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56-DURC
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58-EDIFICIO UNIFAMILIARE
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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
64-INDUSTRIA INSALUBRE
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
PERTINENZE EDILIZIE ED URBANISTICHE
89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
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S.C.I.A. (Segnalazione Certificata Inizio Attività)

D.I.A. (Denuncia Inizio Attività)
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dossier S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)
anno 2022

EDILIZIA PRIVATAUn’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire.
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Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano co-essenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico.
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.
---------------
"Le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio.
L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire”.
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
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Il ricorso introduttivo e il ricorso per motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti per le ragioni di seguito indicate.
Poiché un’opera volumetricamente corretta, ma non pertinenziale, non può essere considerata alla stregua di un intervento minore, suscettibile di essere assentito con S.C.I.A. in luogo del permesso di costruire, risulta dirimente per il Collegio, ai fini del decidere, identificare l’esatta natura (pertinenziale o meno) della piscina in questione.
Come è noto, la giurisprudenza amministrativa tende a circoscrivere la nozione di “pertinenza urbanistica”, fornendone una definizione più ristretta rispetto a quella civilistica. Infatti, la qualifica di pertinenza urbanistica non è applicabile ad opere che funzionalmente si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali alla stessa.
Invero, la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa a cui esso inerisce, sempre che l’opera secondaria non comporti alcun maggiore carico urbanistico (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 19/08/2021, n. 5948; Id., Sez. VI, 13/01/2020, n. 309; Id., Sez. II, 22/07/2019 n. 5130).
Inoltre, a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica di cui all’art. 817 del codice civile (“cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”), ai fini edilizi il manufatto per essere considerato pertinenza deve essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche sfornito di un autonomo valore di mercato, proprio in quanto esaurisce la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale.
A ben vedere, tuttavia, “le piscine non sono pertinenze in senso urbanistico in quanto comportanti trasformazione durevole del territorio. L’aspetto funzionale relativo all’uso del manufatto è altresì condiviso da altra recente giurisprudenza, secondo cui tutti gli elementi strutturali concorrono al computo di volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell’edificio cui accede. La piscina, infatti, a differenza di altri manufatti, non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, in quanto non è necessariamente complementare all’uso delle abitazioni e non è solo una attrezzatura per lo svago, ma integra gli estremi della nuova costruzione, in quanto dà luogo ad una struttura edilizia che incide invasivamente sul sito di relativa ubicazione e postula, pertanto, il previo rilascio dell’idoneo titolo ad aedificandum, costituito dal permesso di costruire” (TAR Campania, Napoli, sez. III, 09/09/2020, n. 3730; Cons. di Stato, sent. n. 35/2016)” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 17/03/2021, n. 1768; inoltre, in termini: TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 17/09/2020, n. 3874; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 03/02/2020, n. 483; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 07/01/2020, n. 42; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 18/04/2019, n. 642; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 30/05/2018, n. 3569; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 22/05/2018, n. 3358; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 30/03/2018, n. 2033; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 19/02/2018, n. 1087; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 12/02/2018, n. 898; TAR Sicilia, Catania, Sez. IV, 30/01/2018, n. 248; TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 11/01/2018, n. 17; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 05/01/2018, n. 97; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 14/09/2017, n. 4374; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 16/03/2017, n. 1503; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 20/09/2016, n. 1446; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 20/04/2016, n. 1957; TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 11/06/2015, n. 1066; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 07/11/2014, n. 5771; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 26/01/2012, n. 245).
Dal momento che la costruzione della piscina, in relazione alla sua consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, non può essere ascritta al novero degli “interventi di manutenzione straordinaria” e degli “interventi minori” ai sensi dell’art. 37 del D.P.R. n. 380 del 2001, rientrando invece nel novero degli interventi di nuova costruzione, ne deriva che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 10 del D.P.R. n. 380 del 2001, è richiesto il permesso di costruire per tutte le attività qualificabili come interventi di nuova costruzione che comportano la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.
Di qui, dunque, l’esatta riconducibilità di dette opere nel novero di quelle considerate dall’art. 3, lett. e) e lett. e n. 1), e dall’art. 10 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Per tutte le suesposte motivazioni il ricorso introduttivo deve essere respinto
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.01.2022 n. 76 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATAL’unica tutela attribuita al terzo a fronte delle attività sottoposte a SCIA è costituita dalla sollecitazione delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, l’esperimento dell’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 104 del 2010, avendo il Legislatore, con l’art. 6, comma 1, del d.l. 13.08.2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, nella legge 14.09.2011, n. 148), inteso superare gli esiti interpretativi cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 15 del 2011, che, com’è noto, aveva qualificato in termini di silenzio provvedimentale, con significato di rigetto (direttamente impugnabile dal terzo), l’inutile decorso del termine previsto dall’articolo 19, comma 3, L. n. 241 del 1990 e ciò “con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento”.
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Tanto meno tale atto è idoneo ad incidere sulla natura del titolo abilitativo che resta l’originaria segnalazione.
Alla stregua della disciplina applicabile ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter, L. n. 241 del 1990, l’unica tutela attribuita al terzo a fronte delle attività sottoposte a segnalazione certificata di inizio attività è costituita dalla sollecitazione delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, l’esperimento dell’azione di cui all’articolo 31, commi 1, 2 e 3 del D.Lgs. n. 104 del 2010, avendo il Legislatore, con l’art. 6, comma 1, del decreto-legge 13.08.2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, nella legge 14.09.2011, n. 148), inteso superare gli esiti interpretativi cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n. 15 del 2011, che, com’è noto, aveva qualificato in termini di silenzio provvedimentale, con significato di rigetto (direttamente impugnabile dal terzo), l’inutile decorso del termine previsto dall’articolo 19, comma 3, L. n. 241 del 1990 e ciò “con la finalità di escludere l’esistenza di atti amministrativi impugnabili (il cosiddetto silenzio-diniego) e quindi di limitare le possibilità di tutela del terzo all’azione contro il silenzio, inteso in modo tradizionale come inadempimento” (così Corte costituzionale, sentenza del 20.03.2019, n. 45, ma cfr. anche TAR Puglia, Lecce, Sez. III, 16.03.2018 n. 443, Cons. Stato Sez. IV, 06/10/2017, n. 4659, Cons. Stato Sez. IV Sent., 13/02/2017, n. 611 e TAR Roma, (Lazio) sez. II, 02/09/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 02/09/2020), n. 9300 “Anche il Consiglio di Stato in numerose decisioni su casi analoghi (cfr. Cons. St. Sez. IV 28.04.2017, n. 1967; 09.05.2017, n. 2120; 05.07.2017, n. 3281) ha precisato che "l'art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241, aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, stabilisce che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili" e che "gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104") (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 05.07.2021 n. 880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADeve notarsi come l’intervento edilizio (in difformità dal titolo edilizio) determini un’indebita compromissione delle distanze legali determinando la violazione di una norma imperativa.
In simili situazione la giurisprudenza ritiene sufficiente “il richiamo all'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444 che prescrive la distanza di 10 metri per l'apertura di finestre antistanti l'edificio confinante, si fonda sull'interesse pubblico di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienicosanitario: trattasi, come ha rilevato la giurisprudenza, di prescrizione avente carattere di assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali […], da sola sufficiente a fondare la legittimità dell'annullamento del titolo edilizio senza spazio per la considerazione e la ponderazione di opposti interessi”.
In ordine al tema della ragionevolezza del tempo di intervento si osserva come il richiamo alla ragionevolezza imponga di verificare con peculiare attenzione se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale anche in considerazione del complesso delle circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come autorevolmente insegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2017, la locuzione “termine ragionevole” richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel singolo caso.
Nel caso di specie, l’Amministrazione provvede ad inviare la comunicazione di avvio del procedimento dieci mesi dopo la prima S.C.I.A. e cinque mesi dopo la S.C.I.A. in variante nella quale si prevede, ex aliis, la costruzione della scala esterna che, come spiegato, viola le distanze legali. Inoltre, l’Amministrazione provvede tempestivamente alla sospensione dei lavori in attesa di effettuare i necessari approfondimenti istruttori e di espletare il contraddittorio con le parti interessate.
Il riscontro della ragionevolezza del termine per l’esercizio del potere, unito ad un attivo contraddittorio procedimentale, permette, inoltre, di escludere che il privato possa vantare un legittimo affidamento in merito alla conformità del suo operato agli strumenti urbanistici che sia di portata tale da prevalere sugli interessi pubblici sottesi all’annullamento di un intervento difforme da norme cogenti, come quelle dettate in materia di distanze.
Al contrario, risulta prevalente nel caso di specie: a) l’interesse pubblico alla rimozione di un’opera che risulta idonea a creare quelle intercapedini dannose che il legislatore del 1968 ha voluto assolutamente evitare; b) l’interesse dei proprietari dei due immobili limitrofi a sentire annullato un titolo che determina pregiudizi certi in ordine al rispetto delle distanze.

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12. Concluso l’esame dei motivi di ricorso concernenti la violazione delle norme relative alla conformità del progetto alle regole edilizie occorre, in primo luogo, esaminare gli ulteriori profili di censura contenuti nel quarto motivo di ricorso e relativi alle dedotte violazioni dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990.
12.1. Tali profili di censura, esaminanti in modo congiunto in quanto intimamente connessi, sono infondati.
12.2. La previsione in esame condiziona l’esercizio del potere di secondo grado alla ricorrenza di tre condizioni: i) sussistenza di ragioni di interesse pubblico; ii) ragionevolezza del tempo di intervento; iii) valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
12.3. Le ragioni di pubblico interesse ricorrono con ogni evidenza nel caso di specie. Infatti, se l’omessa corresponsione del contributo non è ex se idonea a legittimare l’intervento comunale (essendo relativa all’interesse patrimoniale dell’Ente e non afferendo, quindi, al diverso concetto di interesse pubblico), deve notarsi come l’intervento determini un’indebita compromissione delle distanze legali determinando la violazione di una norma imperativa.
In simili situazione la giurisprudenza ritiene, del resto, sufficiente “il richiamo, pure operato dal provvedimento, all'art. 9 del d.m. 02.04.1968, n. 1444 che prescrive la distanza di 10 metri per l'apertura di finestre antistanti l'edificio confinante, si fonda sull'interesse pubblico di impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienicosanitario: trattasi, come ha rilevato la giurisprudenza, di prescrizione avente carattere di assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali […], da sola sufficiente a fondare la legittimità dell'annullamento del titolo edilizio senza spazio per la considerazione e la ponderazione di opposti interessi” (Consiglio di Stato, sez. VI, 05.03.2014, n. 1054).
12.4. In ordine al tema della ragionevolezza del tempo di intervento si osserva come il richiamo alla ragionevolezza imponga di verificare con peculiare attenzione se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale anche in considerazione del complesso delle circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come autorevolmente insegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2017, la locuzione “termine ragionevole” richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel singolo caso.
Nel caso di specie, l’Amministrazione provvede ad inviare la comunicazione di avvio del procedimento dieci mesi dopo la prima S.C.I.A. e cinque mesi dopo la S.C.I.A. in variante nella quale si prevede, ex aliis, la costruzione della scala esterna che, come spiegato, viola le distanze legali. Inoltre, l’Amministrazione provvede tempestivamente alla sospensione dei lavori in attesa di effettuare i necessari approfondimenti istruttori e di espletare il contraddittorio con le parti interessate.
12.5. Il riscontro della ragionevolezza del termine per l’esercizio del potere, unito ad un attivo contraddittorio procedimentale, permette, inoltre, di escludere che il privato possa vantare un legittimo affidamento in merito alla conformità del suo operato agli strumenti urbanistici che sia di portata tale da prevalere sugli interessi pubblici sottesi all’annullamento di un intervento difforme da norme cogenti, come quelle dettate in materia di distanze.
Al contrario, risulta prevalente nel caso di specie: a) l’interesse pubblico alla rimozione di un’opera che risulta idonea a creare quelle intercapedini dannose che il legislatore del 1968 ha voluto assolutamente evitare; b) l’interesse dei proprietari dei due immobili limitrofi a sentire annullato un titolo che determina pregiudizi certi in ordine al rispetto delle distanze (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2021 n. 472 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATASe è vero che, a seguito della presentazione della SCIA, il decorso del tempo determina il consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua preventiva rimozione, in vista dell'assunzione di iniziative sanzionatorie, è altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile perché la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo, cosicché, in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l'attività comunicata.
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Premesso che:
   - col ricorso in epigrafe e successivi motivi aggiunti, la Pl.Ca. di Va.A. & C. s.r.l. (in appresso, P.C.) impugnava, chiedendone l’annullamento, previa adozione di misure cautelari:
      -- il provvedimento del 07.02.2020, prot. n. 5127, col quale il Responsabile dell’Unità Operativa Complessa (UOC) Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri aveva diffidato a sospendere ad horas l’attività imprenditoriale di packaging esercitata presso il locale ubicato in Angri, alla via ..., n. ..., e censito in catasto al foglio 1, particella 1461, sub 1-2;
      -- il verbale di accertamento prot. n. 8460 del 30.09.2019;
      -- la relazione di sopralluogo prot. n. 2019/01929/ABU del 30.09.2019;
      -- le note comunali del 12.07.2012, prot. n. 23655, e del 07.10.2019, prot. n. 32254;
      -- i verbali di sequestro prot. n. 3112 del 27.01.2004 e prot. n. 5095 del 03.02.2011;
      -- la nota della UOC – Avvocatura Civica del Comune di Angri prot. n. 5513 dell’11.02.2020;
      -- le note del Responsabile della UOC Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri prot. n. 23655 del 12.07.2012 e prot. n. 1553 del 15.01.2019;
      -- la relazione del 19.02.2020, prot. n. 6618, e le note aggiuntive della UOC Promozione, Sviluppo e Gestione Territoriale del Comune di Angri, relative all’impugnazione della P.C.;
      -- l’ordinanza di demolizione prot. n. 15616 del 10.05.2011;
      -- la relazione tecnica di accertamento del 07.10.2019;
   - l’adottata misura interdittiva era, segnatamente motivata per relationem alle risultanze del verbale di accertamento prot. n. 8460 del 30.09.2019, ricognitivo dell’abusività edilizia del su indicato locale, adibito a sede secondaria dell’attività produttiva esercitata dalla P.C. (con sede principale in Angri, al corso ..., n. ...), nonché in base al rilievo dell’incompletezza (già contestata dall’amministrazione con nota del 12.07.2012, prot. n. 23655, e mai rimediata dall’interessata) dell’istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, volta all’apertura della predetta sede secondaria;
...
Considerato, innanzitutto, che:
   - la contestazione di abusività urbanistico-edilizia e di conseguente inagibilità del locale condotto dalla P.C. rinviene perspicuo, ancorché succinto appiglio nel riferimento – riportato in esordio del gravato provvedimento del 07.02.2020, prot. n. 5127, all’«accertamento congiunto dei Carabinieri di Angri e della Polizia locale del 30.09.2019, verb. 8460, svolto [in relazione] all’immobile abusivo, già oggetto in precedenza di sequestro»;
   - ciò vale, dunque, ad elidere le censure attoree in merito all’asserita integrazione postuma della motivazione dell’adottata misura interdittiva;
Considerato, poi, che:
   - con la nota del 12.07.2012, prot. n. 23655, il Comune di Angri aveva opposto alla ricorrente che la propria istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, «è carente della documentazione necessaria a permettere l’individuazione dell’immobile/struttura edilizia da adibire a sede secondaria» e l’aveva, quindi, invitata «a presentare gli atti ed elaborati tecnici che possano consentire agli Uffici di individuare puntualmente la struttura da adibire a sede secondaria … e permettere l’avvio del relativo procedimento istruttorio»;
   - ora, è incontestato che tale richiesta di integrazione documentale non sia stata mai esitata dalla P.C.; cosicché è da escludersi che la menzionata istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, la quale –avuto riguardo al relativo sostrato teleologico-funzionale, e al di là della generica dicitura adoperata («richiesta di apertura unità locale»)– corrisponde al modulo della SCIA per l’insediamento di un’attività produttiva, abbia potuto mai consolidare i propri effetti abilitativi in favore della proponente;
   - in argomento, giova rammentare che, se è vero che, a seguito della presentazione della SCIA, il decorso del tempo determina il consolidamento del titolo, con conseguente necessità della sua preventiva rimozione, in vista dell'assunzione di iniziative sanzionatorie, è altrettanto vero che, per ius receptum, presupposto indefettibile perché la SCIA possa essere produttiva di effetti è la veridicità delle dichiarazioni e la completezza della documentazione a suo corredo, cosicché, in presenza di una SCIA inesatta o incompleta, permane sempre e comunque il potere di inibire l'attività comunicata (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 18.06.2014, n. 1601; TAR Campania, Napoli, sez. II, 25.07.2016, n. 3869; sez. VII, 10.01.2019, n. 143; TAR Liguria, Genova, sez. I, 10.05.2019, n. 436);
   - pertanto, nella specie, il potere inibitorio esercitato col provvedimento impugnato ha trovato giustificazione nell’acclarata incompletezza dell’istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, e, quindi, a dispetto degli assunti attorei, si è correttamente incanalato nell’alveo del modello legale tipico disciplinato dall’art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990;
   - un simile approdo neppure resta menomato dalla dedotta circostanza del mancato recapito all’interessata della citata nota del 12.07.2012, prot. n. 23655: la preclusione del consolidamento degli effetti dell’istanza del 15.06.2012, prot. n. 20544, è, infatti, da reputarsi determinata in ragione dell’incompletezza della documentazione a corredo di quest’ultima, stante la sua oggettiva e radicale inidoneità abilitativa; così come non resta menomata dalla pure dedotta reperibilità della documentazione in parola in allegato alla già esaminata SCIA dell’11.12.2018, prot. n. 44466, non essendo sufficientemente dimostrato da parte ricorrente come quest’ultima potesse appieno soddisfare le esigenze istruttorie ex ante rappresentate dal Comune di Angri, finalizzate, all’evidenza, a verificare la legittimazione edilizia dell’immobile ubicato in Angri, alla via ..., n. ..., e censito in catasto al foglio 1, particella 1461, sub 1-2;
   - ciò, tanto più che l’insediamento de quo, oltre ad aver formato oggetto dell’ordinanza di demolizione prot. n. 15616 del 10.05.2011 e oltre a non essere stato, quindi, puntualmente certificato nei suoi estremi di conformità urbanistico-edilizia, non risulta assistito da apposita autorizzazione all’emissioni in atmosfera –la quale figura soltanto richiesta (e, quindi, implicitamente riconosciuta come necessaria) dalla ricorrente con istanza del 25.02.2019, prot. n. 45555 e tuttora non esitata dalla competente autorità regionale– né da valido certificato di agibilità (gli abusi di cui all’istanza di condono prot. n. 28691 del 10.12.2004 non essendo stati ancora sanati) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 21.07.2020 n. 937 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACostituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività, come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di un privato.
Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 31 cod. proc. amm..
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5.1. Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività, come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di un privato. Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 31 cod. proc. amm. (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 05/07/2017, n. 3281; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20/01/2020, n. 645; TAR Campania, Napoli, sez. III, 01/04/2019, n. 1780).
Tale qualificazione, già ampiamente invalsa nel formante giurisprudenziale esistente all’epoca in cui è stato introdotto il presente giudizio, è stata normativamente confermata con la novella dell’art. 19, co. 6-ter, della L. n. 241/1990.
A ciò consegue, dunque, l’inammissibilità delle censure ricorsuali che investono le due D.I.A. in variante rilevanti nel presente giudizio e, per relationem, le opere con esse assentite. Tra di esse, in particolare, la vasca idromassaggio, specificamente indicata nella D.I.A. prot. n. 43880 del 10/8/2009, sulla quale si appuntano gran parte delle doglianze sollevate da parte ricorrente
(TAR Basilicata, sentenza 13.07.2020 n. 454 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 19 della l. n. 241/1990, al comma 6-bis prevede che: “Nei casi di SCIA in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali”.
Una volta accertato che l’intervento edilizio è difforme dal paradigma normativo, va richiamato il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a., può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento e, quindi, permane sia il potere di autotutela -annullamento d’ufficio, revoca- che il potere di vigilanza in materia di repressione degli abusi edilizi e, più in generale, mantiene il potere di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 D.P.R. 380/2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere realizzate non corrispondono a quelle oggetto della denuncia, sia quando le stesse non sono realizzabili con una semplice d.i.a., ma richiedono l'avvenuto rilascio del permesso di costruire o di una sua variante.
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Sotto altro profilo la Sezione (n. 4261/2019) ha rammentato che l’art. 19 della l. n. 241/1990, al comma 6-bis prevede che: “Nei casi di SCIA in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali”; una volta accertato che l’intervento edilizio è difforme dal paradigma normativo, va richiamato il pacifico principio giurisprudenziale secondo cui anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del T.U. Edilizia, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a., può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento e, quindi, permane sia il potere di autotutela -annullamento d’ufficio, revoca- che il potere di vigilanza in materia di repressione degli abusi edilizi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 12.02.2010 n. 781; 18.12.2008 n. 6378; 12.09.2007 n. 4828; 30.06.2005 n. 3498, TAR Campania, Napoli, Sez. II, 14.12.2017, n. 5903, TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 28.11.2018, n. 2513) e, più in generale, mantiene il potere di controllo sulle attività edilizie per il quale l’art. 27 D.P.R. 380/2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere realizzate non corrispondono a quelle oggetto della denuncia, sia quando le stesse non sono realizzabili con una semplice d.i.a., ma richiedono l'avvenuto rilascio del permesso di costruire (TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 04.10.2007, n. 8951 e Sez. VIII, 12.06.2014, n. 3275, quest’ultima passata in giudicato per mancata impugnazione, e relativa agli stessi provvedimenti impugnati) o di una sua variante (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 10.07.2020 n. 3007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per giurisprudenza ampiamente consolidata, la natura della SCIA –che non è una vera e propria istanza di parte per l'avvio di un procedimento amministrativo bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge– induce ad escludere che l'autorità procedente debba comunicare al segnalante l'avvio del procedimento prima dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori.
In tale ipotesi, il segnalante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge e che non necessita di alcun atto di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione, senza spazio, quindi, per l’instaurazione di un procedimento autorizzatorio e per la connessa comunicazione di avvio.

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7. Priva di pregio è, poi, la censura di omessa comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 19.b).
In proposito, è sufficiente obiettare che la nota del 10.04.2018, prot. n. 64286, avuto riguardo al suo contenuto, al potere con essa esercitato ed ai tempi di sua emanazione, presenta, a tutti gli effetti, i connotati propri del modello provvedimentale codificato dall’art. 19, comma 3, della l. n. 241/1990, il quale, a fronte dell’avvenuta segnalazione di attività da parte del privato, e previamente all’adozione della prevista misura interdittiva, non contempla l’assolvimento dell’incombente partecipativo invocato dalla R.
Ed invero, per giurisprudenza ampiamente consolidata, la natura della SCIA –cui è equiparabile la comunicazione effettuata dalla ricorrente il 03.04.2018, prot. n. 59661, e che non è una vera e propria istanza di parte per l'avvio di un procedimento amministrativo poi conclusosi in forma tacita, bensì una dichiarazione di volontà privata di intraprendere una determinata attività ammessa direttamente dalla legge– induce ad escludere che l'autorità procedente debba comunicare al segnalante l'avvio del procedimento prima dell'esercizio dei relativi poteri di controllo e inibitori (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 25.01.2013, n. 489; 14.04.2014, n. 1800; 19.06.2014, n. 3112; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 23.01.2020, n. 316).
In tale ipotesi, il segnalante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge e che non necessita di alcun atto di assenso, espresso o tacito, da parte dell’amministrazione, senza spazio, quindi, per l’instaurazione di un procedimento autorizzatorio e per la connessa comunicazione di avvio (cfr. Cons. Stato, sez. V, 18.02.2019; TAR Abruzzo, Pescara, 28.10.2019, n. 256)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 27.05.2020 n. 590 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: SCIA e CILA – Previsione, come regola speciale, ma in via alternativa, della formazione del silenzio-assenso – Opzione per il rilascio di un provvedimento espresso – Fondamento – Pronuncia di decadenza in ordine al titolo edilizio tacito, qualora sia stato richiesto un provvedimento espresso – Illegittimità.
Rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio del potere di autotutela, con lesione della propria sfera economico-patrimoniale.
Motivo per cui, giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesta l’emanazione di un provvedimento espresso
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione della SCIA non dà luogo a un procedimento amministrativo, ma costituisce unicamente, nei casi stabiliti dalla legge, la condizione per l’avvio di un’attività privata, dovendosi pertanto escludere che l’autorità destinataria della segnalazione sia tenuta a comunicare l’avvio del procedimento, ovvero il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, prima dell'esercizio dei propri poteri di controllo e inibitori.
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2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che l’ordinanza n. 171/2019 sarebbe intervenuta ad appena quattro giorni di distanza dalla comunicazione di avvio del procedimento di inibitoria, seguita alla presentazione della S.C.I.A..
L’infondatezza della censura è palese avuto riguardo alla natura della segnalazione certificata di inizio di attività, la cui presentazione non dà luogo a un procedimento amministrativo, ma costituisce unicamente, nei casi stabiliti dalla legge, la condizione per l’avvio di un’attività privata, dovendosi pertanto escludere che l’autorità destinataria della segnalazione sia tenuta a comunicare l’avvio del procedimento, ovvero il preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, prima dell'esercizio dei propri poteri di controllo e inibitori (per tutte, da ultimo cfr. Cons. Stato, sez. V, 18.02.2019, n. 1111).
D’altro canto, i brevi termini assegnati dall’art. 19, co. 3 e 6-bis, per l’esercizio dei poteri inibitori non sono compatibili con l’instaurazione preventiva del contraddittorio procedimentale, che nel disegno del legislatore si svolge, semmai, nella fase successiva all’adozione del divieto di prosecuzione dell’attività e può eventualmente condurre alla conformazione dell’attività intrapresa.
Il contraddittorio successivo, in altre parole, è coerente con la natura stessa del controllo sulla S.C.I.A., che interviene dopo l’avvio dell’attività secondo un modello di liberalizzazione “temperata”; e proprio questo spiega l’operato del Comune resistente, che dopo la prima inibitoria (ordinanza n. 171/2019) ha sollecitato la ricorrente a contraddire per poi rideterminarsi e confermare motivatamente l’arresto dei lavori (ordinanza n. 253/2019) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 24.03.2020 n. 360 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull’istituto della SCIA edilizia (che rappresenta un’evoluzione della precedente DIA) si è recentemente pronunciata la Corte costituzionale, evidenziando che “Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una –sia pur importante– parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere”.
In questo contesto, secondo la Corte <<Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue>>.
Sulla diffida con la quale si chiede al Comune di intervenire in senso "repressivo" (cfr. art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990), il termine di trenta giorni per la sollecitazione del potere inibitorio “… come da ultimo indicato dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 45 del 13.03.2019, rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela del "terzo" … e di certezza dell'azione amministrativa e dell'attività edilizia privata legittimata da una SCIA …”.
Sulle orme della sentenza della Corte costituzionale, è stato rilevato che il Comune può esercitare i poteri inibitori solo entro il limite temporale fissato dalla legge, ossia i primi trenta giorni dalla presentazione della SCIA, seguiti dagli ulteriori diciotto mesi di cui all’art. 21-nonies della L. 241/1990.
Quest’ultima disposizione disciplina l'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere appunto esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.
Nel caso sottoposto al suo esame, il TAR Toscana ha osservato che “nel caso all'esame tutti i termini appena ricordati risultano ampiamente decorsi di talché non era possibile configurare un obbligo del Comune di procedere all'annullamento della SCIA ai soli fini del ripristino della legalità né, stante la perdurante efficacia del titolo, l'amministrazione avrebbe potuto determinarsi nel senso di adottare provvedimenti repressivi e ripristinatori”.
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Non sfugge al Collegio che le norme vigenti all’epoca della diffida e dell’atto impugnato (cfr. artt. 19 e 21-nonies della L. 241/1990) non coincidevano esattamente con quelle esaminate dalla Corte costituzionale e purtuttavia contemplavano ugualmente il rinvio ai poteri di autotutela: anche considerando la mancata codificazione di un termine massimo per il loro esercizio le conclusioni non mutano.
Premesso che il Comune ha comunque deciso di occuparsi della fattispecie sottoposta (rigettando l’istanza dopo aver riesaminato la vicenda), relativamente alla valutazione delle ragionevolezza del termine entro cui il potere di autotutela può essere esercitato nonché della correttezza del bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e affidamento del privato, l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione è attenuato in ragione della “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio dello ius poenitendi”.
L’Adunanza plenaria ha altresì enunciato ulteriori principi sulla questione, ritenendo che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro” e che “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.
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Il ricorrente censura il provvedimento con il quale il Comune di Brembate si è pronunciato negativamente sull’istanza tesa a sollecitare la repressione di un abuso edilizio asseritamente commesso dal controinteressato.
0. Il Collegio può soprassedere dalle questioni in rito sollevate dall’amministrazione resistente (tardività del gravame, violazione del principio del ne bis in idem, scorretta evocazione in giudizio del dirigente comunale), in quanto il gravame è infondato nel merito.
1. Nella memoria conclusionale parte ricorrente insiste nel lamentare la violazione dell’art. 30 delle NTA per l’avvenuta edificazione di un sopralzo con due piani (entrambi abitati). Si sarebbe posta in essere una variazione essenziale della costruzione prevista dalla precedente concessione, sulla scorta di una denunzia di inizio attività (DIA) che non avrebbe potuto essere presentata e che deve ritenersi tamquam non esset: si tratterebbe di un intervento edilizio abusivo sfornito di titolo, e quindi di un illecito permanente a fronte del quale il dovere repressivo non si estingue per decorso del termine.
Detta ordine di idee non merita di essere condiviso.
2. Sull’istituto della SCIA edilizia (che rappresenta un’evoluzione della precedente DIA) si è recentemente pronunciata la Corte costituzionale, evidenziando che “Il dato di fondo è che si deve dare per acquisita la scelta del legislatore nel senso della liberalizzazione dell’attività oggetto di segnalazione, cosicché la fase amministrativa che ad essa accede costituisce una –sia pur importante– parentesi puntualmente delimitata nei modi e nei tempi. Una dilatazione temporale dei poteri di verifica, per di più con modalità indeterminate, comporterebbe, invece, quel recupero dell’istituto all’area amministrativa tradizionale, che il legislatore ha inteso inequivocabilmente escludere”.
In questo contesto, secondo la Corte <<Le verifiche cui è chiamata l’amministrazione ai sensi del comma 6-ter sono dunque quelle già puntualmente disciplinate dall’art. 19, da esercitarsi entro i sessanta o trenta giorni dalla presentazione della SCIA (commi 3 e 6-bis), e poi entro i successivi diciotto mesi (comma 4, che rinvia all’art. 21-novies). Decorsi questi termini, la situazione soggettiva del segnalante si consolida definitivamente nei confronti dell’amministrazione, ormai priva di poteri, e quindi anche del terzo. Questi, infatti, è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’esercizio del controllo amministrativo, e quindi, venuta meno la possibilità di dialogo con il corrispondente potere, anche l’interesse si estingue>>.
3. Sulla diffida con la quale si chiede al Comune di intervenire in senso "repressivo" (cfr. art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990), il termine di trenta giorni per la sollecitazione del potere inibitorio “… come da ultimo indicato dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 45 del 13.03.2019, rappresenta il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela del "terzo" … e di certezza dell'azione amministrativa e dell'attività edilizia privata legittimata da una SCIA …” (TAR Campania Napoli, sez. II – 25/07/2019 n. 4075).
4. Sulle orme della sentenza della Corte costituzionale, è stato rilevato che il Comune può esercitare i poteri inibitori solo entro il limite temporale fissato dalla legge, ossia i primi trenta giorni dalla presentazione della SCIA, seguiti dagli ulteriori diciotto mesi di cui all’art. 21-nonies della L. 241/1990.
Quest’ultima disposizione disciplina l'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, stabilendo che debba sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, che si operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti e che, per i provvedimenti ampliativi della sfera giuridica dei privati, il potere debba essere appunto esercitato entro il termine massimo di diciotto mesi.
Nel caso sottoposto al suo esame, il TAR Toscana, sez. III – 14/08/2019 n. 1174 ha osservato che “nel caso all'esame tutti i termini appena ricordati risultano ampiamente decorsi di talché non era possibile configurare un obbligo del Comune di procedere all'annullamento della SCIA ai soli fini del ripristino della legalità né, stante la perdurante efficacia del titolo, l'amministrazione avrebbe potuto determinarsi nel senso di adottare provvedimenti repressivi e ripristinatori”.
5. Tornando alla fattispecie che ci occupa, tra la DIA depositata il 16/01/2006 e l’atto di diffida 06/11/2012 sono trascorsi quasi 7 anni, cosicché non sussisteva in capo al Comune alcun obbligo di provvedere e nemmeno spazio per l’autotutela (decorrenza dei 18 mesi) ai sensi della pronuncia della Corte costituzionale n. 45/2019.
6. Non sfugge al Collegio che le norme vigenti all’epoca della diffida e dell’atto impugnato (cfr. artt. 19 e 21-nonies della L. 241/1990) non coincidevano esattamente con quelle esaminate dalla Corte costituzionale e purtuttavia contemplavano ugualmente il rinvio ai poteri di autotutela: anche considerando la mancata codificazione di un termine massimo per il loro esercizio le conclusioni non mutano.
6.1 Premesso che il Comune di Brembate ha comunque deciso di occuparsi della fattispecie sottoposta (rigettando l’istanza dopo aver riesaminato la vicenda), relativamente alla valutazione delle ragionevolezza del termine entro cui il potere di autotutela può essere esercitato nonché della correttezza del bilanciamento tra interesse pubblico “specifico” e affidamento del privato, l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione è attenuato in ragione della “rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati, al punto che nelle ipotesi di maggiore rilievo potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possono integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio dello ius poenitendi” (così Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 8/2017, richiamata da Consiglio di Stato, sez. IV – 25/10/2019 n. 7297; TAR Campania Salerno, sez. II – 28/03/2019 n. 485).
L’Adunanza plenaria ha altresì enunciato ulteriori principi sulla questione, ritenendo che “il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro” e che “la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.
6.2 Il Comune ha affrontato il caso e ha optato per il rigetto della sollecitazione ricevuta, sottolineando la mancanza di modifiche di volumetria e sagoma, riflessioni che appaiono avallate dalla CTU esperita in sede civile, ove si dà conto di un sopralzo modesto realizzato nel rispetto della distanza tra edifici e anche del distacco dal confine (poiché la porzione sopraelevata è in linea con il fabbricato preesistente).
6.3 Non è dunque meritevole di apprezzamento la ricostruzione della DIA come titolo giuridicamente inesistente. Permesso che l’istituto consente al privato di avviare l’esercizio di un'attività che dipende esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge (o da atti amministrativi a contenuto generale), alla luce delle verifiche condotte dal CTU (cfr. pag. 17 della sua relazione) non siamo in presenza di dichiarazioni mendaci o false attestazioni, circostanza nella quale l’attività di autotutela non soggiace a limiti temporali.
Nello specifico, la DIA 16/01/2006 contemplava la formazione di uno stenditoio, di un locale di sgombero e di un servizio igienico con disimpegno, e tali vani sono sostanzialmente corrispondenti a quelli riscontrati dal consulente nel suo sopralluogo del 9/10/2007.
6.4 L’omessa attivazione dei poteri di vigilanza e repressivi di settore (cfr. in materia edilizia artt. 27 e seguenti del DPR 380/2001, espressamente richiamati anche dall’art. 19, comma 6-bis, della L. 241/1990) risulta adeguatamente giustificata, senza sottacere che l’amministrazione è venuta a conoscenza della situazione di fatto –correttamente rappresentata– in virtù della DIA del gennaio 2006, e si è pronunciata sull’istanza di autotutela dopo quasi 7 anni.
7. In conclusione, l’introdotto gravame deve essere rigettato (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 05.03.2020 n. 197 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAPer espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241 del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011) la SCIA non costituisce provvedimento tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del caso, ad essa si aggiunge integrandola.
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6. Preliminarmente va respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso.
Il Comune, come detto, ritiene che la presentazione della SCIA 404/2017 (con l’indicazione dell'avvenuto rilascio, nelle more, dell'autorizzazione paesaggistica) renda privo di interesse il gravame avverso la declaratoria di improcedibilità (rectius, annullamento) della SCIA 733/2016 in quanto quest’ultima sarebbe stata sostituita da una nuova SCIA, a sua volta dichiarata inefficace con la disposizione PG/2017/374419.
L’assunto del Comune parte dall’errato presupposto di considerare la SCIA alla stregua di un provvedimento amministrativo (sia pure tacito) la cui sostituzione con altro provvedimento determina la perdita di interesse all’annullamento, spostandosi detto interesse sul provvedimento successivo (fatta eccezione per i casi di atti meramente confermativi).
Invece, per espressa disposizione di legge (art. 19, comma 6-ter, della l. 241 del 1990, che fa seguito alla nota decisione della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 2011) la SCIA non costituisce provvedimento tacito, ed è dichiarato espressamente “non impugnabile”.
Ne consegue che, in mancanza di espressa e univoca dichiarazione della parte che ha reso la Segnalazione, la presentazione di una SCIA successiva ad una già depositata non ha l’effetto automatico di sostituirla, bensì, se del caso, ad essa si aggiunge integrandola.
Quand’anche il contenuto sia identico, sia pure con variazioni (nel caso concreto, nella SCIA 404/2017, nella sezione B9.9 è aggiunta la specifica che l’area in questione è assoggettata alla l. 1497/1939 / d.lgs. 42/2004), si è in presenza di due atti privati, di cui uno dichiarato improcedibile dal Comune, l’altro anche ma con provvedimento successivo, che la parte ha conosciuto solo in seguito al deposito in giudizio da parte del Comune di Napoli (all. 11 prod. Comune del 17.07.2018) e per il quale, alla data della presente decisione (10.10.2018) sono ancora pendenti i termini per l’impugnazione considerata la sospensione feriale.
La scelta di impugnare il successivo provvedimento di improcedibilità spetta alla parte, come pure spetta a quest’ultima la decisione in ordine ai contenuti del ricorso, presumibilmente diversi stante il diverso tenore dei provvedimenti emessi dal Comune.
In questa sede, pertanto, la perdita di interesse al gravame non può conseguire alla esistenza di due o più diverse Segnalazioni certificate sul medesimo immobile, perché ciò implicherebbe l’indebita sostituzione della volontà del giudice rispetto alla scelta, manifesta, del privato di non sostituire una Scia con un’altra (nel caso, la SCIA 733/2016, con la SCIA 404/2017) e questo soprattutto in ragione –come rilevato dai ricorrenti nella memoria di replica del 19.09.2018– della circostanza che la seconda SCIA è stata anch’essa dichiarata inefficace, per cui l’eventuale accoglimento del gravame presentato per l’annullamento della declaratoria di inefficacia della prima SCIA (733/2016) ha l’evidente effetto di salvare l’attività svolta sino a quel momento, attività che invece diventerebbe automaticamente sine titulo per effetto dell’unione combinata di una decisione di improcedibilità del presente giudizio (sulla SCIA 733/2016) con la declaratoria di inefficacia della SCIA 404/2017 (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 07.03.2019 n. 1334 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il potere di intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la scadenza del termine perentorio per la verifica della legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica, potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e degli eventuali controinteressati.
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5.2. Per quanto riguarda poi la rilevanza delle carenze in questione ai fini dell’esercizio del potere di annullamento della SCIA edilizia e della conseguente declaratoria di irricevibilità della segnalazione certificata di agibilità, si osserva che, fermo l’obbligo della ricorrente di conformare l’area a parcheggio agli standard di legge, l’amministrazione comunale non ha operato la necessaria comparazione tra il pubblico interesse al ripristino della legalità ed il sacrificio imposto al privato, specie a fronte dei gravi effetti indiretti sull’esercizio dell’attività commerciale: “Il potere di intervento dell'Amministrazione sussiste anche dopo la scadenza del termine perentorio per la verifica della legittimità della SCIA, ma trova una diversa base giuridica, potendo essere esercitato solo in presenza dei presupposti individuati dall'art. 21-nonies, l. n. 241/1990 per l'annullamento d'ufficio degli atti amministrativi illegittimi … con esternazione delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la loro adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e degli eventuali controinteressati” (TAR Napoli, Sez. VII, 23.04.2018 n. 2664) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 18.12.2018 n. 2141 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a SCIA comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001 se gli stessi non sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 d.P.R. 380/2001.
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22 d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44, lett. a), in quanto tale disposizione sanziona "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire".
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Anche l'infondatezza del secondo motivo di entrambi i ricorsi è di macroscopica evidenza.
Come affermano i ricorrenti, la giurisprudenza di questa Corte, ha chiarito che l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a SCIA comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44, lett. a), d.P.R. 380/2001 se gli stessi non sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, mentre soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA, ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 d.P.R. 380/2001 (Sez. 3, n. 952 del 07/10/2014 (dep. 2015), Parisi, Rv. 261783; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413).
Si è pervenuti a tali conclusioni osservando che l'art. 22 d.P.R. 380/2001 stabilisce espressamente che sono realizzabili mediante SCIA (e, in precedenza, a DIA) gli interventi descritti ai commi 1 e 2 che siano anche conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente e che solo ricorrendo tale condizione è possibile applicare la disposizione dell'art. 37 che prevede la sola sanzione amministrativa per gli interventi realizzati in assenza o in difformità.
In caso di interventi che, invece, non sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, la loro realizzazione, sempre che non si tratti di interventi per i quali è richiesto il permesso di costruire, comporta l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 44, lett. a), in quanto tale disposizione sanziona "l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire".
Il principio richiamato è pienamente condiviso dal Collegio, che intende ribadirlo, ma, nel fare ciò, deve però rilevarsi che nella sentenza impugnata risulta accertato in fatto che le opere erano state realizzate "...in parte in assenza di titolo ed in parte in difformità dalla DIA n. 322/2010, nonché in violazione degli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti al momento del fatto presso il Comune di Colle Val D'Elsa".
A fronte di tale affermazioni, entrambi i ricorsi si limitano alla apodittica affermazione della conformità delle opere espressamente smentita dal giudice del merito, con le conclusioni del quale neppure si confrontano (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 07.11.2018 n. 50144).

EDILIZIA PRIVATA: In presenza di una s.c.i.a. ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia, l’amministrazione non ha alcun obbligo di provvedere e, conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è qualificabile come illegittimo inadempimento.
Sull'interpretazione dell’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.

Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n. 241, il quale, nel precisare che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1 e 2” del Cpa.
Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto, che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice amministrativo.
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque, essere verificata in relazione alla titolarità di una posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da avergli consentito l’attivazione di un procedimento amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art. 20 l. n. 241/1990).
Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità di una posizione giuridica che legittimi l’istante a chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo “sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico (violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la (eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi, ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione presuppone, come tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere violato o eluso dall’amministrazione medesima.
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit., l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi violato le volte in cui l’istanza proposta sia manifestamente infondata o costituisca defatigatoria riproposizione di precedente istanza già in precedenza respinta.
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta dalla verifica dell’interesse dell’istante e, successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la Scia innanzi al giudice amministrativo, finirebbe con il risolversi in una “denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito alla generica istanza di attivazione dei propri discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in questi casi il conseguente silenzio inadempimento, allo stesso modo non può sussistere un obbligo di verifica “generale” dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co. 6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che, collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero denunciante.
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Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o in corso di realizzazione in base a Scia violi norme regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei limiti previsti dall’ordinamento.
Sicché, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in quanto:
   - per un verso, non è configurabile il potere di autotutela decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto di precedente esercizio di potere certificativo (presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio di un potere costitutivo dell’amministrazione);
   - per altro verso, ove anche –per mera ipotesi argomentativa- fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non sussiste –come si è detto- obbligo di provvedere;
   - per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun titolo od interesse del privato a che l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
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Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di intervento) tra verifica della sussistenza della legittimazione a richiedere il titolo edilizio e
verifica del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende realizzare sullo stesso.
Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare, che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria”.
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, in sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto.
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tanto meno pregiudica la titolarità o l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d'intervento.
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare sulla cosa comune si è affermato: “ogni questione in ordine agli eventuali limiti dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario (ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una volumetria su di esso insistente, sia attraverso la realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia. Si intende cioè ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
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Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a (eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento amministrativo, anche tacito. Il che comporta che l’attività edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni questione relativa alla titolarità del bene oggetto di intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di verifica dei presupposti ad essere destinatario di un provvedimento amministrativo) della Pubblica Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento amministrativo.
Nel caso di specie la verifica richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un provvedimento di sospensione degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla base di una Scia:
   - sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
   - sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001 è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa della Pubblica Amministrazione.
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2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le precisazioni di seguito esposte.
2.1. Al fine di meglio chiarire il thema decidendum appare opportuno precisare, in punto di fatto, che il presente giudizio trae origine dalla diffida presentata da Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. al Comune di Nocera Superiore in data 23.02.2016, con la quale gli stessi diffidavano il Funzionario responsabile dell’area urbanistica del suddetto Comune “all’assunzione dell’immediato provvedimento di sospensione del titolo abilitativo per silenzio rilasciato, in uno alla revoca dell’attestato prot. n. 29491 del 03.12.2015, essendo stato reso su inesistenti presupposti”.
I signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. fondavano la propria diffida (in particolare alla emanazione di provvedimento di sospensione) su due argomentazioni:
   - la prima, consistente nell’affermare che “l’amministrazione comunale avrebbe dovuto subordinare il rilascio dell’assenso edilizio a specifica autorizzazione di assenso dei comproprietari”;
   - la seconda, consistente nel rilievo che “la richiesta di assenso edilizio non è stata corredata dalla indicazione delle autorizzazioni ottenute e contemplate dalla normativa di settore, così come previsto dal DPR 542/1994; in particolare non sono stati esplicitati appropriatamente natura e caratteristiche dell’impianto di RM da attivare e dunque della tipologia di assenso preventivo di cui si doveva già essere in possesso per la localizzazione dell’impattante impianto di sfiato”.
Per maggior chiarezza, giova precisare:
   - che l’attività edilizia contestata con la diffida era oggetto non già di un provvedimento amministrativo implicito (o per silentium), bensì di una Scia del 19.12.2014 n. 27051, integrata con comunicazione 29.09.2015 n. 22728 e con trasmissione di documentazione integrativa in data 19.10.2015 n. 24599;
   - che l’attestato oggetto della richiesta di revoca certificava la presentazione della Scia e delle integrazioni alla medesima innanzi indicate, nonché l’assenza di provvedimenti sospensivi dell’efficacia della Scia dalla sua presentazione e fino alla data di emissione dell’attestato.
Stante il silenzio serbato dall’amministrazione sulla diffida 23.02.2016, i signori Pa.Ro., Ci.Al. e Pa.Id. (firmatari della diffida), nonché Pa.Fe. e Ba.Ro., proponevano ricorso giurisdizionale per la declaratoria di illegittimità del silenzio, deciso poi dalla sentenza impugnata nella presente sede.
Oggetto, dunque, del presente giudizio, per il tramite della sentenza impugnata, è il silenzio serbato dall’amministrazione su quanto richiesto con diffida del 23.02.2016, vale a dire l’adozione di un provvedimento di sospensione “del titolo abilitativo per silenzio rilasciato” e la revoca dell’attestato 03.12.2015.
2.2. Tanto precisato, occorre ricordare che l’ambito del giudizio avverso il silenzio è definito:
   - sul piano soggettivo, con riferimento ai soggetti che hanno presentato l’istanza rimasta insoddisfatta a causa del silenzio dell’amministrazione, e dunque titolari della legittimazione ad agire;
   - sul pano oggettivo, dal provvedimento richiesto con l’istanza ed in ordine al quale l’amministrazione non ha esercitato il relativo potere, nemmeno in senso negativo.
Quanto al piano soggettivo, è appena il caso di osservare (poiché il punto non è stato trattato nella sentenza impugnata né ha formato motivo di appello) che, a fronte di tre soggetti presentatori della diffida, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il presente appello risultano proposti da cinque soggetti, per due dei quali sarebbe discutibile la sussistenza della legittimazione ad agire.
Quanto al piano oggettivo è da rilevare che il provvedimento di sospensione –in ordine alla mancata adozione del quale è attivato il presente giudizio- deve essere inteso (in applicazione di un favor interpretativo per i ricorrenti) come riferito alla Scia, non sussistendo, nel caso di specie, alcun “titolo abilitativo per silenzio rilasciato” (e, dunque, prescindendosi dal rilevare che ben avrebbe potuto il Comune ritenere la diffida presentata tamquam non esset, per mancanza di oggetto).
In definitiva, l’eventuale silenzio inadempimento dell’amministrazione deve essere verificato solo con riguardo ai due tipi di atto sollecitati con l’istanza e con riferimento ai presupposti indicati per l’adozione degli atti medesimi.
Ne consegue che ogni ulteriore valutazione esplicitata in giudizio –sia per il tramite del ricorso instaurativo del giudizio sia per il tramite dell’appello– è da considerarsi del tutto estranea al thema decidendum.
Tanto precisato, può prescindersi dall’eccezione di inammissibilità proposta dal Comune di Nocera Inferiore, attesa altresì la infondatezza dell’appello.
3. Il giudizio sul silenzio, attivato in primo grado dagli attuali appellanti, attiene a quanto previsto, in tema di Scia, dall’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990 n. 241, il quale, nel precisare che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”, afferma altresì che "gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1 e 2” del Cpa.
3.1. Come è noto, l’art. 31 Cpa prevede che “decorsi i termini per a conclusione del procedimento amministrativo, e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire, il giudizio sul cd. silenzio-inadempimento della pubblica amministrazione presuppone, innanzi tutto, che si verta in tema di tutela di interessi legittimi, non potendo il giudizio afferire, sia pure mediatamente, alla tutela di posizioni di diritto soggettivo, in tal modo aggirandosi i limiti di giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. III, 22.06.2018 n. 3858); sez. V, 08.05.2018 n. 2751 e 06.02.2017, n. 513).
La sussistenza delle condizioni dell’azione in capo al soggetto che instaura il giudizio in oggetto deve, dunque, essere verificata in relazione alla titolarità di una posizione di interesse legittimo (pretensivo), tale da avergli consentito l’attivazione di un procedimento amministrativo non conclusosi nel termine previsto mediante l’adozione di alcun provvedimento espresso (ovvero non essendo prevista l’ipotesi di cd. silenzio assenso ex art. 20 l. n. 241/1990).
3.2. Più specificamente, nel caso previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 -non avendo il legislatore inteso introdurre una speciale forma di giudizio sul silenzio inadempimento riferito alla tutela di diritti soggettivi- ciò che fonda la sussistenza delle condizioni dell’azione è la titolarità di una posizione giuridica che legittimi l’istante a chiedere all’amministrazione la verifica delle condizioni che consentono di edificare in base a Scia, in relazione al pregiudizio che egli può ricevere da detta attività.
Tale posizione giuridica -sulla quale si fonda la facoltà di richiedere all’amministrazione gli accertamenti previsti- è di interesse legittimo (pena, come si è detto, lo “sconfinamento” nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario), il che comporta che ogni accertamento richiesto deve concernere aspetti inerenti all’interesse pubblico (violato) in materia di edilizia e urbanistica, non già la (eventuale) violazione di norme afferenti alla tutela del diritto dominicale o simili (se non in quanto la violazione di norme “civilistiche” e/o afferenti alla regolamentazione di rapporti tra privati non rilevi innanzi tutto dal punto di visto della tutela dell’interesse pubblico, risolvendosi, ma solo indirettamente, anche in una tutela obiettiva di diritti soggettivi).
Inoltre, l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione presuppone, come tradizionalmente chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, la sussistenza di un obbligo di provvedere violato o eluso dall’amministrazione medesima (Cons. Stato, sez. V, 11.06.2018 n. 3598; sez. IV, 07.06.2017 n. 2751; sez. VI, 27.12.2017 n. 4525).
Nel caso dell’attivazione del sindacato giurisdizionale sul silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di verifica proposta ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter cit., l’obbligo di verifica dell’amministrazione concerne i soli aspetti di illegittimità segnalati dall’istante, e nei limiti in cui detti aspetti riguardino una violazione di norme che, poste a tutela dell’interesse pubblico in materia edilizia e urbanistica, comportino (anche) una lesione di posizioni di interesse legittimo.
Inoltre, tale obbligo di verifica –così come generalmente affermato dalla giurisprudenza amministrativa in ordine ai presupposti per la sussistenza dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione– non può ritenersi violato le volte in cui l’istanza proposta sia manifestamente infondata o costituisca defatigatoria riproposizione di precedente istanza già in precedenza respinta (Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751).
Diversamente opinando (e cioè scollegando la tutela offerta dalla verifica dell’interesse dell’istante e, successivamente, delle condizioni dell’azione in capo al medesimo nella veste di ricorrente), l’istanza di verifica di cui all’art. 19, co. 6-ter, lungi dall’essere lo strumento (unico) di tutela offerto al privato avverso la Scia innanzi al giudice amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 06.10.2017 n. 4659), finirebbe con il risolversi in una “denuncia” non meglio qualificata avverso presunti “abusi edilizi” da accertare.
D’altra parte, così come non sussiste un obbligo di provvedere coercibile in capo all’amministrazione riferito alla generica istanza di attivazione dei propri discrezionali poteri di autotutela, e dunque non sussiste in questi casi il conseguente silenzio inadempimento (Cons. Stato, sez. IV, 07.06.2017 n. 2751), allo stesso modo non può sussistere un obbligo di verifica “generale” dell’attività edilizia intrapresa in base a Scia da parte dell’amministrazione sulla base dell’istanza ex art. 19, co. 6-ter.
Tale obbligo sussiste solo per quegli aspetti che, collegandosi alla tutela procedimentale di posizioni soggettive di interesse legittimo, distinguono l’istante –in tal modo “qualificandolo”- dalla posizione di mero denunciante.
3.3. Ovviamente, nulla vieta all’amministrazione di verificare, con riferimento ai presupposti e limiti previsti dall’ordinamento, la regolarità di quanto sia in corso di realizzazione in base a Scia, ma ciò a tutta evidenza prescinde da quanto previsto dall’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 e dal rapporto che si instaura sulla base di detta norma tra pubblica amministrazione e privato istante.
Allo stesso tempo, laddove l’attività edilizia realizzata o in corso di realizzazione in base a Scia violi norme regolatrici dei rapporti tra privati, quale che ne sia la fonte (pubblicistica, contrattuale, etc.), il privato che si ritenga leso ben potrà esercitare il proprio diritto alla tutela giurisdizionale innanzi al giudice ordinario, nei limiti previsti dall’ordinamento.
4. Alla luce delle considerazioni innanzi esposte, appare evidente come non sussiste alcun obbligo di provvedere dell’amministrazione in ordine ad una istanza volta a sollecitarne l’esercizio dei poteri di autotutela della medesima su una propria precedente certificazione. Ciò in quanto:
   - per un verso, non è configurabile il potere di autotutela decisionale in ordine agli atti che costituiscono l’oggetto di precedente esercizio di potere certificativo (presupponendo il potere di autotutela il previo esercizio di un potere costitutivo dell’amministrazione);
   - per altro verso, ove anche –per mera ipotesi argomentativa- fosse configurabile l’esercizio del potere di autotutela, in ordine all’istanza che ne sollecita l’esercizio, non sussiste –come si è detto- obbligo di provvedere;
   - per altro verso ancora, non sussiste, nel caso di specie, alcun titolo od interesse del privato a che l’amministrazione intervenga in rettifica di attestazione di fatti obiettivamente verificatisi e riscontrati.
Né è dato comprendere, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, come l’attestato del quale si è richiesta la revoca e/o l’annullamento possa “compenetrare” l’assenso ricevuto, non presupponendo la disciplina della Scia alcun “assenso” (espresso o implicito) dell’amministrazione, né potendo tale assenso minimamente configurarsi con riferimento ad una mera asseverazione di scienza su fatti effettivamente verificatisi.
Da quanto esposto consegue il rigetto del relativo motivo di appello (sub lett. a2) dell’esposizione in fatto).
5. Altrettanto infondati sono gli ulteriori motivi di appello.
5.1. Si sono già innanzi esposti i limiti entro i quali l’accertamento delle norme civilistiche poste a tutela dei diritti soggettivi (e, più specificamente, dominicali) del privato possa rilevare ai fini dell’esercizio dei poteri della pubblica amministrazione.
Giova ulteriormente distinguere (anche con riferimento alle norme afferenti ai diritti reali sul bene oggetto di intervento) tra verifica della sussistenza della legittimazione a richiedere il titolo edilizio e verifica del rispetto della normativa civilistica lato sensu inerente al bene oggetto della richiesta e a quanto si intende realizzare sullo stesso.
5.2. Quanto al primo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di osservare (Con. Stato, sez. VI, 22.09.2014 n. 4776; sez. IV, 25.09.2014 n. 4818), che il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.
Si è precisato, inoltre, che, “il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria” (Cons. Stato, sez. IV, n. 4818/2014 cit.; in senso conforme, sez. V, 04.04.2012 n. 1990).
Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo.
Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
5.3. Quanto al secondo aspetto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che, in sede di esame dell’istanza volta al rilascio di un titolo edilizio, l’amministrazione non deve verificare ogni aspetto civilistico che potrebbe venire in rilievo, ma deve vagliare esclusivamente i profili urbanistici ed edilizi connessi al titolo richiesto (Cons. Sato, sez. IV, 23.05.2016 n. 2116).
Si è, in particolare, ricordato che il permesso di costruire non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio, né tantomeno pregiudica la titolarità o l'esercizio di diritti relativi ad immobili diversi da quelli oggetto d'intervento (Cos. Stato, sez. VI, 27.04.2017 n. 1942).
Con particolare riguardo all’istanza di titolo ad edificare sulla cosa comune si è affermato: “ogni questione in ordine agli eventuali limiti dell’esercizio in concreto del diritto del comproprietario (ivi compreso quanto inerisce all’uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c.) esula dalle valutazioni dell’amministrazione, nei casi in cui l’immobile considerato non sia oggetto “diretto” del titolo edificatorio, nel senso che attraverso quest’ultimo si realizza una trasformazione dell’immobile, sia attraverso la realizzazione di una volumetria su di esso insistente, sia attraverso la realizzazione di altre opere che ne trasformino in modo decisivo caratteristiche e destinazioni del bene ovvero che incidano su pattuizioni tra i comproprietari in ordine all’uso del medesimo ... Ovviamente, in ordine a tali aspetti, resta ferma la tutela dei diritti reali assicurata dal giudice ordinario, ma ciò ... non può condizionare l’esercizio del potere autorizzatorio in materia edilizia della Pubblica Amministrazione, al punto da rendere illegittimo il permesso di costruire rilasciato”.
5.4. E’ alla luce delle considerazioni innanzi esposte che deve essere interpretata l’espressione “fatti salvi eventuali diritti dei terzi”, o simili, che normalmente compare nei provvedimenti autorizzatori in materia edilizia.
Con tale espressione si intende circoscrivere l’ambito di efficacia del provvedimento autorizzatorio in materia edilizia.
Si intende cioè ribadire che il provvedimento amministrativo, rilasciato ad un soggetto che è titolare di una situazione qualificata di giuridica relazione con il bene oggetto di intervento, autorizza un intervento di trasformazione del territorio che è compatibile con l’assetto edilizio ed urbanistico previsto per il medesimo ed è, dunque, in tale ordine e limiti, legittimo.
Tale provvedimento inerisce, quanto all’oggetto della istanza presentata, al rapporto pubblicistico tra soggetto richiedente e pubblica amministrazione in esercizio del potere autorizzatorio edilizio. Al tempo stesso, tale provvedimento non incide (perché “non può” incidere) sui distinti rapporti giuridici tra privati, che restano dallo stesso del tutto impregiudicati.
Il che comporta che quanto autorizzato, se non costituisce illecito dal punto di vista amministrativo (proprio per le stesse ragioni per cui risulta autorizzabile), ben può costituire illecito civile, in quanto incidente su una sfera di rapporti cui la Pubblica Amministrazione è (e deve rimanere) estranea.
Ne consegue che eventuali limitazioni alle facoltà e poteri del proprietario (o del comproprietario), sia riferite alla “piena” titolarità del suo diritto, sia al concreto esercizio dello jus aedificandi in relazione a diritti di terzi, per un verso esulano dal piano della “legittimità” del provvedimento amministrativo, per altro verso restano da questo impregiudicate e quindi soggetti terzi che intendono tutelarsi ben potranno farlo, a prescindere dall’atto amministrativo, innanzi al giudice ordinario.
In definitiva, se il provvedimento autorizzatorio edilizio, quanto al suo ambito di efficacia, è estraneo ai rapporti interprivati, (non potendoli condizionare, limitare o comunque su di essi incidere), è del tutto evidente che una violazione delle norme regolatrici di tali rapporti non può rilevare come vizio di legittimità dell’atto.
5.5. Quanto ora affermato con riferimento al provvedimento autorizzatorio edilizio che l’amministrazione è chiamata a (eventualmente) rilasciare su istanza del privato, a maggior ragione deve essere ribadito nel caso di attività edilizia che si intende realizzare in base a Scia.
In questo caso, l’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990 ha tenuto ad escludere che la Scia costituisca provvedimento amministrativo, anche tacito.
Il che comporta che l’attività edilizia che il privato intende realizzare si svolge su un piano dove non è previsto l’esercizio di poteri amministrativi e, dunque, a maggior ragione, è estranea alla Pubblica Amministrazione ogni verifica della sussistenza delle condizioni che legittimano ad essere destinatari di un titolo edilizio.
Si intende affermare che, in conseguenza della ricostruzione dell’istituto offerta dall’art. 19 l. n. 241/1990, ogni questione relativa alla titolarità del bene oggetto di intervento attiene direttamente ai rapporti tra privati, non essendo configurabile, per le ragioni esposte, alcun coinvolgimento (neanche “mediato”, cioè nei limiti di verifica dei presupposti ad essere destinatario di un provvedimento amministrativo) della Pubblica Amministrazione.
Ne consegue che ciò che il privato può richiedere, per il tramite dell’istanza di cui all’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, è solo la verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia applicabile al caso di specie.
Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione di verificare –in capo al soggetto che agisce sulla base di una Scia- la sussistenza delle condizioni perché questi possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento amministrativo.
6.1. Nel caso di specie, come si è già detto, la verifica richiesta all’amministrazione (e, dunque, l’emanazione da parte della medesima di un provvedimento di sospensione degli effetti della Scia), concerneva, in primo luogo, la necessità di verificare la sussistenza dell’assenso dei comproprietari.
Ma tale verifica, per le ragioni innanzi esposte, non può essere richiesta alla Pubblica Amministrazione, a maggior ragione nel caso di una attività edilizia intrapresa sulla base di una Scia:
   - sia in quanto essa afferisce alla natura dei rapporti tra comproprietari (ed ai limiti di uso della cosa comune) e coinvolge quindi diritti soggettivi, come tali esulanti l’ambito del giudizio sull’illegittimità del silenzio;
   - sia in quanto la tematica della legittimazione ad essere destinatari di un titolo edilizio ex art. 11 DPR n. 380/2001 è estranea alla Scia ed ai poteri di verifica su di essa della Pubblica Amministrazione.
E’ in questo senso che deve essere intesa la sentenza impugnata, laddove essa afferma l’inammisibilità del ricorso “per essere stato chiesto l’esercizio di poteri in autotutela da parte dell’Ente, in materia sottratta alla sfera di competenza giurisdizionale del G.A.”.
6.2. Altrettanto priva di rilevanza, ai fini edilizi, è la richiesta di verifica della sussistenza delle autorizzazioni previste dal DPR n. 542/1994 per gli impianti RM (risonanza magnetica).
Le autorizzazioni previste dal DPR 08.08.1994 n. 542 (Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento di autorizzazione all’uso diagnostico di apparecchiature a risonanza magnetica nucleare sul territorio nazionale), relative alla “collocazione” delle stesse (v. in particolare, art. 4), attengono ad aspetti di programmazione della assistenza sanitaria ovvero alle caratteristiche dell’apparecchio, aspetti che non interferiscono con le diverse valutazioni proprie dell’amministrazioni sotto il profilo urbanistico-edilizio.
6.3. In definitiva, in presenza di una istanza presentata ai sensi dell’art. 19, co. 6-ter, l. n. 241/1990, fondata su presupposti chiaramente non afferenti la materia edilizia, l’amministrazione non aveva alcun obbligo di provvedere e, conseguentemente, il silenzio dalla stessa serbato non è qualificabile come illegittimo inadempimento.
7. Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello deve essere rigettato, stante la sua infondatezza, con conseguente conferma della sentenza impugnata, con le precisazioni ed integrazioni di motivazione innanzi rappresentate (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.08.2018 n. 5115 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: In materia di d.i.a e s.c.i.a., non è configurabile sia la formazione di un provvedimento silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia, conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti schiettamente privatistici.
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10. Il Comune, con il primo e secondo motivo di gravame, ha eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di primo grado avverso la nota del 14.02.2007 e la seconda DIA, in collegamento con l’implicito provvedimento di assenso del Comune.
Sostiene la titolarità in capo al terzo che si assume leso solo di un’azione di accertamento, non potendosi configurare la DIA come un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma come mero atto privato. Argomenta, inoltre, in ordine alla tardività dell’impugnazione proposta, atteso che il mutamento di destinazione d’uso era stato oggetto della prima DIA, conosciuta e non impugnata, e che la seconda DIA costituiva solo una variante non essenziale della prima.
10.1. Ritiene il Collegio che, in ossequio al criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015), possa prescindersi dall’esame di tali eccezioni essendo il ricorso impugnatorio di primo grado infondato nel merito.
In limine è appena il caso di rilevare –come ribadito di recente dalla Sezione (cfr. sentenze nn. 2120 e 1967 del 2017)– che, in materia di d.i.a e s.c.i.a., non è configurabile sia la formazione di un provvedimento silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia, conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti schiettamente privatistici (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.07.2017 n. 3281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAl fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato.
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Il
nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
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In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato.
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L
addove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio).

