: sarà possibile solo dopo che i Comuni
avranno indicato le aree assoggettate a permesso di
costruire.
Questa novità si lega a un'altra disposizione del decreto,
in base alla quale lo sportello unico per l'edilizia (Sue) è
diventato l'ufficio del Comune che deve acquisire tutti i
pareri e nullaosta anche per gli interventi realizzati con
la comunicazione di inizio dei lavori e la Scia.
L'interessato può presentare la richiesta di acquisizione di
parere contestualmente alla Scia o comunicazione. In
alternativa può dividere in due tempi l'operazione: prima
chiede al Sue di acquisire gli assensi necessari e poi, una
volta ottenuti, presenta la comunicazione del titolo
abilitativo.
Un'altra misura anticrisi riguarda la validità temporale dei
titoli abilitativi. Con il decreto del fare non occorre più
alcuna motivazione per chiedere, al Comune, di iniziare i
lavori oltre il termine di un anno dal ritiro del permesso
di costruire o per terminarli oltre i tre anni dalla posa
della prima pietra.
D'ora in avanti per ottenere una proroga di due anni di
ognuno di quei termini è sufficiente una semplice istanza,
senza che l'amministrazione comunale possa sindacare sul
perché.
In sostanza vengono raddoppiati da quattro a otto gli anni a
disposizione degli interessati per completare gli
interventi. Le imprese, quindi, hanno più tempo per
realizzare gli interventi senza chiedere il rilascio di un
nuovo permesso e senza pagare il contributo commisurato agli
oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione per la
parte dell'opera non completata entro il termine di validità
del titolo. La proroga vale anche per gli interventi
realizzati con Dia e Scia. Finora solo nelle Marche operava
la proroga automatica dei titoli abilitativi.
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Il recepimento.
Attività edilizia libera a geometria variabile.
Meno limiti per alcune attività di edilizia libera. È il
risultato delle modifiche apportate dal decreto "del fare"
al comma 2 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 che elenca gli
interventi per la cui realizzazione è richiesta una
preventiva comunicazione di inizio lavori al Comune, anche
tramite internet (nel comma 1 dello stesso articolo sono
riportate le attività libere per le quali non occorre
nessuna comunicazione).
Per gli interventi di manutenzione che non toccano le parti
strutturali dell'edificio, non comportano aumento del numero
delle unità immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici –nonché per le attività edilizie
relative a modifiche interne relative alla superficie
coperta dei capannoni e negozi oppure per il cambio della
destinazione d'uso degli immobili in cui si svolge
l'attività di una impresa– è inoltre necessario trasmettere
anche i dati dell'impresa incaricata dei lavori, gli
elaborati progettuale e la relazione di un tecnico
abilitato.
Prima dell'entrata in vigore del decreto, il sottoscrittore
della relazione poteva essere solo un libero professionista
indipendente sia dall'impresa esecutrice sia dal
committente. Soprattutto per le imprese con propri uffici
tecnici ciò costituiva un costo aggiuntivo. Ora questa
condizione è superata: il tecnico può essere anche un
dipendente di uno dei due soggetti interessati
all'intervento.
Questi interventi, al pari di ogni altra attività di
edilizia libera, possono essere realizzati senza alcun
titolo abilitativo solo se rispettano gli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche, sulla
sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie e quelle relative
all'efficienza energetica; devono anche tenere conto delle
disposizioni contenute nel Dlgs 42/2004.
Dall'esame delle norme regionali che hanno recepito il
contenuto del testo unico dell'edilizia (o parti di esso),
si ricava che nell'elencazione delle attività di edilizia
libera molte Regioni si sono attenute a quando previsto dal
Dpr 380/2001. In qualche caso è stata mantenuta la
distinzione tra le attività di edilizia libera per le quali
è richiesta la comunicazione anticipata al Comune e quelle
per le quali essa non occorre.
In Umbria la comunicazione è
richiesta per i cambi d'uso di non più del 50% della
superficie utile dell'unità immobiliare, entro un tetto
massimo di 50 mq. In Sardegna la comunicazione è richiesta
per tutti gli interventi. La lista delle attività libere è
molto lunga in Friuli Venezia Giulia. Se non sono
stabilmente ancorate al terreno e hanno allacciamenti mobili
ai servizi anche le strutture ricettive turistiche all'aria
aperta possono essere realizzate senza titolo abilitativo
(tratto da Il Sole 24 Ore del
12.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche
per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di
60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n.
380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3.
Sempre in via
preliminare, va rilevato che i provvedimenti impugnati sono
stati emanati nei termini legali, atteso che anche per le
domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60
giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3
(TAR Basilicata,
sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA: Al comune il compito di recuperare i pareri per la Scia.
Lo sportello unico dovrà acquisire gli atti presupposti
all'inizio dei lavori.
Al comune il compito di recuperare i pareri necessari per la
Scia, agibilità edilizia parziale e semplificazioni nella
comunicazione di inizio attività per l'attività di edilizia
libera.
Sono queste alcune delle novità in materia edilizia
della bozza di decreto legge sulle semplificazioni, che va
oggi in Consiglio dei ministri. Partiamo proprio dai pareri
per esaminare le possibili innovazioni al Testo unico per
l'edilizia.
Pareri. Allo sportello unico andrebbe il compito di
acquisire i pareri anche prima della presentazione della
Scia. Il Testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione,
da parte dello sportello unico per l'edilizia (Sue), degli
atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso
in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione
della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia
libera o della Scia edilizia. Il decreto estenderebbe la
disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, propone che l'interessato possa,
prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere
allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di
assenso necessari per l'intervento edilizio. Lo sportello si
deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di
costruire, ma con termini ridotti alla metà: se entro 30
giorni dalla domanda non sono stati rilasciati gli atti di
assenso delle altre amministrazioni pubbliche, o è
intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni
interpellate, il responsabile dello sportello unico indice
la conferenza di servizi per acquisirli.
In dettaglio si
propone l'inserimento nel Testo unico dell'edilizia di un
nuovo articolo che prevede che nei casi in cui si applica la
disciplina della segnalazione certificata di inizio attività
prima della presentazione della segnalazione, l'interessato
potrà richiedere allo sportello unico di provvedere
all'acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque
denominati, necessari per l'intervento edilizio, o
presentare istanza di acquisizione dei medesimi atti di
assenso contestualmente alla segnalazione.
Lo sportello
unico comunicherà tempestivamente all'interessato l'avvenuta
acquisizione degli atti di assenso. In caso di presentazione
contestuale della segnalazione certificata di inizio
attività e dell'istanza di acquisizione di tutti gli atti di
assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento
edilizio, l'interessato potrà dare inizio ai lavori solo
dopo la comunicazione da parte dello sportello unico
dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o
dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità
proposte si applicheranno anche alla comunicazione
dell'inizio dei lavori per l'attività di edilizia libera
qualora siano necessari atti di assenso, comunque
denominati, per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Agibilità parziale. Il decreto modificherebbe la disciplina
del certificato di agibilità, consentendone la richiesta
anche per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso
stabile. Questo a condizione che le unità siano
funzionalmente autonome, e sempre che siano state realizzate
e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative
all'intero intervento edilizio e siano state completate le
parti comuni relative al singolo edificio o singola porzione
della costruzione.
L'agibilità parziale potrebbe essere
richiesta anche per singole unità immobiliari (se complete
delle opere strutturali, impianti, parti comuni e opere di
urbanizzazione primarie ultimate o dichiarate funzionali
rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale). Nei
casi di rilascio del certificato di agibilità parziale prima
della scadenza del termine entro il quale l'opera deve
essere completata, lo stesso è prorogato per una sola volta
di tre anni.
Attività edilizia libera.
Una dichiarazione in meno per la comunicazione di inizio
lavori. Il Testo unico per l'edilizia prevede per l'attività
edilizia libera l'invio di una comunicazione dell'inizio dei
lavori, a cui deve essere allegata una relazione asseverata
firmata da un tecnico abilitato, che dichiari di non avere
rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.
Il decreto propone di eliminare tale dichiarazione da parte
del tecnico abilitato, consentendo di conseguenza di
rimuovere l'obbligo di assumere un tecnico indipendente: la
prescrizione che non trova riscontro nelle altre procedure
edilizie (Scia, Dia in alternativa al permesso di costruire,
permesso di costruire)
(articolo ItaliaOggi del 15.06.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Gustapane,
SCIA edilizia e responsabilità penale dei funzionari
comunali
(maggio 2013 - tratto da www.filodirittto.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia senza imposta di bollo. Le Entrate esonerano dal
tributo, salvo altre certificazioni.
Risoluzione dell'amministrazione
finanziaria sul nullaosta in materia di prevenzione incendi.
No all'applicazione dell'imposta di
bollo per la presentazione della Segnalazione certificata
d'inizio attività (Scia), purché la stessa non preveda il
rilascio di un provvedimento o, comunque, di certificazioni.
Imposta di bollo nella misura di euro 14,62 a foglio,
invece, per nulla osta di fattibilità che i titolari delle
attività soggette ai controlli di prevenzione possono
richiedere, al comando dei vigili del fuoco.
L'Agenzia delle entrate, con la
risoluzione 08.04.2013 n. 24/E, risponde al quesito
posto dal dipartimento dei vigili del fuoco in ordine al
corretto trattamento da riservare, ai fini dell'imposta di
bollo, su alcuni documenti. In pratica si tratta del
nullaosta di fattibilità che i titolari delle attività
soggette al controllo dei vigili del fuoco possono
richiedere preventivamente al comando provinciale vigili del
fuoco e delle richieste di verifiche in corso d'opera al
fine di attestare la rispondenza delle opere alle
disposizioni in materia di prevenzione incendi, anche
durante la loro realizzazione.
I tecnici di prassi sostengono il nulla osta di fattibilità
rientra tra gli «Atti e provvedimenti_» di cui
all'articolo 4 della tariffa allegata al dpr n. 642 del
1972, «_ rilasciati (_) a coloro che ne abbiano fatto
richiesta» e, pertanto, è soggetto all'imposta di bollo
nella misura di euro 14,62 per ogni foglio. Nel caso delle
richieste di verifiche in corso d'opera, se a seguito della
effettuazione di queste visite, l'amministrazione proceda
all'emanazione di un atto amministrativo, sia l'istanza
presentata dall'ente o dal privato che il relativo atto
rilasciato devono essere assoggettati ad imposta di bollo,
ai sensi degli articoli 3 e 4 della tariffa del dpr n. 642
del 1972.
Per quanto riguarda la Scia, l'Agenzia delle entrate con la
risoluzione 05.07.2001 n. 109, ha avuto modo di chiarire,
con riferimento alle denunce di inizio attività di cui alla
legge 07.08.1990 n. 241, che le stesse «_ non sono da
assimilare alle istanze volte ad ottenere l'emanazione di un
provvedimento_ Non essendo prevista l'emanazione di un
provvedimento (_) non è possibile far rientrare tra le
istanze_» di cui al citato articolo 3 dpr n. 642 del
1972 «_ le denunce di inizio attività (_) che sono
infatti da considerare come semplici comunicazioni e
pertanto non soggette ad imposta di bollo_».
Oggi, sulla base di tale risoluzione del 2001, i tecnici di
prassi ritengono che la Scia, non deve essere assoggettata a
imposta di bollo, sempreché la stessa non preveda il
rilascio di un provvedimento o, comunque, il rilascio di
certificazioni (articolo
ItaliaOggi del 09.04.2013 - tratto da
www.fiscooggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
Asprone e A. Magliulo,
LE AZIONI ESPERIBILI DAI TERZI CONTROINTERESSATI IN MATERIA
DI SCIA ALLA LUCE DEGLI ULTIMI APPRODI NORMATIVI E
GIURISPRUDENZIALI
(Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
---------------
Segnalazione certificata di inizio attività, SCIA. Il
delicato aspetto controverso, connesso alla questione
relativa alla natura giuridica e i termini entro cui
proporre tale azione.
-----------------
Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e
giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. - 2.
Considerazioni conclusive. |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal
Consiglio di Stato.
La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri.
Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso
di costruire i conteggi vengono differiti fino
all'approvazione del progetto.
L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del
provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività),
insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione
della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento
del carico urbanistico, quindi all'attività di
trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al
momento di presentazione della Scia o della denuncia che
l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli
oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari
successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un
principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza
04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece,
l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del
progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di
anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe
vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più
favorevoli, in vigore alla data di presentazione della
domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e
n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato
introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi
trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il
Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha
progressivamente definito i contenuti e la portata,
chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di
Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il
contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed
obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato,
sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di
una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle
parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione
dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione
V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso
che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a
fronte di un asserito inadempimento del Comune della
"controprestazione" pattuita, che nel caso specifico
consisteva nella costruzione di una strada indispensabile
per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso
di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato
nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che
viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento
di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e
la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere
collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata
area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente
sia dalle spese effettivamente occorrenti
all'amministrazione per realizzare le opere di
urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il
proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale
titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire
l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni
cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative
disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la
delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione
edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli
oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento
comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e
localizzazione del manufatto, oppure all'entità della
trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV,
sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla
giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta
all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua
impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non
vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci
si limiti a contestare la concreta quantificazione del
contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le
controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e
sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni
innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012,
n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
---------------
I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA
CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della
concessione edilizia si configura come fatto costitutivo
dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per
oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così
alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili
affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato
e grazie alle quali l'area acquista un beneficio
economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo
i parametri vigenti al momento del rilascio della
concessione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n.
4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO
È IMMEDIATO
Nel caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
(Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il
costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione
della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione
esistente al momento della presentazione della domanda -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO
IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati i contributi concessori per gli interventi
edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale,
è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della
sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla
contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a
posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel
termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI
NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di
urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato
sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede
una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011,
n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare
il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le
tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del
complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi
effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva
qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio
oggetto di concessione edilizia e di contribuzione
urbanistica -
Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato
tenendo conto anche delle "superfici di calpestio",
ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite
dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani
utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno
escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai
pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali
cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per
l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di
urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del
carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento
edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non
nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di
quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior
incremento del carico urbanistico -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n.
4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono
dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle
zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi
adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da
parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla
collettività comunale per effetto della trasformazione del
territorio -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009,
n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE
DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri
d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle
tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di
costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come
definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze
edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo
abilitativo -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza
22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria
dell'insussistenza o di una diversa entità del debito
contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a
prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con
cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un
giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio
pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011,
n. 1752 (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: W.
Fumagalli,
IL LAVORO DEGLI OPERATORI DELL’EDILIZIA È SEMPRE PIÙ
COMPLICATO - La S.C.I.A. edilizia in Lombardia - Come se
la crisi non bastasse, da Palazzo Lombardia ecco arrivare
un’altra bella gatta da pelare
(AL n. 9-10/2012). |
EDILIZIA PRIVATA: SCIA,
super-DIA, permesso di costruire: tutto
quello che c’è da sapere, in un documento
semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi,
dalla semplice manutenzione alla costruzione
di un nuovo fabbricato, è necessario
possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la
super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse
attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o
l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un
documento di sintesi, contenente le
definizioni relative alle diverse attività
edilizie, le tipologie dei permessi
previsti, le relative normative di
riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni
previste.
Il documento risulterà certamente utile a
tutti i tecnici dell’edilizia e non solo
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La Scia è
materia riservata allo stato. Respinti i
ricorsi di quattro regioni.
La Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) va ricondotta al parametro dei
livelli essenziali delle prestazioni (art.
117, II comma, lettera m) Cost. e, in quanto
tale, rientra nella competenza dello Stato.
È quanto ha stabilito la Corte
Costituzionale con la
sentenza
27.06.2012 n. 164 respingendo i
ricorsi presentati da Toscana, Liguria,
Emilia Romagna, e Regione autonoma Valle
d'Aosta/Vallée d'Aoste.
A distanza di due anni, quindi, dalla
modifica dell'articolo 19 della legge
241/1990, con l'introduzione della Scia
(immediatamente efficace) in luogo della Dia
(ad efficacia differita) il giudice delle
leggi ha affermato che la disciplina della
Scia attiene ai livelli essenziali delle
prestazioni e, quindi, di competenza dello
stato. Ciò in quanto tale affidamento in via
esclusiva si collega al fondamentale
principio di uguaglianza stabilito dall'art.
3 della Costituzione. Ciò comporta,
inevitabilmente, ha osservato la Corte, una
restrizione dell'autonomia legislativa delle
regioni, allo scopo di assicurare un livello
uniforme di godimento dei diritti civili e
sociali tutelati dalla stessa Costituzione.
La Corte ha invece condiviso uno dei motivi
di ricorso delle regioni, ovvero che la Scia
non poteva considerarsi attinente anche alla
tutela della concorrenza, così come
affermato dall'art. 49, commi 4-bis e 4-ter,
del dl 78/2010. Il riferimento alla «tutela
della concorrenza» contenuto nella legge
che ha introdotto il nuovo istituto, ha
rilevato la Corte, è del tutto
inappropriato. Perché detta disciplina ha un
ambito applicativo diretto alla generalità
dei cittadini e perciò va oltre tale
materia. anche se è ben possibile che vi
siano casi nei quali quella materia venga in
rilievo. Uno dei motivi di ricorso delle
regioni riguardava anche la Scia ed il
settore dell'edilizia.
A tale proposito, la Corte ha sottolineato
che ogni dubbio interpretativo circa
l'applicabilità a tale settore è stato
superato in forza del fatto che il
legislatore è intervenuto successivamente
con il dl 70/2011. Ma relativamente a tale
aspetto ha precisato che «non può porsi
in dubbio che le esigenze di semplificazione
e di uniforme trattamento sull'intero
territorio nazionale valgano anche per
l'edilizia anche se questa, come
l'urbanistica, rientra nel governo del
territorio», materia appartenente alla
competenza legislativa concorrente tra Stato
e regioni»
(articolo ItaliaOggi del 28.06.2012 - link a
www.ecostampa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure
urgenti per la crescita del Paese"
(D.L.
22.06.2012 n. 83).
---------------
Le disposizioni del Decreto Legge sono
già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per
ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni
di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi
(SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl
semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del Decreto, riproponiamo
il documento di sintesi delle principali
disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a
http://www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Tenuto
conto del lungo tempo intercorso dalla
presentazione della SCIA e delle numerose
integrazioni documentali, è illegittimo il
provvedimento di demolizione recante un mero
richiamo alla presunta contrarietà
dell’opera alle NTA vigente e senza alcun
cenno ai presupposti per l’esercizio del
potere di autotutela, come del resto
stabilito dalla prevalente giurisprudenza in
analoghe fattispecie, nelle quali
l’esercizio del potere repressivo in materia
edilizia non è stato preceduto dal rituale
esercizio del potere ex art. 21-nonies della
legge 241/1990.
L’ordinanza di demolizione concerne un’opera
(box per auto), realizzata dall’esponente in
esecuzione della SCIA depositata il
24.05.2011 e successivamente integrata
attraverso la produzione documentale del
21.06.2011 e del 13.09.2011 (cfr. doc. 1 del
ricorrente).
A fondamento della propria decisione, il
Comune assume la presunta difformità
dell’opera rispetto agli elaborati
progettuali (distanza dal fabbricato
principale di metri 4,2 anziché 5 ed altezza
di metri 2,92 anziché 2,5).
L’art. 19 della legge 241/1990, nel testo
attualmente vigente relativo alla SCIA,
consente all’Amministrazione, in caso di
accertata carenza dei requisiti di legge per
la segnalazione certificata di inizio
attività, di adottare provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività o di
rimozione degli effetti, entro 30 giorni dal
ricevimento della SCIA in materia edilizia
(così il combinato disposto dei commi 3 e
6-bis dell’art. 19).
Dopo la scadenza del suddetto termine, è
consentito l’intervento dell’Amministrazione
per la tutela di beni giuridici di
particolare valore (ambiente, salute ed
altri), oppure l’esercizio del potere di
autotutela ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies della legge
241/1990 (così i commi 3 e 4 dell’art. 19).
Nel caso di specie, l’ordinanza di
demolizione è stata adottata il 13.02.2102
(cfr. doc. 1 del ricorrente), allorché
l’ultima produzione documentale integrativa
da parte dell’esponente era avvenuta il
19.12.2011, come del resto ammesso anche nel
provvedimento ivi impugnato.
Nell’ordinanza di demolizione, manca ogni
accenno ai presupposti per l’esercizio del
potere di autotutela ai sensi dell’art.
21-nonies sopra citato, né è fatto
riferimento ad un eventuale pericolo di
danno per il patrimonio artistico od altro,
ai sensi del comma 4 dell’art. 19.
Il Comune si limita infatti, nell’ordinanza
stessa, a sostenere la presunta contrarietà
dell’intervento edilizio all’art. 13 delle
NTA del vigente PRG, senza altro addurre per
giustificare il provvedimento di carattere
demolitorio adottato nei confronti della
SCIA dell’esponente.
Tenuto conto del lungo tempo intercorso
dalla presentazione per la prima volta della
SCIA (24.05.2011) e che l’ultima delle
–peraltro numerose– integrazioni documentali
é stata effettuata il 19.11.2011, il
provvedimento di demolizione del 13.02.2012,
recante un mero richiamo alla presunta
contrarietà dell’opera alle NTA vigente e
senza alcun cenno ai presupposti per
l’esercizio del potere di autotutela, appare
illegittimo, come del resto stabilito dalla
prevalente giurisprudenza in analoghe
fattispecie, nelle quali l’esercizio del
potere repressivo in materia edilizia non è
stato preceduto dal rituale esercizio del
potere ex art. 21-nonies della legge
241/1990 (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez.
IV, 07.06.2011, n. 1405; TAR Marche,
27.09.2010, n. 3305 e TAR Campania, Napoli,
sez. VIII, 02.07.2010, n. 16562).
Si conferma pertanto l’accoglimento del
ricorso, con assorbimento di ogni altra
censura e con conseguente annullamento
dell’ordinanza comunale del 13.02.2012
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.06.2012 n. 1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
SCIA in edilizia e tutela del terzo (esegesi
dell’art. 19 della legge n. 241/1990 e
ss.mm.ii., con invito alla chiarezza
normativa rivolto al Presidente del
Consiglio dei Ministri) (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di ricorsi
proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a.
anteriormente all'esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione, in
virtù del principio di economia processuale,
l'azione di accertamento, una volta maturato
il termine per la definizione del
procedimento amministrativo, si converte
automaticamente in domanda di impugnazione
del provvedimento sopravvenuto in ragione
del fatto che la portata sostanziale del
ricorso iniziale finisce per investire sia
sul piano del petitum che della causa
petendi la decisione della p.a. di non
adottare il provvedimento inibitorio.
Dunque, è riconosciuta la possibilità di
un’azione giurisdizionale di accertamento
della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a.
presentate dai privati, prima dell’esercizio
da parte dell’amministrazione competente
dell’azione inibitoria di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di
legittimità.
Per quanto
riguarda la contestabilità in giudizio della
s.c.i.a., va preliminarmente ricordato come
l’istituto sia nuovo nel nostro ordinamento.
Introdotte con modifica all’art. 19 della L.
07.08.1990 n. 241 dalla L. 30.07.2010 n.
122, le s.c.i.a. (segnalazioni certificate
d’inizio attività edilizia) insieme alle
d.i.a. s’inseriscono tra le modalità di
semplificazione dell’azione amministrativa
con effetto sostitutivo, a mezzo
dichiarazione, di provvedimenti pubblici di
autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominati, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
requisiti e presupposti di legge o di atti
amministrativi a contenuto generale (art.
19, comma 1, della L. n. 241/1990).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,
con decisione 29.7.2011 n. 15, ha statuito
che nel caso di ricorsi proposti avverso
d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente
all'esercizio del potere inibitorio da parte
dell’amministrazione, in virtù del principio
di economia processuale, l'azione di
accertamento, una volta maturato il termine
per la definizione del procedimento
amministrativo, si converte automaticamente
in domanda di impugnazione del provvedimento
sopravvenuto in ragione del fatto che la
portata sostanziale del ricorso iniziale
finisce per investire sia sul piano del
petitum che della causa petendi la
decisione della p.a. di non adottare il
provvedimento inibitorio.
La pronuncia, dunque, riconosce la
possibilità di un’azione giurisdizionale di
accertamento della illegittimità di d.i.a. e
s.c.i.a. presentate dai privati, prima
dell’esercizio da parte dell’amministrazione
competente dell’azione inibitoria di divieto
di prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di legittimità
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 04.05.2012 n. 4007 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
il comune è silente la Scia va in tribunale.
Al chi si ritiene leso dagli effetti della
Dia (oggi Scia) concessa, per esempio, a un
vicino di casa, non resta che esperire
l'azione di cui all'articolo 31 del codice
del processo amministrativo in materia di
silenzio della pubblica amministrazione.
È
il risultato della manovra di Ferragosto
prima e del correttivo al Cpa poi che,
recependo solo in parte le indicazioni
dell'Adunanza plenaria del Consiglio di
stato, hanno di fatto cancellato
dall'ordinamento giuridico l'azione di
annullamento del provvedimento tacito di
diniego dei provvedimenti inibitori,
introdotta solo per via giurisprudenziale da
palazzo Spada. Chi si ritiene danneggiato
dalla Dia-Scia, comunque, potrà agire ben
prima della scadenza del termine finale
assegnato all'amministrazione per
l'esercizio del potere di bloccare
l'iniziativa o modificare il titolo. E ciò
fin da quando la Scia o la Dia sono
presentate e il terzo viene a sapere della
loro utilizzazione.
Lo precisa la
sentenza
05.03.2012 n. 298 della II Sez. del TAR
Veneto.
Unico rimedio
L'adunanza plenaria 15/2011 di palazzo Spada
ha stabilito che la Dia costituisce una mera
dichiarazione del privato rivolta
all'amministrazione competente e non un
provvedimento tacito formatosi per il
decorso del termine. In base al nuovo quadro
normativo, tuttavia, il legislatore
recepisce sì l'indicazione proveniente dal
Consiglio di stato rispetto alla Dia-Scia,
in quanto atto del privato non
immediatamente impugnabile, ma se ne
discosta sui rimedi esperibili dal terzo
controinteressato, il quale ha ora a
disposizione soltanto l'azione prevista
dall'articolo 31 Cpa per i casi di silenzio
dell'amministrazione.
Ma l'azione, più che
il silenzio, riguarderà direttamente
l'accertamento dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
segnalazione, con i conseguenti effetti
conformativi rispetto ai provvedimenti
spettanti all'amministrazione. Il rinvio
all'istituto del silenzio, insomma, non
riduce molto la tutela in favore del terzo:
chi si ritiene leso dalla Dia-Scia concessa
al vicino di casa potrà sollecitare con una
diffida l'esercizio dei poteri sanzionatori
e repressivi che spettano
all'amministrazione in materia edilizia,
oltre che l'esercizio del potere di
autotutela.
Entro un anno dalla scadenza del
termine per l'adempimento si potrà esperire
l'azione di cui all'articolo 31 Cpa,
richiamata dal comma 6-ter dell'articolo 19
della legge 241/1990
(articolo ItaliaOggi
del 04.04.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una DIA o di una SCIA, non
dà luogo ad alcun procedimento
amministrativo, per cui il decorso del
termine di legge di 60 o 30 giorni per
l’adozione di provvedimenti inibitori o
repressivi da parte della Pubblica
Amministrazione non configura alcuna
conclusione di procedimento amministrativo
né alcuna adozione di un provvedimento
tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990,
consente al terzo che si reputa leso dalla
presentazione della DIA/SCIA una sola
modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo
periodo, contiene a tale proposito la parola
<<esclusivamente>>, introdotta in sede di
conversione del decreto legge), vale a dire
la sollecitazione all’esercizio delle
verifiche spettanti all’Amministrazione e,
in caso di inerzia di quest’ultima, la
proposizione dell’azione prevista dall’art.
31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro
il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo.
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la
“sollecitazione” del terzo
all’Amministrazione, affinché quest’ultima
eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a porre
in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i
propri poteri di verifica e correlativamente
a configurare, in caso di inerzia della P.A.
stessa, un silenzio inadempimento,
giuridicamente rilevante, censurabile
davanti al giudice amministrativo con
l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs.
104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione.
Come noto, il regime della tutela
giurisdizionale del terzo a fronte della
presentazione di una denuncia/dichiarazione
di inizio attività (DIA) o di una
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA), reputate dal terzo contra legem,
è oggi contenuto nell’art. 19 della legge
241/1990, come modificato dal decreto legge
138/2011, convertito con legge 148/2011.
Il comma 6-ter dell’art. 19 citato, esclude
in primo luogo che la DIA e la SCIA
costituiscano provvedimenti amministrativi
taciti direttamente impugnabili: si tratta
di una scelta legislativa conforme alla
conclusione alla quale era giunta –seppure
dopo un serrato dibattito– la stessa
giurisprudenza amministrativa, con la
sentenza dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011, di poco
anteriore alla riforma legislativa del
decreto legge 138/2011.
Di conseguenza, nello schema normativo del
citato comma 6-ter, la presentazione di una
DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun
procedimento amministrativo, per cui il
decorso del termine di legge di 60 o 30
giorni per l’adozione di provvedimenti
inibitori o repressivi da parte della
Pubblica Amministrazione non configura
alcuna conclusione di procedimento
amministrativo né alcuna adozione di un
provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, consente al terzo
che si reputa leso dalla presentazione della
DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il
comma 6-ter, secondo periodo, contiene a
tale proposito la parola <<esclusivamente>>,
introdotta in sede di conversione del
decreto legge), vale a dire la
sollecitazione all’esercizio delle verifiche
spettanti all’Amministrazione e, in caso di
inerzia di quest’ultima, la proposizione
dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs.
104/2010, cioè l’azione contro il silenzio
della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo (a tale proposito, si
comprende perché il D.Lgs. 195/2011,
costituente il primo decreto correttivo al
codice del processo amministrativo, abbia
modificato il primo comma dell’art. 31 del
codice stesso, permettendo l’azione contro
il silenzio non solo dal momento della
conclusione del procedimento, ma anche <<negli
altri casi previsti dalla legge>>, fra
cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19,
comma 6-ter, succitato).
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione”
del terzo all’Amministrazione, affinché
quest’ultima eserciti i propri poteri di
verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a
porre in capo alla P.A. l’obbligo di
esercitare i propri poteri di verifica e
correlativamente a configurare, in caso di
inerzia della P.A. stessa, un silenzio
inadempimento, giuridicamente rilevante,
censurabile davanti al giudice
amministrativo con l’azione di cui all’art.
31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.04.2012 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
Lombardia, Scia sì, Scia no: l'atto finale ?? |
Da questo Portale ci siamo prodigati più volte (e,
precisamente, lo scorso:
06.06.2011;
13.07.2011;
17.10.2011;
27.10.2011)
nel cercare di far capire la bontà delle nostre
ragioni secondo cui, ad oggi, in Lombardia non è
possibile applicare l'istituto della Scia
(Segnalazione certificata di inizio attività) nella
materia edilizia.
Nello specifico, lo scorso 27.10.2011 davamo conto come
l'ANCI Lombardia avesse diffuso,
il 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia”
(testo
19.10.2011) ove, in pratica, si tratta
del cosiddetto "PIANO CASA-BIS" con altre modifiche
legislative di non poco conto. E, nel contempo,
evidenziavamo come il Pdl lombardo NULLA dicesse in
merito all'istituto della Scia edilizia, ovverosia NULLA
avesse recepito per quanto disposto dal noto
D.L. n. 70/2011 convertito con
modificazioni dalla
legge 12.07.2011 n. 106, pervenendo,
per l'ennesima volta, alla conclusione che
in Lombardia NON si può
applicare (nella materia edilizia) l'istituto della Scia.
Ciò premesso e ricordato, la Giunta Regionale lombarda
con la recente
deliberazione 09.11.2011 n. 2428 ha
approvato la bozza di Pdl di cui sopra e cioè la
proposta di progetto di legge recante “Norme per
la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente
e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia",
definito comunemente "PIANO CASA-BIS", già
presentato l'11.11.2011 al Consiglio Regionale per
il vaglio preliminare delle competenti commissioni
assumendo l'identificativo "progetto
di legge n. 0133". E le novità introdotte
all'ultimo momento non sono di poco conto ...
Ma andiamo con ordine.
L'art. 14 del Pdl de quo così recita: "Art.
14 - (Disposizioni in materia di titoli abilitativi)
1.
Ai fini del rilascio del permesso di costruire si
applica la disciplina di cui all’articolo 20 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A).
2.
L'articolo 38 della l.r. 12/2005 è sostituito dal
seguente: “Art. 38 - (Oneri di urbanizzazione
afferenti il permesso di costruire)
1. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria dovuti è determinato con
riferimento alla data di presentazione della
richiesta del permesso di costruire, purché completa
della documentazione prevista. Nel caso di piani
attuativi o di atti di programmazione negoziata con
valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è
determinato al momento della loro approvazione, a
condizione che la richiesta del permesso di
costruire, ovvero la denuncia di inizio attività
siano presentate entro e non oltre trentasei mesi
dalla data della approvazione medesima.
2. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la
corresponsione al comune della quota di contributo
relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti,
dev’essere fatta all’atto del rilascio del permesso
di costruire, ovvero allo scadere del termine di
trenta giorni previsto dall’articolo 20, comma 6,
primo periodo, del d.P.R. 380/2001 nei casi di cui
al comma 8 del medesimo articolo 20.”.
3.
All’articolo 40 della l.r. 12/2005 è apportata la
seguente modifica:
a) al comma 2 sono aggiunte, in fine, le seguenti
parole: ", nonché la destinazione d'uso.".
4.
All’articolo 41 della l.r. 12/2005 sono apportate le
seguenti modifiche:
a) la rubrica
è sostituita dalla seguente: “(Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)”;
b) al comma 1 sono inserite, all’inizio, le seguenti
parole: “Ferma restando l’applicabilità della
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)
nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19
della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2,
lett. c), del D.L. 70/2011,”.
5.
Alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 103 della
l.r. 12/2005 sono soppressi i seguenti numeri: “20”
e “21”.".
La relazione di accompagnamento al Pdl così spiega la
portata del sopra riportato art. 14: "L’articolo
14 chiarisce che ai fini del rilascio del permesso
di costruire si applica la nuova disciplina
introdotta dal D.L. n. 70/2011 (cfr. art. 5, comma
2, lett. a), punto 3), basata sul silenzio-assenso,
con conseguente riscrittura dell’articolo 38 della
l.r. n. 12/2005, recuperando, dal testo precedente,
le sole disposizioni in materia di oneri di
urbanizzazione, opportunamente integrate in
relazione alla nuova procedura.
Al comma 4 del medesimo articolo si
recepisce all’interno dell’ordinamento regionale
lombardo la SCIA in materia edilizia.". |
Avete letto bene ?? |
E' la stessa Regione Lombardia a
scrivere, nero su bianco, che il suddetto comma 4 "recepisce
all'interno dell'ordinamento regionale lombardo la
SCIA in materia edilizia": quindi,
ad oggi in Lombardia NON esiste la
Scia edilizia !!
Ma andiamo con ordine e
cerchiamo di capire ogni singolo dettaglio della
questione.
Innanzitutto, proviamo a
rileggere il testo coordinato dell'articolo 41 L.R.
12/2005,
siccome modificato/integrato dal Pdl de quo,
che di seguito si riporta:
Art. 41.
(Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio
attività) (Interventi
realizzabili mediante denuncia di inizio attività e
segnalazione certificata di inizio attività)
1. Ferma restando
l’applicabilità della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini
previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e
dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L.
70/2011, Chi ha titolo per presentare istanza
di permesso di costruire ha facoltà,
alternativamente e per gli stessi interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare
al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto
disposto dall'articolo 52, comma 3-bis. Gli
interventi edificatori nelle aree destinate
all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III
della Parte II.
2. Nel caso di interventi assentiti in forza di
permesso di costruire o di denuncia di inizio
attività, è data facoltà all’interessato di
presentare comunicazione di eseguita attività
sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che
non incidano sugli indici urbanistici e sulle
volumetrie, che non modifichino la destinazione
d’uso e la categoria edilizia, non alterino la
sagoma dell’edificio e non violino le eventuali
prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai
fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed
edilizia, nonché ai fini del rilascio del
certificato di agibilità, tali comunicazioni
costituiscono parte integrante del procedimento
relativo al titolo abilitativo dell’intervento
principale e possono essere presentate al comune
sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.
|
Ma
cosa significano le nuove parole inserite al comma 1
?? |
L'art.
19 della legge n. 241/1990 così recita: |
Art. 19 (Segnalazione
certificata di inizio attività - SCIA)
(articolo così sostituito dall'articolo 49, comma
4-bis, legge n. 122 del 2010) -
(per l'interpretazione si veda l'articolo
5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
1.
Ogni atto di autorizzazione,
licenza, concessione non costitutiva, permesso o
nulla osta comunque denominato, comprese le domande
per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale
o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente
dall’accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a
contenuto generale, e non sia previsto alcun limite
o contingente complessivo o specifici strumenti di
programmazione settoriale per il rilascio degli atti
stessi, è sostituito da una segnalazione
dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in
cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla
pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo,
alla cittadinanza, all’amministrazione della
giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi
compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco,
nonché di quelli previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti
dalla normativa comunitaria. La segnalazione è
corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto
riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i
fatti previsti negli
articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28
dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni
e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle
dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia
delle imprese di cui all’articolo
38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza
dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono
corredate dagli elaborati tecnici necessari per
consentire le verifiche di competenza
dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge
prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti
appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche
preventive, essi sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o
certificazioni di cui al presente comma, salve le
verifiche successive degli organi e delle
amministrazioni competenti. La segnalazione,
corredata delle dichiarazioni, attestazioni e
asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici,
può essere presentata a mezzo posta con raccomandata
con avviso di ricevimento, ad eccezione dei
procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo
della modalità telematica; in tal caso la
segnalazione si considera presentata al momento
della ricezione da parte dell'amministrazione.
(comma così modificato
dall'articolo 5, comma 2, lettera b), legge n. 106
del 2011)
2. L’attività oggetto della
segnalazione può essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione all’amministrazione
competente.
3. L’amministrazione
competente, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della
segnalazione di cui al medesimo comma, adotta
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile,
l’interessato provveda a conformare alla normativa
vigente detta attività ed i suoi effetti entro un
termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso
non inferiore a trenta giorni. E ' fatto comunque
salvo il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In
caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione
e dell’atto di notorietà false o mendaci,
l’amministrazione, ferma restando l’applicazione
delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di
quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al
d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in
ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo
periodo.
4. Decorso il termine per
l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo
del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis,
all’amministrazione è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l’ambiente, per la
salute, per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento
dell’impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione dell’attività dei
privati alla normativa vigente.
(comma
così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
4-bis. Il presente articolo
non si applica alle attività economiche a prevalente
carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate
dal testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia di cui al decreto legislativo 1°
settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia
di intermediazione finanziaria di cui al decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
(comma
introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, legge
n. 163 del 2010)
5.
(comma
abrogato dal n. 14 del comma 1 dell'art. 4
dell'allegato 4 al
d.lgs. n. 104 del 2010)
6. Ove il fatto non
costituisca più grave reato, chiunque, nelle
dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che
corredano la segnalazione di inizio attività,
dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei
requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è
punito con la reclusione da uno a tre anni.
6-bis. Nei casi di Scia in
materia edilizia, il termine di sessanta giorni di
cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta
giorni. Fatta salva l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano
altresì ferme le disposizioni relative alla
vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.
(comma
aggiunto dall'art. 5, comma 2, legge n. 106 del
2011, poi così modificato dall'art. 6, comma 1,
decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla
legge n. 148 del 2011)
6-ter. La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad
attività liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso
di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui
all'articolo
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio
2010, n. 104.
(comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge
n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del
2011)
|
L'art.
5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 così
recita: |
c) le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7
agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel
senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali che, in
attuazione dell'articolo 22, comma 4, del d.P.R. 6
giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito
applicativo delle disposizioni di cui all'articolo
22, comma 3, del medesimo decreto e
nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non
sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni preposte
alla tutela dell'ambiente e del patrimonio
culturale. |
Tutto chiaro ?? |
A noi sembra di sì nel senso di seguito esposto: la
Regione Lombardia con le nuove parole da introdursi
al comma 1 dell'art. 41 L.R. n. 12/2005 non fa altro
che ribadire quanto già statuito dall'art. 5, comma
2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 e cioè che "le disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle denunce di
inizio attività in materia edilizia disciplinate dal
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in
base alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di costruire".
In altri termini, e per l'ennesima volta, si
ribadisce che in Lombardia
-ad oggi- non si può applicare in materia
edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività)
e, men che meno, quando il Pdl "PIANO CASA-BIS"
sarà pubblicato sul BURL siccome approvato nel testo
sopra indicato.
Se la Regione Lombardia vuole, nei fatti e non solo a
parole, che l'istituto della Scia
in materia edilizia sia realmente applicabile anche
nel proprio ordinamento ha solo una cosa da fare:
modificare/integrare la L.R. n. 12/2005 nel senso di
restringere la gamma di interventi edilizi che oggi
possono essere realizzati con la DIA in alternativa
al permesso di costruire.
In
altri termini, deve elencare puntualmente gli
interventi edilizi che sono obbligatoriamente
soggetti a DIA: magari, riprendendo pedissequamente
la formulazione dell'art. 22, comma 1, del DPR n.
380/2001. Allora sì che per questi
interventi si potrà applicare la Scia e, nel
contempo, avrà ragion d'essere l'esposizione
argomentativa di cui al
comunicato regionale 08.10.2010
(circa l'esistenza della Scia già dal lontano
31.07.2010 ... il che -ad oggi- non è affatto vero
!!).
09.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
controversie in materia di DIA e SCIA decide
il giudice amministrativo.
Ogni controversia avente ad oggetto il
corretto e tempestivo esercizio del potere
amministrativo di controllo circa la
conformità dell'attività dichiarata al
paradigma normativo, con conseguente
adozione della misura inibitoria in caso di
esito negativo del riscontro, rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133 del codice del processo
amministrativo, comma 1, lett. a n. 3 e
lett. f dispone che le controversie in
materia di “Dia” devono essere affidate alla
giurisdizione esclusiva del plesso
giurisdizionale amministrativo. Muovendo
dall’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011 (“SCIA e
DIA sono dichiarazioni imputabili a
manifestazione di volontà privata dalla
quale scaturisce, ai sensi degli artt. 19,
comma 3, legge n. 241/1990 un procedimento
doveroso di verifica che, in assenza di
requisiti alla continuazione o all'avvio
dell'attività, si conclude con un diniego
espresso o con un "diniego tacito" di
adozione del provvedimento inibitorio.
Il silenzio che segue allo scadere del
termine perentorio per la verifica e
l'inibizione dell'attività denunciata, va
equiparato, in assenza dei previsti
requisiti, all'"atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio" che rappresenta
l'esito negativo del procedimento
finalizzato all'adozione del provvedimento
restrittivo dell'attività esercitata. La
formazione dell'"atto tacito di diniego"
alla scadenza del termine previsto per
l'esercizio della potestà di verifica è
direttamente connessa alla perentorietà del
termine stabilito negli artt. 19, comma 3,
legge n. 241/1990 -per la SCIA- e 23 comma
6, D.P.R. n. 380/2001 -per la DIA- , decorso
il quale la competente amministrazione perde
la potestà inibitoria dell'attività
esercitata salva la residua potestà di
autotutela.
Nei confronti dell'atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio -espresso o
tacito-, il terzo pregiudicato dispone
dell'azione di annullamento a tutela
dell'interesse pretensivo al corretto
esercizio della potestà di verifica e
controllo. Al terzo pregiudicato
dall'attività proseguita o iniziata
illegittimamente è altresì attribuita,
congiuntamente o separatamente da quella di
annullamento dell'"atto tacito di diniego",
l'azione di adempimento dell'obbligo
dell'amministrazione di adottare i
provvedimenti interdittivi o restrittivi, da
esercitare comunque nel termine di un anno
previsto dall'art. 31, co. 3, cod. proc. amm.
- D.Lgs. n. 104/2010 - per l'azione avverso
il silenzio.”) deve affermarsi che,
quale che sia la tecnica di tutela prescelta
dal controinteressato asseritamente leso,
ciò non incide sul riparto della
giurisdizione in subiecta materia
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6614 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
LOMBARDIA: ANCORA SULLA QUESTIONE DELLA SCIA
E DEL SILENZIO-ASSENSO SULL'ISTANZA DI
PERMESSO DI COSTRUIRE. |
L'ANCI Lombardia ha diffuso, lo scorso 21.10.2011,
la bozza del Pdl “Norme per la valorizzazione del
patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni
in materia urbanistico-edilizia” (testo
19.10.2011) ove, in pratica, si tratta
del cosiddetto PIANO CASA-BIS con altre modifiche
legislative di non poco conto.
Il Pdl non è stato ancora approvato dalla Giunta
Regione e, pertanto, è suscettibile di eventuali
modifiche e/o integrazioni prima di essere posto al
vaglio delle competenti commissioni regionali e,
poi, del Consiglio regionale.
Più volte abbiamo scritto su questo Portale [e,
precisamente
il 06.06.2011,
il 13.07.2011 ed
il
17.10.2011 (nella rubrica UTILITA')] esplicitando le motivazioni per
cui in Lombardia -ad
oggi- non si può applicare in materia edilizia
l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di
inizio attività) e non si può applicare l'istituto
del silenzio-assenso alle istanze di permesso di
costruire.
Orbene, la Regione Lombardia -col nuovo PIANO CASA-BIS
di cui sopra- si accinge a recepire l'istituto del
silenzio-assenso sulle istanze di permesso di
costruire laddove l'art. 14, comma 1, del Pdl così
recita:
"Art.
14 (Procedimento per il rilascio del permesso di
costruire).
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire si
applica la disciplina di cui all’articolo 20 del
d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) (testo A).".
E l'art. 20 del DPR n. 380/2011 (come sostituito
dall'articolo 5, comma 2, lettera a), legge n.
106/2011) così recita al comma 8:
"8.
Decorso inutilmente il termine per l'adozione del
provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il
responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato
diniego, sulla domanda di permesso di costruire si
intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, per i quali si applicano
le disposizioni di cui ai commi 9 e 10.".
Ciò premesso,
la bontà delle nostre
argomentazioni sulla NON applicabilità -ad oggi-
dell'istituto del silenzio-assenso trova conferma
e tutti coloro che ancora oggi sostengono il
contrario si devono ricredere senza appello.
Sulla questione, invece, della cosiddetta Scia possiamo
constatare come il Pdl lombardo NULLA dica in
merito, ovverosia NULLA abbia recepito di quanto
disposto dal
noto
D.L. n. 70/2011 convertito con
modificazioni dalla
legge 12.07.2011 n. 106.
Conseguentemente, e per l'ennesima volta, non ci resta
che rimarcare come l'odierno legislatore
nazionale, col decreto-legge de quo, abbia
scritto, nero su bianco, che
"...
Le disposizioni di
cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n.
241 si interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce
stesse, in base alla normativa statale o regionale,
siano alternative o sostitutive del permesso di
costruire.".
E se è vero, come è
vero, che in Lombardia la DIA è alternativa al
permesso di costruire senza alcuna limitazione (a
parte i nuovi fabbricati in zona agricola ed i
mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52,
comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005, assoggettati
unicamente al permesso di costruire) e cioè, in
altri termini, non esistono interventi edilizi che
sono obbligatoriamente soggetti alla DIA, ne
deriva una conclusione evidente, chiara,
incontrovertibile:
in Lombardia NON si può applicare
l'istituto della Scia!!
27.10.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: Armi
spuntate contro la Scia. Pochi rimedi se il
Comune non blocca il cantiere.
Non è facile impugnare la Scia del vicino.
La proliferazione dei titoli edilizi e della
relative procedure di formazione ha
complicato l'attivazione dei rimedi
giurisdizionali per contestare la
costruzione di un nuovo edificio o
l'ampliamento di quelli esistenti.
I titoli edilizi possono dividersi in due
generali categorie a seconda che siano
espressamente rilasciati dal Comune, oppure
che si formino in ragione della mancata
assunzione dell'ordine comunale di non
eseguire l'intervento.
Nel primo gruppo, i titoli "espressi",
ricadono così il permesso di costruire
ordinario (anche in variante) e in sanatoria
(tanto ordinaria, ai sensi cioè
dell'articolo 36 del testo unico
dell'edilizia, quanto straordinaria, il
condono introdotto dalla legge 47/1985),
nonché le sanzioni pecuniarie non di natura
ripristinatoria (che in sostanza autorizzano
il mantenimento degli abusi, per cui è
imposto solo il pagamento di una somma di
denaro).
Nel secondo, i titoli "taciti", si
collocano invece la Dia (denuncia di inizio
attività), la Scia (segnalazione certificata
di inizio attività, anche edilizia) e la
comunicazione di inizio lavori introdotta
dal Dl 40/2010, asseverata o meno. Sempre al
secondo gruppo vanno ricondotti gli
interventi liberi (quelli non soggetti ad
alcun titolo edilizio) che il vicino ritiene
illegittimi lamentandosi per il mancato
intervento repressivo del Comune.
L'impugnativa dei titoli "espressi"
non pone particolari problemi: è possibile
proporre ricorso al Tar entro 60 giorni
dalla loro conoscenza (termine che decorre
al più tardi dal momento in cui i lavori
raggiungono uno stadio tale da evidenziarne
la concreta lesività per il vicino), ma
impugnare i titoli "taciti" è più
complicato. Per un certo un periodo, la
giurisprudenza amministrativa si era divisa
tra la tesi secondo cui la Dia/Scia restava
un atto privato, come tale non impugnabile,
e la tesi che riconosceva la diretta
aggredibilità al Tar della Dia/Scia
(interpretazione che in sostanza afferma la
natura provvedimentale del comportamento
inerte mantenuto dal Comune, in questo
senso). Su questo secondo punto, lo scorso
29 luglio si era assestato il Consiglio di
Stato, con l'adunanza plenaria 15/2011: la
situazione si è consolidata con l'articolo
6, comma 1, lettera c), del Dl 138/2011 –la
manovra di Ferragosto– convertito nella
legge 148 dello scorso 14 settembre.
La nuova disposizione prevede espressamente
che «la segnalazione certificata di
inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili». Gli
interessati –prosegue la norma– possono
sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, possono impugnare al Tar il
silenzio che il Comune mantenga sulla
domanda volta a impedire lo svolgimento
dell'attività in contestazione.
È importante rilevare che, in questi casi,
l'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Dlgs
104/2010 (codice del processo
amministrativo) assegna normalmente al
giudice soltanto il potere di ordinare al
Comune di provvedere sulla verifica
richiesta dal privato. La possibilità di
riconoscere direttamente l'illegittimità
dell'attività disponendone la cessazione è
infatti riconosciuta al Tar solo quando si
tratti di attività vincolata o quando
risulti che non residuano ulteriori margini
di esercizio della discrezionalità e non
siano necessari adempimenti istruttori che
debbano essere compiuti
dall'amministrazione. Condizioni che non
sempre ricorrono in edilizia, specie
rispetto ai progetti più complessi, e che
rendono dunque difficile la tutela rispetto
ai lavori oggetto di Dia/Scia
(articolo Il Sole 24
Ore del 24.10.2011 - tratto da
www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Dia e Scia
stoppate subito.
Istanza al Tar per accertare illegittimità
in atto. È questo quanto emerso nel corso di
un convegno organizzato a Torino.
Dia e Scia alla sbarra subito: il terzo,
interessato a bloccare l'attività iniziata
con una denuncia o una segnalazione di
inizio attività, può chiedere immediatamente
al Tar di accertare l'illegittimità in
corso. Senza dover aspettare il termine (60
giorni) lasciato alla Pubblica
Amministrazione per disporre il blocco
dell'attività, quando questa è illegittima.
È quanto emerso al convegno di studi sul
codice del processo amministrativo,
organizzato il 13.10.2011 a Torino dal
Tar Piemonte, dalla sezione piemontese della
Associazione degli avvocati amministrativisti e dalla avvocatura del
comune di Torino.
Al centro dell'attenzione una delle più
significative della manovra di Ferragosto
(decreto legge 138/2011).
Il decreto 138 ha modificato l'articolo 19
della legge 241/1990 inserendo il comma
6-ter. Questo comma prevede che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività non costituiscono provvedimenti
taciti direttamente impugnabili e che gli
interessati possono sollecitare l'esercizio
delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il
silenzio dell'amministrazione (articolo 31
del codice del processo amministrativo, dlgs
104/2010).
In sostanza il problema è di individuare
quali strumenti di tutela abbia, per
esempio, il vicino di casa di chi sta
realizzando un'opera edilizia con una Scia o
con una Dia oppure il titolare di un
esercizio commerciale concorrente di chi sta
aprendo un negozio dall'altro lato della
strada e così via. In sostanza se, da una
parte, c'è l'esigenza di semplificare e
sburocratizzare le attività economiche e
produttive, dall'altro lato c'è l'esigenza
di non trascurare la tutela dei
controinteressati, nel caso vengano iniziate
attività non in regola con leggi e
regolamenti.
Il problema si pone soprattutto in relazione
a quei casi in cui l'attività può essere
iniziata subito prima dello scadere del
termine assegnato all'amministrazione per
fare i controlli e ordinare il blocco
dell'attività.
Si prenda il caso della Scia. L'attività
oggetto della segnalazione può essere
iniziata già dalla data della presentazione
della segnalazione all'amministrazione
competente. A questo punto l'amministrazione
ha sessanta giorni di tempo per adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi a meno che
non sia possibile ricondurre l'attività alla
piena regolarità.
Ora, siccome il comma 6-ter sopra citato
individua come unica possibilità di reazione
contro la scia la contestazione dell'inerzia
dell'amministrazione (che non adotta i
provvedimenti inibitori), ci si chiede se si
devono aspettare i sessanta giorni oppure se
il terzo possa agire subito. Anche perché
magari una volta passati i sessanta giorni
il danno per il terzo si è definitivamente
consumato (ad esempio l'opera edilizia è
completamente terminata).
Tra l'altro c'è una complicazione ad andare
dal giudice amministrativo: l'articolo 34,
comma 2, del codice del processo
amministrativo prescrive che in nessun caso
il giudice può pronunciarsi con riferimento
a poteri amministrativi non ancora
esercitati. Dunque se si agisce prima dello
scadere dei sessanta giorni lo si farebbe in
un momento in cui l'amministrazione avrebbe
ancora tempo per adottare i provvedimento di
blocco dell'attività e allora si rischia di
incorrere nel divieto dell'articolo 34.
Secondo quanto emerso al convegno torinese
il controinteressato ha la possibilità di
agire subito senza dovere aspettare i
sessanta giorni. Questo perché in questo
caso (controllo su Dia e Scia)
l'amministrazione ha un dovere di attivarsi
subito a colpire una scia o una dia
illegittima e il termine è un termine
massimo. Ma l'obbligo di adozione dei
provvedimenti di blocco sorge subito.
Quindi l'inerzia matura subito e si protrae
giorno per giorno. Inoltre non c'è
violazione dell'articolo 34 sui poteri del
giudice, perché la regola di non ingerenza
rispetto a poteri non ancora esercitati vale
solo nel caso di atti discrezionali e non
nel caso di attività vincolata (come quella
relativa ai casi in cui si può operare con
Dia e Scia)
(articolo ItaliaOggi del 21.10.2011 - link a www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia a pieno titolo negli ordinamenti locali.
In Toscana e in Umbria esce di scena la Dia
e per tutti gli interventi costruttivi per
la cui realizzazione non è richiesto il
permesso di costruire è sufficiente la Scia
(Segnalazione certificata di inizio
attività).
Sono i principali risultati
prodotti, almeno finora, dall'adesione delle
Regioni alle previsioni della parte
dell'articolo 5 del Dl 70/2011 sulla
semplificazione delle procedure relative
all'edilizia privata.
In Toscana, con la sparizione
dall'ordinamento regionale della Dia (legge
40/2001), possono essere realizzati con il
ricorso alla Scia –e quindi avviati appena
dopo aver presentato la documentazione in
Comune– interventi per l'abbattimento delle
barriere architettoniche (anche se
comportano un aumento delle superfici
esistenti o se sono eseguiti in deroga agli
indici di edificabilità), interventi di
manutenzione straordinaria, di restauro e
risanamento conservativo, di
ristrutturazione edilizia. È sufficiente la
Scia anche per particolari casi di mutamento
della destinazione d'uso degli immobili,
edifici e aree.
Tra la documentazione che
deve essere allegata alla Scia vi è la
relazione con la quale il progettista
assevera che l'opera da realizzare è
conforme agli strumenti urbanistico
comunali. Il professionista che attesta il
falso dovrà affrontare oltre al giudizio
disciplinare dell'ordine professionale di
appartenenza anche quello di una corte
penale.
Anche in Umbria si restringe il ventaglio
dei titoli abilitativi alla costruzione, con
la sostituzione generalizzata della Dia con
la Scia. Con un ampio provvedimento di
semplificazione amministrativa
dell'ordinamento regionale e di quello degli
enti locali territoriali (legge 8/2011)
viene recepito nella normativa regionale il
comma 4-ter dell'articolo 49 del Dl 78/2010,
che stabilisce che «le espressioni
segnalazione certificata di inizio attività
o Scia sostituiscono, rispettivamente,
quelle di dichiarazione di inizio attività
Dia, ovunque ricorrano, anche come parte di
una espressione più ampia».
Un ribaltamento
totale pure in fatto di silenzio-assenso:
nella normativa previgente se il
responsabile del procedimento nei 15 giorni
successivi alla richiesta non rilasciava il
permesso di costruire operava il
silenzio-rifiuto; con la nuova legge,
trascorso quello stesso periodo di tempo
senza che l'amministrazione comunale «abbia
adottato un provvedimento di diniego, il
permesso di costruire si intende assentito».
La Regione Lazio con la legge 10/2011, di
modifica del piano casa, è intervenuta per
semplificare le procedure di approvazione
degli strumenti urbanistici. Viene riformata
la legge regionale 36/1987, sullo
snellimento delle procedure urbanistiche ed
edilizie, assegnando esclusivamente alla
giunta regionale l'approvazione dei piani
attuativi degli strumento urbanistici.
Le
nuove norme elencano le modifiche che non
costituiscono variante a un piano attuativo
e che possono essere approvate dallo stesso
organo comunale che rilascia il permesso di
costruire
(articolo Il Sole 24 Ore del 17.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Titoli
abilitativi. Il quadro completo dopo la
manovra. Permessi edilizi su cinque livelli
con la nuova Scia. Attività libera e permesso
di costruire.
Il quadro è completo, ma solo a livello
statale. Con la conversione in legge della
manovra di Ferragosto (Dl 138/2011, ora
legge 148/2011) che ha chiarito termini e
modi per contestare al Tar l'illegittimità
delle opere edilizie realizzate attraverso
la Scia (segnalazione certificata di inizio
attività) e mediante la Dia (denuncia di
inizio attività) –nei limitati casi per cui
essa è ancora prevista nell'ordinamento–
tutte le "cinque tessere" del mosaico
statale delle procedure edilizie sono al
proprio posto.
Tuttavia, ai sensi del decreto Sviluppo (Dl
70/2011 convertito in legge 106/2011), manca
ancora il dispiegamento delle leggi
regionali, che possono ulteriormente
semplificare la disciplina procedurale delle
costruzioni. E questo anche in relazione al
meccanismo del silenzio-assenso ora previsto
sulle domande di permesso di costruire
(nuovo articolo 20, comma 8, del Testo unico
sull'edilizia, Dpr 380/2001) e al rilascio
dei titoli in deroga anche rispetto alle
destinazioni d'uso imposte dai piani
regolatori (articolo 5, comma 13, Dl 70).
Sempre le Regioni, d'altra parte, sono
chiamate anche a dare attuazione al
cosiddetto nuovo piano casa (o piano città)
finalizzato ad agevolare la riqualificazione
di aree urbane degradate attraverso la
concessione dei premi volumetrici. Una
disposizione, quest'ultima, che non incide
direttamente sul fronte dei titoli edilizi,
ma che potrebbe ulteriormente modificare la
situazione dei permessi edilizi, così come
si è delineata nell'ultimo anno e mezzo.
La parola alla Consulta.
Il primo tema che si è posto agli operatori
ha addirittura investito l'applicabilità al
l'edilizia della Scia. Le incertezze anche
lessicali del primo decreto (Dl 78/2010
convertito in legge 122/2010) sono state
definitivamente spazzate via dalla legge di
conversione del decreto Sviluppo, che ha
espressamente previsto che le ultime
disposizioni (cioè la nuova formulazione
dell'articolo 20 della legge 241/1990) «si
interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380».
Resta comunque il dubbio sull'esito dei
ricorsi proposti da diverse Regioni
(Toscana, Emilia Romagna, Puglia) alla Corte
costituzionale, che contestano soprattutto
l'intrusione statale nella disciplina
edilizia che, ove di dettaglio, è di
competenza regionale.
La scala degli interventi.
Il sistema vigente è sicuramente articolato,
si va dagli interventi liberi a quelli
soggetti a comunicazione e a comunicazione
asseverata, dalle opere sottoposte a Scia, a
Dia (casi residuali) e a permesso di
costruire (ora ottenibile anche per silentium e in deroga anche alle
destinazioni d'uso e non soltanto a indici e
parametri edilizi stereometrici).
Il grafico qui a fianco ricostruisce la
disciplina statale, che resta valida in
mancanza di specifiche disposizioni
regionali e suddivide gli interventi in
cinque tipologie:
- interventi liberi;
- interventi soggetti a comunicazione
(semplice e asseverata a seconda dei casi);
- interventi soggetti a Scia;
- interventi soggetti a Dia;
- interventi soggetti a permesso di
costruire.
L'iter della Scia.
A differenza della Dia, per la quale i
lavori possono partire solo dopo il decorso
di 30 giorni dalla presentazione della
denuncia, nella Scia l'attività edilizia può
essere avviata contestualmente al l'inoltro
della segnalazione. Ecco come:
●
la Scia è corredata dalle dichiarazioni
sostitutive di certificazioni, nonché dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati, oppure dalle dichiarazioni di
conformità relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti sulla conformità
dell'intervento alle disposizioni di legge
regolamentari, corredate dagli elaborati
tecnici necessari per consentire le
verifiche di competenza
dell'amministrazione;
●
l'attività oggetto può essere iniziata dalla
data della presentazione della segnalazione;
●
se l'immobile è vincolato, i lavori potranno
cominciare dopo l'ottenimento
dell'autorizzazione dell'amministrazione
competente alla tutela del vincolo
(Soprintendenza, Regione, Provincia, Comune,
Parco);
●
in caso di accertata carenza della
conformità dell'intervento alla legge o ai
regolamenti, il Comune –nel termine di 60
giorni dal ricevimento della segnalazione–
adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione del l'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa,
salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività e i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a 30 giorni;
● dopo 60 giorni il Comune può intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente.
Alle violazioni di questa procedura si
accompagnano poi sanzioni che variano dal
livello amministrativo fino alle conseguenze
penali per chi effettua false attestazioni.
---------------
Non
impugnabile il mancato diniego del Comune.
Le ultime manovre finanziarie cambiano anche
il sistema delle impugnazioni, stabilendo
che la Dia e la Scia non possono essere
direttamente impugnate al Tar. Con la
conversione in legge 111/2011 del Dl per la
stabilizzazione finanziaria (98/2011) è
legge la disposizione per cui Dia e Scia
«non costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili. Gli interessati
possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire esclusivamente
l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2
e 3 del decreto legislativo 02.07.2010,
n. 104» (articolo 6, comma 1, lettera c, del
Dl 131/2011).
In concreto, vuol dire che i vicini lesi
dall'attività edilizia o le associazioni
ambientaliste possono chiedere al Comune di
impedire lo svolgimento dell'attività e poi
–in caso di silenzio dell'amministrazione e
comunque non oltre un anno dalla scadenza
del termine di conclusione del procedimento– ricorrere al Tar contro il silenzio del
Comune sulla loro richiesta.
Parrebbe però un'arma spuntata, perché al
giudice la norma assegna in generale solo il
potere di ordinare al Comune di provvedere
sulla verifica richiesta dal privato e
rimasta inevasa. Il Tar, infatti, ha la
possibilità di riconoscere direttamente
l'illegittimità dell'attività disponendone
la cessazione solo quando si tratti di
attività vincolata o quando risulta che non
ci sono ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità amministrativa e non siano
necessari adempimenti istruttori che debbano
essere compiuti dal Comune. Condizioni che
non sempre ricorrono in edilizia, specie
rispetto ai progetti più complessi.
La norma è stata introdotta con la rubrica
«Ulteriori semplificazioni». Non pare però
che l'obbiettivo della semplificazione sia
stato centrato, dato che la giurisprudenza
amministrativa era recentemente approdata a
una soluzione molto più diretta sul tema del
l'impugnabilità di Dia e Scia. L'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 15 depositata lo scorso 29
luglio aveva infatti statuito –attraverso
una costruzione forse coraggiosa– che
l'inerzia del Comune sulla Dia/Scia (inerzia
che consente il legittimo svolgimento
dell'attività privata) equivalesse a un
«atto tacito di diniego del provvedimento
inibitorio» direttamente impugnabile al Tar,
a cui era possibile richiedere non solo
l'annullamento di questa "finzione di atto",
ma anche l'ordine all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto del ricorso.
L'Adunanza plenaria aveva addirittura
stabilito che in caso di Scia (per cui
l'attività edilizia può iniziare
contestualmente al deposito della
segnalazione e per cui il Comune può solo
emettere sanzioni, non necessariamente
inibitorie) il Tar potesse disporre subito
la sospensione dei lavori appena avviati,
nonostante in quel momento non esistesse
alcun atto nemmeno sotto la forma del
«tacito diniego di provvedimento
inibitorio». Con la nuova legge,
l'articolata ricostruzione del giudice
amministrativo viene spazzata via e non
sembra che il legislatore abbia fatto meglio
del Consiglio di Stato in termini di
effettività della tutela dei terzi
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Spallino,
Scia: stop alle impugnazioni dirette
(link a http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: T.
Tessaro,
Una nuova tutela dei terzi nella c.d. SCIA
voluta dal d.l. 138/2011
(link a www.diritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
MANOVRA BIS/
Interventi edilizi rapidi e indolori.
C'è la Scia per i piccoli lavori. È gratis e
l'attività inizia subito. Segnalazione certificata
d'inizio attività al posto della Dia. Ecco
cosa cambia.
La Scia (Segnalazione certificata inizio
attività) manda in soffitta la Dia (Denuncia
inizio attività) per gli interventi edilizi
minori, espone il privato e il
professionista privato a responsabilità
penali e disciplinari. Inoltre è gratuita e
consente di iniziare subito l'intervento
edilizio, da terminare nel triennio.
La Dia rimane solo nella versione SuperDia
(alternativa al permesso di costruire). Per
la Scia gli uffici comunali devono correre e
controllarle entro 30 giorni, anche perché
dopo, di regola, si potrà bloccare i lavori
solo in casi eccezionali. Tuttavia
l'autotutela (annullamento e revoca) potrà
essere esercitata senza termini di
decadenza. Questo in sintesi l'identikit
della Scia dopo le due manovre (decreto 70 e
decreto 138 del 2011), che hanno revisionato
il Testo unico per l'edilizia. Vediamo come.
La Scia.
La Scia sostituisce la Dia per tutti gli
interventi edilizi cosiddetti minori
(articolo 22, comma 1 e comma 2, del Testo
unico edilizia, dpr 380/2001).
Per gli interventi edilizi di
ristrutturazione o nuova costruzione si
applica, la SuperDia o in alternativa, in
base alla legge statale o a quella
regionale, il permesso di costruire. Le
regioni possono ampliare il catalogo degli
interventi sottoposti a SuperDia. La Scia
non sostituisce gli atti di autorizzazione o
nulla osta ambientali, paesaggistici o
culturali.
Termini.
Con la Scia l'attività edilizia può essere
iniziata subito fin dalla data di
presentazione della pratica all'ufficio
tecnico del comune. Per la SuperDia bisogna,
invece, aspettare 30 giorni.
Trenta giorni è anche il termine entro il
quale il comune, se mancano i requisiti o i
presupposti di legge, può decidere di
vietare la prosecuzione dell'attività e la
rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa.
Si noti che il termine di 30 giorni vale per
il settore dell'edilizia, mentre in altri
campi vale il termine più lungo di sessanta
giorni.
Decorso il termine il potere di bloccare
l'attività è limitato a casi specifici e
cioè pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per
la salute, per la sicurezza pubblica o la
difesa nazionale e comunque previo motivato
accertamento dell'impossibilità far
regolarizzare al private la situazione.
Il divieto di prosecuzione dell'attività è
misura residuale, in quanto deve essere
preferita la strada di fissare un termine
all'interessato per la regolarizzazione.
L'articolo 19 della legge 241/1990, anche a
seguito del decreto 138/2011, continua a
fare salva la possibilità per
l'amministrazione di intervenire in
autotutela (con provvedimento di revoca o
annullamento) anche decorso il termine di 30
giorni.
Cosa cambia.
Il privato deve assumersi la responsabilità
della regolarità dell'intervento edilizio e
lo deve attestare tramite il professionista.
La Scia, infatti, deve essere corredata da
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati corredate dagli elaborati tecnici
necessari per consentire le verifiche di
competenza dell'amministrazione.
In sostanza il privato deve dichiarare che
tutto è a posto con la normative urbanistica
ed edilizia e con i parametri (costruttivi,
igienico–sanitari). Questo da un lato
significa che il privato avrà maggiori
responsabilità, le quali ricadranno anche
sul professionista ed, inoltre, che il costo
del progetto e dell'assistenza del
professionista risentirà di questo surplus
di responsabilità.
Deve, sul punto, ricordarsi che è punita con
la reclusione fino a tre anni la falsa
dichiarazione o attestazione dell'esistenza
dei requisiti o dei presupposti della scia.
In questo caso vi sono pure strascichi
penali e disciplinari, in quanto il
responsabile dell'ufficio comunale deve
denunciare il professionista all'autorità
giudiziaria e al consiglio dell'ordine di
appartenenza. L'ufficio comunale, dal canto
suo, deve dedicarsi a una pronta e rapida
verifica dei presupposti, organizzando la
vigilanza sulle pratiche edilizi, secondo
criteri di maggiore impatto degli interventi
segnalati.
Efficacia.
La Scia edilizia ha efficacia limitata a tre
anni dalla data della sua presentazione,
anche se i lavori non ultimati possano
essere completati presentando una nuova
scia. A ultimazione lavori il privato deve
presentare al comune un certificato di
collaudo finale, attestante la conformità al
progetto.
Atti.
Vi sono ricadute anche in ambito notarile.
Se la scia ha per oggetto lavori che
incidono sul classamento dell'immobile
(stato, consistenza, classe, categoria),
deve essere effettuata una variazione
catastale. In caso di trasferimento di
un'unità immobiliare urbana la parte deve
attestare (eventualmente tramute un tecnico)
la conformità del bene ai dati catastali e
alle planimetrie depositate.
Oneri.
In materia è necessario consultare la
legislazione regionale. In mancanza di
specifica legge regionale gli interventi
soggetti a scia non pagano il contributo
concessorio.
Impugnabilità
Il decreto 138/2011 stabilisce che la Scia e
la Dia non costituiscono provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ma veri e
propri istituti di liberalizzazione e che
pertanto gli interessati, dopo avere
sollecitato l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione, esperiscono
l'azione avverso il silenzio, ricorrendo al
Tar.
Sanzioni.
La realizzazione, in assenza della o in
difformità dalla Scia espone alla sanzione
pecuniaria pari al doppio dell'aumento del
valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi e
comunque in misura non inferiore a € 516,00 (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA
BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai
contenziosi. In base al decreto legge la
segnalazione certificata di inizio attività
non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia
sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso
e non sono, quindi, direttamente
impugnabili. La manovra-bis interviene sulla
legge generale del procedimento
amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce
una volta per tutte le modalità per gli
interessati di reagire contro le iniziative
assunte da chi vuole avviare un'attività,
anche edilizia, sfruttando le misure di
sburocratizzazione.
Il decreto legge
138/2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una
strada già individuata dai Tar e dal
Consiglio di stato (anche se non
univocamente) e cioè sbarra la possibilità
di ricorrere direttamente al giudice
amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare
l'intervento dell'amministrazione pubblica
competente e, solo in caso di inerzia, può
successivamente rivolgersi al Tribunale
amministrativo regionale per ottenere
l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi
deve iniziare l'attività, in quanto
impedisce al controinteressato di rivolgersi
subito al giudice amministrativo e sposta al
futuro ogni possibile iniziativa
giudiziaria, subordinandola all'inerzia
della pubblica amministrazione sollecitata a
intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera
edilizia subito con l'invio della Scia; il
controinteressato (per esempio, il vicino di
casa) non può impugnare la Scia, ma deve
inviare al comune una denuncia-diffida,
chiedendo all'amministrazione di verificare
la legittimità dell'attività. Se il comune
rimane inerte, allora, il cittadino potrà
rivolgersi al Tribunale amministrativo
regionale, chiedendo al Tar l'accertamento
dell'obbligo di provvedere in capo
all'amministrazione e quindi la condanna
della stessa a intervenire. Fino a che non
interviene la sentenza del giudice chi ha
presentato la Scia non ha alcun obbligo
giuridico di bloccare o interrompere
l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge
il comma 6-ter all'articolo 19 della legge
241/1990 (dedicato alla segnalazione
certificata di inizio attività). La nuova
disposizione precisa subito che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività
liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente
impugnabili. Ciò segna la differenza con il
silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo
di fronte a un atto della p.a., sia pure
tacito. In quanto provvedimento
dell'amministrazione è autonomamente
impugnabile. Dia e Scia non sono
provvedimenti taciti e quindi non sono
impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento
sia alla Scia sia alle Dia (come
dichiarazione e come denuncia) comprendendo
tutte le ipotesi in cui la legge ha
introdotto procedimenti liberalizzati di
questo tipo, anche se con nomi diversi:
averli enumerati tutti serve a non fare
confusione (come è invece avvenuto per la
scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore
di Scia e Dia non è, però, sfornito di
tutela: può sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire l'azione
avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2
e 3 del Codice del processo amministrativo,
decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due
orientamenti. Il primo ha sostenuto che il
comportamento inerte dell'amministrazione
sulla denuncia di inizio attività ha valenza
di silenzio-assenso e da ciò faceva
conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia
è un mero atto di iniziativa privata non
impugnabile davanti al giudice
amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa
seconda impostazione, con l'obiettivo di
impedire intralci all'attività privata,
stavolta non da lungaggini della burocrazia,
ma da iniziative di privati
controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo
differendo nel tempo, la possibilità per il
controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta
sollecitare l'amministrazione ad adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa e,
comunque, a esercitare il potere di assumere
determinazioni in via di autotutela,
mediante revoca o annullamento ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies
della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non
fa nulla, si può chiedere al Tar
l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare
all'amministrazione di provvedere, ma può
anche pronunciarsi sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio: questo solo
quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti
dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può
aggiungersi la richiesta di risarcimento dei
danni subiti. Anche se può risultare
inefficace una tutela meramente risarcitoria
e a posteriori
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia libera. O quasi.
Alcuni interventi restano soggetti a
preventiva comunicazione. Uno studio del
Consiglio nazionale del notariato sgombera
il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure.
Con le progressive modifiche che hanno
interessato in questi anni il Testo unico di
cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle
costruzioni è diventata frammentaria e di
difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese
di giugno
(circolare
08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale
del notariato ha quindi inteso riepilogare
in modo sintetico le regole che presiedono
allo svolgimento dell'attività edilizia,
soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia.
Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr
n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo
testo originario distingueva tra attività
edilizia libera, per la quale non era
richiesto alcun titolo abilitativo, e
attività edilizia subordinata,
rispettivamente, al permesso di costruire e
alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia
(fattispecie residuale prevista per tutti
gli interventi non rientranti tra le
attività di edilizia libera né tra quelli
per cui era obbligatorio il permesso di
costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di
numerose modifiche che hanno portato, da un
lato, all'ampliamento delle fattispecie di
attività edilizia libera, dall'altro
all'introduzione della segnalazione
certificata di inizio attività, meglio nota
come Scia, all'utilizzo dell'istituto del
c.d. silenzio assenso per il rilascio del
permesso di costruire (a eccezione dei casi
in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici e culturali) e alla previsione
di una sorta di sanatoria edilizia per le
difformità contenute entro il limite del 2%
delle misure progettuali. Attualmente la
disciplina dell'attività edilizia risulta
quindi abbastanza variegata (si veda la
tabella in pagina) e pone i privati e gli
operatori del settore dinanzi a problemi
interpretativi spesso di non facile
soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti
più interessanti della nuova disciplina
dell'attività edilizia riguarda sicuramente
la progressiva liberalizzazione del settore,
che permette ai privati di eseguire una
serie di opere senza avere rapporti con la
pubblica amministrazione.
All'interno di
questa categoria occorre però distinguere
tra attività totalmente libere e attività
soggette a preventiva comunicazione di
inizio lavori. In tutti e due i casi devono
comunque essere rispettate le eventuali
diverse prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche,
di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, nonché quelle relative
all'efficienza energetica e alla tutela dei
beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera
riguarda principalmente gli interventi di
manutenzione ordinaria e quelli volti
all'eliminazione delle barriere
architettoniche che non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece,
previamente operare la comunicazione al
comune interessato degli interventi di
manutenzione straordinaria (ivi compresa
l'apertura di porte interne o lo spostamento
di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell'edificio, non
comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici), delle opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee e a essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e,
comunque, entro un termine non superiore a
90 giorni, delle opere di pavimentazione e
di finitura di spazi esterni,
dell'installazione di pannelli solari,
fotovoltaici e termici, senza serbatoio di
accumulo esterno, nonché delle aree ludiche
senza fini di lucro e degli elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici.
In questo secondo caso, la mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero
la mancata trasmissione della relazione
tecnica (nel caso di interventi di
manutenzione straordinaria) comportano per
il privato l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due
terzi se la comunicazione è effettuata
spontaneamente quando l'intervento è ancora
in corso di esecuzione.
---------------
Scia
e superDia si dividono così il campo.
Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma
interpretativa opportunamente introdotta
nell'ordinamento dal legislatore con il dl
n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto
in via residuale per tutti gli interventi
che non rientrano nel campo applicativo del
permesso di costruire né in quello
dell'attività edilizia libera, in entrambe
le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono
indicare i seguenti interventi: restauro e
risanamento conservativo, mutamenti di
destinazione d'uso funzionale, interventi di
manutenzione straordinaria che riguardino
parti strutturali dell'edificio, ampliamento
di fabbricati all'interno della sagoma
esistente che non determini volumi
funzionalmente autonomi e semplici modifiche
prospettiche (per esempio l'apertura o la
chiusura di una o più finestre o di una o
più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della
superDia tutti quegli interventi per i quali
è ammesso il ricorso alla Dia medesima in
alternativa ovvero in sostituzione al
permesso di costruire, dagli interventi di
ristrutturazione di maggiore impatto a
quelli di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica, fino agli
interventi di nuova costruzione, qualora gli
stessi avvengano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali recanti
precise disposizioni plano-volumetriche. A
queste opere devono poi aggiungersi tutte
quelle ipotesi per le quali le leggi
regionali prevedano la possibilità di
ricorrere a questo strumento in alternativa
o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo
sportello unico dell'ente locale 30 giorni
prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il
responsabile comunale, ove entro il suddetto
termine riscontri l'assenza di una o più
delle condizioni stabilite dal Tu, deve
notificare all'interessato l'ordine motivato
di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di
ripresentare l'istanza con le modifiche o le
integrazioni necessarie. L'attività oggetto
della Scia, invece, può essere iniziata
dalla data stessa di presentazione della
domanda allo sportello unico, salvo che il
responsabile comunale, in caso di accertata
carenza dei requisiti e dei presupposti di
legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione
locale è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia edilizia dura tre anni.
Scaduto il termine, per chiudere i lavori ne
serve un'altra. Lo studio del Consiglio
nazionale del notariato sulla disciplina
dopo il decreto sviluppo.
La Scia edilizia dura tre anni. Una volta
scaduti, senza completamento delle opere,
per finire i lavori se ne deve chiedere
un'altra.
È questa l'interpretazione data
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C
del Consiglio nazionale dei notai, che ha illustrato la disciplina
edilizia dopo il decreto sullo sviluppo n.
70/2011 (si veda ItaliaOggi del 4 agosto
scorso).
Vediamo, dunque, le principali in materia di
segnalazione certificata di inizio attività
in ambito edilizio, concentrandosi su due
aspetti: efficacia del titoli e sistema
sanzionatorio.
La legge non dispone esplicitamente
sull'efficacia della Scia, alla quale si
applica la disciplina del Testo unico per
l'edilizia (dpr 380/2001).
Ne deriva che anche la scia edilizia ha tre
anni di efficacia, decorrenti dalla data
della sua presentazione: quindi i lavori non
ultimati entro il triennio possono essere
completati previa presentazione di una nuova
scia. Inoltre l'interessato deve comunicare
all'ufficio tecnico del comune la data di
ultimazione dei lavori.
Lo studio dei notai aggiunge che, ultimato
l'intervento, il progettista o un tecnico
abilitato dovrà rilasciare un certificato di
collaudo finale, con il quale si attesta la
conformità dell'opera al progetto presentato
con la scia.
Il certificato di collaudo dovrà essere
presentato allo sportello unico, unitamente
alla ricevuta dell'avvenuta presentazione
della variazione catastale conseguente alle
opere realizzate o a dichiarazione che le
stesse non hanno comportato modificazioni
del classamento.
Tra l'altro si deve fare molta attenzione
agli aspetti catastali, considerato che il
decreto legge 78/2010 ha disposto la nullità
degli atto di trasferimento immobiliare, se
non vi è dichiarazione di conformità tra
dati catastali e le planimetrie catastali
depositate in Catasto e lo stato di fatto.
Se manca il certificato di collaudo finale e
la variazione catastale si applicazione
della sanzione di 516 euro.
Ai fini della documentazione della
regolarità edilizia, la sussistenza del
titolo è provata con la copia della stessa,
dalla quale risulti la data di ricevimento,
l'elenco di quanto presentato a corredo del
progetto, e l'attestazione del
professionista abilitato, e gli atti di
assenso eventualmente necessari.
Nel caso di interventi edilizi eseguiti in
assenza ovvero in difformità dalla scia si
applica la disciplina dettata per gli
interventi eseguiti in assenza o in
difformità dalla Dia (articolo 37, T.u. dpr
380/2001).
Pertanto la realizzazione di interventi
edilizi rientranti nell'ambito di
applicazione della Scia in assenza della o
in difformità dalla scia comporterà la
sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro.
Quando le opere realizzate in assenza di
scia consistono in interventi di restauro e
di risanamento conservativo, eseguiti su
immobili comunque vincolati in base a leggi
statali e regionali, e dalle altre norme
urbanistiche vigenti, l'autorità competente
a vigilare sull'osservanza del vincolo,
salva l'applicazione di altre misure e
sanzioni previste da norme vigenti, potrà
ordinare la restituzione in pristino a cura
e spese del responsabile ed irrogherà una
sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro.
Qualora gli interventi di restauro e di
risanamento conservativo siano eseguiti su
immobili, anche non vincolati, compresi nei
centri storici, il dirigente o il
responsabile dell'ufficio richiederà al
Ministero per i beni e le attività culturali
apposito parere vincolante circa la
restituzione in pristino o la irrogazione
della sanzione pecuniaria pari al doppio
dell'aumento del valore venale dell'immobile
conseguente alla realizzazione degli
interventi stessi e comunque in misura non
inferiore a 516 euro. Se il parere non verrà
reso entro 60 giorni dalla richiesta, il
dirigente o il responsabile dell'ufficio
provvederà autonomamente.
Anche per gli interventi in assenza o in
difformità della scia è prevista la
sanatoria.
In caso di abusi formali (mancata
presentazione della Scia) e, quindi, se
l'intervento realizzato risulta conforme
alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione
dell'intervento, sia al momento della
presentazione della domanda (cosiddetta
doppia conformità), il responsabile
dell'abuso o il proprietario dell'immobile
potranno ottenere la sanatoria
dell'intervento versando la somma, non
superiore a 5.164,00 euro e non inferiore a
516,00 euro, stabilita dal responsabile del
procedimento in relazione all'aumento di
valore dell'immobile valutato dall'Agenzia
del territorio.
La presentazione spontanea della scia,
effettuata quando l'intervento è in corso di
esecuzione, obbliga al pagamento, a titolo
di sanzione, della somma di 516 euro.
Rimane ferma la possibilità per il dirigente
o il responsabile del competente ufficio
comunale, in caso di accertata carenza dei
requisiti e dei presupposti, di adottare,
entro i successivi 30 giorni, motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa.
La mancata presentazione della Scia non
comporta l'applicazione di sanzioni penali
(articolo ItaliaOggi
dell'11.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, la Dia non dà certezze.
Il Tar può bloccare i lavori se il comune
non controlla. Per l'adunanza plenaria del
Consiglio di stato la denuncia di inizio
attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita
dalla Scia) non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma è un
atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli
accertamenti necessari per il controllo dei
presupposti, il giudice può imporre
l'adozione dei provvedimenti inibitori
all'esercizio dell'attività intrapresa.
È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria
del Consiglio di stato, con la
sentenza
29.07.2011 n.
15.
L'intervento del Consesso era stato
richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi
dell'art. 99 del codice del processo
amministrativo, anche a fronte di precedenti
contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura
giuridica della dichiarazione di inizio
attività ed alle conseguenti tecniche di
tutela sperimentabili dal terzo leso dallo
svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata
sentenza (disponibile nel sito), non si è
sottratta al compito affermando che, con la
Dia, il denunciante è «titolare di una
posizione soggettiva di vantaggio
immediatamente riconosciuta
dall'ordinamento, che lo abilita a
realizzare direttamente il proprio
interesse, previa instaurazione di una
relazione con la pubblica amministrazione,
ossia un contatto amministrativo, mediante
l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo
pregiudicato dallo svolgimento dell'attività
«è titolare di una posizione qualificabile
come interesse pretensivo all'esercizio del
potere di verifica» da parte della p.a..
Ma
stando così le cose, afferma la sentenza, il
sistema complessivo della tutela previsto
dall'ordinamento deve consentire comunque al
terzo, anche se il codice espressamente non
lo prevede, di ottenere la cessazione
dell'attività non consentita dalla legge,
attraverso l'azione di accertamento tesa a
ottenere una pronuncia che verifichi
l'insussistenza dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
denuncia.
In altre parole, rileva
l'Adunanza, «anche per gli interessi
legittimi, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la
garanzia costituzionale impone di
riconoscere l'esperibilità dell'azione di
accertamento autonomo, con particolare
riguardo a tutti i casi in cui, mancando il
provvedimento da impugnare, una simile
azione risulti indispensabile per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la
mancata previsione nel testo finale del
codice, di una norma esplicita sull'azione
generale di accertamento, non è sintomatica
della volontà legislativa di sancire una
preclusione di dubbia costituzionalità» e,
quindi, l'azione di accertamento atipica,
nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c.,
risulta comunque praticabile; in forza delle
coordinate costituzionali e comunitarie
richiamate dallo stesso art. 1 del codice
oltre che dai criteri di delega di cui
all'art. 44 della legge n. 69/2009
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Aumentano
le tutele dei terzi sull'applicazione della
«Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di
attività (la Dia) è un animale giuridico
strano che crea difficoltà applicative. Ora
l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(sentenza
29.07.2011 n. 15)
interviene a porre alcuni paletti, forse
opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa
presenta al Comune di Venezia una Dia
edilizia per rendere carrabile il transito
sotto un porticato gravato da servitù di
passaggio pedonale pubblico. Il
comproprietario del porticato impugna la Dia
in quanto produttiva di un aggravio
illegittimo della servitù. Il Tar Veneto,
nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia,
qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato
conferma la sentenza con diversa
motivazione. I giudici di Palazzo Spada,
infatti, negano anzitutto che la Dia, dal
2010 sostituita dalla segnalazione
certificata d'inizio di attività (Scia),
possa essere assimilata a un provvedimento
amministrativo impugnabile. Essa è solo una
dichiarazione privata presentata a una
pubblica amministrazione. La Scia attua una
liberalizzazione delle attività private, in
precedenza assoggettate a un regime di
autorizzazione preventiva. Essa è diversa
anche dal silenzio-assenso, che serve solo a
equiparare l'inerzia protratta oltre un
certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il
Consiglio di Stato si sofferma sul regime
della Scia e ricorda che l'amministrazione
può vietare l'attività entro 30 giorni (con
la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa
viola la legge. Quest'ultimo è un termine
perentorio: successivamente
l'amministrazione può intervenire solo con i
poteri di autotutela (annullamento
d'ufficio) che hanno però natura
discrezionale e devono rispettare gli
affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha
un'implicazione pratica processuale per il
terzo che vuole contestare la Scia.
La
sentenza equipara l'inerzia
dell'amministrazione protratta oltre il
termine di 30 giorni a un «atto tacito di
diniego del provvedimento inibitorio».
Pertanto, in quanto atto amministrativo, il
terzo può impugnarlo davanti al Tar nel
termine ordinario di 60 giorni. Se il
ricorso viene accolto, il giudice può, non
solo annullare questa finzione di atto, ma
anche ordinare all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto della Scia.
Vengono così ribaltati alcuni precedenti che
avevano consentito al terzo di esperire
un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il
terzo possa promuovere un giudizio prima dei
30 giorni, in modo da impedire l'avvio
dell'attività oggetto della Scia o di farla
cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta
interpretativa, superando alcuni ostacoli
contenuti nel Codice del processo
amministrativo (articolo 34, comma 2), la
sentenza ammette un'azione di accertamento
atipica che consente solo la richiesta di
misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se
l'amministrazione emana il provvedimento
inibitorio, cessa la materia del contendere
e il processo si estingue. Se invece
l'amministrazione resta inerte, l'azione di
accertamento si converte nell'azione di
annullamento dell'atto tacito di diniego di
esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e
completa: altro miracolo del nuovo Codice,
unito alla fantasia creativa del giudice
amministrativo
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Il
"decreto sviluppo" è legge!!
Sulla Gazzetta Ufficiale 12.07.02011 n. 160
è stato pubblicato il "Testo
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
coordinato con la legge di conversione
12.07.2011, n. 106, recante:
«Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia.»
La legge di conversione ha apportato
numerose modifiche/integrazioni al testo
originario ma non ha interessato la parte
che più ci stava a cuore ovverosia la Scia
(Segnalazione certificata di inizio
attività).
Già
lo scorso 06.06.2011 dicevamo la
nostra (in maniera più esaustiva che non in
questo contesto) sulle novità in materia di
permesso di costruire e di Scia pervenendo
alla conclusione che in Lombardia:
1-
fintantoché la Regione non
modificherà/integrerà (semmai lo volesse
fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la
novità del "silenzio-assenso" nazionale (e
non solo), si dovrà continuare ad applicare
l'art. 38 della medesima legge regionale in
relazione alla procedura di istruttoria
delle istanze di permesso di costruire;
2- in Lombardia NON si può applicare
l'istituto della Scia già dal 31.07.2010.
La norma è chiara (miracolo!!), scritta in
maniera leggibile e comprensibile, sicché
non occorre alcuna interpretazione di sorta.
Ma se non si è ancora convinti, risulta
allora utile leggere il
dossier n. 299/I del giugno 2011
approntato dal Senato della Repubblica
recante "Disegno di legge A.S. n. 2791
"Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
concernente Semestre Europeo - Prime
disposizioni urgenti per l’economia" - Vol.
I - Schede di lettura" laddove a pag.
227 si legge, nero su bianco, quanto segue:
"Comma
2, lett. b) e c) – Modifiche alla SCIA nella
legge 241/1990.
Le lettere b) e c) recano alcune modifiche
all’art. 19 della legge n. 241/1990 relativo
alla disciplina della SCIA (Segnalazione
certificata di inizio attività) che viene
estesa anche alla DIA in edilizia, ad
esclusione della DIA alternativa o
sostitutiva del permesso di costruire.".
E ad oggi, a distanza di 60 gg. dall'entrata
in vigore del decreto-legge, la Regione
Lombardia non si è ancora pronunziata in
merito fornendo l'autorevole contributo
interpretativo agli addetti ai lavori
(comuni e liberi professionisti) ... ma va
da sé che "chi tace acconsente" !!
13.07.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U.
12.07.2011 n. 160 "Testo
del decreto-legge 13.05.2011, n. 70,
coordinato con la legge di conversione
12.07.2011, n. 106, recante:
«Semestre Europeo - Prime disposizioni
urgenti per l’economia.».
---------------
N.B.: le modifiche
apportate dalla legge di conversione hanno
efficacia dal giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella G.U. e cioè
dal 13.07.2011.
Per comodità, si veda e si legga
a confronto il testo del Decreto Sviluppo
prima e dopo la conversione (link
a www.leggioggi.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
"Decreto sviluppo": Regione
Lombardia, se ci sei batti un colpo!!
E' dallo scorso 14 maggio che il D.L.
70/2011 è in vigore e da quella data
(invero, prima ancora che il decreto -già di
dominio pubblico- fosse pubblicato in G.U.)
ci siamo posti due elementari domande e
cioè:
1) nell'istruire le
istanze di permesso di costruire, si applica
la procedura del novellato art. 20 del
D.P.R. n. 380/2001 oppure si continua ad
applicare la
procedura di cui all'art. 38
della L.R. n. 12/2005??
2) la Scia in materia edilizia adesso
esiste??
Orbene, martedì scorso 31.05 si è tenuta a
Bergamo una mezza giornata di studio
(organizzata da PTPL) circa le
novità introdotte in materia edilizio-urbanistica dal suddetto "decreto
sviluppo" con relatore l'Avv. Mario
VIVIANI del foro di Milano.
L'Amico Mario, come sempre brillante ed
arguto analizzatore della norma, ha chiarito
ai partecipati -seduti in platea- i dubbi di
maggior interesse ed ha fornito le
condivisibili risposte ai due quesiti sopra
elencati ... ma restiamo, comunque,
nell'attesa che la Regione Lombardia
fornisca chiarimenti ufficiali,
possibilmente prima di Natale p.v..
Ma andiamo con ordine ...
---------------
1)
L'art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 titola "Procedimento
per il rilascio del permesso di costruire"
ed in Lombardia è stato disapplicato ad
opera dell'art. 103, comma 1, della L.R. n.
12/2005 per cui l'iter istruttorio è quello
di cui all'art. 38 del medesima legge
regionale.
Se è vero che il legislatore nazionale ha
riscritto l'iter istruttorio de quo
ad opera dell'art. 5, comma 2, lett. a), del
D.L. n. 70/2011 è altrettanto vero che si
tratta di "materia di legislazione
concorrente" di competenza regionale (ex
art. 117 della Carta costituzionale) talché
la Regione Lombardia dal 2005 si è dotata
di una procedura speciale/differenziata da
quella nazionale. La novità nazionale, non
di poco conto, è l'introduzione del "silenzio-assenso"
con alcune eccezioni.
Ma fintantoché la Regione Lombardia non
modificherà/integrerà (semmai lo volesse
fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la
novità del "silenzio-assenso"
nazionale (e non solo)
si dovrà continuare ad applicare l'art. 38
della medesima legge regionale in relazione
alla procedura di istruttoria delle istanze
di permesso di costruire.
---------------
2)
Da questo sito abbiamo sempre sostenuto come il
nuovo istituto della Scia (segnalazione
certificata di inizio attività) in materia
edilizia non esistesse, e ciò per una serie
di motivazioni tecnico-giuridiche troppo lunghe da riportare
qui.
Ripercorriamo velocemente i trascorsi ...
Lo scorso 31.07.2010 è entrata in vigore la
Scia (L. 122/2010 di conversione del D.L.
78/2010). Il Ministero per la
Semplificazione Normativa esordiva "ufficialmente" per primo
(e ultimo) con la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
in risposta ad un quesito formulato dalla
Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla
portata della Scia (Segnalazione Certificata
di Inizio Attività) in materia edilizia.
Successivamente, anche la Regione Lombardia
diceva la propria col
comunicato 08.10.2010 circa la
portata della Scia, in materia edilizia,
nell'ordinamento regionale.
Nell'AGGIORNAMENTO
AL 29.11.2010 scrivevamo la news
di seguito riportata:
Il
Governo, nella settimana del’08.11.2010, ha
presentato
l’emendamento n. 1.500 al ddl di
stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la
Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita
“Semplificazioni in materia di
urbanistica, edilizia e di segnalazione
certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato
ritenuto “inammissibile” dal
Presidente della Camera dei Deputati (si
legga la "Sintesi
del contenuto ed analisi degli effetti
finanziari" a cura della
Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed
approfondire il contenuto del suddetto art.
4 in ordine alla volontà del legislatore di
introdurre ancòra novità nel panorama
legislativo in materia di edilizia ed
urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare
è l’intenzione di chiarire la portata della
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) anche nell’ambito edilizio di cui
al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle
numerose prese di posizione, da più parti-
in ordine alla non applicabilità della
stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett.
b), così recita:
«b)
all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le
parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le
seguenti: “previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli” e
dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente
articolo si interpretano nel senso che le
stesse si applicano limitatamente alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire, e che
non sostituiscano la disciplina prevista
dalle leggi regionali che, in attuazione
dell’articolo 22, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, abbiano ampliato l’ambito
applicativo delle disposizioni di cui
all’articolo 22, comma 3, del medesimo
decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata
di inizio attività in materia edilizia, il
termine di cui al periodo del comma 3 è
ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al
comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, e delle leggi
regionali.”».
Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio),
con
nota 11.11.2010 n. 95098 di prot.
di accompagnamento della relazione tecnica
di finanza pubblica all'emendamento de
quo, scrive -tra l'altro- che "Viene
altresì specificato meglio l'ambito di
applicazione della Scia, introducendo un
comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge
241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi
interpretativi emersi in sede di prima
applicazione dell'istituto, precisando che
esso si estende anche alla materia edilizia,
con esclusione dei casi di Superdia, in
linea con quanto già osservato nella nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa. ...".
Ebbene,
che bisogno c'era di integrare
ulteriormente il novellato art. 19 della L.
n. 241/1990?? La circolare del Cons. Chinè
non era sufficiente, come dallo stesso
dichiarato pubblicamente, a fugare ogni
sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria
2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della
L. n. 241/1990 non è stato ammesso e,
quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia
edilizia, NON ESISTE!!
Ora, il Governo ha emanato il noto
D.L. n. 70/2011 ove, nella
sostanza, ha riproposto le
modifiche/integrazioni alla L. n. 241/1990
siccome avanzate lo scorso fine anno e
precisamente:
"c) Le disposizioni di cui all’articolo
19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si
interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal decreto
del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, con
esclusione dei casi in cui le denunce
stesse, in base alla normativa statale o
regionale, siano alternative o sostitutive
del permesso di costruire.
Le disposizioni di cui all’articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano
altresì nel senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali
che, in attuazione dell’articolo 22, comma
4, del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano
ampliato l’ambito applicativo delle
disposizioni di cui all’articolo 22, comma
3, del medesimo decreto e nel senso che, nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, la Scia non
sostituisce gli atti di autorizzazione o
nulla osta, comunque denominati, delle
amministrazioni preposte alla tutela
dell’ambiente e del patrimonio culturale."
[cfr. art. 5, comma 2, lett. c), D.L.
70/2011].
Ciò detto, sovvengono le seguenti
considerazioni:
1)
la norma di cui alla suddetta lett. c) è, di
fatto, una interpretazione autentica di
quanto dispone la L. 241/1990 siccome
modificata/integrata ad opera della
L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010
e, quindi, con effetto retroattivo (cioè dal
31.07.2010).
Ciò avvalora ancor più la tesi secondo cui
la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
del Ministero per la Semplificazione
Normativa,
non appena di dominio pubblico,
non aveva per
niente convinto circa l'esistenza (dal
31.07.2010) della Scia in materia edilizia,
seppur con alcune limitazioni ...
altrimenti, che bisogno c'era -oggi- con il
D.L. 70/2011 di interpretare quella norma in
maniera autentica e cioè con effetto
retroattivo??
E' evidente che il legislatore nazionale si
è accorto di aver "toppato" lo scorso
anno nel redigere il testo della norma ed
ora è corso ai ripari ... tra l'altro, il
Cons. Chinè che ha sottoscritto la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
in risposta ad un quesito formulato dalla
Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla
portata della Scia (Segnalazione Certificata
di Inizio Attività) in materia edilizia,
parrebbe che sia stato "sollevato"
dall'incarico di Capo Ufficio Legislativo
(forse, proprio per quell'infelice ed
alquanto discutibile e discussa nota??) visto che alla
data del 03.05.2011 il Capo Ufficio
Legislativo del Ministero della
Semplificazione Normativa risulta altra
persona (cfr.
nota 03.05.2011 n. 810 di prot.).
2)
l'odierno legislatore nazionale, col
decreto-legge de quo, ha scritto,
nero su bianco, che "...
Le
disposizioni di cui all’articolo 19 della
legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano
nel senso che le stesse si applicano alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione
dei casi in cui le denunce stesse, in base
alla normativa statale o regionale, siano
alternative o sostitutive del permesso di
costruire.".
Avete
capito bene??
Se è vero, come è vero, che in Lombardia la
DIA è alternativa al permesso di costruire
senza alcuna limitazione (a parte i nuovi
fabbricati in zona agricola ed i mutamenti
di destinazione d’uso di cui all’art. 52,
comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005,
assoggettati unicamente al permesso di
costruire) e cioè, in altri
termini, non esistono interventi edilizi che
sono obbligatoriamente soggetti alla
DIA, ne deriva una conclusione evidente,
chiara, incontrovertibile:
in
Lombardia NON si può applicare l'istituto
della Scia!!
Paradossalmente, potremmo dire che il
Governo ha contribuito non poco ad un
clamoroso "autogol" laddove si
continuava a sostenere che la Scia, in
Lombardia, esistesse così come nel resto del
territorio nazionale ... tesi sostenuta
anche e soprattutto dal Cons. Chinè (in un convegno
pubblico, dello scorso anno, intervenuto
quale relatore) che additava la Lombardia
come caso esemplare di diffusa applicazione
(ma quando mai!!) del nuovo istituto.
E paradossalmente, altresì, la Regione
Lombardia se volesse far decollare sul
proprio territorio l'istituto della Scia
dovrebbe mettere mano alla L.R. n. 12/2005 e
prevedere alcuni interventi edilizi come
soggetti obbligatoriamente a DIA ... allora
sì che per quest'ultimi si applicherebbe la
Scia.
06.06.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
APPALTI -
EDILIZIA PRIVATA:
NOTA DI LETTURA DECRETO-LEGGE 13.05.2011
N. 70 “SEMESTRE EUROPEO - PRIME DISPOSIZIONI
URGENTI PER L'ECONOMIA” (ANCI,
nota 24.05.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
La SCIA in edilizia.
L’entrata in vigore del decreto legge
13.05.2011, n. 70, noto come “decreto
sviluppo”, ha esteso l’istituto della
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA) anche al settore degli interventi
edilizi prima oggetto di denuncia di inizio
attività (DIA).
Si ricorderà che la legge del 30.07.2010, n.
122, di conversione al D.l. 78/2010 (c.d.
maxiemendamento), tra le diverse ed
articolate novità introdotte alla sua
versione originaria, all’art. 48-quater,
aveva riscritto l’art. 19 della legge
07.08.1990 n. 241, riguardante la c.d.
dichiarazione di inizio attività (DIA).
Tuttavia, contemporaneamente al vigore della
richiamata riforma, erano stati manifestati
orientamenti contrastanti circa il campo di
applicazione della richiamata SCIA.
In particolare il dibattito era incentrato
sulla possibilità di estendere la riforma
anche al settore edilizio, ritenendo
sostituita non solo la dia (dichiarazione di
inizio attività) di cui al citato art. 19
della legge 241/1990, ma anche la dia
(denuncia di inizio attività) di cui
all’art. 22 del Dpr 380/2001.
Sul punto era intervenuta la nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa, pubblicata il
16.09.2010, la quale riteneva che la “nuova”
SCIA doveva ritenersi applicabile anche al
settore degli interventi edilizi.
Tuttavia, nonostante tali chiarimenti e
considerato il dato letterale, il dubbio
restava e veniva manifestato anche dal
Consiglio di Stato che, con ordinanza del
05.01.2011 n. 14, aveva rilevato il dubbio
applicativo.
Come anticipato, il c.d. decreto sviluppo,
all’art. 5 incide sul tema e prevede
definitivamente l’estensione della SCIA agli
interventi edilizi: la norma già nelle
battute iniziali chiarisce che uno degli
obbiettivi che intende perseguire è la “estensione
della segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA) agli interventi edilizi
precedentemente compiuti con denuncia di
inizio attività (DIA);”.
In dettaglio, viene dapprima aggiunto il
comma 6-bis dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241, il quale prevede che “Nei
casi di Scia in materia edilizia, il termine
di sessanta giorni di cui al primo periodo
del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta
salva l'applicazione delle disposizioni di
cui al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
d.P.R. 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi
regionali.”.
Il decreto sviluppo chiarisce inoltre che “Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano nel
senso che le stesse si applicano alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n.
380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire. Le
disposizioni di cui all'articolo 19 della
legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano
altresì nel senso che non sostituiscono la
disciplina prevista dalle leggi regionali
che, in attuazione dell'articolo 22, comma
4, del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, abbiano
ampliato l'ambito applicativo delle
disposizioni di cui all'articolo 22, comma
3, del medesimo decreto e nel senso che, nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali, non sostituisce
gli atti di autorizzazione o nulla osta,
comunque denominati, delle amministrazioni
preposte alla tutela dell'ambiente e del
patrimonio culturale.” (tratto e link a
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com). |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
In merito al cosiddetto "decreto sviluppo"
(D.L.
13.05.2011 n. 70) si legga anche
l'interessante
relazione di accompagnamento al
decreto-legge per la relativa conversione in
legge al fine di poter comprendere appieno
la ratio dell'articolato. |
APPALTI -
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre
Europeo - Prime disposizioni urgenti per
l’economia" (D.L.
13.05.2011 n. 70).
---------------
In Gazzetta Ufficiale il "decreto
sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante,
in merito:
- agli appalti
(art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e
precisamente:
a)
estensione del campo di applicazione della
finanza di progetto, anche con riferimento
al cosiddetto "leasing in costruendo";
b)
limite alla possibilità' di iscrivere
"riserve";
c)
introduzione di un tetto di spesa per le
"varianti";
d)
introduzione di un tetto di spesa per le
opere cosiddette "compensative";
e)
contenimento della spesa per
compensazione,in caso di variazione del
prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f)
riduzione della spesa per gli accordi
bonari;
g)
istituzione nelle Prefetture di un elenco di
fornitori e prestatori di servizi non
soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h)
disincentivo per le liti "temerarie";
i)
individuazione, accertamento e prova dei
requisiti di partecipazione alle gare
mediante collegamento telematico alla Banca
dati nazionale dei contratti pubblici;
l)
estensione del criterio di
autocertificazione per la dimostrazione dei
requisiti richiesti per l'esecuzione dei
lavori pubblici;
m)
controlli essenzialmente "ex post" sul
possesso dei requisiti di partecipazione
alle gare da parte delle stazioni
appaltanti;
n)
tipizzazione delle cause di esclusione dalle
gare, cause che possono essere solo quelle
previste dal codice dei contratti pubblici e
dal relativo regolamento di esecuzione e
attuazione, con irrilevanza delle clausole
addizionali eventualmente previste dalle
stazioni appaltanti nella documentazione di
gara;
o)
obbligo di scorrimento della graduatoria, in
caso di risoluzione del contratto;
p)
razionalizzazione e semplificazione del
procedimento per la realizzazione di
infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q)
innalzamento dei limiti di importo per
l'affidamento degli appalti di lavori
mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per
l'accesso alla procedura semplificata
ristretta per gli appalti di lavori.
Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta
anni la soglia per la presunzione di
interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del
permesso di costruire ed in materia di
SCIA
(art. 5 - Costruzioni private) e
precisamente:
a)
introduzione del "silenzio assenso" per il
rilascio del permesso di costruire, ad
eccezione dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici e culturali;
b)
estensione della segnalazione certificata di
inizio attività (SCIA) agli interventi
edilizi precedentemente compiuti con
denuncia di inizio attività' (DIA);
c)
tipizzazione di un nuovo schema contrattuale
diffuso nella prassi: la "cessione di
cubatura";
d)
la registrazione dei contratti di
compravendita immobiliare assorbe l'obbligo
di comunicazione all'autorità locale di
pubblica sicurezza;
e)
per gli edifici adibiti a civile abitazione
l'"autocertificazione" asseverata da un
tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta
relazione "acustica";
f)
obbligo per i Comuni di pubblicare sul
proprio sito istituzionale gli allegati
tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione
della procedura di valutazione ambientale
strategica (VAS) per gli strumenti attuativi
di piani urbanistici già sottoposti a
valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la
riqualificazione incentivata delle aree
urbane. Termine fisso per eventuali
normative regionali;
- agli adempimenti
burocratici di atti amministrativi
(art. 6 - Ulteriori riduzione e
semplificazione degli adempimenti
burocratici) e precisamente:
a)
in corretta applicazione della normativa
europea le comunicazioni relative alla
riservatezza dei dati personali sono
limitate alla tutela dei cittadini,
conseguentemente non trovano applicazione
nei rapporti tra imprese;
b)
le pubbliche amministrazioni devono
pubblicare sul proprio sito istituzionale
l'elenco degli atti e documenti necessari
per ottenere provvedimenti amministrativi;
altri atti o documenti possono essere
richiesti solo se strettamente necessari e
non possono costituire ragione di rigetto
dell'istanza del privato;
c)
riduzione degli adempimenti concernenti
l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d)
facoltà di effettuare "on line" qualunque
transazione finanziaria ASL-imprese e
cittadini;
e)
per i trasporti eccezionali l'attuale
autorizzazione prevista per ciascun
trasporto e' sostituita, per i trasporti
della medesima tipologia ripetuti nel tempo,
da un autorizzazione periodica da
rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da
parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in
questione è in vigore già da sabato scorso
(14.05.2011) e che da oggi ci si pone il
problema, uno fra tanti, di come istruire le
richieste di permesso di costruire
pervenute:
si applica il
novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011
oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo,
incontrovertibile che la SCIA si applica
anche in materia edilizia??
Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei
giorni scorsi e non appena di dominio
pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della
Regione Lombardia affinché intervenga
tempestivamente con una nota
chiarificatrice al fine di non lasciare allo
"sbando operativo" i 1.546 comuni
lombardi così come già successo l'anno
scorso con l'introduzione -nel panorama
legislativo nazionale (e regionale)- della
famigerata SCIA, per la quale la Regione
Lombardia intervenne, fugando affatto i
dubbi che ancora oggi permangono in merito
alla sussistenza della stessa in materia
edilizia, con il proprio
comunicato 08.10.2010 dopo la
bellezza di 70 giorni che la SCIA era già
entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
Procedimento automatico, SCIA e prevenzione
incendi. In vigore le nuove procedure dal
29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce
il “Nuovo Regolamento per la
semplificazione ed il riordino della
disciplina sullo Sportello Unico per le
Attività Produttive (SUAP)” e
sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando
in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e
VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni
devono esercitare le funzioni amministrative
in materia di insediamenti produttivi,
affidando l’intero procedimento ad un’unica
struttura, il SUAP, alla quale gli
interessati si rivolgono per
l'autorizzazione finalizzata alla
realizzazione, ristrutturazione e
ampliamento di impianti produttivi di beni e
servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le
amministrazioni pubbliche diverse dal Comune
che sono interessate dal procedimento, non
possono trasmettere al richiedente nessun
tipo di atto o comunicazione e sono tenute a
trasmettere tutto al SUAP dandone
comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla
distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla
SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli
atti e i procedimenti ai quali non è
applicabile la SCIA, che entra in vigore il
30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha
ritenuto opportuno emanare la Circolare n.
3791 del 24.03.2011 contenente le modalità
applicative per il Procedimento
Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a
realizzazione e modifica di impianti
produttivi di beni e servizi e ad attività
di impresa soggetti a SCIA devono essere
presentati al SUAP, esclusivamente per via
telematica e con gli standard previsti dal
DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette
al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al
D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito
il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per
gli interventi di prevenzione incendi non
soggetti a SCIA, che presuppongono un
giudizio tecnico-discrezionale dell’organo
di controllo (ad esempio attività non
normate, attività particolarmente complesse,
procedure secondo l’approccio
ingegneristico, deroghe), continuano ad
utilizzarsi in via transitoria le
disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i.,
sino all’entrata in vigore del Procedimento
Ordinario di cui al Capo IV del regolamento
SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato,
il SUAP, al momento della presentazione
della SCIA, dovrà verificare con modalità
informatica la completezza formale della
segnalazione e dei relativi allegati e, in
caso di verifica positiva, rilasciare
automaticamente la ricevuta che autorizza
l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il
SUAP trasmetterà, sempre per via telematica,
la segnalazione e i relativi allegati alle
Amministrazioni e agli uffici competenti,
quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file,
allegati alle domande di prevenzione incendi
prodotte digitalmente, sono pubblicati nel
sito internet istituzionale dei Vigili del
Fuoco, nella sezione prevenzione incendi
on-line; le estensioni ammesse dei file da
allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in
forma digitale devono pervenire ai Comandi
attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”,
oppure attraverso la PEC del SUAP (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
segnalazione certificata di inizio attività (marzo
2011 - tratto da www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 12 del
22.03.2011, "Art. 19 legge n. 241/1990:
la segnalazione certificata di inizio
attività – Prime indicazioni applicative"
(circolare
regionale 21.03.2011 n. 3). |
EDILIZIA PRIVATA: B.U.R.
Lombardia, serie ordinaria n. 12 del
22.03.2011, "Testo
coordinato del d.d.g. 18.03.2011, n. 2481
“Adeguamento degli schemi di dichiarazione e
dei relativi allegati in attuazione della
l.r. 02.02.2007 n. 1, art. 5 alla disciplina
SCIA di cui al d.l. 31.05.2010 e
approvazione schema incarico per la loro
sottoscrizione digitale e presentazione
telematica”, rettificato dal d.d.g.
21.03.2011, n. 2520".
---------------
Per comodità di utilizzo pratico, si
ripropone la modulistica della SCIA senza
l'intestazione del BURL:
1-
modello A --->
SEGNALAZIONE CERTIFICATA INIZIO / MODIFICA
ATTIVITÀ (SCIA);
2-
modello B --->
SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI SUBINGRESSO /
CESSAZIONE / SOSPENSIONE E RIPRESA /
CAMBIAMENTO RAGIONE SOCIALE DI ATTIVITÀ
PRODUTTIVA;
3-
scheda 1 --->
ATTIVITÀ DI VENDITA EX ART. 7 D.LGS.
114/1998 / FORME SPECIALI DI VENDITA EX ARTT.
DA 16 A 21 D.LGS. 114/1998 / SOMMINISTRAZIONE
EX ART. 68, COMMA 4, L.R. 06/2010;
4-
scheda 2 --->
REQUISITI MORALI E PROFESSIONALI PER LE
ATTIVITÀ DI VENDITA E SOMMINISTRAZIONE DI
ALIMENTI E BEVANDE;
5-
scheda 3 -
REQUISITI PROFESSIONALI PER ATTIVITÀ DI
SERVIZI ALLA PERSONA;
6-
scheda 4 --->
ATTIVITÀ DI PRODUZIONE;
7-
scheda 5 --->
COMPATIBILITÀ AMBIENTALE;
8-
scheda 6 --->
ATTIVITÀ TURISTICO RICETTIVA;
9-
SEGNALAZIONE
CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ PER
L’ESERCIZIO ATTIVITÀ AGRITURISTICA
(ai sensi L.R. n. 31/2008 art. 154) E
COMUNICAZIONI VARIE;
10-
allegato c --->
INCARICO PER LA SOTTOSCRIZIONE DIGITALE E
PRESENTAZIONE TELEMATICA DELLA SEGNALAZIONE
CERTIFICATA DI INIZIO/MODIFICA ATTIVITÀ (S.C.I.A.)
PROCURA ai sensi dell’art. 1392 c.c. |
EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione
certificata di inizio attività
(Geometra Orobico n. 1/2011). |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
La segnalazione certificata di inizio
attività nell’edilizia (AL
n. 01-02/2011). |
EDILIZIA PRIVATA: TITOLI
EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di
Stato, l'incertezza sulla natura giuridica
della Dia e della Scia condiziona le
contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai
lavori avviati in base a uno di questi due
titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop
ai lavori e, al contempo, domandare al Tar
l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il
Consiglio di Stato decida sull'inquadramento
della dichiarazione servono più livelli di
tutela. Contro la Dia non basta il ricorso.
I terzi che contestano i lavori devono
rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio
di attività (Dia), della segnalazione
certificata di inizio attività (Scia) e
della comunicazione di inizio lavori non è
solo una questione teorica: anzi, ha
importante ricadute pratiche. La possibilità
di contestare al Tar gli interventi edilizi
realizzabili con questi titoli edilizi
dipende infatti da come si definiscono le
dichiarazioni con cui il privato può avviare
i lavori senza dover attendere il rilascio
del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto
provvedimento espresso della p.a.- è
pacifico che possa essere impugnato al Tar
entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che
al più tardi coincide con l'avvio dei lavori
o con il momento in cui gli stessi
raggiungono lo stadio che consente ai terzi
di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni
presentate dai privati c'è più di un dubbio:
è possibile impugnarle? Oppure bisogna
chiedere al comune di bloccare i lavori ed
eventualmente portare al giudice la
decisione dell'amministrazione di lasciar
correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si
può andare subito dal giudice anche per
chiedere l'immediata sospensione dei lavori,
nell'altro caso possono non bastare alcuni
anni e si rischia di arrivare al Tar a opere
finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il
Consiglio di Stato si è recentemente
interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per
rendere carrabile un porticato, impugnata
dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il
costruttore ha quindi proposto appello
sostenendo che la Dia non costituirebbe atto
amministrativo impugnabile e suscettibile di
rimedi demolitori, trattandosi di attività
del privato e non assumendo valore
provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi
erronea laddove ha ritenuto direttamente
impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza
14/2011 del 07.12.2010, alla luce del
contrasto giurisprudenziale in atto
addirittura all'interno della stessa sezione
chiamata a dirimere la controversia, ha
deciso di rimettere la questione
all'Adunanza plenaria deputata a dare un
univoco indirizzo che possa guidare i Tar e
i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno
tre tesi ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di inizio
attività di D.I.A. - Art. 23 D.P.R. n.
380/2001 - Volontà dell'Amministrazione -
Principio di economicità del procedimento -
Illegittimità.
Sebbene l'art. 23 D.P.R. n. 380/2001 non
preveda parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine di trenta giorni
entro cui l'Amministrazione deve esercitare
il potere inibitorio, nel caso in cui
l'Amministrazione abbia espressamente
rinviato l'esame della D.I.A. al momento
della presentazione dell'autorizzazione per
l'attività industriale, non può la stessa
richiedere, in contrasto con il principio di
economicità del procedimento, la
presentazione della medesima D.I.A.
integrata dall'autorizzazione, risultando
conseguentemente illegittimo il diniego
impugnato motivato sulla base di tale
mancata ripresentazione della domanda (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.12.2010 n.
7630 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Permesso di
costruire - Termine di impugnazione -
Decorrenza dalla percezione della lesività
dell'opera.
2. DIA - Duplice e
contestuale intervento di
demolizione/ricostruzione di immobile e
recupero di sottotetto - Legittimità -
Presupposti.
1.
In tema di tempestività dell'impugnazione
della DIA -o del permesso di costruire- il
termine di impugnazione decorre
dall'effettiva percezione della lesività
delle opere edilizie assentite (cfr. TAR
Milano, sent. nn. 1147/2010, 1149/2010 e
1150/2010).
2. L'intervento conseguente ad una DIA che,
in realtà, debba qualificarsi come una sorta
di doppio intervento edilizio, seppure
oggetto di un solo titolo abilitativo -da
una parte una ristrutturazione edilizia,
mediante demolizione e ricostruzione
dell'immobile, ex art. 27, comma 1, lettera
d) L.R. 12/2005, e dall'altra un contestuale
recupero ai fini abitativi del sottotetto
esistente, ex art. 63 della medesima legge
regionale- è legittimo, purché sussistano i
presupposti di legge per entrambi gli
interventi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.12.2010 n.
7511 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Potere
della P.A. di inibire l'esecuzione dei
lavori - Grado di motivazione dell'atto in
autotutela - Principio di diretta
proporzionalità tra la motivazione ed il
trascorrere del tempo.
2. D.I.A. - Potere
sanzionatorio della P.A. - Presupposti.
1. In materia di D.I.A. e di relativo
annullamento in autotutela, tanto maggiore è
il lasso di tempo trascorso tra l'avvio
dell'attività e l'esercizio del potere di
autotutela, maggiore deve, dunque, essere il
grado di motivazione sulle ragioni di
pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 6465/2006, n. 5622/2006, n. 846/2006).
2. In materia di DIA, una volta decorso il
termine perentorio di 30 giorni previsto
dall'art. 23, D.P.R. 380/2001, la P.A., per
potere esercitare il potere sanzionatorio,
deve, in primis, incidere sul titolo
edilizio, intervenendo su di esso in
autotutela, sempre che ne ricorrano i
presupposti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 03.12.2010 n.
7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Produzione effetti dal
trentesimo giorno dalla presentazione -
Presupposti.
2. Denuncia di
inizio attività - Modifiche normative
successive alla presentazione della DIA -
Principio della sensibilità della DIA - Ratio.
3. Denuncia di
inizio attività - Modifiche normative
successive alla presentazione della DIA -
Principio della sensibilità della DIA -
Applicabilità alle disposizioni
regolamentari.
1. La DIA, indipendentemente dalla qualifica
giuridica assegnata -punto su cui si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita e di atto privato-
produce effetti al trentesimo giorno dalla
sua presentazione, purché, sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla legge
(cfr. TAR Milano, sent. n. 5737/2008).
2. Nello
spatium deliberandi dei 30
giorni dalla presentazione della DIA,
periodo durante il quale la P.A. ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui la P.A. è
tenuta ad applicare la normativa in vigore
al momento dell'adozione del provvedimento
definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non
già, salvo che espresse norme statuiscano
diversamente, quella in vigore al momento
dell'avvio del procedimento.
3. Il principio della "sensibilità" della
DIA alle modifiche legislative nei trenta
giorni tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 02.12.2010 n.
7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dissertazioni sulla SCIA.
Sul sito http://tv.architettiroma.it è
possibile accedere ai video del Convegno
nazionale sulla semplificazione delle
procedure edilizie, tenutosi martedì
05.10.2010.
Suggeriamo di ascoltare
l'intervento del Cons. Chinè,
capo ufficio legislativo Ministero per la
semplificazione normativa.
Intervento che non solo ignora le
problematiche giuridiche sollevate da più
parti (ANCI in prima linea) sulla
correttezza dell'interpretazione
dell'articolo 19 l. 241/1990 fornita dal
Ministero, ma che rivela l'affanno e
l'imbarazzo del Ministero
(minuto 21:30)
nel momento in cui la platea ne contesta la
posizione.
Segnaliamo che, a seguito dell'incontro con
il Ministero della Semplificazione, il
Consiglio Nazionale Architetti ha richiesto
la riscrittura del testo legislativo sulla
materia della SCIA, tenuto conto della "diffusa
incertezza da parte degli operatori
professionali, imprenditoriali nonché degli
Enti locali nell'applicazione della nuova
disciplina, oltre che della possibile
disomogeneità interpretativa sul territorio
nazionale, si ritiene utile suggerire la
emanazione di un urgente provvedimento
legislativo che consenta di dirimere i dubbi
circa la applicazione del nuovo regime
semplificazione".
Si ascolti, altresì,
la replica sempre del Cons. Chiné
a fronte di alcuni quesiti formulati in
sala.
Buona visione (commento tratto dalla
newsletter del sito http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA: C'è
ancora qualcuno che sia convinto
dell'esistenza della SCIA in luogo della DIA
in materia edilizia??
Il Governo, nella settimana del’08.11.2010,
ha presentato
l’emendamento n. 1.500 al ddl di
stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la
Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita
“Semplificazioni in materia di
urbanistica, edilizia e di segnalazione
certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato
ritenuto “inammissibile” dal
Presidente della Camera dei Deputati (si
legga la "Sintesi
del contenuto ed analisi degli effetti
finanziari" a cura della
Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed
approfondire il contenuto del suddetto art.
4 in ordine alla volontà del legislatore di
introdurre ancòra novità nel panorama
legislativo in materia di edilizia ed
urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare
è l’intenzione di chiarire la portata della
Scia (Segnalazione certificata di inizio
attività) anche nell’ambito edilizio di cui
al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle
numerose prese di posizione, da più parti-
in ordine alla non applicabilità della
stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett.
b), così recita:
«b)
all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le
parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le
seguenti: “previsti dalla normativa per le
costruzioni in zone sismiche e di quelli” e
dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i
seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente
articolo si interpretano nel senso che le
stesse si applicano limitatamente alle
denunce di inizio attività in materia
edilizia disciplinate dal decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, con esclusione dei casi in cui le
denunce stesse, in base alla normativa
statale o regionale, siano alternative o
sostitutive del permesso di costruire, e che
non sostituiscano la disciplina prevista
dalle leggi regionali che, in attuazione
dell’articolo 22, comma 4, del decreto del
Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380, abbiano ampliato l’ambito
applicativo delle disposizioni di cui
all’articolo 22, comma 3, del medesimo
decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata
di inizio attività in materia edilizia, il
termine di cui al periodo del comma 3 è
ridotto a trenta giorni. Fatta salva
l’applicazione delle disposizioni di cui al
comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle
responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno 2001, n. 380, e delle leggi
regionali.”».
Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio),
con
nota 11.11.2010 n. 95098 di prot.
di accompagnamento della relazione tecnica
di finanza pubblica all'emendamento de
quo, scrive -tra l'altro- che "Viene
altresì specificato meglio l'ambito di
applicazione della Scia, introducendo un
comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge
241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi
interpretativi emersi in sede di prima
applicazione dell'istituto, precisando che
esso si estende anche alla materia edilizia,
con esclusione dei casi di Superdia, in
linea con quanto già osservato nella nota
esplicativa del Ministero per la
semplificazione normativa. ...".
Ebbene, che bisogno c'era
di integrare ulteriormente il novellato art.
19 della L. n. 241/1990?? La circolare del
Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo
stesso dichiarato pubblicamente, a fugare
ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria
2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della
L. n. 241/1990 non è stato ammesso e,
quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia
edilizia, NON ESISTE!!
Tuttavia, circola voce che l'emendamento in
questione sarà riproposto, nei suoi
contenuti, nel consueto decreto "milleproroghe"
di fine anno ... quindi, ci riaggiorniamo. |
EDILIZIA PRIVATA: E.
Boscolo,
La segnalazione certificata di inizio
attività: tra esigenze di semplificazione ed
effettività dei controlli (link a www.upel.va.it). |
EDILIZIA PRIVATA: M.
C. Colombo,
Passaggio dalla D.I.A. alla S.C.I.A. in
materia edilizia: provvedimenti riguardanti
le D.I.A. presentate dopo il 30.07.2010 (link a www.upel.va.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA in edilizia: l'Approfondimento
dell'ANCE.
L'articolo 49, comma 4-bis del D.L. 78/2010,
convertito dalla L. 122/2010, ha introdotto
la "segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA)", sostituendo
integralmente la disciplina della
dichiarazione di inizio attività contenuta
nel previgente articolo 19 della legge
07.08.1990 n. 241.
I primi chiarimenti del Governo sulla
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) sono giunti attraverso una nota
dell'Ufficio legislativo del ministero della
Semplificazione, di concerto con i ministeri
della Pubblica Amministrazione, delle
Infrastrutture e dell'Economia, che ritiene
applicabile la disciplina della SCIA alla
materia edilizia.
Considerati i riflessi per il settore delle
costruzioni, l'Ance (Associazione Nazionale
dei Costruttori Edili) ha ritenuto opportuno
analizzare, con una nota di approfondimento,
i principali effetti derivanti
dall'applicazione del nuovo istituto
all'attività edilizia, anche alla luce dei
recenti chiarimenti forniti dal ministero
della semplificazione normativa (link a
www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
S.C.I.A., La Strana Creatura Indubbiamente
Aliena (LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 2^
parte.
---------------
Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di
Piedimonte Matese (CE), per il contributo
ricevuto. |
EDILIZIA PRIVATA:
F. Albanese,
La SCIA non sostituisce la DIA regolata dal
DPR 380/2001 (link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
P. Diglio,
Dalla Dia alla Scia: la segnalazione
certificata di inizio attività
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Oggetto:
comunicazioni in merito alla disciplina
della segnalazione certificata di inizio
attività, di cui all'art. 49 del D.L. n. 78
del 2010 convertito con modifiche dalla L.
n. 122 del 2010 (Regione Emilia Romagna,
nota 12.11.2010 n.
280997 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione
Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Art.
49, commi 4-bis e seguenti, della Legge n.
122/2010
(Consiglio Nazionale degli Architetti
Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori,
nota 14.10.2010 n. 821
di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA, La Regione Lombardia dopo la bellezza
di 70 gg. -che è in vigore la SCIA- batte un
colpo e dice la propria in merito. Di
seguito il testo del comunicato esplicativo
datato 08.10.2010.
---------------
Comunicato della
Direzione Generale Territorio e Urbanistica:
Segnalazione Certificata Inizio Attività
(SCIA).
La legge 30.07.2010, n. 122, di conversione
del D.L. n. 78, ha introdotto una nuova
disciplina in materia di semplificazione che
ha posto da subito dubbi e problemi per
quanto attiene specificamente al settore
dell’edilizia. Ci si riferisce all'art. 49,
commi 4-bis e 4-ter, inseriti dalla legge di
conversione e per ciò stesso efficaci a far
tempo dal 31.07.2010.
Con il comma 4-bis il legislatore, "riscrivendo"
l'art. 19 della L. n. 241/1990, introduce la
"Segnalazione certificata di inizio
attività - SCIA", in sostituzione della
"Dichiarazione di inizio attività - DIA";
con il successivo comma 4-ter, dichiara
espressamente la nuova disciplina attinente
alla "tutela della concorrenza" e la
qualifica "livello essenziale delle
prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali", così riconducendola alla
competenza esclusiva statale.
In risposta ad una richiesta di chiarimenti
urgenti, tempestivamente formulata da
Regione Lombardia, il Ministero per la
Semplificazione normativa, con un’articolata
nota in data 16.09.2010, ha avuto
modo di delineare l’esatto ambito di
operatività del nuovo istituto in campo
edilizio.
Risolta in senso positivo la prima
importante questione e cioè l’applicabilità
della nuova disciplina anche all'edilizia,
il Ministero ha chiarito che la SCIA può
sostituire solo la DIA “ordinaria”,
non anche la DIA alternativa al permesso di
costruire, particolarmente estesa nella
nostra legislazione regionale.
Questo importante chiarimento interpretativo
fornito dal Ministero sostanzialmente fa
salvo il regime giuridico in materia di
procedure edilizie che Regione Lombardia ha
consolidato con successo da oltre un
decennio e che risulta fondato, come noto,
sull’alternatività pressoché totale tra
permesso di costruire e DIA.
A seguito delle intervenute modifiche
legislative, come sopra delineate, sono
cinque le procedure edilizie operative nella
nostra Regione a far tempo dal 31.07.2010
per i diversi interventi, secondo la
seguente articolazione:
1.
Permesso di costruire per tutti gli
interventi edilizi, nonché per i mutamenti
di destinazione d’uso di cui all’art.
52,comma 3 bis, della L.R. n. 12/2005;
2.
Denuncia di inizio attività (DIA)
alternativa al permesso di costruire di cui
al punto 1), fatta eccezione per gli
interventi di cui al p.to 3, assoggettati in
via principale a SCIA, nonché per i nuovi
fabbricati in zona agricola e per i
mutamenti di destinazione d’uso di cui
all’art. 52, comma 3-bis, della L.R. n.
12/2005, assoggettati unicamente al permesso
di costruire;
3.
SCIA per tutti gli interventi non previsti
dagli artt. 6 e 10 (per quanto,
quest’ultimo, disapplicato in Regione
Lombardia) del D.P.R. n. 380/2001, più
precisamente:
- interventi di manutenzione straordinaria
non liberalizzati, ovvero eccedenti rispetto
alla previsione di cui all’art. 6, comma 2,
lett. a), del D.P.R. n. 380/2001,
- interventi di restauro e di risanamento
conservativo,
- interventi di ristrutturazione edilizia
“leggera”, ovvero non rientranti nella
fattispecie di cui all’art. 10, comma 1,
lett. c), del D.P.R. n. 380/2001;
4.
Comunicazione asseverata per gli interventi
di manutenzione straordinaria di cui
all’art. 6, comma 2, lett. a), del D.P.R. n.
380/2001;
5.
Comunicazione per le opere di cui all’art.
6, comma 2, lett. b) - c) - d) - e) del
D.P.R. n. 380/2001.
Per quanto riguarda specificamente la nuova
disciplina della SCIA, applicabile
nell’ambito sopra delineato (p.to 3), si
precisa che, nel caso di interventi da
realizzarsi in zona soggetta a vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali, alla
SCIA dev’essere allegato lo specifico atto
di assenso dell’ente preposto alla tutela
del vincolo, atto di assenso che non può
essere sostituito da SCIA.
Si richiama l’attenzione sugli adempimenti
dovuti nel caso di interventi da realizzarsi
in ambito non sottoposto a vincolo
paesaggistico e sempre che incidano
sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli
edifici: i relativi progetti sono soggetti
all’esame di impatto paesistico previsto dal
P.T.R. (vedi artt. 35 e ss., Parte 3, Piano
Paesaggistico e DGR. n. 11045/2002).
In tal caso, se il progetto rimane sotto la
soglia di rilevanza, alla SCIA dev’essere
allegato l’esame di impatto paesistico,
sopra soglia dev’essere acquisito,
preliminarmente alla presentazione della
SCIA, il giudizio di impatto paesistico con
parere obbligatorio della Commissione per il
paesaggio.
Relativamente agli interventi previsti dalla
L.R. n. 13/2009, in materia di rilancio
dell’edilizia, trattandosi di iniziative
contemplate da una disciplina avente
carattere speciale e derogatorio, la SCIA
non trova applicazione, rimanendo pertanto
confermati gli specifici disposti
procedurali della stessa L.R. 13 (art. 2,
comma 4; art. 3, comma 8; art. 4, comma 3).
Da ultimo, per quanto riguarda le DIA
edilizie presentate prima del 31.07.2010,
quand’anche a tale data non risultasse
decorso il termine di trenta giorni previsto
per l’esercizio del potere inibitorio dal
parte dell’amministrazione, il Ministero ha
chiarito che rimangono operative, salva la
possibilità per il privato di avvalersi
degli effetti della sopraggiunta disciplina
presentando per il medesimo intervento una
SCIA, ovviamente se l’intervento rientra tra
quelli passibili di SCIA (p.to 3 sopra
dettagliato).
Daniele Belotti - Assessore al
Territorio e Urbanistica
Bruno Mori - Direttore Generale DG.
Territorio e Urbanistica
Milano, 08.10.2010 |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Montini,
L'applicabilità alla materia edilizia della
Segnalazione Certificata d'Inizio Attività (Ufficio
Tecnico n. 9/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Bottone,
S.C.I.A.,
La Strana Creatura Indubbiamente Aliena (LE
PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 1^ parte.
---------------
Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di
Piedimonte Matese (CE), per il contributo
ricevuto. |
EDILIZIA PRIVATA:
L. Spallino,
La grammatica ha la sua importanza ... anche
nelle leggi. Il caso della SCIA
(link a www.studiospallino.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Segnalazione Certificata di Inizio Attività
(SCIA) - Applicabilità alla normativa
edilizia (link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lombardia,
la "telenovela" sulla SCIA non finisce ...
Nell'aggiornamento al 18.09.2010
davamo notizia dell'emanazione della
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.
da parte del Ministero per la
Semplificazione Normativa, in risposta ad un
quesito formulato dalla Regione Lombardia,
circa chiarimenti sulla portata della SCIA
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) in materia edilizia.
Ebbene, la suddetta nota ministeriale
l'avevamo definita come tale e non come la
tanto auspicata ed invocata "circolare"
chiarificatrice che sarebbe stata licenziata
di lì a qualche giorno ... dobbiamo rettificare
poiché quella nota, haimè, risulta essere la
CIRCOLARE CHIARIFICATRICE!!
Invero, dopo averla letta chi scrive non ha
le idee ben chiare sul nuovo istituto in
relazione al fatto se la DIA, la SUPER-DIA e
quant'altro siano stati abrogati o meno.
In un confronto dialettico con un
responsabile di U.T.C. sono sortite le
considerazioni che -di seguito-
riproponiamo, le quali sono già state
inviate, con nota comunale ufficiale, sia al
Ministero della Semplificazione Normativa
sia al Servizio Giuridico dell'Assessorato
Territorio e Urbanistica della Regione
Lombardia.
Adesso, stiamo a vedere cosa ci
risponderanno ...
---------------
La Segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA) non si
applica nella REGIONE LOMBARDIA.
Una
recente nota del Ministero per la
Semplificazione (nota 16.09.2010 n. 1340 di
prot. a firma del Capo Ufficio Legislativo,
Dott. Giuseppe Chinè), in risposta ad alcuni
quesiti dell’Assessore al Territorio della
REGIONE LOMBARDIA, chiarisce che:
• la SCIA si applica anche
all’edilizia;
• la SCIA si intende quale “sostitutiva”
della Dichiarazione Inizio attività (DIA);
• la SCIA non “sostituisce”
né il PERMESSO DI COSTRUIRE né
la DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Forse altre Regioni d'Italia hanno
diversamente applicato il d.p.r. n. 380/2001
estendendo o sottraendo ambiti di
applicazione della DIA, ma -nella REGIONE
LOMBARDIA- non esistono due DIA cioè non
esiste:
• una DIA (semplice)
• e una DIA alternativa al PERMESSO DI
COSTRUIRE.
Nella REGIONE LOMBARDIA, in virtù dell’art.
41 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i.,
esiste un'unica DIA che consente
–appunto- di utilizzare il PERMESSO DI
COSTRUIRE o la DIA alternativamente e per
gli stessi interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia. In altre
parole, in LOMBARDIA, la DIA è unica
ed è alternativa al permesso di costruire.
Ne consegue che la citata nota del Dott.
Giuseppe Chinè esclude, nella REGIONE
LOMBARDIA, l’applicabilità della SCIA
dall’ambito edilizio poiché –appunto- il
Ministero ritiene che la SCIA
si intenda unicamente “sostitutiva”
della DIA ma non anche del
PERMESSO DI COSTRUIRE e della
DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
27.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla inapplicabilità della SCIA
in ambito edilizio in difetto del necessario
adeguamento del DPR 380/2001: postilla sulla
nota ministeriale 16.09.2010 (ANCI
Toscana,
nota
27.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione Certificata di Inizio
Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e
seguenti, della Legge n. 122/2010
(Consiglio Nazionale degli Architetti,
Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori,
nota 24.09.2010 n. 764 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA:
Addio permessi. Con le nuove
regole (SCIA) i lavori di ristrutturazione
partono subito.
La Scia si applica
nell'edilizia.
Con il deposito in comune della Segnalazione
certificata di inizio attività (Scia,
appunto) si possono immediatamente avviare i
lavori di restauro e risanamento
conservativo, di ristrutturazione edilizia "fedele"
e le varianti a permessi di costruire. La
presenza di un vincolo non impedisce poi
l'utilizzo della Scia (Segnalazione
certificata di inizio attività), fatto
comunque salvo l'ottenimento, prima di
avviare i lavori, dell'autorizzazione
specifica in caso di vincoli.
Questa, in sintesi è l'interpretazione
fornita dal ministero delle Infrastrutture
al quesito posto dalla regione Lombardia
sull'applicabilità al mondo delle
costruzioni del nuovo testo dell'articolo 19
della legge 241/1990, introdotto dalla
manovra correttiva.
Restano invece soggetti a permesso di
costruire gli interventi di nuova
costruzione, quelli di ristrutturazione
urbanistica e le opere di ristrutturazione
edilizia "infedele" che comportino
cioè l'aumento di unità immobiliari,
modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che,
limitatamente agli immobili compresi nelle
zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d'uso.
Nulla viene quindi modificato rispetto alle
opere già liberalizzate: restano soggette a
semplice «comunicazione» i lavori di
manutenzione straordinaria, le opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee, quelle di pavimentazione e di
finitura di spazi esterni, anche per aree di
sosta, gli interventi per realizzare i
pannelli solari, fotovoltaici e termici, le
aree ludiche senza fini di lucro e gli
elementi di arredo delle aree pertinenziali
degli edifici. Restano infine del tutto
libere (senza neppure la «comunicazione»)
le opere di manutenzione ordinaria, quelle
volte all'eliminazione di barriere
architettoniche che non alterano la sagoma
dell'edificio, le opere temporanee per
attività di ricerca nel sottosuolo i
movimenti di terra pertinenti all'esercizio
dell'attività agricola, le serre mobili
stagionali.
Infine, una precisazione importante del
ministero: restano in vita le previsioni
regionali che assoggettano a Dia (la
cosiddetta "superDia") le opere che
secondo il Testo unico sull'edilizia
richiedono il permesso di costruire.
L'impatto della manovra è così fortemente
ridotto in Lombardia, dove ai sensi della
legge regionale 12/2005 le grandi opere
continuano a essere assoggettate a Dia e
quelle minori, se non liberalizzate, sono
ora sottoposte a Scia.
L'assetto tracciato dal
ministero (riassunto nelle schede della
pagina) può dirsi definitivo?
A dire il vero, sulla Scia le
interpretazioni in campo sono davvero tante
e, per quanto autorevole, quella
ministeriale non ha valore di legge e non
risolve i dubbi che, sull'utilizzabilità
della nuova procedura, sono stati sollevati
dagli uffici tecnici delle amministrazioni
comunali quotidianamente chiamati ad
applicare sul campo le nuove disposizioni.
In primo luogo è stato osservato che la
natura stessa dell'attività edilizia
impedirebbe l'applicabilità della Scia alle
costruzioni escluse dalle previsioni
dell'articolo 19 della legge 241/1990 e
assoggettate alle previsioni speciali del
Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001).
A supporto dell'inapplicabilità della Scia
all'edilizia sta poi la considerazione che
dalla segnalazione certificata restano
comunque escluse –lo prevede la manovra– le
attività soggette a limiti o contingenti
complessivi, ai quali sarebbero
riconducibili gli indici edilizi che
regolamentano tutta l'attività di
trasformazione del territorio.
Sotto un altro profilo, è stato inoltre
osservato che mentre l'articolo 22 del Testo
unico disciplina la denuncia di inizio
attività, la manovra, riscrivendo l'articolo
19 citato, ha cancellato la dichiarazione di
inizio attività, per cui non vi sarebbe
motivo di porre in dubbio la perdurante
efficacia delle disposizioni sulla Dia
edilizia: «Le espressioni "segnalazione
certificata di inizio di attività" e "Scia"
sostituiscono, rispettivamente, quelle di
"dichiarazione di inizio di attività" e
"Dia", ovunque ricorrano, anche come parte
di una espressione più ampia, e la
disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio di attività recata da ogni
normativa statale e regionale».
Le ragioni a favore della non applicazione
della Scia all'edilizia non sono considerate
dalla nota ministeriale, che porta a
sostegno della sua tesi i lavori preparatori
della legge di conversione del Dl 78/2010
(As 2228). In particolare, il dossier di
documentazione del Servizio studi del Senato
suggerisce la seguente lettura della
disposizione: «La norma ha anche un
profilo abrogativo della normativa statale
difforme, per cui si deve intendere che a
essa va ricondotta anche la denuncia di
inizio di attività edilizia, disciplinata
dagli articoli 22 e 23 del Dpr n. 380 del
2001».
Di fronte a posizioni così distanti, però,
gli operatori del settore sono in
difficoltà. Alcuni, nel dubbio, scelgono di
attendere comunque il decorso dei 30 giorni
previsti dal Testo unico edilizia prima di
dare avvio a lavori che, in base alla Scia,
potrebbero avviare subito (articolo
Il Sole 24 Ore del 20.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA). Articolo 49, commi 4-bis e
seguenti, legge n. 122 del 2010
(Ministero per la Semplificazione Normativa,
Ufficio Legislativo,
nota
16.09.2010 n. 1340 di prot.).
---------------
L'Ufficio Legislativo del Ministero per la
Semplificazione Normativa risponde alla
Regione Lombardia in merito a chiarimenti
richiesti (articolo
Il Sole 24 Ore del 17.09.2010).
Ma non è la tanto auspicata ed invocata
circolare chiarificatrice, a tutto campo, la
quale è in fase di stesura e dovrebbe essere
imminente (settimana prossima??) la sua
divulgazione. |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA, Prime indicazioni sulle conseguenze
della modifica dell’art. 19, legge
07.08.1990, n. 241, disposta con legge
30.07.2010, n. 122, nell’ordinamento
edilizio (ANCI Toscana,
nota 16.09.2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Meneguzzo,
Non sempre la SCIA appare utilizzabile in
materia edilizia (link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ancora sulla SCIA: la Regione Liguria dice
no all'applicazione all'edilizia,
soprattutto in ambiti vincolati.
Il 28.10.2010 la Regione Liguria ha
trasmesso alle amministrazioni locali la
nota 08.09.2010 n.
126099 di prot. -a firma del Vice
Presidente della Giunta Regionale e
Assessore alla Pianificazione Territoriale,
Urbanistica- in risposta al quesito posto
dal Comune di Genova relativamente alla
applicabilità in materia di attività
edilizia del nuovo istituto della
Segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA).
Oltre a ricordare di aver proposto ricorso
alla Corte Costituzionale con altre otto
regioni, la Regione ha evidenziato che la
procedura pare essere circoscritta alle
attività di Impresa, maggiormente bisognose
di "semplificazione", escludendone in
ogni caso l'applicazione in casi in cui
sussistono vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali (commento tratto e link a
http://studiospallino.blogspot.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ultime
news sulla S.C.I.A..
Ad oggi sono già 38 gg. (dal 31.07.2010) che è in
vigore il nuovo istituto della S.C.I.A.
(Segnalazione Certificata di Inizio
Attività) e nulla di nuovo si intravede
all'orizzonte ...
Invero, non si contano più le telefonate che
abbiamo fatto -già dai primi giorni di
agosto- sia al Ministero della
Semplificazione Normativa (che ha "partorito"
questa bella novità ... potremmo definirla
un nuovo "Porcellum??") sia all'Assessorato
Regionale Territorio e Urbanistica per avere
lumi in merito e la risposta è sempre stata
la stessa:
boh!!
La domanda, nell'immediato, è una sola:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
A questo semplice interrogativo nessuno (chi
di dovere!!) sa rispondere e fornire
certezze nell'operare quotidiano
dell'ufficio tecnico comunale ... e,
intanto, il tempo passa.
Ad onor del vero, venerdì 03.09.2010 abbiamo
fatto
BINGO!!
... cioè?? Finalmente, dopo l'ennesima telefonata, al
Ministero della Semplificazione Normativa
siamo riusciti ad interloquire
col Capo dell'ufficio legislativo (perché
gli altri funzionari non sapevano nulla
oppure erano introvabili fuori
stanza oppure erano in ferie) il quale ci ha
anticipato che oggi pomeriggio (06.09.2010)
si terrà una riunione fra i responsabili dei
Ministeri della Semplificazione Normativa
(Calderoli), per la Pubblica Amministrazione
e l'Innovazione (Brunetta) e delle
Infrastrutture e Trasporti (Matteoli) al
fine di pervenire -al più presto- ad un
chiarimento congiunto e, forse, "partorire"
l'auspicata circolare che dia risposte ai
mille dubbi e quesiti sorti nel frattempo.
Comunque, da commenti ufficiosi trapelati
dal Ministero, parrebbe chiaro che la S.C.I.A. abbia sostituito anche la D.I.A. in
materia edilizia ... almeno,
nell'intendimento del legislatore, così come
si sono svolti i lavori parlamentari da cui
è sortita la Finanziaria estiva.
E ciò risulta ufficialmente confermato, dal
Capo ufficio legislativo -Cons. Chiné, a
seguito di intervista pubblicata su "Edilizia
e Territorio" del 26.07.2010, n. 29, che
potete
leggere qui
... tuttavia, perché al telefono il
Ministero non si sbilancia ufficialmente??
Questa è l'ennesima pessima figura (tanto
per usare un eufemismo) che il legislatore
e, nel caso di specie, il Ministro collezionano ...
ma
credete che gliene importi qualcosa??
In TV si fanno "belli" in
interviste nelle quali decantano le innumerevoli
semplificazioni legiferate di cui si sono fatti
promotori, tutte a vantaggio del Cittadino,
delle Imprese, degli Operatori economici ...
tuttavia, dopo ben 38 gg. il Ministero non sa
ancora dare una risposta
semplice e chiara al seguente interrogativo:
la
S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di
cui al D.P.R. n. 380/2001??
VERGOGNA !!
Siamo di fronte a veri e propri "dilettanti
allo sbaraglio della politica" ai quali
rivolgiamo un caloroso invito a dimettersi
e, successivamente, partecipare alla
trasmissione televisiva "la Corrida"
... lì, forse, avranno una fulgida carriera.
Della S.C.I.A. già se ne era a conoscenza
-in tempi non sospetti- con la presentazione del maxiemendamento al
Senato del Ministro Tremonti prima del voto
finale di fiducia alla Finanziaria estiva
... il Ministero dello Sviluppo Economico,
invero, è stato abbastanza tempestivo nell'emanare la propria circolare 10.08.2010
n. 3637/C ma questa inerisce unicamente
sulle attività economiche che possono essere
intraprese con la S.C.I.A. e non anche sulle
attività edilizie.
Perché
il Ministro Calderoli ha permesso che tutti
i direttori generali, dirigenti, funzionari
se ne andassero bellamente in vacanza
anziché restare in ufficio a redigere
tempestivamente la necessaria circolare
esplicativa evitando, così, di "lasciare allo sbando"
gli 8.094 uffici tecnici comunali d'Italia??
Dalle nostre parti (in ufficio tecnico) una
fattispecie del genere ovverosia un simile
deprecabile disservizio avrebbe comportato la
destituzione immediata del responsabile
dalla propria P.O. perché il Sindaco non può permettersi il
lusso di perdere la faccia (il consenso
elettorale) coi propri amministrati!! Ma al
Ministero questo ed altro ...
Nel frattempo i tecnici comunali
navigano a vista nella "cacca" senza
sapere che pesci pigliare -per colpa di un
legislatore "analfabeta" che scrive
le leggi coi piedi- e col rischio
sempre incombente del risarcimento del danno
per atto illegittimo (che si respingano le
DIA giacenti -ove il termine di 30 gg. non
sia ancora trascorso- ovvero
che si accettino ancora le D.I.A. in luogo
delle S.C.I.A. ...).
06.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL |
EDILIZIA PRIVATA: S.C.I.A.,
due mesi per fare i controlli. Tempi stretti
per verificare che le nuove attività siano
in regola. Lo Sviluppo economico interviene
sul passaggio da Dia a segnalazione
certificata d'inizio attività.
Dalla Dia si passa alla
Scia. Con qualche novità per la prassi: per
effettuare i controlli ci saranno solo due
mesi di tempo. Scaduto il termine la
pubblica amministrazione avrà limitatissime
possibilità per intervenire. Non solo. In
sostituzione di pareri prescritti dalla
norma ci potranno essere attestazioni
redatte dal tecnico di fiducia. Quindi, sarà
possibile conciliare la Scia con le
differenti tipologie di Dia previste in
origine.
Il ministero dello sviluppo economico ha
fatto il punto della situazione chiarendo
cosa (e come) cambia dopo la legge 122/2010.
A meno di due mesi di distanza dall'entrata
in vigore delle rilevanti modifiche all'art.
19 della legge 241/1990 a seguito del dlgs
59/2010 di recepimento della direttiva
Bolkestein, le carte sono state nuovamente
rimescolate.
Così il dicastero riscrive le regole del
gioco. E lo fa con la
circolare 10.08.2010 n. 3637/C;
un atto attraverso cui il dipartimento
impresa e internazionalizzazione, direzione
generale per il mercato, la concorrenza, il
consumatore, cerca di chiarire la situazione
dopo che la dichiarazione d'inizio attività,
la Dia per intenderci, è stata sostituita
dalla segnalazione certificata di inizio
attività, la Scia. Così, sono molte le
novità contenute nel novellato articolo 19,
a seguito della legge 122, pubblicata in
Gazzetta Ufficiale il 30 luglio scorso.
Legge di conversione della manovra economica
d'estate, ovvero del decreto legge 78/2010.
Così, l'intento del ministero è fornire
alcune prime indicazioni, pur dando atto
della necessità di riservare a un futuro
momento, più complete e meditate istruzioni.
Quattro le sezioni in cui la circolare è
articolata:
1) le considerazioni generali;
2) un'analisi dell'impatto della Scia sulla
normativa per l'installazione di impianti,
autoriparazione, pulizie e facchinaggio;
3) uno specifico esame dell'impatto sulla
disciplina per l'attività di
intermediazione, per l'agente ed il
rappresentante di commercio, il mediatore
marittimo e lo spedizioniere;
4) infine, una specifica sezione è dedicata
alle attività di vendita e somministrazione
che, più di ogni altra, sono state
profondamente innovate dal dlgs 59/2010 e
che, quindi, ora sono nuovamente
rivoluzionate.
Per quanto riguarda gli aspetti generali, il
direttore Gianfrancesco Vecchio, rileva che
una delle novità contenute nel nuovo art. 19
riguarda la possibilità di corredare la Scia
con le attestazioni e asseverazioni di
tecnici abilitati che sostituiscono anche
eventuali pareri di organi o enti appositi.
Inoltre, la p.a. ha 60 giorni di tempo per
esperire i controlli, dopodiché può
intervenire soltanto in rigide ipotesi, tra
le quali la mendacità delle dichiarazioni
fornite nella Scia o per pericolo di danno
al patrimonio artistico e culturale, o per
l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica
o la difesa nazionale.
Per quanto riguarda le attività di stretta
competenza delle camere di commercio anche
per ciò che riguarda la verifica dei
requisiti previsti, il Mise evidenzia che il
nuovo sistema semplifica le procedure perché
la Scia potrà essere contestuale a ComUnica.
Va rilevato, peraltro, chiosa la circolare,
che qualora una camera di commercio dovesse
adottare provvedimenti di inibizione
dell'attività, questi determineranno
l'iscrizione d'ufficio della cessazione
dell'attività illegittimamente svolta nella
posizione Rea dell'impresa. Più articolata
la sezione dedicata a commercio e
somministrazione, in forza del fatto che la
formulazione dell'articolo 19 della legge
241/1990 antecedente all'introduzione della
Scia, prevedeva per quest'ultimo distinte
ipotesi di Dia ad efficacia immediata o
differita.
La circolare prende in esame le singole
fattispecie per pervenire alla conclusione
che laddove era prevista la Dia andrà ora la
Scia, a condizione che l'ente competente non
si sia dotato di uno strumento di
programmazione; nel qual caso il
procedimento dovrà essere sottoposto a
autorizzazione.
Tra le fattispecie soggette a autorizzazione
la circolare elenca l'apertura di nuovi
esercizi pubblici; il trasferimento di sede
degli stessi nell'ipotesi di zona tutelata
dal comune attraverso lo strumento di
programmazione; l'avvio dell'attività di
vendita nelle medie o grandi strutture di
vendita compresi i centri commerciali e,
infine, il commercio su area pubblica sia se
esercitato in forma fissa sia itinerante (articolo ItaliaOggi
del 18.08.2010, pag. 24). |
EDILIZIA PRIVATA: La
S.C.I.A. rischia di essere un'arma spuntata. I
professionisti sono chiamati a districarsi
in un groviglio di norme.
La segnalazione certificata di inizio
attività (cosiddetta Scia) in edilizia
rischia di essere un'arma spuntata.
Infatti nel ginepraio di norme statali,
regionali, civilistiche, dei regolamenti
edilizi, di igiene, di sicurezza ecc. il
professionista è chiamato ad assumere il
ruolo di un acrobata che si esibisce senza
rete di protezione.
Il nuovo istituto, introdotto dall'articolo
49 della legge n. 122 del 30/07/2010, si
applica agli interventi già soggetti a
dichiarazione di inizio attività, previsti
nella normativa statale e regionale, con la
sola esclusione dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali.
Per tali interventi dovrà richiedersi il
permesso a costruire, posto che la nuova
disciplina cancella la Dia dall'ordinamento
giuridico lasciando quali titoli abilitativi
soltanto la Scia ed il permesso a costruire.
Infatti il comma 4-ter dell'articolo 49,
prevede che la Scia sostituisce
direttamente, dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del
presente decreto, quella della dichiarazione
di inizio attività recata da ogni normativa
statale e regionale.
Con la segnalazione certificata di inizio
attività o «Scia», i lavori
inizieranno subito (e non più dopo il
termine dilatorio previsto dalla Dia) sulla
base di un'asseverazione di un tecnico
abilitato che attesterà sotto la propria
responsabilità, che il progetto è conforme
alle norme vigenti. Il termine «asseverare»
ha il significato di «affermare con
solennità», e cioè di porre in essere una
dichiarazione di particolare rilevanza
formale e di particolare valore nei
confronti dei terzi quanto a
verità-affidabilità del contenuto. L'art.
29, comma 3, dpr n. 380/2001 dispone poi che
«Per le opere realizzate dietro
presentazione di denuncia di inizio
attività, il progettista assume la qualità
di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ai sensi degli artt. 359 e 481
c.p.» (Corte di cassazione penale, sez.
III, 16/07/2010, sentenza n. 27699).
La prudenza è d'obbligo posto che in caso di
dichiarazione falsa o mendace oltre alla
segnalazione all'ordine professionale, è
previsto un aumento della sanzione penale da
uno a tre anni oltre all'eventuale
interdizione dalla professione (articolo 49
commi 3 e 6). L'amministrazione competente
nel termine di sessanta giorni dal
ricevimento della segnalazione, in caso di
accertata non conformità a legge della
stessa , ove ciò sia possibile, consente
all'interessato di provvedere a conformare
alla normativa vigente l'attività ed i suoi
effetti entro un termine, in ogni caso non
inferiore a 30 giorni (una sorta di
accertamento di conformità cui non segue un
permesso in sanatoria) e soltanto ove ciò
non sia possibile, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi di essa , fatto salvo il
potere di assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies della Legge n.
241/1990.
In caso di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà
false o mendaci, l'amministrazione, ferma
restando l'applicazione delle sanzioni
penali di cui sopra, può sempre e in ogni
tempo adottare i provvedimenti in via di
autotutela del titolo abilitativo tacito
(così era qualificata la Dia, da Consiglio
di stato sez. VI n. 6910/2004 e più di
recente, da Tar Piemonte n. 1885/2006, da
Tar Lombardia n. 4066/2010) in questo caso
invece ci si troverebbe di fronte ad un
titolo abilitativo, efficace dal momento del
ricevimento della certificazione, ma
condizionato dal decorso dei sessanta giorni
senza che sia stato esercitato il potere
inibitorio dell'amministrazione.
Se l'autotutela, come sembra, debba
esercitarsi entro e non oltre i 60 giorni,
posto che soltanto in caso di dichiarazioni
false o mendaci ne è prevista l'adozione
sempre e in ogni tempo, è questione sulla
quale probabilmente si discuterà; è certo
invece, che come la prassi vuole, i
professionisti prima di inoltrare la Scia,
per non correre rischi, consulteranno gli
uffici comunali così come facevano per la
Dia con buona pace della riduzione dei
tempi.
Nelle regioni poi, la cui normativa prevede
l'alternatività tra il Permesso a costruire
e la Dia, ora Scia, la prudenza
nell'utilizzo di tale istituto sarà ancora
maggiore. Insomma nulla di veramente nuovo e
capace di invertire la tendenza e ridurre i
tempi.
Per velocizzare concretamente l'attività
amministrativa connessa al rilascio o
controllo dei titoli abilitativi di
carattere edilizio, necessita pertanto che
si crei uno vero sportello unico
dell'edilizia affidando ai comuni (sotto una
certa soglia in maniera associata) non
soltanto la cura dei rapporti con gli altri
enti interessati al procedimento (Asl,
Vigili del fuoco ecc.) ma le loro
attribuzioni anche attraverso il distacco
del personale addetto
(articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag.
32). |
EDILIZIA PRIVATA: LA
MANOVRA CORRETTIVA/ Pro e contro della
Segnalazione certificata di inizio attività.
Scia, progettisti responsabilizzati. I
professionisti dovranno assumersi i rischi
delle opere edili.
Scia edilizia nelle mani
dei professionisti.
L'articolo 49 della manovra (decreto
78/2010), ora definitivamente approvata,
manda in soffitta la Denuncia di inizio
attività (Dia) prevista dal Testo Unico per
l'edilizia e dalle leggi regionali e
responsabilizza sempre di più i
professionisti esterni.
In effetti la Scia (Segnalazione certificata
di inizio attività) si basa su uno scambio:
puoi aprire subito, oggi stesso, il
cantiere, ma devi assumerti la
responsabilità per intero dell'istruttoria e
ti esponi ai controlli successivi degli
uffici tecnici comunali. Da qui il primo
rischio, e cioè che il progettista non
sempre ritenga di assumere su di sé l'onere
e la responsabilità dell'asseverazione
dell'opera alla disciplina urbanistica.
C'è anche un secondo rischio sul piano
dell'effettività dei controlli: se si
impianta il cantiere il giorno stesso della
presentazione della Scia al comune, può
essere che gli uffici dell'amministrazione
non possano verificare lo stato iniziale del
manufatto, modificabile fin da subito. E ciò
potrebbe essere lo stratagemma per coprire
abusi: basterebbe presentare la Scia e
mutare immediatamente lo stato dei luoghi.
In sostanza i parametri del successo o
dell'insuccesso della Scia in edilizia
dipendono dalla accettazione di rischi
professionali da parte del progettista e dal
regime dei controlli della pubblica
amministrazione. Potrebbe aggiungersi che un
parametro del successo potrebbe essere la
velocità della procedura.
Tuttavia questo potrebbe non essere
completamente vero se l'istruttoria svolta
dal professionista (che deve preoccuparsi di
vagliare in anticipo ogni possibile aspetto)
si prolunga e, quindi, il tempo guadagnato
per assenza di istruttoria a cura degli
uffici comunali, in realtà, si perde prima
nell'istruttoria del progettista privato.
Altro elemento che potrà, nell'immediatezza,
mettere in stand by la Scia è
l'estensione agli interventi di nuova
costruzione, cioè a quegli interventi per
cui attualmente è previsto il permesso di
costruire o la Super Dia.
Tra l'altro, l'articolo 49 citato prevede
che le espressioni «segnalazione
certificata di inizio attività» e «Scia»
sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione
di inizio attività» e «Dia»,
ovunque ricorrano, anche come parte di una
espressione più ampia», e la disciplina «sostituisce
direttamente, quella della dichiarazione di
inizio attività recata da ogni normativa
statale e regionale».
Peraltro vi è un connotato di estrema
importanza relativo alla efficacia della
Scia: somiglia (molto di più di quanto lo si
potesse dire per la Dia) a un
silenzio-assenso. Questo perché si
restringono e di molto le possibilità di
intervento sanzionatorio ex post (si può
agire solo se c'è pericolo di un danno non
riparabile per il patrimonio artistico e
culturale, per l'ambiente, per la salute,
per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale).
---------------
I casi di non
ammissibilità della nuova segnalazione. Il
titolo edilizio non va del tutto in
soffitta.
Il titolo edilizio (con un dubbio per il
permesso di costruire e la super Dia) viene
sostituito da una segnalazione certificata.
Non sempre però. Questo potrà avvenire
quando il rilascio del titolo «dipenda
esclusivamente dall'accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto
generale, e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli stessi».
Si tratta di un requisito che esclude la
Scia ogni volta che vi sia un apprezzamento
discrezionale, riservato alla p.a., da
formulare in strumenti di programmazione,
anch'essi riservati alla pubblica
amministrazione.
Tali limiti potranno assumere valenza
specifica in ambito edilizio, anche se non
si può dire che ciò comporti tassativamente
l'esclusione della Scia per tutte le opere
per le quali è previsto il permesso di
costruire. A prescindere dalla questione del
titolo la Scia in edilizia non è ammessa nei
casi in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e degli atti
rilasciati.
Appurata l'ammissibilità si passa ai
riscontri procedurali. La nuova disposizione
pretende che la segnalazione sia corredata
dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell'atto di notorietà per
quanto riguarda tutti gli stati, le qualità
personali e i fatti nonché dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di
conformità da parte dell'Agenzia delle
imprese (articolo 38, comma 4, del
decreto-legge 112/2008), relative alla
sussistenza dei requisiti e dei presupposti;
inoltre tali attestazioni e asseverazioni
sono corredate dagli elaborati tecnici
necessari per consentire le verifiche di
competenza dell'amministrazione.
L'istruttoria, che avrebbe dovuto fare il
comune a seguito della richiesta del titolo,
è anticipata a prima della presentazione
della Segnalazione. Certo la norma consente
una semplificazione. Nei casi in cui la
legge prevede l'acquisizione di pareri di
organi o enti appositi, o l'esecuzione di
verifiche preventive, essi sono comunque
sostituiti dalle autocertificazioni,
attestazioni e asseverazioni o
certificazioni: ma questo significa una
sovraesposizione del progettista privato,
che si assume tutte le responsabilità di
asseverazioni e certificazioni.
La nuova disposizione precisa che chiunque,
nelle dichiarazioni o attestazioni o
asseverazioni che corredano la segnalazione
di inizio attività, dichiari o attesti
falsamente l'esistenza dei requisiti o dei
presupposti è punito con la reclusione da
uno a tre anni. A prescindere dai risvolti
penali sono salve le verifiche successive
degli organi e delle amministrazioni
competenti: se c'è qualcosa che non va, la
p.a. controlla a posteriori e ha più tempo
per farlo.
Una volta presentata la Segnalazione,
l'attività oggetto della stessa può essere
iniziata subito e cioè dalla data della
presentazione della segnalazione
all'amministrazione competente. In edilizia
non si deve aspettare il termine dilatorio
iniziale di trenta giorni, previsto dal
Testo unico per l'edilizia, utilizzabile
dagli uffici tecnici per controllare le Dia
(almeno a campione) per eventualmente
ordinare di non iniziare i lavori.
A questo punto la palla passa agli uffici
tecnici: l'amministrazione competente, in
caso di accertata carenza dei requisiti e
dei presupposti, nel termine di sessanta
giorni dal ricevimento della segnalazione,
può adottare motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività e di
rimozione degli eventuali effetti dannosi di
essa.
Si noti che l'amministrazione può
intervenire a lavori già iniziati oppure a
lavori da iniziare: in sostanza l'inizio dei
lavori è fatto a proprio rischio e pericolo.
Se poi tutto viene bloccato il danno può
essere considerevole. Non a caso si può
prevedere che chi non ha propensione al
rischio preferirà attendere il decorso dei
sessanta giorni. Ma allora i tempi che
sembravano azzerati, addirittura si
allungano. Se oggi dopo la presentazione
della Dia bisogna aspettare trenta giorni,
con la Scia potrà essere prudente aspettarne
il doppio (sessanta). Anche per evitare di
dover bloccare un cantiere, dopo avere
effettuato spese per i materiali, ponteggi,
anticipi a ditte esecutrici, ecc..
Va sottolineato che la disposizione
subordina il divieto di prosecuzione
dell'attività e il ripristino alla
possibilità che l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività e i suoi effetti entro un termine
fissato dall'amministrazione, in ogni caso
non inferiore a trenta giorni: questo si
realizzerà non senza pregiudizio, in quanto
si tratta di modificare il progetto in
corsa, con inevitabili strascichi di
carattere economico (spese per doppia
progettazione e varianti).
L'amministrazione indipendentemente dal
decorso dei sessanta giorni potrà
intervenire con provvedimenti di revoca e di
annullamento e in caso di dichiarazioni
sostitutive false o mendaci, può sempre e in
ogni tempo adottare i provvedimenti di
blocco cantiere e ordine di ripristino.
Il problema qui è come provare il falso: si
pensi a una descrizione della consistenza
iniziale del manufatto, non conforma allo
stato di fatto, a fronte di una modifica
intervenuta con l'apertura immediata del
cantiere. Peraltro, salvo il caso della
(prova di) dichiarazione inveritiera,
decorso i sessanta giorni
all'amministrazione è consentito intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente.
Questa limitazione del potere di intervento
si applica anche all'edilizia e limita
quindi il potere di revoca e annullamento a
questi casi: ecco perché la Scia è un
mini-silenzio assenso. Infine, il vicino di
casa che vuole contestare la Scia edilizia
del condomino dovrà ricorrere al giudice
amministrativo (articolo
ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 9). |
EDILIZIA PRIVATA: L.
Cirese,
SCIA al posto della DIA … e del PdC!
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In questi primi giorni di entrata in
vigore della L. 30.07.2010 n. 122, di
conversione del D.L. 31.05.2010 n. 78, si
sono avuti i primi orientamenti contrastanti
in merito all'applicabilità -o meno- della S.C.I.A.
(Segnalazione Certificata di Inizio Lavori)
in materia edilizia laddove dovrebbe aver
sostituito la D.I.A. di cui al DPR n.
380/2001 e L.R. n. 12/2005.
Nell'attesa della tanto auspicata circolare
ministeriale che dirima, urgentemente, tale
incertezza interpretativa, un contributo
potrebbe pervenire dalla lettura del
dossier a cura del "Servizio studi del
Senato" approntato quali
schede di lettura del "Disegno di legge
A.S. n. 2228 - “Conversione in legge del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante
misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica” Le
modifiche della Commissione".
Le pagine di interesse, dalla n. 137 alla n.
142, sono esplicite nell'evidenziare
che la S.C.I.A. ha sostituito, ad ogni
effetto, la D.I.A..
Comunque, aspettiamo di leggere -quanto
prima- la circolare ministeriale anche al
fine di capire come si esprimerà,
ufficialmente, la Regione Lombardia in
merito, appunto, alla D.I.A. regionale.
Invero, sul punto, la Direzione Generale
Territorio e Urbanistica si è già espressa
informalmente con e-mail del 06.08.2010, a
seguito di richiesta di chiarimenti urgenti
da parte di un Comune, come di seguito
riportato:
"La
nuova disciplina in materia di
semplificazione, introdotta dal Parlamento
in sede di esame della manovra economica
varata dal Governo con il D.L. n. 78, pone
non pochi dubbi e problemi.
Appare chiaro l'intento del legislatore di
assicurare l'immediata applicabilità della
disciplina della SCIA come istituto di
carattere generale, avendola dichiarata
espressamente attinente alla "tutela della
concorrenza" e qualificata "livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali", così
riconducendola alla competenza esclusiva
statale (norma peraltro di dubbia
costituzionalità).
Non altrettanto chiara e scontata è invece
l'applicazione della nuova disciplina anche
all'edilizia, mancando qualsivoglia richiamo
al Testo unico dell'edilizia (D.P.R. n.
380/2001), ove peraltro si parla di Denuncia
(non Dichiarazione) di inizio attività.
Un chiaro indirizzo sul punto, come pure
circa l'esatto ambito di applicazione della
nuova disciplina, se cioè la SCIA può
sostituire anche il permesso di costruire
ovvero solo la DIA, solo la DIA statale o
anche la DIA regionale, non può che venire
-si spera a breve- dal Governo (Ministero
della Semplificazione), ispiratore della
novità legislativa.
In ogni caso, anche al fine di valutare
l'impatto della nuova disciplina
sull'ordinamento regionale, la D.G.
Territorio ha già avviato una riflessione
congiunta con la Presidenza.
Distinti saluti.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore vicario
D.G. Territorio e urbanistica".
LA SEGRETERIA PTPL - 09.08.2010 |
EDILIZIA PRIVATA:
Con la «S.C.I.A.» l'attività
parte in un giorno. Per iniziare è
sufficiente la segnalazione.
L'amministrazione ha 60 giorni di tempo per
le verifiche.
La dichiarazione di inizio attività (Dia)
-prevista e disciplinata dall'art. 19 della
legge 241/1990- è sostituita dalla
Segnalazione certificata di inizio attività
(Scia) ...
(articolo Il Sole 24
Ore
del 06.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
C. Rapicavoli,
Legge 30.07.2010 n. 122. Modifiche alla
Legge 241/1990 in materia di Conferenza di
Servizi - Segnalazione Certificata di Inizio
Attività (SCIA) (link a
www.ambientediritto.it). |
ENTI LOCALI -
VARI:
G.U. 30.07.2010, suppl. ord. n. 174/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica" (Legge
30.07.2010 n. 122);
- "Testo del decreto-legge
31.05.2010, n. 78 coordinato con la legge di conversione
30.07.2010, n. 122 recante: «Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»". |
EDILIZIA PRIVATA: La
Scia mette il turbo alle nuove iniziative.
Norma antiburocrazia nella
manovra correttiva.
Con l'introduzione della Scia (segnalazione
certificata inizio attività) sarà più facile
iniziare un'attività d'impresa o edilizia.
La Scia sostituirà infatti la Dia, e le
amministrazioni avranno 60 giorni (e non più
30), per esercitare i controlli ed
eventualmente richiedere (se si accerta
carenza dei requisiti necessari) la
rimozione degli effetti dannosi, a cui
l'impresa dovrà provvedere entro 30 giorni.
La Scia quindi consiste in
un'autocertificazione che, tuttavia, non
potrà essere utilizzata nei casi in cui
sussistano vincoli ambientali, paesaggistici
o culturali o nell'ambito di quei
procedimenti in cui siano necessari atti
rilasciati dalle amministrazioni preposte
alla difesa nazionale, alla pubblica
sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza, all'amministrazione della
giustizia, all'amministrazione delle finanze
(compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivanti
dal gioco, nonché quelli imposti dalla
normativa comunitaria).
L'attività oggetto della segnalazione può
essere iniziata dalla data della
presentazione della segnalazione
all'amministrazione competente, senza
attendere 30 giorni, come accadeva prima
della riforma con la Dia.
Il legislatore ha inteso rispondere
all'esigenza di liberalizzazione
dell'attività d'impresa, istituendo una
«segnalazione certificata di inizio
attività» che sostituisce «ogni atto di
autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominato, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale».
Dal punto di vista normativo, infatti, il
maxi-emendamento governativo ha introdotto
all'articolo 49 il comma 4-bis, il quale ha
sostituito integralmente l'art. 19 della
legge n. 241/90 (originariamente rubricato «Dichiarazione
di inizio attività»).
Correderanno la segnalazione (per quanto
riguarda tutti gli stati, le qualità
personali ecc.) le dichiarazioni sostitutive
di certificazioni e dell'atto di notorietà,
le attestazioni e le asseverazioni di
tecnici abilitati, ovvero le dichiarazioni
di conformità da parte delle agenzie delle
imprese (di cui all'art. 38, comma 4, dl n.
112/2008, convertito dalla legge n.
133/2008), relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto
generale.
Le autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni sostituiranno
anche l'acquisizione di pareri di organi o
enti appositi, ovvero l'esecuzione di
verifiche preventive.
Vincoli.
L'applicazione della nuova disciplina è
subordinata alle seguenti condizioni:
- che il rilascio dipenda esclusivamente
dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o di atti
amministrativi a contenuto generale;
- che non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli atti stessi, con la sola
esclusione:
a) dei casi in cui sussistano vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali;
b) per quei procedimenti in cui siano
necessari atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza, all'amministrazione della
giustizia, all'amministrazione delle
finanze, compresi gli atti concernenti le
reti di acquisizione del gettito, anche
derivante dal gioco, nonché di quelli
imposti dalla normativa comunitaria;
- che gli atti richiesti non riguardino le
attività economiche a prevalente carattere
finanziario, ivi comprese quelle regolate
dal testo unico bancario.
Divieti.
Il testo della manovra prevede anche
l'adozione di motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività, in
caso di accertata carenza dei requisiti e
dei presupposti. Il termine è fissato in 60
giorni dal ricevimento della segnalazione e
può contenere l'ordine di rimozione degli
eventuali effetti dannosi.
L'amministrazione può però anche fissare un
termine (in ogni caso non inferiore a 30
giorni) entro cui l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività ed i suoi effetti.
In caso di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà
false o mendaci, l'amministrazione, ferma
restando la responsabilità penale, potrà
sempre e in ogni tempo adottare i suddetti
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali
effetti dannosi.
Deroghe.
Decorso il predetto termine di 60 giorni,
l'amministrazione potrà intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno grave e
irreparabile per il patrimonio artistico e
culturale, per l'ambiente, per la salute,
per la sicurezza pubblica o la difesa
nazionale e previo motivato accertamento
dell'impossibilità di tutelare comunque tali
interessi mediante conformazione
dell'attività dei privati alla normativa
vigente.
Dia.
Le nuove disposizioni stabiliscono che la
disciplina sulla Scia sostituirà
direttamente, dall'entrata in vigore della
legge di conversione del decreto legge,
quella della Dia (statale e regionale). La
disciplina sulla Scia che è stata
introdotta, infatti, è ricondotta alla
tutela della concorrenza ai sensi dell'art.
17, comma 2, lett. e), della Costituzione
(materia di competenza legislativa esclusiva
dello Stato), e costituisce livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali ai sensi della
lettera m) del medesimo comma 2.
Ciò ha consentito di risolvere il problema
del rapporto con la disciplina della
dichiarazione di inizio di attività recata
da ogni normativa regionale. Inoltre, le
espressioni «segnalazione certificata di
inizio di attività» e «Scia» sostituiranno,
rispettivamente, quelle di «dichiarazione di
inizio di attività» e «Dia».
Semplificazioni.
In materia di semplificazione è stata
introdotta una normativa a cascata che tende
a ridurre gli adempimenti amministrativi
gravanti sulle Pmi, al fine di promuovere lo
sviluppo del sistema produttivo e la
competitività delle imprese. In particolare,
il governo sarà autorizzato ad adottare uno
o più regolamenti di delegificazione, volti
a semplificare e ridurre gli adempimenti
amministrativi a carico delle pmi, in base
ai seguenti principi e criteri:
a) proporzionalità degli adempimenti
amministrativi in relazione alla dimensione
dell'impresa e al settore di attività,
nonché alle esigenza di tutela degli
interessi pubblici coinvolti;
b) eliminazione di autorizzazioni, licenze,
permessi, ovvero di dichiarazioni,
attestazioni, certificazioni, comunque
denominati, nonché degli adempimenti
amministrativi e delle procedure non
necessarie rispetto alla tutela degli
interessi pubblici in relazione alla
dimensione dell'impresa ovvero alle attività
esercitate;
c) estensione dell'utilizzo
dell'autocertificazione, delle attestazioni
e asseverazioni dei tecnici abilitati nonché
delle dichiarazioni di conformità da parte
delle agenzie delle imprese (art. 38, comma
4, dl n. 112/2008);
d) informatizzazione degli adempimenti e
delle procedure amministrative, secondo la
disciplina del dlgs 82/2005 (codice
dell'amministrazione digitale);
e) soppressione delle autorizzazioni e dei
controlli per le imprese in possesso di
certificazione Iso o equivalente, per le
attività oggetto di tale certificazione;
f) coordinamento delle attività di controllo
al fine di evitare duplicazioni e
sovrapposizioni, assicurando la
proporzionalità degli stessi in relazione
alla tutela degli interessi pubblici
coinvolti.
Entrata in vigore.
I regolamenti in materia di Scia dovranno
essere emanati entro 12 mesi dall'entrata in
vigore della legge di conversione del dl
78/2010, ed entreranno in vigore il
quindicesimo giorno successivo alla loro
pubblicazione
(articolo ItaliaOggi
del 26.07.2010, pag. 10). |
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dossier D.I.A.
(Denuncia di Inizio Attività) |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Perfezionamento
della dia.
Il titolo edilizio si
perfeziona indipendentemente dalla
corresponsione degli oneri di
urbanizzazione, come si ricava anche dal
tenore dell’art. 42, comma 3, della legge
regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa
agli oneri di urbanizzazione è corrisposta
al comune entro trenta giorni successivi
alla presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del
D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede
l’applicazione di una sanzione pecuniaria
rapportata all’entità del contributo in caso
di mancato pagamento o per il suo ritardo,
con la possibilità per i Comuni di tutelarsi
mediante la riscossione coattiva.
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato
normativo –art. 44, comma 13, della legge
regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data (…) di presentazione della denuncia di
inizio attività’]–, altresì dalla
giurisprudenza maggioritaria, secondo la
quale il momento su cui appuntare
l’affidamento della parte istante è quello
della presentazione della denuncia, che
coincide con il momento perfezionativo per
consolidazione postuma e non in quello in
cui la stessa acquisterebbe efficacia,
trovandosi al cospetto non di un
provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del
privato, cui va applicata la disciplina
legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica
Amministrazione.
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi
si sono perfezionati all’atto del loro
deposito, una volta trascorso il termine di
trenta giorni senza alcun intervento
inibitorio dell’Amministrazione.
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Quanto alla
natura del contributo di costruzione dovuto
dal soggetto che intraprenda un’iniziativa
edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
In altri termini,
fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della
onerosità del titolo a costruire (art. 1
della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio’.
Pertanto, laddove l’intervento edilizio
non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun
contributo risulta dovuto in capo al privato
che ha realizzato il predetto intervento.
---------------
Ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge
regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”) il termine per esigere tale
contributo o richiedere eventuali conguagli si prescrive per
decorso del termine decennale.
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Quanto alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il
Collegio concorda con la ricorrente a
proposito della decorrenza del termine di
prescrizione decennale ancorata alla
formazione del titolo edilizio.
Non recando
una previsione esplicita l’art. 64, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005
(“Qualora sia dimostrata l’impossibilità,
per mancata disponibilità di spazi idonei,
ad assolvere tale obbligo, gli interventi
sono consentiti previo versamento al comune
di una somma pari al costo base di
costruzione per metro quadrato di spazio per
parcheggi da reperire. Tale somma deve
essere destinata alla realizzazione di
parcheggi da parte del comune”), è doveroso
interpretare la norma nel senso
dell’immediata esigibilità della somma, una
volta intervenuta l’abilitazione
all’esecuzione dell’intervento edilizio,
così come già detto per la quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione.
---------------
Diversa conclusione deve invece predicarsi
con riferimento alla quota relativa al costo
di costruzione tenuto conto che l’art. 48,
comma 7, della legge regionale n. 12 del
2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del
D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori” (nel senso della decorrenza del
termine di prescrizione del credito relativo
al costo di costruzione riferita alla fine
lavori o alla diversa data stabilita
dall’Amministrazione).
---------------
SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il
27.01.2017 e depositato il 16 febbraio
successivo, la società ricorrente ha
impugnato il provvedimento del Comune di
Milano del 25.10.2016, notificatole il
29.11.2016, con il quale veniva invitata a
versare la somma di € 17.236,22, a titolo di
conguaglio del contributo di costruzione e
di cd. monetizzazione degli spazi destinati
a parcheggio, relativamente alla DIA del
12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società
ricorrente:
- che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data
12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione
e ampliamento di un edificio industriale da
destinare a residenza, e realizzazione di un
parcheggio al piano terra e al piano
interrato ad utilizzo della residenza”,
da eseguirsi presso l’immobile di proprietà
in via ... n. 3;
- di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data
03.05.2006, per il medesimo intervento, una
seconda DIA per “ristrutturazione
edilizia ed ampliamento edificio”, che
comprendeva le seguenti opere: “recupero
a fini abitativi di tutto il piano
sottotetto dell’immobile in oggetto con la
creazione di sei unità immobiliari,
rispettando i volumi, gli allineamenti e le
finiture dell’edificio originario. Verranno
modificate le aperture delle scale e
verranno realizzati dei terrazzi praticabili
sulla copertura piano dell’edificio,
raggiungibile tramite scale a chiocciola
esterne”;
- di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante
non essenziale per “modifica
distribuzione interna, modifica copertura
edificio, modifica boxes, nuove canne
fumarie”;
- di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine
lavori, con contestuale richiesta di
certificato di agibilità;
- di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del
contributo di costruzione (oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione),
nonché di aver provveduto ad asservire a
spazi per parcheggio la superficie richiesta
in applicazione della normativa allora
vigente, il tutto per complessivi €
261.698,00 circa;
- che durante il procedimento per il rilascio del certificato di
agibilità, il Comune procedeva al controllo
dei calcoli e dei versamenti operati dalla
società relativamente agli oneri di
urbanizzazione e al costo di costruzione e
rilevava un errore nella superficie dei
parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a
quella prevista per legge;
- che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016,
la somma complessiva di € 17.236,22 come
dovuta dalla società, a titolo di
conguaglio, per contributo di costruzione e
cd. “monetizzazione parcheggi”, così
suddivisi: € 1,21 per oneri di
urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di
urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per
costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione
parcheggi”;
- di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela,
lamentandone l’erroneità e la tardività;
- di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto
provvedimento, la ricorrente ha quindi
proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo
l’annullamento dell’atto e l’accertamento
dell’insussistenza del diritto di credito
del Comune.
...
3. Venendo ora allo scrutinio del merito del
ricorso, lo stesso è fondato.
4. Con la prima doglianza, di carattere
assorbente, si assume l’illegittimità della
pretesa comunale, in quanto il diritto a
ottenere il conguaglio del contributo di
costruzione e il versamento della monetizzazione degli spazi destinati a
parcheggi si sarebbe prescritto per scadenza
del termine decennale decorrente dal
perfezionamento delle DIA presentate il 12.08.2004 e
03.05.2006, considerato
invece che l’ultima DIA del 20.09.2007, quale variante minore non essenziale,
non avrebbe determinato alcun aumento del
carico urbanistico e, quindi, nessuna
variazione in aumento del contributo di
costruzione.
4.1. La censura è parzialmente fondata.
4.2. Come già osservato dalla Sezione in una
fattispecie analoga alla presente (sentenza
10.05.2018, n. 1242), “va premesso che
il titolo edilizio si perfeziona
indipendentemente dalla corresponsione degli
oneri di urbanizzazione, come si ricava
anche dal tenore dell’art. 42, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la
quota relativa agli oneri di urbanizzazione
è corrisposta al comune entro trenta giorni
successivi alla presentazione della denuncia
di inizio attività, fatta salva la facoltà
di rateizzazione’).
A tal fine, si deve
richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del
2001 che prevede l’applicazione di una
sanzione pecuniaria rapportata all’entità
del contributo in caso di mancato pagamento
o per il suo ritardo, con la possibilità per
i Comuni di tutelarsi mediante la
riscossione coattiva (anche se con
riferimento al permesso di costruire, cfr.
TAR Lombardia, Milano, II, 14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato
normativo –art. 44, comma 13, della legge
regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data (…) di presentazione della denuncia di
inizio attività’]–, altresì dalla
giurisprudenza maggioritaria, secondo la
quale il momento su cui appuntare
l’affidamento della parte istante è quello
della presentazione della denuncia, che
coincide con il momento perfezionativo per
consolidazione postuma e non in quello in
cui la stessa acquisterebbe efficacia,
trovandosi al cospetto non di un
provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del
privato, cui va applicata la disciplina
legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica
Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV,
13.05.2013, n. 2593; 04.09.2012,
n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 15.03.2018, n. 730;
04.03.2016, n. 434).
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi
si sono perfezionati all’atto del loro
deposito, una volta trascorso il termine di
trenta giorni senza alcun intervento
inibitorio dell’Amministrazione.
Quanto alla
natura del contributo di costruzione dovuto
dal soggetto che intraprenda un’iniziativa
edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una
compartecipazione del privato alla spesa
pubblica occorrente alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
In altri termini,
fin dalla legge che ha introdotto
nell’ordinamento il principio della
onerosità del titolo a costruire (art. 1
della legge n. 10 del 1977), la ragione
della compartecipazione alla spesa pubblica
del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di
urbanizzazione che l’amministrazione
comunale è tenuta ad affrontare in relazione
al nuovo intervento edificatorio del
richiedente il titolo edilizio’ (Consiglio
di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n.
24).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio
non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun
contributo risulta dovuto in capo al privato
che ha realizzato il predetto intervento”.
4.3. Applicando i suesposti principi, che il
Collegio condivide, alla fattispecie oggetto
di scrutinio nella presente sede, deve
evidenziarsi che gli interventi posti in
essere dalla società ricorrente che hanno
determinato un aumento del carico
insediativo sono pacificamente riconducibili
esclusivamente alle D.I.A. del 12.08.2004 e del
03.05.2006 e non anche alla
DIA del 20.09.2007, avendo avuto quest’ultima ad oggetto interventi di
modifica della distribuzione interna degli
spazi, non rilevanti né con riguardo al peso
insediativo né in relazione alla variazione
della destinazione d’uso.
Peraltro, tali elementi non sono stati
contestati dalla difesa comunale, la quale
ha invece sostenuto che solo al termine dei
lavori sia possibile stabilire la corretta e
definitiva entità del contributo da versare.
4.4. In sintesi, l’ultimo intervento
edilizio comportante un aumento di carico
insediativo è quello relativo alla d.i.a.
del 03.05.2006 e quindi, ai sensi
dell’art. 42, comma 3, della legge regionale
n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli
oneri di urbanizzazione è corrisposta al
comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”), il termine per esigere tale
contributo o richiedere eventuali conguagli
ha cominciato a decorrere dal 02.06.2006
e si è prescritto il 02.06.2016, per
decorso del termine decennale (cfr.
Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.07.2017, n. 1678).
4.5. Quanto, poi, alla pretesa comunale
circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il
Collegio concorda con la ricorrente a
proposito della decorrenza del termine di
prescrizione decennale ancorata alla
formazione del titolo edilizio.
Non recando
una previsione esplicita l’art. 64, comma 3,
della legge regionale n. 12 del 2005
(“Qualora sia dimostrata l’impossibilità,
per mancata disponibilità di spazi idonei,
ad assolvere tale obbligo, gli interventi
sono consentiti previo versamento al comune
di una somma pari al costo base di
costruzione per metro quadrato di spazio per
parcheggi da reperire. Tale somma deve
essere destinata alla realizzazione di
parcheggi da parte del comune”), è doveroso
interpretare la norma nel senso
dell’immediata esigibilità della somma, una
volta intervenuta l’abilitazione
all’esecuzione dell’intervento edilizio,
così come già detto per la quota di
contributo relativa agli oneri di
urbanizzazione.
Anche la pretesa relativa alla cd.
“monetizzazione parcheggi” era dunque
prescritta alla data di adozione (e a quella
successiva di invio) dell’atto contestato.
4.6. Diversa conclusione deve invece
predicarsi con riferimento alla quota
relativa al costo di costruzione (sulla
differenza tra contributo di costruzione e
costo di costruzione, cfr. Consiglio di
Stato, IV, 28.06.2016, n. 2915), pari ad
€ 2.240,79, tenuto conto che l’art. 48,
comma 7, della legge regionale n. 12 del
2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del
D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all’atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d’opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori” (nel senso della decorrenza del
termine di prescrizione del credito relativo
al costo di costruzione riferita alla fine
lavori o alla diversa data stabilita
dall’Amministrazione, cfr. TAR Lombardia,
Milano, Sez. II, 02.05.2018, n. 1183; id.,
08.01.2019, n. 32; id, 05.09.2019,
n. 1949).
Nel caso di specie, la dichiarazione di fine
lavori risale al 20.09.2007 e, quindi, la
richiesta comunale di conguaglio del costo
di costruzione –datata 25.10.2016 e
comunicata alla società il 29.10.2016–
risulta tempestiva rispetto al termine
prescrizionale decennale che sarebbe scaduto
in data successiva.
4.7. Alla luce di quanto sopra, l’ordine di
pagamento è illegittimo, per intervenuta
prescrizione del relativo credito, quanto
alle poste relative a oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria (€ 1,21
ed € 2,79) e a cd. “monetizzazione
parcheggi” (€ 14.991,43). La pretesa
comunale è invece tempestiva quanto al
credito per conguaglio del costo di
costruzione (€ 2.240,79).
4.8. La fondatezza della suesposta censura
in relazione alle poste per oneri di
urbanizzazione e monetizzazione determina
–previo assorbimento del secondo motivo di
ricorso, relativo al merito del calcolo
della monetizzazione– il parziale
accoglimento del ricorso
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.08.2020 n. 1561 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere inibitorio dell’amministrazione in
materia di D.I.A. è –per orientamento
costante della giurisprudenza- “estinguibile”, in quanto
sottoposto al termine di esercizio
perentorio di giorni 30 dalla presentazione
della denuncia, al pari dell’attività di
verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine,
l’attività edilizia potrà essere liberamente
iniziata non potendo l’amministrazione
intervenire sulla stessa tramite l’esercizio
di un potere inibitorio ormai esauritosi e
salvo restando il potere di autotutela, ma
soggetto a ben diversi presupposti.
---------------
3. Il riconoscimento dell’avvenuta denuncia
all’amministrazione dei suddetti cancelli ed
il consolidamento del suddetto titolo per
decorso del termine, comporta che
l’emanazione dell’ordine di demolizione
dovesse passare attraverso il ritiro in
autotutela del titolo edilizio formatosi.
Infatti il potere inibitorio
dell’amministrazione in materia di D.I.A. è
–per orientamento costante della
giurisprudenza- “estinguibile”, in quanto
sottoposto al termine di esercizio
perentorio di giorni 30 dalla presentazione
della denuncia, al pari dell’attività di
verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine,
l’attività edilizia potrà essere liberamente
iniziata non potendo l’amministrazione
intervenire sulla stessa tramite l’esercizio
di un potere inibitorio ormai esauritosi e
salvo restando il potere di autotutela, ma
soggetto a ben diversi presupposti (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 08.10.2009, n.
5200; TAR Veneto, Venezia, sez. II,
09.07.2009, n. 2137; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 17.06.2009, n. 4066; TAR Liguria,
22.01.2003, n. 113) (TAR Lombardia-Milano,
Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1278)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.07.2020 n. 1470 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: DIA
e misure di salvaguardia.
È noto che in presenza
di uno strumento urbanistico adottato (cioè
deliberato per la prima volta dal Consiglio
comunale) scattano le misure di salvaguardia
di cui all’articolo 12, comma 3, del Testo
Unico per l’edilizia approvato con d.P.R. n.
380/2001 (prima articolo unico della legge
03.11.1952, n. 1902), in forza delle quali
il Comune deve sospendere ogni
determinazione sulle domande di permesso di
costruire che siano in contrasto con lo
strumento urbanistico adottato.
Quanto ai titoli abilitativi ex lege, come
la DIA sulla base di cui è stato autorizzato
l’intervento edilizio in esame, si deve
ritenere che, ancorché l’articolo unico
della legge n. 1902 del 1952 parli di
sospensione della “licenza di costruzione”
(poi “concessione edilizia” e ora “permesso
di costruire”) e l’articolo 12, comma 3, del
d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, faccia
riferimento alla sospensione del “permesso
di costruire”, le misure di salvaguardia si
applichino anche alla denuncia di inizio
attività.
Qualora l’intervento denunciato sia in
contrasto con le previsioni di uno strumento
urbanistico adottato prima che siano
trascorsi i trenta giorni dalla
presentazione della D.I.A., è dunque
obbligatoria l’applicazione delle misure di
salvaguardia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.07.2020 n. 1389 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
1. Il presente giudizio attiene al calcolo
della cd. monetizzazione in relazione a un
intervento, meglio descritto in narrativa,
consistente nella demolizione totale degli
edifici esistenti e nella costruzione di
nuovi edifici su via ..., realizzato in
forza della DIA n. 688907/2011 e successive
varianti. L’intervento ha pacificamente
comportato un maggior peso urbanistico e
dunque maggiori oneri anche di
monetizzazione, per effetto dei cambi di
destinazione d’uso previsti.
1.1. Sulla base del Piano Regolatore
Generale allora vigente, gli oneri di
monetizzazione venivano calcolati (e
corrisposti) solo nella misura eccedente il
30% della superficie lorda di pavimento (SLP)
totale.
Come evidenziato in narrativa, tuttavia, già
all’epoca di presentazione della prima DIA
del 2011, era stato adottato un nuovo
strumento urbanistico (PGT che sarebbe poi
stato definitivamente approvato nel maggio
2012, senza modifiche, per quanto di rilievo
in questa sede), il quale prevedeva,
all’art. 9 del Piano dei Servizi, un
reperimento dello standard nella misura del
100% della SLP per gli interventi con cambio
di destinazione d’uso da funzioni urbane
produttive verso altre funzioni.
1.2. A seconda che si adotti il criterio di
calcolo del PRG precedente o del PGT
successivo, all’evidenza, l’importo dovuto
per monetizzazione differisce
sostanzialmente. Si tratta quindi di
stabilire se siano applicabili alla
fattispecie, come ritenuto dal Comune di
Milano, le misure di salvaguardia previste
dal Testo Unico per l’edilizia.
1.3. È noto che in presenza di uno strumento
urbanistico adottato (cioè deliberato per la
prima volta dal Consiglio comunale) scattano
le misure di salvaguardia di cui
all’articolo 12, comma 3, del Testo Unico
per l’edilizia approvato con d.P.R. n.
380/2001 (prima articolo unico della legge 03.11.1952, n. 1902), in forza delle
quali il Comune deve sospendere ogni
determinazione sulle domande di permesso di
costruire che siano in contrasto con lo
strumento urbanistico adottato.
Quanto ai titoli abilitativi ex lege, come
la DIA sulla base di cui è stato autorizzato
l’intervento edilizio in esame, si deve
ritenere che, ancorché l’articolo unico
della legge n. 1902 del 1952 parli di
sospensione della “licenza di costruzione”
(poi “concessione edilizia” e ora “permesso
di costruire”) e l’articolo 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, faccia
riferimento alla sospensione del “permesso
di costruire”, le misure di salvaguardia si
applichino anche alla denuncia di inizio
attività. Qualora l’intervento denunciato
sia in contrasto con le previsioni di uno
strumento urbanistico adottato prima che
siano trascorsi i trenta giorni dalla
presentazione della D.I.A., è dunque
obbligatoria l’applicazione delle misure di
salvaguardia (cfr., in tal senso, Cons.
Stato, Sez. IV, 20.01.2014, n. 257). |
EDILIZIA PRIVATA: Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività,
come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è
configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e
non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto
a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa
dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una
categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di
un privato.
Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri
inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può
esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare
l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi
dell'art. 31 cod. proc. amm..
---------------
5.1. Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività,
come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è
configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e
non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto
a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa
dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una
categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di
un privato. Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri
inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può
esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare
l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi
dell'art. 31 cod. proc. amm. (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV,
05/07/2017, n. 3281; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20/01/2020, n. 645; TAR
Campania, Napoli, sez. III, 01/04/2019, n. 1780).
Tale qualificazione, già ampiamente invalsa nel formante giurisprudenziale
esistente all’epoca in cui è stato introdotto il presente giudizio, è stata
normativamente confermata con la novella dell’art. 19, co. 6-ter, della L.
n. 241/1990.
A ciò consegue, dunque, l’inammissibilità delle censure ricorsuali che
investono le due D.I.A. in variante rilevanti nel presente giudizio e, per relationem, le opere con esse assentite. Tra di esse, in particolare, la
vasca idromassaggio, specificamente indicata nella D.I.A. prot. n. 43880 del
10/8/2009, sulla quale si appuntano gran parte delle doglianze sollevate da
parte ricorrente
(TAR
Basilicata,
sentenza 13.07.2020 n. 454 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Requisiti
minimi per la dia.
Le esigenze di protezione
dell’affidamento del privato, cui sono
finalizzati i principi garantistici dell’autotutela,
richiedono la sussistenza di alcuni
requisiti minimi, in assenza dei quali la
d.i.a. deve ritenersi inefficace, con
conseguente sottoposizione delle opere
realizzate –in quanto prive di titolo
abilitativo– agli ordinari poteri repressivi
dell’Amministrazione; detti requisiti sono
precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del
2001, che al comma 5 prevede, al fine di
comprovare il carattere non abusivo delle
opere realizzate, che gli interessati
debbano esibire non solo la domanda, ma
anche gli atti di assenso eventualmente
necessari.
Ne consegue che la realizzazione
mediante dia di un box in un ambito
sottoposto a vincolo, in assenza della
previa acquisizione dell’autorizzazione
paesaggistica, è da qualificarsi come
intervento realizzato sulla base di un
titolo non efficace, dando in tal modo vita
ad un intervento totalmente abusivo, cui
consegue la necessaria rimozione del
manufatto, come desumibile dall’art. 146,
comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo
il quale l’autorizzazione paesaggistica
costituisce atto autonomo e presupposto
rispetto al permesso di costruire o agli
altri titoli legittimanti l’intervento
urbanistico-edilizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.07.2020 n.
1303 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
MASSIMA
2. Con le prime tre doglianze proposte dalle
parti ricorrenti, da trattare
contestualmente in quanto strettamente e
logicamente connesse, si assume
l’illegittimità dei provvedimenti comunali
impugnati, poiché la d.i.a. in base alla
quale è stato realizzato, in maniera del
tutto conforme al titolo, il box sarebbe
assolutamente legittima, come sarebbe
dimostrato anche dalle plurime verifiche
effettuate dall’Ufficio tecnico comunale nel
corso del tempo e dalla circostanza che nel
termine previsto dalla normativa non sarebbe
stata effettuata alcuna attività di
autotutela nel rispetto dei presupposti
individuati dall’art. 21-nonies della legge
n. 241 del 1990, non potendo assumere
rilevanza, in senso contrario, il tardivo
sollecito dei poteri di controllo del Comune
da parte dei vicini controinteressati;
infine, non sarebbe giustificata la
circostanza assunta a fondamento degli atti
impugnati, in origine nemmeno presa in
considerazione dallo stesso tecnico
comunale, ovvero che l’autorimessa dei
ricorrenti rientri tra i beni di cui agli
art. 10-13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 o tra
quelli di cui all’art. 134 del medesimo
Decreto (rientrando nel perimetro del Parco
Agricolo Sud Milano).
2.1. Le doglianze sono infondate.
Va premesso che, in data 06.05.2019, in
esecuzione dell’ordinanza n. 428/2019, il
Comune di Lacchiarella ha depositato in
giudizio una Relazione attraverso la quale
ha segnalato la sussistenza di un vincolo
indiretto gravante sugli immobili limitrofi
alla Chiesa di San Martino ed imposto dal
P.G.T. entrato in vigore il 01.01.2013.
Nello specifico, nel paragrafo “3.4 Vincoli
gravanti sul territorio comunale”
dell’elaborato “Piano delle regole- RP.03-
Relazione”, si è evidenziato che, “per
effetto del DLgs 42/04 (codice Urbani),
oltre al territorio compreso nel Parco
regionale: - uno specifico vincolo di
rispetto della chiesa di San Martino è in
vigore per effetto dell’art. 10 e riguarda
le modalità di intervento negli isolati al
contorno della chiesa”.
L’art. 28.1
(“Immobili assoggettati a tutela”) delle
Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle
Regole prescrive che “sono assoggettati alla
tutela prevista dal decreto legislativo 22.01.2004, n. 42: - ai sensi degli artt.
10-13, gli immobili identificati nella tav.
DA. 02, nonché gli immobili di proprietà
pubblica nonché di ogni altro ente ed
istituto pubblico e di persone giuridiche
private senza fine di lucro, anche in
assenza della dichiarazione di sussistenza
di specifico interesse”.
La Tavola “DA. 02-
Vincoli gravanti sul territorio comunale”
inserisce i fondi di proprietà dei
ricorrenti Tr./Ta. (e delle
controinteressate Bo. e Ri.) tra gli
“Isolati interessati dal vincolo ex art. 136
del d.lgs. 42/2004”.
Anche la tavola “RP 01
bis Carta di sintesi dei contenuti del PGT”
inserisce le residenze dei ricorrenti e
delle controinteressate all’interno degli
isolati soggetti al vincolo ex art. 136 del
D.Lgs. n. 42 del 2004 (“Vincoli ambientali
e monumentali”).
Pertanto, si è al cospetto
di un vicolo diretto (assoluto) sulla Chiesa
di San Martino e indiretto (relativo) sugli
isolati posti nell’intorno, in cui è
collocata anche l’area di proprietà dei
ricorrenti su cui è stato realizzato il box
oggetto del presente contenzioso. Ne
discende che, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in presenza di un
intervento che altera lo stato dei luoghi
dei fondi interessati dal vincolo, si impone
il previo ottenimento dell’autorizzazione
paesaggistica.
2.2. Trattandosi di intervento effettuato
con d.i.a. n. 26/2013 del 15.04.2013, lo
stesso è assoggettato alla disciplina
urbanistica vigente a quella data e quindi
al richiamato P.G.T., entrato in vigore il
01.01.2013. È altrettanto pacifico tra
le parti di causa che nessuna autorizzazione
paesaggistica è stata richiesta e ottenuta
per la realizzazione del box.
Tuttavia, le parti ricorrenti ritengono che
la mancanza della predetta autorizzazione
non abbia alcuna conseguenza sulla validità
ed efficacia della d.i.a. n. 26/2013 (e
sulla successiva variante, n. 50/2013),
poiché lo stesso Tecnico comunale, all’atto
della presentazione del titolo edilizio, ne
aveva escluso la indispensabilità, e in ogni
caso sarebbe maturato un affidamento
legittimo in capo ai ricorrenti in ordine
alla regolarità dell’intervento edilizio
posto in essere, anche in relazione al lungo
lasso di tempo trascorso tra la sua
realizzazione e la conclusione dell’attività
sanzionatoria comunale, avvenuta nel mese di
febbraio 2019.
I predetti rilievi non appaiono persuasivi,
atteso che, come evidenziato da un
condivisibile orientamento
giurisprudenziale, le esigenze di protezione
dell’affidamento del privato, cui sono
finalizzati i principi garantistici dell’autotutela
richiedono la sussistenza di alcuni
requisiti minimi, in assenza dei quali la
d.i.a. deve ritenersi inefficace, con
conseguente sottoposizione delle opere
realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri
repressivi dell’Amministrazione. Detti
requisiti sono precisati nell’art. 23 del
D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione
temporis), che al comma 5 prevede, al fine
di comprovare il carattere non abusivo delle
opere realizzate, che gli interessati
debbano esibire non solo la domanda, ma
anche “gli atti di assenso eventualmente
necessari”.
La stessa previsione contenuta
nel comma 4 –in cui si prevede la
convocazione, da parte del Comune, di una
conferenza di servizi, quando non risulti
allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e
non ancora ottenuto, il “parere favorevole
del soggetto preposto alla tutela” del bene
(con inefficacia della stessa d.i.a. in caso
di esito non favorevole della conferenza)–
«non può non ritenersi ostativa
dell’efficacia della medesima DIA alla
scadenza del termine, in astratto previsto
per l’esecuzione delle opere oggetto della
domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22
del più volte citato d.P.R. n. 380/2001
subordina la realizzazione degli interventi
edilizi, per gli immobili vincolati, al
“preventivo rilascio del parere o
dell’autorizzazione richiesti dalle relative
previsioni normative” (con evidente
riferimento alla non decorrenza del termine,
previsto per l’inizio dei lavori, in assenza
di detti pareri o autorizzazioni)»
(Consiglio di Stato, VI, 20.11.2013,
n. 5513; altresì, IV, 11.10.2018, n.
5841; VI, 24.03.2014, n. 1413).
L’inefficacia della d.i.a. rende privi di un
idoneo titolo abilitativo i lavori di
realizzazione del box e quindi legittima
l’attività sanzionatoria posta in essere dal
Comune. La circostanza che nel provvedimento
di chiusura del procedimento impugnato sia
stata eccepita la “carenza di un requisito
di legittimità” e non sia invece stata
prospettata l’inefficacia della d.i.a. non
appare invalidante, atteso che comunque era
evidente e nettamente percepibile il
riferimento alla carenza dell’autorizzazione
paesaggistica (punto 1 del provvedimento);
del resto, la qualificazione del
provvedimento amministrativo deve essere
operata sulla base del suo effettivo
contenuto e degli effetti concretamente
prodotti, e non anche del nomen iuris
assegnatogli dall’Autorità emanante
(Consiglio di Stato, IV, 13.04.2017, n.
1718; TAR Lombardia, Milano, IV, 18.03.2019, n. 567).
Infine, non assume rilievo determinante, in
senso opposto, l’orientamento
giurisprudenziale segnalato dalle parti
ricorrenti, secondo il quale il titolo
edilizio privo dell’autorizzazione
paesaggistica è illegittimo e non inefficace
–laddove “il permesso di costruire è stato
rilasciato dal Comune sull’erroneo
convincimento della non necessità
dell’autorizzazione paesaggistica [lo
stesso] non è inefficace ma illegittimo,
perché rilasciato sul falso presupposto
dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e
riguarda pertanto una fattispecie in cui
l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio
che appariva oggettivamente idoneo a
legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II,
07.11.2018, n. 1033)– giacché tale
pronuncia ha ad oggetto un permesso di
costruire che è un atto amministrativo a
tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a
tutte le prescrizioni regolanti la validità
e l’efficacia degli atti amministrativi in
generale: è evidente che nell’adozione di un
provvedimento amministrativo il contenuto e
gli effetti dello stesso sono totalmente
riferibili all’Amministrazione procedente
anche laddove il procedimento sia avviato o
mediato da un’istanza del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un
atto soggettivamente e oggettivamente
privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della
legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale,
sentenza n. 45 del 13.03.2019; Consiglio
di Stato, II, 12.03.2020, n. 1795; TAR
Lombardia, Milano, II, 26.06.2020, n.
1205) che abilita all’esecuzione di
determinate categorie di interventi edilizi,
ferma restando però la necessaria
sussistenza di tutti gli altri presupposti
richiesti dalla normativa, soprattutto
quelli posti a presidio di interessi
particolarmente sensibili e rilevanti, in
carenza dei quali la denuncia non può
esplicare alcun effetto.
La natura privata
della d.i.a. genera una differenziazione del
trattamento giuridico della stessa rispetto
ad un atto amministrativo, qual è il
permesso di costruire –si veda la posizione
deteriore dei terzi lesi dall’intervento
effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a
quelli effettuati con il permesso di
costruire (cfr. Corte costituzionale,
sentenza n. 45 del 13.03.2019)–
da cui
necessariamente discende una parziale
divergenza di regime; in tal senso, vanno
richiamate le previsioni del Testo unico
dell’edilizia che hanno previsto per
l’interessato la facoltà di chiedere il
rilascio di permesso di costruire per la
realizzazione degli interventi effettuabili
con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa
di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa
al permesso di costruire (art. 23), in modo
da consentire al privato, a prescindere
dalla tipologia di intervento programmato,
di scegliersi un regime giuridico più
formalistico ma più garantito, oppure più
snello ma con maggiori oneri e
responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo,
come evidenziato in precedenza) in un ambito
sottoposto a vincolo, in assenza della
previa acquisizione dell’autorizzazione
paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto
sulla base di un titolo non efficace, dando
in tal modo vita ad un intervento totalmente
abusivo, cui consegue la necessaria
rimozione del manufatto, come desumibile
dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42
del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione
paesaggistica costituisce atto autonomo e
presupposto rispetto al permesso di
costruire o agli altri titoli legittimanti
l’intervento urbanistico-edilizio” (sulla
prevalenza della disciplina paesaggistica su
quella edilizia, cfr. Consiglio di Stato, IV,
08.07.2019, n. 4778; anche, TAR
Lombardia, Milano, II, 11.03.2020, n.
471; 21.01.2019, n. 118).
2.3. Ciò determina il rigetto delle
scrutinate censure. |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Inefficace la DIA (ora SCIA) in assenza dell'autorizzazione
paesaggistica.
Come evidenziato da un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, le esigenze di protezione
dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i
principi garantistici dell’autotutela, richiedono la
sussistenza di alcuni requisiti minimi in assenza dei quali
la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente
sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di
titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi
dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati
nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione
temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il
carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli
interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche
“gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa
previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la
convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di
servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene
richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del
soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia
della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della
conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia
della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto
previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda:
non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli
interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al
“preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione
richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente
riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per
l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o
autorizzazioni)».
Sicché, l’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo
abilitativo i lavori realizzati e, quindi,
legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal
Comune.
---------------
La qualificazione del provvedimento amministrativo deve
essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e
degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris
assegnatogli dall’Autorità emanante.
---------------
Non assume rilievo determinante, in senso opposto,
l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti
ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo
dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non
inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato
rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non
necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non
è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso
presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e
riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia
posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo
edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare
l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un
permesso di
costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti
ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti
la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in
generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento
amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono
totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche
laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza
del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un
atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19,
comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990) che abilita
all’esecuzione di determinate categorie di interventi
edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di
tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa,
soprattutto quelli posti a presidio di interessi
particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali
la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura
privata della d.i.a. genera una differenziazione del
trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto
amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la
posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento
effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli
effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui
necessariamente discende una parziale divergenza di regime;
in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico
dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la
facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per
la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a.
(art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a.
in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo
da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di
intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico
più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con
maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo) in un ambito sottoposto a
vincolo, in assenza della previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno
fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal
modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue
la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile
dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo
il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto
autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o
agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”.
---------------
2. Con le prime tre doglianze proposte dalle parti ricorrenti, da trattare
contestualmente in quanto strettamente e logicamente
connesse, si assume l’illegittimità dei provvedimenti
comunali impugnati, poiché la d.i.a. in base alla quale è
stato realizzato, in maniera del tutto conforme al titolo,
il box sarebbe assolutamente legittima, come sarebbe
dimostrato anche dalle plurime verifiche effettuate
dall’Ufficio tecnico comunale nel corso del tempo e dalla
circostanza che nel termine previsto dalla normativa non
sarebbe stata effettuata alcuna attività di autotutela nel
rispetto dei presupposti individuati dall’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, non potendo assumere rilevanza,
in senso contrario, il tardivo sollecito dei poteri di
controllo del Comune da parte dei vicini controinteressati;
infine, non sarebbe giustificata la circostanza assunta a
fondamento degli atti impugnati, in origine nemmeno presa in
considerazione dallo stesso tecnico comunale, ovvero che
l’autorimessa dei ricorrenti rientri tra i beni di cui agli
art. 10-13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 o tra quelli di cui
all’art. 134 del medesimo Decreto (rientrando nel perimetro
del Parco Agricolo Sud Milano).
2.1. Le doglianze sono infondate.
Va premesso che, in data 06.05.2019, in esecuzione
dell’ordinanza n. 428/2019, il Comune di Lacchiarella ha
depositato in giudizio una Relazione attraverso la quale ha
segnalato la sussistenza di un vincolo indiretto gravante
sugli immobili limitrofi alla Chiesa di San Martino ed
imposto dal P.G.T. entrato in vigore il 01.01.2013.
Nello specifico, nel paragrafo “3.4 Vincoli gravanti sul
territorio comunale” dell’elaborato “Piano delle regole- RP.03-
Relazione”, si è evidenziato che, “per effetto del DLgs
42/2004 (codice Urbani), oltre al territorio compreso nel
Parco regionale: - uno specifico vincolo di rispetto della
chiesa di San Martino è in vigore per effetto dell’art. 10 e
riguarda le modalità di intervento negli isolati al contorno
della chiesa”.
L’art. 28.1 (“Immobili assoggettati a
tutela”) delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle
Regole prescrive che “sono assoggettati alla tutela prevista
dal decreto legislativo 22.01.2004, n. 42: - ai sensi
degli artt. 10-13, gli immobili identificati nella tav. DA.
02, nonché gli immobili di proprietà pubblica nonché di ogni
altro ente ed istituto pubblico e di persone giuridiche
private senza fine di lucro, anche in assenza della
dichiarazione di sussistenza di specifico interesse”.
La
Tavola “DA. 02- Vincoli gravanti sul territorio comunale”
inserisce i fondi di proprietà dei ricorrenti Tr./Ta.
(e delle controinteressate Bo. e Ri.) tra gli “Isolati
interessati dal vincolo ex art. 136 del d.lgs. 42/2004”.
Anche la tavola “RP 01-bis Carta di sintesi dei contenuti
del PGT” inserisce le residenze dei ricorrenti e delle
controinteressate all’interno degli isolati soggetti al
vincolo ex art. 136 del D.Lgs. n. 42 del 2004 (“Vincoli
ambientali e monumentali”).
Pertanto, si è al cospetto di un
vicolo diretto (assoluto) sulla Chiesa di San Martino e
indiretto (relativo) sugli isolati posti nell’intorno, in
cui è collocata anche l’area di proprietà dei ricorrenti su
cui è stato realizzato il box oggetto del presente
contenzioso. Ne discende che, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in presenza di un intervento che altera
lo stato dei luoghi dei fondi interessati dal vincolo, si
impone il previo ottenimento dell’autorizzazione
paesaggistica.
2.2. Trattandosi di intervento effettuato con d.i.a. n.
26/2013 del 15.04.2013, lo stesso è assoggettato alla
disciplina urbanistica vigente a quella data e quindi al
richiamato P.G.T., entrato in vigore il 01.01.2013. È
altrettanto pacifico tra le parti di causa che nessuna
autorizzazione paesaggistica è stata richiesta e ottenuta
per la realizzazione del box.
Tuttavia, le parti ricorrenti ritengono che la mancanza
della predetta autorizzazione non abbia alcuna conseguenza
sulla validità ed efficacia della d.i.a. n. 26/2013 (e sulla
successiva variante, n. 50/2013), poiché lo stesso Tecnico
comunale, all’atto della presentazione del titolo edilizio,
ne aveva escluso la indispensabilità, e in ogni caso sarebbe
maturato un affidamento legittimo in capo ai ricorrenti in
ordine alla regolarità dell’intervento edilizio posto in
essere, anche in relazione al lungo lasso di tempo trascorso
tra la sua realizzazione e la conclusione dell’attività
sanzionatoria comunale, avvenuta nel mese di febbraio 2019.
I predetti rilievi non appaiono persuasivi, atteso che, come
evidenziato da un condivisibile orientamento
giurisprudenziale, le esigenze di protezione
dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i
principi garantistici dell’autotutela richiedono la
sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali
la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente
sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di
titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi
dell’Amministrazione. Detti requisiti sono precisati
nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione
temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il
carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli
interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche
“gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa
previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la
convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di
servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene
richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del
soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia
della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della
conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia
della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto
previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda:
non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli
interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al
“preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione
richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente
riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per
l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o
autorizzazioni)» (Consiglio di Stato, VI, 20.11.2013,
n. 5513; altresì, IV, 11.10.2018, n. 5841; VI, 24.03.2014, n. 1413).
L’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo
abilitativo i lavori di realizzazione del box e quindi
legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal
Comune. La circostanza che nel provvedimento di chiusura del
procedimento impugnato sia stata eccepita la “carenza di un
requisito di legittimità” e non sia invece stata prospettata
l’inefficacia della d.i.a. non appare invalidante, atteso
che comunque era evidente e nettamente percepibile il
riferimento alla carenza dell’autorizzazione paesaggistica
(punto 1 del provvedimento); del resto, la qualificazione
del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla
base del suo effettivo contenuto e degli effetti
concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris
assegnatogli dall’Autorità emanante (Consiglio di Stato, IV,
13.04.2017, n. 1718; TAR Lombardia, Milano, IV, 18.03.2019, n. 567).
Infine, non assume rilievo determinante, in senso opposto,
l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti
ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo
dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non
inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato
rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non
necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non
è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso
presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e
riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia
posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo
edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare
l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un
permesso di
costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti
ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti
la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in
generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento
amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono
totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche
laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza
del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un
atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19,
comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990; Corte
costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019; Consiglio
di Stato, II, 12.03.2020, n. 1795; TAR Lombardia,
Milano, II, 26.06.2020, n. 1205) che abilita
all’esecuzione di determinate categorie di interventi
edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di
tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa,
soprattutto quelli posti a presidio di interessi
particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali
la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura
privata della d.i.a. genera una differenziazione del
trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto
amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la
posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento
effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli
effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui
necessariamente discende una parziale divergenza di regime;
in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico
dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la
facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per
la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a.
(art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a.
in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo
da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di
intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico
più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con
maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo, come
evidenziato in precedenza) in un ambito sottoposto a
vincolo, in assenza della previa acquisizione
dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno
fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal
modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue
la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile
dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo
il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto
autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o
agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (sulla prevalenza della disciplina
paesaggistica su quella edilizia, cfr. Consiglio di Stato,
IV, 08.07.2019, n. 4778; anche, TAR Lombardia, Milano, II, 11.03.2020, n. 471; 21.01.2019, n. 118).
2.3. Ciò determina il rigetto delle scrutinate censure (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.07.2020 n. 1303 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Effetto
interruttivo del fallimento – Impugnazione della d.i.a. in materia edilizia.
---------------
●
Interruzione del giudizio – Fallimento dell’impresa - Art. 43, comma 3,
legge fallimentare – Effetto automatico del giudizio
●
Processo amministrativo – Termine per l’impugnazione – D.i.a. – Impugnazione
- Sessanta giorni dalla conoscenza del titolo abilitativo.
●
La previsione dell’art. 43, comma 3, della legge fallimentare comporta un
effetto interruttivo automatico del giudizio pendente in caso di fallimento
di una parte nel senso che l’interruzione non dipende più dalla
dichiarazione resa in giudizio dal difensore ma dalla conoscenza comunque
acquisita dal giudice in quel giudizio; inoltre, tale disciplina, in caso di
mancata costituzione del curatore fallimentare per la prosecuzione del
giudizio, non fa venire meno la necessità che la interruzione sia comunque
dichiarata nel corso del giudizio al fine di consentire la riassunzione nei
confronti del fallimento (1).
●
La Denuncia di inizio attività in materia edilizia doveva essere
contestata in giudizio da un terzo entro il termine di sessanta giorni dalla
conoscenza del titolo abilitativo, comunque formato a seguito della mancata
attività inibitoria del Comune, della sua lesività per il ricorrente in
relazione ai vizi lamentati (2).
---------------
(1) La Sezione ha
ricordato l’orientamento della Corte di Cassazione, per cui l’art. 43, comma
3, della legge fallimentare -nel testo introdotto dal d.lgs. 09.01.2006, n.
5, che stabilisce che l’apertura del fallimento determina l’interruzione
automatica del processo- va interpretato nel senso che, intervenuto il
fallimento, l’interruzione è sottratta all’ordinario regime dettato in
materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso che deve essere dichiarata dal
giudice non appena sia venuto a conoscenza dall’evento, ma non anche che la
parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti
del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata o meno
dichiarata (Cass. civ., sez. I, Ord., 01.03.2017, n. 5288).
La previsione dell’art. 43, comma 3, della legge fallimentare, infatti, nel
prevedere un effetto interruttivo automatico provocato dal fallimento sulla
lite pendente, ha inteso sottrarre alla discrezionalità della parte colpita
dall'evento interruttivo la rappresentazione dello stesso all'interno del
processo, mentre il decorso dei termini previsti dall’art. 305 c.p.c., ai
fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte
contrapposta a quella colpita dall'evento interruttivo, non solo la
conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di
quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale
constatazione da parte del giudice istruttore dell'avvenuta interruzione
automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta (Cass. civ., sez.
I, 11.04.2018, n. 9016).
Inoltre, è stato di recente anche affermato che la conoscenza del fallimento
di una parte che il procuratore di altra parte non colpita dall’evento
interruttivo abbia acquisito in un determinato giudizio non sia idonea a far
decorrere il termine per la riassunzione di altra causa, ancorché le parti
siano assistite, in entrambi i processi, dagli stessi procuratori (Cass. civ.,
sez. II, 16.12.2019, n. 33157).
(2) Come è noto gli orientamenti giurisprudenziali in materia di
impugnazione di titoli edilizi da parte del terzo tendono a contemperare le
esigenze di tutela dei terzi con il principio di certezza delle situazioni
giuridiche e quindi, sotto tale profilo, anche della posizione di chi abbia
ottenuto un titolo edilizio.
In base alla consolidata giurisprudenza, la “piena conoscenza”, ai
fini della decorrenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio
rilasciato a terzi viene individuata nel momento in cui i lavori hanno avuto
inizio nel caso si contesti in radice l’edificabilità dell’area, mentre per
le altre censure con la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati
progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori, che disveli in
modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale
non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica,
l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo (Cons.
Stato, Ad. Plen. 29.07.2011, n. 15; id.,
sez. VI, 16.09.2011, n. 5170; id.,
sez. V, 27.06.2012, n. 3777; id.,
sez. IV, 10.06.2014, n. 2959).
Tali affermazioni vengono contemperate con la tutela delle esigenze di
certezza dell’ordinamento, per cui il terzo non può essere considerato
libero di decidere ad esempio se e quando accedere agli atti. La
giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla luce dei principi
di effettività e satisfattività, ha, infatti, cercato un punto di equilibrio
tra la tutela del terzo alla luce dei menzionati principi e quello della
certezza degli atti amministrativi ritenendo equo fissare il dies a quo
del termine decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei
lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal paradigma legale.
Così, se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del completamento
dell’opera quando questi non sia in condizione, in un precedente stadio
d’avanzamento, di apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, se lo
stato di avanzamento dei lavori sia già tale da indurre il sospetto di una
possibile violazione della normativa urbanistica, il ricorrente ha l’onere
di documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, al fine di verificare
la sussistenza di un vizio del titolo ed inibire l’ulteriore attività
realizzativa. Non può, quindi, limitarsi ad attendere il completamento
dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso.
Nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo
esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del
provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei
lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento,
concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di
equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e
quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento
dall’altra.
Infatti, il principio di trasparenza, sostanzia e rende effettiva la tutela
del terzo attraverso il diritto alla piena conoscenza della documentazione
amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere
di attivare non appena abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che
l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia
sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non
conosciuto sufficientemente (Cons.
St., sez. IV, 21.01.2013, n. 322).
Quindi, se il termine di impugnazione inizia a decorrere in linea di
principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la
costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla
portata dell’intervento, al contempo, il principio di certezza delle
situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta che non
si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso di costruire edilizio
nell’incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole
misura, poiché, nelle more, il ritardo dell’impugnazione si risolverebbe in
un danno aggiuntivo connesso all’ulteriore avanzamento dei lavori che, ex
post, potrebbero essere dichiarati illegittimi (Cons. St., sez. IV,
28.10.2015, n. 4909).
Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede
giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio
ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato
l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di
detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o
colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza
delle situazioni giuridiche in contrasto con gli evidenziati principi
ordinamentali.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha, quindi, individuato una serie di
fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei
confronti dell’intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla
conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle
censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle
conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale
o comunque extraprocessuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli
motivi che possano legittimare l’interessato ad una impugnazione differita
dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori (Cons.
St., sez. VI, 18.07.2016, n. 3191).
In conclusione, la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del
termine per la impugnazione di un titolo edilizio viene individuata
nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva
essere edificato sull’area; laddove si contesti il quomodo (distanze,
consistenza ecc.) al completamento dei lavori o, in relazione al grado di
sviluppo degli stessi, nel momento in cui si renda comunque palese l’esatta
dimensione, consistenza, finalità, del manufatto in costruzione (Cons.
St., sez. II, 12.08.2019, n. 5664; id.,
sez. IV, 26.07.2018, n. 4583; id.
23.05.2018, n. 3075); mentre la vicinitas di un soggetto
rispetto all’area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere
sull’interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere
più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione
dei lavori e comunque chi intende contestare adeguatamente un titolo
edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale (Cons.
St., sez. II, 26.06.2019, n. 4390)
(Consiglio
di Stato, Sez. II,
sentenza 23.03.2020 n. 2011 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Circa l’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il
termine per l’impugnazione della d.i.a., non può che farsi riferimento ai
principi ormai consolidati in materia di impugnabilità dei titoli rilasciati
a terzi in materia edilizia. Non essendo infatti il terzo destinatario di
alcuna forma di comunicazione personale diretta, potrebbe non avere esatta
contezza dell’incidenza effettiva, nella propria posizione giuridica,
dell’eventuale non conformità dell’intervento autorizzato rispetto alla
disciplina urbanistica.
E’ pertanto necessario attendere, a seconda dei casi, o l'ultimazione dei
lavori o, quanto meno, il momento in cui il relativo avanzamento disvela
univocamente le specifiche caratteristiche strutturali, dimensionali e “logistiche”,
come rilevante nel caso di specie, dell’erigendo manufatto
---------------
14. Quanto all’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il
termine per l’impugnazione della d.i.a., non può che farsi riferimento ai
principi ormai consolidati in materia di impugnabilità dei titoli rilasciati
a terzi in materia edilizia. Non essendo infatti il terzo destinatario di
alcuna forma di comunicazione personale diretta, potrebbe non avere esatta
contezza dell’incidenza effettiva, nella propria posizione giuridica,
dell’eventuale non conformità dell’intervento autorizzato rispetto alla
disciplina urbanistica (cfr. sul punto ex multis Cons. Stato, sez. IV,
05.05.2017 n. 2063, nonché id., 25.05.2017, n. 2453).
E’ pertanto necessario attendere, a seconda dei casi, o l'ultimazione dei
lavori o, quanto meno, il momento in cui il relativo avanzamento disvela
univocamente le specifiche caratteristiche strutturali, dimensionali e “logistiche”,
come rilevante nel caso di specie, dell’erigendo manufatto (v. ancora Cons.
Stato, sez. IV, 23.05.2018, n. 3075)
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 23.03.2020 n. 2008 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A)
ai sensi dell'art. 37, ult. comma, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, “la
mancata denuncia di inizio dell'attività non comporta l'applicazione delle
sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i
presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle
sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di
conformità di cui all'articolo 36”.
B) secondo la costante giurisprudenza, “in presenza di
abusivismo edilizio, ai sensi degli artt. 22 e 37, comma 1, d.p.r. n.
380/2001 (T.U. Edilizia), l'applicabilità della sanzione pecuniaria è
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia
d'inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici
vigenti”.
C) pertanto, laddove manchino i presupposti per l'intervento, come,
per l'appunto, nel caso in cui l'opera sia stata posta in essere in
violazione del norme edilizie come è stato evidenziato dalla sentenza che
qui viene appellata e come è confermato dall’esame della documentazione
depositata (anche) nella sede di appello, è ammessa l'adozione
dell'ordinanza di demolizione.
---------------
8. – Quanto poi alle rimanenti censure (ri)proposte nei motivi di appello,
non resta che rammentare che:
A) ai sensi dell'art. 37, ult. comma, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, “la
mancata denuncia di inizio dell'attività non comporta l'applicazione delle
sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i
presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle
sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di
conformità di cui all'articolo 36”.
B) secondo la costante giurisprudenza, “in presenza di
abusivismo edilizio, ai sensi degli artt. 22 e 37, comma 1, d.p.r. n.
380/2001 (T.U. Edilizia), l'applicabilità della sanzione pecuniaria è
limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia
d'inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici
vigenti” (così Cons. Stato, Sez. VI, 24.05.2013 n. 2873);
C) pertanto, laddove manchino i presupposti per l'intervento, come,
per l'appunto, nel caso in cui l'opera sia stata posta in essere in
violazione del norme edilizie come è stato evidenziato dalla sentenza che
qui viene appellata e come è confermato dall’esame della documentazione
depositata (anche) nella sede di appello, è ammessa l'adozione
dell'ordinanza di demolizione.
Da ciò ne consegue che, sebbene l'intervento in esame possa dirsi sottoposto
a DIA, lo stesso, in ragione della descritta contrarietà alla normativa
comunale (per quanto si è sopra detto e quindi che l’opera in concreto
realizzata non può considerarsi organismo edilizio completamente interrato,
come invece il proprietario aveva rappresentato di voler realizzare
presentando la d.i.a iniziale e quella in variante e che la predetta opera è
stata costruita grazia ad un innalzamento del piano di campagna oltre i
limiti consentiti dall’art. 4, comma 3, punto 5, delle N.T.A. al vigente
P.R.G.), rientra nelle ipotesi eccezionali che, in considerazione della
gravità dell'illecito, giustificano l'adozione della massima sanzione della
demolizione, così derogando alla regola che prevede per tali casi
l'applicazione della sola sanzione pecuniaria
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 13.05.2019 n. 3110 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
anno 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 –il quale
prevede che “decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti (inibitori, ndr.) di cui al comma 3, primo
periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal
medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste
dall’art. 21-nonies”– deve essere interpretato
conformemente ai principi generali vigenti in materia di autotutela decisoria e, pertanto, quale fattispecie
normativa che estende ai titoli abilitativi privati, come la
DIA e la SCIA, il regime generale dell’annullamento
d’ufficio, beninteso incidente sugli effetti discendenti da
tali titoli e non sull’atto amministrativo da rimuovere, di
per sé inesistente.
Del resto, non si ravvisano alcun
fondamento normativo né ragioni dogmatiche che inducano a
ritenere i titoli abilitativi privati, a differenza dei
titoli abilitativi rilasciati dalla p.a., non soggetti al
potere di annullamento in autotutela, non potendosi
riconoscere all’affidamento riposto nella legittimità di una
DIA o di una SCIA una tutela maggiore di quella che
l’ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da
un titolo di fonte provvedimentale.
---------------
3.2 Ebbene, con una prima censura, parte ricorrente sostiene che la
DIA, avendo natura di atto privato volto a comunicare
l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente
ammessa dalla legge, non è assoggettabile al potere di
annullamento in autotutela, che riguarderebbe solo formali
provvedimenti amministrativi.
La doglianza non merita condivisione.
L’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 –il quale
prevede che “decorso il termine per l’adozione dei
provvedimenti (inibitori, ndr.) di cui al comma 3, primo
periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal
medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste
dall’art. 21-nonies”– deve essere interpretato
conformemente ai principi generali vigenti in materia di autotutela decisoria e, pertanto, quale fattispecie
normativa che estende ai titoli abilitativi privati, come la
DIA e la SCIA, il regime generale dell’annullamento
d’ufficio, beninteso incidente sugli effetti discendenti da
tali titoli e non sull’atto amministrativo da rimuovere, di
per sé inesistente.
Del resto, non si ravvisano alcun
fondamento normativo né ragioni dogmatiche che inducano a
ritenere i titoli abilitativi privati, a differenza dei
titoli abilitativi rilasciati dalla p.a., non soggetti al
potere di annullamento in autotutela, non potendosi
riconoscere all’affidamento riposto nella legittimità di una
DIA o di una SCIA una tutela maggiore di quella che
l’ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da
un titolo di fonte provvedimentale (cfr. TAR Puglia Bari,
Sez. II, 20.02.2017 n. 158) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il fattore tempo
preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n.
241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma
relazionale, riferita al complesso delle circostanze
rilevanti nella singola situazione di fatto.
E' sicuramente vero che il termine
ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi
funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica
privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati
anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della
legge n. 241/1990, il termine di 18 mesi va computato con
decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella
introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva,
comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già
previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit..
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento
di autotutela in questione è intervenuto (nel caso di
specie) abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi
dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il
termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile
in 10 anni con riferimento al termine ordinario di
prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di
legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità
temporali di intervento, non implica di per sé
l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone
all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento
di una motivazione rafforzata circa la persistente
concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio
in materia di autotutela in ambito edilizio, il fattore
tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della
legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non
parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle
circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un
considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo
edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di
ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal
legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di
annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto
“onera l’amministrazione del compito di valutare
motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere
concreto e attuale”.
---------------
4. Con una seconda articolata censura, la ricorrente
stigmatizza la tardività del provvedimento di autotutela,
intervenuto a distanza di 15 anni dal perfezionamento della
DIA e, quindi, oltre il termine di 18 mesi dall’entrata in
vigore della legge n. 124/2015, e comunque ben dopo il
termine ragionevole dall’adozione dell’atto, in violazione
della tempistica fissata dall’art. 21-nonies della legge n.
241/1990.
La censura, così come formulata, non convince.
L’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 così
recita (per la parte di odierno interesse): “Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell’adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici
(periodo introdotto dalla legge n. 124/2015, ndr.), inclusi
i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi
dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
Orbene, è sicuramente vero, in virtù di ormai consolidati
orientamenti, che il termine ridotto di 18 mesi si applica a
tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della
sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli
atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art.
21-nonies della legge n. 241/1990 (come quello di specie),
il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data
di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n.
124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività
del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria
versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. VI, 13.07.2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V,
19.01.2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.08.2016 n. 3762).
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento
di autotutela in questione è intervenuto abbondantemente
oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della
legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione
dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al
termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di
legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità
temporali di intervento, non implica di per sé
l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone
all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento
di una motivazione rafforzata circa la persistente
concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio
in materia di autotutela in ambito edilizio (sentenza n. 8
del 17.10.2017), perfettamente estensibile al caso di
specie, il fattore tempo preso in considerazione dall’art.
21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in
un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al
complesso delle circostanze rilevanti nella singola
situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia,
che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal
rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione
del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o
meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il
potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma
piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare
motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere
concreto e attuale” (nello stesso senso cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, n. 3462/2017 cit.).
In definitiva, proprio facendo tesoro del superiore
insegnamento, si deve concludere che la violazione della
tempistica di intervento prevista dalla disposizione
legislativa in commento non costituisce di per sé causa di
illegittimità del provvedimento di annullamento in
autotutela (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza ormai pacifica ha ritenuto che in presenza di aree assoggettate a
vincolo paesistico non può attribuirsi alcun rilievo
all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza
del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art.
23, comma 3, d.p.r. n. 380/2003 per cui “… correttamente
l’amministrazione comunale intimata ha posto a base del
provvedimento gli artt. 27 e 31 del testo unico
sull’edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, avendo fatto
riferimento, nel preambolo dell’atto, alla sussistenza, in
loco, di vincolo paesaggistico, ciò che, come è pacifico,
preclude la maturazione degli effetti abilitativi della
d.i.a. edilizia in mancanza della specifica, previa
autorizzazione paesaggistica …”.
Ed ancora “Gli interventi edilizi, come quello in esame,
eseguiti in zona vincolata, compresi quelli in parziale
difformità dal titolo abilitativo, sono considerati, in base
a quanto dispone l’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del
2001, variazioni essenziali, alle quali consegue sempre
l’applicazione della sanzione demolitoria di cui all’art. 31
del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Invero,
“… In ogni caso dirimente è la considerazione che in
presenza di zona vincolata si impone
la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica,
con la conseguenza che l’applicazione della sanzione demolitoria è in ogni caso doverosa ove non sia stata
ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica.
Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo
paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di
una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto
parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da
ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3,
T.U. Edilizia. A prescindere dal titolo edilizio ritenuto
più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio
in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che
rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in
assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi
dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (ovvero ai
sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001) deve essere
sanzionato”.
---------------
È evidente che rispetto alla recinzione in cemento
armato di cui alla citata DIA non vi era mai stata alcuna
autorizzazione paesaggistica e, quindi, la DIA
va considerata tam quam non esset.
Pertanto, a fronte di una DIA inefficace ai sensi dell’art.
23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, correttamente
l’Amministrazione comunale ha applicato con la gravata
ordinanza di demolizione il disposto dell’art. 31 d.p.r. n.
380/2001 con riferimento ad un’opera totalmente abusiva in
quanto priva di titolo abilitativo valido ed efficace.
---------------
Altresì,
«… Va sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a
vincolo, la denuncia di inizio attività in assenza
dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto effetti e le
opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al
pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo.
…”.
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA
non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del
d.p.r. n. 380/2001, con conseguente obbligo di ripristino
delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004,
non surrogabile con la pena pecuniaria. …
… Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri
poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che,
difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi
perfezionate.
L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto
avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato
perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci,
come correttamente accertato dal Comune.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione
rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti
argomentazioni dei ricorrenti che espressamente fanno
riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
Per costante giurisprudenza, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale
esito doveroso del procedimento di controllo attivato
(revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come
osservato da condivisa giurisprudenza, “non sono evocabili i
principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell’interessato,
non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non
sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti
proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
In simili casi, del resto, anche l’attuale
formulazione dell’art. 19 legge n. 241/1990, frutto di
recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al
comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano
altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e
alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali». ...».
Pertanto, in mancanza di autorizzazione paesaggistica la
stessa DIA non produce alcun effetto con conseguente obbligo
di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs
n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Come correttamente evidenziato dal Comune si tratta di opere
abusive in quanto realizzate in difformità rispetto alla
autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza.
Pertanto, ciò che è stato in concreto realizzato (muro in
c.a.) è privo della autorizzazione paesaggistica necessaria
ai sensi dell’art. 146 dlgs n. 42/2004, in mancanza della
quale la stessa DIA non produce alcun effetto,
ai sensi degli artt. 22 e 23 d.p.r. n. 380/2001, con
conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di
cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la
sanzione pecuniaria.
---------------
4.2.1. - Relativamente al primo motivo del ricorso introduttivo, va
evidenziato quanto segue.
Tutte le aree, oggetto della D.I.A del 17.07.2009, sono parte
di un percorso antico utilizzato per la transumanza.
Tali percorsi sono tutelati, oltre che con decreti
ministeriali del 15.06.1976, del 20.03.1980 e del 22.12.1983,
anche dalla più recente normativa di cui al dlgs n. 42/2004
e da varie norme regionali.
Per quel che qui rileva la Regione Puglia, con DGR n.
1748/2000 ha approvato il P.U.U.T, che ha inserito i
percorsi armentizi, appartenenti al demanio, tra i beni
culturali vincolati ai sensi della legge n. 1089/1939.
Tra l’altro la recinzione, oggetto dell’ordinanza di
demolizione impugnata, è tutta collocata in zona vincolata
in quanto ricade interamente nel tracciato del Regio
Tratturo Foggia-Ofanto, così come si evince dal
provvedimento della Regione Puglia di riorganizzazione
dell’assetto dei Tratturi e dalla planimetria allegata (cfr.
documenti nn. 6 e 7 depositati dal controinteressato Novelli
Antonio in data 30.04.2018, peraltro non specificamente
contestati da alcuna delle parti costituite).
Per cui la situazione sopra descritta (i.e. realizzazione di
opera permanente in cemento armato in zona vincolata) ha
determinato la legittima adozione dell’ordinanza di
demolizione e dei successivi provvedimenti comunali.
Alla luce di quanto sin qui esposto e dell’iter
procedimentale non è, pertanto, condivisibile l’affermazione
della società ricorrente secondo cui l’intervento de quo
sarebbe stato realizzato su un suolo di proprietà privata
non assoggettato ad alcun vincolo.
E’, infatti, certo che vi sia stata la realizzazione in area
vincolata di un intervento idoneo ad alterare l’aspetto del
territorio in contrasto con il parere espresso dall’Autorità
preposta alla tutela del vincolo e ciò di per sé legittima
l’emissione dell’ordinanza di demolizione oggetto di
impugnativa, non risultando fondata alcuna delle censure
formulate da parte ricorrente.
Sul punto la giurisprudenza ormai pacifica ha -come sopra
visto- ritenuto che in presenza di aree, assoggettate a
vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo
all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza
del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art.
23, comma 3, d.p.r. n. 380/2003 per cui “… correttamente
l’amministrazione comunale intimata ha posto a base del
provvedimento gli artt. 27 e 31 del testo unico
sull’edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, avendo fatto
riferimento, nel preambolo dell’atto, alla sussistenza, in
loco, di vincolo paesaggistico, ciò che, come è pacifico,
preclude la maturazione degli effetti abilitativi della
d.i.a. edilizia in mancanza della specifica, previa
autorizzazione paesaggistica …” (cfr. TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295).
Ed ancora “Gli interventi edilizi, come quello in esame,
eseguiti in zona vincolata, compresi quelli in parziale
difformità dal titolo abilitativo, sono considerati, in base
a quanto dispone l’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del
2001, variazioni essenziali, alle quali consegue sempre
l’applicazione della sanzione demolitoria di cui all’art. 31
del d.P.R. n. 380 del 2001” (Cons. Stato, Sez. VI,
27.12.2016, n. -OMISSIS-59).
Si richiama altresì TAR Campania, Napoli, Sez. III,
02.03.2018, n. 1352:
“… In ogni caso dirimente è la considerazione che in
presenza di zona vincolata -come nella specie- si impone
la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica,
con la conseguenza che l’applicazione della sanzione demolitoria è in ogni caso doverosa ove non sia stata
ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica.
Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo
paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di
una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto
parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da
ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3,
T.U. Edilizia. A prescindere dal titolo edilizio ritenuto
più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio
in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che
rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in
assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi
dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (ovvero ai
sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001) deve essere
sanzionato. (cfr. TAR Napoli, (Campania), sez. VI,
15/09/2016, n. 4319). …”.
Ne consegue che in applicazione del principio di diritto
affermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, il
motivo di gravame sub 1) va disatteso, a fronte di una DIA
(quella del 17.07.2009) avente espressamente ad oggetto la
realizzazione di una recinzione in cemento armato.
Per quanto detto si tratta di una DIA certamente inefficace
ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 (“Nel caso
dei vincoli e delle materie oggetto dell’esclusione di cui
al comma 1-bis, qualora l’immobile oggetto dell’intervento
sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in
via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il
termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal
rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia
favorevole, la denuncia è priva di effetti”) poiché in
difformità rispetto alla autorizzazione paesaggistica
rilasciata dalla Soprintendenza avente ad oggetto una
recinzione provvisoria con materiali facilmente asportabili
(rete metallica), come espressamente evidenziato nella nota
del 02.02.2016.
È quindi evidente che rispetto alla recinzione in cemento
armato di cui alla citata DIA non vi era mai stata alcuna
autorizzazione paesaggistica e quindi la DIA del 17.07.2009
va considerata tam quam non esset.
Va, inoltre, evidenziato che, diversamente da quanto
sostenuto da parte ricorrente, la DIA del 2009 non è stata
confermata nel 2011.
Infatti, la determina dirigenziale dell’11.01.2011 revoca la
precedente diffida del 02.09.2009 e l’ordinanza dirigenziale
di sospensione dei lavori del 09.09.2009, comunque precisando
che la recinzione sarebbe potuta essere realizzata con le
caratteristiche costruttive indicate nelle premesse, vale a
dire nei termini autorizzati dalla Soprintendenza con nota prot. n. -OMISSIS- del 29.07.2010 (recinzione provvisoria con
materiali facilmente asportabili).
Pertanto, a fronte di una DIA inefficace ai sensi dell’art.
23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, correttamente
l’Amministrazione comunale ha applicato con la gravata
ordinanza di demolizione il disposto dell’art. 31 d.p.r. n.
380/2001 con riferimento ad un’opera totalmente abusiva in
quanto priva di titolo abilitativo valido ed efficace.
...
Inoltre, come evidenziato da TAR Puglia, Bari, Sez. III,
09.03.2017, n. 223:
«… Va, infatti, sottolineato che “… Trattandosi di beni
soggetti a vincolo, la denuncia di inizio attività in
assenza dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto
effetti (cfr. TAR Venezia, Veneto, Sez. II, 24.07.2015,
n. 873; TAR Emilia Romagna, Bologna, 30.07.2014, n. 803;
TAR Lazio, Roma, Sez. I, 23.01.2013, n. 76; TAR
Campania, Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295) e le
opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al
pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo.
…” (TAR Marche, Sez. I, sent. n. 413 del 18.06.2016; cfr.
altresì TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. n. 1350 del
02.12.2016).
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA
non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del
d.p.r. n. 380/2001 (TAR Campania, Napoli, Sez. VI,
05.03.2012, n. 1111), con conseguente obbligo di ripristino
delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004,
non surrogabile con la pena pecuniaria (TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. 1350 del
02.12.2016). …
… Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri
poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che,
difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi
perfezionate (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 14.11.2016, n. 5248; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 10.01.2011, n. 35; Cassazione penale, Sez. III,
08.04.2010, n. 17973).
15. - L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto
avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato
perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci,
come correttamente accertato dal Comune.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione
rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti
argomentazioni dei ricorrenti che espressamente fanno
riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
15.1.- Per costante giurisprudenza a cui il Collegio presta
adesione, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale
esito doveroso del procedimento di controllo attivato
(revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come
osservato da condivisa giurisprudenza, “non sono evocabili i
principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da
ultimo, TAR Puglia, Bari, Sez. III, 06.02.2017, n.
96 e TAR Campania, Sez. IV, sent. n. 5726 del 13.12.2016 e sent. n. 5248 del 14.11.2016).
16. - In simili casi, del resto, anche l’attuale
formulazione dell’art. 19 legge n. 241/1990, frutto di
recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al
comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano
altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza
sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e
alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
...».
Pertanto, in mancanza di autorizzazione paesaggistica la
stessa DIA non produce alcun effetto con conseguente obbligo
di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs
n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Come correttamente evidenziato dal Comune di Cerignola si
tratta di opere abusive in quanto realizzate in difformità
rispetto alla autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza
(con note del 29.07.2010 e del 02.02.2016).
Pertanto, ciò che è stato in concreto realizzato (muro in
c.a.) è privo della autorizzazione paesaggistica necessaria
ai sensi dell’art. 146 dlgs n. 42/2004, in mancanza della
quale la stessa DIA del 17.07.2009 non produce alcun effetto,
ai sensi degli artt. 22 e 23 d.p.r. n. 380/2001, con
conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di
cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la
sanzione pecuniaria (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. II,
02.12.2016, n. 1350; cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VI,
05.03.2012, n. 1111).
Stante la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica
relativamente alle opere realizzate, deve quindi ritenersi
immune da censure il provvedimento di demolizione emesso
dall’Amministrazione comunale (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 19.07.2018 n. 1094 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In assenza di rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, la DIA non ha effetto e
l'intervento deve considerarsi eseguito in assenza di titolo
e l'Amministrazione -una volta constatato che l'intervento
realizzato riguarda un edificio sottoposto a vincolo
paesaggistico e che per lo stesso intervento non è stato
previamente rilasciato un provvedimento di autorizzazione
paesaggistica- non può fare altro che ordinare la rimessione in pristino.
Invero, l’art. 22, comma 6, del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, dispone che l'esecuzione di
lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque
subordinata, nonostante l'avvenuta presentazione di una
d.i.a., al preventivo rilascio del parere o
dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni
normative.
In presenza di zona vincolata si impone la
previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con
la conseguenza che l'applicazione della sanzione demolitoria
è, in ogni caso, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna
preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza
di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può
attribuirsi alcun rilievo all'inoltro di una previa D.I.A.
poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di
effetti ai sensi dell'art. 23, comma 3, T.U. Edilizia.
---------------
La censura è infondata.
La DIA presentata il 03.02.2007 pacificamente mancava
dell’autorizzazione necessaria per tutti gli interventi da
realizzarsi su immobili sottoposti a vincolo.
Infatti, in base alla espressa previsione dell’allora
vigente art. 22, comma 6, del d.p.r. 380 del 2001, “la
realizzazione degli interventi di cui ai commi 1, 2 e 3 che
riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o
paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo
rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle
relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di
tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al
decreto legislativo 29.10.1999, n. 490”.
Per tutti gli interventi realizzabili mediante DIA in base
all’art. 22 era quindi necessaria la previa autorizzazione
paesaggistica.
Ne deriva che in assenza di rilascio dell'autorizzazione
paesaggistica, la DIA non ha effetto e l'intervento deve
considerarsi eseguito in assenza di titolo e
l'Amministrazione -una volta constatato che l'intervento
realizzato riguarda un edificio sottoposto a vincolo
paesaggistico e che per lo stesso intervento non è stato
previamente rilasciato un provvedimento di autorizzazione
paesaggistica- non può fare altro che ordinare la rimessione in pristino (cfr. TAR Lombardia Milano Sez.
II, 29.07.2014, n. 2148, per cui l’art. 22, comma 6, del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, dispone che l'esecuzione di
lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque
subordinata, nonostante l'avvenuta presentazione di una
d.i.a., al preventivo rilascio del parere o
dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni
normative).
In presenza di zona vincolata si impone la
previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con
la conseguenza che l'applicazione della sanzione demolitoria
è, in ogni caso, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna
preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza
di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può
attribuirsi alcun rilievo all'inoltro di una previa D.I.A.
poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di
effetti ai sensi dell'art. 23, comma 3, T.U. Edilizia (TAR
Campania, Napoli, 02.03.2018, n. 1352).
L’art. 23 del d.p.r. 380 del 2001, inoltre, nel testo allora
vigente, ai commi 3 e 4 conteneva le seguenti disposizioni:
“Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto
ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega,
alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta
giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo
atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la
denuncia è priva di effetti.
Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad
un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione
comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto
alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente
ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi
degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 07.08.1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al
comma 1 decorre dall'esito della conferenza. In caso di
esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti”.
Nel caso di specie, è circostanza altrettanto pacifica che
l’immobile di via ... 19 sia sottoposto a vincolo
paesaggistico in base al D.M. del 26.04.1973; né può
rilevare la circostanza dedotta dalla difesa ricorrente, per
cui il vincolo richiedeva l’autorizzazione solo per “opere
che possano modificare l’aspetto esteriore della località”,
dovendo comunque essere applicata la disciplina dell’art.
146 del d.lgs. n. 42 del 2004, per cui “i proprietari,
possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree
oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo
157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli
138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero
sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano
paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi
modificazioni che rechino pregiudizio ai valori
paesaggistici oggetto di protezione. I proprietari,
possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati
al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o
all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni
i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati
della documentazione prevista, affinché ne sia accertata la
compatibilità paesaggistica e sia rilasciata
l'autorizzazione a realizzarli”.
Nel caso di specie, la ampiezza degli interventi, risultanti
dalla relazione tecnica allegata alla DIA presentata il 03.02.2007 (consistenti tra gli altri in mutamenti di
destinazione d’uso, frazionamento dell’immobile in 12 unità
immobiliari, nonché nuova intonacatura e nuovi infissi di
tutto l’edificio) comportavano necessariamente
l’autorizzazione paesaggistica. Infatti, pur prescindendo
dalla qualificazione dell’intervento edilizio, l’art. 149
del d.lgs. n. 42 del 2004, richiede, comunque,
l’autorizzazione paesaggistica anche nel caso di interventi
minori (di manutenzione ordinaria, straordinaria, di
consolidamento statico e di restauro conservativo) che
alterino “lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore
dell’edificio”.
La DIA presentata al Comune il 03.02.2007 non ha quindi
mai avuto alcun effetto in relazione alle allora vigenti
disposizioni degli articoli 22 e 23 del d.p.r. n. 380 del
2001 e dell’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004..
La mancanza della autorizzazione paesaggistica non può
essere neppure stata sanata dalla successiva autorizzazione
paesaggistica in sanatoria del 07.04.2011, che riguarda
solo l’abbaino e i comignoli della copertura del tetto, che
erano estranei alla DIA del 2007, essendo compresi nella DIA
in variante presentata il 09.07.2008 (oggetto del
provvedimento di demolizione del 12.09.2008).
Il titolo edilizio del 2007 non si è dunque mai formato (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 12.06.2018 n. 6567 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il titolo edilizio si perfeziona
indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di
urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art.
42, comma 3, della l.r. n. 12/2005 (“la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva
la facoltà di rateizzazione”).
Del resto l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede
l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata
all’entità del contributo in caso di mancato pagamento e per
il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi
mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento
al permesso di costruire).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44,
comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [“L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori
stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della
denuncia di inizio attività”]–, altresì dalla giurisprudenza
maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare
l’affidamento della parte istante è quello della
presentazione della denuncia, che coincide con il momento
perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in
cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al
cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va
applicata la disciplina legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione.
---------------
Conseguenza di quanto evidenziato in precedenza è
l’inapplicabilità alla denuncia di inizio attività della
normativa sopravvenuta alla sua presentazione, anche in
relazione agli aggiornamenti delle tariffe riguardanti gli
oneri, trattandosi di una modalità abilitativa alla
realizzazione dell’intervento edilizio la cui disciplina
risulta impermeabile ai mutamenti normativi successivi.
---------------
2.2. Pertanto, va stabilito se il mancato tempestivo
versamento degli oneri e dei contributi di urbanizzazione
abbia impedito il perfezionamento del titolo edilizio e se
in sede di riscossione degli oneri avrebbe dovuto essere
applicata la normativa vigente in quel momento oppure quella
in vigore all’atto di presentazione del titolo.
In primo luogo va evidenziato che il titolo edilizio si
perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli
oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore
dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005
(“la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è
corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva
la facoltà di rateizzazione”).
Del resto l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede
l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata
all’entità del contributo in caso di mancato pagamento e per
il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi
mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento
al permesso di costruire, cfr. TAR Lombardia, Milano, II,
14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44,
comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [“L’ammontare
dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori
stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della
denuncia di inizio attività”]–, altresì dalla
giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su
cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello
della presentazione della denuncia, che coincide con il
momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in
quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi
al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o
implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va
applicata la disciplina legislativa vigente al momento della
presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione
(cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.05.2013, n. 2593;
04.09.2012, n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 04.03.2016,
n. 434; 16.06.2014, n. 1578).
Conseguenza di quanto evidenziato in precedenza è
l’inapplicabilità alla denuncia di inizio attività della
normativa sopravvenuta alla sua presentazione, anche in
relazione agli aggiornamenti delle tariffe riguardanti gli
oneri, trattandosi di una modalità abilitativa alla
realizzazione dell’intervento edilizio la cui disciplina
risulta impermeabile ai mutamenti normativi successivi (cfr.
Consiglio di Stato, IV, 13.052013, n. 2593).
Nella fattispecie oggetto del presente contenzioso, la
d.i.a. presentata dalla ricorrente in data 03.11.2005, in
quanto completa di tutti gli elementi costitutivi, risulta
certamente efficace e, di conseguenza, in aderenza ai sopra
citati orientamenti giurisprudenziali non può essere
assoggettata al regime tariffario –più oneroso– introdotto
con la sopravvenuta deliberazione consiliare n. 2 del
25.01.2006 (all. 3 del Comune).
Pertanto, ferma restando la possibilità per gli Uffici
comunali di applicare nel termine prescrizionale le
pertinenti sanzioni per l’omesso o ritardato pagamento di
cui all’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001, nessun
aggiornamento tariffario, rispetto alla disciplina in vigore
alla data del 03.11.2005, poteva essere imposto alla
società ricorrente.
2.3. Va, da ultimo, chiarito che il precedente
giurisprudenziale citato dalla difesa del Comune –TAR Lazio,
Roma, II-bis, 20.12.2017, n. 12542– oltre a non essere in
linea con l’orientamento, in precedenza richiamato, che
appare assolutamente maggioritario, si riferisce ad una
dichiarazione di inefficacia della d.i.a., mentre nella
questione oggetto di scrutinio è stato chiesto soltanto il
pagamento del contributo di costruzione in misura maggiore
rispetto a quanto calcolato dalla parte istante, sul
presupposto implicito della perdurante efficacia della
d.i.a. (i cui lavori peraltro sono stati conclusi, con
l’ottenimento dell’agibilità: all. 14 e 15 al ricorso),
seppure a posteriori contraddittoriamente negato (cfr. nota
del 13.12.2007, punto 3: all. 2 del Comune).
2.4. In conclusione, deve essere affermata la fondatezza
della scrutinata censura (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.03.2018 n. 730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il fatto che un intervento possa essere assentito
(in astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non
comporta l’automatica ed esclusiva applicazione della sola
sanzione pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità
dalla denuncia.
Infatti, il Comune deve accertare in concreto se
l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla
normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la
disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa
espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli
articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne
ricorrano i presupposti in relazione all’intervento
realizzato.
La condizione imprescindibile per rendere operative
le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto
dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso
di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art.
22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono
realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli
interventi non riconducibili all'elenco di cui all'art. 10 e
all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Sotto diverso profilo, è appena il caso di osservare che, in materia
urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di
quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo
ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera
principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato
comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico.
Appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati
tecnici depositati in atti, che la piscina abusivamente
realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x
4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20
metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di
volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi.
---------------
Il ricorrente censura il provvedimento del Responsabile dell’area
tecnica in data 22/01/2009, recante l’intimazione a demolire
l’opera edilizia abusiva (piscina) e a ripristinare lo stato
dei luoghi.
1. Il terzo motivo è privo di pregio giuridico.
1.1 Il fatto che un intervento possa essere assentito (in
astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non comporta
l’automatica ed esclusiva applicazione della sola sanzione
pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità dalla
denuncia. Infatti, il Comune deve accertare in concreto se
l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla
normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la
disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa
espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli
articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne
ricorrano i presupposti in relazione all’intervento
realizzato (TAR Puglia Bari, sez. II – 02/12/2016 n.
1350).
La condizione imprescindibile per rendere operative
le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto
dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso
di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art.
22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono realizzabili
mediante denuncia di inizio attività gli interventi non
riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e
all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
1.2 Sotto diverso profilo (a confutazione di quanto asserito
da parte ricorrente nella memoria difensiva prodotta il
10/10/2016), è appena il caso di osservare che, in materia
urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di
quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo
ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera
principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad
un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere
anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato
comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da
evitare il c.d. carico urbanistico (TAR Campania Napoli,
sez. III – 14/09/2017 n. 4374; C.G.A. Sicilia – 26/09/2017 n.
805; TAR Sicilia Palermo, sez. II – 20/03/2017 n. 750);
appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati
tecnici depositati in atti, che la struttura abusivamente
realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x
4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20
metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di
volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 13.12.2017 n. 1443 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E’ inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a.,
atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata.
L’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990, n.
241, aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del
decreto-legge 13.08.2011, n. 138, stabilisce che “la
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Secondo l’orientamento della Sezione:
a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca
anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto
inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a.,
atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata;
b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a
quella dell’atto impugnato;
c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita
dal citato art. 19, co. 6-ter;
d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la
conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria
del 29.07.2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura
privatistica della d.i.a.);
e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado,
la signora Ri., oltre a impugnare direttamente la d.i.a.,
abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del
comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non
rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6-ter, dal
quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a
una specifica diffida del confinante, deriva solo la
possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in
vista della nomina di un commissario che prenda in esame la
diffida e provveda su di essa.
---------------
15. Così detto, in parte, del primo motivo dell’appello,
appare più liquido -secondo le coordinate interpretative
dettate dall’Adunanza plenaria 27.04.2015, n. 5- il secondo
motivo di censura incentrato sull’inammissibilità
dell’impugnativa diretta della d.i.a. del 2009 da parte
della signora Ri..
15.1. Il Tar non ha valutato l’eccezione in quanto ha
erroneamente ritenuto che la caducazione dei due permessi di
costruire si ripercuotesse inevitabilmente pure sulla d.i.a.
In questo non può essere seguito perché, come detto prima,
la d.i.a. è l’unico titolo edilizio efficace e oggetto del
giudizio.
15.2. Il motivo è fondato.
15.3. L’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241,
aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge
13.08.2011, n. 138, stabilisce che “la segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
15.4. Secondo l’orientamento della Sezione (28.04.2017, n.
1967; 09.05.2017, n. 2120; 05.07.2017, n. 3281):
a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca
anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto
inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a.,
atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata
(cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19.09.2008, n. 4513; sez. IV,
12.03.2009, n. 1474; sez. IV, 13.05.2010, n. 2919);
b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a
quella dell’atto impugnato;
c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita
dal citato art. 19, co. 6-ter;
d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la
conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria
del 29.07.2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura
privatistica della d.i.a.), richiamata dalla parte appellata
nella memoria del 28 luglio scorso;
e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado,
la signora Ri., oltre a impugnare direttamente la d.i.a.,
abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del
comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non
rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6-ter, dal
quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a
una specifica diffida del confinante, deriva solo la
possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in
vista della nomina di un commissario che prenda in esame la
diffida e provveda su di essa (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 06.10.2017 n. 4659 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Questa Corte ha
in passato, per un verso, ritenuto che fosse soggetta
a permesso di costruire l'esecuzione di interventi
finalizzati a realizzare un piazzale mediante livellamento
del terreno, in quanto tale attività avesse determinato una
modificazione permanente dello stato materiale e della
conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso
da quello che gli era proprio e, per altro verso, che
la realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del
previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto
nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio.
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il
descritto intervento edilizio alla nozione di
"ristrutturazione edilizia" deve, altresì, escludersi che il
medesimo potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a
fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario
necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire;
sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia
correttamente configurato, nel caso di specie, la
contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c),
del d.P.R. n. 380 del 2001.
Va, infatti, ribadito che in tema di violazioni
urbanistico-edilizie, la responsabilità per abuso edilizio
del committente, del titolare del permesso di
costruire, del direttore dei lavori e del
costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del
d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di
intervento realizzato direttamente in base ad una D.I.A.
illegittima.
---------------
La legittimità di una procedura di rilascio di un titolo
abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano
indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto
l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente
al giudice penale verificare se siano state effettivamente
rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di
assentire un determinato intervento edilizio.
---------------
Gli interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non
sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una
denuncia di inizio attività alternativa al permesso di
costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001,
mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai
sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere
richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati
in assenza o in difformità della denuncia di inizio
attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R.
citato- ma richiedono la procedura di accertamento di
conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36
del citato decreto.
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi
già realizzati possano essere successivamente assentiti
soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del
più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni
originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si
proceda ad una valutazione di doppia conformità agli
strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito
della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato
accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
---------------
E' illegittimo e non determina l'estinzione del reato
edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e
45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso
di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di
specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto
abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici,
in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con
la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta
esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza
alla disciplina urbanistica.
---------------
1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Osserva, in primo luogo, il Collegio come la Corte
territoriale abbia adeguatamente dato conto del fatto che le
opere realizzate -consistenti in una pavimentazione eseguita
previa spianatura del terreno esistente e con posa in opera
di erborelle amovibili, in un'area dell'ampiezza di 700
metri quadri, parzialmente destinata a viabilità secondo la
variante al P.R.G., in due muri divisori di metri 5,90 per
1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60 per 0,30 metri,
nonché in un muro di cinta in calcestruzzo delle dimensioni
di metri 56,80 per 2,20 per 0,30- avessero
significativamente inciso sull'assetto urbanistico della
zona de qua attraverso una trasformazione permanente del
suolo; e che, come tali, esse fossero qualificabili come "nuova
costruzione", tanto da richiedere il preventivo rilascio
di un permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1,
del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sul punto, il ricorso introduttivo argomenta nel senso che
l'intervento dovesse essere qualificato come "ristrutturazione
edilizia", realizzata a servizio del fabbricato. E da
tale qualificazione sarebbe derivato che le opere avrebbero
potuto essere assentite con permesso di costruire ai sensi
dell'art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001
ovvero con la D.I.A. sostitutiva o Super-D.I.A. che ai sensi
dell'art. 22, comma 3, lett. a), del predetto decreto, nella
versione all'epoca vigente, poteva essere adottata, in luogo
del permesso di costruire, proprio in relazione agli
"interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10,
comma 1, lettera c)".
2.1. La tesi difensiva è, però, manifestamente infondata.
In primo luogo è opportuno osservare che la stessa D.I.A.
presentata dalle due imputate aveva qualificato l'intervento
edificatorio non come "ristrutturazione edilizia",
quanto piuttosto come "manutenzione straordinaria";
ciò a riprova del fatto che la denominazione prospettata in
ricorso configuri, all'evidenza, un tentativo di
giustificare ex post il ricorso allo strumento della
D.I.A. in luogo del permesso di costruire. Tanto è vero che
la sentenza di secondo grado non si è in alcun modo
confrontata, sia pure criticamente, con tale tesi, mai
avanzata nel corso del giudizio di appello.
Al di là di tale osservazione preliminare, rileva il
Collegio che la illegittimità della D.I.A. presentata dalle
ricorrenti fosse stata correttamente riscontrata dai giudici
di appello sulla base di una serie di concreti elementi, che
le argomentazioni critiche sviluppate nel ricorso
introduttivo non sono riuscite a confutare.
Secondo la previsione dell'art. 10, comma 1, del d.P.R. n.
380 del 2001, infatti, costituiscono interventi di
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono
subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di
nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia
che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei
prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino
mutamenti della destinazione d'uso. E secondo l'art. 3,
comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. sono qualificati come
"interventi di ristrutturazione edilizia", gli
interventi "rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le
sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica".
In questa prospettiva, deve risolutamente escludersi che
l'intervento edilizio contestato a Ma. e Ti. Di Re. potesse
essere qualificato come "ristrutturazione edilizia".
Secondo quanto, infatti, emerso in sede istruttoria, in
luogo dell'originaria corte costituente pertinenza del
fabbricato circostante, era stata realizzata, mediante
livellamento e successiva pavimentazione, una vasta area
destinata a parcheggio, con l'erezione di due muri divisori
di metri 5,90 per 1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60
per 0,30 metri, nonché di un muro di cinta in calcestruzzo
delle dimensioni di metri 56,80 per 2,20 per 0,30.
Un intervento complessivo, quello appena descritto,
pacificamente riconducibile, secondo la consolidata
interpretazione della giurisprudenza di legittimità, alla
nozione di "nuova costruzione", secondo quanto
ricavabile dal combinato disposto dell'art. 3, comma 1,
lett. d) ed e), del citato d.P.R., avuto riguardo alla
significativa incidenza delle opere sull'assetto urbanistico
del territorio, riscontrata dai giudici di appello anche
alla stregua della documentazione fotografica in atti.
In passato, del resto, questa Corte ha, per un verso,
ritenuto che fosse soggetta a permesso di costruire
l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un
piazzale mediante livellamento del terreno, in quanto tale
attività avesse determinato una modificazione permanente
dello stato materiale e della conformazione del suolo per
adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli era
proprio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 12/01/2017,
Palma, Rv. 268847) e, per altro verso, che la
realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del
previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui,
avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area
relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto
nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio (Sez.
3, n. 52040 del 11/11/2014, dep. 15/12/2014, Langella e
altro, Rv. 261521).
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il
descritto intervento edilizio alla nozione di "ristrutturazione
edilizia" deve, altresì, escludersi che il medesimo
potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a
fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario
necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire;
sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia
correttamente configurato, nel caso di specie, la
contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c),
del d.P.R. n. 380 del 2001. Va, infatti, ribadito che in
tema di violazioni urbanistico-edilizie, la responsabilità
per abuso edilizio del committente, del titolare del
permesso di costruire, del direttore dei lavori e del
costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n.
380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di intervento
realizzato direttamente in base ad una D.I.A. illegittima (Sez.
3, n. 10106 del 21/01/2016, dep. 11/03/2016, Torzini, Rv.
266291).
2.2. Né potrebbe argomentarsi, in contrario, seguendo il
percorso ricostruttivo svolto dalle ricorrenti che la
legittimità del ricorso alla D.I.A. possa ritenersi
dimostrata dal fatto che il comune di Chieri aveva assentito
la presentazione della D.I.A. in sanatoria, ancorché
subordinatamente al rilascio del menzionato atto d'obbligo.
In proposito, è appena il caso di rilevare che la
legittimità di una procedura di rilascio di un titolo
abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano
indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto
l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente
al giudice penale verificare se siano state effettivamente
rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di
assentire un determinato intervento edilizio.
3. Parimenti infondato è, poi, il secondo profilo di
doglianza, con il quale le ricorrenti deducono che in
ogni caso l'approvazione della D.I.A. in sanatoria avrebbe
realizzato sostanzialmente un accertamento di conformità.
Secondo quanto può ricavarsi dalla lettura della sentenza e
dai motivi di ricorso, infatti, Ma. e Ti. Di Re. avevano
presentato una D.I.A. in sanatoria secondo la procedura
stabilita dall'art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma
del quale "la realizzazione di interventi edilizi di cui
all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in
difformità dalla denuncia di inizio attività" consente
al responsabile dell'abuso o al proprietario dell'immobile
di "ottenere la sanatoria dell'intervento versando la
somma, non superiore a 5164 euro e non inferiore a 516 euro
stabilita dal responsabile del procedimento in relazione
all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia
del territorio", sempre che l'intervento realizzato
risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia
vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento,
sia al momento della presentazione della domanda (comma 4).
Tale disciplina, invero, si presenta del tutto distinta da
quella dettata dall'art. 36 dello stesso decreto, a mente
del quale "in caso di interventi realizzati in assenza di
permesso di costruire, o in difformità da esso ovvero in
assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui
all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla
scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33,
comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle
sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o
l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla
disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento
della realizzazione dello stesso, sia al momento della
presentazione della domanda" (comma 1).
Permesso in sanatoria il cui rilascio "è subordinato al
pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di
costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a
norma di legge, in misura pari a quella prevista
dall'articolo 16".
Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale
difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla
parte di opera difforme dal permesso (comma 2). Sulla
richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia
con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i
quali la richiesta si intende rifiutata (comma 3).
Ed anzi, secondo il consolidato orientamento di questa
Corte, cui deve essere data assoluta continuità, gli
interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non
sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una
denuncia di inizio attività alternativa al permesso di
costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001,
mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai
sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere
richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati
in assenza o in difformità della denuncia di inizio
attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R.
citato- ma richiedono la procedura di accertamento di
conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36
del citato decreto (Sez. 3, n. 41425 del 29/09/2011, dep.
14/11/2011, Eramo, Rv. 251327; Sez. 3, n. 28048 del
19/05/2009, dep. 09/07/2009, Barbarossa, Rv. 244580; Sez. 3,
n. 9894 del 20/01/2009, dep. 05/03/2009, Tarallo, Rv.
243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, dep. 20/12/2006,
Cariello, Rv. 235413).
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi
già realizzati possano essere successivamente assentiti
soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in
sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del
più pregnante controllo richiesto alla pubblica
amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni
originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si
proceda ad una valutazione di doppia conformità agli
strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito
della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato
accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
Sotto altro profilo, deve altresì osservarsi, con
riferimento all'atto d'obbligo sottoscritto dalla legale
rappresentante della società committente, il quale, secondo
le ricorrenti avrebbe concorso al perfezionamento della
fattispecie sanante, che anche con riferimento tale aspetto
il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte
ritiene che sia illegittimo e non determini l'estinzione del
reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt.
36 e 45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un
permesso di costruire in sanatoria condizionato
all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a
ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità
agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione
contrasta ontologicamente con la ratio della
sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle
opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina
urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, dep.
29/12/2015, Carratù e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 19587
del 27/04/2011, dep. 18/05/2011, Montini e altro, Rv.
250477; Sez. 3, n. 291 del 26/11/2003, dep. 09/01/2004, P.M.
in proc. Fannmiano, Rv. 226871).
Ne consegue la mancata integrazione della fattispecie
sanante, anche a prescindere dal fatto che l'intervento
edilizio incidesse su un'area parzialmente destinata a
tratti di viabilità e che, per tale motivo, le opere
realizzate si ponessero in conflitto con la disciplina della
relativa macrozona del Piano di edilizia economica popolare;
ciò che avrebbe, comunque, impedito, anche sotto tale
concorrente profilo, l'accertamento di conformità,
richiedendo l'art. 36 del d.P.R. citato la piena conformità
alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al
momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento
della presentazione della domanda (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 21.09.2017 n. 43155). |
EDILIZIA PRIVATA:
La dichiarazione di inizio attività (segnalazione
certificata di inizio attività) costituisce un atto
soggettivamente e oggettivamente privato con cui
l'interessato esercita la sua legittimazione ex lege
all'esercizio di attività liberalizzate.
Tale strumento di semplificazione dei rapporti tra cittadino
e PP.AA. può essere utilizzato anche ai fini del mutamento
di destinazione d’uso degli immobili, ove ricorrano talune
condizioni: “il mutamento di destinazione d'uso è
assoggettato solo a Dia (ora Scia), purché però intervenga
nell'ambito della stessa categoria urbanistica.
Di recente, anche il Consiglio di Stato ha affermato che “Se
è vero che un mutamento di destinazione d’uso è sempre
consentito, a condizione che, prima e dopo il mutamento, si
rimanga all’interno della stessa categoria funzionale,
ulteriormente coordinando sul piano ermeneutico la portata
dei segmenti dispositivi degli artt. 22 e 23-ter D.P.R. n.
380/2001 (T.U. Edilizia) si giunge alla conclusione che,
purché si rimanga nella stessa categoria funzionale, è
possibile il cambio di destinazione d’uso attraverso una
SCIA”.
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...
per l'annullamento della nota prot. 22195 del 09.08.2016 con la quale è
stata comunicata l'inefficacia della SCIA inerente il cambio
di destinazione d'uso da “artigianale” a “commerciale”,
senza esecuzione di opere, dell'immobile sito a Scicli in C.da C..., da destinare a MSV (Media Struttura di
Vendita) assieme al contiguo locale commerciale;
...
Il ricorrente Lo.An. espone di aver presentato in data
03.05.2016 al Comune di Scicli una segnalazione
certificata di inizio attività (SCIA) con la quale segnalava
l’avvio del cambio di destinazione d’uso -da “artigianale”
a “commerciale”- senza realizzazione di opere, di un
immobile sito in Scicli, C.da ..., da destinare a
Media Struttura di Vendita.
Dopo il completamento dei lavori, con nota del 09.08.2016
(comunicata all’interessato il successivo giorno 16 agosto),
lo Sportello unico per le attività produttive del Comune di
Scicli ha rilevato che l’intervento proposto non sarebbe
ammissibile dal punto di vista della conformità urbanistica,
in quanto la destinazione d’uso “commerciale” richiesta confligge con la condizione riportata nella concessione
edilizia in sanatoria n. 79/S022182 N del 21/06/2002
rilasciata per l’immobile in questione, che imponeva il
mantenimento della destinazione d’uso specificata nel
progetto allegato.
In conclusione, l’amministrazione comunale ha ritenuto che
la SCIA non abbia prodotto effetti abilitativi e che la
destinazione dell’immobile è da intendersi “artigianale”.
...
Il Collegio ritiene di dover confermare la valutazione di
fondatezza del ricorso già resa, sulla scorta di un primo
esame, nella fase cautelare del giudizio.
In particolare,
risulta in via documentale che la nota adottata dal SUAP del
Comune di Scicli in data 09.08.2016 -della cui natura provvedimentale deve peraltro dubitarsi, alla luce del fatto
che essa contiene l’invito rivolto al destinatario a
presentare osservazioni/controdeduzioni, e fissa altresì un
termine di conclusione del procedimento decorrente dalla
data di notifica della nota stessa; anche se poi,
contraddittoriamente, dichiara impugnabile il
“provvedimento” innanzi al Tar- sia intervenuta oltre 90
giorni dalla presentazione della SCIA effettuata dal
ricorrente.
Risulta, quindi, violato il termine di trenta giorni –quale
emerge dal combinato disposto dei commi 3 e 6-bis dell’art.
19 della L. 241/1990 (cd. SCIA in materia edilizia)- entro il
quale l’amministrazione può “in caso di accertata carenza
dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, (…),
adotta[re] motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi
di essa” (art. 19, co. 3, cit.).