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S
econdo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio.

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Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub. 5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio 16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del 04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo abilitativo in relazione ad un edificio di cui il richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig. Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto, per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016, con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata, sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in autotutela del permesso di costruire, rilasciato al controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31, comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34, comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al contenuto della dichiarazione del 2011 invocata dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per poter compiere l’intervento, dando conto della legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il sopralzo, essendosi privato di una sola porzione dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10 (autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio, avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere espressamente, trattandosi di richiesta avente natura meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile, senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente, né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V – 15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n. 404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n. 2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez. III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n. 411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse, sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale, non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità amministrativa e riguardanti:
   a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato conto;
   b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
   c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto per l’accoglimento della domanda formulata in via subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
   • entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
   • entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività istruttoria;
   • entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si nomina sin da ora quale Commissario ad acta il dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario, questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la valutazione degli eventuali e concorrenti profili di responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti sopra esposti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta avviene mediante attività che non è diretta a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza “l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. Ed anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio dell’affidamento”.
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Tali principi ancor più valgono con riferimento alla denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
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8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non appare meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti, dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori, prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons. Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del 12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta avviene mediante attività che non è diretta a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente (TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza “l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. Ed anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio dell’affidamento
” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141 del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017) ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato
” (ex multis, da ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il rigetto delle censure articolate avverso la successiva ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va rigettato (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Alla Corte costituzionale la mancata previsione, nell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, di un termine per la sollecitazione, da parte del terzo, delle verifiche sulla Scia.
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Scia – Verifica – Richieste dal terzo – Art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990 – Mancata previsione di un termine – Violazione artt. 3, 11, 97, 117, comma 1 Cost.
E' rilevante e non manifestamente infondata -per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, comma 1 Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117, comma 2, lett. m), Cost.- la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n. 241, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione, da parte del terzo, delle verifiche sulla Scia (1).
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   (1) Il Tar ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n. 241 nella parte in cui, disponendo che la tutela del terzo a fronte della Scia da altri presentata sia realizzabile esclusivamente attraverso lo strumento del silenzio-rifiuto di cui all’art. 31 c.p.a. rispetto alla mancata risposta dell’Amministrazione alla sollecitazione delle verifiche amministrative avanzata dal terzo medesimo, omette tuttavia di fissare il termine entro il quale il terzo può avanzare l’istanza di sollecitazione. In assenza della fissazione ad opera della norma del termine suddetto, e ritenendo il Collegio che siano prive di convincente base normativa le soluzioni che mirano ad individuare in via interpretativa il termine medesimo, la norma censurata finisce per ammettere una sollecitazione del potere di verifica della Scia da parte del terzo sine die.
In tal modo essa si espone però a consistenti dubbi di legittimità costituzionale per violazione dell’affidamento del segnalante, che a distanza anche di anni può veder messa in discussione la legittimità della intrapresa attività, per violazione del buon andamento della p.a., che è costretta a riaprite a distanza di tempo il procedimento di verifica suddetto, nonché per violazione del principio di ragionevolezza e tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost..
Ed invero, ha chiarito il Tar, “la mancata previsione di tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata) con un iter amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale disciplina della Scia risulta contraddittoria con tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda amministrativa, residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di rimettere in discussione la legittimità originaria dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere sollecitatorio di cui all’art. 19 comma 6-ter rischia di pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso. Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte cost. n. 297 del 2012 cit.), apre la strada a discipline territoriali eterogenee del suddetto termine, con conseguente disomogeneità degli standards di tutela a livello nazionale
” (TAR Toscana, Sez. III, ordinanza 11.05.2017 n. 667 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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MASSIMA
...per l'accertamento:
   - (in tesi): della inefficacia della SCIA presentata dal sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012;
   - (in ipotesi): della illegittimità dell’intervento edilizio di cui alla suddetta SCIA quanto alla prevista apertura di finestra;
   - (in ulteriore ipotesi): dell’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016, nonché sulle precedenti istanze indicate in atti.
...
1 - Con ricorso notificato in data 23.10.2016 e depositato il successivo 02.11.2016, la sig.ra Pa.Mu. è insorta avverso il silenzio serbato dal Comune di Campi Bisenzio sull’istanza di inibitoria da essa presentata in data 14.09.2016 avverso la SCIA del 06.12.2012, con cui il sig. Em.Ca. ha comunicato al suddetto ente l’intenzione di procedere a lavori di manutenzione straordinaria (tra cui l’apertura di una finestra) sull’immobile in cui è compresa (anche) l’abitazione della ricorrente.
1.1 - Più in particolare la SCIA edilizia per cui è causa ha ad oggetto la realizzazione di alcune “opere interne ed esterne di manutenzione straordinaria” in un fabbricato terratetto, facente parte di un più ampio complesso immobiliare, poi divenuto condominio, sito in Campi Bisenzio, alla Via ..., n. 79.
In particolare, gli interventi progettati dal segnalante consistono: nell’apertura di una finestra a servizio di camera da letto posta al piano primo dell’edificio; nella demolizione di un tramezzo interno del sottoscala; nella diversa conformazione dei gradini di accesso all’abitazione; ed, infine, nella copertura dell’ingresso con una tettoia di modeste dimensioni.
Di queste opere, è stata portata a compimento soltanto la finestra, posto che, a seguito dell’istanza rivolta dall’assemblea del condominio di Via degli Allori al Comune di Campi Bisenzio, e diretta a conseguire la sospensione dei predetti lavori per asserito contrasto dei medesimi con l’art. 3 del regolamento condominiale, l’Ente, con ordinanza n. 4 del 14.01.2013, ne ha disposto l’immediata sospensione.
1.2 - In data 12.11.2015 la sig.ra Mu. ha inviato all’amministrazione una richiesta di “parere sulla legittimità degli atti e delle procedure promosse con la SCIA” della quale si discute, cui -in assenza di risposta da parte del Comune- è seguito un primo sollecito del 16.12.2015, poi reiterato il 12.04.2016.
Tutte e tre le richieste sono rimaste inevase, cosicché la Sig.ra Pa.Mu., con nota del 23.06.2016, ha dapprima invitato l’amministrazione ad accertare l’inefficacia della SCIA presentata dal Sig. Em.Ca. e ad adottare tutti i conseguenti provvedimenti sanzionatori diretti alla rimessa in pristino dell’edificio e poi, con ulteriore istanza del 14.09.2016, proposta ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter, della L. 241/1990, ha nuovamente sollecitato l’Ente a svolgere le verifiche ad esso spettanti.
Il silenzio serbato dall’amministrazione anche su tale ultima istanza ha condotto alla proposizione da parte della Sig.ra Patrizia Mu. del ricorso in esame, proposto ai sensi dell’art. 31 c.p.a.
1.3 - Nello specifico la sig.ra Mu. rileva che la suddetta SCIA è stata presentata dal sig. Ca. senza previa acquisizione del nullaosta previsto dall’art. 3.2. del regolamento edilizio comunale per gli interventi su immobili di interesse “documentale” ai sensi del d.lgs. 490/1999 –quale sarebbe l’edificio de quo– con conseguente inefficacia della segnalazione ai sensi dell’art. 84 l. r. 1/2005.
Essa censura, inoltre, il contrasto con l’art. 3.2.2. del suddetto regolamento, poiché quest’ultimo stabilisce che su immobili del tipo in questione siano eseguibili soltanto interventi ripristinatori di aperture preesistenti, mentre il sig. Ca. ha realizzato ex novo una finestra. In via preventiva rispetto a possibili eccezioni, la ricorrente ha evidenziato che il gravame dalla stessa proposto risulterebbe tempestivo, poiché l’art. 19 comma 6-ter l. n. 241/1990, non prevedendo alcun termine per la proposizione dell’istanza di inibitoria di una SCIA da parte del terzo controinteressato, consentirebbe a quest’ultimo di sollecitare l’intervento repressivo dell’Amministrazione nonché –ove questa non provveda– di proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. senza alcun limite di tempo (ad eccezione dell’ordinario termine di prescrizione decennale). A fronte delle suesposte argomentazioni, la sig.ra Mu. ha concluso affinché l’adito Tribunale Amministrativo:
   a) in tesi, accerti e dichiari «che la SCIA presentata dal sig. Em.Ca. al Comune di Campi Bisenzio in data 06.12.2012 è inefficace» e per l’effetto accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare le opere eseguite in assenza di titolo abilitativo»;
   b) in ipotesi, accerti e dichiari «che l’intervento di cui alla SCIA presentata dal sig. Em.Ca.…è illegittimo quanto alla apertura della finestra» e, per l’effetto, accerti e dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di adottare i provvedimenti necessari a sanzionare detto abuso mediante chiusura della finestra suddetta»;
   c) in ulteriore ipotesi, dichiari «l’obbligo del Comune di Campi Bisenzio di pronunciarsi espressamente sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in data 14.09.2016, nonché sulle precedenti istanze presentate in atti».
1.4 - Si sono costituti in giudizio, per resistere al ricorso, il Comune di Campi Bisenzio e il controinteressato, che hanno eccepito la tardività del gravame, per tardiva sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, la inammissibilità delle azioni di accertamento e, per quanto concerne l’Amministrazione resistente, anche la inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione di parte ricorrente.
1.5 - Con ordinanza n. 141 del 2017 la Sezione ha evidenziato che con il presente ricorso parte ricorrente ha invero proposto una pluralità di azioni, volte sia all’accertamento della inefficacia della SCIA presentata dal controinteressato, sia all’accertamento della illegittimità dell’intervento edilizio segnalato, sia, infine, all’accertamento della sussistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di verifica presentata dalla ricorrente in relazione alla SCIA medesima, concludendo che solo l’ultima azione fosse trattabile con il rito camerale di cui all’art. 31 c.p.a. e che fosse quindi necessario, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., disporre la congiunta trattazione delle più domande proposte con rito ordinario, a tal uopo fissando l’udienza pubblica a ciò deputata.
1.6 - In esito alla svolta udienza pubblica, con sentenza non definitiva n. 618 del 2017 il Collegio:
   a) ha esaminato e respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intero gravame per difetto di legittimazione attiva, evidenziando come nella specie sussistano i presupposti della c.d. vicinitas, quale peculiare fattore di legittimazione all’azione giurisdizionale amministrativa, in forza del quale chi si trova in un rapporto di contiguità spaziale con un particolare luogo può contestare i provvedimenti che in concreto autorizzino la realizzazione di opere o impianti atti ad incidere sulla sua configurazione;
   b) ha esaminato e dichiarato inammissibili le due prime azioni di accertamento dispiegate dalla ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, stante il chiaro disposto dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 a mente del quale “gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”, con l’effetto che l’unica azione esperibile dal terzo è l’azione sul silenzio di cui all’art. 31 c.p.a.;
   c) ha avviato lo scrutinio dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a., proposta in via di ulteriore ipotesi dalla sig.ra Mu., esaminando l’eccezione di tardività della sollecitazione da parte del terzo del potere inibitorio della p.a.; nella suddetta sentenza non definitiva la Sezione è giunta alla conclusione che l’art. 19 l. n. 241/1990 non indichi un termine entro il quale il terzo è chiamato, a pena di decadenza, a sollecitare le verifiche amministrative relative alla SCIA presentata e che un simile termine non sia ricavabile dal sistema, giacché i termini di cui all’art. 29 e 31 c.p.a., evocati dalle parti resistenti, hanno natura affatto diversa e non sono quindi richiamabili in via analogica per coprire il segnalato vuoto normativo; la Sezione ha quindi evidenziato che tutto ciò porterebbe al risultato di ritenere infondata l’eccezione di tardività formulata dai resistenti, per mancanza di un termine legale sul quale parametrare la tempestività o meno della sollecitazione del potere di verifica effettuata dalla ricorrente; tuttavia la Sezione medesima ha infine posto in evidenza come l’evocato art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura in cui non prevede un termine entro il quale il terzo è legittimato ad esercitare il potere sollecitatorio delle verifiche amministrative previsto dalla stessa disposizione, risulti in contrasto con le disposizioni costituzionali di cui agli artt. 11, 117, comma 1°, 3, 97, 117, comma 2°, lett. m) Cost., anticipando che con separata ordinanza avrebbe provveduto a rimettere la evidenziata questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale.
2 – E’ necessario richiamare, preliminarmente, l’insieme delle norme attualmente regolanti l’istituto della SCIA e quindi ripercorrere i passaggi fondamentali dell’evoluzione giurisprudenziale riguardante la tutela del terzo controinteressato rispetto all’attività oggetto di segnalazione.
3 - Com’è noto, l’art. 19 della l. n. 241/1990 consente al privato di avviare, mediante semplice SCIA, l’esercizio di un’attività che dipende «esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale» e per la quale «non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale» (comma 1).
Ai sensi di tale norma, l’attività oggetto di SCIA «può essere iniziata…dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente» (comma 2), salvo il potere di quest’ultima di verificare successivamente l’effettiva sussistenza dei presupposti per lo svolgimento dell’attività medesima.
A tal proposito, l’art. 19, comma 3 (come modificato dalla l. n. 124/2015) prevede che, in caso di accertata carenza dei suddetti presupposti, l’Amministrazione possa adottare «motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi» nonché –ove possibili– provvedimenti diretti alla conformazione dell’attività ai requisiti di legge, purché proceda in tal senso entro sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione certificata del privato (comma 3) ovvero trenta giorni «nei casi di SCIA in materia edilizia» (comma 6-bis, introdotto dall’art. 5, co. 2, lett. b, del D.L. n. 70/2011).
Viceversa, una volta decorsi i suddetti termini, «l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 (ma in tal caso) alle condizioni previste dall'articolo 21-nonies», che –com’è noto– disciplina il potere di annullamento in autotutela dei provvedimenti illegittimi (cfr. art. 19, comma 4).
4 - Le sopra citate norme fissano i tratti significativi del potere di verifica ufficioso spettante all’amministrazione a seguito della presentazione di una SCIA. Da esse si evince, in particolare, che tale potere assume natura diversa a seconda che venga esercitato prima o dopo il decorso dei suddetti termini di sessanta o trenta giorni.
Invero, nel primo caso, l’amministrazione è tenuta semplicemente ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività segnalata e, pertanto, i poteri repressivi ad essa spettanti sulla SCIA assumono carattere doveroso e vincolato.
Viceversa, una volta scaduti i suddetti termini, il potere dell’amministrazione di inibire gli effetti della SCIA resta soggetto agli stessi presupposti previsti dalla legge per l’annullamento d’ufficio, tra cui –com’è noto– rientra l’obbligo di previa valutazione delle «ragioni di interesse pubblico» giustificative del provvedimento repressivo. Ne deriva che, in quest’ultimo caso, il potere dell’amministrazione di interdire la prosecuzione dell’attività segnalata ha natura discrezionale e non doverosa.
5 - In tale quadro, si inserisce il tema della tutela del terzo pregiudicato dall’intervento oggetto di SCIA, il quale ha costituito oggetto di un serrato dibattito giurisprudenziale negli anni che hanno preceduto l’emanazione del d.l. n. 138/2011.
5.1 - Invero, ancor prima dell’introduzione (ad opera di tale decreto legge) del comma 6-ter dell’art. 19 –il quale ha espressamente disciplinato il potere di reazione del terzo a fronte di una SCIA ritenuta illegittima– la giurisprudenza era suddivisa in più orientamenti.
Il primo, assumendo che il mancato esercizio del potere di verifica dell’Amministrazione desse luogo ad un provvedimento tacito di assenso all’attività segnalata, riteneva che il terzo leso da tale attività potesse esercitare l’ordinaria azione di annullamento avverso il suddetto titolo tacito (Cons. Stato, Sez. IV, 25.11.2008, n. 5811; id., 29.07.2008, n. 3742; id., 12.09.2007, n. 4828: Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007, n. 1550).
Un secondo orientamento stabiliva che il terzo pregiudicato da una SCIA dovesse proporre un’azione di accertamento negativo dei presupposti dell’attività segnalata. Azione che –in caso di accoglimento– avrebbe obbligato l’Amministrazione a conformarsi ai contenuti della pronuncia giudiziale nel successivo esercizio dei poteri repressivi (Cons. St., sez. VI, 09.03.2009, n. 717; Con. Stato, Sez. VI, 15.04.2010, n. 2139; Cons. St., sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
Infine, un’ulteriore filone giurisprudenziale reputava che lo strumento appropriato per assicurare protezione giuridica al terzo fosse l’azione (originariamente disciplinata dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, ossia quella) avverso il silenzio serbato dall’amministrazione nel procedimento di verifica ufficiosa dei presupposti della SCIA. Azione che, qualora accolta dal giudice dopo la scadenza dei termini di cui all’art. 19 comma 3, avrebbe comportato –secondo certe pronunce– la condanna dell’Amministrazione ad esercitare il potere inibitorio avente carattere doveroso e vincolato (Cons. Stato, Sez. V, 22.02.2007, n. 948); viceversa –secondo altri arresti– l’ordine all’amministrazione stessa di attivare l’autotutela decisoria (avente invece contenuto discrezionale: Cons. Stato, Sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
5.2 – I suesposti contrasti giurisprudenziali sono stati in parte (e solo temporaneamente) sanati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 29.07.2011, n. 15, la quale ha stabilito:
   a) che la scadenza dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, senza che l’amministrazione abbia esercitato i poteri inibitori di cui alle medesime norme, dà luogo alla formazione di una determinazione tacita di conclusione negativa dell’accertamento in ordine ad eventuali vizi della segnalazione nonché di diniego di esercizio delle suddette potestà repressive; con conseguente onere per il terzo controinteressato di proporre avverso tale provvedimento l’azione di annullamento entro l’ordinario termine decadenziale, termine che, secondo la Plenaria, decorre dalla data di acquisita conoscenza, da parte del terzo medesimo, dell’iniziativa per lui pregiudizievole;
   b) che il controinteressato che abbia impugnato il silenzio negativo, benché siano scaduti i termini per l’adozione dei suddetti provvedimenti inibitori, ha comunque diritto «ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale»; perciò egli può sempre proporre, congiuntamente all’azione di annullamento del diniego tacito, la c.d. azione di adempimento, tesa ad ottenere una pronuncia che imponga all’amministrazione l’adozione del negato provvedimento inibitorio ove non vi siano spazi per la regolarizzazione della denuncia ai sensi del comma 3 dell’art. 19 della legge n. 241/1990;
   c) infine che, nelle more della formazione del titolo tacito, il terzo che abbia avuto conoscenza dell’iniziativa segnalata può proporre un’azione di accertamento autonoma in ordine alla legittimità o meno della SCIA (azione suscettibile di conversione automatica in mezzo impugnatorio in caso di emanazione dell’atto conclusivo del procedimento di verifica) nonché, congiuntamente a tale azione, chiedere la tutela interinale di cui agli artt. 55 e 61 c.p.a..
5.3 - Gli assunti fatti propri dall’autorevole arresto giurisprudenziale richiamato sono stati (pressoché immediatamente) superati con l’introduzione (ad opera dell’art. 6, comma 1, lett. c, del D.L. n. 138/2011) del comma 6-ter dell’art. 19, l. n. 241/1990, il quale disciplina espressamente gli strumenti di tutela del terzo a fronte della segnalazione di un’attività privata per esso lesiva.
Tale norma ha anzitutto previsto che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili».
In secondo luogo, il citato comma 6-ter ha precisato che, al fine di contestare la sussistenza dei presupposti dell’attività segnalata da altro soggetto, il terzo ha facoltà:
   a) di «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione»;
   b) di «esperire –in caso di inerzia di quest’ultima– esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
In altri termini, il nuovo testo dell’art. 19, comma 6-ter obbliga il privato che intenda contrastare l’attività oggetto di SCIA a sollecitare in via amministrativa l’intervento repressivo dell’Ente pubblico e, in caso di mancata risposta di quest’ultimo, a ricorrere in sede giurisdizionale avverso il silenzio dallo stesso serbato.
La citata previsione esclude quindi radicalmente l’ammissibilità –nell’attuale quadro normativo– degli strumenti di tutela a suo tempo riconosciuti dalla sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria al soggetto pregiudicato dall’altrui segnalazione.
Tanto si evince, in primo luogo, dall’affermazione per cui «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Ciò che, evidentemente, nel nuovo contesto disciplinare, manifesta l’intento del legislatore di escludere che l’inerzia dell’Amministrazione nell’attività di verifica abbia il valore di silenzio significativo e, conseguentemente, di espungere l’azione di annullamento dal quadro delle tutele spettanti al terzo avverso l’altrui segnalazione certificata.
In secondo luogo, la suddetta norma precisa che la tutela del controinteressato può essere realizzata «esclusivamente» mediante l’azione avverso il silenzio, ciò che evidentemente rende inammissibili le azioni di accertamento autonome che la sentenza n. 15/2011 consentiva al terzo di esperire nella fase compresa fra la presentazione dell’altrui SCIA e la scadenza dei termini per l’inibitoria ufficiosa.
Ne deriva che l’unico strumento di reazione processuale spettante al terzo in virtù della nuova disposizione è l’azione avverso il silenzio.
6 - L’esposta scelta legislativa impone di stabilire se il potere sollecitato con l’azione avverso il silenzio (proposta dopo il decorso dei termini di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis) sia quello inibitorio ovvero quello di autotutela. Rileva il Collegio come il citato comma 6-ter pare aver (implicitamente) superato le incertezze a suo tempo messe in luce dalla giurisprudenza sotto tale profilo, poiché la formulazione della norma rende evidente che il potere stimolato dal controinteressato mediante il ricorso ex art. 31 c.p.a. è quello inibitorio (avente natura doverosa e vincolata) e non quello di autotutela, caratterizzato invece da alto tasso di discrezionalità. In tal senso depongono molteplici elementi logici e testuali.
6.1 - Il primo di essi è certamente costituito dalla previsione secondo cui il terzo, prima di promuovere l’eventuale ricorso avverso il silenzio, è tenuto a «sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione». Da tale prescrizione si desume infatti che il controinteressato ha onere di attivare un procedimento di verifica dei presupposti della SCIA separato ed autonomo rispetto a quello ufficioso disciplinato dal comma 3 dell’art. 19 (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 23.10.2015, n. 4998). Dal che deriva, all’evidenza, che il regime dettato dal comma 4 –secondo cui il potere repressivo ufficioso dell’amministrazione degrada in autotutela dopo il decorso dei termini di cui al comma 3– non è applicabile alla procedura di controllo avviata su istanza del terzo. Al contrario, nell’ambito di tale procedura, l’amministrazione esercita (solo) le proprie potestà inibitorie.
6.2 - Nel senso che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’Ente pubblico depone anche il richiamo operato dal comma 6-ter all’art. 31, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104/2010 (d’ora innanzi “c.p.a.”).
Invero, com’è noto, tali norme individuano il presupposto essenziale dell’azione avverso il silenzio nell’inadempimento dell’Ente pubblico all’obbligo di concludere il procedimento amministrativo mediante una determinazione espressa. Obbligo che, com’è noto, non è configurabile rispetto al potere di autotutela, il quale è incoercibile dall’esterno mediante il ricorso contro l’inerzia amministrativa (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 07.07.2014, n. 3426; id., sez. V, 22.01.2014 n. 322; id., Sez. IV, 22.01.2013, n. 355; con particolare riferimento all’autotutela sulla SCIA: cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161; TAR Campania, Sez. VII, n. 4998/2015).
Ne consegue che il rinvio alle suddette prescrizioni si spiega solo accedendo alla tesi secondo cui terzo –con l’istanza ex art. 19 comma 6-ter– attiva il potere inibitorio dell’Amministrazione.
6.3 - Infine, un’ulteriore (ed ancora più significativa) conferma di tale tesi, è costituita dal richiamo compiuto dal comma 6-ter al comma 3 del citato art. 31 c.p.a., secondo cui il giudice adito con l’azione avverso il silenzio può «pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio» nei casi in cui l’Amministrazione ha esaurito le valutazioni discrezionali e gli adempimenti istruttori di sua competenza ovvero quando il potere da essa esercitato ha natura vincolata.
Ora, il riferimento espresso a tale disposizione implica che il terzo esercente la suddetta azione possa richiedere al giudice l’accertamento in ordine alla spettanza o meno del bene della vita oggetto del procedimento (rappresentato, nella specie, dal provvedimento repressivo dell’intervento denunciato) e che, in caso di accertamento positivo, tale giudice possa condannare l’Amministrazione all’emanazione del provvedimento medesimo (cfr. TAR Liguria, Sez. I, 09.04.2013, n. 611). Ciò implica necessariamente che il legislatore –laddove ha richiamato il comma 3 dell’art. 31 c.p.a.– ha implicitamente riconosciuto che gli strumenti di reazione del privato, di cui al comma 6-ter dell’art. 19, sono volti a stimolare la (sola) potestà inibitoria dell’Ente pubblico e non anche il suo intervento in autotutela.
6.4 - In favore di questa soluzione si è peraltro espressa autorevole giurisprudenza, secondo cui «il comma 6-ter dell'art. 19, riservando al terzo la possibilità di sollecitare l'amministrazione ad effettuare le verifiche di sua competenza e contemplando altresì la possibilità che avverso il silenzio mantenuto su tale istanza il terzo possa tutelarsi mediante l'azione ex art. 31 c.p.a., ha evidentemente presupposto che in esito alla presentazione della S.c.i.a. e della D.i.a. non si formi alcun provvedimento espresso o tacito e che pertanto le istanze sollecitatorie del terzo non hanno la finalità di eccitare dei poteri di autotutela amministrativa di secondo grado» (TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 30.11.2016, n. 2274; id., 15.04.2016, n. 735; id., 21.1.2014, n. 2799; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
6.5. Del resto, l’opposta tesi giurisprudenziale –secondo cui, decorsi i termini di cui all’art. 19 comma 3, il terzo attiva il (mero) potere di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016; id., 22.09.2014, n. 4780; Cons. Stato, Sez. IV, 19.03.2015, n. 1493; TAR Calabria, Sez. I, n. 1533/2016)– oltre ad essere incompatibile con il disposto dell’art. 19, comma 6-ter, per le suesposte ragioni, contrasta con l’interpretazione conforme a Costituzione della norma stessa.
A quest’ultimo proposito, giova ricordare che, secondo il condivisibile principio affermato dalla Plenaria n. 15/2011 (in questa parte non scalfita dall’introduzione del comma 6-ter dell’art. 19), i caratteri dell’interesse pretensivo del terzo impongono «in un’ottica costituzionalmente orientata, di accedere ad una lettura del sistema delle tutele che consenta al terzo stesso di esperire un’azione idonea ad ottenere il risultato della cessazione dell’attività lesiva non consentita dalla legge mediante il doveroso intervento dell’amministrazione titolare del potere di inibizione». In altri termini, secondo la Plenaria, il controinteressato rispetto all’altrui SCIA ha diritto «ad ottenere una pronuncia che impedisca lo svolgimento di un’attività illegittima mediante un precetto giudiziario puntuale e vincolante che non subisca l’intermediazione aleatoria dell’esercizio di un potere discrezionale».
Ebbene, è evidente che la tesi che riconduce l’intervento dell’amministrazione su istanza del terzo al mero potere di autotutela è incompatibile col suddetto principio, poiché subordina integralmente la tutela del terzo stesso ad una valutazione discrezionale dell’Amministrazione in ordine alla sussistenza o meno di un interesse pubblico alla rimozione degli effetti della SCIA contestata.
7 – Il meccanismo di tutela del terzo congegnato dall’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 richiede, per la sua concreta operatività, l’individuazione di tre distinti termini: il primo è il termine entro il quale il terzo deve sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione, presentando la relativa istanza; il secondo è il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi su tale istanza, ovvero quel lasso temporale decorso il quale, come dice la norma, essa deve considerarsi inerte; l’ultimo è il termine entro il quale il terzo deve esperire l’azione avverso il silenzio mantenuto dall’amministrazione sulla sua richiesta di provvedere.
Osserva il Collegio come il secondo e terzo termine siano agevolmente rinvenibili; il termine concesso all’amministrazione per pronunciarsi sull’istanza sollecitatoria del privato, ancorché non fissato espressamente dalla norma in considerazione, è tuttavia agevolmente rinvenibile dal sistema con richiamo alla disciplina generale codificata dall’art. 2 l. n. 241/1990, secondo cui, in mancanza di una diversa previsione normativa espressa, i procedimenti amministrativi ad istanza di parte devono tutti concludersi entro trenta giorni dal ricevimento della domanda da parte dell’amministrazione competente; il termine per la proposizione dell’azione sul silenzio è invece fissato espressamente dall’art. 31 c.p.a., il cui secondo comma precisa che quest’ultima può proporsi fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
Non risulta invece fissato dall’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, né ricavabile dal sistema, il termine entro il quale il terzo deve presentare la propria istanza di sollecitazione delle verifiche amministrative, con apertura della possibilità interpretativa in base alla quale il terzo resterebbe sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi inibitori nonché di agire ex art. 31 c.p.a avverso il silenzio eventualmente serbato dall’Amministrazione, che è esattamente la lettura offerta dalla ricorrente (che richiama solo il termine prescrizionale decennale).
8 –
Ritiene il Collegio che, prima di analizzare l’opzione ermeneutica da ultimo evocata –che, come si vedrà, espone la norma a censure di incostituzionalità– sia necessario procedere ad un’attenta verifica interpretativa circa la possibilità di rinvenire la delimitazione temporale del potere sollecitatorio del terzo da altre previsioni regolanti la materia in questione.
8.1 - Una prima soluzione interpretativa è quella di ritenere che il termine concesso al controinteressato per presentare l’istanza sollecitatoria sia lo stesso che la norma assegna all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio ufficioso, cioè sessanta ovvero trenta giorni dalla presentazione della SCIA, secondo quanto disposto dai commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della L. 241/1990; in tale lettura una volta che l’amministrazione è decaduta dalle potestà inibitorie ufficiose ex art. 19, commi 3 e 6-bis, sarebbe anche definitivamente preclusa la possibilità per il terzo di ottenere un intervento repressivo, con conseguente onere per lo stesso di presentare l’istanza sollecitatoria prima della scadenza dei suddetti termini, onde conservare l’aspettativa alla soddisfazione del suo interesse pretensivo.
Si tratta tuttavia di opzione ermeneutica non convincente, in quanto manifestamente illogica.
I termini in considerazione sono strutturati con riferimento all’esercizio del potere di verifica ufficiosa, il che giustifica che il loro dies a quo sia fatto coincidere con il <ricevimento della segnalazione> da parte dell’amministrazione; ma essi finirebbero per risultare di pratica inoperatività ove applicati all’esercizio del potere sollecitatorio del terzo, atteso che nessuna norma assicura al medesimo la tempestiva comunicazione della presentazione della SCIA né tanto meno dell’inizio dell’attività segnalata; il terzo finirebbe quindi per rimanere privo di qualsiasi forma di tutela ove apprendesse della lesività dell’intervento dopo il decorso del termine concesso all’amministrazione per provvedere; d’altra parte, anche laddove il terzo fosse tempestivo, ma la sua istanza intervenisse in prossimità della scadenza di tale termine, ben difficilmente egli otterrebbe l’intervento di tutela cui aspira, restringendosi l’arco temporale entro il quale l’amministrazione dovrebbe accertare l’illegittimità dell’attività oggetto di SCIA nonché inibirne la prosecuzione.
8.2 - Una seconda prospettiva interpretativa sostiene che la facoltà del controinteressato di proporre l’istanza inibitoria ex art. 19, comma 6-ter, sarebbe soggetta al termine decadenziale di sessanta giorni, valido anche per la proposizione dell’ordinario ricorso annullatorio, termine che, in caso di SCIA, decorrerebbe dalla data in cui l’istante ha avuto notizia della segnalazione per esso lesiva. La tesi è sostenuta da Cons. Stato, Sez. IV, n. 5161/2015 cit. e ripresa dalle sentenze del TAR Lombardia (Milano) Sez. II, 30.11.2016, n. 2274, 15.04.2016, n. 735 e 05.12.2016, n. 2301, le quali precisano inoltre che il terzo, una volta decorso il suddetto termine decadenziale, non rimane del tutto privo di strumenti di reazione, ma conserva, nei confronti dell’Amministrazione, il potere di diffida all’adozione di atti di autotutela.
Il Collegio ritiene non condivisibile la proposta interpretazione.
Si tratta di statuizioni giurisdizionali sicuramente apprezzabili nel loro tentativo di eliminare le incertezze applicative della norma in commento, ma che risultano prive di base normativa, alla luce delle norme sull’interpretazione, e danno conseguentemente luogo ad una inammissibile integrazione pretoria del precetto normativo.
Il problema in esame riguarda infatti l’individuazione del termine assegnato al terzo per sollecitare l’intervento di verifica da parte dell’amministrazione sulla SCIA presentata da altro soggetto; si tratta quindi di termine inerente l’esercizio di una facoltà di attivazione del privato, funzionale a mettere in moto l’esecuzione di verifiche amministrative ad istanza di parte, sulla legittimità della SCIA presentata da altri; l’operazione ermeneutica che ritiene qui applicabile l’ordinario termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso provvedimenti amministrativi, non tiene conto della diversità ontologica della disciplina invocata (termine per le proposizione di atto “processuale”) rispetto all’ambito di attività in esame (ricerca di termine per attivazione del privato in sede “amministrativa”); non sussiste quindi nella specie il presupposto di “casi simili o materie analoghe” solo ricorrendo il quale è possibile l’utilizzo dell’analogia ai sensi dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale.
8.3 - Una terza tesi richiama il termine annuale di cui all’art. 31, comma 2, c.p.a., ritenendo che il terzo debba sollecitare l’amministrazione nell’anno dal deposito della SCIA presso i competenti uffici.
Anche questa tesi non convince, posto che il termine richiamato è concesso al terzo, non per stimolare l’intervento dell’amministrazione, ma per la proposizione dell’azione avverso il silenzio eventualmente formatosi sulla sua istanza; la richiesta di provvedere avanzata dal terzo apre, infatti, una nuova fase procedimentale, all’esito della quale l’amministrazione ha l’obbligo di pronunciarsi con un provvedimento espresso, sia esso di accoglimento (caso della SCIA illegittima) oppure di rigetto (caso della SCIA legittima); nell’ipotesi in cui poi essa rimanga inerte, lasciando inutilmente decorrere il termine di trenta giorni assegnatole, secondo la regola generale di cui all’art. 2 l. n. 241/1990, per la conclusione dei procedimenti amministrativi ad istanza di parte, il terzo potrà proporre l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. entro un anno dalla formazione del silenzio.
Ne consegue che anche l’operazione ermeneutica qui evocata, nella misura in cui trasporta il termine annuale dall’art. 31 c.p.a. alla disciplina dell’esercizio della sollecitazione amministrativa del terzo, compie una interpretazione non consentita e che, ancora una volta, confonde un termine processuale (quello dell’art. 31 c.p.a.) con un termine amministrativo (quello per la sollecitazione delle verifiche da parte della p.a.).
8.4 - Una diversa lettura del sistema è fornita da una pronuncia (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4610/2016 cit.) che supera invero il problema del termine per la proposizione dell’istanza sollecitatoria, affermando che il soggetto leso dall’iniziativa segnalata è comunque tenuto a proporre il ricorso di cui all’art. 31 c.p.a. entro il termine complessivo di un anno dalla data di acquisita «piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica».
La tesi non convince.
Essa utilizza il termine annuale dell’art. 31 c.p.a. non come termine per la presentazione della diffida del terzo, ma come termine per la proposizione dell’azione ex art. 31 c.p.a., da proporsi anche prescindendo dalla presentazione della diffida di cui all’art. 19 comma 6-ter l. n. 241/1990, termine che decorrerebbe dalla piena conoscenza della SCIA. Da un primo punto di vista tale ricostruzione risulta contraddire la natura propria del ricorso ex art. 31 c.p.a, il quale presuppone l’avvenuta presentazione di un’istanza di avvio (ovvero l’attivazione ufficiosa) di un procedimento amministrativo e la formazione del c.d. silenzio-inadempimento dell’amministrazione procedente. D’altra parte essa contrasta con il chiaro disposto del comma 2 del medesimo art. 31, secondo cui l’azione avverso il silenzio «può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento».
Pertanto, anche la suddetta impostazione non appare al Collegio idonea a superare le criticità riscontrate.
8.5 - Né varrebbe a sanare la criticità in esame il richiamo del termine di 18 mesi previsto per l’annullamento d’ufficio dall’art. 21-nonies (come modificato dalla l. 124/2015) ed oggi applicabile anche all’intervento in autotutela sulla SCIA in base al combinato disposto della suddetta norma con l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990.
Invero, tale soluzione risulterebbe in contrasto con il disposto dell’art. 19, comma 6-ter, in primo luogo, poiché quest’ultimo consente al terzo di stimolare l’esercizio del potere inibitorio puro (e non dell’autotutela) dell’Ente pubblico. In secondo luogo, perché tale termine, riferendosi all’autotutela ufficiosa, risulta difficilmente conciliabile con le caratteristiche di un procedimento ad istanza di parte, come quello attivato dal terzo ai sensi dell’art. 19, comma 6-ter.
Tanto appare, peraltro, confermato da quanto prevede oggi l’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 222/2016, secondo cui, nei casi di autotutela sulla SCIA, il suddetto periodo di 18 mesi «decorre dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere ordinario di verifica da parte dell’amministrazione competente». Ciò che chiarisce la riferibilità del suddetto limite temporale alle (sole) potestà repressive esercitate dall’Amministrazione in via ufficiosa.
Da tutto ciò consegue, che l’applicazione della suddetta disposizione al procedimento di cui all’art. 19, comma 6-ter, esorbiterebbe totalmente dai limiti che l’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale impone all’interpretazione analogica del giudice e, in definitiva, si tradurrebbe in una inammissibile modificazione pretoria dell’ambito applicativo del precetto legislativo.
9 – Le considerazioni che precedono evidenziano chiaramente che l’attuale regime della SCIA non prevede un termine per la presentazione da parte del terzo dell’istanza sollecitatoria delle verifiche amministrative di cui all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che tale termine non è desumibile dal sistema normativo, con la conseguenza che la diffida del terzo dovrebbe ritenersi tempestiva anche se proposta a notevole distanza di tempo dall’avvenuto deposito della segnalazione presso l’Ente competente.
Ritiene tuttavia il Collegio che una simile lettura si porrebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare l’affidamento del segnalante circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione nonché con il generale principio di certezza dei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione. Ne consegue che, ad avviso del Collegio, l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella misura in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo dei poteri di verifica amministrativa della SCIA presentata da altri, si espone a dubbi di legittimità costituzionale che risultano rilevanti nella presente fattispecie e non manifestamente infondati.
10 –
La prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, cit. risulta connotata dal requisito della rilevanza, ai fini della proposizione della questione incidentale di costituzionalità.
La rilevanza discende dalla diretta applicabilità al caso concreto della norma la cui costituzionalità è messa in discussione (cfr. Corte Cost., ordd. nn. 264/2015; 111/2009) e deve valutarsi alla stregua del criterio della pregiudizialità, in virtù del quale la rilevanza va affermata ogniqualvolta la causa non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione (cfr. Corte Cost., sentt. nn. 270/2010; 151/2009; 303/2007; 50/2007; 84/2006).
Non è dubitabile che nella fattispecie in esame debba farsi applicazione della disciplina di cui all’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 e che la questione controversa non possa essere definita senza fare applicazione della suddetta norma e affrontando da parte del giudice il tema del termine entro il quale il terzo può porre in essere l’intervento sollecitatorio delle verifiche spettanti all’amministrazione.
In primo luogo, infatti, come risulta dalla narrativa in fatto, la ricorrente sig.ra Pa.Mu. ha posto in essere una serie di atti di sollecitazione del potere di verifica da parte dell’amministrazione della legittimità della SCIA presentata dal sig. Em.Ca. in data 06.12.2012; essa in particolare ha sollecitato il Comune di Campi Bisenzio ad effettuare le suddette verifiche con note del 12.11.2015, 16.12.2015, 12.04.2016, 23.06.2016 e 14.09.2016, quest’ultima istanza proposta anche espressamente ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n. 241/1990. In secondo luogo, come chiarito nella narrativa in fatto, nel giudizio di merito questo Tribunale Amministrativo, sciolte altre questioni pregiudiziali, ha dovuto affrontare l’eccezione di tardiva sollecitazione dei poteri di verifica da parte del terzo, sollevata dalla parti resistenti, ed ha ritenuto che tale questione non fosse risolvibile senza la proposizione della presente questione di costituzionalità. Allo stato della legislazione la suddetta eccezione dovrebbe essere respinta.
Come già ampiamente illustrato, il comma 6-ter non prevede un termine entro il quale il terzo debba sollecitare l’intervento dell’amministrazione, né tale termine, come sopra evidenziato, può ricavarsi dal sistema, con la conseguenza che, stando così le cose, appare del tutto irrilevante la circostanza che, rispetto alla data di presentazione della SCIA edilizia da parte del Sig. Em.Ca., avvenuta il 06.12.2012, la Sig.ra Pa.Mu. abbia atteso ben due anni ed undici mesi per rivolgersi al Comune di Campi Bisenzio (la prima richiesta di intervento è del 12.11.2015) ed addirittura tre anni e nove mesi (se si considera l’istanza del 14.09.2016) prima di stimolare l’Ente ad esercitare i poteri inibitori ai sensi del comma 6-ter dell’art. 19 l. n. 241/1990.
D’altra parte l’azione giudiziaria ai sensi dell’art. 31 c.p.a. risulta proposta nell’anno dalla formazione del silenzio sulla richiesta di provvedere rivolta dalla medesima all’amministrazione; dagli atti di causa si rileva infatti che la Sig.ra Pa.Mu. ha notificato il proprio ricorso in data 23.10.2016 e, quindi, anche considerando la prima delle istanze dalla stessa formulate, ovvero quella del 12.11.2015, entro il prescritto termine di un anno; posto, infatti, che su tale istanza il silenzio si è formato il 12.12.2015 (e cioè, secondo quanto disposto dall’art. 2 della L. 241/1990, decorsi trenta giorni dalla presentazione dell’istanza senza che l’amministrazione si sia pronunciata su di essa) e che il menzionato termine di un anno è cominciato a decorrere proprio da tale data, la ricorrente avrebbe avuto a disposizione sino al 12.12.2016 per proporre l’azione avverso il silenzio mantenuto dal Comune di Campi Bisenzio.
Ne consegue, come già rilevato, che in applicazione della disciplina vigente, questo Tribunale Amministrativo dovrebbe dichiarare la infondatezza dell’avanzata eccezione di tardività. Ma, ad avviso del Collegio, la mancata fissazione di un termine entro il quale il terzo debba sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione si pone in contrasto, come meglio si vedrà di seguito, con una serie di parametri costituzionali.
La pronuncia della Corte costituzionale che dovesse accogliere la questione di legittimità costituzionale, come di seguito proposta, avrebbe sicuri effetti sulla decisione della presente questione, sia nell’ipotesi di pronuncia additiva, con la quale cioè la Corte dovesse fornire al giudice remittente il parametro temporale sulla cui base verificare la tardività o meno della sollecitazione dei poteri inibitori da parte del terzo, sia nell’ipotesi di declaratoria pura della illegittimità dell’art. 19, comma 6-ter, cit. per mancata previsione del termine di sollecitazione da parte del terzo dei poteri di verifica dell’amministrazione, la quale ultima renderebbe inoperativo, sino all’intervento additivo del legislatore, il sistema del silenzio-inadempimento, imponendo all’interprete, al fine di decidere la controversia, di applicare il diritto vivente così come ricostruito dalla giurisprudenza anteriormente all’introduzione del comma 6-ter da parte del legislatore medesimo.
11 –
Ritiene il Collegio che la mancanza di indicazione di un termine entro il quale il terzo possa sollecitare le verifiche amministrative sulla SCIA presentata da altri renda l’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990 costituzionalmente illegittimo.
In punto di non manifesta infondatezza, il Collegio evidenzia come la citata disposizione normativa contrasta con svariati principi di rilievo costituzionale, tra cui, in primo luogo, quello di tutela dell’affidamento del segnalante (quale desumibile dagli articoli 3, 11 e 117, co. 1 Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE), in secondo luogo, quello del buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) ed infine quello di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di tutela dei livelli essenziali di cui all’art. 117, comma 2, lett. m) Cost..
11.1 – In primo luogo il Collegio ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, laddove non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche amministrative, per violazione della necessaria tutela dell’affidamento del segnalante, come desumibile dagli artt. 3, 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE.
L’esigenza di tutelare l’affidamento circa la stabilità dei rapporti tra privato e pubblica amministrazione costituisce principio cardine dell’attività amministrativa in tutti i settori dell’intervento pubblico.
A questo proposito, già con la sentenza del 12.07.1957, Algera, C-7/56 e C- 3-7/57, la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto che l’affidamento del privato circa la stabilità del provvedimento amministrativo a lui favorevole dev’essere tutelato anche laddove l’Amministrazione disponga di un potere amministrativo repressivo del provvedimento stesso (quale quello di revoca e/o annullamento d’ufficio). In particolare, tale principio impone che i suddetti poteri vengano esercitati dall’Ente pubblico «almeno entro un limite di tempo ragionevole» dal rilascio dell’atto ampliativo della sfera giuridica del privato. Tale principio è stato poi ripetutamente confermato dalla giurisprudenza comunitaria (ex multis CGCE, 03.03.1982, Alpha Steel Ltd. c. Commissione, C-14/81; id., 26.02.1987, Consorzio Cooperative d’Abruzzo c. Commissione, C-15/85).
Com’è noto, peraltro, il suddetto assunto ha trovato riconoscimento espresso nell’ordinamento nazionale, il quale, con varie disposizioni, ha sancito un limite temporale alla possibilità per l’Amministrazione di tornare su decisioni precedentemente adottate ed incidenti sulla sfera giuridica di soggetti privati. Così ad esempio l’art. 1, comma 136, della l. 311/2004 (non più vigente), stabiliva che l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi incidenti su rapporti negoziali non potesse «essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante».
Analogamente, l’art. 21-nonies l. n. 241/1990 ha sancito che l’annullamento ufficioso di un (qualsivoglia) atto amministrativo debba intervenire «entro un termine ragionevole». Peraltro, a seguito delle modifiche introdotte a tale norma dalla l. 124/2015, si è precisato che il suddetto termine ragionevole non può comunque eccedere i «diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Ebbene, il citato principio di affidamento trova applicazione anche in materia di SCIA.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 19, comma 4, l. n. 241/1990 prevede che «decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis (cioè degli atti propriamente inibitori), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 alle condizioni previste dall'articolo 21-nonies»: e cioè (tra l’altro) nel rispetto del suddetto termine ragionevole.
Ebbene, come recentemente chiarito dalla Corte costituzionale (pronunciatasi in un caso di SCIA edilizia), le suddette previsioni «debbono considerarsi il necessario completamento della disciplina dei titoli abilitativi, poiché la individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall’Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi». Più nello specifico, la Corte ha chiarito che il rinvio all’autotutela (e conseguentemente al termine ragionevole di cui all’art. 21-nonies) contenuto in suddette norme «si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo ed il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall’altra» (Corte Cost. n. 49/2016).
In altri termini –secondo la Corte– le suddette previsioni hanno espressamente tutelato l’affidamento del segnalante in ordine alla legittimità dell’intervento denunciato, prevedendo che il mancato esercizio dei poteri inibitori puri entro i termini perentori di cui all’art. 19, commi 3 e 6-bis, fondi una legittima aspettativa del privato circa la legittimità dell’iniziativa intrapresa. Aspettativa che può essere nuovamente posta in discussione dall’Ente pubblico solo mediante ricorso alle forme (aggravate) dell’autotutela decisoria e che si consolida definitivamente con il decorso dell’ulteriore termine di 18 mesi per l’esercizio di tale autotutela.
È ben vero che il sistema introdotto dal citato art. 19, comma 4, non può operare laddove la verifica dei presupposti della SCIA sia stata sollecitata dal terzo ai sensi del comma 6-ter del medesimo articolo (infatti, come sopra chiarito, l’attuale testo dell’art. 19 consente al controinteressato di attivare un autonomo procedimento di controllo sulla legittimità della segnalazione, il quale deve concludersi, in caso di accertata insussistenza dei presupposti di legge, con un provvedimento di repressione dell’attività abusiva).
Tuttavia, è evidente che le esigenze di salvaguardia dell’affidamento del segnalante si ripropongono (con analoga cogenza) anche nei rapporti tra quest’ultimo ed il terzo proponente l’istanza di cui all’art. 19, comma 6-ter. Sarebbe infatti irragionevolmente discriminatoria l’interpretazione che riconoscesse tutela all’affidamento dell’autore della segnalazione solo nei confronti dell’iniziativa repressiva ufficiosa dell’amministrazione e non anche rispetto alle verifiche che quest’ultima effettua su richiesta del controinteressato.
Pur a fronte di ciò, tuttavia, la norma in esame non prevede un termine per la proposizione dell’istanza diretta a stimolare tali verifiche e conseguentemente espone il segnalante al rischio permanente dell’inibizione dell’attività iniziata. Così facendo, l’attuale meccanismo legislativo, da un lato esaspera la tutela del terzo, d’altro lato pretermette quella del segnalante e, in definitiva, vanifica l’intento (chiaramente palesato dal testo complessivo dell’art. 19) di favorire il consolidamento dell’aspettativa del segnalante stesso per effetto del mero decorso del tempo.
Da quanto sopra, ad avviso del Collegio, emerge la violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di affidamento, nonché la violazione dell’art. 3 Cost., essendo irragionevole che la tutela dell’affidamento venga espressamente contemplata (con la temporizzazione dell’intervento) a fronte dell’esercizio dell’autotutela amministrativa e non a fronte dell’esercizio dei poteri di verifica attivati dal terzo.
La SCIA è infatti idonea ad ingenerare nel segnalante –a fronte del mancato esercizio dei poteri amministrativi repressivi– un certo affidamento in ordine alla legittimità dell’intervento avviato. Affidamento che dev’essere garantito –sia nei confronti dell’amministrazione che in quelli del controinteressato– mediante la fissazione di precisi termini entro (e non oltre) i quali i controlli amministrativi sulla regolarità della SCIA non possono più essere attivati né in via ufficiosa, né su istanza di parte.
Alla luce di quanto sopra, dunque, risulta evidente l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, il quale –in aperto contrasto con i suddetti principi– attribuisce al terzo un potere di sollecito a tempo indeterminato nei confronti dell’Ente pubblico e, conseguentemente, restituisce a quest’ultimo una potestà di intervento sine die sull’iniziativa denunciata.
A ciò si aggiunga che, con specifico riguardo alla materia edilizia, la suesposta soluzione normativa dà luogo ad un’irragionevole disparità di trattamento dei privati il cui intervento sia assoggettato, rispettivamente, al regime della SCIA ovvero a quello del permesso a costruire, ponendo ulteriore questione di violazione dell’art. 3 Cost..
Invero, com’è noto, in quest’ultimo caso lo strumento di tutela azionabile dal controinteressato è l’azione di annullamento del titolo abilitativo eventualmente rilasciato al richiedente. In tale ipotesi, dunque, l’affidamento di quest’ultimo è garantito dalla previsione del termine decadenziale generale di sessanta giorni per l’esperimento della suddetta azione, decorso il quale il permesso diventa inoppugnabile e l’aspettativa del richiedente stesso si consolida definitivamente (almeno nei confronti dei controinteressati).
Viceversa, in caso di SCIA, l’art. 19, comma 6-ter, codifica il principio opposto: di fronte ai terzi lesi dall’iniziativa segnalata, l’interesse del segnalante alla prosecuzione di quest’ultima non si consolida mai e, al contrario, recede sempre a fronte della pretesa dei terzi stessi alla rimozione dell’attività per essi lesiva.
Orbene, pur non potendosi predicare la necessaria parificazione delle tutele del segnalante e del soggetto richiedente il permesso di costruire, data la notevole differenza dei citati meccanismi abilitativi, è pur vero che tale diversità non giustifica la totale pretermissione (ma casomai il diverso bilanciamento) dell’affidamento maturato in capo all’autore della SCIA. Pena il crearsi di un’irragionevole disparità di trattamento tra posizioni soggettive aventi contenuto (se non analogo, quantomeno) affine.
Da quanto sopra deriva, ad avviso di questo Tribunale, la violazione dei principi costituzionali sopra richiamati.
11.2 – La prospettata questione di illegittimità costituzionale risulta del pari non manifestamente infondata per contrasto della norma in questione con i principi di ragionevolezza e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost..
A questo proposito, merita anzitutto osservare che il meccanismo introdotto dall’art. 19, comma 6-ter, impone all’amministrazione, su semplice istanza del terzo, di avviare un procedimento di verifica a contenuto (in tutto e per tutto) analogo a quello già svolto in via ufficiosa ai sensi dell’art. 19 comma 3.
Peraltro, come sopra chiarito, la citata norma non prevede un termine per la presentazione della suddetta istanza, con la conseguenza che l’Ente pubblico è tenuto a verificare nuovamente i presupposti dell’attività segnalata anche qualora sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla relativa comunicazione.
Ora, è chiaro che il suesposto modello si pone in contrasto con i principi di cui alle citate norme costituzionali, nella misura in cui impone all’amministrazione, quale che sia il momento in cui sopravviene l’istanza del controinteressato, di rivedere la posizione assunta in precedenza (in sede di verifica ufficiosa) circa la legittimità dell’iniziativa segnalata.
Sul punto, si rileva anzitutto che la fissazione di precisi limiti temporali entro cui devono essere adottati i provvedimenti definitivi in ordine alle procedure (ivi comprese quelle di verifica) di competenza dell’amministrazione costituisce «applicazione generale…, sia pure non esaustiva, del principio costituzionale di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione) negli obiettivi di tempestività, pubblicità, partecipazione dell'azione amministrativa, quali valori essenziali in un ordinamento democratico» (Corte cost. n. 262/1997). Invero, è evidente che il rispetto dei termini perentori entro cui devono essere conclusi gli accertamenti e le valutazioni rimessi agli apparati pubblici incentiva l’efficienza degli apparati stessi nonché la ponderazione delle scelte adottate, stante l’impossibilità del loro ripensamento.
Viceversa, la possibilità incondizionata di rivalutare –anche a notevole distanza di tempo– l’assetto di interessi raggiunto con le precedenti determinazioni produce un effetto deflattivo sull’efficienza, aumenta il rischio di adozione di decisioni contraddittorie da parte dello stesso Ente e, in definitiva, pregiudica il buon andamento dell’azione pubblica.
Peraltro, si evidenzia che, riguardo al controllo ufficioso sulla legittimità o meno della SCIA, il legislatore ha fissato precisi termini alle facoltà di intervento dell’amministrazione (tanto in via inibitoria quanto in via di autotutela). Dacché si desume che lo stesso regime del controllo ufficioso prevede un limite temporale oltre il quale l’interesse pubblico all’eliminazione delle attività abusive viene meno, prevalendo su di esso l’esigenza di certezza dei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione.
E’ dunque evidente che la riapertura del procedimento di verifica dei presupposti della SCIA a fronte di un’istanza presentata dal terzo oltre i suddetti limiti temporali non può dirsi funzionale alla tutela di alcun interesse pubblico, il quale invece recede a fronte delle suddette esigenze di certezza.
Al contrario, il riavvio del suddetto procedimento si traduce in un inutile dispendio di attività per l’Ente pubblico, il quale, dopo un periodo di tempo (anche notevole) dalla presentazione della SCIA, sarebbe tenuto ad intraprendere una complessa attività istruttoria volta ad accertare l’originaria legittimità o meno dell’attività segnalata.
Peraltro tale ulteriore aggravio non trova assolutamente giustificazione nel rango dell’interesse tutelato dall’art. 19, comma 6-ter.
Infatti tale norma salvaguarda (solo) un’aspettativa individuale: quella del terzo leso dall’iniziativa segnalata a che la stessa iniziativa venga interrotta. Nondimeno, l’Ente pubblico, quando procede su istanza del controinteressato è sempre tenuto a provvedere in via inibitoria (anche a discapito del buon andamento amministrativo e dell’affidamento del segnalante). Viceversa, quando procede alle verifiche ufficiose –le quali assicurano il ben più pregnante interesse collettivo al controllo sul legittimo avviamento delle attività regolamentate– l’Ente stesso è tenuto a rispettare gli stringenti limiti temporali imposti dall’art. 19 commi 3, 4 e 6-bis. Ciò che evidentemente configura un meccanismo di tutela sproporzionatamente asimmetrico in capo al segnalante a seconda che l’attivazione delle verifiche amministrative avvenga in via ufficiosa o ad istanza del terzo.
Né in senso contrario può sostenersi che l’esclusione di una simile potestà di intervento sine die pregiudicherebbe le esigenze di contrasto agli illeciti commessi dai privati nei vari settori di attività in cui trova applicazione l’istituto della SCIA. Invero, per tutelare tali esigenze l’Amministrazione dispone di autonomi poteri repressivi sottratti al regime generale dell’art. 19 della l. n. 241/1990 (così ad esempio, nella materia che ci occupa, l’Amministrazione stessa dispone di poteri c.d. di “vigilanza edilizia” -cfr. artt. 27, 30-34, 37 del D.P.R. n. 380/2001– che sfuggono anche al «termine ragionevole» di cui all’art. 21-nonies: ex multis TAR Lazio, Roma, Sez. I-quater, 22.4.2016, n. 4713). Ma tali poteri non comportano un riesame della legittimità originaria dell’intervento già assentito con il precedente titolo abilitativo. Bensì attengono al riscontro di eventuali successive violazioni del titolo stesso ovvero alla repressione di iniziative intraprese senza previa consultazione dell’autorità competente.
Con la conseguenza che neanche la generale esigenza di repressione degli abusi nei settori di attività non liberalizzate (quale è in buona parte l’attività edilizia) giustifica il modello di tutela del terzo introdotto dall’art. 19, comma 6-ter.
Orbene, le suesposte considerazioni mostrano già come tale modello costituisca un ostacolo al buon andamento dell’azione amministrativa, traducendosi potenzialmente in un notevole aggravio di attività per l’Amministrazione coinvolta, con effetti pregiudizievoli per i valori di celerità, stabilità ed efficienza sopra richiamati.
Vi è tuttavia un altro dato che rende evidente il contrasto tra la citata norma ed il suddetto principio costituzionale, ossia il rischio di un vero e proprio stallo delle Amministrazioni preposte al controllo delle attività oggetto di SCIA, a causa delle incertezze interpretative derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 19, comma 6-ter.
A questo proposito, giova premettere che –come ripetutamente chiarito dal Giudice delle leggi– il principio del buon andamento sancito dall’art. 97 Cost. rappresenta, non solo un parametro di legittimità dell’azione amministrativa, ma anche un canone per il corretto esercizio della potestà normativa, in virtù del quale il legislatore deve assicurare quanto più possibile la chiarezza ed univocità interpretativa delle norme che l’amministrazione è tenuta ad applicare nell’esercizio del potere pubblico. Configurandosi, in caso contrario, un vizio capace di inficiare la stessa legittimità costituzionale della legge approvata.
Ed invero, la Corte costituzionale ha più volte sancito che «non è conforme a tale disposizione (art. 97 Cost.) l’adozione, per regolare l’azione amministrativa, di una disciplina normativa “foriera di incertezza”, posto che essa può tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione» (Corte Cost., 16.04.2013, n. 70; Corte Cost., 22.12.2010, n. 364; in termini –anche se con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost.– Corte Cost., 20.07.2012, n. 200).
Ebbene, è evidente che la norma in questione pone l’Ente pubblico –chiamato a provvedere sull’istanza sollecitatoria del terzo– in stato di totale incertezza in ordine all’esistenza (o meno) di un obbligo a provvedere sull’istanza medesima.
Invero, a seconda dell’interpretazione data dall’Ente alla disposizione in esame, il sollecito del privato può ritenersi, di volta in volta, tardivo ovvero tempestivo. Con la conseguenza che, nel primo caso, l’Amministrazione è legittimata a dichiarare l’irricevibilità dell’istanza senza previo svolgimento di alcuna istruttoria (cfr. art. 2 comma 1, l. 241/1990). Viceversa, nel secondo caso, essa è tenuta a svolgere la verifica sui presupposti della SCIA ed a concluderla tramite l’emanazione di un atto espresso, pena la proposizione dell’azione di cui all’art. 31 c.p.a. da parte del terzo pretermesso.
Del resto, la molteplicità delle tesi proposte dalla giurisprudenza in ordine all’individuazione del termine per la presentazione dell’istanza del controinteressato, da un lato, acuisce le difficoltà interpretative poste dall’art. 19 comma 6-ter a carico dell’amministrazione e, d’altro lato, conferma la sostanziale incertezza del disposto di tale articolo. Dacché emerge, plasticamente, il contrasto di quest’ultimo con i suesposti principi costituzionali.
11.3 - Fermo quanto sopra, il Collegio ritiene che la non manifesta infondatezza della questione in oggetto emerga altresì dal contrasto tra la norma censurata ed il canone di ragionevolezza delle scelte legislative sancito nell’art. 3 Cost, in relazione all’art. 117, co. 2, lett. m, Cost..
Sul punto, si osserva anzitutto che svariate disposizioni di legge riconducono la normativa nazionale in materia di SCIA ai «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» e che, com’è noto, sono rimessi alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), Cost. (cfr. art. 29, comma 2-quater l. 241/1990; art. 49, comma 4-ter, d.l. 78/2010, conv. con l. 122/2010).
Peraltro, nel condividere il suddetto assunto legislativo, la Corte Costituzionale ha chiarito che tutto il meccanismo della segnalazione certificata di inizio attività costituisce «prestazione specifica» dello Stato nei confronti del cittadino anche laddove viene tutelato «il diritto dell’interessato ad un sollecito esame, da parte della pubblica amministrazione competente, dei presupposti di diritto e di fatto che autorizzano l’iniziativa medesima» (Corte Cost., 27.06.2012, n. 164).
Tale assunto si riferisce evidentemente ai controlli amministrativi sulla legittimità o meno della SCIA che, secondo il Giudice delle leggi, devono essere assistiti dalla previsione legislativa di puntuali limiti temporali, diretti ad assicurare il «sollecito esame» dell’iniziativa denunciata e, in quanto tali, rientranti nei “livelli essenziali” di tutela della posizione del segnalante ex art. 117, comma 2, lett. m) Cost..
La suddetta affermazione –benché espressa dalla Corte con precipuo riferimento ai controlli ufficiosi di cui all’art. 19, commi 3, 4 e 6-bis– non può non valere anche riguardo alle verifiche amministrative svolte su istanza del terzo. Invero, rispetto a queste ultime, la posizione del segnalante presenta le stesse esigenze di sollecita definizione del procedimento inibitorio che le citate norme tutelano quando il procedimento stesso è avviato d’ufficio dall’Ente pubblico.
Sennonché, mentre rispetto a tali controlli ufficiosi il segnalante può contare sulla previsione di specifici termini decadenziali entro cui i controlli stessi devono necessariamente concludersi (e che, come detto, costituiscono “livelli essenziali” ex art. 117, co. 2, lett. m, Cost.), l’art. 19, comma 6-ter, non prevede alcun limite temporale alla possibilità che il terzo solleciti il potere inibitorio dell’amministrazione. Con la conseguenza che il termine per il compimento di tale sollecito resta escluso dal novero dei livelli essenziali di cui all’art. 117 comma 2, lett. m), Cost.
Tale soluzione normativa è palesemente irragionevole, poiché omette di disciplinare un elemento indispensabile alla tenuta complessiva del meccanismo semplificatorio introdotto dal legislatore e da quest’ultimo ascritto ai livelli essenziali delle prestazioni garantite su scala nazionale.
A questo proposito, è appena il caso di accennare che –secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale– l’art. 117, comma 2, lett. m) Cost. pone, in materia di livelli essenziali, una riserva di legge (relativa, ma) rinforzata «in quanto vincola il legislatore ad apprestare una garanzia uniforme sul territorio nazionale» (Corte Cost., 19.12.2012, n. 297). In particolare, nell’attuazione di tale riserva, il legislatore è tenuto a determinare gli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni da garantire (come detto, in modo uniforme) agli aventi diritto» (Corte Cost. 10.6.2010, n. 207; id., 05.04.2013, n. 62; id., 15.01.2010, n. 10), dacché deriva che la riserva stessa, oltre a ripartire le competenze normative in materia di livelli essenziali, impone al legislatore di prevedere standards minimi uniformi delle prestazioni riconducibili ai livelli stessi.
È evidente che nei suddetti standards minimi non possono non rientrare anche i termini per la conclusione dei controlli amministrativi sui presupposti della SCIA tanto nei casi in cui l’iniziativa repressiva è avviata d’ufficio dall’Ente pubblico (come del resto già affermato dalla citata sentenza n. 164/2012) quanto nelle ipotesi in cui il procedimento inibitorio è avviato su istanza del terzo.
Invero, la mancata previsione di tali termini è idonea a vanificare del tutto la prestazione somministrata dallo Stato al cittadino sotto forma di semplificazione delle procedure abilitative per lo svolgimento di attività (come quella edilizia) non liberalizzate. Se in teoria infatti la semplificazione dovrebbe consentire di raggiungere il medesimo risultato (assentimento dell’iniziativa privata) con un iter amministrativo più snello di quello ordinario, l’attuale disciplina della SCIA risulta contraddittoria con tali finalità: da un lato invero, essa non assicura sempre una riduzione dell’attività burocratica (poiché il procedimento di verifica dei presupposti della segnalazione può essere avviato più volte a fronte di plurime istanze di soggetti controinteressati); e, d’altro lato, tale disciplina non conduce mai ad una regolamentazione definitiva degli interessi contrapposti nella vicenda amministrativa, residuando sempre un potere-dovere dell’Amministrazione di rimettere in discussione la legittimità originaria dell’intervento segnalato, ogniqualvolta essa riceva una domanda di intervento da parte di un terzo.
Peraltro, si evidenzia che l’esclusione dal novero dei livelli essenziali del termine per l’esercizio del potere sollecitatorio di cui all’art. 19, comma 6-ter, rischia di pregiudicare l’esigenza di uniformità normativa che caratterizza l’istituto della SCIA nel suo complesso. Invero, tale opzione legislativa, data la peculiare natura della riserva posta dall’art. 117, comma 2, lett. m), Cost. (la quale consente l’intervento regionale sugli aspetti di dettaglio del regime dei livelli essenziali: cfr. Corte Cost. n. 297/2012 cit.), apre la strada a discipline territoriali eterogenee del suddetto termine, con conseguente disomogeneità degli standards di tutela a livello nazionale.
Da tali considerazioni emerge, ad avviso del Collegio, l’assoluta illogicità e sproporzione del meccanismo di tutela sine die apprestato dall’art. 19, comma 6-ter, alla posizione del soggetto leso dall’altrui SCIA nonché, in definitiva, un’illegittima compressione dei livelli essenziali delle prestazioni riconosciute al segnalante dalla norma nazionale.
Alla luce di quanto sopra, dunque, il precetto normativo censurato risulta palesemente incostituzionale.
12 – Alla luce delle considerazioni che precedono
il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, l. n. 241/1990, nella parte in cui non prevede un termine per la sollecitazione da parte del terzo delle verifiche sulla SCIA, per contrasto con gli artt. 3, 11, 97, 117, co. 1 Cost., in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU ed all'art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE, e 117 comma 2 lett. m) Cost..
Dispone quindi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della suddetta questione, sospendendo nelle more il presente giudizio.

EDILIZIA PRIVATALa DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie che estende a detti titoli abilitativi il regime generale dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale.

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È impugnato -unitamente agli atti presupposti e conseguenti- il provvedimento con il quale il Comune di Andria ha intimato alla ditta esecutrice, odierna ricorrente, ai proprietari e al direttore dei lavori "la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre 90 giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione, delle opere realizzate presso il lastrico solare sovrastante il quinto piano del complesso edilizio ubicato in via Catullo, in difformità al permesso di costruire n. 190 del 20.10.2004 (P.E. n. 260/01) e relativa variante in corso d'opera n. 190/ A/ V del 10.10.2005, in zona classificata B/5 nel vigente P.R.G. e consistenti così come decritti nella premessa, che qui s'intende integralmente richiamata".
Le opere in questione, così come descritte nella premessa dell’ordine di demolizione, hanno ad oggetto “la realizzazione di una unità volumetrica, composta da un unico vano con scala di collegamento con la sottostante unità immobiliare ed un vano w.c., ultimata e rifinita, completa di impianto elettrico, idrico-fognante e termico il tutto funzionale ad uso di civile abitazione, con superficie lorda complessiva coperta di circa mq. 31,00 (anziché mq. 16,00 circa), altezza utile interna di circa mt. 2,80 (anziché mt. 2,30 circa) e con volume complessivo lordo di circa mc. 95,00 (anziché mc. 41,00 circa)”.
L’ordinanza di demolizione, espressamente richiama, quale atto presupposto, l’annullamento d’ufficio della DIA presentata il 31.10.2006 dalla Società Ed.Ma. s.r.l., titolare del permesso di costruire il complesso edilizio in questione.
Il Comune aveva infatti riscontrato, in sede di sopralluogo del 30.9.2008, un aumento della superficie, dell’altezza interna e della volumetria, nonché la trasformazione, in locali residenziali, dei vani tecnici –fra i quali quello oggetto del provvedimento impugnato- posti sul lastrico solare delle otto palazzine di cui detto complesso si compone in quanto dette opere sono state ritenute non assentibili tramite DIA.
...
3.1. Il primo motivo è infondato, al pari del secondo che da esso dipende.
La DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie che estende a detti titoli abilitativi il regime generale dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104.
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Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla presentazione della DIA da parte del controinteressato, il Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla conservazione delle lievi modifiche effettuate e della pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che prevalesse il primo e supportando la propria convinzione, altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
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... per l'annullamento:
- della dichiarazione di inizio attività n. 13/05 depositata da Da.Fe. in data 16.02.2005 ed avente ad oggetto “ristrutturazione e divisione unità immobiliare al piano terreno e recupero del sottotetto a fini abitativi” di un immobile sito in Uboldo;
- con motivi aggiunti, del provvedimento dell’01.06.2007 con il quale il comune di Uboldo ha deciso di non procedere all’annullamento d’ufficio della DIA succitata.
...
Con il ricorso principale e per i motivi nello stesso dedotti, gli istanti, proprietari di fabbricati siti in prossimità di quello del controinteressato nel comune di Uboldo, hanno impugnato la dichiarazione di inizio attività indicata in epigrafe, avente ad oggetto la ristrutturazione e la divisione di un’unità immobiliare al piano terreno e il recupero del sottotetto a fini abitativi depositata dal controinteressato medesimo.
Con ricorso per motivi aggiunti hanno, invece, impugnato, limitatamente alla porzione concernente la ristrutturazione al piano terreno dell’immobile, il provvedimento del primo giugno 2007 con il quale il comune di Uboldo, dopo avere avviato il procedimento teso all’eventuale esercizio dell’autotutela, ha deciso di non procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA succitata.
...
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di accogliere l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dall’Amministrazione intimata e dal controinteressato.
Ed invero, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241/1990, così come introdotto dal d.l. n. 138/2011: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Ne risulta l’inammissibilità del ricorso proposto in via principale avverso la DIA presentata dal controinteressato.
Riguardo, invece, al ricorso per motivi aggiunti, instaurato avverso il provvedimento con il quale il comune di Uboldo ha ritenuto di non procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA succitata, gli istanti hanno dedotto, sostanzialmente: l’illegittimità dell’intervento di ristrutturazione e divisione dell’unità immobiliare al piano terreno ai sensi dell’art. 42 delle NTA del PRG vigente, trattandosi di un edificio ubicato in zona produttiva D1 e non residenziale, ove sarebbero consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria; l’illegittimo esercizio da parte del Comune del potere di autotutela, subordinato alla verifica di un particolare interesse pubblico all’annullamento, invece che di quello sanzionatorio; l’illegittimità del provvedimento comunale nella parte in cui si riferisce alla normativa urbanistica sopravvenuta, che pacificamente ammette l’intervento di ristrutturazione in questione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, atteso che, indipendentemente dal verificarsi o meno di un minimo aumento del carico urbanistico a seguito dell’effettuazione dell’intervento di ristrutturazione al piano terreno, il Comune intimato, nell’esercizio discrezionale del proprio potere di autotutela, si è determinato nel senso della prevalenza dell’interesse del privato che aveva presentato la DIA, in capo al quale si era ingenerato l’affidamento della legittimità della ristrutturazione dallo stesso eseguita.
Ed invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo. La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780).
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla presentazione della DIA da parte del controinteressato, il Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla conservazione delle lievi modifiche effettuate e della pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che prevalesse il primo e supportando la propria convinzione, altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso per motivi aggiunti va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.01.2017 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Sulla tempistica da osservare, da parte del terzo, per inibire l'esecuzione dei lavori edilizi con DIA/SCIA.
Vi è un orientamento, seguito dal giudice d’appello, secondo cui l’istanza di esercizio del potere inibitorio riguardante una denuncia di inizio attività deve essere inoltrata all’amministrazione –pena la tardività del giudizio istaurato avverso il provvedimento che dà ad essa riscontro– non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza della denuncia stessa.
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo deve formulare la predetta istanza, non contenendo l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna prescrizione in proposito.
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti principi:
   a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del potere inibitorio;
   b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima (potere inibitorio puro);
   c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela;
   d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione si pronuncia sulla sua istanza.
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al solo fine di stabilire quale tipo di potere l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non conformità della stessa alla vigente normativa).
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Il controinteressato eccepisce ancora la tardività del ricorso rilevando che, nella sostanza, la ricorrente intende paralizzare gli effetti della DIA del 30.01.2014 e che, per questo motivo, l’istanza di esercizio del potere inibitorio avrebbe dovuto essere depositata non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla sua conoscenza.
Con altra eccezione, lo stesso controinteressato rileva che, nel caso specifico, sono ormai decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio e che, quindi, l’istanza della ricorrente non potrebbe aver l’effetto di rimettere in termini l’Amministrazione. Potrebbe dunque esercitarsi il solo potere di autotutela del quale, comunque, non sussisterebbero i presupposti, non avendo la medesima Amministrazione effettuato l’attività di comparazione degli interessi a tal fine necessaria. La ricorrente non avrebbe, quindi, secondo il controinteressato, alcun interesse alla proposizione del ricorso.
In proposito si osserva quanto segue.
Si deve dare atto che, effettivamente, vi è un orientamento, seguito dal giudice d’appello, secondo cui l’istanza di esercizio del potere inibitorio riguardante una denuncia di inizio attività deve essere inoltrata all’amministrazione –pena la tardività del giudizio istaurato avverso il provvedimento che dà ad essa riscontro– non oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza della denuncia stessa (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
Il Collegio tuttavia non condivide questo orientamento in quanto non aderente al dato normativo. Non vi è infatti alcuna norma che ponga un termine entro il quale il terzo deve formulare la predetta istanza, non contenendo l’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 alcuna prescrizione in proposito (cfr. sul punto TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114).
Si deve peraltro osservare che, con specifico riferimento alla DIA/SCIA in materia edilizia, la Sezione, in alcune recenti pronunce, ha avuto modo di affermare i seguenti principi:
   a) il terzo può sollecitare in qualsiasi momento l’esercizio del potere inibitorio;
   b) se la relativa istanza viene inoltrata entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla piena conoscenza della DIA/SCIA, l’amministrazione deve esercitare il suddetto potere paralizzando l’attività del denunciante sulla base del mero riscontro dell’illegittimità di quest’ultima (potere inibitorio puro);
   c) se invece l’istanza del terzo viene depositata dopo il decorso del suddetto termine, l’amministrazione può intervenire unicamente qualora sussistano i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela;
   d) il terzo può sempre impugnare l’atto con cui l’amministrazione si pronuncia sulla sua istanza (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 15.04.2016, n. 735).
Il rispetto del termine di sessanta giorni rileva dunque al solo fine di stabilire quale tipo di potere l’amministrazione potrà esercitare, giacché, se il terzo interviene tempestivamente, gli deve essere assicurata, ai sensi degli artt. 3 e 24 Cost., una tutela non inferiore a quella di cui avrebbe goduto qualora avesse tempestivamente impugnato un permesso di costruire (e siccome in questo caso, il giudice avrebbe annullato l’atto sulla base del mero riscontro della sua illegittimità, allo stesso modo l’amministrazione deve privare la DIA/SCIA dei propri effetti abilitativi sulla base del mero riscontro della non conformità della stessa alla vigente normativa).
Non è dunque rilevante, ai fini della valutazione della tempestività del ricorso in esame, il fatto che, nel caso concreto, l’istanza della ricorrente sia stata inoltrata all’Amministrazione dopo il decorso del termine di sessanta giorni dal momento di piena conoscenza della DIA presentata dal controinteressato, essendo unicamente rilevante il fatto che sia stato tempestivamente impugnato l’atto che ha dato riscontro all’istanza di sollecitazione all’esercizio del potere inibitorio.
Né tale ritardo rileva ai fini della valutazione dell’interesse alla proposizione del gravame, posto che l’Amministrazione conserva comunque la possibilità di effettuare un intervento subordinato al riscontro dei presupposti dell’autotutela.
Neppure è decisivo il fatto che l’Amministrazione, in occasione dell’adozione degli atti impugnati, non abbia effettuato l’attività di comparazione degli interessi coinvolti.
L’accoglimento del ricorso costringerebbe infatti la stessa Amministrazione ad aprire nuovamente il procedimento, nel corso del quale ben potrà essere effettuata l’attività di comparazione degli interessi coinvolti; attività considerata in prima battuta non necessaria stante la ritenuta insussistenza dei profili di illegittimità denunciati dalla ricorrente.
Vi è dunque, quantomeno, un interesse strumentale alla proposizione del ricorso, posto che, in esito al nuovo procedimento, potrebbe essere adottato un atto favorevole alla ricorrente stessa.
Per tutte queste ragioni, le eccezioni in esame risultano infondate
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.11.2016 n. 2274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di reati edilizi, nel caso in cui la denuncia di inizio attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22, commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente,
nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma terzo, d.P.R. n. 380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità parziale.
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2.1. Nella specie, la Corte territoriale non si è uniformata a tali principi, rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado ed agli elementi probatori acquisiti, ma non esaminando, dall'altro, le specifiche censure rivolte con l'appello a quella pronuncia.
Al ricorrente è stato contestato il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 per aver realizzato lavori di esecuzione di un deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi provenienti da demolizioni edili, con difformità rispetto alle previsioni progettuali.
E' stato accertato che, in sede di accesso, venivano riscontrate le difformità rispetto alle previsioni progettuali di cui alla denuncia di inizio lavori presentata dall'imputato al Comune di San Marco d'Alunzio in data 04.08.2011 e, cioè, occupazione di un'area della superficie pari a mq 92,82 anziché mq 79,56, realizzazione di muretti dell'altezza di m 3,20 anziché m. 2,00, aumento dell'altezza del muretto di divisione esterno lato ovest, omessa realizzazione di un adeguato sistema di canalizzazione delle acque meteoriche.
Va ricordato, in proposito, che
la DIA prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3 (cd DIA alternativa o SuperDIA), non è istituto ontologicamente diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti (cd DIA semplice, ora SCIA) dal quale non si distingue certo per il carattere dell'onerosità, che ben può essere comune e differisce da esso soltanto in relazione agli interventi assoggettabili (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio.
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, -in cui la DIA (ora S.C.I.A.), si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio- l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
Questa Corte ha, infatti, affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) D.P.R. 06.06.2001, n. 380, ex art. 22, commi 1 e 2, (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dal citato D.P.R. n. 380, art. 44, lett. a), atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dallo stesso D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, (Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, invece, in cui la DIA (DIA alternativa o superDIA), ai sensi del successivo art. 44, comma 2-bis, si pone come alternativa al permesso di costruire, l'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) (Sez. 5, 26.04.2005, Giordano; Sez. 3, 09.03.2006, n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon).
La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento. Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere, poi, effettivamente eseguite (Sez. 3, n. 47046 del 26/10/2007, Rv. 238463).
Non trova, comunque, sanzione penale la difformità parziale: le sanzioni di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 sono applicabili soltanto in caso di assenza o totale difformità dalla DIA, atteso che la esclusione dell'ipotesi di parziale difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di edificazione con permesso di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la DIA (Sez. 3, n.44248 del 23/09/2004, Croattini).
E' stato osservato, a tal proposito, che
le opere per le quali l'art. 1, comma 6, della legge 21.12.2001 n. 443 ha previsto la possibilità, a scelta dell'interessato, di procedere in base a DIA in alternativa al premesso di costruire (previsioni trasfuse, poi, con modificazioni nell'art. 22, comma 3, del T.U. n. 380/2001) sono rimaste soggette, rientrando in origine esclusivamente nel regime concessorio, alla sanzione di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001, con la conseguenza che integrano il reato previsto da tale norma le opere suddette, quando siano state realizzate in assenza sia del permesso di costruire sia della DIA, ovvero in totale difformità rispetto alla DIA inoltrata (Sez. 5, n. 23668 del 26/04/2005, Rv. 231905).
2.2. In definitiva, in tema di reati edilizi,
nel caso in cui la denuncia di inizio attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22, commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001; diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma terzo, d.P.R. n. 380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità parziale (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Rv. 243099, cit.) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2016 n. 47970).

EDILIZIA PRIVATALa Scia è un alert per la p.a.. Sentenza Cds.
L'amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo leso da una attività posta in essere da altro privato a seguito di una Scia, ha l'obbligo di procedere all'accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo. Ma scaduti i termini per l'esercizio dei poteri inibitori subentra la discrezionalità dell'ente il quale deve tenere conto anche dell'eventuale affidamento.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Sez. VI, con sentenza 03.11.2016 n. 4610.
Decisione che assume particolare rilevanza in relazione al fatto che gli artt. 19 e 21-nonies della legge 241/1990, che disciplinano rispettivamente la Scia ed il potere di autotutela esercitato dalla p.a., sono stati di recente modificati dalla legge Madia, ovvero la legge 124/2015 e questo è uno dei primi pronunciamenti che affrontano la problematica connessa ai poteri dell'amministrazione a seguito di una azione proposta dal cosiddetto terzo.
Alla luce del fatto che il comma 6-ter dell'art. 19, ha rilevato il collegio, ha stabilito che la Scia non è provvedimento tacito direttamente impugnabile, ma gli interessati possono soltanto sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione prevista dal codice del processo amministrativo avverso il silenzio della p.a., vanno chiarite le questioni relative al tempo dell'azione esperibile dal terzo e al tipo di potere che il terzo stesso può «sollecitare».
A tale proposito il collegio, pur dando atto dell'esistenza di un orientamento il quale ritiene che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare all'amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche dopo la scadenza del termine di 30 (per l'edilizia) e di 60 giorni per le altre fattispecie previsti dall'art. 19, legge 241/1990, la sezione ha ritenuto preferibile l'interpretazione della disposizione nel senso che il terzo può chiedere la condanna dell'amministrazione all'esercizio del potere ma in tal caso quest'ultimo deve comunque rispettare i requisiti che giustificano l'autotutela amministrativa per l'atto di secondo grado il quale, oggi, tiene conto anche dell'affidamento nel frattempo maturato (articolo ItaliaOggi del 16.11.2016).

EDILIZIA PRIVATASe il potere inibitorio dell’amministrazione sulla presentata SCIA, su denuncia del terzo, può essere esercitato anche oltre il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
In relazione al tempo, non è perfettamente adattabile lo schema dell’azione avverso il silenzio inadempimento a quella proposto dal terzo nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone entro il termine di un anno dalla conclusione del procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa. Non è, pertanto, a conoscenza “diretta” dell’andamento procedimentale della vicenda. Ne consegue che il termine decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame, si connota in modo peculiare perché:
   i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”;
   ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di azione verrebbero frustrate le ragioni della liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe essere destinatario di atti amministrativi inibitori dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il privato che ha presentato la SCIA, in quanto l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese.

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... per la riforma della sentenza 11.07.2015 n. 1114 del TAR Piemonte, Torino, Sez. II.
...
1.– La questione all’esame del Collegio attiene alla natura dei poteri che l’amministrazione può esercitare a seguito di una azione proposta da un terzo leso da una attività posta in essere da altro privato a seguito di segnalazione certificata di inizio attività.
...
3.– Nel merito è necessario stabilire se è corretta l’interpretazione, seguita dal primo giudice, secondo cui il potere inibitorio dell’amministrazione, su denuncia del terzo, può essere esercitato anche oltre il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
4.– Il suddetto art. 19 dispone che l’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della sua presentazione all’amministrazione competente.
Il comma 3 di prevede che l’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per lo svolgimento dell’attività oggetto di SCIA, «nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni».
La stessa norma aggiungeva che: «è fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies 21-nonies» della stessa legge 241. Il comma 6-bis dispone che «nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni».
Il comma 4 prevedeva che: «decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente».
L’ art. 25, comma 1, lett. b-bis), del decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, ha modificato quest’ultimo inciso, disponendo che «è fatto comunque salvo il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, nei casi di cui al comma 4 del presente articolo».
Il richiamato comma 4, anch’esso modificato, prevede che decorso il termine per l’esercizio dei poteri inibitori «all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente».
La legge n. 124 del 2015 ha nuovamente modificato il comma 4, disponendo che decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti inibitori «l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies». Quest’ultima norma è stata anch’essa modificata dall’art. 6 della legge n. 124 del 2015, il quale ha previsto che il provvedimento illegittimo «può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (…) e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge».
Il comma 6-ter, introdotto dall’ art. 6, comma 1, lett. c), del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14.09.2011, n. 148, dispone che: «La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104».
Il richiamo anche al terzo comma dell’art. 31 implica che il giudice amministrativo «può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione».
5.– La non chiarezza del vigente quadro normativo ha posto le questioni –non risolte dal legislatore (cfr. Consiglio di Stato, comm. spec., parere 30.03.2016, n. 839)– relative al tempo dell’azione esperibile dal terzo e al tipo di potere che il terzo stesso può “sollecitare”.
In relazione al tempo, non è perfettamente adattabile lo schema dell’azione avverso il silenzio inadempimento a quella proposto dal terzo nell’ambito della SCIA.
L’art. 31 c.p.a. prevede, infatti, che l’azione si propone entro il termine di un anno dalla conclusione del procedimento. Ma in questo caso il ricorrente, essendo titolare dell’interesse legittimo pretensivo all’adozione di un provvedimento favorevole che ha attivato con la sua istanza, è a conoscenza del momento in cui il procedimento si deve concludere e, conseguentemente, di quando inizia a decorrere il termine di un anno.
Nel caso della SCIA, invece, il terzo è titolare di un interesse legittimo pretensivo all’adozione di atti sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa. Non è, pertanto, a conoscenza “diretta” dell’andamento procedimentale della vicenda. Ne consegue che il termine decorre da quando il terzo ha avuto piena conoscenza dei fatti idonei a determinare un pregiudizio nella sua sfera giuridica.
In relazione alla natura del potere, un primo orientamento, seguito dalla sentenza impugnata, ritiene che il terzo possa chiedere al giudice di ordinare all’amministrazione di esercitare i poteri inibitori, anche nel caso in cui sia trascorso il termine di trenta (o sessanta) giorni previsto dall’art. 19.
Un secondo orientamento, che la Sezione ritiene preferibile, assume, invece, che il terzo possa chiedere la condanna dell’amministrazione all’esercizio di poteri che devono avere i requisiti che giustificano l’autotutela amministrativa.
Quest’ultima, calata nell’ambito del procedimento in esame, si connota in modo peculiare perché:
   i) essa non incide su un precedente provvedimento amministrativo e dunque si caratterizza per essere un atto di “primo grado” che deve, però, possedere i requisiti legittimanti l’atto di “secondo grado”;
   ii) l’amministrazione, a fronte di una denuncia da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere all’accertamento dei requisiti che potrebbero giustificare un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non solo al contenuto dell’atto ma anche all’an del procedere.
Tale seconda opzione interpretativa è preferibile in quanto coniuga in modo più equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla SCIA con quelle di tutela del terzo.
Se quest’ultimo potesse sollecitare i poteri inibitori senza limiti temporali e di valutazione dell’incidenza sulle posizioni del privato che è ricorso a questo modulo di azione verrebbero frustrate le ragioni della liberalizzazione, in quanto l’interessato, anche molto tempo dopo lo spirare dei trenta (o sessanta) giorni previsti dalla legge per l’esercizio dei poteri in esame, potrebbe essere destinatario di atti amministrativi inibitori dell’intervento posto in essere.
La qualificazione del potere come potere di autotutela costituisce invece, da un lato, maggiore garanzia per il privato che ha presentato la SCIA, in quanto l’amministrazione deve tenere conto dei presupposti che legittimano l’esercizio dei poteri di autotutela e, in particolare, dell’affidamento ingenerato nel destinatario dell’azione amministrativa, dall’altro, non vanifica le esigenze di tutela giurisdizionale del terzo che può comunque fare valere, pur con queste diverse modalità, le proprie pretese.
6.– Applicando le regole sopra esposte alla fattispecie all’esame del Collegio ne discende la fondatezza dell’appello.
L’appellante ha presentato la SCIA il 31.01.2014 e il terzo ha diffidato l’amministrazione ad esercitare i propri poteri il successivo 5 giugno. La fattispecie sostanziale si è, pertanto, perfezionata prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 133 del 2014, con conseguente applicazione della disciplina vigente in quel dato momento.
Chiarito ciò, la Sezione rileva come l’azione del terzo non poteva ritenersi finalizzata alla sollecitazione di poteri inibitori bensì di autotutela. Il primo giudice avrebbe, pertanto, dovuto, alla luce del quadro normativo riportato, qualificare correttamente l’azione e condannare l’amministrazione ad iniziare il procedimento di “secondo grado” finalizzato a stabilire la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento richiesto dal terzo, senza valutare, in ragione della natura discrezionale dell’attività, la fondatezza della pretesa azionata.
7.– Alla luce di quanto esposto, l’appello è fondato nei limiti indicati, senza che sia necessario esaminare l’altro motivo proposto.
8.– La fase esecutiva successiva a questo giudizio impone all’amministrazione di dare esecuzione alla presente sentenza mediante l’inizio di un procedimento di autotutela amministrativa finalizzato a verificare non soltanto l’asserita illegittimità dell’attività posta in essere dall’appellante ma anche la sussistenza degli ulteriori presupposti costituiti dalla sussistenza di un interesse concreto e attuale all’esercizio dei poteri in esame e dalla mancanza di un legittimo affidamento dell’appellante stesso.
9.– La particolarità dell’esito del presente giudizio che, pur accogliendo l’appello, impone comunque all’amministrazione di iniziare il procedimento di autotutela, unitamente alla non chiarezza del complessivo quadro normativo, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi giudizio (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 03.11.2016 n. 4610 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Edilizia, Scia contestabile ma solo entro 30 giorni. Il Tar Marche: per interesse pubblico autotutela entro 18 mesi.
Nuovi limiti per l'impugnazione della Scia in edilizia. Alla luce dei nuovi dettami normativi la documentazione della Scia può essere contestata entro 30 giorni. Per motivi di interesse pubblico il termine per agire in autotutela è di 18 mesi.

Questo è quanto si legge nella sentenza 07.10.2016 n. 546 del TAR Marche in merito alle tempistiche per l'impugnativa della segnalazione certificata di inizio attività.
IL FATTO: venivano realizzati su un appezzamento terriero degli immobili abusivi, realizzati con Scia. Il confinante del soggetto che aveva fatto i lavori sosteneva che il comune dovesse procedere all'accertamento degli abusi ed esercitare i suoi poteri repressivi.
I giudici, dopo aver accertato che il comune aveva agito secondo le regole e che gli interventi erano legittimi , ha spiegato che, in base alle regole vigenti, erano scaduti i termini per eventuali azioni. I giudici del Consiglio di stato hanno ricordato che, in base all'articolo 19, comma 3, della legge n. 241/1990, il comune ha 30 giorni per fermare l'attività intrapresa dopo il deposito della Scia se gli interventi non rispettano quanto dichiarato nei documenti.
La Scia, sottolinea palazzo Spada, è un atto privato perché riguarda attività liberalizzate, quindi non è possibile l'impugnativa diretta. A fronte di una Scia ritenuta illegittima, quindi, i controinteressati possono solamente sollecitare l'esercizio dei poteri di controllo da parte dell'amministrazione competente, la quale è tenuta a compiere le verifiche necessarie al fine di accertare la legittimità dell'attività o dell'intervento oggetto di denuncia o segnalazione (art. 19, comma 6-ter, legge n. 241/1990).
In altri termini, in base alla normativa vigente, tre le ipotesi possibili, a fronte di una segnalazione certificata di inizio attività rispetto alla quale è decorso il termine per l'esercizio, da parte dell'amministrazione, dei poteri inibitori «ordinari»: esercizio di poteri di autotutela, esercizio di poteri sanzionatori per dichiarazioni mendaci ed esercizio dei poteri di vigilanza e inibitori in materia urbanistica.
Il potere di autotutela deve intendersi come potere sui generis, in quanto si differenzia dalla consueta autotutela decisoria, non implicando un'attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo, e pur condividendo, con l'autotutela classica, i presupposti e il procedimento. In particolare, il ricorso all'autotutela (mediante annullamento d'ufficio), sia classica sia sui generis, può avvenire solamente in presenza delle condizioni di cui all'articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 , ovvero sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, sussiste uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, fissato in «18 mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici» (articolo ItaliaOggi del 14.10.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).
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MASSIMA
III.1. Ciò posto, reputa il Collegio che non sussiste alcun silenzio inadempimento dell’Amministrazione rispetto alla diffida del 27.11.2015, sia perché il Comune ha ragionevolmente argomentato i motivi del proprio diniego nella citata nota prot. 36505 del 21.12.2015, sia perché quest’ultima non costituisce violazione o elusione dell’obbligo di provvedere nel senso prospettato dal ricorrente e ciò per le seguenti ragioni.
- Occorre in primo luogo precisare che con tale ultima diffida il ricorrente ha richiesto all’Amministrazione, per le opere indicate nelle segnalazioni/denunce n. 258/2013 e n. 167/2014, l’esercizio dei poteri inibitori ex art. 19, commi 3, 4, 6-bis della legge n. 241/1990, nonché di autotutela ex art. 21-nonies della medesima legge, previe le opportune e necessarie verifiche e imponendo, altresì, l’attuazione dell’ordinanza dirigenziale n. 43442 del 10.12.2008; entro tali limiti, pertanto, va accertata la sussistenza dell’obbligo di provvedere in capo al Comune di Osimo.
- Come è noto,
la nuova formulazione dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, pur prevedendo un regime dei poteri di intervento dell’autorità pubblica modificato rispetto al passato, conferma il potere dell’Amministrazione di inibire motivatamente l’attività intrapresa con SCIA e rimuovere gli effetti dannosi in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1 del medesimo articolo, il tutto entro sessanta giorni (trenta in materia edilizia).
Ciò che cambia è la natura di atto privato della segnalazione certificata di inizio di attività, trattandosi di attività ormai liberalizzata, dal che consegue l’affermazione circa la “non impugnabilità” diretta della SCIA (art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990). A fronte di una SCIA ritenuta illegittima, quindi, i controinteressati possono solamente sollecitare l’esercizio dei poteri di controllo da parte dell’Amministrazione competente, la quale è tenuta a compiere le verifiche necessarie al fine di accertare la legittimità dell’attività o dell’intervento oggetto di denuncia o segnalazione (art. 19, comma 6-ter, cit.).
Inoltre, “decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies” (art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990).

In altri termini,
in base alla normativa vigente, sono tre le ipotesi possibili, a fronte di una segnalazione certificata di inizio di attività rispetto alla quale è decorso il termine per l’esercizio, da parte dell’Amministrazione, dei poteri inibitori “ordinari”: esercizio di poteri di autotutela (art. 21-nonies della legge n. 241/1990); esercizio di poteri sanzionatori per dichiarazioni mendaci (art. 19, comma 3, seconda parte e art. 21, comma 1, della legge n. 241/1990); esercizio dei poteri di vigilanza e inibitori in materia urbanistica (art. 19, comma 6-bis, e art. 21, comma 2, della legge n. 241/1990).
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Il potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 4 cit. deve intendersi come potere sui generis, in quanto si differenzia dalla consueta autotutela decisoria, non implicando un’attività di secondo grado insistente su un precedente provvedimento amministrativo, e pur condividendo, con l’autotutela classica, i presupposti e il procedimento (TAR Bolzano-Trentino-Alto Adige, sez. I, 18.07.2016, n. 233; TAR Firenze–Toscana, sez. III, 08.06.2016, n. 960).
In particolare,
il ricorso all’autotutela (mediante annullamento d’ufficio) -sia classica che sui generis- può avvenire solamente in presenza delle condizioni di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Peraltro, alla luce delle modifiche introdotte dal decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164,
sussiste uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, fissato in “diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”. Il Consiglio di Stato ha già avuto modo di chiarire che, pur se tale norma non sia applicabile ratione temporis, in ogni caso, essa rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 10.12.2015, n. 5625 e 31.08.2016, n. 3762).
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Oltre ai limiti legislativamente fissati, il ricorso all’autotutela incontra l’ulteriore limite della discrezionalità amministrativa.
Anche a seguito della riforma dell’art. 19 della legge n. 241/1990, le regole cui è assoggettato il potere amministrativo di controllo e di inibizione-conformazione, decorsi sessanta (o trenta) giorni dalla presentazione della SCIA, sono sempre e comunque quelle di cui al primo comma dell’art. 21-nonies; ciò in quanto il potere inibitorio originario è comunque esaurito per decorso del termine di legge, sicché detto potere -sia che riviva per effetto dell’autonoma iniziativa dell’Amministrazione, sia che riviva per effetto dell’azione sollecitatoria del terzo e, quindi, del giudice amministrativo- resta nella sfera di disponibilità dell’Amministrazione solo a particolari condizioni (TAR Napoli-Campania, sez. IV, 05.04.2016, n. 1658).
- Facendo applicazione, al caso in esame, dei suesposti principi, se ne ricava l’infondatezza delle censure con cui il ricorrente lamenta l’elusione dell’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 con riferimento alla nota prot. 36505 del 21.12.2015, dal momento che tale obbligo, per i motivi innanzi detti, non sussiste in capo all’Amministrazione e può essere esercitato solo in presenza di determinate condizioni.
- Non può dirsi neppure che il Comune di Osimo abbia violato o eluso l’obbligo di provvedere rispetto all’esercizio dei poteri inibitori sine die previsti per il caso di dichiarazioni false o mendaci oppure rispetto all’esercizio dei poteri sanzionatori conseguenti alla vigilanza sull’attività edilizia, di cui all’art. 21, comma 2, della legge n. 241/1990.
Si osserva, infatti, che le incompletezze e le incongruità segnalate dal ricorrente nella diffida del 27.11.2015 rispetto alle segnalazioni n. 258/2013 e n. 167/2014 non sono tali da determinare una falsa rappresentazione della realtà o da trarre in inganno l’Amministrazione; quest’ultima, invece, da un semplice raffronto tra la documentazione già in suo possesso e la documentazione allegata alle segnalazioni certificate di inizio attività di cui si discute, avrebbe potuto agevolmente cogliere sin nei primi trenta giorni dalla loro presentazione, le lamentate difformità e omissioni, tanto più che esse attengono, per lo più, a profili di tipo formale o documentale.
In particolare, le asserite incompletezze relative alla SCIA n. 258/2013 potevano essere riscontrate dal raffronto tra la tavola n. 3 allegata alla domanda di permesso di costruire n. 42/2007 e la tavola unica allegata alla stessa SCIA n. 258/2013, entrambe in possesso dell’Amministrazione.
Analogamente, le incompletezze rilevate dal ricorrente riguardo alla SCIA n. 167/2014 sono relative all’omessa menzione di atti anch’essi già in possesso dell’Amministrazione o addirittura adottati dallo stesso Comune di Osimo, nonché di prescrizioni edilizie e regolamentari la cui eventuale violazione poteva essere comunque verificata dall’Ente sulla base della documentazione prodotta; del pari, l’omessa indicazione, nella tavola unica allegata alla suddetta SCIA n. 167/2014, della distanza del fabbricato dalla strada privata, era verificabile dal Comune, in quanto già indicata nella tavola unica allegata alla SCIA n. 258/2013.
Né il ricorrente, nella propria diffida, ha allegato atti, fatti o circostanze ulteriori su cui l’Amministrazione avrebbe potuto aprire una nuova istruttoria, essendosi limitato a riproporre le medesime questioni su cui già più volte il Comune di Osimo aveva provveduto a dare risposta e fatte oggetto di precedenti contenziosi.
III.2. In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

EDILIZIA PRIVATA: L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario unico spiegherà l'iter per ogni intervento. Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl 40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al restauro e al risanamento conservativo che non riguardano parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia (Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i procedimenti relativi alla certificazione di agibilità, prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di agibilità.

E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia 2”
(Atto del Governo n. 322 - Schema di decreto legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti), già varato in via preliminare dal consiglio dei ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il parere 04.08.2016 n.1784.
Si tratta di uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”), ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28 luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una ricognizione delle attività private nei settori dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo viene data piena attuazione alla legge delega di riforma della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso, autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo le novità più rilevanti.
Glossario unico. L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico». Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito web un glossario che consenta l'immediata individuazione della tipologia dell'intervento e del conseguente regime giuridico, indicando i documenti necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio. Viene abolita la Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010, che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto, osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo un regime a metà strada tra l'attività completamente libera e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e il risanamento conservativo che non riguardi parti strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto terminologica, già in parte realizzata a livello regionale, onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale». Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al certificato di agibilità, prevedendo un'apposita segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità ovvero Cila incompleta o irregolare) (articolo ItaliaOggi del 09.08.2016).

EDILIZIA PRIVATA: Il Consiglio di Stato ha reso il parere sullo schema di regolamento in tema di individuazione dei procedimenti oggetto di autorizzazione, SCIA, silenzio-assenso e comunicazione.
I punti principali del parere del Consiglio di Stato sullo schema di “decreto scia”.
Consiglio di Stato, Commissione speciale, parere 04.08.2016 n. 1784, reso sullo "Schema di decreto legislativo in materia di individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (Scia), silenzio-assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124".
1. La delega
Lo schema di decreto sottoposto all’esame costituisce attuazione della delega conferita dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124 per la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, ai sensi degli articoli 19 e 20 della legge 07.08.1990, n. 241, nonché di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione espressa e di quelli per i quali è sufficiente una comunicazione preventiva, sulla base dei principi e criteri direttivi desumibili dagli stessi articoli, dei principi del diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività di servizi e dei princìpi di ragionevolezza e proporzionalità.
La seconda parte di tale delega, concernente la disciplina generale della segnalazione certificata di inizio attività, era già stata attuata con il decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. L’art. 1, comma 2 di detto provvedimento stabilisce che “Con successivi decreti legislativi, ai sensi e in attuazione della delega di cui all’articolo 5 della legge n. 124 del 2015, sono individuate le attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio di attività (di seguito «SCIA») od oggetto di silenzio-assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso. Allo scopo di garantire certezza sui regimi applicabili alle attività private e di salvaguardare la libertà di iniziativa economica, le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere”.
2. L’oggetto del decreto legislativo
Lo schema di decreto si compone di 6 articoli e dell’allegata tabella A.
Il testo compie una duplice opera di semplificazione: in primo luogo introducendo regimi meno restrittivi in tali materie; in secondo luogo dando attuazione alla concentrazione dei regimi di cui all’art. 19-bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 3, comma 1, lett. c) del decreto legislativo n. 126 del 2016.
Il rapporto tra la tabella e il testo è regolato dall’art. 2 del presente decreto, il quale stabilisce le corrispondenze tra le previsioni tabellari e la disciplina normativa applicabile, nonché l’applicazione dell’art. 19-bis della legge n. 241 del 1990 alle ipotesi in cui per lo svolgimento dell’attività siano necessari diversi atti di assenso, segnalazioni o comunicazioni.
La tabella effettua una ricognizione della disciplina delle attività private in materia di edilizia, ambiente e commercio, distinguendo tra SCIA, SCIA unica, comunicazione, autorizzazione ed eventuale silenzio-assenso.
3. Le questioni generali
  
Le questioni ancora aperte
Il decreto, inoltre, non risolve alcune criticità relative al raccordo con la legge 241 del 1990, in particolare: quale sia la decorrenza del termine di diciotto mesi previsto dall’art. 21-nonies, comma 1; se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi anche all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1; quale sia la esatta delimitazione della fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art. 21-nonies, comma 2-bis. Il Consiglio di Stato suggerisce, pertanto, al Governo di intervenire su tali punti.
Si osserva, altresì, come risulta ancora non esercitata un’ultima parte della delega: quella relativa alla disciplina generale del silenzio assenso e della comunicazione preventiva, di cui alla parte finale del comma 1 dell’articolo 5 della legge n. 124 del 2015.
  
I problemi affrontati e le relative soluzioni
Il decreto mira a risolvere i seguenti problemi:
- difficoltà a comprendere, da parte degli operatori economici, le modalità di svolgimento del procedimento amministrativo per l’inizio di un’attività, con particolare riferimento agli adempimenti a carico del richiedente e di quelli a carico della PA;
- scarsa certezza del diritto dovuta alla mancanza di un quadro di regole chiare, tassative e comprensibili per gli operatori chiamati ad applicarle;
- sdoppiamenti procedurali e oneri non previsti;
- esistenza di regimi differenziati da Regione a Regione;
- mancata attuazione delle direttive e dei principi comunitari;
- molteplicità di atti presupposti che hanno vanificato la Scia;
- ambiguità ancora esistenti nel regime della SCIA.
Le soluzioni si articolano su quattro piani:
3.1 La semplificazione normativa
3.2 La fase attuativa della riforma: centralità di monitoraggio e VIR
3.3 Concentrazione dei regimi amministrativi
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia, ambiente, commercio
3.1 La semplificazione normativa
La scelta del legislatore delegato nella complessa opera di individuazione dei procedimenti di regolazione delle attività economiche private è stata quella di demandare a una tabella l’elencazione di quattro elementi:
a) tipo di attività, attraverso specificazioni progressive;
b) regime amministrativo;
c) concentrazione di regimi amministrativi;
d) riferimenti normativi.
Il Consiglio di Stato commenta favorevolmente la innovativa tecnica utilizzata, che unisce esigenze di riordino/codificazione a esigenze di semplificazione sostanziale delle materie interessate, che definisce una tecnica di “codificazione soft”. Benché non appartenga letteralmente alla classe dei testi unici e non copra tutte le materie, il provvedimento in esame realizza una raccolta di tutte le discipline vigenti dell’attività privata nei settori interessati.
È sempre più forte, tanto a livello scientifico quanto nella pubblica opinione, il convincimento che l’unificazione “orizzontale” della legislazione vigente sia il principale strumento per reagire all’abnorme aumento del carico normativo, imposto da una società sempre più complessa e dall’avvento di cambiamenti strutturali che non possono restare senza regolazione.
Il parere sottolinea come il censimento effettuato attraverso la tabella e il rapporto tabella/testo, in cui le norme si adattano al contenuto della tabella e ne garantiscono l’inserimento nel sistema, non ha solo il merito di contribuire a dare certezza del diritto, ma anche quello di semplificare e liberalizzare, laddove possibile.
Si rileva, invece, criticamente, l’assenza di una effettiva Analisi di impatto della regolazione, con adeguato supporto di dati quantitativi: tale carenza, però, potrà essere effettuata in progress.
3.2 La fase attuativa della riforma: centralità di monitoraggio e VIR
In più occasioni nell’esame della riforma Madia il Consiglio di Stato ha sottolineato la rilevanza cruciale della fase attuativa di un intervento che mira a un cambiamento profondo nell’amministrazione pubblica del Paese. Strumento essenziale di tale fase è il monitoraggio, del funzionamento delle norme, volto a verificarne l’idoneità a perseguire gli obiettivi fissati dalla legge: ciò rende necessaria anche una verifica di impatto successiva all’entrata in vigore delle nuove norme (VIR).
Il parere individua sul piano tecnico-normativo quattro profili da osservare con grande attenzione:
- la possibilità di limitare o ampliare le semplificazioni previste nella tabella attraverso meri atti amministrativi;
- l’aggiornamento della tabella in relazione alle disposizioni legislative intervenute successivamente o alla necessità di completare la ricognizione delle attività;
- la regolazione di nuove attività, in particolare nel commercio, che, altrimenti, sarebbero libere, ai sensi dell’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30.06.2016, n. 126.
- l’analisi della fattibilità dei regimi di semplificazione introdotti.
Il Consiglio di Stato raccomanda di considerare l’individuazione e l’inquadramento giuridico delle attività private come un work in progress, sensibile, oltre che alle novità normative, ai mutamenti reali, pertanto destinato ad essere rivisto ed implementato continuativamente.
3.3 Concentrazione dei regimi amministrativi
Il Consiglio di Stato rileva con favore che il Governo, dando seguito al suo precedente parere (n. 839, sulla cd. SCIA 1), ha optato per un modello di “concentrazione procedimentale”, disciplinandolo al massimo livello, introducendo un art. 19-bis alla l. n. 241, tramite il d.lgs. n. 126 del 30.06.2016.
Il presente parere analizza approfonditamente il rapporto tra l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 e i commi 2 e 3 del successivo art. 19-bis, che introduce la concentrazione dei regimi amministrativi rispettivamente per le ipotesi di:
- attività che necessitano di altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche (cd. SCIA unica);
- attività in cui si innestano sul modello della SCIA anche provvedimenti propedeutici (atti di assenso comunque denominati o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero verifiche preventive).
Il Consiglio di Stato ha ritenuto di distinguere nettamente le due fattispecie di cui all’art. 19-bis, il cui unico elemento comune è dato dall’integrazione della SCIA con altre fattispecie legittimanti.
La SCIA unica di cui all’art. 19-bis, comma 2, è in rapporto di specialità unilaterale per aggiunta con la SCIA pura e ad essa si applica la disciplina di cui all’art. 19.
La figura (da non confondere con la precedente SCIA unica) di cui all’art. 19-bis, comma 3, è invece sui generis, poiché il meccanismo della SCIA (e, quindi, il riferimento all’art. 19) vale soltanto all’inizio del procedimento, ossia nella fase di presentazione della SCIA, e nella sua fase finale, ovvero una volta ottenute tutti gli atti di assenso, da conseguire tramite conferenza di servizi. Tra questi due momenti, si inserisce un regime provvedimentale tradizionale.
Nel parere si invita il Governo a chiarire che, quando nella tabella si fa riferimento alla SCIA unica, si intende la fattispecie di cui all’art. 19-bis, comma 2, e quale sia allora l’ambito di applicazione dell’art. 19-bis, comma 3. Va anche chiarito il regime delle cd. “autorizzazioni plurime”, in cui occorrono più autorizzazioni ma non vi è alcun elemento procedimentale della SCIA.
3.4 Semplificazioni in materia di edilizia, ambiente, commercio
Un sistema di titoli edilizi semplificato: rapporti tra CILA, SCIA e SCIA edilizia
Il parere si sofferma sul nuovo sistema dei titoli edilizi, articolato su cinque livelli (invece dei sette attuali): 1) interventi in attività edilizia libera, senza adempimenti; 2) interventi in attività libera, ma che richiedono la CILA; 3) interventi assoggettati a SCIA; 4) interventi assoggettati a permesso di costruire; 5) interventi per i quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla SCIA.
Il nuovo sistema è caratterizzato dalla centralità della CILA, ragion per cui il Consiglio di Stato suggerisce la costruzione di una norma di carattere generale relativa all’istituto, che, da un lato ne evidenzi la linea di continuità con il modello teorico rappresentato dalla SCIA, dall’altro individui i tratti innovativi della disciplina, con particolare riferimento ai poteri sanzionatori, distinguendo le ipotesi di irregolarità (CILA mancante, incompleta o irregolare, ovvero lavori eseguiti in difformità), da quella di abusi edilizi (opere eseguite in regime di CILA invece che di permesso di costruire o di SCIA).
Ulteriore raccomandazione riguarda il coordinamento tra SCIA edilizia e SCIA ordinaria: non si è in presenza di due fattispecie diverse, ma dell’applicazione di un modello unico (quello della SCIA) anche alla materia edilizia.
  
La questione degli abusi edilizi
Sugli abusi edilizi, va chiarito che, nei casi in cui un’opera che avrebbe richiesto un permesso di costruire o una SCIA è stata eseguita dall’interessato sotto il regime di CILA, l’abuso non viene sanato con le sanzioni relative alla CILA.
Diverso è il caso in cui l’opera abusiva sia stata oggetto di SCIA e non di CILA: in tal caso, salvo espressa disposizione del legislatore, non si ravvisano ragioni per non applicare integralmente il regime dell’art. 19 della l. n. 241, ivi compreso il riferimento al meccanismo dell’art. 21-nonies.
  
La rilevanza del glossario unico in materia edilizia
Tra gli elementi di semplificazione burocratica introdotti appare meritevole di segnalazione la previsione di un glossario unico, che costituirà il parametro di riferimento per l’attività di cittadini ed imprese in questo settore, caratterizzato spesso da oscurità ed eccesso di tecnicismo.
Al riguardo il Consiglio di Stato raccomanda una maggiore definizione sul piano dei contenuti e la fissazione di un termine breve per la sua adozione, con integrale superamento di tutti gli eventuali glossari transitori approvati in sede locale.
  
La riforma della bonifica ambientale
In materia di ambiente, il Consiglio di Stato apprezza la nuova disciplina della bonifica volontaria da parte del soggetto estraneo alla contaminazione, evidenziandone le esternalità positive sul ciclo economico e invitando, anzi, il legislatore a intervenire per incentivare il ricorso a tale istituto, incoraggiandone l’uso da parte degli interessati.
  
I margini di ulteriore semplificazione in materia di commercio
In materia di commercio l’intervento appare piuttosto limitato, residuando sensibili margini di semplificazione, pur considerando che tale materia è spesso coinvolta da importanti profili di discrezionalità amministrativa.
4. Le materie non contemplate nel decreto: l’invito a proseguire con i decreti correttivi e integrativi. Le attività “libere”
Il decreto riguarda solo le materie dell’edilizia, dell’ambiente, del commercio, della pubblica sicurezza (materia, quest’ultima, che però non è oggetto della individuazione dei procedimenti di cui alla Tabella A), mentre la delega copre l’intero ordinamento delle funzioni amministrative.
Premesso che il completamento dell’operazione non può che avvenire con fonte primaria, il Consiglio di Stato invita il Governo a non interrompere l’opera di ricognizione della disciplina degli altri settori di attività private, specialmente quelle oggetto di libertà di iniziativa economica, considerando l’importanza di un progressivo completamento della riforma tramite decreti integrativi e correttivi, entro dodici mesi dalla entrata in vigore dello schema in esame, ai sensi dell’art. 5, comma 3, della legge delega.
Medio tempore, per prevenire incertezze applicative, il parere fornisce un’interpretazione chiarificatrice del citato art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30.06.2016, n. 126. Tale clausola di chiusura è applicabile ai (soli) settori oggetto del decreto e non anche ai settori rimasti al di fuori di tale opera di riordino.
Resta invece fermo che, nei tre settori interessati dalla tabella A (“Commercio”, “Edilizia” e “Ambiente”), salvo interventi correttivi, le attività non comprese nella tabella medesima devono considerarsi effettivamente “libere”.
5. Le questioni particolari
In materia edilizia si chiede al Governo la delimitazione del potere delle Amministrazioni di escludere regimi di semplificazione nelle zone di particolare pregio archeologico, storico, artistico e paesaggistico, o di ridurre il novero delle attività “libere”, poiché considerate assimilabili a quelle previste dalla tabella.
In materia di ambiente si rimarca la doverosità dell’intervento di bonifica, una volta che l’interessato abbia attivato la procedura all’uopo prevista.
In materia di commercio, il parere rileva come la classificazione delle attività contenuta nella tabella risenta di un’impostazione giuridico-formale, che origina dall’inquadramento di cui al d.lgs. n. 114/1998. Ciò implica la possibilità che le nuove attività, generate dal mercato, sfuggano a questa classificazione, ricadendo nella norma di chiusura contemplata dall’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30.06.2016, n. 126.
Il parere si conclude con alcuni rilievi, formali e sostanziali, sulle indicazioni contenute nella tabella A (commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Comune ha violato le garanzie previste dall’art. 19, comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza di una s.c.i.a. illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia) previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dell’attività assentita per effetto della s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
Invero, la d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.
Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.

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Con ricorso, integrato da motivi aggiunti, la società ricorrente ha impugnato gli atti con i quali il Comune di Venezia ha rimosso in autotutela gli effetti legittimanti della s.c.i.a. presentata, in data 18.03.2015, in relazione all'attività di affittacamere esercitata in Venezia, Via... n. ..., e le ha intimato la chiusura dell’attività ricettiva.
Resiste il Comune di Venezia contrastando le avverse pretese.
Il ricorso e i motivi aggiunti meritano accoglimento per una duplice e assorbente ragione.
In primo luogo perché gli atti impugnati, ovvero il cd. annullamento in autotutela della s.c.i.a. e la successiva diffida alla chiusura dell’attività di affittacamere, diversamente da quanto sostenuto dal Comune nei propri scritti difensivi, non appaiono fondati sui verbali di accertamento conseguenti ai sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale in data 9 luglio e 26.11.2015 (neppure menzionati nei provvedimenti impugnati), bensì su violazioni minori, molte delle quali risalenti al 2007.
Vi è dunque una sfasatura tra la struttura argomentativa dei provvedimenti impugnati, che non risultano incentrati sulle violazioni riscontrate dalla Polizia Municipale in data 9 luglio e 26.11.2015, e le difese svolte in giudizio dall’Ente Locale, che cercano di giustificare l’operato del Comune richiamando le violazioni accertate in esito a tali sopralluoghi.
In secondo luogo -e il rilievo è dirimente, comunque s’interpretino i provvedimenti impugnati- perché l’atto del 05.02.2016, che ha rimosso in autotutela gli effetti legittimanti della s.c.i.a. presentata dalla ricorrente il 18.03.2015, non contiene una puntuale e specifica motivazione in ordine alle ragioni d’interesse pubblico, attuale e concreto, diverse dal ripristino della legalità violata, poste a fondamento dell’esercizio del potere di autotutela decisoria.
Il Comune ha violato le garanzie previste dall’art. 19, comma 4, legge n. 241 del 1990 che in presenza di una s.c.i.a. illegittima, consente certamente all’Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di 60 giorni (30 giorni in materia edilizia) previsto dal comma 3, ma solo alle condizioni -e seguendo il procedimento- cui la legge subordina l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dell’attività assentita per effetto della s.c.i.a. ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a./s.c.i.a., una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990. Pertanto, scaduto il termine perentorio previsto dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio (cfr., in questi termini, Cons. Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780; TAR Lazio-Roma, 08.01.2015, n. 192; TAR Veneto, Sez. III, 10.09.2015, n. 958).
All’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti consegue l’annullamento degli atti impugnati (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 26.07.2016 n. 893 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARistrutturazioni thrilling. Inibitoria anche con Dia-Scia consolidata. Il Tar Lombardia accoglie il ricorso di un proprietario di immobile.
Anche se la Dia-Scia per i lavori si è consolidata, il vicino di casa può sempre ottenere l'inibitoria sul progetto di ristrutturazione della costruzione contigua alla sua se ha agito entro 60 giorni dal momento in cui si è reso conto che il titolo edilizio del confinante risulta viziato, dopo essersi procurato le relativa pratiche.