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “La
dichiarazione di inizio attività (segnalazione certificata
di inizio attività) costituisce un atto soggettivamente e
oggettivamente privato con cui l'interessato esercita la sua
legittimazione ex lege all'esercizio di attività
liberalizzate” (Cons. Stato, A.P. n. 15/2011). Tale
strumento di semplificazione dei rapporti tra cittadino e PP.AA. può essere utilizzato anche ai fini del mutamento di
destinazione d’uso degli immobili, ove ricorrano talune
condizioni: “il mutamento di destinazione d'uso è
assoggettato solo a Dia (ora Scia), purché però intervenga
nell'ambito della stessa categoria urbanistica” (ex multis,
Cass. Pen., III, 26455/2016, Id. 31465/2014).
Di recente,
anche il Consiglio di Stato ha affermato che “Se è vero che
un mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito, a
condizione che, prima e dopo il mutamento, si rimanga
all’interno della stessa categoria funzionale, ulteriormente
coordinando sul piano ermeneutico la portata dei segmenti
dispositivi degli artt. 22 e 23-ter D.P.R. n. 380/2001 (T.U.
Edilizia) si giunge alla conclusione che, purché si rimanga
nella stessa categoria funzionale, è possibile il cambio di
destinazione d’uso attraverso una SCIA” (Cons. Stato, VI,
2295/2017).
In conclusione, assorbite le ulteriori censure dedotte, il
ricorso va accolto in ragione del ritardo con il quale
l’amministrazione comunale è intervenuta per modificare gli
effetti prodotti dalla SCIA. Rimane comunque salva, come già
indicato nell’ordinanza cautelare, la facoltà per
l’amministrazione di esercitare i poteri di vigilanza e di
autotutela previsti nell’art. 19, commi 4 e 6-bis, della L.
241/1990
(TAR Sicilia-Catania, Sez. IV,
sentenza 12.07.2017 n. 1773 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
dichiarazione di inizio attività non dà vita ad una
fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì
riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla
legge.
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di
settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al
modello generale di cui all'art. 19, l. n. 241 del 1990,
presupposti indefettibili perché la d.i.a. possa essere
produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità
delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione.
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può
avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento,
rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la
conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà e il potere
di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
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La DIA della ricorrente, riguardante, come evidenziato
dall'Amministrazione Comunale e come emergente dagli atti,
un intervento di sopraelevazione, anche se di modesta
entità, avrebbe dovuto, in verità, essere soggetta alla
verifica antisismica ai sensi dell'art. 2 del Regolamento
Regionale n. 2/2012, documento, invece, assente nel progetto
presentato.
In mancanza di tale accertamento, la DIA presentata dalla
ricorrente non poteva, dunque, neppure dirsi integrata e
legittimare le opere realizzate.
“La dichiarazione di inizio attività … ( infatti) non dà
vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito,
bensì riflette un atto del privato volto a comunicare
l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge. Con riferimento sia alle d.i.a. di cui
alla normativa di settore (con particolare riferimento
all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19, l.
n. 241 del 1990, presupposti indefettibili perché la d.i.a.
possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la
veridicità delle dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di
trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione
dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o
incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la
facoltà e il potere di inibire l'attività o di sospendere i
lavori" (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 05.04.2013 n.
3506; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 25.07.2016 n. 3869).
Da qui la legittimità dell'intervento di Roma Capitale di “reiezione
della DIA" e di comunicazione alla ricorrente della
mancanza di titolo in relazione ai lavori de quibus e
della perseguibilità degli stessi ai sensi di legge, effetti
vincolati della violazione del Regolamento Regionale posto a
tutela della stabilità e della sicurezza delle costruzioni,
con espressa previsione, però, della “facoltà di
ripresentare nuova DIA con le modifiche o le integrazioni
necessarie per renderla conforme alla normativa vigente".
Per le argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere,
in conclusione, integralmente rigettato
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 05.07.2017 n. 7858 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici.
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10. Il Comune, con il primo e secondo motivo di gravame, ha
eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di
primo grado avverso la nota del 14.02.2007 e la seconda DIA,
in collegamento con l’implicito provvedimento di assenso del
Comune.
Sostiene la titolarità in capo al terzo che si assume leso
solo di un’azione di accertamento, non potendosi configurare
la DIA come un provvedimento amministrativo a formazione
tacita, ma come mero atto privato. Argomenta, inoltre, in
ordine alla tardività dell’impugnazione proposta, atteso che
il mutamento di destinazione d’uso era stato oggetto della
prima DIA, conosciuta e non impugnata, e che la seconda DIA
costituiva solo una variante non essenziale della prima.
10.1. Ritiene il Collegio che, in ossequio al criterio della
ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del
2015), possa prescindersi dall’esame di tali eccezioni
essendo il ricorso impugnatorio di primo grado infondato nel
merito.
In limine è appena il caso di rilevare –come ribadito
di recente dalla Sezione (cfr. sentenze nn. 2120 e 1967 del
2017)– che, in materia di d.i.a e s.c.i.a., non è
configurabile sia la formazione di un provvedimento
silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia,
conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti
schiettamente privatistici (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.07.2017 n. 3281 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in
sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento”.
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Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
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8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i
provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame
assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che
governano l’esercizio del potere di autotutela ed il
connesso principio dell’affidamento del privato, non appare
meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di
conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti,
dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai
contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L.
241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al
Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori,
prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni
relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia,
alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle
leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune
in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio
non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo
limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo
legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata
facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons.
Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del
12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori
limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o
della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento
consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i
provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La
verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto
della richiesta avviene mediante attività che non è diretta
a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il
requisito della legittimazione soggettiva del richiedente
(TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza
“l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che
tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione
amministrativa: principi che sono sanciti dalla
Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente
corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti
dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili
sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare,
bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto
procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali
garanzie della proprietà. Ed anche il principio di
conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie,
mancando il presupposto fondamentale della legittimazione,
neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio
dell’affidamento” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141
del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla
denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di
massima semplificazione quale manifestazione di autonomia
privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto
del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere
produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza
di una dichiarazione inesatta o incompleta
all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire
l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017)
ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato
della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi
a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di
autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione
dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine
dei presupposti per concludere favorevolmente il
procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio,
dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame),
non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da
ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR
Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il
rigetto delle censure articolate avverso la successiva
ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto
deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente
vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato
dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione
dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito
rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata
essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento
del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo
rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente
argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è
causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo
alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va
rigettato
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato,
anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui
all’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990, ha
ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una
DIA, atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente
privata;
b) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita
dal più volte menzionato art. 19, comma 6-ter.
---------------
10. A prescindere dalla fondatezza dell’eccezione formulata
dalla parte appellante di violazione dell’art. 276 c.p.c.,
conseguente all’omessa pronuncia del Tar di Genova in ordine
alla mancata notifica del ricorso al condominio interessato
all’installazione dell’ascensore, va preliminarmente
rilevato che appare più liquida –secondo le coordinate
ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015–
la ragione fondativa del motivo di appello incentrato
sull’inammissibilità dell’impugnativa diretta delle due DIA
presentate dalla signora Be..
11. Il Tar non ha accolto l’eccezione in quanto non ha
ritenuto che la disposizione di cui all’art. 19, comma
6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241 -che ha stabilito la
non impugnabilità diretta della D.I.A.- trovasse
applicazione ratione temporis alle controversie che,
come nel caso di specie, fossero state instaurate in data
anteriore alla sua entrata in vigore.
12. Tuttavia, sul punto va rilevato che:
a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca
anteriore alla modifica legislativa di cui all’art. 19,
comma 6-ter, della legge n. 241/1990, ha ritenuto
inammissibile una domanda di annullamento di una DIA, atto
che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr.
Cons. St., sez. IV, 13.05.2010, n. 2919; 12.03.2009, n.
1474; 19.09.2008, n. 4513);
b) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita
dal più volte menzionato art. 19, comma 6-ter.
13. Tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e
coeva a quella degli atti impugnati (DIA del 04.04.2008 e
DIA del 25.03.2010) e comunque precedente alla pronuncia
dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 29.07.2011 (che pure ha
confermato la natura privatistica della DIA), richiamata dal
Tar nella motivazione della sentenza impugnata (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 28.04.2017 n. 1967 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Va sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo, la
denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non
ha prodotto effetti e le opere costruite in relazione ad essa possono
ritenersi al pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo. …”.
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce
alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001, con
conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167
d.lgs. n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Ne consegue che il Comune ben
poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare
le DIA che, difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi
perfezionate.
---------------
L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto
avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle
DIA che restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal
Comune.
Per costante giurisprudenza, “l’atto di rimozione delle DIA si configura
quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso
stretto), con la conseguenza che, come osservato da condivisa
giurisprudenza, non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio
dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una
riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in
cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti
per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo
edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di
un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo
questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina
urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il
rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto
proprio a fatto del privato”.
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In presenza di opere realizzate senza titolo in zona
vincolata, l’ordinanza di demolizione, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n.
380/2001 è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato.
L’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, infatti, “in re
ipsa” anche per la straordinaria importanza della tutela reale dei beni
paesaggistici ed ambientali che elide, in radice, qualsivoglia doglianza
circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, anche in
considerazione della non scorporabilità di quanto abusivamente realizzato da
ciò che era stato originariamente assentito.
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1.1.- In data 28.10.2015 la
Polizia Municipale ed il dirigente dell’U.T.C. di Mattinata effettuavano un
sopralluogo nell’area in questione, predisponendo il relativo verbale.
1.2.- Successivamente il dirigente, con la censurata ordinanza n. 21 del
07.12.2015, riportando il contenuto del suddetto verbale di sopralluogo,
accertava l’inefficacia delle D.I.A. presentate “… in quanto gli
interventi previsti e realizzati incidono sui parametri urbanistici e sulle
volumetrie, modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia ed
alterano la sagoma delle opere precedentemente approvate …” e, dunque,
rilevava che detti interventi erano stati eseguiti “… in totale
difformità da quanto autorizzato con il permesso di costruire n. 58/2006 …”,
anche perché compiuti in difetto “… delle autorizzazioni previste in
relazione ai vincoli esistenti sulla zona …”.
...
Sulla base di quanto esposto, va affermato che alcuna fattispecie tacita di
autorizzazione può ritenersi formata correttamente poiché l’intervento non
poteva essere assentito con DIA, tanto che la denunziata violazione delle
regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela ed
il connesso principio dell’affidamento del privato, non è meritevole di
positiva delibazione.
Va, infatti, sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo,
la denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica
non ha prodotto effetti (cfr. TAR Venezia, Veneto, Sez. II, 24.07.2015, n.
873; TAR Emilia Romagna, Bologna, 30.07.2014, n. 803; TAR Lazio, Roma, Sez.
I, 23.01.2013, n. 76; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295) e
le opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al pari di opere
realizzate in assenza di titolo abilitativo. …” (TAR Marche, Sez. I,
sent. n. 413 del 18.06.2016; cfr. altresì TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent.
n. 1350 del 02.12.2016).
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce
alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001 (TAR
Campania, Napoli, Sez. VI, 05.03.2012, n. 1111), con conseguente obbligo di
ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, non
surrogabile con la pena pecuniaria (TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. 1350
del 02.12.2016).
13. - Né va tralasciato di considerare che l’intervento riferito
all’interrato del lotto 3, quand’anche singolarmente valutato, per come
realizzato, necessitasse, altresì, di nulla osta previsto dal R.D. n.
3267/1923 e dal R.D. n. 1126/1926, sussistendo sull’area anche il vincolo
idrogeologico.
14. – Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri
sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che, difettandone i
relativi presupposti, non potevano ritenersi perfezionate (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sez. IV, 14.11.2016, n. 5248; TAR Campania, Napoli, Sez.
VI, 10.01.2011, n. 35; Cassazione penale, Sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
15. - L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto avente un
sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle DIA che
restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal Comune.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende,
evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni dei ricorrenti
che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
15.1.- Per costante giurisprudenza a cui il Collegio presta adesione, “l’atto
di rimozione delle DIA si configura quale esito doveroso del procedimento di
controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come
osservato da condivisa giurisprudenza, non sono evocabili i principi a
presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i
quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente
nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab
origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di
formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di
un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo
questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina
urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 08.11.2012 n. 5691;
Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad
esempio, Consiglio di Stato, Sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una
situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti
proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis,
da ultimo, TAR Puglia, Bari, Sez. III, 06.02.2017, n. 96 e TAR Campania,
Sez. IV, sent. n. 5726 del 13.12.2016 e sent. n. 5248 del 14.11.2016).
16. - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione dell’art. 19
legge n. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, al comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri
poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano altresì
ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività
urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi
regionali».
17. – Alla luce delle suesposte considerazioni diventa superfluo -in quanto
irrilevante ai fini della decisione e comunque inidoneo a supportare una
conclusione di tipo diverso- soffermarsi ulteriormente sulla questione della
destinazione d’uso degli immobili realizzati (con particolare riferimento
alla eliminazione della ricezione e della camera per il personale, con
consequenziale cambio di destinazione d’uso del lotto n. 3 di cui si fa
menzione a pag. 5 -lett. e), in relazione agli interventi contemplati dalla
DIA del 31.05.2007, ed a pag. 6 -punto 3 della censurata ordinanza), in
quanto per consolidata giurisprudenza (ex pluribus, Cons. Stato, Sez.
V, 06.06.2011, n. 3382; Cons. Stato, Sez. IV, 06.07.2012, n. 3970; Cons.
Stato, Ad. Plen., 27.04.2015, n. 5), quando un provvedimento amministrativo
negativo è sorretto da una pluralità di motivi è sufficiente che resti
dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi
perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di
disporne l’annullamento giurisdizionale.
18. – La natura e la corretta qualificazione degli interventi eseguiti
(sottoposti al regime del permesso di costruire), consentono di concludere
per la legittimità del provvedimento impugnato.
In presenza di opere realizzate senza titolo in zona vincolata, l’ordinanza
di demolizione, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 è da ritenersi
provvedimento rigidamente vincolato. L’interesse pubblico al ripristino
dello stato dei luoghi è, infatti, “in re ipsa” anche per la
straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed
ambientali che elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non
proporzionalità della sanzione ablativa, anche in considerazione della non
scorporabilità di quanto abusivamente realizzato da ciò che era stato
originariamente assentito (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23.06.2015, n. 3179) (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 09.03.2017 n. 223 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza di questa Corte è pressoché concorde nel ritenere configurabile il reato di falsità ideologica in
certificati (art. 481 cod. pen.) non solo
per la falsificazione della dichiarazione di inizio attività
(DIA), ma anche della relazione di
accompagnamento, avendo quest'ultima natura di certificato
in ordine alla descrizione dello
stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali
vincoli esistenti sull'area o
sull'immobile interessati dall'intervento, alla
rappresentazione delle opere che si intende
realizzare e all'attestazione della loro conformità agli
strumenti urbanistici ed al regolamento
edilizio.
Dopo aver evidenziato che, con la DIA, al principio
autoritativo si sostituisce il principio
dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato
ad agire in via autonoma, valutando
l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in
vigore e che il ricorso al procedimento
della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare
assunzione di responsabilità, in
relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone
sulla relazione tecnica che
accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che
quella relazione si sostituisce, in via
ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le
garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento, si conclude, affermando:
- "Dalla delineata
costruzione della DIA, come atto
fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e
riconnesso alla delega di potestà pubblica
ad un soggetto qualificato, discende che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si
fonda l'eliminazione dell'intermediazione del potere
autorizzatorio dell'attività del privato da
parte della pubblica amministrazione, assume valore
sostitutivo del provvedimento
amministrativo e quindi certificativo".
---------------
Nella fattispecie in esame il falso riguarda la rappresentazione dello
stato dei luoghi.
Si tratta, quindi, palesemente di una falsa rappresentazione
dello stato oggettivo dei luoghi, finalizzata ad eseguire, con la mera presentazione di una
DIA, un incremento volumetrico del
fabbricato preesistente.
E tale falsa rappresentazione, per le ragioni in precedenza
esposte, integra indubitabilmente
il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.).
---------------
3. In ordine al secondo motivo, contrariamente a quanto
assumono i ricorrenti, la
giurisprudenza di questa Corte è pressoché concorde (a parte
una decisione rimasta isolata) nel ritenere configurabile il reato di falsità ideologica in
certificati (art. 481 cod. pen.) non solo
per la falsificazione della dichiarazione di inizio attività
(DIA), ma anche della relazione di
accompagnamento, avendo quest'ultima natura di certificato
in ordine alla descrizione dello
stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali
vincoli esistenti sull'area o
sull'immobile interessati dall'intervento, alla
rappresentazione delle opere che si intende
realizzare e all'attestazione della loro conformità agli
strumenti urbanistici ed al regolamento
edilizio (sez. 3 n. 35795 del 17/04/2012, Palotta, Rv.
253666; conf. Sez. 3 n. 50621 del
18/06/2014, Cazzato, Rv. 261513; sez. 3 n. 27699 del
20/05/2010, Coppola, Rv. 247927; sez. 5
n. 35615 del 14/05/2010, D'Anna, Rv. 248878; sez. 3 n. 1818 del
21/10/2008, Baldassari,
Rv. 242478).
Dopo aver evidenziato che, con la DIA, al principio
autoritativo si sostituisce il principio
dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato
ad agire in via autonoma, valutando
l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in
vigore e che il ricorso al procedimento
della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare
assunzione di responsabilità, in
relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone
sulla relazione tecnica che
accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che
quella relazione si sostituisce, in via
ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le
garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento, si conclude, affermando: "Dalla delineata
costruzione della DIA, come atto
fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e
riconnesso alla delega di potestà pubblica
ad un soggetto qualificato, discende che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si
fonda l'eliminazione dell'intermediazione del potere
autorizzatorio dell'attività del privato da
parte della pubblica amministrazione, assume valore
sostitutivo del provvedimento
amministrativo e quindi certificativo"
(sez. 3 n. 35795/2012 cit.).
Il contrasto giurisprudenziale derivante dall'unica
pronuncia richiamata nella sentenza
n. 37174/2014 (pag. 7 ricorso), a ben vedere, è più apparente
che reale.
In effetti, con la sentenza della sez. 5 n. 23668 del
26/04/2005, Giordano, Rv. 231906, si
escludeva la natura di "certificato" della relazione
allegata alla DIA ma solo con riferimento alla
parte progettuale (in quanto manifesta una intenzione e non
registra una realtà oggettiva) ed
alla eventuale attestazione di assenza di vincoli (dal
momento che esprime un giudizio
dell'agente, passibile anche di errore).
3.1. Nella fattispecie in esame il falso riguarda non certo
la manifestazione di una intenzione
o l'espressione di un giudizio, ma la rappresentazione dello
stato dei luoghi (si legge nella stessa imputazione: "con
una falsa descrizione, nella tavola stato attuale, del
manufatto
oggetto dell'intervento ed in particolare disegnavano il
manufatto con la stessa altezza in
gronda di m. 3,40, allegando altresì una fotografia (o
comunque la stampa di una fotografia
digitale modificata in modo tale da far apparire il
fabbricato in oggetto come avente la stessa
altezza sui lati nord e sud e comunque una altezza maggiore
rispetto al fabbricato confinante
sul lato sud"). Si tratta, quindi, palesemente di una falsa rappresentazione
dello stato oggettivo dei luoghi, finalizzata ad eseguire, con la mera presentazione di una
DIA, un incremento volumetrico del
fabbricato preesistente.
E tale falsa rappresentazione, per le ragioni in precedenza
esposte, integra indubitabilmente
il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.).
3.2. Con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, la
Corte territoriale ha ritenuto che
dalle risultanze processuali emergesse, in modo
inequivocabile, la sussistenza, sul piano
oggettivo, del falso ideologico così come contestato.
Ha evidenziato, infatti, che dalle dichiarazioni pienamente
attendibili del Cu., che
trovavano puntuale riscontro nei rilievi fotografici e nella
perizia d'ufficio dell'ing. Ga.,
emergeva chiaramente che nella DIA n. 1180/2007 era stata
rappresentata una situazione dello
stato dei luoghi, preesistente all'intervento, difforme
dalla realtà ("e cioè come già esistente la
sopraelevazione del lato sud del tetto del fabbricato, così
riportandolo alla stessa altezza del
tetto lato nord, mentre invece la sua realizzazione avveniva
in corso di esecuzione dei lavori
assentiti con DIA"). Tale falsa rappresentazione dello stato
preesistente dei luoghi,
comportava, come accertato dal perito d'ufficio, un aumento
di volumetria di circa 40,20 metri
cub (pag. 6 e 7 sent.).
Ha fatto riferimento la Corte territoriale anche alle
deposizioni degli agenti verbalizzanti
(isp. Lu.) ed ha disatteso motivatamente le valutazioni
dei consulenti di parte, perché
smentite da non equivoche risultanze probatorie: il falso e,
quindi, l'abuso edilizio che ne era
derivato erano talmente macroscopici da essere rilevabili ad
"occhio nudo in base al semplice
raffronto di tali foto riproducedi lo stato dei luoghi,
prima, durante e dopo .. (pag. 8)".
Quanto all'elemento soggettivo (dolo generico), dalla
complessiva motivazione della
sentenza emerge che la rappresentazione falsa dello stato
dei luoghi avvenne
consapevolmente, essendo essa finalizzata ad ottenere un
incremento volumetrico del
fabbricato preesistente.
I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di vizi di
motivazione e travisamento della prova, richiedono
sostanzialmente una rilettura delle risultanze processuali
non consentita nel giudizio di legittimità
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.03.2017 n. 11051). |
EDILIZIA PRIVATA: La
DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA”
disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale.
---------------
È impugnato -unitamente agli atti presupposti e conseguenti- il provvedimento con il quale il Comune di Andria ha
intimato alla ditta esecutrice, odierna ricorrente, ai
proprietari e al direttore dei lavori "la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre 90
giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione,
delle opere realizzate presso il lastrico solare sovrastante
il quinto piano del complesso edilizio ubicato in via
Catullo, in difformità al permesso di costruire n. 190 del
20.10.2004 (P.E. n. 260/01) e relativa variante in corso
d'opera n. 190/ A/ V del 10.10.2005, in zona classificata
B/5 nel vigente P.R.G. e consistenti così come decritti
nella premessa, che qui s'intende integralmente richiamata".
Le opere in questione, così come descritte nella premessa
dell’ordine di demolizione, hanno ad oggetto “la
realizzazione di una unità volumetrica, composta da un unico
vano con scala di collegamento con la sottostante unità
immobiliare ed un vano w.c., ultimata e rifinita, completa
di impianto elettrico, idrico-fognante e termico il tutto
funzionale ad uso di civile abitazione, con superficie lorda
complessiva coperta di circa mq. 31,00 (anziché mq. 16,00
circa), altezza utile interna di circa mt. 2,80 (anziché mt.
2,30 circa) e con volume complessivo lordo di circa mc.
95,00 (anziché mc. 41,00 circa)”.
L’ordinanza di demolizione, espressamente richiama, quale
atto presupposto, l’annullamento d’ufficio della DIA
presentata il 31.10.2006 dalla Società Ed.Ma. s.r.l.,
titolare del permesso di costruire il complesso edilizio in
questione.
Il Comune aveva infatti riscontrato, in sede di sopralluogo
del 30.9.2008, un aumento della superficie, dell’altezza
interna e della volumetria, nonché la trasformazione, in
locali residenziali, dei vani tecnici –fra i quali quello
oggetto del provvedimento impugnato- posti sul lastrico
solare delle otto palazzine di cui detto complesso si
compone in quanto dette opere sono state ritenute non
assentibili tramite DIA.
...
3.1. Il primo motivo è infondato, al pari del secondo che da esso
dipende.
La DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus
“DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella
versione applicabile ratione temporis al caso di specie che
estende a detti titoli abilitativi il regime generale
dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato
all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga
posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude
la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né
ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non
soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla
p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi
riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della
SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento
riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di
fonte provvedimentale (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’intervento edilizio in rassegna, poiché
comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale
(sottotetto) progettato e assentito per contenere impianti
tecnici a servizio della sottostante abitazione, non è
riconducibile al novero di quelli che l’art. 22, comma 2,
del d.P.R. n. 380/2001 consente di realizzare previa
presentazione della DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale
espansione del principio di buona fede che governa i
rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una
delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra,
sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o
comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o
oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una
dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di
chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica
che si limita a riceverla, per il solo fatto che
quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri
correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare
un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la
convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un
requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono
di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante
DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta
la più complessa procedura del rilascio del permesso di
costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in
decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti
essenziali e per questo inefficace, o quella prevista
dall’art. 23, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la
DIA non produce effetti quando l’intervento edilizio incide
su interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la
tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate
non sono veritiere.
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune
ha accertato che le opere edili in questione non sono
legittimate dalla presentata DIA non è espressione di
autotutela –è irrilevante la qualificazione contenuta
nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla forma- ma ha
valore meramente accertativo di un abuso doverosamente
rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover
agire entro un termine ragionevole, chiaramente
inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più
che nessun affidamento può vantare la ricorrente, per quanto
detto in precedenza.
---------------
3.4.1. Anche il terzo motivo, con il quale la ricorrente
ritiene illegittimamente pretermesso l’affidamento che ha
riposto nella validità della DIA oggetto di annullamento
d’ufficio, deve essere respinto insieme al quarto che da
esso logicamente dipende.
Come detto, l’intervento edilizio in rassegna, poiché
comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale
progettato e assentito per contenere impianti tecnici a
servizio della sottostante abitazione, non è riconducibile
al novero di quelli che l’art. 22, comma 2, del d.P.R. n.
380/2001 consente di realizzare previa presentazione della
DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale
espansione del principio di buona fede che governa i
rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una
delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra,
sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o
comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o
oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una
dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di
chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica
che si limita a riceverla, per il solo fatto che
quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri
correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare
un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la
convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un
requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono
di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante
DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta
la più complessa procedura del rilascio del permesso di
costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in
decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti
essenziali e per questo inefficace (Consiglio di Stato, sez.
VI, 24.03.2014, n. 1413), o quella prevista dall’art. 23,
comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la DIA non
produce effetti quando l’intervento edilizio incide su
interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la
tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le
dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate
non sono veritiere (Consiglio di Stato, sez. VI, 20.11.2013
n. 5513).
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune
ha accertato che le opere edili in questione non sono
legittimate dalla DIA, presentata il 31.10.2006, non è
espressione di autotutela –è irrilevante la qualificazione
contenuta nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla
forma- ma ha valore meramente accertativo di un abuso
doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il
limite di dover agire entro un termine ragionevole,
chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza
edilizia, tanto più che nessun affidamento può vantare la
ricorrente, per quanto detto in precedenza.
3.5. Le considerazioni che precedono impongono di respingere
anche il sesto motivo.
Come detto l’ordinanza impugnata è la conseguenza
inevitabile, espressione di potere vincolato,
dell’accertamento dell’abuso edilizio, insensibile pertanto
ai vizi di forma come l’omessa comunicazione di avvio del
procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies della l.
241/1990.
4. Al rigetto del ricorso principale fa seguito la reiezione
del ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di
accertamento dell'inottemperanza dell'ordine di demolizione,
siccome impugnato per illegittimità derivata (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
dichiarazione di "non procedibilità" della presentata
DIA emessa oltre il termine dei 30 gg.
Il Collegio non ignora, relativamente al
dibattito sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza, le
diverse posizioni distintesi in merito alla natura giuridica
della denuncia di inizio attività.
Tenendo conto dello stato dell’arte all’epoca dei fatti di
causa occorre considerare che secondo una parte della
giurisprudenza, la denuncia di inizio attività non sarebbe
stata configurabile come un provvedimento amministrativo,
neanche implicito; secondo altro indirizzo, la DIA
avrebbe, invece, costituito un titolo edilizio al pari della
concessione o del permesso di costruire, ovvero un “titolo
abilitativo ex lege”, o, qualche tempo dopo, un atto del
privato che “assume valore e consistenza di un atto
abilitativo dell'intervento progettato e della sua
conformità alle norme urbanistiche”.
È evidente che da tali, eterogenee, impostazioni sono
discese altrettanto eterogenee posizioni in ordine alla
perentorietà del termine previsto dall’art. 23.
Sul punto, tuttavia, non si è mai registrata una chiusura
assoluta della giurisprudenza alla tesi favorevole
all’esercizio dei poteri dell’Amministrazione dopo la
scadenza del termine di verifica della DIA, essendosi
osservato che i Comuni avrebbero sempre potuto adottare
eventuali provvedimenti repressivi in relazione a opere in
contrasto con prescrizioni urbanistiche e che, dunque, pur
dopo tale termine sarebbero persistiti i presupposti per
l’emissione di provvedimenti di autotutela, vigilanza e
repressivi.
In sostanza, sembra corretto affermare che la DIA
costituisse, già al tempo dei fatti di causa, una
manifestazione dell’intento di realizzare determinate opere
sul presupposto della sussistenza dei requisiti di legge,
non potendosi, quindi, revocare in dubbio che tale denuncia
non comportasse l’adozione –nell’ambito di un malinteso
“procedimento a istanza di parte”– di un provvedimento
implicito o esplicito.
Rapportando tali enunciati alla fattispecie di causa deve,
pertanto, ritenersi che l’esito della verifica, ancorché
condotta dopo lo spirare del termine dei 30 giorni dalla
presentata DIA, sull’insufficiente rappresentazione delle
opere denunciate dalla ricorrente non potesse che
sostanziare la violazione della disciplina di cui all’art.
23, comma 1, del DPR 380/2001, in cui è previsto che “il
proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare
la segnalazione certificata di inizio attività, almeno
trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori,
presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata
da una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie”.
In sostanza, il progettista ha rappresentato in modo
lacunoso i lavori che quest’ultima aveva in animo di
realizzare, prospettando in modo fuorviante la consistenza
delle opere effettivamente realizzate: il che,
paradossalmente, integra il principio espresso nella
pronuncia alla quale la ricorrente ha fatto richiamo nella
propria memoria, in cui si è statuito che “il decorso del
termine per la formazione del titolo abilitativo non può
avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento
soltanto nel caso di dichiarazioni infedeli o recanti una
erronea rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di
un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole del
dichiarante, non già nei casi di mera incompletezza della
documentazione a corredo dell’istanza”.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento emesso dal
responsabile dell’area tecnica del Comune di Uboldo in data
09.06.2004, con cui è stata disposta "la non
procedibilità della Denuncia di inizio attività (…)
presentata in data 05.02.2004", dell’ordinanza di
sospensione lavori n. 80 del 21.06.2004, nonché
dell’ordinanza di demolizione n. 107 del 17.08.2004: atti
impugnati con il ricorso principale;
...
Ciò premesso, la cognizione va diretta al provvedimento del
09.06.2004, con cui il responsabile dell’area tecnica ha
disposto “la non procedibilità della denuncia di inizio
attività prot. 2152 P.E. 1/04 presentata in data 05.02.2004”,
quest’ultima avente a oggetto la realizzazione di n. 10 box
per il ricovero di cavalli, modifiche interne ed esterne
nonché ampliamento volumetrico della villetta esistente e
recinzione della rete metallica.
Premettendo che dall’esame degli atti emerge che la villetta
è stata sanata mediante il rilascio del permesso in
sanatoria dell’01.02.2016, occorre considerare che “in
data 16.06.2004 veniva eseguito sopralluogo da parte dei
tecnici comunali (…) sull'immobile di Via per Cerro, s.n.c.
ad Uboldo (…), riscontrando l'esecuzione di lavori edilizi
consistenti nel getto in opera di platea di fondazione in
cemento armato con rete elettrosaldata e tondini di acciaio
di dimensioni planimetriche 10,04 mt. per 19,40 mt. con
spessore di circa 30 cm. sul lato ovest del mappale 668 fg.
12”, ricondotta, dal punto di vista strutturale, a una “platea
di fondazione (dimensioni di progetto 11,54 per 17,90 alt)
per la costruzione di 10 box per ricovero cavalli da
realizzarsi con muratura perimetrale in mattoni e
tramezzature interne con pannelli di legno e ferro come
previsto dalla denuncia di inizio attività presentata, ai
sensi dell’art. 22, 3° comma, lett. c), del D.P.R.
06.06.2001 n. 380 e succ. modif. ed integraz., dalla sig.ra
Ca.Ma. (…) in data 05.02.2004 prot. 2152”.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto che il
decorso del termine di 30 giorni in assenza di
un’interdizione da parte dell’Amministrazione avrebbe
condotto al consolidamento dell’efficacia della DIA, e che,
comunque, non rileverebbe l’integrazione documentale
richiesta dal Comune in data 20.02.2004 (invero formulata
per chiarire se fosse programmata, o meno, la realizzazione
di una recinzione: lavori, infine, ammessi da parte
ricorrente), dovendo, nella specie, trovare applicazione la
disciplina di cui al comma 6 dell’art. 23 del DPR 380/2001
nel senso della perentorietà del termine per l’esercizio del
potere repressivo (“il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato
al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle
condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso
di falsa attestazione del professionista abilitato, informa
l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di
appartenenza”).
Tale tesi non può essere condivisa.
Il Collegio non ignora, relativamente al dibattito
sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza, le diverse
posizioni distintesi in merito alla natura giuridica della
denuncia di inizio attività.
Tenendo conto dello stato dell’arte all’epoca dei fatti di
causa occorre considerare che secondo una parte della
giurisprudenza, la denuncia di inizio attività non sarebbe
stata configurabile come un provvedimento amministrativo,
neanche implicito (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI,
04.09.2002 n. 4453); secondo altro indirizzo, la DIA
avrebbe, invece, costituito un titolo edilizio al pari della
concessione o del permesso di costruire (cfr. Tar Veneto,
10.09.2003 n. 4722), ovvero un “titolo abilitativo ex
lege” (cfr. Tar Abruzzo, 11.03.2004, n. 267), o, qualche
tempo dopo, un atto del privato che “assume valore e
consistenza di un atto abilitativo dell'intervento
progettato e della sua conformità alle norme urbanistiche”
(cfr. Tar Emilia-Romagna, 07.05.2007 n. 457).
È evidente che da tali, eterogenee, impostazioni sono
discese altrettanto eterogenee posizioni in ordine alla
perentorietà del termine previsto dall’art. 23.
Sul punto, tuttavia, non si è mai registrata una chiusura
assoluta della giurisprudenza alla tesi favorevole
all’esercizio dei poteri dell’Amministrazione dopo la
scadenza del termine di verifica della DIA, essendosi
osservato che i Comuni avrebbero sempre potuto adottare
eventuali provvedimenti repressivi in relazione a opere in
contrasto con prescrizioni urbanistiche (cfr. Tar Lazio,
20.06.2002, n. 5629) e che, dunque, pur dopo tale termine
sarebbero persistiti i presupposti per l’emissione di
provvedimenti di autotutela, vigilanza e repressivi (cfr.
Tar Piemonte, 19.11.2003 n. 1608).
In sostanza, sembra corretto affermare che la DIA
costituisse, già al tempo dei fatti di causa, una
manifestazione dell’intento di realizzare determinate opere
sul presupposto della sussistenza dei requisiti di legge,
non potendosi, quindi, revocare in dubbio che tale denuncia
non comportasse l’adozione –nell’ambito di un malinteso “procedimento
a istanza di parte”– di un provvedimento implicito o
esplicito.
Rapportando tali enunciati alla fattispecie di causa deve,
pertanto, ritenersi che l’esito della verifica, ancorché
condotta dopo lo spirare del termine dei 30 giorni dalla DIA
del 05.02.2004, sull’insufficiente rappresentazione delle
opere denunciate dalla ricorrente non potesse che
sostanziare la violazione della disciplina di cui all’art.
23, comma 1, del DPR 380/2001, in cui è previsto che “il
proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare
la segnalazione certificata di inizio attività, almeno
trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori,
presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata
da una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie”.
In sostanza, il progettista della sig.ra Ca. ha
rappresentato in modo lacunoso i lavori che quest’ultima
aveva in animo di realizzare, prospettando in modo
fuorviante la consistenza delle opere effettivamente
realizzate: il che, paradossalmente, integra il principio
espresso nella pronuncia alla quale la ricorrente ha fatto
richiamo nella memoria del 30.12.2016, in cui si è statuito
che “il decorso del termine per la formazione del titolo
abilitativo non può avere alcun effetto di legittimazione
dell’intervento soltanto nel caso di dichiarazioni infedeli o
recanti una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in
presenza di un’attività potenzialmente decettiva od
ingannevole del dichiarante, non già nei casi di mera
incompletezza della documentazione a corredo dell’istanza”
(Tar Liguria, 14.01.2011, n. 47).
Sulla scorta di quanto emerso dai controlli comunali
si può, quindi, affermare che si trattasse di un
intervento di nuova costruzione che sarebbe stato
soggetto a domanda di permesso di costruire
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.02.2017 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di
inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art.
31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n.
104.
---------------
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza
amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del
1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito
certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il
termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n.
380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il
procedimento) cui la legge subordina il potere di
annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e,
quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di
illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a.
ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo
al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque,
esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del
provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento
espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione
legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di
autotutela decisoria.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento
repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano
oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del
decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
---------------
... per l'annullamento:
- della dichiarazione di inizio attività n. 13/05 depositata
da Da.Fe. in data 16.02.2005 ed avente ad oggetto “ristrutturazione
e divisione unità immobiliare al piano terreno e recupero
del sottotetto a fini abitativi” di un immobile sito in
Uboldo;
- con motivi aggiunti, del provvedimento dell’01.06.2007 con
il quale il comune di Uboldo ha deciso di non procedere
all’annullamento d’ufficio della DIA succitata.
...
Con il ricorso principale e per i motivi nello stesso
dedotti, gli istanti, proprietari di fabbricati siti in
prossimità di quello del controinteressato nel comune di
Uboldo, hanno impugnato la dichiarazione di inizio attività
indicata in epigrafe, avente ad oggetto la ristrutturazione
e la divisione di un’unità immobiliare al piano terreno e il
recupero del sottotetto a fini abitativi depositata dal
controinteressato medesimo.
Con ricorso per motivi aggiunti hanno, invece,
impugnato, limitatamente alla porzione concernente la
ristrutturazione al piano terreno dell’immobile, il
provvedimento del primo giugno 2007 con il quale il comune
di Uboldo, dopo avere avviato il procedimento teso
all’eventuale esercizio dell’autotutela, ha deciso di non
procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA
succitata.
...
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di accogliere
l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale
sollevata dall’Amministrazione intimata e dal
controinteressato.
Ed invero, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 19 della legge
n. 241/1990, così come introdotto dal d.l. n. 138/2011: “La
segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli
interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi
1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Ne risulta l’inammissibilità del ricorso proposto in via
principale avverso la DIA presentata dal controinteressato.
Riguardo, invece, al ricorso per motivi aggiunti, instaurato
avverso il provvedimento con il quale il comune di Uboldo ha
ritenuto di non procedere all’annullamento d’ufficio degli
effetti della DIA succitata, gli istanti hanno dedotto,
sostanzialmente: l’illegittimità dell’intervento di
ristrutturazione e divisione dell’unità immobiliare al piano
terreno ai sensi dell’art. 42 delle NTA del PRG vigente,
trattandosi di un edificio ubicato in zona produttiva D1 e
non residenziale, ove sarebbero consentiti solo interventi
di manutenzione ordinaria; l’illegittimo esercizio da parte
del Comune del potere di autotutela, subordinato alla
verifica di un particolare interesse pubblico
all’annullamento, invece che di quello sanzionatorio;
l’illegittimità del provvedimento comunale nella parte in
cui si riferisce alla normativa urbanistica sopravvenuta,
che pacificamente ammette l’intervento di ristrutturazione
in questione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, atteso
che, indipendentemente dal verificarsi o meno di un minimo
aumento del carico urbanistico a seguito dell’effettuazione
dell’intervento di ristrutturazione al piano terreno, il
Comune intimato, nell’esercizio discrezionale del proprio
potere di autotutela, si è determinato nel senso della
prevalenza dell’interesse del privato che aveva presentato
la DIA, in capo al quale si era ingenerato l’affidamento
della legittimità della ristrutturazione dallo stesso
eseguita.
Ed invero, secondo il costante orientamento della
giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della
legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a.
illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di
intervenire anche oltre il termine perentorio di cui
all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle
condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge
subordina il potere di annullamento d'ufficio dei
provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre
che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori
assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi,
dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto
del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di
interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un
titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo
equiparabile "quoad effectum" al rilascio del
provvedimento espresso), che può essere rimosso, per
espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio
del potere di autotutela decisoria. Ne consegue
l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio
avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a.
già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non
previamente rimossa in autotutela (cfr., per tutte, Cons.
Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780).
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano
prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla
presentazione della DIA da parte del controinteressato, il
Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio
potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il
procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel
bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla
conservazione delle lievi modifiche effettuate e della
pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che
prevalesse il primo e supportando la propria convinzione,
altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla
normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali
l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso
principale va dichiarato inammissibile e il ricorso per
motivi aggiunti va respinto
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 31.01.2017 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia urbanistica ed edilizia, quando sia contestata l'esecuzione di opere
in assenza di un valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra
cosa accertare l'intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza,
qualificarlo ai sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza
se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare
quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice
d.i.a.).
Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per
l'opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il
giudice non deve "disapplicare" la dichiarazione di inizio attività,
perché non è di questo che si tratta; è sufficiente che prenda atto del
fatto che l'intervento è stato realizzato in assenza dell'unico titolo che
lo consente.
Né rileva l'eventualità che l'opera, così come realizzata, possa esser
conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo
stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre
autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in
sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali
silenzi possono costituire argomento d'accusa per concorsi dolosi o colposi,
ma non possono rendere lecito quel che tale non è.
Sicché le numerose pagine della sentenza dedicate alla possibilità per
il giudice di disapplicare il permesso di costruire e all'incidenza del
rilascio del permesso stesso sulla consapevolezza della natura abusiva
dell'opera da parte dei privati, sono del tutto irrilevanti.
---------------
Questa Suprema Corte ha avuto
modo di pronunciare alcuni principi -che devono essere qui ribaditi perché in linea con il
consolidato orientamento della S.C.- che
possono essere così riassunti:
- «La realizzazione di opere edilizie
necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non
può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei
titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la
suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che
concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo
preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto
territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo
complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i
suoi singoli componenti (...) mentre non risulta che, nella specie, la
To. s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad
eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio»;
- «La categoria "ristrutturazione
edilizia" a fronte del più ristretto ambito di quelle del "risanamento
conservativo" e del "restauro" come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e
dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale
trasformazione dei componenti dell'intero edificio, con mutamento della
qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti
l'aumento delle unità immobiliari nonché l'alterazione dell'originale
impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici»;
- «Quanto al mutamento di destinazione di
uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie,
deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del
fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in
esame), si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia
secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 1, lett. d), del cit. T.U.,
in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur
sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente". L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo
rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di
costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
- «Non ha rilievo l'entità delle opere
eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire
permane per gli interventi:
- di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle
destinazioni d'uso (art. 3, comma 1, lett. b, del cit. T.U.);
- di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento
degli "elementi tipologia" dell'edificio, cioè di quei caratteri non
soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la
qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c,
cit. T.U.).
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi "di nuova
costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.. Ove il
necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili
le sanzioni amministrative di cui all'art. 31, cit. T.U. e quella
penale di cui all'art. 44, lett. b)»;
- «Ai fini della individuazione della
destinazione turistico-alberghiera di una struttura immobiliare non si deve
tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che
indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad
una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della
struttura (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o residenza
turistico-ricettiva».
---------------
Il palazzo, come detto, è immobile di rilevante interesse storico-artistico, soggetto a vincolo per i suoi rilevanti caratteri
tipologici e perché di particolare interesse documentario ed ambientale.
L'area di sedime ricade in zona omogenea A del Comune, centro
storico, di interesse culturale ed ambientale.
Le varie D.i.a. che si sono
succedute nel tempo (ben 18), hanno comportato la modifica di destinazione
d'uso di gran parte dell'imponente immobile (che occupa un intero isolato)
da "residenziale e direzionale" a "commerciale, direzionale,
residenziale".
Il che comportava senz'altro la necessità, ai sensi dell'art. 10,
comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, del rilascio del permesso di
costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui all'art. 22,
comma 3, lett. a), stesso d.P.R..
L'ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere
sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all'art. 22, comma 1, d.P.R. n.
380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al
successivo comma 3 (dal quale quest'ultima ripete natura e funzione).
La cd.
Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla
semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale
diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il
ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all'art. 44, comma 1,
lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile
in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di
d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui cui al
successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la
denuncia di inizio attività di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del
2001.
---------------
6. Tanto premesso, i primi tre motivi, in essi assorbito il quarto,
sono fondati.
6.1. Il caso in esame ha ad oggetto il Palazzo Tornabuoni-Corsi-Sestini di
Firenze (dichiarato di rilevante interesse storico artistico dal Ministro
della Pubblica Istruzione il 03/04/1918) e si segnala per il fatto che le
opere in contestazione sono state effettuate in base ad titoli edilizi (D.i.a.)
che, secondo l'impostazione accusatoria, non lo consentivano.
6.2. Il Tribunale, invertendo completamente i poli del ragionamento ed
utilizzando principi di diritto elaborati da questa Suprema Corte in tema,
tutt'affatto diverso, di illegittimità del permesso di costruire (titolo del
quale invece è contestata proprio la mancanza), trascurando inoltre
completamente la sentenza di questa Sezione, n. 8495 del 2012 (di cui oltre
si dirà), compie un inammissibile atto di fede nei confronti degli imputati
(ma anche degli organismi preposti al controllo della regolarità urbanistica
e ambientale degli interventi progettati ed eseguiti) ed abdicando
all'irrinunciabile dovere del giudice di controllare la legalità degli atti
amministrativi, giunge sostanzialmente ad affermare che le opere potevano
essere realizzate in base a semplice d.i.a. sol perché così sostanzialmente
avevano attestato i professionisti che avevano redatto gli elaborati tecnici
ad essa allegati, con l'autorevole avallo del Comune di Firenze (i cui
tecnici, però, sono stati chiamati a rispondere del concorso nel reato ai
sensi dell'art. 40, cpv., cod. pen.) e della Soprintendenza che avevano
condiviso la qualificazione come "restauro" dei singoli interventi
oggetto delle varie dichiarazioni.
6.3. Metodo, come detto, totalmente errato perché, in materia urbanistica ed
edilizia, quando sia contestata l'esecuzione di opere in assenza di un
valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra cosa accertare
l'intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza, qualificarlo ai
sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza
se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare
quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice
d.i.a.). Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per
l'opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il
giudice non deve "disapplicare" la dichiarazione di inizio attività,
perché non è di questo che si tratta; è sufficiente che prenda atto del
fatto che l'intervento è stato realizzato in assenza dell'unico titolo che
lo consente.
Né rileva l'eventualità che l'opera, così come realizzata, possa esser
conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo
stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre
autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in
sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali
silenzi possono costituire argomento d'accusa per concorsi dolosi o colposi,
ma non possono rendere lecito quel che tale non è.
6.4. Sicché le numerose pagine della sentenza dedicate alla possibilità per
il giudice di disapplicare il permesso di costruire e all'incidenza del
rilascio del permesso stesso sulla consapevolezza della natura abusiva
dell'opera da parte dei privati, sono del tutto irrilevanti.
6.5. Quanto
alla qualificazione dell'intervento è francamente singolare che il Tribunale
non accenni nemmeno, quantomeno per confutarli motivatamente, ai principi
che, in relazione al medesimo immobile e al medesimo intervento, questa
Suprema Corte, investita in sede cautelare dal medesimo PM, pronunciò con la
citata sentenza n. 8945 del 20/10/2011 (dep. il 07/03/2012).
6.6. Tali principi -che devono essere qui ribaditi perché in linea con il
consolidato orientamento della S.C., totalmente negletto dal Tribunale-
possono essere così riassunti:
6.6.1. <<La realizzazione di opere edilizie
necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non
può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei
titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la
suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che
concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo
preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto
territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo
complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i
suoi singoli componenti (...) mentre non risulta che, nella specie, la
To. s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad
eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio»;
6.6.2. «La categoria "ristrutturazione
edilizia" a fronte del più ristretto ambito di quelle del "risanamento
conservativo" e del "restauro" come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e
dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale
trasformazione dei componenti dell'intero edificio, con mutamento della
qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti
l'aumento delle unità immobiliari nonché l'alterazione dell'originale
impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici»;
6.6.3. <<Quanto al mutamento di destinazione di
uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie,
deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del
fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in
esame), si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia
secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 1, lett. d), del cit. T.U.,
in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur
sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente". L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo
rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di
costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
6.6.4. «Non ha rilievo l'entità delle opere
eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire
permane per gli interventi:
- di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle
destinazioni d'uso (art. 3, comma 1, lett. b, del cit. T.U.);
- di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento
degli "elementi tipologia" dell'edificio, cioè di quei caratteri non
soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la
qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c,
cit. T.U.).
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi "di nuova
costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.. Ove il
necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili
le sanzioni amministrative di cui all'art. 31, cit. T.U. e quella
penale di cui all'art. 44, lett. b)»;
6.6.5. <<Ai fini della individuazione della
destinazione turistico-alberghiera di una struttura immobiliare non si deve
tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che
indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad
una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della
struttura (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o residenza
turistico-ricettiva».
6.7. La imprescindibile necessità di mantenere l'originaria destinazione
d'uso caratterizza ancor oggi gli "interventi di manutenzione
straordinaria", non avendo alcun rilievo il fatto che, in conseguenza
delle modifiche introdotte dall'art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1 e 2, d.l.
12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge
11.11.2014, n. 164, sia oggi consentito nell'ambito di detti interventi
procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con
esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle
singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico.
6.8. Altrettanto si dica per gli interventi di "restauro e risanamento
conservativo".
6.9. Sorvolando sulle personali opinioni del Tribunale in ordine al concetto
di restauro, rileva innanzitutto l'errore di diritto che il Giudice compie
allorquando, nello sforzo di supportare giuridicamente tali opinioni, trae
dal contenuto dell'art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004,
argomento sistematico per affermare che il "restauro", così come
definito dal successivo art. 29, comma 4, consente la rimozione o la
demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali,
sminuendone però la funzione essenzialmente conservativa e ripristinatoria
del bene da restaurare (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 1978 del 18/06/2014,
Sgalannbro, Rv. 262002, secondo cui nella categoria degli "interventi di
restauro o di risanamento conservativo", per i quali non occorre il
permesso di costruire, possono essere annoverate soltanto le opere di
recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle
quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l'inserimento di nuovi
elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate
tipologia, forma e struttura dell'edificio).
Resta, in ogni caso, il fatto
che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre
il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona
omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d'uso anche all'interno
della medesima categoria funzionale.
6.10. Il tema accusatorio, articolato e complesso, imponeva dunque al
Giudice di spingere l'indagine ben oltre la semplice conformità delle opere
alle d.i.a di volta in volta presentate per il (formale) restauro e
risanamento dell'immobile, non mancando mai di perdere di vista il risultato
finale, nella sua interezza.
6.11. Il Palazzo Tornabuoni, come detto, è immobile di rilevante interesse
storico-artistico, soggetto a vincolo per i suoi rilevanti caratteri
tipologici e perché di particolare interesse documentario ed ambientale.
L'area di sedime ricade in zona omogenea A del Comune di Firenze, centro
storico, di interesse culturale ed ambientale.
6.12. Come riconosce lo stesso Tribunale, le varie D.i.a. che si sono
succedute nel tempo (ben 18), hanno comportato la modifica di destinazione
d'uso di gran parte dell'imponente immobile (che occupa un intero isolato)
da "residenziale e direzionale" a "commerciale, direzionale,
residenziale".
6.13. Il che comportava senz'altro la necessità, ai sensi dell'art. 10,
comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, del rilascio del permesso di
costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui all'art. 22,
comma 3, lett. a), stesso d.P.R..
6.14. L'ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere
sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all'art. 22, comma 1, d.P.R. n.
380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al
successivo comma 3 (dal quale quest'ultima ripete natura e funzione). La cd.
Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla
semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale
diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il
ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all'art. 44, comma 1,
lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile
in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di
d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui cui al
successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la
denuncia di inizio attività di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del
2001.
6.15. La sentenza deve perciò essere annullata in relazione al capo A della
rubrica
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
14.02.2017 n. 6873). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
In tema
di reati edilizi, nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale.
---------------
2.1. Nella specie, la Corte territoriale non si è uniformata a tali
principi,
rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado ed agli
elementi probatori acquisiti, ma non esaminando, dall'altro,
le specifiche censure rivolte con l'appello
a quella pronuncia.
Al ricorrente è stato contestato il reato previsto dall'art.
44, lett. b), del D.P.R.
n. 380/2001 per aver realizzato lavori di esecuzione di un
deposito temporaneo di
rifiuti non pericolosi provenienti da demolizioni edili, con
difformità rispetto alle
previsioni progettuali.
E' stato accertato che, in sede di accesso, venivano
riscontrate le difformità
rispetto alle previsioni progettuali di cui alla denuncia di
inizio lavori presentata
dall'imputato al Comune di San Marco d'Alunzio in data
04.08.2011 e, cioè,
occupazione di un'area della superficie pari a mq 92,82
anziché mq 79,56,
realizzazione di muretti dell'altezza di m 3,20 anziché m.
2,00, aumento
dell'altezza del muretto di divisione esterno lato ovest,
omessa realizzazione di un
adeguato sistema di canalizzazione delle acque meteoriche.
Va ricordato, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R.
n. 380 del 2001, art.
22, comma 3 (cd DIA alternativa o SuperDIA), non è istituto
ontologicamente
diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti (cd
DIA semplice, ora
SCIA) dal quale non si distingue certo per il carattere
dell'onerosità, che ben può
essere comune e differisce da esso soltanto in relazione
agli interventi
assoggettabili (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio.
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, commi
1 e 2, -in cui la
DIA (ora S.C.I.A.), si pone come titolo abilitativo esclusivo
(non alternativo, cioè,
al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di
inizio dell'attività o la
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA
effettivamente presentata non
comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono
sanzionate soltanto in via
amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6).
Dovendo ritenersi,
però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380
del 2001, art. 44, lett.
a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio-
l'esecuzione di interventi
sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti
urbanistici e regolamenti
edilizi.
Questa Corte ha, infatti, affermato che l'esecuzione in
assenza o in difformità
degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività
(DIA) D.P.R. 06.06.2001,
n. 380, ex art. 22, commi 1 e 2, (ora S.C.I.A.), allorché
non conformi alle previsioni
degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia
in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale
prevista dal citato
D.P.R. n. 380, art. 44, lett. a), atteso che soltanto in
caso di interventi eseguiti in
assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi
alla citata disciplina, è
applicabile la sanzione amministrativa prevista dallo stesso
D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, (Sez. 3, n. 41619 del
22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894
del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 22, comma
3, invece, in cui
la DIA (DIA alternativa o superDIA), ai sensi del successivo
art. 44, comma 2-bis,
si pone come alternativa al permesso di costruire, l'assenza
sia del permesso di
costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero
la totale difformità delle
opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata
integrano il reato di cui
al successivo art. 44, lett. b) (Sez. 5, 26.04.2005,
Giordano; Sez. 3, 09.03.2006,
n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon).
La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla
tipologia del titolo
abilitativo, bensì alla consistenza concreta
dell'intervento. Ciò che conta non è la
qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA
presentata ma la esatta
indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere,
poi, effettivamente
eseguite (Sez. 3, n. 47046 del 26/10/2007, Rv. 238463).
Non trova, comunque, sanzione penale la difformità parziale:
le sanzioni di
cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 sono applicabili soltanto
in caso di assenza o
totale difformità dalla DIA, atteso che la esclusione
dell'ipotesi di parziale
difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di
edificazione con permesso
di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la
DIA (Sez. 3, n.44248 del 23/09/2004, Croattini).
E' stato osservato, a tal proposito, che le opere per le
quali l'art. 1, comma 6,
della legge 21.12.2001 n. 443 ha previsto la possibilità, a
scelta dell'interessato, di
procedere in base a DIA in alternativa al premesso di
costruire (previsioni trasfuse,
poi, con modificazioni nell'art. 22, comma 3, del T.U. n.
380/2001) sono rimaste
soggette, rientrando in origine esclusivamente nel regime
concessorio, alla
sanzione di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001,
con la conseguenza che
integrano il reato previsto da tale norma le opere suddette,
quando siano state
realizzate in assenza sia del permesso di costruire sia
della DIA, ovvero in totale
difformità rispetto alla DIA inoltrata (Sez. 5, n. 23668 del
26/04/2005, Rv. 231905).
2.2. In definitiva, in tema di reati edilizi,
nel caso in
cui la denuncia di inizio
attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo
esclusivo (art. 22, commi
primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo
l'esecuzione di interventi
edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai
regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44,
lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001;
diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo
abilitativo alternativo al
permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. n.
380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett.
b), d.P.R. n. 380 del 2001,
sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della
DIA, sia nel caso di
difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA
presentata, restando priva di sanzione penale la sola
difformità parziale (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009,
Rv. 243099, cit.) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 14.11.2016 n. 47970). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’atto di rimozione delle D.I.A. si configura
quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato
(revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono
evocabili i principi a presidio dell’esercizio
dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali
postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico,
inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha
verificato la carenza ab origine dei presupposti per
concludere favorevolmente il procedimento di formazione del
titolo edilizio silenzioso.
---------------
In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato, non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
Peraltro le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante
l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune,
dovuta proprio a fatto del privato.
---------------
9a - Anche la denunziata violazione delle regole e dei
principi che governano l’esercizio del potere di autotutela,
ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non
appare meritevole di positiva delibazione.
Si lamenta,
infatti, con dovizia di argomentazioni, che gli atti di
annullamento delle D.I.A. non avrebbero rispettato i dettami
previsti per l’esercizio del potere di autotutela; infatti,
non si sarebbe tenuto conto del tempo trascorso né si
sarebbe effettuato un corretto bilanciamento tra gli
interessi del privato e l’interesse pubblico sotteso al
provvedimento anche in relazione all’avvenuta demolizione
dell’opera in epoca successiva al perfezionamento della
fattispecie tacita di cui alla D.I.A.
Le considerazioni esposte in precedenza dimostrano che la
fattispecie tacita di autorizzazione all’intervento non può
ritenersi formata correttamente perché l’intervento non
poteva essere assentito con mera D.I.A. essendo intervenuta
una vera e propria nuova costruzione.
In definitiva, una volta stabilito che la tipologia di
interventi richiedesse il permesso di costruire, ne deriva,
quale logico corollario, che il procedimento per
silentium non può ritenersi mai perfezionato, avendo un
oggetto del tutto incongruente ed incompatibile con tale
semplificato modulo di formazione del titolo edilizio.
Ne discende che il Comune ben poteva esercitare i propri
poteri sanzionatori sull’opera senza considerare la D.I.A.
che, difettandone i relativi presupposti, non poteva
ritenersi perfezionata (TAR Napoli Campania sez. VI,
10.01.2011, n. 35; Consiglio Stato sez. VI, 05.04.2007, n.
1550; Cassazione penale sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
9b - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione
della norma, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, consentirebbe al Comune di esercitare i
propri poteri sanzionatori (v. l’art. 19, co. 6-bis, L.
241/1990 secondo cui «restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull’attività
urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni
previste dal decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali»).
9c - Ciò posto, l’atto in esame, pur qualificato quale atto
di autotutela, va inteso correttamente quale atto avente un
sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento
della D.I.A. che resta, pertanto, inefficace.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione
rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti
argomentazioni di parte ricorrente che espressamente fanno
riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
In questa ipotesi dunque l’atto di rimozione delle D.I.A. si
configura quale esito doveroso del procedimento di controllo
attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che
non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio
dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali
postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico,
inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha
verificato la carenza ab origine dei presupposti per
concludere favorevolmente il procedimento di formazione del
titolo edilizio silenzioso.
9d - In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita di
un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse,
consistendo questo nell'interesse della collettività al
rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio
di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato,
sez. IV, 30.07.2012 n. 4300); peraltro le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012
n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante
l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune,
dovuta proprio a fatto del privato.
10 - La reiezione delle censure articolate nei ricorsi
principali rende infondata anche la doglianza di cui ai
motivi aggiunti presentati nel ricorso numero 289/2012.
L’intervento di manutenzione ivi previsto (ed astrattamente
ben assentibile con D.I.A.) è, infatti, strettamente
collegato ai lavori precedenti, correttamente ritenuti
abusivi e, come si è detto in precedenza, è necessario
considerare unitariamente l’insieme di opere poste in essere
al fine di trasformare il cd. Palazzo Lauro in un albergo (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.11.2016 n. 5248 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Annullamento
d'ufficio del titolo illegittimo: il termine dei 18 mesi
rileva ai fini interpretativi anche se non applicabile
retroattivamente.
Il Consiglio di Stato si pronuncia sui presupposti
dell'annullamento in autotutela alla luce del limite
temporale di 18 mesi introdotto dal Decreto Sblocca Italia
del 2014.
I giudici di Palazzo Spada (Sez.
VI,
sentenza 31.08.2016 n. 3762)
sono stati chiamati a vagliare
l'annullamento d'ufficio di una D.I.A. disposto a distanza
di quattro anni dal suo consolidamento e ne hanno dichiarato
l'illegittimità anche alla luce della novità legislativa,
pur non applicabile ratione temporis alla
fattispecie.
Ricordando in via di principio che il riconoscimento di un
errore tecnico tale da inficiare la validità del titolo
avrebbe consentito all'Amministrazione di intervenire
adottando un provvedimento inibitorio/ripristinatorio entro
il termine di decadenza (30 giorni) previsto dall'art. 23,
comma 6, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, nel
caso di specie il Collegio ha esaminato la problematica
connessa alla verifica della sussistenza delle condizioni
richieste dall'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 per
l'adozione del provvedimento repressivo d'ufficio adottato
dopo la scadenza di detto termine.
Detto articolo, nella formulazione vigente al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato, consentiva
l'intervento postumo di annullamento d'ufficio ricorrendone
le ragioni di interesse pubblico e sempreché il
provvedimento fosse disposto entro un termine ragionevole,
tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
Successivamente, il D.L. 12.09.2014, n. 133, convertito, con
modificazioni, dalla L. 11.11.2014, n. 164, ha modificato il
testo introducendo il limite dei 180 giorni: "1. Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici,
inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai
sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Nel caso in esame, il Collegio evidenzia la carenza sia
dell'esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di
là del mero ripristino della legalità violata) che della
valutazione motivata della posizione dei soggetti
destinatari del titolo edilizio.
In particolare viene sottolineata
l'importanza della tutela dell'affidamento del privato, che
nel caso era particolarmente qualificata in ragione del
lungo tempo trascorso dall'adozione della D.I.A. annullata
(4 anni).
Prendendo spunto da quest'ultima considerazione, il
Consiglio di Stato ricorda la novella legislativa del 2014 e
lo sbarramento temporale posto con questa all'esercizio del
potere di autotutela e pur riconoscendo
l'inapplicabilità della previsione ratione temporis
-implicitamente confermando l'irretroattività della novità
normativa- il Collegio conferma l'orientamento già espresso
in un proprio precedente di dicembre
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.12.2015 n. 5625) e
le attribuisce una vis che trascende il mero dato
letterale ("rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi
del sistema degli interessi rilevanti"), portandola a
costituire parametro di riferimento, se non addirittura
principio informatore, per tutte le fattispecie di
annullamento d'ufficio, comprese quelle alla quali a stretto
rigore la norma non sarebbe applicabile
(tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
---------------
MASSIMA
1. Con separati appelli il Comune di Dolzago ha
impugnato le sentenze rese del Tar Lombardia, Milano,
entrambe pubblicate il 07.08.2012, n. 2180 e n. 2182.
2. Le sentenze appellate, accogliendo i ricorsi
rispettivamente proposti da Fa.Sp. e Va.Sp. (sentenza n.
2180/2012) e da Se.Fu., Le Nu.Co. s.r.l., Br.Co. s.r.l. e
Ro.Co. (sentenza n. 2181/2012), hanno annullato il medesimo
provvedimento amministrativo: l’ordinanza, a firma del
responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Dolzago, n.
11, datata 21.04.2011, avente ad oggetto l’annullamento
della d.i.a. relativamente alle opere “riguardanti
l’innalzamento del tetto con modifica della sagoma e del
volume dell’edificio, come rappresentato nella d.i.a. prot.
n. 2066 del 05.03.2007 rispetto alla d.i.a. prot. n. 9640
del 10.12.2005” e l’ordine di demolizione “delle
opere che hanno comportato l’innalzamento del tetto ed il
conseguente incremento volumetrico del sottotetto, come
eseguite, abusivamente, in difformità ed in aggiunta a
quelle risultanti dalla d.i.a. prot. n. 9640 del 10.12.2005”.
...
6. Gli appelli non meritano accoglimento.
7. Giova evidenziare che il provvedimento impugnato si basa
sull’assunto secondo cui la d.i.a. prot. n. 2066/2007
conterrebbe una falsa dichiarazione nella misura in cui
quanto rappresentato nel progetto in variante sezione 3-3
(ove si indica l’altezza del sottotetto in m. 2,29) non
corrisponderebbe all’altezza effettiva del sottotetto. Ciò
in quanto, la misura di m. 2,29 sarebbe stata ottenuta
escludendo la computo il controsoffitto che, per contro,
secondo l’Amministrazione, avrebbe dovuto essere
necessariamente conteggiato.
Come correttamente e condivisibilmente evidenziato dal Tar,
tuttavia, la tavola allegata alla d.i.a. n. 2066/2007,
allorché raffigura l’altezza in sezione del sottotetto
escludendo dal computo lo spessore sottostante l’intradosso
di copertura, non pone in essere una falsa rappresentazione,
integrando, al più, una valutazione tecnica erronea.
Infatti, in base alla disciplina comunale (articolo 10 NTA
del P.R.G., cui fa riscontro l’articolo 8 delle stesse NTA
sul computo del volume edificabile), l’altezza degli edifici
si misura a partire dalla quota di terreno natura sino
all’intradosso del solaio di copertura. L’intradosso del
solaio di copertura, a sua volta, deve intendersi al netto
di extra-spessori non strutturali, sì da rimanere
indifferente alle opere interne realizzate in aderenza al
tetto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30.05.2001, n. 3228).
Nel caso di specie, quindi, la rappresentazione grafica
allegata alla d.i.a. nella misura in cui esclude il
controsoffitto è contraria agli articoli 8 e 10 delle N.T.A.
citate, i quali stabiliscono la non computabilità nel
calcolo del volume complessivo degli spazi di sottotetto
soltanto quando l’altezza media ponderale di essi non superi
2,40 m.
8. L’errore tecnico in esame, inficiando la validità della
d.i.a., avrebbe consentito all’Amministrazione di
intervenire sul titolo, adottando un provvedimento
inibitorio/ripristinatorio o entro il termine di decadenza
previsto dall’art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001, n. 380,
oppure, scaduto infruttuosamente tale termine, soltanto
ricorrendo le condizioni alle quali l’art. 21-nonies della
legge 07.08.1990, n. 241, subordina l’esercizio del potere
di autotutela.
Nel caso di specie, poiché il provvedimento
repressivo è stato adottato dopo la scadenza del termine
perentorio di cui all’art. 23, comma 6, d.P.R. n 380 del
2001, occorre verificare la sussistenza delle condizioni
previste dall’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990 per
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
9. L’art. 21-nonies cit. prevede che il
provvedimento amministrativo illegittimo può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo
previsto dalla legge.
Nella specie, manca sia l’esternazione
delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero
ripristino della legalità violata) sia la valutazione
motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo
edilizio. Nel caso in esame tale affidamento era, peraltro,
particolarmente qualificato in ragione del lungo tempo
trascorso dall'adozione della d.i.a. annullata, risultando
trascorsi ben quattro anni dal suo consolidamento.
Va aggiunto sotto tale profilo che il
decreto-legge 12.09.2014, n. 133
(Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge
11.11.2014, n. 164, ha posto uno
sbarramento temporale all'esercizio del potere di
autotutela, rappresento da “diciotto mesi dal momento
dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di
attribuzione di vantaggi economici”.
Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis,
in ogni caso, come questo Consiglio di Stato ha già avuto
modo di evidenziare, rileva ai fini interpretativi e
ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.12.2015, n. 5625).
10. Alla luce delle considerazioni che precedono gli appelli
devono, pertanto, essere respinti
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 31.08.2016 n. 3762 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario
unico spiegherà l'iter per ogni intervento.
Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto
Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee
e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E
che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario
per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl
40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati
sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione
asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al
restauro e al risanamento conservativo che non riguardano
parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia
(Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia
con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i
procedimenti relativi alla certificazione di agibilità,
prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di
agibilità.
E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia
2”
(Atto
del Governo n. 322 - Schema di decreto
legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto
di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e
definizione dei regimi amministrativi applicabili a
determinate attività e procedimenti),
già varato in via preliminare dal consiglio dei
ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il
parere
04.08.2016 n.1784.
Si tratta di
uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a
completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”),
ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28
luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove
il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la
disciplina generale applicabile alle attività private non
soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a
Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di
decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una
ricognizione delle attività private nei settori
dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo
viene data piena attuazione alla legge delega di riforma
della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei
procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso,
autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo
le novità più rilevanti.
Glossario unico.
L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce
l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in
materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A
tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle
infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico».
Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul
proprio sito web un glossario che consenta l'immediata
individuazione della tipologia dell'intervento e del
conseguente regime giuridico, indicando i documenti
necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha
evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio
sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio.
Viene abolita la
Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010,
che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori
e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto,
osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non
liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i
quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso
l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo
un regime a metà strada tra l'attività completamente libera
e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli
interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva
all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della
comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di
allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo
per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono
quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa
assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito
tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e
il risanamento conservativo che non riguardi parti
strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia
in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una
Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di
stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto
terminologica, già in parte realizzata a livello regionale,
onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni
valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale».
Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al
certificato di agibilità, prevedendo un'apposita
segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi
basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza
adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono
la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi
assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali
è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in
alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi
quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le
ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto
sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria
forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di
Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni
casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle
altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità
ovvero Cila incompleta o irregolare)
(articolo ItaliaOggi del 09.08.2016). |
EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni
thrilling. Inibitoria anche con Dia-Scia
consolidata. Il Tar Lombardia accoglie il
ricorso di un proprietario di immobile.
Anche se la Dia-Scia per i lavori si è
consolidata, il vicino di casa può sempre
ottenere l'inibitoria sul progetto di
ristrutturazione della costruzione contigua
alla sua se ha agito entro 60 giorni dal
momento in cui si è reso conto che il titolo
edilizio del confinante risulta viziato,
dopo essersi procurato le relativa pratiche.
È quanto emerge dalla
sentenza 15.04.2016 n. 735,
pubblicata dalla II Sez. del TAR Lombardia.
Lesione e consapevolezza.
Accolto il ricorso del proprietario
dell'immobile preoccupato per le intenzioni
del vicino, che punta ad abbattere e
ricostruire un fabbricato. Secondo il
confinante il progetto contiene violazioni
alle norme sulle distanze minime tra
fabbricati oltre che delle stesse
disposizioni urbanistiche.
Per il Comune, invece, niente da segnalare:
«decorsi i termini a seguito della
presentazione della documentazione
integrativa», spiega l'ufficio tecnico,
la Dia-Scia ha ormai consolidato i suoi
effetti. E invece no, perché è l'articolo
19, comma 6-ter, legge 241/1990 a imporre
all'amministrazione anzitutto di riscontrare
l'istanza che proviene dal terzo titolare di
un situazione giuridica differenziata, come
è il vicino di casa che vuole bloccare il
lavori.
Ma soprattutto il Comune deve anche bloccare
l'opera se risulta che il confinante ha
comunque agito entro sessanta giorni da
quando ha avuto notizia dei profili lesivi
dell'intervento: altrimenti il terzo
subirebbe una diminuzione della tutela
accordatagli rispetto a chi sia leso da un
permesso di costruire.
Canale unico.
È vero, il riferimento ai 60 giorni di tempo
non risulta dal comma 3-bis dell'articolo 19
della legge sulla trasparenza: si tratta di
un'interpretazione sistematica perché la
diffida prevista dalla norma costituisce
l'unico «canale» percorribile
dall'interessato al fine di ottenere la
tutela dal giudice in un secondo momento.
Obbligo di motivazione.
E se invece sono passati più di due mesi? Il
terzo può sempre chiedere all'ente locale di
agire in autotutela. Anche in questo caso
l'amministrazione è tenuta a pronunciarsi
sull'istanza del confinante spiegando i
motivi per i quali non intende esercitare il
potere di «rimangiarsi» il nulla osta
all'opera «incriminata».
Spese di giudizio compensate per la novità
della questione (articolo ItaliaOggi
Sette del 13.06.2016).
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MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si
rende necessario chiarire la portata delle
previsioni normative rilevanti nel presente
giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le
mosse proprio dalla sentenza di questa
Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto
conclusioni che il Collegio condivide e
ritiene di dover ribadire, e che tuttavia
non conducono all’esito sostenuto dal
controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività,
secondo quanto autorevolmente chiarito,
ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, “non
è un provvedimento amministrativo a
formazione tacita e non dà luogo in ogni
caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a
comunicare l’intenzione di intraprendere
un’attività direttamente ammessa dalla legge”
(Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione,
questa, che ha poi trovato piena conferma da
parte del legislatore, posto che l’attuale
articolo 19, comma 6-ter, primo periodo
della legge n. 241 del 1990 –introdotto
dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del
decreto legge 13.08.2011, n. 138,
convertito, con modificazioni, dalla legge
14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente
che “La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia
e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo
il decorso del termine normativamente
previsto per l’esercizio delle verifiche da
parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che,
una volta che il terzo sia venuto a
conoscenza del titolo, ormai consolidatosi
per mancato esercizio dei poteri inibitori,
lo stesso terzo disponga di sessanta giorni
di tempo per proporre impugnazione
giurisdizionale. E’ vero infatti che la
sussistenza, in tale ipotesi, di un atto
impugnabile era stata autorevolmente
sostenuta, sulla base del quadro normativo
allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15
del 2011, che aveva ravvisato un
provvedimento suscettibile di tutela
giurisdizionale demolitoria nel diniego
tacito di esercizio del potere inibitorio.
Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta
l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla
luce delle successive novità legislative e,
in particolare, di quanto ora disposto dal
richiamato articolo 19, comma 6-ter, della
legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “(...)
Gli interessati possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione di cui
all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Previsione, questa, che come evidenziato
dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta
sostanzialmente l’impugnazione diretta della
DIA o della SCIA –non costituenti
provvedimenti amministrativi, neppure
impliciti– ma consente la sola tutela
giurisdizionale secondo il citato meccanismo
di cui all’art. 31”
(TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n.
126).
9. In tale quadro si colloca il tema della
tutela del soggetto che alleghi di essere
stato leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del
2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti
all’amministrazione nei confronti degli
interventi oggetto di una denuncia di inizio
di attività vanno esercitati entro il
termine normativamente prescritto, decorso
il quale il “consolidarsi” della
d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità
per il Comune di intervenire, se non
nell’esercizio dei poteri di autotutela
(Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai
pieno riscontro nell’attuale previsione del
comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990, come sostituito dall'articolo 6,
comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n.
124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio
del controllo sulla denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, “l'amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo
21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì
inapplicabile ratione temporis nel
presente giudizio, ma che ha sostanzialmente
codificato gli esiti del dibattito
giurisprudenziale sul punto. E ciò anche
avuto riguardo alla natura dei poteri
esercitati dall’amministrazione in
quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di
tipo inibitorio, ma subordinatamente al
riscontro dei presupposti per l’intervento
in autotutela (in coerenza con quanto già da
tempo autorevolmente chiarito da Cons.
Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n.
2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da
ritenere doveroso, e non soggetto al
ricorrere dei presupposti propri del potere
di autotutela, laddove la carenza dei
presupposti della d.i.a. sia denunciata dal
terzo, titolare di una posizione giuridica
qualificata e differenziata, ai sensi del
richiamato comma 6-ter del medesimo articolo
19.
E ciò
–come già affermato nella sentenza
richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore testuale
della previsione normativa richiamata a non
fare alcun riferimento al decorso del
termine per il “consolidarsi” della
denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato
nella sentenza n. 2799 del 2014– “laddove
dovesse ritenersi che il terzo, venuto a
conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del
termine per il compimento delle verifiche,
non possa chiedere l’esercizio dei poteri
inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei
confronti della tutela offerta
dall’ordinamento nei confronti di tale
soggetto.”
Questi, infatti, da un lato non disporrebbe
di alcun provvedimento impugnabile
(ostandovi il chiaro tenore del richiamato
comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro,
potrebbe solo invocare l’intervento in
autotutela, che è però esercitabile solo in
presenza di precisi presupposti, ulteriori
rispetto al mero riscontro
dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di
questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata
condivisa e ribadita da numerose successive
pronunce di primo grado (TAR Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR
Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n.
1039).
In particolare, la giurisprudenza ha
evidenziato che “Una
tale interpretazione appare peraltro
obbligata secondo una lettura
costituzionalmente orientata delle norme
alla luce dei principi di pienezza ed
effettività della tutela giurisdizionale
sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti
giustificabile, rispetto all’intento di
garantire una tendenziale stabilità ai
titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio
che verrebbe imposto al diritto di azione
del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la
denuncia e la dichiarazione di inizio
attività costituiscano provvedimenti taciti
direttamente impugnabili, ammettendo solo
che i terzi interessati possano sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti
all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il
silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio
a tutela della propria sfera giuridica,
quando l’intervento di verifica risulti
dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse
differenziato e qualificato, il divieto di
prosecuzione dell’attività o l’inibitoria
deve potersi svolgere in modo pieno e senza
i limiti propri dell’autotutela avviata
d’ufficio.”
(così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui
accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone
all’amministrazione di esercitare pieni
poteri inibitori della denuncia di inizio di
attività, anche dopo il “consolidarsi”
del titolo edilizio, qualora sia a ciò
sollecitata da un terzo titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, occorre chiedersi se tale
soggetto possa sollecitare in qualunque
momento l’intervento dell’amministrazione
stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro
un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata
affrontata, sia pure sinteticamente, nella
richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come
correttamente rilevato, nel presente
giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato
esplicitamente evidenziato che il terzo che
si assumeva leso dalla denuncia di inizio di
attività presentata dal confinante si era
rivolto all’amministrazione entro sessanta
giorni dal momento in cui, accedendo agli
atti della pratica edilizia, aveva preso
piena conoscenza del contenuto della d.i.a.
e delle esatte caratteristiche
dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente
ritenuto rilevante la circostanza che
l’istanza volta a provocare l’esercizio del
potere inibitorio fosse intervenuta entro il
suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta
pronuncia al momento della presentazione
dell’istanza rivolta all’amministrazione non
è stato condiviso da un altro orientamento
giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il
terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.)
potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo
all’amministrazione, e ottenere comunque il
pieno esercizio dei poteri inibitori, senza
necessità del riscontro dei presupposti
propri dell’autotutela (in questo senso: TAR
Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia
sulla base del tenore testuale del comma
3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990 –il quale non indica testualmente
alcun limite temporale per la diffida
diretta all’amministrazione– sia in
considerazione della circostanza che la
possibilità di un intervento “a tutto
campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in
presenza di una sollecitazione proveniente
da un terzo che si assuma pregiudicato
dall’intervento, dovrebbe ritenersi
giustificata dalla natura stessa
dell’istituto, che non dà luogo alla
formazione di un provvedimento
amministrativo e si basa sulla
responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali
considerazioni possano essere condivise
soltanto in parte, come meglio si illustrerà
nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in
questa sede l’orientamento già espresso
–anche in relazione al profilo inerente ai
termini per la sollecitazione dei poteri
inibitori–
dalla sentenza della Sezione n. 2799 del
2014. E’ infatti da ritenere che le
conclusioni raggiunte, sul punto, dalla
pronuncia richiamata siano necessitate, alla
stregua dell’interpretazione sistematica e
–ancora una volta– costituzionalmente
orientata del dato normativo, costituito
dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge
n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve
necessariamente tenere conto della
circostanza che l’intera disciplina della
denuncia di inizio di attività, fino ai più
recenti interventi normativi (in parte
successivi alla formazione dei titoli
oggetto del presente giudizio, ma comunque
rilevanti ai fini interpretativi e
ricostruttivi del sistema), risulta
chiaramente ispirata dalla finalità di
coniugare l’esigenza di incentrare il
fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità
del privato con quella di assicurare
comunque una sostanziale stabilità del
titolo edilizio –analoga a quella propria
del permesso di costruire– dopo il decorso
del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario
–come sopra detto–
assicurare al terzo la possibilità di
ottenere piena tutela, mediante l’esercizio
dei poteri inibitori dell’amministrazione,
anche dopo che sia trascorso tale termine di
tendenziale “stabilizzazione” del
titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi
nell’eliminazione di qualunque garanzia
attinente al “consolidarsi” della
d.i.a., né eccedere quanto necessario e
sufficiente ad assicurare al terzo leso
dalla denuncia di inizio attività una tutela
equivalente a quella riconosciuta al
soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di
una situazione giuridica qualificata e
differenziata che lamenti un pregiudizio
derivante da una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività possa
ottenere il pieno e doveroso esercizio dei
poteri inibitori, senza i limiti propri
dell’autotutela, soltanto laddove abbia
sollecitato l’intervento
dell’amministrazione entro sessanta giorni
dal momento in cui ha avuto conoscenza della
lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur
non espressamente previsto dal comma 3-bis
dell’articolo 19 della legge n. 241 del
1990, deve infatti ricavarsi in via
sistematica, tenendo conto che la diffida
prevista dalla disposizione ora richiamata
costituisce l’unico “canale”
percorribile dall’interessato al fine di
adire eventualmente, in un secondo momento,
la tutela giurisdizionale. In tale
prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la
pienezza della tutela
(ai sensi dell’articolo 24 della
Costituzione),
che la parità di trattamento rispetto al
soggetto leso da un permesso di costruire
(in relazione all’articolo 3 della
Costituzione)
impone di fare applicazione del termine
ordinariamente previsto per l’impugnazione
dei provvedimenti amministrativi, fissato
dall’articolo 29 del codice del processo
amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui
all’articolo 29 ora richiamato ha natura
processuale e non procedimentale; tuttavia,
come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita
dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 costituisce un passaggio
obbligato per l’accesso alla tutela
giurisdizionale, per cui è dalla disciplina
propria di quest’ultima che può e deve
trarsi il dato necessario all’integrazione
in via interpretativa della lacuna
normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere
stata accolta, del resto, anche dalla
giurisprudenza del Consiglio di Stato, la
quale non ha mancato di rimarcare, in una
recente pronuncia, che “il
potere di sollecitazione del terzo non è da
intendersi come esercitabile ad libitum,
bensì rimane assoggettato al rispetto del
termine di decadenza decorrente dalla
conoscenza della D.I.A.”
(così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n.
5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi
quid iuris nel caso in cui il terzo
abbia richiesto l’intervento
dell’amministrazione dopo il decorso di
sessanta giorni dal momento in cui ha avuto
piena conoscenza del contenuto lesivo della
denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che,
in questo caso, l’impugnazione del
provvedimento con cui l’amministrazione ha
negato l’esercizio dei poteri relativi alla
d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale
soluzione risulta essere stata accolta dalla
sentenza del Consiglio di Stato da ultimo
richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015,
cit.), ma ritiene –su questo specifico
aspetto– di dover addivenire a conclusioni
in parte diverse rispetto al giudice
d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato
imprescindibile (ben evidenziato, come
detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015,
cit., che però perviene a conclusioni non
coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge
n. 241 del 1990 non prevede alcun termine
per la sollecitazione dei poteri
dell’amministrazione e per l’insorgere del
correlativo obbligo, per quest’ultima, di
pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo
titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata, entro il
termine di sessanta giorni dalla conoscenza
della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione
non potrà esimersi dall’esercitare
pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa
sollecitare l’intervento
dell’amministrazione anche oltre tale
termine, al fine di invocare non già il
pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì
il riscontro della sussistenza dei –diversi–
presupposti normativamente previsti per
l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la
sollecitazione debba intendersi diretta a
provocare l’esercizio dei poteri di
autotutela– l’amministrazione è comunque
tenuta ad esprimersi sull’istanza,
eventualmente illustrando le ragioni per le
quali ritenga non sussistenti i presupposti
per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi–
l’esercizio dell’autotutela è, di regola,
tipicamente discrezionale nell’an,
per cui l’amministrazione non è tenuta, di
norma, neppure a riscontrare l’istanza di
autotutela presentata da un privato
(v. ex multis Cons. Stato, V,
03.05.2012 n. 2549). Tuttavia,
nel caso della denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, la
sussistenza di un dovere
dell’amministrazione di verificare
l’esistenza dei presupposti per l’esercizio
del potere è imposta dal chiaro tenore
testuale del richiamato comma 3-bis
dell’articolo 19, il quale attribuisce
espressamente al terzo che si assuma leso
dal titolo edilizio un incondizionato
accesso anche alla tutela giurisdizionale
avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal
legislatore è coerente con il fondamentale
rilievo che, nel caso di intervento di
controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a.,
non si fa questione di esercizio di poteri
di autotutela in senso proprio, poiché manca
un provvedimento amministrativo rispetto al
quale possa esercitarsi un potere di secondo
grado. Piuttosto –come sopra detto–
l’amministrazione, in questo caso, esercita
pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei
presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto
sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del
comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n.
241 del 1990 imponga all’amministrazione di
riscontrare motivatamente, in ogni caso,
l’istanza con cui un terzo, titolare di una
situazione giuridica qualificata e
differenziata, abbia sollecitato
l’intervento della stessa amministrazione in
relazione a una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta
giorni dal momento in cui tale soggetto
risulta aver avuto conoscenza dei profili
lesivi dell’intervento, l’amministrazione
sarà tenuta a esercitare, sussistendone i
presupposti, pieni poteri inibitori, poiché
–in difetto– il terzo subirebbe una
diminuzione della tutela accordatagli
rispetto a chi sia leso da un permesso di
costruire.
Superati i sessanta giorni,
l’amministrazione dovrà comunque a
verificare, dandone conto motivatamente,
unicamente la sussistenza dei presupposti
per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui
affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo
edilizio da più di sessanta giorni non
comporta conseguenze processuali, in
relazione alla eventuale successiva azione
giurisdizionale contro il silenzio o il
provvedimento negativo emesso
dall’amministrazione, ma ha unicamente
conseguenze di tipo procedimentale
(secondo quanto già rilevato dalla Sezione
con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il
ricorso giurisdizionale avverso il
provvedimento con cui l’amministrazione
abbia negato il proprio intervento sarà
quindi ammissibile –sussistendo, beninteso,
tutte le altre condizioni dell’azione– ma la
risposta dell’amministrazione dovrà essere
verificata tenendo conto del diverso potere
esercitato nelle due ipotesi sopra dette. |
EDILIZIA PRIVATA:
La denuncia d’inizio attività
“non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in
ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce
un atto privato volto a comunicare l’intenzione di
intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla
legge”. Affermazione, questa,
che ha poi trovato piena conferma da parte del
legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma
6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990
stabilisce espressamente che “La
segnalazione certificata di inizio attività, la
denuncia e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente
impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il
decorso del termine normativamente previsto per
l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta
che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo,
ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri
inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta
giorni di tempo per proporre impugnazione
giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza,
in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata
autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro
normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n.
15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento
suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria
nel diniego tacito di esercizio del potere
inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era
pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate
alla luce delle successive novità legislative e, in
particolare, di quanto ora disposto dal richiamato
articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del
1990.
In base a quest’ultima disposizione, “(...)
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio
delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in
caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di
cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Previsione, questa, che come evidenziato dalla
giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta
sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o
della SCIA –non costituenti provvedimenti
amministrativi, neppure impliciti– ma consente la
sola tutela giurisdizionale secondo il citato
meccanismo di cui all’art. 31”.
---------------
In tale quadro si colloca il tema della tutela
del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla
denuncia di inizio di attività presentata da altri.
La
Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei
confronti degli interventi oggetto di una denuncia
di inizio di attività vanno esercitati entro il
termine normativamente prescritto, decorso il quale
il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di
regola– l’impossibilità per il Comune di
intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di
autotutela.
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno
riscontro nell’attuale previsione del comma 4
dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come
sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della
legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio
del controllo sulla denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, “l'amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti previsti
dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile
ratione temporis nel presente giudizio, ma che ha
sostanzialmente codificato gli esiti del dibattito
giurisprudenziale sul punto. E ciò anche avuto
riguardo alla natura dei poteri esercitati
dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che
sono pur sempre di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei presupposti per
l’intervento in autotutela.
Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799/2014 ha affermato che
l’intervento
inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non
soggetto al ricorrere dei presupposti propri del
potere di autotutela, laddove la carenza dei
presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo,
titolare di una posizione giuridica qualificata e
differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter
del medesimo articolo 19.
E ciò
–come già affermato nella sentenza richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore
testuale della previsione normativa richiamata a non
fare alcun riferimento al decorso del termine per il
“consolidarsi” della denuncia di inizio di
attività.
D’altra parte “laddove
dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza
della d.i.a. dopo il decorso del termine per il
compimento delle verifiche, non possa chiedere
l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un
vulnus nei confronti della tutela offerta
dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.”
Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun
provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro
tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19)
e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento
in autotutela, che è però esercitabile solo in
presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto
al mero riscontro dell’illegittimità.
La posizione espressa con la sentenza di questa
Sezione n. 2799/2014 è stata condivisa e
ribadita da numerose successive pronunce di primo
grado.
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che
“Una tale interpretazione appare
peraltro obbligata secondo una lettura
costituzionalmente orientata delle norme alla luce
dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113
della Costituzione, non risultando altrimenti
giustificabile, rispetto all’intento di garantire
una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi,
l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al
diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività costituiscano
provvedimenti taciti direttamente impugnabili,
ammettendo solo che i terzi interessati possano
sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela
della propria sfera giuridica, quando l’intervento
di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad
esso possa riconoscersi la titolarità di un
interesse differenziato e qualificato, il divieto di
prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve
potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti
propri dell’autotutela avviata d’ufficio.”.
---------------
Posto quindi che, secondo la
lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter,
impone all’amministrazione di esercitare pieni
poteri inibitori della denuncia di inizio di
attività, anche dopo il “consolidarsi” del
titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un
terzo titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata, occorre chiedersi se
tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento
l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero
abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo
stabilito.
Anche questa questione è stata affrontata, sia
pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n.
2799/2014.
In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente
evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla
denuncia di inizio di attività presentata dal
confinante si era rivolto all’amministrazione entro
sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli
atti della pratica edilizia, aveva preso piena
conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte
caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto
rilevante la circostanza che l’istanza volta a
provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse
intervenuta entro il suddetto termine.
Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia
al momento della presentazione dell’istanza rivolta
all’amministrazione non è stato condiviso da un
altro orientamento giurisprudenziale recentemente
emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso
dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti
rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e
ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri
inibitori, senza necessità del riscontro dei
presupposti propri dell’autotutela.
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base
del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19
della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica
testualmente alcun limite temporale per la diffida
diretta all’amministrazione– sia in considerazione
della circostanza che la possibilità di un
intervento “a tutto campo” e in ogni tempo
sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione
proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato
dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata
dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo
alla formazione di un provvedimento amministrativo e
si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali
considerazioni possano essere condivise soltanto in
parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
Deve, anzitutto, confermarsi e
ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso
–anche in relazione al profilo inerente ai termini
per la sollecitazione dei poteri inibitori–
dalla sentenza della Sezione n. 2799 del
2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni
raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata
siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione
sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente
orientata del dato normativo, costituito
dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241
del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve
necessariamente tenere conto della circostanza che
l’intera disciplina della denuncia di inizio di
attività, fino ai più recenti interventi normativi
(in parte successivi alla formazione dei titoli
oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti
ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema),
risulta chiaramente ispirata dalla finalità di
coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento
normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del
privato con quella di assicurare comunque una
sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a
quella propria del permesso di costruire– dopo il
decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo, è
certamente necessario
–come sopra detto– assicurare al
terzo la possibilità di ottenere piena tutela,
mediante l’esercizio dei poteri inibitori
dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso
tale termine di tendenziale “stabilizzazione”
del titolo edilizio.
Tuttavia, tale possibilità non può
tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia
attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né
eccedere quanto necessario e sufficiente ad
assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio
attività una tutela equivalente a quella
riconosciuta al soggetto leso da un permesso di
costruire.
Per questa ragione, deve ritenersi
che il soggetto titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata che lamenti un
pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività possa ottenere il
pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori,
senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto
laddove abbia sollecitato l’intervento
dell’amministrazione entro sessanta giorni dal
momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta
giorni, pur non espressamente previsto dal comma
3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990,
deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo
conto che la diffida prevista dalla disposizione ora
richiamata costituisce l’unico “canale”
percorribile dall’interessato al fine di adire
eventualmente, in un secondo momento, la tutela
giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di
assicurare sia la pienezza della tutela
(ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione),
che la parità di trattamento
rispetto al soggetto leso da un permesso di
costruire
(in relazione all’articolo 3 della Costituzione)
impone di fare applicazione del
termine ordinariamente previsto per l’impugnazione
dei provvedimenti amministrativi, fissato
dall’articolo 29 del codice del processo
amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29
ora richiamato ha natura processuale e non
procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita
dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990 costituisce un passaggio obbligato per
l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è
dalla disciplina propria di quest’ultima che può e
deve trarsi il dato necessario all’integrazione in
via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata
accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di
rimarcare, in una recente pronuncia, che “il
potere di sollecitazione del terzo non è da
intendersi come esercitabile ad libitum, bensì
rimane assoggettato al rispetto del termine di
decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.”.
---------------
Occorre a questo punto domandarsi quid iuris
nel caso in cui il terzo abbia richiesto
l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di
sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena
conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di
inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in
questo caso, l’impugnazione del provvedimento con
cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei
poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente
inammissibile.
Il Collegio non ignora che tale soluzione
risulta essere stata accolta dalla sentenza del
Consiglio di Stato da ultimo richiamata, ma ritiene –su questo
specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni
in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato
imprescindibile che il comma 6-ter
dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non
prevede alcun termine per la sollecitazione dei
poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del
correlativo obbligo, per quest’ultima, di
pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo
titolare di una situazione giuridica qualificata e
differenziata, entro il termine di sessanta giorni
dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a.,
l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare
pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo
ben possa sollecitare l’intervento
dell’amministrazione anche oltre tale termine, al
fine di invocare non già il pieno esercizio dei
poteri inibitori, bensì il riscontro della
sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente
previsti per l’intervento in autotutela.
Al riguardo, deve precisarsi
che –anche laddove la sollecitazione debba
intendersi diretta a provocare l’esercizio dei
poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque
tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente
illustrando le ragioni per le quali ritenga non
sussistenti i presupposti per la rimozione del
titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i
principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola,
tipicamente discrezionale nell’an, per cui
l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a
riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un
privato . Tuttavia, nel caso della
denuncia o segnalazione certificata di inizio
attività, la sussistenza di un dovere
dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei
presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal
chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis
dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente
al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un
incondizionato accesso anche alla tutela
giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal
legislatore è coerente con il fondamentale rilievo
che, nel caso di intervento di controllo relativo
alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di
esercizio di poteri di autotutela in senso proprio,
poiché manca un provvedimento amministrativo
rispetto al quale possa esercitarsi un potere di
secondo grado. Piuttosto –come sopra detto–
l’amministrazione, in questo caso, esercita pur
sempre poteri di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei presupposti per
l’intervento in autotutela.
---------------
In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui
esposto, il Collegio ritiene che la
previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della
legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di
riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza
con cui un terzo, titolare di una situazione
giuridica qualificata e differenziata, abbia
sollecitato l’intervento della stessa
amministrazione in relazione a una denuncia o
segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare, laddove l’istanza
pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui
tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei
profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione
sarà tenuta a esercitare, sussistendone i
presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in
difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della
tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un
permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni,
l’amministrazione dovrà comunque a verificare,
dandone conto motivatamente, unicamente la
sussistenza dei presupposti per l’esercizio
dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che
la circostanza che tale terzo abbia
avuto conoscenza del titolo edilizio da più di
sessanta giorni non comporta conseguenze
processuali, in relazione alla eventuale successiva
azione giurisdizionale contro il silenzio o il
provvedimento negativo emesso dall’amministrazione,
ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale.
---------------
MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione,
si rende necessario chiarire la portata delle
previsioni normative rilevanti nel presente
giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le mosse
proprio dalla sentenza di questa Sezione n. 2799 del
2014, che ha raggiunto conclusioni che il Collegio
condivide e ritiene di dover ribadire, e che
tuttavia non conducono all’esito sostenuto dal
controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività,
secondo quanto autorevolmente chiarito, ormai da
tempo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato, “non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in
ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce
un atto privato volto a comunicare l’intenzione di
intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla
legge”
(Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione, questa,
che ha poi trovato piena conferma da parte del
legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma
6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990
–introdotto dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del
decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con
modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148–
stabilisce espressamente che “La
segnalazione certificata di inizio attività, la
denuncia e la dichiarazione di inizio attività non
costituiscono provvedimenti taciti direttamente
impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il
decorso del termine normativamente previsto per
l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta
che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo,
ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri
inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta
giorni di tempo per proporre impugnazione
giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza,
in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata
autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro
normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n.
15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento
suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria
nel diniego tacito di esercizio del potere
inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era
pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate
alla luce delle successive novità legislative e, in
particolare, di quanto ora disposto dal richiamato
articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del
1990.
In base a quest’ultima disposizione, “(...)
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio
delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in
caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di
cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto
legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Previsione, questa, che come evidenziato dalla
giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta
sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o
della SCIA –non costituenti provvedimenti
amministrativi, neppure impliciti– ma consente la
sola tutela giurisdizionale secondo il citato
meccanismo di cui all’art. 31”
(TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n. 126).
9. In tale quadro si colloca il tema della tutela
del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla
denuncia di inizio di attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del 2014, la
Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei
confronti degli interventi oggetto di una denuncia
di inizio di attività vanno esercitati entro il
termine normativamente prescritto, decorso il quale
il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di
regola– l’impossibilità per il Comune di
intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di
autotutela
(Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno
riscontro nell’attuale previsione del comma 4
dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come
sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della
legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio
del controllo sulla denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività, “l'amministrazione
competente adotta comunque i provvedimenti previsti
dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile
ratione temporis nel presente giudizio, ma che
ha sostanzialmente codificato gli esiti del
dibattito giurisprudenziale sul punto. E ciò anche
avuto riguardo alla natura dei poteri esercitati
dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che
sono pur sempre di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei presupposti per
l’intervento in autotutela (in coerenza con quanto
già da tempo autorevolmente chiarito da Cons. Stato,
Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799 del
2014 ha affermato che l’intervento
inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non
soggetto al ricorrere dei presupposti propri del
potere di autotutela, laddove la carenza dei
presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo,
titolare di una posizione giuridica qualificata e
differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter
del medesimo articolo 19.
E ciò
–come già affermato nella sentenza richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore
testuale della previsione normativa richiamata a non
fare alcun riferimento al decorso del termine per il
“consolidarsi” della denuncia di inizio di
attività.
D’altra parte –come pure si è affermato nella
sentenza n. 2799 del 2014– “laddove
dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza
della d.i.a. dopo il decorso del termine per il
compimento delle verifiche, non possa chiedere
l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un
vulnus nei confronti della tutela offerta
dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.”
Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun
provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro
tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19)
e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento
in autotutela, che è però esercitabile solo in
presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto
al mero riscontro dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di questa
Sezione n. 2799 del 2014 è stata condivisa e
ribadita da numerose successive pronunce di primo
grado (TAR Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015,
n. 1410; TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114;
TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che
“Una tale interpretazione appare
peraltro obbligata secondo una lettura
costituzionalmente orientata delle norme alla luce
dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113
della Costituzione, non risultando altrimenti
giustificabile, rispetto all’intento di garantire
una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi,
l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al
diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e
la dichiarazione di inizio attività costituiscano
provvedimenti taciti direttamente impugnabili,
ammettendo solo che i terzi interessati possano
sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela
della propria sfera giuridica, quando l’intervento
di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad
esso possa riconoscersi la titolarità di un
interesse differenziato e qualificato, il divieto di
prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve
potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti
propri dell’autotutela avviata d’ufficio.”
(così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10. Posto quindi che, secondo la
lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter,
impone all’amministrazione di esercitare pieni
poteri inibitori della denuncia di inizio di
attività, anche dopo il “consolidarsi” del
titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un
terzo titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata, occorre chiedersi se
tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento
l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero
abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo
stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata affrontata, sia
pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n.
2799 del 2014, come correttamente rilevato, nel
presente giudizio, dalla difesa del
controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente
evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla
denuncia di inizio di attività presentata dal
confinante si era rivolto all’amministrazione entro
sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli
atti della pratica edilizia, aveva preso piena
conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte
caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto
rilevante la circostanza che l’istanza volta a
provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse
intervenuta entro il suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia
al momento della presentazione dell’istanza rivolta
all’amministrazione non è stato condiviso da un
altro orientamento giurisprudenziale recentemente
emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso
dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti
rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e
ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri
inibitori, senza necessità del riscontro dei
presupposti propri dell’autotutela (in questo senso:
TAR Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base
del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19
della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica
testualmente alcun limite temporale per la diffida
diretta all’amministrazione– sia in considerazione
della circostanza che la possibilità di un
intervento “a tutto campo” e in ogni tempo
sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione
proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato
dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata
dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo
alla formazione di un provvedimento amministrativo e
si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali
considerazioni possano essere condivise soltanto in
parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
10.3 Deve, anzitutto, confermarsi e
ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso
–anche in relazione al profilo inerente ai termini
per la sollecitazione dei poteri inibitori–
dalla sentenza della Sezione n. 2799 del
2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni
raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata
siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione
sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente
orientata del dato normativo, costituito
dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241
del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve
necessariamente tenere conto della circostanza che
l’intera disciplina della denuncia di inizio di
attività, fino ai più recenti interventi normativi
(in parte successivi alla formazione dei titoli
oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti
ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema),
risulta chiaramente ispirata dalla finalità di
coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento
normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del
privato con quella di assicurare comunque una
sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a
quella propria del permesso di costruire– dopo il
decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo, è
certamente necessario
–come sopra detto– assicurare al
terzo la possibilità di ottenere piena tutela,
mediante l’esercizio dei poteri inibitori
dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso
tale termine di tendenziale “stabilizzazione”
del titolo edilizio.
Tuttavia, tale possibilità non può
tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia
attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né
eccedere quanto necessario e sufficiente ad
assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio
attività una tutela equivalente a quella
riconosciuta al soggetto leso da un permesso di
costruire.
Per questa ragione, deve ritenersi
che il soggetto titolare di una situazione giuridica
qualificata e differenziata che lamenti un
pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione
certificata di inizio attività possa ottenere il
pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori,
senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto
laddove abbia sollecitato l’intervento
dell’amministrazione entro sessanta giorni dal
momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta
giorni, pur non espressamente previsto dal comma
3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990,
deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo
conto che la diffida prevista dalla disposizione ora
richiamata costituisce l’unico “canale”
percorribile dall’interessato al fine di adire
eventualmente, in un secondo momento, la tutela
giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di
assicurare sia la pienezza della tutela
(ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione),
che la parità di trattamento
rispetto al soggetto leso da un permesso di
costruire
(in relazione all’articolo 3 della Costituzione)
impone di fare applicazione del
termine ordinariamente previsto per l’impugnazione
dei provvedimenti amministrativi, fissato
dall’articolo 29 del codice del processo
amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29
ora richiamato ha natura processuale e non
procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita
dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241
del 1990 costituisce un passaggio obbligato per
l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è
dalla disciplina propria di quest’ultima che può e
deve trarsi il dato necessario all’integrazione in
via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata
accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di
rimarcare, in una recente pronuncia, che “il
potere di sollecitazione del terzo non è da
intendersi come esercitabile ad libitum, bensì
rimane assoggettato al rispetto del termine di
decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.”
(così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi quid iuris
nel caso in cui il terzo abbia richiesto
l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di
sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena
conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di
inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in
questo caso, l’impugnazione del provvedimento con
cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei
poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente
inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale soluzione
risulta essere stata accolta dalla sentenza del
Consiglio di Stato da ultimo richiamata (Cons. Stato
n. 5161 del 2015, cit.), ma ritiene –su questo
specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni
in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato
imprescindibile (ben evidenziato, come detto, da TAR
Piemonte n. 1114 del 2015, cit., che però perviene a
conclusioni non coincidenti con quelle qui
sostenute) che il comma 6-ter
dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non
prevede alcun termine per la sollecitazione dei
poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del
correlativo obbligo, per quest’ultima, di
pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo
titolare di una situazione giuridica qualificata e
differenziata, entro il termine di sessanta giorni
dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a.,
l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare
pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo
ben possa sollecitare l’intervento
dell’amministrazione anche oltre tale termine, al
fine di invocare non già il pieno esercizio dei
poteri inibitori, bensì il riscontro della
sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente
previsti per l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo, deve precisarsi
che –anche laddove la sollecitazione debba
intendersi diretta a provocare l’esercizio dei
poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque
tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente
illustrando le ragioni per le quali ritenga non
sussistenti i presupposti per la rimozione del
titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i
principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola,
tipicamente discrezionale nell’an, per cui
l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a
riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un
privato
(v. ex multis Cons. Stato, V, 03.05.2012 n.
2549). Tuttavia, nel caso della
denuncia o segnalazione certificata di inizio
attività, la sussistenza di un dovere
dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei
presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal
chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis
dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente
al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un
incondizionato accesso anche alla tutela
giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal
legislatore è coerente con il fondamentale rilievo
che, nel caso di intervento di controllo relativo
alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di
esercizio di poteri di autotutela in senso proprio,
poiché manca un provvedimento amministrativo
rispetto al quale possa esercitarsi un potere di
secondo grado. Piuttosto –come sopra detto–
l’amministrazione, in questo caso, esercita pur
sempre poteri di tipo inibitorio, ma
subordinatamente al riscontro dei presupposti per
l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui
esposto, il Collegio ritiene che la
previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della
legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di
riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza
con cui un terzo, titolare di una situazione
giuridica qualificata e differenziata, abbia
sollecitato l’intervento della stessa
amministrazione in relazione a una denuncia o
segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare, laddove l’istanza
pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui
tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei
profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione
sarà tenuta a esercitare, sussistendone i
presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in
difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della
tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un
permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni,
l’amministrazione dovrà comunque a verificare,
dandone conto motivatamente, unicamente la
sussistenza dei presupposti per l’esercizio
dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che
la circostanza che tale terzo abbia
avuto conoscenza del titolo edilizio da più di
sessanta giorni non comporta conseguenze
processuali, in relazione alla eventuale successiva
azione giurisdizionale contro il silenzio o il
provvedimento negativo emesso dall’amministrazione,
ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale
(secondo quanto già rilevato dalla Sezione con la
sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il ricorso
giurisdizionale avverso il provvedimento con cui
l’amministrazione abbia negato il proprio intervento
sarà quindi ammissibile –sussistendo, beninteso,
tutte le altre condizioni dell’azione– ma la
risposta dell’amministrazione dovrà essere
verificata tenendo conto del diverso potere
esercitato nelle due ipotesi sopra dette (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2016 n. 735 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sebbene
a seguito della presentazione della DIA non si formi alcun
provvedimento tacito, una volta spirato il termine per
l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione può
ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non
conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di
autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad
oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con
l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano
l’esercizio.
E’ pertanto indispensabile, affinché tale potere possa dirsi
legittimamente esercitato, che, ai sensi dell’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii
all’interessato la comunicazione di avviso di avvio del
procedimento, che l’atto di autotutela intervenga
tempestivamente, e che in esso si dia conto delle prevalenti
ragioni di interesse pubblico concrete ed attuali, diverse
da quelle al mero ripristino della legalità violata, che
depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
---------------
28. La giurisprudenza ritiene che, sebbene a seguito della
presentazione della DIA non si formi alcun provvedimento
tacito, una volta spirato il termine per l’esercizio del
potere inibitorio, l’amministrazione possa ancora
intervenire per contrastare l’attività edilizia non conforme
alla vigente normativa, esercitando un potere di autotutela
sui generis (sui generis proprio perché non ha ad oggetto un
provvedimento di primo grado) che condivide con l’ordinario
potere di autotutela i principi che ne governano l’esercizio
(cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
29. E’ pertanto indispensabile, affinché tale potere possa
dirsi legittimamente esercitato, che, ai sensi dell’art.
21-nonies della legge n. 241 del 1990, l’autorità
amministrativa invii all’interessato la comunicazione di
avviso di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela
intervenga tempestivamente, e che in esso si dia conto delle
prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità
violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in
considerazione gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati
(TAR Lombardia-Milano, sez. II,
sentenza 18.02.2016 n. 355 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
vero che il sistema delineato
dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare
la tutela di affidamento del privato che abbia presentato
una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in
cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
Sicché, il provvedimento comunale di archiviazione del
procedimento di verifica (di terzi) deve essere annullato,
ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo
all’Amministrazione di completare sollecitamente il
procedimento di verifica accertando analiticamente la
fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando
i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle
illegittimità segnalate hanno carattere doveroso e non
soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica
attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel
caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso
nella propria posizione qualificata e differenziata.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta
l’illegittimità del provvedimento di archiviazione, è invece
fondato e deve essere accolto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha disposto l’archiviazione
del procedimento di verifica della legittimità delle denunce
di inizio attività ritenendo di per sé ostativa, e quindi
senza svolgere un approfondimento istruttorio sui singoli
rilievi sollevati nelle richieste di verifica, la norma di
cui all’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241,
nel testo allora vigente.
Secondo il Comune anche a seguito della richiesta di
verifica da parte di un terzo non è possibile procedere al
divieto di prosecuzione dell’attività se non vi siano
lesioni agli specifici interessi sensibili menzionati
dall’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241.
Tale norma ammette il divieto di prosecuzione dell’attività
“solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio
artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la
sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, che nel caso di
specie non ricorrono.
La tesi non è condivisibile.
La giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce (cfr. Tar
Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; Tar Campania,
Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; Tar Lombardia,
Milano, Sez. II, 21.11.2014, n. 4799), ha infatti
chiarito che è vero che il sistema delineato dal citato art.
19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la
tutela di affidamento del privato che abbia presentato una
dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui
alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la
scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel
senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3
(falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di
danno per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la
difesa nazionale), le Amministrazioni non possono
intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo
all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha
previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere
ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo
una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla
luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela
giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della
Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile,
rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità
ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe
imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività
intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la
dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti
taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi
interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche
spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della
propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica
risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa
riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e
qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o
l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i
limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
In definitiva, in accoglimento delle censure del secondo
motivo, il provvedimento di archiviazione del procedimento
di verifica deve essere annullato, ed a tale annullamento
consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare
sollecitamente il procedimento di verifica accertando
analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi
proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in
caso di riscontro delle illegittimità segnalate, come sopra
precisato, hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai
limiti previsti per le attività di verifica attivate
d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di
specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella
propria posizione qualificata e differenziata
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 12.10.2015 n. 1039 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’improrogabilità dei termini
per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso,
ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione
dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69
del 2013, secondo quanto sopra detto– costituisce un tratto
caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di
attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa
di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla
giurisprudenza.
Basti, al riguardo, tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel
prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si
riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del
2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività
sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre
anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che
“La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è
subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del
2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia
di inizio attività devono essere iniziati entro un anno
dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati
entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione
della parte di intervento non ultimata nel predetto termine
è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei
termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di
inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento
a contrario, evincibile proprio dalla previsione
dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013,
che ha espressamente e appositamente previsto l’applicazione
della proroga straordinaria ed eccezionale dei termini di
ultimazione dei lavori anche con riferimento agli interventi
oggetto di denuncia di inizio attività.
Il legislatore ha quindi evidentemente inteso stabilire,
anche sotto questo profilo, una deroga al regime ordinario,
che di per sé esclude espressamente la possibilità per
l’Amministrazione di spostare in avanti i termini di
ultimazione degli interventi oggetto di denuncia di inizio
attività.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non
irragionevole –in considerazione della natura e dei
caratteri della denuncia di inizio attività– né
discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il
permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur
sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere
quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto
della d.i.a..
4. Venendo ai motivi aggiunti, va respinto il mezzo indicato
come terzo.
E invero, essendo allegata l’illegittimità derivata del
secondo diniego di proroga rispetto al PGT, il rigetto delle
censure dirette contro lo strumento urbanistico comporta che
uguale sorte debbano seguire anche tali prospettate
doglianze di illegittimità derivata.
5. Quanto alle ulteriori censure, deve rilevarsi che il
secondo diniego di proroga della d.i.a. reca due distinte
motivazioni, poiché in esso si legge:
- “Richiamato l’articolo 15.2 del D.P.R. n. 380/2001 il
nuovo titolo abilitativo conseguito con Dia non può
ritenersi pertanto idoneo al fine dell’ottenimento di una
eventuale proroga della fine dei lavori”;
- “Si fa presente infine che le opere ancora da realizzare
consistono nella completa realizzazione dei fabbricati in
progetto, elemento significativo nel considerare le
prescrizioni del nuovo strumento urbanistico prevalenti
sulla volontà di portare a compimento un’opera ora in
contrasto con la normativa attualmente in vigore”.
Ora, la parte ricorrente dirige le proprie censure –nel
motivo rubricato come quinto nel ricorso per motivi aggiunti– unicamente contro questa seconda ragione posta alla base
del provvedimento impugnato. Nessuna censura è invece
espressamente articolata nel ricorso contro la prima delle
motivazioni indicate dall’Amministrazione, ossia
l’impossibilità di carattere generale di prorogare i termini
per l’esecuzione degli interventi oggetto di denunce
d’inizio attività.
D’altro canto, anche a voler tenere conto di quanto
affermato dalla parte in memoria, laddove essa allega
l’irragionevolezza e la disparità di trattamento, rispetto
al regime del permesso di costruire, che deriverebbe
dall’improrogabilità della d.i.a., prospettando
l’illegittimità costituzionale della relativa disciplina (v.
memoria del 02.04.2015, p. 5 e pp. 11 e s.), il Collegio
ritiene che la motivazione addotta dal Comune sia
insuperabile, per le ragioni che di seguito si espongono.
Deve, anzitutto, rilevarsi che l’improrogabilità dei termini
per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso,
ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione
dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69
del 2013, secondo quanto sopra detto– costituisce un tratto
caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di
attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa
di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla
giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. IV, 11.12.2013,
n. 5969, che conferma la sentenza di questa Sezione, 08.03.2013, n. 619).
Basti, al riguardo, tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel
prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si
riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del
2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività
sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre
anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che
“La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è
subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del
2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia
di inizio attività devono essere iniziati entro un anno
dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati
entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione
della parte di intervento non ultimata nel predetto termine
è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei
termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di
inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento
a contrario, evincibile proprio dalla previsione
dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013,
che ha espressamente e appositamente previsto l’applicazione
della proroga straordinaria ed eccezionale dei termini di
ultimazione dei lavori anche con riferimento agli interventi
oggetto di denuncia di inizio attività.
Il legislatore ha quindi evidentemente inteso stabilire,
anche sotto questo profilo, una deroga al regime ordinario,
che di per sé esclude espressamente la possibilità per
l’Amministrazione di spostare in avanti i termini di
ultimazione degli interventi oggetto di denuncia di inizio
attività.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non
irragionevole –in considerazione della natura e dei
caratteri della denuncia di inizio attività– né
discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il
permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur
sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere
quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto
della d.i.a.
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.07.2015 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La denuncia di inizio attività non è un
provvedimento amministrativo tacito, bensì un atto privato
dell'avvio di un'attività che trova la sua legittimità
direttamente nella legge.
Dunque, non è corretto affermare che, decorsi trenta giorni
dalla segnalazione certificata di inizio attività, si sia
formato un provvedimento tacito di assenso all’attività
edilizia programmata.
Piuttosto, presentata la segnalazione certificata di inizio
attività, l’amministrazione ha trenta giorni di tempo per
intervenire al fine di inibire l’intervento edilizio per il
quale manchi una delle condizioni previste dalla legge.
Il termine in questione deve ritenersi riferito all’adozione
del provvedimento inibitorio, e non alla sua notificazione.
7. - Il motivo, nel suo complesso, è infondato.
7.1. - Innanzitutto, va ricordato che la denuncia di inizio
attività non è un provvedimento amministrativo tacito, bensì
un atto privato dell'avvio di un'attività che trova la sua
legittimità direttamente nella legge (Cons. Stato, Ad. Plen.,
29.07.2011, n. 15).
Dunque, non è corretto affermare che, decorsi trenta giorni
dalla segnalazione certificata di inizio attività, si sia
formato un provvedimento tacito di assenso all’attività
edilizia programmata.
Piuttosto, presentata la segnalazione certificata di inizio
attività, l’amministrazione ha trenta giorni di tempo per
intervenire al fine di inibire l’intervento edilizio per il
quale manchi una delle condizioni previste dalla legge.
Il termine in questione deve ritenersi riferito all’adozione
del provvedimento inibitorio, e non alla sua notificazione
(TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 04.04.2012, n. 990; TAR
Puglia–Lecce, Sez. I, 15.01.2009, n. 54).
Nel caso di specie, il provvedimento, adottato il
19.03.2015, è tempestivo in considerazione della data di
presentazione della segnalazione certificata di inizio
attività, e cioè il 18.02.2015 (TAR Calabria-Catanzaro, Sez.
II,
sentenza 11.06.2015 n. 1066 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come già ricordato da questa Sezione, per effetto
dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in
caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione
certificata di inizio attività), reputate illegittime, i
soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia
possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima,
esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della
Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti-
ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato
meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a.; mentre, l’art. 133,
comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva,
a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo
pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di ordinare il ripristino dei luoghi e la
demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
4. Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la domanda
di accertamento della illegittimità/inefficacia della DIA
del 22.10.2012 e della successiva SCIA del 02.07.2013.
Come già ricordato da questa Sezione con la sentenza n. 233
del 17.02.2013, resa nel precedente giudizio sul
silenzio, infatti, per effetto dell'art. 19, ultimo comma,
della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una
DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio
attività), reputate illegittime, i soggetti che si
considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare
l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia di quest'ultima, esperire
"esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica
Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo
questa Sezione già in precedenza affermato che la
disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente
l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non
costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il
citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a. (cfr. Sez. II:
05.03.2012, n. 298; 15.02.2013, n. 230); mentre,
l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione
esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal
terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette
l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede
di verifica di segnalazione certificata, denuncia e
dichiarazione d’inizio attività”.
Quello appena descritto è
d’altra parte il percorso seguito dai ricorrenti, che hanno
prima reagito giudizialmente al silenzio della P.A.,
ottenendo la condanna di quest’ultima a provvedere sulla
loro diffida, e poi hanno impugnato il provvedimento del 23.04.2014 di diniego di autotutela.
5. Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo
del Comune di Vicenza di ordinare il ripristino dei luoghi e
la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là
del portato motivazionale della presente sentenza, ancora
margini di esercizio della discrezionalità da parte del
Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in
autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie
gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata
considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo
stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
Inoltre, non risulta che nel caso in esame siano state poste
in essere falsità progettuali tali da legittimare un
vincolato intervento sanzionatorio, venendo in rilievo, come
testimoniato dalla presente motivazione, solo questioni
interpretative di norme legislative e regolamentari
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.04.2015 n. 424 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittimo
annullamento della DIA e del certificato di agibilità.
Coglie nel segno il motivo incentrato
sulla violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del
1990, concernente l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio da parte della p.a..
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti
incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a
norma della citata disposizione di legge, devono assistere
l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di
un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005,
ha declinato le coordinate per il valido esercizio del
potere di autotutela espressamente ponendo, quale
indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del
relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo
grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni
di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento
viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole
entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi
dei soggetti privati coinvolti.
---------------
Sia pure richiamando l’interesse pubblico astrattamente
sotteso alla classificazione di pericolosità geomorfologica
dell’area– l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero
versante del bilanciamento degli opposti interessi in gioco,
sia perché si è mantenuto in una posizione del tutto
generica e non circostanziata in ordine all’interesse
pubblico sussistente in concreto (posto che non risulta
essere mai stata effettuata un’indagine sullo stato dei
luoghi, al fine di verificare la concreta incidenza delle
opere realizzate con l’assetto geomorfologico del
territorio), sia perché non ha dato conto dell’opposto
interesse del privato al mantenimento dell’opera, anche in
relazione alla consistenza di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un
termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado
avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento
dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004,
il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a
distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia
dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.
... per l'annullamento dell'ordinanza n. 1 del 13.12.2013,
notificata il 28.12.2013, con la quale il responsabile del
servizio urbanistica associato della Comunità Montana Terre
del Giarolo ha annullato in autotutela la D.I.A. prot. 490
del 30.03.2004 ed il certificato di agibilità del 21.09.2010
e ordinato il ripristino dei luoghi entro il termine di 90
giorni;
...
Il ricorso è fondato.
Coglie nel segno il motivo incentrato sulla violazione
dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, concernente
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte
della p.a.
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti
incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a
norma della citata disposizione di legge, devono assistere
l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di
un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005,
ha declinato le coordinate per il valido esercizio del
potere di autotutela espressamente ponendo, quale
indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del
relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo
grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni
di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento
viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole
entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi
dei soggetti privati coinvolti (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. VI, n. 5609 del 2014; Id., sez. V, n. 4902
del 2014; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 208 del 2012;
TAR Piemonte, questa sez. II, n. 609 e n. 1198 del 2012;
Cons. Stato, sez. IV, n. 4770 del 2011).
Deve osservarsi, in proposito, che –sia pure richiamando
l’interesse pubblico astrattamente sotteso alla
classificazione di pericolosità geomorfologica dell’area–
l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero versante del
bilanciamento degli opposti interessi in gioco, sia perché
si è mantenuto in una posizione del tutto generica e non
circostanziata in ordine all’interesse pubblico sussistente
in concreto (posto che non risulta essere mai stata
effettuata un’indagine sullo stato dei luoghi, al fine di
verificare la concreta incidenza delle opere realizzate con
l’assetto geomorfologico del territorio), sia perché non ha
dato conto dell’opposto interesse del privato al
mantenimento dell’opera, anche in relazione alla consistenza
di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un
termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado
avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento
dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004,
il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a
distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia
dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.
Rilevanza, in proposito, assume quanto l’amministrazione ha
illustrato in giudizio mediante l’apposita relazione di
chiarimenti (predisposta a seguito di ordinanza istruttoria
del Collegio). Lungi dal giustificare le ragioni
dell’abnorme ritardo, e lungi dall’allegare circostanze di
fatto tali da far ritenere sussistente, in concreto, un
pericolo per il territorio derivante dalle opere realizzate,
l’amministrazione, al contrario, ha confermato l’inesistenza
di alcuna ragione giustificatrice del proprio intervento in
autotutela.
Per un verso, infatti, essa ha riconosciuto che le opere
realizzate nel 2004 non hanno comportato alcun aumento del
carico antropico e, soprattutto, hanno mantenuto invariati
la superficie ed il volume dell’immobile: onde non si
comprende quale incidenza sul territorio esse abbiano potuto
apportare, in termini anche di mera compromissione della
stabilità geomorfologica, risultando per converso
insussistente alcun interesse pubblico attuale alla
demolizione. Per altro verso, essa ha affermato che il lungo
lasso di tempo intercorso tra la d.i.a. presentata nel 2004
e l’esercizio del potere di annullamento in autotutela nel
2013 è dipeso “dall’avvio del procedimento in data
21.03.2012 da parte della Comunità Montana Terre del Giarolo
a seguito di segnalazione da parte di privato”: ma
davvero non è dato comprendere il significato di siffatta
affermazione, certamente non tale da giustificare le ragioni
del mancato esercizio dell’attività di vigilanza edilizia
per quasi un decennio, peraltro essendo già disponibili, sin
dalla data del deposito della d.i.a., le planimetrie e la
relazione del progettista incaricato dei lavori che avevano
descritto le opere da eseguirsi; e vieppiù, considerando che
nemmeno in occasione della presentazione della successiva
d.i.a. del 2010 l’amministrazione ha avuto alcunché da
obiettare, tantomeno in ordine agli aspetti geomorfologici,
ed ha anzi rilasciato il certificato di agibilità (TAR
Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.02.2015 n. 293 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
climatizzatori o i condizionatori, per consolidata
giurisprudenza amministrativa, costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001.
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
---------------
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma
1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004.
----------------
1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello
di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di
Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato
Ca.An.Pa. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e
23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva
nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di
ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in
23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto
dagli artt. 81 cod. pen. e 44, lett. a), d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in
area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore
d'aria a servizio del proprio esercizio commerciale in
assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b)
previsto dall'art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42 per aver
eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona
sottoposta al vincolo paesaggistico in Ostuni il 14.10.2008.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre per
cassazione, a mezzo del difensore, Ca.An.Pa. affidando il
gravame a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia
l'erronea ed illegittima applicazione dell'art. 44, lett.
a), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 606, comma 1, lett. b),
cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea
apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente
all'esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun
modo, nella previsione di cui all'art. 44, lett. a), del DPR
380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere
alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si
contesta, infatti, la presunta violazione dell'art. 17 del
regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa
e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno
allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame.
Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non
rientra e non può rientrare nella previsione dell'art. 44,
lett. a), del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea
installazione di un piccolo supporto tecnologico non può
configurare e/o costituire attività urbanistica-edilizia,
non incidendo minimamente sull'uso del territorio.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione
della legge penale in relazione all'art. 54 cod. pen. (art.
606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) per aver la Corte
territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di
necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo
operato essere inquadrato in una condizione di necessità non
altrimenti risolvibile.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione
dell'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa
alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del
vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto
che l'ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di
natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna
incidenza sotto il profilo paesaggistico.
2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa
applicazione della legge penale e del difetto di motivazione
(art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in
ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di
legge (sospensione condizionale della pena e non menzione
della condanna) per la violazione del principio di
proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità
dell'intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il
Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.
...
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei
motivi e per la proposizione di essi nei casi non
consentiti.
2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare
come i climatizzatori o i condizionatori,
per consolidata giurisprudenza amministrativa
(ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del
01/10/2008), costituiscono impianti
tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie,
all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli
interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del
2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di
settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o
installazione, seppure non necessitante del permesso di
costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di
inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R.
n. 380 del 2001.
L'articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del
2001 (come modificato dall'art. 17, comma 1, decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e
la redazione della presente sentenza, nella legge
11.11.2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di
manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche
necessarie per rinnovare e sostituire parti anche
strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed
integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre
che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e
non comportino modifiche delle destinazioni di uso", e
l'articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede,
per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi
dell'istallazione di impianti che si pongano in rapporto di
strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto "Sblocca Italia" (decreto legge
12.09.2014, n. 133 convertito in legge 11.11.2014, n. 164)
ha introdotto modifiche alla nozione di "manutenzione
straordinaria", irrilevanti ai fini dello scrutinio
della questione sottoposta alla Corte, in quanto il
riferimento a "volumi e superfici delle singole unità
immobiliari" è stato modificato, come si è in precedenza
segnalato, nel concetto di "volumetria complessiva degli
edifici" ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa,
nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli
interventi di frazionamento o accorpamento delle unità
immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la
variazione delle superfici delle singole unità immobiliari
nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia
modificata la volumetria complessiva degli edifici e si
mantenga l'originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi
subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22,
commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.),
allorché non conformi alle previsioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione
della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del
citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di
interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora
S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile
la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello
stesso decreto n. 380 del 2001
(Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez.
3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l'installazione del
condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione
dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la
segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è
stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R.
n. 380 del 2001.
3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame
attengono a questioni che sono state già proposte al giudice
d'appello e sono state motivatamente respinte.
L'opera installata dalla ricorrente non
rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra
gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. Va
quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi
interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività
edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme
antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie,
di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle
disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del
paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42
(art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che, essendo stato l'intervento
eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo
paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al
rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla
tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della
fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del
2004 (manifesta
infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte
territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due
precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano
infausta la prognosi relativa all'astensione dalla futura
commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del
quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il
principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per
cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi
proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo
grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito
adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità
delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente
denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3,
n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 13.01.2015 n. 952). |
anno 2014 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 22,
comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 l’esecuzione di
lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela
storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque
subordinata, nonostante l’avvenuta presentazione di una DIA,
al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione
richiesti dalle relative previsioni normative.
In assenza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la
DIA non ha, dunque, effetto e l’intervento deve considerarsi
eseguito in assenza di titolo.
Va invero osservato che, ai sensi
dell’art. 22, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380
l’esecuzione di lavori che riguardino immobili sottoposti a
tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è
comunque subordinata, nonostante l’avvenuta presentazione di
una DIA, al preventivo rilascio del parere o
dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni
normative.
In assenza di rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica la DIA non ha, dunque, effetto e l’intervento
deve considerarsi eseguito in assenza di titolo (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; TAR
Campania Napoli, sez. III, 15.01.2013, n. 295; id.,
sez. VI, 10.01.2011, n. 35)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.07.2014 n. 2148 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come ha definitivamente chiarito il legislatore,
la DIA è un atto del privato e non è, quindi, possibile
ipotizzare la formazione di un provvedimento tacito a
seguito della sua presentazione, neppure dopo lo spirare del
termine di esercizio del potere inibitorio (cfr. art. 19,
comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della DIA
aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il
legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per
l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa
ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non
conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di
autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad
oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con
l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano
l’esercizio.
E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa
invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio
del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a
ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso
delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità
violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in
considerazione gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
20. Si può ora passare proprio all’esame del secondo motivo, con il quale
la ricorrente deduce il mancato rispetto delle norme e dei
principi che governano il potere di autotutela.
21. Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato.
22. Come anticipato, l’amministrazione resistente, con
provvedimento in data 01.10.2010, ha annullato il titolo
edilizio formatosi a seguito della presentazione della DIA
del 12.07.2010.
23. In realtà, l’atto impugnato non è intervenuto su un
titolo edilizio giacché, come ha definitivamente chiarito il
legislatore, la DIA è un atto del privato e non è, quindi,
possibile ipotizzare la formazione di un provvedimento
tacito a seguito della sua presentazione, neppure dopo lo
spirare del termine di esercizio del potere inibitorio (cfr.
art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
24. Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della
DIA aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il
legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per
l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa
ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non
conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di
autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad
oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con
l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano
l’esercizio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
25. E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies
della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa
invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio
del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a
ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso
delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed
attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità
violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in
considerazione gli interessi dei destinatari e dei
controinteressati.
26. Ciò premesso, non ci si può esimere dall’osservare che
il provvedimento impugnato non si è per nulla conformato a
queste prescrizioni.
27. L’atto invero si limita ad enunciare le ragioni di
illegittimità del titolo annullato (rectius dell’attività
edilizia intrapresa) senza specificare in alcun modo le
ragioni di interesse pubblico prevalenti rispetto a quelle
contrastanti della ricorrente: il provvedimento si limita
invero ad affermare “…la presenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale in relazione all’ambito particolare di
tutela ambientale…”.
28. Tale enunciato è però del tutto inadeguato, considerato
anche che il provvedimento impugnato è intervenuto a più di
due anni di distanza dal momento di presentazione della DIA,
quando i lavori erano pressoché ultimati, e che, quindi, in
capo alla ricorrente si era ormai consolidato un fondato
affidamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.05.2014 n. 1278 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Le esigenze di protezione dell’affidamento del
privato, cui sono finalizzate le regole garantistiche per
l’esercizio dell’autotutela, tuttavia, richiedono la
sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali
la d.i.a. resta inefficace, con conseguente sottoposizione
delle opere realizzate –da ritenere prive di titolo– agli
ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto
il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato d.P.R. n. 380
del 2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda
le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi
richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in
presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Viene anche chiarito, al comma 5 del medesimo articolo 23,
che la “sussistenza del titolo è provata con la copia della
denuncia, l’elenco di quanto presentato a corredo del
progetto, l’attestazione del professionista abilitato,
nonché gli atti di assenso eventualmente necessari”.
Tale disposizione conferma l’assunto secondo cui, anche
aderendo alla tesi che attribuisce alla d.i.a. natura
‘privata’, esiste comunque un titolo abilitativo, che può
considerarsi formato alla scadenza del termine previsto per
l’inizio dei lavori, ma solo in presenza di tutti i
presupposti di completezza e veridicità delle
autocertificazioni, nonché degli altri documenti prescritti.
A detto titolo abilitativo, ove regolarmente formato,
corrisponde un legittimo affidamento dell’interessato, su
cui l’Amministrazione può eventualmente incidere –ove
dissenta sulla qualificazione dell’intervento– ma solo con
le garanzie imposte all’esercizio della potestà di
autotutela.
Le disposizioni sopra richiamate debbono essere coordinate
con il pacifico indirizzo giurisprudenziale che identifica,
dal punto di vista amministrativo, l’abuso edilizio come
realizzazione ad effetti permanenti, in relazione ai quali
l’Amministrazione, nel vigilare sul rispetto della normativa
urbanistico-edilizia, non può non disporre il ripristino
dell’ordine urbanistico indebitamente violato, anche per
manufatti risalenti nel tempo, ove realizzati senza il
prescritto titolo abilitativo.
In tale contesto –se è stata ritenuta inefficace la d.i.a.,
presentata senza che fosse stato almeno richiesto la
prescritta autorizzazione paesaggistica– a maggior ragione
non può non ritenersi inefficace una d.i.a., che asseveri la
conformità urbanistica di lavori, da effettuare su un
immobile di cui non sia consentita la legittima permanenza
sul territorio.
La regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio,
dell’immobile interessato da nuovi interventi soggetti a
d.i.a., in altre parole, deve considerarsi presupposto di
veridicità e attendibilità della relazione del progettista
abilitato, chiamato ad asseverare “la conformità delle opere
da realizzare agli strumenti urbanistici approvati”, nonché
l’assenza di “contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti”, oltre al “rispetto delle norme
di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”: appare
evidente infatti che le varie tipologie di interventi
edilizi, diversi da quelli di nuova edificazione ed
incidenti su immobili già realizzati, debbano avere come
indefettibile presupposto il carattere non illegittimo di
detti immobili.
Tale evidenza è rafforzata dalla possibilità di effettuare
previa d.i.a., ex art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del
2001, “gli interventi di ristrutturazione di cui all’art.
10, comma 1, lettera c)”, ordinariamente soggetti a permesso
di costruire ed implicanti –come specificato sia nel citato
art. 10 che nell’art. 3, comma 1, lettera d), del medesimo
d.P.R. n. 380 del 200 – “un insieme sistematico di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente” anche con “aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti e delle
superfici”, non esclusa la “demolizione e ricostruzione con
la stessa volumetria” dell’edificio preesistente.
Ove la d.i.a. non fosse chiamata a certificare la
legittimità dell’intervento nella dimensione più ampia,
riferita anche alla regolarità urbanistico-edilizia
dell’immobile preesistente, potrebbero verificarsi
situazioni paradossali facilmente intuibili, come in caso di
edificazione, in base a d.i.a. (o s.c.i.a.), di un immobile
di cui si postulasse la regolarità, in quanto realizzato al
posto di un fabbricato abusivo demolito e fedelmente
ricostruito, oppure (come nel caso di specie) in presenza
della sopraelevazione di un edificio privo di titolo
abilitativo, che verrebbe sostanzialmente sanato –con
effetti sovrapposti alle disposizioni vigenti in materia
(art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001)– ove l’Amministrazione
ritenesse, in via di autotutela, non applicabili le misure
repressive previste per detta sopraelevazione, con effetti
che coinvolgerebbero inevitabilmente –di fatto
paralizzandole– le misure repressive vincolate, imposte
dall’ordinamento per l’immobile sottostante, con lesione
dell’interesse pubblico alla doverosa salvaguardia
dell’ordine del territorio.
In conclusione, queste nuove forme (basate sulla
dichiarazione dell’interessato) di legittimazione
all’intervento edilizio si fondano su esigenze di rapidità
ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma non vi può
corrispondere anche un’attenuazione dei controlli e delle
misure sanzionatorie, che debbono essere anzi rafforzati
grazie al coinvolgimento della responsabilità del
professionista incaricato, che non può non fondare la
propria valutazione di legittimità degli interventi “da
effettuare” anche con riferimento alla verificata
regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio,
dell’immobile interessato dai lavori.
La questione sottoposta all’esame del
Collegio concerne la dichiarazione di inefficacia di due
denunce di inizio attività (d.i.a.) riferite a un capannone
sul quale si intendevano eseguire lavori di ristrutturazione
con sopraelevazione: lavori ritenuti non più legittimati –con conseguente ordine di demolizione– a causa della
rilevata assenza di titolo abilitativo dell’immobile
preesistente.
In materia di denuncia di inizio attività (d.i.a.), come
disciplinata dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –e con decorrenza 13.07.2011 anche dall’art. 19 della
legge 07.08.1990, n. 241, nel desto introdotto dall’art.
5d. l. 13.05.2011, n. 70, convertito dalla legge 12.07.2011, n. 106 (s.c.i.a.: segnalazione certificata di
inizio attività)– in effetti, sussistono tuttora diversi
indirizzi circa la sua natura giuridica e gli effetti del
decorso del termine, che consente al dichiarante di
effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia.
In
alcuni casi, in particolare, è stato ravvisata in esito alla
procedura la formazione di un provvedimento tacito,
abilitativo dell’intervento (cfr. in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, VI, 05.04.2007, n. 1550; Cons. Stato, IV, 12.03.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811;
Cons. Stato, II, 28.05.2010, parere n. 1990); in altri
la d.i.a. è stata identificata come atto ‘privato’ di
autocertificazione, che pur non costituendo espressione di
potestà pubblicistica, resta oggetto di poteri di controllo
ed inibitori, anche dopo la scadenza del detto termine,
sempre comunque nel rispetto degli articoli 21-quinquies e
21-novies della legge n. 241 del 1990 (cfr. in tal senso
Cons. Stato, VI, 09.02.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751).
Le esigenze di protezione dell’affidamento del
privato, cui sono finalizzate le regole garantistiche per
l’esercizio dell’autotutela, tuttavia, richiedono la
sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali
la d.i.a. resta inefficace, con conseguente sottoposizione
delle opere realizzate –da ritenere prive di titolo– agli
ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto
il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato d.P.R. n. 380
del 2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda
le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi
richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in
presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Viene anche chiarito, al comma 5 del medesimo articolo 23,
che la “sussistenza del titolo è provata con la copia della
denuncia, l’elenco di quanto presentato a corredo del
progetto, l’attestazione del professionista abilitato,
nonché gli atti di assenso eventualmente necessari”.
Tale
disposizione conferma l’assunto secondo cui, anche aderendo
alla tesi che attribuisce alla d.i.a. natura ‘privata’,
esiste comunque un titolo abilitativo, che può considerarsi
formato alla scadenza del termine previsto per l’inizio dei
lavori, ma solo in presenza di tutti i presupposti di
completezza e veridicità delle autocertificazioni, nonché
degli altri documenti prescritti. A detto titolo
abilitativo, ove regolarmente formato, corrisponde un
legittimo affidamento dell’interessato, su cui
l’Amministrazione può eventualmente incidere –ove dissenta
sulla qualificazione dell’intervento– ma solo con le
garanzie imposte all’esercizio della potestà di autotutela.
Le disposizioni sopra richiamate debbono essere coordinate
con il pacifico indirizzo giurisprudenziale che identifica,
dal punto di vista amministrativo, l’abuso edilizio come
realizzazione ad effetti permanenti, in relazione ai quali
l’Amministrazione, nel vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non può non disporre il ripristino
dell’ordine urbanistico indebitamente violato, anche per
manufatti risalenti nel tempo, ove realizzati senza il
prescritto titolo abilitativo (cfr. in tal senso, fra le
tante, Cons. Stato, IV, 11.04.2007, n. 1585, 27.12.2011, n. 6783 e
08.01.2013, n. 32; VI, 15.03.2007, n.
1255).
In tale contesto –se è stata ritenuta inefficace la d.i.a.,
presentata senza che fosse stato almeno richiesto la
prescritta autorizzazione paesaggistica (Cons. Stato, VI, 20.11.2013, n. 5513)– a maggior ragione non può non
ritenersi inefficace una d.i.a., che asseveri la conformità
urbanistica di lavori, da effettuare su un immobile di cui
non sia consentita la legittima permanenza sul territorio.
La regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio,
dell’immobile interessato da nuovi interventi soggetti a
d.i.a., in altre parole, deve considerarsi presupposto di
veridicità e attendibilità della relazione del progettista
abilitato, chiamato ad asseverare “la conformità delle opere
da realizzare agli strumenti urbanistici approvati”, nonché
l’assenza di “contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti”, oltre al “rispetto delle norme
di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”: appare
evidente infatti che le varie tipologie di interventi
edilizi, diversi da quelli di nuova edificazione ed
incidenti su immobili già realizzati, debbano avere come
indefettibile presupposto il carattere non illegittimo di
detti immobili.
Tale evidenza è rafforzata dalla possibilità
di effettuare previa d.i.a., ex art. 22, comma 3, del d.P.R.
n. 380 del 2001, “gli interventi di ristrutturazione di cui
all’art. 10, comma 1, lettera c)”, ordinariamente soggetti a
permesso di costruire ed implicanti –come specificato sia
nel citato art. 10 che nell’art. 3, comma 1, lettera d), del
medesimo d.P.R. n. 380 del 200 – “un insieme sistematico di
opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto
o in parte diverso dal precedente” anche con “aumento di
unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti e
delle superfici”, non esclusa la “demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria” dell’edificio
preesistente.
Ove la d.i.a. non fosse chiamata a certificare
la legittimità dell’intervento nella dimensione più ampia,
riferita anche alla regolarità urbanistico-edilizia
dell’immobile preesistente, potrebbero verificarsi
situazioni paradossali facilmente intuibili, come in caso di
edificazione, in base a d.i.a. (o s.c.i.a.), di un immobile
di cui si postulasse la regolarità, in quanto realizzato al
posto di un fabbricato abusivo demolito e fedelmente
ricostruito, oppure (come nel caso di specie) in presenza
della sopraelevazione di un edificio privo di titolo
abilitativo, che verrebbe sostanzialmente sanato –con
effetti sovrapposti alle disposizioni vigenti in materia
(art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001)– ove l’Amministrazione
ritenesse, in via di autotutela, non applicabili le misure
repressive previste per detta sopraelevazione, con effetti
che coinvolgerebbero inevitabilmente –di fatto
paralizzandole– le misure repressive vincolate, imposte
dall’ordinamento per l’immobile sottostante, con lesione
dell’interesse pubblico alla doverosa salvaguardia
dell’ordine del territorio.
In conclusione, queste nuove forme (basate sulla
dichiarazione dell’interessato) di legittimazione
all’intervento edilizio si fondano su esigenze di rapidità
ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma non vi può
corrispondere anche un’attenuazione dei controlli e delle
misure sanzionatorie, che debbono essere anzi rafforzati
grazie al coinvolgimento della responsabilità del
professionista incaricato, che non può non fondare la
propria valutazione di legittimità degli interventi “da
effettuare” anche con riferimento alla verificata
regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio,
dell’immobile interessato dai lavori.
Nella situazione in esame, non è contestato che il
fabbricato di cui si discute sia stato costruito fra il 1954
e il 1961, né che lo stesso ricadesse nel centro abitato,
sulla base del P.R.G. di Firenze approvato con delibera del
29.12.1931, modificata con delibera n. 967 in data 08.05.1943. E’ anche pacifico che con la legge
06.08.1967, n. 765 (cosiddetta “legge-ponte”) sia stato soltanto
esteso a tutto il territorio comunale quell’obbligo di
titolo abilitativo, che per i centri urbani risultava
introdotto dall’art. 31 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 e che, per le principali città-capoluogo, era
già in precedenza previsto nei rispettivi regolamenti
edilizi. La stessa appellante non contesta del resto
l’assenza di un titolo abilitativo, necessario alla data di
realizzazione del capannone di cui trattasi e –pur
sottolineando l’avvenuta richiesta dell’autorizzazione e la
possibilità di rilascio della stessa (condizionata solo
all’acquisto della comunione su un muro)– conferma il
mancato perfezionamento della licenza edilizia.
In tale situazione, ad avviso del Collegio, nessuna delle
argomentazioni difensive prospettate dall’appellante può
trovare accoglimento.
Col primo motivo di gravame, in particolare, vengono
rappresentate ragioni riferite alla sopravvenuta normativa
in materia di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.),
alla legge della Regione Toscana 03.01.2005, n. 1 (Norme
per il governo del territorio), approvata il 21.12.2004 e pubblicata sul BURT n. 2 del 12.01.2005 e alle
successive modificazioni della stessa, nonché ad eccesso di
potere sotto vari profili ed ulteriore violazione dell’art.
3 della legge n. 241 del 1990: il richiamo alle predette
norme (in verità, senza considerazione del principio che
impone di valutare la legittimità degli atti amministrativi
in base alla normativa vigente alla data della relativa
emanazione, o della formazione anche per silenzio-assenso)
mira comunque a sottolineare una fondamentale distinzione
fra gli interventi inibitori, posti in essere
dall’Amministrazione nei trenta giorni successivi alla
presentazione della d.i.a. (o s.c.i.a.) e –dato il
carattere perentorio di tale termine– la possibilità di
analoghi interventi successivi solo in base ai principi ed
alle garanzie proprie per l’esercizio dell’autotutela
(ovvero entro termini congrui e con discrezionale
bilanciamento fra l’interesse pubblico al ripristino della
legalità violata e l’interesse del privato, che abbia
maturato un legittimo affidamento sulla regolarità delle
opere edilizie realizzate).
Le argomentazioni in precedenza svolte, tuttavia,
recepiscono un’impostazione totalmente diversa, che
individua come elemento essenziale del titolo abilitativo
tacito –di cui la relazione asseverata costituisce fattore
probatorio, a norma del già ricordato art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001– la veridicità e l’attendibilità
della relazione stessa, da riferire anche al fondamentale
presupposto di non incidenza delle opere da realizzare su un
manufatto abusivo, soggetto in ogni tempo (a meno di
sanatoria) ai poteri repressivi vincolati
dell’Amministrazione. L’incompletezza, o l’erroneità in
fatto della citata relazione sul punto essenziale sopra
indicato costituisce, ad avviso del Collegio, causa di
nullità del titolo abilitativo in questione, a norma
dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, anche in
assenza di dolo del professionista incaricato, come può
verificarsi in vicende complesse, come quella attualmente in
esame.
Nessuna delle normative, previgenti o successivamente
intervenute, può precludere detta fattispecie di nullità,
che trae le ragioni da principi basilari in materia di
disciplina urbanistica.
Consegue a quanto sopra l’infondatezza delle ulteriori
ragioni difensive rappresentate:
- la seconda, in quanto
riferita alle modalità previste per documentare l’esistenza,
o meno, del titolo abilitativo degli immobili di remota
realizzazione (comunque senza che dette modalità possano
coprire l’effettiva mancanza di titolo, ove positivamente
accertata come nel caso di specie);
- la terza, poiché in
parte relativa alla legittimità in sé dell’intervento ristrutturativo ed alla rilevata attivazione dei poteri
repressivi del Comune solo per l’intervento dei proprietari
limitrofi, mentre –come già illustrato– la conformità
delle nuove opere alla disciplina urbanistico-edilizia ha
carattere recessivo rispetto al carattere di illecito
permanente, riconducibile all’immobile su cui dette opere
dovrebbero essere effettuate; l’azione repressiva
dell’Amministrazione comunale su impulso di privati
cittadini, inoltre, risulta espressamente prevista dall’art.
27, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, mentre e la
ricostruzione delle vicende, che hanno comportato il mancato
perfezionamento della licenza edilizia, a suo tempo
richiesta, non risulta sviluppata in termini tali, da
escludere l’attuale carattere non autorizzato del manufatto,
con le conseguenze in precedenza illustrate;
- la quarta
censura (illegittimità dei provvedimenti sanzionatori, non
adottati entro quarantacinque giorni dall’ordine di
sospensione dei lavori) contrasta con il ricordato potere,
non soggetto a limiti temporali, di repressione degli abusi
edilizi ed è contraddetta da una consolidata giurisprudenza
(cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 30.09.1983, n.
405);
- la quinta censura, riferita ad omessa comunicazione di
avvio del procedimento, contrasta con il carattere vincolato
del provvedimento, conseguente alla rilevata inefficacia
della d.i.a., con applicabilità al riguardo dell’art.
21-octies della legge n. 241 del 1990, che esclude
l’annullabilità per vizi di forma o del procedimento, quando
il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso;
- la sesta ed ultima censura riproduce in parte
le argomentazioni della prima e non può che essere ritenuta
infondata, per effetto della ritenuta insussistenza nella
fattispecie dei presupposti per l’esercizio della potestà di
autotutela dell’Amministrazione, in luogo dei provvedimenti
repressivi vincolati, che l’Amministrazione stessa è tenuta
ad adottare, in presenza di interventi edilizi senza titolo
ed in mancanza di iniziative di sanatoria, nel caso di
specie non evidenziate
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 24.03.2014 n. 1413 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’art. 23, comma 1, testo unico edilizia, dispone
che la denuncia d’inizio di attività deve essere
“accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato e dagli opportuni elaborati
progettuali, che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in
contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi
vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie.”.
È prescritto perciò con chiarezza che le opere che si
intendono eseguire devono essere tutte specificate nella
relazione del progettista; soltanto a questa è, infatti,
attribuita la funzione specifica di asseverare la loro
conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, non
essendo quindi sufficiente che le opere siano rappresentate
negli elaborati progettuali, se di esse non risulti
attestata la detta conformità, sotto la formale
responsabilità del progettista.
---------------
Anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23,
comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, l’amministrazione
conserva il potere di verificare se le opere possono essere
realizzate sulla base della d.i.a. e può esercitare i poteri
di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento.
L’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi
rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili
modalità di cura dell’interesse pubblico affidato all’una od
all’altra branca dell’amministrazione ed è espressione del
principio di buon andamento, di cui all’art. 97, Cost..
Nella specifica materia dell’attività urbanistico-edilizia,
un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua
stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati),
vòlto ad assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, è
affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del
competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n.
380/2001).
Neppure può essere
accolta la contestazione (comune in particolare alle censure
sub 2.b.1, 2 e 3) secondo cui la d.i.a. sarebbe valida anche
riguardo a opere non asseverate nella relazione tecnica.
L’art. 23, comma 1, testo unico, dispone, infatti, che la
denuncia d’inizio di attività deve essere “accompagnata da
una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie.”.
È prescritto perciò con chiarezza che le opere che si
intendono eseguire devono essere tutte specificate nella
relazione del progettista; soltanto a questa è, infatti,
attribuita la funzione specifica di asseverare la loro
conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, non
essendo quindi sufficiente che le opere siano rappresentate
negli elaborati progettuali, se di esse non risulti
attestata la detta conformità, sotto la formale
responsabilità del progettista.
A questo riguardo il collegio non ritiene fondata la
specifica, correlata doglianza per cui il primo giudice
avrebbe ecceduto i limiti del giudizio, con esercizio di un
potere di accertamento spettante all’amministrazione, nel
momento in cui ha ritenuto la mancanza del titolo
abilitativo per le opere di cui si tratta, non indicate
nella relazione di asseverazione.
Agli atti del procedimento sono, infatti, acquisiti gli
accertamenti tecnici eseguiti (n. 32187/2006 e n.
12184/2010) dai quali emerge con chiarezza che il
presupposto per la valutazione di conformità delle opere in
questione è la d.i.a. del 2005, con la conseguenza che,
evidentemente, nessuna questione si sarebbe posta al
riguardo se le opere fossero state tutte sin dall’inizio
asseverate nella pertinente relazione.
---------------
Non è fondata, infine, la
deduzione per cui, decorso il termine per l’inibizione
dell’esecuzione delle opere di cui all’art. 23, comma 6,
cit. testo unico, l’amministrazione potrebbe soltanto agire
in autotutela, non sanzionando gli abusi edilizi rilevati.
Questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito al riguardo,
con indirizzo da cui non vi è motivo di discostarsi per il
caso all’esame, che “anche dopo la scadenza del termine
fissato dall’art. 23, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n.
380, l’amministrazione conserva il potere di verificare se
le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a. e
può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti
dall’ordinamento” (sez. IV, sent. 12.02.2010 n. 781),
avendo specificato che “l’esercizio dei poteri di vigilanza
e repressivi rappresenta, in via generale, una delle
imprescindibili modalità di cura dell’interesse pubblico
affidato all’una od all’altra branca dell’amministrazione ed
è espressione del principio di buon andamento, di cui
all’art. 97, Cost.”, e che “nella specifica materia
dell’attività urbanistico-edilizia, un potere specifico di
vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche
mediante provvedimenti innominati), vòlto ad assicurarne la
rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi, è affidato dalla
legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio
comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001)” (sez. IV,
sent. 25.11.2008 n. 5811) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.03.2014 n. 1084 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
La disciplina dell'immobile scolpita dal titolo abilitativo
edilizio. Analisi degli effetti della c.d. super-DIA.
Repetita iuvant (commento a TAR Liguria, n. 1581/2013) (18.02.2014
-
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di
denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata
dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, sussistono
tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, circa la natura
giuridica dell’istituto e degli effetti del decorso del
termine, che consente al dichiarante di effettuare gli
interventi edilizi oggetto di denuncia.
In alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in
esito alla procedura in questione la formazione di un
provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento; in
altre decisioni si identifica la DIA come atto privato
di autocertificazione, che pur non costituendo espressione
di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di
controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto
termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli
quinquies e nonies della legge n. 241/1990.
E’ riconosciuto dalla giurisprudenza, in ogni caso,
l’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi
garantistici dell’autotutela, in termini di comunicazione di
avvio del procedimento e di motivata enunciazione di
eventuali presupposti di inapplicabilità della DIA, anche a
prescindere da un vero e proprio annullamento dell’assenso
tacito, che si ritenesse in precedenza formato (purché in
presenza di corretti requisiti formali dell’istanza:
corrispondenza alle opere eseguite ed esibizione di altri
atti di assenso eventualmente necessari, a norma dell’art.
23, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001).
---------------
Ove ricorrano i principi dell’autotutela
il provvedimento sanzionatorio –di norma vincolato– assume
connotati discrezionali, connessi all’esigenza di
bilanciamento fra gli interessi pubblici e privati
coinvolti, nei termini oggi specificati nell’art. 21-nonies
della legge n. 241/1990.
Un affidamento consolidato, in esito a DIA non resa oggetto
di tempestiva contestazione, in altre parole, rende la
comunicazione di avvio di cui trattasi non mero adempimento
formale, ma atto prodromico dell’autotutela, da esercitare
comunque con provvedimento motivato e non con mera
applicazione della misura sanzionatoria.
Non si vede, pertanto, come detto fondamentale adempimento
potesse considerarsi sostituito dalla mera presenza del
diretto interessato al sopralluogo, non certo effettuato
dall’organo competente a deliberare nei termini sopra
specificati.
A diverse conclusioni si deve pervenire, poi, per quanto
riguarda la recinzione e lo spargimento di brecciame.
Con riferimento alla recinzione, l’appellante ribadisce che
l’intervento sarebbe stato preceduto, nel 2006 e nel 2008,
da due denunce di inizio attività, in presenza delle quali
le installazioni di cui trattasi non avrebbero potuto
ritenersi abusive, con conseguente necessità che
l’Amministrazione procedesse –prima di emettere eventuali
provvedimenti repressivi– a rimuovere il titolo abilitativo,
tacitamente formatosi, in via di autotutela.
L’Amministrazione eccepisce, al riguardo, l’inammissibilità
di “ius novorum” in appello. Detta eccezione è solo
parzialmente condivisibile, in quanto la cesura di omessa
comunicazione di avvio del procedimento, già prospettata in
primo grado di giudizio (con entrambe le denunce di inizio
attività depositate in atti), traeva solo da queste ultime
ragione di fondatezza, risultando detta comunicazione non
dovuta in presenza dei presupposti per l’emanazione di atti
sanzionatori vincolati e dovuta, invece, per l’avvio di
procedimenti in via di autotutela.
In materia di denuncia di inizio attività (DIA), come
disciplinata dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, in
effetti, sussistono tuttora diversi indirizzi
giurisprudenziali, circa la natura giuridica dell’istituto e
degli effetti del decorso del termine, che consente al
dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di
denuncia.
In alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in
esito alla procedura in questione la formazione di un
provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento (cfr. in
tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 05.04.2007, n.
1550; Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1474 e 25.11.2008,
n. 5811; Cons. St., sez. II, 28.05.2010, parere n. 1990);
in altre decisioni si identifica la DIA come atto
privato di autocertificazione, che pur non costituendo
espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri
di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del
predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli
articoli quinquies e nonies della legge n. 241/1990 (cfr. in
tal senso Cons. St., sez. VI, 09.02.2009, n. 717 e
14.11.2012, n. 5751).
E’ riconosciuto dalla giurisprudenza, in ogni caso,
l’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi
garantistici dell’autotutela, in termini di comunicazione di
avvio del procedimento e di motivata enunciazione di
eventuali presupposti di inapplicabilità della DIA, anche a
prescindere da un vero e proprio annullamento dell’assenso
tacito, che si ritenesse in precedenza formato (purché in
presenza di corretti requisiti formali dell’istanza:
corrispondenza alle opere eseguite ed esibizione di altri
atti di assenso eventualmente necessari, a norma dell’art.
23, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001).
Nella situazione in esame, non risultando la sussistenza di
vincoli, né comunque l’esigenza di altri preventivi pareri
per la presentazione di denuncia di inizio attività, il
Collegio ritiene che le caratteristiche delle opere –che
appaiono peraltro di consistenza inferiore a quella
segnalata nella sentenza in esame– non consentissero di
considerare le denunce di inizio attività presentate “tamquam
non essent”, con conseguente esigenza di previa
comunicazione di avvio del procedimento di autotutela,
finalizzato alla rimozione degli effetti autorizzativi,
conseguenti al decorso del termine prescritto.
Ove infatti ricorrano i principi dell’autotutela il
provvedimento sanzionatorio –di norma vincolato– assume
connotati discrezionali, connessi all’esigenza di
bilanciamento fra gli interessi pubblici e privati
coinvolti, nei termini oggi specificati nell’art. 21-nonies
della legge n. 241/1990. Un affidamento consolidato, in
esito a DIA non resa oggetto di tempestiva contestazione, in
altre parole, rende la comunicazione di avvio di cui
trattasi non mero adempimento formale, ma atto prodromico
dell’autotutela, da esercitare comunque con provvedimento
motivato e non con mera applicazione della misura
sanzionatoria. Non si vede, pertanto, come detto
fondamentale adempimento potesse considerarsi sostituito
dalla mera presenza del diretto interessato al sopralluogo,
non certo effettuato dall’organo competente a deliberare nei
termini sopra specificati.
Non possono non rilevare, inoltre, le caratteristiche della
recinzione di cui trattasi, oggettivamente diverse –come
comprovato tramite perizia di parte e documentazione
fotografica– da quelle che nella sentenza appellata avevano
fatto dichiarare necessario il permesso di costruire: al
posto della “recinzione in cemento armato alta 2 metri e
60 centimetri” è rilevabile, infatti, solo un muretto di
altezza variabile fra metri 1,06 a metri 0,83, con
sovrastante cancellata di non lieve consistenza, ma comunque
distinta dall’opera muraria (con evidente possibilità che
l’intervento, effettuato in base a titoli abilitativi taciti
diversi, fosse ritenuto in tutto o almeno in parte –in
termini da precisare in un provvedimento motivato–
assoggettabile a DIA, sufficiente per delimitazioni dei
confini non effettuate con opere di consistente entità, come
confermato dalla giurisprudenza citata nella stessa sentenza
appellata)
(Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 04.02.2014 n. 532 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La disciplina nazionale dell’attività edilizia -
Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia
(SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività
edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera
previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia
soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del
permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso
di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4.
Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5.
L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.;
5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito
applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina
applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La
S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla
commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e
successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle
difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del
certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio
del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di
agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di
conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e
riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano
nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio
Nazionale del Notariato,
studio
10.01.2014 n. 893-2013/C). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’atto di autotutela
appare doveroso e vincolato nella misura in cui si prende
atto della mancanza della prescritta autorizzazione
paesaggistica con conseguente inefficacia della D.I.A..
Va anzi detto, e sul punto non incidono le ricorrenti
modifiche della normativa, che il mancato ottenimento
dell’autorizzazione paesaggistica ha impedito persino il
perfezionamento della D.I.A. in oggetto con ulteriore
conferma della doverosità dell’atto di cui si discute da
cui, anzi, il Comune avrebbe potuto prescindere limitandosi
a esercitare il proprio potere sanzionatorio.
La descritta doverosità dell’atto rende irrilevante la
mancata partecipazione del ricorrente al procedimento per
l’applicazione dell’ art. 21-octies L. 241/1990 (co. 2: «non
è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per
la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo
non è comunque annullabile per mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato»).
La terza
censura è relativa alla mancata comunicazione di avvio del
procedimento volto all’adozione del presente atto di
autotutela.
Sul punto, valgano due ordini di considerazioni.
In primo luogo, il ricorrente era stato messo in
condizione di interloquire sulle circostanze poste alla base
del provvedimento, in quanto con nota n. 195 del 07.01.2009,
il Comune gli aveva richiesto di attivare la procedura per
il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica intimandogli,
nel contempo, di sospendere i lavori.
In secondo luogo, l’atto di autotutela appare
doveroso e vincolato nella misura in cui si prende atto
della mancanza della prescritta autorizzazione paesaggistica
con conseguente inefficacia della D.I.A.. Va anzi detto, e
sul punto non incidono le ricorrenti modifiche della
normativa, che il mancato ottenimento dell’autorizzazione
paesaggistica ha impedito persino il perfezionamento della
D.I.A. in oggetto con ulteriore conferma della doverosità
dell’atto di cui si discute da cui, anzi, il Comune avrebbe
potuto prescindere limitandosi a esercitare il proprio
potere sanzionatorio (sul punto, v. Consiglio di Stato sez.
VI 05/04/2007 n. 1550; Cassazione penale sez. III 21/01/2010
n. 9255; TAR Napoli sez. VI 10/01/2011 n. 35; Cassazione
penale sez. III 21/01/2010 n. 8739).
La descritta doverosità dell’atto rende irrilevante
la mancata partecipazione del ricorrente al procedimento per
l’applicazione dell’ art. 21-octies L. 241/1990 (co. 2: «non
è annullabile il provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per
la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da
quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo
non è comunque annullabile per mancata comunicazione
dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 24.01.2014 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241
del 1990, il provvedimento amministrativo illegittimo può
essere annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato o
da altro organo previsto dalla legge "sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole
e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati ".
La giurisprudenza amministrativa ha fissato precisi limiti
per il legittimo esercizio del suindicato potere di
autotutela, ritenendo che l'interesse pubblico specifico
all'eliminazione dell'atto illegittimo non possa
identificarsi, sic et simpliciter, nell'interesse al
ripristino dell'ordine giuridico violato, ma debba essere
individuato in relazione ad esigenze concrete ed attuali.
Invero, è stato affermato che "in tema di adozione di atti
amministrativi, il potere di annullamento è immanente al
potere di autotutela e ne condivide i limiti, con
particolare riguardo all'obbligo di motivazione, alla
presenza di concrete ragioni di pubblico interesse non
riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità,
alla valutazione dell'affidamento delle parti private
destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, al
rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale,
ivi compreso l'avviso di avvio del procedimento di ritiro,
all'adeguata istruttoria”.
---------------
Il recente arresto del Supremo Consesso amministrativo
conferma come l’orientamento maggioritario in giurisprudenza
inclini a ritenere che detto potere di autotutela al
cospetto di una d.i.a. non si distingua, quanto ai
presupposti applicativi, dall’autotutela in via generale
prevista dalla legge generale sul procedimento
amministrativo.
Invero, maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio
dell'attività dichiarata e l'esercizio, da parte della p.a.,
del potere inibitorio e/o di autotutela, e maggiore deve
essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico
interesse, diverse da quelle al mero ripristino della
legalità, che deve connotare il relativo provvedimento
amministrativo, anche alla luce di quanto previsto
espressamente dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990.
Analogamente, in applicazione del su richiamato disposto
normativo, deve emergere dalla motivazione dell’atto la
valutazione comparativa degli interessi in ipotesi in
conflitto, di cui l’amministrazione deve dare conto.
Ai sensi dell’art. 21-nonies della legge
n. 241 del 1990, il provvedimento amministrativo illegittimo
può essere annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato
o da altro organo previsto dalla legge "sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole
e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati ".
La giurisprudenza amministrativa ha fissato precisi limiti
per il legittimo esercizio del suindicato potere di
autotutela, ritenendo che l'interesse pubblico specifico
all'eliminazione dell'atto illegittimo non possa
identificarsi, sic et simpliciter, nell'interesse al
ripristino dell'ordine giuridico violato, ma debba essere
individuato in relazione ad esigenze concrete ed attuali
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21.12.2009, n. 8529,
TAR Lazio, Latina, Sez. I, 02.02.2012, n. 64, per cui:
"in tema di adozione di atti amministrativi, il potere di
annullamento è immanente al potere di autotutela e ne
condivide i limiti, con particolare riguardo all'obbligo di
motivazione, alla presenza di concrete ragioni di pubblico
interesse non riducibili alla mera esigenza di ripristino
della legalità, alla valutazione dell'affidamento delle
parti private destinatarie del provvedimento oggetto di
riesame, al rispetto delle regole del contraddittorio
procedimentale, ivi compreso l'avviso di avvio del
procedimento di ritiro, all'adeguata istruttoria.”;
analogamente, cfr. ancora TAR Sicilia, Palermo, 11.01.2010, n. 235; TAR Veneto, Sez. II, 30.09.2010, n.
5242).
Con specifico riguardo alla fattispecie in esame va poi
ulteriormente richiamato il recente arresto del Supremo
Consesso amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, IV sez.,
sent. 06.12.2013, n. 5822) che conferma come
l’orientamento maggioritario in giurisprudenza inclini a
ritenere che detto potere di autotutela al cospetto di una d.i.a. non si distingua, quanto ai presupposti applicativi,
dall’autotutela in via generale prevista dalla legge
generale sul procedimento amministrativo (cfr. anche TAR
Toscana, Firenze, sez. II, sent. 24.08.2010, n. 4882,
secondo cui maggiore è il lasso di tempo trascorso tra
l'avvio dell'attività dichiarata e l'esercizio, da parte
della p.a., del potere inibitorio e/o di autotutela, e
maggiore deve essere il grado di motivazione sulle ragioni
di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino
della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento
amministrativo, anche alla luce di quanto previsto
espressamente dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990).
Analogamente, in applicazione del su richiamato disposto
normativo, deve emergere dalla motivazione dell’atto la
valutazione comparativa degli interessi in ipotesi in
conflitto, di cui l’amministrazione deve dare conto (cfr.
TAR Campania, Napoli, Sez. III, 11.02.2008, n. 701).
Sennonché, avuto riguardo al provvedimento qui contestato,
deve convenirsi con la difesa ricorrente in ordine alla
mancanza, sia della rappresentazione di un interesse
pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dei titoli
abilitativi formatisi a seguito della presentazione della
dia del 01.04.2003, che in ordine alla valutazione
dell’interesse del destinatario dell’atto medesimo.
Né si può poi ritenere, come adombra la difesa
dell’amministrazione, che nel caso di specie alcuna dia si
sarebbe perfezionata, a cagione della falsa attestazione da
parte ricorrente della destinazione residenziale di una
parte dell’immobile, attesa la sussistenza di un documento
(cfr. allegato n. 3 di parte ricorrente) proveniente dalla
stessa amministrazione in causa, che attesta la presenza,
alla data del 05.04.1967, della destinazione ad uso
abitazione di una parte, ivi meglio descritta, del ridetto
immobile.
Ne consegue che non può parlarsi, qui, di esercizio di un
potere sanzionatorio da parte comunale, esercitabile in ogni
tempo siccome avulso dall’esercizio del potere di autotutela
decisoria, non potendo il Comune disconoscere la presenza di
un titolo edilizio (la dia del 2003 e ss. varianti) che lo
stesso Comune, a ben vedere, ha contribuito a consolidare,
non intervenendo nei termini prescritti e con i poteri
inibitori all’uopo previsti.
Risulta, poi, inammissibile, alla stregua di motivazione
“postuma” del provvedimento impugnato, l’ulteriore ragione,
addotta in memoria da parte resistente a fondamento del
proprio operato, che fa leva sulla circostanza che la nuova
destinazione comporterebbe un aggravio del carico
urbanistico di cui l’amministrazione non avrebbe tenuto
conto ai fini del pagamento degli oneri di urbanizzazione e
dello standard (in disparte, poi, la circostanza che si
tratta di profili rispetto ai quali è indimostrata, da parte
comunale, l’impossibilità di addivenire ad una
regolarizzazione dei medesimi aspetti).
Per le suesposte considerazioni, quindi, assorbiti i mezzi
non espressamente scrutinati, il ricorso in epigrafe
specificato deve essere accolto, con conseguente
annullamento del provvedimento con esso impugnato
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.01.2014 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi" le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso
dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia
di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a
formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo
costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a
comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge".
---------------
L'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il
costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo
della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al
sorgere della giuridica possibilità di realizzare
legittimamente l’intervento e quindi al momento
dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del
termine o intervenuto accertamento della conformità alla
disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia.
---------------
Quando il privato ha parcellizzato l’intervento attraverso
uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque)
tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il
contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello
corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde
evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei
lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in
danno dell’Amministrazione.
Come la
Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del
comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241
"Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto
con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138) le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha
fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività
non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla
legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla
realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente
all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di
realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere
agganciato non al tempo della presentazione della denuncia
di inizio attività, ma al sorgere della giuridica
possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e
quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a.
per decorso del termine o intervenuto accertamento della
conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo
momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la
vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi
esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di
calcolo (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere
di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come
nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato
l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA
(nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è
evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà
che essere quello corrispondente all’assetto finale
dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella
segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso
del diritto in danno dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6161 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241
"Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi", le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha
fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria per cui "la denuncia di inizio attività
non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla
legge".
---------------
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla
realizzazione dell'intervento edilizio non è conseguente
all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di
realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere
agganciato non al tempo della presentazione della denuncia
di inizio attività, ma al sorgere della giuridica
possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e
quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a.
per decorso del termine o intervenuto accertamento della
conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia.
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo
momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la
vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi
esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di
calcolo, (come nel caso di specie), o anche il
sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).
---------------
In conseguenza del principio che
precede, quando poi, come nel caso particolare, il privato
abbia parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio
di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i
medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà
soggiacere non potrà che essere quello corrispondente
all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una
sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per
risolversi in un abuso del diritto in danno
dell’Amministrazione.
Come la
Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del
comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241
"Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto
con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138), le denuncie di inizio attività "non
costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha
fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività
non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma
costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla
legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla
realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente
all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di
realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di
urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere
agganciato non al tempo della presentazione della denuncia
di inizio attività, ma al sorgere della giuridica
possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e
quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a.
per decorso del termine o intervenuto accertamento della
conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le
opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva
possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde
evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel
caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione
intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è
dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici
deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di
calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta
denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo
momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la
vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi
esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di
calcolo, (come nel caso di specie), o anche il
sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come
nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato
l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA
(nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è
evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà
che essere quello corrispondente all’assetto finale
dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella
segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso
del diritto in danno dell’Amministrazione.
Nel caso la terza DIA del 13.12.2005 si era perfezionata
successivamente all’entrata in vigore -in data 01.01.2006-
della determina dirigenziale n. 295/2005 per cui deve
concludersi per la legittimità del computo del costo di
costruzione di € 322,05 operato con riferimento alle tariffe
in vigore al momento della formazione finale del titolo
edilizio.
L’ultima DIA della società ricorrente è stata presentata,
completa di tutti gli allegati e dei conteggi degli oneri,
in data 21.12.2007 e quindi, allo scadere del termine
di trenta giorni di cui al comma 1 dell'art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Pertanto il suo iter formativo si era
concluso solo dopo l'intervenuta efficacia della delibera
comunale.
Il motivo va dunque respinto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 20.12.2013 n. 6160 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
necessario distinguere due diverse evenienze:
a) se si è in presenza di opere realizzate in eccedenza o
difformità rispetto alla d.i.a. presentata, le stesse
possono essere fatte oggetto in ogni tempo, da parte
dell’Amministrazione, di ordine si sospensione e di
ripristino;
b) se invece le opere realizzate sono conformi alla denuncia
presentata e sono state realizzate senza che
l’Amministrazione si sia attivata nei termini per vietare la
prosecuzione dell’attività e disporre la rimozione degli
effetti, allora l’emanazione dei provvedimenti di rimessa in
pristino deve essere necessariamente preceduta dall’adozione
di un atto di autotutela, nel rispetto della garanzie
sostanziali e procedimentali che assistono lo stesso,
finalizzato alla eliminazione del titolo formatosi
implicitamente con il decorso del termine di legge dalla
presentazione della d.i.a. senza interventi inibitori.
... per l'annullamento del provvedimento del Comune di
Monteriggioni Ordinanza n. 116 del 16.12.2010 notificata il
12.1.2011 con il quale è stata ordinata la demolizione delle
seguenti opere realizzate nella superficie di terreno sita
in Comune di Monteriggioni ed identificata al C.T. di detto
comune al foglio n. 89 par.lle 1451, 1440,1457: Manufatto
costituito da una gettata di cemento (o platea di cemento)
delle dimensioni di m. 10 x 3 sulla quale è infissa e si
eleva una struttura in ferro in forma di L che sorregge, ad
una altezza dal suolo variabile dai m. 1,80 ai m. 2,00 una
copertura in lamiera e plastica ondulina di pari dimensioni;
...
Con il secondo e terzo mezzo, che possono essere fatti
oggetto di congiunta trattazione, parte ricorrente censura
l’operato dell’Amministrazione, evidenziando che questa non
poteva emettere l’ordinanza di demolizione, in presenza di
titoli edilizi acquisiti con la presentazione delle varie
d.i.a., senza prima procedere all’annullamento in autotutela
dei titoli assentiti.
Le censure sono fondate.
Come la Sezione ha avuto più volte modo di evidenziare, è
necessario distinguere due diverse evenienze:
a) se si è in
presenza di opere realizzate in eccedenza o difformità
rispetto alla d.i.a. presentata, le stesse possono essere
fatte oggetto in ogni tempo, da parte dell’Amministrazione,
di ordine si sospensione e di ripristino (in termini la
sentenza della Sezione n. 806 del 2013, punto 16 della
motivazione);
b) se invece le opere realizzate sono conformi
alla denuncia presentata e sono state realizzate senza che
l’Amministrazione si sia attivata nei termini per vietare la
prosecuzione dell’attività e disporre la rimozione degli
effetti, allora l’emanazione dei provvedimenti di rimessa in
pristino (come quello gravato) deve essere necessariamente
preceduta dall’adozione di un atto di autotutela, nel
rispetto della garanzie sostanziali e procedimentali che
assistono lo stesso, finalizzato alla eliminazione del
titolo formatosi implicitamente con il decorso del termine
di legge dalla presentazione della d.i.a. senza interventi
inibitori (in termini le sentenze della Sezione n. 430 del
2009 e n. 1636 del 2013).
Nella specie l’Amministrazione non
ha seguito la prima strada: infatti l’ordinanza gravata non
motiva in alcun modo in punto di difformità tra opere
denunziate e opere realizzate, cioè circa la difformità
della platea di cemento realizzata rispetto alla soletta di
cemento di cui alla d.i.a. del 2007 e non fornisce quindi la
necessaria dimostrazione che gli interventi edilizi
realizzati risultino diversi da quelli di cui alle d.i.a.
presentate.
Né l’Amministrazione segue la seconda strada,
perché l’ordine di demolizione qui gravato non risulta
preceduto dalla procedura di autotutela volta a superare i
titoli edilizi formatosi a fronte delle d.i.a. presentate e
non inibite dall’Amministrazione nei termini di legge
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.12.2013 n. 1717 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il termine per l'esercizio del potere inibitorio
di cui all’art. 23 del T.U. sull’Edilizia (ndr: 30 gg.) è
perentorio, ma anche dopo il decorso di tale spazio
temporale, la p.a. conserva un potere residuale di
autotutela.
Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre
rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio,
condivide i principi regolatori sanciti, in materia di
autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo
alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in
contraddittorio, al rispetto del limite del termine
ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una
valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio.
Come ha chiarito di recente l'Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato (sent. 29.07.2011, n. 15) il
termine per l'esercizio del potere inibitorio di cui
all’art. 23 del T.U. sull’Edilizia è perentorio, ma anche
dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva
un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre
rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio,
condivide i principi regolatori sanciti, in materia di
autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo
alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in
contraddittorio, al rispetto del limite del termine
ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una
valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione
dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29.07.2011
n. 15
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 25.10.2013 n. 1132 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di edilizia, il
potere inibitorio previsto dall'art. 23, comma 6, T.U.
06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio
di trenta giorni, potendo successivamente essere emanati
soltanto provvedimenti d'autotutela e sanzionatori, in
quanto alla scadenza del detto termine matura
l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e
indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo
al contempo il potere dell'Amministrazione comunale di
provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con
provvedimento sanzionatorio di tipo ripristinatorio o
pecuniario, in base alla normativa che disciplina la
repressione degli abusi edilizi.
Come di recente ripetuto (cfr. TAR Molise,
19.04.2013, n. 282), in tema di edilizia, il potere
inibitorio previsto dall'art. 23, comma 6, T.U. 06.06.2001
n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di trenta
giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto
provvedimenti d'autotutela e sanzionatori, in quanto alla
scadenza del detto termine matura l'autorizzazione implicita
ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di
inizio attività, restando fermo al contempo il potere
dell'Amministrazione comunale di provvedere non più con
provvedimento inibitorio ma con provvedimento sanzionatorio
di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa
che disciplina la repressione degli abusi edilizi (cfr.
Cons. Stato, II Sezione, 17.10.2007 n. 1698, IV
Sezione, 22.07.2005 n. 3916 e TAR Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n. 8707)
(TAR Basilicata,
sentenza 17.10.2013 n. 609 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Lo
jus aedificandi del privato, nei casi previsti dall’art. 22,
t.u. dell’edilizia, non è subordinato ad un atto di assenso
della pubblica amministrazione ma è legittimato direttamente
dalla legge e condizionato all’attivazione di un «contatto
necessario» con l’amministrazione che si realizza mediante
la presentazione della d.i.a..
Segue da ciò che il decorso del termine previsto dalla legge
a seguito della presentazione della d.i.a. non determina la
formazione di un silenzio-assenso (o, comunque, di un
consenso tacito) alla realizzazione dell’opera, ma vale
sostanzialmente come termine utile per la verifica della
regolarità dell’intervento edilizio che il denunciante
intende intraprendere.
La caratteristica fondamentale della procedura abbreviata
prevista per la d.i.a., infatti, è proprio quella di
escludere la necessità di un titolo provvedimentale di
legittimazione (anche implicito), residuando in capo
all’amministrazione solamente un potere di verifica da
esercitarsi nel termine massimo decadenziale previsto dalla
legge, ma che non esclude i poteri generali di controllo
sull’attività edilizia, una volta realizzata.
Il ricorso è infondato e va respinto.
In particolare :
a) il ricorrente ha abusivamente trasformato i locali ad uso
residenziale da locale lavatoio creando nuova volumetria
residenziale;
b) solo in data 17.05.2011 veniva presentata DIA per
mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali per le
stesse opere già adibite a fini residenziali in epoca
anteriore alla presentazione della DIA;
c) sulla presunta formazione del silenzio assenso il
Collegio ritiene di aderire a quell’orientamento
giurisprudenziale per cui lo jus aedificandi del
privato, nei casi previsti dall’art. 22, t.u. dell’edilizia,
non è subordinato ad un atto di assenso della pubblica
amministrazione ma è legittimato direttamente dalla legge e
condizionato all’attivazione di un «contatto necessario»
con l’amministrazione che si realizza mediante la
presentazione della d.i.a. (Cons. St., sez. V, 19.06.2006,
n. 3586; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 29.11.2007, n.
6519; id. 15.11.2007, n. 6461; Tar Liguria 22.01.2003, n.
113).
Segue da ciò che il decorso del termine previsto dalla legge
a seguito della presentazione della d.i.a. non determina la
formazione di un silenzio-assenso (o, comunque, di un
consenso tacito) alla realizzazione dell’opera, ma vale
sostanzialmente come termine utile per la verifica della
regolarità dell’intervento edilizio che il denunciante
intende intraprendere.
La caratteristica fondamentale della procedura abbreviata
prevista per la d.i.a., infatti, è proprio quella di
escludere la necessità di un titolo provvedimentale di
legittimazione (anche implicito), residuando in capo
all’amministrazione solamente un potere di verifica da
esercitarsi nel termine massimo decadenziale previsto dalla
legge (Tar Piemonte, sez. I, 04.05.2005, n. 1359), ma che
non esclude i poteri generali di controllo sull’attività
edilizia, una volta realizzata
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 14.10.2013
n. 8822 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Risulta maggioritaria
la tesi che riconosce la natura dichiarativa della d.i.a., la
quale, con specifico riferimento alla disciplina urbanistica
è stata descritta da autorevole dottrina come un istituto
che non dà origine ad un provvedimento amministrativo in
forma tacita e che consiste in una dichiarazione del privato
alla quale, sussistendo le richieste condizioni ed in
assenza di un intervento inibitorio a carattere vincolato
dell'amministrazione comunale, la legge riconosce gli
effetti corrispondenti a quelli tipici del permesso di
costruire e, cioè, l'abilitazione alla realizzazione delle
opere progettate.
Il ventennale dibattito sulla natura giuridica della d.i.a.
ha interessato, ovviamente, anche la giurisprudenza
amministrativa, anch'essa caratterizzata da opinioni
difformi, tanto che, come ricordato in ricorso, la
questione è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato la quale, con articolata
motivazione, ha escluso che la denuncia di inizio attività
sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
che dia luogo ad un titolo costitutivo, essendo, invece, un
atto privato volto a comunicare l'intenzione di
intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Chiarisce l'Adunanza Plenaria, ponendosi in evidente
sintonia con l'indirizzo dottrinario precedentemente
ricordato, che «il denunciante è,
infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria,
che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella
legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per
l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali
presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con
il potere di divieto da esercitare nel termine di legge,
decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di
certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di
controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il
discrezionale potere di autotutela».
---------------
La
relazione di accompagnamento alla d.i.a. edilizia ne
costituisce parte integrante ed essenziale ed ha natura di
certificazione per quanto riguarda sia la descrizione dello
stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli
eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile
interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle
opere che si intende realizzare e l'attestazione della
conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al
regolamento edilizia.
La richiamata decisione, oltre a riproporre orientamenti già
consolidati, ha dunque chiarito, riproponendo le
argomentazioni prospettate in una precedente pronuncia, che
la natura di certificazione deve essere riconosciuta
anche alla parte progettuale della relazione allegata alla
d.i.a., così superando precedenti posizioni difformi.
Va peraltro rilevato che la suddetta sentenza
individua chiaramente la d.i.a. come atto del
privato che esclude la necessità di un titolo di
legittimazione, rilevando che il potere di verifica
dell'amministrazione «non è finalizzato all'emanazione di
un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma
al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza
di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni
normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la DIA,
quindi, al principio autoritativo si sostituisce il
principio dell'autoresponsabilltà dell'amministrato, che è
legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza
dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore».
Ciò posto, osserva il Collegio che
le
conclusioni cui è pervenuta la sentenza 35795/2012 appaiono
pienamente convincenti, in quanto frutto di un'accurata
analisi della natura dell'istituto della d.i.a. edilizia e
della normativa che la disciplina, all'esito della quale
viene giustamente riconosciuta alla condotta del
professionista abilitato una specifica rilevanza
pubblicistica in ragione della assunzione di responsabilità
cui è chiamato, in considerazione «del particolare
affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica
che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso
che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai
controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di
legalità e correttezza dell'intervento».
---------------
5. Il ricorso è solo in parte fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto corretta la qualificazione
giuridica della condotta di alterazione della d.i.a.
effettuata dal giudice di prime cure, riconoscendo la natura
di atto pubblico della denuncia di inizio attività,
rilevando che gli interventi ad essa soggetti
s'intenderebbero autorizzati, decorso il termine di trenta
giorni per formazione del silenzio-assenso, nell'ambito di
quanto prospettato nella denuncia stessa, la quale assume la
forma e la sostanza di atto autorizzatorio, assurgendo al
rango di atto pubblico.
A sostegno di tale soluzione interpretativa i giudici del
gravame richiamano una decisione di questa Corte emessa nel
medesimo procedimento in ambito di incidente cautelare (Sez.
V n. 35153, 17.05.2007, non massimata) ed escludono che
possa ritenersi la natura privatistica della denuncia sulla
base della sua provenienza in quanto, una volta uscita dalla
sfera del privato e presentata allo sportello unico
corredata dagli elaborati di progetto e della relazione di
asseveramento, essa determina l'avvio di una sequenza
procedimentale che, all'esito di positivi riscontri sulla
sussistenza delle condizioni di legge da parte del
responsabile dell'ufficio tecnico comunale, dà luogo ad un
provvedimento implicito di assenso all'esecuzione dei lavori
ed acquista rilievo pubblicistico, come emergerebbe anche
dal tenore letterale dell'art. 23, comma 5, d.P.R. 380/2001,
ove è stabilito che «la sussistenza del titolo è provata
con la copia della denuncia di inizio attività da cui
risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di
quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del
professionista abilitato, nonché gli atti di assenso
eventualmente necessari».
La decisione di questa Corte richiamata nella sentenza
impugnata giunge alle medesime conclusioni, affermando che
la d.i.a. assume, in conseguenza del silenzio-assenso che
viene a formarsi dopo trenta giorni dalla sua presentazione,
la forma e la sostanza del provvedimento autorizzativo che
l'autorità non ha emesso, assurgendo, così, al rango di atto
pubblico.
Di diverso avviso è, invece il ricorrente, per le ragioni
sintetizzate in premessa.
Assume conseguentemente rilievo determinante
l'individuazione della natura giuridica della denuncia di
inizio attività.
6. Come è noto, l'istituto della d.i.a. è stato introdotto
dalla legge 07.08.1990, n. 241 ed è disciplinato
dall'articolo 19 della legge medesima che ha subito, nel
tempo, numerose modifiche, tra le quali va ricordata quella
ad opera dell'articolo 49, comma 4-bis, della L. 122/2010 di
conversione del d.l. 31.05.2010, n. 78, con il quale si è
proceduto all'introduzione della S.C.I.A., segnalazione
certificata di inizio attività (secondo l'interpretazione
autentica dell'art. 19 legge 241/1990 fornita dal dl.
70/2011, convertito nella Legge 106/2011, le disposizioni in
esso contenute si applicano alle d.i.a. in materia edilizia
disciplinate dal Testo Unico, con esclusione dei casi in cui
esse siano, in base alla normativa statale o regionale,
alternative o sostitutive del permesso di costruire).
Si tratta, pertanto, di un istituto di carattere generale il
quale prevede, salvo eccezioni espressamente indicate, che
ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato,
comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli
richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto
generale e non sia previsto alcun limite o contingente
complessivo o specifici strumenti di programmazione
settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito
da una dichiarazione (ora segnalazione) dell'interessato
corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni
e dell'atto di notorietà, nonché dalle attestazioni ed
asseverazioni richieste.
Per ciò che concerne la disciplina edilizia, la relativa
procedura è regolata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R.
380/2001. Sulla base delle disposizioni richiamate,
restano attualmente soggetti a d.i.a. esclusivamente
gli interventi edilizi eseguibili con d.i.a. alternativa o
sostitutiva del permesso di costruire in base a leggi
statali o regionali, mentre i richiami riguardanti le altre
tipologie di interventi soggetti a d.i.a. devono ora
intendersi riferiti alla s.c.i.a.
La particolarità dell'istituto della d.i.a. ha indotto
dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi, in più occasioni,
sull'esatta qualificazione della sua natura giuridica,
giungendo a conclusioni non univoche anche in considerazione
del fatto che, strettamente correlata a tale questione, vi è
anche quella della tutela del terzo.
7. In termini estremamente sintetici e generali, le due
principali soluzioni adottate propendono una per la
natura meramente dichiarativa della d.i.a., mentre
l'altra attribuisce all'istituto una natura
provvedimentale. Nel primo caso, quindi, si
tratterebbe di una mera dichiarazione del privato alla quale
la legge, in presenza di determinate condizioni, attribuisce
la produzione di particolari effetti, mentre, nel secondo,
la dichiarazione darebbe luogo alla formazione di un
provvedimento tacito o implicito quale conseguenza del
decorso del termine fissato per l'attività di verifica
imposta alla RA.
Tra le due tesi risulta maggioritaria
quella che riconosce la natura dichiarativa della d.i.a., la
quale, con specifico riferimento alla disciplina urbanistica
è stata descritta da autorevole dottrina come un istituto
che non dà origine ad un provvedimento amministrativo in
forma tacita e che consiste in una dichiarazione del privato
alla quale, sussistendo le richieste condizioni ed in
assenza di un intervento inibitorio a carattere vincolato
dell'amministrazione comunale, la legge riconosce gli
effetti corrispondenti a quelli tipici del permesso di
costruire e, cioè, l'abilitazione alla realizzazione delle
opere progettate.
8. Il ventennale dibattito sulla natura giuridica della
d.i.a. ha interessato, ovviamente, anche la giurisprudenza
amministrativa, anch'essa caratterizzata da opinioni
difformi, tanto che, come ricordato in ricorso, la questione
è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 15,
29.07.2011) la quale, con articolata
motivazione, ha escluso che la denuncia di inizio attività
sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita e
che dia luogo ad un titolo costitutivo, essendo, invece, un
atto privato volto a comunicare l'intenzione di
intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Chiarisce l'Adunanza Plenaria, ponendosi in evidente
sintonia con l'indirizzo dottrinario precedentemente
ricordato, che «il denunciante è,
infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria,
che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella
legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per
l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali
presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con
il potere di divieto da esercitare nel termine di legge,
decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di
certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di
controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il
discrezionale potere di autotutela».
Nel confutare gli argomenti prospettati a sostegno
dell'opposta tesi sulla natura provvedimentale della d.i.a.,
il Consiglio di Stato prende in esame anche la specifica
disciplina urbanistica, indicata, per la sua peculiarità,
come significativa, evidenziando che il titolo II del d.P.R.
380/2001 indica, tra i «titoli abilitativi», tanto la
denunzia di inizio di attività quanto il permesso di
costruire, gli artt. 22 e 23 considerano la d.i.a. come
abilitante all'intervento edificatorio e, nell'art. 22, ne
delineano l'ambito di operatività rispetto al permesso di
costruire, mentre nell'art. 38, il comma 2-bis formula una
sostanziale equiparazione tra l'accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del
titolo per gli interventi edilizi soggetti a d.i.a. e quelli
eseguiti in base a permesso annullato e, infine, l'art. 39,
comma 5-bis, consente l'annullamento straordinario della
d.i.a. da parte della Regione, inducendo così a ritenere che
la denuncia sia considerata dal legislatore come un titolo
passibile di annullamento.
Tali evenienze non sono tuttavia considerate determinanti
dal giudice amministrativo, il quale osserva che
un primo elemento ostativo all'accoglimento
dell'opzione ermeneutica che riconosce alla d.i.a. natura
provvedimentale quale conseguenza del silenzio-significativo
con effetto autorizzatorio è dato dal fatto che essa
eliminerebbe ogni differenza sostanziale tra la d.i.a. ed il
silenzio-assenso, che la legge specificamente distingue
anche nel caso della disciplina urbanistica, la quale
differenzia il permesso di costruire perfezionatosi con il
silenzio-assenso rispetto alla d.i.a. ed alla s.c.i.a..
Ulteriori elementi indicativi sono poi individuati, ad
esempio, nel tenore letterale dell'art. 19 legge 241/1990,
il quale sostituisce, in presenza di determinati
presupposti, ogni autorizzazione, comunque denominata, con
una dichiarazione del privato ad efficacia legittimante
immediata o differita, così contrapponendo l'istituto della
d.i.a. al provvedimento amministrativo di stampo
autorizzatorio, mentre i dubbi sollevati per il fatto che la
scelta tra autorizzazione preventiva e controllo successivo
sia rimessa, nella materia edilizia alla normativa regionale
o addirittura all'iniziativa del privato (il riferimento è
all'art. 22 del d.P.R. 380/2001) vengono ritenuti fugati
dall'indirizzo giurisprudenziale che riconosce la
possibilità di tecniche di tutela efficaci ed adeguate anche
in caso di configurazione della d.i.a. come modello di
liberalizzazione.
9. Alla luce delle considerazioni sinteticamente richiamate
non vi è dunque motivo per porre in dubbio la natura
meramente dichiarativa della d.i.a. e, tenendo conto di tale
scelta interpretativa già maggioritaria ed ormai avallata
dall'autorevole intervento del giudice amministrativo,
occorre rilevare quali conseguenze penali derivino in casi
quale quello preso in considerazione nella sentenza
impugnata.
Va osservato, a tale proposito, che l'art. 21, comma 2,
legge 241/1990 specifica che con la denuncia o con la
domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve
dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di
legge richiesti e che, in caso di dichiarazioni mendaci o di
false attestazioni, il dichiarante è punito, salvo che il
fatto costituisca più grave reato, con la sanzione prevista
dell'articolo 483 cod. pen.
Il riferimento, come è dato desumere dal tenore letterale
della disposizione, riguarda chiaramente la dichiarazione
del privato e non anche la documentazione che
necessariamente l'accompagna e che, per quanto riguarda la
disciplina urbanistica, è costituita, in base a quanto
stabilito dall'art. 23, comma 1, del Testo Unico, dagli
elaborati progettuali e dalla relazione di asseverazione del
professionista abilitato, rispetto alla quale il comma 6 del
medesimo articolo ribadisce, in caso di falsità, l'obbligo
di denuncia, già previsto in linea generale dall'art. 331
cod. proc. pen., prevedendo anche quello di informazione del
consiglio dell'ordine di appartenenza.
L'art. 29, comma 3, del medesimo T.U. stabilisce inoltre
che, per le opere realizzate dietro presentazione di
denuncia di inizio attività, il progettista assume la
qualità di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen.,
ricordando, ancora una volta, l'obbligo di segnalazione in
caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui
all'articolo 23, comma 1.
10. Sul tema la giurisprudenza di questa Corte si è
ripetutamente pronunciata, elaborando, in più occasioni,
principi che sono stati ribaditi anche recentemente (Sez.
III n. 35795, 17.04.2012, cui si rinvia anche per i puntuali
richiami ai precedenti) ricordando che la
relazione di accompagnamento alla d.i.a. edilizia ne
costituisce parte integrante ed essenziale ed ha natura di
certificazione per quanto riguarda sia la descrizione dello
stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli
eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile
interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle
opere che si intende realizzare e l'attestazione della
conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al
regolamento edilizia.
La richiamata decisione, oltre a riproporre orientamenti già
consolidati, ha dunque chiarito, riproponendo le
argomentazioni prospettate in una precedente pronuncia (Sez.
III n. 23072, 08.06.2011, non massimata), che
la natura di certificazione deve essere riconosciuta
anche alla parte progettuale della relazione allegata alla
d.i.a., così superando precedenti posizioni difformi.
Va peraltro rilevato che la suddetta sentenza
individua chiaramente la d.i.a. come atto del
privato che esclude la necessità di un titolo di
legittimazione, rilevando che il potere di verifica
dell'amministrazione «non è finalizzato all'emanazione di
un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma
al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza
di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni
normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la DIA,
quindi, al principio autoritativo si sostituisce il
principio dell'autoresponsabilltà dell'amministrato, che è
legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza
dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore».
11. Ciò posto, osserva il Collegio che le
conclusioni cui è pervenuta la sentenza 35795/2012 appaiono
pienamente convincenti, in quanto frutto di un'accurata
analisi della natura dell'istituto della d.i.a. edilizia e
della normativa che la disciplina, all'esito della quale
viene giustamente riconosciuta alla condotta del
professionista abilitato una specifica rilevanza
pubblicistica in ragione della assunzione di responsabilità
cui è chiamato, in considerazione «del particolare
affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica
che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso
che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai
controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di
legalità e correttezza dell'intervento».
La vicenda esaminata nella sentenza impugnata riguarda la
materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già presentata.
Una simile condotta, ad avviso del Collegio, una volta
esclusa la natura provvedimentale della d.i.a. non può
configurare il delitto di cui all'art. 476 cod. pen., in
quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla
non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa
l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata
dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati
progettuali aventi valore di certificazione che ne
costituiscono parte integrante. Va peraltro osservato che la
decisione di questa Corte richiamata dai giudici del gravame
ed emessa nell'ambito del medesimo procedimento (Sez. V n.
35153/2007, cit.) non assume alcun rilievo determinante, in
quanto le conclusioni cui perviene si fondano sull'ormai
minoritario indirizzo interpretativo confutato dal giudice
amministrativo e sul richiamo ad altra decisione (Sez. V n.
8684, 26.02.2004) che riguarda, però, questione in parte
diversa (modifica, ad opera di funzionari comunali, di
domande di condono e sostituzione della documentazione
allegata).
La riconducibilità delle condotte contestate all'ipotesi di
cui all'art. 476 cod. pen. veniva infatti ritenuta, in quel
caso, per il fatto che i documenti presentati dal privato,
venendo recepiti dall'amministrazione, ricevono un contenuto
aggiuntivo per effetto delle successive integrazioni di
fonte pubblicistica e per tale nuovo profilo, che presenta
indubbia autonomia funzionale, sono qualificabili come atti
pubblici, ma nel caso esaminato l'elemento qualificante era
rappresentato dall'apposizione del timbro del protocollo e
sul conseguente rilievo assunto dalla soppressione della
documentazione ove lo stesso era stato apposto.
La stessa sentenza, inoltre, afferma testualmente che «è
fuor di dubbio che una scrittura privata o un altro
documento, non costituente "ab origine" atto pubblico, non
possa essere considerato tale in virtù del collegamento
funzionale con l'atto cui esso mette o concorre a mettere
capo ovvero assuma natura di atto pubblico, quasi che
subisca una mutazione genetica, per il solo fatto che venga
consegnato alla pubblica amministrazione, per effetto
dell'inserimento di esso in una "pratica" il cui esito è
costituito da un determinato provvedimento».
Deve dunque rilevarsi che, nella fattispecie, la materiale
alterazione della d.i.a. mediante l'aggiunta manoscritta di
una frase indicante lavori diversi da quelli originariamente
dichiarati riguarderebbe, per quanto è dato desumere dal
tenore del provvedimento impugnato, la sola descrizione
dell'intervento, non viene tuttavia chiarito se l'intervento
modificativo del testo abbia interessato parti del documento
aventi, come si è detto in precedenza, valore di
certificazione cosicché, esclusa la configurabilità del
falso in atto pubblico di cui all'art. 476 cod. pen., si
rende necessario l'annullamento dell'impugnata decisione sul
punto affinché il giudice del rinvio, accertato
preliminarmente in fatto, attraverso il diretto esame della
d.i.a. e della documentazione che ne costituisce parte
integrante, nella parte descrittiva delle opere da
realizzare, qualifichi diversamente la condotta contestata
alla luce dei principi in precedenza richiamati.
Il primo motivo di ricorso è dunque fondato e
l'accoglimento del motivo consente di ritenere
assorbita la questione prospettata nel secondo
motivo di ricorso (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2013 n. 41480 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Rilevanza penale della materiale aggiunta di un
testo su d.i.a. già presentata.
La materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già
presentata, esclusa la sua natura provvedimentale, non può
configurare il delitto di cui all'art. 476 cod. pen., in
quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla
non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa
l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata
dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati
progettuali aventi valore di certificazione che ne
costituiscono parte integrante e l'alterazione dei quali
assume, invece, diversa rilevanza penale (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.10.2013 n. 41480 - tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Reato di falsità ideologica in certificati (DIA).
Integra il reato di falsità ideologica in certificati (art.
481 cod. pen.), non solo la falsificazione della
dichiarazione di inizio attività, ma anche quella
riguardante la relazione di accompagnamento alla stessa,
avendo essa natura di certificato in ordine alla descrizione
dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli
eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile
interessati dall’intervento, alla rappresentazione delle
opere che si intende realizzare e all’attestazione della
loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento
edilizio (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 04.10.2013 n. 40975 - tratto da
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La denuncia di inizio
attività, in quanto mero atto del privato, non costituisce
titolo amministrativo: l’attività edilizia, realizzabile a
seguito di denuncia, è attività completamente liberalizzata
cui si correla un potere di controllo dell’Amministrazione,
la quale può intervenire per inibirla o rimuoverne gli
effetti qualora accerti il suo contrasto con la disciplina
urbanistico-edilizia vigente.
Si distingue, pertanto, fra potere inibitorio, esercitabile
nel breve termine previsto dalla legge, decorrente dal
momento di presentazione della denunzia (il quale presuppone
unicamente il mero accertamento della non compatibilità
urbanistico–edilizia dell’intervento), e potere di
“autotutela” che può essere invece esercitato senza limiti
temporali prestabiliti (e che presuppone accertamenti più
complessi).
Si tratta in realtà di un potere di “autotutela” sui generis
in quanto, come detto, non incidente su un precedente
provvedimento amministrativo. Tale potere tuttavia condivide
con il classico potere di autotutela le regole di disciplina
sostanziali e procedurali; sicché il suo esercizio
presuppone:
a) l’avvio di un nuovo procedimento e, di conseguenza, la
comunicazione agli interessati dell’avviso di cui all’art. 7
della legge n. 241/1990;
B) lo svolgimento di un’attività di comparazione fra
interesse pubblico, volto alla ripristino dello status quo
ante, e interesse del privato, teso invece a conservare
l’intervento, al fine di stabilire se effettivamente il
primo prevalga sul secondo (il potere non è dunque
attivabile al mero fine di ripristinare la legalità
violata).
Queste regole, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale ed
oggi codificate nell’art. 21-nonies, primo comma, della
legge 07.08.1990 n. 241, hanno la finalità di tutelare
l’affidamento ingenerato nel destinatario del titolo il
quale, confidando nella legittimità di quest’ultimo, vi
abbia in buona fede dato esecuzione.
Dopo iniziali incertezze, è ormai
opinione pacifica in giurisprudenza quella secondo la quale
la denuncia di inizio attività, in quanto mero atto del
privato, non costituisce titolo amministrativo: l’attività
edilizia, realizzabile a seguito di denuncia, è attività
completamente liberalizzata cui si correla un potere di
controllo dell’Amministrazione, la quale può intervenire per
inibirla o rimuoverne gli effetti qualora accerti il suo
contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente
(cfr. Consiglio di Stato, ad. plen. 29.07.2011 n. 15).
Si distingue, pertanto, fra potere inibitorio,
esercitabile nel breve termine previsto dalla legge,
decorrente dal momento di presentazione della denunzia (il
quale presuppone unicamente il mero accertamento della non
compatibilità urbanistico–edilizia dell’intervento), e
potere di “autotutela” che può essere invece esercitato
senza limiti temporali prestabiliti (e che, come vedremo,
presuppone accertamenti più complessi).
Si tratta in realtà di un potere di “autotutela” sui
generis in quanto, come detto, non incidente su un
precedente provvedimento amministrativo. Tale potere
tuttavia condivide con il classico potere di autotutela le
regole di disciplina sostanziali e procedurali; sicché il
suo esercizio presuppone:
a) l’avvio di un nuovo
procedimento e, di conseguenza, la comunicazione agli
interessati dell’avviso di cui all’art. 7 della legge n.
241/1990;
B) lo svolgimento di un’attività di comparazione fra
interesse pubblico, volto alla ripristino dello status quo
ante, e interesse del privato, teso invece a conservare
l’intervento, al fine di stabilire se effettivamente il
primo prevalga sul secondo (il potere non è dunque
attivabile al mero fine di ripristinare la legalità
violata).
Queste regole, frutto dell’elaborazione
giurisprudenziale ed oggi codificate nell’art. 21-nonies,
primo comma, della legge 07.08.1990 n. 241, hanno la
finalità di tutelare l’affidamento ingenerato nel
destinatario del titolo il quale, confidando nella
legittimità di quest’ultimo, vi abbia in buona fede dato
esecuzione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.09.2013 n. 2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Tribunale ritiene che l’adozione
dell’ordinanza di demolizione impugnata dovesse essere
necessariamente preceduta dall’annullamento, in autotutela,
del titolo edilizio, silentemente formatosi in relazione
alla suddetta denunzia d’inizio d’attività, in assenza
dell’esercizio, da parte del Comune, del potere inibitorio,
nel termine previsto dalla legge.
Per tale soluzione, cfr. la massima che segue: “E` legittimo
l’ordine di demolizione di un’opera edilizia, adottato (ai
sensi dell’art 35, comma 1, d.lgs. n. 380/2001) da un ente
locale a tutela del patrimonio pubblico, avendo
preliminarmente annullato, in autotutela, gli effetti della
d.i.a., sulla quale si è impropriamente formato il
silenzio-assenso a causa dell’assenza del presupposto della
disponibilità dell’area: anche dopo il decorso del termine
di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, infatti, l’amministrazione non perde i
propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri di
espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado
estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca
(art. 35, comma 3, d.lgs. 380/2001)”.
---------------
Ritiene il Tribunale che, prima di sanzionare con la
demolizione l’edificazione delle opere descritte in
epigrafe, il Comune avrebbe dovuto necessariamente eliminare
l’ostacolo giuridico (rispetto all’ordine di demolizione)
costituito dall’avvenuto consolidamento del titolo edilizio
“per silentium”, e per fare ciò (trattandosi di
provvedimento di secondo grado, incidente su un
provvedimento ampliativo della sfera giuridica del
ricorrente) avrebbe dovuto inderogabilmente rispettare le
garanzie partecipative, previste dall’art. 7 della l.
241/1990, onde porre l’interessato in condizione
d’interloquire al riguardo (in primis, evidentemente,
proprio circa l’asserita –dal medesimo– non demanialità
dell’area, oggetto d’intervento).
In senso conforme a quello sopra prospettato s’è espressa,
del resto, la massima seguente: “Un esplicito riconoscimento
della natura provvedimentale della d.i.a. è stato fornito
dal legislatore, che ha modificato l’art. 19 l. n. 241 del
1990 (con l’art. 3 d. l. 14.03.2005 n. 35, conv. dalla l.
14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a. il
potere dell’amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli art.
21-quinquies e 21-nonies; pertanto, una volta formatosi il
titolo edilizio della d.i.a., l’intervento
dell’amministrazione può essere giustificato soltanto
nell’ambito di in procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli art.
21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso
di avvio di procedimento all’interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni
dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della
partecipazione al procedimento”.
Carattere
dirimente, con assorbimento d’ogni altra doglianza, riveste
la considerazione della censura sub 2), nell’ambito della
quale il ricorrente ha denunziato quanto segue: “Ciò che,
ad ogni modo, più propriamente rileva è che le opere di
specie sono state realizzate in forza di d.i.a. acquisita
al protocollo comunale in data 26.04.1997 al n. 3588,
decorso il termine di legge senza che il responsabile del
competente ufficio comunale abbia notificato l’ordine di non
effettuare l’intervento”.
In presenza, infatti, della documentazione, prodotta da
parte ricorrente, comprovante il deposito della d.i.a. in
oggetto; tenuto conto del decorso di oltre nove mesi tra la
data di deposito della suddetta denunzia e l’ordinanza di
demolizione gravata; considerato, infine, che nessun
chiarimento è stato fornito, dall’Ufficio Tecnico Comunale
(nonostante l’ordine istruttorio impartito dal Collegio)
circa “la relazione, intercorrente tra le opere realizzate e
quelle, di cui alla d.i.a. presentata nel 2007”, tale
eventualmente da corroborare l’ipotesi di una discordanza
tra le opere in questione (dovendosi di conseguenza
accettare, per il principio di non contestazione,
l’affermazione di parte ricorrente, circa l’identità delle
stesse); il Tribunale ritiene che l’adozione dell’ordinanza
di demolizione impugnata dovesse essere necessariamente
preceduta dall’annullamento, in autotutela, del titolo
edilizio, silentemente formatosi in relazione alla suddetta
denunzia d’inizio d’attività, in assenza dell’esercizio, da
parte del Comune di Vibonati, del potere inibitorio, nel
termine previsto dalla legge.
Per tale soluzione, cfr. la massima che segue: “E` legittimo
l’ordine di demolizione di un’opera edilizia, adottato (ai
sensi dell’art 35, comma 1, d.lgs. n. 380/2001) da un ente
locale a tutela del patrimonio pubblico, avendo
preliminarmente annullato, in autotutela, gli effetti della d.i.a., sulla quale si è impropriamente formato il
silenzio assenso a causa dell’assenza del presupposto della
disponibilità dell’area: anche dopo il decorso del termine
di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, infatti, l’amministrazione non perde i
propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri di
espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca
(art. 35, comma 3, d.lgs. 380/2001)” (TAR Lombardia–Brescia – Sez. II,
03.09.2012, n. 1495).
Fermo restando, quindi, che anche nella specie
l’Amministrazione conservava intatti, pur dopo il decorso
del termine di legge per inibire l’intervento in questione
(a seguito della presentazione della d.i.a.), i propri
poteri di agire in autotutela, trattandosi di edificazione
in area, qualificata come demaniale (in disparte ogni
contestazione di parte ricorrente al riguardo) (rispetto
alla quale tipologia di opere s’è affermato: “L’art. 35, d.P.R.
06.06.2001 n. 380, che disciplina gli “interventi
abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di
enti pubblici”, dispone che qualora sia accertata la
realizzazione di interventi in assenza di permesso di
costruire o di denuncia di inizio attività, ovvero in totale
o parziale difformità dai medesimo, su suoli del demanio o
del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, debba essere
ordinata al responsabile dell’abuso la demolizione ed il
ripristino dello stato dei luoghi. Tale disciplina,
differente rispetto a quella ordinaria dettata dall’art. 31
del t. u. dell’edilizia e che non prevede l’irrogazione di
sanzioni pecuniarie, trova la sua giustificazione nella
peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la
costruzione di opere abusive su suoli pubblici” – TAR
Abruzzo–Pescara – Sez. I, 14.01.2010, n. 23), ritiene
il Tribunale che peraltro, prima di sanzionare con la
demolizione l’edificazione delle opere descritte in
epigrafe, il Comune avrebbe dovuto necessariamente eliminare
l’ostacolo giuridico (rispetto all’ordine di demolizione)
costituito dall’avvenuto consolidamento del titolo edilizio
“per silentium”, e per fare ciò (trattandosi di
provvedimento di secondo grado, incidente su un
provvedimento ampliativo della sfera giuridica del
ricorrente) avrebbe dovuto inderogabilmente rispettare le
garanzie partecipative, previste dall’art. 7 della l.
241/1990, onde porre l’interessato in condizione
d’interloquire al riguardo (in primis, evidentemente,
proprio circa l’asserita –dal medesimo– non demanialità
dell’area, oggetto d’intervento).
In senso conforme a quello sopra prospettato s’è espressa,
del resto, la massima seguente: “Un esplicito riconoscimento
della natura provvedimentale della d.i.a. è stato fornito
dal legislatore, che ha modificato l’art. 19 l. n. 241 del
1990 (con l’art. 3 d. l. 14.03.2005 n. 35, conv. dalla l.
14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a.
il potere dell’amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies; pertanto, una volta formatosi il
titolo edilizio della d.i.a., l’intervento
dell’amministrazione può essere giustificato soltanto
nell’ambito di in procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di
avvio di procedimento all’interessato e previa confutazione,
ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al
procedimento” (TAR Lazio–Roma – Sez. II, 02.02.2010, n.
1408)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 06.09.2013 n. 1820 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: RISTRUTTURAZIONI/ Dia salva dai rincari.
L'urbanizzazione alla data dell'istanza.
Se il Comune aumenta gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi, non può farne le spese chi ha già
presentato la Dia per ristrutturare l'immobile.
È quanto
emerge dalla
sentenza
13.05.2013 n. 2593, pubblicata dalla IV Sez. del Consiglio di
Stato, che rovescia la sentenza del
Tar Lombardia.
Tempus regit actum
L'amministrazione deve restituire la somma cautelativamente
versata dall'azienda «a seguito di illegittima richiesta»,
ma evita il risarcimento del danno grazie alla buona fede:
l'ente locale ha aderito all'orientamento interpretativo
prevalente al momento in cui il consiglio comunale ha
deliberato il rincaro.
Il punto è che la Dia costituisce in
pratica un'autocertificazione con cui il privato attesta che
al momento della dichiarazione sussistono le condizioni
stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento:
sulla denuncia la pubblica amministrazione svolge poi
un'eventuale attività di controllo; si può allora ben
comprendere come l'attività di verifica dell'ente debba
avere come esclusivo riferimento la normativa vigente al
momento della presentazione dell'istanza e non la normativa
sopravvenuta. Che dunque diventa irrilevante, compreso il
caso del rincaro degli oneri.
Legittimo affidamento
Va detto poi che deve essere tutelato il legittimo
affidamento del privato che deve poter programmare la sua
attività economica con un minimo di certezza: passa dunque
la tesi dell'azienda che fa i lavori all'immobile laddove
sostiene che la determinazione dei contributi urbanistici da
parte dell'amministrazione costituisce un'attività di tipo
«paritetico e non autoritativo»; insomma: è evidente
che in caso di rideterminazione o modifica unilaterale
dell'onere dovuto la pubblica amministrazione non può
limitarsi ad emettere un atto sostitutivo.
L'amministrazione può avere titolo a rideterminare l'importo
soltanto se il precedente conteggio è stato frutto di un
errore essenziale e riconoscibile ai sensi dell'articolo
1427 cc e seguenti. Pesa a favore dell'impresa il principio
generale di tutela dell'affidamento dei privati, che è
considerato un canone incluso nell'ordinamento giuridico
comunitario. Spese compensate dei due gradi di giudizio a
causa della giurisprudenza oscillante (articolo
ItaliaOggi Sette del 26.08.2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche
per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di
60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n.
380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3.
Sempre in via
preliminare, va rilevato che i provvedimenti impugnati sono
stati emanati nei termini legali, atteso che anche per le
domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60
giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio
ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in
assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui
all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli
interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di
costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto
dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per
l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso
di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA
in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la
pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi
applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni
ex art. 36, comma 3
(TAR Basilicata,
sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a
www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
La normativa consente
alla amministrazione comunale di inibire l’attività edilizia
prevista dalla d.i.a. entro il termine perentorio di 30
giorni dalla presentazione di quest’ultima.
Ora, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 241/1990, una
simile misura interdittiva, per la sua natura recettizia,
acquista efficacia con la sua comunicazione al destinatario
e deve, quindi, considerarsi tempestivamente e
legittimamente attuata, unicamente se, prima della
maturazione del richiamato termine perentorio di 30 giorni,
essa sia stata non solo adottata, ma anche notificata.
---------------
Evocando l'autotutela (e, in particolare, l'annullamento
d'ufficio), il legislatore … ha voluto solo chiarire che,
anche dopo la scadenza del termine perentorio di 30 giorni
per l'esercizio del potere inibitorio, la pubblica
amministrazione conserva un potere residuale di autotutela,
da intendere, però, come potere sui generis, che si
differenzia della consueta autotutela decisoria proprio
perché non implica un'attività di secondo grado insistente
su un procedente provvedimento amministrativo … il
riferimento agli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n.
241/1990 … consente alla pubblica amministrazione di
esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo
grado, in quanto non interviene su una precedente
manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma che con
l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il
procedimento … in questo senso, deve ritenersi che il
richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies vada riferito
alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in
senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione
dell'attività e di rimozione dei suoi effetti,
nell'osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali
previsti dal tali norme … in tal modo, il legislatore, nel
recepire l'orientamento giurisprudenziale che ammetteva la
sussistenza in capo alla pubblica amministrazione di un
potere residuale di intervento anche dopo la scadenza dl
termine, si fa pure carico di tutelare l'affidamento che può
essere maturato in capo al privato per effetto del decorso
del tempo.
Non vi è dubbio, invero, che la d.i.a., pur essendo un atto
che proviene da un privato, sia comunque suscettibile, a
causa del decorso del tempo e del mancato tempestivo
esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica
amministrazione, di consolidare, analogamente a quanto
potrebbe fare un provvedimento espresso, un affidamento
meritevole di protezione … tale affidamento non è certamente
così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da
parte della pubblica amministrazione, anche perché
altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a
consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che
deriva del provvedimento autorizzatorio (il quale,
ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto
rimosso in via di autotutela) … ed allora, superando anche i
dubbi interpretativi in passato da qualcuno sollevati circa
l'esistenza di un residuo potere di intervento da parte
della pubblica amministrazione una volta scaduto il termine
perentorio di 30 giorni, la l. n. 80/2005, nel riformulare
l'art. 19 della l. n. 241/1990, ha precisato che la pubblica
amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività ed
ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti anche
dopo che è scaduto il termine perentorio … lo potrà fare,
però, soltanto se vi sono i presupposti per l'esercizio del
potere di autotutela (in particolare dell'annullamento
d'ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo,
dopo aver valutato gli interessi in conflitto e
sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
---------------
Ai sensi dell’art. 23, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, la
d.i.a. può essere presentata da chiunque, non solo essendo
proprietario dell’immobile, ma anche vantando altro idoneo
titolo di legittimazione, ossia la disponibilità
giuridicamente qualificata dello stesso, abbia la facoltà di
eseguire i lavori progettati.
Oltre al proprietario dell’immobile interessato dalle opere
progettate, possono, cioè, invocare il rilascio del permesso
di costruire, i titolari di diritti reali di godimento sullo
stesso ovvero di obbligazioni, che accordino la
disponibilità del fondo e il relativo ius aedificandi, così
da legittimarli, nei confronti sia dell’autorità competente
sia dei proprietari, ad eseguire le divisate trasformazioni
urbanistico-edilizie del suolo.
Ciò premesso, occorre qui rammentare che, a
norma dell’art. 23, commi 1 e 6, del d.p.r. n. 380/2001, “il
proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare
la denuncia di inizio attività, almeno 30 giorni prima
dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello
unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione
a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni
elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle
opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e
non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti
edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza
e di quelle igienico-sanitarie … il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il
termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una
o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato
l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”.
La disciplina dianzi riportata –previgente alle innovazioni
apportate all’art. 19 della l. n. 241/1990 dall’art. 49,
comma 4-bis, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010,
ed applicabile, ratione temporis, alla fattispecie dedotta
in giudizio– consente, dunque, alla competente
amministrazione comunale di inibire l’attività edilizia
prevista dalla d.i.a. entro il termine perentorio (cfr. TAR
Abruzzo, L’Aquila, 08.06.2005, n. 433; TAR Campania,
Napoli, sez. II, 27.06.2005, n. 8707) di 30 giorni dalla
presentazione di quest’ultima.
Ora, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 241/1990, una
simile misura interdittiva, per la sua natura recettizia,
acquista efficacia con la sua comunicazione al destinatario
e deve, quindi, considerarsi tempestivamente e
legittimamente attuata, unicamente se, prima della
maturazione del richiamato termine perentorio di 30 giorni,
essa sia stata non solo adottata, ma anche notificata (cfr.
TAR Campania, Napoli, sez. II, 27.06.2005, n. 8707; 11.04.2008, n. 2093; TAR Liguria, Genova, sez. I,
02.11.2011, n. 1511).
---------------
In proposito,
giova rammentare l’arresto di Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 717: “evocando l'autotutela (e, in
particolare, l'annullamento d'ufficio), il legislatore … ha
voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine
perentorio di 30 giorni per l'esercizio del potere
inibitorio, la pubblica amministrazione conserva un potere
residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui
generis, che si differenzia della consueta autotutela
decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo
grado insistente su un procedente provvedimento
amministrativo … il riferimento agli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990 … consente alla pubblica
amministrazione di esercitare un potere che tecnicamente non
è di secondo grado, in quanto non interviene su una
precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione,
ma che con l'autotutela classica condivide soltanto i
presupposti e il procedimento … in questo senso, deve
ritenersi che il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies vada riferito alla possibilità di adottare non già
atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i
poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti, nell'osservanza dei presupposti sostanziali e
procedimentali previsti dal tali norme … in tal modo, il
legislatore, nel recepire l'orientamento giurisprudenziale
che ammetteva la sussistenza in capo alla pubblica
amministrazione di un potere residuale di intervento anche
dopo la scadenza dl termine, si fa pure carico di tutelare
l'affidamento che può essere maturato in capo al privato per
effetto del decorso del tempo … non vi è dubbio, invero, che
la d.i.a., pur essendo un atto che proviene da un privato,
sia comunque suscettibile, a causa del decorso del tempo e
del mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio da
parte della pubblica amministrazione, di consolidare,
analogamente a quanto potrebbe fare un provvedimento
espresso, un affidamento meritevole di protezione … tale
affidamento non è certamente così forte da escludere
qualsiasi potere di intervento da parte della pubblica
amministrazione, anche perché altrimenti per effetto della
d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile
rispetto a quella che deriva del provvedimento
autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge,
può essere appunto rimosso in via di autotutela) … ed
allora, superando anche i dubbi interpretativi in passato da
qualcuno sollevati circa l'esistenza di un residuo potere di
intervento da parte della pubblica amministrazione una volta
scaduto il termine perentorio di 30 giorni, la l. n.
80/2005, nel riformulare l'art. 19 della l. n. 241/1990, ha
precisato che la pubblica amministrazione può vietare lo
svolgimento dell'attività ed ordinare l'eliminazione degli
effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine
perentorio … lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i
presupposti per l'esercizio del potere di autotutela (in
particolare dell'annullamento d'ufficio) e, quindi, entro un
ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi
in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse
pubblico”.
---------------
Ed invero, ai
sensi dell’art. 23, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, la d.i.a. può essere presentata da chiunque, non solo essendo
proprietario dell’immobile, ma anche vantando altro idoneo
titolo di legittimazione, ossia la disponibilità
giuridicamente qualificata dello stesso (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 28.05.2001, n. 2882; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 27.04.2004, n. 1255), abbia la facoltà di eseguire i
lavori progettati.
Oltre al proprietario dell’immobile interessato dalle opere
progettate, possono, cioè, invocare il rilascio del permesso
di costruire, i titolari di diritti reali di godimento sullo
stesso ovvero di obbligazioni –come, appunto, la C.M.T. &
C.–, che accordino la disponibilità del fondo e il relativo
ius aedificandi, così da legittimarli, nei confronti sia
dell’autorità competente sia dei proprietari, ad eseguire le
divisate trasformazioni urbanistico-edilizie del suolo (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882; TAR Abruzzo,
L’Aquila, 06.06.2002, n. 316; TAR Basilicata, Potenza, 24.11. 2003, n. 1007; TAR Campania, Napoli, sez. II, 22.09.2006, n. 8243; TAR Puglia, Bari, sez. II,
04.06.2010, n. 2250) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 09.05.2013 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' senz’altro vero che
ogni titolo edilizio ampiamente inteso esiste salvi i
diritti dei terzi, e quindi è non automaticamente
illegittimo allorquando contrasti con gli stessi in cui
assentisca una costruzione a distanza inferiore alla legale;
la conclusione però cambia quando l’ente competente a
provvedere di tale contrasto sia a conoscenza: in tal caso,
il titolo diventa illegittimo, e soggetto a interventi in
senso ampio repressivi.
Ancòra una volta, ciò va ritenuto senz’altro ritenendo che
la d.i.a. integrasse un atto abilitativo tacito, ma rimane
valido anche aderendo alla citata tesi della d.i.a. come
atto privato espressa da C.d.S. a.p. 15/2011 con riguardo
alle norme vigenti all’epoca dei fatti: in linea generale,
il Comune è comunque abilitato a intervenire a fronte di
atti privati che si concretino in una costruzione abusiva.
Ciò posto, alla fattispecie si adatta
l’insegnamento di TAR Liguria 11.07.2007 n. 1376.
In
termini generali, è senz’altro vero che ogni titolo edilizio
ampiamente inteso esiste salvi i diritti dei terzi, e quindi
è non automaticamente illegittimo allorquando contrasti con
gli stessi, come nel caso di rilievo, in cui assentisca una
costruzione a distanza inferiore alla legale; la conclusione
però cambia quando l’ente competente a provvedere di tale
contrasto sia, come nella specie, a conoscenza: in tal caso,
il titolo diventa illegittimo, e soggetto a interventi in
senso ampio repressivi.
Ancòra una volta, ciò va ritenuto
senz’altro ritenendo che la d.i.a. integrasse un atto
abilitativo tacito, ma rimane valido anche aderendo alla
citata tesi della d.i.a. come atto privato espressa da
C.d.S. a.p. 15/2011 con riguardo alle norme vigenti
all’epoca dei fatti: in linea generale, il Comune è comunque
abilitato a intervenire a fronte di atti privati che si
concretino in una costruzione abusiva (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.04.2013 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA e opere difformi.
In caso di presentazione di dichiarazione di inizio di
attività, l'inutile decorso del termine previsto per legge
ai fini dell’esercizio del potere inibitorio
all’effettuazione delle opere non comporta che l’attività
del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma
normativo, possa considerarsi legittimamente effettuata e,
quindi possa andare esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle
norme di legge e di regolamento, alle previsioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei
titoli abilitativi.
Ed infatti, in tali ipotesi il titolo
abilitativo comunque formatosi per effetto dell'inerzia
dell'amministrazione può comunque formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di
interventi di annullamento d’ufficio o di revoca.
In
siffatte ipotesi, infatti, l’amministrazione non perde i
propri ordinari poteri di vigilanza e sanzionatori, il cui
esercizio risponde a finalità di interesse generale e la cui
connotazione presenta caratteri in parte diversi rispetto al
potere esercitato al momento (per così dire ‘genetico’)
della formazione del titolo per silentium.
Al riguardo, il Collegio condivide (non rinvenendosi nel
caso di specie ragioni per discostarsene) l’orientamento
secondo cui, in caso di presentazione di dichiarazione di
inizio di attività, l'inutile decorso del termine previsto
per legge ai fini dell’esercizio del potere inibitorio
all’effettuazione delle opere (nel caso di specie, si tratta
del termine di cui ai commi 11 e 15 dell’articolo 4 del
decreto-legge 398 del 1993) non comporta che l’attività del
privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma
normativo, possa considerarsi legittimamente effettuata e,
quindi possa andare esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle
norme di legge e di regolamento, alle previsioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei
titoli abilitativi.
Ed infatti, in tali ipotesi il titolo abilitativo comunque
formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può
comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via
generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento
d’ufficio o di revoca.
In siffatte ipotesi, infatti, l’amministrazione non perde i
propri ordinari poteri di vigilanza e sanzionatori, il cui
esercizio risponde a finalità di interesse generale e la cui
connotazione presenta caratteri in parte diversi rispetto al
potere esercitato al momento (per così dire ‘genetico’)
della formazione del titolo per silentium (in tal
senso: Cons. Stato, IV, 30.07.2012, n. 4318) (massima tratta
da www.lexambiente.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.04.2013 n. 1909 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
A seguito della decisione dell'Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato (29.07.2011, n. 15), la dichiarazione
di inizio attività -oggi sostituita dalla segnalazione
certificata di inizio attività (s.c.i.a.) per effetto
dell'entrata in vigore del D.L. 31.05.2010 n. 78- non dà
vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito,
bensì "riflette un atto del privato volto a comunicare
l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge".
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di
settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al
modello generale di cui all'art. 19 legge 241/1990, la
giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché
una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la
completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di
trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione
dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o
incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la
facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i
lavori.
Nella fattispecie per cui è causa, ritiene il Collegio che
la d.i.a. in esame non possa dirsi "perfezionata", ostandovi
appunto la carenza della documentazione richiesta e,
comunque, dei presupposti di operatività della d.i.a.
stessa, con conseguente mantenimento in capo al Comune del
potere inibitorio di cui agli artt. 23 D.P.R. 380/2001 e 19
L. 241/1990 al fine del ripristino della legalità violata.
Con la precisazione doverosa che più di potere inibitorio in
senso tecnico, si è al cospetto di un potere di "verifica
della non formazione della d.i.a.", con conseguente ordine
di ripristino dello stato dei luoghi, ove in qualche misura
alterato.
Le censure sono
destituite di fondamento.
In particolare:
...
b).
in data 16.05.2007 è stato effettuato un primo
sopralluogo nel corso del quale sono state accertate
difformità nel fabbricato A (di progetto fabbricato B) come
da grafico allegato alla relazione del 29.05.2007, n. 153/UT.
La DIA è stata presentata -soltanto– in data 29.02.2008; e
con nota del 12.03.2008 la PA ha subordinato l’esecuzione dei
lavori alla produzione di specifica documentazione a cui,
però, la ricorrente non ha ottemperato.
Giova evidenziare come la denuncia di inizio attività in
esame, secondo la documentazione depositata in atti, risulta
dunque carente sotto diversi profili.
A seguito della decisione dell'Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato (29.07.2011, n. 15), la dichiarazione
di inizio attività -oggi sostituita dalla segnalazione
certificata di inizio attività (s.c.i.a.) per effetto
dell'entrata in vigore del D.L. 31.05.2010 n. 78- non
dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso
tacito, bensì "riflette un atto del privato volto a
comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività
direttamente ammessa dalla legge".
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di
settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al
modello generale di cui all'art. 19 legge 241/1990, la
giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché
una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la
completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione (ex multis TAR Lombardia Milano II
09.12.2008 n. 5737; TAR Emilia Romagna-Bologna
sez. II 17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez. IV 24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez. I
02.12.2010, n. 35023). Infatti, il decorso del termine di trenta
giorni non può avere alcun effetto di legittimazione
dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o
incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la
facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i
lavori.
Nella fattispecie per cui è causa, ritiene il Collegio che
la d.i.a. in esame non possa dirsi "perfezionata", ostandovi
appunto la carenza della documentazione richiesta e,
comunque, dei presupposti di operatività della d.i.a.
stessa, con conseguente mantenimento in capo al Comune del
potere inibitorio di cui agli artt. 23 D.P.R. 380/2001 e 19
L. 241/1990 al fine del ripristino della legalità violata.
Con la precisazione doverosa che più di potere inibitorio in
senso tecnico, si è al cospetto di un potere di "verifica
della non formazione della d.i.a.", con conseguente
ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ove in qualche
misura alterato
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 05.04.2013 n. 3506 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Presupposti
per il corretto esercizio del potere di annullamento in
autotutela sono:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale
all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino
della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e
privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il
tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano
consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili.
Il provvedimento impugnato –adottato un anno dopo il
perfezionamento di un titolo avente ad oggetto un intervento
edilizio di modesta entità e in corso di avanzata
costruzione- si limita a rilevare il contrasto della d.i.a.
con l’art. 61 delle n.t.a., a contestare l’incompletezza del
permesso rilasciato dall’a.n.a.s., allegato alla d.i.a., e a
lamentare la mancata presentazione del d.u.r.c., invocando
quindi esigenze di mero ripristino della legalità, senza
indicare la ragione di interesse pubblico per la quale la
d.i.a. dovesse essere annullata.
Né può valere quanto affermato dalla difesa
dell’amministrazione resistente nelle memorie depositate in
giudizio, circa l’esigenza di tutela della zona agricola
sulla quale è stata realizzata la recinzione, essendo
inammissibile l’integrazione postuma della motivazione
contenuta in una memoria difensiva.
Con ordinanza del 02.12.2010, il Comune di Samolaco ha annullato in autotutela la denuncia di inizio
attività presentata dalla sig.ra Vaninetti il 09.11.2009, avente ad oggetto la realizzazione di lavori di
completamento della recinzione dell’immobile di sua
proprietà.
Con ordinanza, adottata sempre in data 02.12.2010, il
Comune ha ingiunto la demolizione dell’opera.
La censura con cui viene lamentata l’illegittimità
dell’ordinanza di annullamento in autotutela, per violazione
dell’art. 21-nonies, è fondata.
Presupposti per il corretto esercizio del potere di
annullamento in autotutela sono:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale
all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino
della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e
privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il
tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano
consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili.
Il provvedimento impugnato –adottato un anno dopo il
perfezionamento di un titolo avente ad oggetto un intervento
edilizio di modesta entità e in corso di avanzata
costruzione- si limita a rilevare il contrasto della d.i.a.
con l’art. 61 delle n.t.a., a contestare l’incompletezza del
permesso rilasciato dall’a.n.a.s., allegato alla d.i.a., e a
lamentare la mancata presentazione del d.u.r.c., invocando
quindi esigenze di mero ripristino della legalità, senza
indicare la ragione di interesse pubblico per la quale la
d.i.a. dovesse essere annullata.
Né può valere quanto affermato dalla difesa
dell’amministrazione resistente nelle memorie depositate in
giudizio, circa l’esigenza di tutela della zona agricola
sulla quale è stata realizzata la recinzione, essendo
inammissibile l’integrazione postuma della motivazione
contenuta in una memoria difensiva (cfr., fra le tante,
TAR Veneto, sez. I, 11.03.2010, n. 768; Consiglio di
Stato sez. IV, 16.09.2008, n. 4368).
Il ricorso è, dunque, fondato nella parte in cui fa valere
l’illegittimità dell’ordinanza di annullamento in autotutela
e l’illegittimità, in via derivata, dell’ordinanza di
demolizione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.03.2013 n. 759 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si deve escludere che l’istituto
della proroga dei termini di ultimazione dei lavori,
prevista per il permesso di costruire dall’art. 15
del DPR 380/2001, possa trovare applicazione anche
alla denuncia di inizio attività (DIA).
Si deve escludere che l’istituto della proroga dei
termini di ultimazione dei lavori, prevista per il
permesso di costruire dall’art. 15 del DPR 380/2001,
possa trovare applicazione –come vorrebbe invece la
parte istante– anche alla denuncia di inizio
attività (DIA).
L’art. 23, comma 2, del DPR 380/2001 (Testo Unico
dell’edilizia), stabilisce, in caso di omessa
ultimazione dei lavori di cui alla DIA, che <<La
realizzazione della parte non ultimata
dell’intervento è subordinata a nuova denuncia>>.
Inoltre, l’art. 42, comma 6, della legge della
Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del
territorio, prevede espressamente che i lavori di
cui alla DIA debbano essere ultimati entro tre anni
dall’inizio dei lavori, altrimenti: <<La
realizzazione della parte di intervento non ultimata
nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia>>.
Tale ultima norma è interpretata, anche dalla
dottrina, nel senso che non è ammissibile una
formale proroga dei termini di ultimazione dei
lavori oggetto di DIA, essendo solo consentita la
presentazione di altra denuncia di inizio attività.
Del resto, visto che alla DIA deve riconoscersi
natura di atto del privato, con il quale
quest’ultimo sotto la propria responsabilità si
assume l’onere di eseguire determinate opere in un
tempo definito (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza
Plenaria n. 15/2011), non appare illogico o
irragionevole che, in caso di mancata ultimazione
dei lavori, debba presentarsi una nuova denuncia di
inizio attività.
Ciò premesso e tenuto conto che il Comune di Como ha
dato applicazione ad una precisa norma di legge
(appunto, i citati art. 23 ed art. 42), senza alcuno
spazio per altre e differenti valutazioni, non
meritano accoglimento neppure le censure relative
alla presunta violazione dell’art. 10-bis della
legge 241/1990 e delle norme sul c.d. giusto
procedimento.
E’ fatta ovviamente salva la facoltà
per l’esponente di presentare apposita DIA per il
completamento dei lavori, da esaminarsi da parte del
Comune di Como (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.03.2013 n. 619 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La Giunta non può imporre specifiche prescrizioni
in tema di DIA.
E' illegittimo il provvedimento giuntale, reso a fronte di
una DIA recante parere favorevole, contenente prescrizioni
riduttive indicate per ragioni di tutela del demanio
marittimo. La Giunta, in quanto organo politico, è
incompetente ad imporre singole prescrizioni.
Con ricorso al TAR per la Campania, Sezione di Salerno, la
società Alfa, titolare di una struttura ricettiva sita nel
Comune di Castellabate, esponeva di aver presentato, a
quest'ultimo, una dichiarazione di inizio di attività
edilizia, consistente nell'ampliamento di una pedana
amovibile con struttura in legno, già assentita con
precedente autorizzazione.
A fronte dell'istanza, il responsabile del procedimento
comunicava la sospensione dell'iter procedimentale
finalizzata all'acquisizione, tanto dei pareri paesaggistico
ambientali, quanto dell'autorizzazione demaniale ex art. 55
c.n..
In seguito, lo stesso responsabile notificava alla società
istante un provvedimento con il quale, comunicava
l'intervenuto parere favorevole della giunta comunale
subordinato all'ottemperamento di alcune prescrizioni.
Invitava pertanto la richiedente a ripresentare una nuova
DIA conforme alle indicazioni emanate dall'organo politico.
Con ricorso la società Alfa domandava al Giudice
Amministrativo l'annullamento del predetto atto.
Con sentenza resa in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a.,
il TAR accoglieva il gravame, annullando il suddetto
provvedimento e riconoscendo l'incompetenza della giunta, in
quanto organo politico, ad imporre prescrizioni.
Ricorreva avverso tale sentenza il Comune chiedendone
l'integrale riforma. Giunta la questione all'attenzione dei
Giudici di Palazzo Spada, la Quarta Sezione ha rilevato che,
nel caso di specie, la questione dirimente verte sulla
legittimità di un provvedimento giuntale reso a fronte di
una dichiarazione di inizio di attività edilizia recante
parere favorevole, ma con prescrizioni riduttive della
superficie assentibile, indicate per ragioni di tutela del
demanio marittimo.
Sul punto il Collegio ha rilevato l'anomalia "normativa"
dell'intervento nel procedimento amministrativo della
giunta, in quanto organo politico, e la mancata applicazione
delle disposizioni che il regolamento locale prevedeva in
materia.
Nella specie, ha proseguito la Sezione, non è da
considerarsi contestato il ruolo "politico"
amministrativo che la giunta può, in base ai principi
generali, svolgere in sede di pianificazione urbanistica
bensì la legittimità della fonte che detto intervento
prevede nei procedimenti edilizi che investono il demanio
marittimo.
Sul punto, il Collegio ha confermato la correttezza della
pronuncia del giudice di prime cure che, aveva già rilevato,
il contrasto tra il provvedimento impugnato ed il principio
di separazione tra politica ed amministrazione (art. 107 del
t.u.ee.ll.).
Pertanto, Palazzo Spada, condividendo l'impianto della
sentenza impugnata e valutando in termini fortemente
negativi l'intervento normativo dell'organo politico nei
singoli procedimenti edilizi, ha ritenuto di confermare la
tesi accolta dal TAR in applicazione del menzionato ed
elementare principio di separazione tra politica ed
amministrazione ex art. 107 t.u.ee.ll. e proprio in forza di
questa regola, di confermare l'incompetenza della giunta in
materia.
Il Collegio ha altresì chiarito che, la fattispecie
provvedimentale oggetto di controversia, viene in essere al
termine di un procedimento nel quale, a fronte di una
dichiarazione di inizio di un'attività edilizia con riflessi
sul demanio marittimo, è ai sensi di legge richiesto, oltre
a quelli paesaggistici, anche il nulla osta dell'autorità
preposta alla tutela del demanio.
Nel caso in esame tuttavia, nel corso del prescritto "iter"
procedimentale, il responsabile dell'ufficio, dopo aver
sospeso gli sviluppi della DIA, non ha ordinato alla
società, in esecuzione dell'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380
del 2001, di non eseguire l'intervento per la parte ritenuta
in contrasto con la tutela del demanio, ma le ha
direttamente opposto le emanate prescrizioni giuntali,
invitandola alla presentazione di una nuova DIA.
In tal modo il comune, ha spiegato ancora Palazzo Spada, non
esercitando i poteri previsti dalla legge in ordine alla
dichiarazione di inizio di attività, ha posto in essere una
distorsione del paradigma procedimentale tipico,
puntualmente sanzionato dal giudice di prime cure.
Pertanto, ha concluso la Sezione, l'iter procedimentale
dovrà essere ripetuto a partire dalla DIA presentata dalla
società appellata, sulla quale l'amministrazione comunale,
avrà nuovamente il potere-dovere di pronunciarsi, a norma
del comma 6 dell'art. 23 del T.U. n. 380 del 2001,
esprimendosi anche con riferimento ai profili di tutela del
demanio, ma autonomamente, vale a dire senza obbligo di
aderire al parere giuntale reso in forza di un regolamento
la cui non contestata disapplicazione è divenuta
inoppugnabile (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.01.2013 n. 168 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: R.
Micalizzi,
DIA e oneri di urbanizzazione sopravvenuti (Urbanistica
e appalti n. 12/2012). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'istituto della denuncia di inizio di attività,
disciplinato dagli art. 22 e 23 D.P.R. 06.06.2001, n. 380,
evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di
ordine generale dettate in tema di comunicazione
(preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento
dell'istanza.
In particolare l'adozione del provvedimento con il quale
l'amministrazione comunale ordina al privato di non
effettuare l'intervento da lui denunciato non deve essere
preceduta dalla comunicazione di cui all'art. 10-bis, l. n.
241/1990 ostando in tal senso non solo la circostanza che la
denuncia di inizio di attività non può, letteralmente,
considerarsi una "istanza di parte", ma anche (e
soprattutto) la speciale disciplina "della notifica
all'interessato" dell'"ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento", contenuta dal comma 6 dell'art. 23
cit., dove già è prevista la motivazione dell'ordine
inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e
di tutela del privato, a favore del quale viene comunque
fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia di
inizio attività, con le modifiche o le integrazioni
necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica
ed edilizia.
L’ultimo motivo di ricorso non può essere accolto perché
esistono profili di incompatibilità tra il preavviso di
rigetto e la D.I.A.
Si veda in merito quanto affermato nella sentenza 2478/2011
del TAR Lombardia che è espressione di un indirizzo
consolidato: “L'istituto della denuncia di inizio di
attività, disciplinato dagli art. 22 e 23 D.P.R. 06.06.2001, n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le
nuove norme di ordine generale dettate in tema di
comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza; in particolare l'adozione del
provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina
al privato di non effettuare l'intervento da lui denunciato
non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui
all'art. 10-bis, l. n. 241/1990 ostando in tal senso non
solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività
non può, letteralmente, considerarsi una "istanza di parte",
ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina "della
notifica all'interessato" dell'"ordine motivato di non
effettuare il previsto intervento", contenuta dal comma 6
dell'art. 23 cit., dove già è prevista la motivazione
dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di
confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene
comunque fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia
di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni
necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica
ed edilizia" (TAR Umbria,
sentenza 19.12.2012 n. 537 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
termine di 30 giorni previsto dalla legge circa la
presentazione della D.I.A., nella specie dai citati artt.
23, comma 6, T.U. 380/2001 e 42, comma 1, l.r. Lombardia
12/2005, si intende rispettato dall’amministrazione allorché
entro lo stesso l’atto repressivo sia stato predisposto ed
avviato alla notifica, in analogia con quanto vale per il
rispetto dei termini processuali di decadenza, e ciò è nella
specie avvenuto.
Nell’ordine, è infondato il primo motivo di
ricorso, incentrato sul presunto carattere tardivo
dell’intervento del Comune, che sulla d.i.a. presentata il
19.02.2007 ha adottato il provvedimento repressivo
impugnato avviandolo alla notifica il 20.03.2007, ovvero
il ventottesimo giorno successivo.
Così come ribadito da
recente giurisprudenza –per tutte TAR Liguria sez. I 02.11.2011 n. 1511- il termine di trenta giorni previsto
dalla legge, nella specie dai citati artt. 23, comma 6, T.U.
380/2001 e 42, comma 1, l.r. Lombardia 12/2005, si intende
rispettato dall’amministrazione allorché entro lo stesso
l’atto repressivo sia stato predisposto ed avviato alla
notifica, in analogia con quanto vale per il rispetto dei
termini processuali di decadenza, e ciò è nella specie
avvenuto
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.11.2012 n. 1853 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: E'
pur vero che secondo un certo orientamento la verifica sui
requisiti necessari per legittimare la d.i.a. è riferita
alla normativa vigente al momento di presentazione della
stessa, anche in caso di modifiche successive.
Osserva però il Collegio che tale principio potrebbe al più
valere per i casi di d.i.a. già perfezionatasi, e non per
fattispecie, come quella per cui è causa, nelle quali il
procedimento si è protratto per la mancanza di integrazioni
documentali richieste al privato.
Infondato è anche il secondo
motivo.
Va intanto ricordato quanto detto in narrativa,
ovvero che l’amministrazione ha chiarito quali sarebbero
state le norme a suo avviso violate, e che sulla violazione
in quanto tale il privato nulla ha eccepito. Ciò posto, è
pur vero che secondo un certo orientamento, espresso ad
esempio da C.d.S. sez. V ord. 29.07.2003 n. 3234, la
verifica sui requisiti necessari per legittimare la d.i.a. è
riferita alla normativa vigente al momento di presentazione
della stessa, anche in caso di modifiche successive.
Osserva però il Collegio che tale principio potrebbe al più
valere per i casi di d.i.a. già perfezionatasi, e non per
fattispecie, come quella per cui è causa, nelle quali il
procedimento si è protratto per la mancanza di integrazioni
documentali richieste al privato (doc.ti ricorrente 3 e 4,
copie carteggio relativo).
In tal senso quindi, come correttamente osservato dal Comune
nella relazione 18.07.2006, in presenza di modifiche nella
normativa di riferimento, non era possibile tener per valida
la dichiarazione di conformità alle stesse contenuta nella
d.i.a. e riferita alle norme di legge e di piano previgenti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 28.11.2012 n. 1852 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a
legittimazione differita’, sicché l’attività denunciata può
essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo
il decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione.
Ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001
l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione
presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel
termine di trenta giorni dalla presentazione della
dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno
trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere
inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere
di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n.
241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le
dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in
contrasto con la normativa vigente, così come sono
impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e
controllo previste dalla disciplina di settore.
---------------
Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel
risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno
della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di
autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione
sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del
silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per
l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e
che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio
temporale, la p.a. conserva un potere residuale di
autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre
rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio,
condivide i principi regolatori sanciti, in materia di
autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo
alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in
contraddittorio, al rispetto del limite del termine
ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una
valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione
dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio.
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n.
15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non
provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela
dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il
termine di 30 giorni dalla sua presentazione,
l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di
inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro
trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del
modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di
autotutela.
Dunque non è contestabile che l’amministrazione conservi
poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori, se
difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali poteri
vanno esercitati nelle forme dell’autotutela.
Va ricordato che la d.i.a. è stata introdotta disciplinata, in via
generale, dall’art. 19 della 07.08.1990, n. 241 e, con
riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del d.P.R.
06.06.2001, n. 380.
Dispone, in particolare, l’art. 23, comma 1, d.P.R. n.
380/2001 che il proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno
trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori,
presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da
una dettagliata relazione a firma di un progettista
abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie.
Il comma 6 del medesimo articolo aggiunge che il dirigente o
il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro
il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di
una o più delle condizioni stabilite, notifica
all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del
professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e
il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva
la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività,
con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla
conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a legittimazione
differita’, sicché l’attività denunciata può essere
intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il
decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione. Ai
sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001
l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione
presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel
termine di trenta giorni dalla presentazione della
dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno
trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere
inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere
di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge
07.08.1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n.
241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le
dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in
contrasto con la normativa vigente, così come sono
impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e
controllo previste dalla disciplina di settore.
Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel
risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno
della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di
autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione
sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del
silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per
l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e
che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio
temporale, la p.a. conserva un potere residuale di
autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre
rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio,
condivide i principi regolatori sanciti, in materia di
autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo
alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in
contraddittorio, al rispetto del limite del termine
ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una
valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli
interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione
dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante
a seguito del decorso del tempo e della conseguente
consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n.
15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non
provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela
dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il
termine di 30 giorni dalla sua presentazione,
l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di
inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro
trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del
modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di
autotutela.
Dunque non è contestabile che l’amministrazione
conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori,
se difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali
poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.11.2012 n. 5751 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La denuncia di inizio attività disciplinata dal
T.U. in materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è comunque
assimilabile a un'istanza autorizzatoria, che, con il
decorso del termine di legge, provoca la formazione di un
provvedimento tacito di accoglimento dell'istanza.
Dopo il decorso del termine di 30 giorni per la formazione
del provvedimento tacito l’amministrazione non perde i suoi
poteri di autotutela, i quali tuttavia devono essere
esercitati nel rispetto del principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo
affidamento del privato nei confronti dell'attività
amministrativa.
È fondato e assorbente di ogni altra censura il motivo con il quale parte
ricorrente deduce l’avvenuta formazione del silenzio assenso
sulla d.i.a., ai sensi degli artt. 22 e 23 del D.P.R. n.
380/2001.
La denuncia di inizio attività disciplinata dal T.U. in
materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è comunque assimilabile a
un'istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine
di legge, provoca la formazione di un provvedimento tacito
di accoglimento dell'istanza.
Dopo il decorso del termine di trenta giorni per la
formazione del provvedimento tacito l’amministrazione non
perde i suoi poteri di autotutela, i quali tuttavia devono
essere esercitati nel rispetto del principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo
affidamento del privato nei confronti dell'attività
amministrativa.
Nel caso di specie, la valutazione effettuata
dall'Amministrazione nel provvedimento impugnato, in ordine
alla contrarietà dell'opera eseguita dal ricorrente a
seguito della presentazione della d.i.a., valutazione che
conduce al blocco delle opere, avrebbe dovuto essere
preceduta dall'annullamento del provvedimento formatosi
sulla d.i.a..
Quest'ultimo avrebbe dovuto essere preceduto dall'avviso di
avvio del procedimento e dal rispetto di tutte le forme
sostanziali e procedimentali previste per gli atti in
autotutela, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole
per porre in essere il provvedimento di secondo grado e la
comparazione dell’interesse pubblico con l’aspettativa del
privato, consolidata dal decorso del tempo –quasi un anno
dalla denuncia di inizio attività edilizia- e dalla
consapevolezza dell’intervenuto assenso tacito nei termini
di legge.
Tale serie procedimentale non è stata seguita nel caso di
specie, avendo l’Amministrazione emesso il provvedimento di
blocco dei lavori senza preavviso e senza preventivo
annullamento del provvedimento di tacito assenso, non
svolgendo alcuna valutazione in ordine alla prevalenza
dell’interesse all’autotutela sull’aspettativa consolidata
del costruttore.
In difetto dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela
l’attività dichiarata può legittimamente proseguire, anche
nelle opere denunciate nel 2011 in variante, le quali hanno
carattere marginale e accessorio rispetto alla
ristrutturazione di cui alla d.i.a. del 2010 (consistono in
piccoli spostamenti di tramezzature interne, montaggio di
infissi, sostituzione del pavimento, adeguamento degli
impianti tecnologici e tinteggiature).
Il ricorso, pertanto deve essere accolto quanto alla
richiesta di annullamento del provvedimento impugnato. Non
emergono, invece, danni risarcibili, anche considerando che
l’ordinanza cautelare emessa da questa Sezione (n.
3430/2011) ha tempestivamente inibito gli effetti dell’atto
lesivo (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis,
sentenza 12.11.2012 n. 9257 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Anche
dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6,
del testo unico sull’edilizia (che disciplina la d.i.a.)
l’amministrazione è titolare del potere di verificare se le
opere possano essere realizzate sulla base della denuncia di
inizio dell’attività e può esercitare i poteri di vigilanza
e sanzionatori previsti dall’ordinamento.
I ricorrenti fanno presente, a fronte dell’affermazione del
Comune per cui per la realizzazione dell’opere contestate
non risulterebbe presentata Denuncia di Inizio Attività, che
detta circostanza sarebbe destituita di fondamento in quanto
in data 09.11.2009 avrebbero depositato presso
l’Ufficio Protocollo del Comune di Badolato, la
Comunicazione di avvio dei lavori con relativi grafici che
individuavano i lavori da realizzare.
Anche questa doglianza non può essere accolta.
In base all’articolo 23 del d.P.R. 380/2001 che disciplina
la denuncia di inizio attività è prescritto che “il
proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare
la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima
dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello
unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione
a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni
elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle
opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e
non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti
edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza
e di quelle igienico-sanitarie”.
Come affermato dal Comune e come emerge dagli atti di causa,
la comunicazione inoltrata non presenta la documentazione
richiesta e pertanto non può essere ricondotta alla prevista
disciplina.
Infine, per quanto concerne il contrasto dell’opera
realizzata con il disposto dell’articolo 44 del regolamento
edilizio, il Collegio osserva che anche dopo la scadenza del
termine fissato dall’art. 23, comma 6, del testo unico
sull’edilizia l’amministrazione è titolare del potere di
verificare se le opere possano essere realizzate sulla base
della denuncia di inizio dell’attività e può esercitare i
poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento
(Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6378/2008 - Sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Sez. IV, 30.06.2005, n. 3498)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1086 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Secondo la disposizione di cui all'articolo 22, comma
secondo, D.P.R. n. 380/2001 sono realizzabili mediante
denuncia di inizio attività (oltre agli interventi di cui al
comma primo) <<le varianti a permessi di costruire che non
incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che
non modificano la destinazione d'uso e la categoria
edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano
le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di
costruire. …>>.
Si tratta delle varianti cosiddette leggere, che consistono
nella realizzazione di interventi edilizi in lieve
difformità rispetto al progetto assentito, che si rendano
necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche
non previste o prevedibili al momento della redazione di
esso.
Da tale ambito vanno invece esclusi gli interventi che
consistono nella integrale ristrutturazione dell'edificio,
nonché in modifiche esterne, tipologiche e di destinazione
dei locali di tale entità da determinare sostanziali
variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso
dell'originario progetto, con la conseguenza che, in tali
casi, è invece necessario il permesso di costruire.
Ciò posto, ritiene il Collegio
che ai fini della risoluzione della presente controversia
occorra fare riferimento alla disposizione di cui
all'articolo 22, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001, in base
alla quale sono altresì realizzabili mediante denuncia di
inizio attività (oltre agli interventi di cui al comma
primo) <<le varianti a permessi di costruire che non
incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che
non modificano la destinazione d'uso e la categoria
edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano
le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di
costruire. …>>.
Si tratta delle varianti cosiddette leggere, che consistono
nella realizzazione di interventi edilizi in lieve
difformità rispetto al progetto assentito, che si rendano
necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche
non previste o prevedibili al momento della redazione di
esso.
Da tale ambito vanno invece esclusi gli interventi che
consistono nella integrale ristrutturazione dell'edificio,
nonché in modifiche esterne, tipologiche e di destinazione
dei locali di tale entità da determinare sostanziali
variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso
dell'originario progetto, con la conseguenza che, in tali
casi, è invece necessario il permesso di costruire (C.d.S.,
Sez. IV, 21.05.2010, n. 3231; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
09.03.2011, n. 642; Cass. Pen., Sez. III, 27.10.2010, n.
41752)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.10.2012 n. 4288 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA DIA,
NATURA DI ‘‘CERTIFICATO’’ E FALSITA` DEL PROGETTISTA.
La relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che
costituisce parte integrante ed essenziale della
dichiarazione
stessa di inizio dell’attività) ha natura di
‘‘certificato’’
per quanto riguarda sia la descrizione dello stato attuale
dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli
esistenti sull’area o sull’immobile interessati
dall’intervento,
sia la rappresentazione delle opere che si intende
realizzare e l’attestazione della conformità delle stesse
agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
Interessante questione quella oggetto di esame da parte
della Corte di Cassazione con la sentenza in esame. Il tema
è quello della natura giuridica della cd. relazione di
accompagnamento
alla DIA edilizia, su cui è sorto un contrasto nella
giurisprudenza di legittimità.
La vicenda processuale
vedeva
imputato del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 481 c.p. un
geometra
progettista, cui era stato addebitato di aver, in relazione
ad un intervento edilizio di ricostruzione di un manufatto:
a) asseverato falsamente, in una DIA presentata al Comune,
che gli eseguendi lavori avrebbero riguardato la
manutenzione
straordinaria di un fabbricato che però era già
semidemolito
nel 2002 e che tale intervento non si poneva in contrasto
con gli strumenti urbanistici, che invece non consentivano
nuove costruzioni in area classificata come agricola;
b) in
una successiva domanda di permesso di costruire per
ristrutturazione,
attestato falsamente l’esistenza del medesimo
edificio ormai ridotto allo stato di rudere. Avverso tale
sentenza aveva proposto ricorso per cassazione il geometra,
il quale deduceva -per quanto di interesse in questa sede-,
l’inconfigurabilità del reato di cui all’art. 481 c.p.,
riferito alla
DIA, poiché la relazione ad essa allegata non avrebbe
natura
di ‘‘certificato’’, in quanto ‘‘non è destinata a provare
la oggettiva
verità di ciò che in essa è stato affermato e, per la
parte progettuale, essa manifesta una semplice intenzione e
non registra una realtà oggettiva’’.
La tesi è stata però respinta dalla Cassazione, che ha
dichiarato
il ricorso inammissibile.
In particolare, la Corte si mostra assolutamente consapevole
dell’esistenza del contrasto, precisando come tesi non
convergenti
sono state espresse quanto alla parte progettuale
detta relazione allegata alla DIA edilizia. In relazione a
tale
parte del documento si è sostenuto, infatti, che essa
rifletterebbe
non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione
dell’interessato di realizzare le opere in essa descritte ed
ancora
inesistenti e, per quanto riguarda l’eventuale attestazione
dell’assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso
dal dichiarante, come tale non necessariamente fondato su
dati di fatto certi e sicuri (v., tra le tante: Cass. pen.,
sez. V,
24.02.2010, n. 7408, in CED Cass., n. 246094).
A
divergenti
conclusioni è pervenuta, invece, la stessa Sezione
III (v., sul punto, Cass. pen., sez. III, 08.06.2011, n.
23072, inedita) - ove, in adesione alle argomentazioni
svolte
da una precedente decisione (Cass. pen., sez. III, 19.01.2009, n. 1818, in CED Cass., n. 242478),
è stato
evidenziato
che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa
di
riferimento (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, commi 1 e 6, e
art. 29, comma 3), emerge un ‘‘sostanziale affidamento’’
riposto
dall’ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna
il progetto e sulla sua veridicità, atteso che ‘‘quella
relazione
si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente
territoriale
ed offre le garanzie di legalità e correttezza
dell’intervento’’.
In tale prospettiva la relazione del tecnico abilitato,
per la Cassazione, costituisce un atto non solo idoneo ad
integrare
la dichiarazione di inizio dell’attività, ma anche dotato
di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo
valore
sostitutivo dei titolo edilizio abilitante e quindi
certificativo.
La Corte, in adesione a tale ultimo orientamento, delinea
la DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo
della p.a. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad
un
soggetto qualificato; ne consegue, dunque, che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si fonda
l’eliminazione
dell’intermediazione del potere autorizzatorio) dell’attività
del privato da parte della pubblica amministrazione, assume
valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi
‘‘certificativo’’ (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
19.09.2012 n. 35795
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 12/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Opere edilizie soggette a DIA e relazione di
accompagnamento.
Integra il reato di falsità ideologica
in certificati (art. 481 cod. pen.) non solo la
falsificazione della dichiarazione di inizio attività
(cosiddetta DIA) ma anche quella riguardante la relazione di
accompagnamento alla stessa, avendo essa natura di
certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale
dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli
esistenti sull'area o sull'immobile interessati
dall'intervento, alla rappresentazione delle opere che si
intende realizzare e all'attestazione della loro conformità
agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
---------------
L'art. 481 cod. pen. punisce la condotta
di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in
certificati commessa nell'esercizio di una professione
forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica
necessità.
In relazione a tale previsione
sanzionatoria il Collegio
ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:
-- il progettista o, comunque, il tecnico
abilitato che predispone la relazione di accompagnamento,
all'interno del procedimento che la legge prescrive per la
presentazione della DIA in materia edilizia, assume la
qualifica di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ex art. 359 cod. pen..
L'art. 481 cod. pen. prevede, però, che
la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia
destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di
un "certificato" e da ciò discende la necessità di
individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA
edilizia abbia o meno natura di "certificato".
Sui punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato,
con consolidato orientamento, che
costituisce "certificazione" la descrizione dello
stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.
---------------
L'art. 29, 3° comma, del T.U. n. 380/2001
dispone che "Per le opere realizzate dietro presentazione
di denuncia di inizio attività, il progettista assuma la
qualità di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen. In caso
di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui
all'art. 23, comma 1, l'amministrazione ne dà comunicazione
al competente ordine professionale per l'irrogazione delle
sanzioni disciplinari".
Le previsioni anzidette devono essere lette in necessaria
correlazione con quelle poste dai precedente art. 23, il
quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una
relazione del progettista:
- "che asseveri la conformità delle opere da realizzare
agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti"
(comma 1);
- che il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico
comunale, "in caso di falsa attestazione del
professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e
il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6);
- che, ultimato l'intervento, "il progettista o un
tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale
... con il quale si attesta la conformità dell'opera ai
progetto presentato con la denuncia di inizio attività"
(comma 7).
Il progettista, dunque, ha un duplice
obbligo:
a) redigere una relazione preventiva in cui si assume
l'onere di "asseverare" tra l'altro la conformità
delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la
mancanza dì contrasto con quelli adottati e con i
regolamenti edilizi;
b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro
tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la
conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.
E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è
stato esattamente osservato che il termine
"asseverare" ha il significato di "affermare con
solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione
di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei
confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità
del contenuto. Il progettista si pone come "persona
esercente un servizio di pubblica necessità" proprio
perché assume una posizione di particolare rilievo in un
procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con
una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione
amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della DIA, infatti, consiste
nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali
in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato
alla liberalizzazione delle attività economiche private, con
la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è più
necessaria l'emanazione di un titolo di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui
dispone l'amministrazione -a differenza di quanto accade nel
regime a previo atto amministrativo- non è finalizzato
all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio
dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità,
della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato
rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in
questione.
Con la DIA, quindi, al principio
autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità
dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via
autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti
dalla normativa in vigore.
Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente,
porta con sé una peculiare assunzione di
responsabilità, in relazione al particolare affidamento che
l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il
progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione
si sostituisce, in via ordinarla, ai controlli dell'ente
territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento.
Proprio in considerazione di questo
affidamento la condotta del professionista abilitato assume
una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma 3, del
T.U. n. 380/2001) che si connette alle previsioni dei commi
1 e 6 del precedente art. 23.
Il 6° comma dell'art. 23, in particolare, dispone che,
in caso di "falsa attestazione" del
professionista, il funzionario comunale ha l'obbligo di
inoltrare segnalazione informativa all'autorità giudiziaria,
sicché è evidente che la "falsa attestazione" in
parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più
delle condizioni stabilite", risulta strettamente
correlata alle prescrizioni poste dal 1° comma del medesimo
art. 23, ove la relazione del progettista integra la
dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato
di piena autonomia.
Dalla delineata costruzione della DIA, come atto
fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e
riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto
qualificato, discende che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si fonda
dell'intermediazione dei potere autorizzatorio dell'attività
dei privato da parte della pubblica amministrazione, assume
valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi
"certificativo".
In conclusione, sulla base dell'assetto
normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni
dianzi svolte, deve ribadirsi il principio secondo il quale:
-- la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che
costituisce parte integrante ed essenziale della
dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di 'certificato'
per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato
attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli
eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile
interessati dall'intervento, sia la rappresentazione
delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della
conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al
regolamento edilizio.
---------------
Nella fattispecie in esame, l'imputato:
-- nella relazione allegata alla DIA del 28.08.2003 ha
descritto la prevista realizzazione di opere di manutenzione
straordinaria e non di conservazione dello status quo
di un edificio ormai sostanzialmente diruto: in tal
modo -secondo la giurisprudenza costante di questa Corte- ha
reso una falsa "certificazione" riferita alla
descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da
realizzare.
Irrilevante è la circostanza della mancata esecuzione dei
lavori denunziati (dovuta al fatto che, in seguito ad un
controllo della DIA, il responsabile del procedimento aveva
richiesto una relazione integrativa), poiché il reato deve
ritenersi consumato con la presentazione della denuncia;
-- nella successiva relazione allegata alla
richiesta di permesso di costruire ha inquadrato le opere da
realizzare nella tipologia della 'ristrutturazione' a
fronte di una situazione di fatto ove la realizzabilità di
un intervento siffatto era vietata proprio dallo stato di
rudere del fabbricato.
Secondo costante orientamento giurisprudenziale, invero,
la ricostruzione su ruderi costituisce
sempre 'nuova costruzione', in quanto il concetto di
ristrutturazione edilizia postula necessariamente la
preesistenza di un organismo edilizio dotato delle murature
perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza
di tali elementi strutturali non é possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare ed
i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di
un'area non edificata.
Nella specie si é fatto surrettiziamente
ricorso alla tipologia della "ristrutturazione"
perché la realizzazione di una nuova costruzione
residenziale non era consentita in area classificata come
zona agricola dallo strumento urbanistico vigente.
---------------
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza
dell'11.02.2011, ha confermato la sentenza 01.02.2007 del
Tribunale di Ravenna - Sezione distaccata di Lugo, che aveva
affermato la responsabilità penale di Pa.Um. in ordine al
delitto di cui:
-- agli artt. 81 cpv. e 481 cod. pen. [poiché -quale
geometra progettista- in relazione ad un intervento edilizio
di ricostruzione di un manufatto:
a) asseverava falsamente, in una DIA presentata al Comune di
Lugo il 28.08.2003, che gli eseguendi lavori avrebbero
riguardato la manutenzione straordinaria di un fabbricato
che però era già semidemolito nel 2002 e che tale intervento
non si poneva in contrasto con gli strumenti urbanistici,
che invece non consentivano nuove costruzioni in area
classificata come agricola;
b) in una successiva domanda di permesso di costruire per
ristrutturazione, presentata il 19.12.2003, attestava
falsamente resistenza del medesimo edificio ormai ridotto
allo stato di rudere]; e lo aveva condannato alla pena
(interamente condonata) di euro 516,00 di multa, concedendo
li beneficio della non menzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cessazione il
Pa., il quale -sotto i profili della violazione di legge e
del vizio di motivazione- ha dedotto:
-- la insussistenza del reato di falso ideologico correlato
alla DIA, per la mancanza di ogni intento fraudolento, in
quanto la DIA presentata avrebbe rappresentato lo stato di
fatto realmente esistente al momento della sua redazione e
la procedura semplificata sarebbe stata utilizzata "perché
i lavori che ci si apprestava ad eseguire erano
essenzialmente diretti a conservare lo status quo, per poi,
in un secondo momento, attraverso l'apertura di una nuova
pratica edilizia ad hoc, poter procedere ah ristrutturazione
ed al recupero dell'edificio";
-- la inconflgurabilità, in ogni caso, del reato di cui
all'art. 481 cod. peri., riferito alla DIA, poiché la
relazione ad essa allegata non avrebbe natura di "certificato",
in quanto "non è destinata a provare la oggettiva verità
di ciò che in essa é stato affermato e, per la parte
progettuale, essa manifesta una semplice intenzione e non
registra una realtà oggettiva";
-- la insussistenza anche dei reato di cui all'art. 481 cod.
pen. riferito alla successiva richiesta di permesso di
costruire, poiché il fabbricato era comunque ancora
esistente "nei suoi tratti essenziali che lo
identificavano come tale" e nella richiesta stessa
veniva dato conto dei crollo parziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché
articolato in fatto e manifestamente infondato.
2.
L'art. 481 cod. pen. punisce la condotta
di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in
certificati commessa nell'esercizio di una professione
forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica
necessità.
In relazione a tale previsione
sanzionatoria il Collegio
-tenuto conto di quanto espressamente disposto dall'art. 29,
3° comma, del d.P.R. n. 380/2001, nonché della elaborazione
giurisprudenziale già svolta da questa Corte-
ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:
-- il progettista o, comunque, il tecnico
abilitato che predispone la relazione di accompagnamento,
all'interno del procedimento che la legge prescrive per la
presentazione della DIA in materia edilizia, assume la
qualifica di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ex art. 359 cod. pen.
[vedi Cass.: sez. V, 04.10.2010, n. 35615, D'Anna;
24.02.2010, n. 7408, Frigé; nonché sez. III 16.07.2010, n.
27699, Coppola; 19.01.2009, n. 1818, Baldessari].
3. L'art. 481 cod. pen. prevede, però, che
la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia
destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di
un "certificato" e da ciò discende la necessità di
individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA
edilizia abbia o meno natura di "certificato".
Sui punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato,
con consolidato orientamento, che
costituisce "certificazione" la descrizione dello
stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare
[Cass.: sez. V, n. 35615/2010, D'Anna; sez. III, n.
27699/2010, Coppola.
3.1 Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto
alla parte progettuale della relazione allegata da DIA
edilizia.
In relazione a tale parte del documento si era sostenuto,
infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma
una semplice intenzione dell'interessato di realizzare le
opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto
riguarda l'eventuale attestazione dell'assenza di vincoli,
solamente un giudizio espresso dal dichiarante, come tale
non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri
[vedi Cass., sez. V: n. 7408/2010, Frigè; 03.05.2005, n.
24562, Mazzoni; 26.04.2005, n. 23668, Giordano; sez. III, n.
27699/2010, Coppola].
A divergenti conclusioni é pervenuta, invece, questa Sezione
-con la più recente sentenza 08.06.2011, n. 23072, Lacorte-
ove, in adesione alle argomentazioni svolte nella sentenza
19.01.2009, n. 1818, Baldessari, è stato evidenziato che,
dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di
riferimento (art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3, del
d.P.R. n. 380/2001), emerge un ''sostanziale affidamento"
riposto dall'ordinamento sulla relazione tecnica che
accompagna Il progetto e sulla sua veridicità, atteso che "quella
relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli
dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e
correttezza dell'intervento". In tale prospettiva la
relazione dei tecnico abilitato costituisce un atto non solo
idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio
dell'attività, ma anche dotato di piena autonomia e di
valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del
titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.
3.2 Quanto alla dichiarazione dl conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti
edilizi vigenti -a fronte dell'orientamento secondo il quale
si tratterebbe soltanto di un mero giudizio del dichiarante-
la stessa è stata ricondotta, invece, all'attività
certificativa già da Cass., sez. III, n. 27699/2010,
Coppola.
4. Ribadisce il Collegio le argomentazioni svolte nella
sentenza n. 23072/2011, Lacorte.
In tale sentenza è stato condivisibilmente evidenziato che
l'art. 29, 3° comma, del T.U. n. 380/2001
dispone che "Per le opere realizzate dietro presentazione
di denuncia di inizio attività, il progettista assuma la
qualità di persona esercente un servizio di pubblica
necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen. In caso
di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui
all'art. 23, comma 1, l'amministrazione ne dà comunicazione
al competente ordine professionale per l'irrogazione delle
sanzioni disciplinari".
Le previsioni anzidette devono essere lette in necessaria
correlazione con quelle poste dai precedente art. 23, il
quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una
relazione del progettista:
- "che asseveri la conformità delle opere da realizzare
agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con
quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti"
(comma 1);
- che il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico
comunale, "in caso di falsa attestazione del
professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e
il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6);
- che, ultimato l'intervento, "il progettista o un
tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale
... con il quale si attesta la conformità dell'opera ai
progetto presentato con la denuncia di inizio attività"
(comma 7).
Il progettista, dunque, ha un duplice
obbligo:
a) redigere una relazione preventiva in cui si assume
l'onere di "asseverare" tra l'altro la conformità
delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la
mancanza dì contrasto con quelli adottati e con i
regolamenti edilizi;
b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro
tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la
conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.
E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è
stato esattamente osservato che il termine
"asseverare" ha il significato di "affermare con
solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione
di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei
confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità
del contenuto. Il progettista si pone come "persona
esercente un servizio di pubblica necessità" proprio
perché assume una posizione di particolare rilievo in un
procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con
una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione
amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della DIA, infatti, consiste
nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali
in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato
alla liberalizzazione delle attività economiche private, con
la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è più
necessaria l'emanazione di un titolo di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui
dispone l'amministrazione -a differenza di quanto accade nel
regime a previo atto amministrativo- non è finalizzato
all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio
dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità,
della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato
rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in
questione.
Con la DIA, quindi, al principio
autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità
dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via
autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti
dalla normativa in vigore.
Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente,
porta con sé una peculiare assunzione di
responsabilità, in relazione al particolare affidamento che
l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il
progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione
si sostituisce, in via ordinarla, ai controlli dell'ente
territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento.
Proprio in considerazione di questo
affidamento la condotta del professionista abilitato assume
una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma 3, del
T.U. n. 380/2001) che si connette alle previsioni dei commi
1 e 6 del precedente art. 23.
Il 6° comma dell'art. 23, in particolare, dispone che,
in caso di "falsa attestazione" del
professionista, il funzionario comunale ha l'obbligo di
inoltrare segnalazione informativa all'autorità giudiziaria,
sicché è evidente che la "falsa attestazione" in
parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più
delle condizioni stabilite", risulta strettamente
correlata alle prescrizioni poste dal 1° comma del medesimo
art. 23, ove la relazione del progettista integra la
dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato
di piena autonomia.
Dalla delineata costruzione della DIA, come atto
fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e
riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto
qualificato, discende che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si fonda
dell'intermediazione dei potere autorizzatorio dell'attività
dei privato da parte della pubblica amministrazione, assume
valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi
"certificativo".
4.1 In conclusione, sulla base dell'assetto
normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni
dianzi svolte, deve ribadirsi il principio secondo il quale:
-- la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che
costituisce parte integrante ed essenziale della
dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di 'certificato'
per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato
attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli
eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile
interessati dall'intervento, sia la rappresentazione
delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della
conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al
regolamento edilizio.
5. Nella fattispecie in esame, l'imputato:
-- nella relazione allegata alla DIA del 28.08.2003 ha
descritto la prevista realizzazione di opere di manutenzione
straordinaria e non di conservazione dello status quo
di un edificio ormai sostanzialmente diruto: in tal
modo -secondo la giurisprudenza costante di questa Corte- ha
reso una falsa "certificazione" riferita alla
descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da
realizzare.
Irrilevante è la circostanza della mancata esecuzione dei
lavori denunziati (dovuta al fatto che, in seguito ad un
controllo della DIA, il responsabile del procedimento aveva
richiesto una relazione integrativa), poiché il reato deve
ritenersi consumato con la presentazione della denuncia;
-- nella successiva relazione allegata alla
richiesta di permesso di costruire ha inquadrato le opere da
realizzare nella tipologia della 'ristrutturazione' a
fronte di una situazione di fatto ove la realizzabilità di
un intervento siffatto era vietata proprio dallo stato di
rudere del fabbricato.
Secondo costante orientamento giurisprudenziale, invero,
la ricostruzione su ruderi costituisce
sempre 'nuova costruzione', in quanto il concetto di
ristrutturazione edilizia postula necessariamente la
preesistenza di un organismo edilizio dotato delle murature
perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza
di tali elementi strutturali non é possibile valutare
l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare ed
i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di
un'area non edificata
[vedi Cass., Sez. III: 21.10.2008, n. 42521, Valeri;
24.09.2008, n. 36542, Verdi; 23.01.2007, Meli; 13.01.2006,
Polverino, 0402..2003, Pellegrino e 20.02.2001, Perfetti;
nonché C. Stato, Sez. IV: 26.02.2008, n. 681; 15.09.2006, n.
5375 e C. Stato, Sez. V: 28.05.2004, n. 3452; 15.04.2004, n.
2142; 01.12.1999, n. 2021; 04.08.1999, n. 398; 10.03.1997,
n. 2401].
Nella specie si é fatto surrettiziamente
ricorso alla tipologia della "ristrutturazione"
perché la realizzazione di una nuova costruzione
residenziale non era consentita in area classificata come
zona agricola dallo strumento urbanistico vigente.
6. Quanto alla individuazione dello stato
di 'rudere' del manufatto, i giudici del merito,
con argomentazioni puntualmente riferite agli elementi di
prova raccolti (in particolare al sopralluogo effettuato dai
vigili edilizi il 16.01.2004), hanno
accertato che il tetto non era più esistente e si
intravvedevano solo tracce di muri perimetrali.
Il ricorso si limita a confutare tale ricostruzione della
vicenda senza alcuna specificazione tecnica, svolgendo
censure in fatto del provvedimento impugnato.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui
singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio
non sono proponibili -però- nel giudizio di legittimità,
quando la struttura razionale della decisione sia sorretta,
come nella specie, da logico e coerente apparato
argomentativo, esteso a tutti gli elementi di prova
acquisiti, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a
sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua
di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il
riesame nel merito dei provvedimento impugnato
(Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
19.09.2012 n. 35795
- tratta da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal
Consiglio di Stato.
La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri.
Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso
di costruire i conteggi vengono differiti fino
all'approvazione del progetto.
L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli
interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del
provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività),
insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione
della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento
del carico urbanistico, quindi all'attività di
trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al
momento di presentazione della Scia o della denuncia che
l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli
oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari
successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un
principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato,
Sez. IV, con la
sentenza
04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece,
l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del
progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di
anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe
vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più
favorevoli, in vigore alla data di presentazione della
domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e
n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato
introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi
trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il
Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha
progressivamente definito i contenuti e la portata,
chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di
Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il
contributo per il rilascio del permesso di costruire ha
natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed
obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato,
sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di
una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle
parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione
dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione
V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso
che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a
fronte di un asserito inadempimento del Comune della
"controprestazione" pattuita, che nel caso specifico
consisteva nella costruzione di una strada indispensabile
per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso
di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato
nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che
viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento
di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e
la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere
collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata
area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente
sia dalle spese effettivamente occorrenti
all'amministrazione per realizzare le opere di
urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il
proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale
titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire
l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni
cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative
disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei
prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria,
secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la
delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione
edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli
oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento
comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e
localizzazione del manufatto, oppure all'entità della
trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV,
sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla
giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta
all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua
impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non
vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci
si limiti a contestare la concreta quantificazione del
contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le
controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e
sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni
innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012,
n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
---------------
I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA
CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della
concessione edilizia si configura come fatto costitutivo
dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per
oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così
alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili
affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato
e grazie alle quali l'area acquista un beneficio
economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo
i parametri vigenti al momento del rilascio della
concessione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n.