È quanto emerge dalla sentenza 15.04.2016 n. 735, pubblicata dalla II Sez. del TAR Lombardia.
Lesione e consapevolezza. Accolto il ricorso del proprietario dell'immobile preoccupato per le intenzioni del vicino, che punta ad abbattere e ricostruire un fabbricato. Secondo il confinante il progetto contiene violazioni alle norme sulle distanze minime tra fabbricati oltre che delle stesse disposizioni urbanistiche.
Per il Comune, invece, niente da segnalare: «decorsi i termini a seguito della presentazione della documentazione integrativa», spiega l'ufficio tecnico, la Dia-Scia ha ormai consolidato i suoi effetti. E invece no, perché è l'articolo 19, comma 6-ter, legge 241/1990 a imporre all'amministrazione anzitutto di riscontrare l'istanza che proviene dal terzo titolare di un situazione giuridica differenziata, come è il vicino di casa che vuole bloccare il lavori.
Ma soprattutto il Comune deve anche bloccare l'opera se risulta che il confinante ha comunque agito entro sessanta giorni da quando ha avuto notizia dei profili lesivi dell'intervento: altrimenti il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Canale unico. È vero, il riferimento ai 60 giorni di tempo non risulta dal comma 3-bis dell'articolo 19 della legge sulla trasparenza: si tratta di un'interpretazione sistematica perché la diffida prevista dalla norma costituisce l'unico «canale» percorribile dall'interessato al fine di ottenere la tutela dal giudice in un secondo momento.
Obbligo di motivazione. E se invece sono passati più di due mesi? Il terzo può sempre chiedere all'ente locale di agire in autotutela. Anche in questo caso l'amministrazione è tenuta a pronunciarsi sull'istanza del confinante spiegando i motivi per i quali non intende esercitare il potere di «rimangiarsi» il nulla osta all'opera «incriminata».
Spese di giudizio compensate per la novità della questione (articolo ItaliaOggi Sette del 13.06.2016).
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MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si rende necessario chiarire la portata delle previsioni normative rilevanti nel presente giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le mosse proprio dalla sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto conclusioni che il Collegio condivide e ritiene di dover ribadire, e che tuttavia non conducono all’esito sostenuto dal controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività, secondo quanto autorevolmente chiarito, ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, “non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge” (Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione, questa, che ha poi trovato piena conferma da parte del legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma 6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990 –introdotto dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il decorso del termine normativamente previsto per l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo, ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta giorni di tempo per proporre impugnazione giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza, in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria nel diniego tacito di esercizio del potere inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla luce delle successive novità legislative e, in particolare, di quanto ora disposto dal richiamato articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “
(...) Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”. Previsione, questa, che come evidenziato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o della SCIA –non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti– ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all’art. 31” (TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n. 126).
9. In tale quadro si colloca il tema della tutela del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla denuncia di inizio di attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del 2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei confronti degli interventi oggetto di una denuncia di inizio di attività vanno esercitati entro il termine normativamente prescritto, decorso il quale il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità per il Comune di intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno riscontro nell’attuale previsione del comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio del controllo sulla denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, “l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile ratione temporis nel presente giudizio, ma che ha sostanzialmente codificato gli esiti del dibattito giurisprudenziale sul punto. E ciò anche avuto riguardo alla natura dei poteri esercitati dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela (in coerenza con quanto già da tempo autorevolmente chiarito da Cons. Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non soggetto al ricorrere dei presupposti propri del potere di autotutela, laddove la carenza dei presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo, titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter del medesimo articolo 19.
E ciò –come già affermato nella sentenza richiamata– perché è anzitutto il chiaro tenore testuale della previsione normativa richiamata a non fare alcun riferimento al decorso del termine per il “consolidarsi” della denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato nella sentenza n. 2799 del 2014– “
laddove dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del termine per il compimento delle verifiche, non possa chiedere l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei confronti della tutela offerta dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.” Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento in autotutela, che è però esercitabile solo in presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto al mero riscontro dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata condivisa e ribadita da numerose successive pronunce di primo grado (TAR Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che “
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio
.” (così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone all’amministrazione di esercitare pieni poteri inibitori della denuncia di inizio di attività, anche dopo il “consolidarsi” del titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, occorre chiedersi se tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata affrontata, sia pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come correttamente rilevato, nel presente giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla denuncia di inizio di attività presentata dal confinante si era rivolto all’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli atti della pratica edilizia, aveva preso piena conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto rilevante la circostanza che l’istanza volta a provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse intervenuta entro il suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia al momento della presentazione dell’istanza rivolta all’amministrazione non è stato condiviso da un altro orientamento giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri inibitori, senza necessità del riscontro dei presupposti propri dell’autotutela (in questo senso: TAR Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica testualmente alcun limite temporale per la diffida diretta all’amministrazione– sia in considerazione della circostanza che la possibilità di un intervento “a tutto campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo alla formazione di un provvedimento amministrativo e si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali considerazioni possano essere condivise soltanto in parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso –anche in relazione al profilo inerente ai termini per la sollecitazione dei poteri inibitori– dalla sentenza della Sezione n. 2799 del 2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente orientata del dato normativo, costituito dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve necessariamente tenere conto della circostanza che l’intera disciplina della denuncia di inizio di attività, fino ai più recenti interventi normativi (in parte successivi alla formazione dei titoli oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema), risulta chiaramente ispirata dalla finalità di coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del privato con quella di assicurare comunque una sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a quella propria del permesso di costruire– dopo il decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario –come sopra detto– assicurare al terzo la possibilità di ottenere piena tutela, mediante l’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso tale termine di tendenziale “stabilizzazione” del titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né eccedere quanto necessario e sufficiente ad assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio attività una tutela equivalente a quella riconosciuta al soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata che lamenti un pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività possa ottenere il pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori, senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto laddove abbia sollecitato l’intervento dell’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur non espressamente previsto dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo conto che la diffida prevista dalla disposizione ora richiamata costituisce l’unico “canale” percorribile dall’interessato al fine di adire eventualmente, in un secondo momento, la tutela giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la pienezza della tutela (ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione), che la parità di trattamento rispetto al soggetto leso da un permesso di costruire (in relazione all’articolo 3 della Costituzione) impone di fare applicazione del termine ordinariamente previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, fissato dall’articolo 29 del codice del processo amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29 ora richiamato ha natura processuale e non procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 costituisce un passaggio obbligato per l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è dalla disciplina propria di quest’ultima che può e deve trarsi il dato necessario all’integrazione in via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di rimarcare, in una recente pronuncia, che “
il potere di sollecitazione del terzo non è da intendersi come esercitabile ad libitum, bensì rimane assoggettato al rispetto del termine di decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.” (così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi quid iuris nel caso in cui il terzo abbia richiesto l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in questo caso, l’impugnazione del provvedimento con cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale soluzione risulta essere stata accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato da ultimo richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015, cit.), ma ritiene –su questo specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato imprescindibile (ben evidenziato, come detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015, cit., che però perviene a conclusioni non coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non prevede alcun termine per la sollecitazione dei poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del correlativo obbligo, per quest’ultima, di pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa sollecitare l’intervento dell’amministrazione anche oltre tale termine, al fine di invocare non già il pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì il riscontro della sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente previsti per l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la sollecitazione debba intendersi diretta a provocare l’esercizio dei poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente illustrando le ragioni per le quali ritenga non sussistenti i presupposti per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola, tipicamente discrezionale nell’an, per cui l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un privato (v. ex multis Cons. Stato, V, 03.05.2012 n. 2549). Tuttavia, nel caso della denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, la sussistenza di un dovere dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un incondizionato accesso anche alla tutela giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal legislatore è coerente con il fondamentale rilievo che, nel caso di intervento di controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di esercizio di poteri di autotutela in senso proprio, poiché manca un provvedimento amministrativo rispetto al quale possa esercitarsi un potere di secondo grado. Piuttosto –come sopra detto– l’amministrazione, in questo caso, esercita pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza con cui un terzo, titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, abbia sollecitato l’intervento della stessa amministrazione in relazione a una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione sarà tenuta a esercitare, sussistendone i presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni, l’amministrazione dovrà comunque a verificare, dandone conto motivatamente, unicamente la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo edilizio da più di sessanta giorni non comporta conseguenze processuali, in relazione alla eventuale successiva azione giurisdizionale contro il silenzio o il provvedimento negativo emesso dall’amministrazione, ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale (secondo quanto già rilevato dalla Sezione con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento con cui l’amministrazione abbia negato il proprio intervento sarà quindi ammissibile –sussistendo, beninteso, tutte le altre condizioni dell’azione– ma la risposta dell’amministrazione dovrà essere verificata tenendo conto del diverso potere esercitato nelle due ipotesi sopra dette.

EDILIZIA PRIVATA: Il Cds boccia la riforma Scia. Ignoti i procedimenti soggetti ai diversi istituti di verifica. Palazzo Spada: al buio segnalazione, silenzio-assenso, autorizzazione e comunicazione.
Parere negativo del consiglio di stato sullo schema di dlgs relativo alla Scia approvato lo scorso 20.01.2015 dal consiglio dei ministri. In quanto manca, la «precisa individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione preventiva. Tale individuazione viene espressamente rinviata a successivi decreti legislativi ma, almeno dal punto di vista ricognitivo, è uno degli oggetti principali della delega.

Dopo che la Conferenza unificata del 03.03.2016 aveva espresso parere favorevole all'intesa sul decreto legislativo che riforma la «Scia» arriva adesso il parere negativo del Consiglio di stato espresso dall'adunanza della commissione speciale (parere 30.03.2016 n. 839).
La conclusione per il Consiglio di stato è che il testo del decreto legislativo vada riscritto recependo i rilievi presentati e che il nuovo testo le venga sottoposto per un nuovo parere.
Individuazione procedimenti soggetti a Scia. La commissione speciale del Consiglio di stato evidenzia che lo schema del dlgs sulla Scia, sceglie di non esercitare una parte importante della delega: manca, infatti, la «precisa individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione preventiva, che viene espressamente rinviata ai successivi decreti legislativi ma che, almeno dal punto di vista ricognitivo, appare come uno degli oggetti principali della delega.
Sarebbe stato auspicabile che l'attuazione della delega, preferibilmente con un unico decreto legislativo, non prescindesse dalla pur non facile opera di ricognizione e classificazione dei procedimenti, di indiscutibile utilità per il cittadino chiamato a orientarsi tra le nuove potenzialità della liberalizzazione delle attività economiche e il permanente potere di intervento delle pubbliche amministrazioni, con le sue diverse tipologie.
Un'opera che dovrà essere portata a termine, a tempo debito, tenendo conto, comunque, dei «princìpi del diritto dell'Unione europea relativi all'accesso alle attività di servizi» e di quelli di «ragionevolezza e proporzionalità», al fine di tracciare un percorso riconfigurativo del complesso delle norme regolatrici dei rapporti tra poteri delle pubbliche amministrazioni e attività private.
I «
regimi autorizzatori possono essere istituiti o mantenuti solo se giustificati da motivi imperativi di interesse generale, nel rispetto dei princìpi di non discriminazione, di proporzionalità», costituendo il regime autorizzatorio l'eccezione, che deve essere adeguatamente motivata.
Silenzio-assenso e comunicazione preventiva. Un'altra parte della delega che non risulta esercitata è quella relativa alla disciplina generale del silenzio assenso e della comunicazione preventiva, di cui alla parte finale del comma 1 dell'articolo 5 della legge n. 124 del 2015.
Ad essa, sostiene la commissione del Consiglio di stato, non si fa alcun riferimento nello schema di decreto legislativo (nemmeno nel titolo), ancorché anch'essa sia espressamente prevista come oggetto della delega. Manca, in particolare, la previsione dell'obbligo di comunicazione ai soggetti interessati dei «termini entro i quali l'amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda».
I giudici del Consiglio di stato invitano, pertanto, il Governo a valutare l'opportunità di intervenire, almeno limitatamente ai suddetti aspetti, integrando la modulistica e prevedendo la conoscibilità dei detti elementi per il tramite dei siti istituzionali delle pubbliche amministrazioni (articolo ItaliaOggi del 02.04.2016).

EDILIZIA PRIVATA: I punti principali del parere del Consiglio di Stato sullo schema di “decreto scia” [Schema di decreto legislativo recante attuazione della delega di cui all’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124, in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)].
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1. Le raccomandazioni generali sulla riforma di cui alla legge n. 124 del 2015
Il Consiglio di Stato riprende le considerazioni generali sulla importanza di una “riforma organica” della pubblica amministrazione di cui alla legge n. 124 del 2015 e sulla necessità di una ‘visione nuova’ della pubblica amministrazione, già esposte nel parere del 18.02.2016 (n. 343/2016), sul “decreto trasparenza”, e ribadisce soprattutto:
• la rilevanza cruciale dell’implementazione della riforma, anche dopo l’approvazione dei decreti attuativi;
• l’importanza, in particolare, della creazione di una cabina di regia per l’attuazione ‘in concreto’, che curi anche gli strumenti ‘non normativi’ di intervento (quali: la formazione dei dipendenti incaricati dell’attuazione, la comunicazione istituzionale a cittadini e imprese sui loro nuovi diritti, l’adeguata informatizzazione dei procedimenti, etc.);
• l’importanza della “manutenzione” della riforma, attraverso una fase di monitoraggio e verifica dell’impatto delle nuove regole, nonché con la definizione, se del caso, di decreti correttivi, o di quesiti attuativi da porre al Consiglio di Stato.
2. La SCIA si riferisce ad attività ‘libere’ e non richiede alcun intervento preventivo della p.a.
Il parere opera una ricostruzione dell’evoluzione dall’istituto della SCIA e ne ricava indicazioni di principio, che possono indirizzare la successiva attività attuativa e interpretativa. Si conferma che le attività soggette a SCIA:
• sono ‘libere’, ‘consentite direttamente dalla legge’ in presenza dei presupposti normativamente stabiliti, senza più spazio per alcun potere di assenso preventivo della p.a.;
• sono ‘conformate’ dalle leggi amministrative, e quindi sottoposte a successiva verifica dei requisiti da parte delle autorità pubbliche, entro un termine stabilito.
3. Le parti della delega non esercitate
Il Consiglio di Stato rileva il mancato esercizio di due profili della delega:
- la ricognizione dei procedimenti soggetti a SCIA, a silenzio-assenso, ad autorizzazione espressa e a comunicazione preventiva (indicata, invece, tra gli oggetti principali della delega). Tale “precisa individuazione” –richiesta dalla delega– va assolutamente effettuata con successivo decreto;
- la previsione dell’obbligo di comunicare ai soggetti interessati i “termini entro i quali l’amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda”. Tale adempimento può svolgersi già con il decreto in oggetto.
4. L’opportunità di novellare direttamente l’art. 19 della legge n. 241 del 1990
Il Consiglio di Stato suggerisce di introdurre le innovazioni della disciplina generale in materia di SCIA non in un decreto a sé, ma novellando direttamente l’articolo 19 della l. n. 241: la concentrazione della disciplina dello stesso istituto nella stessa legge la rende più sistematica e più facilmente conoscibile.
5. Il ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra cittadini e pubbliche amministrazioni: i rapporti si consolidano dopo 18 mesi
Il parere ritiene che la legge n. 124 del 2015 abbia introdotto un ‘nuovo paradigma’ nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, prevedendo un limite massimo di 18 mesi all’intervento “in autotutela”, dopo il quale si consolidano le situazioni dei privati.
Secondo il Consiglio di Stato, il legislatore del 2015 ha fissato termini decadenziali di valenza nuova, non più volti a determinare l’inoppugnabilità degli atti nell’interesse dell’amministrazione, ma a stabilire limiti al potere pubblico nell’interesse dei cittadini, valorizzando il principio di affidamento.
Tale ‘regola generale’ si rinviene nel nuovo testo dell’art. 21-nonies della legge n. 241.
6. Le applicazioni di tale ‘nuovo paradigma’ in materia di SCIA
Il ‘nuovo paradigma’ si applica anche alla SCIA, ma in modo diverso.
Difatti, per la SCIA non può parlarsi di ‘autotutela’ in senso tecnico, poiché essa costituisce un provvedimento ‘di secondo grado’ ed esso appare impossibile per la SCIA, dove il provvedimento iniziale manca del tutto.
Il nuovo art. 21-nonies detta piuttosto, per la SCIA, la ‘disciplina di riferimento’ per l’esercizio del potere ex post dell’amministrazione: un potere inibitorio, repressivo o conformativo da esercitarsi solo motivando sulle ragioni di interesse pubblico e sugli interessi dei destinatari e dei controinteressati oltre che, ovviamente, entro un termine comunque non superiore a 18 mesi per adottare il provvedimento definitivo.
7. Le perduranti esigenze di coordinamento per il legislatore delegato
Questo importante principio generale impone un’opera di raccordo con il resto della disciplina in materia di SCIA, per fugare i dubbi interpretativi che iniziano a emergere in dottrina e in giurisprudenza.
Tale intervento può essere fornito sia con una integrazione dello schema in esame sia con un successivo provvedimento.
Tra le varie questioni, il Consiglio di Stato segnala la necessità di precisare:
- quale sia il dies a quo per la decorrenza dei diciotto mesi dell’art. 21-nonies;
- se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi o meno anche all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1, della l. n. 241;
- che, in fase di prima applicazione della riforma, il termine generale dell’art. 21-nonies debba valere per tutti i provvedimenti, anche precedenti all’entrata in vigore della legge n. 124, sembrando infondata l’interpretazione di una sorta di ‘rimessione in termini’ dell’amministrazione ad opera della riforma;
- che la regola generale dell’art. 21-nonies si applichi anche a provvedimenti che non sono formalmente definiti di “annullamento”, ma di “revoca”, “risoluzione”, “decadenza” o analoghe;
- quale sia la esatta delimitazione della (unica) fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art. 21-nonies, comma 2-bis.
8. Il ‘principio di concentrazione e di esaustività della modulistica
Il parere ritiene molto rilevante la previsione di “moduli unificati e standardizzati” per la SCIA, da pubblicare sui siti istituzionali delle amministrazioni destinatarie delle segnalazioni, che ne indichino esaustivamente i contenuti tipici, ma anche tutta la documentazione da allegare.
Se ne ricava, a livello interpretativo, un ‘principio di concentrazione e di esaustività della modulistica’, che impone che:
- i moduli siano effettivamente ‘unificati’ ed ‘esaustivi’, e non rinviino di fatto ad altri formulari presso altre amministrazioni;
- si introduca un chiaro divieto di richiesta di documentazione ulteriore rispetto a quella indicata dai moduli unificati: tutta la documentazione necessaria deve essere indicata ‘a monte’ nel modulo unificato; eventuali richieste istruttorie potranno solo evidenziare la mancata corrispondenza degli allegati presentati con quelli previsti in quella sede, non chiedere ulteriori documenti non indicati ex ante.
9. L’importanza di una ‘SCIA unica
Il parere esprime il suo apprezzamento per la scelta di regolare la fattispecie, finora non normata, di attività soggette a SCIA che, tuttavia, per il loro svolgimento, necessitano di “altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche” (cd. SCIA ‘plurima’). La disciplina si ispira correttamente alla “concentrazione dei regimi” delle SCIA presupposte presso la SCIA finale. Resta, invece, ancora non risolto il caso in cui la SCIA abbia come presupposto non soltanto ‘requisiti di fatto’, bensì uno o più provvedimenti di autorizzazione.
Il Consiglio di Stato configura tre diverse opzioni, in parte anche cumulabili fra loro, che consistono in:
- escludere espressamente tali fattispecie dalla SCIA, concentrandosi solo sulla cd. ‘SCIA pura’;
- considerare anche i casi di ‘SCIA non pura’ e imporre esplicitamente che la presentazione della SCIA possa avvenire soltanto una volta acquisito l’atto autorizzativo presupposto, ‘a cura del privato’;
- prevedere che la presentazione della SCIA attivi un meccanismo per l’ottenimento dell’autorizzazione ‘a cura dell’amministrazione ricevente’, rinviando però l’avvio dell’attività al momento di tale ottenimento (trasformando di fatto, in questi casi, la ‘segnalazione di inizio di attività’ in una sorta di ‘richiesta di inizio di attività’, che potrebbe essere un modello complementare rispetto a quello della ‘SCIA pura’).
Tutte e tre queste soluzioni richiedono comunque un intervento sul decreto in oggetto: la scelta fra queste (e la preferenza tra i rispettivi vantaggi e svantaggi) va lasciata alla potestà normativa del Governo, che deve tener conto delle esigenze pratiche dei destinatari della riforma (Consiglio di Stato, Commissione Speciale, parere 30.03.2016 n. 839 - tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: La presentazione di una SCIA in forma cartacea anziché telematica non presuppone la sua stessa configurazione ed ammissibilità.
Una Scia presentata al SUAP in modalità cartacea non può, per il solo fatto di essere stata lì depositata, ritenersi una segnalazione valida, mancando il presupposto per la sua stessa configurazione e ammissibilità, ovvero la modalità telematica.
Invero, il legislatore è stato chiaro nello stabilire che le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività produttive, di prestazione di servizi e quelle relative alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, e i relativi elaborati tecnici e allegati debbano presentarsi esclusivamente in modalità telematica al Suap competente per territorio (cfr. art. 2 del DPR n. 160/2010).

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... per l'annullamento, previo accoglimento dell’istanza cautelare:
- del provvedimento prot. n. 821 del 21.01.2015 a firma del Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;
con Motivi Aggiunti depositati in data 03.06.2015:
- del provvedimento prot. n. 5875 del 12.03.2015 a firma del Dirigente del Settore Servizi al Territorio del Comune di Santeramo in Colle;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale e, in particolare ove occorra, della nota prot. n. 13278 del 02.03.2015 a firma del Responsabile Unico del Procedimento del SUAP Associato del Sistema Murgiano;.
...
La Telecom Italia s.p.a., proprietaria di una stazione radio base per telefonia cellulare sita nel territorio del Comune di Santeramo in Colle, presentava, congiuntamente alla Vodafone Omnitel B.V., una segnalazione certificata di inizio attività (scia), indirizzata al Comune stesso ed acquisita in formato cartaceo, per l’implementazione di un impianto di proprietà Vodafone sulla suddetta stazione radio base.
Con provvedimento del 13.05.2014, veniva però disposta l’archiviazione dell’istanza sul rilievo che la stessa avrebbe dovuto essere presentata, a pena di inammissibilità, presso il SUAP su apposita modulistica, ai sensi del DPR 447/1998, rilevando altresì che le installazioni di nuove SRB avrebbero potuto essere realizzate esclusivamente nei siti comunali all’uopo individuati col piano di localizzazione comunale.
Il suddetto provvedimento veniva annullato da questo Tar con Sentenza n. 1267/2014, ritenendo sussistente in capo all’Amministrazione, con particolare riferimento al profilo dell’inammissibilità dell’istanza, un obbligo di trasmissione ufficiosa della domanda alla competente articolazione del proprio apparato.
Tale sentenza è stata formalmente notificata in data 05.12.2014 al Comune di Santeramo - che l’ha successivamente impugnata innanzi la Terza Sezione del Consiglio di Stato (Rg. 1129/2015).
Ritenendo da tale data decorso il termine per la formazione del silenzio assenso ai sensi dell’art. 87-bis, D.Lgs. 259/03, la ricorrente comunicava quindi all’Amministrazione comunale l’avvio dei lavori oggetto della scia.
Il Comune, con provvedimento n. 1821 del 21.01.2015, disponeva tuttavia per ragioni istruttorie la sospensione temporanea dell’efficacia della segnalazione, ai sensi degli artt. 2 e 21-quater, comma 2, l. n. 241/1990, per la durata di 60 giorni, inibendo per l’effetto, l’inizio dei lavori preannunciati.
Successivamente, il SUAP–Murgia Sviluppo s.c.a.r.l., rilevata l’improcedibilità dell’istanza sottoscritta da Telecom e Vodafone e trasmessa dall’Amministrazione comunale, ne disponeva l’archiviazione – circostanza che ha determinato in sede processuale la rinuncia alla domanda cautelare incidentalmente avanzata con l’appello suddetto, per sopravvenuto difetto di interesse.
Avverso la nota comunale del 21.01.2015, nonché il successivo provvedimento di improcedibilità e archiviazione del SUAP, l’odierna ricorrente ha quindi proposto un nuovo gravame censurando la violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 87-bis, D.Lgs. 259/2003 nonché dell’art. 19, L. n. 241/1990, ed eccesso di potere sotto diversi profili, chiedendone pertanto l’annullamento previa sospensione dell’efficacia.
Con controricorso del 30.04.2015, si è costituito il Comune intimato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso sotto diversi profili - ovvero in considerazione della natura temporanea e provvisoria del provvedimento di sospensione impugnato, che avrebbe quindi già cessato di produrre effetti; della mancata notifica al SUAP; nonché della mancata impugnazione della successiva nota comunale, prot. n. 5875 del 12.03.2015, con cui nel trasmettere la nota di archiviazione del SUAP del 02.03.2015, il Comune ha preso atto dell’arresto procedimentale così determinatosi e dell’inefficacia della comunicazione di inizio dei lavori.
Alla Camera di Consiglio del 06.05.2015, avvisate le parti della possibile definizione in forma semplificata del gravame ai sensi dell’art. 60 cpa, parte ricorrente ha chiesto disporsi un rinvio per la presentazione di motivi aggiunti.
Con atto di motivi aggiunti del 19.05.2015, notificati anche al SUAP, la ricorrente ha infatti impugnato il sopra detto provvedimento n. 5875 del 12.03.2015, conosciuto in data 20 marzo, deducendo vizi in via derivata e vizi propri, quali violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 6, l. n. 291/1990, in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto chiedere una regolarizzazione postuma della scia; eccesso di potere sotto diversi profili, ed elusione della Sentenza n. 1267/2014 resa da questo Tar.
Alla successiva Camera di Consiglio del 02.07.2015, avvertite nuovamente le parti ai sensi dell’art.60 c.p.a., la causa è quindi passata in decisione.
Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il provvedimento comunale di sospensione per esigenze istruttorie, è stato superato dalla successiva nota di arresto procedimentale -impugnata con motivi aggiunti- determinando in tal modo l’improcedibilità dell’azione di annullamento proposta contro lo stesso.
Ritenute inoltre superate, con la proposizione dei motivi aggiunti, le eccezioni di inammissibilità come sollevate dalla difesa comunale, può quindi passarsi all’esame delle censure mosse dalla ricorrente avverso la nota di archiviazione Suap e la nota comunale di arresto procedimentale, che il Collegio ritiene infondate per le seguenti ragioni.
Pur condividendo in via di principio quanto affermato nella precedente pronuncia resa da questo stesso TAR, il Collegio deve tuttavia rilevare che l’applicazione nella specie dei principi ivi esposti non avrebbe potuto determinare comunque l’ammissibilità e la corretta formazione della scia.
Invero,
se in un’ottica di leale collaborazione tra la p.a. e il cittadino, la mancata trasmissione in via officiosa di una istanza alla competente articolazione amministrativa può costituire violazione dei principi di economicità ed efficacia dell’azione amministrativa, nel caso di specie l’improcedibilità dell’istanza presentata dalla ricorrente non ha concretizzato “un appello dell’Amministrazione a meri formalismi”, come tali da censurare in sede giurisdizionale, venendo invece in rilievo la possibile configurabilità, e quindi esistenza, della domanda (recte, scia) stessa.
Il legislatore è stato infatti chiaro nello stabilire che le domande, le dichiarazioni, le segnalazioni e le comunicazioni concernenti le attività produttive, di prestazione di servizi, e quelle relative alle azioni di localizzazione, realizzazione, trasformazione, ristrutturazione o riconversione, ampliamento o trasferimento, ed i relativi elaborati tecnici e allegati, debbano presentarsi esclusivamente in modalità telematica, al Suap competente per territorio (art. 2, DPR 160/2010).
Di tale modalità tiene infatti conto anche l’art. 19, l. n. 241/1990, laddove nel disciplinare la scia, prescrive che la stessa, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dai relativi elaborati tecnici, possa essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica. In tal caso la segnalazione può considerarsi presentata solo al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
Non è infatti estraneo all’ordinamento, tanto più nella recente ottica di semplificazione e snellimento delle procedure, un procedimento interamente informatizzato, articolato sin dalla fase di avvio in modalità esclusivamente telematica.
Pertanto,
una Scia presentata al SUAP in modalità cartacea, come nella specie, non può, per il solo fatto di essere stata lì depositata, ritenersi una segnalazione valida, mancando il presupposto per la sua stessa configurazione e ammissibilità, ovvero la modalità telematica.
Prova ne è che dalla sentenza più volte citata -che la parte assume essere stata elusa- non è derivato l’avvio del relativo iter ai sensi dell’art. 87-bis del Dlgs. n. 259, per il perfezionamento della scia, essendo stato invece statuito il mero obbligo del Comune, ottemperato nella specie, di trasmissione della domanda all’organismo competente.
Pertanto,
non può affatto ritenersi formato il silenzio-assenso, come invece asserito dalla ricorrente facendo erroneamente decorrere il termine per la sua formazione dalla notifica della sentenza all’Amministrazione, dovendosi invece considerare quale unico dies a quo il momento di recepimento dell’istanza da parte del Suap rappresentato dal rilascio dell’apposita ricevuta, come sancito espressamente dall’art. 5, DPR 160/2010.
Nella specie, il Suap si è tempestivamente espresso con un provvedimento di archiviazione in considerazione dell’inammissibilità dell’istanza, in quanto inoltrata dal Comune, e non dal soggetto richiedente, in modalità cartacea, e non telematica.
Né vale appellarsi al soccorso istruttorio, posto che tale istituto deve intervenire a fronte di irregolarità ed incompletezze sanabili, che presuppongono l’esistenza stessa dell’istanza, condizione che, per le argomentazioni suddette, non può però ritenersi verificata a fronte di una scia cartacea.
Seguendo la tesi della ricorrente infatti, si arriverebbe comunque alle medesime conclusioni del Collegio, a riprova dell’inammissibilità di una segnalazione cartacea: la parte sostiene invero che lo Sportello Unico avrebbe dovuto invitarla a presentare la scia in modalità telematica, anziché disporne l’archiviazione. Ma ripresentare la scia secondo tale modalità -si ribadisce, l’unica possibile- equivale a presentarla ex novo.
Il soccorso istruttorio invocato, è evidente, non potrebbe diversamente giovare.
Nulla ha vietato, né vieta, infatti alla società ricorrente di presentare una nuova scia nei termini previsti dalla normativa di riferimento.
Alla luce delle considerazioni su fatte, le doglianze formulate non meritano quindi accoglimento
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 16.10.2015 n. 1330 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' vero che il sistema delineato dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la tutela di affidamento del privato che abbia presentato una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3 (falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la difesa nazionale), le Amministrazioni non possono intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
Sicché, il provvedimento comunale di archiviazione del procedimento di verifica (di terzi) deve essere annullato, ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare sollecitamente il procedimento di verifica accertando analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle illegittimità segnalate hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella propria posizione qualificata e differenziata.

Il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di archiviazione, è invece fondato e deve essere accolto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha disposto l’archiviazione del procedimento di verifica della legittimità delle denunce di inizio attività ritenendo di per sé ostativa, e quindi senza svolgere un approfondimento istruttorio sui singoli rilievi sollevati nelle richieste di verifica, la norma di cui all’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo allora vigente.
Secondo il Comune anche a seguito della richiesta di verifica da parte di un terzo non è possibile procedere al divieto di prosecuzione dell’attività se non vi siano lesioni agli specifici interessi sensibili menzionati dall’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241.
Tale norma ammette il divieto di prosecuzione dell’attività “solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, che nel caso di specie non ricorrono.
La tesi non è condivisibile.
La giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce (cfr. Tar Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; Tar Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 21.11.2014, n. 4799), ha infatti chiarito che è vero che il sistema delineato dal citato art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la tutela di affidamento del privato che abbia presentato una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3 (falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la difesa nazionale), le Amministrazioni non possono intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
In definitiva, in accoglimento delle censure del secondo motivo, il provvedimento di archiviazione del procedimento di verifica deve essere annullato, ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare sollecitamente il procedimento di verifica accertando analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle illegittimità segnalate, come sopra precisato, hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella propria posizione qualificata e differenziata (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.10.2015 n. 1039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn termini generali, la SCIA (come la precedente DIA) non modifica la disciplina sostanziale dell’attività interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi a seguito della domanda del privato, con un procedimento di verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante” presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia, ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal ricevimento della segnalazione, l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo il potere dell'amministrazione competente "di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione...può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 (ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio), all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Sulla base del delineato quadro normativo, la giurisprudenza ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale di autotutela;
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione competente entro un termine ragionevole, e va supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione;
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto delle regole generali che informano i rapporti tra amministrazioni e amministrati: così, è necessario comunicare l’avvio del procedimento, consentire all’interessato e a eventuali cointeressati e controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che ne giustificano l’adozione;
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, giustifica la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
2. Parte ricorrente ha anzitutto dedotto la violazione dell’art. 19 della L. 241/1990 e del principio di affidamento, l’eccesso di potere per carenza di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta, in quanto il potere di intervento sulla SCIA può essere esercitato entro il termine di 60 giorni dalla sua presentazione, salva la possibilità di agire ex post a tutela di preminenti interessi pubblici (pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale), che non sono stati rilevati nella fattispecie: il Comune era da oltre un anno privo del potere ordinario di inibizione degli effetti della SCIA, tenuto conto che il provvedimento dispone una semplice archiviazione, senza menzionare né motivare l’autotutela con riferimento ai requisiti contemplati all’art. 21-quinques della L. 241/1990.
Il motivo è meritevole di accoglimento, avendo l'amministrazione pacificamente adottato l'atto di controllo inibitorio oltre il termine di legge.
2.1 In termini generali, la SCIA (come la precedente DIA) non modifica la disciplina sostanziale dell’attività interessata, bensì il titolo di legittimazione, sostituendo il tradizionale provvedimento di autorizzazione da emettersi a seguito della domanda del privato, con un procedimento di verifica ad iniziativa pubblica necessaria: si inverte pertanto il meccanismo, dovendo l’autorità amministrativa esercitare un controllo ex post sulla denuncia “abilitante” presentata dal soggetto interessato.
Secondo l’art. 19, comma 3, della L. 214/1990, nel termine di sessanta giorni (o di trenta giorni in materia edilizia, ex art. 19, comma 6-bis, della stessa L. 241/1990) dal ricevimento della segnalazione, l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 2, “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni”, restando salvo il potere dell'amministrazione competente "di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies", mentre, "in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione...può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo".
Il comma 4 prevede che, decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 (ovvero di cui al comma 6-bis in ambito edilizio), all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
2.2 Sulla base del delineato quadro normativo, la giurisprudenza ha elaborato alcuni principi:
• è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia d'inizio attività (assimilabile sotto questo aspetto alla SCIA), adotta provvedimenti inibitori o sanzionatori dopo che sia decorso il termine previsto per il consolidamento del titolo, senza rispettare i limiti e le condizioni in base ai quali è possibile esercitare i poteri di autotutela ai sensi degli artt. 21-quinques e 21-nonies della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV – 20/02/2014 n. 788 in materia edilizia, con riflessioni che ben possono essere estese alla DIA –e alla SCIA– in materia commerciale;
• il termine (di 60 giorni) per l'esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio mentre, decorso tale spazio temporale, l’autorità conserva soltanto un potere residuale di autotutela (Consiglio di Stato, sez. VI – 14/11/2012 n. 5751; TAR Veneto, sez. II – 26/01/2015 n. 59);
• quest’ultimo deve essere esercitato dall'amministrazione competente entro un termine ragionevole, e va supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un logico affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione (sentenza TAR Campania Salerno, sez. I – 07/04/2015 n. 732, resa in ambito edilizio);
• anche in materia di commercio, ogni atto di ordinario esercizio di pubblici poteri resta subordinato al rispetto delle regole generali che informano i rapporti tra amministrazioni e amministrati: così, è necessario comunicare l’avvio del procedimento, consentire all’interessato e a eventuali cointeressati e controinteressati di parteciparvi, dimostrare la sussistenza dei presupposti che ai sensi degli articoli 19 e 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990 ne consentono l’esercizio, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado, la comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del privato, la motivazione in ordine alle ragioni di fatto che ne giustificano l’adozione (TAR Friuli Venezia Giulia – 25/09/2014 n. 463).
• la valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, giustifica la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Consiglio di Stato, adunanza plenaria – 29/07/2011 n. 15).
2.3 Nella fattispecie, i 60 giorni erano abbondantemente decorsi quando l’amministrazione è intervenuta, e non affiora alcun elemento o circostanza a supporto dell’esercizio della potestà di autotutela. Non è stata neppure adombrata l’unica ipotesi derogatoria della perentorietà del predetto termine contemplata dal legislatore, ossia l’esistenza di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà "false o mendaci", che abilita l'amministrazione ad assumere i provvedimenti repressivi "sempre e in ogni tempo" (cfr. TAR Abruzzo L’Aquila – 19/03/2015 n. 163) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.05.2015 n. 739 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 19, comma 4, della legge 241/1990 pone significative limitazioni al potere di intervento in autotutela dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia conseguito efficacia per decorrenza del termine di controllo pari a 30 giorni fissato dal comma 6-bis della medesima disposizione normativa.
Tuttavia, il potere di controllo non si può tuttavia considerare esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora il progetto allegato alla SCIA contenga elementi di ambiguità che, pur non essendo qualificabili come dichiarazioni sostitutive false o mendaci ex art. 19, comma 3, della legge 241/1990, rendano comunque l’esame più difficoltoso, omettendo o non evidenziando a sufficienza eventuali criticità e il percorso argomentativo seguito per superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra edifici posti a confine, è compito del progettista dare il giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli uffici comunali di effettuare una verifica completa del progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei tempi di controllo.

Sul termine di controllo della SCIA
8. L’art. 19, comma 4, della legge 241/1990 pone significative limitazioni al potere di intervento in autotutela dell’amministrazione, una volta che la SCIA abbia conseguito efficacia per decorrenza del termine di controllo pari a 30 giorni fissato dal comma 6-bis della medesima disposizione normativa.
9. Nel caso il esame il termine è in effetti decorso (09.01.2014-17.02.2014), e il Comune non evidenzia pericoli per il patrimonio artistico e culturale o per l’ambiente (e tantomeno per la salute, la sicurezza pubblica e la difesa nazionale). Sull’edificio della ricorrente non grava un vincolo paesistico in senso proprio: l’esame paesistico è imposto dall’inquadramento del centro storico nella classe 5 di sensibilità paesistica, situazione non coincidente con quella descritta nell’art. 19, comma 4, della legge 241/1990. L’edificio, benché l’architrave in pietra collocato sopra l’ingresso riporti la data del 1706, non è neppure assoggettato a vincolo monumentale.
10. Il potere di controllo non si può tuttavia considerare esaurito nel termine breve di 30 giorni, qualora il progetto allegato alla SCIA contenga elementi di ambiguità che, pur non essendo qualificabili come dichiarazioni sostitutive false o mendaci ex art. 19, comma 3, della legge 241/1990, rendano comunque l’esame più difficoltoso, omettendo o non evidenziando a sufficienza eventuali criticità e il percorso argomentativo seguito per superarle.
In particolare, quando vengano in rilievo interventi su parti comuni, o interventi che alterano il collegamento tra edifici posti a confine, è compito del progettista dare il giusto risalto a queste situazioni, per consentire agli uffici comunali di effettuare una verifica completa del progetto. Se non vi è piena trasparenza, la sanzione appropriata consiste nella (ragionevole) dilatazione dei tempi di controllo.
11. Nel caso in esame, la relazione paesistica datata 08.01.2014 evidenzia la formazione in gronda di un “piccolo dislivello” con il tetto del vicino, senza però una precisa quantificazione. Inoltre, come viene sottolineato nel provvedimento del 07.04.2014, omette di riferire che l’intervento riguarda anche parti comuni dell’edificio. Poiché entrambe le questioni assumono importanza nell’esame della SCIA, si deve riconoscere la legittimità dell’estensione del termine di conclusione del procedimento.
Le ordinanze di sospensione e di rimessione in pristino sono quindi qualificabili come atti finali della procedura tempestivamente adottati, e non come provvedimenti in autotutela (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 20.05.2015 n. 731 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come già ricordato da questa Sezione, per effetto dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), reputate illegittime, i soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima, esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a.; mentre, l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione d’inizio attività”.
Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo del Comune di ordinare il ripristino dei luoghi e la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là del portato motivazionale della presente sentenza, ancora margini di esercizio della discrezionalità da parte del Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.

4. Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la domanda di accertamento della illegittimità/inefficacia della DIA del 22.10.2012 e della successiva SCIA del 02.07.2013.
Come già ricordato da questa Sezione con la sentenza n. 233 del 17.02.2013, resa nel precedente giudizio sul silenzio, infatti, per effetto dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), reputate illegittime, i soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima, esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a. (cfr. Sez. II: 05.03.2012, n. 298; 15.02.2013, n. 230); mentre, l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione d’inizio attività”.
Quello appena descritto è d’altra parte il percorso seguito dai ricorrenti, che hanno prima reagito giudizialmente al silenzio della P.A., ottenendo la condanna di quest’ultima a provvedere sulla loro diffida, e poi hanno impugnato il provvedimento del 23.04.2014 di diniego di autotutela.
5. Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo del Comune di Vicenza di ordinare il ripristino dei luoghi e la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là del portato motivazionale della presente sentenza, ancora margini di esercizio della discrezionalità da parte del Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
Inoltre, non risulta che nel caso in esame siano state poste in essere falsità progettuali tali da legittimare un vincolato intervento sanzionatorio, venendo in rilievo, come testimoniato dalla presente motivazione, solo questioni interpretative di norme legislative e regolamentari (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.04.2015 n. 424 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come è noto, nel sistema del T.U. edilizia 06.06.2001 n. 380, in forza dell’art. 22, sono realizzabili mediante SCIA quattro categorie di interventi: le prime tre, che qui non interessano riguardano le varianti a permesso di costruire (comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a) e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già dettagliatamente disciplinate da un piano di livello superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso di costruire (comma 1).
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Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per cui è causa (tamponamento pareti laterali di tre tettoie e, quindi, nella loro trasformazione in capannoni) non sarebbe assentibile con SCIA, ma richiederebbe il permesso di costruire, comportando quanto meno un aumento di volumetria.
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Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4, consente alla legge regionale di ampliare o restringere il campo di applicazione della SCIA.
In Lombardia, dispone in proposito l’art. 41 della l. 11.03.2005 n. 12, modificato proprio dopo l’introduzione della SCIA, che nella parte rilevante recita: “Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011, chi ha titolo per presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis”.
La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata, com’è noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla scorta di conformi istruzioni ministeriali (comunicato 08.10.2010 della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad applicarsi ai soli interventi edilizi minori, ovvero alle sole ristrutturazioni cd. leggere, ovvero non rientranti, come nella specie, nella previsione dell’art. 10 T.U..
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La ricorrente, che è titolare in Ospitaletto, alla locale via ..., di un complesso produttivo formato da vari edifici (ricorso, p. 2 § 1, fatti pacifici in causa), ha presentato a quel Comune, al fine di procedere al cd. tamponamento, ovvero alla chiusura con pareti laterali, di tre tettoie comprese nel perimetro del proprio stabilimento, una prima DIA 25.02.2014 (doc. 12 Comune, copia di essa), a fronte della quale ha ricevuto l’inibitoria di cui al provvedimento del 21.03.2014 (doc. 15 Comune, copia di essa).
Ha allora da un lato richiesto l’annullamento d’ufficio di tale inibitoria, e se lo è visto negare (doc. 3 ricorrente, copia provvedimento); dall’altro ha presentato, in data 23.04.2014, una SCIA per lo stesso intervento (doc. 19 Comune, copia di essa e memoria Comune 27.06.2014 p. 5 ultime tre righe), ed ha ricevuto una nuova inibitoria 16.05.2014 (doc. 1 ricorrente, copia di essa).
Nel ricorso principale, come si desume dal contenuto dei motivi dedotti, la ricorrente impugna in sostanza la sola inibitoria 16.05.2014, motivata unicamente con l’esistenza sulle tettoie in questione di un “vincolo unilaterale di concessione precaria che garantisce al Comune…il diritto di richiedere la demolizione delle velette [nome tecnico delle tettoie in parola]…per motivi legati a nuova viabilità…in forza dell’impegnativa [testuale] registrata il 27.12.1979 a Brescia …” e ivi trascritta nei registri immobiliari” (doc. 1 ricorrente, cit.).
A sostegno, ha dedotto cinque censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti tre motivi:
- con il primo di essi, corrispondente alla censura quarta a p. 8 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l. 07.08.1990 n. 241, per omissione dell’avviso di inizio del procedimento;
- con il secondo motivo, corrispondente alle censure prima e quinta alle pp. 5 e 9 dell’atto, deduce violazione del principio di tipicità dell’atto amministrativo, non essendo, in sostanza, il vincolo descritto previsto dalla legge;
- con il terzo motivo, corrispondente alla censura terza a p. 7 dell’atto, deduce eccesso di potere per difetto di motivazione, in quanto il vincolo, a tutto voler concedere, sarebbe stato posto a servizio di una viabilità allo stato da tempo realizzata, e comunque non sarebbe stato pregiudicato dalla richiesta modifica delle pensiline esistenti, che sarebbero rimaste pur sempre amovibili, come nel loro assetto precedente.
Ha resistito il Comune, con memoria 27.06.2014, ed ha chiesto la reiezione del ricorso.
Questo Tribunale, con ordinanza 04.07.2014 n. 471, ha sospeso tale provvedimento, ritenendo tale “impegnativa” in sostanza priva di efficacia, ma facendo salvi ulteriori provvedimenti dell’amministrazione relativi ad altri profili di legittimità dell’opera in questione.
Il Comune ha adottato quindi il provvedimento (doc. 11 ricorrente, copia di esso) impugnato con i motivi aggiunti, motivato con riguardo all’importanza dell’intervento consistente nella chiusura delle tettoie in questione e quindi nella loro trasformazione in capannoni e ritenuto non realizzabile con semplice SCIA.
...
... per (A – ricorso principale) l’annullamento, previa sospensiva:
- del provvedimento 16.05.2014 prot. n. 9682, conosciuto in data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti della ricorrente Aran R.E. S.r.l. il divieto di prosecuzione dell’attività di cui alla segnalazione certificata di inizio attività – SCIA edilizia 23.04.2014 prot. n. 8058;
- del provvedimento 21.03.2014 prot. n. 5617, conosciuto in data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area tecnica del Comune di Ospitaletto ha disposto nei confronti della medesima ricorrente il divieto di dare inizio all’attività di cui alla dichiarazione di inizio attività – DIA edilizia 25.02.2014 prot. n. 3712;
- del provvedimento 16.04.2014 prot. n. 7654, conosciuto in data imprecisata, con il quale il Dirigente dell’area tecnica del Comune di Ospitaletto ha denegato l’annullamento in autotutela del predetto provvedimento 21.03.2014 prot. n. 5617;
...
4. Infondato è poi il secondo motivo, dovendosi condividere quanto evidenziato dall’amministrazione sia nel provvedimento, sia nelle proprie difese. L’intervento per cui è causa, che in sostanza porterebbe a trasformare alcune tettoie in altrettanti capannoni chiusi, non è infatti, nei termini che ora si illustreranno, fra quelli realizzabili con semplice SCIA.
5. Come è noto, nel sistema del T.U. edilizia 06.06.2001 n. 380, in forza dell’art. 22, sono realizzabili mediante SCIA quattro categorie di interventi: le prime tre, che qui non interessano riguardano le varianti a permesso di costruire (comma 2 e 2-bis), le ristrutturazioni (comma 3, lettera a) e le nuove costruzioni, in buona sostanza, già dettagliatamente disciplinate da un piano di livello superiore (comma 3, lettere b e c). Vi è poi la quarta categoria, che si definisce per differenza: esclude a valle gli interventi liberi di cui all’art. 6 e a monte gli interventi per cui, in base all’art. 10, serve il permesso di costruire (comma 1).
6. Andando ad esaminare il citato art. 10, l’intervento per cui è causa non sarebbe assentibile con SCIA, ma richiederebbe il permesso di costruire, comportando quanto meno –come correttamente rilevato dal Comune (memoria 29.08.2014 p. 9)- un aumento di volumetria, come ritenuto da TAR Abruzzo L’Aquila 07.03.2008 n. 123 in un caso analogo.
7. Resta da considerare che lo stesso art. 22, al comma 4, consente alla legge regionale di ampliare o restringere il campo di applicazione della SCIA. In Lombardia, dispone in proposito l’art. 41 della l. 11.03.2005 n. 12, modificato proprio dopo l’introduzione della SCIA, che nella parte rilevante recita: “Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lettera c), del d.l. 70/2011, chi ha titolo per presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis”.
8. La norma, la cui lettera è non chiarissima, è stata, com’è noto, interpretata dagli uffici regionali, sulla scorta di conformi istruzioni ministeriali (comunicato 08.10.2010 della D.G. Territorio), che la SCIA continua ad applicarsi ai soli interventi edilizi minori, ovvero, per quanto qui interessa, alle sole ristrutturazioni cd. leggere, ovvero non rientranti, come nella specie, nella previsione dell’art. 10 T.U..
9. Da quanto sin qui esposto, risulta che l’intervento non era e non è assentibile con lo strumento della SCIA invocato dalla ricorrente: vanno quindi respinte, per difetto del requisito del danno ingiusto, tutte le domande risarcitorie proposte (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.02.2015 n. 321 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI climatizzatori o i condizionatori, per consolidata giurisprudenza amministrativa, costituiscono impianti tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie, all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001.
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L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello stesso decreto n. 380 del 2001
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Nel caso di specie, l'installazione del condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
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L'opera installata dalla ricorrente non rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).

Ne consegue che,
essendo stato l'intervento eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004.
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1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato Ca.An.Pa. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e 23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in 23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto dagli artt. 81 cod. pen. e 44, lett. a), d.P.R. 06.06.2001, n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore d'aria a servizio del proprio esercizio commerciale in assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b) previsto dall'art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42 per aver eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona sottoposta al vincolo paesaggistico in Ostuni il 14.10.2008.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, Ca.An.Pa. affidando il gravame a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia l'erronea ed illegittima applicazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente all'esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun modo, nella previsione di cui all'art. 44, lett. a), del DPR 380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si contesta, infatti, la presunta violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame.
Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non rientra e non può rientrare nella previsione dell'art. 44, lett. a), del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea installazione di un piccolo supporto tecnologico non può configurare e/o costituire attività urbanistica-edilizia, non incidendo minimamente sull'uso del territorio.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione all'art. 54 cod. pen. (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) per aver la Corte territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo operato essere inquadrato in una condizione di necessità non altrimenti risolvibile.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto che l'ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna incidenza sotto il profilo paesaggistico.
2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa applicazione della legge penale e del difetto di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna) per la violazione del principio di proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità dell'intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.
...
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per la proposizione di essi nei casi non consentiti.
2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare come
i climatizzatori o i condizionatori, per consolidata giurisprudenza amministrativa (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del 01/10/2008), costituiscono impianti tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie, all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001.
L'articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (come modificato dall'art. 17, comma 1, decreto legge 12.09.2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e la redazione della presente sentenza, nella legge 11.11.2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso", e l'articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede, per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi dell'istallazione di impianti che si pongano in rapporto di strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto "Sblocca Italia" (decreto legge 12.09.2014, n. 133 convertito in legge 11.11.2014, n. 164) ha introdotto modifiche alla nozione di "manutenzione straordinaria", irrilevanti ai fini dello scrutinio della questione sottoposta alla Corte, in quanto il riferimento a "volumi e superfici delle singole unità immobiliari" è stato modificato, come si è in precedenza segnalato, nel concetto di "volumetria complessiva degli edifici" ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa, nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello stesso decreto n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l'installazione del condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame attengono a questioni che sono state già proposte al giudice d'appello e sono state motivatamente respinte.
L'opera installata dalla ricorrente non rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che,
essendo stato l'intervento eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (manifesta infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano infausta la prognosi relativa all'astensione dalla futura commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2015 n. 952).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: SCIA in via telematica, senza leale collaborazione rigetto illegittimo. Il destinatario della pec deve informare il mittente incolpevole della difficoltà di aprire e visionare il file.
A fronte di una SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) presentata in via telematica, l’Amministrazione procedente è tenuta al rispetto delle regole che ordinariamente informano i rapporti con i privati, e, prima di tutte, del principio di leale collaborazione.
Infatti la posta elettronica certificata (Pec), “quale tecnologia telematica, è strumento con il quale i privati possono relazionarsi con la pubblica Amministrazione (articolo 3 D.Lgs. n. 82/2005); la trasmissione a mezzo pec equivale a notificazione a mezzo posta (articolo 48 D.Lgs. n. 82/2005); se rispondenti ai requisiti formali normativamente fissati, le istanze e dichiarazioni inviate alla pubblica Amministrazione in via telematica equivalgono a quelle presentate su supporto cartaceo con sottoscrizione autografa (articolo 65 D.Lgs. n. 82/2005)”.

Lo ha evidenziato il TAR Friuli Venezia Giulia con la sentenza 03.12.2014 n. 610.
LA VICENDA. Nel caso affrontato dai giudici amministrativi del Friuli, la società Telecom Italia aveva presentato a mezzo pec una SCIA per la modifica di un proprio impianto fisso per la telefonia mobile nel Comune di Pocenia.
È però intervenuto il divieto comunale di prosecuzione dell’attività oggetto di SCIA, disposto per una serie di ragioni, tra le quali il fatto che uno dei file digitali contenenti la documentazione allegata alla segnalazione non risultava apribile e quindi visionabile.
IL DESTINATARIO DELLA PEC DEVE INFORMARE IL MITTENTE DELLA DIFFICOLTÀ DI VISIONARE IL FILE. Nella sentenza, il Tar Friuli osserva che “Nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione della pec e di consegna della stessa nella casella del destinatario si determina una presunzione di conoscenza della comunicazione da parte del destinatario analoga a quella prevista, in tema di dichiarazioni negoziali, dall’articolo 1335 Cod. civ.. Spetta la destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione legate all’utilizzo dello strumento telematico, pure ammesso dalla legge”.
Nel caso esaminato, “il Comune non ha nemmeno prospettato che la mancata apertura dei file contenenti la documentazione allegati alla SCIA dipendesse da una scelta deliberata delle segnalanti: ne consegue che era suo dovere rappresentare agli interessati la circostanza, fissando un termine per ovviare al problema, con l’avvertimento che il mancato tempestivo adempimento dell’incombente avrebbe determinato l’esercizio dei poteri inibitori nel termine di cui all’articolo 87-bis D.Lgs. n. 259/2003. A ben guardare –concludono i giudici amministrativi- non si trattava nemmeno di chiedere un’integrazione documentale, perché nel caso di specie il documento era stato inviato, ma di sollecitare, nell’interesse delle stesse segnalanti, una riproduzione dello stesso in un formato visionabile dall’Amministrazione
(commento tratto da www.casaeclima.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: C'è semplificazione in edilizia. Modelli Scia e permesso di costruire validi ovunque. Il via libera dal ministero ai moduli unificati. Stop alle richieste di documenti.
Un unico modello, valido per tutto il territorio nazionale, di Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e permesso di costruire.

A diffonderli è stato ieri il ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione che li ha adottati in forza dell'accordo Italia Semplice siglato il 12.06.2014 tra governo, regioni ed enti locali. In sostanza dunque, spiega una nota ministeriale, invece degli oltre 8 mila moduli, sinora in uso, ci sarà un solo modulo che, dove necessario, potrà essere adeguato alle specificità della normativa regionale.
Tra le altre novità previste, lo stop alla richiesta di documentazione che l'amministrazione ha già in possesso. Basterà una semplice autocertificazione o l'indicazione degli elementi che consentono all'amministrazione di reperire la documentazione.
Le due versioni dei moduli unificati per la Scia e il permesso di costruire prevedono tutta la casistica degli adempimenti connessi ai due adempimenti su tutto il territorio nazionale.
Adesso, spiegano dal dicastero, le prossime tappe saranno la verifica dell'effettiva diffusione del modulo (il risultato non è raggiunto fino a quando non è percepito da imprese e cittadini), adottare gli altri moduli per l'edilizia, l'ambiente e l'avvio delle attività produttive, proseguire infine con la semplificazione delle procedure connesse alle attività edilizie.
Intanto, i modelli unificati diffusi ieri puntano ad agevolare l'informatizzazione delle procedure e la trasparenza per cittadini e imprese. L'accordo Italia Semplice lancia un'alleanza istituzionale per riformare la pubblica amministrazione, attraverso la condivisione tra governo e autonomie di punti e obiettivi da raggiungere insieme nei vari livelli e organismi dello stato. L'intesa prevede il ripensamento dell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni territoriali e nazionali sul territorio e la valorizzazione del capitale umano quale elemento vitale della capacità della p.a. di dare risposte certe in tempi rapidi.
Tra le priorità vi sono: la mobilità intercompartimentale, la staffetta generazionale, pochi parametri e limiti alla spesa per il personale, l'adozione di un sistema di regole per il personale che coinvolga anche le società partecipate, la realizzazione di un «mercato» organico della dirigenza su base territoriale, che implichi anche un intervento sulla disciplina dei segretari comunali e provinciali, il ripensamento del sistema di accesso e norme tendenzialmente uniformi per tutti i soggetti che compongono la p.a. nel suo complesso, la semplificazione per crescere, ridefinire e rendere semplici le procedure, la digitalizzazione come unica forma di dialogo fra p.a., cittadini e imprese, l'Open data e la trasparenza come elementi centrali dell'azione amministrativa.
A molte di queste esigenze provano a dare risposta i provvedimenti (un decreto legge e un ddl) approvati venerdì scorso dal consiglio dei ministri (articolo ItaliaOggi del 18.06.2014 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATALa Scia spia degli abusi edilizi. La segnalazione ha valore confessorio dell'irregolarità. Il Consiglio di stato: se il comune non interviene entro 30 giorni scatta la sanatoria.
La Scia è spia d'abuso edilizio. Deve ritenersi che la segnalazione certificata di inizio attività abbia valore confessorio dell'irregolarità commessa dal proprietario dell'immobile: se quindi il Comune non interviene entro trenta giorni a bloccare i lavori, scatta il titolo abilitativo in sanatoria come effetto previsto dalla legge, indipendentemente da un'eventuale diversa volontà delle parti.
Risultato: è da considerarsi sanato l'abuso edilizio che aveva fatto scattare l'ordine di demolizione del solaio, rivelatosi più alto di sessanta centimetri rispetto al dovuto. E dunque l'ente locale non ha più interesse ad agire.
Lo precisa il Consiglio di Stato, Sez. V, con la sentenza 31.03.2014 n. 1534.
Azione e condizioni
A far scattare l'ordine di demolizione è stato l'accertamento che il manufatto risulta difforme rispetto ai grafici allegati alla concessione edilizia. Ma ora viene dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d'interesse il ricorso proposto dall'amministrazione contro la sentenza di annullamento pronunciato dal tribunale amministrativo regionale dell'Umbria.
Il Comune non contesta che sia effettivamente decorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della Scia senza che sia stato adottato e comunicato alcun provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività: ne consegue che oggi il solaio un tempo abusivo dispone di un titolo abilitativo, sia pure in sanatoria dell'attività edilizia originariamente abusiva. Si configura infatti la sopravvenuta carenza di interesse all'appello principale da parte del Comune che impugnava la sentenza del Tar favorevole al proprietario dell'immobile: la successiva Scia in sanatoria ha comunque sanato l'abuso dal quale è scaturita la controversia.
Sono quindi venute meno nelle more del giudizio le condizioni dell'azione che devono persistere per tutto il tempo della lite. Non ha buon gioco l'ente locale a porre la questione dell'ipotetico risarcimento in caso di rovesciamento del verdetto di primo grado. Spese compensate per la particolarità della questione (articolo ItaliaOggi del 16.05.2014).

EDILIZIA PRIVATA: La disciplina nazionale dell’attività edilizia - Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia (SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4. Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5. L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.; 5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio Nazionale del Notariato, studio 10.01.2014 n. 893-2013/C).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: La Scia non dribbla la verifica d'agibilità.
La verifica dell'agibilità di un locale destinato al trattenimento, anche se capace di accogliere meno di 200 persone, non può essere sostituita da una Scia e l'intervenuta abrogazione dell'art. 124 del regolamento al Tulps, disposta dal dl 5/2012, non fa venir meno gli obblighi in materia di sicurezza per bar e ristoranti che organizzano spettacoli.

Lo dice il ministero dell'interno nella circolare prot. 557/Pas/u/ 003524/13500.A (8) del 2013 diffusa dalla prefettura di Ravenna con nota n. 2013/2013.
Presupposto della Scia è la natura vincolata dell'atto autorizzativo sostituito, subordinatamente all'accertamento positivo dei requisiti di legge; e poiché il parere della commissione di vigilanza presuppone l'esercizio di una discrezionalità tecnica con un contenuto più ampio di una mera verifica del rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza, l'agibilità deve essere formalmente accertata.
Non sempre, peraltro, ha aggiunto il ministero, ogni spettacolo o trattenimento musicale o danzante svolto in un pubblico esercizio è soggetto agli art., 68, 69 e 80 Tulps. Sono esenti, infatti, gli spettacoli e i trattenimenti organizzati occasionalmente o per specifiche ricorrenze, sempreché rappresentino un'attività. Poco è cambiato quindi dopo l'abrogazione dell'art. 124 del rd 635/1940. Perché il legislatore non ha fatto altro che sancire a livello normativo il principio già ricavato dal dicastero a livello interpretativo.
In sostanza nessun obbligo per l'esercente quando il trattenimento è funzionale all'attività commerciale ed è lecito che l'esercente attui una maggiore attrattiva sul pubblico, ma senza quella specifica imprenditorialità nel campo dell'intrattenimento e dello spettacolo che farebbe, invece, scattare l'obbligo del rispetto delle specifiche norme (tratto da ItaliaOggi del 17.08.2013).

EDILIZIA PRIVATADECRETO DEL FARE/ Ristrutturazioni, meno vincoli. Demolizioni seguite da ricostruzione: sagoma esclusa. Via libera alla deburocratizzazione dei pareri per la Scia.
L'esclusione della sagoma, quale vincolo per considerare ristrutturazione le demolizioni seguite da ricostruzione; la sburocratizzazione dei pareri necessari per la Scia; la proroga dei termini di inizio e fine lavori; le agibilità parziali; il silenzio rigetto per i permessi di costruire in aree vincolate.

Queste alcune delle novità in materia di edilizia apportate dal pacchetto di semplificazioni contenuto nel decreto del Fare (69/2013).
Vincoli ambientali. Si passa dal silenzio-rifiuto al silenzio-rigetto, immediatamente impugnabile. Secondo il Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001), nel caso in cui manchi un atto di assenso per vincolo ambientale, paesaggistico e culturale, si viene a formare il silenzio rifiuto. Il decreto legge modifica il procedimento in caso di immobili vincolati nel seguente modo.
Se l'assenso dell'autorità preposta al vincolo è favorevole, il comune sarà tenuto a concludere il procedimento di rilascio del permesso di costruire con un provvedimento espresso e motivato. Se, invece, l'atto di assenso viene negato, decorso il termine per il rilascio del permesso di costruire, questo si intenderà respinto. L'atto è immediatamente impugnabile.
Pareri. Allo sportello unico per l'edilizia va il compito di acquisire i pareri anche prima della presentazione della Scia. Il testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione, da parte dello Sportello unico per l'edilizia (Sue), degli atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia libera o della Scia edilizia. Il decreto estende la disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire. Il provvedimento, infatti, dispone che l'interessato possa, prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di assenso necessari per l'intervento edilizio.
Lo sportello si deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di costruire: se non sono rilasciati gli atti di assenso delle altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate, il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi per acquisirli. Se poi l'istanza di acquisizione di tutti gli atti di assenso è contestuale alla segnalazione certificata di inizio attività, l'interessato potrà dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell'avvenuta acquisizione degli atti di assenso o dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità si applicano anche alla comunicazione dell'inizio dei lavori per l'attività edilizia libera, qualora siano necessari atti di assenso per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Edilizia libera. Una dichiarazione in meno per la comunicazione di inizio lavori. Il Testo unico per l'edilizia prevede per l'attività edilizia libera l'invio di una comunicazione dell'inizio dei lavori, a cui deve essere allegata una relazione asseverata firmata da un tecnico abilitato, che dichiari di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente. Il decreto dispone di eliminare tale dichiarazione da parte del tecnico abilitato.
Agibilità parziale. Il decreto modifica la disciplina del certificato di agibilità, consentendone la richiesta anche per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso stabile. Questo a condizione che le unità siano funzionalmente autonomi, qualora siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate e collaudate le parti strutturali connesse, nonché collaudati e certificati gli impianti relativi alle parti comuni.
L'agibilità parziale potrà essere richiesta anche per singole unità immobiliari, purché siano completate e collaudate le opere strutturali connesse, siano certificati gli impianti e siano completate le parti comuni e le opere di urbanizzazione primaria dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale.
Decorrenza. Le nuove disposizioni si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (tratto da ItaliaOggi del 14.08.2013).