4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO
È IMMEDIATO
Nel caso di
presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia
(Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il
costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione
della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione
esistente al momento della presentazione della domanda -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO
IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono
determinati i contributi concessori per gli interventi
edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale,
è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della
sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla
contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a
posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al
giudice
amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel
termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012
n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI
NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di
urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato
sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede
una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011,
n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare
il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le
tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del
complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi
effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva
qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio
oggetto di concessione edilizia e di contribuzione
urbanistica -
Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato
tenendo conto anche delle "superfici di calpestio",
ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite
dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani
utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno
escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai
pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali
cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per
l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di
urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del
carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento
edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non
nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di
quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior
incremento del carico urbanistico -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n.
4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono
dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle
zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi
adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da
parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla
collettività comunale per effetto della trasformazione del
territorio -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009,
n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE
DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri
d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle
tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di
costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come
definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze
edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo
abilitativo -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza
22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria
dell'insussistenza o di una diversa entità del debito
contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a
prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con
cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un
giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio
pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione -
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011,
n. 1752 (articolo
Il Sole 24 Ore del 26.11.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA: Gli
oneri urbanizzativi devono essere determinati con riguardo
alla disciplina vigente al momento della presentazione della
d.i.a..
La denuncia di inizio attività non è un
provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà
luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce
un atto privato volto a comunicare l'intenzione di
intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro
immediatamente fatta propria dal legislatore il quale,
introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c),
del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato
tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la
ricostruzione della natura del silenzio tenuto
dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata
Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il
passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente
valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività
già intrapresa in un momento anteriore”.
In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo
formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità
abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si
determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere
di interdizione da parte della pubblica amministrazione,
trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici
diversi.
---------------
Sussiste l’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere
gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in
relazione alla situazione esistente al momento della
presentazione della d.i.a..
Tra l'altro, la vicenda deve ritenersi confermata anche
dalla particolare disciplina della d.i.a. contenuta nella
l.r. 12/2005 (art. 42, commi 2 e 3) che prevede, da un lato,
che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di
costruzione sia allegato già al momento della presentazione
della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo,
disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità
previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di
urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni
successivi alla presentazione della denuncia di inizio
attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai
mutamenti disciplinari successivi.
Con ricorso iscritto al n. 2569 del 2010, Nova Domus Italia
s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale
amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda,
n. 13 del giorno 11 gennaio 2010 con la quale è stato
respinto il ricorso proposto contro il Comune di Milano per
l'annullamento della nota pg. 90611/2008 del Comune di
Milano, Sportello Unico dell’Edilizia, in data 30.01.2008,
avente ad oggetto: “Denuncia di inizio attività per
ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione in
via Carbonera Azzo n. 1, pratica n. 10740/2007, P.G.
1111435000/2007 – Integrazione del contributo di costruzione”.
Dinanzi al giudice di prime cure, la Nuova Domus Italia
s.r.l. aveva impugnato il provvedimento con il quale il
Comune aveva disposto il conguaglio del contributo di
costruzione relativo alla d.i.a., presentata in data
30.01.2008, relativa ad un intervento via Carbonera Azzo n.
1, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale
n. 73/2007, divenuta esecutiva in data 08.01.2008, che aveva
aggiornato in aumento gli oneri di urbanizzazione dovuti per
gli interventi edilizi.
La ricorrente riteneva che l’integrazione richiesta fosse
illegittima per violazione degli artt. 42, 44 e 48 della
L.R. 12/2005 e degli artt. 16 e 23 del D.P.R. 380/01 ed
eccesso di potere in quanto gli oneri urbanizzativi
dovrebbero essere determinati con riguardo alla disciplina
vigente al momento della presentazione della domanda.
Chiedeva quindi il risarcimento dei danni per la
stipulazione della fideiussione richiesta dal Tribunale in
sede cautelare.
La difesa comunale ha invece sostenuto la legittimità del
provvedimento comunale in quanto, dovendo ritenersi che la
d.i.a. produca effetti decorsi trenta giorni dalla sua
presentazione al Comune, tutte le sopravveninenze normative
intercorse tra la presentazione e l’efficacia debbono essere
applicate al procedimento.
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa,
il TAR riteneva infondate le censure proposte, considerando
la DIA, indifferentemente alla considerazione della sua
natura come atto di autorizzazione implicita o come atto
privato, fosse comunque soggetta alle modifiche normative
fino al momento della compiuta efficacia, ossia fino alla
data di possibile esercizio del potere interdittivo
dell’amministrazione.
...
Il giudice di prime cure ha affrontato il tema delle
sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione
della DIA e la sua efficacia evidenziando come “la DIA,
indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto
su cui come noto si contrappongono due differenti
orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di
atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti
al trentesimo giorno dalla sua presentazione, purché, come
già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli
elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei trenta giorni dalla
presentazione della denuncia, periodo durante il quale
l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione
del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non
ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono
trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora
perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora
il principio del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in
vigore al momento dell'adozione del provvedimento
definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che
espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al
momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione
nella sentenza richiamata dalla difesa comunale (n.
588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui
“le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché
conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben
può essere interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a
entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo
giorno dalla presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche
legislative nei trenta giorni tra la presentazione e
l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche
rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni
regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le
tariffe degli oneri. Pare quindi corretta la posizione
dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova
disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce
effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le
quali non è decorso il termine di trenta giorni”.
L’impostazione seguita dal giudice di prime cure non appare
però in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali e
con le disposizioni legislative successive che, sebbene non
applicabili ratione temporis, servono a meglio
illuminare il tema della disciplina applicabile alla
fattispecie.
Occorre, infatti, rilevare come questo Consiglio abbia posto
fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non
provvedimentali in edilizia con la sentenza dell’Adunanza
plenaria 29.07.2011 n. 15 dove, a seguito di un’attenta
ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate
al quadro normativo in evoluzione, si è affermato che “la
denuncia di inizio attività non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni
caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto
privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere
un'attività direttamente ammessa dalla legge”.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro
immediatamente fatta propria dal legislatore il quale,
introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge
07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai
documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1,
lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente
qualificato tali atti come “non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la
ricostruzione della natura del silenzio tenuto
dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata
Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il
passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente
valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività
già intrapresa in un momento anteriore”. In tal modo,
appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base
all’atto del privato (rectius, la modalità
abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si
determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere
di interdizione da parte della pubblica amministrazione,
trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici
diversi.
Deve quindi convenirsi con l’appellante in merito
all’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli
oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in
relazione alla situazione esistente al momento della
presentazione della domanda, vicenda che deve ritenersi
confermata anche dalla particolare disciplina della denuncia
di inizio attività contenuta nella legge regionale (art. 42,
commi 2 e 3, della legge regionale Lombardia n. 12 del
giorno 11.03.2005 “Legge per il governo del territorio”)
che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al
momento della presentazione della denuncia di inizio
attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento
sia effettuato con le modalità previste dalla vigente
normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone
l’adempimento entro trenta giorni successivi alla
presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo
quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari
successivi
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.09.2012 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
D.i.a. e silenzio dell'amministrazione.
In materia edilizia, la inutile scadenza del termine di
legge per contestare all'interessato la carenza dei
presupposti e dei requisiti per seguire la disciplina
procedimentale della denunzia di inizio attività non
configura un provvedimento implicito di silenzio-assenso,
rimanendo impregiudicato il potere-dovere del Comune e
dell'autorità giudiziaria di intervenire sul piano
sanzionatorio nel caso in cui l'intervento realizzato a
seguito della presentazione della D.I.A. risulti sottoposto
a permesso di costruire (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 29.08.2012 n. 33355 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
consumazione del potere inibitorio (ndr: 30
gg. per la DIA) non preclude
all’amministrazione stessa l’esercizio del
diverso potere di autotutela, ex artt.
21-quinquies e 21-nonies legge n. 241/1990,
oltre al potere sanzionatorio e di vigilanza
di cui all’art. 21 stessa legge.
Anche ammesso che l’amministrazione
abbia, con la nota datata 23.03.2007 (cfr.
doc. n. 8 allegati di parte ricorrente),
riscontrato positivamente la DIA prot. 2066
del 05.03.2007, (affermazione discutibile,
tenuto conto sia del tenore della nota de
qua, che si limita a richiedere il
contributo di costruzione e i diritti di
segreteria in relazione all’intervento
dichiarato; che della sua datazione, ben
anteriore alla scadenza del termine di
trenta giorni spettante alla p.a. per
l’esercizio del potere di diffida ex art. 23, co. 6, d.P.R. n. 380/2001), sta di fatto che
la consumazione del potere inibitorio non
preclude all’amministrazione stessa
l’esercizio del diverso potere di
autotutela, ex artt. 21-quinquies e
21-nonies legge n. 241/1990, oltre al potere
sanzionatorio e di vigilanza di cui all’art.
21 stessa legge (cfr. sulla diversa natura
del potere inibitorio e di quello di
autotutela, entrambi richiamati dall’art.
19, co. 3, della legge n. 241/1990 Ad. Plen.
Cons. Stato n. 15, del 29.07.2011; nonché,
TAR Bologna, sez. I, 26.04.2012, n.
272; TAR Milano, sez. II, 24.11.2011, n.
2899)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.08.2012 n. 2181 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In caso di presentazione di
D.I.A.,
l'inutile decorso del termine, di cui
all'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380, dei
30 giorni assegnati all'autorità comunale
per l'adozione del provvedimento di
inibizione ad effettuare il previsto
intervento edificatorio, non comporta che
l'attività del privato, ancorché del tutto
difforme dal paradigma normativo, possa
considerarsi lecitamente effettuata e,
quindi possa andare esente dalle sanzioni
previste dall'ordinamento per il caso di sua
mancata rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il titolo abilitativo formatosi per effetto
dell'inerzia dell'amministrazione può
infatti comunque formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o revoca.
L'amministrazione non perde infatti i propri
poteri di vigilanza e sanzionatori per cui,
a fronte della presentazione della d.i.a., i
controinteressati sono legittimati a
gravarsi non avverso il silenzio stesso ma,
nelle forme dell'ordinario giudizio di
impugnazione, avverso il titolo che si è
consolidato per effetto del decorso del
termine procedimentale.
In caso di presentazione di
dichiarazione di inizio di attività,
l'inutile decorso del termine, di cui
all'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380, dei
30 giorni assegnati all'autorità
comunale per l'adozione del provvedimento di
inibizione ad effettuare il previsto
intervento edificatorio, non comporta che
l'attività del privato, ancorché del tutto
difforme dal paradigma normativo, possa
considerarsi lecitamente effettuata e,
quindi possa andare esente dalle sanzioni
previste dall'ordinamento per il caso di sua
mancata rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi. Il
titolo abilitativo formatosi per effetto
dell'inerzia dell'amministrazione può
infatti comunque formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o revoca (cfr.
Consiglio Stato, Sez. IV 25.11.2008 n.
5811).
L'amministrazione non perde infatti i propri
poteri di vigilanza e sanzionatori per cui,
a fronte della presentazione della d.i.a., i
controinteressati sono legittimati a
gravarsi non avverso il silenzio stesso ma,
nelle forme dell'ordinario giudizio di
impugnazione, avverso il titolo che si è
consolidato per effetto del decorso del
termine procedimentale (cfr. Cons. Stato,
sez. IV 08.03.2011 n. 1423)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nessun dubbio può sussistere in
ordine alla impugnabilità della “DIA”.
Nessun
dubbio può sussistere in ordine alla
impugnabilità della “DIA”, nei sensi
precisati dalla giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen.,
29.07.2011 n. 15; sez. IV, 15.12.2011 n. 6614).
Come è noto, l’Adunanza Plenaria ha, per un
verso, escluso che il privato che ritiene di
essere pregiudicato dai lavori effettuati
sulla base di DIA debba necessariamente
attivare il procedimento per la formazione
del silenzio-rifiuto sulla istanza volta
all’adozione di provvedimenti repressivi da
parte dell’amministrazione; per altro verso,
ha individuato nella fattispecie, quale
oggetto specifico dell’impugnazione, il
silenzio (avente valore di provvedimento
negativo implicito) in ordine all’esercizio
di poteri inibitori sulla dichiarazione di
inizio di attività.
Come precisa l’Adunanza Plenaria, nel caso
di specie, ricorre l’ipotesi “di un
provvedimento per silentium con cui la p.a.,
esercitando in senso negativo il potere
inibitorio, riscontra che l’attività è stata
dichiarata in presenza dei presupposti di
legge e, quindi, decide di non impedire
l’inizio o la protrazione dell’attività
dichiarata”. In questo caso, “venendo in
rilievo un provvedimento per silentium, la
tutela del terzo sarà affidata primariamente
all’esperimento di un’azione impugnatoria”.
La ricostruzione operata dalla
giurisprudenza (e dalla quale il Collegio
non ha ragione di discostarsi) si attaglia
al caso di specie, non potendosi
configurare, per le ragioni esposte, la
necessità –come invece sostenuto
dall’appellante Comune di Venezia– di
“mettere in mora l’amministrazione ad
adottare atti di inibizione all’esercizio
dell’attività prefigurata, ritenuta
illegittima”; dal che discende la
reiezione del motivo di appello sub b)
dell’esposizione in fatto
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: SCIA,
super-DIA, permesso di costruire: tutto
quello che c’è da sapere, in un documento
semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi,
dalla semplice manutenzione alla costruzione
di un nuovo fabbricato, è necessario
possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la
super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse
attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o
l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un
documento di sintesi, contenente le
definizioni relative alle diverse attività
edilizie, le tipologie dei permessi
previsti, le relative normative di
riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni
previste.
Il documento risulterà certamente utile a
tutti i tecnici dell’edilizia e non solo
(26.07.2012 - link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Decreto Sviluppo. Ora è possibile
sostituire pareri e nullaosta con le
dichiarazioni dei professionisti.
Dia con autocertificazione. Restano escluse
le autorizzazioni per paesaggio, ambiente e
sicurezza.
Semplificare, snellire, velocizzare. Con il
decreto legge 83 del 22 giugno (il decreto
sviluppo), il Governo ritorna sulla
disciplina dei titoli edilizi nel tentativo
di dare nuovo impulso alle costruzioni e
all'economia.
In buona sostanza, si tratta di estendere
alla Dia la possibilità, già prevista per la
Scia, di autocertificare il ricorso dei
presupposti e delle condizioni per lo
svolgimento dell'attività edilizia che la
legge (e ora anche i regolamenti) demandano
al parere o all'esecuzione di verifiche
preventive di organi o enti appositi (si
veda anche l'articolo a fianco).
Se la modifica è di poco conto per la Scia
(sono ora autocertificabili anche le
verifiche previste dai regolamenti, quali il
piano regolatore e il regolamento edilizio)
perché si limita a chiarire quanto poteva
essere fonte di dubbio, per la Dia (cui sono
soggette anche le opere di ristrutturazione
e che in alcune Regioni consente la
realizzazione di tutti gli interventi
edilizi) l'innovazione è rilevante e non è
detto che sia a tutta vantaggio del privato.
La novella dell'articolo 23, comma 1-bis,
del testo unico dell'edilizia, stabilisce
dunque che «nel caso in cui la normativa
vigente preveda l'acquisizione di atti o
pareri di organi e enti appositi, ovvero
l'esecuzione di verifiche preventive... essi
sono comunque sostituiti dalle
autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti».
Con l'eccezione dei pareri relativi ai
vincoli e ai vari profili della sicurezza
pubblica, la cui assunzione preventiva
continua a essere necessaria per l'avvio dei
lavori, la nuova disciplina modifica il
rapporto pubblico-privato. Mentre prima
l'interessato poteva limitarsi a presentare
la Dia demandando all'amministrazione di
assumere –nei 30 giorni entro cui il comune
può diffidare l'inizio dei lavori– i pareri
e le verifiche previste, ora di queste
attività (alcune con una forte componente
discrezionale, si pensi ad esempio, al
parere della commissione edilizia) deve
farsi comunque carico il privato,
assumendosi ulteriori responsabilità e spese
tecnico-professionali.
La semplificazione parrebbe così forse più a
vantaggio della Pa, anche se la nuova
funzione di controllo rispetto alle
attestazioni del privato può essere più
rischiosa in termini di danni da risarcire
qualora sia disposto un ordine di non
eseguire i lavori che sia riconosciuto
illegittimo dal Tar (si veda l'articolo a
fianco).
Scia promossa
La nuova previsione, che comunque rafforza
il ruolo del privato nella dialettica con
l'amministrazione, giunge in un momento in
cui si sono diradati i dubbi sulla
legittimità dell'intervento statale nella
disciplina dell'edilizia. La Corte
costituzionale, con la decisione 164
depositata lo scorso 27 giugno, ha infatti
chiarito che la Scia attiene ai livelli
essenziali delle prestazioni che un
cittadino vanta nei confronti della Pa ed è
dunque materia riservata alla competenza
esclusiva dello Stato. La sentenza ha così
rigettato i ricorsi promossi da Valle
d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e
Puglia per l'illegittimità del Dl 78/2010
che aveva introdotto la Scia.
Di conseguenza, le diverse leggi regionali
che disciplinano compiutamente la procedura
della Dia in modo difforme dalla novella
statale sono da quest'ultima integrate,
dovendosi ritenere che la possibilità di
autocertificare i pareri, gli atti e le
verifiche è prevista in relazione ai «diritti
civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale».
Resta il rammarico che interventi non
secondari rispetto alla disciplina edilizia
vengano disposti attraverso la decretazione
d'urgenza, mettendo a rischio la coerenza
interna del sistema e creando -come accade
ora- l'incertezza che si sviluppa nei 60
giorni che vanno dalla pubblicazione del
decreto alla sua conversione in legge .
Senza peraltro che da questa innovazione si
possa ragionevolmente attendere un
contributo al rilancio dell'economia.
---------------
Dalla domanda ai controlli
01 | LA DIA
La denuncia di inizio attività è una
comunicazione che il proprietario
dell'immobile o chi ne ha titolo presenta al
Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio
dei lavori, corredata da una relazione
dettagliata delle opere da eseguire e dagli
elaborati grafici sottoscritti da un
progettista abilitato
02 | I LAVORI
La Dia è necessaria per le opere di
ristrutturazione. La sua applicazione è
definita a livello regionale. In alcune
Regioni la Dia è necessaria per tutti gli
interventi edilizi, anche in sostituzione
del permesso di costruire. Sono esclusi
quelli liberi quali la manutenzione
ordinaria.
03 | LA PROCEDURA
Nella relazione di accompagnamento il
progettista deve asseverare la conformità
delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici adottati o approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il
rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie.
04 | LA SEMPLIFICAZIONE
Il decreto sviluppo
(Dl 83/2012, ora in fase di conversione alla
Camera) ha esteso alla Dia la possibilità
già prevista per la Scia di autocertificare
nella relazione del tecnico l'esistenza dei
presupposti che legittimano l'intervento
edilizio, ovvero i pareri e i nullaosta non
legati a vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali.
05 | I CONTROLLI
Resta al Comune il compito di controllare le
autocertificazioni, con l'onere di risarcire
i danni in caso di stop illegittimi.
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Gli oneri
01|I TECNICI
I professionisti abilitati che
autocertificano, attestano o asseverano gli
atti e i pareri a corredo di una Scia o di
una Dia si assumono l'onere con proprie
valutazioni anche discrezionali di valutare
la compatibilità dell'intervento
sostituendosi ai giudizi degli enti
preposti.
02|I COMUNI
L'ente pubblico non può più limitarsi a
evidenziare eventuali contrasti con la
normativa vigente. Deve individuare con
precisioni eventuali errori. Se sbaglia, può
essere condannato a pagare un indennizzo per
aver bloccato i lavori in modo illegittimo.
---------------
Sui progettisti ora gravano più
responsabilità. L'impatto. Devono verificare
la compatibilità
I COMUNI/ Più attenzione alla
vigilanza: l'ente rischia di dover pagare un
risarcimento se blocca in modo illegittimo i
lavori già avviati.
Forse per il Comune è più comodo verificare
la correttezza delle autocertificazioni del
privato anziché attestare la rispondenza del
progetto alle indicazioni di leggi e
regolamenti, ma in questo modo aumenta per
l'ente la responsabilità nel caso in cui il
punto di vista del privato sia erroneamente
disatteso bloccando la realizzazione di
lavori che invece erano in regola.
Il decreto sviluppo estende alla Dia il
principio di semplificazione già previsto
per la Scia, secondo cui gli atti, i pareri
e le verifiche preventive di organi o di
enti appositi da acquisire sono sostituiti
da autocertificazioni, attestazioni e
asseverazioni o certificazioni di tecnici
abilitati.
I tecnici devono così garantire la
sussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi, sostituendo,
responsabilmente, le proprie valutazioni a
quelle dell'amministrazione.
Il Dl 83/2012, in ogni caso, fa salve le
verifiche successive delle amministrazioni
competenti, le quali, se riscontrano errori
nelle valutazioni dei tecnici, possono
diffidare dal realizzare l'intervento.
Ebbene, il nuovo procedimento certamente fa
ricadere sui tecnici importanti
responsabilità ma, a ben vedere, consente
all'interessato di avere qualche garanzia in
più sull'attuabilità dell'intervento e
maggiori certezze riguardo al risarcimento
del danno correlato a provvedimenti
inibitori illegittimi della pubblica
amministrazione.
L'amministrazione, infatti, non potrà
diffidare un intervento limitandosi ad
evidenziare un presunto contrasto con la
normativa vigente, ma dovrà argomentare
riguardo all'errata valutazione da parte del
tecnico del privato.
A fronte di ciò, in sede giudiziale, una
volta che è stato annullato un provvedimento
di inibitoria illegittimo, sarà più semplice
ottenere la condanna dell'ente a risarcire
il danno dovuto per l'ingiustificata
sospensione dei lavori.
La giustizia amministrativa ha già
evidenziato che, a seguito dell'annullamento
di un provvedimento di inibitoria,
l'amministrazione può verificare nuovamente
la sussistenza dei requisiti per l'attività
costruttiva, ma è responsabile dei danni
causati dall'illegittima sospensione dei
lavori (Tar Milano-Lombardia sezione II,
05.04.2011, n. 901; Tar Milano-Lombardia,
sezione II, 15.04.2010, n. 1092).
Per ottenere la condanna
dell'amministrazione, secondo l'orientamento
giurisprudenziale prevalente, nemmeno è
richiesto un particolare impegno probatorio:
l'interessato può limitarsi ad invocare
l'illegittimità dell'atto quale indice
presuntivo di colpa. Spetterà, per contro,
all'amministrazione dimostrare che si è
trattato di un "errore scusabile" o
che comunque non fosse esigibile una
alternativa condotta lecita (Consiglio di
Stato, sezione IV, 31.01.2012, n. 483;
Consiglio di Stato, sezione V, 06.12.2010,
n. 8549).
A fronte di un provvedimento inibitorio
illegittimo, mediante il quale siano state
confutate considerazioni tecniche, poi
giudicate corrette e conformi alla legge, è
evidente che l'amministrazione difficilmente
potrà sostenere di essere ricaduta in un
errore scusabile e che una diversa
valutazione non fosse possibile.
---------------
L'iter. Esclusi gli atti legati a
beni vincolati. Resta ancora necessario l'ok
del sovrintendente.
La
semplificazione che consente anche nella Dia
di sostituire i pareri o le verifiche
preventive necessarie con
un'autocertificazione del tecnico abilitato
prevista dal decreto sviluppo ha un limite:
non si applica a vincoli ambientali,
paesaggistici o culturali e agli atti delle
amministrazioni preposte alla tutela di
altri interessi preminenti, specificamente
identificati dalla disposizione.
Con questa operazione il legislatore,
rilevando che le leggi regionali prevedono
per analoghi interventi Dia o Scia in
termini spesso confusi ed alternativi, ha
espressamente inteso rimettere ordine
quantomeno procedimentale, dettando regole
di semplificazione analoghe per i due
istituti.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del
Dpr 380/2001, introdotto dall'articolo 13
del decreto legge, prevede dunque che anche
per la Dia i tecnici abilitati debbano, con
la propria attestazione, garantire la
sussistenza dei requisiti e presupposti
previsti dalla legge, dagli strumenti
urbanistici approvati o adottati e dai
regolamenti edilizi. Resta fermo il potere
dell'amministrazione di verificare la
correttezza delle valutazioni dei tecnici.
La modifica del Testo unico edilizia
prevede, inoltre, che le denunce, corredate
da tutti gli elaborati previsti, possano
essere presentate mediante raccomandata con
avviso di ricevimento, fatti salvi i
procedimenti per i quali è previsto
l'utilizzo esclusivo della modalità
telematica, modalità che, sulla base di un
regolamento da adottare su proposta del
ministro delle Infrastrutture e dei
trasporti, dovrebbe diventare la via
esclusiva per la presentazione delle
denunce.
Il Governo ha, infine, modificato la
disciplina della Scia, precisando che sono
sostituiti da autocertificazioni,
attestazioni, asseverazioni o
certificazioni, non solo gli atti, i pareri
e le verifiche preventive previsti da legge,
ma anche quelli imposti da regolamenti.
Continua dunque il processo di
semplificazione dei procedimenti
amministrativi, basato sulla limitazione
dell'obbligo di ottenere un'autorizzazione
preliminare ai soli casi indispensabili e
sull'introduzione del principio comunitario
di tacita autorizzazione (direttiva
2006/123/CE, attuata con Dlgs 59/2010) (articolo
Il Sole 24 Ore del 16.07.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo l'operato
dell'amministrazione comunale che, in
presenza di una denuncia di inizio attività
per la realizzazione di un intervento
edilizio, adotta provvedimenti di
sospensione dei lavori o di demolizione dopo
che sia decorso il termine di 30 giorni
previsto per il consolidamento del titolo,
senza fare previo ricorso agli strumenti
dell'autotutela.
Invero, non può essere revocato in dubbio
che qualsivoglia intervento il Comune
intenda esercitare sull’assetto di interessi
risultante da una d.i.a. già perfetta ed
efficace, la relativa attività deve
necessariamente esplicarsi nell’ambito di un
procedimento di secondo grado avente ad
oggetto il riesame di un’autorizzazione
implicita che ha già determinato la piena
espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi
conclusivamente che, al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato,
si fosse da tempo formato il provvedimento
abilitativo tacito conseguente alla denuncia
del privato e all'inerzia
dell'amministrazione la quale, ritenendo di
doversi tardivamente opporre all'intervento,
non poteva limitarsi ad ordinare di non
eseguire i lavori, dovendo previamente
provvedere, in via di autotutela, alla
rimozione del provvedimento implicito.
Al riguardo, va richiamato
l’orientamento giurisprudenziale, condiviso
dal Collegio, secondo cui, ai sensi delle
richiamate previsioni contenute nell'art. 23
del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è
illegittimo l'operato dell'amministrazione
comunale che, in presenza di una denuncia di
inizio attività per la realizzazione di un
intervento edilizio, adotta provvedimenti di
sospensione dei lavori o di demolizione dopo
che sia decorso il termine di trenta giorni
previsto per il consolidamento del titolo,
senza fare previo ricorso agli strumenti
dell'autotutela (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 10.12.2009, n. 7730; 04.05.2010,
n. 2558; TAR Campania, Sezione II,
25.06.2005, n. 8707; 11.04.2008 n. 2093; Sezione VIII,
08.10.2009, n. 5200; TAR Piemonte,
Sezione I, 11.10.2006, n. 3382; TAR
Liguria, Sezione I, 15.05.2010, n.2583).
Invero, non può essere revocato in dubbio
che qualsivoglia intervento il Comune
intenda esercitare sull’assetto di interessi
risultante da una d.i.a. già perfetta ed
efficace, la relativa attività deve
necessariamente esplicarsi nell’ambito di un
procedimento di secondo grado avente ad
oggetto il riesame di un’autorizzazione
implicita che ha già determinato la piena
espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi
conclusivamente che, al momento
dell'adozione del provvedimento impugnato,
si fosse da tempo formato il provvedimento
abilitativo tacito conseguente alla denuncia
del privato e all'inerzia
dell'amministrazione la quale, ritenendo di
doversi tardivamente opporre all'intervento,
non poteva limitarsi ad ordinare di non
eseguire i lavori, dovendo previamente
provvedere, in via di autotutela, alla
rimozione del provvedimento implicito (il
cui esercizio deve peraltro essere
coordinato con il principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del
legittimo affidamento del privato nei
confronti dell'attività amministrativa: cfr.
Consiglio di Stato, Sezione IV, 25.11.2008,
n. 5811)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
AMBIENTE-ECOLOGIA -
EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U.
26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure
urgenti per la crescita del Paese"
(D.L.
22.06.2012 n. 83).
---------------
Le disposizioni del Decreto Legge sono
già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per
ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni
di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi
(SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl
semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al
testo del Decreto, riproponiamo
il documento di sintesi delle principali
disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a
http://www.acca.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Ai sensi del sesto comma
dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per interventi
edilizi di eseguire sugli immobili
sottoposti a tutela paesaggistica, è
necessario il preventivo rilascio
dell’autorizzazione dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo medesimo.
In sua assenza il procedimento avviato con
la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun
titolo abilitativo alla realizzazione delle
opere può dirsi acquisito, sicché il
programmato intervento edilizio, ove venga,
comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito
“sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a
sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato
nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001
circa la realizzabilità degli interventi in
regime di DIA subordinatamente al preventivo
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla
presunta formazione del silenzio–assenso,
ovvero affidamenti nel privato sulla
legittimazione ad eseguire l’intervento
oggetto di denuncia.
---------------
Laddove una determinazione amministrativa di
segno negativo si fondi su una pluralità di
ragioni, ciascuna delle quali di per sé
idonea a supportarla in modo autonomo, è
sufficiente che anche una sola di esse
resista alle censure mosse in sede
giurisdizionale perché il provvedimento nel
suo complesso resti esente
dall'annullamento.
Ed, invero, ai sensi del sesto
comma dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per
interventi edilizi di eseguire sugli
immobili sottoposti a tutela paesaggistica,
è necessario il preventivo rilascio
dell’autorizzazione dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo medesimo (che, nella
specie, non risulta essere stato affatto
resa).
In sua assenza il procedimento avviato con
la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun
titolo abilitativo alla realizzazione delle
opere può dirsi acquisito, sicché il
programmato intervento edilizio, ove venga,
comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito
“sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a
sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato
nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001
circa la realizzabilità degli interventi in
regime di DIA subordinatamente al preventivo
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica
elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla
presunta formazione del silenzio–assenso,
ovvero affidamenti nel privato sulla
legittimazione ad eseguire l’intervento
oggetto di denuncia (cfr. TAR Campania, VI
Sezione, n. 2385 del 28.04.2011, TAR
Campania, VI Sezione n. 3889 del 13.07.2009).
Resta, pertanto, acclarata la natura abusiva
delle trasformazioni del territorio operate
dalla parte ricorrente con l’intervento
suddetto e l’incidenza delle medesime su
un’area sottoposta a vincolo paesisitico.
In siffatte evenienze, consegue come effetto
necessitato la spedizione dell’ordine
demolitorio, stante la “straordinaria
importanza della tutela reale dei beni
paesaggistici ed ambientali” (cfr. C. Cost. Ord.za 12/20.12.2007 n. 439).
L’articolo 167 del d.p.r. 42/2004
espressamente prevede, infatti, come misura
sanzionatoria tipica quella della rimessione
in pristino.
Né poteva ritenersi concretamente
predicabile –contrariamente a quanto
sostenuto nell’atto di gravame– la
conversione della misura ripristinatoria
irrogata in quella pecuniaria secondo quanto
previsto dal combinato disposto dei commi 1,
4 e 5 dell’articolo 167 sopra citato.
E’, infatti, di tutta evidenza che il
procedimento di accertamento di
compatibilità paesaggistica -che consente di
sanare anche gli interventi di manutenzione
straordinaria, tipologia cui vanno
ricondotte le opere abusivamente realizzate
dal ricorrente- delineato dalla suddetta
disciplina di settore ha luogo, invero, solo
su impulso di parte, occorrendo a tali fini
che “il proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area
interessati dagli interventi di cui al comma
4 (tra cui giustappunto gli interventi di
manutenzione straordinaria) presenti
apposita domanda …di accertamento della
compatibilità paesaggistica degli interventi
medesimi”.
Poste, dunque, da un lato, l’assenza della
previa autorizzazione paesaggistica, che ha
bloccato il perfezionamento del titolo
edilizio sotto forma di dichiarazione di
inizio attività, e, dall’altro, la mancata
attivazione del procedimento di accertamento
di compatibilità paesaggistica di cui
all’articolo 167, è dunque evidente che
l’Amministrazione non ha avuto altra scelta
che sanzionare gli interventi abusivamente
eseguiti con gli strumenti repressivi (id
est misure ripristinatorie) imposti dalla
disciplina di settore.
A fronte della richiamata cornice normativa
–che costruisce l’intervento repressivo demolitorio come atto dovuto ed a contenuto
vincolato– devono evidentemente ritenersi
recessive le ulteriori doglianze articolate
nel gravame con le quali la parte ricorrente
lamenta l’insufficienza dell’istruttoria
ovvero l’inadeguatezza del corredo
motivazionale del provvedimento impugnato.
Peraltro, la natura assorbente delle
considerazioni fin qui svolte (che impingono
nella necessità di una tutela “reale” ex
articolo 167 del d.lgs. 42/2004 in ragione
del valore paesistico dell’area) rispetto ai
profili giuridici che involgono il (solo)
rilievo edilizio delle opere eseguite (ai
sensi della concorrente previsione
sanzionatoria di cui all’articolo 31 del
d.p.r. 380/2001, parimenti richiamata
nell’ordine di demolizione) trova conforto
nel principio giurisprudenziale secondo cui
devono ritenersi inammissibili le censure
tese a contestare aspetti ulteriori della
motivazione i cui eventuali vizi non
potrebbero determinare l’annullamento del
provvedimento (cfr., ex multis, Consiglio
Stato, sez. VI, 29.03.2011, n. 1897, che
ribadisce come “laddove una
determinazione amministrativa di segno
negativo si fondi su una pluralità di
ragioni, ciascuna delle quali di per sé
idonea a supportarla in modo autonomo, è
sufficiente che anche una sola di esse
resista alle censure mosse in sede
giurisdizionale perché il provvedimento nel
suo complesso resti esente dall'annullamento”)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 25.06.2012 n. 2987 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Presupposti indefettibili perché una d.i.a.
possa essere produttiva di effetti sono la
completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione. Infatti, il decorso
del termine di 30 giorni non può avere
alcun effetto di legittimazione
dell'intervento, rispetto ad una
dichiarazione inesatta o incompleta, con la
conseguenza che l'Amministrazione ha la
facoltà ed il potere di inibire l'attività o
di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è
equiparabile ad un potere di autotutela,
poiché non vi è alcun provvedimento su cui
intervenire, ma ad un “potere di verifica
della non formazione della d.i.a.”, con
conseguente ordine di interruzione dei
lavori, così come d’altronde normativamente
previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi
comma 3, art. 19, L. 241/1990); per tale
motivo, l'esercizio di tale potere non è
sottoposto al termine perentorio di 30
giorni, che presuppone invece che la d.i.a.
sia completa nei suoi elementi essenziali.
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla
normativa di settore (con particolare
riferimento all’edilizia) sia al modello
generale di cui all’art. 19 legge 241/1990,
la giurisprudenza ritiene che presupposti
indefettibili perché una d.i.a. possa essere
produttiva di effetti siano la completezza e
la veridicità delle dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione (ex multis
TAR Lombardia Milano II 09.12.2008 n. 5737;
TAR Emilia-Romagna Bologna sez. II
17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez.
IV 24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez.
I 02.12.2010, n. 35023). Infatti, il decorso
del termine di trenta giorni non può avere
alcun effetto di legittimazione
dell'intervento, rispetto ad una
dichiarazione inesatta o incompleta, con la
conseguenza che l'Amministrazione ha la
facoltà ed il potere di inibire l'attività o
di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è
equiparabile ad un potere di autotutela,
poiché non vi è alcun provvedimento su cui
intervenire, ma ad un “potere di verifica
della non formazione della d.i.a.”, con
conseguente ordine di interruzione dei
lavori, così come d’altronde normativamente
previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi
comma 3, art. 19, L. 241/1990); per tale
motivo, l'esercizio di tale potere non è
sottoposto al termine perentorio di trenta
giorni, che presuppone invece che la d.i.a.
sia completa nei suoi elementi essenziali (ex
multis TAR Lombardia Milano II
09.12.2008, n. 5737)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.06.2012 n. 1195 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con riferimento sia alle
d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare
riferimento all’edilizia) sia al modello generale di cui
all’art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che
presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere
produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità
delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione.
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può
avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento,
rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la
conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere
di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere
di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui
intervenire, ma ad un “potere di verifica della non
formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di
interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente
previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3 art. 19 L.
241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è
sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che
presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi
elementi essenziali.
--------------------
Tali coordinate interpretative, invero, risultano già fatte
proprie da questa Sezione con specifico riferimento ai
procedimenti per l’autorizzazione di impianti di produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili -caratterizzati
come detto dal connotato della specialità- laddove si è
precisato che le attestazioni che devono accompagnare la
denuncia di inizio attività prevista dall'art. 5 del D.lgs.
29.12.2003 n. 387 non possono che ricalcare in linea di
massima la documentazione da produrre con l'istanza per
l'ottenimento dell'autorizzazione, di cui ai commi terzo e
quarto dell'articolo 12 del decreto legislativo 29.12.2003
n. 387.
Pertanto in assenza della documentazione, se pertinente ed
essenziale, la dichiarazione d'inizio attività “non può
reputarsi formalmente presentata” e quindi, dalla data del
suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine
dilatorio di 30 giorni.
--------------
A diverse conclusioni non può giungersi in relazione
all’intervenuta qualificazione normativa (per effetto
dell’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13.08.2011, n. 138)
della d.i.a. (e della s.c.i.a.) quale titolo abilitativo ex
lege e non già di fattispecie provvedimentale a formazione
tacita, come anticipato in via pretoria dall’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato.
Infatti, allorché il legislatore introduca fattispecie di
liberalizzazione di attività, vale il principio dell'autoresponsabilità
del dichiarante, in base al quale, la dichiarazione può
ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti
-oltre alle formalità estrinseche prescritte
dall'ordinamento (essenzialmente dirette a rendere
incontrovertibile la paternità di una determinata
dichiarazione)- anche il canone dell'autosufficienza
contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione
l’Amministrazione di poter effettivamente esercitare in
concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla
legge. E ciò, si badi bene, non solo nell’interesse pubblico
alla repressione delle attività abusive, ma nello stesso
interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente
all’eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta
già realizzate le opere ed effettuati i correlati
investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di
tempestività e contenimento dei termini, poste alla base del
decreto legislativo 29.12.2003 n. 387 in materia di
autorizzazione di impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle
fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può
allora esonerare il richiedente, secondo il suesposto
principio della autoresponsabilità, dalla presentazione
della documentazione prescritta dalla legge, al fine di
consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente
gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda
realizzare.
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte
dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -per le
quali in considerazione della specialità non pare
ipotizzabile la sostituzione con la s.c.i.a. di cui all’art.
19 L. 241/1990- deve rimanere fermo il principio per cui le
fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal
legislatore (statale o regionale) possono ritenersi “formate
ed esistenti” soltanto quando esse risultino idonee, da
sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili
per l’esercizio del potere inibitorio–repressivo.
3.3. Tanto premesso, con
riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore
(con particolare riferimento all’edilizia) sia al modello
generale di cui all’art. 19 legge 241/1990, la
giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché
una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la
completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute
nell'autocertificazione (ex multis TAR Lombardia
Milano II 09.12.2008 n. 5737; TAR Emilia-Romagna Bologna
sez. II 17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez. IV
24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez. I 02.12.2010, n.
35023).
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può
avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento,
rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la
conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere
di inibire l'attività o di sospendere i lavori. Così
opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere di
autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui
intervenire, ma ad un “potere di verifica della non
formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di
interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente
previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3 art. 19 L.
241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è
sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che
presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi
elementi essenziali (ex multis TAR Lombardia Milano
II 09.12.2008, n. 5737).
3.4. Tali coordinate interpretative, invero, risultano già
fatte proprie da questa Sezione con specifico riferimento ai
procedimenti per l’autorizzazione di impianti di produzione
di energia elettrica da fonti rinnovabili -caratterizzati
come detto dal connotato della specialità- laddove si è
precisato che le attestazioni che devono accompagnare la
denuncia di inizio attività prevista dall'art. 5 del D.lgs.
29.12.2003 n. 387 non possono che ricalcare in linea di
massima la documentazione da produrre con l'istanza per
l'ottenimento dell'autorizzazione, di cui ai commi terzo e
quarto dell'articolo 12 del decreto legislativo 29.12.2003
n. 387; pertanto in assenza della documentazione, se
pertinente ed essenziale, la dichiarazione d'inizio attività
“non può reputarsi formalmente presentata” e quindi,
dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il
termine dilatorio di 30 giorni (sentenza 02.10.2009, n.
2226).
3.5. A diverse conclusioni non può giungersi in relazione
all’intervenuta qualificazione normativa (per effetto
dell’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13.08.2011, n. 138)
della d.i.a. (e della s.c.i.a.) quale titolo abilitativo
ex lege e non già di fattispecie provvedimentale a
formazione tacita, come anticipato in via pretoria
dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza
29.07.2011, n. 15).
Infatti, allorché il legislatore introduca fattispecie di
liberalizzazione di attività, vale il principio dell'autoresponsabilità
del dichiarante, in base al quale, la dichiarazione può
ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti
-oltre alle formalità estrinseche prescritte
dall'ordinamento (essenzialmente dirette a rendere
incontrovertibile la paternità di una determinata
dichiarazione)- anche il canone dell'autosufficienza
contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione
l’Amministrazione di poter effettivamente esercitare in
concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla
legge. E ciò, si badi bene, non solo nell’interesse pubblico
alla repressione delle attività abusive, ma nello stesso
interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente
all’eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta
già realizzate le opere ed effettuati i correlati
investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di
tempestività e contenimento dei termini, poste alla base del
decreto legislativo 29.12.2003 n. 387 in materia di
autorizzazione di impianti di produzione di energia
elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle
fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può
allora esonerare il richiedente, secondo il suesposto
principio della autoresponsabilità, dalla presentazione
della documentazione prescritta dalla legge, al fine di
consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente
gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda
realizzare (in questi termini, in riferimento all’art. 23
t.u. edilizia e all’art. 19 legge 241/1990, Consiglio di
Stato sez. IV 24.05.2010 n. 3263; in riferimento alla d.i.a.
per la realizzazione di impianti di telefonia mobile TAR
Emilia Romagna Bologna, sez. II, 17.07.2006, n. 1462.)
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte
dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -per le
quali in considerazione della specialità non pare
ipotizzabile la sostituzione con la s.c.i.a. di cui all’art.
19 L. 241/1990- deve rimanere fermo il principio per cui le
fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal
legislatore (statale o regionale) possono ritenersi “formate
ed esistenti” soltanto quando esse risultino idonee, da
sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili
per l’esercizio del potere inibitorio–repressivo
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 18.06.2012 n. 1193 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di ricorsi
proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a.
anteriormente all'esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione, in
virtù del principio di economia processuale,
l'azione di accertamento, una volta maturato
il termine per la definizione del
procedimento amministrativo, si converte
automaticamente in domanda di impugnazione
del provvedimento sopravvenuto in ragione
del fatto che la portata sostanziale del
ricorso iniziale finisce per investire sia
sul piano del petitum che della causa
petendi la decisione della p.a. di non
adottare il provvedimento inibitorio.
Dunque, è riconosciuta la possibilità di
un’azione giurisdizionale di accertamento
della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a.
presentate dai privati, prima dell’esercizio
da parte dell’amministrazione competente
dell’azione inibitoria di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di
legittimità.
Per quanto
riguarda la contestabilità in giudizio della
s.c.i.a., va preliminarmente ricordato come
l’istituto sia nuovo nel nostro ordinamento.
Introdotte con modifica all’art. 19 della L.
07.08.1990 n. 241 dalla L. 30.07.2010 n.
122, le s.c.i.a. (segnalazioni certificate
d’inizio attività edilizia) insieme alle
d.i.a. s’inseriscono tra le modalità di
semplificazione dell’azione amministrativa
con effetto sostitutivo, a mezzo
dichiarazione, di provvedimenti pubblici di
autorizzazione, licenza, concessione non
costitutiva, permesso o nulla osta comunque
denominati, comprese le domande per le
iscrizioni in albi o ruoli richieste per
l'esercizio di attività imprenditoriale,
commerciale o artigianale il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
requisiti e presupposti di legge o di atti
amministrativi a contenuto generale (art.
19, comma 1, della L. n. 241/1990).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato,
con decisione 29.7.2011 n. 15, ha statuito
che nel caso di ricorsi proposti avverso
d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente
all'esercizio del potere inibitorio da parte
dell’amministrazione, in virtù del principio
di economia processuale, l'azione di
accertamento, una volta maturato il termine
per la definizione del procedimento
amministrativo, si converte automaticamente
in domanda di impugnazione del provvedimento
sopravvenuto in ragione del fatto che la
portata sostanziale del ricorso iniziale
finisce per investire sia sul piano del
petitum che della causa petendi la
decisione della p.a. di non adottare il
provvedimento inibitorio.
La pronuncia, dunque, riconosce la
possibilità di un’azione giurisdizionale di
accertamento della illegittimità di d.i.a. e
s.c.i.a. presentate dai privati, prima
dell’esercizio da parte dell’amministrazione
competente dell’azione inibitoria di divieto
di prosecuzione dell’attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa nel
caso in cui accerti la mancanza dei
requisiti e dei presupposti per la validità
delle dichiarazioni e delle segnalazioni
sostitutive. Questo nella logica della
garanzia di tutela giurisdizionale, che
verrebbe meno laddove non fosse possibile
riconoscere agli interessati la tutela in
giudizio a fronte di dichiarazioni di
privati sostitutive di titoli abilitanti
all’esercizio di attività, nel caso di
inerzia o rifiuto delle amministrazioni
competenti a inibirne gli effetti a fronte
della carenza dei presupposti di legittimità
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 04.05.2012 n. 4007 -
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EDILIZIA PRIVATA:
La denunzia di
inizio attività non ha valore di
provvedimento amministrativo né lo acquista
in virtù del decorso del termine previsto
per l’attività di riscontro della p. a.,
sicché la sua impugnativa è inammissibile.
La d.i.a. in materia di edilizia costituisce
un atto soggettivamente ed oggettivamente
privato che in presenza delle condizioni
richieste attribuisce al privato una
legittimazione ex lege allo svolgimento di
una determinata attività, che viene quindi
liberalizzata. Da quanto detto deriva che,
decorso il termine senza l’esercizio, da
parte della p. a., del potere inibitorio, il
terzo controinteressato potrà avvalersi solo
dei provvedimenti sanzionatori previsti,
facendo ricorso, in caso di inerzia, alla
procedura del silenzio–rifiuto, che avrà
quindi come riferimento solo il generale
potere sanzionatorio e non quello
inibitorio, dato che il giudice non potrebbe
comunque costringere l’amministrazione ad
esercitare un potere da cui è decaduta;
pertanto, deve essere dichiarato
inammissibile il ricorso con cui il
controinteressato impugna il c. d. atto
abilitativo tacito formatosi sulla d.i.a.
anziché chiedere al Comune direttamente la
rimozione dell’atto, una volta scaduto il
termine di esercizio del potere inibitorio
dell’amministrazione.
Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti: “La denunzia di
inizio attività non ha valore di
provvedimento amministrativo né lo acquista
in virtù del decorso del termine previsto
per l’attività di riscontro della p. a.,
sicché la sua impugnativa è inammissibile”
(TAR Campania Napoli, sez. III, 01.12.2008, n. 20723).
Né, del resto, potrebbe giungersi a diverse
conclusioni, ove si ritenesse che la
ricorrente (che afferma, a fol. 5 del
ricorso, d’aver interesse ad impugnare “il
provvedimento emesso dal Comune di Pollica”),
abbia inteso gravare l’atto abilitativo
tacito, formatosi a cagione del mancato
esercizio da parte del Comune, nel termine
di legge, del proprio potere inibitorio.
Tanto, in conformità all’ulteriore massima
che segue: “La d.i.a. in materia di
edilizia costituisce un atto soggettivamente
ed oggettivamente privato che in presenza
delle condizioni richieste attribuisce al
privato una legittimazione ex lege allo
svolgimento di una determinata attività, che
viene quindi liberalizzata.
Da quanto detto
deriva che, decorso il termine senza
l’esercizio, da parte della p. a., del
potere inibitorio, il terzo controinteressato potrà avvalersi solo dei
provvedimenti sanzionatori previsti, facendo
ricorso, in caso di inerzia, alla procedura
del silenzio–rifiuto, che avrà quindi come
riferimento solo il generale potere
sanzionatorio e non quello inibitorio, dato
che il giudice non potrebbe comunque
costringere l’amministrazione ad esercitare
un potere da cui è decaduta; pertanto, deve
essere dichiarato inammissibile il ricorso
con cui il controinteressato impugna il c.
d. atto abilitativo tacito formatosi sulla
d.i.a. anziché chiedere al Comune
direttamente la rimozione dell’atto, una
volta scaduto il termine di esercizio del
potere inibitorio dell’amministrazione” (TAR Calabria Catanzaro, sez. II,
10.05.2007, n. 404; conforme: TAR Puglia
Lecce, sez. I, 10.11.2006, n. 5284) (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 24.04.2012 n. 769 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione di una DIA o di una SCIA, non
dà luogo ad alcun procedimento
amministrativo, per cui il decorso del
termine di legge di 60 o 30 giorni per
l’adozione di provvedimenti inibitori o
repressivi da parte della Pubblica
Amministrazione non configura alcuna
conclusione di procedimento amministrativo
né alcuna adozione di un provvedimento
tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990,
consente al terzo che si reputa leso dalla
presentazione della DIA/SCIA una sola
modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo
periodo, contiene a tale proposito la parola
<<esclusivamente>>, introdotta in sede di
conversione del decreto legge), vale a dire
la sollecitazione all’esercizio delle
verifiche spettanti all’Amministrazione e,
in caso di inerzia di quest’ultima, la
proposizione dell’azione prevista dall’art.
31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro
il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo.
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la
“sollecitazione” del terzo
all’Amministrazione, affinché quest’ultima
eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a porre
in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i
propri poteri di verifica e correlativamente
a configurare, in caso di inerzia della P.A.
stessa, un silenzio inadempimento,
giuridicamente rilevante, censurabile
davanti al giudice amministrativo con
l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs.
104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione.
Come noto, il regime della tutela
giurisdizionale del terzo a fronte della
presentazione di una denuncia/dichiarazione
di inizio attività (DIA) o di una
segnalazione certificata di inizio attività
(SCIA), reputate dal terzo contra legem,
è oggi contenuto nell’art. 19 della legge
241/1990, come modificato dal decreto legge
138/2011, convertito con legge 148/2011.
Il comma 6-ter dell’art. 19 citato, esclude
in primo luogo che la DIA e la SCIA
costituiscano provvedimenti amministrativi
taciti direttamente impugnabili: si tratta
di una scelta legislativa conforme alla
conclusione alla quale era giunta –seppure
dopo un serrato dibattito– la stessa
giurisprudenza amministrativa, con la
sentenza dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011, di poco
anteriore alla riforma legislativa del
decreto legge 138/2011.
Di conseguenza, nello schema normativo del
citato comma 6-ter, la presentazione di una
DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun
procedimento amministrativo, per cui il
decorso del termine di legge di 60 o 30
giorni per l’adozione di provvedimenti
inibitori o repressivi da parte della
Pubblica Amministrazione non configura
alcuna conclusione di procedimento
amministrativo né alcuna adozione di un
provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, consente al terzo
che si reputa leso dalla presentazione della
DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il
comma 6-ter, secondo periodo, contiene a
tale proposito la parola <<esclusivamente>>,
introdotta in sede di conversione del
decreto legge), vale a dire la
sollecitazione all’esercizio delle verifiche
spettanti all’Amministrazione e, in caso di
inerzia di quest’ultima, la proposizione
dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs.
104/2010, cioè l’azione contro il silenzio
della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio
della P.A. tutto sommato sui generis, visto
che l’esperimento della stessa è consentito
anche se la presentazione della DIA/SCIA non
ha dato avvio ad alcun procedimento
amministrativo (a tale proposito, si
comprende perché il D.Lgs. 195/2011,
costituente il primo decreto correttivo al
codice del processo amministrativo, abbia
modificato il primo comma dell’art. 31 del
codice stesso, permettendo l’azione contro
il silenzio non solo dal momento della
conclusione del procedimento, ma anche <<negli
altri casi previsti dalla legge>>, fra
cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19,
comma 6-ter, succitato).
Il silenzio della P.A., che consente
l’azione ex art. 31 del codice del processo,
presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione”
del terzo all’Amministrazione, affinché
quest’ultima eserciti i propri poteri di
verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale
sollecitazione, pur non dovendo contenere
formule sacramentali, debba però possedere
una serie di minimi requisiti per così dire
di “serietà”, che la rendano idonea a
porre in capo alla P.A. l’obbligo di
esercitare i propri poteri di verifica e
correlativamente a configurare, in caso di
inerzia della P.A. stessa, un silenzio
inadempimento, giuridicamente rilevante,
censurabile davanti al giudice
amministrativo con l’azione di cui all’art.
31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio
annoverarsi la forma scritta, con
l’indicazione –seppure di massima– della
lamentata illegittimità dell’intervento
edilizio e con la richiesta di esercizio del
potere/dovere di verifica e di eventuale
repressione.
In altri termini, la sollecitazione
all’esercizio del potere di cui è causa non
può confondersi con la generica denuncia di
eventuali abusi edilizi, che può ovviamente
essere effettuata da qualsivoglia cittadino
anche in forma orale, ma che non appare però
idonea a fondare il silenzio
dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del
D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la
circostanza che, nel vigente ordinamento
processuale amministrativo, a differenza del
pregresso sistema, l’azione contro il
silenzio della P.A. può essere promossa
anche senza previa diffida
all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°,
del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui
sopra è giustificata dal fatto che la
scadenza infruttuosa del termine di
conclusione del procedimento amministrativo
(ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990),
equivale comunque alla formazione del
silenzio inadempimento della P.A., mentre
nel caso di presentazione di DIA o di SCIA,
come già sopra ricordato, non viene avviato
alcun procedimento amministrativo, sicché
soltanto attraverso l’idonea sollecitazione
di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è
possibile la formazione del silenzio
inadempimento dell’Amministrazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 12.04.2012 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di denunzia di inizio di attività, il
termine di 30 giorni entro cui, ai sensi
dell'art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001 n.
380, occorre riscontrare l'assenza di una o
più delle condizioni stabilite, va
identificato nell'adozione del provvedimento
e non nell'avvenuta notifica dello stesso.
Ai sensi dell’art. 23, d.P.R. n. 380/2001,
costituiscono, difatti, oggetto della d.i.a.
solo le opere indicate, oltre che negli
elaborati progettuali, nella relazione
firmata da un progettista che ne asseveri la
conformità agli strumenti urbanistici. La
sola rappresentazione su una tavola di
progetto non abilita, pertanto, alla
realizzazione dell’intervento.
Nel caso di denunzia di inizio di attività,
il termine di 30 giorni entro cui, ai sensi
dell'art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001 n.
380, occorre riscontrare l'assenza di una o
più delle condizioni stabilite, va
identificato nell'adozione del provvedimento
e non nell'avvenuta notifica dello stesso
(TAR Lecce Puglia sez. I, 15.01.2009, n.
54).
Ai sensi dell’art. 23, d.P.R. n. 380/2001,
costituiscono, difatti, oggetto della d.i.a.
solo le opere indicate, oltre che negli
elaborati progettuali, nella relazione
firmata da un progettista che ne asseveri la
conformità agli strumenti urbanistici. La
sola rappresentazione su una tavola di
progetto non abilita, pertanto, alla
realizzazione dell’intervento (cfr. Tar
Lombardia, Milano, 08.06.2011, n. 1472)
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.04.2012 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
terzo leso dagli effetti della D.I.A. potrà
giovarsi unicamente dell’azione avverso il
silenzio, senza che possano residuare
ulteriori strumenti di tutela.
Quanto ai rimedi esperibili dal terzo controinteressato rispetto
alla D.I.A., il Consiglio di Stato, con
l’Adunanza Plenaria n. 15 del 29.07.2011, aveva stabilito che la D.I.A. non
costituisce un provvedimento tacito
formatosi per il decorso del termine,
essendo invece una mera dichiarazione del
privato rivolta all’amministrazione
competente. Pertanto, secondo detta
pronuncia, l’oggetto del giudizio, che vede
come ricorrente il terzo leso dagli effetti
della D.I.A., non può essere l’assenso
tacito all’esercizio dell’attività,
piuttosto, il terzo avrà l’onere d’impugnare
l’inerzia dell’amministrazione, la quale,
omettendo di esercitare i propri poteri
inibitori, ha determinato la formazione di
un provvedimento tacito di diniego di
adozione di tali provvedimenti inibitori.
Nel caso di specie, la ricorrente sembra
essersi adeguata a tale pronuncia del
Consiglio di Stato nel momento in cui ha
chiesto “l’annullamento del provvedimento
tacito per silentium formatosi sulla D.I.A.
a seguito del mancato esercizio da parte del
Comune di Garda del potere inibitorio”.
Tuttavia, con l’art. 6 del D.L. n. 138 del
13.08.2011, convertito nella legge n.
148 del 2011, il legislatore è nuovamente
intervenuto sulla materia, aggiungendo
all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 un
comma 6-ter, il quale afferma che “la
segnalazione certificata d’inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività
liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente
impugnabili. Gli interessati possono
sollecitare l’esercizio delle verifiche
spettanti all’amministrazione e, in caso
d’inerzia, esperire l’azione di cui all’art.
31, commi 1, 2 e 3 del D.lgs. 02.07.2010,
n. 104”.
Pertanto, il legislatore, pur recependo
l’orientamento del Consiglio di Stato sulla
natura giuridica della D.I.A. (oggi S.C.I.A.),
come atto del privato non immediatamente
impugnabile, si discosta da tale decisione
quanto ai rimedi esperibili dal terzo
controinteressato, il quale ha ora a
disposizione solo l’azione prevista
dall’art. 31 c.p.a. per i casi di silenzio
della P.A. .
Dunque, quell’azione di annullamento del
provvedimento tacito di diniego dei
provvedimenti inibitori, introdotta solo per
via giurisprudenziale dal Consiglio di
Stato, è stata definitivamente espunta dal
nostro ordinamento da parte del legislatore,
che ha attribuito al terzo leso dagli
effetti della D.I.A. (oggi S.C.I.A.)
l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. .
Peraltro, tra le correzioni ed integrazioni
del Codice del processo amministrativo
introdotte da ultimo dal D.lgs. 15.11.2011, entrato in vigore il
09.12.2011,
vi è l’introduzione, all’art. 31, comma 1,
dopo le parole “decorsi i termini per la
conclusione del procedimento
amministrativo”, della frase “e negli altri
casi previsti dalla legge” cui segue il
periodo, rimasto immutato “chi vi ha
interesse può chiedere l’accertamento
dell’obbligo dell’amministrazione di
provvedere”.
Il riferimento agli “altri casi previsti
dalla legge” nei quali è possibile agire,
dunque, ex art. 31 c.p.a., a prescindere dal
decorso dei termini per la conclusione del
procedimento, è chiaramente diretto al nuovo
comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241
del 1990.
Pertanto, tale ultima integrazione dell’art.
31 c.p.a., consente di agire nei confronti
del silenzio della P.A. mantenuto dopo la
presentazione della S.C.I.A. o della D.I.A.,
ben prima della scadenza del termine finale
assegnato all’amministrazione per
l’esercizio del potere repressivo o
modificativo, e sin da quando la S.C.I.A. o
la D.I.A. vengano presentate e il terzo
venga a conoscenza della loro utilizzazione.
In tal caso l’azione avrà ad oggetto, più
che il silenzio, direttamente l’accertamento dei presupposti di legge per
l’esercizio dell’attività oggetto della
segnalazione, con i conseguenti effetti
conformativi in ordine ai provvedimenti
spettanti all’autorità amministrativa.
In definitiva, il rinvio operato dal
legislatore all’istituto del silenzio, non
riduce in maniera significativa l’ambito di
tutela del quale il terzo si può giovare,
considerato anche che quest’ultimo, pur
trascorso il termine assegnato
all’amministrazione per l’esercizio del
potere inibitorio, potrà sollecitare tramite
diffida, oltre l’esercizio del potere di
autotutela, anche l’esercizio dei poteri
sanzionatori e repressivi sempre spettanti
all’amministrazione in materia edilizia e,
fintantoché l’inerzia perduri e comunque non
oltre un anno dalla scadenza del termine per
l’adempimento, potrà esperire l’azione di
cui all’art. 31 c.p.a., richiamata dal comma
6-ter dell’art. 19 L. 241/1990.
In conclusione, sulla base del nuovo quadro
normativo, applicabile, ratione temporis
al ricorso in esame, il terzo leso dagli
effetti della D.I.A. potrà giovarsi
unicamente dell’azione avverso il silenzio,
senza che possano residuare ulteriori
strumenti di tutela
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 05.03.2012 n.
298 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Impugnabilità
diretta della D.I.A. - Applicabilità del
legittimo affidamento prima della pronuncia
dell'Adunanza Plenaria n. 15/2011 -
Sussiste.
La decisione del Consiglio di Stato,
Adunanza Plenaria, n. 15/2011, ed il
successivo intervento legislativo, che
negano la diretta impugnabilità della D.I.A.
non possono trovare diretta ed immediata
applicazione nelle controversie instaurate
quando l'indirizzo che sosteneva
l'impugnabilità immediata della D.I.A. era
prevalente perché su di esso la parte
ricorrente ha riposto un legittimo
affidamento che non può esserle "confiscato"
a posteriori
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.02.2012 n.
457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. -
Recupero abitativo di sottotetto -
Documentazione incompleta - Preesistenze non
riscontrabili - Illegittimità.
Un intervento di recupero di un sottotetto
da attuarsi con D.I.A., soggetto in quanto
tale a verifica ex post, non può
essere progettato e realizzato sulla base di
documentazione incompleta o comunque non
rappresentativa dello stato di fatto su cui
il progetto interviene con modifiche, specie
laddove in seguito alla prevista demolizione
di preesistenze lo stato di fatto non sia
suscettibile di riscontro postumo da parte
dell'Amministrazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.02.2012 n.
457 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio non ritiene di potere condividere
la tesi comunale, secondo cui la mancata
comunicazione dell’inizio dei lavori
impedisca l’acquisto di efficacia della
D.I.A. “sia ai fini del relativo
procedimento che risulta mai formalmente
avviato, che ai fini della decorrenza dei
termini previsti dal D.P.R. 06/06/2001 n.
380 e s.m.i..
L’art. 42 della
legge regionale n. 12/2005 prevede, al comma
1, che: “il proprietario dell'immobile o
chi abbia titolo per presentare la denuncia
di inizio attività, almeno 30 giorni
prima dell'effettivo inizio dei lavori,
presenta la denuncia,…”, indi, al comma
6, precisa che: “I lavori oggetto della
denuncia di inizio attività devono essere
iniziati entro un anno dalla data di
efficacia della denuncia stessa ed ultimati
entro tre anni dall'inizio dei lavori...
L'interessato è tenuto a comunicare
immediatamente al comune la data di inizio e
di ultimazione dei lavori, secondo le
modalità indicate nel regolamento edilizio”.
Quest’ultimo, per il Comune di Limbiate,
all’art. 116, co. 3, prevede chiaramente
che: <<A seguito di presentazione di
denuncia di inizio dell’attività l’inizio
dei lavori avviene a partire dal ventesimo
giorno successivo alla presentazione stessa,
fatti salvi eventuali dinieghi sopravvenuti
con provvedimenti motivati>>.
Tenuto conto di tale quadro normativo, il
Collegio non ritiene di potere condividere
la tesi comunale, secondo cui la mancata
comunicazione dell’inizio dei lavori da
parte dell’Immobiliare impedisca l’acquisto
di efficacia della D.I.A. “sia ai fini
del relativo procedimento che risulta mai
formalmente avviato, che ai fini della
decorrenza dei termini previsti dal D.P.R.
06/06/2001 n. 380 e s.m.i.” (così
l’ordinanza impugnata).
In verità, se con l’espressione “procedimento”
l’amministrazione ha inteso riferirsi al
procedimento di verifica della sussistenza
delle “condizioni stabilite”, ex art.
23, co. 6, d.P.R. n. 380/2001, preordinato
all’esercizio del cd. potere inibitorio, non
v’è dubbio che esso si attivi già con la
presentazione della D.I.A., segnando semmai
l’effettivo inizio dei lavori, in
coincidenza del 30° giorno dalla
dichiarazione, il momento conclusivo per
l’esercizio del predetto potere (cfr. TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 07.11.2008, n.
5296, per cui il potere di vigilanza
urbanistico-edilizia, decorsi i 30 giorni,
non deve svolgersi più nelle forme
dell'intervento inibitorio, ma in quelle
della procedura di autotutela di cui agli
artt. 21-quinquies e 21-nonies, l. n. 241
del 1990, come modificata dalla l. n. 15 del
2005).
Un ampio riscontro di tale interpretazione
si rinviene anche nella lettera dell’art. 42
L.R. cit., ove, ai commi 8 e ss., si prevede
che:
“Il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ovvero, laddove
costituito, dello sportello unico per
l'edilizia, entro il termine di trenta
giorni dalla presentazione della denuncia di
inizio attività:
a) verifica la regolarità formale e la
completezza della documentazione presentata;
b) accerta che l'intervento non rientri nel
caso di esclusione previsto dall'articolo
41;
c) verifica la correttezza del calcolo del
contributo di costruzione dovuto in
relazione all'intervento.
Il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ovvero, laddove
costituito, dello sportello unico per
l'edilizia, qualora entro il termine sopra
indicato di trenta giorni sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento e, in caso di falsa attestazione
del professionista abilitato, informa
l'autorità giudiziaria ed il consiglio
dell'ordine di appartenenza”.
La mancata comunicazione di inizio lavori
può, in realtà, giustificare la declaratoria
di inefficacia della D.I.A., ove si accerti
che entro l’anno dalla dichiarazione non
siano stati effettivamente iniziati i lavori
oggetto dell’intervento dichiarato. Ma tale
non è la situazione che qui occupa, ove non
si contesta il mancato effettivo inizio dei
lavori entro l’anno dalla D.I.A., ma la
mancata comunicazione dell’inizio lavori,
pur tuttavia iniziati.
In tali evenienze, non può ricollegarsi alla
omissione in questione la conseguenza
indicata dal Comune in termini di
inefficacia della D.I.A., non trovando tale
conseguenza alcun riscontro nella succitata
normativa (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
27.01.2012 n.
292 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nell’ipotesi
di intervento edilizio a fronte di DIA,
venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela
del terzo è affidata all’esperimento di
un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod.
proc. amm. da proporre nell’ordinario
termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della
presentazione della DIA avvenga in uno
stadio anteriore al decorso del termine per
l’esercizio del potere inibitorio, il dies a
quo per l’impugnativa coincide con il
decorso del termine per l’adozione delle
doverose misure interdittive, ovverosia 30
giorni dalla presentazione della denuncia ex
art. 23 DPR 380/2011.
Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (da ultimo Ad. Plen. 15/2011), nell’ipotesi di intervento
edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo
un provvedimento per silentium, la tutela
del terzo (nel caso di specie l’odierno
ricorrente) è affidata all’esperimento di
un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod.
proc. amm. da proporre nell’ordinario
termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della
presentazione della DIA avvenga in uno
stadio anteriore al decorso del termine per
l’esercizio del potere inibitorio, il dies a
quo per l’impugnativa coincide con il
decorso del termine per l’adozione delle
doverose misure interdittive, ovverosia 30
giorni dalla presentazione della denuncia ex
art. 23 DPR 380/2011
(TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’autotutela avente per oggetto
la DIA –o meglio il titolo formatosi a
seguito della sua presentazione– deve
rispettare i requisiti previsti dalle norme
di legge succitate e quindi si impone, a
carico del Comune, l’obbligo di indicare lo
specifico interesse pubblico, diverso da
quello al mero ripristino della legalità,
posto a fondamento dell’autotutela, oltre
alla considerazione sia degli interessi dei
privati coinvolti, sia del tempo trascorso
dalla presentazione della DIA a quello di
adozione del provvedimento.
Il
provvedimento impugnato appare però viziato
non solo da evidente difetto di istruttoria
e di motivazione sulla questione della
natura della strada, ma anche dalla
violazione delle norme riguardanti
l’autotutela amministrativa (artt.
21-quinquies e 21-nonies della legge
241/1990, articoli entrambi richiamati
dall’art. 19 di quest’ultima, sia nel
precedente testo relativo alla DIA sia in
quello attuale relativo alla SCIA,
segnalazione certificata di inizio
attività).
L’ordinanza comunale gravata, infatti,
dispone (così testualmente) la “revoca”
della DIA n. 232/2000 (anche se, più
correttamente, si sarebbe dovuto parlare di
“annullamento d’ufficio”), presentata
dagli attuali esponenti al Comune di
Limbiate per la posa dei cancelli carrai
sulla strada vicinale di cui è causa (cfr.
doc. 2 dei ricorrenti, copia della DIA).
In realtà, com’è noto, l’autotutela avente
per oggetto la DIA –o meglio il titolo
formatosi a seguito della sua presentazione–
deve rispettare i requisiti previsti dalle
norme di legge succitate e quindi si impone,
a carico del Comune, l’obbligo di indicare
lo specifico interesse pubblico, diverso da
quello al mero ripristino della legalità,
posto a fondamento dell’autotutela, oltre
alla considerazione sia degli interessi dei
privati coinvolti, sia del tempo trascorso
dalla presentazione della DIA (luglio 2000)
a quello di adozione del provvedimento, nel
caso di specie oltre nove anni (cfr. sul
punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II,
01.03.2011, n. 596; TAR Marche, 08.11.2010,
n. 3373; TAR Toscana, sez. II, 24.08.2010,
n. 4882) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulle
controversie in materia di DIA e SCIA decide
il giudice amministrativo.
Ogni controversia avente ad oggetto il
corretto e tempestivo esercizio del potere
amministrativo di controllo circa la
conformità dell'attività dichiarata al
paradigma normativo, con conseguente
adozione della misura inibitoria in caso di
esito negativo del riscontro, rientra nella
giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133 del codice del processo
amministrativo, comma 1, lett. a n. 3 e
lett. f dispone che le controversie in
materia di “Dia” devono essere affidate alla
giurisdizione esclusiva del plesso
giurisdizionale amministrativo. Muovendo
dall’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 15/2011 (“SCIA e
DIA sono dichiarazioni imputabili a
manifestazione di volontà privata dalla
quale scaturisce, ai sensi degli artt. 19,
comma 3, legge n. 241/1990 un procedimento
doveroso di verifica che, in assenza di
requisiti alla continuazione o all'avvio
dell'attività, si conclude con un diniego
espresso o con un "diniego tacito" di
adozione del provvedimento inibitorio.
Il silenzio che segue allo scadere del
termine perentorio per la verifica e
l'inibizione dell'attività denunciata, va
equiparato, in assenza dei previsti
requisiti, all'"atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio" che rappresenta
l'esito negativo del procedimento
finalizzato all'adozione del provvedimento
restrittivo dell'attività esercitata. La
formazione dell'"atto tacito di diniego"
alla scadenza del termine previsto per
l'esercizio della potestà di verifica è
direttamente connessa alla perentorietà del
termine stabilito negli artt. 19, comma 3,
legge n. 241/1990 -per la SCIA- e 23 comma
6, D.P.R. n. 380/2001 -per la DIA- , decorso
il quale la competente amministrazione perde
la potestà inibitoria dell'attività
esercitata salva la residua potestà di
autotutela.
Nei confronti dell'atto tacito di diniego di
provvedimento inibitorio -espresso o
tacito-, il terzo pregiudicato dispone
dell'azione di annullamento a tutela
dell'interesse pretensivo al corretto
esercizio della potestà di verifica e
controllo. Al terzo pregiudicato
dall'attività proseguita o iniziata
illegittimamente è altresì attribuita,
congiuntamente o separatamente da quella di
annullamento dell'"atto tacito di diniego",
l'azione di adempimento dell'obbligo
dell'amministrazione di adottare i
provvedimenti interdittivi o restrittivi, da
esercitare comunque nel termine di un anno
previsto dall'art. 31, co. 3, cod. proc. amm.
- D.Lgs. n. 104/2010 - per l'azione avverso
il silenzio.”) deve affermarsi che,
quale che sia la tecnica di tutela prescelta
dal controinteressato asseritamente leso,
ciò non incide sul riparto della
giurisdizione in subiecta materia
(massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 15.12.2011 n. 6614 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Ordine
di sospensione lavori - Sopravvenuta carenza
di interesse - Art. 34 c.p.a. - Interesse a
un risarcimento del danno - Prospettazione -
Improcedibilità.
2. D.I.A. -
Annullamento di titolo edilizio - Contrasto
con valori paesaggistici - Carenza di
motivazione - Illegittimità.
1. Sebbene l'art. 34, c. 3, c.p.a. rimetta,
nel caso di sopravvenuta carenza di
interesse, al giudice di accertare
"l'illegittimità dell'atto se sussiste
l'interesse ai fini risarcitori", laddove
tale interesse non sia stato concretizzato
dalla ricorrente tramite la presentazione
formale di una specifica domanda (la quale è
proponibile entro il termine di cui all'art.
30, c. 5, c.p.a.) non si può affermare che
competa al Giudice rilevare ex officio
l'ipotetica presenza di un interesse la cui azionabilità è ancora in potere della parte
interessata, né è sufficiente la semplice
segnalazione in tal senso della parte per
evitare che il ricorso sia dichiarato
improcedibile.
2. L'annullamento di un titolo edilizio
fondato proprio sul contrasto con i valori
paesaggistici non può apoditticamente
affermare che la realizzazione del progetto
pregiudica i valori ambientali e
paesaggistici, ma deve basarsi sulla
esistenza di circostanze di fatto o di
elementi specifici, che nel caso di specie
dovrebbero essere stati individuati dalla
competente Commissione del Paesaggio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n.
2656 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comma 6-ter dell'art. 19 della
Legge n. 241/1990 potrebbe mettere in
discussione le conclusioni dell'Adunanza
Plenaria sull’impugnazione della DIA.
Dapprima risulta necessario qualificare
correttamente l’azione proposta dal
ricorrente, che nel proprio atto
introduttivo chiede, nel merito ed in via
principale, di <<dichiarare la nullità
della D.I.A.>>, attribuendo così alla
propria impugnativa giurisdizionale la
qualificazione di azione di nullità, azione
prevista dall’art. 31, ultimo comma, del
D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo
amministrativo”).
Tuttavia, tenuto conto che, per generale
principio processuale, la qualificazione
dell’azione spetta al giudice, che può anche
disporne la conversione (cfr. l’espressa
previsione dell’art. 32, comma 2°, del
D.Lgs. 104/2010 ed in giurisprudenza, fra le
tante, Consiglio di Stato, sez. III,
11.03.2011, n. 1570); nel caso di specie
l’azione proposta non appare rivolta a
denunciare la presunta nullità delle DIA in
epigrafe, ma semmai la loro illegittimità,
configurandosi così come azione di
annullamento, secondo l’art. 29 del D.Lgs.
104/2010 (si prescinde, in sede di
qualificazione dell’azione, da ogni
questione sulla impugnabilità diretta della
DIA, che sarà invece affrontata in seguito).
Infatti, i presunti vizi delle DIA, che
emergono dalla lettura del ricorso, sono
senza ombra di dubbio riconducibili a vizi
di legittimità dell’atto amministrativo,
quali la violazione di legge (in specie,
dell’art. 27 della legge regionale 12/2005
in merito alla corretta qualificazione
dell’intervento edilizio, oltre che del
decreto ministeriale 02.04.1968 sulle
distanze minime ed inderogabili tra pareti
finestrate dei fabbricati), oppure l’eccesso
di potere per carenza dei presupposti o
violazione delle norme tecniche di
attuazione.
Al contrario, anche da una attenta lettura
dell’atto introduttivo del giudizio, non
emerge la denuncia di motivi di nullità
dell’atto amministrativo, come previsti
dalla legge (mancanza di elementi
essenziali, difetto assoluto di
attribuzione, violazione o elusione del
giudicato, ai sensi dell’art. 21-septies
della legge 241/1990), visto che il rilascio
di titoli edilizi in violazione dei
presupposti di legge o delle norme sulle
distanze dà luogo tutt’al più ad un’ipotesi
di cattivo esercizio del potere
amministrativo, ma non certo ad un difetto
assoluto di attribuzione del potere
medesimo.
Di conseguenza, l’azione ivi proposta deve
essere correttamente qualificata come azione
di annullamento, avente ad oggetto le due
DIA indicate in epigrafe e soggetta di
conseguenza all’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni di cui al già
citato art. 29 del codice del processo
amministrativo.
Una ulteriore e preliminare riflessione deve
essere dedicata, seppure per sommi capi,
alla questione del regime di impugnazione
giurisdizionale della denuncia di inizio
attività.
Sul punto, è noto il complesso dibattito
giurisprudenziale, che ha visto la
formazione di orientamenti anche
radicalmente differenti fra i giudici
amministrativi e che ha indotto il Consiglio
di Stato, sez. IV, con ordinanza 05.01.2011,
n. 14, a rimettere la questione all’esame
dell’Adunanza Plenaria.
In particolare, per la Sezione IV, si
possono individuare tre tesi sulla natura
giuridica della DIA e conseguentemente sul
suo regime di impugnazione:
a) titolo abilitativo implicito, impugnabile
entro l’ordinario termine di decadenza (cfr.
Consiglio di Stato, n. 72/2010);
b) atto del privato, suscettibile di
autonoma azione di accertamento per la
declaratoria di insussistenza dei
presupposti (cfr. Consiglio di Stato, sez.
VI, n. 717/2009);
c) atto del privato rispetto al quale il
terzo può solo attivare i poteri repressivi
e di controllo dell’Amministrazione ed
impugnare l’eventuale diniego ovvero il
silenzio rifiuto della P.A.
A tale ordinanza di remissione, ha fatto
seguito la sentenza dell’Adunanza Plenaria
29.07.2011, n. 15, la quale ha dapprima
escluso che la DIA (al pari della SCIA,
segnalazione certificata di inizio attività,
introdotta nel nostro ordinamento con legge
n. 122/2010), costituisca un provvedimento
amministrativo a formazione tacita,
configurando semmai un atto privato volto a
comunicare l’intenzione di intraprendere
un’attività.
Quanto alla tutela giurisdizionale,
l’Adunanza Plenaria ha delineato un
complesso meccanismo, che vede la
combinazione di un’azione di annullamento di
un silenzio significativo negativo con
un’azione di condanna pubblicistica (c.d.
azione di adempimento), con un’ampia
possibilità di ricorrere a misure cautelari,
anche ante causam.
Alla decisione del Supremo Consesso
Amministrativo, ha fatto però seguito un
intervento legislativo, che ha –almeno
stando ai primi commenti– messo in
discussione le conclusioni dell’Adunanza
Plenaria: infatti, con decreto legge
138/2011 convertito con legge 148/2011, è
stato aggiunto il comma 6-ter all’art. 19
della legge 241/1990, il quale, dopo aver
premesso che la DIA e la SCIA non
costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili, prevede che gli
interessati possano sollecitare l’esercizio
delle verifiche spettanti
all’Amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l’azione di cui
all’art. 31, commi da 1 a 3, del D.Lgs.
104/2010, vale a dire l’azione contro il
silenzio della P.A.
Ciò premesso, reputa il Collegio che la
citata decisione dell’Adunanza Plenaria, al
pari del resto del successivo intervento
legislativo, non possano trovare diretta ed
immediata applicazione nella presente
controversia, introdotta con ricorso
notificato il 24.12.2010, addirittura prima
della rimessione della questione
all’Adunanza Plenaria; per cui l’azione di
impugnazione diretta delle DIA, proposta col
presente ricorso, non può essere ritenuta di
per sé inammissibile, salva la verifica
della tempestività dell’azione stessa,
verifica da condursi alla luce della
giurisprudenza da tempo formatasi e relativa
alla decorrenza del termine perentorio di
impugnazione di sessanta giorni, con
riguardo specifico ai titoli edilizi
(concessione edilizia, ora permesso di
costruire e dichiarazione o denuncia di
inizio attività).
E’ opinione comune della giurisprudenza che
il termine di decadenza per impugnare il
permesso di costruire –ma tale tesi vale
anche per la DIA, in caso di impugnazione
diretta della medesima– decorra, per il
terzo che si reputa leso dall’intervento
edilizio –perlomeno in casi come quello
attuale, dove è contestata l’inosservanza
delle distanze– dal completamento della
costruzione nel suo assetto planivolumetrico
definitivo, o come si suole dire al “rustico”,
cioè dal momento in cui l’interessato è in
grado di percepire la lesione alla propria
posizione giuridica, visto lo stato di
avanzamento e di realizzazione
dell’edificazione (cfr., fra le tante,
Consiglio di Stato, sez. IV, 05.01.2011, n.
18; sez. VI, 10.12.2010, n. 8705 e TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 10.12.2010, n.
7511; 08.02.2011, n. 386 e 05.07.2011, n.
1762, con la giurisprudenza ivi richiamata;
si ricordi ancora che l’ordinanza sopra
citata del Consiglio di Stato n. 14/2011 di
rimessione all’Adunanza Plenaria prevede,
qualora si ammetta il carattere
provvedimentale della DIA, la necessità
della sua impugnazione nell’ordinario
termine decadenziale, mentre la citata
sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria,
in ordine al termine di impugnazione del
titolo edilizio, afferma anch’essa che il
termine suddetto <<inizia a decorrere
quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica>>).
Di conseguenza, nel caso di specie il
computo del termine decadenziale per
l’impugnativa diretta delle DIA in epigrafe
non può che decorrere dal momento in cui
l’esponente aveva piena conoscenza degli
abusi a suo dire commessi dai
controinteressati nel corso dell’attività
costruttiva (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.11.2011 n. 2640 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di
inizio attività - Impugnazione del terzo -
Necessità di proporre azione ex art 29 cod.
proc. amm. - Sussiste - Decorrenza del
termine decadenziale dalla piena conoscenza
dell'atto lesivo - Sussiste.
Il terzo leso da una d.i.a. deve esperire
un'azione impugnatoria ex art 29 cod. proc.
amm., da proporre nell'ordinario termine
decadenziale, decorrente dal momento della
piena conoscenza dell'atto lesivo, e quindi,
in edilizia, quando la costruzione
realizzata rivela in modo certo ed univoco
le essenziali caratteristiche dell'opera e
l'eventuale non conformità della stessa al
titolo o alla disciplina urbanistica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
19.10.2011 n.
2482 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Ordine
inibitorio - Termine perentorio -
Perfezionamento del processo decisionale
pubblico - Successiva effettiva conoscenza -
Irrilevanza - Legittimità.
Il rispetto del termine perentorio di trenta
giorni per l'adozione del provvedimento
inibitorio dei lavori di una D.I.A. riguarda
il perfezionamento del momento decisionale
pubblico, e, tutt'al più, la sua spedizione,
mentre la notifica, ossia la materiale
conoscenza dell'ordine da parte del privato,
può ragionevolmente avvenire, in
considerazione degli ordinari tempi tecnici,
anche successivamente a tale termine
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
19.10.2011 n.
2478 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Titoli
abilitativi. Il quadro completo dopo la
manovra. Permessi edilizi su cinque livelli
con la nuova Scia. Attività libera e permesso
di costruire.
Il quadro è completo, ma solo a livello
statale. Con la conversione in legge della
manovra di Ferragosto (Dl 138/2011, ora
legge 148/2011) che ha chiarito termini e
modi per contestare al Tar l'illegittimità
delle opere edilizie realizzate attraverso
la Scia (segnalazione certificata di inizio
attività) e mediante la Dia (denuncia di
inizio attività) –nei limitati casi per cui
essa è ancora prevista nell'ordinamento–
tutte le "cinque tessere" del mosaico
statale delle procedure edilizie sono al
proprio posto.
Tuttavia, ai sensi del decreto Sviluppo (Dl
70/2011 convertito in legge 106/2011), manca
ancora il dispiegamento delle leggi
regionali, che possono ulteriormente
semplificare la disciplina procedurale delle
costruzioni. E questo anche in relazione al
meccanismo del silenzio-assenso ora previsto
sulle domande di permesso di costruire
(nuovo articolo 20, comma 8, del Testo unico
sull'edilizia, Dpr 380/2001) e al rilascio
dei titoli in deroga anche rispetto alle
destinazioni d'uso imposte dai piani
regolatori (articolo 5, comma 13, Dl 70).
Sempre le Regioni, d'altra parte, sono
chiamate anche a dare attuazione al
cosiddetto nuovo piano casa (o piano città)
finalizzato ad agevolare la riqualificazione
di aree urbane degradate attraverso la
concessione dei premi volumetrici. Una
disposizione, quest'ultima, che non incide
direttamente sul fronte dei titoli edilizi,
ma che potrebbe ulteriormente modificare la
situazione dei permessi edilizi, così come
si è delineata nell'ultimo anno e mezzo.
La parola alla Consulta.
Il primo tema che si è posto agli operatori
ha addirittura investito l'applicabilità al
l'edilizia della Scia. Le incertezze anche
lessicali del primo decreto (Dl 78/2010
convertito in legge 122/2010) sono state
definitivamente spazzate via dalla legge di
conversione del decreto Sviluppo, che ha
espressamente previsto che le ultime
disposizioni (cioè la nuova formulazione
dell'articolo 20 della legge 241/1990) «si
interpretano nel senso che le stesse si
applicano alle denunce di inizio attività in
materia edilizia disciplinate dal decreto
del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380».
Resta comunque il dubbio sull'esito dei
ricorsi proposti da diverse Regioni
(Toscana, Emilia Romagna, Puglia) alla Corte
costituzionale, che contestano soprattutto
l'intrusione statale nella disciplina
edilizia che, ove di dettaglio, è di
competenza regionale.
La scala degli interventi.
Il sistema vigente è sicuramente articolato,
si va dagli interventi liberi a quelli
soggetti a comunicazione e a comunicazione
asseverata, dalle opere sottoposte a Scia, a
Dia (casi residuali) e a permesso di
costruire (ora ottenibile anche per silentium e in deroga anche alle
destinazioni d'uso e non soltanto a indici e
parametri edilizi stereometrici).
Il grafico qui a fianco ricostruisce la
disciplina statale, che resta valida in
mancanza di specifiche disposizioni
regionali e suddivide gli interventi in
cinque tipologie:
- interventi liberi;
- interventi soggetti a comunicazione
(semplice e asseverata a seconda dei casi);
- interventi soggetti a Scia;
- interventi soggetti a Dia;
- interventi soggetti a permesso di
costruire.
L'iter della Scia.
A differenza della Dia, per la quale i
lavori possono partire solo dopo il decorso
di 30 giorni dalla presentazione della
denuncia, nella Scia l'attività edilizia può
essere avviata contestualmente al l'inoltro
della segnalazione. Ecco come:
●
la Scia è corredata dalle dichiarazioni
sostitutive di certificazioni, nonché dalle
attestazioni e asseverazioni di tecnici
abilitati, oppure dalle dichiarazioni di
conformità relative alla sussistenza dei
requisiti e dei presupposti sulla conformità
dell'intervento alle disposizioni di legge
regolamentari, corredate dagli elaborati
tecnici necessari per consentire le
verifiche di competenza
dell'amministrazione;
●
l'attività oggetto può essere iniziata dalla
data della presentazione della segnalazione;
●
se l'immobile è vincolato, i lavori potranno
cominciare dopo l'ottenimento
dell'autorizzazione dell'amministrazione
competente alla tutela del vincolo
(Soprintendenza, Regione, Provincia, Comune,
Parco);
●
in caso di accertata carenza della
conformità dell'intervento alla legge o ai
regolamenti, il Comune –nel termine di 60
giorni dal ricevimento della segnalazione–
adotta motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione del l'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa,
salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività e i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a 30 giorni;
● dopo 60 giorni il Comune può intervenire
solo in presenza del pericolo di un danno
per il patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente.
Alle violazioni di questa procedura si
accompagnano poi sanzioni che variano dal
livello amministrativo fino alle conseguenze
penali per chi effettua false attestazioni.
---------------
Non
impugnabile il mancato diniego del Comune.
Le ultime manovre finanziarie cambiano anche
il sistema delle impugnazioni, stabilendo
che la Dia e la Scia non possono essere
direttamente impugnate al Tar. Con la
conversione in legge 111/2011 del Dl per la
stabilizzazione finanziaria (98/2011) è
legge la disposizione per cui Dia e Scia
«non costituiscono provvedimenti taciti
direttamente impugnabili. Gli interessati
possono sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire esclusivamente
l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2
e 3 del decreto legislativo 02.07.2010,
n. 104» (articolo 6, comma 1, lettera c, del
Dl 131/2011).
In concreto, vuol dire che i vicini lesi
dall'attività edilizia o le associazioni
ambientaliste possono chiedere al Comune di
impedire lo svolgimento dell'attività e poi
–in caso di silenzio dell'amministrazione e
comunque non oltre un anno dalla scadenza
del termine di conclusione del procedimento– ricorrere al Tar contro il silenzio del
Comune sulla loro richiesta.
Parrebbe però un'arma spuntata, perché al
giudice la norma assegna in generale solo il
potere di ordinare al Comune di provvedere
sulla verifica richiesta dal privato e
rimasta inevasa. Il Tar, infatti, ha la
possibilità di riconoscere direttamente
l'illegittimità dell'attività disponendone
la cessazione solo quando si tratti di
attività vincolata o quando risulta che non
ci sono ulteriori margini di esercizio della
discrezionalità amministrativa e non siano
necessari adempimenti istruttori che debbano
essere compiuti dal Comune. Condizioni che
non sempre ricorrono in edilizia, specie
rispetto ai progetti più complessi.
La norma è stata introdotta con la rubrica
«Ulteriori semplificazioni». Non pare però
che l'obbiettivo della semplificazione sia
stato centrato, dato che la giurisprudenza
amministrativa era recentemente approdata a
una soluzione molto più diretta sul tema del
l'impugnabilità di Dia e Scia. L'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 15 depositata lo scorso 29
luglio aveva infatti statuito –attraverso
una costruzione forse coraggiosa– che
l'inerzia del Comune sulla Dia/Scia (inerzia
che consente il legittimo svolgimento
dell'attività privata) equivalesse a un
«atto tacito di diniego del provvedimento
inibitorio» direttamente impugnabile al Tar,
a cui era possibile richiedere non solo
l'annullamento di questa "finzione di atto",
ma anche l'ordine all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto del ricorso.
L'Adunanza plenaria aveva addirittura
stabilito che in caso di Scia (per cui
l'attività edilizia può iniziare
contestualmente al deposito della
segnalazione e per cui il Comune può solo
emettere sanzioni, non necessariamente
inibitorie) il Tar potesse disporre subito
la sospensione dei lavori appena avviati,
nonostante in quel momento non esistesse
alcun atto nemmeno sotto la forma del
«tacito diniego di provvedimento
inibitorio». Con la nuova legge,
l'articolata ricostruzione del giudice
amministrativo viene spazzata via e non
sembra che il legislatore abbia fatto meglio
del Consiglio di Stato in termini di
effettività della tutela dei terzi
(articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011
- tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di
inizio attività - In caso di assenza delle
condizioni richieste ex lege - Ordine di non
effettuare il previsto intervento -
Necessità - Mera sospensione dell'attività -
Inconfigurabilità.
Ai sensi dell'art. 23, D.P.R. n. 380/2001,
laddove la P.A. riscontri l'assenza di una o
più delle condizioni stabilite in materia di
D.I.A., deve notificare all'interessato
l'ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento ed il procedimento deve
concludersi entro il termine perentorio
previsto dalla legge, mentre non è
consentito alla P.A. limitarsi a sospendere
l'attività edilizia
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 08.09.2011 n.
2192 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA
BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai
contenziosi. In base al decreto legge la
segnalazione certificata di inizio attività
non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia
sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso
e non sono, quindi, direttamente
impugnabili. La manovra-bis interviene sulla
legge generale del procedimento
amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce
una volta per tutte le modalità per gli
interessati di reagire contro le iniziative
assunte da chi vuole avviare un'attività,
anche edilizia, sfruttando le misure di
sburocratizzazione.
Il decreto legge
138/2011, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una
strada già individuata dai Tar e dal
Consiglio di stato (anche se non
univocamente) e cioè sbarra la possibilità
di ricorrere direttamente al giudice
amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare
l'intervento dell'amministrazione pubblica
competente e, solo in caso di inerzia, può
successivamente rivolgersi al Tribunale
amministrativo regionale per ottenere
l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi
deve iniziare l'attività, in quanto
impedisce al controinteressato di rivolgersi
subito al giudice amministrativo e sposta al
futuro ogni possibile iniziativa
giudiziaria, subordinandola all'inerzia
della pubblica amministrazione sollecitata a
intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera
edilizia subito con l'invio della Scia; il
controinteressato (per esempio, il vicino di
casa) non può impugnare la Scia, ma deve
inviare al comune una denuncia-diffida,
chiedendo all'amministrazione di verificare
la legittimità dell'attività. Se il comune
rimane inerte, allora, il cittadino potrà
rivolgersi al Tribunale amministrativo
regionale, chiedendo al Tar l'accertamento
dell'obbligo di provvedere in capo
all'amministrazione e quindi la condanna
della stessa a intervenire. Fino a che non
interviene la sentenza del giudice chi ha
presentato la Scia non ha alcun obbligo
giuridico di bloccare o interrompere
l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge
il comma 6-ter all'articolo 19 della legge
241/1990 (dedicato alla segnalazione
certificata di inizio attività). La nuova
disposizione precisa subito che la
segnalazione certificata di inizio attività,
la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività
liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente
impugnabili. Ciò segna la differenza con il
silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo
di fronte a un atto della p.a., sia pure
tacito. In quanto provvedimento
dell'amministrazione è autonomamente
impugnabile. Dia e Scia non sono
provvedimenti taciti e quindi non sono
impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento
sia alla Scia sia alle Dia (come
dichiarazione e come denuncia) comprendendo
tutte le ipotesi in cui la legge ha
introdotto procedimenti liberalizzati di
questo tipo, anche se con nomi diversi:
averli enumerati tutti serve a non fare
confusione (come è invece avvenuto per la
scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore
di Scia e Dia non è, però, sfornito di
tutela: può sollecitare l'esercizio delle
verifiche spettanti all'amministrazione e,
in caso di inerzia, esperire l'azione
avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2
e 3 del Codice del processo amministrativo,
decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due
orientamenti. Il primo ha sostenuto che il
comportamento inerte dell'amministrazione
sulla denuncia di inizio attività ha valenza
di silenzio-assenso e da ciò faceva
conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia
è un mero atto di iniziativa privata non
impugnabile davanti al giudice
amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa
seconda impostazione, con l'obiettivo di
impedire intralci all'attività privata,
stavolta non da lungaggini della burocrazia,
ma da iniziative di privati
controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo
differendo nel tempo, la possibilità per il
controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta
sollecitare l'amministrazione ad adottare
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
degli eventuali effetti dannosi di essa e,
comunque, a esercitare il potere di assumere
determinazioni in via di autotutela,
mediante revoca o annullamento ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies
della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non
fa nulla, si può chiedere al Tar
l'accertamento dell'obbligo
dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare
all'amministrazione di provvedere, ma può
anche pronunciarsi sulla fondatezza della
pretesa dedotta in giudizio: questo solo
quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti
dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può
aggiungersi la richiesta di risarcimento dei
danni subiti. Anche se può risultare
inefficace una tutela meramente risarcitoria
e a posteriori
(articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 -
tratto da www.ecostampa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Attività edilizia libera. O quasi.
Alcuni interventi restano soggetti a
preventiva comunicazione. Uno studio del
Consiglio nazionale del notariato sgombera
il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure.
Con le progressive modifiche che hanno
interessato in questi anni il Testo unico di
cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle
costruzioni è diventata frammentaria e di
difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese
di giugno
(circolare
08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale
del notariato ha quindi inteso riepilogare
in modo sintetico le regole che presiedono
allo svolgimento dell'attività edilizia,
soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia.
Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr
n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo
testo originario distingueva tra attività
edilizia libera, per la quale non era
richiesto alcun titolo abilitativo, e
attività edilizia subordinata,
rispettivamente, al permesso di costruire e
alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia
(fattispecie residuale prevista per tutti
gli interventi non rientranti tra le
attività di edilizia libera né tra quelli
per cui era obbligatorio il permesso di
costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di
numerose modifiche che hanno portato, da un
lato, all'ampliamento delle fattispecie di
attività edilizia libera, dall'altro
all'introduzione della segnalazione
certificata di inizio attività, meglio nota
come Scia, all'utilizzo dell'istituto del
c.d. silenzio assenso per il rilascio del
permesso di costruire (a eccezione dei casi
in cui sussistano vincoli ambientali,
paesaggistici e culturali) e alla previsione
di una sorta di sanatoria edilizia per le
difformità contenute entro il limite del 2%
delle misure progettuali. Attualmente la
disciplina dell'attività edilizia risulta
quindi abbastanza variegata (si veda la
tabella in pagina) e pone i privati e gli
operatori del settore dinanzi a problemi
interpretativi spesso di non facile
soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti
più interessanti della nuova disciplina
dell'attività edilizia riguarda sicuramente
la progressiva liberalizzazione del settore,
che permette ai privati di eseguire una
serie di opere senza avere rapporti con la
pubblica amministrazione.
All'interno di
questa categoria occorre però distinguere
tra attività totalmente libere e attività
soggette a preventiva comunicazione di
inizio lavori. In tutti e due i casi devono
comunque essere rispettate le eventuali
diverse prescrizioni degli strumenti
urbanistici comunali, le norme antisismiche,
di sicurezza, antincendio,
igienico-sanitarie, nonché quelle relative
all'efficienza energetica e alla tutela dei
beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera
riguarda principalmente gli interventi di
manutenzione ordinaria e quelli volti
all'eliminazione delle barriere
architettoniche che non comportino la
realizzazione di rampe o di ascensori
esterni, ovvero di manufatti che alterino la
sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece,
previamente operare la comunicazione al
comune interessato degli interventi di
manutenzione straordinaria (ivi compresa
l'apertura di porte interne o lo spostamento
di pareti interne, sempre che non riguardino
le parti strutturali dell'edificio, non
comportino aumento del numero delle unità
immobiliari e non implichino incremento dei
parametri urbanistici), delle opere dirette
a soddisfare obiettive esigenze contingenti
e temporanee e a essere immediatamente
rimosse al cessare della necessità e,
comunque, entro un termine non superiore a
90 giorni, delle opere di pavimentazione e
di finitura di spazi esterni,
dell'installazione di pannelli solari,
fotovoltaici e termici, senza serbatoio di
accumulo esterno, nonché delle aree ludiche
senza fini di lucro e degli elementi di
arredo delle aree pertinenziali degli
edifici.
In questo secondo caso, la mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero
la mancata trasmissione della relazione
tecnica (nel caso di interventi di
manutenzione straordinaria) comportano per
il privato l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due
terzi se la comunicazione è effettuata
spontaneamente quando l'intervento è ancora
in corso di esecuzione.
---------------
Scia
e superDia si dividono così il campo.
Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma
interpretativa opportunamente introdotta
nell'ordinamento dal legislatore con il dl
n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto
in via residuale per tutti gli interventi
che non rientrano nel campo applicativo del
permesso di costruire né in quello
dell'attività edilizia libera, in entrambe
le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono
indicare i seguenti interventi: restauro e
risanamento conservativo, mutamenti di
destinazione d'uso funzionale, interventi di
manutenzione straordinaria che riguardino
parti strutturali dell'edificio, ampliamento
di fabbricati all'interno della sagoma
esistente che non determini volumi
funzionalmente autonomi e semplici modifiche
prospettiche (per esempio l'apertura o la
chiusura di una o più finestre o di una o
più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della
superDia tutti quegli interventi per i quali
è ammesso il ricorso alla Dia medesima in
alternativa ovvero in sostituzione al
permesso di costruire, dagli interventi di
ristrutturazione di maggiore impatto a
quelli di nuova costruzione o di
ristrutturazione urbanistica, fino agli
interventi di nuova costruzione, qualora gli
stessi avvengano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali recanti
precise disposizioni plano-volumetriche. A
queste opere devono poi aggiungersi tutte
quelle ipotesi per le quali le leggi
regionali prevedano la possibilità di
ricorrere a questo strumento in alternativa
o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo
sportello unico dell'ente locale 30 giorni
prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il
responsabile comunale, ove entro il suddetto
termine riscontri l'assenza di una o più
delle condizioni stabilite dal Tu, deve
notificare all'interessato l'ordine motivato
di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di
ripresentare l'istanza con le modifiche o le
integrazioni necessarie. L'attività oggetto
della Scia, invece, può essere iniziata
dalla data stessa di presentazione della
domanda allo sportello unico, salvo che il
responsabile comunale, in caso di accertata
carenza dei requisiti e dei presupposti di
legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione
locale è consentito intervenire solo in
presenza del pericolo di un danno per il
patrimonio artistico e culturale, per
l'ambiente, per la salute, per la sicurezza
pubblica o la difesa nazionale e previo
motivato accertamento dell'impossibilità di
tutelare comunque tali interessi mediante
conformazione dell'attività dei privati alla
normativa vigente
(articolo ItaliaOggi Sette
del 15.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, la Dia non dà certezze.
Il Tar può bloccare i lavori se il comune
non controlla. Per l'adunanza plenaria del
Consiglio di stato la denuncia di inizio
attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita
dalla Scia) non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma è un
atto privato volto a comunicare l'intenzione
di intraprendere un'attività direttamente
ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli
accertamenti necessari per il controllo dei
presupposti, il giudice può imporre
l'adozione dei provvedimenti inibitori
all'esercizio dell'attività intrapresa.
È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria
del Consiglio di stato, con la
sentenza
29.07.2011 n.
15.
L'intervento del Consesso era stato
richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi
dell'art. 99 del codice del processo
amministrativo, anche a fronte di precedenti
contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura
giuridica della dichiarazione di inizio
attività ed alle conseguenti tecniche di
tutela sperimentabili dal terzo leso dallo
svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata
sentenza (disponibile nel sito), non si è
sottratta al compito affermando che, con la
Dia, il denunciante è «titolare di una
posizione soggettiva di vantaggio
immediatamente riconosciuta
dall'ordinamento, che lo abilita a
realizzare direttamente il proprio
interesse, previa instaurazione di una
relazione con la pubblica amministrazione,
ossia un contatto amministrativo, mediante
l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo
pregiudicato dallo svolgimento dell'attività
«è titolare di una posizione qualificabile
come interesse pretensivo all'esercizio del
potere di verifica» da parte della p.a..
Ma
stando così le cose, afferma la sentenza, il
sistema complessivo della tutela previsto
dall'ordinamento deve consentire comunque al
terzo, anche se il codice espressamente non
lo prevede, di ottenere la cessazione
dell'attività non consentita dalla legge,
attraverso l'azione di accertamento tesa a
ottenere una pronuncia che verifichi
l'insussistenza dei presupposti di legge per
l'esercizio dell'attività oggetto della
denuncia.
In altre parole, rileva
l'Adunanza, «anche per gli interessi
legittimi, come pacificamente ritenuto nel
processo civile per i diritti soggettivi, la
garanzia costituzionale impone di
riconoscere l'esperibilità dell'azione di
accertamento autonomo, con particolare
riguardo a tutti i casi in cui, mancando il
provvedimento da impugnare, una simile
azione risulti indispensabile per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la
mancata previsione nel testo finale del
codice, di una norma esplicita sull'azione
generale di accertamento, non è sintomatica
della volontà legislativa di sancire una
preclusione di dubbia costituzionalità» e,
quindi, l'azione di accertamento atipica,
nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c.,
risulta comunque praticabile; in forza delle
coordinate costituzionali e comunitarie
richiamate dallo stesso art. 1 del codice
oltre che dai criteri di delega di cui
all'art. 44 della legge n. 69/2009
(articolo ItaliaOggi
del 03.08.08.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: Aumentano
le tutele dei terzi sull'applicazione della
«Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di
attività (la Dia) è un animale giuridico
strano che crea difficoltà applicative. Ora
l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato
(sentenza
29.07.2011 n. 15)
interviene a porre alcuni paletti, forse
opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa
presenta al Comune di Venezia una Dia
edilizia per rendere carrabile il transito
sotto un porticato gravato da servitù di
passaggio pedonale pubblico. Il
comproprietario del porticato impugna la Dia
in quanto produttiva di un aggravio
illegittimo della servitù. Il Tar Veneto,
nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia,
qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato
conferma la sentenza con diversa
motivazione. I giudici di Palazzo Spada,
infatti, negano anzitutto che la Dia, dal
2010 sostituita dalla segnalazione
certificata d'inizio di attività (Scia),
possa essere assimilata a un provvedimento
amministrativo impugnabile. Essa è solo una
dichiarazione privata presentata a una
pubblica amministrazione. La Scia attua una
liberalizzazione delle attività private, in
precedenza assoggettate a un regime di
autorizzazione preventiva. Essa è diversa
anche dal silenzio-assenso, che serve solo a
equiparare l'inerzia protratta oltre un
certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il
Consiglio di Stato si sofferma sul regime
della Scia e ricorda che l'amministrazione
può vietare l'attività entro 30 giorni (con
la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa
viola la legge. Quest'ultimo è un termine
perentorio: successivamente
l'amministrazione può intervenire solo con i
poteri di autotutela (annullamento
d'ufficio) che hanno però natura
discrezionale e devono rispettare gli
affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha
un'implicazione pratica processuale per il
terzo che vuole contestare la Scia.
La
sentenza equipara l'inerzia
dell'amministrazione protratta oltre il
termine di 30 giorni a un «atto tacito di
diniego del provvedimento inibitorio».
Pertanto, in quanto atto amministrativo, il
terzo può impugnarlo davanti al Tar nel
termine ordinario di 60 giorni. Se il
ricorso viene accolto, il giudice può, non
solo annullare questa finzione di atto, ma
anche ordinare all'amministrazione di
inibire l'attività oggetto della Scia.
Vengono così ribaltati alcuni precedenti che
avevano consentito al terzo di esperire
un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il
terzo possa promuovere un giudizio prima dei
30 giorni, in modo da impedire l'avvio
dell'attività oggetto della Scia o di farla
cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta
interpretativa, superando alcuni ostacoli
contenuti nel Codice del processo
amministrativo (articolo 34, comma 2), la
sentenza ammette un'azione di accertamento
atipica che consente solo la richiesta di
misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se
l'amministrazione emana il provvedimento
inibitorio, cessa la materia del contendere
e il processo si estingue. Se invece
l'amministrazione resta inerte, l'azione di
accertamento si converte nell'azione di
annullamento dell'atto tacito di diniego di
esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e
completa: altro miracolo del nuovo Codice,
unito alla fantasia creativa del giudice
amministrativo
(articolo Il Sole 24
Ore
del 30.07.2011). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. -
Impugnazione diretta di terzo -
Inammissibilità - Mezzi di tutela -
Incertezza giurisprudenziale - Non sussiste.
2. D.I.A. -
Legittimazione alla presentazione titolo
abilitativo - Amministratore di condominio -
Verifica della P.A. - Titolo sostanziale -
Legittimità.
3. D.I.A. -
Rispetto disciplina sulle barriere
architettoniche - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001
- Divieto di aggravio del procedimento -
Legittimità.
1. Deve escludersi la declaratoria di
inammissibilità nei casi in cui il terzo ha
proposto impugnazione diretta contro la
D.I.A., o meglio contro il titolo che si
sarebbe formato a fronte della presentazione
della medesima, in quanto la complessa
questione in merito alla natura giuridica
della D.I.A. ed ai conseguenti mezzi di
tutela per il terzo che si reputa leso dalla
medesima, oltre che l'incertezza della
giurisprudenza, testimoniata dalla
remissione della questione all'Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, non può
riverberarsi negativamente nei confronti dei
cittadini che si reputino lesi dall'attività
edilizia intrapresa in seguito a D.I.A. e
questo soprattutto laddove, come nella
Regione Lombardia, la D.I.A. è quasi
totalmente alternativa al permesso di
costruire.
2. L'art. 35, L.R. n. 12/2005, secondo cui
il titolo abilitativo deve essere rilasciato
"a chi abbia titolo per richiederlo"
(dettata per il permesso di costruire ma
valevole anche per chi si avvale della
denuncia di inizio attività) deve essere
interpretato nel senso che l'Amministrazione
comunale è certamente chiamata allo
svolgimento di un'attività istruttoria per
accertare la sussistenza del titolo
legittimante, anche se all'Ente pubblico
spetta soltanto la verifica, in capo al
richiedente, di un titolo sostanziale idoneo
a costituire la posizione legittimante,
senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine
che si estenda fino alla ricerca di
eventuali fattori limitativi, preclusivi o
estintivi del titolo di disponibilità
dell'immobile, allegato da chi presenta
istanza edilizia.
3.
Per quanto l'art. 23, c. 6, D.P.R. n.
380/2001, consenta all'Amministrazione, in
caso di dubbio sull'esistenza dei
presupposti per la denuncia di inizio
attività, di chiedere chiarimenti o
delucidazioni, allo scopo di completare la
propria attività con un provvedimento
espresso, inibitorio o di assenso
all'attività del privato, tale norma deve
essere interpretata alla luce dei generali
principi sull'attività amministrativa di cui
alla L. n. 241/1990, fra cui quello di
divieto di aggravio del procedimento e di
necessaria collaborazione fra Pubblica
Amministrazione e soggetto privato,
risultando conseguentemente la richiesta di
chiarimenti in merito al rispetto della
disciplina sulle barriere architettoniche (e
la relativa risposta), non un atto di
accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per la D.I.A., ma un atto
dell'istruttoria che rende il
perfezionamento della D.I.A. legittimo
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.07.2011 n.
1989 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. -
Ordinanza di Sospensione dei lavori - Art.
27, D.P.R. n. 380/2001 - Accertamento
sommario - Inosservanza di norme e
prescrizioni - Legittimità.
2. D.I.A. -
Ordinanza di Sospensione dei lavori - Parere
paesistico - Discrezionalità tecnica -
Impatto paesistico - Valutazione di merito
non sovrapponibile - Legittimità.
3. D.I.A. in
variante - Annullamento in autotutela e
sospensione dei lavori - Art. 7, L. n.
241/1990 - Comunicazione di avvio del
procedimento - Provvedimento conclusivo -
Atti endoprocedimentali - Legittimità.
1. L'accertamento, pur sommario, di
un'inosservanza di norme e prescrizioni è
l'unica condizione prevista dall'art. 27,
D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio del
potere cautelare di sospensione di una
D.I.A. e non è, dunque richiesto
all'Amministrazione di avere già accertato,
in questa fase, il ricorrere dei presupposti
per l'esercizio del potere di annullamento
in autotutela del titolo che abilita
l'attività edilizia.
2. La valutazione circa l'impatto paesistico
di un progetto è espressione di
discrezionalità tecnica e, come tale, può
essere sindacata in sede giurisdizionale
solo in presenza di profili di incongruità
ed illogicità di evidenza tali da fare
emergere l'inattendibilità della valutazione
tecnico-discrezionale compiuta; non
configura tali profili la prospettazione
dell'intervento come un miglioramento
qualitativo e di impatto visivo, che
rappresenta un giudizio di merito della
ricorrente, non sovrapponibile alla
valutazione tecnica espressa dalla
commissione per il paesaggio, sfornito di
elementi probatori.
3.
L'art. 7, L. n. 241/1990, prevede che
l'Amministrazione comunichi l'avvio del
procedimento ai soggetti nei confronti dei
quali il provvedimento finale è destinato a
produrre effetti diretti ed a quelli che per
legge debbono intervenirvi, ma non che
comunichi, altresì, prima di addivenire
all'adozione del provvedimento conclusivo,
tutti gli atti procedimentali intervenuti
nel corso del procedimento (adempimento
necessario laddove trovi applicazione l'art.
10-bis, L. n. 241/1990).
Di conseguenza una volta informati i
soggetti interessati dell'avvio del
procedimento dell'annullamento in autotutela
della D.I.A. è onere di questi attivarsi al
fine di conoscerne i relativi sviluppi
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 25.07.2011 n.
1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti di produzione da fonti
rinnovabili - Sospensione della pratica DIA
in attesa dell’adozione di indirizzi
interpretativi - Illegittimità - Fondamento.
Secondo lo schema delineato dall’art. 23 del
T.U. edilizia non è consentita l’inibitoria
dell’intervento che si intende realizzare se
non per la riscontrata assenza di una o più
delle condizioni stabilite dalla normativa
vigente al momento della scadenza dei
termini previsti per la formazione del
titolo edilizio, senza poter mai invocare al
medesimo fine atti regolamentari che allo
stato risultano solo in corso di
predisposizione.
Un simile potere soprassessorio (sospensione
della pratica DIA in attesa della adozione
di indirizzi interpretativi ed operativi),
oltre a porsi in contrasto con quanto
previsto dall’art. 21-quater della l. n. 241
del 1990, non appare neppure contemplato
dalla normativa in materia di impianti di
produzione di energia da fonti rinnovabili
(d.lgs. n. 387 del 2003).
Peraltro, in applicazione del principio di
legalità dell’azione amministrativa ciascuna
amministrazione può esercitare soltanto i
poteri espressamente previsti dalla legge e
secondo le modalità da questa previste, e
ciò tanto più ove si tratti di incidere su
attività economiche soggette a (parziale)
liberalizzazione (cfr. art. 1 della legge n.
239 del 2004) e ritenute fondamentali per il
raggiungimento di obiettivi di politica
ambientale fissati a livello comunitario
(direttiva 2001/77/CE) e internazionale
(Protocollo di Kyoto).
In questa prospettiva, il provvedimento
inibitorio viola i principi fondamentali di
semplificazione stabiliti dal d.lgs. n. 387
del 2003, che prevede termini perentori per
la conclusione dei relativi procedimenti
amministrativi, sì da non tollerare una loro
sospensione ad tempus (cfr. Corte
cost., sent. n. 364 del 2006) o, a maggior
ragione, sine die (TAR Puglia-Lecce,
Sez. I,
sentenza 18.07.2011 n. 1373 - link a
www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. edilizia, se la relazione
e' falsa scatta la responsabilità penale. La
dichiarazione ha natura certificativa.
La relazione di
accompagnamento alla D.I.A. edilizia (che
costituisce parte integrante ed essenziale
della dichiarazione stessa di inizio
dell'attività) ha natura di "certificato"
per quanto riguarda la descrizione dello
stato attuale dei luoghi, la ricognizione
degli eventuali vincoli esistenti sull'area
o sull'immobile interessati dall'intervento
e la rappresentazione delle opere che si
intende realizzare e l'attestazione della
conformità delle stesse agli strumenti
urbanistici ed al regolamento edilizio.
Interessante decisione quella di seguito
commentata, affrontando la Corte di
Cassazione un tema interessante costituito
dalla natura giuridica della relazione
tecnica di accompagnamento della D.I.A.
edilizia.
La Corte, prendendo posizione rispetto ad un
contrasto giurisprudenziale che da qualche
tempo si affaccia nelle nostre aule
giudiziarie, opta motivatamente per la
natura di "certificato" di tale
documento, con riferimento in particolare
alla parte progettuale della relazione di
accompagnamento ed alla dichiarazione di
conformità alla pianificazione comunale
delle opere da realizzarsi, giungendo quindi
a ritenere configurabile l'illecito penale
previsto dall'art. 481 c.p. a carico del
professionista che rediga detta relazione
inserendovi dati ideologicamente falsi.
Il fatto.
La vicenda processuale oggetto di esame da
parte dei giudici di Piazza Cavour trae
origine da una sentenza di condanna,
confermata in grado d'Appello, emessa nei
confronti di un architetto in qualità di
direttore dei lavori, in relazione ad un
intervento edilizio di totale demolizione di
un manufatto preesistente ad unica
elevazione e realizzazione di un nuovo
fabbricato a tre piani completamente diverso
per sagoma, tipologia, forma, struttura,
superficie e volumetria complessive.
Questi, secondo l'accusa, aveva asseverato
falsamente, in una perizia tecnica allegata
ad una D.I.A., che i lavori da eseguirsi
avrebbero riguardato il risanamento
conservativo di un fabbricato esistente e
che l'intervento sarebbe stato eseguito con
la tecnica del "cuci-scuci" senza
porsi in contrasto con la normativa
urbanistica, il regolamento edilizio e lo
strumento urbanistico.
Il professionista, inoltre, in altra perizia
giurata conseguente a sospensione dei lavori
disposti con ordinanza comunale, aveva
attestato falsamente la regolarità
dell'intervento eseguito.
Il ricorso.
Contro la sentenza di condanna proponeva
ricorso per cassazione la difesa
dell'imputato, deducendo, per quanto qui di
interesse, l'inconfigurabilità del reato di
cui all'art. 481 c.p., in quanto la
relazione tecnica asseverata da allegarsi
alla D.I.A. non avrebbe natura di
"certificato", "riflettendo essa, per la
parte progettuale, non una realtà oggettiva
ma una semplice intenzione".
In relazione, poi, alla perizia giurata, la
difesa sosteneva che il professionista non
avrebbe attestato la regolarità
dell'intervento, ma si sarebbe limitato ad
affermare che l'originaria struttura muraria
sarebbe stata ripristinata e le dimensioni
in pianta dell'edificio e la sua sagoma
sarebbero rimaste invariate, manifestando
ancora una volta "una semplice intenzione
o, comunque, la previsione di un fatto
futuro". Quanto, infine, alle opere
effettivamente realizzate, non vi sarebbe
stata una totale "demolizione e
ricostruzione della struttura preesistente",
avendo tale attività riguardato, invece,
"una piccola parte del fabbricato".
La decisione della
Cassazione.
La terza sezione penale della Corte Suprema,
investita del ricorso, ha rigettato il
ricorso confermando la responsabilità penale
del professionista. Sul punto, come
anticipato, si registra un contrasto
giurisprudenziale che la Corte supera
agevolmente con un'analisi cui non può che
convintamente aderirsi.
Come di consueto è utile prendere le mosse
dall'inquadramento normativo della
questione. L'art. 481 c.p. punisce la
condotta di colui il quale ponga in essere
una falsità ideologica in certificati
commessa nell'esercizio di una professione
forense, sanitaria o di altro servizio di
pubblica necessità. In relazione a tale
previsione sanzionatoria, l'art. 29, comma
3, del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. Testo Unico
dell'Edilizia) prevede che «Per le opere
realizzate dietro presentazione di denuncia
di inizio attività, il progettista assume la
qualità di persona esercente un servizio di
pubblica necessità ai sensi degli articoli
359 e 481 del codice penale. In caso di
dichiarazioni non veritiere nella relazione
di cui all'articolo 23, comma 1,
l'amministrazione ne dà comunicazione al
competente ordine professionale per
l'irrogazione delle sanzioni disciplinari».
La giurisprudenza di legittimità afferma,
senza contrasti, che il progettista o,
comunque, il tecnico abilitato che
predispone la relazione di accompagnamento,
all'interno del procedimento che la legge
prescrive per la presentazione della D.I.A.
in materia edilizia, assume la qualifica di
persona esercente un servizio di pubblica
necessità ex art. 359 c.p.
L'art. 481 c.p. prevede, però, che la falsa
attestazione dei fatti dei quali l'atto sia
destinato a provare la verità sia contenuta
all'interno di un "certificato" e da
ciò discende la necessità di individuare se
la relazione di accompagnamento alla D.I.A.
edilizia abbia o meno natura di "certificato".
Sul punto la giurisprudenza della Cassazione
ha affermato, con consolidato orientamento,
che costituisce "certificazione" la
descrizione dello stato dei luoghi
antecedente alle opere da realizzare (v., da
ultimo: Cass. pen., Sez. 3, n. 27699 del
16.07.2010, imp. C. e altro, in Ced. Cass.
247927).
Tesi non convergenti sono state espresse,
invece, quanto alla parte progettuale della
relazione allegata alla DIA edilizia. In
relazione a tale parte del documento si e'
sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe
non una realtà oggettiva ma una semplice
intenzione dell'interessato di realizzare le
opere in essa descritte ed ancora
inesistenti e, per quanto riguarda
l'eventuale attestazione dell'assenza di
vincoli, solamente un giudizio espresso dal
dichiarante, come tale non necessariamente
fondato su dati di fatto certi e sicuri vedi
(v., sul punto, tra le più recenti: Cass.
pen., Sez. 5, n. 7408 del 24.02.2010, imp.
F., in Ced. Cass. 246094).
A divergenti conclusioni è pervenuta,
invece, la terza Sezione della Corte di
Cassazione (Sez. 3, n. 1818 del 19/01/2009,
imp. B., in Ced Cass. 242478) ritenendosi
invece che, dalla lettura coordinata e
sistematica della normativa di riferimento (d.P.R.
n. 380/2001, art. 23, commi 1 e 6, e art.
29, comma 3), emergerebbe un "sostanziale
affidamento" riposto dall'ordinamento sulla
relazione tecnica che accompagna il progetto
e sulla sua veridicità, atteso che "quella
relazione si sostituisce, in via ordinaria,
ai controlli dell'ente territoriale ed offre
le garanzie di legalità e correttezza
dell'intervento". In tale prospettiva,
la relazione del tecnico abilitato
costituisce un atto non solo idoneo ad
integrare la dichiarazione di inizio
dell'attività, ma anche dotato di piena
autonomia e di valore pubblicistico,
assumendo valore sostitutivo del titolo
edilizio abilitante e quindi certificativo.
Quanto alla dichiarazione di conformità
delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti, a fronte dell'orientamento secondo
il quale si tratterebbe soltanto di un mero
giudizio del dichiarante, la stessa è stata
ricondotta, invece, da certa giurisprudenza,
all'attività certificativa (v., la già cit.,
sez. 3, n. 27699/2010).
A fronte degli orientamenti
giurisprudenziali dianzi delineati, con
riferimento alla parte progettuale della
relazione di accompagnamento alla DIA
edilizia ed alla dichiarazione di conformità
delle opere realizzande alla pianificazione
comunale, ritiene la sentenza qui commentata
di aderire alle argomentazioni ed alle
conclusioni cui è pervenuto il più rigoroso
orientamento sostenuto dalla già citata Sez.
3, n. 1818/2009.
In tale sentenza è stato, infatti,
condivisibilmente evidenziato che la già
richiamata norma dell'art. 29, comma 3, del
d.P.R. n. 380/2001 dev'essere letta in
necessaria correlazione con quella posta dal
precedente art. 23, il quale prescrive che
la D.I.A. dev'essere accompagnata da una
relazione del progettista "che asseveri
la conformità delle opere da realizzare agli
strumenti urbanistici approvati e non in
contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti" (comma 1),
precisando che il dirigente o responsabile
dell'ufficio tecnico comunale, "in caso
di falsa attestazione del professionista
abilitato, informa l'autorità giudiziaria e
il consiglio dell'ordine di appartenenza"
(comma 6) e che, ultimato l'intervento, "il
progettista o un tecnico abilitato rilascia
un certificato di collaudo finale ... con il
quale si attesta la conformità dell'opera al
progetto presentato con la denuncia di
inizio attività" (comma 7).
Il progettista, dunque, sottolineano i
giudici di Piazza Cavour, ha un duplice
obbligo: a) redigere una relazione
preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare"
tra l'altro la conformità delle opere agli
strumenti urbanistici approvati e la
mancanza di contrasto con quelli adottati e
con i regolamenti edilizi; b) rilasciare al
termine dei lavori (ove non lo faccia altro
tecnico abilitato) un certificato di
collaudo circa la conformità di quanto
realizzato al progetto iniziale.
E, quanto al primo aspetto di detta condotta
doverosa, è stato esattamente osservato che
il termine "asseverare" ha il
significato di "affermare con solennità",
e cioè di porre in essere una dichiarazione
di particolare rilevanza formale e di
particolare valore nei confronti dei terzi
quanto alla verità ed alla affidabilità del
contenuto. Il progettista si pone come "persona
esercente un servizio di pubblica necessità"
proprio perché assume una posizione di
particolare rilievo in un procedimento
(quello di D.I.A.) che prevede la
sostituzione con una dichiarazione del
privato di ogni autorizzazione
amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della D.I.A.,
infatti, consiste nella sostituzione dei
tradizionali modelli procedimentali in tema
di autorizzazione con uno schema diverso
ispirato alla liberalizzazione delle
attività economiche private, con la
conseguenza che per l'esercizio delle stesse
non è più necessaria l'emanazione di un
titolo provvedimentale di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di
verifica di cui dispone l'amministrazione -a
differenza di quanto accade nel regime a
previo atto amministrativo- non e'
finalizzato all'emanazione di un
provvedimento amministrativo di consenso
all'esercizio dell'attività, ma al
controllo, privo di discrezionalità, della
corrispondenza di quanto dichiarato
dall'interessato rispetto ai canoni
normativi stabiliti per l'attività in
questione. Con la D.I.A., quindi, al
principio autoritativo si sostituisce il
principio dell'autoresponsabilità
dell'amministrato, che è legittimato ad
agire in via autonoma, valutando l'esistenza
dei presupposti richiesti dalla normativa in
vigore.
Il ricorso al procedimento della D.I.A.,
conseguentemente, porta con sé una
particolare assunzione di responsabilità, in
relazione al particolare affidamento che
l'ordinamento pone sulla relazione tecnica
che accompagna il progetto e sulla sua
veridicità, atteso che quella relazione si
sostituisce, in via ordinaria, ai controlli
dell'ente territoriale ed offre le garanzie
di legalità e correttezza dell'intervento.
Proprio in considerazione di questo
affidamento la condotta del professionista
abilitato assume una specifica rilevanza
pubblicistica (d.P.R. n. 380/2001, art. 29,
comma 3) che si connette alle previsioni del
precedente art. 23, commi 1 e 6.
L'articolo 23, comma 6, in particolare,
dispone che, in caso di "falsa
attestazione" del professionista, il
funzionario comunale ha l'obbligo di
inoltrare segnalazione informativa
all'autorità giudiziaria, sicché e' evidente
che la "falsa attestazione" in
parola, riferita dal comma 6 alla "assenza
di una o più delle condizioni stabilite",
risulta strettamente correlata alle
prescrizioni poste dal medesimo art. 23,
comma 1, ove la relazione del progettista
integra la dichiarazione stessa di inizio
attività, che e' atto dotato di piena
autonomia.
Dalla delineata costruzione della D.I.A.,
come atto fidefacente a prescindere
dal controllo della P.A. e riconnesso alla
delega di potestà pubblica ad un soggetto
qualificato, discende che la relazione
asseverativa del progettista, sulla quale si
fonda l'eliminazione dell'intermediazione
del potere autorizzatorio dell'attività del
privato da parte della pubblica
amministrazione, assume valore sostitutivo
del provvedimento amministrativo e quindi "certificativo",
con conseguente responsabilità penale del
professionista che dichiari in essa il falso
(commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.07.2011 n. 23072 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Relazione di accompagnamento alla
DIA - Natura e funzione - Principio dell'autoresponsabilità
dell'amministrato - Violazione - Fattispecie
- Art. 481 cod. pen. - Falsità ideologica in
certificati commessa da persone esercenti un
servizio di pubblica necessità.
La relazione di accompagnamento alla DIA
edilizia (che costituisce parte integrante
ed essenziale della dichiarazione stessa di
inizio dell'attività) ha natura di "certificato"
per quanto riguarda: sia la descrizione
dello stato attuale dei luoghi, sia la
ricognizione degli eventuali vincoli
esistenti sull'area o sull'immobile
interessati dall'intervento, sia la
rappresentazione delle opere che si intende
realizzare e l'attestazione della conformità
delle stesse agli strumenti urbanistici ed
al regolamento edilizio.
Con la DIA, quindi, al principio
autoritativo si sostituisce il principio
dell'autoresponsabilità dell'amministrato,
che è legittimato ad agire in via autonoma,
valutando l'esistenza dei presupposti
richiesti dalla normativa in vigore.
(Nella specie, l'imputato, non era soltanto
progettista ma anche direttore dei lavori,
sicché aveva il dovere di costante controllo
della conformità delle opere che
progressivamente venivano realizzate
rispetto a quelle denunziate con la DIA).
DIA edilizia - Relazione
di accompagnamento - Natura di "certificato"
- Qualifica di persona esercente un servizio
di pubblica necessità - Falsa attestazione
dei fatti - Obbligo di comunicazioni
all’autorità giudiziaria - Sanzioni
disciplinari - Artt. 23, cc. 1 e 6, e 29, c.
3, D.P.R. n. 380/2001 - Artt. 359 e 481 cod.
pen..
Ai sensi dell'art. 29, 3° comma, del D.P.R.
n. 380/2001, il progettista o, comunque, il
tecnico abilitato che predispone la
relazione di accompagnamento, all'interno
del procedimento che la legge prescrive per
la presentazione della DIA in materia
edilizia, assume la qualifica di persona
esercente un servizio di pubblica necessità
ex art. 359 cod. pen. [Cass. Sez. V,
04.10.2010, n. 35615, D'Anna; 24.02.2010, n.
7408, Frigé; Cass. sez. III. 16.07.2010, n.
27699, Coppola e altro; 19.01.2009, n. 1818,
Baldessari]. Costituendo "certificazione",
anche ai sensi dell'art. 481 cod. pen., la
descrizione dello stato dei luoghi
antecedente alle opere da realizzare [Cass.:
sez. V, n. 35615/2010, D'Anna; sez. III, n.
27699/2010, Coppola e altro].
In conclusione, dalla lettura coordinata e
sistematica della normativa di riferimento
(art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3,
del D.P.R. n. 380/2001), emergerebbe un "sostanziale
affidamento" riposto dall'ordinamento
sulla relazione tecnica che accompagna il
progetto e sulla sua veridicità, atteso che
"quella relazione si sostituisce, in via
ordinaria, ai controlli dell'ente
territoriale ed offre le garanzie di
legalità e correttezza dell'intervento".
In tale prospettiva la relazione del tecnico
abilitato costituisce un atto non solo
idoneo ad integrare la dichiarazione di
inizio dell'attività, ma anche dotato di
piena autonomia e di valore pubblicistico,
assumendo valore sostitutivo del titolo
edilizio abilitante e quindi certificativo.
Il dirigente o responsabile dell'ufficio
tecnico comunale, "in caso di falsa
attestazione del professionista abilitato,
informa l'autorità giudiziaria e il
consiglio dell'ordine di appartenenza"
(comma 6); che, ultimato l'intervento,
"il progettista o un tecnico abilitato
rilascia un certificato di collaudo finale
... con il quale si attesta la conformità
dell'opera al progetto presentato con la
denuncia di inizio attività" (comma 7).
(Fattispecie relativa al reato di cui
all'articolo 481 c.p. commesso da architetto
direttore dei lavori) (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.07.2011 n. 23072 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per demolire un manufatto è
sufficiente la denuncia di inizio attività.
La demolizione di un
manufatto non integra la fattispecie di cui
all’art. 44, primo comma, lett. b), del
Testo Unico Edilizia, perché per un simile
intervento non è necessario il permesso a
costruire, ma è sufficiente la semplice
denuncia di inizio attività, la cui mancanza
costituisce illecito amministrativo .
E’ questo il principio di diritto ribadito
dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale,
con la
sentenza 17.06.2011 n. 24423 in
merito ad una questione rilevante, ancora di
incerta soluzione dottrinaria, relativa alla
individuazione della natura dei titoli
abilitativi necessari per la demolizione di
opere.
Nel caso di specie si è trattato di un
ricorso promosso dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Firenze
contro un’ordinanza pronunciata dallo stesso
Tribunale in funzione di giudice del
riesame. In particolare, il provvedimento
aveva disposto la revoca del decreto di
sequestro preventivo di un immobile sul
quale erano stati effettuati interventi di
demolizione in assenza del necessario titolo
abilitativo.
La decisione dei giudici del Palazzaccio,
anche se non in maniera decisiva, risolve
ancora una volta la questione escludendo la
sussistenza del reato richiamato, che di per
sé avrebbe comportato la sanzione
dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da
30.986 a 103.290 euro, in quanto nel caso
specifico per i lavori di cui alle DIA
risultava essere stata rilasciata apposita
autorizzazione paesaggistica.
Resta tuttavia un margine di incertezza di
carattere generale che ad oggi non trova una
vera e propria linea di confine tra le
ipotesi in cui risulti necessario il
permesso a costruire.
Il ricorso in Cassazione, tuttavia, è stato
rigettato per una questione di carattere
pregiudiziale, in quanto l’ordinanza del
Tribunale del riesame, oltre al fumus
del reato, aveva escluso la sussistenza
delle esigenze cautelari che giustificassero
la misura del sequestro preventivo, non
essendo in corso l’esecuzione di interventi
edilizi né prevedibile la loro prosecuzione.
Infatti, secondo i giudici di Piazza Cavour,
l’impugnazione della pubblica accusa ha
totalmente ignorato tale argomentazione, di
per sé sola sufficiente ad escludere la
necessità della misura cautelare. Da qui il
rigetto del ricorso del P.M. (link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
La tutela del terzo leso è
possibile mediante l’esperimento (nei
confronti del soggetto pubblico titolare del
potere di vigilanza edilizia e in
contraddittorio con il denunciante) di
un’azione atipica di accertamento volta a
stabilire l’insussistenza dei presupposti
per svolgere l’attività edilizia sulla base
di una semplice d.i.a.; azione il cui
fondamento va trovato nel principio di
effettività della tutela giurisdizionale
sancito dall’art. 24 Cost. e da esercitare
comunque nel termine di gg. 60 dalla
conoscenza del sostanziarsi del titolo
edilizio.
E' nota, a proposito della natura della
d.i.a., l’esistenza di due differenti
impostazioni giurisprudenziali, l’una
delle quali individua nella fattispecie la
sussistenza di un provvedimento
autorizzatorio implicito derivante da una
valutazione legale tipizzata (Cons. Stato,
IV, 13.01.2010 n. 72, 24.05.2010, n. 3263,
10.12.2009, n. 7730, nonché, in precedenza,
Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008 , n. 5811;
Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3742;
Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828;
Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550):
la d.i.a., per tale impostazione, non
sarebbe uno strumento di liberalizzazione
dell'attività, ma rappresenterebbe una
semplificazione procedimentale che consente
al privato di conseguire un titolo
abilitativo tacito, rispetto al quale ultimo
la tutela del terzo che si pretenda leso non
incontrerebbe limiti diversi da quelli
ordinariamente previsti in riferimento a
provvedimenti espressi.
Diversamente, altra impostazione (Cons.
Stato, IV, 13.05.2010, n. 2919, 12.03.2009,
n. 1474 e 19.09.2008, n. 4513) afferma
essere la d.i.a. un atto di natura privata,
inserito in un nuovo schema ispirato alla
liberalizzazione delle attività economiche
private, con la conseguenza che, per
l'esercizio delle stesse, viene a non essere
più necessaria l'emanazione di un titolo
provvedimentale di legittimazione: il potere
di verifica di cui dispone
l'Amministrazione, a differenza di quanto
accade nel regime a previo atto
amministrativo, non sarebbe finalizzato
all'emanazione dell'atto amministrativo di
consenso all'esercizio dell'attività, bensì
al controllo, privo di discrezionalità,
della corrispondenza di quanto dichiarato
dall'interessato rispetto ai canoni
normativi stabiliti per l'attività in
questione.
Appunto quest’ultimo orientamento appare al
Collegio più convincente, in particolare
sulla scorta di due considerazioni.
La prima è che, diversamente
opinando, non si spiegherebbe per quale
ragione il legislatore tiene distinto
l’istituto in commento (disciplinato
dall’art. 19 L. 241/1990) da quello del
silenzio assenso (disciplinato dal
successivo art. 20 e costituente una mera
semplificazione procedimentale, in forza
della quale si perviene ad una
autorizzazione tacita, del tutto
equipollente ad un provvedimento esplicito
di accoglimento); la seconda è che
tale impostazione appare in linea con
l’evoluzione dell’ordinamento,
caratterizzata dall’aumentare delle
fattispecie in cui un esercizio del potere
amministrativo non si ha sempre e
necessariamente, bensì solo eventualmente
(all’esito di un procedimento di verifica di
quanto dichiarato ed attestato dal privato
interessato, per il quale vi sono perciò
ambiti sempre più ampi entro cui viene a
presentare rilevanza l’assunzione diretta di
responsabilità da parte sua, come appunto
dimostrato dall’introduzione della s.c.i.a.).
Diversi sono poi i mezzi di tutela
riconosciuti al terzo controinteressato in
detta fattispecie da chi opta per
quest’ultima ricostruzione.
Alcuni ritengono che il terzo possa agire
con lo strumento del silenzio-rifiuto,
ovvero che egli, decorso il termine per
l'esercizio del potere inibitorio senza che
la P.A. sia intervenuta, abbia
legittimazione a richiedere
all'Amministrazione, nell’esercizio dei
poteri di vigilanza e controllo sul
territorio, di porre in essere i
provvedimenti di "autotutela"
adottabili ai sensi degli artt. 21-quinquies
e 21-nonies L. 241/1990, attivando in caso
di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis
L. 1034/1971 (oggi art. 117 codice del
processo amministrativo).
Altri ritengono invece che la tutela del
terzo leso sia possibile mediante
l’esperimento (nei confronti del soggetto
pubblico titolare del potere di vigilanza
edilizia e in contraddittorio con il
denunciante) di un’azione atipica di
accertamento volta a stabilire
l’insussistenza dei presupposti per svolgere
l’attività edilizia sulla base di una
semplice d.i.a.; azione il cui fondamento va
trovato nel principio di effettività della
tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24
Cost. e da esercitare comunque nel termine
di gg. 60 dalla conoscenza del sostanziarsi
del titolo edilizio (posto che il suo regime
va strutturato in modo analogo all’azione di
annullamento che vi sarebbe stata qualora
l’intervento fosse stato assentito a mezzo
di permesso di costruire; e ciò onde
assicurare la certezza dei rapporti di
diritto pubblico). La cognizione di detta
azione risulta oggi devoluta al G.A.
nell’ambito della giurisdizione esclusiva a
lui attribuita ai sensi dell’art. 133, commi
1, lett. a), n° 3, e 1, lett. f), del codice
del processo amministrativo.
Appunto a quest’ultima impostazione (cfr.
Cons. di Stato sez. VI, n° 717 del
09.02.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 2139
del 15.04.2010; TAR Campania-Salerno n° 1291
dell’08.02.2010; TAR Calabria-Reggio
Calabria n° 915 del 23.08.2010; TAR
Lombardia–Milano n° 4886 del 23.10.2009; TAR
Puglia–Bari n° 4242 del 17.12.2010) ritiene
di aderire il Tribunale, stante la
possibilità di assicurare all’interessato,
in tal modo, una tutela effettiva e
tempestiva pur in assenza di un
provvedimento amministrativo suscettibile di
essere impugnato secondo lo schema ordinario
della tutela degli interessi legittimi.
A tal proposito, va evidenziato come l’esperibilità
di un’azione di accertamento atipica anche
con riferimento a posizioni di interesse
legittimo appaia coerente con il sistema
giuridico nei casi in cui l’attività
amministrativa sia di tipo vincolato o
comunque allorché determinati effetti siano
collegati al ricorrere di specifici
presupposti, e in particolare quando vi sia
un oggettivo interesse alla verifica della
sussistenza della posizione sostanziale
stessa (ad es. per stabilire se, per la
presenza dei necessari elementi, si sia o
meno sostanziato un provvedimento tacito).
In tal senso appare invero deporre la
considerazione che, qualora la P.A. sia
venuta meno all’obbligo di concludere il
procedimento e l’interessato si sia attivato
ai sensi dell’art. 31 del codice del
processo amministrativo, il G.A., a mente
del comma 3 di quest’ultimo, “può
pronunziare sulla fondatezza della pretesa
dedotta in giudizio” appunto “solo
quando si tratta di attività vincolata o
quando risulta che non residuano ulteriori
margini di esercizio della discrezionalità e
non sono necessari adempimenti istruttori
che debbano essere compiuti
dall’Amministrazione”: risulterebbe
infatti incongruo che l’ordinamento
consentisse al giudice di effettuare
accertamenti sulla fondatezza della pretesa
del privato soltanto in presenza di una
inerzia della P.A., e limitasse invece il
suo potere d’intervento all’annullamento del
provvedimento nel caso di adozione di un
provvedimento (espresso o tacito che sia) di
diniego
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 10.06.2011 n. 3099 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA e violazione articolo 481
cod.pen..
La relazione di accompagnamento alla DIA
edilizia (che costituisce parte integrante
ed essenziale della dichiarazione stessa di
inizio dell’attività) ha natura di “certificato”
per quanto riguarda: sia la descrizione
dello stato attuale dei luoghi, sia la
ricognizione degli eventuali vincoli
esistenti sull’area o sull’immobile
interessati dall’intervento, sia la
rappresentazione delle opere che si intende
realizzare e l’attestazione della conformità
delle stesse agli strumenti urbanistici ed
al regolamento edilizio (fattispecie
relativa al reato di cui all'articolo 481
c.p. commesso da architetto direttore dei
lavori) (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 08.06.2011 n. 23072 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
trascorrere del tempo (30 gg.) previsto
prima dell’inizio dei lavori della DIA
presentata pur non facendo venir meno i
poteri di autotutela in capo
all’Amministrazione, né con riferimento ai
poteri di vigilanza e sanzionatori, né con
riferimento ai poteri espressione
dell’esercizio di una attività di secondo
grado estrinsecantesi nell’annullamento
d’ufficio e nella revoca, postula comunque
il rispetto del principio di reciproca
lealtà e certezza dei rapporti giuridici.
In data 20.10.2000 il ricorrente
Condominio ha presentato presso gli uffici
comunali una denuncia di inizio attività per
la realizzazione di un muretto in
calcestruzzo per dividere la proprietà
privata dalla strada pubblica, per
l’installazione di un cancello automatico
per accedere ai box interrati e per la
predisposizione di una piazzola per
collocarvi un cassonetto porta rifiuti.
Trascorsi i 20 giorni –secondo il disposto
dell’allora vigente art. 4, comma 11, del
decreto legge n. 398 del 1993, convertito in
legge n. 493 del 1993– le opere sono state
iniziate e soltanto in data 04.01.2001 il
Comune ha emanato un provvedimento con cui è
stato negato quanto previsto in sede di
denuncia di inizio attività, con la
conseguente inibizione dei relativi lavori
(peraltro quasi già terminati).
Tuttavia, il trascorrere del tempo previsto
prima dell’inizio dei lavori –nel caso di
specie, 20 giorni– pur non facendo venir
meno i poteri di autotutela in capo
all’Amministrazione, né con riferimento ai
poteri di vigilanza e sanzionatori, né con
riferimento ai poteri espressione
dell’esercizio di una attività di secondo
grado estrinsecantesi nell’annullamento
d’ufficio e nella revoca, postula comunque
il rispetto del principio di reciproca
lealtà e certezza dei rapporti giuridici
(Consiglio di Stato, IV, 12.03.2009, n.
1474)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 07.06.2011 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Differentemente
del provvedimento sanzionatorio, è da
ritenersi discrezionale il provvedimento
adottato in sede di autotutela, con il quale
l’amministrazione comunale vieta lo
svolgimento di attività edilizie iniziate a
seguito della presentazione di una dia e
ordina l’eliminazione degli effetti già
prodotti in conseguenza del mancato
esercizio dei poteri inibitori; pertanto,
l’amministrazione comunale è tenuta, da un
lato, a valutare gli interessi in conflitto,
anche tenendo conto dell’affidamento
ingeneratosi in capo al denunciante, e
dall’altro, a motivare in ordine alla
sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale, non coincidente con il
mero ripristino della legalità violata.
A differenza
del provvedimento sanzionatorio, è da
ritenersi discrezionale il provvedimento
adottato in sede di autotutela, con il quale
l’amministrazione comunale vieta lo
svolgimento di attività edilizie iniziate a
seguito della presentazione di una dia e
ordina l’eliminazione degli effetti già
prodotti in conseguenza del mancato
esercizio dei poteri inibitori; pertanto,
l’amministrazione comunale è tenuta, da un
lato, a valutare gli interessi in conflitto,
anche tenendo conto dell’affidamento
ingeneratosi in capo al denunciante, e
dall’altro, a motivare in ordine alla
sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale, non coincidente con il
mero ripristino della legalità violata (TAR
Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2009, n.
4066)
(TAR Calabria-Salerno, Sez. II,
sentenza 26.05.2011 n. 1008 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sospensione D.I.A.
- Approvazione P.G.T. - Art. 12, D.P.R. n.
380/2001, artt. 13, 34 e 36, L.R. n. 12/2005
- Misure di salvaguardia normali e/o
eccezionali - Perfezionamento D.I.A. -
Illegittimità.
Il potere inibitorio dell'Amministrazione in
materia di D.I.A. è "estinguibile" in quanto
sottoposto al termine di esercizio
perentorio di giorni trenta dalla
presentazione della denuncia, al pari
dell'attività di verifica cui è
funzionalmente collegato, non potendo
conseguentemente l'Amministrazione
intervenire su una D.I.A. perfezionata
tramite l'esercizio di un potere inibitorio
ormai esauritosi e salvo restando il potere
di autotutela, ma soggetto a ben diversi
presupposti.
In particolare, risulta
illegittima la sospensione in aututela della
D.I.A. adottata quale "normale" misura di
salvaguardia comunale per asserito contrasto
dell'opera con le previsioni del P.G.T. in
itinere in quanto, avvenuto il
perfezionamento della D.I.A., residuano le
misure di salvaguardia eccezionali di cui
agli artt. 12, comma 4, D.P.R. n. 380/2001 e
34, comma 3, L.R. n. 12/2005 con un potere
inibitorio rimesso al vaglio della
competente autorità regionale, all'uopo
investita del potere discrezionale di
intervento cautelare previa ponderazione
dell'interesse pubblico con l'interesse dei
privati incisi dalla misura in questione
(tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2011 n.
1278 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
potere inibitorio dell’amministrazione in
materia di D.I.A. è "estinguibile” in quanto
sottoposto al termine di esercizio
perentorio di giorni 30 dalla presentazione
della denuncia, al pari dell’attività di
verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine,
l’attività edilizia potrà essere liberamente
iniziata non potendo l’amministrazione
intervenire sulla stessa tramite l’esercizio
di un potere inibitorio ormai esauritosi e
salvo restando il potere di autotutela, ma
soggetto a ben diversi presupposti.
Il potere
inibitorio dell’amministrazione in materia
di D.I.A. è –per orientamento costante della
giurisprudenza- “estinguibile”, in
quanto sottoposto al termine di esercizio
perentorio di giorni 30 dalla presentazione
della denuncia, al pari dell’attività di
verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine,
l’attività edilizia potrà essere liberamente
iniziata non potendo l’amministrazione
intervenire sulla stessa tramite l’esercizio
di un potere inibitorio ormai esauritosi e
salvo restando il potere di autotutela, ma
soggetto a ben diversi presupposti (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. VIII, 08.10.2009, n.
5200; TAR Veneto, Venezia, sez. II,
09.07.2009, n. 2137; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 17.06.2009, n. 4066; TAR Liguria,
22.01.2003, n. 113)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2011 n. 1278 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di DIA, il potere inibitorio,
previsto dall’art. 23, comma 6, T.U.
06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il
termine perentorio di 30 giorni, potendo
successivamente essere emanati soltanto
provvedimenti d’autotutela e sanzionatori,
in quanto alla scadenza del detto termine
matura l’autorizzazione implicita ad
eseguire i lavori progettati ed indicati
nella denuncia di inizio attività, restando
fermo al contempo il potere
dell’Amministrazione comunque di provvedere
non più con provvedimento inibitorio ma con
un provvedimento di tipo ripristinatorio o
pecuniario, in base alla normativa che
disciplina la repressione degli abusi
edilizi.
La denuncia di inizio attività edilizia -che
non è una domanda ma una informativa cui è
subordinato l’esercizio di un diritto-
costituisce species (la cui
disciplina prevale su quella generale) di un
particolare tipo di procedimento
semplificato e accelerato, introdotto in via
generale dall’art. 19 della Legge 241 del
1990, che consente al privato l’esercizio di
una certa attività comunque rilevante per
l’ordinamento, già subordinato a
qualsivoglia forma di autorizzazione, a
prescindere dalla emanazione di un espresso
provvedimento amministrativo, comunque
assimilabile ad una istanza autorizzatoria,
che con il decorso del termine di legge
provoca la formazione di un titolo che rende
lecito l’esercizio dell’attività, e cioè di
un provvedimento tacito di accoglimento di
una siffatta istanza.
Il potere inibitorio, previsto dall’art. 23,
comma 6, T.U. 06.06.2001 n. 380 è
esercitabile entro il termine perentorio di
30 giorni, potendo successivamente essere
emanati soltanto provvedimenti d’autotutela
e sanzionatori, in quanto alla scadenza del
detto termine matura l’autorizzazione
implicita ad eseguire i lavori progettati ed
indicati nella denuncia di inizio attività,
restando fermo al contempo il potere
dell’Amministrazione comunque di provvedere
non più con provvedimento inibitorio ma con
un provvedimento di tipo ripristinatorio o
pecuniario, in base alla normativa che
disciplina la repressione degli abusi
edilizi.
Va da sé, quindi, per quanto innanzi
chiarito, che condizione necessaria perché
sia validamente presentata una DIA è che i
lavori oggetto della stessa non siano stati
già interamente o in parte realizzati
essendo la denuncia finalizzata
esclusivamente alla predisposizione di uno
strumento più agile ed efficace di
determinati interventi edilizi.
La norma in materia prevede, infatti, che la
denuncia debba essere presentata almeno 30
giorni prima dell’effettivo inizio dei
lavori, termine entro il quale
l’Amministrazione competente può esercitare
il controllo sulla sussistenza delle
condizioni legittimanti l’attività e
conseguentemente inibire l’attività stessa
in caso di mancanza delle condizioni
necessarie.
In altri termini, non è ipotizzabile una
denuncia di inizio di attività per opere già
realizzate non potendosi utilizzare tale
procedimento quale strumento per ottenere un
titolo abilitativo in sanatoria.
Nella specie, invece, risulta in modo
incontrastato che il sig. ... ha presentato
la denuncia di inizio attività in data
22.06.2005 relativamente ad opere di
ristrutturazione edilizia di un sottotetto
già interamente realizzate e quindi senza
che all’Amministrazione fosse consentito di
esercitare tempestivamente il già citato
potere di inibizione.
Inappropriato era da considerarsi, quindi,
lo strumento della DIA, nel mentre poteva
invece utilizzarsi il diverso istituto
dell’accertamento di conformità ex art. 36,
comma 1, del DPR 380/2001
(TAR Basilicata,
sentenza 11.05.2011 n. 301 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
Sezione condivide l'orientamento
giurisprudenziale che ritiene il terzo leso
dall’attività denunciata legittimato
all'instaurazione di un giudizio di
cognizione: ciò sul presupposto che la
denuncia di inizio attività non è
formalmente né sostanzialmente un’istanza,
ma uno strumento di massima semplificazione,
il quale resta sottoposto all’esercizio di
un potere amministrativo successivo,
finalizzato sia al riscontro della
sussistenza dei presupposti in fatto ed in
diritto meramente allegati nella previa
denuncia del privato che all’eventuale
repressione dell’illecito edilizio.
Sulla configurazione della D.I.A. esistono
due diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo uno, il procedimento avviato con la
D.I.A. darebbe luogo ad una fattispecie
provvedimentale a formazione progressiva e a
determinazione implicita (cfr., C.d.S., sez.
IV, 25.11.2008, n. 5811) ed al conseguente
formarsi del titolo abilitativo -avverso
cui possono insorgere i terzi dallo stesso
danneggiati- per effetto del decorso del
termine fissato dalla legge (art. 91-bis
della l.p. n. 22 del 1991), entro cui
l'Amministrazione può impedire gli effetti
della D.I.A. (cfr., C.d.S., sez. IV,
13.01.2010, n. 72; sez. IV, 29.07.2008, n.
3742; sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; sez. VI,
05.04.2007, n. 1550). Secondo tale teoria,
pertanto, trattandosi di provvedimento ampliativo della sfera giuridica del
privato, il suo autoannullamento d’ufficio,
pur non ristretto entro termini di decadenza
o prescrizione, deve tuttavia essere
opportunamente coordinato con il principio
di certezza dei rapporti giuridici e di
salvaguardia del legittimo affidamento del
privato.
Secondo un’altra costruzione, il
procedimento connesso alla D.I.A. presentata
dal privato non dà luogo ad un atto
implicito di natura provvedimentale,
trattandosi, al contrario, di un atto del
privato, come tale non immediatamente
impugnabile innanzi al Tar, con la
conseguenza che l'azione a tutela del terzo
che si ritenga leso dall'attività svolta
sulla base della denuncia non è un’azione di
annullamento, ma di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti della
D.I.A. Tale azione (che, sebbene non
legalmente tipizzata, troverebbe il suo
fondamento nel principio di effettività
della tutela giurisdizionale sancito
dall'art. 24 Cost.) andrebbe proposta nei
confronti del soggetto pubblico che ha il
compito di vigilare sulla D.I.A. e verso il
quale si produrranno poi gli effetti
conformativi derivanti dall'eventuale
sentenza di accoglimento, da pronunciarsi in
contraddittorio con il presentatore, contro
interessato processuale.
Di conseguenza, è a questo specifico aspetto
di situazioni create ed affidamenti indotti
che dovrebbe rivolgersi l’obbligo di
motivazione, per il resto essendo
sufficiente la constatata violazione delle
regole edilizie poste in essere dal
denunciante (cfr., C.d.S., sez. IV,
13.05.2010, n. 2919; sez. VI, 15.04.2010, n.
2139; sez. IV, 12.03.2009, n. 1474; sez. VI,
09.02.2009, n. 717, con ampi riferimenti
dottrinari e normativi; sez. IV, 19.09.2008,
n. 4513; sez. V, 22.02.2007, n. 948).
Questo Tribunale si è attestato sulla
seconda tesi ricostruttiva dell’istituto,
condividendo l'orientamento
giurisprudenziale sopra sintetizzato, che
ritiene il terzo leso dall’attività
denunciata legittimato all'instaurazione di
un giudizio di cognizione: ciò sul
presupposto che la denuncia di inizio
attività non è formalmente né
sostanzialmente un’istanza, ma uno strumento
di massima semplificazione, il quale resta
sottoposto all’esercizio di un potere
amministrativo successivo, finalizzato sia
al riscontro della sussistenza dei
presupposti in fatto ed in diritto meramente
allegati nella previa denuncia del privato
che all’eventuale repressione dell’illecito
edilizio (cfr., TRGA Trento, 14.05.2008,
n. 111, ed anche 10.11.2008, n. 286;
07.05.2009, n. 150; 05.10.2009, n. 248;
18.11.2009, n. 281; 17.12.2009, n. 310;
05.02.2010, n. 38; 16.11.2010, n. 219).
Qualunque sia la corretta costruzione
teorica da dare all’istituto della D.I.A. -per la quale l’ordinanza n. 14 del
05.01.2011
della IV Sezione del Consiglio di Stato ha
chiesto l’intervento chiarificatore ed
unificante dell’Adunanza Plenaria dello
stesso Consiglio- resta comunque il fatto
che a fronte di un procedimento attivato
mediante una denuncia di inizio attività del
privato i noti orientamenti
giurisprudenziali in tema di motivazione
degli atti di annullamento dei titoli
edilizi debbono essere adattati alla
particolarità della fattispecie della D.I.A.
La giurisprudenza, infatti, si è sempre
preoccupata di dare effettività alla tutela
dell'affidamento ingenerato nel cittadino
dopo il rilascio di un titolo abilitativo
esplicito e con il successivo trascorrere
del tempo in assenza di provvedimenti
inibitori dell'attività edilizia formalmente
assentita dalla stessa Amministrazione;
nonché di assicurare la necessità, per il
potere pubblico, di esercitare la propria
discrezionalità tecnica nel procedimento di
riesame del permesso rilasciato mediante un
adeguato iter istruttorio. Ha considerato
pertanto abnorme, soprattutto in casi di non
particolare complessità dell'istruttoria, il
provvedimento di annullamento che fosse
intervenuto a distanza di vari anni dal
rilascio dell'atto annullato in sede di
autotutela (cfr., con riferimento alla
concessione edilizia, C.d.S., sez. IV,
21.12.2009, n. 8529).
Se, dunque, l’affidamento del privato si
correla ad un’attività amministrativa
esplicita al fine di delimitare tempi e
contenuti dei successivi atti di autotutela,
per una serie di effetti incidenti
sull’azione e la responsabilità della
Pubblica amministrazione (motivazione dell’autoannullamento,
tempestività dell’esercizio del relativo
potere, risarcimento del danno, ecc. ) è
evidente che quell’affidamento subisce un
affievolimento -rispetto agli ordinari
canoni del potere repressivo dell’attività
edilizia illegittima o illecita- nel caso
di dichiarazione di inizio attività che, se
incompleta o inesatta rispetto alla
fattispecie teorica legislativamente
predeterminata, non produce alcun effetto di
legittimazione dell’intervento.
Con l’introduzione della D.I.A, infatti, il
Legislatore ha sostituito il principio di
imperatività con quello dell'autoresponsabilità
dell'amministrato, il quale è sì legittimato
a procedere in via autonoma, a prescindere
dall’emanazione di un provvedimento di
formale autorizzazione, ma, al contempo,
accollandosi la valutazione, in prima
battuta, dell'esistenza dei presupposti e
dei requisiti richiesti dalla normativa per
porre in essere l’attività in tal modo
liberalizzata.
Secondo la ricordata impostazione la D.I.A.,
in definitiva, è un atto di un soggetto
privato e non di una pubblica
amministrazione, che ne è invece
destinataria; essa non costituisce,
pertanto, esplicazione di una potestà
pubblicistica (cfr., C.d.S., sez. VI, n. 717
del 2009, cit.). Da ciò consegue che la
fiducia che il privato nutre circa la bontà
e la conformità alla legge del proprio
operato denunciato con la D.I.A. è meno
consistente e tutelabile di quanto non sia
l’ordinario affidamento -peraltro già di
per sé limitato in materia edilizia, stante
la natura vincolata ed obbligatoria dei
provvedimenti repressivi degli abusi-
connesso all’emanazione di un formale ed
espresso provvedimento di autorizzazione,
concessione, presa d’atto e, in genere, ampliativo della sfera giuridica del
privato.
In aggiunta a ciò, non si può non osservare
che lo stesso Legislatore, ove in ordine
alla disciplina generale dell’istituto della
D.I.A. ha precisato che è comunque “fatto
salvo il potere dell’amministrazione
competente di assumere determinazioni in via
di autotutela” (cfr., art. 23, comma 1-bis,
della l.p. 30.11.1992, n. 23, e, in termini,
art. 19, comma 3, della l. 07.08.1990, n.
241), per la particolare fattispecie della
D.I.A. edilizia ha inteso invece
ulteriormente precisare che “è fatto salvo
l’esercizio dei poteri di vigilanza di cui
al titolo X” (cfr., commi 6 e 10 dell’art.
91-bis della l.p. n. 22 del 1991), e che gli
imposti controlli successivi alla
presentazione delle denunce di inizio
attività sono quantificati solo nel minimo
(almeno il 20 per cento degli interventi in
corso, o realizzati, scelti a campione),
così lasciando all’organizzazione
amministrativa di ogni Comune la potestà di
scegliere modalità e tempi per la verifica,
anche sistematica, delle denunce di inizio
attività pervenute.
In tale prospettiva, dunque, l’ordinario
affidamento che governa i rapporti sociali
non è collocato sull’operato
dell’Amministrazione bensì in capo al
progettista. Non si può non ricordare, a
questo proposito, che la “dettagliata
relazione” di accompagnamento della D.I.A.
per opere a tale istituto soggette, la quale
“assevera la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici e ai
regolamenti edilizi vigenti” (cfr., comma 4
dell’art. 91-bis della l.p. n. 22 del 1991),
comporta che l’ordinamento riponga uno
specifico affidamento sulla relazione
tecnica del progettista e sulla sua
veridicità, atteso che quella relazione si
sostituisce, in via ordinaria, ai controlli
dell'ente territoriale ed offre le garanzie
di legalità e correttezza dell'intervento;
con il termine <asseverare> il legislatore
ha inteso affermare con solennità la
particolare rilevanza formale della
dichiarazione del tecnico di parte e il suo
particolare valore nei confronti dei terzi
quanto a verità ed affidabilità del
contenuto (cfr., Cass. Pen., sez. III,
16.07.2010, n. 27699)
(TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 11.05.2011 n. 135 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
l’annullamento d’ufficio del provvedimento
implicito formatosi sulla D.I.A., così come
per l’autoannullamento della concessione
edilizia o del permesso di costruire, è di
norma irrilevante -salvi casi di spazi
temporali esagerati- il tempo trascorso
dall’attività edilizia posta in essere, in
quanto la repressione degli abusi edilizi è
un preciso obbligo dell’Amministrazione
pubblica la quale, a fronte
dell’accertamento della violazione delle
norme edilizie, non gode di alcuna
discrezionalità al riguardo; pertanto,
l’atto di repressione degli abusi non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva che il tempo non può giammai
legittimare.
Per
l’annullamento d’ufficio del provvedimento
implicito formatosi sulla D.I.A., così come
per l’autoannullamento della concessione
edilizia o del permesso di costruire, è di
norma irrilevante -salvi casi di spazi
temporali esagerati- il tempo trascorso
dall’attività edilizia posta in essere, in
quanto la repressione degli abusi edilizi è
un preciso obbligo dell’Amministrazione
pubblica la quale, a fronte
dell’accertamento della violazione delle
norme edilizie, non gode di alcuna
discrezionalità al riguardo; pertanto,
l’atto di repressione degli abusi non
richiede una specifica valutazione delle
ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest'ultimo con gli
interessi privati coinvolti e sacrificati,
né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla
demolizione, non potendo neppure ammettersi
l'esistenza di alcun affidamento tutelabile
alla conservazione di una situazione di
fatto abusiva che il tempo non può giammai
legittimare (cfr., C.d.S., sez. IV,
01.10.2007, n. 5049 e n. 5050; 10.12.2007, n.
6344; 31.08.2010, n. 3955; sez. V, 07.09.2009,
n. 5229 e 11.01.2011, n. 79)
(TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 11.05.2011 n. 135 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Natura
- E' atto di un soggetto privato - Tutela
del terzo - Azione di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per
intraprendere l'attività in base alla D.I.A.
- Esperibilità.
La natura della D.I.A. è quella di atto
di un soggetto privato ed è pertanto
esperibile da un terzo un'azione di
accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per intraprendere l'attività in
base alla D.I.A. (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 917/2009: tuttavia, la questione della
natura della D.I.A. e della sua
impugnabilità diretta è stata rimessa alla
Adunanza Plenaria dalla IV sez. con
ordinanza n. 14/2011; TAR Milano, sent.
4886/2009) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 29.04.2011 n.
1105 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
dichiarazione d’inizio attività non ha
natura provvedimentale, trattandosi di un
atto privato, e non è, pertanto, ad essa
pertinente un’azione di annullamento,
potendo la stessa semplicemente costituire
presupposto per l’attivazione dei poteri
inbitori della amministrazione,
eventualmente stimolati da altri soggetti
privati che si ritengano lesi dall’opera
denunciata; né può attribuirsi carattere
provvedimentale, onde ammettere che essa
possa formare oggetto di ricorso
giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta
dall’amministrazione a seguito del
ricevimento della D.I.A., che rileva quale
puro fatto.
Preliminare esame richiede la questione,
molto dibattuta e che ha dato luogo a
contrasti giurisprudenziali (noti alla
ricorrente che vi accenna in memoria, con
richiami alla giurisprudenza), della
impugnabilità della D.I.A..
Il Collegio condivide al riguardo
l’indirizzo, ormai prevalente, secondo il
quale (v., recentemente, Cons. Stato, Sez IV,
13.05.2010, n. 2139 e id, Sez. VI,
15.04.2010, n. 2139, cui si rinvia, a mente
dell’art. 88, comma 2, lett. d, c.p.a.) la
dichiarazione d’inizio attività non ha
natura provvedimentale, trattandosi di un
atto privato, e non è, pertanto, ad essa
pertinente un’azione di annullamento,
potendo la stessa semplicemente costituire
presupposto per l’attivazione dei poteri
inbitori della amministrazione,
eventualmente stimolati da altri soggetti
privati che si ritengano lesi dall’opera
denunciata; né può attribuirsi carattere
provvedimentale, onde ammettere che essa
possa formare oggetto di ricorso
giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta
dall’amministrazione a seguito del
ricevimento della D.I.A., che rileva quale
puro fatto (cfr. Cons. Stato, Sez IV,
19.09.2008, n. 4513)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 08.04.2011 n. 656 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. -
Sindacato giurisdizionale diretto sulla
D.I.A. - Ammissibilità.
E' ammissibile un sindacato
giurisdizionale diretto sulla DIA, sia esso
finalizzato ad accertarne l'illegittimità o
ad annullare il titolo abilitativo tacito o
implicito formatosi su di essa (cfr. Cons.
di Stato, sent. nn. 2139/2010, 72/2010,
5811/2008, TAR Milano, sent. 227/2011) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.02.2011 n.
518 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: TITOLI
EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di
Stato, l'incertezza sulla natura giuridica
della Dia e della Scia condiziona le
contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai
lavori avviati in base a uno di questi due
titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop
ai lavori e, al contempo, domandare al Tar
l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il
Consiglio di Stato decida sull'inquadramento
della dichiarazione servono più livelli di
tutela. Contro la Dia non basta il ricorso.
I terzi che contestano i lavori devono
rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio
di attività (Dia), della segnalazione
certificata di inizio attività (Scia) e
della comunicazione di inizio lavori non è
solo una questione teorica: anzi, ha
importante ricadute pratiche. La possibilità
di contestare al Tar gli interventi edilizi
realizzabili con questi titoli edilizi
dipende infatti da come si definiscono le
dichiarazioni con cui il privato può avviare
i lavori senza dover attendere il rilascio
del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto
provvedimento espresso della p.a.- è
pacifico che possa essere impugnato al Tar
entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che
al più tardi coincide con l'avvio dei lavori
o con il momento in cui gli stessi
raggiungono lo stadio che consente ai terzi
di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni
presentate dai privati c'è più di un dubbio:
è possibile impugnarle? Oppure bisogna
chiedere al comune di bloccare i lavori ed
eventualmente portare al giudice la
decisione dell'amministrazione di lasciar
correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si
può andare subito dal giudice anche per
chiedere l'immediata sospensione dei lavori,
nell'altro caso possono non bastare alcuni
anni e si rischia di arrivare al Tar a opere
finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il
Consiglio di Stato si è recentemente
interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per
rendere carrabile un porticato, impugnata
dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il
costruttore ha quindi proposto appello
sostenendo che la Dia non costituirebbe atto
amministrativo impugnabile e suscettibile di
rimedi demolitori, trattandosi di attività
del privato e non assumendo valore
provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi
erronea laddove ha ritenuto direttamente
impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza
14/2011 del 07.12.2010, alla luce del
contrasto giurisprudenziale in atto
addirittura all'interno della stessa sezione
chiamata a dirimere la controversia, ha
deciso di rimettere la questione
all'Adunanza plenaria deputata a dare un
univoco indirizzo che possa guidare i Tar e
i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno
tre tesi ...
(articolo
Il Sole 24 Ore
del 14.02.2011 - tratto da
www.corteconti.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Sindacato
giurisdizionale - Sindacato per
l'accertamento dell'illegittimità della
D.I.A. - E' legittimo - Sindacato per
l'annullamento del titolo abilitativo
formatosi sulla D.I.A. - E' legittimo.
E' legittimo un sindacato giurisdizionale
diretto sulla D.I.A., sia qualora esso
risulti finalizzato ad accertarne
l'illegittimità (cfr. Cons. di Stato, sent.
n. 2139/2010) sia qualora esso risulti volto
ad annullare il titolo abilitativo tacito o
implicito formatosi su di essa (Cons. Stato,
sent. n. 72/2010, sent. n. 1409/2007) - il
Collegio ha peraltro evidenziato che nella
fattispecie de qua tale problematica non
avesse comunque ragione di porsi avendo il
ricorrente contestualmente impugnato l'atto
amministrativo che attestava la legittimità
della DIA (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.01.2011 n.
227 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'atto
comunale col quale è stato sospeso il termine
previsto dall’art. 26, comma 1, lett. a), della L.R.
n. 16/2008 per l’inizio dei lavori di cui alla
presentata D.I.A. condizionando la ulteriore
efficacia della D.I.A alla produzione di un atto di
consenso di terzi, concreta un vero e proprio
arresto procedimentale, di natura immediatamente
lesiva.
---------------
E' illegittimo l’atto inibitorio adottato oltre il
termine perentorio di venti giorni, alla scadenza
del quale matura l'autorizzazione implicita ad
eseguire i lavori progettati e indicati nella
denuncia di inizio attività, fermo il potere
dell'amministrazione comunale di avviare uno
specifico procedimento di autotutela preordinato
all’annullamento dell’autorizzazione implicita.
---------------
Il decorso del termine per la formazione del titolo
abilitativo non può avere alcun effetto di
legittimazione dell’intervento soltanto nel caso
dichiarazioni infedeli o recanti una erronea
rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di
un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole
del dichiarante, non già nei casi di mera
incompletezza della documentazione a corredo
dell’istanza, che debbono essere evidenziati
nell’apposito termine perentorio di cui sopra.
---------------
- Rilevato che, con ricorso notificato in data
29.11.2010, la signora Ch.Ga. ha impugnato il
provvedimento 08.10.2010, con il quale il comune di
Levanto ha sospeso il termine previsto dall’art. 26,
comma 1, lett. a), della L.R. n. 16/2008 per
l’inizio dei lavori di cui alla D.I.A. obbligatoria
n. 107/2010, presentata in data 01.06.2010 in vista
della realizzazione di due finestre, a motivo della
mancanza del nulla osta condominiale;
- Rilevato come la sospensione del termine,
condizionando la ulteriore efficacia della D.I.A
alla produzione di un atto di consenso di terzi,
concreti un vero e proprio arresto procedimentale,
di natura immediatamente lesiva;
- Ritenuto che il ricorso è fondato, sotto
l’assorbente profilo della violazione degli artt. 23
e 26 L.R. Liguria n. 16/2008, essendo stato l’atto
inibitorio adottato oltre il termine perentorio di
venti giorni, alla scadenza del quale matura
l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori
progettati e indicati nella denuncia di inizio
attività, fermo il potere dell'amministrazione
comunale di avviare uno specifico procedimento di
autotutela preordinato all’annullamento
dell’autorizzazione implicita (TAR Toscana, III,
16.03.2009, n. 430; TAR Liguria, I, 04.04.2008, n.
460);
- Considerato che il decorso del termine per la
formazione del titolo abilitativo non può avere
alcun effetto di legittimazione dell’intervento
soltanto nel caso dichiarazioni infedeli o recanti
una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in
presenza di un’attività potenzialmente decettiva od
ingannevole del dichiarante, non già nei casi di
mera incompletezza della documentazione a corredo
dell’istanza, che debbono essere evidenziati
nell’apposito termine perentorio di cui all’art. 26,
comma 4, della L.R. n. 16/2008
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 14.01.2011 n. 47 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA: atto privato o provvedimento?
Va rimessa alla Adunanza Plenaria la
questione inerente la qualificazione
giuridica, privata o provvedimentale,
dell’istituto della denuncia di inizio
attività.
Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez.
IV, con l’ordinanza
05.01.2011 n. 14.
Il provvedimento in esame ha ad oggetto
l’azione di annullamento di una denuncia di
inizio attività proposta in variante ad un
permesso di costruire.
Uno dei motivi di impugnazione della
sentenza di primo grado riguarda nello
specifico la natura della denuncia, che
costituirebbe atto del privato e non atto
amministrativo impugnabile e perciò
insuscettibile di rimedi demolitori.
I giudici di Palazzo Spada, rilevando
l’esistenza di diversi orientamenti
giurisprudenziali, ritengono che: “la
tesi secondo cui è inammissibile il ricorso
proposto per l’annullamento della denuncia
di inizio attività, intesa come atto avente
natura oggettivamente e soggettivamente
privata, ha avuto il conforto in sede
giurisprudenziale anche di questa Sezione
(ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, IV,
13.05.2010, n. 2919; si veda in tal senso
anche Cons. Stato, V, 22.02.2007, n. 948).
Tale inammissibilità della impugnativa
troverebbe comunque un rimedio nell’azione
avverso il silenzio-inadempimento; il terzo
che intende opporsi all’intervento, una
volta decorso il termine per l’esercizio del
potere inibitorio, sarebbe legittimato
unicamente a presentare all’amministrazione
formale istanza per la adozione dei
provvedimenti sanzionatori previsti e ad
impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di
essa formatosi, oppure a impugnare il
provvedimento emanato all’esito della
avvenuta verifica.
Questa Sezione, però, sempre recentemente,
ha sostenuto la opposta tesi (per così dire
provvedimentale) che i terzi che ritengano
di essere pregiudicati dalla effettuazione
di una attività edilizia assentita in modo
implicito (nella specie, DIA) possono agire
dinanzi al giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’amministrazione può impedire gli effetti
della D.I.A. (Cons. Stato; IV, 13.01.2010 n.
72).”
La sezione rileva, pertanto, l’esistenza di
tre tesi differenti sui rimedi esperibili
dal terzo:
1) nel caso in cui si consideri la dia quale
provvedimento si potrebbe utilizzare la
tradizionale azione di annullamento;
2) nel caso invece si qualificasse la
denuncia come atto del privato sarebbe
necessario agire attraverso un’azione di
accertamento autonomo (negativo) della
inesistenza dei presupposti per ritenere
completa la fattispecie;
3) la terza tesi, partendo da una
considerazione di natura privatistica,
richiederebbe al privato di presentare, una
volta decorsi i termini senza l’esercizio
del potere inibitorio, una istanza formale e
impugnare il successivo atto negativo
dell’amministrazione ovvero agire avverso la
successiva inerzia amministrativa
(silenzio–rifiuto).
Vista l’esistenza di tali contrasti la
sezione ha ritenuto opportuno chiamare in
causa l’Adunanza Plenaria, la quale, si
spera, fornirà le soluzioni interpretative
necessarie anche in seguito all’introduzione
nel panorama edilizio della segnalazione
certificata di inizio attività (c.d. scia)
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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EDILIZIA PRIVATA: Tanto
maggiore è il lasso di tempo trascorso tra
l'avvio dell'attività edilizia e l'esercizio
del potere di autotutela, maggiore deve
essere il grado di motivazione sulle ragioni
di pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo.
In caso di DIA, una volta decorso il termine
perentorio di 30 giorni previsto dall’art.
23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere
esercitare il potere sanzionatorio, deve,
prima, incidere sul titolo edilizio,
intervenendo su di esso in autotutela,
sempre che ne ricorrano i presupposti. E di
ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38
del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico
riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara
l’ipotesi dell’“accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo” ai casi di interventi
eseguiti in base a “permesso annullato”.
Tanto maggiore è il lasso di tempo trascorso
tra l'avvio dell'attività e l'esercizio del
potere di autotutela, maggiore deve, dunque,
essere il grado di motivazione sulle ragioni
di pubblico interesse, diverse da quelle al
mero ripristino della legalità, che deve
connotare il relativo provvedimento
amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV,
31.10.2006, n. 6465, Sez. V, 25.09.2006, n.
5622 e Sez. VI, 27.02.2006, n. 846).
Nel caso di specie, l’amministrazione si è
limitata a motivare il provvedimento di
annullamento della denuncia di inizio
attività indicando i motivi per i quali il
progetto edilizio si pone in contrasto con
la normativa urbanistica ed edilizia vigente
e ravvisando l’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto nell’esigenza di
imparzialità di trattamento e nell’interesse
all’ordinato assetto territoriale.
Queste ragioni, attesa la loro genericità,
coincidono di fatto con una mera esigenza di
ripristino della legalità, non identificando
un interesse concreto ed attuale
all’annullamento dell’atto.
L’amministrazione non ha, inoltre,
effettuato alcuna comparazione tra
l’interesse perseguito e quello privato
sacrificato, adempimento ancor più
necessario in considerazione della posizione
di affidamento ingenerata nel privato dal
decorso di un ampio lasso di tempo (oltre
cinque anni) dal consolidarsi del titolo
edilizio e della circostanza che i
principali vizi riscontrati erano evincibili
già dalle indicazioni del progettista e
dagli elaborati grafici e non richiedevano,
dunque, lo svolgimento di una particolare e
complessa attività istruttoria.
Né l’amministrazione può invocare il potere
di repressione degli abusi edilizi per
giustificare un intervento finalizzato a
ristabilire una situazione di regolarità
urbanistica ed edilizia in mancanza di un
interesse pubblico ulteriore.
Come questo Tar ha già affermato, una volta
decorso il termine perentorio di 30 giorni
previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001,
la p.a., per potere esercitare il potere
sanzionatorio, deve, prima, incidere sul
titolo edilizio, intervenendo su di esso in
autotutela, sempre che ne ricorrano i
presupposti. E di ciò ne è riprova il comma
2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001
che, con specifico riferimento alla d.i.a.
edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo” ai casi di
interventi eseguiti in base a “permesso
annullato” (Tar Lombardia, Milano,
22.01.2010, n. 135)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.12.2010 n. 7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La DIA produce effetti al 30°
giorno dalla sua presentazione, purché, come
già affermato da questa Sezione sia completa
di tutti gli elementi richiesti dalla legge
(sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia, periodo
durante il quale l’Amministrazione ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Le innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
Rispetto alle censure articolate nei motivi
successivi, in cui si contesta la scelta
dell’Amministrazione di applicare le tariffe
vigenti al momento del decorso dei 30 giorni
di efficacia, in violazione alle
disposizioni regionali in materia di d.i.a.,
si richiama l’orientamento di questa Sezione
(sentenze nn. 2029/2009, 2030/2009)
confermato in sede di appello ( Consiglio di
Stato sez. IV, 2922 del 13.05.2010).
Nelle decisione di primo grado i
provvedimenti del Comune sono stati ritenuti
legittimi, in base alle seguenti
motivazioni, che qui si riportano
integralmente: “la DIA, indipendentemente
dalla qualifica giuridica assegnata –punto
su cui come noto si contrappongono due
differenti orientamenti che sostengono
rispettivamente la natura di autorizzazione
implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e
di atto privato (Cons. Stato sez. VI
717/2009)– produce effetti al 30° giorno
dalla sua presentazione, purché, come già
affermato da questa Sezione sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla legge
(sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia, periodo
durante il quale l’Amministrazione ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa
da questa Sezione nella sentenza richiamata
dalla difesa Comunale (n. 588/2006), in cui
si è affermato il principio secondo cui “le
innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità”
della DIA alle modifiche legislative nei 30
giorni tra la presentazione e l’inizio
dell’efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri.
Pare quindi corretta la posizione
dell’Amministrazione Comunale laddove
ritiene che la nuova disciplina introdotta
con un atto deliberativo che produce effetti
dall'08.01.2008 vada applicato anche alle
DIA per le quali non è decorso il termine di
30 giorni.
A tale conclusione non osta la disciplina
regionale di riferimento, invocata da parte
ricorrente, la quale, con puntuali
argomentazioni, sostiene che il momento
dell’efficacia non sarebbe rilevante ai fini
del calcolo degli oneri di urbanizzazione,
in quanto l’obbligazione contributiva a
carico del privato troverebbe il proprio
momento genetico all’atto della
presentazione della DIA.
In tal senso vengono invocate le seguenti
disposizioni della L.R. 12/2005:
a) l’art. 42, commi 2 e 3, in materia di
disciplina della denuncia di inizio
attività, in cui si stabilisce che “Nel
caso in cui siano dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, il
relativo calcolo è allegato alla denuncia di
inizio attività e il pagamento è effettuato
con le modalità previste dalla vigente
normativa, fatta comunque salva la
possibilità per il comune di richiedere le
eventuali integrazioni.
La quota relativa agli oneri di
urbanizzazione è corrisposta al comune entro
trenta giorni successivi alla presentazione
della denuncia di inizio attività, fatta
salva la facoltà di rateizzazione”;
b) l’art. 44, comma 12, in materia di oneri
di urbanizzazione, laddove per gli
interventi comportanti modificazioni delle
destinazioni d'uso su edifici esistenti
stabilisce che “per quanto attiene
all'incidenza degli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria, il contributo dovuto
è commisurato alla eventuale maggior somma
determinata in relazione alla nuova
destinazione rispetto a quella che sarebbe
dovuta per la destinazione precedente e alla
quota dovuta per le opere relative ad
edifici esistenti, determinata con le
modalità di cui ai commi 8 e 9”,
precisando poi nel successivo comma che
“L'ammontare dell'eventuale maggior somma va
sempre riferito ai valori stabiliti dal
comune alla data del rilascio del permesso
di costruire, ovvero di presentazione della
denuncia di inizio attività.”
c) l’art. 48, comma 7, in materia di costo
di costruzione, che così recita: “La
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d'opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre sessanta giorni
dalla data dichiarata di ultimazione dei
lavori”.
A giudizio del Collegio le disposizioni
regionali richiamate non derogano al
principio generale secondo cui nel caso di
intervento edilizio assentito in forza di
una DIA la normativa da applicare è quella
vigente alla data di efficacia: infatti gli
artt. 42 e 48 si limitano a disciplinare il
procedimento di presentazione della DIA,
stabilendo che il costo di costruzione va
allegato alla DIA (mentre l’art. 44
disciplina una fattispecie specifica), ma
non introducono una disciplina derogatoria
speciale, rispetto al principio generale
della efficacia della DIA dopo il decorso
del termine di 30 giorni.
Va invece dato particolare rilievo alla
modifica apportata in materia dalla L.R. n.
4/2008, che ha introdotto nell’art. 38 il
comma 7-bis, stabilendo, per il permesso di
costruire, che gli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria vengano determinati
alla data di presentazione della richiesta
di permesso di costruire, purché vi sia la
completezza documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica
legislativa gli oneri andassero determinati
al momento del rilascio del titolo, mentre a
seguito della modifica legislativa la
determinazione è anticipata all’atto della
presentazione della richiesta di permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si
deve ritenere che prima della nuova
disciplina valesse il principio sopra
esposto, per cui erano rilevanti le
eventuali innovazioni legislative
intervenute nei trenta giorni ed anche
l’introduzione di nuove tariffe, se
approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo
l’introduzione del comma 7-bis all’art. 38
il calcolo deve essere effettuato con
riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione della domanda del permesso di
costruire.
I Giudici di Palazzo Spada, confermando la
decisione di primo grado hanno evidenziato
che “nessuna delle disposizioni indicate
(n.d.r. cioè le disposizioni della L.R.
12/2005 richiamate anche nel presente
ricorso) è destinata ad incidere sulla
vicenda in scrutinio, che deve quindi essere
esaminata solo in rapporto alla disciplina
generale, fondata sul testo unico
dell’edilizia.”
Proprio in ragione di tale evenienza, è
stato evidenziato che, in disparte l’annosa
questione sulla ricostruzione dell’istituto,
in termini pubblicistici o in termini
privatistici, la lettera della norma (art.
23, comma 1, del testo unico sull’edilizia)
permette la realizzazione delle opere solo
allo spirare del termine di 30 giorni.
“Poiché i contributi urbanistici sono
collegati alla realizzazione delle opere”,
il giudice di appello ha osservato che “deve
convenirsi con la ricostruzione del giudice
di primo grado che vede un nesso tra
l’intervenuta efficacia, data dalla
possibilità effettiva di realizzare
l’intervento, e l’applicazione della
disciplina del calcolo dei costi, che non
può che avvenire in quel momento, in
rispetto di un’ordinaria logica di
corrispettività.”
Da questa impostazione discende che “fino
al momento dell’attribuzione di efficacia,
secondo ed ultimo momento della
realizzazione della fattispecie precettiva,
la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi
ancora possibile, ed anzi doveroso, dare
risalto agli eventi esterni sopravvenuti,
quale è il mutamento dei parametri di
calcolo, come qui esaminato, ma come anche
potrebbe essere il sopraggiungere di una
nuova disciplina urbanistica” (TAR
Lombardia-Milano, sez. II,
sentenza 02.12.2010 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio
attività - Autotutela - Decorso del termine
di legale per interdire i lavori - Esercitabilità del potere di autotutela -
Sussiste - Limiti.
In materia di D.I.A., una volta decorso il
termine legale per interdire i lavori,
decorrente dalla presentazione della stessa,
il Comune può agire -entro un ragionevole
lasso di tempo- solo nell'esercizio del
potere di autotutela, valutando gli
interessi in conflitto, ovverossia
raffrontando l'interesse pubblico alla
demolizione all'interesse del privato alla
conservazione dell'opera, ultimata senza
tempestiva opposizione del Comune stesso
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 717/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 24.11.2010 n.
7356 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'azione avverso la DIA non può
essere esperita oltre i termini previsti per
l'azione contro i titoli edilizi tipici e
nominati, quali il permesso di costruire, la
concessione o l’autorizzazione edilizia.
Sono noti al Collegio i diversi orientamenti
giurisprudenziali che si fronteggiano
riguardo alla natura della DIA
(qualificabile come atto di natura
privatistica oppure come vera e propria
autorizzazione implicita di natura
provvedimentale).
Questo Tribunale ha, tuttavia, già
manifestato adesione all'orientamento
secondo cui la DIA sia da assimilarsi ad un
provvedimento assentivo espresso (cfr. TAR
Marche 27.09.2010 n. 3305 che richiama Cons.
Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550 e Sez. IV,
13.01.2010, n. 72), con la conseguenza che
dopo il decorso del termine di 30 giorni
previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, ossia dopo il
consolidarsi del titolo edilizio,
l’Amministrazione può provvedere
all’adozione di eventuali atti repressivi
solo dopo aver esercitato i propri poteri di
autotutela, qualora ne ricorrano i
presupposti di legge (cfr. Cons. Stato, Sez.
IV, 10.12.2009, n. 7730).
L'odierno Collegio non intravede elementi
per aderire ora al diverso orientamento
privatistico.
Va comunque osservato che entrambi gli
orientamenti paiono concordare nel ritenere
che l'azione avverso la DIA non possa essere
esperita oltre i termini previsti per
l'azione contro i titoli edilizi tipici e
nominati, quali il permesso di costruire, la
concessione o l’autorizzazione edilizia
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13.01.2010 n.
72; id. IV, 25.11.2008 n. 5811; id.
29.07.2008 n. 3742; id. 12.09.2007 n. 4828;
id. 05.04.2007 n. 1550, per l'orientamento
provvedimentale, e Cons. Stato, Sez. VI,
09.02.2009 n. 717 per l'orientamento
privatistico).
In sostanza la determinazione del dies a
quo per impugnare la DIA o per
contestare il silenzio-inadempimento serbato
dal Comune, segue la tesi tradizionale,
ossia quella secondo cui, al fine della
decorrenza del termine per l'impugnazione di
una concessione edilizia rilasciata a terzi,
l'effettiva conoscenza dell'atto si ha
quando la costruzione realizzata rivela in
modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non
conformità della stessa al titolo o alla
disciplina urbanistica, sicché, in mancanza
di altri ed inequivoci elementi probatori,
il termine decorre non con il mero inizio
dei lavori, bensì con il loro completamento,
a meno che non si deducano l'assoluta
inedificabilità dell'area o analoghe
censure, nel qual caso risulta sufficiente
la conoscenza dell'iniziativa in corso (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 08.07.2002 n. 3805).
Del resto questo Collegio osserva che
dilungare ulteriormente il termine per
proporre l'azione giudiziaria violerebbe il
principio di certezza alle situazioni
giuridiche poiché, in caso contrario, si
finirebbe per ammettere “sine die” la
contestabilità di un intervento edilizio
realizzato mediante DIA, poiché sarebbe
sufficiente presentare, in qualunque tempo,
una semplice denuncia di contrasto tra il
titolo e la relativa disciplina, per
rimettere tutto in discussione (peraltro
disponendo del termine lungo per denunciare
la pretesa illegittima inerzia
dell'amministrazione; termine che può essere
protratto fino ad un anno dalla scadenza del
termine assegnato all'amministrazione per
provvedere, salvo poi rinnovarlo con la
presentazione di una nuova denuncia) (TAR
Marche,
sentenza 08.11.2010 n. 3373 - TAR
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. – Natura giuridica –
Provvedimento assentivo espresso quoad
effectum – Poteri di autotutela
dell’amministrazione – Decorso di
30
giorni – Opere realizzate – Adozione di atti
repressivi – Limiti.
Pur nella consapevolezza delle attuali
incertezze dottrinali e giurisprudenziali
circa la natura giuridica della D.I.A.,
sembra preferibile la tesi secondo cui essa
“quoad effectum” sia da assimilarsi
ad un provvedimento assentivo espresso (cfr.
Cons. St., Sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e
Sez. IV, 13.01.2010, n. 72), con la
conseguenza che anche dopo il decorso del
termine di 30 giorni previsto per la
verifica dei presupposti e requisiti di
legge, la P.A. non perde i propri poteri di
autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri di espressione dell’esercizio di
un’attività di secondo grado, estrinsecatesi
nell’annullamento d’ufficio e
nell’autotutela.
Tuttavia una volta consolidatosi il titolo
edilizio per il decorso di trenta giorni
dalla sua presentazione, le opere realizzate
in conformità ad esso non possono ritenersi
abusive, onde l’Amministrazione può
provvedere all’adozione di eventuali atti
repressivi solo dopo aver esercitato i
propri poteri di autotutela, qualora ne
ricorrano i presupposti di legge (Cons. St.,
Sez. IV, 10.12.2009, n. 7730) (TAR Marche,
Sez. I,
sentenza 27.09.2010 n. 3305 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Presupposto - Conformità
dell’opera edilizia agli strumenti
urbanistici - Attività edilizia
oggettivamente abusiva - Ricorso
all’istituto della D.I.A. - Inammissibilità.
L'operatività della D.I.A. è subordinata
alla conformità dell'attività edilizia alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici e,
in generale, della normativa urbanistica
vigente (TAR Toscana Firenze, sez. III,
20.01.2009, n. 21), come dimostra anche la
circostanza che tale denuncia deve essere
accompagnata dalla asseverazione di
conformità (TAR Campania Napoli, sez. IV,
12.01.2009, n. 68) che attesti, tra l’altro,
il rispetto delle norme di sicurezza ed
igienico sanitarie. Ne consegue che, in
assenza di detta conformità
urbanistico-edilizia o alle normative di
settore, il ricorso all’istituto non è, a
priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza
titolo per mancata produzione degli effetti
legali tipici. In altri termini, la valenza
di tale istituto non può trasformare in
lecita e/o legittima un'attività edilizia
oggettivamente abusiva (TAR Campania Napoli,
sez. II, 03.02.2006, n. 1506).
Attività edilizia -
Autorità comunale - Potere di vigilanza -
Potere di sospensione - Ingiunzione di
demolizione - Artt. 23 e 27 d.P.R. n.
380/2001.
Il potere di vigilanza e controllo
sull'attività edilizia attribuito
all'autorità comunale non è limitato alla
previsione di cui all’art. 23, comma 6, del
d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina
della denuncia di inizio attività;
trattandosi, infatti, di un potere generale
attribuito all'autorità amministrativa per
tutti i tipi di intervento edilizio che
avvengono sul territorio di competenza, può
svolgersi senza limiti di tempo e può
esplicarsi sia attraverso l’esercizio del
potere di sospensione che di ingiunzione
alla demolizione da parte dell'ente comunale
ex art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR
Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n.
1506) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III,
sentenza 10.09.2010 n. 1962 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA: la Cassazione chiarisce
l’applicabilità delle sanzioni
amministrative e penali.
Il testo Unico dell’Edilizia, all’art. 22,
individua gli interventi edilizi subordinati
a Denuncia di Inizio Attività.
I commi 1 e 2 del suddetto articolo, in
particolare, individuano gli interventi
realizzabili con DIA, mentre il successivo
comma 3 definisce gli interventi che possono
essere realizzati con DIA in alternativa al
permesso di costruire.
Il successivo Capo II disciplina le sanzioni
per l’esecuzione di interventi edilizi in
assenza o in difformità dai titoli
abilitativi prevedendo sanzioni
amministrative e penali (art. 44).
La Corte di Cassazione ha chiarito i limiti
per l’applicabilità delle sanzioni penali
per l’esecuzione, in assenza o difformità
dai titoli abilitativi, di interventi
eseguibili con DIA.
Quando la DIA si pone come titolo
abilitativo esclusivo (non alternativo,
cioè, al permesso di costruire), la mancanza
della denunzia di inizio dell'attività o la
difformità delle opere eseguite rispetto
alla DIA presentata non comportano
l'applicazione delle sanzioni penali ma
soltanto di quelle amministrative.
Quando invece la DIA si pone come
alternativa al Permesso di Costruire,
l'assenza della Denuncia di Inizio
dell'Attività (e naturalmente del Permesso
di Costruire) o la difformità totale delle
opere eseguite rispetto alla DIA presentata
integrano il reato penale previsto dall’art.
44, comma 1, lettera b). Per la difformità
parziale non trova comunque applicazione la
sanzione penale.
La Cassazione ha inoltre chiarito che è
sanzionabile penalmente, ai sensi dell'art.
44, comma 1, lettera a), del D.P.R.
380/2001, l'esecuzione di interventi
difformi da quanto stabilito da strumenti
urbanistici e regolamenti edilizi, anche se
preceduta da DIA (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 08.09.2010 n. 32974 -
link a www.acca.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Potere di autotutela sulla d.i.a. - Sussiste.
2. Denuncia di
inizio attività - Potere di autotutela sulla d.i.a. - Artt. 19, L. n. 241/1990 - Richiamo
agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, L. n.
241/1990 - Va riferito alla possibilità di
esercitare i poteri di inibizione
dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti.
3. Denuncia di
inizio attività - Autotutela - Decorso del
termine di trenta giorni dalla presentazione
della d.i.a. - Affidamento del privato - Non
prevale sull'interesse pubblico alla
rimozione del titolo abilitativo.
1. Nessun dubbio sussiste sulla possibilità
per l'amministrazione di esercitare il
potere di autotutela sulla d.i.a., e ciò a
prescindere dalla soluzione della questione
di quale sia la natura giuridica che ad essa
si intenda attribuire.
Il potere di
autotutela sulla d.i.a. è da intendersi come
un potere sui generis che della consueta
autotutela decisoria condivide soltanto i
presupposti ed il procedimento -dovendo
essere esercitato entro un ragionevole lasso
di tempo, dopo aver valutato gli interessi
in conflitto e sussistendone le ragioni di
interesse pubblico- e che da essa si
differenzia poiché non implica un'attività
di secondo grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo.
2. Il richiamo, ad opera dell'art. 19 della
l. n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies va riferito alla possibilità di
adottare non già atti di autotutela in senso
proprio, ma di esercitare i poteri di
inibizione dell'attività e di rimozione dei
suoi effetti, nell'osservanza dei
presupposti sostanziali e procedimentali
previsti da tali norme.
3. Non può ritenersi che il decorso del
termine di trenta giorni dalla presentazione
della dichiarazione di inizio attività,
costituente presupposto per l'esercizio del
potere di autotutela, ingeneri un
affidamento che prevalga, per ciò solo, su
ogni interesse pubblico alla rimozione del
titolo abilitativo perché, se così fosse,
verrebbe negata in radice ogni possibilità
per l'amministrazione di intervenire in
autotutela (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.09.2010 n.
5122 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il decorso del termine perentorio
di 30 giorni dalla presentazione della
dichiarazione di inizio attività costituisce
il presupposto per l’esercizio del potere di
autotutela: prima di tale termine
all’amministrazione compete, difatti, il
differente potere di verificare la
sussistenza dei requisiti e presupposti
normativi per l’esercizio dell’attività
oggetto di denuncia e, se del caso, di
inibire l’intervento edilizio.
Già prima dell’entrata in vigore della legge
n. 80/2005, la giurisprudenza affermava la
sussistenza, in capo alla p.a., di un potere
residuale di intervento in autotutela sulla
dichiarazione di inizio attività,
successivamente alla scadenza del termine
previsto dalla legge per l’esercizio del
potere inibitorio (Cons. Stato, sez. IV,
04.09.2002, n. 4453).
Con la legge n. 80/2005, il legislatore ha
recepito questo orientamento
giurisprudenziale ed ha modificato l’art. 19
della l. n. 241/1990 -norma che detta una
disciplina generale della dichiarazione di
inizio attività applicabile anche alla
d.i.a. edilizia- facendo espressamente “salvo
il potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies”.
Nessun dubbio sussiste, dunque, sulla
possibilità per l’amministrazione di
esercitare il potere di autotutela sulla
d.i.a., e ciò a prescindere dalla soluzione
della questione di quale sia la natura
giuridica che ad essa si intenda attribuire.
Il Collegio ritiene, comunque, che il
riferimento all’autotutela possa spiegarsi
anche restando entro i confini della linea
interpretativa secondo cui la d.i.a. è un
atto del privato: il potere di autotutela
sulla d.i.a. è, difatti, da intendersi come
un potere sui generis che della
consueta autotutela decisoria condivide
soltanto i presupposti ed il procedimento
-dovendo essere esercitato entro un
ragionevole lasso di tempo, dopo aver
valutato gli interessi in conflitto e
sussistendone le ragioni di interesse
pubblico- e che da essa si differenzia
poiché non implica un’attività di secondo
grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo.
Il richiamo, ad opera dell’art. 19 della l.
n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e
21-nonies va, quindi, riferito alla
possibilità di adottare non già atti di
autotutela in senso proprio, ma di
esercitare i poteri di inibizione
dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti, nell’osservanza dei presupposti
sostanziali e procedimentali previsti dal
tali norme (Cons. Stato, sez. VI, sent. n.
717/2009).
Il decorso del termine perentorio di 30
giorni dalla presentazione della
dichiarazione di inizio attività costituisce
il presupposto per l’esercizio del potere di
autotutela: prima di tale termine
all’amministrazione compete, difatti, il
differente potere di verificare la
sussistenza dei requisiti e presupposti
normativi per l’esercizio dell’attività
oggetto di denuncia e, se del caso, di
inibire l’intervento edilizio.
Pur se, con il perfezionarsi della d.i.a.,
si consolida in capo al privato una
posizione di affidamento meritevole di
protezione, tuttavia, “tale affidamento
non è certamente così forte da escludere
qualsiasi potere di intervento da parte
della p.a., anche perché altrimenti per
effetto della d.i.a., si andrebbe a
consolidare una posizione più stabile
rispetto a quella che deriva dal
provvedimento autorizzatorio (il quale,
ricorrendo le condizioni di legge, può
essere appunto rimosso in via di autotutela)”
(Cons. Stato, sent. n. 717/2009).
Non può, quindi, ritenersi che il decorso
del termine di 30 giorni ingeneri un
affidamento che prevalga, per ciò solo, su
ogni interesse pubblico alla rimozione del
titolo abilitativo perché, se così fosse,
verrebbe negata in radice ogni possibilità
per l’amministrazione di intervenire in
autotutela.
È, pertanto, legittima la valutazione
compiuta dal Comune di Besozzo che ha
escluso la sussistenza in capo agli istanti
di una posizione di affidamento in
considerazione del decorso di un breve lasso
di tempo tra la pronuncia di questo Tar del
04.12.2007, n. 6542 -di annullamento del
provvedimento del 27.03.2007, con cui il
Comune aveva inibito la realizzazione
dell’attività edilizia oggetto della d.i.a.
(prima di tale momento, difatti, non poteva
sussistere in capo ai ricorrenti alcuna
posizione di affidamento circa la
legittimità dell’attività edilizia ma semmai
la sola aspettativa di un esito positivo
della controversia)- e l’esercizio del
potere di autotutela, con l’adozione, in
data 22.01.2008, del provvedimento
impugnato.
Altresì corretta è stata la considerazione
dell’amministrazione che ha escluso la
sussistenza di una posizione di affidamento
anche perché non era ancora stata posta in
essere alcuna attività edificatoria
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 07.09.2010 n. 5122 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
realizzazione in assenza di DIA si sanziona
pecuniariamente e non con la riduzione in
pristino.
Nel caso trattato dai giudici del capoluogo
marino abruzzese, fa ingresso la nuova
disciplina dell’attività edilizia libera
introdotta dal d.l. 40/2010 convertito in
legge 73/2010 la cui interpretazione non
ancora consolidata ha portato i giudici alla
compensazione delle spese.
Il caso è quello della costruzione, senza
aver ottenuto e richiesto alcun titolo
edilizio, di una struttura di legno composta
da pilastrini e travi su un balcone. Secondo
l’amministrazione comunale ciò basta per
intervenire ordinando la demolizione del
manufatto.
La parte privata resiste: l’intervento
avrebbe potuto legittimamente essere
realizzato senza chiedere alcun titolo
edilizio, in quanto l’opera costituisce un
mero arredo di natura precaria, per altro
verso che in ogni caso, ove l’opera fosse in
realtà soggetta a d.i.a., avrebbe dovuto
applicarsi una sanzione pecuniaria e non
ordinarsi la demolizione.
I giudici non ritengono di dover affrontare
la prima questione, essendo convinti dalla
fondatezza del secondo motivo.
Nell’ordinanza il Comune ha ritenuto di
ricondurre l’opera in questione non
nell’ambito degli interventi che l’art. 10,
I comma, del D.P.R. n. 380/2001, sottopone a
preventivo permesso di costruire, ma a
quelli sottoposti a preventiva denuncia
d’inizio attività ai sensi del successivo
art. 22, I comma.
E’ sulla base di questo assunto che risulta
illegittima la sanzione applicata. Infatti,
l’art. 37 DPR 380/2001 stabilisce che: “La
realizzazione di interventi edilizi di cui
all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza
della o in difformità dalla denuncia di
inizio attività comporta la sanzione
pecuniaria pari al doppio dell'aumento del
valore venale dell'immobile conseguente alla
realizzazione degli interventi stessi e
comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
E solo nel caso in cui le opere realizzate
in assenza di denuncia d’inizio attività
consistono in interventi di restauro e di
risanamento conservativo, eseguiti su
immobili comunque vincolati in base a leggi
statali e regionali l'autorità competente a
vigilare sull'osservanza del vincolo, salva
l'applicazione di altre misure e sanzioni
previste da norme vigenti, può ordinare la
restituzione in pristino a cura e spese del
responsabile.
Nel caso di specie non sussistevano vincoli.
Pertanto la sanzione applicata risulta
illegittima. Il fatto che entri in gioco
anche l’applicazione delle nuove
disposizioni dell’art. 6 del d.l. 40/2010
sulle quali non si è ancora consolidato un
orientamento giurisprudenziale condiviso
suggerisce ai giudici la misura della
compensazione delle spese
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza
08.07.2010 n. 779 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia
di inizio attività - Decorrenza di 20 giorni
- Termine perentorio - Residuale successivo
istituto di autotutela.
Il Comune può inibire la realizzazione delle
opere nel termine perentorio di 20 giorni
dalla data di presentazione della D.I.A.:
una volta spirato detto termine il potere di
riscontro a fini inibitori attribuito
all'amministrazione è esaurito, e la stessa
può provvedere solo avvalendosi
dell'istituto dell'autotutela e della
generale potestà di controllo emanando gli
eventuali provvedimenti sanzionatori ai
sensi dell'art. 21, comma 2, della L. 241/1990
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 01.07.2010 n.
2419 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. attuativa di un P.I.I.
- Parere negativo Collegio di Vigilanza
sull'accordo di programma - Mutamento di
destinazione - Legittimità.
2. D.I.A.
attuativa di un P.I.I. - Diffida comunale
all'esecuzione dei lavori - Attività di
commercio vietata - Sospensione domanda
agibilità - Legittimità.
1. Risulta legittimo il parere negativo
adottato dalla Commissione di Vigilanza
sull'accordo di programma in merito ad una
D.I.A. implicante un mutamento di
destinazione, dalla vendita al dettaglio a
quella all'ingrosso, delle realizzande
strutture al piano sotterraneo di un
complesso cinematografico, in quanto la
destinazione ad attività di vendita
all'ingrosso non è compatibile con le
previsioni degli atti di pianificazione,
P.I.I. e relativo Accordo di Programma,
relativi alla struttura multisala prevedendo
tali atti pianificatori un ruolo accessorio
e sussidiario degli spazi di vendita
rispetto alla principale funzione della
struttura, cioè lo svolgimento di spettacoli
cinematografici.
2. Considerato che l'attività di commercio
all'ingrosso risulta vietata negli spazi
interessati dalla D.I.A. in relazione alla
quale è stata assunta la diffida
all'esecuzione dei lavori impugnata, risulta
legittima la contestuale sospensione della
domanda di agibilità adottata dal Comune in
relazione a tale pratica urbanistica, tenuto
anche conto del potere del Comune di
verificare -ed eventualmente revocare- in
ogni momento l'agibilità dei locali, in
relazione alle loro concrete caratteristiche
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 28.06.2010 n.
2646 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
denunzia di inizio di attività costituisce
una dichiarazione del privato cui la legge,
in presenza di specifiche condizioni,
ricollega effetti tipici corrispondenti a
quelli del permesso di costruire, ma non ha
il carattere del provvedimento
amministrativo, in quanto non promana da una
pubblica amministrazione che ne è la
destinataria e non costituisce esercizio di
una potestà pubblicistica.
Il termine di 30 giorni previsto dall'art.
23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001,
entro il quale l’amministrazione può
esercitare il proprio potere inibitorio
avverso l'intervento presentato con d.i.a.,
deve considerarsi di carattere perentorio,
con la conseguenza che, una volta scaduto
detto termine, potranno pertanto essere
emanati solo provvedimenti di autotutela e
sanzionatori.
La giurisprudenza amministrativa ha
precisato che la denunzia di inizio di
attività costituisce una dichiarazione del
privato cui la legge, in presenza di
specifiche condizioni, ricollega effetti
tipici corrispondenti a quelli del permesso
di costruire, ma non ha il carattere del
provvedimento amministrativo, in quanto non
promana da una pubblica amministrazione che
ne è la destinataria e non costituisce
esercizio di una potestà pubblicistica (TAR
Campania, Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n.
8707).
Il termine di 30 giorni previsto dall'art.
23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001,
entro il quale l’amministrazione può
esercitare il proprio potere inibitorio
avverso l'intervento presentato con d.i.a.,
deve considerarsi di carattere perentorio,
con la conseguenza che, una volta scaduto
detto termine, potranno pertanto essere
emanati solo provvedimenti di autotutela e
sanzionatori (TAR Campania Napoli, Sez. III,
17.04.2008 n. 2300)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 15.06.2010 n. 14339 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio
attività edilizia – Natura giuridica della
dia – autorizzazione implicita di natura provvedimentale – tutela dei terzi –
modalità.
Secondo il recente orientamento del
Consiglio di Stato, dal quale il Collegio
non ravvisa valide ragioni per discostarsi,
il terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a
proporre ricorso direttamente avverso il
titolo abilitativo formatosi a seguito di
D.I.A., il cui possesso è essenziale, non
potendosi da esso prescindere, non
trattandosi di ipotesi di attività edilizia
liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni
(art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del
2001), di una autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, che può essere
contestata dal terzo entro l'ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni,
decorrenti dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della D.I.A., o
dall'avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all'intervento oggetto di D.I.A..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di D.I.A. ha ad oggetto,
quindi, non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità,
o meno, dell'intervento edilizio (cfr. Cons.
Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550; TAR
Sicilia, Catania, II, 15.07.2009, n. 1328)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 14.06.2010 n.
2544 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Nel caso di diffida a non
eseguire i lavori oggetto di dichiarazione
di inizio di attività non occorre la
preventiva comunicazione degli elementi
ostativi ex art. 10-bis L. 241/1990.
La comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento della domanda prevista
dall'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241,
introdotto dalla l. 11.02.2005 n. 15, non è
necessaria nel caso di diffida a non
eseguire i lavori oggetto di dichiarazione
di inizio di attività (Consiglio Stato, sez.
IV, 12.09.2007, n. 4828; TAR Lombardia
Milano, sez. IV, 26.11.2008, n. 5651) (TAR
Sardegna, Sez. II,
sentenza 28.05.2010 n. 1391 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In generale il potere di
autotutela, esercitabile con riferimento ad
una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il
termine di decadenza per l'esercizio dei
poteri inibitori… deve essere opportunamente
coordinato con il principio di certezza dei
rapporti giuridici e di salvaguardia del
legittimo affidamento del privato nei
confronti dell'attività amministrativa.
L’art. 19 l. 241/1990, nel prevedere in
termini generali l’istituto della denunzia
di inizio attività, afferma com’è noto che “l'attività
oggetto della dichiarazione può essere
iniziata decorsi trenta giorni dalla data di
presentazione della dichiarazione
all'amministrazione competente” e che la
stessa “in caso di accertata carenza
delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, nel termine di trenta giorni
dal ricevimento della comunicazione di cui
al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo
periodo del medesimo comma 2, nel termine di
trenta giorni dalla data della presentazione
della dichiarazione, adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti”, salva la possibilità, decorso
il termine suddetto, di agire in autotutela.
In proposito, è ben noto al Collegio
l’orientamento, espresso per tutte da C.d.S.
sez. IV 25.11.2008 n. 5811, e invocato dalla
ricorrente, per cui in generale “il
potere di autotutela, esercitabile con
riferimento ad una d.i.a. anche quando sia
ormai decorso il termine di decadenza per
l'esercizio dei poteri inibitori… deve
essere opportunamente coordinato con il
principio di certezza dei rapporti giuridici
e di salvaguardia del legittimo affidamento
del privato nei confronti dell'attività
amministrativa”.
Tale orientamento, però, presuppone secondo
logica che l’attività sulla quale si va ad
intervenire sia effettivamente quella
oggetto della d.i.a., ritenuta illegittima,
appunto, per mancanza di un qualche
presupposto; viceversa, nessun affidamento
potrebbe sussistere allorquando si
intervenga su una attività diversa e
difforme da quella oggetto della d.i.a.
stessa, che in nessun modo si potrebbe
ritenere legittimata da essa
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 14.05.2010 n. 1767 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Se
prima dello scadere dei 30 gg. dalla data di
presentazione della DIA ovvero
se prima dell'intervenuta efficacia della
DIA presentata il Comune adegua gli
oo.uu. vigenti, la DIA presentata sconta
l'intervenuto aumento degli stessi.
La questione centrale, sulla quale si
fondano le ragioni della decisione, va
individuata nel momento dal quale possono
essere applicate le nuove tariffe degli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria, stabilite dalla delibera n. 73
del 21.12.2007 del Comune di Milano, in
relazione alla presentazione da parte della
società appellante, in data 21.12.2007 allo
sportello unico per l’edilizia, di una
dichiarazione di inizio di attività per
l’esecuzione di opere di completamento di un
immobile, di sua proprietà, sito in Via dei
Missaglia 89.
La scansione temporale dei fatti può essere
sinteticamente riassunta.
La delibera consiliare di approvazione delle
nuove tariffe è stata adottata nella seduta
del 21.12.2007 ed è divenuta esecutiva in
data 08.01.2008. La DIA della società
ricorrente è stata presentata, completa di
tutti gli allegati e dei conteggi degli
oneri, in data 21.12.2007, e quindi il suo
iter formativo si è concluso allo scadere
del termine di 30 giorni di cui al comma 1
dell’art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380
ossia dopo l’intervenuta efficacia della
delibera comunale.
Di fronte a detta situazione, il Comune ha
ritenuto di poter applicare le nuove tariffe
a “tutte le denuncie di inizio attività
che acquistano efficacia dopo l’entrata in
vigore della citata deliberazione e quindi
presentate dopo l’08.12.2007” e pertanto
anche alla DIA presentata dalla società
appellante. Al contrario, la Blue Milano
s.r.l. ritiene che il calcolo degli oneri di
urbanizzazione e del costo di costruzione
vada fatto in relazione alla situazione di
diritto esistente al momento della
presentazione della dichiarazione, in forza
del combinato disposto degli artt. 42, 44 e
48 della Legge regionale Lombardia
11.03.2005 n. 12 “Legge per il governo
del territorio”.
In merito a quest’ultima affermazione, la
Sezione ritiene corretta la ricostruzione
operata dal TAR che ha evidenziato
l’irrilevanza delle disposizioni regionali.
Infatti, l’art. 42, commi 2 e 3, in tema di
denuncia di inizio attività, stabilisce che
“Nel caso in cui siano dovuti oneri di
urbanizzazione e costo di costruzione, il
relativo calcolo è allegato alla denuncia di
inizio attività e il pagamento è effettuato
con le modalità previste dalla vigente
normativa, fatta comunque salva la
possibilità per il comune di richiedere le
eventuali integrazioni. La quota relativa
agli oneri di urbanizzazione è corrisposta
al comune entro trenta giorni successivi
alla presentazione della denuncia di inizio
attività, fatta salva la facoltà di
rateizzazione”.
Si tratta di una disposizione che riguarda
le modalità di adempimento, e non il
perfezionamento della denuncia di attività.
Infatti, se la norma dovesse essere letta
come attributiva di efficacia alla DIA in
raccordo al suo momento di presentazione, si
assisterebbe alla singolare circostanza che
il pagamento sarebbe dovuto anche se, nel
corso del termine di 30 giorni,
l’amministrazione dovesse intervenire con
l’ordine motivato di blocco dei lavori.
L’art. 44, comma 12, in materia di oneri di
urbanizzazione, in merito agli interventi
comportanti modificazioni delle destinazioni
d'uso su edifici esistenti, prevede che “per
quanto attiene all'incidenza degli oneri di
urbanizzazione primaria e secondaria, il
contributo dovuto è commisurato alla
eventuale maggior somma determinata in
relazione alla nuova destinazione rispetto a
quella che sarebbe dovuta per la
destinazione precedente e alla quota dovuta
per le opere relative ad edifici esistenti,
determinata con le modalità di cui ai commi
8 e 9”, e dispone al comma 13 che “L'ammontare
dell'eventuale maggior somma va sempre
riferito ai valori stabiliti dal comune alla
data del rilascio del permesso di costruire,
ovvero di presentazione della denuncia di
inizio attività.”
Si tratta di un caso molto particolare, non
valido nella situazione in scrutinio, e che
non appare irragionevole differenziare dal
regime ordinario di DIA, atteso che il
mutamento di destinazione d’uso è ex lege
oggetto di disciplina regionale.
Infine, l’art. 48, comma 7, sul costo di
costruzione, afferma che “La quota di
contributo relativa al costo di costruzione,
determinata all'atto del rilascio, ovvero
per effetto della presentazione della
denuncia di inizio attività, è corrisposta
in corso d'opera, con le modalità e le
garanzie stabilite dal comune e comunque non
oltre 60 giorni dalla data dichiarata di
ultimazione dei lavori”.
Anche in relazione a tale ultima
disposizione, valgono le considerazioni
sopra espresse sulle conseguenze
irragionevoli che deriverebbero dalla
ricostruzione proposta dall’appellante.
Nessuna delle disposizioni indicate è quindi
destinata ad incidere sulla vicenda in
scrutinio, che deve quindi essere esaminata
solo in rapporto alla disciplina generale,
fondata sul testo unico dell’edilizia.
Proprio in ragione di tale evenienza,
occorre evidenziare che, in disparte
l’annosa questione sulla ricostruzione
dell’istituto, in termini pubblicistici,
come è l’orientamento di questa Sezione, o
in termini privatistici, dove si fa
risaltare l’azione del cittadino, il testo
normativo (art. 23, comma 1, del testo unico
sull’edilizia) permette la realizzazione
delle opere solo allo spirare del termine di
30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono
collegati alla realizzazione delle opere,
deve convenirsi con la ricostruzione del
giudice di primo grado che vede un nesso tra
l’intervenuta efficacia, data dalla
possibilità effettiva di realizzare
l’intervento, e l’applicazione della
disciplina del calcolo dei costi, che non
può che avvenire in quel momento, in
rispetto di un’ordinaria logica di
corrispettività.
Ciò comporta che fino al momento
dell’attribuzione di efficacia, secondo ed
ultimo momento della realizzazione della
fattispecie precettiva, la vicenda non è
ancora conclusa ed è quindi ancora
possibile, ed anzi doveroso, dare risalto
agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il
mutamento dei parametri di calcolo, come qui
esaminato, ma come anche potrebbe essere il
sopraggiungere di una nuova disciplina
urbanistica.
Deve quindi ritenersi corretta
l’interpretazione adottata dal Comune di
Milano nell’atto principalmente gravato, del
quale va quindi confermata la legittimità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.05.2010 n. 2922 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Consiglio
di Stato: d.i.a., e' atto privato.
Nuovo giro, nuova corsa. Contraddicendo
varie sentenze precedenti il Consiglio di
Stato afferma che la d.ia. costituisce atto
privato, non impugnabile. E' invece
impugnabile il silenzio dell p.a.
sull'istanza del privato volta a rimuoverne
gli effetti.
Cosa accadrà con la scia?
E' prioritario stabilire se sia ammissibile
l’impugnativa diretta di una d.i.a.
edilizia.
Sul punto il collegio non intende
discostarsi dalle conclusioni cui è giunta
la giurisprudenza di questo Consiglio che
reputa inammissibile una domanda di
annullamento di un atto che ha natura
oggettivamente e soggettivamente privata
(cfr. Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n.
1474; 19.09.2008, n. 4513, cui si rinvia a
mente dell’art. 9, l. n. 205 del 2000).
Deve pertanto essere confermata la
statuizione del primo giudice in ordine
all’inammissibilità del ricorso nrg.
4586/2004 e dei connessi motivi aggiunti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.05.2010 n. 2919 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
BENI CULTURALI ED AMBIENTALI -
Area vincolata - Esecuzione di opere
soggette a denuncia di inizio attività (d.i.a.)
- Disciplina della DIA - Artt. 22, co. 6, e
23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001 - Rilascio
del nulla-osta dall’autorità preposta alla
tutela del vincolo - Necessità.
Nelle ipotesi di interventi da effettuare su
immobili siti in zone sottoposte a vincolo,
la disciplina della DIA è ricavabile dal
combinato disposto degli artt. 22, co. 6, e
23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001.
La prima norma consente la presentazione
della denuncia anche con riferimento a tale
tipologia di immobili, purché la
realizzazione delle opere sia, comunque,
preceduta dal rilascio, secondo lo schema
delineato dal successivo articolo, del
relativo atto di assenso, ovvero, del parere
favorevole dell'Amministrazione comunale.
Pertanto, per gli interventi edilizi su
manufatti in zona vincolata la denuncia di
inizio attività costituisce titolo
abilitativo solo se sia già stato rilasciato
il nulla-osta dall'autorità preposta alla
tutela del vincolo medesimo (Cass.
20/03/2002, n. 246) (conferma ordinanza del
Tribunale di Latina del 17/12/2009) (Corte
di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.05.2010 n. 17973 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Recupero
sottotetti in deroga allo strumento
urbanistico - Normativa applicabile - L.R.
n. 12/2005 - Lavori non assentibili.
In caso di denunzia di inizio attività
relativa a lavori di recupero sottotetti
trovano applicazione le prescrizione degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute,
vigenti al momento della scadenza del
termine di trenta giorni dalla sua
presentazione, non applicandosi di
conseguenza nella specie la L.R. n. 15/1996,
che consentiva il recupero dei sottotetti
anche in deroga allo strumento urbanistico,
ma la L.R. n. 12/2005 che, anche nella
versione antecedente alle innovazioni della
L.R. n. 20/2005, non ha previsto la
possibilità di eseguire trasformazioni dei
sottotetti in deroga ad indici e parametri
stabiliti dagli strumenti urbanistici
comunali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 06.05.2010 n.
1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A prescindere dalla ricostruzione
dottrinaria alla quale si aderisca, la
D.i.a. va impugnata comunque nel termine
decadenziale.
Il caso commentato dimostra come la tutela
nei confronti della DIA prescinda dalla
scelta dottrinaria in ordine alla sua
natura. In effetti sia che si voglia
ricondurre la denuncia nell'alveo degli atti
privati, sia che le si voglia attribuire il
valore di provvedimento (di implicito
provvedimento), quando si voglia evidenziare
l'irregolarità della medesima non si può
prescindere dal ricorso alla via giudiziaria
in tempi utili. Anche un ricorso avverso una
DIA deve essere pertanto presentato nel
termine decadenziale di 60 giorni
dall'avvenuta conoscenza della DIA come
stabilito dall'art. 21 della legge TAR.
Secondo i giudici di Palazzo Spada
quand'anche si volesse attribuire alla DIA
il valore di atto privato, l'azione volta
all'accertamento della insussistenza dei
suoi requisiti sarebbe comunque assoggettata
al termine decadenziale. Se poi, come è
accaduto nel caso oggetto della sentenza, il
privato abbia impugnato la nota
dell'amministrazione con la quale la
medesima, negando la necessità del ricorso
all'autotutela, confermava la validità della
DIA, di certo, la tardività
dell'impugnazione sarebbe manifesta.
A fronte di un’istanza di un privato intesa
a sollecitare l’esercizio di poteri di
autotutela, l’Amministrazione non ha alcun
obbligo di rispondere in modo espresso; dal
che non può non discendere anche che,
qualora l’istanza sia riscontrata con un
atto nel quale l’Amministrazione si limita a
escludere l’avvio di un procedimento di
autotutela, tale atto non è autonomamente
impugnabile, risolvendosi in una mera
conferma della legittimità del precedente
operato della stessa Amministrazione, ormai
definitivo e inoppugnabile (al contrario, in
caso di effettivo esercizio dei poteri di
autotutela, gli atti eventualmente posti in
essere –di annullamento, revoca o
quant’altro– potranno naturalmente essere
impugnati dagli interessati, costituendo
rinnovata esplicazione del potere pubblico).
In definitiva, la persona interessata che
abbia avuto conoscenza dell'esistenza della
DIA, legittimamente può far valere i propri
diritti seguendo strade alternative a quella
della proposizione di un ricorso
giurisdizionale (esercizio di azioni in sede
civile, sollecitazione di interventi in
autotutela alla stessa Amministrazione
comunale), ciò però, a causa del decorso del
tempo, le preclude la possibilità di poter
in seguito esperire tale rimedio (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2558 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’azione
di accertamento di insussistenza dei
presupposti per la d.i.a., costituente in
tale ipotesi il rimedio a disposizione del
terzo che si ritenga leso dall’intervento
posto in essere in esecuzione di essa, deve
restare anch’essa soggetta al termine
decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della
legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla
conoscenza della d.i.a..
Il primo giudice ha aderito alla tesi
secondo cui la d.i.a. costituisce un atto di
natura privata, recentemente sostenuta –come
noto- dalla Sesta Sezione di questo
Consiglio di Stato (dec. nr. 917 del
09.02.2009); permangono però a tutt’oggi
pronunce nelle quali la d.i.a. viene
qualificata come provvedimento implicito,
impugnabile secondo gli ordinari criteri
(cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV,
13.01.2010, nr. 72).
Anche a voler
effettivamente aderire alla tesi “privatistica”,
appare corretto concludere –come ritenuto
dal giudice di primo grado– che l’azione di
accertamento di insussistenza dei
presupposti per la d.i.a., costituente in
tale ipotesi il rimedio a disposizione del
terzo che si ritenga leso dall’intervento
posto in essere in esecuzione di essa, debba
restare anch’essa soggetta al termine
decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della
legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla
conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la
citata decisione nr. 917 del 2009).
Laddove, al contrario, si propenda per la
natura provvedimentale della d.i.a., a
fortiori essa dovrà essere impugnata nel
medesimo termine a partire dal perfezionarsi
del titolo abilitativo implicito, alla
scadenza del trentesimo giorno dalla
presentazione della dichiarazione (ovvero,
come ordinariamente accadrà, dal momento
della conoscenza che il terzo abbia avuto di
tale titolo).
Devono considerarsi validi anche in tale
settore (in materia di d.i.a.) i consolidati
principi giurisprudenziali per cui, a fronte
di un’istanza di un privato intesa a
sollecitare l’esercizio di poteri di
autotutela, l’Amministrazione non ha alcun
obbligo di rispondere in modo espresso; dal
che non può non discendere anche che,
qualora l’istanza sia riscontrata con un
atto nel quale l’Amministrazione si limita a
escludere l’avvio di un procedimento di
autotutela, tale atto non è autonomamente
impugnabile, risolvendosi in una mera
conferma della legittimità del precedente
operato della stessa Amministrazione, ormai
definitivo e inoppugnabile (al contrario, in
caso di effettivo esercizio dei poteri di
autotutela, gli atti eventualmente posti in
essere –di annullamento, revoca o
quant’altro– potranno naturalmente essere
impugnati dagli interessati, costituendo
rinnovata esplicazione del potere pubblico)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
6 -
Quanto all'irrogazione di sanzione
pecuniaria per la riscontrata realizzazione
di opere edili senza la preventiva denuncia
di inizio attività (Geometra
Orobico n. 2/2010). |
EDILIZIA PRIVATA:
Interventi soggetti a D.I.A. -
Art. 23 T.U.ED. - Amministrazione procedente
- Condizioni ostative ulteriori rispetto
alle previsioni normative - Illegittimità.
Poiché l’art. 23 del testo unico edilizia
richiede che gli interventi soggetti a
D.I.A., ai fini della loro ammissibilità,
siano unicamente conformi agli strumenti
urbanistici ed edilizi, alle norme di
sicurezza ed a quelle di carattere
igienico-sanitario, si deve ritenere che
fuori da tali ipotesi la PA procedente non
possa prospettare condizioni ostative alla
realizzazione dell’intervento ulteriori o
afferenti ad interessi non rientranti tra
quelli eminentemente ascritti alla sua sfera
di competenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1064 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dichiarazione inizio attività
- Termine di impugnazione - Azione di
accertamento - Impugnazione diretta -
Oscillazione giurisprudenziale - Errore
scusabile - Rimessione in termini -
Sussiste.
In ragione dell'oscillazione
giurisprudenziale in merito alle modalità di
impugnazione di una D.I.A., ovvero nel
considerarla o un atto privato in relazione
al quale al terzo è riconosciuta solo
un'azione di accertamento dell'insussistenza
dei presupposti per la presentazione o, al
contrario, un provvedimento amministrativo
tacito passibile di impugnazione diretta per
l'annullamento da parte del terzo,
sussistono i presupposti per il
riconoscimento dell'errore scusabile in capo
ai ricorrenti in merito al termine per la
presentazione del ricorso (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.04.2010 n.
1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. - Potere dell'amministrazione di
inibire l'esecuzione dei lavori - Termine di
30 giorni - Decorrenza - Intervento
inibitorio e autotutela - Differenze.
Oltre il termine di 30 gg. di cui
all'art. 42, co. 9, l.r. 12/2005, il potere
dell'amministrazione comunale di inibire
l'esecuzione dei lavori oggetto di d.i.a.
deve ritenersi consumato, salvo l'esercizio
dei poteri di revoca ed annullamento in
autotutela.
Ciò non significa che il potere
di vigilanza e controllo sull'attività
edilizia attribuito all'autorità comunale
dall'art. 27, co. 1, del d.p.r 380/2001 sia
limitato da tale previsione; si tratta,
infatti, di un potere generale attribuito
all'autorità amministrativa per tutti i tipi
di interventi edilizi che avvengono sul
territorio di competenza, ma tale potere -decorsi i 30 gg.- non deve svolgersi più
nelle forme dell'intervento inibitorio, ma
in quelle della procedura di autotutela di
cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies
della l. 241/1990, come modificata dalla l.
15/2005.
Lo schema dei poteri spettanti
all'autorità comunale a seguito della
presentazione della d.i.a. presenta,
infatti, una bipartizione di regime: nei
primi 30 gg. decorrenti dalla data di
presentazione della denuncia il Comune può
intervenire con il potere inibitorio
dell'attività edilizia che impedisce il
perfezionarsi della fattispecie della d.ia.;
decorso tale termine, invece, tale potere
può svolgersi soltanto nelle forme del
provvedimento di autotutela, e quindi
seguendo differenti presupposti (in tema di
motivazione sull'interesse pubblico) e
procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis
l. 241/1990) (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
21.04.2010 n.
1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Recupero abitativo
sottotetto - Successione di norme - Norme
applicabili - Scadenza del termine di
presentazione.
2. D.I.A. -
Recupero abitativo sottotetto - Diffida
dall'iniziare le opere - Conformarsi a legge
sopravvenuta - L.R. Lombardia n. 12/2005 -
Difetto di motivazione - Sussiste.
1. In caso di denuncia di inizio attività
trovano applicazione le prescrizioni degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente sopravvenute
vigenti al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla sua
presentazione, in quanto l'art. 39, c. 5-bis, e l'art. 40, c. 4-bis, D.P.R. n.
380/2001, dispongono, nel disciplinare la
potestà regionale di annullamento del
permesso di costruire e, rispettivamente, i
poteri sostitutivi della regione in tema di
sospensione o demolizione di interventi
abusivi, di sanzionare gli interventi
edilizi realizzati su D.I.A. in contrasto
con la normativa urbanistico-edilizia
vigente al momento della scadenza del
termine di 30 giorni dalla presentazione
della denuncia di inizio attività.
2. Il generico rilievo, mosso con la diffida
dall'iniziare le opere, secondo cui la
D.I.A. deve conformarsi alla sopravvenuta
legge regionale n. 12 del 2005 non consente
in alcun modo di comprendere sotto quale
profilo il progetto presentato con la D.I.A.
si ponga, ad avviso del Comune, in contrasto
con la normativa sopravvenuta, risultando
conseguentemente la diffida impugnata
illegittima per difetto di motivazione
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 20.04.2010 n.
1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia Inizio Attività -
Preavviso di diniego - Art. 10-bis L. n.
241/1990 - Clausola di salvezza -
Inapplicabile.
La presentazione di una D.I.A. non dà avvio
ad un procedimento ad istanza di parte
pertanto l'onere del preavviso di diniego
dell'art. 10-bis L. n. 241/1990 è
inapplicabile e, inoltre, incompatibile con
il termine ristretto entro il quale
l'Amministrazione deve provvedere, non
essendo fra l'altro previste parentesi
procedimentali produttive di sospensione del
termine stesso (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.04.2010 n.
1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
d.i.a. non ha natura provvedimentale,
trattandosi al contrario di un atto del
privato, come tale non immediatamente
impugnabile innanzi al TAR.
Ll sentenza che accerta l’inesistenza dei
presupposti della d.i.a. ha effetti
conformativi nei confronti
dell’Amministrazione, in quanto le impone di
porre rimedio alla situazione nel frattempo
venutasi a creare sulla base della d.i.a.,
segnatamente di ordinare l’interruzione
dell’attività e l’eventuale riduzione in
pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Il Collegio ritiene di confermare
l’orientamento (già espresso da questa
Sezione con la decisione n. 717/2009),
secondo cui la d.i.a. non ha natura
provvedimentale, trattandosi al contrario di
un atto del privato, come tale non
immediatamente impugnabile innanzi al T.a.r..
L’azione a tutela del terzo che si ritenga
leso dall’attività svolta sulla base della
d.i.a. non è, quindi, l’azione di
annullamento, ma l’azione di accertamento
dell’inesistenza dei presupposti della
d.i.a.. Tale azione (che sebbene non
espressamente prevista trova il suo
fondamento nel principio dell’effettività
della tutela giurisdizionale sancito
dall’art. 24 Cost.) va proposta nei
confronti del soggetto pubblico che ha il
compito di vigilare sulla d.i.a. (verso il
quale si produrranno poi gli effetti
conformativi derivanti dall’eventuale
sentenza di accoglimento), in
contraddittorio con il denunciante, che
assume la veste di soggetto
controinteressato (perché l’eventuale
accoglimento della domanda di accertamento
andrebbe ad incidere negativamente sulla sua
sfera giuridica).
E’ appena il caso di precisare che la
sentenza che accerta l’inesistenza dei
presupposti della d.i.a. ha effetti
conformativi nei confronti
dell’Amministrazione, in quanto le impone di
porre rimedio alla situazione nel frattempo
venutasi a creare sulla base della d.i.a.,
segnatamente di ordinare l’interruzione
dell’attività e l’eventuale riduzione in
pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Tale potere, in quanto volto a dare
esecuzione al comando implicitamente
contenuto nella sentenza di accertamento,
deve essere esercitato a prescindere sia
dalla scadenza del termine perentorio
previsto dall’art. 19 l. n. 241/1990 per
l’adozione dei provvedimenti
inibitori-repressivi, sia dalla sussistenza
dei presupposti dell’autotutela decisoria
richiamati sempre dall’art. 19.
Non si tratta, infatti, né di un potere di
autotutela propriamente inteso (e, quindi,
non richiede alcuna valutazione
sull’esistenza di un interesse pubblico
attuale e concreto prevalente sull’interesse
del privato), né del potere inibitorio
tipizzato dall’art. 19 l. n. 241/1990 (per
il quale è previsto il termine perentorio).
Si tratta, al contrario, di un potere che ha
diversa natura e che trova il suo fondamento
nell’effetto conformativo del giudicato
amministrativo, da cui discende, appunto, il
dovere per l’Amministrazione di determinarsi
tenendo conto delle prescrizioni impartite
dal giudice nella motivazione della sentenza
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.04.2010 n. 2139 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia
di inizio attività - Inibizione
dell'esecuzione - Annullamento del
provvedimento inibitorio - Conseguenze -
Perfezionamento titolo - Non sussiste -
Decorrenza nuovo termine di verifica per la
P.A. - Sussiste.
L'annullamento giurisdizionale di
decisione negativa in sede di controllo (nel
caso di specie, provvedimenti inibitori
dell'attività costruttiva oggetto di DIA)
comporta necessariamente il riesercizio del
relativo potere da parte della P.A.
controllante, salvo quando l'annullamento si
sia basato sulla tardività della decisione
di controllo, entro un nuovo termine
decorrente dalla comunicazione in via
amministrativa della sentenza (cfr. Cons. di
Stato, sent. n. 194/1994) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.04.2010 n.
1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Moro,
La controversa natura giuridica della D.I.A.
(link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: La
dichiarazione d’inizio attività non ha
natura provvedimentale, trattandosi di un
atto privato, e non è, pertanto, ad essa
pertinente un’azione di annullamento,
potendo la stessa semplicemente costituire
presupposto per l’attivazione dei poteri
inbitori della amministrazione,
eventualmente stimolati da altri soggetti
privati che si ritengano lesi dall’opera
denunciata; né può attribuirsi carattere
provvedimentale, onde ammettere che essa
possa formare oggetto di ricorso
giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta
dall’amministrazione a seguito del
ricevimento della D.I.A., che rileva quale
puro fatto.
Il Collegio condivide al riguardo
l’indirizzo, ormai prevalente, secondo il
quale (v., recentemente, Cons. Stato, Sez IV,
13.05.2010, n. 2139 e id, Sez. VI,
15.04.2010, n. 2139, cui si rinvia, a mente
dell’art. 88, comma 2, lett. d, c.p.a.) la
dichiarazione d’inizio attività non ha
natura provvedimentale, trattandosi di un
atto privato, e non è, pertanto, ad essa
pertinente un’azione di annullamento,
potendo la stessa semplicemente costituire
presupposto per l’attivazione dei poteri
inbitori della amministrazione,
eventualmente stimolati da altri soggetti
privati che si ritengano lesi dall’opera
denunciata; né può attribuirsi carattere
provvedimentale, onde ammettere che essa
possa formare oggetto di ricorso
giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta
dall’amministrazione a seguito del
ricevimento della D.I.A., che rileva quale
puro fatto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
19.09.2008, n. 4513)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 08.04.2010 n. 656 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di inizio attività -
Scadenza del termine di trenta giorni -
Prescrizioni di strumenti urbanistici e
innovazioni normative sopravvenute -
Applicabilità.
2. Denuncia di
inizio attività - Notifica dell'atto
inibitorio - Obbligo di osservanza del
termine di trenta giorni - Non sussiste.
1. In caso di denuncia di inizio attività
trovano applicazione le prescrizioni degli
strumenti urbanistici e le norme legislative
e regolamentari eventualmente medio tempore
sopravvenute, vigenti al momento della
scadenza del termine di 30 giorni dalla sua
presentazione (cfr. TAR Milano, sent. n.
587/2006, confermata anche in appello da
Cons. di Stato, sent. n. 3758/2007).
2. Il termine di
30 giorni dalla
presentazione della d.i.a., valevole per
l'emanazione dell'ordine di non effettuare
l'intervento, non vale anche per la notifica
(cfr. TAR Milano, sent. nn. 1793/2006 e
586/2006) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.04.2010 n.
972 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Con
la nuova formulazione della legge 241/1990,
anche la “dichiarazione” di inizio attività
in materia urbanistico-edilizia è stata
disciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l'esecuzione
dell'opera, l'amministrazione, nel caso in
cui l'opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi -e cioè
rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo a quello che sarebbe possibile
adottare per rimuovere un'autorizzazione
espressa.
Una volta formatosi il titolo edilizio
conseguente alla d.i.a., l'intervento in
autotutela dell'Amministrazione può essere
giustificato soltanto nell'ambito di un
procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies,
della legge 241/1990, previo avviso di avvio
del procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento.
Ai fini del tempestivo esercizio del potere
inibitorio, in materia di d.i.a., è
necessario far riferimento al momento in cui
l’atto interdittivo venga partecipato al suo
destinatario e cioè il termine è osservato
soltanto se prima della sua maturazione (30
gg. dalla data di presentazione della d.i.a.
al protocollo comunale) l'atto sia non
soltanto adottato, ma anche notificato.
Deve essere condivisa la censura con cui il
ricorrente deduce l’intervenuta estinzione
del potere inibitorio riservato
all’Amministrazione nel caso di interventi
edilizi realizzabili con d.i.a..
Al riguardo, è utile osservare che, ai sensi
dell'articolo 19, comma 3, della legge
241/1990, come sostituito dall'articolo 3
del d.l. 35/2005, convertito in legge
80/2005, applicabile ratione temporis
alla vicenda in esame, “l'amministrazione
competente, in caso di accertata carenza
delle condizioni, modalità e fatti
legittimanti, nel termine di 30 giorni dal
ricevimento della comunicazione (...) adotta
motivati provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell'attività e di rimozione
dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia
possibile, l'interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività ed i suoi effetti entro un termine
fissato dall'amministrazione stessa, in ogni
caso non inferiore a 30 giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR
Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167;
TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007,
n. 2253) ritiene che con la nuova
formulazione della legge 241/1990, anche la
“dichiarazione” di inizio attività in
materia urbanistico-edilizia sia stata
disciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l'esecuzione
dell'opera, l'amministrazione, nel caso in
cui l'opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi -e cioè
rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo (anche per quanto riguarda i
presupposti ed il modus procedendi) a
quello che sarebbe possibile adottare per
rimuovere un'autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il
titolo edilizio conseguente alla d.i.a.,
l'intervento in autotutela
dell'Amministrazione può essere giustificato
soltanto nell'ambito di un procedimento di
secondo grado di annullamento o revoca
d'ufficio, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies, della legge
241/1990, previo avviso di avvio del
procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento (cfr. TAR
Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74).
Ai fini del
tempestivo esercizio del potere inibitorio è
necessario far riferimento al momento in cui
l’atto interdittivo venga partecipato al suo
destinatario.
Sul punto, vale richiamare il tenore della
disposizione normativa di riferimento –art.
23, comma 6, del d.p.r. 380/2001- secondo
cui “il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ove entro il
termine indicato al comma 1 sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento….”.
Ad una piana lettura della richiamata
disposizione, appare, invero, dirimente il
chiaro tenore del contenuto precettivo della
disposizione di riferimento, dal quale si
evince la natura recettizia del
provvedimento de quo, sicché il
dies ad quem è rappresentato dalla sua
notifica, nel senso che il termine è
osservato soltanto se prima della sua
maturazione l'atto sia non soltanto
adottato, ma anche notificato (cfr. TAR
Campania, Napoli, Sezione II, n. 2093
dell’11.04.2008; idem, 25.06.2005, n. 8707)
(TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 30.03.2010 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di non
effettuare l'intervento notificato dopo
30 giorni dalla presentazione della d.i.a., ma emanato entro tale termine -
Legittimità - Sussiste.
L'ordine di non effettuare l'intervento
non è tardivo, se ancorché notificato dopo
il decorso di 30 giorni dalla
presentazione della d.i.a, è emanato entro
detto termine; il termine di 30 giorni
dalla presentazione della d.i.a. vale per
l'emanazione dell'ordine di non effettuare
l'intervento, e non anche per la notifica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
30.03.2010 n. 839 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Provvedimento
inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. -
Tardività - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Non
sussiste.
Non è tardivo il provvedimento di inibizione
dei lavori di cui alla D.I.A. presentata dal
ricorrente in quanto il rispetto del termine
dei trenta giorni di cui all'art. 23, comma
6, D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio
dell'attività inibitoria, va verificato con
riferimento all'adozione del provvedimento e
non all'avvenuta notifica dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.03.2010 n.
536 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il parere concernente la
compatibilità paesaggistica è presupposto
per la decorrenza del termine per la D.I.A..
Nel caso di coinvolgimento in via
sostitutiva della Soprintendenza, infatti,
non operava l’istituto del silenzio assenso
ma, semmai, quello del silenzio rifiuto in
relazione ad un parere obbligatorio
normativamente previsto.
In seguito alla sospensione, da parte del
comune in causa, dei lavori per
l’installazione di un impianto di telefonia
mobile, la società ricorrente ha, pertanto,
contestato allo stesso la violazione degli
artt. 146 e 159 del D.Lgs. n. 42/2004 e
dell’art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003.
Il Tribunale amministrativo di Firenze,
rilevando la fondatezza del ricorso, ricorda
che l’art. 87, comma 9, d.lgs. n. 259/03
applicabile alla fattispecie, prevede che “Le
istanze di autorizzazione e le denunce di
attività di cui al presente articolo…si
intendono accolte qualora, entro novanta
giorni dalla presentazione del progetto e
della relativa domanda, fatta eccezione per
il dissenso di cui al comma 8, non sia stato
comunicato un provvedimento di diniego…”.
Tale disposizione, facendo espresso richiamo
al “dissenso di cui al comma 8” –che
prevede il motivato dissenso espresso da un
Amministrazione preposta alla tutela
ambientale, alla tutela della salute o alla
tutela del patrimonio storico-artistico–
chiarisce che l’automaticità del silenzio
assenso come invocato, anche nelle sue
difese, dal Comune non opera qualora sia
necessaria la pronuncia di un’Autorità
preposta alla tutela dei particolari beni di
rilevante importanza sociale individuati dal
richiamato comma 8, dovendosi attendere una
pronuncia espressa in tal senso.
Si ricorda che già lo stesso Tribunale
toscano aveva precisato, in applicazione
della normativa precedente al d.lgs. n.
42/2004, che le opere relative
all’installazione di una stazione radio base
per telefonia mobile, in zona soggetta a
vincolo paesaggistico, devono essere
precedute dal rilascio dell’autorizzazione
prevista dall’art. 151 T.U. n. 490/1999 (TAR
Toscana, Sez. I, 22.12.04, n. 6625).
Tale conclusione è stata avallata anche da
successiva giurisprudenza –con cui i giudici
fiorentini sono concordi– per la quale il
parere dell’autorità competente alla tutela
del vincolo paesaggistico si configura come
un presupposto di validità della d.i.a., e
non quale semplice condizione di efficacia
della stessa, come per i titoli edilizi la
cui normativa non può essere invocata in
applicazione analogica (Cons. Stato, Sez. VI,
21.1.2005, n. 100).
La necessità della preventiva acquisizione
di detto parere emerge chiaramente, a
contrario, dallo stesso dato normativo
rilevabile nell’art. 87, commi 6,7, 8 e 9,
d.lgs. n. 259/03 che, nel prevedere
espressamente che il parere contrario (c.d.
“motivato dissenso”) assunto
dall’Amministrazione preposta alla tutela
ambientale ovvero della salute ovvero del
patrimonio storico-artistico impedisce la
formazione del silenzio assenso postula,
evidentemente, la necessità che un parere
comunque venga espresso (TAR Campania, Na,
Sez. VII, 06.04.2006, n. 3454).
Se, dunque, la mancanza del parere
concernente la compatibilità paesaggistica o
storico-artistica è stato ritenuto legittimo
motivo di reiezione della D.I.A. (TAR
Sicilia, Pa, Sez. II, 22.2.05, n. 203),
tanto più –aggiungono gli stessi giudici- la
sua presenza appare necessaria come
presupposto per la decorrenza del termine
osservato dalla società ricorrente (commento
tratto da www.documentazione.ancitel.it -
TAR Toscana, Sez. II,
sentenza
03.03.2010 n. 589 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
F. Petrillo,
L’applicabilità del preavviso di rigetto ex
articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990
- Con particolare riferimento ai
procedimenti destinati a concludersi con le
varie tipologie di silenzio ed a quelli
avviati con la presentazione della d.i.a.
(link a www.filodiritto.com). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso di presentazione di una D.I.A. anche
dopo il decorso del termine di 30 giorni
l'Amministrazione non perde i suoi poteri di
autotutela sia come potere di vigilanza e
sanzionatorio, sia come potere di
annullamento d'ufficio in tutti i casi di
accertamento della mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti al cui possesso
l'ordinamento di settore subordina
l'espletamento dell'attività medesima.
Anche dopo il decorso del termine di 30
giorni previsto dall'art. 23 TU 06.06.2001
n. 380 e decorrente dalla denuncia di inizio
attività edilizia per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde i suoi poteri di
autotutela sia come potere di vigilanza e
sanzionatorio, sia come potere di
annullamento d'ufficio in tutti i casi di
accertamento della mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti al cui possesso
l'ordinamento di settore subordina
l'espletamento dell'attività medesima (Cons.
Stato IV 25.11.2008 n. 5811; V 19.06.2006 n.
3586)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.02.2010 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il rifiuto del destinatario di
ricevere il diniego di d.i.a vale a
considerare eseguita ex art. 138 c.p.c. la
notifica dell'atto, con conseguente
decorrenza dei termini per la sua
impugnazione.
Anche nel procedimento amministrativo vale
il principio generale ex art. 138 c.p.c.,
secondo il quale in caso di notificazione (o
comunicazione) a mani proprie (e cioè
direttamente al destinatario), in caso di
rifiuto del destinatario di ricevere l'atto,
la notificazione si considera valida
(Consiglio Stato, sez. IV, 05.10.2004, n.
6490) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.02.2010 n. 383 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
DIA è un atto di natura privata e quindi ne
esclude la sua diretta impugnazione. Il
terzo che vuole quindi contestare la
legittimità delle opere realizzate in forza
di detto titolo, deve promuovere un’azione,
non di annullamento, ma di accertamento
dell'insussistenza dei requisiti e dei
presupposti previsti dalla legge per i
lavori oggetti della DIA.
Come noto
questa Sezione aderisce all’orientamento
secondo cui la DIA è un atto di natura
privata e quindi ne esclude la sua diretta
impugnazione. Il terzo che vuole quindi
contestare la legittimità delle opere
realizzate in forza di detto titolo, deve
promuovere un’azione, non di annullamento,
ma di accertamento dell'insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge per i lavori oggetti della DIA (da
ultimo TAR Lombardia Milano, sez. II,
23.10.2009 n. 4886)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 27.01.2010 n. 191 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA - Edifici - Certificazione
energetica - Agrotecnici - Competenza - Non
sussiste.
La certificazione energetica prevista in
caso di costruzioni di nuovi edifici ovvero
di ristrutturazione e trasformazione di
edifici esistenti soggetti a DIA deve essere
rilasciata da soggetti certificati all'uopo
accreditati dalle regioni, in possesso dei
relativi requisiti (D.Lgs. n. 192/2005).
Dai
requisiti professionali di cui alla l. n.
251/1986 e dalla verifica della disciplina
professionale degli agrotecnici è evidente
come nel caso degli agrotecnici difetti una
puntuale attribuzione di competenza relativa
(o quantomeno affine) alla progettazione di
edifici ed impianti asserviti agli edifici
stessi.
Altresì, le opere di trasformazione
e miglioramento fondiario non rientrano
nella nozione di "edificio" (sistema
costituito dalle strutture edilizie esterne
che delimitano uno spazio di volume
definito, dalle strutture interne che
ripartiscono detto volume e da tutti gli
impianti e dispositivi tecnologici che si
trovano stabilmente al suo interno; la
superficie esterna che delimita un edificio
può confinare con tutti o alcuni di questi
elementi: l'ambiente esterno, il terreno,
altri edifici; il termine può riferirsi a un
intero edificio ovvero a parti di edificio
progettate o ristrutturate per essere
utilizzate come unità immobiliari a sé
stanti) di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs.
192/2005, rispetto alla quale va rilasciata
la certificazione energetica.
Deve
aggiungersi che ai fini dell'esercizio della
specifica attività professionale, non
sussiste l'equiparabilità del diploma di
agrotecnico con quello di perito agrario, e
che l'equipollenza tra i due titoli di
studio, sancita dall'art. 3, l. 27.10.1969, n. 754 si riferisce ad una
preparazione culturale ed applicativa
analoga nel senso che tra i due corsi di
studio sono riconoscibili punti di contatto
tali da giustificare l'equiparabilità delle
conoscenze tecnico-professionali acquisite
non ad ogni fine di legge ma specificatamente
ai fini di pubblici concorsi e l'accesso ai
corsi universitari, al cui esito la
distinzione della provenienza dalle scuole
di secondo grado è assolutamente superata
dal conseguimento del diploma di laurea
(TAR Lazio, sez. II, 26.09.1995 n. 1450) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza
25.01.2010 n. 141 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Abuso edilizio - D.I.A. - decorrenza del termine - potere
sanzionatorio - sussiste - Demolizione -
obbligo comunicazione preventiva - non
sussiste.
Trascorso il termine fissato dall'art. 23,
sesto comma, del DPR 06.06.2001 n. 380 l'A.C.
conserva comunque il potere di vigilare e
sanzionare, previa verifica di sussistenza
di contrasti con le norme urbanistiche in
essere, sino a giungere alla adozione anche
di provvedimenti demolitori (cfr. ex
multis CdS Sez IV, 25.11.2008 n. 5811).
In situazione di totale non conformità alle
norme urbanistiche in essere, si concretizza
un materiale abuso edilizio che dura nel
tempo finché non viene eliminato o di fatto
o giuridicamente e che perciò non può essere
reso legittimo dal solo consolidarsi, per il
decorrere del tempo, di una DIA (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
I,
sentenza
22.01.2010 n. 213 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Provvedimento
comunale di inibitoria - Termine -
Perentorietà - Sussistenza
2. D.I.A. - Decorso del termine
-Provvedimento comunale di inibitoria -
Possibilità - Modalità.
1.
Il termine previsto dalla legge per
l'esercizio del potere inibitorio è da
considerarsi perentorio in quanto
finalizzato a dare certezza ai rapporti
giuridici tra privati e pubblica
amministrazione e posto, quindi, a tutela
sia dell'interesse pubblico che degli
interessi dei privati.
2.
Allo scadere del termine ex art. 23 D.P.R.
380/2001, si consolida in capo all'istante
una legittimazione ex lege
all'esercizio dell'attività edilizia,
pertanto la P.A., per contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l'esercizio
dell'attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio: prima
deve intervenire in autotutela per rimuovere
la legittimazione ad edificare sorta per
effetto della presentazione della d.i.a. e
del decorso del termine senza che la stessa
P.A. abbia esercitato il potere inibitorio
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 135 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Tutela del terzo -
Azione di accertamento insussistenza
presupposti D.I.A.- Sussiste.
2. D.I.A. - Tutela del terzo - Azione di
accertamento insussistenza presupposti
D.I.A.- Termine- Sessanta giorni - Ratio.
3. Ricorso giurisdizionale - Tardività -
Errore scusabile - Sussistenza -
Fattispecie.
1.
Il terzo che intenda contestare un
intervento edilizio in via di esecuzione in
forza di denuncia di inizio attività può
esperire un'azione di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per
intraprendere l'attività in base alla d.i.a.
(Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917).
2.
L'azione di accertamento è da ritenersi
sottoposta al generale termine di decadenza
di 60 giorni previsto per l'azione di
annullamento, pena una illogica
diversificazione degli strumenti di tutela
di cui dispongono i terzi, a seconda che
siano lesi da un permesso di costruire o da
una denuncia di inizio attività.
3.
Sussistono i presupposti per il
riconoscimento dell'errore scusabile, con
conseguente rimessione in termini, in capo
al ricorrente che al fine di contestare la
costruzione realizzata dal controinteressato
in forza di DIA abbia dapprima rivolto
all'amministrazione formale istanza per
l'esercizio della potestà repressiva
attribuitale dalla legge (artt. 27 ss.,
d.P.R. n. 380 del 2001) e poi agito ai sensi
dell'art. 21-bis, l. n. 1034 del 1971
avverso il silenzio-rifiuto formatosi
sull'istanza (ovvero impugnando con il
ricorso ordinario il diniego esplicito di
intervento da parte del comune
considerazione delle continue oscillazioni
giurisprudenziali in ordine agli strumenti
ed alle modalità con cui il soggetto che si
ritenga danneggiato dall'attività
costruttiva esercitata in forza di una
dichiarazione di inizio attività possa
contestare la d.i.a. (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tenendo ferma la natura di atto
privato della dichiarazione di inizio
attività, è riconosciuta l’esperibilità di
un’azione di accertamento dell'inesistenza
dei presupposti per intraprendere l’attività
in base alla d.i.a., sottoposta al generale
termine di decadenza di 60 giorni
previsto per l'azione di annullamento.
Questa Sezione si è recentemente discostata
dall’orientamento precedentemente seguito
che sosteneva l’inammissibilità
dell’impugnazione della d.i.a., in quanto
atto privato, e che la tutela del terzo si
realizzasse rivolgendo all'amministrazione
formale istanza per l'esercizio della
potestà repressiva attribuitale dalla legge
(artt. 27 ss., d.P.R. n. 380 del 2001) ed
agendo ai sensi dell'art. 21-bis, l. n. 1034
del 1971 avverso il silenzio-rifiuto
formatosi sull'istanza (ovvero impugnando
con il ricorso ordinario il diniego
esplicito di intervento da parte del comune)
(TAR Lombardia-Milano, sez. II, 10.05.2007,
n. 2894).
Con la sentenza n. 4886/2009, questa Sezione
ha, difatti, aderito alla tesi che, tenendo
ferma la natura di atto privato della
dichiarazione di inizio attività, riconosce
l’esperibilità di un’azione di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per
intraprendere l’attività in base alla d.i.a.,
sottoposta al generale termine di decadenza
di sessanta giorni previsto per l'azione di
annullamento (Cons. Stato, sez. VI,
09.02.2009, n. 917)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.01.2010 n. 134 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - Impugnativa diretta -
Inammissibilità.
2. Opere abusive - Ordinanza di demolizione
- Comunicazione di avvio del procedimento -
Necessità - Non sussiste.
3. D.I.A. - Errata rappresentazione stato di
fatto - Illegittimità - Non sussiste -
Fattispecie.
1.
E' inammissibile l'impugnativa diretta della
DIA presentata dal controinteressato, dal
momento che la tutela del terzo che si
oppone all'intervento attuato tramite la
D.I.A. è garantita rivolgendo
all'Amministrazione formale istanza per
l'esercizio della potestà repressiva
attribuitale dalla legge (artt. 27 e segg.
del d.P.R. n. 380/2001) ed agendo poi, ai
sensi dell'art. 21-bis della l. n.
1034/1971, avverso il cd. silenzio rifiuto
formatosi sull'istanza (ovvero, impugnando
con il ricorso ordinario il diniego
esplicito di intervento da parte della
P.A.).
2.
Non è necessaria la comunicazione di avvio
del procedimento nel caso di ordine di
demolizione di opere abusive, in quanto
trattasi di provvedimento alla cui adozione
l'Amministrazione comunale è vincolata per
legge, a seguito dell'accertata abusività
delle opere, tale principio deve estendersi
anche agli atti di ritiro dei provvedimenti
inibitori edilizi quando l'amministrazione
accerti che tale violazione non sussiste.
3.
L'errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di
circostanze di fatto esposte nella domanda e
relativi allegati di permesso a costruire o
nella dichiarazione di inizio di attività e
nella documentazione asseverata dal tecnico,
è causa di illegittimità degli atti
dell'amministrazione quando abbia influito
sulla determinazione dell'amministrazione in
modo tale da condurla a rilasciare un atto
autorizzativo che altrimenti non avrebbe
rilasciato od a tenere un comportamento di
non opposizione nei confronti
dell'esecuzione del progetto presentato ed
asseverato dai tecnici abilitati, che
altrimenti avrebbe inibito (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 22.01.2010 n. 125 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Decorrenza
del termine - Potere iniborio - Non è
ammesso - Annullamento in autotutela - E'
ammesso.
Lo schema dei poteri spettanti all'autorità
comunale a seguito della presentazione della
d.i.a. presenta, infatti, una bipartizione
di regime: nei primi 30 gg. decorrenti dalla
data di presentazione della denuncia il
Comune può intervenire con il potere
inibitorio dell'attività edilizia che
impedisce il perfezionarsi della fattispecie
della d.i.a.; decorso tale termine, invece,
tale potere può svolgersi soltanto nelle
forme del provvedimento di autotutela, e
quindi seguendo differenti presupposti (in
tema di motivazione sull'interesse pubblico)
e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e
10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.01.2010 n. 30 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
I terzi, che ritengano di essere
pregiudicati dall'effettuazione di una
attività edilizia assentita in modo
implicito, possono agire innanzi al giudice
amministrativo per chiedere l'annullamento
del titolo abilitativo formatosi per il
decorso del termine fissato dalla legge
entro cui l'Amministrazione può impedire gli
effetti della d.i.a. (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di d.i.a., è possibile che i terzi,
che ritengano di essere pregiudicati
dall’effettuazione di una attività edilizia
assentita in modo implicito, possono agire
innanzi al Giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’Amministrazione può impedire gli effetti
della DIA.
La eccezione relativa alla non immediata
impugnabilità della DIA viene a cadere in
considerazione dell’accoglimento del primo
motivo dell’appello n. 10341/2008 con cui si
deduce, appunto, l’erroneità della decisione
appellata che ha ritenuto non impugnabile la
DIA e che viene qui di seguito esaminato.
E’ noto che sul punto questa Sezione, dopo
alcune pronunce di diverso segno, ha assunto
un orientamento meditato (con sentenza n.
5811 del 25.11.2008) che qui è condiviso, in
ordine alla possibilità che i terzi, che
ritengano di essere pregiudicati
dall’effettuazione di una attività edilizia
assentita in modo implicito, possono agire
innanzi al Giudice amministrativo per
chiedere l’annullamento del titolo
abilitativo formatosi per il decorso del
termine fissato dalla legge entro cui
l’Amministrazione può impedire gli effetti
della DIA (nello stesso senso anche Sez. VI
n. 1550 del 05.04.2007 e Sez. V n. 172 del
20.01.2003 mentre a diverse conclusioni è
giunta la stessa Sez. VI con decisione n.
717/2009).
Appaiono decisive nel caso qui all’esame, a
sostegno della tesi della diretta
impugnabilità della DIA, le considerazioni
svolte nella sentenza qui richiamata che ha,
in particolare, posto in rilievo la
previsione espressa nella nuova formulazione
dell’articolo 19, terzo comma, della legge
n. 241 del 07.08.1990 del potere
dell’Amministrazione di annullare in via di
autotutela il titolo conseguente alla DIA
nonché la possibilità “dell’accertamento
della inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo“ con equiparazione
di questa ipotesi al permesso annullato
(articolo 38, comma 2-bis, del DPR
06.06.2001 n. 380).
Queste norme si giustificano solo con la
sostanziale assimilazione del titolo
conseguito in esito alla presentazione della
DIA ed al decorso del termine di legge (dato
all’Amministrazione per verificarne i
presupposti) ad un titolo abilitativo
esplicito.
Si deve, inoltre, considerare comunque che
nel caso qui in esame almeno altre due
ragioni sostanziali inducono a ritenere che
vi sia una equiparazione piena con il
permesso di costruire anche al fine della
diretta impugnabilità dell’atto di assenso
implicito.
In primo luogo l’articolo 41 della legge
regionale n. 12 dell’11.03.2005 equipara in
tutto il permesso di costruire alla DIA
consentendo al privato di scegliere in via
alternativa l’uno o l’altro strumento
procedimentale.
E’, quindi, chiaro che se non si vuole
ridurre la tutela giurisdizionale del terzo,
in forza di un atto di autonomia riferibile
alla volontà di un altro soggetto privato,
di regola portatore di interessi
contrapposti con quelli del terzo, si deve
garantire a quest’ultimo anche la diretta
impugnabilità della DIA così come accade per
il permesso di costruire
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. -
Incompletezza della D.I.A. - Inibizione
dell'esecuzione - Legittimità - Obbligo di
soccorso procedimentale del Comune - Non
sussiste.
In caso di incompletezza della
documentazione non sussiste alcun obbligo in
capo all'amministrazione di preventiva
richiesta di integrazione documentale:
infatti, ex art. 23 comma 6, D.P.R.
380/2001, il dirigente o il responsabile del
competente ufficio comunale, ove entro il
termine indicato al comma 1 sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica all'interessato l'ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento e, in caso di falsa attestazione
del professionista abilitato, informa
l'autorità giudiziaria e il consiglio
dell'ordine di appartenenza.
È comunque salva la facoltà di ripresentare
la denuncia di inizio attività, con le
modifiche o le integrazioni necessarie per
renderla conforme alla normativa urbanistica
ed edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
11.01.2010 n. 14 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. -
Decorrenza del termine di trenta giorni
dalla presentazione ai fini dell'efficacia -
Necessità - Innovazioni normative
intervenute medio tempore - Sono rilevanti.
2. D.I.A. -
Innovazioni regolamentari intervenute medio
tempore - Principio della sensibilità della d.i.a. - Sussiste.
1. In materia di sopravvenienze normative
intercorse tra la presentazione della d.i.a.
e la sua efficacia (cfr. TAR Milano,
sent. n. 2030/2009), la d.i.a.,
indipendentemente dalla qualifica giuridica
assegnatale -punto su cui come noto si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. Stato sent.
n. 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato
sent. n. 717/2009)- produce effetti al
30° giorno dalla sua presentazione,
purché, sia completa di tutti gli elementi
richiesti dalla legge (sentenza n.
5737/2008).
Pertanto, le innovazioni
normative introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio,
ancorché conforme alla normativa vigente al
tempo della denuncia, ben può essere
interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o
destinata a entrare in vigore) prima del
compimento del trentesimo giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
2. Il principio della "sensibilità" della d.i.a. alle modifiche legislative nei
30
giorni tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia, deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenze 11.01.2010 nn. 12 e
13 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La DIA produce effetti al 30°
giorno dalla sua presentazione, purché sia
completa di tutti gli elementi richiesti
dalla legge.
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige, allora, il principio
del tempus regit actum per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Dagli atti risulta che l’aumento degli oneri
di urbanizzazione deliberato dal Comune è
entrato in vigore prima che decorressero
30 giorni dalla presentazione della d.i.a..
Il problema delle sopravvenienze normative
intercorse tra la presentazione della d.i.a.
e la sua efficacia è stato già affrontato da
questa Sezione (ex plurimis TAR
Lombardia, Milano, sez. II, 27.03.2009 n.
2030), la quale ha chiarito che “la DIA,
indipendentemente dalla qualifica giuridica
assegnata –punto su cui come noto si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV
5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato
sez. VI 717/2009)– produce effetti al 30°
giorno dalla sua presentazione, purché, come
già affermato da questa Sezione, sia
completa di tutti gli elementi richiesti
dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni
dalla presentazione della denuncia, periodo
durante il quale l’Amministrazione ha un
compito di controllo, a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione, in quanto il procedimento non
è ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa
da questa Sezione nella sentenza richiamata
dalla difesa comunale (n. 588/2006), in cui
si è affermato il principio secondo cui “le
innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del trentesimo giorno
dalla presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità” della DIA
alle modifiche legislative nei 30 giorni tra
la presentazione e l’inizio dell’efficacia,
deve trovare applicazione anche rispetto ad
eventuali variazioni delle disposizioni
regolamentari, tra cui la disciplina
pianificatoria e le tariffe degli oneri.
Pare quindi corretta la posizione
dell’Amministrazione Comunale laddove
ritiene che la nuova disciplina introdotta
con un atto deliberativo che produce effetti
dal 08.01.2008 vada applicato anche alle DIA
per le quali non è decorso il termine di 30
giorni”.
Né in contrario può valere la disciplina
regionale secondo la quale il calcolo degli
oneri di urbanizzazione e del costo di
costruzione è allegato alla denuncia di
inizio attività (art. 42 commi 2 e 3 L.R.
12/2005), né quella secondo la quale la
quota di contributo relativa al costo di
costruzione, determinata all'atto del
rilascio, ovvero per effetto della
presentazione della denuncia di inizio
attività, è corrisposta in corso d'opera,
con le modalità e le garanzie stabilite dal
comune e comunque non oltre 60 giorni dalla
data dichiarata di ultimazione dei lavori
(art. 48, comma 7, L.R. 12/2005); né, da
ultimo, la richiamata normativa secondo la
quale gli oneri di urbanizzazione dovuti per
gli interventi comportanti modificazioni
delle destinazioni d'uso su edifici
esistenti sono calcolati con riferimento ai
valori stabiliti dal comune alla data del
rilascio del permesso di costruire, ovvero
di presentazione della denuncia di inizio
attività (art. 44 comma 13 L.R. 12/2005).
Tali norme, infatti, hanno carattere di
specialità rispetto alla regola generale
secondo la quale il momento rilevante ai
fini dell’applicazione della regola
tempus regit actum è quello della
conclusione del procedimento.
Questa interpretazione è confermata anche
dall’art. 38, comma 7-bis, della L.R.
12/2005, introdotto dalla L.R. n. 4/2008, il
quale stabilisce, per il permesso di
costruire, che gli oneri di urbanizzazione
primaria e secondaria vengano determinati
alla data di presentazione della richiesta
di permesso di costruire, purché vi sia la
completezza documentale (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.01.2010 n. 12 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: G.
Palliggiano,
L’attività edilizia: dal permesso di
costruire alla denuncia di inizio di
attività. Profili sostanziali e processuali
(link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
1. Comma 3-bis dell'art. 52 della
L.R. n. 12/2005 introdotto dall'art. 1,
comma 1, lett. m), della L.R. n. 12/2006 -
Efficacia retroattiva - Non sussiste.
2. Intervento di manutenzione straordinaria
realizzato senza DIA - Acquisizione al
patrimonio del Comune - Non sussiste.
1.
Il comma 3-bis dell'art. 52 della L.R. n.
12/2005 è stato introdotto con L.R. n.
12/2006 (art. 1, comma 1, lett. m) e non è
applicabile, in virtù di quanto previsto
dall'art. 11 delle preleggi, prima della sua
entrata in vigore.
2.
L'assenza di DIA per gli interventi
qualificati come manutenzione straordinaria
non dà luogo ad acquisizione, da parte del
Comune, dell'immobile interessato da tali
interventi realizzati senza il suddetto
titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.12.2009 n. 6226 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con riferimento alla natura
giuridica della D.I.A. edilizia, i due
diversi rapporti intercorrenti tra
denunciante ed Amministrazione, da una
parte, e tra denunciante, Amministrazione e
terzi dall'altra.
Con riferimento alla natura giuridica della
D.I.A., e in particolare di quella inerente
all'attività edilizia, sono stati formulati
vari orientamenti in dottrina ed in
giurisprudenza, che prendono in esame, tra
l'altro, i due diversi rapporti
intercorrenti tra denunciante ed
Amministrazione, da una parte, e tra
denunciante, Amministrazione e terzi
dall'altra.
La tesi che, quanto a quest’ultimo aspetto,
il Collegio fa propria muove dalla
constatazione che le controversie
concernenti oggetto, procedura ed effetti
della D.I.A. sono state devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, secondo il nuovo testo
dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241,
il che dimostra che, anche in sede di
semplificazione della procedura finalizzata
a dare inizio ad una novella attività
edilizia, il Legislatore ha ricalcato la
risalente previsione dell’art. 16 della
legge 28.01.1977, n. 10. Il Tribunale
ritiene che, nell’ipotesi che possa
constatarsi che la D.I.A. non trovi alcuna
norma urbanistica che l’autorizzi, è sempre
possibile un intervento repressivo
dell’illecito da parte dell’Amministrazione.
Quanto all’azione proponibile avverso la
D.I.A. da parte di terzi, che siano
controinteressati all'intervento che si
rende operativo dopo il prescritto termine
di legge e che deducano che le opere
progettate non siano conformi alla normativa
urbanistica, la verifica affidata al Giudice
amministrativo non può che concernere
funditus i suoi presupposti in fatto ed
in diritto. Il che postula, quindi, che
l’azione promossa dal terzo introduca un
giudizio di cognizione, nel quadro di
un’attività amministrativa strettamente
vincolata, volto ad ottenere l'accertamento
dell'assunto illecito edilizio. Tali
considerazioni appaiono avvalorate dalla
circostanza che attualmente il confine tra
permesso di costruire (o concessione
edilizia) e denuncia d'inizio attività è
stato lasciato dal Legislatore alla libera
scelta dell’interessato, per cui sembra
ragionevole ritenere che il terzo possa
avvalersi di un’identica tutela
(TRGA Trentino Alto Adige,
sentenza 17.12.2009 n. 310 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La particolarità della DIA consiste nella
sostituzione del privato
all’Amministrazione, nella conduzione di un
procedimento che condurrà all’abilitazione
edilizia, in presenza dei presupposti ed in
seguito al decorso del termine. Il ruolo
della PA, in tale procedura, è limitato al
controllo della sussistenza dei presupposti,
al fine dell’eventuale esercizio del potere
inibitorio. L’attività amministrativa,
quindi, non è destinata a concludersi
necessariamente con un provvedimento
amministrativo, ma è una mera attività di
controllo, che non assume la forma del
procedimento amministrativo.
I rapporti tra privati appartengono alla
giurisdizione civile, non essendo tenuta
l’amministrazione ad effettuare ulteriori
indagini quando l’interessato ha depositato
al comune la prescritta documentazione da
allegare alla DIA. Al giudice
amministrativo, nel sindacare l’attività
della P.A., compete solamente verificare se
il Comune ha legittimamente esercitato i
suoi poteri inibitori e sanzionatori
controllando la sussistenza dei requisiti
per la formazione del provvedimento
abilitativo a formazione tacita.
La particolarità della DIA consiste nella
sostituzione del privato
all’Amministrazione, nella conduzione di un
procedimento che condurrà all’abilitazione
edilizia, in presenza dei presupposti ed in
seguito al decorso del termine. Il ruolo
della PA, in tale procedura, è limitato al
controllo della sussistenza dei presupposti,
al fine dell’eventuale esercizio del potere
inibitorio. L’attività amministrativa,
quindi, non è destinata a concludersi
necessariamente con un provvedimento
amministrativo, ma è una mera attività di
controllo, che non assume la forma del
procedimento amministrativo. Deve essere,
pertanto, escluso l’obbligo di comunicazione
di avvio del procedimento.
L’art. 22,
comma 3, del DPR n. 380 del 2001, come
modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002,
prevede che, in alternativa al permesso di
costruire, possano realizzarsi tramite
denuncia di inizio attività “gli
interventi di ristrutturazione di cui
all'articolo 10, comma 1, lettera c)”;
si tratta degli “interventi di
ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e che comportino
aumento di unità immobiliari, modifiche del
volume, della sagoma, dei prospetti o delle
superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A,
comportino mutamenti della destinazione
d'uso”.
La norma consente, dunque, che, a scelta
dell’interessato, siano realizzabili
mediante permesso di costruire ovvero previa
DIA le ristrutturazioni edilizie che
comportino limitati incrementi di volume e
di superficie.
Il modesto incremento del volume derivante
dall’abbassamento del pavimento consente di
ritenere senza alcun dubbio che la
ristrutturazione di cui si tratta rientri
nell’ambito degli interventi edilizi
assentibili mediante DIA.
I rapporti tra
privati appartengono alla giurisdizione
civile, non essendo tenuta l’amministrazione
ad effettuare ulteriori indagini quando
l’interessato ha depositato al comune la
prescritta documentazione da allegare alla
DIA. Giustamente, dunque, la ricorrente ha
fatto ricorso al Tribunale civile di Crotone
per tutelare la proprietà privata da
possibili minacce alla stabilità
dell’edificio proponendo azione di
nunciazione nella specie di denuncia di
nuova opera. Sarebbe, pertanto,
inammissibile una duplicazione di tutela
proponendo al giudice amministrativo la
medesima azione già appartenente alla
cognizione del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, nel sindacare
l’attività della P.A., compete solamente
verificare se il Comune ha legittimamente
esercitato i suoi poteri inibitori e
sanzionatori controllando la sussistenza dei
requisiti per la formazione del
provvedimento abilitativo a formazione
tacita
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 14.12.2009 n. 1457 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA e permesso di costruire non
oneroso.
Una equivalenza o addirittura
sovrapponibilità tra DIA e permesso di
costruire non oneroso non può affatto
ricavarsi dall’art. 22, comma 7, del d.p.r.
06.06.2001, n. 380, il quale prevede che,
qualora si tratti di interventi edilizi
realizzabili mediante sola denunzia di
inizio attività, l’interessato, pur non
essendone obbligato, ha comunque la facoltà
di chiedere il rilascio del permesso di
costruire, senza obbligo del pagamento del
contributo di costruzione.
Questa disposizione non stabilisce alcuna
equiparazione tra i due diversi titoli
abilitativi, ma si limita a prevedere che il
soggetto che intenda realizzare interventi
che richiedono una semplice DIA ha
ugualmente la facoltà di chiedere un
permesso di costruire, che in tale caso va
rilasciato senza pagamento degli oneri di
costruzione, mentre non prevede affatto che
per un intervento per il quale sia
obbligatorio (e non facoltativo) un permesso
di costruire, sia pure senza pagamento degli
oneri di costruzione, il permesso di
costruire possa essere sostituito ad ogni
effetto da una denunzia di inizio attività.
Dalla disposizione di cui al citato art. 22,
comma 7, resta semmai confermato che
permesso di costruire, oneroso o non oneroso
che sia, e denunzia di inizio attività
costituiscono titoli abilitativi
differenziati tra loro (per condizioni,
competenza ed effetti) che non possono
considerarsi equivalenti o sovrapponibili
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 11.12.2009 n. 47279 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Termine iniziale efficacia D.I.A.
edilizia.
Viene
chiesto parere in ordine al termine iniziale
(e quindi, di conseguenza, allo scadere di
quello finale) di efficacia della d.i.a.
edilizia (Regione Piemonte,
parere n.
105/2009 - tratto da
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.
Meneguzzo,
Il fascino dell'ambiguo e la natura
transprovvedimentale della D.I.A.
(link a http://venetoius.myblog.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
In materia di DIA, la legge n. 80/2005, nel
riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha
precisato che la P.A. può vietare lo
svolgimento dell’attività ed ordinare
l’eliminazione degli effetti già prodotti
anche dopo che è scaduto il termine di 30
giorni. Lo potrà fare, però, soltanto se vi
sono i presupposti per l’esercizio del
potere di autotutela (in particolare
dell’annullamento d’ufficio) e, quindi,
entro un ragionevole lasso di tempo, dopo
aver valutato gli interessi in conflitto e
sussistendone le ragioni di interesse
pubblico.
2. L’ordine di inibizione dei lavori,
nell’ipotesi di presentazione della d.i.a.,
deve indicare le motivazioni per cui i
lavori, così come indicati in progetto, non
possono essere eseguiti, al fine di
consentire all’interessato di presentare un
nuovo progetto, conforme alle prescrizioni
indicate.
3. Il Comune può inibire la realizzazione
delle opere nel termine di 30 giorni dalla
presentazione della DIA il cui termine è da
considerarsi perentorio, con la conseguenza
che, oltre detto termine, il potere di
riscontro a fini inibitori attribuito alla
PA è esaurito e la stessa può provvedere
solo con l'esercizio del potere di
autotutela e al generale potere di controllo
sulle attività di trasformazione edilizia
del territorio.
1. Giova una breve premessa in ordine
all’istituto giuridico della d.i.a e ai
poteri che all’amministrazione competono
nell’ambito del relativo procedimento, ai
tempi per il loro esercizio, essendosi al
riguardo fronteggiati diversi orientamenti.
Come noto, la denunzia di inizio attività è
stata introdotta nel nostro ordinamento,
nell’ambito della semplificazione
dell’attività amministrativa con la legge.
n. 241/1990 che all’art. 19 ha previsto che
qualora l’esercizio di un’attività privata
sia subordinato ad un atto di consenso,
comunque denominato, il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall’accertamento dei
presupposti e requisiti di legge, questo è
sostituito da una denuncia di inizio
attività da parte dell’interessato.
A seguito delle modifiche apportate dalla l.
n. 35 del 2005, l’interessato prima di dare
inizio all’attività oggetto della d.i.a.
deve inoltrare all’Amministrazione
competente una dichiarazione corredata,
anche per mezzo di autocertificazioni, delle
certificazioni e delle attestazioni
normativamente richieste ed attendere lo
scadere del termine di 30 giorni, decorrenti
dalla data della presentazione della
dichiarazione; l’Amministrazione può
richiedere informazioni o certificazioni
relative a fatti, stati o qualità solo
qualora non siano attestati in documenti già
in possesso della stessa o non siano
direttamente acquisibili presso altre
pubbliche amministrazioni; allo spirare
dell’anzidetto termine di 30 giorni,
l’attività oggetto della dichiarazione può
essere iniziata ma, contestualmente
all’inizio, l’interessato deve darne
comunicazione all’Amministrazione
competente, la quale ha il potere di
adottare “nel termine di 30 giorni dal
ricevimento della comunicazione, motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti”, salvo che ove ciò sia
possibile, l’interessato provveda a
conformare alla normativa vigente detta
attività e i suoi effetti entro un termine
fissato dall’Amministrazione, che non può
essere inferiore a 30 giorni; nei casi in
cui la legge prevede l’acquisizione di
pareri di organi o di enti appositi, il
termine per l’adozione dei provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di
rimozione dei suoi effetti è sospeso,
dandosene comunicazione all’interessato,
fino ad un massimo di 30 giorni, scaduti i
quali, l’Amministrazione può adottare i
propri provvedimenti indipendentemente
dall’acquisizione del parere; è fatto salvo
comunque il potere dell’Amministrazione di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli artt.
21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990;
sono comunque fatte salve le vigenti
disposizioni di legge che prevedono termini
diversi per l’inizio dell’attività e per
l’adozione, da parte dell’Amministrazione
competente, dei provvedimenti di divieto di
prosecuzione dell’attività e di rimozione
dei suoi effetti.
La denuncia di inizio attività in materia
edilizia è attualmente disciplinata dagli
artt. 22 e 23 T.U. dell’Edilizia – D.P.R. n.
380/2001: l’interessato deve presentare la
denuncia almeno 30 giorni prima
dell’effettivo inizio dei lavori ed il
dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale, ove entro tale termine sia
riscontrata l’assenza di una o più delle
condizioni stabilite, “notifica
all’interessato l’ordine di non effettuare
il previsto intervento”.