EDILIZIA PRIVATAIter più snello, ma niente Scia per modificare la sagoma. Semplificazione a metà sugli immobili vincolati.
Iter semplificato –ma solo in parte– per gli immobili vincolati. Il decreto del fare (Dl 69/2013, convertito in legge dal Parlamento) da un lato alleggerisce la procedura per il rilascio del permesso di costruire per gli immobili sottoposti a vincoli, mentre dall'altro continua a richiederlo –o in alternativa la Dia– quando si realizzano su edifici vincolati interventi di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma.
Il vincolo di sagoma
Di fatto, la deregulation sul rispetto della sagoma introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr 380/2001 (si veda l'articolo in basso) non si applica agli immobili assoggettati a vincoli previsti dal Dlgs 42/2004. Nel caso di questi immobili gli interventi di demolizione e ricostruzione per essere considerati di ristrutturazione edilizia devono conservare volumetria e sagoma preesistenti (negli immobili non vincolati è sufficiente il rispetto solo del primo vincolo).
In altri termini, quando il nuovo edificio riproduce la stessa forma di quello demolito, l'intervento può essere essere eseguito con la Scia, se la forma cambia è indispensabile chiedere il rilascio del permesso di costruire o la Dia. Peraltro, è bene ricordare che il quadro delle norme nazionali –così come modificato dal decreto "del fare"– va sempre coordinato con le norme regionali (si veda la scheda a destra).
L'iter più leggero
Relativamente alle procedure, le nuove norme intervengono sui commi 8, 9 e 10 dell'articolo 20 del Dpr 380/2001. Il comma 10 viene abrogato: disciplinava il rilascio del permesso di costruire relativo agli immobili sottoposti a vincoli la cui tutela è attribuita ad amministrazioni diverse da quella comunale. La norma abrogata prevedeva che per acquisire i pareri di quelle amministrazioni, il responsabile comunale del provvedimento dovesse convocare una conferenza di servizi. L'attivazione di questa fase procedurale non era richiesta quando i pareri erano di pertinenza del Comune oppure quando l'amministrazione comunale era stata delegata a rilasciarli dalle amministrazioni titolari della relativa competenza. Con le nuove norme l'ufficio comunale convoca la conferenza dei servizi se lo ritiene opportuno, ma non è più obbligato a farlo.
Rilevanti sono anche le modifiche introdotte al comma 9 dell'articolo 20. Nella versione precedente, questa norma prevedeva che nel caso di parere negativo delle amministrazioni competenti a esprimersi sui vincoli ricadenti sull'immobile, «decorso il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto». Se gli altri enti erano contrari, pertanto, l'amministrazione comunale non era tenuta ad assumere alcun provvedimento in risposta all'istanza presentata da un'impresa o un cittadino.
Con le nuove regole, invece, la procedura di rilascio o di diniego del permesso di costruire deve concludersi con un atto dell'amministrazione comunale, che deve essere notificato all'interessato e nel quale devono essere indicati il termine e l'autorità a cui è possibile ricorrere nel caso di non accoglimento della richiesta.
Pur senza ammettere una valutazione meno rigorosa dei vincoli paesaggistici e storico-artistici, l'eliminazione del silenzio-rifiuto introduce una maggiore tutela nei rapporti con la pubblica amministrazione dei soggetti titolari di diritti su quegli immobili: non possono accampare alcun diritto in più a vedere accolte le proprie proposte, ma hanno il diritto di conoscere le ragioni per le quali i progetti avanzati non possono essere realizzati.
Il rendimento energetico
Novità anche in fatto di applicazione del Dlgs 192/2005, relativamente alle regole sul rendimento energetico degli edifici vincolati. In sede di conversione del Dl 63/2013, si è infatti intervenuti sulla norma che escludeva dal l'applicazione del Dlgs 192/2005 gli edifici vincolati «solo nel caso in cui il rispetto della prescrizione implichi un'alterazione sostanziale del loro carattere e aspetto con particolare riferimento ai profili storici e artistici». Ora si precisa che sono le amministrazioni titolari delle autorizzazioni relative al vincolo a dover chiarire se «il rispetto della prescrizione imposta implichi un'alterazione sostanziale del carattere o aspetto» dell'edificio.
Viene quindi reintrodotto il vincolo paesaggistico tra quelli che possono far venir meno l'applicazione del Dlgs 192, ferma restando la valutazione affidata all'autorità preposta al vincolo. La sola violazione di uno dei vincoli, inoltre, dovrebbe essere sufficiente a disapplicare il decreto.
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Le altre misure. Le disposizioni per gli edifici «ordinari» fuori dai centri storici. Ricostruzione anche difforme e otto anni per finire i lavori.
Per classificare come ristrutturazione edilizia la demolizione e ricostruzione di un edificio non sarà più necessario rifarlo esattamente uguale a come era in precedenza, con la stessa sagoma. I Comuni possono, però, limitare l'applicazione di questa norma nei centri storici.

Sono alcune delle semplificazioni che il decreto legge "del fare" (Dl 69/2013) ha apportato, in materia di edilizia, al testo unico dell'edilizia.
La modifica introdotta all'articolo 10, comma 1, lettera c), del Dpr 380/2001, permette di includere la demolizione di un edificio e la sua successiva ricostruzione (anche di ruderi di consistenza certa prima del crollo) con una forma differente dalla precedente tra gli interventi di ristrutturazione edilizia, con la possibilità, quindi, di realizzare i progetti con segnalazione certificata di inizio attività (Scia). Finora questi interventi passavano per nuove costruzioni, con la conseguenza che per realizzarli occorreva il permesso di costruire o la denuncia di inizio attività (Dia). Naturalmente, tra il vecchio e il nuovo edificio deve restare invariata la volumetria.
In sede di conversione del Dl 69 è stata introdotta una limitazione all'applicazione generalizzata e automatica della semplificazione sulla sagoma. Entro il 30 giugno del prossimo anno i sindaci devono, se non vogliono che al loro posto lo faccia un commissario regionale o ministeriale, individuare le aree dei centri storici e le altre classificate come zone omogenee A dal decreto ministeriale 1444/1968 nelle quali per gli interventi di demolizione e ricostruzione con modifica della sagoma continua ad essere necessario il permesso di costruire. Nelle restanti aree delle zone A, i lavori potranno iniziare solo dopo 30 giorni dalla presentazione della Scia. In queste zone l'applicazione della Scia a interventi con modifica della sagoma è sospesa: sarà possibile solo dopo che i Comuni avranno indicato le aree assoggettate a permesso di costruire.
Questa novità si lega a un'altra disposizione del decreto, in base alla quale lo sportello unico per l'edilizia (Sue) è diventato l'ufficio del Comune che deve acquisire tutti i pareri e nullaosta anche per gli interventi realizzati con la comunicazione di inizio dei lavori e la Scia.
L'interessato può presentare la richiesta di acquisizione di parere contestualmente alla Scia o comunicazione. In alternativa può dividere in due tempi l'operazione: prima chiede al Sue di acquisire gli assensi necessari e poi, una volta ottenuti, presenta la comunicazione del titolo abilitativo.
Un'altra misura anticrisi riguarda la validità temporale dei titoli abilitativi. Con il decreto del fare non occorre più alcuna motivazione per chiedere, al Comune, di iniziare i lavori oltre il termine di un anno dal ritiro del permesso di costruire o per terminarli oltre i tre anni dalla posa della prima pietra.
D'ora in avanti per ottenere una proroga di due anni di ognuno di quei termini è sufficiente una semplice istanza, senza che l'amministrazione comunale possa sindacare sul perché.
In sostanza vengono raddoppiati da quattro a otto gli anni a disposizione degli interessati per completare gli interventi. Le imprese, quindi, hanno più tempo per realizzare gli interventi senza chiedere il rilascio di un nuovo permesso e senza pagare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione per la parte dell'opera non completata entro il termine di validità del titolo. La proroga vale anche per gli interventi realizzati con Dia e Scia. Finora solo nelle Marche operava la proroga automatica dei titoli abilitativi.
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Il recepimento.
Attività edilizia libera a geometria variabile.

Meno limiti per alcune attività di edilizia libera. È il risultato delle modifiche apportate dal decreto "del fare" al comma 2 dell'articolo 6 del Dpr 380/2001 che elenca gli interventi per la cui realizzazione è richiesta una preventiva comunicazione di inizio lavori al Comune, anche tramite internet (nel comma 1 dello stesso articolo sono riportate le attività libere per le quali non occorre nessuna comunicazione).
Per gli interventi di manutenzione che non toccano le parti strutturali dell'edificio, non comportano aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici –nonché per le attività edilizie relative a modifiche interne relative alla superficie coperta dei capannoni e negozi oppure per il cambio della destinazione d'uso degli immobili in cui si svolge l'attività di una impresa– è inoltre necessario trasmettere anche i dati dell'impresa incaricata dei lavori, gli elaborati progettuale e la relazione di un tecnico abilitato.
Prima dell'entrata in vigore del decreto, il sottoscrittore della relazione poteva essere solo un libero professionista indipendente sia dall'impresa esecutrice sia dal committente. Soprattutto per le imprese con propri uffici tecnici ciò costituiva un costo aggiuntivo. Ora questa condizione è superata: il tecnico può essere anche un dipendente di uno dei due soggetti interessati all'intervento.
Questi interventi, al pari di ogni altra attività di edilizia libera, possono essere realizzati senza alcun titolo abilitativo solo se rispettano gli strumenti urbanistici comunali, le norme antisismiche, sulla sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie e quelle relative all'efficienza energetica; devono anche tenere conto delle disposizioni contenute nel Dlgs 42/2004.
Dall'esame delle norme regionali che hanno recepito il contenuto del testo unico dell'edilizia (o parti di esso), si ricava che nell'elencazione delle attività di edilizia libera molte Regioni si sono attenute a quando previsto dal Dpr 380/2001. In qualche caso è stata mantenuta la distinzione tra le attività di edilizia libera per le quali è richiesta la comunicazione anticipata al Comune e quelle per le quali essa non occorre.
In Umbria la comunicazione è richiesta per i cambi d'uso di non più del 50% della superficie utile dell'unità immobiliare, entro un tetto massimo di 50 mq. In Sardegna la comunicazione è richiesta per tutti gli interventi. La lista delle attività libere è molto lunga in Friuli Venezia Giulia. Se non sono stabilmente ancorate al terreno e hanno allacciamenti mobili ai servizi anche le strutture ricettive turistiche all'aria aperta possono essere realizzate senza titolo abilitativo (tratto da Il Sole 24 Ore del 12.08.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Anche per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni ex art. 36, comma 3.

Sempre in via preliminare, va rilevato che i provvedimenti impugnati sono stati emanati nei termini legali, atteso che anche per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001. Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni ex art. 36, comma 3
(TAR Basilicata, sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATAAl comune il compito di recuperare i pareri per la Scia. Lo sportello unico dovrà acquisire gli atti presupposti all'inizio dei lavori.
Al comune il compito di recuperare i pareri necessari per la Scia, agibilità edilizia parziale e semplificazioni nella comunicazione di inizio attività per l'attività di edilizia libera.
Sono queste alcune delle novità in materia edilizia della bozza di decreto legge sulle semplificazioni, che va oggi in Consiglio dei ministri. Partiamo proprio dai pareri per esaminare le possibili innovazioni al Testo unico per l'edilizia.
Pareri. Allo sportello unico andrebbe il compito di acquisire i pareri anche prima della presentazione della Scia. Il Testo unico edilizia non disciplina l'acquisizione, da parte dello sportello unico per l'edilizia (Sue), degli atti di assenso presupposti all'inizio dei lavori nel caso in cui l'intervento edilizio sia soggetto alla presentazione della comunicazione di inizio lavori di attività edilizia libera o della Scia edilizia. Il decreto estenderebbe la disciplina prevista oggi solo per il permesso di costruire.
Il provvedimento, infatti, propone che l'interessato possa, prima di presentare la comunicazione o la Scia, richiedere allo sportello unico l'acquisizione di tutti gli atti di assenso necessari per l'intervento edilizio. Lo sportello si deve attivare, come nel caso di richiesta di permesso di costruire, ma con termini ridotti alla metà: se entro 30 giorni dalla domanda non sono stati rilasciati gli atti di assenso delle altre amministrazioni pubbliche, o è intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate, il responsabile dello sportello unico indice la conferenza di servizi per acquisirli.
In dettaglio si propone l'inserimento nel Testo unico dell'edilizia di un nuovo articolo che prevede che nei casi in cui si applica la disciplina della segnalazione certificata di inizio attività prima della presentazione della segnalazione, l'interessato potrà richiedere allo sportello unico di provvedere all'acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento edilizio, o presentare istanza di acquisizione dei medesimi atti di assenso contestualmente alla segnalazione.
Lo sportello unico comunicherà tempestivamente all'interessato l'avvenuta acquisizione degli atti di assenso. In caso di presentazione contestuale della segnalazione certificata di inizio attività e dell'istanza di acquisizione di tutti gli atti di assenso, comunque denominati, necessari per l'intervento edilizio, l'interessato potrà dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell'avvenuta acquisizione dei medesimi atti di assenso o dell'esito positivo della conferenza di servizi. Le novità proposte si applicheranno anche alla comunicazione dell'inizio dei lavori per l'attività di edilizia libera qualora siano necessari atti di assenso, comunque denominati, per la realizzazione dell'intervento edilizio.
Agibilità parziale. Il decreto modificherebbe la disciplina del certificato di agibilità, consentendone la richiesta anche per singoli edifici o singole porzioni di uno stesso stabile. Questo a condizione che le unità siano funzionalmente autonome, e sempre che siano state realizzate e collaudate le opere di urbanizzazione primaria relative all'intero intervento edilizio e siano state completate le parti comuni relative al singolo edificio o singola porzione della costruzione.
L'agibilità parziale potrebbe essere richiesta anche per singole unità immobiliari (se complete delle opere strutturali, impianti, parti comuni e opere di urbanizzazione primarie ultimate o dichiarate funzionali rispetto all'edificio oggetto di agibilità parziale). Nei casi di rilascio del certificato di agibilità parziale prima della scadenza del termine entro il quale l'opera deve essere completata, lo stesso è prorogato per una sola volta di tre anni.
Attività edilizia libera. Una dichiarazione in meno per la comunicazione di inizio lavori. Il Testo unico per l'edilizia prevede per l'attività edilizia libera l'invio di una comunicazione dell'inizio dei lavori, a cui deve essere allegata una relazione asseverata firmata da un tecnico abilitato, che dichiari di non avere rapporti di dipendenza con l'impresa né con il committente.
Il decreto propone di eliminare tale dichiarazione da parte del tecnico abilitato, consentendo di conseguenza di rimuovere l'obbligo di assumere un tecnico indipendente: la prescrizione che non trova riscontro nelle altre procedure edilizie (Scia, Dia in alternativa al permesso di costruire, permesso di costruire) (articolo ItaliaOggi del 15.06.2013).

EDILIZIA PRIVATA: A. Gustapane, SCIA edilizia e responsabilità penale dei funzionari comunali (maggio 2013 - tratto da www.filodirittto.com).

EDILIZIA PRIVATALa Scia senza imposta di bollo. Le Entrate esonerano dal tributo, salvo altre certificazioni. Risoluzione dell'amministrazione finanziaria sul nullaosta in materia di prevenzione incendi.
No all'applicazione dell'imposta di bollo per la presentazione della Segnalazione certificata d'inizio attività (Scia), purché la stessa non preveda il rilascio di un provvedimento o, comunque, di certificazioni. Imposta di bollo nella misura di euro 14,62 a foglio, invece, per nulla osta di fattibilità che i titolari delle attività soggette ai controlli di prevenzione possono richiedere, al comando dei vigili del fuoco.
L'Agenzia delle entrate, con la risoluzione 08.04.2013 n. 24/E, risponde al quesito posto dal dipartimento dei vigili del fuoco in ordine al corretto trattamento da riservare, ai fini dell'imposta di bollo, su alcuni documenti. In pratica si tratta del nullaosta di fattibilità che i titolari delle attività soggette al controllo dei vigili del fuoco possono richiedere preventivamente al comando provinciale vigili del fuoco e delle richieste di verifiche in corso d'opera al fine di attestare la rispondenza delle opere alle disposizioni in materia di prevenzione incendi, anche durante la loro realizzazione.
I tecnici di prassi sostengono il nulla osta di fattibilità rientra tra gli «Atti e provvedimenti_» di cui all'articolo 4 della tariffa allegata al dpr n. 642 del 1972, «_ rilasciati (_) a coloro che ne abbiano fatto richiesta» e, pertanto, è soggetto all'imposta di bollo nella misura di euro 14,62 per ogni foglio. Nel caso delle richieste di verifiche in corso d'opera, se a seguito della effettuazione di queste visite, l'amministrazione proceda all'emanazione di un atto amministrativo, sia l'istanza presentata dall'ente o dal privato che il relativo atto rilasciato devono essere assoggettati ad imposta di bollo, ai sensi degli articoli 3 e 4 della tariffa del dpr n. 642 del 1972.
Per quanto riguarda la Scia, l'Agenzia delle entrate con la risoluzione 05.07.2001 n. 109, ha avuto modo di chiarire, con riferimento alle denunce di inizio attività di cui alla legge 07.08.1990 n. 241, che le stesse «_ non sono da assimilare alle istanze volte ad ottenere l'emanazione di un provvedimento_ Non essendo prevista l'emanazione di un provvedimento (_) non è possibile far rientrare tra le istanze_» di cui al citato articolo 3 dpr n. 642 del 1972 «_ le denunce di inizio attività (_) che sono infatti da considerare come semplici comunicazioni e pertanto non soggette ad imposta di bollo_».
Oggi, sulla base di tale risoluzione del 2001, i tecnici di prassi ritengono che la Scia, non deve essere assoggettata a imposta di bollo, sempreché la stessa non preveda il rilascio di un provvedimento o, comunque, il rilascio di certificazioni (articolo ItaliaOggi del 09.04.2013 - tratto da www.fiscooggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Asprone e A. Magliulo, LE AZIONI ESPERIBILI DAI TERZI CONTROINTERESSATI IN MATERIA DI SCIA ALLA LUCE DEGLI ULTIMI APPRODI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI (Gazzetta Amministrativa n. 3/2013).
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Segnalazione certificata di inizio attività, SCIA. Il delicato aspetto controverso, connesso alla questione relativa alla natura giuridica e i termini entro cui proporre tale azione.
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Sommario: 1. Il dibattito, dottrinario e giurisprudenziale, sulla sanatoria giurisprudenziale. - 2. Considerazioni conclusive.

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal Consiglio di Stato. La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri. Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso di costruire i conteggi vengono differiti fino all'approvazione del progetto.

L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività), insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento del carico urbanistico, quindi all'attività di trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al momento di presentazione della Scia o della denuncia che l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece, l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più favorevoli, in vigore alla data di presentazione della domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha progressivamente definito i contenuti e la portata, chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a fronte di un asserito inadempimento del Comune della "controprestazione" pattuita, che nel caso specifico consisteva nella costruzione di una strada indispensabile per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente sia dalle spese effettivamente occorrenti all'amministrazione per realizzare le opere di urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e localizzazione del manufatto, oppure all'entità della trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci si limiti a contestare la concreta quantificazione del contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012, n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
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I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato e grazie alle quali l'area acquista un beneficio economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo i parametri vigenti al momento del rilascio della concessione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO È IMMEDIATO
Nel caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia (Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della domanda - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati i contributi concessori per gli interventi edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011, n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio oggetto di concessione edilizia e di contribuzione urbanistica - Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato tenendo conto anche delle "superfici di calpestio", ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior incremento del carico urbanistico - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n. 4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla collettività comunale per effetto della trasformazione del territorio - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo abilitativo - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria dell'insussistenza o di una diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752 (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2012).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, IL LAVORO DEGLI OPERATORI DELL’EDILIZIA È SEMPRE PIÙ COMPLICATO - La S.C.I.A. edilizia in Lombardia - Come se la crisi non bastasse, da Palazzo Lombardia ecco arrivare un’altra bella gatta da pelare (AL n. 9-10/2012).

EDILIZIA PRIVATASCIA, super-DIA, permesso di costruire: tutto quello che c’è da sapere, in un documento semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi, dalla semplice manutenzione alla costruzione di un nuovo fabbricato, è necessario possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un documento di sintesi, contenente le definizioni relative alle diverse attività edilizie, le tipologie dei permessi previsti, le relative normative di riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni previste.
Il documento risulterà certamente utile a tutti i tecnici dell’edilizia e non solo (26.07.2012 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATALa Scia è materia riservata allo stato. Respinti i ricorsi di quattro regioni.
La Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) va ricondotta al parametro dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, II comma, lettera m) Cost. e, in quanto tale, rientra nella competenza dello Stato.
È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza 27.06.2012 n. 164 respingendo i ricorsi presentati da Toscana, Liguria, Emilia Romagna, e Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste.
A distanza di due anni, quindi, dalla modifica dell'articolo 19 della legge 241/1990, con l'introduzione della Scia (immediatamente efficace) in luogo della Dia (ad efficacia differita) il giudice delle leggi ha affermato che la disciplina della Scia attiene ai livelli essenziali delle prestazioni e, quindi, di competenza dello stato. Ciò in quanto tale affidamento in via esclusiva si collega al fondamentale principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione. Ciò comporta, inevitabilmente, ha osservato la Corte, una restrizione dell'autonomia legislativa delle regioni, allo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutelati dalla stessa Costituzione.
La Corte ha invece condiviso uno dei motivi di ricorso delle regioni, ovvero che la Scia non poteva considerarsi attinente anche alla tutela della concorrenza, così come affermato dall'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del dl 78/2010. Il riferimento alla «tutela della concorrenza» contenuto nella legge che ha introdotto il nuovo istituto, ha rilevato la Corte, è del tutto inappropriato. Perché detta disciplina ha un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre tale materia. anche se è ben possibile che vi siano casi nei quali quella materia venga in rilievo. Uno dei motivi di ricorso delle regioni riguardava anche la Scia ed il settore dell'edilizia.
A tale proposito, la Corte ha sottolineato che ogni dubbio interpretativo circa l'applicabilità a tale settore è stato superato in forza del fatto che il legislatore è intervenuto successivamente con il dl 70/2011. Ma relativamente a tale aspetto ha precisato che «non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull'intero territorio nazionale valgano anche per l'edilizia anche se questa, come l'urbanistica, rientra nel governo del territorio», materia appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni» (articolo ItaliaOggi del 28.06.2012 - link a www.ecostampa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure urgenti per la crescita del Paese" (D.L. 22.06.2012 n. 83).
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Le disposizioni del Decreto Legge sono già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi (SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al testo del Decreto, riproponiamo il documento di sintesi delle principali disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a http://www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATATenuto conto del lungo tempo intercorso dalla presentazione della SCIA e delle numerose integrazioni documentali, è illegittimo il provvedimento di demolizione recante un mero richiamo alla presunta contrarietà dell’opera alle NTA vigente e senza alcun cenno ai presupposti per l’esercizio del potere di autotutela, come del resto stabilito dalla prevalente giurisprudenza in analoghe fattispecie, nelle quali l’esercizio del potere repressivo in materia edilizia non è stato preceduto dal rituale esercizio del potere ex art. 21-nonies della legge 241/1990.
L’ordinanza di demolizione concerne un’opera (box per auto), realizzata dall’esponente in esecuzione della SCIA depositata il 24.05.2011 e successivamente integrata attraverso la produzione documentale del 21.06.2011 e del 13.09.2011 (cfr. doc. 1 del ricorrente).
A fondamento della propria decisione, il Comune assume la presunta difformità dell’opera rispetto agli elaborati progettuali (distanza dal fabbricato principale di metri 4,2 anziché 5 ed altezza di metri 2,92 anziché 2,5).
L’art. 19 della legge 241/1990, nel testo attualmente vigente relativo alla SCIA, consente all’Amministrazione, in caso di accertata carenza dei requisiti di legge per la segnalazione certificata di inizio attività, di adottare provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività o di rimozione degli effetti, entro 30 giorni dal ricevimento della SCIA in materia edilizia (così il combinato disposto dei commi 3 e 6-bis dell’art. 19).
Dopo la scadenza del suddetto termine, è consentito l’intervento dell’Amministrazione per la tutela di beni giuridici di particolare valore (ambiente, salute ed altri), oppure l’esercizio del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990 (così i commi 3 e 4 dell’art. 19).
Nel caso di specie, l’ordinanza di demolizione è stata adottata il 13.02.2102 (cfr. doc. 1 del ricorrente), allorché l’ultima produzione documentale integrativa da parte dell’esponente era avvenuta il 19.12.2011, come del resto ammesso anche nel provvedimento ivi impugnato.
Nell’ordinanza di demolizione, manca ogni accenno ai presupposti per l’esercizio del potere di autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies sopra citato, né è fatto riferimento ad un eventuale pericolo di danno per il patrimonio artistico od altro, ai sensi del comma 4 dell’art. 19.
Il Comune si limita infatti, nell’ordinanza stessa, a sostenere la presunta contrarietà dell’intervento edilizio all’art. 13 delle NTA del vigente PRG, senza altro addurre per giustificare il provvedimento di carattere demolitorio adottato nei confronti della SCIA dell’esponente.
Tenuto conto del lungo tempo intercorso dalla presentazione per la prima volta della SCIA (24.05.2011) e che l’ultima delle –peraltro numerose– integrazioni documentali é stata effettuata il 19.11.2011, il provvedimento di demolizione del 13.02.2012, recante un mero richiamo alla presunta contrarietà dell’opera alle NTA vigente e senza alcun cenno ai presupposti per l’esercizio del potere di autotutela, appare illegittimo, come del resto stabilito dalla prevalente giurisprudenza in analoghe fattispecie, nelle quali l’esercizio del potere repressivo in materia edilizia non è stato preceduto dal rituale esercizio del potere ex art. 21-nonies della legge 241/1990 (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 07.06.2011, n. 1405; TAR Marche, 27.09.2010, n. 3305 e TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 02.07.2010, n. 16562).
Si conferma pertanto l’accoglimento del ricorso, con assorbimento di ogni altra censura e con conseguente annullamento dell’ordinanza comunale del 13.02.2012 (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.06.2012 n. 1515 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, SCIA in edilizia e tutela del terzo (esegesi dell’art. 19 della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii., con invito alla chiarezza normativa rivolto al Presidente del Consiglio dei Ministri) (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di ricorsi proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente all'esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione, in virtù del principio di economia processuale, l'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in ragione del fatto che la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire sia sul piano del petitum che della causa petendi la decisione della p.a. di non adottare il provvedimento inibitorio.
Dunque, è riconosciuta la possibilità di un’azione giurisdizionale di accertamento della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a. presentate dai privati, prima dell’esercizio da parte dell’amministrazione competente dell’azione inibitoria di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa nel caso in cui accerti la mancanza dei requisiti e dei presupposti per la validità delle dichiarazioni e delle segnalazioni sostitutive. Questo nella logica della garanzia di tutela giurisdizionale, che verrebbe meno laddove non fosse possibile riconoscere agli interessati la tutela in giudizio a fronte di dichiarazioni di privati sostitutive di titoli abilitanti all’esercizio di attività, nel caso di inerzia o rifiuto delle amministrazioni competenti a inibirne gli effetti a fronte della carenza dei presupposti di legittimità.

Per quanto riguarda la contestabilità in giudizio della s.c.i.a., va preliminarmente ricordato come l’istituto sia nuovo nel nostro ordinamento. Introdotte con modifica all’art. 19 della L. 07.08.1990 n. 241 dalla L. 30.07.2010 n. 122, le s.c.i.a. (segnalazioni certificate d’inizio attività edilizia) insieme alle d.i.a. s’inseriscono tra le modalità di semplificazione dell’azione amministrativa con effetto sostitutivo, a mezzo dichiarazione, di provvedimenti pubblici di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominati, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale (art. 19, comma 1, della L. n. 241/1990).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 29.7.2011 n. 15, ha statuito che nel caso di ricorsi proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente all'esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione, in virtù del principio di economia processuale, l'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in ragione del fatto che la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire sia sul piano del petitum che della causa petendi la decisione della p.a. di non adottare il provvedimento inibitorio.
La pronuncia, dunque, riconosce la possibilità di un’azione giurisdizionale di accertamento della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a. presentate dai privati, prima dell’esercizio da parte dell’amministrazione competente dell’azione inibitoria di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa nel caso in cui accerti la mancanza dei requisiti e dei presupposti per la validità delle dichiarazioni e delle segnalazioni sostitutive. Questo nella logica della garanzia di tutela giurisdizionale, che verrebbe meno laddove non fosse possibile riconoscere agli interessati la tutela in giudizio a fronte di dichiarazioni di privati sostitutive di titoli abilitanti all’esercizio di attività, nel caso di inerzia o rifiuto delle amministrazioni competenti a inibirne gli effetti a fronte della carenza dei presupposti di legittimità
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 04.05.2012 n. 4007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe il comune è silente la Scia va in tribunale.
Al chi si ritiene leso dagli effetti della Dia (oggi Scia) concessa, per esempio, a un vicino di casa, non resta che esperire l'azione di cui all'articolo 31 del codice del processo amministrativo in materia di silenzio della pubblica amministrazione.

È il risultato della manovra di Ferragosto prima e del correttivo al Cpa poi che, recependo solo in parte le indicazioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, hanno di fatto cancellato dall'ordinamento giuridico l'azione di annullamento del provvedimento tacito di diniego dei provvedimenti inibitori, introdotta solo per via giurisprudenziale da palazzo Spada. Chi si ritiene danneggiato dalla Dia-Scia, comunque, potrà agire ben prima della scadenza del termine finale assegnato all'amministrazione per l'esercizio del potere di bloccare l'iniziativa o modificare il titolo. E ciò fin da quando la Scia o la Dia sono presentate e il terzo viene a sapere della loro utilizzazione.
Lo precisa la sentenza 05.03.2012 n. 298 della II Sez. del TAR Veneto.
Unico rimedio
L'adunanza plenaria 15/2011 di palazzo Spada ha stabilito che la Dia costituisce una mera dichiarazione del privato rivolta all'amministrazione competente e non un provvedimento tacito formatosi per il decorso del termine. In base al nuovo quadro normativo, tuttavia, il legislatore recepisce sì l'indicazione proveniente dal Consiglio di stato rispetto alla Dia-Scia, in quanto atto del privato non immediatamente impugnabile, ma se ne discosta sui rimedi esperibili dal terzo controinteressato, il quale ha ora a disposizione soltanto l'azione prevista dall'articolo 31 Cpa per i casi di silenzio dell'amministrazione.
Ma l'azione, più che il silenzio, riguarderà direttamente l'accertamento dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività oggetto della segnalazione, con i conseguenti effetti conformativi rispetto ai provvedimenti spettanti all'amministrazione. Il rinvio all'istituto del silenzio, insomma, non riduce molto la tutela in favore del terzo: chi si ritiene leso dalla Dia-Scia concessa al vicino di casa potrà sollecitare con una diffida l'esercizio dei poteri sanzionatori e repressivi che spettano all'amministrazione in materia edilizia, oltre che l'esercizio del potere di autotutela.
Entro un anno dalla scadenza del termine per l'adempimento si potrà esperire l'azione di cui all'articolo 31 Cpa, richiamata dal comma 6-ter dell'articolo 19 della legge 241/1990 (articolo ItaliaOggi del 04.04.2012).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione di una DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun procedimento amministrativo, per cui il decorso del termine di legge di 60 o 30 giorni per l’adozione di provvedimenti inibitori o repressivi da parte della Pubblica Amministrazione non configura alcuna conclusione di procedimento amministrativo né alcuna adozione di un provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990, consente al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo periodo, contiene a tale proposito la parola <<esclusivamente>>, introdotta in sede di conversione del decreto legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, la proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio della P.A. tutto sommato sui generis, visto che l’esperimento della stessa è consentito anche se la presentazione della DIA/SCIA non ha dato avvio ad alcun procedimento amministrativo.
Il silenzio della P.A., che consente l’azione ex art. 31 del codice del processo, presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione” del terzo all’Amministrazione, affinché quest’ultima eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale sollecitazione, pur non dovendo contenere formule sacramentali, debba però possedere una serie di minimi requisiti per così dire di “serietà”, che la rendano idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio annoverarsi la forma scritta, con l’indicazione –seppure di massima– della lamentata illegittimità dell’intervento edilizio e con la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione.
In altri termini, la sollecitazione all’esercizio del potere di cui è causa non può confondersi con la generica denuncia di eventuali abusi edilizi, che può ovviamente essere effettuata da qualsivoglia cittadino anche in forma orale, ma che non appare però idonea a fondare il silenzio dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la circostanza che, nel vigente ordinamento processuale amministrativo, a differenza del pregresso sistema, l’azione contro il silenzio della P.A. può essere promossa anche senza previa diffida all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°, del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui sopra è giustificata dal fatto che la scadenza infruttuosa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990), equivale comunque alla formazione del silenzio inadempimento della P.A., mentre nel caso di presentazione di DIA o di SCIA, come già sopra ricordato, non viene avviato alcun procedimento amministrativo, sicché soltanto attraverso l’idonea sollecitazione di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è possibile la formazione del silenzio inadempimento dell’Amministrazione.

Come noto, il regime della tutela giurisdizionale del terzo a fronte della presentazione di una denuncia/dichiarazione di inizio attività (DIA) o di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), reputate dal terzo contra legem, è oggi contenuto nell’art. 19 della legge 241/1990, come modificato dal decreto legge 138/2011, convertito con legge 148/2011.
Il comma 6-ter dell’art. 19 citato, esclude in primo luogo che la DIA e la SCIA costituiscano provvedimenti amministrativi taciti direttamente impugnabili: si tratta di una scelta legislativa conforme alla conclusione alla quale era giunta –seppure dopo un serrato dibattito– la stessa giurisprudenza amministrativa, con la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011, di poco anteriore alla riforma legislativa del decreto legge 138/2011.
Di conseguenza, nello schema normativo del citato comma 6-ter, la presentazione di una DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun procedimento amministrativo, per cui il decorso del termine di legge di 60 o 30 giorni per l’adozione di provvedimenti inibitori o repressivi da parte della Pubblica Amministrazione non configura alcuna conclusione di procedimento amministrativo né alcuna adozione di un provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, consente al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo periodo, contiene a tale proposito la parola <<esclusivamente>>, introdotta in sede di conversione del decreto legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, la proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio della P.A. tutto sommato sui generis, visto che l’esperimento della stessa è consentito anche se la presentazione della DIA/SCIA non ha dato avvio ad alcun procedimento amministrativo (a tale proposito, si comprende perché il D.Lgs. 195/2011, costituente il primo decreto correttivo al codice del processo amministrativo, abbia modificato il primo comma dell’art. 31 del codice stesso, permettendo l’azione contro il silenzio non solo dal momento della conclusione del procedimento, ma anche <<negli altri casi previsti dalla legge>>, fra cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19, comma 6-ter, succitato).
Il silenzio della P.A., che consente l’azione ex art. 31 del codice del processo, presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione” del terzo all’Amministrazione, affinché quest’ultima eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale sollecitazione, pur non dovendo contenere formule sacramentali, debba però possedere una serie di minimi requisiti per così dire di “serietà”, che la rendano idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio annoverarsi la forma scritta, con l’indicazione –seppure di massima– della lamentata illegittimità dell’intervento edilizio e con la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione.
In altri termini, la sollecitazione all’esercizio del potere di cui è causa non può confondersi con la generica denuncia di eventuali abusi edilizi, che può ovviamente essere effettuata da qualsivoglia cittadino anche in forma orale, ma che non appare però idonea a fondare il silenzio dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la circostanza che, nel vigente ordinamento processuale amministrativo, a differenza del pregresso sistema, l’azione contro il silenzio della P.A. può essere promossa anche senza previa diffida all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°, del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui sopra è giustificata dal fatto che la scadenza infruttuosa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990), equivale comunque alla formazione del silenzio inadempimento della P.A., mentre nel caso di presentazione di DIA o di SCIA, come già sopra ricordato, non viene avviato alcun procedimento amministrativo, sicché soltanto attraverso l’idonea sollecitazione di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è possibile la formazione del silenzio inadempimento dell’Amministrazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.04.2012 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

Lombardia, Scia sì, Scia no: l'atto finale ??

     Da questo Portale ci siamo prodigati più volte (e, precisamente, lo scorso: 06.06.2011; 13.07.2011; 17.10.2011; 27.10.2011) nel cercare di far capire la bontà delle nostre ragioni secondo cui, ad oggi, in Lombardia non è possibile applicare l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) nella materia edilizia.
     Nello specifico, lo scorso 27.10.2011 davamo conto come l'ANCI Lombardia avesse diffuso, il 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia” (testo 19.10.2011) ove, in pratica, si tratta del cosiddetto "PIANO CASA-BIS" con altre modifiche legislative di non poco conto. E, nel contempo, evidenziavamo come il Pdl lombardo NULLA dicesse in merito all'istituto della Scia edilizia, ovverosia NULLA avesse recepito per quanto disposto dal noto D.L. n. 70/2011 convertito con modificazioni dalla legge 12.07.2011 n. 106, pervenendo, per l'ennesima volta, alla conclusione che in Lombardia NON si può applicare (nella materia edilizia) l'istituto della Scia.
     Ciò premesso e ricordato, la Giunta Regionale lombarda con la recente deliberazione 09.11.2011 n. 2428 ha approvato la bozza di Pdl di cui sopra e cioè la proposta di progetto di legge recante “Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia", definito comunemente "PIANO CASA-BIS", già presentato l'11.11.2011 al Consiglio Regionale per il vaglio preliminare delle competenti commissioni assumendo l'identificativo "progetto di legge n. 0133". E le novità introdotte all'ultimo momento non sono di poco conto ...
     Ma andiamo con ordine.
     L'art. 14 del Pdl de quo così recita: "
Art. 14 - (Disposizioni in materia di titoli abilitativi)
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire si applica la disciplina di cui all’articolo 20 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A).
2. L'articolo 38 della l.r. 12/2005 è sostituito dal seguente: “Art. 38 - (Oneri di urbanizzazione afferenti il permesso di costruire)
1. L’ammontare degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria dovuti è determinato con riferimento alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché completa della documentazione prevista. Nel caso di piani attuativi o di atti di programmazione negoziata con valenza territoriale, l’ammontare degli oneri è determinato al momento della loro approvazione, a condizione che la richiesta del permesso di costruire, ovvero la denuncia di inizio attività siano presentate entro e non oltre trentasei mesi dalla data della approvazione medesima.
2. Fatta salva la facoltà di rateizzazione, la corresponsione al comune della quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, se dovuti, dev’essere fatta all’atto del rilascio del permesso di costruire, ovvero allo scadere del termine di trenta giorni previsto dall’articolo 20, comma 6, primo periodo, del d.P.R. 380/2001 nei casi di cui al comma 8 del medesimo articolo 20.
”.
3. All’articolo 40 della l.r. 12/2005 è apportata la seguente modifica:
a) al comma 2 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ", nonché la destinazione d'uso.".
4. All’articolo 41 della l.r. 12/2005 sono apportate le seguenti modifiche:
a) la rubrica è sostituita dalla seguente: “(Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività)”;
b) al comma 1 sono inserite, all’inizio, le seguenti parole: “Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L. 70/2011,
.
5.
Alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 103 della l.r. 12/2005 sono soppressi i seguenti numeri: “20” e “21”.
".
     La relazione di accompagnamento al Pdl così spiega la portata del sopra riportato art. 14: "
L’articolo 14 chiarisce che ai fini del rilascio del permesso di costruire si applica la nuova disciplina introdotta dal D.L. n. 70/2011 (cfr. art. 5, comma 2, lett. a), punto 3), basata sul silenzio-assenso, con conseguente riscrittura dell’articolo 38 della l.r. n. 12/2005, recuperando, dal testo precedente, le sole disposizioni in materia di oneri di urbanizzazione, opportunamente integrate in relazione alla nuova procedura.
Al comma 4 del medesimo articolo si recepisce all’interno dell’ordinamento regionale lombardo la SCIA in materia edilizia.".

Avete letto bene ??

     E' la stessa Regione Lombardia a scrivere, nero su bianco, che il suddetto comma 4 "recepisce all'interno dell'ordinamento regionale lombardo la SCIA in materia edilizia": quindi, ad oggi in Lombardia NON esiste la Scia edilizia !!
     Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire ogni singolo dettaglio della questione.
     Innanzitutto, proviamo a rileggere il testo coordinato dell'articolo 41 L.R. 12/2005, siccome modificato/integrato dal Pdl de quo, che di seguito si riporta:

Art. 41. (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività) (Interventi realizzabili mediante denuncia di inizio attività e segnalazione certificata di inizio attività)
     1. Ferma restando l’applicabilità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) nei casi e nei termini previsti dall’articolo 19 della legge 241/1990 e dall’articolo 5, comma 2, lett. c), del D.L. 70/2011, Chi ha titolo per presentare istanza di permesso di costruire ha facoltà, alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia, di inoltrare al comune denuncia di inizio attività, salvo quanto disposto dall'articolo 52, comma 3-bis. Gli interventi edificatori nelle aree destinate all’agricoltura sono disciplinati dal Titolo III della Parte II.
     2. Nel caso di interventi assentiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività, è data facoltà all’interessato di presentare comunicazione di eseguita attività sottoscritta da tecnico abilitato, per varianti che non incidano sugli indici urbanistici e sulle volumetrie, che non modifichino la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterino la sagoma dell’edificio e non violino le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali comunicazioni costituiscono parte integrante del procedimento relativo al titolo abilitativo dell’intervento principale e possono essere presentate al comune sino alla dichiarazione di ultimazione dei lavori.

 

Ma cosa significano le nuove parole inserite al comma 1 ??

     L'art. 19 della legge n. 241/1990 così recita:


Art. 19 (Segnalazione certificata di inizio attività - SCIA)
(articolo così sostituito dall'articolo 49, comma 4-bis, legge n. 122 del 2010) - (per l'interpretazione si veda l'articolo 5, comma 2, legge n. 106 del 2011)
     1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli 46 e 47 del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese di cui all’articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l’esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei relativi elaborati tecnici, può essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione. (comma così modificato dall'articolo 5, comma 2, lettera b), legge n. 106 del 2011)
     2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente.
     3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. E ' fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, l’amministrazione, ferma restando l’applicazione delle sanzioni penali di cui al comma 6, nonché di quelle di cui al capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di cui al primo periodo.
     4. Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al primo periodo del comma 3 ovvero di cui al comma 6-bis, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.
(comma così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
     4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. (comma introdotto dall'articolo 2, comma 1-quinquies, legge n. 163 del 2010)
     5. (comma abrogato dal n. 14 del comma 1 dell'art. 4 dell'allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010)
     6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
     6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.
(comma aggiunto dall'art. 5, comma 2, legge n. 106 del 2011, poi così modificato dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
     6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. (comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)
 

     L'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 così recita:


c) le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell'articolo 22, comma 4, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.

Tutto chiaro ??

     A noi sembra di sì nel senso di seguito esposto: la Regione Lombardia con le nuove parole da introdursi al comma 1 dell'art. 41 L.R. n. 12/2005 non fa altro che ribadire quanto già statuito dall'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 70/2011 e cioè che "le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire". In altri termini, e per l'ennesima volta, si ribadisce che in Lombardia -ad oggi- non si può applicare in materia edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e, men che meno, quando il Pdl "PIANO CASA-BIS" sarà pubblicato sul BURL siccome approvato nel testo sopra indicato.
     Se la Regione Lombardia vuole, nei fatti e non solo a parole, che l'istituto della Scia in materia edilizia sia realmente applicabile anche nel proprio ordinamento ha solo una cosa da fare:
modificare/integrare la L.R. n. 12/2005 nel senso di restringere la gamma di interventi edilizi che oggi possono essere realizzati con la DIA in alternativa al permesso di costruire.
     In altri termini, deve elencare puntualmente gli interventi edilizi che sono obbligatoriamente soggetti a DIA: magari, riprendendo pedissequamente la formulazione dell'art. 22, comma 1, del DPR n. 380/2001. Allora sì che per questi interventi si potrà applicare la Scia e, nel contempo, avrà ragion d'essere l'esposizione argomentativa di cui al
comunicato regionale 08.10.2010 (circa l'esistenza della Scia già dal lontano 31.07.2010 ... il che -ad oggi- non è affatto vero !!).
09.01.2012 - LA SEGRETERIA PTPL

anno 2011

EDILIZIA PRIVATASulle controversie in materia di DIA e SCIA decide il giudice amministrativo.
Ogni controversia avente ad oggetto il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformità dell'attività dichiarata al paradigma normativo, con conseguente adozione della misura inibitoria in caso di esito negativo del riscontro, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133 del codice del processo amministrativo, comma 1, lett. a n. 3 e lett. f dispone che le controversie in materia di “Dia” devono essere affidate alla giurisdizione esclusiva del plesso giurisdizionale amministrativo. Muovendo dall’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 (“SCIA e DIA sono dichiarazioni imputabili a manifestazione di volontà privata dalla quale scaturisce, ai sensi degli artt. 19, comma 3, legge n. 241/1990 un procedimento doveroso di verifica che, in assenza di requisiti alla continuazione o all'avvio dell'attività, si conclude con un diniego espresso o con un "diniego tacito" di adozione del provvedimento inibitorio.
Il silenzio che segue allo scadere del termine perentorio per la verifica e l'inibizione dell'attività denunciata, va equiparato, in assenza dei previsti requisiti, all'"atto tacito di diniego di provvedimento inibitorio" che rappresenta l'esito negativo del procedimento finalizzato all'adozione del provvedimento restrittivo dell'attività esercitata. La formazione dell'"atto tacito di diniego" alla scadenza del termine previsto per l'esercizio della potestà di verifica è direttamente connessa alla perentorietà del termine stabilito negli artt. 19, comma 3, legge n. 241/1990 -per la SCIA- e 23 comma 6, D.P.R. n. 380/2001 -per la DIA- , decorso il quale la competente amministrazione perde la potestà inibitoria dell'attività esercitata salva la residua potestà di autotutela.
Nei confronti dell'atto tacito di diniego di provvedimento inibitorio -espresso o tacito-, il terzo pregiudicato dispone dell'azione di annullamento a tutela dell'interesse pretensivo al corretto esercizio della potestà di verifica e controllo. Al terzo pregiudicato dall'attività proseguita o iniziata illegittimamente è altresì attribuita, congiuntamente o separatamente da quella di annullamento dell'"atto tacito di diniego", l'azione di adempimento dell'obbligo dell'amministrazione di adottare i provvedimenti interdittivi o restrittivi, da esercitare comunque nel termine di un anno previsto dall'art. 31, co. 3, cod. proc. amm. - D.Lgs. n. 104/2010 - per l'azione avverso il silenzio
.”) deve affermarsi che, quale che sia la tecnica di tutela prescelta dal controinteressato asseritamente leso, ciò non incide sul riparto della giurisdizione in subiecta materia (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LOMBARDIA: ANCORA SULLA QUESTIONE DELLA SCIA E DEL SILENZIO-ASSENSO SULL'ISTANZA DI PERMESSO DI COSTRUIRE.

     L'ANCI Lombardia ha diffuso, lo scorso 21.10.2011, la bozza del Pdl “Norme per la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e altre disposizioni in materia urbanistico-edilizia” (testo 19.10.2011) ove, in pratica, si tratta del cosiddetto PIANO CASA-BIS con altre modifiche legislative di non poco conto.
     Il Pdl non è stato ancora approvato dalla Giunta Regione e, pertanto, è suscettibile di eventuali modifiche e/o integrazioni prima di essere posto al vaglio delle competenti commissioni regionali e, poi, del Consiglio regionale.
     Più volte abbiamo scritto su questo Portale [e, precisamente il 06.06.2011, il 13.07.2011 ed il 17.10.2011 (nella rubrica UTILITA')] esplicitando le motivazioni per cui
in Lombardia -ad oggi- non si può applicare in materia edilizia l'istituto della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) e non si può applicare l'istituto del silenzio-assenso alle istanze di permesso di costruire.
     Orbene, la Regione Lombardia -col nuovo PIANO CASA-BIS di cui sopra- si accinge a recepire l'istituto del silenzio-assenso sulle istanze di permesso di costruire laddove l'art. 14, comma 1, del Pdl così recita:
"Art. 14 (Procedimento per il rilascio del permesso di costruire).
1. Ai fini del rilascio del permesso di costruire si applica la disciplina di cui all’articolo 20 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) (testo A).
".
     E l'art. 20 del DPR n. 380/2011 (come sostituito dall'articolo 5, comma 2, lettera a), legge n. 106/2011) così recita al comma 8:
"
8. Decorso inutilmente il termine per l'adozione del provvedimento conclusivo, ove il dirigente o il responsabile dell'ufficio non abbia opposto motivato diniego, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-assenso, fatti salvi i casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per i quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 9 e 10.".
     Ciò premesso,
la bontà delle nostre argomentazioni sulla NON applicabilità -ad oggi- dell'istituto del silenzio-assenso trova conferma e tutti coloro che ancora oggi sostengono il contrario si devono ricredere senza appello.
     Sulla questione, invece, della cosiddetta Scia possiamo constatare come il Pdl lombardo NULLA dica in merito, ovverosia NULLA abbia recepito di quanto disposto dal
noto D.L. n. 70/2011 convertito con modificazioni dalla legge 12.07.2011 n. 106.
     Conseguentemente, e per l'ennesima volta, non ci resta che rimarcare come  l'odierno legislatore nazionale, col decreto-legge de quo, abbia scritto, nero su bianco, che
"... Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire.". E se è vero, come è vero, che in Lombardia la DIA è alternativa al permesso di costruire senza alcuna limitazione (a parte i nuovi fabbricati in zona agricola ed i mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52, comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005, assoggettati unicamente al permesso di costruire) e cioè, in altri termini, non esistono interventi edilizi che sono obbligatoriamente soggetti alla DIA, ne deriva una conclusione evidente, chiara, incontrovertibile: in Lombardia NON si può applicare l'istituto della Scia!!
27.10.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATAArmi spuntate contro la Scia. Pochi rimedi se il Comune non blocca il cantiere.
Non è facile impugnare la Scia del vicino. La proliferazione dei titoli edilizi e della relative procedure di formazione ha complicato l'attivazione dei rimedi giurisdizionali per contestare la costruzione di un nuovo edificio o l'ampliamento di quelli esistenti.
I titoli edilizi possono dividersi in due generali categorie a seconda che siano espressamente rilasciati dal Comune, oppure che si formino in ragione della mancata assunzione dell'ordine comunale di non eseguire l'intervento.
Nel primo gruppo, i titoli "espressi", ricadono così il permesso di costruire ordinario (anche in variante) e in sanatoria (tanto ordinaria, ai sensi cioè dell'articolo 36 del testo unico dell'edilizia, quanto straordinaria, il condono introdotto dalla legge 47/1985), nonché le sanzioni pecuniarie non di natura ripristinatoria (che in sostanza autorizzano il mantenimento degli abusi, per cui è imposto solo il pagamento di una somma di denaro).
Nel secondo, i titoli "taciti", si collocano invece la Dia (denuncia di inizio attività), la Scia (segnalazione certificata di inizio attività, anche edilizia) e la comunicazione di inizio lavori introdotta dal Dl 40/2010, asseverata o meno. Sempre al secondo gruppo vanno ricondotti gli interventi liberi (quelli non soggetti ad alcun titolo edilizio) che il vicino ritiene illegittimi lamentandosi per il mancato intervento repressivo del Comune.
L'impugnativa dei titoli "espressi" non pone particolari problemi: è possibile proporre ricorso al Tar entro 60 giorni dalla loro conoscenza (termine che decorre al più tardi dal momento in cui i lavori raggiungono uno stadio tale da evidenziarne la concreta lesività per il vicino), ma impugnare i titoli "taciti" è più complicato. Per un certo un periodo, la giurisprudenza amministrativa si era divisa tra la tesi secondo cui la Dia/Scia restava un atto privato, come tale non impugnabile, e la tesi che riconosceva la diretta aggredibilità al Tar della Dia/Scia (interpretazione che in sostanza afferma la natura provvedimentale del comportamento inerte mantenuto dal Comune, in questo senso). Su questo secondo punto, lo scorso 29 luglio si era assestato il Consiglio di Stato, con l'adunanza plenaria 15/2011: la situazione si è consolidata con l'articolo 6, comma 1, lettera c), del Dl 138/2011 –la manovra di Ferragosto– convertito nella legge 148 dello scorso 14 settembre.
La nuova disposizione prevede espressamente che «la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili». Gli interessati –prosegue la norma– possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, possono impugnare al Tar il silenzio che il Comune mantenga sulla domanda volta a impedire lo svolgimento dell'attività in contestazione.
È importante rilevare che, in questi casi, l'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Dlgs 104/2010 (codice del processo amministrativo) assegna normalmente al giudice soltanto il potere di ordinare al Comune di provvedere sulla verifica richiesta dal privato. La possibilità di riconoscere direttamente l'illegittimità dell'attività disponendone la cessazione è infatti riconosciuta al Tar solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulti che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione. Condizioni che non sempre ricorrono in edilizia, specie rispetto ai progetti più complessi, e che rendono dunque difficile la tutela rispetto ai lavori oggetto di Dia/Scia (articolo Il Sole 24 Ore del 24.10.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATADia e Scia stoppate subito. Istanza al Tar per accertare illegittimità in atto. È questo quanto emerso nel corso di un convegno organizzato a Torino.
Dia e Scia alla sbarra subito: il terzo, interessato a bloccare l'attività iniziata con una denuncia o una segnalazione di inizio attività, può chiedere immediatamente al Tar di accertare l'illegittimità in corso. Senza dover aspettare il termine (60 giorni) lasciato alla Pubblica Amministrazione per disporre il blocco dell'attività, quando questa è illegittima.
È quanto emerso al convegno di studi sul codice del processo amministrativo, organizzato il 13.10.2011 a Torino dal Tar Piemonte, dalla sezione piemontese della Associazione degli avvocati amministrativisti e dalla avvocatura del comune di Torino.
Al centro dell'attenzione una delle più significative della manovra di Ferragosto (decreto legge 138/2011).
Il decreto 138 ha modificato l'articolo 19 della legge 241/1990 inserendo il comma 6-ter. Questo comma prevede che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili e che gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio dell'amministrazione (articolo 31 del codice del processo amministrativo, dlgs 104/2010).
In sostanza il problema è di individuare quali strumenti di tutela abbia, per esempio, il vicino di casa di chi sta realizzando un'opera edilizia con una Scia o con una Dia oppure il titolare di un esercizio commerciale concorrente di chi sta aprendo un negozio dall'altro lato della strada e così via. In sostanza se, da una parte, c'è l'esigenza di semplificare e sburocratizzare le attività economiche e produttive, dall'altro lato c'è l'esigenza di non trascurare la tutela dei controinteressati, nel caso vengano iniziate attività non in regola con leggi e regolamenti.
Il problema si pone soprattutto in relazione a quei casi in cui l'attività può essere iniziata subito prima dello scadere del termine assegnato all'amministrazione per fare i controlli e ordinare il blocco dell'attività.
Si prenda il caso della Scia. L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata già dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. A questo punto l'amministrazione ha sessanta giorni di tempo per adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi a meno che non sia possibile ricondurre l'attività alla piena regolarità.
Ora, siccome il comma 6-ter sopra citato individua come unica possibilità di reazione contro la scia la contestazione dell'inerzia dell'amministrazione (che non adotta i provvedimenti inibitori), ci si chiede se si devono aspettare i sessanta giorni oppure se il terzo possa agire subito. Anche perché magari una volta passati i sessanta giorni il danno per il terzo si è definitivamente consumato (ad esempio l'opera edilizia è completamente terminata).
Tra l'altro c'è una complicazione ad andare dal giudice amministrativo: l'articolo 34, comma 2, del codice del processo amministrativo prescrive che in nessun caso il giudice può pronunciarsi con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati. Dunque se si agisce prima dello scadere dei sessanta giorni lo si farebbe in un momento in cui l'amministrazione avrebbe ancora tempo per adottare i provvedimento di blocco dell'attività e allora si rischia di incorrere nel divieto dell'articolo 34.
Secondo quanto emerso al convegno torinese il controinteressato ha la possibilità di agire subito senza dovere aspettare i sessanta giorni. Questo perché in questo caso (controllo su Dia e Scia) l'amministrazione ha un dovere di attivarsi subito a colpire una scia o una dia illegittima e il termine è un termine massimo. Ma l'obbligo di adozione dei provvedimenti di blocco sorge subito.
Quindi l'inerzia matura subito e si protrae giorno per giorno. Inoltre non c'è violazione dell'articolo 34 sui poteri del giudice, perché la regola di non ingerenza rispetto a poteri non ancora esercitati vale solo nel caso di atti discrezionali e non nel caso di attività vincolata (come quella relativa ai casi in cui si può operare con Dia e Scia) (articolo ItaliaOggi del 21.10.2011 - link a www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Scia a pieno titolo negli ordinamenti locali.
In Toscana e in Umbria esce di scena la Dia e per tutti gli interventi costruttivi per la cui realizzazione non è richiesto il permesso di costruire è sufficiente la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
Sono i principali risultati prodotti, almeno finora, dall'adesione delle Regioni alle previsioni della parte dell'articolo 5 del Dl 70/2011 sulla semplificazione delle procedure relative all'edilizia privata.
In Toscana, con la sparizione dall'ordinamento regionale della Dia (legge 40/2001), possono essere realizzati con il ricorso alla Scia –e quindi avviati appena dopo aver presentato la documentazione in Comune– interventi per l'abbattimento delle barriere architettoniche (anche se comportano un aumento delle superfici esistenti o se sono eseguiti in deroga agli indici di edificabilità), interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia. È sufficiente la Scia anche per particolari casi di mutamento della destinazione d'uso degli immobili, edifici e aree.
Tra la documentazione che deve essere allegata alla Scia vi è la relazione con la quale il progettista assevera che l'opera da realizzare è conforme agli strumenti urbanistico comunali. Il professionista che attesta il falso dovrà affrontare oltre al giudizio disciplinare dell'ordine professionale di appartenenza anche quello di una corte penale.
Anche in Umbria si restringe il ventaglio dei titoli abilitativi alla costruzione, con la sostituzione generalizzata della Dia con la Scia. Con un ampio provvedimento di semplificazione amministrativa dell'ordinamento regionale e di quello degli enti locali territoriali (legge 8/2011) viene recepito nella normativa regionale il comma 4-ter dell'articolo 49 del Dl 78/2010, che stabilisce che «le espressioni segnalazione certificata di inizio attività o Scia sostituiscono, rispettivamente, quelle di dichiarazione di inizio attività Dia, ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia».
Un ribaltamento totale pure in fatto di silenzio-assenso: nella normativa previgente se il responsabile del procedimento nei 15 giorni successivi alla richiesta non rilasciava il permesso di costruire operava il silenzio-rifiuto; con la nuova legge, trascorso quello stesso periodo di tempo senza che l'amministrazione comunale «abbia adottato un provvedimento di diniego, il permesso di costruire si intende assentito».
La Regione Lazio con la legge 10/2011, di modifica del piano casa, è intervenuta per semplificare le procedure di approvazione degli strumenti urbanistici. Viene riformata la legge regionale 36/1987, sullo snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie, assegnando esclusivamente alla giunta regionale l'approvazione dei piani attuativi degli strumento urbanistici.
Le nuove norme elencano le modifiche che non costituiscono variante a un piano attuativo e che possono essere approvate dallo stesso organo comunale che rilascia il permesso di costruire (articolo Il Sole 24 Ore del 17.10.2011).

EDILIZIA PRIVATATitoli abilitativi. Il quadro completo dopo la manovra. Permessi edilizi su cinque livelli con la nuova Scia. Attività libera e permesso di costruire.
Il quadro è completo, ma solo a livello statale. Con la conversione in legge della manovra di Ferragosto (Dl 138/2011, ora legge 148/2011) che ha chiarito termini e modi per contestare al Tar l'illegittimità delle opere edilizie realizzate attraverso la Scia (segnalazione certificata di inizio attività) e mediante la Dia (denuncia di inizio attività) –nei limitati casi per cui essa è ancora prevista nell'ordinamento– tutte le "cinque tessere" del mosaico statale delle procedure edilizie sono al proprio posto.
Tuttavia, ai sensi del decreto Sviluppo (Dl 70/2011 convertito in legge 106/2011), manca ancora il dispiegamento delle leggi regionali, che possono ulteriormente semplificare la disciplina procedurale delle costruzioni. E questo anche in relazione al meccanismo del silenzio-assenso ora previsto sulle domande di permesso di costruire (nuovo articolo 20, comma 8, del Testo unico sull'edilizia, Dpr 380/2001) e al rilascio dei titoli in deroga anche rispetto alle destinazioni d'uso imposte dai piani regolatori (articolo 5, comma 13, Dl 70).
Sempre le Regioni, d'altra parte, sono chiamate anche a dare attuazione al cosiddetto nuovo piano casa (o piano città) finalizzato ad agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate attraverso la concessione dei premi volumetrici. Una disposizione, quest'ultima, che non incide direttamente sul fronte dei titoli edilizi, ma che potrebbe ulteriormente modificare la situazione dei permessi edilizi, così come si è delineata nell'ultimo anno e mezzo.
La parola alla Consulta.
Il primo tema che si è posto agli operatori ha addirittura investito l'applicabilità al l'edilizia della Scia. Le incertezze anche lessicali del primo decreto (Dl 78/2010 convertito in legge 122/2010) sono state definitivamente spazzate via dalla legge di conversione del decreto Sviluppo, che ha espressamente previsto che le ultime disposizioni (cioè la nuova formulazione dell'articolo 20 della legge 241/1990) «si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380».
Resta comunque il dubbio sull'esito dei ricorsi proposti da diverse Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Puglia) alla Corte costituzionale, che contestano soprattutto l'intrusione statale nella disciplina edilizia che, ove di dettaglio, è di competenza regionale.
La scala degli interventi.
Il sistema vigente è sicuramente articolato, si va dagli interventi liberi a quelli soggetti a comunicazione e a comunicazione asseverata, dalle opere sottoposte a Scia, a Dia (casi residuali) e a permesso di costruire (ora ottenibile anche per silentium e in deroga anche alle destinazioni d'uso e non soltanto a indici e parametri edilizi stereometrici).
Il grafico qui a fianco ricostruisce la disciplina statale, che resta valida in mancanza di specifiche disposizioni regionali e suddivide gli interventi in cinque tipologie:
- interventi liberi;
- interventi soggetti a comunicazione (semplice e asseverata a seconda dei casi);
- interventi soggetti a Scia;
- interventi soggetti a Dia;
- interventi soggetti a permesso di costruire.
L'iter della Scia.
A differenza della Dia, per la quale i lavori possono partire solo dopo il decorso di 30 giorni dalla presentazione della denuncia, nella Scia l'attività edilizia può essere avviata contestualmente al l'inoltro della segnalazione. Ecco come:
● la Scia è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, oppure dalle dichiarazioni di conformità relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti sulla conformità dell'intervento alle disposizioni di legge regolamentari, corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione;
● l'attività oggetto può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione;
● se l'immobile è vincolato, i lavori potranno cominciare dopo l'ottenimento dell'autorizzazione dell'amministrazione competente alla tutela del vincolo (Soprintendenza, Regione, Provincia, Comune, Parco);
● in caso di accertata carenza della conformità dell'intervento alla legge o ai regolamenti, il Comune –nel termine di 60 giorni dal ricevimento della segnalazione– adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione del l'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a 30 giorni;
● dopo 60 giorni il Comune può intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Alle violazioni di questa procedura si accompagnano poi sanzioni che variano dal livello amministrativo fino alle conseguenze penali per chi effettua false attestazioni.
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Non impugnabile il mancato diniego del Comune.
Le ultime manovre finanziarie cambiano anche il sistema delle impugnazioni, stabilendo che la Dia e la Scia non possono essere direttamente impugnate al Tar. Con la conversione in legge 111/2011 del Dl per la stabilizzazione finanziaria (98/2011) è legge la disposizione per cui Dia e Scia «non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104» (articolo 6, comma 1, lettera c, del Dl 131/2011).
In concreto, vuol dire che i vicini lesi dall'attività edilizia o le associazioni ambientaliste possono chiedere al Comune di impedire lo svolgimento dell'attività e poi –in caso di silenzio dell'amministrazione e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento– ricorrere al Tar contro il silenzio del Comune sulla loro richiesta.
Parrebbe però un'arma spuntata, perché al giudice la norma assegna in generale solo il potere di ordinare al Comune di provvedere sulla verifica richiesta dal privato e rimasta inevasa. Il Tar, infatti, ha la possibilità di riconoscere direttamente l'illegittimità dell'attività disponendone la cessazione solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulta che non ci sono ulteriori margini di esercizio della discrezionalità amministrativa e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dal Comune. Condizioni che non sempre ricorrono in edilizia, specie rispetto ai progetti più complessi.
La norma è stata introdotta con la rubrica «Ulteriori semplificazioni». Non pare però che l'obbiettivo della semplificazione sia stato centrato, dato che la giurisprudenza amministrativa era recentemente approdata a una soluzione molto più diretta sul tema del l'impugnabilità di Dia e Scia. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 15 depositata lo scorso 29 luglio aveva infatti statuito –attraverso una costruzione forse coraggiosa– che l'inerzia del Comune sulla Dia/Scia (inerzia che consente il legittimo svolgimento dell'attività privata) equivalesse a un «atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio» direttamente impugnabile al Tar, a cui era possibile richiedere non solo l'annullamento di questa "finzione di atto", ma anche l'ordine all'amministrazione di inibire l'attività oggetto del ricorso.
L'Adunanza plenaria aveva addirittura stabilito che in caso di Scia (per cui l'attività edilizia può iniziare contestualmente al deposito della segnalazione e per cui il Comune può solo emettere sanzioni, non necessariamente inibitorie) il Tar potesse disporre subito la sospensione dei lavori appena avviati, nonostante in quel momento non esistesse alcun atto nemmeno sotto la forma del «tacito diniego di provvedimento inibitorio». Con la nuova legge, l'articolata ricostruzione del giudice amministrativo viene spazzata via e non sembra che il legislatore abbia fatto meglio del Consiglio di Stato in termini di effettività della tutela dei terzi (articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, Scia: stop alle impugnazioni dirette (link a http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATA: T. Tessaro, Una nuova tutela dei terzi nella c.d. SCIA voluta dal d.l. 138/2011 (link a www.diritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: MANOVRA BIS/ Interventi edilizi rapidi e indolori. C'è la Scia per i piccoli lavori. È gratis e l'attività inizia subito. Segnalazione certificata d'inizio attività al posto della Dia. Ecco cosa cambia.
La Scia (Segnalazione certificata inizio attività) manda in soffitta la Dia (Denuncia inizio attività) per gli interventi edilizi minori, espone il privato e il professionista privato a responsabilità penali e disciplinari. Inoltre è gratuita e consente di iniziare subito l'intervento edilizio, da terminare nel triennio.
La Dia rimane solo nella versione SuperDia (alternativa al permesso di costruire). Per la Scia gli uffici comunali devono correre e controllarle entro 30 giorni, anche perché dopo, di regola, si potrà bloccare i lavori solo in casi eccezionali. Tuttavia l'autotutela (annullamento e revoca) potrà essere esercitata senza termini di decadenza. Questo in sintesi l'identikit della Scia dopo le due manovre (decreto 70 e decreto 138 del 2011), che hanno revisionato il Testo unico per l'edilizia. Vediamo come.
La Scia.
La Scia sostituisce la Dia per tutti gli interventi edilizi cosiddetti minori (articolo 22, comma 1 e comma 2, del Testo unico edilizia, dpr 380/2001).
Per gli interventi edilizi di ristrutturazione o nuova costruzione si applica, la SuperDia o in alternativa, in base alla legge statale o a quella regionale, il permesso di costruire. Le regioni possono ampliare il catalogo degli interventi sottoposti a SuperDia. La Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta ambientali, paesaggistici o culturali.
Termini.
Con la Scia l'attività edilizia può essere iniziata subito fin dalla data di presentazione della pratica all'ufficio tecnico del comune. Per la SuperDia bisogna, invece, aspettare 30 giorni.
Trenta giorni è anche il termine entro il quale il comune, se mancano i requisiti o i presupposti di legge, può decidere di vietare la prosecuzione dell'attività e la rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
Si noti che il termine di 30 giorni vale per il settore dell'edilizia, mentre in altri campi vale il termine più lungo di sessanta giorni.
Decorso il termine il potere di bloccare l'attività è limitato a casi specifici e cioè pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e comunque previo motivato accertamento dell'impossibilità far regolarizzare al private la situazione.
Il divieto di prosecuzione dell'attività è misura residuale, in quanto deve essere preferita la strada di fissare un termine all'interessato per la regolarizzazione.
L'articolo 19 della legge 241/1990, anche a seguito del decreto 138/2011, continua a fare salva la possibilità per l'amministrazione di intervenire in autotutela (con provvedimento di revoca o annullamento) anche decorso il termine di 30 giorni.
Cosa cambia.
Il privato deve assumersi la responsabilità della regolarità dell'intervento edilizio e lo deve attestare tramite il professionista. La Scia, infatti, deve essere corredata da attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.
In sostanza il privato deve dichiarare che tutto è a posto con la normative urbanistica ed edilizia e con i parametri (costruttivi, igienico–sanitari). Questo da un lato significa che il privato avrà maggiori responsabilità, le quali ricadranno anche sul professionista ed, inoltre, che il costo del progetto e dell'assistenza del professionista risentirà di questo surplus di responsabilità.
Deve, sul punto, ricordarsi che è punita con la reclusione fino a tre anni la falsa dichiarazione o attestazione dell'esistenza dei requisiti o dei presupposti della scia. In questo caso vi sono pure strascichi penali e disciplinari, in quanto il responsabile dell'ufficio comunale deve denunciare il professionista all'autorità giudiziaria e al consiglio dell'ordine di appartenenza. L'ufficio comunale, dal canto suo, deve dedicarsi a una pronta e rapida verifica dei presupposti, organizzando la vigilanza sulle pratiche edilizi, secondo criteri di maggiore impatto degli interventi segnalati.
Efficacia.
La Scia edilizia ha efficacia limitata a tre anni dalla data della sua presentazione, anche se i lavori non ultimati possano essere completati presentando una nuova scia. A ultimazione lavori il privato deve presentare al comune un certificato di collaudo finale, attestante la conformità al progetto.
Atti.
Vi sono ricadute anche in ambito notarile. Se la scia ha per oggetto lavori che incidono sul classamento dell'immobile (stato, consistenza, classe, categoria), deve essere effettuata una variazione catastale. In caso di trasferimento di un'unità immobiliare urbana la parte deve attestare (eventualmente tramute un tecnico) la conformità del bene ai dati catastali e alle planimetrie depositate.
Oneri.
In materia è necessario consultare la legislazione regionale. In mancanza di specifica legge regionale gli interventi soggetti a scia non pagano il contributo concessorio.
Impugnabilità
Il decreto 138/2011 stabilisce che la Scia e la Dia non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ma veri e propri istituti di liberalizzazione e che pertanto gli interessati, dopo avere sollecitato l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione, esperiscono l'azione avverso il silenzio, ricorrendo al Tar.
Sanzioni.
La realizzazione, in assenza della o in difformità dalla Scia espone alla sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a € 516,00 (articolo ItaliaOggi del 24.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAMANOVRA BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai contenziosi. In base al decreto legge la segnalazione certificata di inizio attività non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso e non sono, quindi, direttamente impugnabili. La manovra-bis interviene sulla legge generale del procedimento amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce una volta per tutte le modalità per gli interessati di reagire contro le iniziative assunte da chi vuole avviare un'attività, anche edilizia, sfruttando le misure di sburocratizzazione.
Il decreto legge 138/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una strada già individuata dai Tar e dal Consiglio di stato (anche se non univocamente) e cioè sbarra la possibilità di ricorrere direttamente al giudice amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare l'intervento dell'amministrazione pubblica competente e, solo in caso di inerzia, può successivamente rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale per ottenere l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi deve iniziare l'attività, in quanto impedisce al controinteressato di rivolgersi subito al giudice amministrativo e sposta al futuro ogni possibile iniziativa giudiziaria, subordinandola all'inerzia della pubblica amministrazione sollecitata a intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera edilizia subito con l'invio della Scia; il controinteressato (per esempio, il vicino di casa) non può impugnare la Scia, ma deve inviare al comune una denuncia-diffida, chiedendo all'amministrazione di verificare la legittimità dell'attività. Se il comune rimane inerte, allora, il cittadino potrà rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale, chiedendo al Tar l'accertamento dell'obbligo di provvedere in capo all'amministrazione e quindi la condanna della stessa a intervenire. Fino a che non interviene la sentenza del giudice chi ha presentato la Scia non ha alcun obbligo giuridico di bloccare o interrompere l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge il comma 6-ter all'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato alla segnalazione certificata di inizio attività). La nuova disposizione precisa subito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Ciò segna la differenza con il silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo di fronte a un atto della p.a., sia pure tacito. In quanto provvedimento dell'amministrazione è autonomamente impugnabile. Dia e Scia non sono provvedimenti taciti e quindi non sono impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento sia alla Scia sia alle Dia (come dichiarazione e come denuncia) comprendendo tutte le ipotesi in cui la legge ha introdotto procedimenti liberalizzati di questo tipo, anche se con nomi diversi: averli enumerati tutti serve a non fare confusione (come è invece avvenuto per la scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore di Scia e Dia non è, però, sfornito di tutela: può sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo, decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due orientamenti. Il primo ha sostenuto che il comportamento inerte dell'amministrazione sulla denuncia di inizio attività ha valenza di silenzio-assenso e da ciò faceva conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia è un mero atto di iniziativa privata non impugnabile davanti al giudice amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa seconda impostazione, con l'obiettivo di impedire intralci all'attività privata, stavolta non da lungaggini della burocrazia, ma da iniziative di privati controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo differendo nel tempo, la possibilità per il controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta sollecitare l'amministrazione ad adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa e, comunque, a esercitare il potere di assumere determinazioni in via di autotutela, mediante revoca o annullamento ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non fa nulla, si può chiedere al Tar l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare all'amministrazione di provvedere, ma può anche pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio: questo solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può aggiungersi la richiesta di risarcimento dei danni subiti. Anche se può risultare inefficace una tutela meramente risarcitoria e a posteriori (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATAAttività edilizia libera. O quasi. Alcuni interventi restano soggetti a preventiva comunicazione. Uno studio del Consiglio nazionale del notariato sgombera il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure. Con le progressive modifiche che hanno interessato in questi anni il Testo unico di cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle costruzioni è diventata frammentaria e di difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese di giugno (
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale del notariato ha quindi inteso riepilogare in modo sintetico le regole che presiedono allo svolgimento dell'attività edilizia, soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia. Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo testo originario distingueva tra attività edilizia libera, per la quale non era richiesto alcun titolo abilitativo, e attività edilizia subordinata, rispettivamente, al permesso di costruire e alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia (fattispecie residuale prevista per tutti gli interventi non rientranti tra le attività di edilizia libera né tra quelli per cui era obbligatorio il permesso di costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di numerose modifiche che hanno portato, da un lato, all'ampliamento delle fattispecie di attività edilizia libera, dall'altro all'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività, meglio nota come Scia, all'utilizzo dell'istituto del c.d. silenzio assenso per il rilascio del permesso di costruire (a eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali) e alla previsione di una sorta di sanatoria edilizia per le difformità contenute entro il limite del 2% delle misure progettuali. Attualmente la disciplina dell'attività edilizia risulta quindi abbastanza variegata (si veda la tabella in pagina) e pone i privati e gli operatori del settore dinanzi a problemi interpretativi spesso di non facile soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti più interessanti della nuova disciplina dell'attività edilizia riguarda sicuramente la progressiva liberalizzazione del settore, che permette ai privati di eseguire una serie di opere senza avere rapporti con la pubblica amministrazione.
All'interno di questa categoria occorre però distinguere tra attività totalmente libere e attività soggette a preventiva comunicazione di inizio lavori. In tutti e due i casi devono comunque essere rispettate le eventuali diverse prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, nonché quelle relative all'efficienza energetica e alla tutela dei beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera riguarda principalmente gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli volti all'eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece, previamente operare la comunicazione al comune interessato degli interventi di manutenzione straordinaria (ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici), delle opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e a essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni, delle opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, dell'installazione di pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno, nonché delle aree ludiche senza fini di lucro e degli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.
In questo secondo caso, la mancata comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero la mancata trasmissione della relazione tecnica (nel caso di interventi di manutenzione straordinaria) comportano per il privato l'irrogazione della sanzione pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è ancora in corso di esecuzione.
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Scia e superDia si dividono così il campo. Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma interpretativa opportunamente introdotta nell'ordinamento dal legislatore con il dl n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto in via residuale per tutti gli interventi che non rientrano nel campo applicativo del permesso di costruire né in quello dell'attività edilizia libera, in entrambe le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono indicare i seguenti interventi: restauro e risanamento conservativo, mutamenti di destinazione d'uso funzionale, interventi di manutenzione straordinaria che riguardino parti strutturali dell'edificio, ampliamento di fabbricati all'interno della sagoma esistente che non determini volumi funzionalmente autonomi e semplici modifiche prospettiche (per esempio l'apertura o la chiusura di una o più finestre o di una o più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della superDia tutti quegli interventi per i quali è ammesso il ricorso alla Dia medesima in alternativa ovvero in sostituzione al permesso di costruire, dagli interventi di ristrutturazione di maggiore impatto a quelli di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, fino agli interventi di nuova costruzione, qualora gli stessi avvengano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche. A queste opere devono poi aggiungersi tutte quelle ipotesi per le quali le leggi regionali prevedano la possibilità di ricorrere a questo strumento in alternativa o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo sportello unico dell'ente locale 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il responsabile comunale, ove entro il suddetto termine riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite dal Tu, deve notificare all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di ripresentare l'istanza con le modifiche o le integrazioni necessarie. L'attività oggetto della Scia, invece, può essere iniziata dalla data stessa di presentazione della domanda allo sportello unico, salvo che il responsabile comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione locale è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

EDILIZIA PRIVATALa Scia edilizia dura tre anni. Scaduto il termine, per chiudere i lavori ne serve un'altra. Lo studio del Consiglio nazionale del notariato sulla disciplina dopo il decreto sviluppo.
La Scia edilizia dura tre anni. Una volta scaduti, senza completamento delle opere, per finire i lavori se ne deve chiedere un'altra.
È questa l'interpretazione data
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C del Consiglio nazionale dei notai, che ha illustrato la disciplina edilizia dopo il decreto sullo sviluppo n. 70/2011 (si veda ItaliaOggi del 4 agosto scorso).
Vediamo, dunque, le principali in materia di segnalazione certificata di inizio attività in ambito edilizio, concentrandosi su due aspetti: efficacia del titoli e sistema sanzionatorio.
La legge non dispone esplicitamente sull'efficacia della Scia, alla quale si applica la disciplina del Testo unico per l'edilizia (dpr 380/2001).
Ne deriva che anche la scia edilizia ha tre anni di efficacia, decorrenti dalla data della sua presentazione: quindi i lavori non ultimati entro il triennio possono essere completati previa presentazione di una nuova scia. Inoltre l'interessato deve comunicare all'ufficio tecnico del comune la data di ultimazione dei lavori.
Lo studio dei notai aggiunge che, ultimato l'intervento, il progettista o un tecnico abilitato dovrà rilasciare un certificato di collaudo finale, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la scia.
Il certificato di collaudo dovrà essere presentato allo sportello unico, unitamente alla ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale conseguente alle opere realizzate o a dichiarazione che le stesse non hanno comportato modificazioni del classamento.
Tra l'altro si deve fare molta attenzione agli aspetti catastali, considerato che il decreto legge 78/2010 ha disposto la nullità degli atto di trasferimento immobiliare, se non vi è dichiarazione di conformità tra dati catastali e le planimetrie catastali depositate in Catasto e lo stato di fatto.
Se manca il certificato di collaudo finale e la variazione catastale si applicazione della sanzione di 516 euro.
Ai fini della documentazione della regolarità edilizia, la sussistenza del titolo è provata con la copia della stessa, dalla quale risulti la data di ricevimento, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, e l'attestazione del professionista abilitato, e gli atti di assenso eventualmente necessari.
Nel caso di interventi edilizi eseguiti in assenza ovvero in difformità dalla scia si applica la disciplina dettata per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla Dia (articolo 37, T.u. dpr 380/2001).
Pertanto la realizzazione di interventi edilizi rientranti nell'ambito di applicazione della Scia in assenza della o in difformità dalla scia comporterà la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro.
Quando le opere realizzate in assenza di scia consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali, e dalle altre norme urbanistiche vigenti, l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, potrà ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile ed irrogherà una sanzione pecuniaria da 516 a 10.329 euro.
Qualora gli interventi di restauro e di risanamento conservativo siano eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi nei centri storici, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiederà al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro. Se il parere non verrà reso entro 60 giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile dell'ufficio provvederà autonomamente.
Anche per gli interventi in assenza o in difformità della scia è prevista la sanatoria.
In caso di abusi formali (mancata presentazione della Scia) e, quindi, se l'intervento realizzato risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda (cosiddetta doppia conformità), il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile potranno ottenere la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5.164,00 euro e non inferiore a 516,00 euro, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'Agenzia del territorio.
La presentazione spontanea della scia, effettuata quando l'intervento è in corso di esecuzione, obbliga al pagamento, a titolo di sanzione, della somma di 516 euro.
Rimane ferma la possibilità per il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, di adottare, entro i successivi 30 giorni, motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
La mancata presentazione della Scia non comporta l'applicazione di sanzioni penali (articolo ItaliaOggi dell'11.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAEdilizia, la Dia non dà certezze. Il Tar può bloccare i lavori se il comune non controlla. Per l'adunanza plenaria del Consiglio di stato la denuncia di inizio attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita dalla Scia) non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma è un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli accertamenti necessari per il controllo dei presupposti, il giudice può imporre l'adozione dei provvedimenti inibitori all'esercizio dell'attività intrapresa.

È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, con la sentenza 29.07.2011 n. 15.
L'intervento del Consesso era stato richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi dell'art. 99 del codice del processo amministrativo, anche a fronte di precedenti contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura giuridica della dichiarazione di inizio attività ed alle conseguenti tecniche di tutela sperimentabili dal terzo leso dallo svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata sentenza (disponibile nel sito), non si è sottratta al compito affermando che, con la Dia, il denunciante è «titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall'ordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell'attività «è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all'esercizio del potere di verifica» da parte della p.a..
Ma stando così le cose, afferma la sentenza, il sistema complessivo della tutela previsto dall'ordinamento deve consentire comunque al terzo, anche se il codice espressamente non lo prevede, di ottenere la cessazione dell'attività non consentita dalla legge, attraverso l'azione di accertamento tesa a ottenere una pronuncia che verifichi l'insussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività oggetto della denuncia.
In altre parole, rileva l'Adunanza, «anche per gli interessi legittimi, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la mancata previsione nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità» e, quindi, l'azione di accertamento atipica, nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c., risulta comunque praticabile; in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009 (articolo ItaliaOggi del 03.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAAumentano le tutele dei terzi sull'applicazione della «Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di attività (la Dia) è un animale giuridico strano che crea difficoltà applicative. Ora l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 29.07.2011 n. 15) interviene a porre alcuni paletti, forse opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa presenta al Comune di Venezia una Dia edilizia per rendere carrabile il transito sotto un porticato gravato da servitù di passaggio pedonale pubblico. Il comproprietario del porticato impugna la Dia in quanto produttiva di un aggravio illegittimo della servitù. Il Tar Veneto, nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia, qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato conferma la sentenza con diversa motivazione.
I giudici di Palazzo Spada, infatti, negano anzitutto che la Dia, dal 2010 sostituita dalla segnalazione certificata d'inizio di attività (Scia), possa essere assimilata a un provvedimento amministrativo impugnabile. Essa è solo una dichiarazione privata presentata a una pubblica amministrazione. La Scia attua una liberalizzazione delle attività private, in precedenza assoggettate a un regime di autorizzazione preventiva. Essa è diversa anche dal silenzio-assenso, che serve solo a equiparare l'inerzia protratta oltre un certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il Consiglio di Stato si sofferma sul regime della Scia e ricorda che
l'amministrazione può vietare l'attività entro 30 giorni (con la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa viola la legge. Quest'ultimo è un termine perentorio: successivamente l'amministrazione può intervenire solo con i poteri di autotutela (annullamento d'ufficio) che hanno però natura discrezionale e devono rispettare gli affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha un'implicazione pratica processuale per il terzo che vuole contestare la Scia.
La sentenza equipara l'inerzia dell'amministrazione protratta oltre il termine di 30 giorni a un «atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio». Pertanto, in quanto atto amministrativo, il terzo può impugnarlo davanti al Tar nel termine ordinario di 60 giorni. Se il ricorso viene accolto, il giudice può, non solo annullare questa finzione di atto, ma anche ordinare all'amministrazione di inibire l'attività oggetto della Scia. Vengono così ribaltati alcuni precedenti che avevano consentito al terzo di esperire un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il terzo possa promuovere un giudizio prima dei 30 giorni, in modo da impedire l'avvio dell'attività oggetto della Scia o di farla cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta interpretativa, superando alcuni ostacoli contenuti nel Codice del processo amministrativo (articolo 34, comma 2), la sentenza ammette un'azione di accertamento atipica che consente solo la richiesta di misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se l'amministrazione emana il provvedimento inibitorio, cessa la materia del contendere e il processo si estingue. Se invece l'amministrazione resta inerte, l'azione di accertamento si converte nell'azione di annullamento dell'atto tacito di diniego di esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e completa: altro miracolo del nuovo Codice, unito alla fantasia creativa del giudice amministrativo (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Il "decreto sviluppo" è legge!!
Sulla Gazzetta Ufficiale 12.07.02011 n. 160 è stato pubblicato il "Testo del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, coordinato con la legge di conversione 12.07.2011, n. 106, recante: «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia.»           
La legge di conversione ha apportato numerose modifiche/integrazioni al testo originario ma non ha interessato la parte che più ci stava a cuore ovverosia la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività).
Già lo scorso 06.06.2011 dicevamo la nostra (in maniera più esaustiva che non in questo contesto) sulle novità in materia di permesso di costruire e di Scia pervenendo alla conclusione che in Lombardia:
1- fintantoché la Regione non modificherà/integrerà (semmai lo volesse fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la novità del "silenzio-assenso" nazionale (e non solo), si dovrà continuare ad applicare l'art. 38 della medesima legge regionale in relazione alla procedura di istruttoria delle istanze di permesso di costruire;
2- in Lombardia NON si può applicare l'istituto della Scia già dal 31.07.2010.

La norma è chiara (miracolo!!), scritta in maniera leggibile e comprensibile, sicché non occorre alcuna interpretazione di sorta.
Ma se non si è ancora convinti, risulta allora utile leggere il dossier n. 299/I del giugno 2011 approntato dal Senato della Repubblica recante "Disegno di legge A.S. n. 2791 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, concernente Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia" - Vol. I - Schede di lettura" laddove a pag. 227 si legge, nero su bianco, quanto segue:
"
Comma 2, lett. b) e c) – Modifiche alla SCIA nella legge 241/1990.
Le lettere b) e c) recano alcune modifiche all’art. 19 della legge n. 241/1990 relativo alla disciplina della SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività) che viene estesa anche alla DIA in edilizia, ad esclusione della DIA alternativa o sostitutiva del permesso di costruire.
".
E ad oggi, a distanza di 60 gg. dall'entrata in vigore del decreto-legge, la Regione Lombardia non si è ancora pronunziata in merito fornendo l'autorevole contributo interpretativo agli addetti ai lavori (comuni e liberi professionisti) ... ma va da sé che "chi tace acconsente" !!
13.07.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U. 12.07.2011 n. 160 "Testo del decreto-legge 13.05.2011, n. 70, coordinato con la legge di conversione 12.07.2011, n. 106, recante: «Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia.».
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N.B.: le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella G.U. e cioè dal 13.07.2011.
Per comodità, si veda e si legga a confronto il testo del Decreto Sviluppo prima e dopo la conversione (link a www.leggioggi.it).

EDILIZIA PRIVATA: "Decreto sviluppo": Regione Lombardia, se ci sei batti un colpo!!
E' dallo scorso 14 maggio che il D.L. 70/2011 è in vigore e da quella data (invero, prima ancora che il decreto -già di dominio pubblico- fosse pubblicato in G.U.) ci siamo posti due elementari domande e cioè:
1) nell'istruire le istanze di permesso di costruire, si applica la procedura del novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 oppure si continua ad applicare la procedura di cui all'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
2) la Scia in materia edilizia adesso esiste??

Orbene, martedì scorso 31.05 si è tenuta a Bergamo una mezza giornata di studio (organizzata da PTPL) circa le novità introdotte in materia edilizio-urbanistica dal suddetto "decreto sviluppo" con relatore l'Avv. Mario VIVIANI del foro di Milano.
L'Amico Mario, come sempre brillante ed arguto analizzatore della norma, ha chiarito ai partecipati -seduti in platea- i dubbi di maggior interesse ed ha fornito le condivisibili risposte ai due quesiti sopra elencati ... ma restiamo, comunque, nell'attesa che la Regione Lombardia fornisca chiarimenti ufficiali, possibilmente prima di Natale p.v..
Ma andiamo con ordine ...
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1) L'art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 titola "Procedimento per il rilascio del permesso di costruire" ed in Lombardia è stato disapplicato ad opera dell'art. 103, comma 1, della L.R. n. 12/2005 per cui l'iter istruttorio è quello di cui all'art. 38 del medesima legge regionale.
Se è vero che il legislatore nazionale ha riscritto l'iter istruttorio de quo ad opera dell'art. 5, comma 2, lett. a), del D.L. n. 70/2011 è altrettanto vero che si tratta di "materia di legislazione concorrente" di competenza regionale (ex art. 117 della Carta costituzionale) talché la Regione Lombardia dal 2005 si è dotata di una procedura speciale/differenziata da quella nazionale. La novità nazionale, non di poco conto, è l'introduzione del "silenzio-assenso" con alcune eccezioni.
Ma fintantoché la Regione Lombardia non modificherà/integrerà (semmai lo volesse fare ...) la L.R. n. 12/2005 per recepire la novità del "silenzio-assenso" nazionale (e non solo)
si dovrà continuare ad applicare l'art. 38 della medesima legge regionale in relazione alla procedura di istruttoria delle istanze di permesso di costruire.
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2) Da questo sito abbiamo sempre sostenuto come il nuovo istituto della Scia (segnalazione certificata di inizio attività) in materia edilizia non esistesse, e ciò per una serie di motivazioni tecnico-giuridiche troppo lunghe da riportare qui.
Ripercorriamo velocemente i trascorsi ...
Lo scorso 31.07.2010 è entrata in vigore la Scia (L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010). Il Ministero per la Semplificazione Normativa esordiva "ufficialmente" per primo (e ultimo) con la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. in risposta ad un quesito formulato dalla Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla portata della Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in materia edilizia.
Successivamente, anche la Regione Lombardia diceva la propria col comunicato 08.10.2010 circa la portata della Scia, in materia edilizia, nell'ordinamento regionale.
Nell'AGGIORNAMENTO AL 29.11.2010 scrivevamo la news di seguito riportata:

Il
Governo, nella settimana del’08.11.2010, ha presentato l’emendamento n. 1.500 al ddl di stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita “Semplificazioni in materia di urbanistica, edilizia e di segnalazione certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato ritenuto “inammissibile” dal Presidente della Camera dei Deputati (si legga la "Sintesi del contenuto ed analisi degli effetti finanziari" a cura della Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed approfondire il contenuto del suddetto art. 4 in ordine alla volontà del legislatore di introdurre ancòra novità nel panorama legislativo in materia di edilizia ed urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare è l’intenzione di chiarire la portata della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) anche nell’ambito edilizio di cui al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle numerose prese di posizione, da più parti- in ordine alla non applicabilità della stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett. b), così recita:
«b) all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le seguenti: “previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli” e dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente articolo si interpretano nel senso che le stesse si applicano limitatamente alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire, e che non sostituiscano la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata di inizio attività in materia edilizia, il termine di cui al periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e delle leggi regionali.”
».

Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio), con nota 11.11.2010 n. 95098 di prot. di accompagnamento della relazione tecnica di finanza pubblica all'emendamento de quo, scrive -tra l'altro- che "Viene altresì specificato meglio l'ambito di applicazione della Scia, introducendo un comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge 241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi interpretativi emersi in sede di prima applicazione dell'istituto, precisando che esso si estende anche alla materia edilizia, con esclusione dei casi di Superdia, in linea con quanto già osservato nella nota esplicativa del Ministero per la semplificazione normativa. ...".
Ebbene,
che bisogno c'era di integrare ulteriormente il novellato art. 19 della L. n. 241/1990?? La circolare del Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo stesso dichiarato pubblicamente, a fugare ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria 2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della L. n. 241/1990 non è stato ammesso e, quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia edilizia, NON ESISTE!!


Ora, il Governo ha emanato il noto D.L. n. 70/2011 ove, nella sostanza, ha riproposto le modifiche/integrazioni alla L. n. 241/1990 siccome avanzate lo scorso fine anno e precisamente:
"c) Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380,
con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, la Scia non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale." [cfr. art. 5, comma 2, lett. c), D.L. 70/2011].
Ciò detto, sovvengono le seguenti considerazioni:
1) la norma di cui alla suddetta lett. c) è, di fatto, una interpretazione autentica di quanto dispone la L. 241/1990 siccome modificata/integrata ad opera della L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010 e, quindi, con effetto retroattivo (cioè dal 31.07.2010).
Ciò avvalora ancor più la tesi secondo cui
la nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. del Ministero per la Semplificazione Normativa, non appena di dominio pubblico, non aveva per niente convinto circa l'esistenza (dal 31.07.2010) della Scia in materia edilizia, seppur con alcune limitazioni ... altrimenti, che bisogno c'era -oggi- con il D.L. 70/2011 di interpretare quella norma in maniera autentica e cioè con effetto retroattivo??
E' evidente che il legislatore nazionale si è accorto di aver "toppato" lo scorso anno nel redigere il testo della norma ed ora è corso ai ripari ... tra l'altro, il Cons. Chinè che ha sottoscritto la
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. in risposta ad un quesito formulato dalla Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla portata della Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in materia edilizia, parrebbe che sia stato "sollevato" dall'incarico di Capo Ufficio Legislativo (forse, proprio per quell'infelice ed alquanto discutibile e discussa nota??) visto che alla data del 03.05.2011 il Capo Ufficio Legislativo del Ministero della Semplificazione Normativa risulta altra persona (cfr. nota 03.05.2011 n. 810 di prot.).
2) l'odierno legislatore nazionale, col decreto-legge de quo, ha scritto, nero su bianco, che "... Le disposizioni di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire.".
Avete capito bene??
Se è vero, come è vero, che in Lombardia la DIA è alternativa al permesso di costruire senza alcuna limitazione (a parte i nuovi fabbricati in zona agricola ed i mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52, comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005, assoggettati unicamente al permesso di costruire) e cioè, in altri termini, non esistono interventi edilizi che sono obbligatoriamente soggetti alla DIA, ne deriva una conclusione evidente, chiara, incontrovertibile:
in Lombardia NON si può applicare l'istituto della Scia!!
Paradossalmente, potremmo dire che il Governo ha contribuito non poco ad un clamoroso "autogol" laddove si continuava a sostenere che la Scia, in Lombardia, esistesse così come nel resto del territorio nazionale ... tesi sostenuta anche e soprattutto dal Cons. Chinè (in un convegno pubblico, dello scorso anno, intervenuto quale relatore) che additava la Lombardia come caso esemplare di diffusa applicazione (ma quando mai!!) del nuovo istituto.
E paradossalmente, altresì, la Regione Lombardia se volesse far decollare sul proprio territorio l'istituto della Scia dovrebbe mettere mano alla L.R. n. 12/2005 e prevedere alcuni interventi edilizi come soggetti obbligatoriamente a DIA ... allora sì che per quest'ultimi si applicherebbe la Scia.
06.06.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

APPALTI - EDILIZIA PRIVATA: NOTA DI LETTURA DECRETO-LEGGE 13.05.2011 N. 70 “SEMESTRE EUROPEO - PRIME DISPOSIZIONI URGENTI PER L'ECONOMIA” (ANCI, nota 24.05.2011).

EDILIZIA PRIVATA: La SCIA in edilizia.
L’entrata in vigore del decreto legge 13.05.2011, n. 70, noto come “decreto sviluppo”, ha esteso l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) anche al settore degli interventi edilizi prima oggetto di denuncia di inizio attività (DIA).
Si ricorderà che la legge del 30.07.2010, n. 122, di conversione al D.l. 78/2010 (c.d. maxiemendamento), tra le diverse ed articolate novità introdotte alla sua versione originaria, all’art. 48-quater, aveva riscritto l’art. 19 della legge 07.08.1990 n. 241, riguardante la c.d. dichiarazione di inizio attività (DIA).
Tuttavia, contemporaneamente al vigore della richiamata riforma, erano stati manifestati orientamenti contrastanti circa il campo di applicazione della richiamata SCIA.
In particolare il dibattito era incentrato sulla possibilità di estendere la riforma anche al settore edilizio, ritenendo sostituita non solo la dia (dichiarazione di inizio attività) di cui al citato art. 19 della legge 241/1990, ma anche la dia (denuncia di inizio attività) di cui all’art. 22 del Dpr 380/2001.
Sul punto era intervenuta la nota esplicativa del Ministero per la semplificazione normativa, pubblicata il 16.09.2010, la quale riteneva che la “nuova” SCIA doveva ritenersi applicabile anche al settore degli interventi edilizi.
Tuttavia, nonostante tali chiarimenti e considerato il dato letterale, il dubbio restava e veniva manifestato anche dal Consiglio di Stato che, con ordinanza del 05.01.2011 n. 14, aveva rilevato il dubbio applicativo.
Come anticipato, il c.d. decreto sviluppo, all’art. 5 incide sul tema e prevede definitivamente l’estensione della SCIA agli interventi edilizi: la norma già nelle battute iniziali chiarisce che uno degli obbiettivi che intende perseguire è la “estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività (DIA);”.
In dettaglio, viene dapprima aggiunto il comma 6-bis dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, il quale prevede che “Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.P.R. 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali.”.
Il decreto sviluppo chiarisce inoltre che “Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire. Le disposizioni di cui all'articolo 19 della legge 07.08.1990, n. 241 si interpretano altresì nel senso che non sostituiscono la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell'articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, abbiano ampliato l'ambito applicativo delle disposizioni di cui all'articolo 22, comma 3, del medesimo decreto e nel senso che, nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta, comunque denominati, delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente e del patrimonio culturale.” (tratto e link a www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com).

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: In merito al cosiddetto "decreto sviluppo" (D.L. 13.05.2011 n. 70) si legga anche l'interessante relazione di accompagnamento al decreto-legge per la relativa conversione in legge al fine di poter comprendere appieno la ratio dell'articolato.

APPALTI - ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: G.U. 13.05.2011 n. 110 "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia" (D.L. 13.05.2011 n. 70).
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In Gazzetta Ufficiale il "decreto sviluppo".
Molte le novità importanti e, tra le tante, in merito:
- agli appalti (art. 4 - Costruzione di opere pubbliche) e precisamente:
a) estensione del campo di applicazione della finanza di progetto, anche con riferimento al cosiddetto "leasing in costruendo";
b) limite alla possibilità' di iscrivere "riserve";
c) introduzione di un tetto di spesa per le "varianti";
d) introduzione di un tetto di spesa per le opere cosiddette "compensative";
e) contenimento della spesa per compensazione,in caso di variazione del prezzo dei singoli materiali di costruzione;
f) riduzione della spesa per gli accordi bonari;
g) istituzione nelle Prefetture di un elenco di fornitori e prestatori di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso;
h) disincentivo per le liti "temerarie";
i) individuazione, accertamento e prova dei requisiti di partecipazione alle gare mediante collegamento telematico alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici;
l) estensione del criterio di autocertificazione per la dimostrazione dei requisiti richiesti per l'esecuzione dei lavori pubblici;
m) controlli essenzialmente "ex post" sul possesso dei requisiti di partecipazione alle gare da parte delle stazioni appaltanti;
n) tipizzazione delle cause di esclusione dalle gare, cause che possono essere solo quelle previste dal codice dei contratti pubblici e dal relativo regolamento di esecuzione e attuazione, con irrilevanza delle clausole addizionali eventualmente previste dalle stazioni appaltanti nella documentazione di gara;
o) obbligo di scorrimento della graduatoria, in caso di risoluzione del contratto;
p) razionalizzazione e semplificazione del procedimento per la realizzazione di infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale ("Legge obiettivo");
q) innalzamento dei limiti di importo per l'affidamento degli appalti di lavori mediante procedura negoziata;
r)
innalzamento dei limiti di importo per l'accesso alla procedura semplificata ristretta per gli appalti di lavori. Inoltre, e' elevata da cinquanta a settanta anni la soglia per la presunzione di interesse culturale degli immobili pubblici;
- al rilascio del permesso di costruire ed in  materia di SCIA (art. 5 - Costruzioni private) e precisamente:
a) introduzione del "silenzio assenso" per il rilascio del permesso di costruire, ad eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali;
b) estensione della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) agli interventi edilizi precedentemente compiuti con denuncia di inizio attività' (DIA);
c) tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura";
d) la registrazione dei contratti di compravendita immobiliare assorbe l'obbligo di comunicazione all'autorità locale di pubblica sicurezza;
e) per gli edifici adibiti a civile abitazione l'"autocertificazione" asseverata da un tecnico abilitato sostituisce la cosiddetta relazione "acustica";
f) obbligo per i Comuni di pubblicare sul proprio sito istituzionale gli allegati tecnici agli strumenti urbanistici;
g)esclusione della procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) per gli strumenti attuativi di piani urbanistici già sottoposti a valutazione ambientale strategica;
h)
legge nazionale quadro per la riqualificazione incentivata delle aree urbane. Termine fisso per eventuali normative regionali;
- agli adempimenti burocratici di atti amministrativi (art. 6 - Ulteriori riduzione e semplificazione degli adempimenti burocratici) e precisamente:
a) in corretta applicazione della normativa europea le comunicazioni relative alla riservatezza dei dati personali sono limitate alla tutela dei cittadini, conseguentemente non trovano applicazione nei rapporti tra imprese;
b) le pubbliche amministrazioni devono pubblicare sul proprio sito istituzionale l'elenco degli atti e documenti necessari per ottenere provvedimenti amministrativi; altri atti o documenti possono essere richiesti solo se strettamente necessari e non possono costituire ragione di rigetto dell'istanza del privato;
c) riduzione degli adempimenti concernenti l'utilizzo di piccoli serbatoi di GPL;
d) facoltà di effettuare "on line" qualunque transazione finanziaria ASL-imprese e cittadini;
e) per i trasporti eccezionali l'attuale autorizzazione prevista per ciascun trasporto e' sostituita, per i trasporti della medesima tipologia ripetuti nel tempo, da un autorizzazione periodica da rilasciarsi con modalità semplificata;
f)
riduzione degli oneri amministrativi da parte delle amministrazioni territoriali.
Orbene, evidenziamo che il decreto legge in questione è in vigore già da sabato scorso (14.05.2011) e che da oggi ci si pone il problema, uno fra tanti, di come istruire le richieste di permesso di costruire pervenute: si applica il novellato art. 20 del D.P.R. n. 380/2011 oppure l'art. 38 della L.R. n. 12/2005??
Inoltre, adesso è chiaro, certo, incontrovertibile che la SCIA si applica anche in  materia edilizia??

Abbiamo già sollecitato telefonicamente -nei giorni scorsi e non appena di dominio pubblico la bozza di decreto-legge- l'Ufficio Giuridico della Regione Lombardia affinché intervenga tempestivamente con una nota chiarificatrice al fine di non lasciare allo "sbando operativo" i 1.546 comuni lombardi così come già successo l'anno scorso con l'introduzione -nel panorama legislativo nazionale (e regionale)- della famigerata SCIA, per la quale la Regione Lombardia intervenne, fugando affatto i dubbi che ancora oggi permangono in merito alla sussistenza della stessa in materia edilizia, con il proprio comunicato 08.10.2010 dopo la bellezza di 70 giorni che la SCIA era già entrata in vigore (il 31.07.2010).
16.05.2011 - LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATA: Procedimento automatico, SCIA e prevenzione incendi. In vigore le nuove procedure dal 29.03.2011.
Il D.P.R. del 07.09.2010, n. 160 definisce il “Nuovo Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP)” e sostituisce il DPR n. 447 del 1998 entrando in vigore in momenti diversi:
- il 29.03.2011 per i capi l, II, III, V e VI;
- il 30.09.2011 per il capo IV.
Il nuovo Regolamento stabilisce che i Comuni devono esercitare le funzioni amministrative in materia di insediamenti produttivi, affidando l’intero procedimento ad un’unica struttura, il SUAP, alla quale gli interessati si rivolgono per l'autorizzazione finalizzata alla realizzazione, ristrutturazione e ampliamento di impianti produttivi di beni e servizi.
I Comandi dei VV.F., come tutte le amministrazioni pubbliche diverse dal Comune che sono interessate dal procedimento, non possono trasmettere al richiedente nessun tipo di atto o comunicazione e sono tenute a trasmettere tutto al SUAP dandone comunicazione al richiedente.
Il regolamento è stato strutturato sulla distinzione tra due procedimenti:
1- Procedimento Automatizzato: fondato sulla SCIA, che entra in vigore il 29.03.2011;
2- Procedimento Ordinario: riguardante gli atti e i procedimenti ai quali non è applicabile la SCIA, che entra in vigore il 30.09.2011.
Il Dipartimento dei Vigili del Fuoco ha ritenuto opportuno emanare la Circolare n. 3791 del 24.03.2011 contenente le modalità applicative per il Procedimento Automatizzato.
Dal 29.03.2011 gli interventi relativi a realizzazione e modifica di impianti produttivi di beni e servizi e ad attività di impresa soggetti a SCIA devono essere presentati al SUAP, esclusivamente per via telematica e con gli standard previsti dal DPR 160/2010.
La Circolare individua le attività soggette al controllo dei Vigili del Fuoco di cui al D.M. 16/02/1982, per le quali è consentito il Procedimento Automatizzato (la SCIA). Per gli interventi di prevenzione incendi non soggetti a SCIA, che presuppongono un giudizio tecnico-discrezionale dell’organo di controllo (ad esempio attività non normate, attività particolarmente complesse, procedure secondo l’approccio ingegneristico, deroghe), continuano ad utilizzarsi in via transitoria le disposizioni del D.P.R. 447/1998 e s.m.i., sino all’entrata in vigore del Procedimento Ordinario di cui al Capo IV del regolamento SUAP, ossia il 30.09.2011.
Relativamente al Procedimento Automatizzato, il SUAP, al momento della presentazione della SCIA, dovrà verificare con modalità informatica la completezza formale della segnalazione e dei relativi allegati e, in caso di verifica positiva, rilasciare automaticamente la ricevuta che autorizza l’impresa ad iniziare l’attività. Inoltre il SUAP trasmetterà, sempre per via telematica, la segnalazione e i relativi allegati alle Amministrazioni e agli uffici competenti, quindi anche ai Comandi Provinciali.
Gli standard relativi ai formati dei file, allegati alle domande di prevenzione incendi prodotte digitalmente, sono pubblicati nel sito internet istituzionale dei Vigili del Fuoco, nella sezione prevenzione incendi on-line; le estensioni ammesse dei file da allegare sono:
- JPG;
- PDF;
- DWF.
Le domande di prevenzione incendi redatte in forma digitale devono pervenire ai Comandi attraverso il portale “impresainungiorno.gov.it”, oppure attraverso la PEC del SUAP (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATALa segnalazione certificata di inizio attività (marzo 2011 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 22.03.2011, "Art. 19 legge n. 241/1990: la segnalazione certificata di inizio attività – Prime indicazioni applicative" (circolare regionale 21.03.2011 n. 3).

EDILIZIA PRIVATA: B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 12 del 22.03.2011, "Testo coordinato del d.d.g. 18.03.2011, n. 2481 “Adeguamento degli schemi di dichiarazione e dei relativi allegati in attuazione della l.r. 02.02.2007 n. 1, art. 5 alla disciplina SCIA di cui al d.l. 31.05.2010 e approvazione schema incarico per la loro sottoscrizione digitale e presentazione telematica”, rettificato dal d.d.g. 21.03.2011, n. 2520".
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Per comodità di utilizzo pratico, si ripropone la modulistica della SCIA senza l'intestazione del BURL:
1- modello A ---> SEGNALAZIONE CERTIFICATA INIZIO / MODIFICA ATTIVITÀ (SCIA);
2- modello B ---> SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI SUBINGRESSO / CESSAZIONE / SOSPENSIONE E RIPRESA / CAMBIAMENTO RAGIONE SOCIALE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVA;
3- scheda 1 ---> ATTIVITÀ DI VENDITA EX ART. 7 D.LGS. 114/1998 / FORME SPECIALI DI VENDITA EX ARTT. DA 16 A 21 D.LGS. 114/1998 / SOMMINISTRAZIONE EX ART. 68, COMMA 4, L.R. 06/2010;
4- scheda 2 ---> REQUISITI MORALI E PROFESSIONALI PER LE ATTIVITÀ DI VENDITA E SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE;
5- scheda 3 - REQUISITI PROFESSIONALI PER ATTIVITÀ DI SERVIZI ALLA PERSONA;
6- scheda 4 ---> ATTIVITÀ DI PRODUZIONE;
7- scheda 5 ---> COMPATIBILITÀ AMBIENTALE;
8- scheda 6 ---> ATTIVITÀ TURISTICO RICETTIVA;
9- SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO ATTIVITÀ PER L’ESERCIZIO ATTIVITÀ AGRITURISTICA (ai sensi L.R. n. 31/2008 art. 154) E COMUNICAZIONI VARIE;
10- allegato c ---> INCARICO PER LA SOTTOSCRIZIONE DIGITALE E PRESENTAZIONE TELEMATICA DELLA SEGNALAZIONE CERTIFICATA DI INIZIO/MODIFICA ATTIVITÀ (S.C.I.A.) PROCURA ai sensi dell’art. 1392 c.c.

EDILIZIA PRIVATASegnalazione certificata di inizio attività (Geometra Orobico n. 1/2011).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, La segnalazione certificata di inizio attività nell’edilizia (AL n. 01-02/2011).

EDILIZIA PRIVATATITOLI EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di Stato, l'incertezza sulla natura giuridica della Dia e della Scia condiziona le contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai lavori avviati in base a uno di questi due titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop ai lavori e, al contempo, domandare al Tar l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il Consiglio di Stato decida sull'inquadramento della dichiarazione servono più livelli di tutela. Contro la Dia non basta il ricorso. I terzi che contestano i lavori devono rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio di attività (Dia), della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e della comunicazione di inizio lavori non è solo una questione teorica: anzi, ha importante ricadute pratiche. La possibilità di contestare al Tar gli interventi edilizi realizzabili con questi titoli edilizi dipende infatti da come si definiscono le dichiarazioni con cui il privato può avviare i lavori senza dover attendere il rilascio del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto provvedimento espresso della p.a.- è pacifico che possa essere impugnato al Tar entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che al più tardi coincide con l'avvio dei lavori o con il momento in cui gli stessi raggiungono lo stadio che consente ai terzi di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni presentate dai privati c'è più di un dubbio: è possibile impugnarle? Oppure bisogna chiedere al comune di bloccare i lavori ed eventualmente portare al giudice la decisione dell'amministrazione di lasciar correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si può andare subito dal giudice anche per chiedere l'immediata sospensione dei lavori, nell'altro caso possono non bastare alcuni anni e si rischia di arrivare al Tar a opere finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il Consiglio di Stato si è recentemente interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per rendere carrabile un porticato, impugnata dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il costruttore ha quindi proposto appello sostenendo che la Dia non costituirebbe atto amministrativo impugnabile e suscettibile di rimedi demolitori, trattandosi di attività del privato e non assumendo valore provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi erronea laddove ha ritenuto direttamente impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza 14/2011 del 07.12.2010, alla luce del contrasto giurisprudenziale in atto addirittura all'interno della stessa sezione chiamata a dirimere la controversia, ha deciso di rimettere la questione all'Adunanza plenaria deputata a dare un univoco indirizzo che possa guidare i Tar e i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno tre tesi ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di inizio attività di D.I.A. - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Volontà dell'Amministrazione - Principio di economicità del procedimento - Illegittimità.
Sebbene l'art. 23 D.P.R. n. 380/2001 non preveda parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine di trenta giorni entro cui l'Amministrazione deve esercitare il potere inibitorio, nel caso in cui l'Amministrazione abbia espressamente rinviato l'esame della D.I.A. al momento della presentazione dell'autorizzazione per l'attività industriale, non può la stessa richiedere, in contrasto con il principio di economicità del procedimento, la presentazione della medesima D.I.A. integrata dall'autorizzazione, risultando conseguentemente illegittimo il diniego impugnato motivato sulla base di tale mancata ripresentazione della domanda (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.12.2010 n. 7630 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Permesso di costruire - Termine di impugnazione - Decorrenza dalla percezione della lesività dell'opera.
2. DIA - Duplice e contestuale intervento di demolizione/ricostruzione di immobile e recupero di sottotetto - Legittimità - Presupposti.
1.
In tema di tempestività dell'impugnazione della DIA -o del permesso di costruire- il termine di impugnazione decorre dall'effettiva percezione della lesività delle opere edilizie assentite (cfr. TAR Milano, sent. nn. 1147/2010, 1149/2010 e 1150/2010).
2. L'intervento conseguente ad una DIA che, in realtà, debba qualificarsi come una sorta di doppio intervento edilizio, seppure oggetto di un solo titolo abilitativo -da una parte una ristrutturazione edilizia, mediante demolizione e ricostruzione dell'immobile, ex art. 27, comma 1, lettera d) L.R. 12/2005, e dall'altra un contestuale recupero ai fini abitativi del sottotetto esistente, ex art. 63 della medesima legge regionale- è legittimo, purché sussistano i presupposti di legge per entrambi gli interventi (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2010 n. 7511 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Potere della P.A. di inibire l'esecuzione dei lavori - Grado di motivazione dell'atto in autotutela - Principio di diretta proporzionalità tra la motivazione ed il trascorrere del tempo.
2. D.I.A. - Potere sanzionatorio della P.A. - Presupposti.

1. In materia di D.I.A. e di relativo annullamento in autotutela, tanto maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività e l'esercizio del potere di autotutela, maggiore deve, dunque, essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 6465/2006, n. 5622/2006, n. 846/2006).
2. In materia di DIA, una volta decorso il termine perentorio di 30 giorni previsto dall'art. 23, D.P.R. 380/2001, la P.A., per potere esercitare il potere sanzionatorio, deve, in primis, incidere sul titolo edilizio, intervenendo su di esso in autotutela, sempre che ne ricorrano i presupposti (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.12.2010 n. 7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Produzione effetti dal trentesimo giorno dalla presentazione - Presupposti.
2. Denuncia di inizio attività - Modifiche normative successive alla presentazione della DIA - Principio della sensibilità della DIA - Ratio.
3. Denuncia di inizio attività - Modifiche normative successive alla presentazione della DIA - Principio della sensibilità della DIA - Applicabilità alle disposizioni regolamentari.

1. La DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata -punto su cui si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita e di atto privato- produce effetti al trentesimo giorno dalla sua presentazione, purché, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (cfr. TAR Milano, sent. n. 5737/2008).
2. Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della DIA, periodo durante il quale la P.A. ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui la P.A. è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
3. Il principio della "sensibilità" della DIA alle modifiche legislative nei trenta giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dissertazioni sulla SCIA.
Sul sito http://tv.architettiroma.it è possibile accedere ai video del Convegno nazionale sulla semplificazione delle procedure edilizie, tenutosi martedì 05.10.2010.
Suggeriamo di ascoltare l'intervento del Cons. Chinè, capo ufficio legislativo Ministero per la semplificazione normativa.
Intervento che non solo ignora le problematiche giuridiche sollevate da più parti (ANCI in prima linea) sulla correttezza dell'interpretazione dell'articolo 19 l. 241/1990 fornita dal Ministero, ma che rivela l'affanno e l'imbarazzo del Ministero
(minuto 21:30) nel momento in cui la platea ne contesta la posizione.
Segnaliamo che, a seguito dell'incontro con il Ministero della Semplificazione, il Consiglio Nazionale Architetti ha richiesto la riscrittura del testo legislativo sulla materia della SCIA, tenuto conto della "diffusa incertezza da parte degli operatori professionali, imprenditoriali nonché degli Enti locali nell'applicazione della nuova disciplina, oltre che della possibile disomogeneità interpretativa sul territorio nazionale, si ritiene utile suggerire la emanazione di un urgente provvedimento legislativo che consenta di dirimere i dubbi circa la applicazione del nuovo regime semplificazione".
Si ascolti, altresì, la replica sempre del Cons. Chiné a fronte di alcuni quesiti formulati in sala.
Buona visione (commento tratto dalla newsletter del sito http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATAC'è ancora qualcuno che sia convinto dell'esistenza della SCIA in luogo della DIA in materia edilizia??
Il Governo, nella settimana del’08.11.2010, ha presentato l’emendamento n. 1.500 al ddl di stabilità per il 2011 (A.C. 3778) e cioè la Finanziaria 2011, il quale all’art. 4 recita “Semplificazioni in materia di urbanistica, edilizia e di segnalazione certificata di inizio attività”.
Invero, l’art. 4 de quo è stato ritenuto “inammissibile” dal Presidente della Camera dei Deputati (si legga la "Sintesi del contenuto ed analisi degli effetti finanziari" a cura della Camera stessa).
E’ interessante, comunque, evidenziare ed approfondire il contenuto del suddetto art. 4 in ordine alla volontà del legislatore di introdurre ancòra novità nel panorama legislativo in materia di edilizia ed urbanistica. E ciò che preme qui evidenziare è l’intenzione di chiarire la portata della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) anche nell’ambito edilizio di cui al D.P.R. n. 380/2001 in virtù delle numerose prese di posizione, da più parti- in ordine alla non applicabilità della stessa in materia edilizia.
Nella fattispecie, l’art. 4, comma 10, lett. b), così recita:
«b) all’art. 19, comma 1, primo periodo, dopo le parole: “nonché di quelli”, sono aggiunte le seguenti: “previsti dalla normativa per le costruzioni in zone sismiche e di quelli” e dopo il comma 6 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
“6-bis. Le disposizioni del presente articolo si interpretano nel senso che le stesse si applicano limitatamente alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, con esclusione dei casi in cui le denunce stesse, in base alla normativa statale o regionale, siano alternative o sostitutive del permesso di costruire, e che non sostituiscano la disciplina prevista dalle leggi regionali che, in attuazione dell’articolo 22, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, abbiano ampliato l’ambito applicativo delle disposizioni di cui all’articolo 22, comma 3, del medesimo decreto.
6-ter. Nei casi di segnalazione certificata di inizio attività in materia edilizia, il termine di cui al periodo del comma 3 è ridotto a trenta giorni. Fatta salva l’applicazione delle disposizioni di cui al comma 6, restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, e delle leggi regionali.”
».

Il Ragioniere Generale dello Stato (Canzio), con nota 11.11.2010 n. 95098 di prot. di accompagnamento della relazione tecnica di finanza pubblica all'emendamento de quo, scrive -tra l'altro- che "Viene altresì specificato meglio l'ambito di applicazione della Scia, introducendo un comma aggiuntivo all'articolo 19 della legge 241 del 1990, al fine di chiarire i dubbi interpretativi emersi in sede di prima applicazione dell'istituto, precisando che esso si estende anche alla materia edilizia, con esclusione dei casi di Superdia, in linea con quanto già osservato nella nota esplicativa del Ministero per la semplificazione normativa. ...".
Ebbene,
che bisogno c'era di integrare ulteriormente il novellato art. 19 della L. n. 241/1990?? La circolare del Cons. Chinè non era sufficiente, come dallo stesso dichiarato pubblicamente, a fugare ogni sorta di dubbio??
Evidentemente NO!!
Comunque, l'emendamento alla Finanziaria 2011 che avrebbe integrato l'art. 19 della L. n. 241/1990 non è stato ammesso e, quindi, siamo al punto di partenza:
ad oggi la SCIA, in materia edilizia, NON ESISTE!!
Tuttavia, circola voce che l'emendamento in questione sarà riproposto, nei suoi contenuti, nel consueto decreto "milleproroghe" di fine anno ... quindi, ci riaggiorniamo.

EDILIZIA PRIVATA: E. Boscolo, La segnalazione certificata di inizio attività: tra esigenze di semplificazione ed effettività dei controlli (link a www.upel.va.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. C. Colombo, Passaggio dalla D.I.A. alla S.C.I.A. in materia edilizia: provvedimenti riguardanti le D.I.A. presentate dopo il 30.07.2010 (link a www.upel.va.it).

EDILIZIA PRIVATA: SCIA in edilizia: l'Approfondimento dell'ANCE.
L'articolo 49, comma 4-bis del D.L. 78/2010, convertito dalla L. 122/2010, ha introdotto la "segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)", sostituendo integralmente la disciplina della dichiarazione di inizio attività contenuta nel previgente articolo 19 della legge 07.08.1990 n. 241.
I primi chiarimenti del Governo sulla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) sono giunti attraverso una nota dell'Ufficio legislativo del ministero della Semplificazione, di concerto con i ministeri della Pubblica Amministrazione, delle Infrastrutture e dell'Economia, che ritiene applicabile la disciplina della SCIA alla materia edilizia.
Considerati i riflessi per il settore delle costruzioni, l'Ance (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) ha ritenuto opportuno analizzare, con una nota di approfondimento, i principali effetti derivanti dall'applicazione del nuovo istituto all'attività edilizia, anche alla luce dei recenti chiarimenti forniti dal ministero della semplificazione normativa (link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, S.C.I.A., La Strana Creatura Indubbiamente Aliena (LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 2^ parte.
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Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di Piedimonte Matese (CE), per il contributo ricevuto.

EDILIZIA PRIVATA: F. Albanese, La SCIA non sostituisce la DIA regolata dal DPR 380/2001 (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: P. Diglio, Dalla Dia alla Scia: la segnalazione certificata di inizio attività (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAOggetto: comunicazioni in merito alla disciplina della segnalazione certificata di inizio attività, di cui all'art. 49 del D.L. n. 78 del 2010 convertito con modifiche dalla L. n. 122 del 2010 (Regione Emilia Romagna, nota 12.11.2010 n. 280997 di prot.).