A norma dell’art. 23 T.U. la denuncia di
inizio attività, presentata allo sportello
unico dal proprietario dell’immobile o da
chi abbia tiolo per avvalersi del regime
della denuncia di inizio attività, deve
essere accompagnata dagli opportuni
elaborati progettuali e da una dettagliata
relazione, a firma di un progettista
abilitato -che asseveri la conformità delle
opere agli strumenti urbanistici approvati o
il non contrasto con gli strumenti
urbanistici adottati e con i regolamenti
edilizi vigenti, nonché il rispetto delle
nome di sicurezza e di quelle igienico
sanitarie- e dall’indicazione dell’impresa
cui si intendono affidare i lavori.
Qualora l’interevento oggetto di denuncia di
inizio attività sia sottoposto ad un vincolo
la cui tutela compete (anche in via di
delega) alla stessa Amministrazione
comunale, l’anzidetto termine di 30 giorni
decorre dal rilascio del relativo atto di
assenso ed in mancanza di siffatto
provvedimento favorevole la denuncia è priva
di effetti; qualora invece la tutela del
vincolo non spetti all’Amministrazione
comunale, ove il parere favorevole del
soggetto preposto alla tutela non sia
allegato alla denuncia, il competente
Ufficio del Comune deve convocare una
conferenza di servizi e l’anzidetto termine
di 30 giorni decorre dall’esito della
conferenza. In caso di esito non favorevole
la denuncia è priva di effetti.
In merito alla natura giuridica della d.i.a.
si sono contrapposti diversi orientamenti
giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, la
d.i.a. si tradurrebbe direttamente
nell'autorizzazione implicita
all'effettuazione dell'attività, in virtù di
una valutazione legale tipica, con la
conseguenza che i terzi potrebbero agire
innanzi al giudice per chiedere
l'annullamento della determinazione
formatasi in forma tacita (cfr., tra le più
recenti, Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008,
n. 5811; Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008,
n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007,
n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007,
n. 1550).
Si tratterebbe, quindi, di un istituto del
tutto peculiare, comunque assimilabile ad
una istanza autorizzatoria, che, con il
decorso del termine di legge, provoca la
formazione di un “titolo”, cioè di un
provvedimento tacito di accoglimento di una
siffatta istanza, che rende lecito
l'esercizio dell'attività, (in questi
termini, Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008,
n. 5811).
Secondo questa impostazione, la d.i.a. non è
uno strumento di liberalizzazione
dell'attività, ma rappresenta una
semplificazione procedimentale che consente
al privato di conseguire un titolo
abilitativo, sub specie dall'autorizzazione
implicita di natura provvedimentale, a
seguito del decorso di un termine (30
giorni) della presentazione della denunzia.
Secondo altro orientamento
giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato
sez. VI; 04.09.2002 n. 4453; sez. VI,
26.07.2004, n. 5326; sez. IV, 22.07.2005, n.
3916; da ultimo Sezione VI n. 717/2009) la
d.i.a., in è un atto di un soggetto privato
e non di una pubblica amministrazione, che
ne è invece destinataria, e non costituisce,
pertanto, esplicazione di una potestà
pubblicistica. L’Amministrazione non
rilascia nessun atto di assenso, dovendo
solo verificare la sussistenza dei
prescritti requisiti affinché l’interessato
possa autonomamente intraprendere la
preannunciata attività quale espressione del
suo diritto legislativamente prefigurato.
Tale orientamento è basato sul fondamentale
rilievo che se la d.i.a. fosse davvero un
atto destinato ad avviare un procedimento
destinato a concludersi con un provvedimento
di accoglimento per silentium, tra
d.i.a. e silenzio-assenso sarebbe arduo
cogliere una sostanziale differenza. Al
contrario, la legge n. 241/1990 li contempla
in due articoli differenti, il 19 e il 20,
così mostrando di voler tenere distinti i
due istituti e di attribuire loro una
diversa funzione: mentre con la d.i.a. si
attua una liberalizzazione dell’attività
privata non più soggetta ad autorizzazione,
il silenzio assenso non incide in senso
abrogativo sul regime autorizzatorio, ma
costituisce una mera semplificazione
procedimentale, prevedendo una modalità di
conseguimento dell’autorizzazione
equipollente ad un provvedimento esplicito
di accoglimento.
Quanto agli opposti argomenti invocati a
sostegno della natura provvedimentale della
d.i.a. -fondati soprattutto sulla
constatazione che il legislatore fa più
volte riferimento all’esercizio di un potere
di autotutela (normalmente di annullamento
di ufficio) che ha per oggetto proprio la
denuncia di inizio di attività, autotutela
decisoria che, in quanto attività
amministrativa di secondo grado,
presupporrebbe l’esistenza di un atto
amministrativo- secondo tale secondo
orientamento giurisprudenziale non deve
essere enfatizzato il riferimento compiuto
dal legislatore al potere di autotutela. Ed
invero l’art. 19 l. n. 241/1990, che
richiama gli artt. 21-quinquies e 21-nonies,
e le norme del T.U. edilizia che prevedono
l’annullamento d’ufficio della d.i.a., non
hanno, in realtà, voluto sancire
implicitamente la natura provvedimentale di
tale fattispecie.
Richiamando l’autotutela
(e, in particolare, l’annullamento
d’ufficio), il legislatore, più che prendere
posizione sulla natura giuridica
dell’istituto, ha voluto solo chiarire che,
anche dopo la scadenza del termine
perentorio di 30 giorni per l’esercizio del
potere inibitorio, la P.A. conserva un
potere residuale di autotutela, da
intendere, però, come potere sui generis,
che si differenzia della consueta autotutela
decisoria proprio perché non implica
un’attività di secondo grado insistente, su
un procedente provvedimento amministrativo.
Il riferimento agli artt. 21-quinquies e
21-nonies l. n. 241/1990, contenuto nella l.
n. 241/1990 consente alla P.A. di esercitare
un potere che tecnicamente non è di secondo
grado, in quanto non interviene su una
precedente manifestazione di volontà
dell’amministrazione, ma che con
l’autotutela decisoria condivide soltanto i
presupposti e il procedimento.
In questo senso, deve ritenersi che il
richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies
vada riferito alla possibilità di adottare
non già atti di autotutela in senso proprio,
ma di esercitare i poteri di inibizione
dell’attività e di rimozione dei suoi
effetti, nell’osservanza dei presupposti
sostanziali e procedimentali previsti dal
tali norme (in tal senso Consiglio di Stato,
Sezione VI n. 717/2009; in senso analogo Tar
Campanaia Napoli, sez. III, 27.01.2006 n.
1131; Tar Campania-Napoli, sez. IV,
22.02.2006, n. 3200).
In tal modo, il legislatore, nel recepire
l’orientamento giurisprudenziale che
ammetteva la sussistenza in capo alla P.A.
di un potere residuale di intervento anche
dopo la scadenza dl termine, si preoccupa di
tutelare l’affidamento che può essere
maturato in capo al privato per effetto del
decorso del tempo. Ed invero, la d.i.a., pur
essendo un atto che proviene da un privato,
è comunque suscettibile, a causa del decorso
del tempo e del mancato tempestivo esercizio
del potere inibitorio da parte della P.A.,
di consolidare, analogamente a quanto
potrebbe fare un provvedimento espresso, un
affidamento meritevole di protezione.
Pertanto, superando anche i dubbi
interpretativi in passato da qualcuno
sollevati circa l’esistenza di un residuo
potere di intervento da parte della p.a. una
volta scaduto il termine perentorio di 30
gg., la legge n. 80/2005, nel riformulare
l’art. 19 l. n. 241/1990, ha precisato che
la P.A. può vietare lo svolgimento
dell’attività ed ordinare l’eliminazione
degli effetti già prodotti anche dopo che è
scaduto tale termine perentorio. Lo potrà
fare, però, soltanto se vi sono i
presupposti per l’esercizio del potere di
autotutela (in particolare dell’annullamento
d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole
lasso di tempo, dopo aver valutato gli
interessi in conflitto e sussistendone le
ragioni di interesse pubblico.
Quanto alla tutela dei terzi
controinteressati, per una parte di tale
orientamento giurisprudenziale, non venendo
in rilievo un atto tacito di assenso della
P.A., la d.i.a non sarebbe direttamente
impugnabile dai terzi, i quali potrebbero
solo ricorrere all’istituto giuridico del
silenzio rifiuto, al fine di sollecitare
l’esercizio dei poteri repressivi ad opera
della P.A., mentre secondo il più recente e
condivisibile orientamento
giurisprudenziale, gli stessi potrebbero
agire direttamente innanzi al G.A. con
un’azione di accertamento (sull’inesistenza
dei presupposti per la D.I.A. o sulla
violazione della normativa urbanistica od
edilizia) da esperirsi peraltro nel termine
di decadenza, trattandosi pur sempre di
azione di accertamento vertente in materia
di interessi legittimi (così da ultimo
Consiglio di Stato, sez. VI, n. 717/2009 cit.).
Peraltro tale problematica deve intendersi
risolta a seguito della recente modifica
apportata all’art. 19, comma 5, della l.
241/1990 dalla l. n. 69 del 2009 in forza
della quale “Il relativo ricorso
giurisdizionale, esperibile da qualunque
interessato nei termini di legge, può
riguardare anche gli atti di assenso formati
in virtù delle norme sul silenzio assenso
previste dall’articolo 20”, per cui al
di là delle implicazioni sulla natura
giuridica della d.i.a., sottese a tale
modifica, deve ritenersi che il legislatore.
con detta norma (da intendersi di
interpretazione autentica), abbia inteso
sicuramente assimilare, in riferimento alla
tutela dei terzi, il regime del silenzio
assenso e quello della denuncia di inizio
attività.
Costante è invece in giurisprudenza
l’affermazione circa la perentorietà del
termine di 30 giorni per l’esercizio del
potere inibitorio, residuando, un volta
decorso tale termine, in capo
all’Amministrazione i poteri di vigilanza e
repressivi, da esercitarsi come detto, in
ragione della previsione di cui all’art. 19
l. 241/1990, nel rispetto dei principi
propri dell’autotutela.
Il Collegio ritiene che, ai fini del calcolo
del dies a quo per l’esercizio dei
poteri inibitori, debba prendersi in rilievo
il tempo in cui l’ordine inibitorio viene
notificato al destinatario e non possa
pertanto farsi riferimento alla mera
adozione del provvedimento inibitorio come è
d’altra parte dato evincere dal chiaro
tenore letterale dell’art. 23, comma 6,
D.P.R. 380/2001 (cfr. in tal senso Tar Lazio–Roma, sez. II-bis, 08.10.2008 n. 8840, che
ha ritenuto tardivo il ricorso al potere
inibitorio –anziché al potere di autotutela-
qualora la comunicazione dell’ordine di
inibizione sia intervenuta oltre i trenta
giorni dalla presentazione della d.i.a.).
D’altra parte detta opzione ermeneutica è
coerente con la disciplina del Testo Unico
che ha unificato il regime della decorrenza
degli effetti, portando a 30 giorni il
termine entro il quale l’amministrazione è
tenuta ad esercitare il proprio potere di
controllo preventivo e dal quale decorre per
il denunciante la possibilità di iniziare
legittimamente i lavori (come evidenziato da
Consiglio di Stato, sez. V, 29.01.2004, n.
308), unificazione che verrebbe di fatto
vanificata laddove l’Amministrazione
possedesse un ulteriore lasso dei tempo per
portare il provvedimento inibitorio a
conoscenza del destinatario che, decorso il
termine di 30 giorni dalla presentazione
della dichiarazione, potrebbe legittimamente
iniziare i lavori, facendo affidamento
sull’esito positivo della verifica affidata
all’Amministrazione nei 30 giorni dalla
presentazione dalla d.i.a..
Peraltro, anche a voler ritenere che laddove
la P.A. faccia ricorso, al pari dei soggetti
privati, alla notifica a mezzo posta o alla
notifica a mezzo ufficiale giudiziario, la
notifica debba intendersi compiuta, per il
notificante con la consegna del documento
oggetto di notifica all’ufficiale
giudiziario o all’agente postale, in
coerenza con la scissione delineatasi nella
giurisprudenza della Corte Costituzionale
dei termini per la notifica, avuto riguardo
alla diversa situazione del notificante e
del destinatario –soluzione questa peraltro
problematica dal punto di vista della non
coincidenza fra il termine della
comunicazione dell’ordine inibitorio e
quello per l’inizio dei lavori- detta
scissione non può essere riscontrata
laddove, come nella specie, il Comune si
avvalga della notifica a mezzo messo
comunale. Infatti in tale ipotesi, solo con
l’avvenuta consegna, l’atto da notificare
esce dalla sfera di disponibilità
dell’Amministrazione comunale, essendo il
messo comunale dipendente della medesima
Amministrazione.
2.
Sia la clausola
generale di salvaguardia dei diritti dei
terzi sia le disposizioni che disciplinano
l'attività di controllo che i Comuni devono
apprestare a seguito di presentazione, da
parte di un privato, di denuncia d'inizio
attività, non precludono all'ente locale di
esercitare -sull'attività urbanistica ed
edilizia realizzata nell'ambito territoriale
comunale- il generale potere di vigilanza di
cui è espressione l'art. 4 L. n. 47 del
1985, ora trasfuso nell'art. 27 del D.P.R.
n. 380 del 2001.
Sulla base di questa disposizione, il Comune
ha il potere di sospendere immediatamente i
lavori assentiti qualora accerti la non
rispondenza degli stessi alle norme di legge
e/o degli strumenti urbanistici e dei
regolamenti comunali, nonché alle modalità
esecutive fissate nel titolo edilizio.
Tale potere può essere esercitato dal Comune
anche a seguito di presentazione di D.I.A.,
dato che il peculiare regime procedimentale
proprio di tale istituto non fa venire meno,
o meglio non esime l'ente locale dal più
generale dovere di vigilanza ed eventuale
repressione sull'attività urbanistico-edilizia svolta all'interno del territorio
comunale (v. TAR Campania-NA- sez. IV,
27/03/2006 n. 3200, TAR Lazio-RM- sez. II,
21/07/2005 n. 5810; TAR Sicilia-CT- sez. I,
18/04/2005 n. 672; Tar Emilia Romagna–Parma,
sent. n. 612/2007).
Sotto tale profilo
nell’ipotesi in cui i lavori interessino una
strada interessata da pubblico transito,
modificandone l’assetto, la normativa del
codice della strada va ad integrare la
normativa in materia urbanistico–edilizia.
Del pari infondata è la censura laddove si
deduce che alcuna indicazione poteva dare il
Comune in ordine alle modifiche da apportare
al progetto.
Ed invero l’ordine di inibizione dei lavori,
nell’ipotesi di presentazione della d.i.a.,
deve indicare le motivazioni per cui i
lavori, così come indicati in progetto, non
possono essere eseguiti, al fine di
consentire all’interessato di presentare un
nuovo progetto, conforme alle prescrizioni
indicate. Ciò d’altra parte è coerente con
lo stesso tenore letterale dell’art. 23,
comma 6, d.p.r. 380/2001, seconda parte, a
mente del quale “è comunque salva la
facoltà di ripresentare la denuncia di
inizio attività, con le modifiche o le
integrazioni necessarie per renderla
conforme alla normativa urbanistica ed
edilizia”, dovendo le norme in materia
urbanistica considerarsi integrate, come
innanzi precisato, qualora si incida
sull’assetto stradale, dalla normativa del
codice della strada.
Dette considerazioni sono avvalorate dalla
circostanza che nell’ambito del procedimento
instaurato a seguito della presentazione
della d.i.a. non vi è spazio, in
considerazione anche della brevità del
termine assegnato alla P.A. per l’esercizio
del potere di verifica ex art. 23, comma 6,
D.P.R. 380/2001, non suscettibile di
sospensioni procedimentali se non
nell’ipotesi normativamente previste
(qualora il bene interessato dai lavori sia
soggetto a vincolo), per la comunicazione
dei motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza ex art. 10-bis l. 241/1990, per
cui lo stesso ordine inibitorio si pone come
sostitutivo della comunicazione dei motivi
di diniego (cfr. in tal senso Consiglio di
Stato, sez. IV, n. 4828 del 2007).
3.
Sulla base
dell'orientamento conforme della
giurisprudenza in materia edilizia, il
Comune può inibire la realizzazione delle
opere nel termine di 30 giorni dalla
presentazione della DIA, ai sensi della
predetta disposizione del T.U. in materia
edilizia, termine da considerarsi
perentorio, con la conseguenza che, oltre
detto termine il potere di riscontro a fini
inibitori attribuito alla PA è esaurito e la
stessa può provvedere solo con l'esercizio
del potere di autotutela e al generale
potere di controllo sulle attività di
trasformazione edilizia del territorio (cfr.
Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2006,
n. 72; Tar Campania, Salerno, sez. II,
20.07.2006, n. 1107; Cons. Stato, sez. IV,
12.09.2007, n. 4828; Cass. Pen., sez. III,
29.01.2008, n. 11113).
Il Collegio ritiene a tal riguardo, in
aderenza all’orientamento da ultimo espresso
dal Consigli di Stato, sez. VI, con la sent.
n. 719/2009, innanzi citata, che il
riferimento all’autotutela in tali casi non
vada inteso nel senso della necessità di
annullamento di un atto di assenso tacito
(non ravvisabile nell’ipotesi di d.i.a.), ma
in riferimento all’obbligatorietà del
rispetto delle norme procedimentali previste
in materia di autotutela ed in particolare
in ordine alla necessità di una puntuale
motivazione sull’interesse pubblico sotteso
all’adozione dell’atto, che non può essere
ravvisato nella mera necessità di ripristino
della legalità (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 23.11.2009 n. 7807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura della DIA e sulla
possibilità dei terzi di far ricorso avverso
la stessa.
E’ noto che il tema della natura giuridica
della D.I.A. (denuncia di inizio attività) e
quello correlato della tutela dei terzi che
si oppongono ai suoi effetti ha sempre
presentato profili teorici problematici:
acuiti, in presenza di denunce di inizio
attività in campo edilizio, dalle
interferenze con i titoli abilitativi legati
ai diversi regimi vincolistici e dalla
previsione normativa della c. detta D.I.A. “pesante”
alternativa al permesso di costruire, con
quanto ne consegue (cfr. sul punto, da
ultimo, Tar Lazio, Roma, sezione I-quater,
n. 9539 del 02.10.2009).
Secondo un primo orientamento la
D.I.A. si tradurrebbe direttamente
nell'autorizzazione implicita
all'effettuazione dell'attività in virtù di
una valutazione legale tipica, con la
conseguenza che i terzi potrebbero agire
innanzi al giudice per chiedere
l'annullamento della determinazione
formatasi in forma tacita (cfr., tra le più
recenti, Cons. Stato, sezione quarta,
25.11.2008, n. 5811; 29.07.2008, n. 3742;
12.09.2007, n. 4828; sezione sesta,
05.04.2007, n. 1550). Si tratterebbe,
quindi, di un istituto del tutto peculiare,
comunque assimilabile ad una istanza
autorizzatoria, che, con il decorso del
termine di legge, provoca la formazione di
un "titolo", cioè di “un provvedimento
tacito di accoglimento di una siffatta
istanza, che rende lecito l'esercizio
dell'attività” (in questi testuali
termini, Cons. Stato, sezione quarta,
25.11.2008, n. 5811, cit.).
In sintesi, a seguirsi questa impostazione,
la D.I.A. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dell'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) della presentazione
della denunzia.
Diverso orientamento ritiene invece
che la D.I.A. non sia configurabile come
provvedimento amministrativo, neanche
implicito (Cons. Stato, sez. 4^, 04.09.2002,
n. 4453; Tar Campania, Napoli, sez. 4^,
17.06.2004, n. 9530; Tar Abruzzo, L’Aquila,
03.04.2004, n. 383) ed il terzo, decorso il
termine per l'esercizio del potere
inibitorio senza che l’amministrazione sia
intervenuta, sarebbe legittimato a
richiedere alla stessa di porre in essere i
provvedimenti di "autotutela"
previsti dall’ordinamento, attivando in caso
di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis
l. n. 1034/1971.
Siffatti principali filoni
giurisprudenziali, in una a rivoli (più o
meno) secondari, sono stati rivisitati da
recente pronuncia della sesta sezione del
Consiglio di Stato, la n. 717 del
09.02.2009, che -dopo aver riportate le
ragioni via via poste a sostegno delle
diverse posizioni in campo e dopo averne
operata un’ampia valutazione- ritiene che
non possa essere (oltre) sostenuta la natura
provvedimentale della D.I.A. in presenza “in
definitiva, di un atto di un soggetto
privato e non di una pubblica
amministrazione, che ne è invece
destinataria…”.
La pronuncia ammette tuttavia che la via
della tutela del terzo a mezzo dello
strumento del silenzio-rifiuto “compromette
notevolmente” l’efficacia della tutela,
in presenza soprattutto di un potere
dell’amministrazione “ampiamente
discrezionale, dovendosi valutare prima di
intervenire gli interessi in conflitto
tenendosi conto anche dell’affidamento….”
e, quindi, (in presenza) dei limiti per lo
stesso giudice amministrativo “che,
nell’eventuale giudizio avverso il
silenzio-rifiuto fatto formare
dall’amministrazione, non potrebbe che
limitarsi ad una mera declaratoria
dell’obbligo di provvedere, senza poter
predeterminare il contenuto del
provvedimento da adottare (Cons. Stato,
sezione quinta, 09.10.2007, n. 5271) e
tutto ciò renderebbe ancor più lunga e
faticosa la tutela del terzo”.
Da qui, l’innovativa via di assicurare al
terzo leso efficace e compiuta tutela, quale
costituzionalmente garantita, a mezzo “dell’azione
di accertamento autonomo che il terzo può
esperire innanzi al giudice amministrativo
per sentire pronunciare che non sussistevano
i presupposti per svolgere l'attività sulla
base di una semplice denuncia di inizio di
attività. Emanata la sentenza di
accertamento, graverà sull'Amministrazione
l'obbligo di ordinare la rimozione degli
effetti della condotta posta in essere dal
privato, sulla base dei presupposti che il
giudice ha ritenuto mancanti.”
A sostegno di detta posizione -secondo la
quale “l'azione di accertamento sarà
sottoposta allo stesso termine di decadenza
(di 60 giorni) previsto per l'azione di
annullamento che il terzo avrebbe potuto
esperire se l'Amministrazione avesse
adottato un permesso di costruire. Non si
ritiene applicabile un diverso termine di
natura prescrizionale in quanto l'azione,
ancorché di accertamento, non è diretta alla
tutela di un diritto soggettivo, ma di un
interesse legittimo”- la pronuncia
svolge articolate argomentazioni con
richiami a dottrina e giurisprudenza ed alla
loro evoluzione temporale.
Il descritto, ultimo, orientamento del
giudice amministrativo evidentemente non può
dirsi consolidato; anzi, sono già emerse
posizioni che, pur alla luce delle
previsioni sulla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo di cui all’art. 34
del d. l.vo n. 80/1998 (nel caso a ritenersi
costituzionalmente illegittime), negano la
possibilità di potersi far luogo all’azione
di accertamento innanzi al giudice
amministrativo in presenza di una posizione
di diritto soggettivo non incisa da alcun
potere amministrativo autorizzatorio
(presenti solo poteri inibitori o
repressivi), sì da far prefigurare, in
presenza di un’attività predeterminata
interamente dalla legge, posizioni per
l’appunto di diritto soggettivo, con quanto
ne consegue in termini di tutela
giurisdizionale e di suo riparto (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 17.11.2009 n. 7537 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio
attività - Potere di inibizione - Attività
vincolata - Vizio di eccesso di potere - Non
Sussiste.
Il potere di inibire i lavori oggetto di
denuncia di inizio attività ha carattere
vincolato e, pertanto, non può ravvisarsi un
vizio di eccesso di potere che presuppone
l'esistenza di un potere discrezionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
06.11.2009 n.
4985 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.I.A. - E'
atto di un soggetto privato - Tutela del
terzo - Esperibilità di un'azione di
accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per intraprendere l'attività in
base alla D.I.A. tramite richiesta alla P.A.
di porre in essere provvedimenti in
autotutela, attivando in caso di inerzia il
rimedio di cui all'art. 21-bis della L. n.
1034/1971.
2. D.I.A. - Azione
di accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per intraprendere l'attività in
base alla D.I.A. - Sottoponibilità al
generale termine di decadenza di 60
giorni previsto per l'azione di annullamento
- Sussiste.
1. La d.i.a. è un atto di un soggetto
privato in relazione al quale la tutela del
terzo è assicurata tramite l'esperibilità di
un'azione di accertamento dell'inesistenza
dei presupposti per intraprendere l'attività
in base alla d.i.a..
Il terzo, infatti, una
volta decorso il termine per l'esercizio del
potere inibitorio senza che la P.A. sia
intervenuta deve chiedere
all'Amministrazione di porre in essere i
provvedimenti di "autotutela" previsti,
attivando, in caso di inerzia, il rimedio di
cui all'art. 21-bis della L. n. 1034/1971.
Detta istanza rivolta alla P.A. è diretta a
sollecitare non il potere inibitorio, di
natura vincolata e che si estingue decorso
il termine perentorio di 30 gg., ma il c.d.
potere di autotutela, evocato tramite il
richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies.
Tale potere, tuttavia, è ampiamente
discrezionale, dovendo l'Amministrazione,
prima di intervenire, valutare gli interessi
in conflitto (tenendo conto anche
dell'affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata.
2. L'azione di accertamento dell'inesistenza
dei presupposti per intraprendere l'attività
in base alla d.i.a. è da ritenersi
sottoposta al generale termine di decadenza
di 60 giorni previsto per l'azione di
annullamento, pena un'illogica
diversificazione degli strumenti di tutela
di cui dispongono i terzi, a seconda che
siano lesi da un permesso di costruire o da
una denuncia di inizio attività.
A sostegno
di ciò, depone anche l'esigenza di certezza
delle relazioni giuridiche, che si pone nei
medesimi termini quale che sia il titolo che
abiliti all'esercizio dell'attività
edilizia: si evita, in tal modo, che chi ha
presentato una denuncia di inizio attività
si trovi esposto indefinitivamente al
rischio dell'esercizio di un'azione
giurisdizionale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 23.10.2009 n. 4886 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA: il TAR Lombardia aderisce
all'orientamento del Consiglio di Stato
sull'impugnabilità.
Il Collegio aderisce all’orientamento
giurisprudenziale che qualifica la d.i.a.
quale atto di un soggetto privato e che
riconosce l’esperibilità di un’azione di
accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per intraprendere l'attività in
base alla d.i.a. (Cons. Stato, sez. VI,
09.02.2009, n. 917).
L’alternativa che costringe il terzo -una
volta decorso il termine per l'esercizio del
potere inibitorio senza che la p.a. sia
intervenuta- a chiedere all’amministrazione
di porre in essere i provvedimenti di “autotutela”
previsti, attivando, in caso di inerzia, il
rimedio di cui all'art. 21-bis l. n.
1034/1971, limita fortemente gli ambiti di
tutela.
L’istanza rivolta alla p.a. sarebbe,
difatti, diretta a sollecitare non il potere
inibitorio, di natura vincolata (che si
estingue decorso il termine perentorio di 30
gg.), ma il c.d. potere di autotutela,
evocato tramite il richiamo agli artt.
21-quinquies e 21-nonies. Tale potere,
tuttavia, è ampiamente discrezionale,
dovendo l'amministrazione, prima di
intervenire, valutare gli interessi in
conflitto (tenendo conto anche
dell'affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale, che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata (Cons. Stato, sez. VI,
09.02.2009, n. 917).
L’azione di accertamento è da ritenersi
sottoposta al generale termine di decadenza
di 60 giorni previsto per l'azione di
annullamento, pena una illogica
diversificazione degli strumenti di tutela
di cui dispongono i terzi, a seconda che
siano lesi da un permesso di costruire o da
una dichiarazione di inizio attività.
A sostegno di questa conclusione milita
l’esigenza di certezza delle relazioni
giuridiche, che si pone nei medesimi termini
quale che sia il titolo che abiliti
all’esercizio dell’attività edilizia: si
evita, in tal modo, che chi ha presentato
una dichiarazione di inizio attività si
trovi esposto indefinitivamente al rischio
dell’esercizio di un’azione giurisdizionale
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 23.10.2009 n. 4886 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Dichiarazione inizio attività -
Installazione e di produzione di elettricità
da fonte eolica - Valgono gli stessi
principi elaborati in tema di denuncia
edilizia – Requisiti.
Con riferimento alla denuncia d’inizio
attività d’installazione e di produzione di
elettricità da fonte eolica (TAR
Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.07.2009 n.
1939) valgono gli stessi principi elaborati
in tema di denuncia edilizia e precisamente:
“la denuncia di inizio attività dev’essere
prodotta, ai sensi dell’articolo 23, primo
comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 dal
soggetto legittimato, ovvero da “Il
proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo proprietario dell'immobile o chi
abbia titolo per presentare la denuncia di
inizio attività”. La formulazione
richiama quella dell'articolo 11 del D.P.R.
(secondo il quale “il permesso di
costruire è rilasciato al proprietario
dell'immobile o a chi abbia titolo per
richiederlo") a sua volta ispirata
dall'art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario
che il soggetto istante sia o il titolare
del diritto di proprietà sul fondo o chi,
pur essendo titolare di altro diritto, reale
o di obbligazione, abbia, per effetto di
questo, obbligo o facoltà di eseguire i
lavori per cui chiede il permesso; quindi
anche il locatario se il contratto di
locazione reca l'esplicita o implicita, ma
inequivocabile, autorizzazione
all'esecuzione di dati interventi di
trasformazione edilizia del bene in funzione
dell'uso per il quale lo stesso è stato
concesso ad altri (Cass. civ., III sez.,
15.03.2007 n. 6005; Cons. Stato, Sez. V,
28.05.2001 n. 2882; 04.02.2004 n. 368; TAR
Veneto, Sez. II, 23.07.2001 n. 2211; TAR
Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 01.07.2008 n.
338).
D’altra parte, certamente spetta al Comune
la verifica del possesso del titolo, la cui
mancanza impedisce all'amministrazione di
procedere oltre nell'esame del progetto
(Cons. Stato, Sez. IV, 22.06.2000 n. 3525;
Sez. V, 12.05.2003, n. 2506; Sez. IV,
08.06.2007 n. 3027; TAR Emilia Romagna,
Parma, 21.02.2007 n. 53; TAR Campania,
Napoli, sez. VII, 12.12.2007 n. 16213; TAR
Basilicata, 19.01.2008 n. 15 (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 01.10.2009 n. 2226 -
link a
http://mondolegale.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di rigetto di istanza di sanatoria
presentata con DIA devono essere comunicati
i motivi ostativi all’accoglimento della
richiesta.
Il caso concerne la costruzione di un
muretto con sovrastante ringhiera metallica,
muretto per cui il ricorrente aveva avanzato
istanza di sanatoria tramite DIA presentata
ai sensi degli articoli 36 e 37 del dpr
380/2001.
Con determinazione dirigenziale il comune
dichiarava di non poter accogliere l’istanza
di sanatoria.
Il ricorrente oppone il mancato rispetto
dell’art. 10-bis della legge 241/1990: il
collegio ritiene fondata la doglianza
infatti afferma “Rispetto a provvedimenti
del genere di quello in esame non appare,
infatti, che possa essere posta in
discussione l’operatività del disposto della
prescrizione di cui al citato art. 10-bis
della legge n. 241/1990 e, dunque,
l’esistenza dell’obbligo
dell’Amministrazione di comunicare
all’istante i motivi che ostano
all’accoglimento della domanda, così da
porre l’interessato nella condizione di
presentare osservazioni”. D’altro canto
l’amministrazione non può invocare
l’applicazione dell’art. 21-octies comma 2
della legge 241/1990 in quanto non ha
dimostrato che il contenuto del
provvedimento impugnato non avrebbe potuto
essere diverso da quello adottato in
concreto.
La disposizione citata infatti reca
specificatamente: ”il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile
per mancata comunicazione dell'avvio del
procedimento qualora l'amministrazione
dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere
diverso da quello in concreto adottato”.
Non essendoci elementi per fare riferimento
a suddetto articolo non diventa irrilevante
il fatto di non aver comunicato, in ossequio
all’art. 10-bis, i motivi che si
frapponevano alla accettazione della istanza
di sanatoria. E pertanto il collegio ha
ritenuto di dover accogliere il ricorso
presentato dal ricorrente e annullare il
provvedimento di diniego impugnato
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it -
TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater,
sentenza 23.09.2009 n. 9240 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
illegittima l’ordinanza di demolizione di un
manufatto costruito su progetto presentato
tramite DIA se l’amministrazione non abbia
prima annullato il provvedimento tacito di
accoglimento dell’istanza.
La decisione in rassegna tratta di un
tardivo ripensamento di una pubblica
amministrazione.
Al comune, resistente nel
presente giudizio, il ricorrente aveva
inoltrato istanza autorizzatoria alla
costruzione di un manufatto per il tramite
di denuncia di inizio attività. Decorsi i 30
giorni stabiliti dalla norma, il ricorrente
ha avviato i lavori per la costruzione di
una veranda. In riferimento al manufatto,
per il quale la DIA era stata presentata nel
2006, il comune emette ordinanza di
demolizione nel 2007 assegnando per
l’esecuzione dell’ordine un termine di 90
giorni.
In risposta all’ordinanza di
demolizione che da una parte riconosce la
legittimità del progetto presentato tramite
DIA e dall’altra ne ravvisa
l’incompatibilità con la zonizzazione del
Piano Regolatore, il ricorrente propone
ricorso al Tar competente il quale accoglie
la proposta per i motivi che di seguito si
illustrano. La denuncia di inizio attività
disciplinata dal T.U. in materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è assimilabile a
un’istanza autorizzatoria, che, con il
decorso del termine di legge, provoca la
formazione di un provvedimento tacito di
accoglimento dell’istanza.
Pertanto,
l’Amministrazione, dopo il decorso del
termine di trenta giorni per la formazione
del provvedimento tacito, non perde i propri
poteri di autotutela che, nel caso di
esercizio di un’attività di secondo grado
(che si estrinseca in un annullamento
d’ufficio o in una revoca), devono tuttavia
essere esercitati nel rispetto del principio
di certezza dei rapporti giuridici e di
salvaguardia del legittimo affidamento del
privato nei confronti dell’attività
amministrativa.
La valutazione effettuata
dall’Amministrazione nell’ordinanza di
demolizione circa la contrarietà dell’opera
eseguita dal ricorrente a seguito della
presentazione della D.I.A., avrebbe dovuto
essere preceduta dall’annullamento del
provvedimento formatosi sulla D.I.A.
E
quest’ultimo avrebbe dovuto essere preceduto
dall’avviso di avvio del procedimento nel
rispetto di tutte le forme sostanziali e
procedimentali previste per gli atti in
autotutela, compreso il rispetto del tempo
ragionevole per porre in essere il
provvedimento di secondo grado come
espressamente stabilito dall’art. 21-nonies
della legge 241/1990 il quale stabilisce che
il provvedimento amministrativo illegittimo
ai sensi dell'articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le
ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto
dalla legge.
In sostanza il provvedimento
impugnato non rispetta la serie
procedimentale descritta ponendosi in
violazione sia dell’art. 3 che degli
articoli 7, 8 e 21-nonies della legge
241/1990.
Sulla base di tale considerazione finale il
collegio emiliano non può che emettere la
propria sentenza di accoglimento del ricorso
e quindi di annullamento dell’ordinanza di
demolizione (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia
Romagna-Parma,
sentenza 22.09.2009 n. 676 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
fatto che la presentazione della d.i.a., una
volta decorso il termine di 20 giorni senza
che il Comune abbia inibito i lavori ivi
previsti, formi un titolo autorizzatorio
implicito trova conferma nell’art. 19, comma
3, della legge n. 241/1990, il quale fa
salvo il potere dell’amministrazione di
revocare o annullare, in autotutela, il
provvedimento formatosi per l’effetto
combinato della denuncia di inizio attività
e del silenzio dell’Ente.
Secondo un recente orientamento
giurisprudenziale, che il Collegio
condivide, la d.i.a. rappresenta una
semplificazione procedimentale che consente
al privato di conseguire un titolo
abilitativo, nella forma dell’autorizzazione
implicita di natura provvedimentale, a
seguito del decorso del termine di legge
dalla presentazione della denuncia (art. 84
della L.R. n. 1/2005), ed è impugnabile dal
terzo nell’ordinario termine di decadenza di
60 giorni, decorrenti dalla conoscenza del
consenso implicito all’intervento edilizio
oggetto della stessa (Cons. Stato, IV,
25/11/2008, n. 5811; idem, VI, 05/04/2007,
n. 1550; TAR Liguria, II, 09/01/2009, n.
43).
Il fatto che la presentazione della d.i.a.,
una volta decorso il termine di 20 giorni
senza che il Comune abbia inibito i lavori
ivi previsti, formi un titolo autorizzatorio
implicito trova conferma nell’art. 19, comma
3, della legge n. 241/1990, il quale fa
salvo il potere dell’amministrazione di
revocare o annullare, in autotutela, il
provvedimento formatosi per l’effetto
combinato della denuncia di inizio attività
e del silenzio dell’Ente
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 18.09.2009 n. 1456 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è applicabile alla denuncia di inizio
attività l’art. 10-bis della legge n.
241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi
(inclusa la particolare ipotesi della
denuncia di inizio attività), il Comune è
tenuto a verificare la legittimazione
soggettiva del richiedente, con il solo
limite di non poter procedere d’ufficio ad
indagini su profili che non appaiano
controversi.
Come ripetutamente affermato dalla
giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di
Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non è
applicabile alla denuncia di inizio attività
l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e,
comunque, ai sensi dell’art. 21-octies della
stessa legge, il vizio formale impedisce
l’annullamento del provvedimento impugnato
nell’ipotesi in cui il contenuto sostanziale
dell’atto non avrebbe potuto essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di
Stato (IV, n. 4828 del 12.09.2007), l’art.
10-bis della legge n. 241/1990 è
inapplicabile alla denuncia di inizio
attività, che costituisce un provvedimento
(implicito) favorevole al privato, mentre
presenta contenuto negativo (pur non essendo
a rigore un rigetto dell’istanza) il
successivo atto di diffida a non compiere
l’attività. Inoltre, il preavviso relativo
all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe
in un’ingiustificata duplicazione
dell’ordine stesso, incompatibile con il
termine ristretto entro cui
l’Amministrazione deve provvedere, non
essendo, tra l’altro, previste parentesi
procedimentali produttive di sospensione del
termine medesimo.
Come affermato
in giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV,
n. 5811 del 25.11.2008; TAR Catanzaro, II,
n. 1133 del 29.07.2008; Consiglio di Stato,
V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in sede
di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la
particolare ipotesi della denuncia di inizio
attività), il Comune è tenuto a verificare
la legittimazione soggettiva del
richiedente, con il solo limite di non poter
procedere d’ufficio ad indagini su profili
che non appaiano controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il
dovere di verificare l’esistenza del
possesso dell’area (cioè del concreto
esercizio, da parte del richiedente, del
potere sulla cosa, che si concreta in
un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale),
anche tenendo conto di eventuali giudizi
instaurati (senza che ciò implichi che sia
devoluto al Comune il definitivo
accertamento di contrastanti posizioni di
diritto soggettivo, demandato, invece, alla
sede naturale della risoluzione di tali
conflitti, cioè alla giurisdizione
ordinaria), di talché nella specie risulta
legittimo (e ragionevole) il ricorso alla
diffida a non eseguire l’attività, in quanto
Biamonte Alfonsina in Leone ha sostenuto in
giudizio di aver usucapito (almeno in parte)
anche la particella 448 del foglio 14, come
risulta dall’atto di citazione versato in
atti (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. a sanatoria.
La sanatoria di cui all'articolo 37 dpr
380/2001 può essere chiesta solo per gli
interventi edilizi di cui all’art. 22, commi
1 e 2 (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 09.07.2009 n. 28040 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' illegittimo il motivato
provvedimento di divieto all'esecuzione
delle opere notificato oltre i 60 gg. dalla
data di presentazione della D.I.A. (ex art.
9 del d.l. n. 154/1996 in relazione all’art.
19 della legge n. 241/1990).
Oggi, come è noto, in relazione alla materia
dell’edilizia, vige una disciplina in
qualche modo speciale o comunque
diversificata, introdotta dagli art. 22 e 23
del T.U. sull’edilizia (approvato con DPR
06.06.2001 n. 380); ma ciò è affatto
ininfluente ai fini della risoluzione della
controversia che ne occupa, poiché alla
stessa si applica quella antecedente,
all’epoca dei fatti racchiusa nell’art. 9
del d.l. 25.03.1996 n. 154, che richiamava,
a tal fine, l’art. 19 della legge n.
241/1990 (ovviamente, nel testo allora
vigente, allora modificato dall’art. 2,
comma 10, della legge 23.12.1993 n. 537).
Ora, il dettato testuale della norma appena
citata è il seguente: <<10. L'art. 19
della legge 07.08.1990, n. 241, è sostituito
dal seguente:
"Art. 19. - 1. In tutti i casi in cui
l'esercizio di un'attività privata sia
subordinato ad autorizzazione, licenza,
abilitazione, nulla-osta, permesso o altro
atto di consenso comunque denominato, ad
esclusione delle concessioni edilizie e
delle autorizzazioni rilasciate ai sensi
delle leggi 01.06.1939, n. 1089, 29.06.1939,
n. 1497, e del decreto-legge 27.06.1985, n.
312, convertito, con modificazioni, dalla
legge 08.08.1985, n. 431, il cui rilascio
dipenda esclusivamente dall'accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge, senza
l'esperimento di prove a ciò destinate che
comportino valutazioni tecniche
discrezionali, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo per il
rilascio degli atti stessi, l'atto di
consenso si intende sostituito da una
denuncia di inizio di attività da parte
dell'interessato alla pubblica
amministrazione competente, attestante
l'esistenza dei presupposti e dei requisiti
di legge, eventualmente accompagnata
dall'autocertificazione dell'esperimento di
prove a ciò destinate, ove previste. In tali
casi, spetta all'amministrazione competente,
entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia,
verificare d'ufficio la sussistenza dei
presupposti e dei requisiti di legge
richiesti e disporre, se del caso, con
provvedimento motivato da notificare
all'interessato entro il medesimo termine,
il divieto di prosecuzione dell'attività e
la rimozione dei suoi effetti, salvo che,
ove ciò sia possibile, l'interessato
provveda a conformare alla normativa vigente
detta attività ed i suoi effetti entro il
termine prefissatogli dall'amministrazione
stessa">>.
Orbene, come appare evidente dalla semplice
lettura della norma, nel caso di specie la
violazione della stessa si manifesta per
tabulas. Infatti, il divieto impugnato è
stato emesso ben oltre il termine di 60
giorni, vale a dire allorquando
l’amministrazione aveva consumato il potere
conferitole dalla legge, né essa aveva
assegnato all’interessato un termine per la
regolarizzazione della situazione (nel caso
che l’avesse ritenuta possibile)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.07.2009 n. 2137 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Moro,
LA CONTROVERSA NATURA GIURIDICA DELLA D.I.A.
(link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: F.
Zambelli,
Denuncia Inizio Attività Edilizia – Aspetti Giuridici
(26.06.2009 - tratto da www.ztlex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Giudizio amministrativo -
Procedura - Legittimazione - Edilizia -
Nozione di collegamento fra immobili.
2. Dichiarazione inizio attività -
Impugnazione da parte del terzo - Mezzi -
Azione di accertamento autonomo -
Sussistenza - Ragioni.
1.
Oltre ai singoli proprietari di immobili
limitrofi, la legittimazione va riconosciuta
a tutti coloro che si trovino, non in virtù
della titolarità di un diritto reale,
comunque in una situazione di collegamento,
non effimero ma stabile con la zona stessa,
ove gli stessi ritengano che per effetto
della nuova costruzione, in contrasto con le
prescrizioni urbanistiche, si determini una
rilevante e pregiudizievole alterazione del
preesistente assetto urbanistico ed
edilizio. Tale precisazione deriva dalla
considerazione per cui il rapporto di
vicinitas dei proprietari frontisti è
sufficiente a sostanziare la legittimazione
ad agire, in quanto non può che comprendere
in sé l'interesse personale alla
conservazione e salvaguardia delle
caratteristiche costruttive e insediative
dell'ambiente circostante.
2.
Poiché la d.i.a. non è un provvedimento
amministrativo a formazione tacita, ma un
atto privato, la tutela deve essere
assicurata al terzo mediante strumenti
diversi dall'azione di annullamento, che
siano perfettamente compatibili con la
natura privatistica della d.i.a.. E tale
strumento è stato individuato nell'azione di
accertamento autonomo che il terzo può
esperire innanzi al giudice amministrativo
per sentire pronunciare che non sussistevano
i presupposti per svolgere l'attività sulla
base di una semplice denuncia di inizio di
attività (Cons. Stato, sez. VI, 09-02-2009
n. 717) ( TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 18.06.2009 n. 431 - link
a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Art. 23 d.P.R. n.
380/2001 - Scadenza del termine -
Legittimazione ex lege all’esercizio
dell’attività edilizia - Amministrazione -
Esercizio del potere sanzionatorio -
Preventivo intervento in autotutela.
Allo scadere del termine previsto dall’art.
23 d.P.R. 380/2001, si consolida in capo
all’istante una legittimazione ex lege
all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l’esercizio
dell’attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio ma deve
prima intervenire in autotutela per
rimuovere la legittimazione ad edificare che
è sorta per effetto della presentazione
della d.i.a. e del decorso del termine di
trenta giorni senza che l’amministrazione
abbia esercitato il potere inibitorio.
Il potere di autotutela, a differenza di
quello sanzionatorio, è discrezionale,
dovendo l’amministrazione, prima di
intervenire, valutare gli interessi in
conflitto (tenendo conto anche
dell’affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale, che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui poteri di cui dispone
l'amministrazione nell'ambito del rapporto
che si origina on la presentazione della
D.I.A..
La pubblica amministrazione, nell’ambito del
rapporto che si origina con la presentazione
della dichiarazione di inizio attività,
dispone di tre differenti poteri.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n.
380/2001, per 30 giorni a decorrere dal
ricevimento della dichiarazione di avvio
dell’attività, l’amministrazione ha il
potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la
fattispecie che abilita il privato a
costruire e l’amministrazione decade dal
potere di inibire la prosecuzione
dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il
conseguente consolidamento del titolo, non
comportano tuttavia che l'attività edilizia
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e dunque possa andare
esente dalle sanzioni previste
dall’ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi
(Cons. Stato, sez. IV, sentenza n.
3498/2005).
Venuto meno il potere inibitorio, residuano,
difatti, il generale potere repressivo degli
abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n.
380/2001 ed un potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990
secondo cui “è fatto comunque salvo il
potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies” (sia pure sui
generis, poiché, a differenza della consueta
autotutela decisoria non implica un’attività
di secondo grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo).
La legge n. 80/2005, nel riformulare l’art.
19 l. n. 241/1990, ha, difatti, precisato
che la p.a. può vietare lo svolgimento
dell’attività ed ordinare l’eliminazione
degli effetti già prodotti anche dopo che è
scaduto il termine perentorio. Lo potrà
fare, però, soltanto se vi sono i
presupposti per l’esercizio del potere di
autotutela (in particolare dell’annullamento
d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole
lasso di tempo, dopo aver valutato gli
interessi in conflitto e sussistendone le
ragioni di interesse pubblico.
Allo scadere
del termine previsto dall’art. 23 d.P.R.
380/2001, si consolida, difatti, in capo
all’istante una legittimazione ex lege
all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l’esercizio
dell’attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio ma deve
prima intervenire in autotutela per
rimuovere la legittimazione ad edificare che
è sorta per effetto della presentazione
della d.i.a. e del decorso del termine di 30
giorni senza che l’amministrazione abbia
esercitato il potere inibitorio.
Il provvedimento impugnato, adottato
dall’amministrazione successivamente allo
scadere del termine di 30 giorni, che
afferma l’insussistenza del presupposto per
l’intervento di recupero del sottotetto
richiesto dalla l.reg. n. 15/1996, non può,
dunque, che qualificarsi come esercizio di
un potere di autotutela.
Non assume rilievo, al riguardo, la
circostanza che le modifiche all’art. 19, l.
n. 241/1990 siano intervenute
successivamente alla presentazione della
d.i.a.: l’attuale formulazione di tale norma
era sicuramente vigente alla data di
adozione del provvedimento impugnato; in
ogni caso, anche prima dell’entrata in
vigore della l. n. 80/2005, la
giurisprudenza riteneva che, successivamente
al perfezionarsi della d.i.a., sussistesse
in capo alla p.a. un potere di intervento in
autotutela (Consiglio di Stato, sez. IV,
04.09.2002, n. 4453).
Il potere di autotutela, a differenza di
quello sanzionatorio, è discrezionale,
dovendo l’amministrazione, prima di
intervenire, valutare gli interessi in
conflitto (tenendo conto anche
dell’affidamento ingeneratosi in capo al
denunciante) e la sussistenza di un
interesse pubblico concreto e attuale, che
non coincide con il mero ripristino della
legalità violata.
Presupposti per il corretto esercizio del
potere di annullamento in autotutela sono
dunque:
- un atto affetto da un vizio di
legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale all’annullamento, non
identificabile con il mero ripristino della
legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli
interessi pubblici e privati alla
conservazione dell’atto, specie se, per il
tempo trascorso dall’adozione dell'atto
viziato, si siano consolidate, in concreto,
situazioni soggettive tutelabili
(TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e poteri della P.A..
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n.
380/2001, per 30 giorni a decorrere dal
ricevimento della dichiarazione di avvio
dell’attività, l’amministrazione ha il
potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la
fattispecie che abilita il privato a
costruire e l’amministrazione decade dal
potere di inibire la prosecuzione
dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il
conseguente consolidamento del titolo, non
comportano tuttavia che l'attività edilizia
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e dunque possa andare
esente dalle sanzioni previste
dall’ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi
Venuto meno il potere inibitorio, residuano,
difatti, il generale potere repressivo degli
abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n.
380/2001 ed un potere di autotutela previsto
dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990
secondo cui "è fatto comunque salvo il
potere dell’amministrazione competente di
assumere determinazioni in via di
autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies" (sia pure sui
generis, poiché, a differenza della consueta
autotutela decisoria non implica un’attività
di secondo grado insistente su un procedente
provvedimento amministrativo) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.06.2009 n. 4066 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La DIA è sostanzialmente
equiparata al permesso di costruire per
quanto concerne le modalità di impugnazione.
Il Collegio condivide l’orientamento
giurisprudenziale riguardante la natura
della DIA che viene sostanzialmente
equiparata al permesso di costruire per
quanto concerne le modalità di impugnazione
(cfr. Cons. Stato, Sez. VI 05.04.2007 n.
1550; Sez. V, 20.01.2003 n. 172; TAR
Liguria, Sez. I, 06.06.2008 n. 1228)
(TAR Marche,
sentenza 03.06.2009 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Decorso del termine -
Effetti.
2. Denuncia di
inizio attività - Decorso del termine
-Provvedimento comunale di inibitoria -
Possibilità - Modalità.
3. Denuncia di
inizio attività - Annullamento in autotutela
- Presupposti.
1. Il decorso del termine di
30 giorni,
ed il conseguente consolidamento della d.i.a., non comportano che l'attività
edilizia del privato, ancorché del tutto
difforme dal paradigma normativo, possa
considerarsi lecitamente effettuata e possa
andare esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3498/2005;
TAR Milano, sent. n. 5224/2008).
2. Allo scadere del termine ex art. 23
D.P.R. 380/2001, si consolida in capo
all'istante una legittimazione ex lege
all'esercizio dell'attività edilizia,
pertanto la P.A., per contestare la
sussistenza dei requisiti o delle condizioni
previste dalla legge per l'esercizio
dell'attività edificatoria oltre lo scadere
di tale termine, non può esercitare
direttamente un potere sanzionatorio: prima
deve intervenire in autotutela per rimuovere
la legittimazione ad edificare sorta per
effetto della presentazione della d.i.a. e
del decorso del termine senza che la stessa
P.A. abbia esercitato il potere inibitorio.
3.
Tre sono i presupposti per il corretto
esercizio del potere di annullamento in
autotutela: un atto affetto da un vizio di
legittimità; l'esistenza di un interesse
pubblico concreto ed attuale
all'annullamento, non identificabile con il
mero ripristino della legalità violata; la
prevalenza di tale interesse sugli interessi
pubblici e privati alla conservazione
dell'atto, specie se, per il tempo trascorso
dall'adozione dell'atto viziato, si siano
consolidate, in concreto, situazioni
soggettive tutelabili (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
17.06.2009 n.
4066 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. D.i.a. in
sanatoria - Variante in corso d'opera -
Obbligo di preventivo esame rispetto
all'adozione di misure repressive di abusi
edilizi - Sussiste - Obbligo di preventivo
esame anche nel caso di accertamento di
abusi prima della presentazione della
variante - Sussiste.
2. Motivazione
dell'atto amministrativo - Divieto di
integrazione ex post in giudizio della
motivazione - Non può essere eluso dalla
presentazione di una relazione da parte di
tecnico incaricato dal Comune.
3. L.R. 26/1995 -
Modifica dell'altezza realizzata in sua
applicazione - Incidenza sul volume e sui
parametri urbanistici - Non sussiste.
1. La presentazione di una d.i.a. in
sanatoria (o variante in corso d'opera)
produce infatti l'effetto che
l'Amministrazione non può adottare misure
repressive di abusi edilizi senza aver prima
vagliato la dichiarazione di inizio di
attività e, ciò, all'evidenza, per non
correre il rischio che, portata ad
esecuzione l'ingiunzione a demolire,
risulterebbe vanificato un eventuale
provvedimento di accoglimento della variante
in sanatoria con il conseguente
riconoscimento della legittimità di un opera
ormai non più esistente.
Tale obbligo
sussiste anche nel caso in cui, prima della
presentazione della variante al progetto, le
opere siano state considerate abusive
dall'amministrazione in quanto non conformi
alla normativa urbanistica e quindi oggetto
di un provvedimento di demolizione. Anche in
questo caso, infatti, l'Amministrazione deve
valutare la sanabilità dell'opera sia nel
caso in cui l'interessato presenti istanza
di accertamento di conformità sia nel caso
in cui presenti variante in corso d'opera.
2. La prospettazione per la prima volta in
giudizio delle ragioni che hanno
effettivamente determinato la scelta
amministrativa controversa si rivela
confliggente con il divieto di integrazione
ex post della motivazione dell'atto
impugnato, né a tale scopo può sovvenire la
relazione tecnica presentata da un tecnico
incaricato dal Comune.
3. La L.R.
26/1995, disponendo che i volumi creati in
conformità alle sue disposizioni non vanno
computati a diversi fini, permette di
escludere che le modifiche di altezza
incidano sul volume e sui parametri
urbanistici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.05.2009 n.
3776 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Potere di inibire
i lavori oggetto di d.i.a. - Attività
vincolata - Vizio di eccesso di potere - Non
Sussiste.
Il potere di inibire i lavori oggetto di
denuncia di inizio attività ha carattere
vincolato e, pertanto, non può ravvisarsi un
vizio di eccesso di potere che presuppone
l'esistenza di un potere discrezionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.05.2009 n.
3652 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Dichiarazione inizio attività
- Realizzazione di impianti di energia
rinnovabile - Ratio.
2. Dichiarazione inizio attività -
Asseverazione del tecnico-progettista - Ex
art. 23, co. 1, D.P.R. n. 380/2001 -
Funzione.
3. Dichiarazione inizio attività -
Qualificazione - Relazione asseverata ex
art. 23, co. 1, D.P.R. n. 380/2001 - Ratio.
4. Dichiarazione inizio attività - Ex art.
23, D.P.R. n. 380/2001 - Funzione -
Peculiarità.
5. Dichiarazione inizio attività - Relazione
del progettista abilitato ex art. 23, co. 1,
D.P.R. n. 380/2001 - Condizione necessaria
ala realizzazione della denuncia di inizio
attività - Falsa attestazione - Conseguenze.
6. Dichiarazione inizio attività - Richiesta
istruttoria - In caso di omissione della
relazione del progettista abilitato -
Conseguenze - Effetti inibitori - Termine -
Decorrenza.
1.
Nell'ampio contesto di liberalizzazione, la
D.I.A. nasce dall'esigenza di introdurre
forme di semplificazione per gli interventi
c.d. minori, ossia per quelle opere aventi
un minore impatto urbanistico-edilizio. In
questa direzione si colloca la
"responsabilizzazione" del privato
attraverso l'assunzione di maggiori
attribuzioni nell'accertamento della
conformità dell'opera ai parametri
urbanistici vigenti.
In particolare, con la D.I.A. si legittima
l'esercizio di talune attività economiche
(tra cui quella diretta alla realizzazione
di impianti di energia rinnovabile, i quali
godono di un certo favor legislativo anche
per i benefici che gli stessi apportano in
termini di tutela dell'ambiente e della
salute per i cittadini) sulla base di una
semplice dichiarazione del privato, con ciò
abolendo la necessità dell'intervento
preventivo della pubblica autorità.
2.
La asseverazione del tecnico-progettista
prevista dall'art. 23 co. 1, D.P.R. n.
380/2001, costituisce condizione essenziale
di efficacia della denuncia di inizio
attività, ossia elemento fondamentale ed
imprescindibile del procedimento. Essa
svolge in particolare funzione eminentemente
certificativa -rafforzata anche da
specifiche previsioni sanzionatorie- nella
parte in cui il tecnico abilitato attesta la
regolarità dell'intervento da realizzare in
relazione all'intera disciplina
dell'attività edilizia (1).
----------------
(1) Cass. Pen., sez. III, 6-4-1995
3.
La D.I.A. va qualificata come fattispecie a
formazione progressiva che si perfeziona
solo in presenza di alcuni elementi
costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi
l'atto del privato (unitamente alla
asseverazione del progettista), il decorso
di un determinato lasso di tempo (30 gg.),
oltre alla sussistenza dei presupposti
sostanziali di operatività dell'istituto
(ossia la conformità dell'intervento alle
prescrizioni di piano).
In detto contesto, la relazione asseverata
di cui all'art. 23 co. 1, D.P.R. n.
380/2001, assume un'importanza fondamentale
in quanto rappresenta in concreto l'atto in
base al quale avrà luogo l'attività di
verifica in ordine alla conformità delle
opere da realizzare agli strumenti
urbanistici.
4.
L'istituto della D.I.A. comporta una
inversione della tradizionale sequenza
procedimentale, poiché la dichiarazione del
privato, corredata dalla relazione tecnica
attestante l'esistenza dei requisiti
stabiliti dalla legge, precede e, salvo
provvedimento inibitorio, prescinde
dall'atto amministrativo che
tradizionalmente, invece, ed almeno in via
di regola, deve autorizzare l'attività
edilizia dei privati, così come accade per
il permesso di costruire.
Nel caso della D.I.A., il ruolo giocato
dalla p.A. muta radicalmente rispetto ai
procedimenti permissivi: mentre in questi
ultimi il provvedimento amministrativo è di
tipo autorizzatorio e, quindi, precede
l'inizio dei lavori, nella procedura
semplificata, invece, la p.A. non adotta un
formale atto di consenso, ma interviene solo
in termini inibitori qualora accerti
l'assenza dei presupposti legislativamente
richiesti. Da tale inversione procedurale
discendono indubbi vantaggi in termini di
accelerazione e di semplificazione dei
procedimenti, anche in vista del
raggiungimento degli obiettivi di
liberalizzazione di quel determinato settore
economico (2).
------------------
(2) Puntualizza il Tribunale, che
tuttavia per garantire l'ottenimento di tali
vantaggi è quanto mai necessario che
ciascuno degli attori del processo (privato
e amministrazione) rispetti il ruolo che
l'ordinamento gli attribuisce, pena la
vanificazione dell'obiettivo
legislativamente fissato. In altre parole,
qualora si acceda alla tesi secondo la
quale, ai fini dell'utile decorso del
termine, non è strettamente necessario
allegare alla dichiarazione del privato
anche l'asseverazione del tecnico abilitato
(la quale potrebbe essere allegata in ogni
momento su richiesta del responsabile del
procedimento, senza che tale richiesta
istruttoria possa in qualche modo
interrompere l'utile decorso del termine di
30 gg.), si rischierebbe di alterare il
predetto rapporto di inversione, ossia di
ritornare agli schemi classici secondo cui
il privato chiede e la p.A. valuta la
legittimità della pretesa, il che non
sarebbe coerente con la ratio che ispira il
modello di semplificazione della D.I.A..
----------------
5.
Dal punto di vista strettamente procedurale,
la relazione asseverata costituisce una
condizione necessaria alla realizzazione
della fattispecie complessa a formazione
progressiva della denuncia di inizio
attività, posto che funge da parametro nelle
operazioni di verifica della p.A., la quale
deve controllare il rispetto dei vincoli
urbanistici sulla base della descrizione
dell'intervento edilizio risultante dalla
relazione.
Proprio per questa ragione il progettista
abilitato, nel dichiarare la sostanziale
conformità alle normative
urbanistico-edilizie delle opere oggetto di
D.I.A., compie un servizio di pubblica
necessità: dunque, in caso di falsa
attestazione, accertata dalla p.A. in fase
di controllo, può essere denunziato
all'autorità giudiziaria e segnalato
all'ordine di appartenenza, così da essere
soggetto sia alle sanzioni previste dagli
artt. 359 e 481, Cod. Pen. sia a quelle del
proprio ordine professionale (3).
-------------------
(3) Il Tribunale, ritiene che non debba
essere trascurato il fatto che il co. 5
dell'art. 23, T.U.E.L. specifica altresì che
la sussistenza del titolo edilizio formatosi
con la D.I.A. viene dimostrata grazie alla
copia della denuncia di inizio attività da
cui deve risultare la data di ricevimento
della D.I.A. ed a cui va aggiunto l'elenco
della documentazione allegata alla denunzia
e, in primo luogo, la relazione asseverata
del progettista abilitato. Ciò che assicura
una efficacia probatoria, del tutto analoga
a quella offerta dal permesso di costruire
formalmente rilasciato dalla p.A., sia sul
piano della vigilanza edilizia, sia su
quello dei rapporti tra privati (si pensi
alla compravendita di immobili edificati o
ristrutturati in base a D.I.A.). Art. 29,
Testo Unico Edilizia.
6.
Nell'ambito del procedimento di
dichiarazione di inizio attività,
l'eventuale intervento del responsabile,
diretto a richiedere l'integrazione della
pratica attraverso la asseverazione del
progettista qualora questa sia stata omessa,
non può che avere effetti sostanzialmente
inibitori, dal momento che l'utile decorso
del termine deve essere indissolubilmente
legato alla presentazione di tutta la
documentazione (e soprattutto attestazione)
necessaria a porre gli uffici comunali nelle
condizioni di poter esercitare in concreto
il proprio potere di controllo di secondo
grado.
Ciò in quanto senza asseverazione non è
possibile attivare la successiva fase di
verifica. Il suddetto intervento produce
effetti interruttivi e non sospensivi del
termine di 30 giorni; tale termine
riprenderà poi a decorrere soltanto a
seguito della nuova ed eventuale
presentazione della D.I.A., se integrata con
la prescritta asseverazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 07.05.2009 n. 1012 -
link a http://mondolegale.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nella denuncia di inizio
attività, produce effetti interruttivi
l'intervento del responsabile del
procedimento diretto a richiedere
l'integrazione della pratica attraverso
l'asseverazione del progettista, qualora
questa sia stata omessa.
La asseverazione del tecnico progettista
prevista dall’art. 23, comma 1, del DPR n.
380 del 2001, anche secondo la dottrina
dominante, costituisce condizione essenziale
di efficacia della denuncia, ossia elemento
fondamentale ed imprescindibile del
procedimento (cfr. Cass. pen., Sez. III,
06.04.1995).
Essa svolge in particolare funzione
eminentemente certificativa –rafforzata
anche da specifiche previsioni
sanzionatorie, come si vedrà– nella parte in
cui il tecnico abilitato attesta la
regolarità dell’intervento da realizzare in
relazione all’intera disciplina
dell’attività edilizia.
Del resto, se la DIA di cui all’art. 19
della legge n. 241 del 1990 prevede in linea
generale che una semplice “denunzia”
a firma del privato interessato possa
attestare l’esistenza dei presupposti e dei
requisiti di legge dell’attività da
intraprendere, l’art. 23 del testo unico
edilizia sembra senz’altro sottrarre questo
potere autocertificativo al privato
esecutore dell’intervento, o almeno
attenuarne la portata, per attribuirlo
invece –quanto meno nella sua parte
prevalente– al progettista abilitato.
In questa direzione va condivisa la tesi che
qualifica la DIA come fattispecie a
formazione progressiva che si perfeziona
solo in presenza di alcuni elementi
costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi
l’atto del privato (unitamente alla
asseverazione del progettista), il decorso
di un determinato lasso di tempo (30 gg.),
oltre alla sussistenza dei presupposti
sostanziali di operatività dell’istituto
(ossia la conformità dell’intervento alle
prescrizioni di piano).
La relazione asseverata assume in detto
contesto un’importanza fondamentale in
quanto rappresenta in concreto l’atto in
base al quale avrà luogo l’attività di
verifica in ordine alla conformità delle
opere da realizzare agli strumenti
urbanistici.
L’istituto della DIA comporta così una
inversione della tradizionale sequenza
procedimentale, poiché la dichiarazione del
privato, corredata da una relazione tecnica
attestante l’esistenza dei requisiti
stabiliti dalla legge, precede e, salvo
provvedimento inibitorio, prescinde
dall’atto amministrativo che
tradizionalmente, invece, ed almeno in via
di regola, deve autorizzare l’attività
edilizia dei privati, così come accade per
il permesso di costruire.
Risulta allora evidente che, nel caso della
DIA, il ruolo giocato dalla PA muta
radicalmente rispetto ai procedimenti
permissivi: mentre in questi ultimi il
provvedimento amministrativo è di tipo
autorizzatorio e, quindi, precede l’inizio
dei lavori, nella procedura semplificata,
invece, la pubblica amministrazione non
adotta un formale atto di consenso, ma
interviene solo in termini inibitori qualora
accerti l’assenza dei presupposti
legislativamente richiesti.
Da tale inversione procedurale discendono
indubbi vantaggi in termini di accelerazione
e di semplificazione dei procedimenti, anche
in vista del raggiungimento degli obiettivi
di liberalizzazione di quel determinato
settore economico.
Tuttavia per garantire l’ottenimento di tali
vantaggi è quanto mai necessario che
ciascuno degli attori del processo (privato
e amministrazione) rispetti il ruolo che
l’ordinamento gli attribuisce, pena la
vanificazione dell’obiettivo
legislativamente fissato.
In altre parole, qualora si acceda alla tesi
secondo la quale, ai fini dell’utile decorso
del termine, non è strettamente necessario
allegare alla dichiarazione del privato
anche l’asseverazione del tecnico abilitato
(la quale potrebbe essere allegata in ogni
momento su richiesta del responsabile del
procedimento, a giudizio del ricorrente,
senza che tale richiesta istruttoria possa
in qualche modo interrompere l’utile decorso
del termine di 30 gg.), si rischierebbe di
alterare il predetto rapporto di inversione,
ossia di ritornare agli schemi classici
secondo cui il privato chiede e la PA valuta
la legittimità della pretesa, il che non
sarebbe coerente con la ratio che
ispira il modello di semplificazione della
DIA (TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 07.05.2009 n. 1012 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Quesito
7 -
In merito all'obbligo di sorveglianza
sull'esecuzione dei lavori che grava sul
progettista anche in caso di denuncia di
inizio attività (Geometra
Orobico n. 2/2009). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e permesso di costruire.
In base ad una analisi logico sistematica
del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di
una specifica previsione normativa, deve
ritenersi possibile anche alla D.I.A.
l’applicazione degli istituti previsti per
il permesso di costruire, in quanto entrambi
gli istituti hanno in comune la natura di “titoli
edilizi” e secondariamente alla luce dei
poteri che il legislatore ha previsto in
capo alle Amministrazioni deputate al
controllo degli interventi posti in essere
con la D.I.A..
Il Collegio ritiene di aderire
all’orientamento di quella parte della
giurisprudenza alla luce del quale,
nonostante il richiamo specifico dell’art
19, comma 3, della legge n. 241 del 1990,
agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, che
disciplinano la revoca e l’annullamento
d’ufficio, il potere dell’Amministrazione di
assumere determinazioni in via di autotutela
che la suddetta norma fa salvo, non si
esaurisce nell’utilizzazione dei suddetti
istituti, ma deve intendersi comprensivo di
tutte le iniziative che l’Amministrazione è
legittimata ad assumere per ristabilire, nel
pubblico interesse, la legalità violata,
compresa, quindi, la decadenza, come
sostenuto da parte resistente.
La giurisprudenza ha, d’altro canto, già
ritenuto applicabile alla D.I.A. edilizia
l’art. 31, comma 11, della legge n. 1150 del
1942, avente lo stesso contenuto del citato
art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del
2001, in quanto espressione dei permanenti
poteri di vigilanza che, nel pubblico
interesse, sono attribuiti
all’Amministrazione in ordine all’esecuzione
dell’opera autorizzata ed ai sensi dell’art.
4, comma 10 del D.L. 05.10.1993 n. 398,
convertito in legge, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, L. 04.12.1993, n. 493
che recita: “L'esecuzione delle opere per
cui sia esercitata la facoltà di denuncia di
attività ai sensi del comma 7 è subordinata
alla medesima disciplina definita dalle
norme nazionali e regionali vigenti per le
corrispondenti opere eseguite su rilascio di
concessione edilizia” (TAR Lombardia,
Brescia, ord. n. 27/2003, giurisprudenza
alla quale il Collegio non ritiene di
doversi discostare) (TAR Puglia-Bari, Sez.
III,
sentenza 22.04.2009 n. 983 - link
a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Art. 15, comma 4, del D.P.R. n.
380 del 2001 - Permesso di costruire -
Decadenza a seguito dell’entrata in vigore
di nuova disciplina urbanistica -
Applicabilità alla D.I.A..
L’istituto della decadenza previsto per il
permesso di costruire dall’art. 15, comma 4,
del D.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale
“Il permesso decade con l'entrata in
vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già
iniziati e vengano completati entro il
termine di tre anni dalla data di inizio”,
si applica anche alla D.I.A.
Ciò, prioritariamente, in base ad una
analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380
del 2001, in assenza di una specifica
previsione normativa, deve ritenersi
possibile anche alla D.I.A. l’applicazione
degli istituti previsti per il permesso di
costruire, in quanto entrambi gli istituti
hanno in comune la natura di “titoli
edilizi” e secondariamente alla luce dei
poteri che il legislatore ha previsto in
capo alle Amministrazioni deputate al
controllo degli interventi posti in essere
con la D.I.A. (TAR Umbria, 15.07.2007, n.
518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 22.04.2009 n. 983 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. DIA - Spatium
deliberandi dei 30 giorni dalla data di
presentazione della DIA e la sua efficacia -
Applicazione delle modifiche normative
sopravvenute - Sussiste in quanto il
procedimento non si è perfezionato e la DIA
non può ancora produrre effetti.
2. DIA - Spatium
deliberandi dei 30 giorni dalla data di
presentazione della DIA e la sua efficacia -
Applicazione delle modifiche relative alle
disposizioni regolamentari locali in materia pianificatoria e di tariffe degli oneri -
Sussiste.
3. DIA -
Disposizioni contenute nell'art. 42 commi 2
e 3 L.R. n. 12/2005 - Disciplinano il
procedimento di presentazione della DIA e
prevedono l'allegazione del computo del
costo di costruzione - Deroga al principio
generale sull'efficacia della DIA - Non
sussiste.
4. DIA -
Disposizione contenuta nel comma 7-bis
dell'art. 38 L.R. n. 12/2005 e s.m.i. -
Calcolo degli oneri di urbanizzazione - DIA
- Va effettuato al momento della
presentazione, momento equiparabile alla
presentazione della domanda di permesso di
costruire.
5. DIA - Carenza di
uno dei requisiti previsti dalla legge -
Efficacia - Non sussiste - Termine di
riferimento per il decorso dei 30 giorni
- Data di presentazione della documentazione
completa.
1. Nello
spatium deliberandi dei 30
giorni dalla presentazione della denuncia,
periodo durante il quale l'Amministrazione
ha un compito di controllo a conclusione del
quale può esercitare poteri inibitori dei
lavori non ancora avviati, le eventuali
modifiche normative devono trovare
applicazione in quanto il procedimento non è
ancora perfezionato e la DIA non può
produrre effetti: vige allora il principio
del tempus regit actum per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, salvo che espresse norme
statuiscano diversamente, quelle in vigore
al momento dell'avvio del procedimento.
2. Il principio della sensibilità della DIA
alle modifiche legislative nei 30 giorni
tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri.
3. Le disposizioni regionali contenute
nell'art. 42, commi 2 e 3, della L.R. n.
12/2005 non derogano al principio generale
secondo cui nel caso di intervento edilizio
assentito in forza di una DIA la normativa
da applicare è quella vigente alla data di
efficacia: l'art. 42 infatti si limita a
disciplinare il procedimento di
presentazione della DIA stabilendo che il
computo del costo di costruzione va allegato
alla DIA ma non introduce una deroga al
principio generale sull'efficacia della DIA.
4. A seguito dell'introduzione all'art. 38
della L.R. n. 12/2005 del comma 7-bis ad
opera della L.R. n. 4/2008, il calcolo degli
oneri di urbanizzazione primaria e
secondaria deve essere effettuato con
riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione della domanda di permesso di
costruire, purché la DIA sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla
normativa.
5.
La DIA per essere efficace deve avere tutti
i contenuti prescritti, dal momento che la
carenza di uno dei requisiti richiesti dalla
legge rende la denuncia non produttiva di
alcun effetto e, quindi, risulta irrilevante
il momento in cui la denuncia è stata
presentata incompleta. Il termine di
riferimento per il decorso dei 30 giorni
sarà quello in cui viene presentata la
documentazione completa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.04.2009 n. 3146). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il principio della "sensibilità"
della DIA alle modifiche legislative nei 30
giorni tra la presentazione e l'inizio
dell'efficacia deve trovare applicazione
anche rispetto ad eventuali variazioni delle
disposizioni regolamentari, tra cui la
disciplina pianificatoria e le tariffe degli
oneri.
-
Dopo l'introduzione del comma
7-bis all'art. 38 L.R. n. 12/2005 il calcolo
degli oo.uu. deve essere effettuato con
riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione del permesso di costruire.
Pertanto, la riterminazione degli oneri
secondo le nuove tariffe alle DIA non ancora
efficaci è una corretta applicazione dei
princìpi in materia.
-
Poiché la DIA, per essere
efficace, deve avere tutti i contenuti
prescritti, la carenza di uno dei requisiti
richiesti dalla legge rende la denuncia non
produttiva di alcun effetto e, quindi,
risulta irrilevante il momento in cui la
denuncia è stata presentata incompleta. Il
termine di riferimento per il decorso dei 30
giorni sarà quello in cui viene presentata
la documentazione completa.
-
Il termine di 30 giorni per la notifica
dell'ordine di non eseguire i lavori decorre
dalla presentazione della DIA allo sportello
unico per l'edilizia, come esplicitamente
dispone l'art. 23 del d.p.r. 380 del 2001",
in quanto "i tempi estremamente ristretti
assegnati all’Amministrazione per eseguire
le dovute verifiche giustificano pienamente
una disciplina che valorizza il momento in
cui la DIA viene presentata (o
effettivamente perviene) all’ufficio
deputato a dette verifiche, piuttosto che il
momento di presentazione ad altro ufficio
(ufficio centrale di protocollo) tenuto a
trasmetterlo a quello competente.
La DIA produce effetti al 30° giorno dalla
sua presentazione, purché, come già
affermato da questa Sezione, sia completa di
tutti gli elementi richiesti dalla Legge
(sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei 30
giorni dalla presentazione della denuncia,
periodo durante il quale l'Amministrazione
ha un compito di controllo, a conclusione
del quale può esercitare poteri inibitori
non ancora avviati, le eventuali modifiche
normative devono trovare applicazione, in
quanto il procedimento non è ancora
perfezionato e la DIA non può produrre
effetti; vige, allora, il principio del
tempus regit actum, per cui
l'Amministrazione è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo, quand'anche
sopravvenuta, e non già, salvo che espresse
norme statuiscano diversamente, quella in
vigore al momento dell'avvio del
procedimento.
Le innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
E il principio della "sensibilità" della DIA
alle modifiche legislative nei 30 giorni tra
la presentazione e l'inizio dell'efficacia
deve trovare applicazione anche rispetto ad
eventuali variazioni delle disposizioni
regolamentari, tra cui la disciplina
pianificatoria e le tariffe degli oneri.
L'art. 42 della L.R. n. 12/2005 non deroga
al principio generale secondo cui nel caso
di intervento edilizio assentito in forza di
una DIA la normativa da applicare è quella
vigente alla data di efficacia: infatti,
l'art. 42 si limita a disciplinare il
procedimento di presentazione della DIA,
stabilendo che il costo di costruzione va
allegato alla DIA, ma non introduce una
deroga al principio generale sulla efficacia
della DIA.
La L.R. n. 4/2008, che ha introdotto
nell'art. 38 il comma 7-bis, ha stabilito,
per il permesso di costruire, che gli oneri
di urbanizzazione primaria e secondaria
vengano determinati alla data di
presentazione della richiesta del permesso
di costruire, purché vi sia la completezza
documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica
legislativa gli oneri andassero determinati
al momento del rilascio del titolo, mentre a
seguito della modifica legislativa la
determinazione è anticipata all'atto della
presentazione del permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si
deve ritenere che prima della nuova
disciplina valesse il principio sopra
esposto, per cui erano rilevanti le
eventuali innovazioni legislative
intervenute nei 30 giorni ed anche
l'introduzione di nuove tariffe, se
approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo
l'introduzione del comma 7-bis all'art. 38
il calcolo deve essere effettuato con
riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione del permesso di costruire.
Dalle considerazioni sopra esposte discende
l'infondatezza del secondo motivo, dal
momento che la riterminazione degli oneri
secondo le nuove tariffe alle DIA non ancora
efficaci è una corretta applicazione dei
princìpi in materia.
Poiché la DIA,
per essere efficace, deve avere tutti i
contenuti prescritti, la carenza di uno dei
requisiti richiesti dalla legge rende la
denuncia non produttiva di alcun effetto e,
quindi, risulta irrilevante il momento in
cui la denuncia è stata presentata
incompleta. Il termine di riferimento per il
decorso dei 30 giorni sarà quello in cui
viene presentata la documentazione completa.
"Il termine di 30 giorni per la notifica
dell'ordine di non eseguire i lavori (o di
altro provvedimento equivalente) decorre
dalla presentazione della DIA allo sportello
unico per l'edilizia, come esplicitamente
dispone l'art. 23 del d.p.r. 380 del 2001",
in quanto "i tempi estremamente ristretti
assegnati all’Amministrazione per eseguire
le dovute verifiche giustificano pienamente
una disciplina che valorizza il momento in
cui la DIA viene presentata (o
effettivamente perviene) all’ufficio
deputato a dette verifiche, piuttosto che il
momento di presentazione ad altro ufficio
(ufficio centrale di protocollo) tenuto a
trasmetterlo a quello competente"
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.04.2009 n.
3146). |
EDILIZIA PRIVATA:
In tema di denuncia inizio
attività quanto al dies a quo va fatto
riferimento a quello in cui la d.i.a. sia
pervenuta allo sportello unico per
l’edilizia e non già a quello in cui essa
denuncia sia stata presentata all’ufficio di
protocollo del Comune.
Alla
D.I.A. non trova applicazione l’art. 10-bis
della 241 sul preavviso di rigetto nei
procedimenti amministrativi ad istanza di
parte.
In tema di denuncia inizio attività quanto
al dies a quo va fatto riferimento a
quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo
sportello unico per l’edilizia (nella specie
il 21.12.2007 prot. n. 22358) e non già a
quello in cui essa denuncia sia stata
presentata all’ufficio di protocollo del
Comune (nella specie, cioè, il 18.12.2007).
I tempi ristretti per eseguire le verifiche
(appunto 30 gg.) giustificano la
individuazione del giorno iniziale in quello
in cui la d.i.a. perviene effettivamente
all’Ufficio deputato a dette verifiche e
cioè allo Sportello Unico per l’Edilizia
(SUE) dotato di un proprio protocollo,
diverso dal protocollo generale del Comune;
la disposizione di cui al 1^ comma art. 23
T.U. dell’Edilizia fa riferimento allo
sportello unico (“…presenta allo
sportello unico la denuncia…”) il che
letteralmente avvalora la conclusione sopra
riferita. Quindi iniziando il conteggio dei
giorni dal 21.12.2007, alcun silenzio
assenso conseguente al decorso dei 30 giorni
si era determinato al 18.01.2008.
La d.i.a. non
dà l’avvio ad un procedimento ad istanza di
parte (il potere dell’Amministrazione non è
di rigetto di istanza procedimentale bensì
inibitorio della realizzazione delle opere
nel termine di trenta giorni dalla
presentazione della denuncia e ciò sulla
base di riscontrata assenza di una o più
delle condizioni previste) sicché alla
medesima denuncia non trova applicazione
l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di
rigetto nei procedimenti amministrativi ad
istanza di parte (Tar Milano 5651/2008)
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 02.04.2009 n. 763 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di d.i.a. anche dopo il termine
previsto per la verifica dei presupposti e
dei requisiti di legge (30 gg.)
l’Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio attribuitole
dall’ordinamento.
Il Collegio è dell’avviso, come affermato
dalla prevalente giurisprudenza
amministrativa, e, in particolare, dalla
decisione 12.09.2007 n.4228 della Sez. IV,
del Consiglio di Stato, che la denuncia di
inizio attività in materia edilizia “costituisce
autocertificazione della sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la
realizzazione dell’intervento, sul quale la
pubblica Amministrazione svolge un’eventuale
attività di controllo che è prodromica e
funzionale al formarsi (a seguito del mero
decorso del tempo, non dell’effettivo
svolgimento dell’attività) del titolo
legittimante l’inizio dei lavori: titolo, il
cui consolidamento non comporta, però, che
l’attività del privato possa andare esente
da sanzioni quando sia difforme dal
paradigma normativo, con la conseguenza che
anche dopo il termine previsto per la
verifica dei presupposti e dei requisiti di
legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde
il potere di vigilanza e sanzionatorio
attribuitole dall’ordinamento”.
Conforme è anche la recente giurisprudenza
della Cassazione penale (v.si Sez. III,
29.01.2008 n. 11113): del resto, anche se il
sopravvenuto, nuovo testo dell’art. 19 della
legge n. 241/1990 ora prevede, in generale,
che sulla dichiarazione di inizio attività
il potere di autotutela dell’Amministrazione
va effettuato ai sensi dei successivi artt.
21-quinquies e 21-nonies, di fatto,
l’impugnato divieto di prosecuzione dei
lavori oggetto di d.i.a. a ciò adempie, né
necessitava di preventiva comunicazione,
trattandosi di atto obbligato a fronte
dell’accertato ed incontestato uso pubblico
della strada
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 02.04.2009 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia inizio
attività - Momento di efficacia - Decorrenza
dal 30° giorno - Requisiti.
2. Denuncia inizio
attività - Oneri di urbanizzazione e costi
di costruzione - Quantificazione - Momento
determinante - Criteri.
3. Denuncia inizio
attività - Oneri di urbanizzazione e costi
di costruzione - Quantificazione - Momento
determinante - Artt. 42 e 48 L.R. 12/2005 -
Irrilevanza ai fini della determinazione
importi.
4. Denuncia inizio
attività - Oneri di urbanizzazione e costi
di costruzione - Quantificazione - Momento
determinante - Art. 38, comma 7-bis, L.R.
12/2005 - Criteri.
1. La DIA, indipendentemente dalla qualifica
giuridica assegnata -punto su cui si
contrappongono due differenti orientamenti
che sostengono rispettivamente la natura di
autorizzazione implicita (Cons. di Stato,
sent. n. 5811/2008) e di atto privato (Cons.
di Stato, sent. n. 717/2009)- produce
effetti al 30° giorno dalla sua
presentazione, purché sia completa di tutti
gli elementi richiesti dalla legge (cfr.
TAR Milano, sez. II, sent. n. 5737/2008)
.
2. Ai fini della determinazione di oneri di
urbanizzazione e costi di costruzione le
innovazioni normative introdotte medio
tempore non sono irrilevanti, giacché un
intervento edilizio, ancorché conforme alla
normativa vigente al tempo della denuncia,
ben può essere interdetto ove non sia più in
linea con la normativa sopravvenuta, entrata
in vigore (o destinata a entrare in vigore)
prima del compimento del 30° giorno
dalla presentazione della denuncia stessa
(cfr. TAR Milano, sez. II, sent. n.
588/2006).
Tale principio della
"sensibilità" della DIA alle modifiche
legislative nei 30 giorni tra la
presentazione e l'inizio dell'efficacia,
deve trovare applicazione anche rispetto ad
eventuali variazioni delle disposizioni
regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri:
pertanto la P.A. è tenuta ad applicare la
normativa in vigore al momento dell'adozione
del provvedimento definitivo.
3. Gli artt. 42 e 48 L.R. 12/2005, come
modificata dalla L.R. 4/2008, si limitano a
disciplinare il procedimento di
presentazione della DIA, stabilendo che il
costo di costruzione va allegato alla DIA,
ma non introducono una disciplina
derogatoria speciale, rispetto al principio
generale della efficacia della DIA dopo il
decorso del termine di 30 giorni.
4. Prima dell'entrata in vigore della nuova
disciplina della L.R. 4/2008, che ha
introdotto nell'art. 38 il comma 7-bis,
erano rilevanti le eventuali innovazioni
legislative intervenute nei trenta giorni ed
anche l'introduzione di nuove tariffe se
approvate nel corso dei trenta giorni; dopo
l'introduzione del comma 7-bis all'art. 38,
invece, il calcolo deve essere effettuato
con riferimento alle sole leggi vigenti al
momento della presentazione della DIA,
momento equiparabile a quello della
presentazione della domanda del permesso di
costruire, purché la DIA sia completa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenze 27.03.2009 nn. 2029 e 2030 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Natura - E' atto del
privato - Conseguenze.
2. Denuncia di
inizio attività - Principio di autoresponsabilità - Attività edilizia in
difformità dalla D.I.A. o sulla base di
D.I.A. illegittima - Conseguenze -
Responsabilità della P.A. - Non sussiste.
1. La D.I.A. si configura soggettivamente
come atto del privato, che autocertifica la
sussistenza delle condizioni previste dalla
legge per la realizzazione dell'intervento
(cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1409/2007):
pertanto, la legittimazione all'esercizio
dell'attività non è fondata su un atto di
consenso della P.A., ma trova la propria
fonte direttamente nella legge (cfr. Cons.
di Stato, sent. n. 3586/2006).
2. Il principio di autoresponsabilità del
denunciante esclude che possano ritorcersi
in danno del Comune le conseguenze derivanti
dall'attività edilizia intrapresa dal
medesimo in difformità dalla D.I.A. o sulla
base di una D.I.A. illegittima, ancorché il
Comune non abbia inibito l'opera
tempestivamente, o sia intervenuto con
interventi repressivi tardivamente: tanto
più ciò è vero laddove, come nel caso in
esame, il mancato o intempestivo intervento
del Comune sia dovuto ad una erronea o
incompleta rappresentazione dello stato di
fatto o di progetto da parte del denunciante
(cfr. TAR Milano, sez. II, sent. n.
5004/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
13.03.2009 n. 1924 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Presentando
una D.I.A., il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione può formare oggetto di
interventi di annullamento d'ufficio o
revoca; anche dopo il decorso del termine
previsto per la verifica dei presupposti e
requisiti di legge, l'Amministrazione non
perde i propri poteri di autotutela, né nel
senso di poteri di vigilanza e sanzionatori,
né nel senso di poteri espressione
dell'esercizio di una attività di secondo
grado estrinsecantesi nell'annullamento
d'ufficio e nella revoca.
Nel caso di presentazione di dichiarazione
di inizio di attività l'inutile decorso del
termine assegnato prima dall’art. 2. comma
60, della legge n. 662/1996 e oggi dall'art.
23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità
comunale per l'adozione del provvedimento di
inibizione ad effettuare il previsto
intervento edificatorio, non comporta che
l'attività del privato, ancorché del tutto
difforme dal paradigma normativo, possa
considerarsi lecitamente effettuata e quindi
andare esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi. Di
qui una serie di conseguenze quali: il
titolo abilitativo formatosi per effetto
dell'inerzia dell'Amministrazione può
formare oggetto di interventi di
annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo
il decorso del termine previsto per la
verifica dei presupposti e requisiti di
legge, l'Amministrazione non perde i propri
poteri di autotutela, né nel senso di poteri
di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell'esercizio di una
attività di secondo grado estrinsecantesi
nell'annullamento d'ufficio e nella revoca,
seppure con il rispetto del principio di
reciproca lealtà e certezza dei rapporti
giuridici (Consiglio Stato, sez. IV,
25.11.2008, n. 5811).
Nei rapporti tra denunciante e
amministrazione, la denuncia di inizio
attività si pone come atto di parte, che,
pur in assenza di un quadro normativo di
vera e propria liberalizzazione
dell'attività, consente al privato di
intraprendere un'attività in correlazione
all'inutile decorso di un termine, cui è
legato, a pena di decadenza, il potere
dell'amministrazione, correttamente definito
inibitorio dell'attività. Una volta decorso
il termine senza l'esercizio del potere
inibitorio, il privato può sì dar corso
all’intervento dichiarato, ma l’attività
legittimamente (sul piano formale)
intrapresa non fa venir meno la persistenza
del generale potere repressivo degli abusi
edilizi, eventualmente sollecitata dai terzi
controinteresati attraverso la procedura del
silenzio-inadempimento (cfr. Consiglio di
stato, sez. IV, 22.07.2005, n. 3916 ).
In definitiva, se la d.i.a. non ha di per sé
efficacia sanante dell’attività edilizia
iniziata dopo il decorso del termine di
legge e per effetto del mero dato temporale,
ma solo effetti abilitanti di una serie di
interventi minori liberalizzati, essa non
può essere invocata quale motivo ostativo
all’esercizio del potere di controllo degli
interventi edilizi, compreso il diniego di
concessione edilizia (Consiglio di Stato,
Sez. IV,
sentenza 12.03.2009 n. 1474 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
DIA (denunzia di inizio dell'attività) - Mancanza o
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA - Effetti
- Art. 22, cc.. 1, 2 e 3; 37, 6° c.; 44, lett. b) T.U. n.
380/2001 - D.Lgs n. 301/2002.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2
dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001 come modificato dal D.Lgs
27.12.2002, n. 301 -in cui la DIA, si pone come titolo
abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di
costruire)- la mancanza della denunzia di inizio
dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto
alla DIA effettivamente presentata non comportano
l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate
soltanto in via amministrativa (art. 37, 6° comma, del T.U.
n. 380/2001). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque
punibile ai sensi dell'art. 44, lett. a), del T.U. n.
380/2001 -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio
l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da
quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti
edilizi.
Nei casi previsti dal 3° comma, dell'art. 22 del T.U. n.
380/2001, invece -in cui la DIA si pone come alternativa al
permesso di costruire (ai sensi del comma 2-bis del
successivo art. 44)- l'assenza sia del permesso di costruire
sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA
effettivamente presentata integrano il reato di cui al
successivo art. 44, lett. b)
[vedi Cass.: Sez. V, 26.4.2005, Giordano; Sez. III
9/03/2006, n. 8303; 26/01/2004, n. 2579, Tollon].
Non trova comunque sanzione penale la
difformità parziale
(vedi Cass., Sez. III, 23/09/2004, roattini).
Ciò che conta non è la qualificazione
dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la
esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle
opere poi effettivamente eseguite
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
Nella contestazione della legittimità di
lavori eseguiti con denuncia di inizio
attività è esperibile, in base all'art. 24
della Costituzione, anche un'azione di
accertamento atipica tutte le volte in cui
una simile azione risulti necessaria per la
soddisfazione concreta della pretesa
sostanziale del ricorrente (massima tratta
da www.studiospallino.it - TAR
Abruzzo-Pescara, Sez. I,
sentenza 05.03.2009 n. 134 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul silenzio serbato dal comune a
fronte della presentazione di una DIA.
I terzi, che si assumano lesi dal silenzio
serbato dall'Amministrazione a fronte della
presentazione della D.I.A., sono legittimati
a impugnare, nelle forme dell'ordinario
giudizio, il titolo che, formatosi e
consolidatosi per effetto del decorso del
termine, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione
implicita (ex multis, Consiglio Stato, sez.
IV, 25.11.2008, n. 5811).
Inoltre, l'Amministrazione non perde i
propri poteri di autotutela, né nel senso di
poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel
senso di poteri espressione dell'esercizio
di una attività di secondo grado
estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio
e nella révoca, che ben possono essere
sollecitati da parte del terzo medesimo
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 25.02.2009 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio attività -
Provvedimento comunale di inibitoria -
Termine - Perentorietà - Sussistenza.
Il termine di 30 giorni, previsto ai fini
dell'adozione del provvedimento comunale di
inibitoria a seguito della ricezione della
D.I.A. per l'esecuzione di lavori edilizi,
ha carattere perentorio (nel caso di specie
il TAR ha poi precisato che la diffida
emessa dal Comune ad opera quasi ultimata
non è valutabile come atto di autotutela:
sia perché manca un qualsiasi riferimento
alla relativa potestà, sia in quanto priva
degli elementi necessari a qualificarla e
riconoscerla come emanata nell'esercizio
della medesima) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.02.2009 n. 1331 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Atto
di iniziativa meramente privata -
Impugnabilità avanti al G.A. - Non sussiste.
La D.I.A. non è atto impugnabile avanti
al giudice amministrativo in quanto essa
continua ad avere natura di mero atto del
privato e di strumento di liberalizzazione
delle attività anche dopo le modifiche
apportate all'art. 19 della Legge 241/1990 e
dall'art. 3 del D.L. 35/2005, convertito con
Legge 80/2005 e, per la D.I.A. in materia
edilizia, dall'art. 38 del D.P.R. 380/2001 e
dal D.Lgs. 301/2002 (orientamento costante
della Sezione) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.02.2009 n. 1326). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Atto
di iniziativa meramente privata -
Impugnabilità avanti al G.A. - Non sussiste
- Conseguenze - Eccezione di tardività
nell'impugnazione - Inammissibilità.
Avendo la D.I.A. natura di atto privato,
essa non è direttamente impugnabile da parte
di controinteressati: pertanto, in caso di
ricorso di questi ultimi avverso
provvedimento con cui il Comune ha
affermato, a seguito di verifica delle opere
in corso, l'insussistenza dei presupposti
per l'adozione di provvedimenti inibitori o
sanzionatori, è inammissibile l'eccezione di
tardività, sollevata dal Comune, per mancata
impugnativa della D.I.A.: ciò, dal momento
che non si tratta di un'impugnazione di un
titolo edilizio, per il quale va considerato
il termine decadenziale di legge dalla piena
conoscenza, bensì dell'impugnazione di un
atto del Comune, per il quale il termine
decorre dalla data di ricevimento del
provvedimento stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 19.02.2009 n. 1322 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
Avverso una denuncia di inizio attività il
terzo è legittimato all'instaurazione di un
giudizio di cognizione tendente ad ottenere
l'accertamento dell'insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge per la libera intrapresa dei lavori a
seguito di DIA.
Il terzo che intenda agire a tutela della
propria sfera giuridica lesa da un supposto
intervento sprovvisto di ogni titolo potrà
dunque contrastarlo in giudizio non già
tramite l'impugnazione tesa all'annullamento
di un inesistente provvedimento
amministrativo, ma assai più semplicemente
richiedendo l'accertamento della
insussistenza dello jus in capo al
soggetto agente.
Così configurandosi il rapporto triadico tra
denunciante, amministrazione e terzo
controinteressato, in sede di giurisdizione
esclusiva il terzo controinteressato che
contesti la presentazione di una denuncia di
inizio attività associata al successivo
silenzio dell'Autorità amministrativa, potrà
attivare un giudizio di cognizione volto
all'accertamento della corrispondenza, o
meno, di quanto dichiarato dall'interessato
e di quanto previsto dal progetto ai canoni
stabiliti per la regolamentazione
dell'attività edilizia in questione, oltre
che all'eventuale difformità dell'opera
realizzata rispetto al progetto
anteriormente presentato in sede di DIA,
azione non soggetta ad alcun termine di
decadenza previsto esclusivamente per la
disciplina del processo in sede di
giurisdizione generale di legittimità
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 18.02.2009 n. 219 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Opere
regolari se la DIA non è contestata.
Illegittimo il comportamento del Comune che,
senza contestare la DIA e suggerire
soluzioni alternative, ordina la rimozione
di opere già eseguite.
Il Tar di Napoli ha accolto il ricorso
presentato dalla Asl contro l'ente locale
che a distanza di dieci anni
dall'installazione di impianti tecnologici
per l'aria condizionata sul terrazzo della
struttura sanitaria ne ha ordinato lo
spostamento.
I giudici, in particolare, bocciano la
mancanza di un necessario contraddittorio
con la parte al fine di individuare le
soluzioni più adatte a contemperare il
rilevante interesse pubblico della azienda
sanitaria a dotarsi di un moderno impianto
di condizionamento -senza sacrificare uno
spazio consistente all'interno della
struttura pubblica destinata ai fini
assistenziali- e l'interesse (pure pubblico)
al rispetto delle norme edilizie e a quelle
sui limiti di rumorosità degli impianti
(TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 17.02.2009 n. 840 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione
dichiarativa (d.i.a.).
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e
non di una pubblica amministrazione, che ne
è invece destinataria, e non costituisce,
pertanto, esplicazione di una potestà
pubblicistica.
È esperibile, da parte del terzo leso dagli
effetti di una denuncia di inizio di
attività, un'azione di accertamento
-ancorché atipica- della carenza dei
presupposti per l'esercizio dell'attività
oggetto di dichiarazione.
Detta azione di accertamento, non essendo
diretta alla tutela di un diritto
soggettivo, ma di un interesse legittimo,
deve essere sottoposta all'ordinario termine
di decadenza (massima tratta da www.studiospallino.it -
Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2009 n. 717 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Natura - Atto privato -
Terzo controinteressato - Strumenti di
tutela giurisdizionale - Azione di
annullamento - Esclusione in ragione della
natura non provvedimentale della d.i.a. -
Azione di accertamento autonomo - Termine di
decadenza - 60 giorni - Decorrenza.
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e
non di una pubblica amministrazione, che ne
è invece destinataria, e non costituisce,
pertanto, esplicazione di una potestà
pubblicistica. Gli strumenti di tutela
giurisdizionale offerti al terzo
controinteressato devono però rimanere
sostanzialmente immutati anche laddove
l’intervento edilizio trovi fondamento nella
d.i.a. anziché nel provvedimento:
l’effettività della tutela, in ragione della
ricordata natura privatistica della d.i.a.,
deve essere tuttavia assicurata al terzo
mediante strumenti diversi dall’azione di
annullamento.
Lo strumento di tutela non può quindi che
essere identificato nell’azione di
accertamento autonomo che il terzo può
esperire innanzi al giudice amministrativo
per sentire pronunciare che non sussistevano
i presupposti per svolgere l’attività sulla
base di una semplice denuncia di inizio di
attività. Emanata la sentenza di
accertamento, graverà sull’Amministrazione
l’obbligo di ordinare la rimozione degli
effetti della condotta posta in essere dal
privato, sulla base dei presupposti che il
giudice ha ritenuto mancanti.
L’azione di accertamento in tal caso sarà
sottoposta allo stesso termine di decadenza
(di 60 giorni) previsto per l’azione di
annullamento che il terzo avrebbe potuto
esperire se l’Amministrazione avesse
adottato un permesso di costruire, termine
che inizia a decorrere dal momento in cui le
originarie ricorrenti sono venute a
conoscenza della d.i.a. e della lesività
dell'intervento edilizio realizzato sulla
base della stessa (Consiglio di Stato, Sez.
VI,
sentenza 09.02.2009 n. 717 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
generale, la comunicazione dei motivi
ostativi all’accoglimento dell’istanza, a
norma dell’art. 10-bis della legge n.
241/1990, deve precedere l’adozione del
provvedimento negativo in relazione ai
procedimenti ad istanza di parte.
La giurisprudenza ha evidenziato che il
provvedimento adottato dall’amministrazione
in relazione alla denunzia di inizio di
attività, teso ad inibire l’inizio
dell’attività stessa, non è, a rigore, un
provvedimento di rigetto. Pur aderendo,
infatti, alle più recenti impostazioni che
connettono al decorso del termine di 30
giorni la formazione di un titolo
abilitativo configurabile quale
autorizzazione implicita, resta fermo il
fatto che l’intervento inibitorio
dell’amministrazione, se ed in quanto
esercitato tempestivamente, non può
configurarsi come rigetto dell’istanza
dell’interessato.
L’onere del preavviso di rigetto, d’altra
parte, viene considerato incompatibile con
il termine ristretto entro il quale
l'amministrazione deve provvedere, in
relazione al quale, peraltro, non sono
previste ipotesi di sospensione o
interruzione.
---------------
Al vano decorso del termine di 30 giorni,
entro cui inibire l'esecuzione dei lavori
della presentata DIA, si connette il
conseguimento di un titolo abilitativo.
In tale ottica, la d.i.a. non costituisce
uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, quanto piuttosto uno
strumento di semplificazione procedimentale,
che conduce, nel caso di mancato tempestivo
esercizio del potere inibitorio, alla
formazione di un’autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, assoggettata agli
ordinari strumenti di tutela mediante
impugnazione, nonché all’esercizio dei
poteri di autotutela della pubblica
amministrazione.
Decorso il termine di 30 giorni residua in
capo all’amministrazione il solo potere di
autotutela, da esercitarsi mediante la
rimozione dell’indicato provvedimento
implicito di autorizzazione, nel quadro di
un procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies,
della legge 241/1990, previo avviso di avvio
del procedimento all’interessato e previo
adempimento degli obblighi motivazionali in
ordine alla sussistenza dei presupposti
necessari ai fini dell’adozione di
provvedimenti del genere.
È, invece, illegittimo il tardivo esercizio
del potere inibitorio, in quanto incidente
su un titolo abilitativo ormai formatosi.
La comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza, a norma
dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990,
deve precedere l’adozione del provvedimento
negativo in relazione ai procedimenti ad
istanza di parte.
La giurisprudenza ha evidenziato che il
provvedimento adottato dall’amministrazione
in relazione alla denunzia di inizio di
attività, teso ad inibire l’inizio
dell’attività stessa, non è, a rigore, un
provvedimento di rigetto. Pur aderendo,
infatti, alle più recenti impostazioni che
connettono al decorso del termine di 30
giorni la formazione di un titolo
abilitativo configurabile quale
autorizzazione implicita, resta fermo il
fatto che l’intervento inibitorio
dell’amministrazione, se ed in quanto
esercitato tempestivamente, non può
configurarsi come rigetto dell’istanza
dell’interessato.
L’onere del preavviso di rigetto, d’altra
parte, viene considerato incompatibile con
il termine ristretto entro il quale
l'amministrazione deve provvedere, in
relazione al quale, peraltro, non sono
previste ipotesi di sospensione o
interruzione (sul tema dell’inapplicabilità
della norma relativa al preavviso di
rigetto, Cons. St., sez. IV, 12.09.2007 n.
4828; TAR Piemonte, sez. I, 05.07.2006 n.
2728; TAR Campania Napoli, sez. VI,
23.05.2006, n. 5487; TAR Lombardia Milano,
sez. II, 27.03.2006, n. 695).
---------------
Il sesto comma
dell’art. 23 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380
(Testo unico delle disposizioni legislative
e regolamentari in materia edilizia) prevede
che, nel caso in cui, ove entro il termine
di 30 giorni indicato al primo comma dello
stesso articolo, sia riscontrata l’assenza
di una o più delle condizioni stabilite, il
dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale notifica all’interessato
l’ordine motivato di non effettuare il
previsto intervento.
È previsto, pertanto, un potere inibitorio
dell’attività edilizia di cui alla denuncia,
da esercitare nel termine di 30 giorni,
decorrente dalla presentazione della
denuncia di inizio di attività. Secondo la
giurisprudenza più recente al vano decorso
di tale termine si connette, come accennato,
il conseguimento di un titolo abilitativo.
In tale ottica, la d.i.a. non costituisce
uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, quanto piuttosto uno
strumento di semplificazione procedimentale,
che conduce, nel caso di mancato tempestivo
esercizio del potere inibitorio, alla
formazione di un’autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, assoggettata agli
ordinari strumenti di tutela mediante
impugnazione, nonché all’esercizio dei
poteri di autotutela della pubblica
amministrazione (Cons. St., sez. IV,
25.11.2008, n. 5811, id., sez. IV,
29.07.2008, n. 3742, id. 05.04.2007, n. 155,
TAR Liguria Genova, sez. I, 06.06.2008, n.
1228).
Decorso il termine di 30 giorni, residua in
capo all’amministrazione il solo potere di
autotutela, da esercitarsi mediante la
rimozione dell’indicato provvedimento
implicito di autorizzazione, nel quadro di
un procedimento di secondo grado di
annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi
degli articoli 21-quinquies e 21-nonies,
della legge 241/1990, previo avviso di avvio
del procedimento all’interessato e previo
adempimento degli obblighi motivazionali in
ordine alla sussistenza dei presupposti
necessari ai fini dell’adozione di
provvedimenti del genere (tra le altre, TAR
Calabria, Catanzaro, sez. II, 22.09.2008 n.
1310, TAR Umbria, sez. I, 29.08.2008 n.
549).
È, invece, illegittimo il tardivo esercizio
del potere inibitorio, in quanto incidente
su un titolo abilitativo ormai formatosi.
Ciò premesso va notato che l’atto in
questione, con il quale l’amministrazione
intende esercitare il potere inibitorio di
cui al menzionato sesto comma, è intervenuto
ben oltre il termine di trenta giorni,
quando si era già costituito il titolo
abilitativo, la cui formazione può essere
impedita solo dal tempestivo esercizio del
potere sopra indicato.
Ne consegue l’illegittimità del
provvedimento in questione, in quanto
adottato oltre i termini indicati ed al di
fuori dell’ambito di un procedimento di
secondo grado
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 06.02.2009 n. 117 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
A. Di Feo,
Denuncia d’inizio di attività: natura
giuridica e tutela dei terzi
controinteressati (link a
www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: In
genere - Reati edilizi - Interventi eseguibili in base a denuncia di inizio
attività - D.i.a. esclusiva e d.i.a. alternativa - Regime sanzionatorio -
Differenze - Individuazione.
In tema di reati edilizi, nel caso in cui la denuncia di
inizio attività (DIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22,
commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di
interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli
strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui
all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo
alternativo al permesso di costruire (cosiddetto super DIA: art. 22, comma
terzo, d.P.R. citato) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b),
d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o
della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto
alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità
parziale.
---------------
La qualificazione dell'intervento edilizio.
1.1 A giudizio del Collegio si verte inconfutabilmente, nella specie, in
tema di ristrutturazione edilizia.
Al riguardo va rilevato che:
a) Il D.P.R. n. 390 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), -come
modificato dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301- definisce interventi di
ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi
ed impianti".
La ristrutturazione edilizia non è vincolata, pertanto, al rispetto degli
elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e
differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare
aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né
modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro
e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale
l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili"
con l'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso
una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero
ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati.
L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere
eseguite, che non devono essere riguardate partitamente ma valutate nel loro
complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero
edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o
in parte nuovo.
Alla stregua di tali considerazioni appaiono ad evidenza infondate le
argomentazioni difensive che, nel caso in esame, tendono a frazionare le
singole opere realizzate ed a valutarle autonomamente e separatamente nel
contesto dell'intervento complessivo di trasformazione dei locali in un
supermercato;
b) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), come
modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, assoggetta permesso di costruire
quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che
comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma,
dei prospetti o delle superfici, ovvero si connettano a mutamenti di
destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee
A)”;
c) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a), come
modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, prevede, però, che -a scelta
dell'interessato ed in alternativa al permesso di costruire- gli interventi
di cui all'art 10, comma 1, lett. c), possono essere realizzati anche in
base a semplice denunzia di inizio attività.
1.2 La vicenda in oggetto è connotata dalla intervenuta trasformazione dei
locati interrati mediante un insieme sistematico di opere, con modifiche
riguardanti anche (sia pure lievemente) il prospetto ed inserimento di nuovi
elementi ed impianti, che hanno portato ad un organismo diverso dal
precedente.
Tale intervento, assoggettato in via ordinaria a permesso di costruire, si
sarebbe potuto realizzare (a scelta dell'interessato) -pure in ipotesi di
connessa modifica della destinazione d'uso- anche in base a semplice
denunzia di inizio attività, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22,
comma 3, lett. a).
Nella specie, però, la DIA in concreto presentata non conteneva alcun
riferimento ad un mutamento di destinazione d'uso, sicché -ove tale
mutamento fosse stato posto in essere- si configurerebbe la totale
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA inoltrata, integrante pur
sempre il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).
Giova ricordare, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R. n. 380 del
2001, art. 22, comma 3, non è istituto ontologicamente diverso da quello
disciplinato dai due commi precedenti dal quale non si distingue certo per
il carattere dell'onerosità, che ben può essere comune e differisce da esso
soltanto in relazione agli interventi assoggettatali (alternativamente) alla
procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio, poiché:
a) nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e
2, -in cui la DIA si pone come titolo abilitativo esclusivo (non
alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di
inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA
effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali
ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001,
art. 37, comma 6). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai
sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), -pure se preceduta da
rituale denuncia d'inizio- l'esecuzione di interventi sostanzialmente
difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
b) nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3,
invece -in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire- (ai
sensi del successivo art. 44, comma 2-bis) l'assenza sia del permesso di
costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale
difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata
integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) (vedi Cass.: Sez.
5^, 26.04.2005, Giordano; Sez. 3^: 09.03.2006, n. 8303; 26.01.2004, n. 2579,
Tollon). Non trova comunque sanzione penale la difformità parziale (vedi
Cass., Sez. 3^, 23.09.2004, Croattini).
Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella
DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia,
delle opere poi effettivamente eseguite
(Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza 20.01.2009 n. 9894). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. e manufatti abusivi.
Non è applicabile il regime della D.I.A. a
lavori edilizi che interessino manufatti
abusivi che non siano stati sanati né
condonati, in quanto gli interventi
ulteriori (sia pure riconducibili, nella
loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche)
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dell'opera principale alla quale ineriscono
strutturalmente (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 20.01.2009 n. 2112 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. e violazione dell’articolo
481 c.p. (falsa attestazione del
progettista).
In tema di responsabilità del progettista di
lavori edili firmatario di relazione tecnica
di asseverazione allegata a denuncia di
inizio attività (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1818 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.i.a. (denuncia di inizio
attività) - Asseverazione “falsa” del
progettista - Responsabilità del
professionista "abilitato" - Art. 481 c.p. -
Configurabilità - Art. 359 c.p. - Artt. 23 e
29 D.P.R. n. 380/2001, (l'art. 23 succ.
sost. d.lgs. n. 301/2002).
La decisione del committente e del suo
professionista di non sollecitare mediante
richiesta di permesso di costruire il
preventivo controllo dell'ente pubblico, e
di procedere piuttosto con D.i.a. porta con
sé una particolare assunzione di
responsabilità del progettista stesso. Per
questo motivo, le disposizione contenute
negli artt. 23 e 29 del d.P.R. 06.06.2001,
n. 380 (l'art. 23 sostituito dal d.lgs. n.
301 del 2002) non lasciano dubbi, nel loro
significato letterale, oltre che, nella loro
"ratio", che il professionista "abilitato"
abbia un duplice obbligo:
a) formare una relazione preventiva in cui
si assume l'onere di "asseverare": la
conformità delle opere agli strumenti
urbanistici approvati e la mancanza di
contrasto con quelli adottati e con i
regolamenti edilizi, nonché il rispetto
delle norme di sicurezza e di quelle
igienico-sanitarie;
b) rilasciare al termine dei lavori (ove non
lo faccia altro tecnico che se ne assume la
responsabilità) un certificato di collaudo
circa la conformità di quanto realizzato al
progetto iniziale.
Di conseguenza, la disciplina prevista dal
comma terzo dell'art. 29 non può, non essere
letta in coerenza con l'art. 23 sopra
ricordato e che in tale contesto assume
valore decisivo la circostanza che al
progettista abilitato venga attribuita la
qualità di "persona esercente un servizio di
pubblica necessità", ai sensi degli artt.
359 e 481 c.p. e relative responsabilità.
D.i.a. (denuncia di
inizio attività) - Rilevanza pubblicistica
del professionista abilitato -
Responsabilità penale - Sussistenza -
Fondamento - Segnalazione di reato
all'autorità giudiziaria da parte dell’Ente
- Obbligo - Artt. 23 e 29 D.P.R. n.
380/2001, (l'art. 23 succ. sost. d.lgs. n.
301/2002).
La condotta del professionista abilitato
assume una specifica rilevanza pubblicistica
(art. 29, comma terzo d.P.R. 06.06.2001, n.
380) muovendo da quell'affidamento, che
incide sulle previsioni dei commi primo e
sesto dell'art. 23 (poi sostituito dal
d.lgs. n. 301 del 2002). In particolare, il
sesto comma dell'art. 23, dispone in caso di
"falsa attestazione" del professionista
l'obbligo per l'ente territoriale di
inoltrare segnalazione di reato all'autorità
giudiziaria anche con riferimento alle
disposizioni contenute nel comma settimo
dell'art. 23 e nel comma secondo dell'art.
29, in quanto la responsabilità del
direttore dei lavori per la difformità delle
opere edificate rispetto a quelle contenute
nel progetto iniziale allegato alla D.i.a.
rafforza il valore della relazione del
progettista, che integra la dichiarazione
stessa di inizio attività, come atto dotato
di piena autonomia e di valore
pubblicistico: solo un atto definitivo e in
sé compiuto può originare la responsabilità
penale per chi esegue in difformità. In
altri termini, la costruzione della D.i.a.
come atto a controllo successivo rafforza
concetto di delega di potestà pubblica al
soggetto qualificato, con dichiarazione del
progettista che assume valore sostitutivo e
quindi "certificativo".
D.i.a - Falsa
attestazione posta in essere dal progettista
- Tempestivo controllo dell'ente
amministrativo - Effetti - Art. 481 c.p..
In materia di D.i.a., l'intervento dell'ente
amministrativo che prevenga l'effettuazione
dei lavori mediante un tempestivo controllo
seguito da immediato ordine di non procedere
non esclude la rilevanza penale della
condotta di falsa attestazione posta in
essere dal progettista.
Permesso di costruire e
Dia - Valore ed effetti delle certificazioni
dei documenti e delle attestazioni.
In materia edilizia, non hanno valore di
certificazione i documenti e le attestazioni
allegate alla domanda di concessione, che
non assume efficacia se non dopo il vaglio
positivo dell'ente pubblico, mentre a
diverse conclusioni deve giungersi per la
domanda di inizio attività, dotata di
autonoma efficacia (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1818 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Costruzione abusiva non sanata -
Esecuzione di lavori assoggettabili a DIA -
Applicabilità - Esclusione - Categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione - D.P.R. n. 380/2001, art.
44, lett. c) - D.Lgs. n. 42/2004, e reati
satelliti.
In materia edilizia, non è applicabile il
regime della D.I.A. (denuncia di inizio
attività) a lavori edilizi che interessino
manufatti abusivi che non siano stati sanati
né condonati, in quanto gli interventi
ulteriori (sia pure riconducigli, nella loro
oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o
risanamento conservativo, della
ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche)
ripetono le caratteristiche di illegittimità
dell'opera principale alla quale ineriscono
strutturalmente (Cass. pen. sez. III,
19.4.2006, n. 21490) (Corte di cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 19.01.2009 n. 1810 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Ordine di non
effettuare le opere oggetto di D.I.A. -
Giurisdizione esclusiva del G.A. -
Accertamento dell'assentibilità delle opere
- Sussiste.
In materia di D.I.A. il G.A. ha
giurisdizione esclusiva, ai sensi dell'art.
19, c. 5, L. 241/1990, con un sindacato esteso
all'accertamento del rapporto che consente
di scrutinare e di stabilire se la
ristrutturazione oggetto della D.I.A.
presentata dai ricorrenti avrebbe potuto
essere comunque assentita, anche al di là
dei motivi di diniego contenuti nel
provvedimento impugnato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 16.01.2009 n. 153 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
termine di 30 giorni entro il quale
l’amministrazione comunale può esercitare il
potere inibitorio in relazione alla denuncia
di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n.
380 del 2001 è da ritenersi perentorio.
E' ius receptum che la DIA prevista
dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti
autocertificazione della sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la
realizzazione dell’intervento: in merito ad
essa la PA svolge una eventuale attività di
controllo –nel termine di 30 giorni dalla
presentazione della DIA stessa– che è
prodromica e funzionale al formarsi (a
seguito del mero decorso del tempo) del
titolo legittimante l’inizio dei lavori.
Ora, il termine di 30 giorni entro il quale
l’amministrazione comunale può esercitare il
potere inibitorio in relazione alla denuncia
di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n.
380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia
per la certezza dei rapporti giuridici, sia
perché la norma introduce nella peculiare
fattispecie normativa (realizzazione di
impianti di energia rinnovabile) una duplice
limitazione temporanea: da un lato, allo
jus aedificandi, che è facoltà attinente
al diritto di proprietà; dall’altro lato,
alla libera iniziativa privata in materia di
attività energetica (art. 1, comma 2, legge
n. 239 del 2004). Pertanto, detta
limitazione temporanea non può che avere
carattere perentorio, non potendo lasciarsi
al mero arbitrio dell’amministrazione la
disponibilità dei diritti sopra indicati,
costituzionalmente garantito. Ove, pertanto,
dopo la presentazione della denuncia di
inizio attività decorra infruttuosamente il
termine di 30 giorni previsto, la
conseguenza che da ciò deriva è la
formazione dell’autorizzazione edilizia
implicita (cfr., in termini, TAR Abruzzo
L'Aquila, 08.06.2005, n. 433).
Prima la giurisprudenza e poi il legislatore
(legge n. 80 del 2005) hanno inoltre
stabilito che, una volta decorsi i termini
previsti dall’art. 23 TUED,
all’amministrazione residua unicamente
l’attivazione del procedimento di autotutela
secondo i criteri ed i parametri stabiliti
al riguardo dagli artt. 21-quinquies e
21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Secondo lo schema delineato dall’art. 23
TUED non è consentita la inibitoria
dell’intervento che si intende realizzare se
non per la riscontrata assenza di una o più
delle condizioni stabilite dalla normativa
vigente al momento della scadenza dei
termini previsti per la formazione del
titolo edilizio, senza poter mai invocare al
medesimo fine atti regolamentari che allo
stato risultano solo in corso di
predisposizione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 15.01.2009 n. 59 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Decorso del
termine di 30 giorni per inibire la DIA -
Potere in capo all'Amministrazione comunale
di esercitare l'autotutela - Sussiste.
2. Terzo asseritamente leso dalla DIA - Potere di
indurre l'Amministrazione comunale
all'esercizio del potere di autotutela -
Sussiste.
1. La perdita del potere di inibire il
perfezionamento della DIA di cui all'art.
42, comma 9 della L.R. n. 12/2005 non
impedisce al Comune ex art. 19 L. n.
241/1990 e succ. mod. ed int. di annullare
la DIA in autotutela.
2. Il terzo asseritamente leso da una DIA
può sollecitare l'esercizio dei poteri di
autotutela di cui il Comune dispone ex art.
19 L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 91 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di
intervento da parte della P.A. - Necessità
di impugnare la D.I.A. - Inammissibilità -
Non sussiste.
La D.I.A. edilizia, avendo natura di mero
atto del privato e di strumento di
liberalizzazione delle attività, non
configura un provvedimento tacito di assenso
all'edificazione impugnabile, con la
conseguenza che la tutela del terzo che si
oppone all'intervento attuato tramite D.I.A.
si realizza rivolgendo all'Amministrazione
formale istanza per l'esercizio della
potestà repressiva attribuitale dalla legge
ed impugnando il diniego esplicito di
intervento da parte della P.A. (nel caso di
specie tale scelta procedimentale del
ricorrente risulta inoltre essere stata
necessitata in quanto lo stesso G.A. adito
aveva già ritenuto inammissibile
l'impugnazione diretta della D.I.A. proposta
precedentemente dal ricorrente) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.01.2009 n. 77). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
Poiché con la d.i.a. si è in presenza,
decorsi i trenta giorni (art. 23, commi 1 e
6, d.P.R. n. 380 del 2001), di una
autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, il terzo può contestarla
direttamente, entro l'ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, decorrenti
dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della d.i.a., o
dall'avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all'intervento oggetto di d.i.a.
In presenza di una serie di differenziate
ricostruzioni dell'istituto della d.i.a., il
collegio ritiene preferibile il più recente
insegnamento espresso al riguardo dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez VI,
05.04.2007 n. 1550, sez. IV, 29.07.2008 n.
3742, v. ora anche sez. IV 25.11.2008 n.
5811) con il quale è stato rilevato che "il
terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l'adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l'annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell'intervento. Né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l'accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a.".
Il terzo, invece, è legittimato a proporre
ricorso direttamente avverso il titolo
abilitativo formatosi a seguito di d.i.a.,
il cui possesso è essenziale, non potendo da
esso prescindersi, non trattandosi di
ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l’annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell’intervento; né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a. Al contrario,
egli è legittimato a proporre ricorso
direttamente avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a., non
trattandosi di ipotesi di attività edilizia
liberalizzata (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR
Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il terzo che si opponga ai lavori
edilizi intrapresi tramite D.I.A. è
legittimato a proporre ricorso direttamente
avverso il titolo formatosi a seguito della
stessa.
Il Collegio
ritiene preferibile, in presenza di una
serie di differenziate ricostruzioni
dell’istituto della d.i.a., il più recente
insegnamento espresso al riguardo dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI,
05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n.
3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n.
5811) con il quale è stato rilevato che “il
terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l’annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell’intervento. Né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a.. Il terzo,
invece, è legittimato a proporre ricorso
direttamente avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a., il cui
possesso è essenziale, non potendo da esso
prescindersi, non trattandosi di ipotesi di
attività edilizia liberalizzata.".
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni
(art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del
2001), di una autorizzazione implicita di
natura provvedimentale, che può essere
contestata dal terzo entro l’ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni,
decorrenti dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della d.i.a., o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto,
quindi, non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità,
o meno, dell’intervento edilizio
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La d.i.a. costituisce
un’autorizzazione implicita di natura
provvedimentale.
Il Collegio
ritiene, in presenza di una serie di
differenziate ricostruzioni dell’istituto
della d.i.a., preferibile il più recente
insegnamento espresso al riguardo dal
Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI,
05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n.
3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n.
5811) con il quale è stato rilevato che "il
terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l’annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell’intervento. Né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a."
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Impugnazione - Oggetto e
termini.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi
intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere
al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti in genere per gli
abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del
silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l'adempimento delle
prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di
svolgere, ovvero chiedere l'annullamento
della determinazione formatasi in forma
tacita, o comunque contestare la
realizzabilità dell'intervento, né, ancora,
il terzo è tenuto, entro il termine di
decadenza, ad instaurare un giudizio di
cognizione, tendente ad ottenere
l'accertamento della insussistenza dei
requisiti e dei presupposti previsti dalla
legge, per la legittima intrapresa dei
lavori a seguito di d.i.a.
Il terzo, invece,
è legittimato a proporre ricorso
direttamente avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a., il cui
possesso è essenziale, non potendo da esso
prescindersi, non trattandosi di ipotesi di
attività edilizia liberalizzata: si è quindi
in presenza, decorsi i 30 giorni (art.
23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001),
di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata
dal terzo entro l'ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, decorrenti
dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della d.i.a., o
dall'avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all'intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto,
quindi, non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità,
o meno, dell'intervento edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 10.01.2009 n. 15 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
Per ciò che concerne la natura della
denuncia di inizio attività, la stessa va
equiparata al permesso di costruire quanto
all’impugnazione, dal che consegue che la
relativa decisione giurisdizionale
riguarderà quella parte ammissibile
dell’impugnazione, con cui si chiede di
voler conseguire l’annullamento del titolo
edilizio conseguito dalla controinteressata
con il deposito della denuncia, trascorso il
tempo di legge.
Mentre i soggetti terzi, che si assumano
lesi dal silenzio serbato
dall'Amministrazione a fronte della
presentazione di una denuncia di inizio
attività, sono legittimati a gravarsi non
avverso il silenzio stesso ma, nelle forme
dell'ordinario giudizio di impugnazione,
avverso il titolo che, formatosi e
consolidatosi per effetto del decorso del
termine, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione
implicita (massima tratta da
www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
d.i.a. non ha valore di provvedimento
amministrativo tacito, ma si configura come
atto di parte che consente al privato di
intraprendere un'attività, una volta scaduto
il termine di decadenza entro il quale
l'Amministrazione può esercitare il proprio
potere inibitorio; pertanto, il terzo che
intende opporsi all'intervento, una volta
decorso il termine senza l'esercizio del
potere inibitorio, è legittimato unicamente
a presentare all'Amministrazione istanza
formale per l'adozione dei provvedimenti
sanzionatori previsti e ad impugnare
l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa
formatosi, oppure il provvedimento emanato
dalla stessa all'esito dell'avvenuta
verifica.
Per ciò che concerne la natura della d.i.a.,
la stessa va equiparata al permesso di
costruire quanto all'impugnazione: da ciò
consegue che la relativa decisione
riguarderà quella parte ammissibile
dell'impugnazione, con cui si chiede di
voler conseguire l'annullamento del titolo
edilizio conseguito dalla controinteressata
con il deposito della denuncia, trascorso il
tempo di legge.
La d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) della presentazione
della denunzia, ed è impugnabile dal terzo
nell'ordinario termine di decadenza di 60
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla
conoscenza del consenso (implicito)
all'intervento oggetto della stessa.
Nel caso di presentazione di d.i.a.
l'inutile decorso del termine di 30 giorni,
assegnato dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n.
380 all'autorità comunale per l'adozione del
provvedimento di inibizione ad effettuare il
previsto intervento edificatorio, non
comporta che l'attività del privato,
ancorché del tutto difforme dal paradigma
normativo, possa considerarsi lecitamente
effettuata e quindi andare esente dalle
sanzioni previste dall'ordinamento per il
caso di sua mancata rispondenza alle norme
di legge e di regolamento, alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi,
ben potendo il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o révoca da parte
dell'Amministrazione stessa.
In primo luogo, viene eccepita
l’inammissibilità del gravame nella parte in
cui si impugna una denuncia di inizio
attività, invocando il noto orientamento a
mente del quale “la denuncia di inizio
attività non ha valore di provvedimento
amministrativo tacito, ma si configura come
atto di parte che consente al privato di
intraprendere un'attività, una volta scaduto
il termine di decadenza entro il quale
l'Amministrazione può esercitare il proprio
potere inibitorio; pertanto, il terzo che
intende opporsi all'intervento, una volta
decorso il termine senza l'esercizio del
potere inibitorio, è legittimato unicamente
a presentare all'Amministrazione istanza
formale per l'adozione dei provvedimenti
sanzionatori previsti e ad impugnare
l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa
formatosi, oppure il provvedimento emanato
dalla stessa all'esito dell'avvenuta
verifica" (cfr. Consiglio Stato, sez. V,
22.02.2007, n. 948).
Tale tesi, ribadita anche da una parte della
giurisprudenza di primo grado oltre che da
alcune prese di posizione della sez IV del
Consiglio di Stato, è stata oggetto di
numerose critiche, caratterizzate in
prevalenza dalle conseguenze negative per le
esigenze di tutela dei terzi oltre che di
certezza dei rapporti giuridici.
In
proposito, questo stesso Tribunale, sin
dalla nota presa di posizione di cui alla
sentenza n. 113 del 2003 (superata quale
costruzione teorica ma non quale chiaro
tentativo di dare una risposta completa a
tutte le esigenze e gli interessi coinvolti)
si è da sempre inserito nel filone
giurisprudenziale teso a garantire il
rispetto dei suddetti insuperabili paletti:
l’effettività della tutela anche
giurisdizionale dei terzi, in quanto
l’opzione criticata non appare conforme
all’art. 24 della Costituzione nella misura
in cui scollega la possibilità di agire in
sede giurisdizionale dal momento di avvio
dei lavori e quindi dalla concreta lesione
degli interessi coinvolti; la certezza delle
posizioni giuridiche coinvolte, quindi anche
(e soprattutto) di chi aspira legittimamente
a realizzare gli interventi edilizi ammessi
dalla pianificazione vigente senza rischi
potenziali di successivi interventi
dell’autorità sollecitata da privati la cui
legittimazione non sempre è facilmente
identificabile per le stesse amministrazioni
coinvolte.
In quest’ottica si inserisce quindi
l’opzione espressa da ultimo dal Tar Liguria
e condensata nella seguente massima: “per
ciò che concerne la natura della denuncia di
inizio attività, la stessa va equiparata al
permesso di costruire quanto
all'impugnazione: da ciò consegue che la
relativa decisione riguarderà quella parte
ammissibile dell'impugnazione, con cui si
chiede di voler conseguire l'annullamento
del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della
denuncia, trascorso il tempo di legge" (TAR
Liguria Genova, sez. I, 06.06.2008, n.
1228).
Sulla scorta di tali considerazioni
l’opinione espressa da larga parte della
giurisprudenza di primo grado ha finito col
fare breccia a livello di appello, in specie
presso la sesta sezione del Consiglio di
Stato la quale, non a caso, si è espressa in
fattispecie caratterizzate dalla sussistenza
del vincolo paesaggistico e dalla
conseguente necessità dell’autorizzazione ex
d.lgs. 42 del 2004; in proposito è stato
quindi affermato che “la d.i.a. non è uno
strumento di liberalizzazione dell'attività,
ma rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) della presentazione
della denunzia, ed è impugnabile dal terzo
nell'ordinario termine di decadenza di 60
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla
conoscenza del consenso (implicito)
all'intervento oggetto della stessa"
(Consiglio Stato , sez. VI, 05.04.2007, n.
1550).
Sulla scia di tale condivisibile
orientamento risulta poi essersi posta anche
altra giurisprudenza di appello, la quale ha
circostanziato il relativo adeguamento
precisando che nel caso di presentazione di
dichiarazione di inizio di attività
l'inutile decorso del termine di 30
giorni, assegnato dall'art. 23, t.u.
06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per
l'adozione del provvedimento di inibizione
ad effettuare il previsto intervento
edificatorio, non comporta che l'attività
del privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e quindi andare
esente dalle sanzioni previste
dall'ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi,
ben potendo il titolo abilitativo formatosi
per effetto dell'inerzia
dell'Amministrazione formare oggetto, alle
condizioni previste in via generale
dall'ordinamento, di interventi di
annullamento d'ufficio o révoca da parte
dell'Amministrazione stessa; segue da ciò
che, anche dopo il decorso del termine di
30 giorni previsto per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde i propri poteri
di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell'esercizio di una
attività di secondo grado estrinsecantesi
nell'annullamento d'ufficio e nella révoca,
ma con il limite, per l'ipotesi in cui la
legittimità dell'opera edilizia dipenda da
valutazioni discrezionali e di merito
tecnico che possono mutare nel tempo, che
detto potere, esercitabile con riferimento
ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso
il termine di decadenza per l'esercizio dei
poteri inibitori ex art. 23, comma 6, cit.
t.u. n. 380 del 2001, deve essere
opportunamente coordinato con il principio
di certezza dei rapporti giuridici e di
salvaguardia del legittimo affidamento del
privato nei confronti dell'attività
amministrativa; mentre i terzi, che si
assumano lesi dal silenzio serbato
dall'Amministrazione a fronte della
presentazione della d.i.a., sono legittimati
a gravarsi non avverso il silenzio stesso
ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di
impugnazione, avverso il titolo che,
formatosi e consolidatosi per effetto del
decorso del termine, si configura in
definitiva come fattispecie provvedimentale
a formazione implicita (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008,
n. 5811) (TAR
Liguria, Sez. II,
sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia
Inizio Attività.
Viene formulato quesito inteso a stabilire
in quali casi possa avere applicazione il
disposto dell’articolo 22, comma 3, lettera
c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante “testo
unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”, in
virtù del quale può essere utilizzata la
d.i.a. (denuncia di inizio di attività) come
titolo abilitativo edilizio che legittima
interventi di nuova costruzione qualora gli
stessi costituiscano diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali che recano
precise disposizioni plano-volumetriche
(Regione Piemonte,
parere n. 165/2008 - link a www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Intervento di
recupero abitativo di sottotetto
- Incompletezza della DIA - Inibizione
dell'esecuzione - Legittimità.
La DIA deve riportare gli elementi che
consentono di individuare con completezza
l'intervento di recupero abitativo del
sottotetto da realizzare, in quanto
l'Amministrazione non ha l'obbligo di
colmare le eventuali carenze di tali dati in
via deduttiva arguendoli da elementi
estranei all'intervento denunciato ed, in
particolare, sulla base di quanto previsto
nei progetti precedentemente assentiti. Di
conseguenza, in carenza della specificazione
in sede di DIA di diversi elementi relativi
all'intervento di recupero abitativo del
sottotetto progettato, risulta legittimo il
provvedimento di inibizione dell'intervento
adottato dal Comune (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 23.12.2008 n.
6148). |
EDILIZIA PRIVATA: Ordine
di demolizione di opere realizzate con DIA
non inibita nei 30 giorni non preceduto da
provvedimento di autotutela della DIA -
Illegittimità.
E' illegittimo l'ordine di demolizione di
opere realizzate in forza di DIA non inibita
nei 30 giorni decorrenti dalla sua
presentazione, qualora tale ordine non sia
preceduto da specifico provvedimento di
annullamento in autotutela della DIA (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 10.12.2008 n. 5752 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In materia di DIA, anche dopo il
termine previsto per la verifica dei
presupposti e dei requisiti di legge (30
giorni) l'amministrazione non perde il
potere di vigilanza e sanzionatorio
attribuitole dall'ordinamento; in tale
contesto, pertanto deve ammettersi, per il
principio di economia dei mezzi giuridici,
la facoltà dell'amministrazione di inibire i
lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto
consolidamento del titolo.
Presupposti indefettibili affinché la DIA
possa essere produttiva di effetti sono la
completezza e la veridicità delle
dichiarazioni contenute nella
autocertificazione: il decorso del termine
di 30 giorni non può avere alcun effetto di
legittimazione dell’intervento, rispetto ad
una dichiarazione inesatta o incompleta, con
la conseguenza che l’Amministrazione ha la
facoltà ed il potere di inibire l’attività o
di sospendere i lavori, in quanto privi di
titolo.
Potere equiparabile non ad un potere di
autotutela, poiché non vi è alcun
provvedimento su cui intervenire, ma ad un
potere di verifica della non formazione
della DIA, con conseguente ordine di
interruzione dei lavori; per tale motivo
l’esercizio tale potere non è sottoposto al
termine perentorio di 30 giorni, che
presuppone invece che la DIA sia completa
nei suoi elementi essenziali (in tal senso
TAR Veneto Venezia, sez. II, 18.12.2006, n.
4095, secondo cui “La denuncia di inizio
attività prevista dall'art. 23, D.P.R. n.
380 del 2001 costituisce autocertificazione
della sussistenza delle condizioni stabilite
dalla legge per la realizzazione
dell'intervento, sul quale la p.a. svolge
un'eventuale attività di controllo che è
prodromica e funzionale al formarsi (a
seguito del mero decorso del tempo, non
dell'effettivo svolgimento dell'attività)
del titolo legittimante l'inizio dei lavori:
titolo, il cui consolidamento non comporta,
però, che l'attività del privato possa
andare esente da sanzioni quando sia
difforme dal paradigma normativo, con la
conseguenza che anche dopo il termine
previsto per la verifica dei presupposti e
dei requisiti di legge (30 giorni)
l'amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio attribuitole
dall'ordinamento; in tale contesto, pertanto
deve ammettersi, per il principio di
economia dei mezzi giuridici, la facoltà
dell'amministrazione di inibire i lavori non
iniziati anche dopo l'avvenuto
consolidamento del titolo”.).
Il provvedimento inibitorio emesso rispetto
ad un intervento edilizio realizzato in base
ad una DIA irregolare, al pari del
provvedimento sanzionatorio di un illecito
edilizio, è sufficientemente motivato con
l'affermazione dell'accertata irregolarità
dell'intervento, essendo in re ipsa
l'interesse pubblico alla rimozione
dell’abuso -anche se risalente nel tempo– o
all’interruzione delle opere, senza
necessità di una specifica comparazione con
gli interessi privati coinvolti o
sacrificati
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 09.12.2008 n. 5737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Impugnazione di
ordinanza di demolizione di opere eseguite
con DIA - Vendita del terreno su cui
insistono le opere - Difetto di
legittimazione attiva delle ricorrenti -
Carenza di interesse - Non sussiste.
2. Sospensione dei
lavori autorizzati con DIA - Ordinanza di
demolizione di opere eseguite con DIA -
Violazione dell'art. 27 c. 1 e 3 D.P.R.
380/2001 - Conservazione dei poteri
sanzionatori e di controllo da parte
dell'Amministrazione - Legittimità.
1. L'eccezione preliminare di difetto di
legittimazione attiva sollevata dal Comune,
poiché, in particolare, sarebbe venuto meno
l'interesse di una delle società ricorrenti
per avere venduto, prima dell'intentato
ricorso, il terreno su cui insistono le
opere, ad altro privato e non vanterebbe a
maggior ragione interesse l'altra società
ricorrente, in quanto mera esecutrice dei
lavori per conto della prima, è infondata in
quanto entrambe le società ricorrenti
risultano dirette destinatarie dell'ordine
di demolizione e, per questo solo,
interessate alla rimozione dell'ordine
medesimo.
2. L'ordinanza di demolizione di opere
adottata dal Comune, in violazione dell'art.
27, c. 3, DPR 380/2001, secondo cui in caso
di sospensione lavori gli ulteriori
provvedimenti definitivi devono intervenire
entro 45 giorni, deve essere ritenuta
legittima in quanto l'inutile decorso del
termine di 45 giorni fa perdere
automaticamente efficacia all'ordinanza di
sospensione lavori ma non consuma il potere
dell'amministrazione di emettere eventuali
successivi provvedimenti sanzionatori
dell'illecito riscontrato. Similmente
risulta infondata l'eccezione di
illegittimità dell'ordinanza di demolizione
per essere emessa trascorso il termine di 30
giorni dalla presentazione della DIA, in
quanto, anche una volta che sia decorso il
temine di 30 giorni di cui all'art. 23, c.
1, D.P.R. 380/2001, per l'esercizio dei
poteri inibitori, l'Amministrazione può
sempre esercitare il suo generale potere di
controllo sulle attività di trasformazioni
edilizie ed agire in via sanzionatoria (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 05.12.2008 n. 5730). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
La d.i.a., in virtù di una preventiva
valutazione legale tipica, si traduce in
un’autorizzazione implicita
all’effettuazione dell’attività edilizia,
con la conseguenza che i terzi lesi possono
impugnare innanzi al giudice amministrativo
il titolo abilitativo formatosi per il
decorso del termine (cfr., in tal senso,
Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e
sez. V, 20.01.2003, n. 172) (massima tratta
da www.studiospallino.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2008 n. 5811 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Anche dopo il decorso del termine di 30
giorni previsto per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde i propri poteri
di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell’esercizio di una
attività di secondo grado (estrinsecantisi
nell’annullamento d’ufficio e nella révoca);
mentre i terzi, che si assumano lesi dal
silenzio prestato dall’Amministrazione a
fronte della presentazione della d.i.a., si
graveranno legittimamente non avverso il
silenzio stesso, ma, nelle forme
dell’ordinario giudizio di impugnazione,
avverso il titolo, che, formatosi e
consolidatosi nei modi di cui sopra, si
configura in definitiva come fattispecie
provvedimentale a formazione implicita.