EDILIZIA PRIVATASegnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e seguenti, della Legge n. 122/2010 (Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori, nota 14.10.2010 n. 821 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: SCIA, La Regione Lombardia dopo la bellezza di 70 gg. -che è in vigore la SCIA- batte un colpo e dice la propria in merito. Di seguito il testo del comunicato esplicativo datato 08.10.2010.
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Comunicato della Direzione Generale Territorio e Urbanistica: Segnalazione Certificata Inizio Attività (SCIA).
La legge 30.07.2010, n. 122, di conversione del D.L. n. 78, ha introdotto una nuova disciplina in materia di semplificazione che ha posto da subito dubbi e problemi per quanto attiene specificamente al settore dell’edilizia. Ci si riferisce all'art. 49, commi 4-bis e 4-ter, inseriti dalla legge di conversione e per ciò stesso efficaci a far tempo dal 31.07.2010.
Con il comma 4-bis il legislatore, "riscrivendo" l'art. 19 della L. n. 241/1990, introduce la "Segnalazione certificata di inizio attività - SCIA", in sostituzione della "Dichiarazione di inizio attività - DIA"; con il successivo comma 4-ter, dichiara espressamente la nuova disciplina attinente alla "tutela della concorrenza" e la qualifica "livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali", così riconducendola alla competenza esclusiva statale.
In risposta ad una richiesta di chiarimenti urgenti, tempestivamente formulata da Regione Lombardia, il Ministero per la Semplificazione normativa, con un’articolata nota in data 16.09.2010, ha avuto modo di delineare l’esatto ambito di operatività del nuovo istituto in campo edilizio.
Risolta in senso positivo la prima importante questione e cioè l’applicabilità della nuova disciplina anche all'edilizia, il Ministero ha chiarito che la SCIA può sostituire solo la DIA “ordinaria”, non anche la DIA alternativa al permesso di costruire, particolarmente estesa nella nostra legislazione regionale.
Questo importante chiarimento interpretativo fornito dal Ministero sostanzialmente fa salvo il regime giuridico in materia di procedure edilizie che Regione Lombardia ha consolidato con successo da oltre un decennio e che risulta fondato, come noto, sull’alternatività pressoché totale tra permesso di costruire e DIA.
A seguito delle intervenute modifiche legislative, come sopra delineate, sono cinque le procedure edilizie operative nella nostra Regione a far tempo dal 31.07.2010 per i diversi interventi, secondo la seguente articolazione:
1. Permesso di costruire per tutti gli interventi edilizi, nonché per i mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52,comma 3 bis, della L.R. n. 12/2005;
2. Denuncia di inizio attività (DIA) alternativa al permesso di costruire di cui al punto 1), fatta eccezione per gli interventi di cui al p.to 3, assoggettati in via principale a SCIA, nonché per i nuovi fabbricati in zona agricola e per i mutamenti di destinazione d’uso di cui all’art. 52, comma 3-bis, della L.R. n. 12/2005, assoggettati unicamente al permesso di costruire;
3.
SCIA per tutti gli interventi non previsti dagli artt. 6 e 10 (per quanto, quest’ultimo, disapplicato in Regione Lombardia) del D.P.R. n. 380/2001, più precisamente:
- interventi di manutenzione straordinaria non liberalizzati, ovvero eccedenti rispetto alla previsione di cui all’art. 6, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001,
- interventi di restauro e di risanamento conservativo,
- interventi di ristrutturazione edilizia “leggera”, ovvero non rientranti nella fattispecie di cui all’art. 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 380/2001;
4. Comunicazione asseverata per gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 6, comma 2, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001;
5.
Comunicazione per le opere di cui all’art. 6, comma 2, lett. b) - c) - d) - e) del D.P.R. n. 380/2001.
Per quanto riguarda specificamente la nuova disciplina della SCIA, applicabile nell’ambito sopra delineato (p.to 3), si precisa che, nel caso di interventi da realizzarsi in zona soggetta a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, alla SCIA dev’essere allegato lo specifico atto di assenso dell’ente preposto alla tutela del vincolo, atto di assenso che non può essere sostituito da SCIA.
Si richiama l’attenzione sugli adempimenti dovuti nel caso di interventi da realizzarsi in ambito non sottoposto a vincolo paesaggistico e sempre che incidano sull’aspetto esteriore dei luoghi e degli edifici: i relativi progetti sono soggetti all’esame di impatto paesistico previsto dal P.T.R. (vedi artt. 35 e ss., Parte 3, Piano Paesaggistico e DGR. n. 11045/2002).
In tal caso, se il progetto rimane sotto la soglia di rilevanza, alla SCIA dev’essere allegato l’esame di impatto paesistico, sopra soglia dev’essere acquisito, preliminarmente alla presentazione della SCIA, il giudizio di impatto paesistico con parere obbligatorio della Commissione per il paesaggio.
Relativamente agli interventi previsti dalla L.R. n. 13/2009, in materia di rilancio dell’edilizia, trattandosi di iniziative contemplate da una disciplina avente carattere speciale e derogatorio, la SCIA non trova applicazione, rimanendo pertanto confermati gli specifici disposti procedurali della stessa L.R. 13 (art. 2, comma 4; art. 3, comma 8; art. 4, comma 3).
Da ultimo, per quanto riguarda le DIA edilizie presentate prima del 31.07.2010, quand’anche a tale data non risultasse decorso il termine di trenta giorni previsto per l’esercizio del potere inibitorio dal parte dell’amministrazione, il Ministero ha chiarito che rimangono operative, salva la possibilità per il privato di avvalersi degli effetti della sopraggiunta disciplina presentando per il medesimo intervento una SCIA, ovviamente se l’intervento rientra tra quelli passibili di SCIA (p.to 3 sopra dettagliato).
Daniele Belotti  - Assessore al Territorio e Urbanistica
Bruno Mori - Direttore Generale DG. Territorio e Urbanistica
Milano, 08.10.2010

EDILIZIA PRIVATA: E. Montini, L'applicabilità alla materia edilizia della Segnalazione Certificata d'Inizio Attività (Ufficio Tecnico n. 9/2010).

EDILIZIA PRIVATA: M. Bottone, S.C.I.A., La Strana Creatura Indubbiamente Aliena (LE PAROLE CHE NON TI HO DETTO) - 1^ parte.
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Ringraziamo il Geom. Marcellino Bottone, di Piedimonte Matese (CE), per il contributo ricevuto.

EDILIZIA PRIVATA: L. Spallino, La grammatica ha la sua importanza ... anche nelle leggi. Il caso della SCIA (link a www.studiospallino.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Applicabilità alla normativa edilizia (link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATALombardia, la "telenovela" sulla SCIA non finisce ...
Nell'aggiornamento al 18.09.2010 davamo notizia dell'emanazione della
nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. da parte del Ministero per la Semplificazione Normativa, in risposta ad un quesito formulato dalla Regione Lombardia, circa chiarimenti sulla portata della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) in materia edilizia.
Ebbene, la suddetta nota ministeriale l'avevamo definita come tale e non come la tanto auspicata ed invocata "circolare" chiarificatrice che sarebbe stata licenziata di lì a qualche giorno ... dobbiamo rettificare poiché quella nota, haimè, risulta essere la CIRCOLARE CHIARIFICATRICE!!
Invero, dopo averla letta chi scrive non ha le idee ben chiare sul nuovo istituto in relazione al fatto se la DIA, la SUPER-DIA e quant'altro siano stati abrogati o meno.
In un confronto dialettico con un responsabile di U.T.C. sono sortite le considerazioni che -di seguito- riproponiamo, le quali sono già state inviate, con nota comunale ufficiale, sia al Ministero della Semplificazione Normativa sia al Servizio Giuridico dell'Assessorato Territorio e Urbanistica della Regione Lombardia.
Adesso, stiamo a vedere cosa ci risponderanno ...
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La Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) non si applica nella REGIONE LOMBARDIA.
Una recente nota del Ministero per la Semplificazione (nota 16.09.2010 n. 1340 di prot. a firma del Capo Ufficio Legislativo, Dott. Giuseppe Chinè), in risposta ad alcuni quesiti dell’Assessore al Territorio della REGIONE LOMBARDIA, chiarisce che:
• la SCIA si applica anche all’edilizia;
• la SCIA si intende quale “sostitutiva” della Dichiarazione Inizio attività (DIA);
• la SCIA non “sostituisce” né il PERMESSO DI COSTRUIRE né la DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
Forse altre Regioni d'Italia hanno diversamente applicato il d.p.r. n. 380/2001 estendendo o sottraendo ambiti di applicazione della DIA, ma -nella REGIONE LOMBARDIA- non esistono due DIA cioè non esiste:
• una DIA (semplice)
• e una DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
Nella REGIONE LOMBARDIA, in virtù dell’art. 41 della L.R. n. 12/2005 e s.m.i., esiste un'unica DIA che consente –appunto- di utilizzare il PERMESSO DI COSTRUIRE o la DIA alternativamente e per gli stessi interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia. In altre parole, in LOMBARDIA, la DIA è unica ed è alternativa al permesso di costruire.
Ne consegue che la citata nota del Dott. Giuseppe Chinè esclude, nella REGIONE LOMBARDIA, l’applicabilità della SCIA dall’ambito edilizio poiché –appunto- il Ministero ritiene che la SCIA si intenda unicamente “sostitutiva” della DIA ma non anche del PERMESSO DI COSTRUIRE e della DIA alternativa al PERMESSO DI COSTRUIRE.
27.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulla inapplicabilità della SCIA in ambito edilizio in difetto del necessario adeguamento del DPR 380/2001: postilla sulla nota ministeriale 16.09.2010 (ANCI Toscana, nota 27.09.2010).

EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) - Art. 49, commi 4-bis e seguenti, della Legge n. 122/2010 (Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggistici e Conservatori, nota 24.09.2010 n. 764 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: Addio permessi. Con le nuove regole (SCIA) i lavori di ristrutturazione partono subito.
La Scia si applica nell'edilizia. Con il deposito in comune della Segnalazione certificata di inizio attività (Scia, appunto) si possono immediatamente avviare i lavori di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione edilizia "fedele" e le varianti a permessi di costruire. La presenza di un vincolo non impedisce poi l'utilizzo della Scia (Segnalazione certificata di inizio attività), fatto comunque salvo l'ottenimento, prima di avviare i lavori, dell'autorizzazione specifica in caso di vincoli.
Questa, in sintesi è l'interpretazione fornita dal ministero delle Infrastrutture al quesito posto dalla regione Lombardia sull'applicabilità al mondo delle costruzioni del nuovo testo dell'articolo 19 della legge 241/1990, introdotto dalla manovra correttiva.
Restano invece soggetti a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione, quelli di ristrutturazione urbanistica e le opere di ristrutturazione edilizia "infedele" che comportino cioè l'aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso.
Nulla viene quindi modificato rispetto alle opere già liberalizzate: restano soggette a semplice «comunicazione» i lavori di manutenzione straordinaria, le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, quelle di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta, gli interventi per realizzare i pannelli solari, fotovoltaici e termici, le aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici. Restano infine del tutto libere (senza neppure la «comunicazione») le opere di manutenzione ordinaria, quelle volte all'eliminazione di barriere architettoniche che non alterano la sagoma dell'edificio, le opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo i movimenti di terra pertinenti all'esercizio dell'attività agricola, le serre mobili stagionali.
Infine, una precisazione importante del ministero: restano in vita le previsioni regionali che assoggettano a Dia (la cosiddetta "superDia") le opere che secondo il Testo unico sull'edilizia richiedono il permesso di costruire. L'impatto della manovra è così fortemente ridotto in Lombardia, dove ai sensi della legge regionale 12/2005 le grandi opere continuano a essere assoggettate a Dia e quelle minori, se non liberalizzate, sono ora sottoposte a Scia.
L'assetto tracciato dal ministero (riassunto nelle schede della pagina) può dirsi definitivo? A dire il vero, sulla Scia le interpretazioni in campo sono davvero tante e, per quanto autorevole, quella ministeriale non ha valore di legge e non risolve i dubbi che, sull'utilizzabilità della nuova procedura, sono stati sollevati dagli uffici tecnici delle amministrazioni comunali quotidianamente chiamati ad applicare sul campo le nuove disposizioni.
In primo luogo è stato osservato che la natura stessa dell'attività edilizia impedirebbe l'applicabilità della Scia alle costruzioni escluse dalle previsioni dell'articolo 19 della legge 241/1990 e assoggettate alle previsioni speciali del Testo unico dell'edilizia (Dpr 380/2001).
A supporto dell'inapplicabilità della Scia all'edilizia sta poi la considerazione che dalla segnalazione certificata restano comunque escluse –lo prevede la manovra– le attività soggette a limiti o contingenti complessivi, ai quali sarebbero riconducibili gli indici edilizi che regolamentano tutta l'attività di trasformazione del territorio.
Sotto un altro profilo, è stato inoltre osservato che mentre l'articolo 22 del Testo unico disciplina la denuncia di inizio attività, la manovra, riscrivendo l'articolo 19 citato, ha cancellato la dichiarazione di inizio attività, per cui non vi sarebbe motivo di porre in dubbio la perdurante efficacia delle disposizioni sulla Dia edilizia: «Le espressioni "segnalazione certificata di inizio di attività" e "Scia" sostituiscono, rispettivamente, quelle di "dichiarazione di inizio di attività" e "Dia", ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia, e la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa statale e regionale».
Le ragioni a favore della non applicazione della Scia all'edilizia non sono considerate dalla nota ministeriale, che porta a sostegno della sua tesi i lavori preparatori della legge di conversione del Dl 78/2010 (As 2228). In particolare, il dossier di documentazione del Servizio studi del Senato suggerisce la seguente lettura della disposizione: «La norma ha anche un profilo abrogativo della normativa statale difforme, per cui si deve intendere che a essa va ricondotta anche la denuncia di inizio di attività edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del Dpr n. 380 del 2001».
Di fronte a posizioni così distanti, però, gli operatori del settore sono in difficoltà. Alcuni, nel dubbio, scelgono di attendere comunque il decorso dei 30 giorni previsti dal Testo unico edilizia prima di dare avvio a lavori che, in base alla Scia, potrebbero avviare subito (articolo Il Sole 24 Ore del 20.09.2010).

EDILIZIA PRIVATA: Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). Articolo 49, commi 4-bis e seguenti, legge n. 122 del 2010 (Ministero per la Semplificazione Normativa, Ufficio Legislativo, nota 16.09.2010 n. 1340 di prot.).
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L'Ufficio Legislativo del Ministero per la Semplificazione Normativa risponde alla Regione Lombardia in merito a chiarimenti richiesti (articolo Il Sole 24 Ore del 17.09.2010).
Ma non è la tanto auspicata ed invocata circolare chiarificatrice, a tutto campo, la quale è in fase di stesura e dovrebbe essere imminente (settimana prossima??) la sua divulgazione.

EDILIZIA PRIVATA: SCIA, Prime indicazioni sulle conseguenze della modifica dell’art. 19, legge 07.08.1990, n. 241, disposta con legge 30.07.2010, n. 122, nell’ordinamento edilizio (ANCI Toscana, nota 16.09.2010).

EDILIZIA PRIVATA: D. Meneguzzo, Non sempre la SCIA appare utilizzabile in materia edilizia (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ancora sulla SCIA: la Regione Liguria dice no all'applicazione all'edilizia, soprattutto in ambiti vincolati.
Il 28.10.2010 la Regione Liguria ha trasmesso alle amministrazioni locali la nota 08.09.2010 n. 126099 di prot. -a firma del Vice Presidente della Giunta Regionale e Assessore alla Pianificazione Territoriale, Urbanistica- in risposta al quesito posto dal Comune di Genova relativamente alla applicabilità in materia di attività edilizia del nuovo istituto della Segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
Oltre a ricordare di aver proposto ricorso alla Corte Costituzionale con altre otto regioni, la Regione ha evidenziato che la procedura pare essere circoscritta alle attività di Impresa, maggiormente bisognose di "semplificazione", escludendone in ogni caso l'applicazione in casi in cui sussistono vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (commento tratto e link a http://studiospallino.blogspot.com).

EDILIZIA PRIVATA: Ultime news sulla S.C.I.A..
Ad oggi sono già 38 gg. (dal 31.07.2010) che è in vigore il nuovo istituto della S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) e nulla di nuovo si intravede all'orizzonte ...
Invero, non si contano più le telefonate che abbiamo fatto -già dai primi giorni di agosto- sia al Ministero della Semplificazione Normativa (che ha "partorito" questa bella novità ... potremmo definirla un nuovo "Porcellum??") sia all'Assessorato Regionale Territorio e Urbanistica per avere lumi in merito e la risposta è sempre stata la stessa:
boh!!
La domanda, nell'immediato, è una sola:
la S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001??
A questo semplice interrogativo nessuno (chi di dovere!!) sa rispondere e fornire certezze nell'operare quotidiano dell'ufficio tecnico comunale ... e, intanto, il tempo passa.
Ad onor del vero, venerdì 03.09.2010 abbiamo fatto
BINGO!! ... cioè?? Finalmente, dopo l'ennesima telefonata, al Ministero della Semplificazione Normativa siamo riusciti ad interloquire col Capo dell'ufficio legislativo (perché gli altri funzionari non sapevano nulla oppure erano introvabili fuori stanza oppure erano in ferie) il quale ci ha anticipato che oggi pomeriggio (06.09.2010) si terrà una riunione fra i responsabili dei Ministeri della Semplificazione Normativa (Calderoli), per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione (Brunetta) e delle Infrastrutture e Trasporti (Matteoli) al fine di pervenire -al più presto- ad un chiarimento congiunto e, forse, "partorire" l'auspicata circolare che dia risposte ai mille dubbi e quesiti sorti nel frattempo.
Comunque, da commenti ufficiosi trapelati dal Ministero, parrebbe chiaro che la S.C.I.A. abbia sostituito anche la D.I.A. in materia edilizia ... almeno, nell'intendimento del legislatore, così come si sono svolti i lavori parlamentari da cui è sortita la Finanziaria estiva.
E ciò risulta ufficialmente confermato, dal Capo ufficio legislativo -Cons. Chiné, a seguito di intervista pubblicata su "Edilizia e Territorio" del 26.07.2010, n. 29, che potete leggere qui ... tuttavia, perché al telefono il Ministero non si sbilancia ufficialmente??
Questa è l'ennesima pessima figura (tanto per usare un eufemismo) che il legislatore e, nel caso di specie, il Ministro collezionano ...
ma credete che gliene importi qualcosa?? In TV si fanno "belli" in interviste nelle quali decantano le innumerevoli semplificazioni legiferate di cui si sono fatti promotori, tutte a vantaggio del Cittadino, delle Imprese, degli Operatori economici ... tuttavia, dopo ben 38 gg. il Ministero non sa ancora dare una risposta semplice e chiara al seguente interrogativo: la S.C.I.A. ha sostituito la D.I.A. edilizia di cui al D.P.R. n. 380/2001??
VERGOGNA !!
Siamo di fronte a veri e propri "dilettanti allo sbaraglio della politica" ai quali rivolgiamo un caloroso invito a dimettersi e, successivamente, partecipare alla trasmissione televisiva "la Corrida" ... lì, forse, avranno una fulgida carriera.
Della S.C.I.A. già se ne era a conoscenza -in tempi non sospetti- con la presentazione del maxiemendamento al Senato del Ministro Tremonti prima del voto finale di fiducia alla Finanziaria estiva ... il Ministero dello Sviluppo Economico, invero, è stato abbastanza tempestivo nell'emanare la propria circolare 10.08.2010 n. 3637/C ma questa inerisce unicamente sulle attività economiche che possono essere intraprese con la S.C.I.A. e non anche sulle attività edilizie.
Perché il Ministro Calderoli ha permesso che tutti i direttori generali, dirigenti, funzionari se ne andassero bellamente in vacanza anziché restare in ufficio a redigere tempestivamente la necessaria circolare esplicativa evitando, così, di "lasciare allo sbando" gli 8.094 uffici tecnici comunali d'Italia??
Dalle nostre parti (in ufficio tecnico) una fattispecie del genere ovverosia un simile deprecabile disservizio avrebbe comportato la destituzione immediata del responsabile dalla propria P.O. perché il Sindaco non può permettersi il lusso di perdere la faccia (il consenso elettorale) coi propri amministrati!! Ma al Ministero questo ed altro ...
Nel frattempo i tecnici comunali navigano a vista nella "cacca" senza sapere che pesci pigliare -per colpa di un legislatore "analfabeta" che scrive le leggi coi piedi- e col rischio sempre incombente del risarcimento del danno per atto illegittimo (che si respingano le DIA giacenti -ove il termine di 30 gg. non sia ancora trascorso- ovvero che si accettino ancora le D.I.A. in luogo delle S.C.I.A. ...).
06.09.2010 LA SEGRETERIA PTPL

EDILIZIA PRIVATAS.C.I.A., due mesi per fare i controlli. Tempi stretti per verificare che le nuove attività siano in regola. Lo Sviluppo economico interviene sul passaggio da Dia a segnalazione certificata d'inizio attività.
Dalla Dia si passa alla Scia. Con qualche novità per la prassi: per effettuare i controlli ci saranno solo due mesi di tempo. Scaduto il termine la pubblica amministrazione avrà limitatissime possibilità per intervenire. Non solo. In sostituzione di pareri prescritti dalla norma ci potranno essere attestazioni redatte dal tecnico di fiducia. Quindi, sarà possibile conciliare la Scia con le differenti tipologie di Dia previste in origine.
Il ministero dello sviluppo economico ha fatto il punto della situazione chiarendo cosa (e come) cambia dopo la legge 122/2010. A meno di due mesi di distanza dall'entrata in vigore delle rilevanti modifiche all'art. 19 della legge 241/1990 a seguito del dlgs 59/2010 di recepimento della direttiva Bolkestein, le carte sono state nuovamente rimescolate.
Così il dicastero riscrive le regole del gioco. E lo fa con la circolare 10.08.2010 n. 3637/C; un atto attraverso cui il dipartimento impresa e internazionalizzazione, direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, cerca di chiarire la situazione dopo che la dichiarazione d'inizio attività, la Dia per intenderci, è stata sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività, la Scia. Così, sono molte le novità contenute nel novellato articolo 19, a seguito della legge 122, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 30 luglio scorso. Legge di conversione della manovra economica d'estate, ovvero del decreto legge 78/2010. Così, l'intento del ministero è fornire alcune prime indicazioni, pur dando atto della necessità di riservare a un futuro momento, più complete e meditate istruzioni.
Quattro le sezioni in cui la circolare è articolata:
1) le considerazioni generali;
2) un'analisi dell'impatto della Scia sulla normativa per l'installazione di impianti, autoriparazione, pulizie e facchinaggio;
3) uno specifico esame dell'impatto sulla disciplina per l'attività di intermediazione, per l'agente ed il rappresentante di commercio, il mediatore marittimo e lo spedizioniere;
4) infine, una specifica sezione è dedicata alle attività di vendita e somministrazione che, più di ogni altra, sono state profondamente innovate dal dlgs 59/2010 e che, quindi, ora sono nuovamente rivoluzionate.
Per quanto riguarda gli aspetti generali, il direttore Gianfrancesco Vecchio, rileva che una delle novità contenute nel nuovo art. 19 riguarda la possibilità di corredare la Scia con le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati che sostituiscono anche eventuali pareri di organi o enti appositi. Inoltre, la p.a. ha 60 giorni di tempo per esperire i controlli, dopodiché può intervenire soltanto in rigide ipotesi, tra le quali la mendacità delle dichiarazioni fornite nella Scia o per pericolo di danno al patrimonio artistico e culturale, o per l'ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
Per quanto riguarda le attività di stretta competenza delle camere di commercio anche per ciò che riguarda la verifica dei requisiti previsti, il Mise evidenzia che il nuovo sistema semplifica le procedure perché la Scia potrà essere contestuale a ComUnica.
Va rilevato, peraltro, chiosa la circolare, che qualora una camera di commercio dovesse adottare provvedimenti di inibizione dell'attività, questi determineranno l'iscrizione d'ufficio della cessazione dell'attività illegittimamente svolta nella posizione Rea dell'impresa. Più articolata la sezione dedicata a commercio e somministrazione, in forza del fatto che la formulazione dell'articolo 19 della legge 241/1990 antecedente all'introduzione della Scia, prevedeva per quest'ultimo distinte ipotesi di Dia ad efficacia immediata o differita.
La circolare prende in esame le singole fattispecie per pervenire alla conclusione che laddove era prevista la Dia andrà ora la Scia, a condizione che l'ente competente non si sia dotato di uno strumento di programmazione; nel qual caso il procedimento dovrà essere sottoposto a autorizzazione.
Tra le fattispecie soggette a autorizzazione la circolare elenca l'apertura di nuovi esercizi pubblici; il trasferimento di sede degli stessi nell'ipotesi di zona tutelata dal comune attraverso lo strumento di programmazione; l'avvio dell'attività di vendita nelle medie o grandi strutture di vendita compresi i centri commerciali e, infine, il commercio su area pubblica sia se esercitato in forma fissa sia itinerante (articolo ItaliaOggi del 18.08.2010, pag. 24).

EDILIZIA PRIVATALa S.C.I.A. rischia di essere un'arma spuntata. I professionisti sono chiamati a districarsi in un groviglio di norme.
La segnalazione certificata di inizio attività (cosiddetta Scia) in edilizia rischia di essere un'arma spuntata.
Infatti nel ginepraio di norme statali, regionali, civilistiche, dei regolamenti edilizi, di igiene, di sicurezza ecc. il professionista è chiamato ad assumere il ruolo di un acrobata che si esibisce senza rete di protezione.
Il nuovo istituto, introdotto dall'articolo 49 della legge n. 122 del 30/07/2010, si applica agli interventi già soggetti a dichiarazione di inizio attività, previsti nella normativa statale e regionale, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
Per tali interventi dovrà richiedersi il permesso a costruire, posto che la nuova disciplina cancella la Dia dall'ordinamento giuridico lasciando quali titoli abilitativi soltanto la Scia ed il permesso a costruire.
Infatti il comma 4-ter dell'articolo 49, prevede che la Scia sostituisce direttamente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale.
Con la segnalazione certificata di inizio attività o «Scia», i lavori inizieranno subito (e non più dopo il termine dilatorio previsto dalla Dia) sulla base di un'asseverazione di un tecnico abilitato che attesterà sotto la propria responsabilità, che il progetto è conforme alle norme vigenti. Il termine «asseverare» ha il significato di «affermare con solennità», e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto a verità-affidabilità del contenuto. L'art. 29, comma 3, dpr n. 380/2001 dispone poi che «Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p.» (Corte di cassazione penale, sez. III, 16/07/2010, sentenza n. 27699).
La prudenza è d'obbligo posto che in caso di dichiarazione falsa o mendace oltre alla segnalazione all'ordine professionale, è previsto un aumento della sanzione penale da uno a tre anni oltre all'eventuale interdizione dalla professione (articolo 49 commi 3 e 6). L'amministrazione competente nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, in caso di accertata non conformità a legge della stessa , ove ciò sia possibile, consente all'interessato di provvedere a conformare alla normativa vigente l'attività ed i suoi effetti entro un termine, in ogni caso non inferiore a 30 giorni (una sorta di accertamento di conformità cui non segue un permesso in sanatoria) e soltanto ove ciò non sia possibile, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa , fatto salvo il potere di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della Legge n. 241/1990.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni penali di cui sopra, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti in via di autotutela del titolo abilitativo tacito (così era qualificata la Dia, da Consiglio di stato sez. VI n. 6910/2004 e più di recente, da Tar Piemonte n. 1885/2006, da Tar Lombardia n. 4066/2010) in questo caso invece ci si troverebbe di fronte ad un titolo abilitativo, efficace dal momento del ricevimento della certificazione, ma condizionato dal decorso dei sessanta giorni senza che sia stato esercitato il potere inibitorio dell'amministrazione.
Se l'autotutela, come sembra, debba esercitarsi entro e non oltre i 60 giorni, posto che soltanto in caso di dichiarazioni false o mendaci ne è prevista l'adozione sempre e in ogni tempo, è questione sulla quale probabilmente si discuterà; è certo invece, che come la prassi vuole, i professionisti prima di inoltrare la Scia, per non correre rischi, consulteranno gli uffici comunali così come facevano per la Dia con buona pace della riduzione dei tempi.
Nelle regioni poi, la cui normativa prevede l'alternatività tra il Permesso a costruire e la Dia, ora Scia, la prudenza nell'utilizzo di tale istituto sarà ancora maggiore. Insomma nulla di veramente nuovo e capace di invertire la tendenza e ridurre i tempi.
Per velocizzare concretamente l'attività amministrativa connessa al rilascio o controllo dei titoli abilitativi di carattere edilizio, necessita pertanto che si crei uno vero sportello unico dell'edilizia affidando ai comuni (sotto una certa soglia in maniera associata) non soltanto la cura dei rapporti con gli altri enti interessati al procedimento (Asl, Vigili del fuoco ecc.) ma le loro attribuzioni anche attraverso il distacco del personale addetto (articolo ItaliaOggi del 13.08.2010, pag. 32).

EDILIZIA PRIVATALA MANOVRA CORRETTIVA/ Pro e contro della Segnalazione certificata di inizio attività. Scia, progettisti responsabilizzati. I professionisti dovranno assumersi i rischi delle opere edili.
Scia edilizia nelle mani dei professionisti. L'articolo 49 della manovra (decreto 78/2010), ora definitivamente approvata, manda in soffitta la Denuncia di inizio attività (Dia) prevista dal Testo Unico per l'edilizia e dalle leggi regionali e responsabilizza sempre di più i professionisti esterni.
In effetti la Scia (Segnalazione certificata di inizio attività) si basa su uno scambio: puoi aprire subito, oggi stesso, il cantiere, ma devi assumerti la responsabilità per intero dell'istruttoria e ti esponi ai controlli successivi degli uffici tecnici comunali. Da qui il primo rischio, e cioè che il progettista non sempre ritenga di assumere su di sé l'onere e la responsabilità dell'asseverazione dell'opera alla disciplina urbanistica.
C'è anche un secondo rischio sul piano dell'effettività dei controlli: se si impianta il cantiere il giorno stesso della presentazione della Scia al comune, può essere che gli uffici dell'amministrazione non possano verificare lo stato iniziale del manufatto, modificabile fin da subito. E ciò potrebbe essere lo stratagemma per coprire abusi: basterebbe presentare la Scia e mutare immediatamente lo stato dei luoghi.
In sostanza i parametri del successo o dell'insuccesso della Scia in edilizia dipendono dalla accettazione di rischi professionali da parte del progettista e dal regime dei controlli della pubblica amministrazione. Potrebbe aggiungersi che un parametro del successo potrebbe essere la velocità della procedura.
Tuttavia questo potrebbe non essere completamente vero se l'istruttoria svolta dal professionista (che deve preoccuparsi di vagliare in anticipo ogni possibile aspetto) si prolunga e, quindi, il tempo guadagnato per assenza di istruttoria a cura degli uffici comunali, in realtà, si perde prima nell'istruttoria del progettista privato. Altro elemento che potrà, nell'immediatezza, mettere in stand by la Scia è l'estensione agli interventi di nuova costruzione, cioè a quegli interventi per cui attualmente è previsto il permesso di costruire o la Super Dia.
Tra l'altro, l'articolo 49 citato prevede che le espressioni «segnalazione certificata di inizio attività» e «Scia» sostituiscono, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio attività» e «Dia», ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia», e la disciplina «sostituisce direttamente, quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale».
Peraltro vi è un connotato di estrema importanza relativo alla efficacia della Scia: somiglia (molto di più di quanto lo si potesse dire per la Dia) a un silenzio-assenso. Questo perché si restringono e di molto le possibilità di intervento sanzionatorio ex post (si può agire solo se c'è pericolo di un danno non riparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale).
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I casi di non ammissibilità della nuova segnalazione. Il titolo edilizio non va del tutto in soffitta.
Il titolo edilizio (con un dubbio per il permesso di costruire e la super Dia) viene sostituito da una segnalazione certificata. Non sempre però. Questo potrà avvenire quando il rilascio del titolo «dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli stessi».
Si tratta di un requisito che esclude la Scia ogni volta che vi sia un apprezzamento discrezionale, riservato alla p.a., da formulare in strumenti di programmazione, anch'essi riservati alla pubblica amministrazione.
Tali limiti potranno assumere valenza specifica in ambito edilizio, anche se non si può dire che ciò comporti tassativamente l'esclusione della Scia per tutte le opere per le quali è previsto il permesso di costruire. A prescindere dalla questione del titolo la Scia in edilizia non è ammessa nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati.
Appurata l'ammissibilità si passa ai riscontri procedurali. La nuova disposizione pretende che la segnalazione sia corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte dell'Agenzia delle imprese (articolo 38, comma 4, del decreto-legge 112/2008), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti; inoltre tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione.
L'istruttoria, che avrebbe dovuto fare il comune a seguito della richiesta del titolo, è anticipata a prima della presentazione della Segnalazione. Certo la norma consente una semplificazione. Nei casi in cui la legge prevede l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, o l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni: ma questo significa una sovraesposizione del progettista privato, che si assume tutte le responsabilità di asseverazioni e certificazioni.
La nuova disposizione precisa che chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiari o attesti falsamente l'esistenza dei requisiti o dei presupposti è punito con la reclusione da uno a tre anni. A prescindere dai risvolti penali sono salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti: se c'è qualcosa che non va, la p.a. controlla a posteriori e ha più tempo per farlo.
Una volta presentata la Segnalazione, l'attività oggetto della stessa può essere iniziata subito e cioè dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. In edilizia non si deve aspettare il termine dilatorio iniziale di trenta giorni, previsto dal Testo unico per l'edilizia, utilizzabile dagli uffici tecnici per controllare le Dia (almeno a campione) per eventualmente ordinare di non iniziare i lavori.
A questo punto la palla passa agli uffici tecnici: l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, può adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa.
Si noti che l'amministrazione può intervenire a lavori già iniziati oppure a lavori da iniziare: in sostanza l'inizio dei lavori è fatto a proprio rischio e pericolo. Se poi tutto viene bloccato il danno può essere considerevole. Non a caso si può prevedere che chi non ha propensione al rischio preferirà attendere il decorso dei sessanta giorni. Ma allora i tempi che sembravano azzerati, addirittura si allungano. Se oggi dopo la presentazione della Dia bisogna aspettare trenta giorni, con la Scia potrà essere prudente aspettarne il doppio (sessanta). Anche per evitare di dover bloccare un cantiere, dopo avere effettuato spese per i materiali, ponteggi, anticipi a ditte esecutrici, ecc..
Va sottolineato che la disposizione subordina il divieto di prosecuzione dell'attività e il ripristino alla possibilità che l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni: questo si realizzerà non senza pregiudizio, in quanto si tratta di modificare il progetto in corsa, con inevitabili strascichi di carattere economico (spese per doppia progettazione e varianti).
L'amministrazione indipendentemente dal decorso dei sessanta giorni potrà intervenire con provvedimenti di revoca e di annullamento e in caso di dichiarazioni sostitutive false o mendaci, può sempre e in ogni tempo adottare i provvedimenti di blocco cantiere e ordine di ripristino.
Il problema qui è come provare il falso: si pensi a una descrizione della consistenza iniziale del manufatto, non conforma allo stato di fatto, a fronte di una modifica intervenuta con l'apertura immediata del cantiere. Peraltro, salvo il caso della (prova di) dichiarazione inveritiera, decorso i sessanta giorni all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Questa limitazione del potere di intervento si applica anche all'edilizia e limita quindi il potere di revoca e annullamento a questi casi: ecco perché la Scia è un mini-silenzio assenso. Infine, il vicino di casa che vuole contestare la Scia edilizia del condomino dovrà ricorrere al giudice amministrativo (articolo ItaliaOggi del 09.08.2010, pag. 9).

EDILIZIA PRIVATA: L. Cirese, SCIA al posto della DIA … e del PdC!
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In questi primi giorni di entrata in vigore della L. 30.07.2010 n. 122, di conversione del D.L. 31.05.2010 n. 78, si sono avuti i primi orientamenti contrastanti in merito all'applicabilità -o meno- della S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di Inizio Lavori) in materia edilizia laddove dovrebbe aver sostituito la D.I.A. di cui al DPR n. 380/2001 e L.R. n. 12/2005.
Nell'attesa della tanto auspicata circolare ministeriale che dirima, urgentemente, tale incertezza interpretativa, un contributo potrebbe pervenire dalla lettura del dossier a cura del "Servizio studi del Senato" approntato quali schede di lettura del "Disegno di legge A.S. n. 2228 - “Conversione in legge del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” Le modifiche della Commissione".
Le pagine di interesse, dalla n. 137 alla n. 142, sono esplicite nell'evidenziare  che la S.C.I.A. ha sostituito, ad ogni effetto, la D.I.A..
Comunque, aspettiamo di leggere -quanto prima- la circolare ministeriale anche al fine di capire come si esprimerà, ufficialmente, la Regione Lombardia in merito, appunto, alla D.I.A. regionale.
Invero, sul punto, la Direzione Generale Territorio e Urbanistica si è già espressa informalmente con e-mail del 06.08.2010, a seguito di richiesta di chiarimenti urgenti da parte di un Comune, come di seguito riportato:
"La nuova disciplina in materia di semplificazione, introdotta dal Parlamento in sede di esame della manovra economica varata dal Governo con il D.L. n. 78, pone non pochi dubbi e problemi.
Appare chiaro l'intento del legislatore di assicurare l'immediata applicabilità della disciplina della SCIA come istituto di carattere generale, avendola dichiarata espressamente attinente alla "tutela della concorrenza" e qualificata "livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali", così riconducendola alla competenza esclusiva statale (norma peraltro di dubbia costituzionalità).
Non altrettanto chiara e scontata è invece l'applicazione della nuova disciplina anche all'edilizia, mancando qualsivoglia richiamo al Testo unico dell'edilizia (D.P.R. n. 380/2001), ove peraltro si parla di Denuncia (non Dichiarazione) di inizio attività.
Un chiaro indirizzo sul punto, come pure circa l'esatto ambito di applicazione della nuova disciplina, se cioè la SCIA può sostituire anche il permesso di costruire ovvero solo la DIA, solo la DIA statale o anche la DIA regionale, non può che venire -si spera a breve- dal Governo (Ministero della Semplificazione), ispiratore della novità legislativa.
In ogni caso, anche al fine di valutare l'impatto della nuova disciplina sull'ordinamento regionale, la D.G. Territorio ha già avviato una riflessione congiunta con la Presidenza.
Distinti saluti.
Arch. Gian Angelo Bravo - Direttore vicario D.G. Territorio e urbanistica
".

LA SEGRETERIA PTPL - 09.08.2010

EDILIZIA PRIVATA: Con la «S.C.I.A.» l'attività parte in un giorno. Per iniziare è sufficiente la segnalazione. L'amministrazione ha 60 giorni di tempo per le verifiche.
La dichiarazione di inizio attività (Dia) -prevista e disciplinata dall'art. 19 della legge 241/1990- è sostituita dalla Segnalazione certificata di inizio attività (Scia) ... (articolo Il Sole 24 Ore del 06.08.2010, pag. 23 - link a www.corteconti.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: C. Rapicavoli, Legge 30.07.2010 n. 122. Modifiche alla Legge 241/1990 in materia di Conferenza di Servizi - Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) (link a www.ambientediritto.it).

ENTI LOCALI - VARI: G.U. 30.07.2010, suppl. ord. n. 174/L:
- "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31.05.2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" (Legge 30.07.2010 n. 122);
- "Testo del decreto-legge 31.05.2010, n. 78 coordinato con la legge di conversione 30.07.2010, n. 122 recante: «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica»".

EDILIZIA PRIVATALa Scia mette il turbo alle nuove iniziative.
Norma antiburocrazia nella manovra correttiva. Con l'introduzione della Scia (segnalazione certificata inizio attività) sarà più facile iniziare un'attività d'impresa o edilizia.
La Scia sostituirà infatti la Dia, e le amministrazioni avranno 60 giorni (e non più 30), per esercitare i controlli ed eventualmente richiedere (se si accerta carenza dei requisiti necessari) la rimozione degli effetti dannosi, a cui l'impresa dovrà provvedere entro 30 giorni.
La Scia quindi consiste in un'autocertificazione che, tuttavia, non potrà essere utilizzata nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali o nell'ambito di quei procedimenti in cui siano necessari atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze (compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivanti dal gioco, nonché quelli imposti dalla normativa comunitaria).
L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente, senza attendere 30 giorni, come accadeva prima della riforma con la Dia.
Il legislatore ha inteso rispondere all'esigenza di liberalizzazione dell'attività d'impresa, istituendo una «segnalazione certificata di inizio attività» che sostituisce «ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale».
Dal punto di vista normativo, infatti, il maxi-emendamento governativo ha introdotto all'articolo 49 il comma 4-bis, il quale ha sostituito integralmente l'art. 19 della legge n. 241/90 (originariamente rubricato «Dichiarazione di inizio attività»).
Correderanno la segnalazione (per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali ecc.) le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà, le attestazioni e le asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero le dichiarazioni di conformità da parte delle agenzie delle imprese (di cui all'art. 38, comma 4, dl n. 112/2008, convertito dalla legge n. 133/2008), relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiranno anche l'acquisizione di pareri di organi o enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive.
Vincoli. L'applicazione della nuova disciplina è subordinata alle seguenti condizioni:
- che il rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o di atti amministrativi a contenuto generale;
- che non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione:
a) dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali;
b) per quei procedimenti in cui siano necessari atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza, all'amministrazione della giustizia, all'amministrazione delle finanze, compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria;
- che gli atti richiesti non riguardino le attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico bancario.
Divieti. Il testo della manovra prevede anche l'adozione di motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti. Il termine è fissato in 60 giorni dal ricevimento della segnalazione e può contenere l'ordine di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
L'amministrazione può però anche fissare un termine (in ogni caso non inferiore a 30 giorni) entro cui l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti.
In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci, l'amministrazione, ferma restando la responsabilità penale, potrà sempre e in ogni tempo adottare i suddetti provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi.
Deroghe. Decorso il predetto termine di 60 giorni, l'amministrazione potrà intervenire solo in presenza del pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Dia. Le nuove disposizioni stabiliscono che la disciplina sulla Scia sostituirà direttamente, dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, quella della Dia (statale e regionale). La disciplina sulla Scia che è stata introdotta, infatti, è ricondotta alla tutela della concorrenza ai sensi dell'art. 17, comma 2, lett. e), della Costituzione (materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato), e costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della lettera m) del medesimo comma 2.
Ciò ha consentito di risolvere il problema del rapporto con la disciplina della dichiarazione di inizio di attività recata da ogni normativa regionale. Inoltre, le espressioni «segnalazione certificata di inizio di attività» e «Scia» sostituiranno, rispettivamente, quelle di «dichiarazione di inizio di attività» e «Dia».
Semplificazioni. In materia di semplificazione è stata introdotta una normativa a cascata che tende a ridurre gli adempimenti amministrativi gravanti sulle Pmi, al fine di promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese. In particolare, il governo sarà autorizzato ad adottare uno o più regolamenti di delegificazione, volti a semplificare e ridurre gli adempimenti amministrativi a carico delle pmi, in base ai seguenti principi e criteri:
a) proporzionalità degli adempimenti amministrativi in relazione alla dimensione dell'impresa e al settore di attività, nonché alle esigenza di tutela degli interessi pubblici coinvolti;
b) eliminazione di autorizzazioni, licenze, permessi, ovvero di dichiarazioni, attestazioni, certificazioni, comunque denominati, nonché degli adempimenti amministrativi e delle procedure non necessarie rispetto alla tutela degli interessi pubblici in relazione alla dimensione dell'impresa ovvero alle attività esercitate;
c) estensione dell'utilizzo dell'autocertificazione, delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati nonché delle dichiarazioni di conformità da parte delle agenzie delle imprese (art. 38, comma 4, dl n. 112/2008);
d) informatizzazione degli adempimenti e delle procedure amministrative, secondo la disciplina del dlgs 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale);
e) soppressione delle autorizzazioni e dei controlli per le imprese in possesso di certificazione Iso o equivalente, per le attività oggetto di tale certificazione;
f) coordinamento delle attività di controllo al fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni, assicurando la proporzionalità degli stessi in relazione alla tutela degli interessi pubblici coinvolti.
Entrata in vigore. I regolamenti in materia di Scia dovranno essere emanati entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del dl 78/2010, ed entreranno in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione (articolo ItaliaOggi del 26.07.2010, pag. 10).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

dossier D.I.A. (Denuncia di Inizio Attività)
anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Perfezionamento della dia.
Il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva.
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione.
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi si sono perfezionati all’atto del loro deposito, una volta trascorso il termine di trenta giorni senza alcun intervento inibitorio dell’Amministrazione.
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Quanto alla natura del contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio’.
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento
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Ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”) il termine per esigere tale contributo o richiedere eventuali conguagli si prescrive per decorso del termine decennale.
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Quanto alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il Collegio concorda con la ricorrente a proposito della decorrenza del termine di prescrizione decennale ancorata alla formazione del titolo edilizio.
Non recando una previsione esplicita l’art. 64, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune”), è doveroso interpretare la norma nel senso dell’immediata esigibilità della somma, una volta intervenuta l’abilitazione all’esecuzione dell’intervento edilizio, così come già detto per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione.
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Diversa conclusione deve invece predicarsi con riferimento alla quota relativa al costo di costruzione tenuto conto che l’art. 48, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori” (nel senso della decorrenza del termine di prescrizione del credito relativo al costo di costruzione riferita alla fine lavori o alla diversa data stabilita dall’Amministrazione).
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SENTENZA
1. Con il ricorso in epigrafe, notificato il 27.01.2017 e depositato il 16 febbraio successivo, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento del Comune di Milano del 25.10.2016, notificatole il 29.11.2016, con il quale veniva invitata a versare la somma di € 17.236,22, a titolo di conguaglio del contributo di costruzione e di cd. monetizzazione degli spazi destinati a parcheggio, relativamente alla DIA del 12.08.2004 e successive varianti.
2. Ha esposto in fatto la società ricorrente:
   - che la Im.It. s.r.l., sua dante causa, presentava in data 12.08.2004 una DIA finalizzata a “ristrutturazione e ampliamento di un edificio industriale da destinare a residenza, e realizzazione di un parcheggio al piano terra e al piano interrato ad utilizzo della residenza”, da eseguirsi presso l’immobile di proprietà in via ... n. 3;
   - di essere subentrata all’Im.It. e aver presentato, in data 03.05.2006, per il medesimo intervento, una seconda DIA per “ristrutturazione edilizia ed ampliamento edificio”, che comprendeva le seguenti opere: “recupero a fini abitativi di tutto il piano sottotetto dell’immobile in oggetto con la creazione di sei unità immobiliari, rispettando i volumi, gli allineamenti e le finiture dell’edificio originario. Verranno modificate le aperture delle scale e verranno realizzati dei terrazzi praticabili sulla copertura piano dell’edificio, raggiungibile tramite scale a chiocciola esterne”;
   - di avere poi, in data 20.09.2007, depositato una DIA in variante non essenziale per “modifica distribuzione interna, modifica copertura edificio, modifica boxes, nuove canne fumarie”;
   - di aver effettuato, nella medesima data, la dichiarazione di fine lavori, con contestuale richiesta di certificato di agibilità;
   - di aver autoliquidato e corrisposto interamente l’importo del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione), nonché di aver provveduto ad asservire a spazi per parcheggio la superficie richiesta in applicazione della normativa allora vigente, il tutto per complessivi € 261.698,00 circa;
   - che durante il procedimento per il rilascio del certificato di agibilità, il Comune procedeva al controllo dei calcoli e dei versamenti operati dalla società relativamente agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione e rilevava un errore nella superficie dei parcheggi, inferiore di mq. 46,55 rispetto a quella prevista per legge;
   - che il Comune indicava quindi, nel provvedimento del 29.11.2016, la somma complessiva di € 17.236,22 come dovuta dalla società, a titolo di conguaglio, per contributo di costruzione e cd. “monetizzazione parcheggi”, così suddivisi: € 1,21 per oneri di urbanizzazione primaria, € 2,79 per oneri di urbanizzazione secondaria, € 2.240,79 per costo di costruzione ed € 14.991,43 per “monetizzazione parcheggi”;
   - di aver chiesto l’annullamento dell’atto in autotutela, lamentandone l’erroneità e la tardività;
   - di non aver ricevuto riscontro dal Comune.
3. Assumendo l’illegittimità del predetto provvedimento, la ricorrente ha quindi proposto il ricorso in epigrafe, chiedendo l’annullamento dell’atto e l’accertamento dell’insussistenza del diritto di credito del Comune.
...
3. Venendo ora allo scrutinio del merito del ricorso, lo stesso è fondato.
4. Con la prima doglianza, di carattere assorbente, si assume l’illegittimità della pretesa comunale, in quanto il diritto a ottenere il conguaglio del contributo di costruzione e il versamento della monetizzazione degli spazi destinati a parcheggi si sarebbe prescritto per scadenza del termine decennale decorrente dal perfezionamento delle DIA presentate il 12.08.2004 e 03.05.2006, considerato invece che l’ultima DIA del 20.09.2007, quale variante minore non essenziale, non avrebbe determinato alcun aumento del carico urbanistico e, quindi, nessuna variazione in aumento del contributo di costruzione.
4.1. La censura è parzialmente fondata.
4.2. Come già osservato dalla Sezione in una fattispecie analoga alla presente (sentenza 10.05.2018, n. 1242), “va premesso che il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (‘la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione’).
A tal fine, si deve richiamare l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 che prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento o per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire, cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [‘L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività’]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.05.2013, n. 2593; 04.09.2012, n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 15.03.2018, n. 730; 04.03.2016, n. 434).
Da ciò discende che i singoli titoli edilizi si sono perfezionati all’atto del loro deposito, una volta trascorso il termine di trenta giorni senza alcun intervento inibitorio dell’Amministrazione.
Quanto alla natura del contributo di costruzione dovuto dal soggetto che intraprenda un’iniziativa edificatoria, lo stesso ‘rappresenta una compartecipazione del privato alla spesa pubblica occorrente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione.
In altri termini, fin dalla legge che ha introdotto nell’ordinamento il principio della onerosità del titolo a costruire (art. 1 della legge n. 10 del 1977), la ragione della compartecipazione alla spesa pubblica del privato è da ricollegare sul piano eziologico al surplus di opere di urbanizzazione che l’amministrazione comunale è tenuta ad affrontare in relazione al nuovo intervento edificatorio del richiedente il titolo edilizio’ (Consiglio di Stato, Ad. plen., 07.12.2016, n. 24).
Pertanto, laddove l’intervento edilizio non determini alcun aumento del carico insediativo a livello urbanistico nessun contributo risulta dovuto in capo al privato che ha realizzato il predetto intervento
”.
4.3. Applicando i suesposti principi, che il Collegio condivide, alla fattispecie oggetto di scrutinio nella presente sede, deve evidenziarsi che gli interventi posti in essere dalla società ricorrente che hanno determinato un aumento del carico insediativo sono pacificamente riconducibili esclusivamente alle D.I.A. del 12.08.2004 e del 03.05.2006 e non anche alla DIA del 20.09.2007, avendo avuto quest’ultima ad oggetto interventi di modifica della distribuzione interna degli spazi, non rilevanti né con riguardo al peso insediativo né in relazione alla variazione della destinazione d’uso.
Peraltro, tali elementi non sono stati contestati dalla difesa comunale, la quale ha invece sostenuto che solo al termine dei lavori sia possibile stabilire la corretta e definitiva entità del contributo da versare.
4.4. In sintesi, l’ultimo intervento edilizio comportante un aumento di carico insediativo è quello relativo alla d.i.a. del 03.05.2006 e quindi, ai sensi dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”), il termine per esigere tale contributo o richiedere eventuali conguagli ha cominciato a decorrere dal 02.06.2006 e si è prescritto il 02.06.2016, per decorso del termine decennale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.09.2017, n. 4515; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 26.07.2017, n. 1678).
4.5. Quanto, poi, alla pretesa comunale circa la c.d. monetizzazione “parcheggi”, il Collegio concorda con la ricorrente a proposito della decorrenza del termine di prescrizione decennale ancorata alla formazione del titolo edilizio.
Non recando una previsione esplicita l’art. 64, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“Qualora sia dimostrata l’impossibilità, per mancata disponibilità di spazi idonei, ad assolvere tale obbligo, gli interventi sono consentiti previo versamento al comune di una somma pari al costo base di costruzione per metro quadrato di spazio per parcheggi da reperire. Tale somma deve essere destinata alla realizzazione di parcheggi da parte del comune”), è doveroso interpretare la norma nel senso dell’immediata esigibilità della somma, una volta intervenuta l’abilitazione all’esecuzione dell’intervento edilizio, così come già detto per la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione.
Anche la pretesa relativa alla cd. “monetizzazione parcheggi” era dunque prescritta alla data di adozione (e a quella successiva di invio) dell’atto contestato.
4.6. Diversa conclusione deve invece predicarsi con riferimento alla quota relativa al costo di costruzione (sulla differenza tra contributo di costruzione e costo di costruzione, cfr. Consiglio di Stato, IV, 28.06.2016, n. 2915), pari ad € 2.240,79, tenuto conto che l’art. 48, comma 7, della legge regionale n. 12 del 2005 –similmente all’art. 16, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001– stabilisce che “la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori” (nel senso della decorrenza del termine di prescrizione del credito relativo al costo di costruzione riferita alla fine lavori o alla diversa data stabilita dall’Amministrazione, cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 02.05.2018, n. 1183; id., 08.01.2019, n. 32; id, 05.09.2019, n. 1949).
Nel caso di specie, la dichiarazione di fine lavori risale al 20.09.2007 e, quindi, la richiesta comunale di conguaglio del costo di costruzione –datata 25.10.2016 e comunicata alla società il 29.10.2016– risulta tempestiva rispetto al termine prescrizionale decennale che sarebbe scaduto in data successiva.
4.7. Alla luce di quanto sopra, l’ordine di pagamento è illegittimo, per intervenuta prescrizione del relativo credito, quanto alle poste relative a oneri di urbanizzazione primaria e secondaria (€ 1,21 ed € 2,79) e a cd. “monetizzazione parcheggi” (€ 14.991,43). La pretesa comunale è invece tempestiva quanto al credito per conguaglio del costo di costruzione (€ 2.240,79).
4.8. La fondatezza della suesposta censura in relazione alle poste per oneri di urbanizzazione e monetizzazione determina –previo assorbimento del secondo motivo di ricorso, relativo al merito del calcolo della monetizzazione– il parziale accoglimento del ricorso (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.08.2020 n. 1561 - link a www.giustizia-amministrativa.it
).

EDILIZIA PRIVATAIl potere inibitorio dell’amministrazione in materia di D.I.A. è –per orientamento costante della giurisprudenza- “estinguibile”, in quanto sottoposto al termine di esercizio perentorio di giorni 30 dalla presentazione della denuncia, al pari dell’attività di verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine, l’attività edilizia potrà essere liberamente iniziata non potendo l’amministrazione intervenire sulla stessa tramite l’esercizio di un potere inibitorio ormai esauritosi e salvo restando il potere di autotutela, ma soggetto a ben diversi presupposti.
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3. Il riconoscimento dell’avvenuta denuncia all’amministrazione dei suddetti cancelli ed il consolidamento del suddetto titolo per decorso del termine, comporta che l’emanazione dell’ordine di demolizione dovesse passare attraverso il ritiro in autotutela del titolo edilizio formatosi.
Infatti il potere inibitorio dell’amministrazione in materia di D.I.A. è –per orientamento costante della giurisprudenza- “estinguibile”, in quanto sottoposto al termine di esercizio perentorio di giorni 30 dalla presentazione della denuncia, al pari dell’attività di verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine, l’attività edilizia potrà essere liberamente iniziata non potendo l’amministrazione intervenire sulla stessa tramite l’esercizio di un potere inibitorio ormai esauritosi e salvo restando il potere di autotutela, ma soggetto a ben diversi presupposti (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII, 08.10.2009, n. 5200; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 09.07.2009, n. 2137; TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2009, n. 4066; TAR Liguria, 22.01.2003, n. 113) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1278) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.07.2020 n. 1470 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA e misure di salvaguardia.
È noto che in presenza di uno strumento urbanistico adottato (cioè deliberato per la prima volta dal Consiglio comunale) scattano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 12, comma 3, del Testo Unico per l’edilizia approvato con d.P.R. n. 380/2001 (prima articolo unico della legge 03.11.1952, n. 1902), in forza delle quali il Comune deve sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che siano in contrasto con lo strumento urbanistico adottato.
Quanto ai titoli abilitativi ex lege, come la DIA sulla base di cui è stato autorizzato l’intervento edilizio in esame, si deve ritenere che, ancorché l’articolo unico della legge n. 1902 del 1952 parli di sospensione della “licenza di costruzione” (poi “concessione edilizia” e ora “permesso di costruire”) e l’articolo 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, faccia riferimento alla sospensione del “permesso di costruire”, le misure di salvaguardia si applichino anche alla denuncia di inizio attività.
Qualora l’intervento denunciato sia in contrasto con le previsioni di uno strumento urbanistico adottato prima che siano trascorsi i trenta giorni dalla presentazione della D.I.A., è dunque obbligatoria l’applicazione delle misure di salvaguardia
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.07.2020 n. 1389 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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1. Il presente giudizio attiene al calcolo della cd. monetizzazione in relazione a un intervento, meglio descritto in narrativa, consistente nella demolizione totale degli edifici esistenti e nella costruzione di nuovi edifici su via ..., realizzato in forza della DIA n. 688907/2011 e successive varianti. L’intervento ha pacificamente comportato un maggior peso urbanistico e dunque maggiori oneri anche di monetizzazione, per effetto dei cambi di destinazione d’uso previsti.
1.1. Sulla base del Piano Regolatore Generale allora vigente, gli oneri di monetizzazione venivano calcolati (e corrisposti) solo nella misura eccedente il 30% della superficie lorda di pavimento (SLP) totale.
Come evidenziato in narrativa, tuttavia, già all’epoca di presentazione della prima DIA del 2011, era stato adottato un nuovo strumento urbanistico (PGT che sarebbe poi stato definitivamente approvato nel maggio 2012, senza modifiche, per quanto di rilievo in questa sede), il quale prevedeva, all’art. 9 del Piano dei Servizi, un reperimento dello standard nella misura del 100% della SLP per gli interventi con cambio di destinazione d’uso da funzioni urbane produttive verso altre funzioni.
1.2. A seconda che si adotti il criterio di calcolo del PRG precedente o del PGT successivo, all’evidenza, l’importo dovuto per monetizzazione differisce sostanzialmente. Si tratta quindi di stabilire se siano applicabili alla fattispecie, come ritenuto dal Comune di Milano, le misure di salvaguardia previste dal Testo Unico per l’edilizia.
1.3. È noto che in presenza di uno strumento urbanistico adottato (cioè deliberato per la prima volta dal Consiglio comunale) scattano le misure di salvaguardia di cui all’articolo 12, comma 3, del Testo Unico per l’edilizia approvato con d.P.R. n. 380/2001 (prima articolo unico della legge 03.11.1952, n. 1902), in forza delle quali il Comune deve sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che siano in contrasto con lo strumento urbanistico adottato.
Quanto ai titoli abilitativi ex lege, come la DIA sulla base di cui è stato autorizzato l’intervento edilizio in esame, si deve ritenere che, ancorché l’articolo unico della legge n. 1902 del 1952 parli di sospensione della “licenza di costruzione” (poi “concessione edilizia” e ora “permesso di costruire”) e l’articolo 12, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, faccia riferimento alla sospensione del “permesso di costruire”, le misure di salvaguardia si applichino anche alla denuncia di inizio attività. Qualora l’intervento denunciato sia in contrasto con le previsioni di uno strumento urbanistico adottato prima che siano trascorsi i trenta giorni dalla presentazione della D.I.A., è dunque obbligatoria l’applicazione delle misure di salvaguardia (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 20.01.2014, n. 257).