In relazione all’istituto della D.I.A.,
previsto in via generale dall’art. 19 della
legge n. 241/1990 (che ad ogni modo fa salve
le discipline di settore: cfr. il comma 4),
il moltiplicarsi della normativa in materia
ha portato ad una vera e propria
frantumazione dell'istituto in parola in una
pluralità di istituti diversi, ciascuno dei
quali assoggettato ad un regime più o meno
peculiare (v., sul punto, Cons. St., sez. IV,
22.07.2005, n. 3916).
Sulla base dell'interpretazione
tradizionale, che della denuncia d'inizio
attività hanno dato sia ampi settori della
giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S.,
Sez. VI, 04.09.2002, n. 4453), sia parte
della dottrina, va escluso che dalla D.I.A.
possa nascere un atto amministrativo, perché
si tratterebbe di atto soggettivamente e
oggettivamente privato, che ha soltanto il
valore di una comunicazione fatta dal
privato alla Pubblica Amministrazione circa
la propria intenzione di realizzare
un'attività direttamente conformata dalla
legge e non necessita di titoli
provvedimentali (sulla natura di mera
informativa della D.I.A. v. anche Cass.
civ., Sez. I, 24.07.2003, n. 11478); sì che,
si conclude sulla base di tali premesse, la
domanda di annullamento della D.I.A. è
inammissibile, in quanto la D.I.A. è e
rimane un mero atto di iniziativa privata,
per ciò solo non impugnabile davanti al
Giudice Amministrativo.
Da una tale ricostruzione dell'istituto
sorgono tuttavia rilevanti problemi
sostanziali e processuali.
Si è posto in particolare l’articolato
problema dell'esatta natura giuridica del
silenzio eventualmente mantenuto
dall'amministrazione nei venti giorni
successivi alla presentazione di una
denuncia di inizio attività (nello specifico
modulo delineato in materia edilizia dalla
legge n. 662/1996), dei rimedi
giurisdizionali di cui il terzo dispone per
opporsi all'esecuzione dei lavori intrapresi
in base alla semplice denuncia del loro
inizio da parte dell'interessato (in
particolare nel caso che l'Amministrazione
non adotti un formale provvedimento
inibitorio nel termine dei venti giorni
prescritti dalla norma, prima che l'attività
denunciata possa essere intrapresa
dall'interessato) e, dunque, se il
comportamento silente in questione sia
giuridicamente qualificabile come
"inadempimento" e come tale sia quindi
giustiziabile (solo) secondo il rito
speciale di cui all'art. 21-bis della legge
n. 1034 del 1971 (tesi appunto sostenuta qui
dall’appellante principale).
Alla risoluzione del problema concorrono,
sottolinea il Collegio, una serie di
elementi logico-normativi.
Occorre premettere che l'art. 2, comma 60,
della legge 23.12.1996, n. 662 e successive
modificazioni (sostituendo il testo
dell'art. 4 del decreto legge 05.10.1993, n.
398, convertito nella legge 04.12.1993, n.
493) ha introdotto nel nostro ordinamento la
facoltà di eseguire taluni specifici
interventi edilizi previa mera Denuncia di
Inizio di Attività, ai sensi e per gli
effetti dell'art. 19 della legge 07.08.1990,
n. 241 (nel testo sostituito dall'art. 2
della legge 24.12.1993, n. 537), per cui in
tali casi l'atto di consenso
dell’Amministrazione si intende sostituito
dalla D.I.A. (c.d. "deregulation").
Il comma undicesimo dell'art. 4 della citata
legge 04.12.1993 n. 493 e ss. mm. statuiva,
in particolare, che: "Nei casi di cui al
comma 7°, venti giorni prima dell'effettivo
inizio dei lavori, l'interessato deve
presentare la denuncia di inizio
dell'attività, accompagnata da una
dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato, nonché dagli
opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici
adottati o approvati ed ai regolamenti
edilizi vigenti ...".
Disponeva, poi, il comma quindicesimo del
medesimo art. 4 che: "Nei casi di cui al
comma 7°, il Sindaco, ove entro il termine
indicato al comma 11°, sia riscontrata
l'assenza di una o più delle condizioni
stabilite, notifica agli interessati
l'ordine motivato di non effettuare le
previste trasformazioni e, nei casi di false
attestazioni dei professionisti abilitati,
ne dà contestuale notizia all'autorità
giudiziaria ed al consiglio dell'ordine di
appartenenza".
Insomma, alla stregua di dette norme,
spettava all'Autorità Comunale, nel termine
di venti giorni dalla presentazione della
denuncia (periodo che doveva essere lasciato
libero prima di iniziare i lavori),
verificare d'ufficio la sussistenza dei
presupposti della procedura ed il rispetto
delle prescrizioni di legge; qualora venisse
riscontrata l'assenza di una o più delle
condizioni stabilite, spettava al dirigente
del competente ufficio comunale (in virtù
dello spostamento di competenze gestorie
operato dall'art. 45 del decreto legislativo
31.03.1998, n. 80) ordinare agli
interessati, con provvedimento motivato da
notificarsi entro il termine anzidetto, di
non effettuare le previste trasformazioni.
A disciplinare siffatta D.I.A. è poi
sopravvenuto il T.U. in materia edilizia
06.06.2001, n. 380.
Esso, nell’abrogare il ridetto art. 4 del
decreto legge 05.10.1993, n. 398, convertito
nella legge 04.12.1993, n. 493 (art. 136,
comma 1, lett. g)), ha modificato il veduto
assetto normativo.
In particolare, l'art 23 (R) [ la cui
rubrica reca: - (L comma 3 e 4 - R comma 1,
2, 5, 6 e 7) (Disciplina della denuncia di
inizio attività) - (legge 24.12.1993, n.
537, art. 2, comma 10, che sostituisce
l'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241;
decreto-legge 05.10.1993, n. 398, art. 4,
commi 8-bis, 9, 10, 11, 14, e 15, come
modificato dall'art. 2, comma 60, della
legge 23.12.1996, n. 662, nel testo
risultante dalle modifiche introdotte
dall'art. 10 del decreto-legge 31.12.1996,
n. 669) ] prescrive che:
- comma 1: "il proprietario dell'immobile
o chi abbia titolo per presentare la
denuncia di inizio attività, almeno trenta
giorni prima dell'effettivo inizio dei
lavori, presenta allo sportello unico la
denuncia ...";
- comma 5: “la sussistenza del titolo è
provata con la copia della denuncia di
inizio attività da cui risulti la data di
ricevimento della denuncia, l'elenco di
quanto presentato a corredo del progetto,
l'attestazione del professionista abilitato,
nonché gli atti di assenso eventualmente
necessari”;
- comma 6: "il dirigente o il
responsabile del competente ufficio
comunale, ove entro il termine indicato al
comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o
più delle condizioni stabilite, notifica
all'interessato l'ordine motivato di non
effettuare il previsto intervento ... ".
Il T.U. per l'edilizia ha, quindi,
espressamente collocato allo scadere del
trentesimo giorno dalla notificazione della
D.I.A. il termine dopo il quale
l'interessato può iniziare i lavori ed il
termine ultimo entro il quale la P.A. può
inibire l'inizio delle opere; in altre
parole, ha unificato i due termini in
questione, ampliando quello relativo
all'inizio dei lavori e dimezzando quello
relativo all'adozione di eventuali misure
inibitorie preventive (Cons. St., V,
29.01.2004, n. 308).
Ciò premesso, va poi ricordato che la D.I.A.
edilizia costituisce species (la cui
disciplina prevale sui quella generale) di
un particolare tipo di procedimento
semplificato ed accelerato, introdotto, come
s’è già detto, in via generale dall'art. 19
della legge 07.08.1990, n. 241, riguardante,
appunto, la c.d. denuncia di inizio di
attività, il cui aspetto contenutistico e
sostanziale va oggi valutato alla luce delle
modificazioni apportate all’istituto dalla
legge 14.05.2005, n. 80.
Si tratta invero di un istituto del tutto
peculiare (che consente oggi al privato
l’esercizio di una certa attività comunque
rilevante per l’ordinamento, già subordinato
a qualsivoglia forma di autorizzazione -il
cui rilascio dipendesse esclusivamente
dall'accertamento dei presupposti e dei
requisiti fissati dalla legge o da atto
amministrativo generale- a prescindere dalla
emanazione di un espresso provvedimento
amministrativo), comunque assimilabile ad
una istanza autorizzatòria, che, con il
decorso del términe di legge, provoca la
formazione di un “titolo”, che rende lecito
l’esercizio dell’attività e cioè di un
provvedimento tacito di accoglimento di una
siffatta istanza.
Si prevede a tal fine una doppia
comunicazione da parte del privato.
La prima consiste in una
dichiarazione dell’interessato, “corredata,
anche per mezzo di autocertificazioni, delle
certificazioni e delle attestazioni
normativamente richieste”.
Con la seconda, il soggetto comunica
che ad una certa data (non anteriore ai
trenta giorni dalla presentazione della
anzidetta dichiarazione) inizierà una certa
attività (di solito produttiva) e, se entro
un termine stabilito decorrente da tale
comunicazione (trenta giorni, il cui computo
inizia dal momento in cui la stessa sia
stata ricevuta al protocollo generale
dell’ente) l'Amministrazione non ne inibisce
la prosecuzione (con un atto che ha natura
di accertamento dei motivi
giuridico-fattuali ostativi allo svolgimento
dell’attività e dunque del tutto analogo ad
un provvedimento di diniego di un atto
autorizzatòrio dell’attività medesima, sì
che deve ritenersi in tal caso applicabile
il disposto dell’art. 10-bis della legge n.
241/1990 e che invece, verificandosi in tale
ipotesi una sorta di inversione
procedimentale, non necessita di previa
comunicazione dell’avvio del procedimento:
Consiglio Stato, sez. VI, 23.12.2005, n.
7359), il titolo si consolida, salvo,
naturalmente, l'intervento successivo di
interdizione dell'attività, che può
intervenire in tutti i casi di accertamento
della mancanza, originaria o sopravvenuta,
dei requisiti, al cui possesso l’ordinamento
di settore subordini l’espletamento
dell’attività medesima (Cons. St., IV,
26.07.2004, n. 5323).
L’atto di comunicazione dell’avvio
dell'attività, a differenza di quanto accade
nel caso del c.d. silenzio-assenso,
disciplinato dall'articolo 20 della stessa
legge n. 241/1990, non è una domanda, ma una
informativa, cui è subordinato l'esercizio
del diritto.
E il provvedimento, rispetto al quale
l'amministrazione potrà esercitare poteri di
autotutela (non solo vincolati a carattere
repressivo, ma anche discrezionali di
secondo grado, come oggi espressamente
previsto dal secondo periodo del comma 3 del
nuovo art. 19), si forma con l’esperimento
di un ben delineato mòdulo procedimentale,
all’interno del quale la D.I.A. costituisce
pur sempre una autocertificazione della
sussistenza delle condizioni stabilite dalla
legge per la realizzazione dell’intervento,
sulla quale la pubblica amministrazione
svolge una attività eventuale di controllo,
al tempo stesso prodromica e funzionale al
formarsi, a séguito del mero decorso di
detto periodo di tempo (e non, dunque,
dell’effettivo svolgimento della attività
medesima), del titolo necessario per il
lecito dispiegarsi della attività del
privato.
Quanto al decorso del termine di trenta
giorni, sembra ormai chiaro:
- che il consolidamento del titolo non possa
comportare la possibilità che l'attività del
privato, ancorché del tutto difforme dal
paradigma normativo, possa considerarsi
lecitamente effettuata e, dunque, possa
andare esente dalle sanzioni previste
dall’ordinamento per il caso di sua mancata
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi;
- che il titolo stesso, in tal caso, possa
esser fatto oggetto, alle condizioni
previste in via generale dall’ordinamento,
di interventi di annullamento d’ufficio o
révoca da parte dell’Amministrazione.
In proposito, sembra decisivo:
- il fatto che l'art. 21 della legge n. 241
del 1990 stabilisce che le sanzioni già
previste per le attività svolte senza la
prescritta autorizzazione siano applicate
quando una attività, pur dopo la
comunicazione all'amministrazione, venga
iniziata in mancanza dei requisiti richiesti
o comunque in contrasto con le disposizioni
di legge (comma 2) e che lo stesso art. 21,
al comma 2-bis, configura l’inizio della
attività “ai sensi degli articoli 19 e 20”
non preclusivo dell’esercizio delle
“attribuzioni di vigilanza, prevenzione e
controllo su attività soggette ad atti di
assenso da parte di pubbliche
amministrazioni previste da leggi vigenti”;
- che la veduta odierna previsione espressa
del potere dell’Amministrazione di assumere
determinazioni in via di autotutela (v. il
comma 3 del nuovo art. 19) presuppone un
provvedimento, o comunque un titolo, su cui
intervenire;
- che, con specifico riferimento alla D.I.A.
edilizia, il comma 2-bis dell’art. 38 del
D.P.R. n. 380/2001 prevede la possibilità di
“accertamento dell'inesistenza dei
presupposti per la formazione del titolo”,
detta ipotesi equiparando ai casi di
“permesso annullato”;
- che l’esercizio dei poteri di vigilanza e
repressivi rappresenta, in via generale, una
delle imprescindibili modalità di cura
dell’interesse pubblico affidato all’una od
all’altra branca dell’Amministrazione ed è
espressione del principio di buon andamento
di cui all’art. 97 Cost.;
- che, nella specifica materia dell’attività
urbanistico-edilizia, un potere specifico di
vigilanza (esercitabile, per la sua stessa
natura, anche mediante provvedimenti
innominati), vòlto ad “assicurarne la
rispondenza alle norme di legge e di
regolamento, alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi”,
è affidato dalla legge al dirigente o al
responsabile del competente ufficio comunale
(art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001).
Pertanto, anche dopo il decorso del termine
di trenta giorni previsto per la verifica
dei presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde i propri poteri
di autotutela, né nel senso di poteri di
vigilanza e sanzionatori, né nel senso di
poteri espressione dell’esercizio di una
attività di secondo grado (estrinsecantisi
nell’annullamento d’ufficio e nella révoca,
a proposito dei quali va peraltro rilevato
che, nell'ipotesi in cui la legittimità
dell'opera edilizia dipenda da valutazioni
discrezionali e di merito tecnico che
possono mutare nel tempo, il potere di
autotutela, esercitabile con riferimento ad
una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il
termine di decadenza per l'esercizio dei
poteri inibitori ex art. 23, comma 6, del
D.P.R. n. 380/2001, deve essere
opportunamente coordinato con il principio
di certezza dei rapporti giuridici e di
salvaguardia del legittimo affidamento del
privato nei confronti dell'attività
amministrativa); mentre i terzi, che si
assumano lesi dal silenzio prestato
dall’Amministrazione a fronte della
presentazione della d.i.a., si graveranno
legittimamente non avverso il silenzio
stesso, ma, nelle forme dell’ordinario
giudizio di impugnazione, avverso il titolo,
che, formatosi e consolidatosi nei modi di
cui sopra, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione
implicita.
Né alla opposta tesi, di cui si fa in questa
sede portatore l’appellante principale, può
aderirsi nemmeno in relazione al periodo,
che viene appunto qui in considerazione in
relazione alla data di formazione del titolo
oggetto del giudizio, anteriore alle
modifiche apportate all’istituto dalla legge
n. 80/2005, atteso che la veduta
introduzione, ad opera di detta legge, di
poteri di autotutela in capo
all’amministrazione, pur certamente
significativa ai fini della ricostruzione
dell’istituto come sopra operata, non sembra
tuttavia decisiva, ed autonomamente
rilevante, ai fini della stessa e della
risultante qualificazione dell’istituto
stesso; la quale, legata, come s’è visto a
ben più ampi e diversificati presupposti e
riscontri di carattere logico e normativo,
non può che essere riferita anche ai
provvedimenti formatisi anteriormente alla
novellazione della legge n. 241/1990 operata
dal legislatore del 2005, rilevando in
particolare, per quanto specificamente
attiene alla D.I.A. edilizia, l'art. 38,
comma 2-bis e dall'art. 39, comma 5-bis, del
D.P.R. n. 380/2001, in forza dei quali
risultano estese agli interventi realizzati
con D.I.A. sia la disciplina degli
interventi eseguiti in base a permesso
annullato (il che presuppone evidentemente
che la D.I.A. costituisca un titolo
suscettibile di annullamento), sia la
possibilità di annullamento straordinario da
parte della Regione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.11.2008 n. 5811 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Denuncia
di inizio attività - Provvedimento comunale
di inibitoria - Termine - Perentorietà -
Sussistenza - Potere di vigilanza e
repressione - Permane.
Il termine di 30 giorni, previsto ai
fini dell'adozione del provvedimento
comunale di inibitoria a seguito della
ricezione della denuncia di inizio attività
per l'esecuzione di lavori edilizi, ha
carattere perentorio. Decorso tale termine,
permane il potere dell'Amministrazione
comunale di potere e vigilanza e controllo
sull'attività edilizia che non deve però più
svolgersi nelle forme dell'intervento
inibitorio, ma in quelle della procedura di
autotutela di cui agli articoli 21-quinquies
e 21-nonies legge 241/1990 e s.m.i. e quindi
seguendo differenti presupposti (in tema di
motivazione sull'interesse pubblico) e
procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis
l. 241/1990) (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 24.11.2008 n. 5539). |
EDILIZIA PRIVATA: 1. Art. 10-bis
Legge 241/1990 - Denuncia di inizio attività
ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Provvedimento
negativo - Obbligo di preavviso - Non
sussiste - Ratio.
2. Art. 10-bis
Legge 241/1990 - Denuncia di inizio attività
ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Inapplicabilità
- Ratio.
1. In caso di D.I.A. non sussiste l'obbligo
dell'amministrazione di inviare
all'interessato il c.d. preavviso di
provvedimento negativo: ciò, in quanto, da
un lato, in presenza di tale titolo
abilitativo la diffida a non eseguire le
opere non corrisponde ad un atto di diniego
dell'istanza ed in considerazione,
dall'altro, della speciale disciplina "della
notifica all'interessato" dell'"ordine
motivato di non effettuare il previsto
intervento", contenuta nel comma 6, articolo
23 T.U. edilizia in cui già è prevista la
motivazione dell'ordine inibitorio e dove
viene assicurata una forma di confronto e di
tutela del privato, a favore del quale viene
comunque fatta "salva la facoltà di
ripresentare la denuncia di inizio attività,
con le modifiche o le integrazioni
necessarie per renderla conforme alla
normativa urbanistica ed edilizia".
2. L'art. 10-bis L. 241/1990 è inapplicabile
alla D.I.A. per il fatto che, in tale
fattispecie, l'atto di diffida è negativo ma
non è -a rigore- un rigetto della istanza
(cfr. TAR Milano, sent. n. 6542/2007);
inoltre, il preavviso per l'ordine di non
eseguire costituirebbe una non giustificata
duplicazione del medesimo, incompatibile con
il termine ristretto entro il quale la P.A.
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 07.11.2008 n. 5245 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Potere comunale di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persiste.
2. Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Potere comunale di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persiste - Presupposti e ratio.
3. Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Potere inibitorio ex art. 42, comma 9 L.R.
12/2005 - Non sussiste - Potere comunali di
vigilanza, sanzione ed autotutela -
Persiste.
1. In materia di D.I.A., benché alla
scadenza del termine previsto dalla legge
per le verifiche di competenza della P.A.
non si formi un provvedimento autorizzativo
tacito, residua comunque in capo
all'Amministrazione il potere di vigilanza
edilizia, soggetto ai principi ed alle forme
dell'autotutela.
2. Ai sensi dell'art. 21-nonies L.
241/1990, il potere di autotutela va
esercitato "sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati":
l'applicazione di tali principi trova una
parziale deroga in materia edilizia, atteso
che il potere di vigilanza edilizia di cui
all'art. 27 D.P.R. 380/2001, attribuisce al
potere in questione il carattere della
vincolatezza ed il suo esercizio è pertanto
doveroso, con la conseguenza che l'interesse
pubblico al suo esercizio è da ritenere in
re ipsa, senza bisogno di una sua
esplicitazione ulteriore o di comparazione
con gli interessi del privato (le
conclusioni alle quali giunge il TAR con la
sentenza massimata si pongono in contrasto
con il decisum della sentenza n. 5162 del 17.10.2008 che aveva affermato un
principio di tenore opposto).
3. Non può ritenersi leso l'affidamento che
sorge dalla scadenza del termine di 30
giorni previsto per l'esercizio del potere
di controllo della D.I.A., in quanto esso
consiste nel ragionevole affidamento che,
decorso il termine previsto, la P.A. non
eserciti più il potere inibitorio previsto
dall'art. 42, comma 9, L.R. 12/2005 e non
può avere per oggetto il successivo potere
di vigilanza edilizia esercitato in concreto
dall'Amministrazione (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 30.10.2008 n. 5224 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Potere comunale di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persiste.
2. Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Potere comunale di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persiste - Presupposti e ratio.
1. In materia di D.I.A., benché alla
scadenza del termine previsto dalla legge
per le verifiche di competenza della P.A.
non si formi un provvedimento autorizzativo
tacito, residua comunque in capo
all'Amministrazione il potere di vigilanza
edilizia, soggetto ai principi ed alle forme
dell'autotutela.
2. Ai sensi dell'art. 21-nonies L.
241/1990, il potere di autotutela va
esercitato "sussistendone le ragioni di
interesse pubblico, entro un termine
ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati".
L'annullamento d'ufficio rientra
nell'esercizio del potere di autotutela che
è espressione della discrezionalità
dell'amministrazione. Il suo esercizio
richiede la valutazione di elementi
ulteriori rispetto alla mera illegittimità
dell'atto da eliminare e non è sufficiente
il puro e semplice ripristino della
legalità, occorrendo dar conto della
sussistenza di un interesse pubblico attuale
e concreto alla rimozione del titolo
edilizio e procedere alla comparazione tra
tale interesse e l'entità del sacrificio
imposto all'interesse privato (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.10.2008 n. 5162). |
EDILIZIA PRIVATA: Sul
potere inibitorio del Comune nel caso di
presentazione di una D.I.A..
Sulla base dell’orientamento conforme della
giurisprudenza in materia edilizia il Comune
può inibire la realizzazione delle opere nel
termine di 30 giorni dalla presentazione
della DIA, termine da considerarsi
perentorio, con la conseguenza che, oltre
detto termine il potere di riscontro a fini
inibitori attribuito alla PA è esaurito e la
stessa può provvedere solo con l’esercizio
del potere di autotutela e al generale
potere di controllo sulle attività di
trasformazione edilizia del territorio (cfr.
Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2006,
n. 72; Tar Campania, Salerno, sez. II,
20.07.2006, n. 1107; Cons. Stato, sez. IV,
12.09.2007, n. 4828; Cass. Pen., sez. III,
29.01.2008, n. 11113)
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 08.10.2008 n. 8840 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
decorso dei 30 gg. dalla data di
presentazione della d.i.a. non impedisce -al
Comune- l'esercizio del suo ordinario potere
sanzionatorio-repressivo per ogni
trasformazione edilizia contrastante con la
disciplina urbanistica.
Nel procedimento di denuncia di inizio di
attività, disciplinato dall'art. 23 T.U.
06.06.2001 n. 380, la scadenza del termine
perentorio di trenta giorni preclude
all'Autorità comunale competente l'esercizio
del suo potere di controllo a fini inibitori
(previsto dal comma 6, in relazione al comma
1), ma non impedisce l'esercizio del suo
ordinario potere sanzionatorio-repressivo
per ogni trasformazione edilizia
contrastante con la disciplina urbanistica.
Rimane pertanto impregiudicato il
potere-dovere del Comune e dell'Autorità
giudiziaria di intervenire sul piano
sanzionatorio nel caso in cui l'intervento
realizzato a seguito della presentazione
della denuncia di inizio di attività,
risulti sottoposto a permesso di costruire
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 06.10.2008 n. 1822 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'impugnazione della d.i.a. da
parte di terzi.
Secondo un orientamento giurisprudenziale
dal quale il Collegio non ha motivo di
discostarsi, la presentazione della d.i.a. è
finalizzata alla formazione di un atto
implicitamente provvedimentale di tacito
assenso, che -perciostesso- è direttamente
impugnabile dai terzi interessati innanzi al
Giudice Amministrativo (C.S., VI^,
05.04.2007 n. 1550) (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 03.10.2008 n. 8750 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Realizzazione di un campo da
tennis e sufficienza della DIA..
Per la realizzazione di un campo da tennis,
che non comporta la creazione di nuovi
volumi, è sufficiente la denuncia di inizio
di attività, la cui mancanza non ha
rilevanza penale (Corte di Cassazione, Sez.
III penale,
sentenza 24.09.2008 n. 36560 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso in cui l’opera edilizia richiesta con
d.i.a. non sia conforme alle disposizioni
prescritte per la sua realizzazione il
Comune può intervenire solo con un atto di
autotutela, analogo a quello che sarebbe
possibile adottare per rimuovere
un’autorizzazione espressa.
In merito all’adozione di un provvedimento
inibitorio dell’efficacia della d.i.a., è
sufficiente ricordare che, ai sensi
dell’articolo 19, comma 3, della legge
241/1990, come sostituito dall’articolo 3
del d.l. 35/2005, convertito in legge
80/2005 “L'amministrazione competente, in
caso di accertata carenza delle condizioni,
modalità e fatti legittimanti, nel termine
di trenta giorni dal ricevimento della
comunicazione (…) adotta motivati
provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell'attività e di rimozione dei suoi
effetti, salvo che, ove ciò sia possibile,
l'interessato provveda a conformare alla
normativa vigente detta attività ed i suoi
effetti entro un termine fissato
dall'amministrazione, in ogni caso non
inferiore a trenta giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR
Liguria, I, 19.03.2008, n. 418; TAR
Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167;
TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007,
n. 2253; Tar Basilicata, 12.07.2007, n. 502;
TAR Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498)
ritiene che con la nuova formulazione della
legge 241/1990, anche la “denuncia” (oggi
“dichiarazione”) di inizio attività in
materia urbanistico-edilizia sia stata
ridisciplinata nel senso che, ove non sia
stata interdetta nei termini l’esecuzione
dell’opera, l’amministrazione, nel caso in
cui l’opera edilizia non sia conforme alle
disposizioni prescritte per la sua
realizzazione, può intervenire sulla
situazione così determinatasi –e cioè
rimuovere gli effetti dell’atto abilitativo
tacito formatosi per effetto del decorso del
termine- solo con un atto di autotutela,
analogo (anche per quanto riguarda i
presupposti ed il modus procedendi) a quello
che sarebbe possibile adottare per rimuovere
un’autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il
titolo edilizio conseguente alla d.i.a.,
l'intervento in autotutela
dell'Amministrazione può essere giustificato
soltanto nell'ambito di un procedimento di
secondo grado di annullamento o revoca
d'ufficio, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies, della legge
241/1990, previo avviso di avvio del
procedimento all'interessato e previa
confutazione, ove ne sussistano i
presupposti, delle ragioni dallo stesso
eventualmente presentate nell'ambito della
partecipazione al procedimento (cfr. TAR
Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74) (TAR
Umbria,
sentenza 29.08.2008 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: È
inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n.
380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del
1990.
La denunzia di inizio attività costituisce
autocertificazione della sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la
realizzazione dell'intervento, sul quale la
PA svolge un'eventuale attività di controllo
che è prodromica e funzionale al formarsi (a
seguito del mero decorso del tempo, non
dell'effettivo svolgimento dell'attività)
del titolo legittimante l'inizio dei lavori:
titolo, il cui consolidamento non comporta,
però, che l'attività del privato possa
andare esente da sanzioni quando sia
difforme dal paradigma normativo, con la
conseguenza che anche dopo il termine
previsto per la verifica dei presupposti e
dei requisiti di legge (30 gg.)
l'Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio attribuitole
dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005
n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi,
per il principio di economia dei mezzi
giuridici, la facoltà dell'Amministrazione
di inibire i lavori non iniziati anche dopo
l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i
lavori coincide con l’ordine motivato di non
effettuare i lavori di cui alla disciplina
della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non
iniziare i lavori non corrisponde all’atto
di diniego di una istanza di parte di
provvedimento favorevole e quindi non deve
essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che la dia è provvedimento
(implicito) di tipo favorevole al privato,
mentre è negativo (ma non è a rigore un
rigetto della istanza) il successivo atto di
diffida a non agire; inoltre, il preavviso
per l’ordine di non eseguire costituirebbe
una non giustificata duplicazione del
medesimo, incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale (favorevole), a seguito del
decorso di un termine (30 giorni) della
presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del
termine si forma una sorta di
autoamministrazione, secondo alcuni, di
autorizzazione implicita (positiva) di
natura provvedimentale per altra
ricostruzione, che può essere succeduta da
ordine (negativo) di non iniziare i lavori o
può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come
ristretto nei suoi tempi procedimentali, non
coincide con la ipotesi di provvedimento
(negativo) su istanza di parte di
provvedimento positivo; pertanto, a tale
diffida-ordine non si applica l’istituto del
c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi
di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova
applicazione solo nell'ipotesi di adozione
di un provvedimento negativo sull'istanza
(di provvedimento positivo) presentata dal
privato e non nel caso di presentazione di
denunzia di inizio di attività e successivo
ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che l'onere del preavviso
di diniego è incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se
non rilevante nella specie, il principio
evocato dall’appellante comune, secondo cui
in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis
l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se
l'illegittimità del provvedimento terminale,
dovendo la disposizione sul c.d. preavviso
di diniego essere interpretata alla luce del
successivo art. 21-octies della citata l. n.
241 del 1990, secondo cui, laddove il
ricorrente sollevi determinati vizi di
natura formale, è imposto al giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e, quindi, di non annullare
l'atto nel caso in cui le violazioni formali
non abbiano inciso sulla legittimità
sostanziale del provvedimento impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.09.2007 n.
4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sull'opposizione
del terzo nei confronti dell'esecuzione di lavori edilizi mediante D.I.A..
Secondo il recente orientamento di questo Consesso (Sez VI, 05.04.2007
n. 1550), dal quale non si ha ragione di doversi discostare, il terzo
che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve
chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori
previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di
inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al
giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe
omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione
formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità
dell’intervento.
Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad
instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere
l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti
previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito
di d.i.a..
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso
il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è
essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi
di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6,
del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione
al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza
del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a.
ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori
o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o
meno, dell’intervento edilizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 29.07.2008 n. 3742 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: I
lavori soggetti a DIA semplice non sempre, se abusivi, sono soggetti a
sanzione pecuniaria.
La sottoposizione a DIA semplice non implica che la violazione delle
norme edilizie sulle recinzioni abbia come unica conseguenza
l’applicazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 comma 1
del DPR 380/2001. Occorre infatti tenere presenti due circostanze:
a) in base all’art. 3 comma 1 lett.e6 del DPR 380/2001 e all’art. 27
comma 1 lett.e6 della LR 11.03.2005 n. 12 la definizione edilizia di
pertinenza è rimessa agli strumenti urbanistici e ai regolamenti
comunali e dunque anche per questi interventi le facoltà edificatorie
sono strettamente conformate dal potere pubblico di programmazione del
territorio;
b) l’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001 ammette la sanatoria degli
interventi soggetti a DIA solo se l'intervento realizzato rispetti la
disciplina urbanistica ed edilizia in vigore al momento della
realizzazione dell'intervento e al momento della presentazione della
domanda.
Di conseguenza anche le recinzioni irregolari quando superano i limiti
previsti dalle norme urbanistiche comunali possono essere oggetto di
ordini di rimozione.
Nel caso in esame l’intervento edilizio è in contrasto con l’art. 12
punto 7 delle NTA, il quale definisce in dettaglio le caratteristiche
delle recinzioni ammissibili in zona A. Al riguardo occorre sottolineare
che una disciplina restrittiva della facoltà di realizzare recinzioni
non viola il diritto di chiusura del fondo previsto dall’art. 841 del
codice civile. Anche il posizionamento delle recinzioni, come le altre
facoltà inerenti al diritto di proprietà, è conformato da un potere
pubblico a tutela di interessi di natura urbanistica. Il corretto uso di
tale potere deve essere verificato in concreto. Nello specifico la
scelta di limitare l’altezza delle recinzioni e di precisarne le
modalità costruttive può essere considerata utile e proporzionata, in
quanto tutela il continuum visivo dell’area edificata consentendo la
chiusura dei fondi ma evitando l’effetto di frammentazione e la perdita
delle caratteristiche d’insieme dei luoghi (queste ultime di particolare
rilievo, trattandosi di una zona A) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 25.07.2008 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto riguarda la presentazione della DIA si
ritiene che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1,
della LR 12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo per presentare la denuncia di inizio attività”)
individui oltre al proprietario altre due categorie di
soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale
diverso dalla proprietà che conferisca il potere di
modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto
a questi si possono considerare legittimati quanti
dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino
aspettative edificatorie.
La promessa di vendita, e in generale il preliminare di
compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli
idonei, purché non vi sia una clausola con un divieto
espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di
definire le questioni edilizie in attesa del contratto
definitivo.
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8. Con il primo motivo di ricorso viene in rilievo la
questione della legittimazione del geom. Fr.Da. a presentare
la DIA.
Questo problema è alla base sia della censura del
ricorrente, che lamenta la violazione dell’art. 42, comma 1,
della LR 12/2005, sia dell’eccezione di inammissibilità
formulata dai controinteressati, i quali sostengono che il
ricorso avrebbe dovuto essere instaurato nei confronti della
società Ed. 90 snc.
9. Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene
che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR
12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia
titolo per presentare la denuncia di inizio attività”)
individui oltre al proprietario altre due categorie di
soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale
diverso dalla proprietà che conferisca il potere di
modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto
a questi si possono considerare legittimati quanti
dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino
aspettative edificatorie. La promessa di vendita, e in
generale il preliminare di compravendita, costituiscono
sotto questo profilo titoli idonei (v. CS Sez. VI 03.12.2004
n. 7847), purché non vi sia una clausola con un divieto
espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di
definire le questioni edilizie in attesa del contratto
definitivo.
Nel caso in esame la promessa di vendita contiene tra i
patti speciali una dichiarazione di disponibilità del
promittente venditore a “firmare l’eventuale
documentazione necessaria all’inoltro della pratica edilizia
al Comune” e il consenso all’effettuazione di
misurazioni e rilievi da parte del promissario acquirente.
Queste formule possono essere interpretate come
manifestazioni della volontà di trasferire immediatamente al
promissario acquirente ogni potere circa l’edificazione: del
resto la vendita di un lotto edificabile ha come finalità
intrinseca, nota alle parti, proprio la realizzazione di un
intervento edilizio.
Di conseguenza la disponibilità a firmare la documentazione
va intesa come impegno del promittente venditore a favorire
una rapida conclusione della procedura edilizia: a tale
scopo il promittente venditore si impegna a presentare a
proprio nome (o a controfirmare) una richiesta di permesso
di costruire (o una DIA) nell’eventualità che
l’amministrazione non accetti una simile richiesta formulata
dal solo promissario acquirente.
In conclusione non vi è nella promessa di vendita alcun
elemento che privi il promissario acquirente della
legittimazione a presentare una DIA. Occorre poi
sottolineare, trattandosi di promessa per persona da
nominare, che qualora l’effettivo acquirente sia un terzo è
comunque applicabile l’istituto della ratifica ex art. 2032
cc. e conseguentemente il nuovo proprietario può consolidare
a proprio vantaggio gli effetti del titolo edificatorio. In
concreto la funzione della ratifica è stata svolta dalla
volturazione della DIA su richiesta della società Ed. 90 snc
(v. sopra al punto 3)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: DIA - Presentazione - Categorie di soggetti
- Legittimità.
Ai fini della presentazione della DIA, la
L.r. n. 12/2005 individua oltre al
proprietario altre categorie di soggetti:
coloro che dispongono di un diritto reale
diverso dalla proprietà che conferisca il
potere di modificare l'immobile attraverso
interventi edilizi; quanti dispongono di un
diritto di natura personale da cui derivino
aspettative edificatorie. La promessa di
vendita, e in generale il preliminare di
compravendita, costituiscono titoli idonei
salvo clausola con divieto espresso che
riservi al promettente venditore la facoltà
di definire le questioni edilizie in attesa
del contratto definitivo. (CDS sez. VI, n.
7847/2004)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 19.07.2008 n.
830 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: D.i.a.
e responsabilità del progettista.
L'art. 23 DPR 380/2001 prevede che la denuncia di inizio di
attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un
progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che
asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti
urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza
e di quelle igienico-sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla
indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di
un direttore dei lavori.
Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina,
stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in
relazione non solo all'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma
anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità.
Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato
al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un
significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso
della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista
abbia un connesso obbligo di vigilanza (Corte di Cassazione, Sez. III
penale,
sentenza
10.07.2008 n. 28267 - link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Quesito 4 :
- Legittimità di un provvedimento di
sospensione dei lavori iniziati a seguito
della presentazione della d.i.a. non
proceduto dal preavviso di rigetto di cui
all'art. 10-bis della legge n. 241/1990;
- Qualificazione della ristrutturazione
edilizia rispetto alla manutenzione
ordinaria;
- Natura giuridica della convenzione di
lottizzazione (Geometra Orobico n. 3/2008). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di
inizio attività - Scadenza del termine -
Poteri comunali di vigilanza, sanzione ed
autotutela - Persistenza - Ratio normativa.
In caso di D.I.A., di cui all'art. 2, comma
60, Legge 662/1996, lo spirare del termine
di 20 giorni, fissato per riscontrare la
sussistenza delle condizioni legali
necessarie per intraprendere le attività
denunciate, non impedisce all'Autorità
Comunale di adottare, mediante intervento
analogo a quello esercitabile in sede di
autotutela, i provvedimenti inibitori del
caso a fronte di un intervento che contrasti
con la normativa urbanistica ed edilizia.
Ciò, poiché lo strumento della D.I.A. in
materia edilizia rientra nel più generale
istituto della "denuncia in luogo di
autorizzazione" (c.d. deregulation)
delineato dall'art. 19 Legge 241/1990, e che
l'art. 21, comma 2, Legge 241/1990 raccorda
la procedura della D.I.A. a tutto il sistema
sanzionatorio già operante, contemplando un
generale potere di intervento successivo
della P.A. per l'ipotesi in cui l'inizio
dell'attività ex art. 19 sia avvenuto in
contrasto con la normativa di legge
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
20.05.2008 n.
1802
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
sanzione delle opere realizzate in difformità dalla D.I.A..
L’Amministrazione Comunale, nonostante il decorso del termine perentorio
di trenta giorni, può, comunque, esercitare in ogni tempo il suo
generale potere di controllo sulle attività edilizie -trattandosi di un
potere per il quale l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 non
prevede un termine di decadenza- sia nel caso in cui che le opere in via
di realizzazione o già realizzate non corrispondessero a quelle oggetto
della denuncia, sia nel caso in cui tali opere non sarebbero potute
essere realizzate in base una semplice D.I.A., perché richiedenti il
previo rilascio del permesso di costruire.
Dal momento che l’istituto della D.I.A. presuppone che le opere
realizzate corrispondano perfettamente a quelle oggetto della
comunicazione indirizzata all’Amministrazione, non sussiste alcun
affidamento del privato da tutelare, nel caso di difformità delle opere
realizzate rispetto a quelle descritte nella relazione e negli elaborati
progettuali allegati alla D.I.A., con la conseguenza che le parti di
opere realizzate in difformità dalla D.I.A. non potrebbero che essere
tout court equiparate alle opere realizzate sine titulo.
Nell’ipotesi di opere realizzate in assenza del permesso di costruire,
trova applicazione l’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, che
prevede l’adozione di un ordine di demolizione, mentre, nell’ipotesi in
cui le opere realizzate in difformità dalla D.I.A. rientrano tra gli
interventi edilizi assoggettati al regime del permesso di costruire,
trova applicazione l’art. 37, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, che non
prevede la sanzione demolitoria, ma solo l’irrogazione di una sanzione
pecuniaria al responsabile dell’abuso
(TAR Calabra-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 19.05.2008 n. 520
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sul collegamento funzionale di n. 2 D.I.A. presentate a poca
distanza l'una dall'altra.
Il Sig. ... ha prodotto una prima DIA il 12.08.2002, relativa
all’apertura di un vano porta per l’accesso al locale deposito ed una
seconda DIA il 10.12.2002 per il mutamento di destinazione d’uso da
deposito ad autorimessa.
Il breve lasso temporale esistente tra i due atti e la oggettiva
necessità del vano porta per l’utilizzo dell’immobile quale autorimessa
inducono ragionevolmente ed oggettivamente a collegare in via funzionale
i due interventi, rilevando che nella specie ci si trova di fronte ad un
intervento edilizio di mutamento di destinazione d’uso con opere
edilizie, assoggettato al previo rilascio di permesso di costruire ai
sensi dell’articolo 2 della legge regionale Campania n. 19/2001 (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2008 n. 1600
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
soggetti a D.I.A. su area paesaggisticamente vincolata - Configurabilità
del reato edilizio - Esclusione - Fondamento - Rapporti tra D.I.A. e la
c.d. SUPER-D.I.A - Fattispecie - D.P.R. n. 380/2001.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia effettuabile anche con
semplice d.i.a. in zone soggette a vincolo sono realizzabili con la
procedura semplificata della d.i.a. solo subordinatamente al rilascio
del parere o dell’autorizzazione dell’Autorità preposta alla tutela del
vincolo. Sicché, quando si tratta di interventi soggetti a semplice
d.i.a. (art. 22, comma primo, d.P.R. n. 380 del 2001) la loro
realizzazione senza titolo (o per non aver presentato la d.i.a. ovvero
per non aver conseguito il n.o. dell’Autorità tutoria in caso di
immobile vincolato) non è soggetta a sanzione penale, essendo invece
quest’ultima riservata (art. 44, comma secondo bis, d.P.R. citato) ai
soli interventi ammessi al regime della c.d. SUPER-D.I.A. contemplati
dall’art. 22, comma terzo, del d.P.R. n. 380 del 2001. Fattispecie nella
quale era contestato all’imputata di aver abusivamente ricostruito un
“porticato” con la stessa volumetria e sagoma del precedente in una zona
sottoposta a vincolo paesaggistico.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale di cui all’art. 181
D.Lgs. 42/2004 - Condotta incriminata - Configurabilità.
Il reato ambientale di cui all’art. 181 D.Lgs. 42/2004, punisce
"chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa,
esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali" denotando che la
condotta incriminata perdura sino a quando prosegue la esecuzione dei
lavori senza titolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.05.2008 n. 17954 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Interventi
soggetti a d.i.a..
Qualora un intervento eseguito in base a semplice denuncia di inizio
attività non sia riconducile a quelli assentibili con tale titolo
abilitativo, ma richiede il permesso di costruire, l'intervenuta
presentazione della denuncia medesima è assolutamente irrilevante ed i
lavori eseguiti vanno considerati abusivi e a fortiori vanno considerati
abusivi allorché si eseguono in base a semplice denuncia d'inizio
attività interventi assentibili con permesso di costruire . Il decorso
del termine di giorni trenta dalla denuncia esaurisce il potere di
riscontro a fini inibitori attribuiti alla pubblica amministrazione , ma
non fa venir meno i diversi poteri di vigilanza e controllo: la pubblica
amministrazione ha sempre il potere di controllare che l'opera
realizzata sia conforme a quella denunciata e, riscontrata la
difformità, denunciare il trasgressore
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
12.03.2008 n. 11113
- link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura della d.i.a. e
sull’obbligo di provvedere della PA.
Con la d.i.a. si costituisce
un’autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, suscettibile di
contestazione da parte del terzo entro
l’ordinario termine decadenziale, decorrente
dalla comunicazione del perfezionamento
della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del
consenso (implicito) all’intervento.
Conseguentemente, il ricorso avverso il
titolo abilitativi, così formatosi, concerne
non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’Amministrazione, bensì direttamente l’assentibilità
o meno dell’intervento oggetto di d.i.a. (v.
Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550;
TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008, n.
102).
Può, pertanto, affermarsi che Il TAR Parma,
sposando l’indirizzo interpretativo seguito
dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (dec.
n. 1550/2007), supera il prevalente e
precedente indirizzo giurisprudenziale che
optava per la natura privatistica della Dia
e che escludeva che il terzo potesse seguire
la strada dell’impugnazione innanzi al TAR
della denuncia di inizio attività (ex multis,
cfr. Cons. Stato sez. IV n. 3916/2005; Cons.
Stato sez. V n. 948/2007) (TAR Emilia
Romagna–Parma, Sez. I,
sentenza 10.03.2008 n. 135 - link
a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: L’impugnativa
della dia è configurabile, essendo superato
l’orientamento giurisprudenziale che ne
escludeva la natura provvedimentale.
L’impugnativa della dia è configurabile,
essendo superato l’orientamento
giurisprudenziale che ne escludeva la natura
provvedimentale; secondo il più recente
orientamento, che il Collegio condivide, la
d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell’attività privata,
bensì una semplificazione procedimentale che
consente al privato di conseguire un titolo
abilitativo a seguito del decorso di un
termine dalla presentazione della denuncia.
Col decorso del termine dalla presentazione
della denuncia di inizio attività si forma
una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, che può essere contestata
dal terzo entro l’ordinario termine di
decadenza, decorrente dalla comunicazione
del perfezionamento della d.i.a. o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
implicito all’intervento oggetto di d.i.a.
A sostegno di tale configurazione vale
osservare che la legge 80/2005 ha
espressamente previsto in relazione alla
d.i.a. il potere dell’amministrazione
competente di assumere determinazioni in via
di autotutela, ai sensi degli articoli
21-quinquies e 21-nonies: se è ammesso
l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione
deve essere consentita l’azione di
annullamento davanti al giudice
amministrativo; la natura provvedimentale
della d.i.a., ancor prima delle modifiche
legislative del 2005, poteva desumersi,
altresì, dalle norme contenute nel testo
unico sull’edilizia), le quali estendono
agli interventi assoggettati a d.i.a. le
conseguenze legate all’annullamento del
permesso di costruire; anche la previsione
dell’ultimo comma dell’art. 19 legge
241/1990 circa la giurisdizione esclusiva
del G.A. nelle controversie in materia di
d.i.a. è sintomatica della volontà
legislativa di sottoporre tale atto alla
piena sindacabilità giurisdizionale; la
tutela del terzo controinteressato rispetto
ad una d.i.a. non può essere costretta negli
angusti limiti dell’eventuale esercizio del
potere di autotutela da parte della P.A.
Secondo l’opposta tesi che nega natura
provvedimentale alla d.i.a., infatti, al
terzo danneggiato non resterebbe altra via
di tutela che sollecitare l’amministrazione
a esercitare i poteri inibitori o
l’autotutela.
Queste osservazioni, valide in via generale
per ogni denuncia di inizio attività, ancor
di più sono riferibili alla d.i.a. edilizia,
dal momento che il T.U. edilizia D.p.R.
38072001 (in particolare l’art. 22) tratta
il permesso di costruire e la denuncia di
inizio attività come titoli abilitativi di
natura analoga, diversi solo per il
procedimento da seguire: sarebbe
irragionevole e lesivo dell’effettività
della tutela giurisdizionale ritenere che il
terzo controinteressato incontri limiti
diversi a seconda del tipo di titolo
abilitativo, peraltro rimesso alla scelta
della parte o ad una diversa normativa
regionale (cfr. CdS sez. VI 05.04.2007 n.
1550)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 07.03.2008 n. 1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.I.A. - Opere eseguite oltre il termine ex
art. 32 co. 2 D.P.R. 380/2001 - Ordine di demolizione - Intera opera -
Illegittimità - Identificazione opere successive - Necessità.
In caso di opere eseguite oltre il termine stabilito dall'art. 23 co. 2
D.P.R. 380/2001 l'Amministrazione non può ordinare la demolizione di tutte
le opere realizzate, ma deve, da una parte, identificare esattamente le
opere conformi alla DIA e realizzate entro i suddetti termini e,
dall'altra, identificare quelle eseguite oltre i predetti termini (ed
eventualmente in difformità dal titolo edilizio), adottando
conseguentemente, nei confronti delle stesse, gli opportuni
provvedimenti sanzionatori (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 25.02.2008 n. 150
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio attività - Provvedimento comunale di inibitoria
- Termine - Perentorietà - Sussistenza - Potere di vigilanza e
repressione - Permane.
Il termine di trenta giorni, previsto ai fini dell'adozione del
provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della
denuncia di inizio attività per l'esecuzione di lavori edilizi, ha
carattere perentorio. Decorso tale termine, permane il potere
dell'Amministrazione comunale di potere e vigilanza e controllo
sull'attività edilizia che non deve però più svolgersi nelle forme
dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela
di cui agli articoli 21-quinquies e 21-nonies legge 241/1990 e s.m.i. e
quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione
sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis
l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 14.02.2008 n. 326
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Denuncia di inizio attività - Fattispecie a formazione progressiva
- Presupposti titolo autorizzatorio: presentazione della dichiarazione e
inerzia dell'amministrazione.
Per quanto concerne la denuncia di inizio attività (DIA), la formazione
del titolo autorizzatorio avviene a formazione progressiva e si
perfeziona con il concorso di due elementi: i) la presentazione della
dichiarazione corredata dalle autorizzazioni necessarie ed ii) il
decorso di un certo periodo di tempo allo scadere del quale,
nell'inerzia dell'amministrazione, nasce in capo al dichiarante il
diritto di porre in essere l'attività comunicata (nella fattispecie il
TAR ha respinto il secondo motivo di ricorso in quanto il titolo
autorizzatorio si era già perfezionato prima della pubblicazione della
sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l'illegittimità
costituzionale del d. lgs. n. 198/2002, base legislativa della DIA. La
sentenza pertanto non era suscettibile di inibire l'attività edilizia
precedentemente autorizzata in base ad una fattispecie a formazione
progressiva in quanto, come noto, ai sensi dell'art. 136 Cost. la norma
dichiarata incostituzionale cessa di aver efficacia dal giorno
successivo alla pubblicazione) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano,
Sez. I,
sentenza 07.02.2008 n. 297). |
EDILIZIA PRIVATA: Lavori
di demolizione - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione - Denuncia
di inizio attività - Sufficienza.
In tema di reati edilizi, la semplice demolizione di un
manufatto non integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b),
del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (esecuzione di lavori in assenza del permesso
di costruire), in quanto per tale tipologia di intervento non è necessario
il permesso di costruire ma è sufficiente la denuncia di inizio attività la
cui mancanza costituisce illecito amministrativo (in motivazione la Corte,
nell'enunciare il predetto principio, ha ulteriormente affermato che la
mancanza della d.i.a. non può giustificare il sequestro penale).
---------------
In relazione di fumus, peraltro, la motivazione è mancante sotto un
ulteriore aspetto. Si afferma infatti che il reato contestato, in relazione
al quale è stato disposto il sequestro, è esclusivamente quello di cui al
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 31 e art. 44, lett. b), ossia -deve
presumersi, mancando un permesso di costruire in relazione al quale possa
predicarsi una totale difformità ed essendo stato disapplicata l'ordinanza
contingibile ed urgente- di avere realizzato, in assenza del permesso di
costruire, una nuova costruzione o una ristrutturazione urbanistica o una
ristrutturazione edilizia.
Sennonché, dalla ordinanza impugnata non è dato comprendere quale sia la
concreta condotta contestata che integrerebbe il reato, dal momento che in
essa si parla sempre ed esclusivamente di demolizione o di lavori di
demolizione e di modalità di demolizione, e mai di una attività concretante
un effettivo intervento di ristrutturazione edilizia o urbanistica. E' vero
che la demolizione ben può essere, e normalmente è, la fase iniziale della
ristrutturazione e che l'ordinanza impugnata ritiene che i lavori di
demolizione siano stati ordinati "per verosimili fini di ristrutturazione
edilizia ed urbanistica della zona a fini di rilancio turistico e
residenziale".
Tuttavia è anche vero che non sono stati indicati gli elementi concreti in
base ai quali si è eventualmente ritenuto che la demolizione fosse solo la
fase prodromica di una ristrutturazione; che non si è accertato che fosse
stato fatto un qualche intervento che eccedesse la sola demolizione
(specificazione necessaria perché la difesa sostiene che dopo le demolizioni
il cantiere sarebbe stato smontato e che non sarebbero stati compiuti
ulteriori interventi); e che, quindi, non si è specificato perché la
semplice demolizione integrasse il reato di cui al D.P.R. 06.06.2001, n.
380, art. 44, lett. b), dal momento che per i soli interventi di demolizione
non occorre il permesso di costruire (v. Sez. 3, 13.03.1991, Benzi, m.
186815) ma, semmai, la denunzia di inizio attività (la cui mancanza dà luogo
ad un illecito amministrativo, che non può giustificare il sequestro penale)
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza
28.01.2008 n. 4098). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Annullamento d'ufficio effetti della DIA -
tutela del regime delle acque pubbliche -
giurisdizione del giudice amministrativo.
2. Annullamento d'ufficio effetti della DIA
- fascia di rispetto delle acque pubbliche -
art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904 - argini
naturali e artificiali - legittimità.
1. Il ricorso avverso l'annullamento
d'ufficio degli effetti di una DIA, motivata
sul rispetto della normativa delle acque
pubbliche, rientra nella giurisdizione del
giudice amministrativo in quanto non è un
provvedimento caratterizzato da un'incidenza
diretta sul regime delle acque pubbliche.
2. Nel caso in cui il titolo edilizio
(DIA) violi la fascia di rispetto dei corsi
d'acqua di cui all'art. 96, lett. f), R.D.
n. 523/1904, che riguarda sia gli argini
naturali che quelli artificiali, è norma
inderogabile, ed ha un carattere obiettivo
(a prescindere dall'accertamento in concreto
delle caratteristiche geologiche del
terreno), risulta legittimo il suo
annullamento d'ufficio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 18.12.2007 n. 6668). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tutela dei terzi - Azione di
annullamento (d.i.a.).
In caso di denunzia di inizio attività
edilizia è preferibile la tesi per cui
l'unico veicolo d'accesso alla tutela
giurisdizionale sia costituito dalla
impugnazione del provvedimento di diniego o
del silenzio-rifiuto di esercitare il potere
sanzionatorio opposto all'istanza del terzo
che lamenti l'illegittima esecuzione di
opere (cfr. Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n.
948) (massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 11.12.2007 n. 2050
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Art.
10-bis della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed
int. - Denuncia di inizio attività ex art.
42 L.R. n. 12/2005 - Inapplicabilità -
Denuncia di inizio attività ex art. 42 L.R.
n. 12/2005 - Provvedimento comunale recante
motivi ostativi all'accoglimento della DIA -
Sospensione del termine di trenta giorni di
cui all'art. 42, comma 9 della L.R. n.
12/2005 - Inefficacia - Decorso del termine
di trenta giorni di cui all'art. 42, comma 9
della L.R. n. 12/2005 - Notifica del
provvedimento comunale di non effettuare i
lavori - Illegittimità per tardività.
La disciplina dettata dalla L.R. n. 12/2005
in tema di denuncia di inizio attività, non
dando avvio ad un procedimento
amministrativo ad istanza di parte, non è
compatibile con l'istituto del preavviso di
rigetto di cui all'art. 10-bis della L. n.
241/1990, ciò in quanto l'art. 42, comma 9
della menzionata legge regionale subordina
l'esercizio del potere inibitorio
dell'amministrazione ad un termine di
decadenza fissato espressamente dalla legge,
tanto che l'eventuale applicazione della
norma procedimentale citata (art. 10-bis
della L. n. 241/1990) avrebbe l'effetto di
vanificare l'intento di accelerazione e
semplificazione delle attività soggette a
DIA; pertanto, in pendenza di denuncia di
inizio attività, la mera nota comunale con
cui vengono comunicati i "motivi ostativi
all'accoglimento della DIA" non produce
l'effetto di sospensione del termine di
trenta giorni previsto dall'art. 42 della
L.R. n. 12/2005 per l'adozione dell'ordine
inibitorio, con la conseguenza che il
provvedimento di non effettuare i lavori di
cui alla DIA intervenuto dopo il decorso dei
trenta giorni dalla presentazione di
quest'ultima è illegittimo per tardività
dello stesso
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 04.12.2007 n. 6542
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Denunzia di inizio attività -
Ha natura di mero atto del privato e di strumento di
liberalizzazione delle attività edilizie.
2. Denunzia di inizio attività - Art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001 - Obbligo per la
P.A. di esercizio del potere di abilitazione o di
autorizzazione all'esercizio dell'attività - Non sussiste -
Potere di inibizione dell'esercizio di un'attività
illegittima od irregolare - Sussiste - Configurabilità del
silenzio-assenso della P.A. - Non sussiste.
3. Denunzia di inizio attività -
Parificazione al permesso di costruire - Non è ammissibile -
Tutela del terzo giurisdizionale del terzo - È garantita
attraverso formale istanza di intervento rivolta alla P.A. e
successiva azione ex art. 21-bis, L. n. 1034/1971,
attraverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza,
oppure con ricorso ordinario avverso il diniego esplicito di
intervento.
4. Denunzia di inizio attività - Art. 38, comma 2-bis, D.P.R. n. 380/2001 - Si riferisce alle
sole ipotesi di cui all'art. 22, comma 3°, D.P.R. n.
380/2001 - Individuabilità di principi generali estensibili
a tutte le ipotesi sottoposte a d.i.a. - Non sussiste.
5. Denunzia di inizio attività -
Affidamento sulla legittimità dell'opera edilizia - Non
insorge per il fatto del mero decorso del tempo - D.i.a. in
materia edilizia - Art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n.
380/2001 - Inutile decorso del termine di trenta giorni
dalla presentazione della dichiarazione - Consolidamento in
capo al dichiarante di un affidamento sulla formazione del
titolo - Sussiste.
6. Denunzia di inizio attività -
Opposizione del terzo alle opere eseguite in base alla d.i.a. - È possibile solo entro un termine ragionevole.
1. La d.i.a. continua ad avere natura di mero atto del
privato e di strumento di liberalizzazione delle attività
anche dopo le modifiche apportate dall'art. 19, L. n.
241/1990 con l'art. 3 della D.L. n. 35/2005, convertito con
L. n. 80/2005 e, per la d.i.a. in materia edilizia,
dall'art. 38, D.P.R. n. 380/2001.
2. L'Amministrazione che ha ricevuto la d.i.a. non è
chiamata ad esercitare, entro il termine decadenziale
previsto in materia edilizia dall'art. 23, commi 1° e 6°,
D.P.R. n. 380/2001, un potere di abilitazione o di
autorizzazione all'esercizio dell'attività, ma il distinto
potere di inibizione dell'esercizio di un'attività che
dovesse risultare illegittima od irregolare. Non si può
quindi configurare alcuna ipotesi di silenzio-assenso,
giacché questo dovrebbe ipotizzarsi quale rimedio al mancato
esercizio, da parte della P.A., di un potere autorizzativo:
potere autorizzativo che la P.A. non possiede affatto, non
essendo ipotizzabile, nello schema procedimentale della
d.i.a. tuttora vigente -sia in linea generale, nella L. n.
241/1990 riformata, sia nella materia edilizia, ex art. 22 e
ss., D.P.R. n. 380/2001- un provvedimento di autorizzazione
esplicita dell'intervento.
3. Non pare ammissibile la parificazione della d.i.a. al
permesso di costruire, muovendo dalla necessità di
scongiurare le ritenute lesioni che si determinerebbero
qualora si insista nel qualificare la d.i.a. come mero atto
del privato, non direttamente impugnabile in sede
giurisdizionale. La tutela del terzo che si oppone
all'intervento attuato tramite la d.i.a. è infatti
pienamente garantita, potendosi realizzare rivolgendo
all'Amministrazione formale istanza per l'esercizio della
potestà repressiva attribuitale dalla legge ed agendo poi,
ai sensi dell'art. 21-bis, L. n. 1034/1971, attraverso il
c.d. silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza (ovvero,
impugnando con il ricorso ordinario il diniego esplicito di
intervento da parte della P.A.).
4. Riferendosi alle sole ipotesi di cui all'art. 22, comma
3°, D.P.R. n. 380/2001, ossia alle sole fattispecie in cui
la d.i.a. è alternativa al permesso di costruire, la norma
dell'art. 38, comma 2-bis, D.P.R. n. 380/2001, non consente
di individuare alcun principio generale estensibile a tutte
le ipotesi sottoposte a d.i.a., onde non può essere usata
per sostenere che la dichiarazione costituisca provvedimento
impugnabile ed annullabile.
5. Il fatto del mero decorso del tempo non è sufficiente a
far sorgere un affidamento sulla legittimità dell'opera
edilizia, o comunque sul consolidamento dell'interesse del
privato alla sua conservazione. Nel caso della d.i.a. in
materia edilizia, d'altra parte, il decorso del termine di
trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione ex
art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001 senza che la P.A.
eserciti il proprio potere inibitorio dell'intervento,
considerato il carattere perentorio comunemente riconosciuto
a detto termine, comporta quantomeno il consolidamento in
capo al dichiarante di un affidamento circa l'avvenuta
formazione del titolo.
6. Il terzo che intenda opporsi alle opere eseguite in base
alla d.i.a. può chiedere l'intervento dell'Amministrazione,
ma solo entro un termine ragionevole, oltre il quale non gli
si può più riconoscere la titolarità di una situazione
differenziata e qualificata, che obblighi la P.A. a
rispondere alla sua richiesta a pena, nel caso di inerzia,
di attivazione del rito di cui all'art. 21-bis, L. n.
1034/1971. Né ad una tale conclusione osta il dato
normativo, in base al quale il potere repressivo
sanzionatorio degli abusi edilizi è esercitabile
dall'Amministrazione ex officio senza limiti di tempo,
atteso che per esso non risulta previsto alcun termine di
decadenza o di prescrizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.11.2007 n.
6361 -
massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nulla osta - DIA - Difformità - Sussiste.
E' annullato il provvedimento comunale che ha
illegittimamente ordinato al ricorrente l'esecuzione di
idonea pavimentazione dell'area di proprietà per consentire
il passaggio dei pedoni, a somiglianza degli analoghi
passaggi pedonali limitrofi: il provvedimento non contesta
l'esecuzione di opere difformi dalla DIA (irrogando la
sanzione corrispondente) ma la difformità della DIA dal
nulla-osta provinciale nella ritenuta convinzione -smentita dalla Provincia- che ciò corrisponda a quanto
prescritto dal nulla-osta. L'asserita difformità della d.i.a
dal nulla-osta avrebbe potuto semmai formare oggetto di
provvedimento di autotutela incidente sul titolo edilizio
formatosi sulla denuncia di inizio attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.10.2007 n.
6156 -
massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Denuncia
di inizio attività (D.I.A.) - Decorrenza del termine di 30
giorni - Effetti - Potere di controllo delle attività
edilizie - Artt. 23 e 27, c. 1 D.P.R. n. 380/2001.
Nell’ambito del potere di autotutela, l’Amministrazione
anche una volta decorso il termine di trenta giorni può
esercitare il suo generale potere di controllo sulle
attività edilizie, per il quale l’art. 27, comma 1, del
D.P.R. n. 380/2001 non prevede alcun termine di decadenza,
sia quando le opere in corso o realizzate non corrispondano
a quelle oggetto della denuncia, sia quando le opere non
possono essere realizzate con una semplice D.I.A. perché
richiedono il permesso di costruire. Inoltre, il suddetto
termine di trenta giorni è previsto solo per la verifica
della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 23,
comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, ma non può certo essere
riferito al generale potere previsto dall’art. 27, comma 1,
D.P.R. n. 380 del 2001. (ex multis, TAR Veneto Venezia, Sez. II, 18.12.2006, n. 4095; TAR Campania Napoli, Sez.
VII, n. 7221/2006; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n.
3200/2006 cit.; TAR Campania Napoli, Sez. II, 03.02.2006,
n. 1506; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 17.01.2006, n.
72).
Mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro
parti - Trasformazione di una porcilaia in abitazione
privata - Ristrutturazione edilizia - Esclusione -
Modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico
urbanistico - D.P.R. n. 380/2001 - L. R. Campania n.
19/2001.
In materia edilizia, la trasformazione di una porcilaia in
abitazione privata, si configura come un intervento di
ristrutturazione edilizia che determina un’evidente
modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico
urbanistico. Nel caso in specie, a fronte del combinato
disposto degli articoli 10, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001,
e art. 2, comma 1, lettera f), della legge Regione Campania
n. 19/2001 deve, ritenersi che in Zona A non possano
comunque essere realizzati in base ad una semplice D.I.A. i
cambi di destinazione d’uso di immobili o loro parti che,
pur risultando astrattamente compatibili con le categorie
consentite dalla strumentazione urbanistica, intervengano
tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non
omogenee e, quindi, integrino una modificazione edilizia con
effetti incidenti sul carico urbanistico (TAR
Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 04.10.2007 n. 8951
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
natura giuridica della Dia e sulla tutela del terzo.
La denuncia di inizio
attività (Dia) non è da considerare strumento di
liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta uno strumento
di semplificazione procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia.
Pertanto, nel caso della Dia, con il decorso del termine si
forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale,
che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario
termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla
comunicazione al terzo del perfezionamento della Dia o
dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito)
all’intervento oggetto di Dia (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. I,
sentenza 02.10.2007 n. 2253 - link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: È
inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n.
380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del
1990.
La denunzia di inizio attività costituisce
autocertificazione della sussistenza delle
condizioni stabilite dalla legge per la
realizzazione dell'intervento, sul quale la
PA svolge un'eventuale attività di controllo
che è prodromica e funzionale al formarsi (a
seguito del mero decorso del tempo, non
dell'effettivo svolgimento dell'attività)
del titolo legittimante l'inizio dei lavori:
titolo, il cui consolidamento non comporta,
però, che l'attività del privato possa
andare esente da sanzioni quando sia
difforme dal paradigma normativo, con la
conseguenza che anche dopo il termine
previsto per la verifica dei presupposti e
dei requisiti di legge (30 gg.)
l'Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio attribuitole
dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005
n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi,
per il principio di economia dei mezzi
giuridici, la facoltà dell'Amministrazione
di inibire i lavori non iniziati anche dopo
l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i
lavori coincide con l’ordine motivato di non
effettuare i lavori di cui alla disciplina
della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non
iniziare i lavori non corrisponde all’atto
di diniego di una istanza di parte di
provvedimento favorevole e quindi non deve
essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che la dia è provvedimento
(implicito) di tipo favorevole al privato,
mentre è negativo (ma non è a rigore un
rigetto della istanza) il successivo atto di
diffida a non agire; inoltre, il preavviso
per l’ordine di non eseguire costituirebbe
una non giustificata duplicazione del
medesimo, incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di
liberalizzazione dell'attività, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo, sub specie
dall'autorizzazione implicita di natura
provvedimentale (favorevole), a seguito del
decorso di un termine (30 giorni) della
presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del
termine si forma una sorta di
autoamministrazione, secondo alcuni, di
autorizzazione implicita (positiva) di
natura provvedimentale per altra
ricostruzione, che può essere succeduta da
ordine (negativo) di non iniziare i lavori o
può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come
ristretto nei suoi tempi procedimentali, non
coincide con la ipotesi di provvedimento
(negativo) su istanza di parte di
provvedimento positivo; pertanto, a tale
diffida-ordine non si applica l’istituto del
c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi
di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova
applicazione solo nell'ipotesi di adozione
di un provvedimento negativo sull'istanza
(di provvedimento positivo) presentata dal
privato e non nel caso di presentazione di
denunzia di inizio di attività e successivo
ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R.
n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241
del 1990, atteso che l'onere del preavviso
di diniego è incompatibile con il termine
ristretto entro il quale l'amministrazione
deve provvedere, non essendo fra l'altro
previste parentesi procedimentali produttive
di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se
non rilevante nella specie, il principio
evocato dall’appellante comune, secondo cui
in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis
l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se
l'illegittimità del provvedimento terminale,
dovendo la disposizione sul c.d. preavviso
di diniego essere interpretata alla luce del
successivo art. 21-octies della citata l. n.
241 del 1990, secondo cui, laddove il
ricorrente sollevi determinati vizi di
natura formale, è imposto al giudice di
valutare il contenuto sostanziale del
provvedimento e, quindi, di non annullare
l'atto nel caso in cui le violazioni formali
non abbiano inciso sulla legittimità
sostanziale del provvedimento impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 12.09.2007 n.
4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La mancata asseverazione
circa il rispetto delle norme
igienico-sanitarie con consente di poter
iniziare i lavori con la D.I.A..
La DIA presentata dalla ricorrente nel
novembre 2003 non recava alcuna
asseverazione con riferimento al rispetto
delle norme igienico-sanitarie e, pertanto,
ai sensi dell'art. 23 del D.P.R. n.
380/2001, la denuncia di inizio attività,
decorsi i prescritti trenta giorni, non
poteva costituire titolo abilitativo per
l'esecuzione dei lavori di recupero del
sottotetto di che trattasi.
Il Collegio, pur avendo contezza di una
pronuncia ancora isolata del Consiglio di
Stato che attribuisce alla DIA valore
provvedimentale, continua ad accedere alla
tesi che si tratti di un atto del privato
che acquista efficacia in forza del decorso
del tempo sulla base di quanto previsto
dalla legislazione di rango primario (art.
19 della legge 241/1990, art. 23 del DPR
380/2001 ed art. 42 della L.R. n. 12/2005)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 05.09.2007 n. 5765). |
EDILIZIA PRIVATA: W.
Fumagalli,
La Denuncia di
Inizio di Attività: una trappola a tempo
(AL n. 5-6/2007) |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Crollo di edificio sottoposto a ristrutturazione
edilizia - Variante a permesso di costruire mediante
denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 22, comma 2,
del D.P.R. n. 380/2001.
Il Comune chiede “se è necessaria l’applicazione della
sanzione di Euro 516,00 prevista dall’art. 37 del D.P.R.
380/ 2001, per una denuncia inizio attività depositata in
variante al permesso di costruire, relativo alla
ristrutturazione di un fabbricato colonico, mediante
demolizione completa con fedele ricostruzione” e, in
particolare, se tale denuncia di inizio attività “depositata
in corso d’opera” e “per l’avvenuta completa
demolizione del fabbricato stesso (non prevista) nel
progetto originario, possa rientrare fra le varianti di cui
all’art. 22, comma 2, del D.P.R. 380/2001 o se la stessa
debba considerarsi in corso d’opera e cioè fra le D.I.A. di
cui all’art. 37, comma 5, del citato D.P.R. 380/2001”.
A tal fine fa presente: che il comune “ha rilasciato un
permesso di costruire, per la ristrutturazione” di un “fabbricato
rurale” e che “il relativo progetto prevedeva la
ristrutturazione dell’edificio senza completa demolizione e
senza aumenti di volume e di sagoma preesistenti; che il
direttore dei lavori “comunicava l’avvenuto parziale crollo
dell’edificio” e “la sospensione dei lavori”; che
successivamente veniva depositata “una variante al permesso
di costruire originario, con la quale si prevedeva che la
ristrutturazione dell’edificio sarebbe avvenuta con una
modalità esecutiva diversa e precisamente mediante
demolizione e ricostruzione integrale dell’edificio con
stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”.
Fa anche presente che l’edificio “non risulta fra quelli
di valore storico e architettonico sulla base del censimento
redatto ai sensi dell’art. 15 della L.R. n. 13/1990.
Pertanto per lo stesso non vige il divieto di demolizione di
cui al 3° comma dell’art. 15 della predetta legge regionale”
e che “non rientra nella casistica di cui all’art. 6, 2°
comma, della L.R. 13/1990 in quanto di volumetria inferiore
ai 1000 m. Per lo stesso vige invece la norma di cui al 1°
comma dei predetto articolo, nel quale non figura il divieto
di demolizione ma solo quello di non aumentarne il volume”.
Il Comune rileva inoltre che a seguito della segnalazione
del fatto da parte della Polizia Municipale l’Ufficio
tecnico “precisava che la diversa modalità di attivazione
dell’intervento di ristrutturazione doveva essere
regolarizzata con apposita variante secondo le procedure di
cui al D.P.R. n. 380/2001 e che la ricostruzione
dell’edificio, ancora da effettuare, doveva avvenire
nell’integrale rispetto della volumetria e sagoma
autorizzati e con l’utilizzo di materiali che facciano salvo
l’aspetto esterno dell’edificio”, variante poi
presentata in tal senso dagli interessati come sopra
esposto, e che quindi “non è necessario applicare alcuna
sanzione” (Regione Marche,
parere 14.06.2007 n. 55/2007). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Disciplina della denuncia di inizio attività.
Il Comune pone dei quesiti sulla disciplina della denuncia
di inizio attività, di cui agli articoli 22 e 23 del D.P.R.
06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), in ordine
ai quali si osserva quanto segue.
QUESITO N. 1
In considerazione del fatto che l‟art. 22, commi 3 e 7, del
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, consente all'interessato, per gli
interventi edilizi ivi indicati, di presentare una denuncia
di inizio attività (DIA) o di richiedere il permesso di
costruire, si chiede se “in caso di opere eseguite non
conformemente alla denuncia inizio attività o al permesso di
costruire presentato”, gli adempimenti relativi
all'accertamento dell'abuso “vanno riferiti ai tipo di
domanda esistente (Permesso di costruire o DIA) o alla
natura dell'intervento”.
Il Responsabile dell'Area tecnica del Comune ritiene che
nell'accertamento delle opere difformi “debba essere
fatto riferimento alla tipologia dell'intervento” e non
al titolo abilitativo edilizio che si è richiesto ed
ottenuto.
QUESITO N. 2
Alla luce di quanto stabilito dall'art. 23 del D.P.R. n.
380/2001, sulla disciplina della denuncia di inizio
attività, e dagli attuali articoli 19 e 20 della legge
07.08.1990, n. 241, che non escludono dal proprio ambito di
applicazione la materia urbanistica e che prevedono che nei
casi in cui il silenzio dell'Amministrazione equivale
all'accoglimento della domanda, questa possa assumere
determinazioni in via di autotutela, si chiede se “il
termine dei 30 giorni prima dell'effettivo inizio previsto
dallo art. 23 del T.U.” “possa essere inferiore”,
qualora il “Responsabile del competente ufficio comunale,
concluda il proprio iter di verifica della denuncia inizio
attività attestandone la correttezza della presentazione e
la completezza dei documenti”.
Il Responsabile dell'Area tecnica del Comune ritiene che il
termine dei 30 giorni previsto dall'art. 23 del D.P.R. n.
380/2001 sia da ritenere come un termine concesso
all'Amministrazione “per le proprie valutazioni e
l'eventuale notifica dell'ordine di non iniziare, qualora
sia riscontrata l'assenza di una o più condizioni” e che
pertanto, qualora il Responsabile del competente ufficio
comunale, concluda prima di trenta giorni il proprio iter di
verifica della denuncia inizio attività attestandone la
correttezza della presentazione e la completezza dei
documenti il richiedente possa procedere all'inizio delle
opere anche prima che siano trascorsi 30 giorni dalla
presentazione dell'istanza”.
QUESITO N. 3
Si chiede un parere in relazione ad un caso specifico, che
viene illustrato nel quesito e che concerne l‟applicazione
di quanto stabilito dall'art. 3, comma 1, lett. e 6), del
D.P.R. n. 380/2001 sugli interventi pertinenziali da
considerare come di “nuova costruzione”. (Regione
Marche,
parere 24.05.2007 n. 52/2007). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
è applicabile alla presentata DIA il preavviso di rigetto di
cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990, ciò sul
presupposto che la DIA c.d. “edilizia” non dà inizio ad un
procedimento ad istanza di parte in quanto, anche con le
innovazioni da ultimo apportate alla citata legge n.
241/1990 (in particolare, art. 19), tale denuncia rimane
ancora un atto del privato non soggetto alle regole tipiche
del procedimento amministrativo.
Ciò risulta confermato dal fatto che l’esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione è soggetto ad un
termine di decadenza fissato dalla legge (nel caso di
specie, 30 gg. ex art. 23 del DPR n. 380/2001) tanto che
l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 alla
fattispecie di che trattasi finirebbe per vanificare
l’intento di accelerazione e semplificazione delle attività
soggette a denuncia di inizio attività.
Il Collegio ritiene di aderire alla giurisprudenza
amministrativa che considera non applicabile alla
fattispecie in argomento (presentazione della denuncia di
inizio attività) il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990, ciò sul presupposto che la DIA
c.d. “edilizia” non dà inizio ad un procedimento ad istanza
di parte in quanto, anche con le innovazioni da ultimo
apportate alla citata legge n. 241/1990 (in particolare, art.
19), tale denuncia rimane ancora un atto del privato non
soggetto alle regole tipiche del procedimento
amministrativo.
Ciò risulta confermato dal fatto che l’esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione è soggetto ad un
termine di decadenza fissato dalla legge (nel caso di
specie, 30 gg. ex art. 23 del DPR n. 380/2001) tanto che
l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 alla
fattispecie di che trattasi finirebbe per vanificare
l’intento di accelerazione e semplificazione delle attività
soggette a denuncia di inizio attività
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.04.2007 n. 1775 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una
semplificazione procedimentale, che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la
liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa
diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di
un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma
una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che
può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione
al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta
conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto
di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito
di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio
dei poteri sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o
meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della
d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato
l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L.
14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80),
prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni
in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio,
parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di
annullamento davanti al giudice amministrativo.
Tale disposizione, pur non essendo temporalmente applicabile
alla fattispecie in esame, può essere letta come
riconoscimento da parte del legislatore della natura
provvedimentale del titolo abilitativo che si forma in
seguito ad una d.i.a..
Nello stesso senso sembrerebbe essersi orientato il
legislatore già in precedenza: nel T.U. edilizia
l'applicabilità degli artt. 38 (interventi eseguiti in base
a permesso annullato) e 39 (annullamento del permesso di
costruire da parte della Regione) è stata estesa anche agli
interventi di cui all'art. 22, comma 3, assoggettati a
d.i.a..
Resta fermo che la tutela del terzo controinteressato
rispetto ad una d.i.a. non può essere certo costretta negli
angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di
autotutela da parte della p.a..
Come per qualsiasi atto amministrativo illegittimo, mentre
il potere di autotutela dell’amministrazione è subordinato a
determinati limiti, oggi codificati dall’art. 21-nonies
della legge n. 241/1990, alcun limite incontra l’intervento
del giudice, diretto solamente ad accertare l’illegittimità
dell’atto, e in questo caso del titolo abilitativo formatosi
in seguito a d.i.a..
In caso di ricorso avverso la d.i.a. la decisione del
giudice non può che travolgere l’assenso (implicito)
comunale e gli effetti dell’attività illegittima, che
costituiscono il contenuto reale della lite.
Del resto, l’esercizio del potere (anche in via implicita)
con effetti favorevoli per il diretto interessato non può
mai compromettere diritti e interessi dei terzi e la
previsione della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (art. 19, comma 5, legge n. 241/1990)
conferma la piena sindacabilità della d.i.a. e dei suoi
effetti da parte del giudice.
---------------
Il T.U. edilizia (d.P.R. n. 380/2001) prevede quali titoli
abilitativi in materia edilizia il permesso di costruire e
la d.i.a. e stabilisce anche che il confine tra i due titoli
non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre
l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme
restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4) ed è comunque
fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il
rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli
interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
Ciò significa che si tratta di titoli abilitativi di analoga
natura, che si diversificano per il procedimento da seguire
e comporta anche che sarebbe irragionevole, oltre che lesivo
dell’effettività della tutela giurisdizionale, ritenere che
il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda
del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una
scelta della parte o da una diversa normativa regionale.
E’, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un
determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti
alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e
del conseguente intervento del giudice, in alcun modo
limitato dalla decadenza del potere di intervento
dell’amministrazione.
In definitiva, in caso di intervento assentito a seguito di
d.i.a., è ammissibile il ricorso proposto direttamente
avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del
termine di trenta giorni, entro cui l’amministrazione può
impedire gli effetti della d.i.a..
---------------
Si è già detto che il termine per impugnare la d.i.a.
decorre dalla comunicazione al terzo del perfezionamento
della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
In caso di d.i.a edilizia, infatti, il titolo abilitativo si
forma decorsi trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.
per effetto del mancato esercizio dei poteri
dell’amministrazione (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n.
380/2001 e artt. 10 e 11 della L.R. Emilia Romagna n.
31/2002).
Nel caso di specie, tuttavia, si trattava di intervento
ricadente in zona paesaggisticamente vincolata e il termine
di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica ed ove tale atto non sia favorevole, la
denuncia è priva di effetti (art. 22, comma 3, d.P.R. n.
380/2001).
Il Tar ha fatto applicazione dell’art. 10, comma 4, della
L.R. n. 31/2002, secondo cui il termine di trenta giorni
decorre dal rilascio dell’autorizzazione ovvero
dall’eventuale decorso del termine per l’esercizio del
poteri di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.
La disposizione non è chiara e deve essere letta, in
conformità con la richiamata norma del T.U. edilizia, nel
senso che per il decorso del termine deve essere stata
rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e che l’eventuale
annullamento di questa rende priva di effetti la d.i.a..
La tutela dei terzi, che si oppongono ad intervento edilizio
assentito a seguito di d.i.a., ha sempre presentato profili
teorici problematici.
Secondo un orientamento, la d.i.a costituisce un atto
soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza
di determinate condizioni e all’esito di una fattispecie a
formazione complessa, attribuisce al privato una
legittimazione ex lege allo svolgimento di una
determinata attività, che sarebbe così liberalizzata.
Colui che si oppone all'intervento autorizzato tramite
d.i.a., una volta decorso il termine senza l'esercizio del
potere inibitorio, e nella persistenza del generale potere
repressivo degli abusi edilizi, sarebbe legittimato a
chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia,
alla procedura del silenzio-rifiuto, che pertanto non
potrebbe avere come riferimento il potere inibitorio
dell'Amministrazione -essendo decorso il relativo termine,
con la conseguenza che il giudice non potrebbe costringere
l'Amministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta-
bensì il generale potere sanzionatorio (Cons. Stato, IV,
22.07.2005, n. 3916).
Secondo altre tesi, la d.i.a. si tradurrebbe
direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione
dell'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con
la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al
giudice per chiedere l'adempimento delle prestazioni che la
p.a. avrebbe omesso di svolgere (TAR Lombardia, Brescia,
01.06.2001, n. 397), o l'annullamento della determinazione
formatasi in forma tacita (in tal senso: implicitamente,
Cons. Stato, VI, 10.06.2003 n. 3265 e, espressamente, V,
20.01.2003 n. 172; TAR Veneto, sez. II, 20.06.2003, n. 3405)
o comunque per contestare la realizzabilità dell'intervento
(Cons. Stato, VI, 16.03.2005 n. 1093).
Secondo ulteriore orientamento il terzo sarebbe
legittimato (entro il termine di decadenza)
all'instaurazione di un giudizio di cognizione, tendente ad
ottenere l'accertamento della insussistenza dei requisiti e
dei presupposti previsti dalla legge per la legittima
intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a. (TAR Liguria; I,
22.01.2003 n. 113 e TAR Abruzzo, Sez. Pescara, 23.01.2003 n.
197).
Il Collegio ritiene che il ricorso proposto direttamente
avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a.
sia ammissibile.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una
semplificazione procedimentale, che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un
termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la
liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa
diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di
un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma
una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che
può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di
decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione
al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta
conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto
di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito
di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio
dei poteri sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o
meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della
d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato
l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L.
14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80),
prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere
dell'amministrazione competente di assumere determinazioni
in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio,
parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di
annullamento davanti al giudice amministrativo.
Tale disposizione, pur non essendo temporalmente applicabile
alla fattispecie in esame, può essere letta come
riconoscimento da parte del legislatore della natura
provvedimentale del titolo abilitativo che si forma in
seguito ad una d.i.a..
Nello stesso senso sembrerebbe essersi orientato il
legislatore già in precedenza: nel T.U. edilizia
l'applicabilità degli artt. 38 (interventi eseguiti in base
a permesso annullato) e 39 (annullamento del permesso di
costruire da parte della Regione) è stata estesa anche agli
interventi di cui all'art. 22, comma 3, assoggettati a
d.i.a..
Resta fermo che la tutela del terzo controinteressato
rispetto ad una d.i.a. non può essere certo costretta negli
angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di
autotutela da parte della p.a..
Come per qualsiasi atto amministrativo illegittimo, mentre
il potere di autotutela dell’amministrazione è subordinato a
determinati limiti, oggi codificati dall’art. 21-nonies
della legge n. 241/1990, alcun limite incontra l’intervento
del giudice, diretto solamente ad accertare l’illegittimità
dell’atto, e in questo caso del titolo abilitativo formatosi
in seguito a d.i.a..
In caso di ricorso avverso la d.i.a. la decisione del
giudice non può che travolgere l’assenso (implicito)
comunale e gli effetti dell’attività illegittima, che
costituiscono il contenuto reale della lite.
Del resto, l’esercizio del potere (anche in via implicita)
con effetti favorevoli per il diretto interessato non può
mai compromettere diritti e interessi dei terzi e la
previsione della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (art. 19, comma 5, legge n. 241/1990)
conferma la piena sindacabilità della d.i.a. e dei suoi
effetti da parte del giudice.
Peraltro, queste considerazioni, valide per tutti gli
interventi assoggettati a d.i.a., sono ancor di più
riferibili alla d.i.a. edilizia, oggetto della presente
controversia.
Il T.U. edilizia (d.P.R. n. 380/2001) prevede quali titoli
abilitativi in materia edilizia il permesso di costruire e
la d.i.a. e stabilisce anche che il confine tra i due titoli
non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre
l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme
restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4) ed è comunque
fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il
rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli
interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
Ciò significa che si tratta di titoli abilitativi di analoga
natura, che si diversificano per il procedimento da seguire
e comporta anche che sarebbe irragionevole, oltre che lesivo
dell’effettività della tutela giurisdizionale, ritenere che
il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda
del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una
scelta della parte o da una diversa normativa regionale.
E’, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un
determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti
alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e
del conseguente intervento del giudice, in alcun modo
limitato dalla decadenza del potere di intervento
dell’amministrazione.
In definitiva, in caso di intervento assentito a seguito di
d.i.a., è ammissibile il ricorso proposto direttamente
avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del
termine di trenta giorni, entro cui l’amministrazione può
impedire gli effetti della d.i.a..
Chiarita l’ammissibilità del ricorso proposto in primo
grado, deve essere verificata la tempestività dello stesso,
tenuto conto delle censure mosse con il secondo motivo di
appello.
Si è già detto che il termine per impugnare la d.i.a.
decorre dalla comunicazione al terzo del perfezionamento
della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
In caso di d.i.a edilizia, infatti, il titolo abilitativo si
forma decorsi trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.
per effetto del mancato esercizio dei poteri
dell’amministrazione (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n.
380/2001 e artt. 10 e 11 della L.R. Emilia Romagna n.
31/2002).
Nel caso di specie, tuttavia, si trattava di intervento
ricadente in zona paesaggisticamente vincolata e il termine
di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica ed ove tale atto non sia favorevole, la
denuncia è priva di effetti (art. 22, comma 3, d.P.R. n.
380/2001).
Il Tar ha fatto applicazione dell’art. 10, comma 4, della
L.R. n. 31/2002, secondo cui il termine di trenta giorni
decorre dal rilascio dell’autorizzazione ovvero
dall’eventuale decorso del termine per l’esercizio del
poteri di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.
La disposizione non è chiara e deve essere letta, in
conformità con la richiamata norma del T.U. edilizia, nel
senso che per il decorso del termine deve essere stata
rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e che l’eventuale
annullamento di questa rende priva di effetti la d.i.a..
Ciò premesso, nel caso di specie, il termine per contestare
la d.i.a. ha iniziato a decorrere alla scadenza del termine
di 30 giorni decorrenti dal rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica (03/05/2004) e l’annullamento di tale
autorizzazione da parte della Soprintendenza ha sospeso tale
termine ma solo fino alla ordinanza cautelare di questa
Sezione che in data 05/11/2004 ha sospeso l’atto della
Soprintendenza.
Essendo pacifica la conoscenza della d.i.a. da parte della
ricorrente di primo grado, che ha anche impugnato
l’autorizzazione paesaggistica, il ricorso avverso la d.i.a.,
notificato in data 28/12/2004 è tardivo (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.04.2007 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla natura giuridica e diretta
impugnabilità della D.I.A..
La d.i.a. non è
uno strumento di liberalizzazione
dell’attività, come da molti sostenuto, ma
rappresenta una semplificazione
procedimentale, che consente al privato di
conseguire un titolo abilitativo a seguito
del decorso di un termine (30 giorni) dalla
presentazione della denuncia; la
liberalizzazione di determinate attività
economiche è cosa diversa e presuppone che
non sia necessaria la formazione di un
titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del
termine si forma una autorizzazione
implicita di natura provvedimentale, che può
essere contestata dal terzo entro
l’ordinario termine di decadenza di sessanta
giorni, decorrenti dalla comunicazione al
terzo del perfezionamento della d.i.a. o
dall’avvenuta conoscenza del consenso
(implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo
formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad
oggetto non il mancato esercizio dei poteri
sanzionatori o di autotutela
dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità,
o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta
impugnazione della d.i.a.. è stato fornito
dal legislatore, che ha modificato l’art.
19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3
del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla
L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in
relazione alla d.i.a.. il potere
dell'amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai
sensi degli articoli 21-quinquies e
21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di
ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere
consentita l’azione di annullamento davanti
al giudice amministrativo
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 05.04.2007 n. 1550 -
link a www.altalex.com). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sui
poteri in capo al Comune nel caso di
intervento assoggettato a D.I.A..
La DIA costituisce autocertificazione della
sussistenza delle condizioni stabilite dalla
legge per la realizzazione dell’intervento,
sul quale la PA svolge un’eventuale attività
di controllo che è prodromica e funzionale
al formarsi (a seguito del mero decorso del
tempo, non dell’effettivo svolgimento
dell’attività) del titolo legittimante
l’inizio dei lavori: titolo, il cui
consolidamento non comporta, però, che
l’attività del privato possa andare esente
da sanzioni quando sia difforme dal
paradigma normativo, con la conseguenza che
anche dopo il termine previsto per la
verifica dei presupposti e dei requisiti di
legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde
il potere di vigilanza e sanzionatorio
attribuitole dall’ordinamento (cfr. CdS, IV,
30.06.2005 n. 3498). In tale contesto,
pertanto, deve ammettersi, per il principio
di economia dei mezzi giuridici, la facoltà
dell’Amministrazione di inibire i lavori non
iniziati anche dopo l’avvenuto
consolidamento del titolo
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 18.12.2006 n. 4095 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ristrutturazioni edilizie - Denunzia di inizio
attività - Variazione del carico urbanistico - Esclusione -
Edificio esistente - Interventi di ristrutturazione edilizia
che comportino integrazioni funzionali o strutturali -
Modifiche del volume - Permesso di costruire.
Le ristrutturazioni edilizie di portata minore, sono sempre
realizzabili previa mera denunzia di inizio attività, cioè
quelle, che determinano una semplice modifica dell’ordine in
cui sono disposte le diverse parti che compongono la
costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente
innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza
urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1°
comma - lett. c), che comportano invece una variazione del
carico urbanistico).
Inoltre, sono realizzabili, in seguito a permesso di
costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera
denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione
edilizia che comportino integrazioni funzionali o
strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi
limitati di superficie e di volume. Pertanto, le «modifiche
del volume” previste dall’art. 10 possono consistere, in
diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in
incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare
apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si
ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento
dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione
edilizia» e "nuova Costruzione” (Corte di Cassazione,
Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40173
- link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E. Raganella,
La natura giuridica della d.i.a. e la “via”
della sanatoria (commento a TAR
Abruzzo-Pescara, sent. 30.05.2006)
(link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D. Pantano,
Natura giuridica della d.i.a. e tutela dei
terzi (link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La D.I.A. può essere
bloccata solo entro 30 gg. dalla data di
presentazione.
L’art. 23,
comma 6, del D.P.R. l’art. 23 del 06/06/2001
n. 380 stabilisce che il Comune può,
ricorrendone le condizioni, inibire la
realizzazione delle opere nel termine di 30
giorni dalla presentazione della d.i.a.,
termine che, come la giurisprudenza ha avuto
modo di affermare, è perentorio, con la
conseguenza che, in mancanza dell’atto
d’inibizione l’Amministrazione può
provvedere solo con l’esercizio del potere
di autotutela e non direttamente mediante il
potere repressivo che presuppone il ritiro
del titolo autorizzatorio formatosi per
decorso del detto termine (Cfr. anche TAR
Campania–NA - Sez. II – 27/01/2005 n. 8787;
id. Abruzzo–L’Aquila – 08/06/2005 n. 433)
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 20.07.2006 n. 1107 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Successivamente
alla proposizione della d.i.a. residua
comunque in capo alla P.A. il potere di
autotutela, sia pure sui generis in quanto
caratterizzato dal fatto di non implicare
un’attività di secondo grado su di un
precedente provvedimento amministrativo; il
riferimento all’autotutela può, quindi,
spiegarsi anche restando nei confini della
linea interpretativa secondo cui la DIA è un
atto del privato: si tratterà, appunto, di
un’autotutela sui generis poiché non andrà
ad incidere su un atto amministrativo, ma
consisterà nella possibilità per la P.A. di
adottare, successivamente alla scadenza del
termine di 30 giorni dalla comunicazione
di avvio dell’attività, provvedimenti di
divieto di prosecuzione della stessa e di
rimozione dei suoi effetti, condizionata,
però, dalla sussistenza di un interesse
pubblico attuale e concreto, ulteriore e
diverso rispetto a quello volto al mero
ripristino della legalità violata.
Con il secondo motivo di appello si deduce l’inammissibilità del ricorso
di primo grado per omessa impugnazione della
D.I.A. presentata dal sig. Messina.
Al fine di poter meglio delibare la
fondatezza o meno di tale eccezione di
inammissibilità, appare utile fare qualche
breve cenno in ordine alla questione della
natura giuridica della dichiarazione di
inizio di attività, al centro di un annoso
dibattito in dottrina ed in giurisprudenza,
dibattito non ancora sopito e che ha
ricevuto di recente nuova linfa a seguito
dell’entrata in vigore della L. n. 80/2005.
Le tesi che si contendono il campo sono
essenzialmente due.
Secondo una prima opzione ermeneutica la
dichiarazione di inizio di attività si
configura come un atto di iniziativa privata
e la legittimazione all’esercizio
dell’attività non è fondata su un atto di
consenso della P.A., ma trova la propria
fonte direttamente nella legge.
Secondo un altro orientamento, invece, la
DIA costituirebbe una fattispecie complessa
o a formazione successiva, che vede un atto
amministrativo tacito formarsi in presenza
di alcuni presupposti formali e sostanziali
e per effetto del decorso del tempo
assegnato all’amministrazione per
l’esercizio del potere inibitorio.
Aderire all’uno o all’altro indirizzo
interpretativo comporta alcune rilevanti
conseguenze in punto di tutela per il terzo
danneggiato dall’intervento edilizio.
Muta, in particolare, l’oggetto del
giudizio. La giurisprudenza, alquanto divisa
sul punto, ha, invero, individuato l’oggetto
del giudizio di impugnazione ora
direttamente nella DIA, ora nel
comportamento inerte tenuto
dall’amministrazione dopo la presentazione
della dichiarazione, ora nel silenzio sulla
richiesta di intervento in autotutela, ora
nel silenzio sulla richiesta di esercizio
del potere sanzionatorio.
Il problema si pone in quanto, se si
considera la DIA un atto privato, allora ne
è inammissibile la diretta impugnazione in
sede giurisdizionale e la tutela del terzo
passa attraverso la sollecitazione del
potere (sanzionatorio o di autotutela)
dell’amministrazione e, in caso di inerzia,
dall’impugnazione del silenzio secondo il
rito di cui all’art. 21-bis L. n. 1034/1971
(cfr. Cons. St., sez. IV, 04.09.2002,
n. 4453), oppure dall’accertamento in sede
giurisdizionale dell’illegittimità del
comportamento dell’amministrazione che, pur
nell’inesistenza dei presupposti e dei
requisiti fissati dalla legge per il
legittimo compimento dei lavori, non ha
inibito l’avvio delle opere oggetto della
denunzia.
Se, invece, si attribuisce alla DIA il
valore di provvedimento, allora non vi sono
ostacoli alla sua impugnativa: alcune
pronunce configurano, infatti, la DIA come
istanza idonea ad originare un provvedimento
per silentium della p.a. che nei trenta
giorni successivi alla sua presentazione non
inibisca l’inizio dei lavori, ritenendo
ammissibile il ricorso del terzo danneggiato
avverso l’atto di assenso tacito
dell’amministrazione.
Quest’ultima opzione ha registrato consenso
in qualche decisione, di questo Consiglio
che qualifica la DIA, unitamente al decorso
del tempo, in termini di provvedimento
amministrativo (cfr. Cons. St., sez. VI, 10.06.2003, n. 356).
Tuttavia, l’orientamento prevalente di
questo Consiglio è per la tesi della DIA
come atto privato (cfr. Cons. St., sez. IV,
04.09.2002, n. 4453; id., 22.07.2005, n. 3916).
La tesi che configura la DIA come un atto
abilitativo tacito, formatosi a seguito
della denunzia del privato e della
successiva inerzia dell’amministrazione
sembrerebbe oggi avere al suo arco una nuova
freccia, costituita dalla espressa
previsione, contenuta nell’art. 19, comma 3,
l. 07.08.1990 n. 241, nel testo stabilito
dall’art. 3, comma 1, d.l. 14.03.2005 n.
35, conv. nella l. 14.05.2005 n. 80, del
residuare in capo alla P.A. del potere di
autotutela.
Non pare, tuttavia, che questa novità
normativa possa ritenersi decisiva, in
quanto, già prima della citata L. n. 80/2005
la giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. IV,
dec. n. 4453 del 2002 cit.) affermava che,
successivamente alla proposizione della
denunzia di inizio di attività, residua
comunque in capo alla P.A. il potere di
autotutela, sia pure sui generis in quanto
caratterizzato dal fatto di non implicare
un’attività di secondo grado su di un
precedente provvedimento amministrativo; il
riferimento all’autotutela può, quindi,
spiegarsi anche restando nei confini della
linea interpretativa secondo cui la DIA è un
atto del privato: si tratterà, appunto, di
un’autotutela sui generis poiché non andrà
ad incidere su un atto amministrativo, ma
consisterà nella possibilità per la P.A. di
adottare, successivamente alla scadenza del
termine di 30 giorni dalla comunicazione di
avvio dell’attività, provvedimenti di
divieto di prosecuzione della stessa e di
rimozione dei suoi effetti, condizionata,
però, dalla sussistenza di un interesse
pubblico attuale e concreto, ulteriore e
diverso rispetto a quello volto al mero
ripristino della legalità violata
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 19.06.2006 n. 3586 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La D.I.A. non realizza un procedimento
ad iniziativa di parte, ma è una fattispecie
tipica a formazione progressiva automatica,
con consolidazione degli effetti della “denuncia”,
ovvero con la sua interruzione “in
itinere”, in sede di controllo
amministrativo dei presupposti e/o della
conformità agli stessi; non si tratta,
quindi, di accogliere o meno una domanda di
parte, ma vi è solo una dichiarazione
privata soggetta a controllo.
La DIA, invero, non realizza un procedimento
ad iniziativa di parte, ma è una fattispecie
tipica a formazione progressiva automatica,
con consolidazione degli effetti della “denuncia”,
ovvero con la sua interruzione “in
itinere”, in sede di controllo
amministrativo dei presupposti e/o della
conformità agli stessi; non si tratta,
quindi, di accogliere o meno una domanda di
parte, ma vi è solo una dichiarazione
privata soggetta a controllo (cd. inversione
procedimentale).
IL particolare tipo di procedimento
semplificato ed accelerato, introdotto
dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241
(la denuncia di inizio di attività),
rappresenta un istituto “sui generis”,
che non richiede l’emanazione di un
provvedimento amministrativo; il soggetto,
infatti, comunica che inizierà una certa
attività, con la tacita intesa “ope legis”,
che, se nel termine stabilito tra la
comunicazione e l'inizio dell'attività
stessa, l'Amministrazione nulla comunicherà,
l'attività potrà essere iniziata, salvo un
eventuale intervento successivo in
autotutela.
Non vi è, quindi, alcun inizio di un
procedimento amministrativo ordinario, ma,
soltanto la sua conclusione, ovvero, come
per legge, un’attività di inibizione e/o
interruzione.
Stessa conclusione si ricava dalla specifica
finalità della DIA, che non prevede alcun
adempimento ulteriore da parte
dell’Amministrazione (TAR
Abruzzo-Pescara,
sentenza 30.05.2006 n. 334 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Gli
effetti della d.i.a. decorrono dopo 30
giorni dalla presentazione della stessa e la
relativa legittimità resta subordinata alla
permanenza delle condizioni normative
esistenti al tempo della sua presentazione.
Gli effetti della d.i.a. -consistenti nel
dare libero corso all’attività edilizia
denunciata dall’interessato e non interdetta
dall’Amministrazione- decorrono dopo 30
giorni dalla presentazione della denuncia e
la legittimità della d.i.a. resta
subordinata alla permanenza delle condizioni
normative esistenti al tempo della sua
presentazione.
Ne consegue che le innovazioni normative
introdotte medio tempore non sono
irrilevanti, giacché un intervento edilizio,
ancorché conforme alla normativa vigente al
tempo della denuncia, ben può essere
interdetto ove non sia più in linea con la
normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o
destinata a entrare in vigore) prima del
compimento del trentesimo giorno dalla
presentazione della denuncia stessa.
D’altronde, se l’entrata in vigore di
contrastanti previsioni urbanistiche può
comportare la decadenza del permesso,
caducando un titolo già formato (quando i
lavori non sono stati ancora iniziati e
purché vengano completati entro il termine
di tre anni dalla data di inizio: cfr. art.
15, quarto comma, d.p.r. 06.06.2001 n. 380),
non v’è ragione perché esse non producano
effetti nella fase antecedente in cui il
titolo è ancora in corso di formazione
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza
06.03.2006 n. 588 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sulla competenza
comunale trascorso il termine dei 30 gg.
dalla presentazione della d.i.a..
E' giurisprudenza costante che
l’Amministrazione (comunale) conservi il
potere di provvedere quando la d.i.a. sia
stata presentata al di fuori dei presupposti
o in violazione delle prescrizioni
urbanistiche. L'Amministrazione, anche una
volta decorso il termine di 30 giorni di
cui all'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del
2001, può esercitare il suo generale potere
di controllo sulle attività di
trasformazioni edilizie del territorio per
il quale l'art. 27, comma 1, d.P.R. n. 380
del 2001 non prevede alcun termine di
decadenza, sia quando le opere in corso o
realizzate non corrispondano a quelle
oggetto della Denuncia Inizio Attività, sia
quando le opere non possono essere
realizzate con una semplice d.i.a. perché
richiedono il permesso di costruire:
infatti, il suddetto termine di 30 giorni è
previsto solo per la verifica della
sussistenza delle condizioni richieste
dall'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del
2001, ma non può certo essere riferito al
generale potere di controllo sulle attività
di trasformazioni edilizie del territorio,
previsto dall'art. 27, comma 1, d.P.R. n.
380 del 2001, né al generale potere di agire
in via amministrativa a tutela dei diritti
demaniali e di uso pubblico (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la
denuncia di inizio attività configura una
fattispecie a formazione progressiva, nella
quale alla dichiarazione del privato
conseguono effetti successivamente al
decorso del tempo e alla inerzia della
Amministrazione è solo al compimento del
trentesimo giorno che si verifica il
perfezionamento di detta fattispecie. La
denunzia di inizio d'attività (DIA)
costituisce una dichiarazione del privato
cui la legge, in presenza di specifiche
condizioni, ricollega effetti tipici
corrispondenti a quelli del permesso di
costruire ed è ad esso sostitutiva e
produttiva d'effetti decorso il termine di
trenta giorni dalla sua presentazione (Tar
Marche n. 58 del 03.02.2004). Poiché la
produzione degli effetti tipici si verifica
al trascorrere del trentesimo giorno dalla
presentazione, l’Amministrazione deve
considerare la normativa vigente a tale
data. L’articolo 39 del d.p.r. 06-06-2001 n.
380 contiene un dato testuale che conferma
tale interpretazione. Infatti, disciplinando
l’annullamento del permesso di costruire da
parte della Regione, prevede al comma 5-bis
introdotto dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301 che
il potere regionale di annullamento dei
provvedimenti autorizzatori edilizi non
conformi a prescrizioni degli strumenti
urbanistici o dei regolamenti edilizi si
applichi anche agli interventi edilizi
soggetti a denuncia di inizio attività non
conformi a prescrizioni degli strumenti
urbanistici o dei regolamenti edilizi o
comunque in contrasto con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento
della scadenza del termine di 30 giorni
dalla presentazione della denuncia di inizio
attività
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2006 n. 72 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Con la D.I.A. è al 30° giorno -dalla
data di presentazione- che va verificata la
conformità edilizio-urbanistica
dell'intervento edilizio che si vuole
attuare.
Nei rapporti tra denunciante e Pa, la D.i.a.
si pone come atto di parte, che, pur in
assenza di un quadro normativo di vera e
propria liberalizzazione dell'attività,
consente al privato di intraprendere
un'attività in correlazione all'inutile
decorso di un termine, cui è legato, a pena
di decadenza, il potere dell'amministrazione
di inibire l'attività (Cons. St., V,
22.07.2005, n. 3916) e che rappresenta
altresì il “momento storico”, con
riferimento al quale delle opere contemplate
nella denuncia di inizio di attività va
verificata la conformità alle norme vigenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 13.01.2006
n. 23). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di d.i.a., la prevalente giurisprudenza sembra
sostanzialmente d’accordo sulla necessità,
ai fini dell’adozione dei provvedimenti
repressivi, di distinguere tra potere
inibitorio e potere sanzionatorio: il primo,
esercitabile nel termine previsto dalla
legge a pena di decadenza; il secondo,
sovente ricondotto per la DIA in materia
edilizia all’articolo 4 della legge n. 47
del 1985 e, comunque, al più generale potere
di ordinare la cessazione dell’attività «in
tutti i casi di mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti», potere generalmente
tenuto distinto dal generale potere di
autotutela (da chi nega la formazione di un
provvedimento tacito, per mancanza del
provvedimento su cui intervenire; in ogni
caso, per il carattere discrezionale
dell’annullamento in autotutela).
La DIA in materia edilizia, oltre che dalla
legislazione regionale, tra cui quella della
Lombardia, è specificamente disciplinata dal
testo unico in materia edilizia, emanato con
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, cui ha apportato
significative modificazioni il d.lg.
27.12.2002, n. 301, che ha delineato il
meccanismo della DIA alternativa al permesso
di costruire.
Le tesi che sono state sostenute in tema
di natura giuridica della DIA, nella
dottrina e nella giurisprudenza soprattutto
dei Tribunali amministrativi, oscillano tra
due poli opposti: si sostiene, da un lato,
che la denuncia di inizio attività sia un
mero atto di iniziativa privata che consente
solo un intervento di tipo inibitorio, in
difetto dei presupposti, della pubblica
amministrazione; dall’altro, che la
denuncia di inizio attività, per effetto del
decorso del tempo assegnato
all’amministrazione per esercitare il potere
inibitorio, dia luogo sostanzialmente a una
fattispecie, da taluni definita anche
complessa o a formazione successiva,
configurabile come titolo abilitativo
tacito.
Le due tesi, che si presentano variamente
articolate al loro interno, comportano
rilevanti conseguenze sul piano delle
tutele, sia del denunciante nei confronti
dell’amministrazione, sia dei terzi contrari
all’intervento edilizio, ammettendosi, in
via alternativa: l’immediata impugnativa
della denuncia di parte; l’impugnazione del
silenzio serbato dall’amministrazione
sull’istanza e quindi il mancato esercizio
del potere inibitorio; l’impugnazione del
provvedimento tacito che si forma per
effetto combinato della denuncia del privato
e del mancato esercizio del potere
inibitorio da parte dell’amministrazione.
Si
è giunti anche a ipotizzare, pur dinanzi al
giudice amministrativo, un’azione di
accertamento con la quale il privato controinteressato contesti al denunciante la
realizzabilità dell’intervento edilizio o,
quanto meno, la sua assentibilità mediante
la procedura della DIA.
La prevalente giurisprudenza sembra, invece,
sostanzialmente d’accordo sulla necessità,
ai fini dell’adozione dei provvedimenti
repressivi, di distinguere tra potere
inibitorio e potere sanzionatorio: il primo,
esercitabile nel termine previsto dalla
legge a pena di decadenza; il secondo,
sovente ricondotto per la DIA in materia
edilizia all’articolo 4 della legge n. 47
del 1985 e, comunque, al più generale potere
di ordinare la cessazione dell’attività «in
tutti i casi di mancanza originaria o
sopravvenuta dei requisiti» (IV,
26.07.2004, n. 5323), potere generalmente
tenuto distinto dal generale potere di
autotutela (da chi nega la formazione di un
provvedimento tacito, per mancanza del
provvedimento su cui intervenire; in ogni
caso, per il carattere discrezionale
dell’annullamento in autotutela).
La giurisprudenza di questo Consiglio di
Stato ha avuto modo di affrontare le varie
questioni inevitabilmente in relazione ai
casi specifici pervenuti e da angolazioni
diverse: IV, 26.07.2004 n. 5323, resa in
relazione all’apertura di un «centro di
trasmissione dati» e con riferimento al
problema dell’avvio del procedimento,
afferma che in materia di DIA si «prescinde
dall’emanazione di un provvedimento
amministrativo»; nei casi di
realizzazione di impianti di telefonia
cellulare si rinviene un orientamento che
qualifica la denuncia di inizio attività
corroborata dal decorso del tempo in termini
di provvedimento amministrativo tacito
(implicitamente, VI, 10.06.2003 n. 3265 e,
espressamente, VI, n. 6910 del 2004, con
considerazioni anche di ordine generale
sulla DIA edilizia), mentre, sempre con
riferimento agli impianti di telefonia
cellulare, VI, 04.09.2002 n. 4453 esclude
che la DIA abbia valore di provvedimento
amministrativo e che il potere repressivo,
pur ricondotto allo schema generale
dell’autotutela, costituisca attività di
secondo grado (tale ricostruzione è
sostanzialmente conforme al parere
dell’Adunanza generale 06.02.1992 n. 27, sul
regolamento di attuazione dell’articolo 19
della legge n. 241 del 1990 nel testo
originario).
Ancora, V, 20.01.2003 n. 172
ricollega, senza ulteriori precisazioni,
alla DIA, questa volta in materia edilizia,
la «formazione di un implicito assenso»,
mentre, in maniera più articolata e mossa
soprattutto da considerazioni attinenti alla
tutela dei terzi, VI, 16.03.2005 n. 1093
ritiene sufficiente che gli interessati
contestino la realizzabilità
dell’intervento, confermando peraltro una
sentenza di primo grado che –si badi- aveva
dichiarato l’illegittimità del silenzio
serbato dal Comune e il suo obbligo di
attivare il procedimento repressivo delle
opere edilizie.
Nessun argomento, per converso, sembra sia
possibile ricavare da V, 29.01.2004 n. 308 e
04.02.2004 n. 376, per la peculiarità delle
fattispecie ivi considerate e dell’oggetto
del decisum.
Non è possibile, né conferente, in
questa sede ripercorrere in dettaglio le
varie tesi, molte delle quali tendenti a
enucleare, dal regime giuridico della
denuncia di inizio attività, un peculiare
regime della DIA edilizia. Probabilmente le
incertezze regnanti in materia, che
inevitabilmente si ripercuotono sul piano
delle tutele, discendono anche da una
progressiva trasfigurazione dell’istituto in
parola, sorto e naturalmente allocato tra
gli strumenti di liberalizzazione delle
attività private (che, cioè, presuppongono
un’attività non soggetta al regime autorizzatorio), e poi utilizzato come
strumento di semplificazione procedimentale
inerente, paradossalmente, a procedimenti di
natura autorizzatoria: il che ha
inevitabilmente portato l’istituto in parola
a confondersi con lo strumento del
silenzio-assenso o, quanto meno, a
frantumarsi in una pluralità di istituti
diversi, ciascuno dei quali assoggettato a
un regime più o meno peculiare.
Ad avviso della Sezione, la soluzione della
questione, nei termini rilevanti ai fini di
cui è causa, deve tendere, sul piano dell’ermeneusi,
a privilegiare ipotesi che possano
semplificare, in termini di chiarezza, il
quadro normativo, assicurando, al contempo,
una facile e quindi efficace tutela ai
privati, siano essi gli interessati
all’intervento edilizio, siano essi i
controinteressati allo stesso.
Nella ricostruzione del sistema cui dà
luogo l’istituto della denuncia di inizio
attività –con riferimento particolare alla
materia edilizia e alla normativa vigente
anteriormente alle richiamate modifiche
legislative dell’istituto in generale, la
cui portata innovativa sulla DIA edilizia
non rileva nel presente giudizio- è
necessario distinguere tra due distinti
rapporti: quello tra denunciante e
amministrazione e quello che riguarda i controinteressati all’intervento. Tali
rapporti, pur attenendo a una medesima
vicenda sostanziale, possono essere tenuti
distinti sul piano delle tutele, anche in
considerazione della diversità dei poteri di
cui dispone l’amministrazione.
Vero è,
invece, che, proprio perché trattasi di
situazioni direttamente collegate
all’esercizio di un potere pubblicistico
dell’amministrazione cui possono
contrapporsi interesse legittimi dei vari
interessati, le relative controversie
rientrano comunque nella giurisdizione del
giudice amministrativo (salve le ipotesi di
concorrenti azioni tra privati sulla base
delle norme del codice civile sui rapporti
di vicinato).
Nei rapporti tra denunciante e
amministrazione, la denuncia di inizio
attività si pone come atto di parte, che,
pur in assenza di un quadro normativo di
vera e propria liberalizzazione
dell’attività, consente al privato di
intraprendere un’attività in correlazione
all’inutile decorso di un termine, cui è
legato, a pena di decadenza, il potere
dell’amministrazione, correttamente definito
inibitorio dell’attività.
Sul piano pratico,
rileva poco se, in forza di un’inversione
procedimentale, la fattispecie dia luogo,
con la scadenza del termine, a un titolo
abilitativo tacito o al consolidarsi, per
volontà legislativa, degli effetti di un
atto di iniziativa di parte. L’interessato
potrà contestare l’esercizio del potere
inibitorio, tale qualificato
dall’amministrazione, vuoi per motivi
formali (decadenza dal termine), vuoi sul
piano sostanziale (sussistenza dei
requisiti).
A tale potere resta estraneo,
sul piano normativo della qualificazione
degli interessi, colui che si oppone
all’intervento, perché la norma sulla
denuncia di inizio attività non prende
(ancora) formalmente in considerazione la
sua posizione, per qualificarla in senso
legittimante, ed egli, in definitiva, non
può opporsi, in sede di giurisdizione
amministrativa, all’attività del privato.
Una volta decorso il termine senza
l’esercizio del potere inibitorio, e nella
persistenza, generalmente ritenuta, del
generale potere repressivo degli abusi
edilizi, colui che si oppone all’intervento,
essendosi consolidata la fattispecie
complessa che abilita, ex lege o
ex actu non rileva, il privato a
costruire, sarà legittimato a chiedere al
Comune di porre in essere i provvedimenti
sanzionatori previsti, facendo ricorso, in
caso di inerzia, alla procedura del
silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe
avere, come riferimento il potere inibitorio
dell’amministrazione –essendo decorso, a
tacer d’altro, il relativo termine, con la
conseguenza, sottolineata in dottrina, che
il giudice non potrà costringere
l’amministrazione a esercitare un potere da
cui è decaduta- bensì il generale potere
sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale
potere abbia carattere vincolato (come
ritengono i più) o sia comunque esercitabile
alla stregua dei princìpi dell’autotutela
(come mostra ritenere VI, n. 4453/2002,
citata).
La tesi esposta, da un lato, consente di
attenuare i profili critici di ordine
generale cui conduce l’utilizzazione
normativa della denuncia di inizio attività
in termini di semplificazione procedimentale
anzi che di supporto ad attività
liberalizzate; dall’altro, consente di
assicurare la tutela dei terzi in termini
ragionevoli con lo strumento del silenzio,
secondo uno schema più lineare e quindi
semplice, rispetto alle variegate ipotesi
cui in pratica possono condurre le altre
tesi sin qui prospettate, tutte accomunate
dal non irrilevante problema della precisa
individuazione dell’oggetto del giudizio,
come si evince dalla stessa formulazione dei
ricorsi in primo grado.
Qualche inconveniente può forse derivare
dallo slittamento del tempo in cui il terzo
può agire alla scadenza del termine previsto
per l’esercizio del potere inibitorio, ma,
se anche tale conclusione fosse imposta
dalla tesi esposta, essa avrebbe scarsa
rilevanza pratica sul piano
dell’effettività, sia per la generale
esiguità del termine (entro il quale è
difficile completare l’intervento), sia
perché comunque l’avvio dell’attività
resterebbe a rischio del soggetto
procedente.
Facendo applicazione degli esposti princìpi alla controversia in esame, deve
ritenersi che l’impugnazione originariamente
proposta dinanzi al Tribunale
amministrativo, con il ricorso principale e
con i vari atti per motivi aggiunti, sia
inammissibile.
Ed invero:
- dovendosi correttamente qualificare la
domanda dei ricorrenti originari in termini
di azione volta a far dichiarare
l’illegittimità del silenzio, la stessa non
è stata preceduta dalla formale diffida
all’amministrazione, come imposto dalla
normativa all’epoca vigente (non potendosi
evidentemente accogliere la tesi del primo
giudice secondo cui i silenzi sarebbero
stati comunque procedimentalizzati, in forza
di un’equiparazione tra ricorso e diffida);
- non possono essere condivise, per quanto
dianzi argomentato, né la tesi per cui
oggetto dell’impugnativa e quindi
dell’annullamento siano gli effetti della
DIA (tesi, sia pure non con assoluta
linearità, sostenuta dal primo giudice), né
la tesi che configura la DIA come un
provvedimento tacito (tesi riproposta
nell’appello incidentale dagli originari
ricorrenti e invero non coerente con
l’impostazione degli originari ricorsi che
sembrano volti a contestare l’illegittimità
dei silenzi);
- la qualificazione della domanda come volta
all’accertamento dell’illegittimità del
silenzio non è scalfita dall’impugnazione
espressa di alcuni atti, volti, nell’assunto
degli originari ricorrenti e, a quel che
sembra, anche del primo giudice, ad
assentire espressamente gli interventi in
parola con ricorso alla DIA: la
ricostruzione del sistema nei termini
prospettati esclude in radice che tali atti
possano assumere valore provvedimentale, in
quanto il principio di legalità e di
conseguente tipicità dei provvedimenti
amministrativi esclude che possano essere
inseriti nella sequenza procedimentale
provvedimenti non espressione di poteri
tipici previsti dalla legge;
-ai fini delle modalità di contestazione
della realizzabilità dell’intervento da
parte del terzo non rileva che l’intervento
medesimo sia escluso in radice dalla
normativa urbanistica o che lo stesso non
potesse ritualmente essere avviato tramite
DIA: in entrambe le ipotesi, occorre che il
terzo stimoli il potere repressivo
dell’amministrazione, diverse potendo essere
solo le conseguenze che derivino
dall’accoglimento dell’asserito motivo di
illegittimità
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 22.07.2005 n. 3916 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sui poteri comunali decorsi i 30
gg. dalla presentazione della D.I.A..
Anche dopo il decorso del termine di 30
giorni previsto per la verifica dei
presupposti e requisiti di legge,
l'Amministrazione non perde il potere di
vigilanza e sanzionatorio.
E per esercitare tale potere non ha bisogno
di annullare in via di autotutela un
precedente atto di assenso che non vi è
stato, avendo l'interessato intrapreso i
lavori a proprio rischio e pericolo.
L'omesso controllo nel termine di 30 giorni
dalla denuncia di attività rileva solo sotto
il profilo della responsabilità per danni,
per non avere tempestivamente impedito
lavori che non erano legittimi, ma non vale
certo a legittimare tali lavori ove questi
siano in contrasto con la normativa.
E tra i poteri di intervento rientra in
primo luogo la “diffida dal proseguire i
lavori” la quale, non risultando i lavori
stessi ultimati (si ricordi che, a norma
dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 23
del D.P.R. n. 380/2001, “l'interessato è
comunque tenuto a comunicare allo sportello
unico la data di ultimazione dei lavori”),
può qualificarsi, ad avviso del Collegio,
come ordine di sospensione dei lavori, ai
sensi del comma 3 dell’art. 27 dello stesso
D.P.R.; ordine, al quale, ove le successive
risultanze istruttorie confermino
l’accertamento negativo posto a base dello
stesso, dovranno poi seguire i provvedimenti
definitivi, di cui agli artt. 28 e ss. del
medesimo testo unico
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 30.06.2005 n. 3498 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
E' allo scadere dei 30 gg. che le
opere edilizie, della d.i.a. presentata,
devono risultare conformi
sia
alla strumentazione urbanistica vigente che
a quella adottata.
- la Sezione ha
già statuito, in riferimento alla D.I.A.,
che “Poiché la legge inibisce
all'interessato l’avvio dell’attività
edilizia fino a quando non spiri
infruttuosamente il termine concesso
all'amministrazione per disporre
definitivamente il divieto della stessa
senza violare alcun legittimo affidamento
nel frattempo maturato, è al momento di
scadenza di tale termine che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata”
(Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380);
- la pronuncia ha aggiunto che “Qualora
non sussista tale presupposto
l'amministrazione deve intervenire,
analogamente a quanto avviene nel
procedimento volto al rilascio del permesso
di costruire, per l'applicazione delle
misure di salvaguardia”;
- malgrado la sentenza richiamata riguardi
l'applicazione delle misure di salvaguardia,
essa appare esprimere un principio valido
per la fattispecie in esame, dovendosi
assumere la disciplina vigente al compimento
del trentesimo giorno come riferimento per
la legittimazione dell'intervento oggetto
della D.I.A.
(TAR Lombardia-Brescia,
ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
denunzia di inizio di attività costituisce
una dichiarazione del privato cui la legge
ricollega effetti tipici corrispondenti a
quelli del permesso di costruire, ma non ha
il carattere del provvedimento
amministrativo, in quanto non promana da una
pubblica amministrazione che ne è la
destinataria, non costituisce esercizio di
una potestà pubblicistica, né dà origine ad
un provvedimento amministrativo in forma
tacita (silenzio-assenso).
Il
termine di 30 giorni, entro il quale il
Sindaco, a seguito di denuncia di inizio
attività, può
notificare agli interessati l’ordine
motivato di non effettuare le previste
trasformazioni, ha natura perentoria,
essendo finalizzato a dare certezza ai
rapporti giuridici tra privati e Pubblica
amministrazione, a tutelare gli interessi di
entrambi nonché, contemporaneamente,
l’interesse pubblico.
In materia di d.i.a., il potere inibitorio
previsto dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R.
380/2001, può essere esercitato entro il
termine perentorio di 30 giorni, trascorso
il quale possono soltanto essere emanati
provvedimenti d’autotutela e sanzionatori;
invero, alla scadenza del citato termine di
30 giorni matura l’autorizzazione implicita
ad eseguire i lavori progettati ed indicati
nella D.I.A., fermo restando il potere
dell’Amministrazione comunale di provvedere
anche successivamente alla scadenza del
termine stesso, ma non più con provvedimento
inibitorio (ordine o diffida a non eseguire
i lavori) bensì con provvedimento
sanzionatorio (se i lavori sono già stati
eseguiti, in tutto o in parte) di tipo
ripristinatorio o pecuniario, secondo i
casi, in base alla normativa che disciplina
la repressione degli abusi edilizi.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, la denunzia di inizio
di attività costituisce una dichiarazione
del privato cui la legge, in presenza di
specifiche condizioni, ricollega effetti
tipici corrispondenti a quelli del permesso
di costruire, ma non ha il carattere del
provvedimento amministrativo, in quanto non
promana da una pubblica amministrazione che
ne è la destinataria, non costituisce
esercizio di una potestà pubblicistica, né
dà origine ad un provvedimento
amministrativo in forma tacita
(silenzio-assenso), non sussistendo il
potere-dovere dell’Amministrazione di
provvedere sull’istanza del privato. (…)
E’ anche costantemente affermata la natura
perentoria del termine di 30 giorni (già
venti) ex art. 23 d.P.R. 380/2001.
Circa la natura del termine, concesso
all’Amministrazione comunale per l’esercizio
del potere inibitorio, a seguito della
ricezione della denuncia d’inizio attività
da parte del privato, si vedano le seguenti
massime: TAR Piemonte, n. 70 del 16.01.2002: “Il termine di venti giorni
stabilito dall’art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662 (che ha sostituito
l’art. 4 d. l. 05.10.1993 n. 398
convertito dalla l. 04.12.1993 n. 493),
ai fini dell’adozione del provvedimento
comunale di inibitoria a seguito della
ricezione della denuncia di inizio attività
per l’esecuzione di lavori edilizi, ha
carattere perentorio”; TAR Friuli Venezia
Giulia n. 18 del 30.01.2001: “Il
termine di venti giorni, entro il quale il
Sindaco, a seguito di denuncia di inizio
attività relativamente a lavori interni, può
notificare agli interessati l’ordine
motivato di non effettuare le previste
trasformazioni, ha natura perentoria,
essendo finalizzato a dare certezza ai
rapporti giuridici tra privati e Pubblica
amministrazione, a tutelare gli interessi di
entrambi nonché, contemporaneamente,
l’interesse pubblico”; e, ancora, TAR
Emilia Romagna, Parma, 08.06.2001, n.
325; TAR Lombardia, Brescia, 01.06.2001, n. 397; TAR Basilicata, 21.10.2000, n. 647.
La perentorietà è da riconnettersi con il
venir meno del potere, di cui al co. 6
dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001, del Comune
di contestare al denunziante la carenza dei
presupposti e dei requisiti di legge.
Con il decorso di un termine breve, si
definiscono e vengono a giuridica esistenza
anche gli effetti dell’atto-denunzia, titolo
abilitante di natura privata.
La valenza di tale atto non può trasformare
in lecita e/o legittima un’attività edilizia
oggettivamente abusiva, qualora il
denunziante abbia erroneamente ricondotto
l’intervento ad una delle fattispecie in cui
opera il meccanismo della d.i.a., od
erroneamente abbia certificato, tramite il
proprio progettista, l’inesistenza delle
condizioni impeditive stabilite dalla legge.
Conclusosi, pertanto, il procedimento
d’iniziativa privata, permane in capo
all’Amministrazione il più generale potere
di vigilanza e di repressione di cui
all’art. 4 e segg. della l. 28.02.1985, n. 47, il cui esercizio non è soggetto
a termini di prescrizione (salvo a dover
motivare, in ipotesi di un lungo tempo
trascorso dall’ultimazione dei lavori, sulla
permanenza dell’interesse pubblico specifico
ed attuale perseguito e ritenuto prevalente
rispetto all'affidamento ingenerato nel
privato dal comportamento omissivo
dell’Amministrazione).
In definitiva, il potere inibitorio previsto
dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001,
può essere esercitato entro il termine
perentorio di 30 giorni, trascorso il
quale possono soltanto essere emanati
provvedimenti d’autotutela e sanzionatori;
invero, alla scadenza del citato termine di
30 giorni matura l’autorizzazione
implicita ad eseguire i lavori progettati ed
indicati nella D.I.A., fermo restando il
potere dell’Amministrazione comunale di
provvedere anche successivamente alla
scadenza del termine stesso, ma non più con
provvedimento inibitorio (ordine o diffida a
non eseguire i lavori) bensì con
provvedimento sanzionatorio (se i lavori
sono già stati eseguiti, in tutto o in
parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario,
secondo i casi, in base alla normativa che
disciplina la repressione degli abusi
edilizi (è discusso, in tal caso, se
l’Amministrazione debba far precedere tale
provvedimento sanzionatorio dall’emanazione,
in autotutela, di un atto di secondo grado -revoca od annullamento dell’autorizzazione
tacita od implicita formatasi- anche se la
soluzione negativa pare quella preferibile).
Appare inoltre evidente, in base
all’interpretazione letterale, che entro il
termine di 30 giorni il provvedimento
inibitorio di cui sopra debba essere non
soltanto emanato, ma anche notificato al
privato (ove entro il termine indicato al
comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o
più delle condizioni stabilite, notifica
all’interessato l’ordine motivato di non
effettuare il previsto intervento); depone
chiaramente in tal senso, del resto, anche
la indubbia natura recettizia dell’ordine di
non eseguire i lavori da parte del Comune
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 27.06.2005 n. 8707 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nella presentazione della d.i.a.
il Comune deve considerare la normativa
urbanistica vigente allo scadere del 30°
giorno.
E' giurisprudenza costante che
l’Amministrazione conservi il potere di
provvedere quando la d.i.a. sia stata
presentata al di fuori dei presupposti o in
violazione delle prescrizioni urbanistiche.
L'Amministrazione, anche una volta decorso
il termine di trenta giorni di cui all'art.
23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, può
esercitare il suo generale potere di
controllo sulle attività di trasformazioni
edilizie del territorio -per il quale l'art.
27 comma 1 d.P.R. n. 380 del 2001 non
prevede alcun termine di decadenza, sia
quando le opere in corso o realizzate non
corrispondano a quelle oggetto della
Denuncia Inizio Attività, sia quando le
opere non possono essere realizzate con una
semplice d.i.a. perché richiedono il
permesso di costruire: infatti, il suddetto
termine di trenta giorni è previsto solo per
la verifica della sussistenza delle
condizioni richieste dall'art. 23, comma 1,
d.P.R. n. 380 del 2001, ma non può certo
essere riferito al generale potere di
controllo sulle attività di trasformazioni
edilizie del territorio, previsto dall'art.
27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, né al
generale potere di agire in via
amministrativa a tutela dei diritti
demaniali e di uso pubblico (TAR Campania
Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la denuncia di inizio attività
configura una fattispecie a formazione
progressiva, nella quale alla dichiarazione
del privato conseguono effetti
successivamente al decorso del tempo e alla
inerzia della Amministrazione, è solo al
compimento del trentesimo giorno che si
verifica il perfezionamento di detta
fattispecie. La denunzia di inizio
d'attività (DIA) costituisce una
dichiarazione del privato cui la legge, in
presenza di specifiche condizioni, ricollega
effetti tipici corrispondenti a quelli del
permesso di costruire ed è ad esso
sostitutiva e produttiva d'effetti decorso
il termine di trenta giorni dalla sua
presentazione (Tar Marche n. 58 del
03.02.2004).
Poiché la produzione degli effetti tipici si
verifica al trascorrere del trentesimo
giorno dalla presentazione,
l’Amministrazione deve considerare la
normativa vigente a tale data.
L’articolo 39 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380,
disciplinando l’annullamento del permesso di
costruire da parte della Regione, prevede al
comma 5-bis introdotto dal D.Lgs.
27.12.2002, n. 301 che il potere regionale
di annullamento dei provvedimenti
autorizzatori edilizi non conformi a
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi si applichi anche
agli interventi edilizi soggetti a denuncia
di inizio attività non conformi a
prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi o comunque in
contrasto con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento
della scadenza del termine di 30 giorni
dalla presentazione della denuncia di inizio
attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza n. 72/2005). |
anno 2004 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
A. Ferruti,
L’attività edilizia e la sicurezza nei
cantieri. Dal 26.10.2004 novità per d.i.a. e
permesso di costruire (link a
www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di presentazione della d.i.a., è al 30°
giorno successivo che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata.
Fra i vari requisiti richiesti affinché la
D.I.A. possa produrre i propri effetti
legittimanti è prevista la conformità delle
opere da realizzare con gli strumenti
urbanistici adottati o approvati (art. 4,
comma 11, del D.L. n. 398 del 1993).
Al fine di verificare la sussistenza di
tutti presupposti legittimanti è prescritto
che la denuncia venga presentata prima
dell’inizio dei lavori.
In sostanza l'ordinamento non consente
all'interessato l'immediato inizio
dell'attività edilizia, ma prevede un breve
termine entro cui l'amministrazione possa
intervenire per inibire definitivamente
l'attività in caso di assenza dei requisiti
richiesti senza violare alcun legittimo
affidamento nel frattempo maturato
dall’interessato (termine fissato in 20
giorni dall’art. 4, comma 11, del D.L. n.
398 del 1993 ora elevato a 30 gg. dall'art.
23, comma 1, del D.p.r. n. 380 del 2001).
In questa logica procedimentale gli effetti
dell'attività amministrativa di istruttoria
sulla D.I.A. non sono diversi da quelli
conseguenti all'espletamento
dell’istruttoria volta al rilascio del
permesso di costruire. In sostanza, in
entrambi i casi, è precluso all'interessato
intraprendere i lavori fino a quando non
decorra infruttuosamente il termine previsto
dalla legge per inibire l'effettivo inizio
degli stessi ovvero fino al rilascio
dell'esplicito titolo edilizio (permesso di
costruire).
L'ordinamento, pertanto, non tollera
attività edilizie intraprese in assenza di
un comportamento cosciente, attivo o
passivo, dell'amministrazione deputata al
relativo controllo.
Nel caso della D.I.A. si tratta di un
comportamento omissivo, ossia la mancata
inibizione dei lavori dopo lo svolgimento
dell'attività istruttoria volta
all'accertamento dei presupposti
legittimanti l'esecuzione degli stessi. Nel
caso di permesso di costruire si tratta, al
contrario, di un comportamento attivo,
consistente nell'emanazione del prescritto
titolo legittimante.
Analogo parallelismo deve, pertanto,
sussistere anche per l'applicazione delle
misure di salvaguardia, atteso che la
denuncia di inizio attività non può
validamente produrre i suoi effetti in caso
di contrasto con gli strumenti urbanistici
anche adottati.
Nel caso di opere edilizie subordinate
all’ottenimento di un titolo espresso (oggi
permesso di costruire), l'ordinamento non
tollera che lo stesso venga rilasciato in
contrasto con gli strumenti urbanistici in
fase di adozione prevedendo, al riguardo,
l'applicazione delle misure di salvaguardia
di cui alla Legge 03.11.1952 n. 1902,
ancorché l'istanza sia stata presentata
prima di tale adozione.
In sostanza nelle more di conclusione del
procedimento amministrativo, in questo caso
volto all'emanazione di un provvedimento
espresso, l'istanza dell'interessato non può
ritenersi immune dai mutamenti della
strumentazione urbanistica del frattempo
intervenuti.
In questa logica appare coerente applicare
analogo principio al procedimento
istruttorio volto alla verifica dei
presupposti legittimanti l'esecuzione dei
lavori in base ad una denuncia di inizio
attività.
Poiché la legge inibisce all'interessato
l’avvio dell’attività edilizia fino a quando
non spiri infruttuosamente il termine
concesso all'amministrazione per disporre
definitivamente il divieto della stessa
senza violare alcun legittimo affidamento
nel frattempo maturato, è al momento di
scadenza di tale termine che le opere devono
risultare conformi sia alla strumentazione
urbanistica vigente che a quella adottata.
Qualora non sussista tale presupposto
l'amministrazione deve intervenire,
analogamente come avviene nel procedimento
volto al rilascio del permesso di costruire,
per l'applicazione delle misure di
salvaguardia (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 02.04.2004 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
P. Falcone,
La denuncia d’inizio attività dopo il d.lgs.
n. 301/2002: prime note (link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Decorso
il termine di 30 giorni per il controllo
della d.i.a., in capo all’Autorità comunale
permangono integri sia il potere di
autotutela che quello più generale di
intervento successivo, magari ad istanza di
un terzo, che possono, comunque, dar luogo
all’interdizione dell’opera.
Appare esperibile da parte del terzo
un’azione diretta a provocare in sede di
giurisdizione esclusiva un sindacato da
parte del giudice in ordine alla
corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato
dall’interessato con la d.i.a. e di quanto
previsto dal relativo progetto rispetto ai
canoni normativi stabiliti per la
realizzazione dell’attività edilizia in
questione
Una volta spirato il termine
legislativamente prescritto per il controllo
sulla c.d. d.i.a., in capo all’Autorità
comunale permangono integri sia il potere di
autotutela che quello più generale di
intervento successivo, magari ad istanza di
un terzo, che possono, comunque, dar luogo
all’interdizione dell’opera (in questi
ultimi sensi: Cons. St., sent. n. 4453 del
2002 cit.; TAR Napoli, sent. n. 5272 del
2001 cit.).
La
liberalizzazione dell’accesso alle attività
edilizie cui si applica l’istituto della
“denuncia inizio attività” non significa, ad
avviso del Collegio, che l’Autorità comunale
è esonerata dal riscontrare se siano
presenti tutte, o meno, le condizioni
stabilite per procedere in base alla c.d. d.i.a., né che il riscontro possa essere
effettuato a campione o soltanto su impulso
della parte interessata; l’istituto in
parola ha, evidentemente, lo scopo di
snellire l’attività amministrativa e di
alleggerire la posizione del privato onde
consentirgli di espletare determinate
attività senza l’intermediazione di un
provvedimento amministrativo, purché
ricorrano tutte le condizioni
legislativamente stabilite, ma non può avere
lo scopo, da una parte, di esonerare
dall’attività di controllo le
amministrazioni pubbliche preposte alla cura
dei relativi interessi pubblici, e,
dall’altra, di consentire ai privati di
espletare quelle attività in assenza delle
condizioni prescritte per giovarsi
dell’istituto in discorso.
Se, dunque, l’istituto della c.d. d.i.a. è
volto a semplificare l’attività delle due
parti dirette del rapporto, da una parte
l’Amministrazione pubblica e dall’altra il
soggetto privato che intenda intraprendere
quelle attività cui l’istituto stesso è
applicabile, non sembra sostenibile, ad
avviso del Collegio, che l’utilizzo di tale
istituto possa, invece, appesantire la
posizione del soggetto terzo il quale,
essendo titolare di una situazione
soggettiva di controinteresse rispetto al
soggetto che si giovi della c.d. d.i.a.,
onde tutelarsi in sede giurisdizionale debba
previamente diffidare l’Amministrazione a
che proceda a verifica della stessa d.i.a. e
quindi, all’esito, esperire le azioni a
difesa dei propri interessi o diritti.
Più semplicemente, ad avviso del Collegio,
appare esperibile da parte del terzo
un’azione diretta a provocare in sede di
giurisdizione esclusiva, secondo i motivi
dedotti, un sindacato da parte del giudice
in ordine alla corrispondenza, o meno, di
quanto dichiarato dall’interessato e di
quanto previsto dal relativo progetto
rispetto ai canoni normativi stabiliti per
la realizzazione dell’attività edilizia in
questione (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.01.2003 n. 197 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
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EDILIZIA PRIVATA:
N. Lais,
Il permesso di costruire e la denuncia di
inizio attività nel nuovo testo unico
dell’edilizia (D.P.R. 06.06.2001, n. 380)
(link a www.lexitalia.it). |
anno 2001 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Assume
autonomo rilievo provvedimentale ai fini
dell’eventuale preclusione dell’altrimenti
normale operatività della D.I.A. non già il
parere positivo ancorché formalmente
espresso e comunicato dal Responsabile
dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità
delle opere ivi indicate, ma esclusivamente
l’eventuale formale dissenso espresso da
quest’ultimo nel termine di 20 giorni.
Nel quadro normativo di cui alla denuncia di
nuova attività edilizia, assume autonomo
rilievo provvedimentale ai fini
dell’eventuale preclusione dell’altrimenti
normale operatività della D.I.A. non già il
parere positivo ancorché formalmente
espresso e comunicato dal Responsabile
dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità
delle opere ivi indicate, ma esclusivamente
l’eventuale formale dissenso espresso da
quest’ultimo nel termine di 20 giorni a tal
fine prescritto dall’art. 4 del D.L.
05.10.1993, n. 398, convertito nella L.
04.12.1993, n. 493
(TAR Lombardia-Bresia,
sentenza 01.06.2001 n. 397 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
N. Lais,
Il permesso di costruire e la denuncia di
inizio attività nel nuovo testo unico
dell’edilizia (D.P.R. 06.06.2001 n. 380)
(link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Cicciò,
Gli interventi edilizi minori e la
semplificazione delle relative procedure
(link a www.lexitalia.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
S. Scarlatelli,
Autorizzazione edilizia e denuncia di inizio
attività in una prospettiva evolutiva (link a
www.lexitalia.it). |
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