EDILIZIA PRIVATACostituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività, come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di un privato.
Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 31 cod. proc. amm..
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5.1. Costituisce ius receptum che la denuncia di inizio attività, come d’altronde il corrispondente modello della S.C.I.A., non è configurabile come determinazione amministrativa (neanche per silentium) e non dà luogo ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Dalla natura di atto privato discende che la denuncia non è una categoria di atto direttamente impugnabile dal terzo leso dall'attività di un privato. Questi può conseguire tutela stimolando l'esercizio dei poteri inibitori dell'Amministrazione procedente e, in caso di inerzia, può esperire esclusivamente azione di accertamento volta a verificare l'illegittimità del comportamento inerte dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 31 cod. proc. amm. (cfr. ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. IV, 05/07/2017, n. 3281; TAR Lazio, Roma, sez. II, 20/01/2020, n. 645; TAR Campania, Napoli, sez. III, 01/04/2019, n. 1780).
Tale qualificazione, già ampiamente invalsa nel formante giurisprudenziale esistente all’epoca in cui è stato introdotto il presente giudizio, è stata normativamente confermata con la novella dell’art. 19, co. 6-ter, della L. n. 241/1990.
A ciò consegue, dunque, l’inammissibilità delle censure ricorsuali che investono le due D.I.A. in variante rilevanti nel presente giudizio e, per relationem, le opere con esse assentite. Tra di esse, in particolare, la vasca idromassaggio, specificamente indicata nella D.I.A. prot. n. 43880 del 10/8/2009, sulla quale si appuntano gran parte delle doglianze sollevate da parte ricorrente
(TAR Basilicata, sentenza 13.07.2020 n. 454 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Requisiti minimi per la dia.
Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione; detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001, che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche gli atti di assenso eventualmente necessari.
Ne consegue che la realizzazione mediante dia di un box in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, è da qualificarsi come intervento realizzato sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.07.2020 n. 1303 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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MASSIMA
2. Con le prime tre doglianze proposte dalle parti ricorrenti, da trattare contestualmente in quanto strettamente e logicamente connesse, si assume l’illegittimità dei provvedimenti comunali impugnati, poiché la d.i.a. in base alla quale è stato realizzato, in maniera del tutto conforme al titolo, il box sarebbe assolutamente legittima, come sarebbe dimostrato anche dalle plurime verifiche effettuate dall’Ufficio tecnico comunale nel corso del tempo e dalla circostanza che nel termine previsto dalla normativa non sarebbe stata effettuata alcuna attività di autotutela nel rispetto dei presupposti individuati dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, non potendo assumere rilevanza, in senso contrario, il tardivo sollecito dei poteri di controllo del Comune da parte dei vicini controinteressati; infine, non sarebbe giustificata la circostanza assunta a fondamento degli atti impugnati, in origine nemmeno presa in considerazione dallo stesso tecnico comunale, ovvero che l’autorimessa dei ricorrenti rientri tra i beni di cui agli art. 10-13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 o tra quelli di cui all’art. 134 del medesimo Decreto (rientrando nel perimetro del Parco Agricolo Sud Milano).
2.1. Le doglianze sono infondate.
Va premesso che, in data 06.05.2019, in esecuzione dell’ordinanza n. 428/2019, il Comune di Lacchiarella ha depositato in giudizio una Relazione attraverso la quale ha segnalato la sussistenza di un vincolo indiretto gravante sugli immobili limitrofi alla Chiesa di San Martino ed imposto dal P.G.T. entrato in vigore il 01.01.2013.
Nello specifico, nel paragrafo “3.4 Vincoli gravanti sul territorio comunale” dell’elaborato “Piano delle regole- RP.03- Relazione”, si è evidenziato che, “per effetto del DLgs 42/04 (codice Urbani), oltre al territorio compreso nel Parco regionale: - uno specifico vincolo di rispetto della chiesa di San Martino è in vigore per effetto dell’art. 10 e riguarda le modalità di intervento negli isolati al contorno della chiesa”.
L’art. 28.1 (“Immobili assoggettati a tutela”) delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole prescrive che “sono assoggettati alla tutela prevista dal decreto legislativo 22.01.2004, n. 42: - ai sensi degli artt. 10-13, gli immobili identificati nella tav. DA. 02, nonché gli immobili di proprietà pubblica nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico e di persone giuridiche private senza fine di lucro, anche in assenza della dichiarazione di sussistenza di specifico interesse”.
La Tavola “DA. 02- Vincoli gravanti sul territorio comunale” inserisce i fondi di proprietà dei ricorrenti Tr./Ta. (e delle controinteressate Bo. e Ri.) tra gli “Isolati interessati dal vincolo ex art. 136 del d.lgs. 42/2004”.
Anche la tavola “RP 01 bis Carta di sintesi dei contenuti del PGT” inserisce le residenze dei ricorrenti e delle controinteressate all’interno degli isolati soggetti al vincolo ex art. 136 del D.Lgs. n. 42 del 2004 (“Vincoli ambientali e monumentali”).
Pertanto, si è al cospetto di un vicolo diretto (assoluto) sulla Chiesa di San Martino e indiretto (relativo) sugli isolati posti nell’intorno, in cui è collocata anche l’area di proprietà dei ricorrenti su cui è stato realizzato il box oggetto del presente contenzioso. Ne discende che, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in presenza di un intervento che altera lo stato dei luoghi dei fondi interessati dal vincolo, si impone il previo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica.
2.2. Trattandosi di intervento effettuato con d.i.a. n. 26/2013 del 15.04.2013, lo stesso è assoggettato alla disciplina urbanistica vigente a quella data e quindi al richiamato P.G.T., entrato in vigore il 01.01.2013. È altrettanto pacifico tra le parti di causa che nessuna autorizzazione paesaggistica è stata richiesta e ottenuta per la realizzazione del box.
Tuttavia, le parti ricorrenti ritengono che la mancanza della predetta autorizzazione non abbia alcuna conseguenza sulla validità ed efficacia della d.i.a. n. 26/2013 (e sulla successiva variante, n. 50/2013), poiché lo stesso Tecnico comunale, all’atto della presentazione del titolo edilizio, ne aveva escluso la indispensabilità, e in ogni caso sarebbe maturato un affidamento legittimo in capo ai ricorrenti in ordine alla regolarità dell’intervento edilizio posto in essere, anche in relazione al lungo lasso di tempo trascorso tra la sua realizzazione e la conclusione dell’attività sanzionatoria comunale, avvenuta nel mese di febbraio 2019.
I predetti rilievi non appaiono persuasivi, atteso che, come evidenziato da un condivisibile orientamento giurisprudenziale,
le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione. Detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni)» (Consiglio di Stato, VI, 20.11.2013, n. 5513; altresì, IV, 11.10.2018, n. 5841; VI, 24.03.2014, n. 1413).
L’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo abilitativo i lavori di realizzazione del box e quindi legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal Comune. La circostanza che nel provvedimento di chiusura del procedimento impugnato sia stata eccepita la “carenza di un requisito di legittimità” e non sia invece stata prospettata l’inefficacia della d.i.a. non appare invalidante, atteso che comunque era evidente e nettamente percepibile il riferimento alla carenza dell’autorizzazione paesaggistica (punto 1 del provvedimento); del resto,
la qualificazione del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris assegnatogli dall’Autorità emanante (Consiglio di Stato, IV, 13.04.2017, n. 1718; TAR Lombardia, Milano, IV, 18.03.2019, n. 567).
Infine, non assume rilievo determinante, in senso opposto, l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un permesso di costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza del privato.
Diversamente,
la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019; Consiglio di Stato, II, 12.03.2020, n. 1795; TAR Lombardia, Milano, II, 26.06.2020, n. 1205) che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura privata della d.i.a. genera una differenziazione del trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui necessariamente discende una parziale divergenza di regime; in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto,
avendo realizzato il box (abusivo, come evidenziato in precedenza) in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio (sulla prevalenza della disciplina paesaggistica su quella edilizia, cfr. Consiglio di Stato, IV, 08.07.2019, n. 4778; anche, TAR Lombardia, Milano, II, 11.03.2020, n. 471; 21.01.2019, n. 118).
2.3. Ciò determina il rigetto delle scrutinate censure.

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Inefficace la DIA (ora SCIA) in assenza dell'autorizzazione paesaggistica.
Come evidenziato da un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni)».
Sicché, l’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo abilitativo i lavori realizzati e, quindi, legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal Comune.
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La qualificazione del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris assegnatogli dall’Autorità emanante.
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Non assume rilievo determinante, in senso opposto, l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un permesso di costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990) che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura privata della d.i.a. genera una differenziazione del trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui necessariamente discende una parziale divergenza di regime; in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo) in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”.
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2. Con le prime tre doglianze proposte dalle parti ricorrenti, da trattare contestualmente in quanto strettamente e logicamente connesse, si assume l’illegittimità dei provvedimenti comunali impugnati, poiché la d.i.a. in base alla quale è stato realizzato, in maniera del tutto conforme al titolo, il box sarebbe assolutamente legittima, come sarebbe dimostrato anche dalle plurime verifiche effettuate dall’Ufficio tecnico comunale nel corso del tempo e dalla circostanza che nel termine previsto dalla normativa non sarebbe stata effettuata alcuna attività di autotutela nel rispetto dei presupposti individuati dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, non potendo assumere rilevanza, in senso contrario, il tardivo sollecito dei poteri di controllo del Comune da parte dei vicini controinteressati; infine, non sarebbe giustificata la circostanza assunta a fondamento degli atti impugnati, in origine nemmeno presa in considerazione dallo stesso tecnico comunale, ovvero che l’autorimessa dei ricorrenti rientri tra i beni di cui agli art. 10-13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 o tra quelli di cui all’art. 134 del medesimo Decreto (rientrando nel perimetro del Parco Agricolo Sud Milano).
2.1. Le doglianze sono infondate.
Va premesso che, in data 06.05.2019, in esecuzione dell’ordinanza n. 428/2019, il Comune di Lacchiarella ha depositato in giudizio una Relazione attraverso la quale ha segnalato la sussistenza di un vincolo indiretto gravante sugli immobili limitrofi alla Chiesa di San Martino ed imposto dal P.G.T. entrato in vigore il 01.01.2013.
Nello specifico, nel paragrafo “3.4 Vincoli gravanti sul territorio comunale” dell’elaborato “Piano delle regole- RP.03- Relazione”, si è evidenziato che, “per effetto del DLgs 42/2004 (codice Urbani), oltre al territorio compreso nel Parco regionale: - uno specifico vincolo di rispetto della chiesa di San Martino è in vigore per effetto dell’art. 10 e riguarda le modalità di intervento negli isolati al contorno della chiesa”.
L’art. 28.1 (“Immobili assoggettati a tutela”) delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano delle Regole prescrive che “sono assoggettati alla tutela prevista dal decreto legislativo 22.01.2004, n. 42: - ai sensi degli artt. 10-13, gli immobili identificati nella tav. DA. 02, nonché gli immobili di proprietà pubblica nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico e di persone giuridiche private senza fine di lucro, anche in assenza della dichiarazione di sussistenza di specifico interesse”.
La Tavola “DA. 02- Vincoli gravanti sul territorio comunale” inserisce i fondi di proprietà dei ricorrenti Tr./Ta. (e delle controinteressate Bo. e Ri.) tra gli “Isolati interessati dal vincolo ex art. 136 del d.lgs. 42/2004”. Anche la tavola “RP 01-bis Carta di sintesi dei contenuti del PGT” inserisce le residenze dei ricorrenti e delle controinteressate all’interno degli isolati soggetti al vincolo ex art. 136 del D.Lgs. n. 42 del 2004 (“Vincoli ambientali e monumentali”).
Pertanto, si è al cospetto di un vicolo diretto (assoluto) sulla Chiesa di San Martino e indiretto (relativo) sugli isolati posti nell’intorno, in cui è collocata anche l’area di proprietà dei ricorrenti su cui è stato realizzato il box oggetto del presente contenzioso. Ne discende che, ai sensi dell’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 2004, in presenza di un intervento che altera lo stato dei luoghi dei fondi interessati dal vincolo, si impone il previo ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica.
2.2. Trattandosi di intervento effettuato con d.i.a. n. 26/2013 del 15.04.2013, lo stesso è assoggettato alla disciplina urbanistica vigente a quella data e quindi al richiamato P.G.T., entrato in vigore il 01.01.2013. È altrettanto pacifico tra le parti di causa che nessuna autorizzazione paesaggistica è stata richiesta e ottenuta per la realizzazione del box.
Tuttavia, le parti ricorrenti ritengono che la mancanza della predetta autorizzazione non abbia alcuna conseguenza sulla validità ed efficacia della d.i.a. n. 26/2013 (e sulla successiva variante, n. 50/2013), poiché lo stesso Tecnico comunale, all’atto della presentazione del titolo edilizio, ne aveva escluso la indispensabilità, e in ogni caso sarebbe maturato un affidamento legittimo in capo ai ricorrenti in ordine alla regolarità dell’intervento edilizio posto in essere, anche in relazione al lungo lasso di tempo trascorso tra la sua realizzazione e la conclusione dell’attività sanzionatoria comunale, avvenuta nel mese di febbraio 2019.
I predetti rilievi non appaiono persuasivi, atteso che, come evidenziato da un condivisibile orientamento giurisprudenziale, le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. deve ritenersi inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –in quanto prive di titolo abilitativo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione. Detti requisiti sono precisati nell’art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 (vigente ratione temporis), che al comma 5 prevede, al fine di comprovare il carattere non abusivo delle opere realizzate, che gli interessati debbano esibire non solo la domanda, ma anche “gli atti di assenso eventualmente necessari”.
La stessa previsione contenuta nel comma 4 –in cui si prevede la convocazione, da parte del Comune, di una conferenza di servizi, quando non risulti allegato alla d.i.a., sebbene richiesto e non ancora ottenuto, il “parere favorevole del soggetto preposto alla tutela” del bene (con inefficacia della stessa d.i.a. in caso di esito non favorevole della conferenza)– «non può non ritenersi ostativa dell’efficacia della medesima DIA alla scadenza del termine, in astratto previsto per l’esecuzione delle opere oggetto della domanda: non a caso, il comma 6 dell’art. 22 del più volte citato d.P.R. n. 380/2001 subordina la realizzazione degli interventi edilizi, per gli immobili vincolati, al “preventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative” (con evidente riferimento alla non decorrenza del termine, previsto per l’inizio dei lavori, in assenza di detti pareri o autorizzazioni)» (Consiglio di Stato, VI, 20.11.2013, n. 5513; altresì, IV, 11.10.2018, n. 5841; VI, 24.03.2014, n. 1413).
L’inefficacia della d.i.a. rende privi di un idoneo titolo abilitativo i lavori di realizzazione del box e quindi legittima l’attività sanzionatoria posta in essere dal Comune. La circostanza che nel provvedimento di chiusura del procedimento impugnato sia stata eccepita la “carenza di un requisito di legittimità” e non sia invece stata prospettata l’inefficacia della d.i.a. non appare invalidante, atteso che comunque era evidente e nettamente percepibile il riferimento alla carenza dell’autorizzazione paesaggistica (punto 1 del provvedimento); del resto, la qualificazione del provvedimento amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti, e non anche del nomen iuris assegnatogli dall’Autorità emanante (Consiglio di Stato, IV, 13.04.2017, n. 1718; TAR Lombardia, Milano, IV, 18.03.2019, n. 567).
Infine, non assume rilievo determinante, in senso opposto, l’orientamento giurisprudenziale segnalato dalle parti ricorrenti, secondo il quale il titolo edilizio privo dell’autorizzazione paesaggistica è illegittimo e non inefficace –laddove “il permesso di costruire è stato rilasciato dal Comune sull’erroneo convincimento della non necessità dell’autorizzazione paesaggistica [lo stesso] non è inefficace ma illegittimo, perché rilasciato sul falso presupposto dell’assenza di un vincolo paesaggistico, e riguarda pertanto una fattispecie in cui l’attività edilizia posta in essere è stata ab origine supportata da un titolo edilizio che appariva oggettivamente idoneo a legittimare l’intervento” (TAR Veneto, II, 07.11.2018, n. 1033)– giacché tale pronuncia ha ad oggetto un permesso di costruire che è un atto amministrativo a tutti gli effetti ed è quindi assoggettato a tutte le prescrizioni regolanti la validità e l’efficacia degli atti amministrativi in generale: è evidente che nell’adozione di un provvedimento amministrativo il contenuto e gli effetti dello stesso sono totalmente riferibili all’Amministrazione procedente anche laddove il procedimento sia avviato o mediato da un’istanza del privato.
Diversamente, la d.i.a. (oggi s.c.i.a.) è un atto soggettivamente e oggettivamente privato (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990; Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019; Consiglio di Stato, II, 12.03.2020, n. 1795; TAR Lombardia, Milano, II, 26.06.2020, n. 1205) che abilita all’esecuzione di determinate categorie di interventi edilizi, ferma restando però la necessaria sussistenza di tutti gli altri presupposti richiesti dalla normativa, soprattutto quelli posti a presidio di interessi particolarmente sensibili e rilevanti, in carenza dei quali la denuncia non può esplicare alcun effetto.
La natura privata della d.i.a. genera una differenziazione del trattamento giuridico della stessa rispetto ad un atto amministrativo, qual è il permesso di costruire –si veda la posizione deteriore dei terzi lesi dall’intervento effettuato con d.i.a. o s.c.i.a. rispetto a quelli effettuati con il permesso di costruire (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 45 del 13.03.2019)– da cui necessariamente discende una parziale divergenza di regime; in tal senso, vanno richiamate le previsioni del Testo unico dell’edilizia che hanno previsto per l’interessato la facoltà di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi effettuabili con s.c.i.a. (art. 22, comma 7) o viceversa di avvalersi della s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire (art. 23), in modo da consentire al privato, a prescindere dalla tipologia di intervento programmato, di scegliersi un regime giuridico più formalistico ma più garantito, oppure più snello ma con maggiori oneri e responsabilità a proprio carico.
Pertanto, avendo realizzato il box (abusivo, come evidenziato in precedenza) in un ambito sottoposto a vincolo, in assenza della previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i ricorrenti lo hanno fatto sulla base di un titolo non efficace, dando in tal modo vita ad un intervento totalmente abusivo, cui consegue la necessaria rimozione del manufatto, come desumibile dall’art. 146, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, secondo il quale “l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (sulla prevalenza della disciplina paesaggistica su quella edilizia, cfr. Consiglio di Stato, IV, 08.07.2019, n. 4778; anche, TAR Lombardia, Milano, II, 11.03.2020, n. 471; 21.01.2019, n. 118).
2.3. Ciò determina il rigetto delle scrutinate censure (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.07.2020 n. 1303 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAEffetto interruttivo del fallimento – Impugnazione della d.i.a. in materia edilizia.
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Interruzione del giudizio – Fallimento dell’impresa - Art. 43, comma 3, legge fallimentare – Effetto automatico del giudizio
  
Processo amministrativo – Termine per l’impugnazione – D.i.a. – Impugnazione - Sessanta giorni dalla conoscenza del titolo abilitativo.
  
La previsione dell’art. 43, comma 3, della legge fallimentare comporta un effetto interruttivo automatico del giudizio pendente in caso di fallimento di una parte nel senso che l’interruzione non dipende più dalla dichiarazione resa in giudizio dal difensore ma dalla conoscenza comunque acquisita dal giudice in quel giudizio; inoltre, tale disciplina, in caso di mancata costituzione del curatore fallimentare per la prosecuzione del giudizio, non fa venire meno la necessità che la interruzione sia comunque dichiarata nel corso del giudizio al fine di consentire la riassunzione nei confronti del fallimento (1).
  
La Denuncia di inizio attività in materia edilizia doveva essere contestata in giudizio da un terzo entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del titolo abilitativo, comunque formato a seguito della mancata attività inibitoria del Comune, della sua lesività per il ricorrente in relazione ai vizi lamentati (2).
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   (1) La Sezione ha ricordato l’orientamento della Corte di Cassazione, per cui l’art. 43, comma 3, della legge fallimentare -nel testo introdotto dal d.lgs. 09.01.2006, n. 5, che stabilisce che l’apertura del fallimento determina l’interruzione automatica del processo- va interpretato nel senso che, intervenuto il fallimento, l’interruzione è sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall'art. 300 c.p.c., nel senso che deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dall’evento, ma non anche che la parte non fallita sia tenuta alla riassunzione del processo nei confronti del curatore indipendentemente dal fatto che l’interruzione sia stata o meno dichiarata (Cass. civ., sez. I, Ord., 01.03.2017, n. 5288).
La previsione dell’art. 43, comma 3, della legge fallimentare, infatti, nel prevedere un effetto interruttivo automatico provocato dal fallimento sulla lite pendente, ha inteso sottrarre alla discrezionalità della parte colpita dall'evento interruttivo la rappresentazione dello stesso all'interno del processo, mentre il decorso dei termini previsti dall’art. 305 c.p.c., ai fini della declaratoria di estinzione presuppone, rispetto alla parte contrapposta a quella colpita dall'evento interruttivo, non solo la conoscenza in forma legale del medesimo evento, ma anche una situazione di quiescenza del processo, che si verifica per effetto della formale constatazione da parte del giudice istruttore dell'avvenuta interruzione automatica della lite, comunque essa sia stata conosciuta (Cass. civ., sez. I, 11.04.2018, n. 9016).
Inoltre, è stato di recente anche affermato che la conoscenza del fallimento di una parte che il procuratore di altra parte non colpita dall’evento interruttivo abbia acquisito in un determinato giudizio non sia idonea a far decorrere il termine per la riassunzione di altra causa, ancorché le parti siano assistite, in entrambi i processi, dagli stessi procuratori (Cass. civ., sez. II, 16.12.2019, n. 33157).
   (2) Come è noto gli orientamenti giurisprudenziali in materia di impugnazione di titoli edilizi da parte del terzo tendono a contemperare le esigenze di tutela dei terzi con il principio di certezza delle situazioni giuridiche e quindi, sotto tale profilo, anche della posizione di chi abbia ottenuto un titolo edilizio.
In base alla consolidata giurisprudenza, la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un titolo edilizio rilasciato a terzi viene individuata nel momento in cui i lavori hanno avuto inizio nel caso si contesti in radice l’edificabilità dell’area, mentre per le altre censure con la conoscenza cartolare del titolo e dei suoi allegati progettuali o, in alternativa, il completamento dei lavori, che disveli in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo (Cons. Stato, Ad. Plen. 29.07.2011, n. 15; id., sez. VI, 16.09.2011, n. 5170; id., sez. V, 27.06.2012, n. 3777; id., sez. IV, 10.06.2014, n. 2959).
Tali affermazioni vengono contemperate con la tutela delle esigenze di certezza dell’ordinamento, per cui il terzo non può essere considerato libero di decidere ad esempio se e quando accedere agli atti. La giurisprudenza, nel ricostruire la tutela del terzo alla luce dei principi di effettività e satisfattività, ha, infatti, cercato un punto di equilibrio tra la tutela del terzo alla luce dei menzionati principi e quello della certezza degli atti amministrativi ritenendo equo fissare il dies a quo del termine decadenziale, al momento in cui, in relazione allo stato dei lavori, sia oggettivamente apprezzabile lo scostamento dal paradigma legale.
Così, se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del completamento dell’opera quando questi non sia in condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, se lo stato di avanzamento dei lavori sia già tale da indurre il sospetto di una possibile violazione della normativa urbanistica, il ricorrente ha l’onere di documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, al fine di verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed inibire l’ulteriore attività realizzativa. Non può, quindi, limitarsi ad attendere il completamento dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso.
Nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei lavori ed il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra.
Infatti, il principio di trasparenza, sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di attivare non appena abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente (Cons. St., sez. IV, 21.01.2013, n. 322).
Quindi, se il termine di impugnazione inizia a decorrere in linea di principio dal completamento dei lavori o, comunque, dal momento in cui la costruzione realizzata è tale che non si possono avere dubbi in ordine alla portata dell’intervento, al contempo, il principio di certezza delle situazioni giuridiche e di tutela di tutti gli interessati comporta che non si possa lasciare il soggetto titolare di un permesso di costruire edilizio nell’incertezza circa la sorte del proprio titolo oltre una ragionevole misura, poiché, nelle more, il ritardo dell’impugnazione si risolverebbe in un danno aggiuntivo connesso all’ulteriore avanzamento dei lavori che, ex post, potrebbero essere dichiarati illegittimi (Cons. St., sez. IV, 28.10.2015, n. 4909).
Infatti, se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con gli evidenziati principi ordinamentali.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha, quindi, individuato una serie di fattispecie in cui, in ragione della natura delle doglianze mosse nei confronti dell’intervento edilizio, dei rilievi addotti con riguardo alla conformazione fisica o giuridica delle aree oggetto dello stesso, delle censure dedotte avverso il titolo in sé e per sé considerato, nonché delle conoscenze acquisite e delle attività poste in essere in sede procedimentale o comunque extraprocessuale, non sussistono oggettivamente ragionevoli motivi che possano legittimare l’interessato ad una impugnazione differita dei titoli edilizi alla fine dei relativi lavori (Cons. St., sez. VI, 18.07.2016, n. 3191).
In conclusione, la “piena conoscenza”, ai fini della decorrenza del termine per la impugnazione di un titolo edilizio viene individuata nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.) al completamento dei lavori o, in relazione al grado di sviluppo degli stessi, nel momento in cui si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, del manufatto in costruzione (Cons. St., sez. II, 12.08.2019, n. 5664; id., sez. IV, 26.07.2018, n. 4583; id. 23.05.2018, n. 3075); mentre la vicinitas di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate, oltre ad incidere sull’interesse ad agire, induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori e comunque chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio ha l’onere di esercitare sollecitamente l’accesso documentale (Cons. St., sez. II, 26.06.2019, n. 4390) (
Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 23.03.2020 n. 2011 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Circa l’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine per l’impugnazione della d.i.a., non può che farsi riferimento ai principi ormai consolidati in materia di impugnabilità dei titoli rilasciati a terzi in materia edilizia. Non essendo infatti il terzo destinatario di alcuna forma di comunicazione personale diretta, potrebbe non avere esatta contezza dell’incidenza effettiva, nella propria posizione giuridica, dell’eventuale non conformità dell’intervento autorizzato rispetto alla disciplina urbanistica.
E’ pertanto necessario attendere, a seconda dei casi, o l'ultimazione dei lavori o, quanto meno, il momento in cui il relativo avanzamento disvela univocamente le specifiche caratteristiche strutturali, dimensionali e “logistiche”, come rilevante nel caso di specie, dell’erigendo manufatto
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14. Quanto all’individuazione del momento in cui inizia a decorrere il termine per l’impugnazione della d.i.a., non può che farsi riferimento ai principi ormai consolidati in materia di impugnabilità dei titoli rilasciati a terzi in materia edilizia. Non essendo infatti il terzo destinatario di alcuna forma di comunicazione personale diretta, potrebbe non avere esatta contezza dell’incidenza effettiva, nella propria posizione giuridica, dell’eventuale non conformità dell’intervento autorizzato rispetto alla disciplina urbanistica (cfr. sul punto ex multis Cons. Stato, sez. IV, 05.05.2017 n. 2063, nonché id., 25.05.2017, n. 2453).
E’ pertanto necessario attendere, a seconda dei casi, o l'ultimazione dei lavori o, quanto meno, il momento in cui il relativo avanzamento disvela univocamente le specifiche caratteristiche strutturali, dimensionali e “logistiche”, come rilevante nel caso di specie, dell’erigendo manufatto (v. ancora Cons. Stato, sez. IV, 23.05.2018, n. 3075) (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 23.03.2020 n. 2008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAA) ai sensi dell'art. 37, ult. comma, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, “la mancata denuncia di inizio dell'attività non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 36”.
   B) secondo la costante giurisprudenza, “in presenza di abusivismo edilizio, ai sensi degli artt. 22 e 37, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), l'applicabilità della sanzione pecuniaria è limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia d'inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti”.
   C) pertanto, laddove manchino i presupposti per l'intervento, come, per l'appunto, nel caso in cui l'opera sia stata posta in essere in violazione del norme edilizie come è stato evidenziato dalla sentenza che qui viene appellata e come è confermato dall’esame della documentazione depositata (anche) nella sede di appello, è ammessa l'adozione dell'ordinanza di demolizione.
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8. – Quanto poi alle rimanenti censure (ri)proposte nei motivi di appello, non resta che rammentare che:
   A) ai sensi dell'art. 37, ult. comma, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, “la mancata denuncia di inizio dell'attività non comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 44. Resta comunque salva, ove ne ricorrano i presupposti in relazione all'intervento realizzato, l'applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 e dell'accertamento di conformità di cui all'articolo 36”.
   B) secondo la costante giurisprudenza, “in presenza di abusivismo edilizio, ai sensi degli artt. 22 e 37, comma 1, d.p.r. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), l'applicabilità della sanzione pecuniaria è limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia d'inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti” (così Cons. Stato, Sez. VI, 24.05.2013 n. 2873);
   C) pertanto, laddove manchino i presupposti per l'intervento, come, per l'appunto, nel caso in cui l'opera sia stata posta in essere in violazione del norme edilizie come è stato evidenziato dalla sentenza che qui viene appellata e come è confermato dall’esame della documentazione depositata (anche) nella sede di appello, è ammessa l'adozione dell'ordinanza di demolizione.
Da ciò ne consegue che, sebbene l'intervento in esame possa dirsi sottoposto a DIA, lo stesso, in ragione della descritta contrarietà alla normativa comunale (per quanto si è sopra detto e quindi che l’opera in concreto realizzata non può considerarsi organismo edilizio completamente interrato, come invece il proprietario aveva rappresentato di voler realizzare presentando la d.i.a iniziale e quella in variante e che la predetta opera è stata costruita grazia ad un innalzamento del piano di campagna oltre i limiti consentiti dall’art. 4, comma 3, punto 5, delle N.T.A. al vigente P.R.G.), rientra nelle ipotesi eccezionali che, in considerazione della gravità dell'illecito, giustificano l'adozione della massima sanzione della demolizione, così derogando alla regola che prevede per tali casi l'applicazione della sola sanzione pecuniaria (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 13.05.2019 n. 3110 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 –il quale prevede che “decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti (inibitori, ndr.) di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies”– deve essere interpretato conformemente ai principi generali vigenti in materia di autotutela decisoria e, pertanto, quale fattispecie normativa che estende ai titoli abilitativi privati, come la DIA e la SCIA, il regime generale dell’annullamento d’ufficio, beninteso incidente sugli effetti discendenti da tali titoli e non sull’atto amministrativo da rimuovere, di per sé inesistente.
Del resto, non si ravvisano alcun fondamento normativo né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere i titoli abilitativi privati, a differenza dei titoli abilitativi rilasciati dalla p.a., non soggetti al potere di annullamento in autotutela, non potendosi riconoscere all’affidamento riposto nella legittimità di una DIA o di una SCIA una tutela maggiore di quella che l’ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale.
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3.2 Ebbene, con una prima censura, parte ricorrente sostiene che la DIA, avendo natura di atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge, non è assoggettabile al potere di annullamento in autotutela, che riguarderebbe solo formali provvedimenti amministrativi.
La doglianza non merita condivisione.
L’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 –il quale prevede che “decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti (inibitori, ndr.) di cui al comma 3, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis, l’amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies”– deve essere interpretato conformemente ai principi generali vigenti in materia di autotutela decisoria e, pertanto, quale fattispecie normativa che estende ai titoli abilitativi privati, come la DIA e la SCIA, il regime generale dell’annullamento d’ufficio, beninteso incidente sugli effetti discendenti da tali titoli e non sull’atto amministrativo da rimuovere, di per sé inesistente.
Del resto, non si ravvisano alcun fondamento normativo né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere i titoli abilitativi privati, a differenza dei titoli abilitativi rilasciati dalla p.a., non soggetti al potere di annullamento in autotutela, non potendosi riconoscere all’affidamento riposto nella legittimità di una DIA o di una SCIA una tutela maggiore di quella che l’ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale (cfr. TAR Puglia Bari, Sez. II, 20.02.2017 n. 158) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
E' sicuramente vero che il termine ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit..
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento di autotutela in questione è intervenuto (nel caso di specie) abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio in materia di autotutela in ambito edilizio, il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale”.

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4. Con una seconda articolata censura, la ricorrente stigmatizza la tardività del provvedimento di autotutela, intervenuto a distanza di 15 anni dal perfezionamento della DIA e, quindi, oltre il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015, e comunque ben dopo il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, in violazione della tempistica fissata dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
La censura, così come formulata, non convince.
L’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 così recita (per la parte di odierno interesse): “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (periodo introdotto dalla legge n. 124/2015, ndr.), inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
Orbene, è sicuramente vero, in virtù di ormai consolidati orientamenti, che il termine ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (come quello di specie), il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.07.2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V, 19.01.2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.08.2016 n. 3762).
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento di autotutela in questione è intervenuto abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio in materia di autotutela in ambito edilizio (sentenza n. 8 del 17.10.2017), perfettamente estensibile al caso di specie, il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale” (nello stesso senso cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3462/2017 cit.).
In definitiva, proprio facendo tesoro del superiore insegnamento, si deve concludere che la violazione della tempistica di intervento prevista dalla disposizione legislativa in commento non costituisce di per sé causa di illegittimità del provvedimento di annullamento in autotutela (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ormai pacifica ha ritenuto che in presenza di aree assoggettate a vincolo paesistico non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2003 per cui “… correttamente l’amministrazione comunale intimata ha posto a base del provvedimento gli artt. 27 e 31 del testo unico sull’edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, avendo fatto riferimento, nel preambolo dell’atto, alla sussistenza, in loco, di vincolo paesaggistico, ciò che, come è pacifico, preclude la maturazione degli effetti abilitativi della d.i.a. edilizia in mancanza della specifica, previa autorizzazione paesaggistica …”.
Ed ancora “Gli interventi edilizi, come quello in esame, eseguiti in zona vincolata, compresi quelli in parziale difformità dal titolo abilitativo, sono considerati, in base a quanto dispone l’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, variazioni essenziali, alle quali consegue sempre l’applicazione della sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Invero, “… In ogni caso dirimente è la considerazione che in presenza di zona vincolata si impone la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l’applicazione della sanzione demolitoria è in ogni caso doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, T.U. Edilizia. A prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (ovvero ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001) deve essere sanzionato”.
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È evidente che rispetto alla recinzione in cemento armato di cui alla citata DIA non vi era mai stata alcuna autorizzazione paesaggistica e, quindi, la DIA va considerata tam quam non esset.
Pertanto, a fronte di una DIA inefficace ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, correttamente l’Amministrazione comunale ha applicato con la gravata ordinanza di demolizione il disposto dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 con riferimento ad un’opera totalmente abusiva in quanto priva di titolo abilitativo valido ed efficace.
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Altresì, «… Va sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo, la denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto effetti e le opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo. …”.
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001, con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria. …
… Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che, difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi perfezionate.
L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal Comune. Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni dei ricorrenti che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
Per costante giurisprudenza, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come osservato da condivisa giurisprudenza, “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato, non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione dell’art. 19 legge n. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali». ...».
Pertanto, in mancanza di autorizzazione paesaggistica la stessa DIA non produce alcun effetto con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Come correttamente evidenziato dal Comune si tratta di opere abusive in quanto realizzate in difformità rispetto alla autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza.
Pertanto, ciò che è stato in concreto realizzato (muro in c.a.) è privo della autorizzazione paesaggistica necessaria ai sensi dell’art. 146 dlgs n. 42/2004, in mancanza della quale la stessa DIA non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 d.p.r. n. 380/2001, con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la sanzione pecuniaria.
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4.2.1. - Relativamente al primo motivo del ricorso introduttivo, va evidenziato quanto segue.
Tutte le aree, oggetto della D.I.A del 17.07.2009, sono parte di un percorso antico utilizzato per la transumanza.
Tali percorsi sono tutelati, oltre che con decreti ministeriali del 15.06.1976, del 20.03.1980 e del 22.12.1983, anche dalla più recente normativa di cui al dlgs n. 42/2004 e da varie norme regionali.
Per quel che qui rileva la Regione Puglia, con DGR n. 1748/2000 ha approvato il P.U.U.T, che ha inserito i percorsi armentizi, appartenenti al demanio, tra i beni culturali vincolati ai sensi della legge n. 1089/1939.
Tra l’altro la recinzione, oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata, è tutta collocata in zona vincolata in quanto ricade interamente nel tracciato del Regio Tratturo Foggia-Ofanto, così come si evince dal provvedimento della Regione Puglia di riorganizzazione dell’assetto dei Tratturi e dalla planimetria allegata (cfr. documenti nn. 6 e 7 depositati dal controinteressato Novelli Antonio in data 30.04.2018, peraltro non specificamente contestati da alcuna delle parti costituite).
Per cui la situazione sopra descritta (i.e. realizzazione di opera permanente in cemento armato in zona vincolata) ha determinato la legittima adozione dell’ordinanza di demolizione e dei successivi provvedimenti comunali.
Alla luce di quanto sin qui esposto e dell’iter procedimentale non è, pertanto, condivisibile l’affermazione della società ricorrente secondo cui l’intervento de quo sarebbe stato realizzato su un suolo di proprietà privata non assoggettato ad alcun vincolo.
E’, infatti, certo che vi sia stata la realizzazione in area vincolata di un intervento idoneo ad alterare l’aspetto del territorio in contrasto con il parere espresso dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo e ciò di per sé legittima l’emissione dell’ordinanza di demolizione oggetto di impugnativa, non risultando fondata alcuna delle censure formulate da parte ricorrente.
Sul punto la giurisprudenza ormai pacifica ha -come sopra visto- ritenuto che in presenza di aree, assoggettate a vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2003 per cui “… correttamente l’amministrazione comunale intimata ha posto a base del provvedimento gli artt. 27 e 31 del testo unico sull’edilizia di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, avendo fatto riferimento, nel preambolo dell’atto, alla sussistenza, in loco, di vincolo paesaggistico, ciò che, come è pacifico, preclude la maturazione degli effetti abilitativi della d.i.a. edilizia in mancanza della specifica, previa autorizzazione paesaggistica …” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295).
Ed ancora “Gli interventi edilizi, come quello in esame, eseguiti in zona vincolata, compresi quelli in parziale difformità dal titolo abilitativo, sono considerati, in base a quanto dispone l’art. 32, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, variazioni essenziali, alle quali consegue sempre l’applicazione della sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001” (Cons. Stato, Sez. VI, 27.12.2016, n. -OMISSIS-59).
Si richiama altresì TAR Campania, Napoli, Sez. III, 02.03.2018, n. 1352: “… In ogni caso dirimente è la considerazione che in presenza di zona vincolata -come nella specie- si impone la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l’applicazione della sanzione demolitoria è in ogni caso doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all’inoltro di una previa D.I.A., poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell’art. 23, comma 3, T.U. Edilizia. A prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 (ovvero ai sensi dell’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001) deve essere sanzionato. (cfr. TAR Napoli, (Campania), sez. VI, 15/09/2016, n. 4319). …”.
Ne consegue che in applicazione del principio di diritto affermato dalla costante giurisprudenza amministrativa, il motivo di gravame sub 1) va disatteso, a fronte di una DIA (quella del 17.07.2009) avente espressamente ad oggetto la realizzazione di una recinzione in cemento armato.
Per quanto detto si tratta di una DIA certamente inefficace ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001 (“Nel caso dei vincoli e delle materie oggetto dell’esclusione di cui al comma 1-bis, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti”) poiché in difformità rispetto alla autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza avente ad oggetto una recinzione provvisoria con materiali facilmente asportabili (rete metallica), come espressamente evidenziato nella nota del 02.02.2016.
È quindi evidente che rispetto alla recinzione in cemento armato di cui alla citata DIA non vi era mai stata alcuna autorizzazione paesaggistica e quindi la DIA del 17.07.2009 va considerata tam quam non esset.
Va, inoltre, evidenziato che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, la DIA del 2009 non è stata confermata nel 2011.
Infatti, la determina dirigenziale dell’11.01.2011 revoca la precedente diffida del 02.09.2009 e l’ordinanza dirigenziale di sospensione dei lavori del 09.09.2009, comunque precisando che la recinzione sarebbe potuta essere realizzata con le caratteristiche costruttive indicate nelle premesse, vale a dire nei termini autorizzati dalla Soprintendenza con nota prot. n. -OMISSIS- del 29.07.2010 (recinzione provvisoria con materiali facilmente asportabili).
Pertanto, a fronte di una DIA inefficace ai sensi dell’art. 23, comma 3, d.p.r. n. 380/2001, correttamente l’Amministrazione comunale ha applicato con la gravata ordinanza di demolizione il disposto dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 con riferimento ad un’opera totalmente abusiva in quanto priva di titolo abilitativo valido ed efficace.
...
Inoltre, come evidenziato da TAR Puglia, Bari, Sez. III, 09.03.2017, n. 223: «… Va, infatti, sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo, la denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto effetti (cfr. TAR Venezia, Veneto, Sez. II, 24.07.2015, n. 873; TAR Emilia Romagna, Bologna, 30.07.2014, n. 803; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 23.01.2013, n. 76; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295) e le opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo. …” (TAR Marche, Sez. I, sent. n. 413 del 18.06.2016; cfr. altresì TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. n. 1350 del 02.12.2016).
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001 (TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 05.03.2012, n. 1111), con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria (TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. 1350 del 02.12.2016). …
… Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che, difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi perfezionate (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 14.11.2016, n. 5248; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 10.01.2011, n. 35; Cassazione penale, Sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
15. - L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal Comune. Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni dei ricorrenti che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
15.1.- Per costante giurisprudenza a cui il Collegio presta adesione, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come osservato da condivisa giurisprudenza, “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato” (ex multis, da ultimo, TAR Puglia, Bari, Sez. III, 06.02.2017, n. 96 e TAR Campania, Sez. IV, sent. n. 5726 del 13.12.2016 e sent. n. 5248 del 14.11.2016).
16. - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione dell’art. 19 legge n. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali». ...
».
Pertanto, in mancanza di autorizzazione paesaggistica la stessa DIA non produce alcun effetto con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Come correttamente evidenziato dal Comune di Cerignola si tratta di opere abusive in quanto realizzate in difformità rispetto alla autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza (con note del 29.07.2010 e del 02.02.2016).
Pertanto, ciò che è stato in concreto realizzato (muro in c.a.) è privo della autorizzazione paesaggistica necessaria ai sensi dell’art. 146 dlgs n. 42/2004, in mancanza della quale la stessa DIA del 17.07.2009 non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 d.p.r. n. 380/2001, con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 dlgs n. 42/2004, non surrogabile con la sanzione pecuniaria (cfr. TAR Puglia, Bari, Sez. II, 02.12.2016, n. 1350; cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 05.03.2012, n. 1111).
Stante la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica relativamente alle opere realizzate, deve quindi ritenersi immune da censure il provvedimento di demolizione emesso dall’Amministrazione comunale (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 19.07.2018 n. 1094 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In assenza di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, la DIA non ha effetto e l'intervento deve considerarsi eseguito in assenza di titolo e l'Amministrazione -una volta constatato che l'intervento realizzato riguarda un edificio sottoposto a vincolo paesaggistico e che per lo stesso intervento non è stato previamente rilasciato un provvedimento di autorizzazione paesaggistica- non può fare altro che ordinare la rimessione in pristino.
Invero, l’art. 22, comma 6, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, dispone che l'esecuzione di lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque subordinata, nonostante l'avvenuta presentazione di una d.i.a., al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative.
In presenza di zona vincolata si impone la previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l'applicazione della sanzione demolitoria è, in ogni caso, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all'inoltro di una previa D.I.A. poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell'art. 23, comma 3, T.U. Edilizia.

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La censura è infondata.
La DIA presentata il 03.02.2007 pacificamente mancava dell’autorizzazione necessaria per tutti gli interventi da realizzarsi su immobili sottoposti a vincolo.
Infatti, in base alla espressa previsione dell’allora vigente art. 22, comma 6, del d.p.r. 380 del 2001, “la realizzazione degli interventi di cui ai commi 1, 2 e 3 che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è subordinata al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative. Nell'ambito delle norme di tutela rientrano, in particolare, le disposizioni di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490”.
Per tutti gli interventi realizzabili mediante DIA in base all’art. 22 era quindi necessaria la previa autorizzazione paesaggistica.
Ne deriva che in assenza di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, la DIA non ha effetto e l'intervento deve considerarsi eseguito in assenza di titolo e l'Amministrazione -una volta constatato che l'intervento realizzato riguarda un edificio sottoposto a vincolo paesaggistico e che per lo stesso intervento non è stato previamente rilasciato un provvedimento di autorizzazione paesaggistica- non può fare altro che ordinare la rimessione in pristino (cfr. TAR Lombardia Milano Sez. II, 29.07.2014, n. 2148, per cui l’art. 22, comma 6, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, dispone che l'esecuzione di lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque subordinata, nonostante l'avvenuta presentazione di una d.i.a., al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative).
In presenza di zona vincolata si impone la previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica, con la conseguenza che l'applicazione della sanzione demolitoria è, in ogni caso, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna preventiva autorizzazione paesistica. Difatti, in presenza di aree assoggettate a vincolo paesistico, non può attribuirsi alcun rilievo all'inoltro di una previa D.I.A. poiché essa, in mancanza del prescritto parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, è da ritenersi priva di effetti ai sensi dell'art. 23, comma 3, T.U. Edilizia (TAR Campania, Napoli, 02.03.2018, n. 1352).
L’art. 23 del d.p.r. 380 del 2001, inoltre, nel testo allora vigente, ai commi 3 e 4 conteneva le seguenti disposizioni: “Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, alla stessa amministrazione comunale, il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti.
Qualora l'immobile oggetto dell'intervento sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela non compete all'amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater, della legge 07.08.1990, n. 241. Il termine di trenta giorni di cui al comma 1 decorre dall'esito della conferenza. In caso di esito non favorevole, la denuncia è priva di effetti
”.
Nel caso di specie, è circostanza altrettanto pacifica che l’immobile di via ... 19 sia sottoposto a vincolo paesaggistico in base al D.M. del 26.04.1973; né può rilevare la circostanza dedotta dalla difesa ricorrente, per cui il vincolo richiedeva l’autorizzazione solo per “opere che possano modificare l’aspetto esteriore della località”, dovendo comunque essere applicata la disciplina dell’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, per cui “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l'obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha delegato le funzioni i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, affinché ne sia accertata la compatibilità paesaggistica e sia rilasciata l'autorizzazione a realizzarli”.
Nel caso di specie, la ampiezza degli interventi, risultanti dalla relazione tecnica allegata alla DIA presentata il 03.02.2007 (consistenti tra gli altri in mutamenti di destinazione d’uso, frazionamento dell’immobile in 12 unità immobiliari, nonché nuova intonacatura e nuovi infissi di tutto l’edificio) comportavano necessariamente l’autorizzazione paesaggistica. Infatti, pur prescindendo dalla qualificazione dell’intervento edilizio, l’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004, richiede, comunque, l’autorizzazione paesaggistica anche nel caso di interventi minori (di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo) che alterino “lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio”.
La DIA presentata al Comune il 03.02.2007 non ha quindi mai avuto alcun effetto in relazione alle allora vigenti disposizioni degli articoli 22 e 23 del d.p.r. n. 380 del 2001 e dell’art. 149 del d.lgs. n. 42 del 2004..
La mancanza della autorizzazione paesaggistica non può essere neppure stata sanata dalla successiva autorizzazione paesaggistica in sanatoria del 07.04.2011, che riguarda solo l’abbaino e i comignoli della copertura del tetto, che erano estranei alla DIA del 2007, essendo compresi nella DIA in variante presentata il 09.07.2008 (oggetto del provvedimento di demolizione del 12.09.2008).
Il titolo edilizio del 2007 non si è dunque mai formato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 12.06.2018 n. 6567 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della l.r. n. 12/2005 (“la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”).
Del resto l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento e per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [“L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività”]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione.
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Conseguenza di quanto evidenziato in precedenza è l’inapplicabilità alla denuncia di inizio attività della normativa sopravvenuta alla sua presentazione, anche in relazione agli aggiornamenti delle tariffe riguardanti gli oneri, trattandosi di una modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio la cui disciplina risulta impermeabile ai mutamenti normativi successivi.
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2.2. Pertanto, va stabilito se il mancato tempestivo versamento degli oneri e dei contributi di urbanizzazione abbia impedito il perfezionamento del titolo edilizio e se in sede di riscossione degli oneri avrebbe dovuto essere applicata la normativa vigente in quel momento oppure quella in vigore all’atto di presentazione del titolo.
In primo luogo va evidenziato che il titolo edilizio si perfeziona indipendentemente dalla corresponsione degli oneri di urbanizzazione, come si ricava anche dal tenore dell’art. 42, comma 3, della legge regionale n. 12 del 2005 (“la quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”).
Del resto l’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001 prevede l’applicazione di una sanzione pecuniaria rapportata all’entità del contributo in caso di mancato pagamento e per il suo ritardo, con la possibilità per i Comuni di tutelarsi mediante la riscossione coattiva (anche se con riferimento al permesso di costruire, cfr. TAR Lombardia, Milano, II, 14.11.2017, n. 2173).
Ciò risulta avallato, oltre che dal dato normativo –art. 44, comma 13, della legge regionale n. 12 del 2005 [“L’ammontare dell’eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data (…) di presentazione della denuncia di inizio attività”]–, altresì dalla giurisprudenza maggioritaria, secondo la quale il momento su cui appuntare l’affidamento della parte istante è quello della presentazione della denuncia, che coincide con il momento perfezionativo per consolidazione postuma e non in quello in cui la stessa acquisterebbe efficacia, trovandosi al cospetto non di un provvedimento amministrativo tacito o implicito, ma semplicemente di un atto del privato, cui va applicata la disciplina legislativa vigente al momento della presentazione della denuncia alla Pubblica Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.05.2013, n. 2593; 04.09.2012, n. 4669; TAR Lombardia, Milano, II, 04.03.2016, n. 434; 16.06.2014, n. 1578).
Conseguenza di quanto evidenziato in precedenza è l’inapplicabilità alla denuncia di inizio attività della normativa sopravvenuta alla sua presentazione, anche in relazione agli aggiornamenti delle tariffe riguardanti gli oneri, trattandosi di una modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio la cui disciplina risulta impermeabile ai mutamenti normativi successivi (cfr. Consiglio di Stato, IV, 13.052013, n. 2593).
Nella fattispecie oggetto del presente contenzioso, la d.i.a. presentata dalla ricorrente in data 03.11.2005, in quanto completa di tutti gli elementi costitutivi, risulta certamente efficace e, di conseguenza, in aderenza ai sopra citati orientamenti giurisprudenziali non può essere assoggettata al regime tariffario –più oneroso– introdotto con la sopravvenuta deliberazione consiliare n. 2 del 25.01.2006 (all. 3 del Comune).
Pertanto, ferma restando la possibilità per gli Uffici comunali di applicare nel termine prescrizionale le pertinenti sanzioni per l’omesso o ritardato pagamento di cui all’art. 42 del D.P.R. n. 380 del 2001, nessun aggiornamento tariffario, rispetto alla disciplina in vigore alla data del 03.11.2005, poteva essere imposto alla società ricorrente.
2.3. Va, da ultimo, chiarito che il precedente giurisprudenziale citato dalla difesa del Comune –TAR Lazio, Roma, II-bis, 20.12.2017, n. 12542– oltre a non essere in linea con l’orientamento, in precedenza richiamato, che appare assolutamente maggioritario, si riferisce ad una dichiarazione di inefficacia della d.i.a., mentre nella questione oggetto di scrutinio è stato chiesto soltanto il pagamento del contributo di costruzione in misura maggiore rispetto a quanto calcolato dalla parte istante, sul presupposto implicito della perdurante efficacia della d.i.a. (i cui lavori peraltro sono stati conclusi, con l’ottenimento dell’agibilità: all. 14 e 15 al ricorso), seppure a posteriori contraddittoriamente negato (cfr. nota del 13.12.2007, punto 3: all. 2 del Comune).
2.4. In conclusione, deve essere affermata la fondatezza della scrutinata censura (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.03.2018 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATA: Il fatto che un intervento possa essere assentito (in astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non comporta l’automatica ed esclusiva applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità dalla denuncia.
Infatti, il Comune deve accertare in concreto se l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne ricorrano i presupposti in relazione all’intervento realizzato.
La condizione imprescindibile per rendere operative le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art. 22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'art. 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
Sotto diverso profilo, è appena il caso di osservare che, in materia urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico.
Appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati tecnici depositati in atti, che la piscina abusivamente realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x 4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20 metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi.
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Il ricorrente censura il provvedimento del Responsabile dell’area tecnica in data 22/01/2009, recante l’intimazione a demolire l’opera edilizia abusiva (piscina) e a ripristinare lo stato dei luoghi.
1. Il terzo motivo è privo di pregio giuridico.
1.1 Il fatto che un intervento possa essere assentito (in astratto) con DIA ex art. 22 del DPR 380/2001 non comporta l’automatica ed esclusiva applicazione della sola sanzione pecuniaria nel caso di mancanza o di difformità dalla denuncia. Infatti, il Comune deve accertare in concreto se l’intervento, sebbene presentato con DIA, sia conforme alla normativa edilizia e urbanistica vigente: in proposito, la disposizione del comma 6 dell’art. 37 del DPR 380/2001 fa espressamente salve le sanzioni demolitorie di cui agli articoli 31, 33, 34, 35 e 44 del medesimo T.U. ove ne ricorrano i presupposti in relazione all’intervento realizzato (TAR Puglia Bari, sez. II – 02/12/2016 n. 1350).
La condizione imprescindibile per rendere operative le previsioni invocate dalla parte ricorrente è il rispetto dei parametri urbanistici ed edilizi esistenti, che nel caso di specie risultano viceversa pacificamente violati. L’art. 22, comma 1, del DPR 380/2001 statuiva che “Sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”.
1.2 Sotto diverso profilo (a confutazione di quanto asserito da parte ricorrente nella memoria difensiva prodotta il 10/10/2016), è appena il caso di osservare che, in materia urbanistica, la nozione di pertinenza è più circoscritta di quella definita dall'art. 817 c.c., essendo applicabile solo ad opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale: il manufatto dev’essere non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di autonomo valore di mercato nonché dotato comunque di un volume modesto rispetto al primo, in modo da evitare il c.d. carico urbanistico (TAR Campania Napoli, sez. III – 14/09/2017 n. 4374; C.G.A. Sicilia – 26/09/2017 n. 805; TAR Sicilia Palermo, sez. II – 20/03/2017 n. 750); appare evidente, anche soltanto sulla base degli elaborati tecnici depositati in atti, che la struttura abusivamente realizzata –per natura, funzione e dimensioni (metri 9 x 4,50 con profondità minima di 1,20 metri e massima di 2,20 metri)– ha arrecato modifiche consistenti in termini di volume e di alterazione del preesistente stato dei luoghi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 13.12.2017 n. 1443 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E’ inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata.
L’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241, aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, stabilisce che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Secondo l’orientamento della Sezione:
   a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata;
   b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella dell’atto impugnato;
   c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal citato art. 19, co. 6-ter;
   d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria del 29.07.2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura privatistica della d.i.a.);
   e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado, la signora Ri., oltre a impugnare direttamente la d.i.a., abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6-ter, dal quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a una specifica diffida del confinante, deriva solo la possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in vista della nomina di un commissario che prenda in esame la diffida e provveda su di essa.
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15. Così detto, in parte, del primo motivo dell’appello, appare più liquido -secondo le coordinate interpretative dettate dall’Adunanza plenaria 27.04.2015, n. 5- il secondo motivo di censura incentrato sull’inammissibilità dell’impugnativa diretta della d.i.a. del 2009 da parte della signora Ri..
15.1. Il Tar non ha valutato l’eccezione in quanto ha erroneamente ritenuto che la caducazione dei due permessi di costruire si ripercuotesse inevitabilmente pure sulla d.i.a. In questo non può essere seguito perché, come detto prima, la d.i.a. è l’unico titolo edilizio efficace e oggetto del giudizio.
15.2. Il motivo è fondato.
15.3. L’art. 19, co. 6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241, aggiunto dall'art. 6, co. 1, lett. c), del decreto-legge 13.08.2011, n. 138, stabilisce che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
15.4. Secondo l’orientamento della Sezione (28.04.2017, n. 1967; 09.05.2017, n. 2120; 05.07.2017, n. 3281):
   a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla ricordata modifica legislativa, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una d.i.a., atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19.09.2008, n. 4513; sez. IV, 12.03.2009, n. 1474; sez. IV, 13.05.2010, n. 2919);
   b) tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella dell’atto impugnato;
   c) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal citato art. 19, co. 6-ter;
   d) pertanto essa si è sovrapposta al principio di diritto circa la conversione della domanda, enunziato dall’Adunanza Plenaria del 29.07.2011, n. 15 (che pure ha confermato la natura privatistica della d.i.a.), richiamata dalla parte appellata nella memoria del 28 luglio scorso;
   e) non può valere in contrario la circostanza che, in primo grado, la signora Ri., oltre a impugnare direttamente la d.i.a., abbia chiesto l’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune, perché la domanda non rientra comunque nello schema dell’art. 19, co. 6-ter, dal quale, in presenza dell’inerzia del Comune a rispondere a una specifica diffida del confinante, deriva solo la possibilità di attivare la procedura ex art. 117 c.p.a. in vista della nomina di un commissario che prenda in esame la diffida e provveda su di essa (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 06.10.2017 n. 4659 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Questa Corte ha in passato, per un verso, ritenuto che fosse soggetta a permesso di costruire l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante livellamento del terreno, in quanto tale attività avesse determinato una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli era proprio e, per altro verso, che la realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio.
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il descritto intervento edilizio alla nozione di "ristrutturazione edilizia" deve, altresì, escludersi che il medesimo potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire; sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia correttamente configurato, nel caso di specie, la contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001.
Va, infatti, ribadito che in tema di violazioni urbanistico-edilizie, la responsabilità per abuso edilizio del committente, del titolare del permesso di costruire, del direttore dei lavori e del costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di intervento realizzato direttamente in base ad una D.I.A. illegittima.

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La legittimità di una procedura di rilascio di un titolo abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente al giudice penale verificare se siano state effettivamente rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di assentire un determinato intervento edilizio.
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Gli interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati in assenza o in difformità della denuncia di inizio attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R. citato- ma richiedono la procedura di accertamento di conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36 del citato decreto.
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi già realizzati possano essere successivamente assentiti soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
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E' illegittimo e non determina l'estinzione del reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica.
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1. I ricorsi sono manifestamente infondati.
2. Osserva, in primo luogo, il Collegio come la Corte territoriale abbia adeguatamente dato conto del fatto che le opere realizzate -consistenti in una pavimentazione eseguita previa spianatura del terreno esistente e con posa in opera di erborelle amovibili, in un'area dell'ampiezza di 700 metri quadri, parzialmente destinata a viabilità secondo la variante al P.R.G., in due muri divisori di metri 5,90 per 1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60 per 0,30 metri, nonché in un muro di cinta in calcestruzzo delle dimensioni di metri 56,80 per 2,20 per 0,30- avessero significativamente inciso sull'assetto urbanistico della zona de qua attraverso una trasformazione permanente del suolo; e che, come tali, esse fossero qualificabili come "nuova costruzione", tanto da richiedere il preventivo rilascio di un permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001.
Sul punto, il ricorso introduttivo argomenta nel senso che l'intervento dovesse essere qualificato come "ristrutturazione edilizia", realizzata a servizio del fabbricato. E da tale qualificazione sarebbe derivato che le opere avrebbero potuto essere assentite con permesso di costruire ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001 ovvero con la D.I.A. sostitutiva o Super-D.I.A. che ai sensi dell'art. 22, comma 3, lett. a), del predetto decreto, nella versione all'epoca vigente, poteva essere adottata, in luogo del permesso di costruire, proprio in relazione agli "interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)".
2.1. La tesi difensiva è, però, manifestamente infondata.
In primo luogo è opportuno osservare che la stessa D.I.A. presentata dalle due imputate aveva qualificato l'intervento edificatorio non come "ristrutturazione edilizia", quanto piuttosto come "manutenzione straordinaria"; ciò a riprova del fatto che la denominazione prospettata in ricorso configuri, all'evidenza, un tentativo di giustificare ex post il ricorso allo strumento della D.I.A. in luogo del permesso di costruire. Tanto è vero che la sentenza di secondo grado non si è in alcun modo confrontata, sia pure criticamente, con tale tesi, mai avanzata nel corso del giudizio di appello.
Al di là di tale osservazione preliminare, rileva il Collegio che la illegittimità della D.I.A. presentata dalle ricorrenti fosse stata correttamente riscontrata dai giudici di appello sulla base di una serie di concreti elementi, che le argomentazioni critiche sviluppate nel ricorso introduttivo non sono riuscite a confutare.
Secondo la previsione dell'art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, infatti, costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso. E secondo l'art. 3, comma 1, lett. d), del medesimo d.P.R. sono qualificati come "interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica".
In questa prospettiva, deve risolutamente escludersi che l'intervento edilizio contestato a Ma. e Ti. Di Re. potesse essere qualificato come "ristrutturazione edilizia".
Secondo quanto, infatti, emerso in sede istruttoria, in luogo dell'originaria corte costituente pertinenza del fabbricato circostante, era stata realizzata, mediante livellamento e successiva pavimentazione, una vasta area destinata a parcheggio, con l'erezione di due muri divisori di metri 5,90 per 1,80 per 0,20 e di metri 18,20 per 1,60 per 0,30 metri, nonché di un muro di cinta in calcestruzzo delle dimensioni di metri 56,80 per 2,20 per 0,30.
Un intervento complessivo, quello appena descritto, pacificamente riconducibile, secondo la consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, alla nozione di "nuova costruzione", secondo quanto ricavabile dal combinato disposto dell'art. 3, comma 1, lett. d) ed e), del citato d.P.R., avuto riguardo alla significativa incidenza delle opere sull'assetto urbanistico del territorio, riscontrata dai giudici di appello anche alla stregua della documentazione fotografica in atti.
In passato, del resto, questa Corte ha, per un verso, ritenuto che fosse soggetta a permesso di costruire l'esecuzione di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante livellamento del terreno, in quanto tale attività avesse determinato una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli era proprio (Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 12/01/2017, Palma, Rv. 268847) e, per altro verso, che la realizzazione di un muro di recinzione necessitasse del previo rilascio del permesso a costruire nel caso in cui, avuto riguardo alla sua struttura e all'estensione dell'area relativa, lo stesso fosse tale da modificare, come avvenuto nel caso di specie, l'assetto urbanistico del territorio (Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, dep. 15/12/2014, Langella e altro, Rv. 261521).
Pertanto, una volta esclusa la possibilità di ricondurre il descritto intervento edilizio alla nozione di "ristrutturazione edilizia" deve, altresì, escludersi che il medesimo potesse essere assentito mediante Super D.I.A. (e a fortiori mediante semplice D.I.A.), essendo al contrario necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire; sicché deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia correttamente configurato, nel caso di specie, la contravvenzione prevista dall'art. 44, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380 del 2001. Va, infatti, ribadito che in tema di violazioni urbanistico-edilizie, la responsabilità per abuso edilizio del committente, del titolare del permesso di costruire, del direttore dei lavori e del costruttore, individuata ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, non è esclusa nell'ipotesi di intervento realizzato direttamente in base ad una D.I.A. illegittima (Sez. 3, n. 10106 del 21/01/2016, dep. 11/03/2016, Torzini, Rv. 266291).
2.2. Né potrebbe argomentarsi, in contrario, seguendo il percorso ricostruttivo svolto dalle ricorrenti che la legittimità del ricorso alla D.I.A. possa ritenersi dimostrata dal fatto che il comune di Chieri aveva assentito la presentazione della D.I.A. in sanatoria, ancorché subordinatamente al rilascio del menzionato atto d'obbligo.
In proposito, è appena il caso di rilevare che la legittimità di una procedura di rilascio di un titolo abilitativo non può essere ricavata, neanche sul piano indiziario, dalla valutazione che di essa abbia fatto l'organo amministrativo competente, spettando pacificamente al giudice penale verificare se siano state effettivamente rispettate la disposizioni stabilite dalla legge al fine di assentire un determinato intervento edilizio.
3. Parimenti infondato è, poi, il secondo profilo di doglianza, con il quale le ricorrenti deducono che in ogni caso l'approvazione della D.I.A. in sanatoria avrebbe realizzato sostanzialmente un accertamento di conformità.
Secondo quanto può ricavarsi dalla lettura della sentenza e dai motivi di ricorso, infatti, Ma. e Ti. Di Re. avevano presentato una D.I.A. in sanatoria secondo la procedura stabilita dall'art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, a norma del quale "la realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività" consente al responsabile dell'abuso o al proprietario dell'immobile di "ottenere la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5164 euro e non inferiore a 516 euro stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia del territorio", sempre che l'intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda (comma 4).
Tale disciplina, invero, si presenta del tutto distinta da quella dettata dall'art. 36 dello stesso decreto, a mente del quale "in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda" (comma 1).
Permesso in sanatoria il cui rilascio "è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16".
Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso (comma 2). Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata (comma 3).
Ed anzi, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui deve essere data assoluta continuità, gli interventi edilizi soggetti al permesso di costruire non sono sanabili -pur se realizzati dall'interessato con una denuncia di inizio attività alternativa al permesso di costruire ex art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, mediante la presentazione di una D.I.A. in sanatoria ai sensi dell'art. 37 del medesimo decreto, la quale può essere richiesta unicamente per gli interventi edilizi, realizzati in assenza o in difformità della denuncia di inizio attività, previsti dall'art. 22, commi 1 e 2, del d.P.R. citato- ma richiedono la procedura di accertamento di conformità prevista per la sanatoria edilizia dall'art. 36 del citato decreto (Sez. 3, n. 41425 del 29/09/2011, dep. 14/11/2011, Eramo, Rv. 251327; Sez. 3, n. 28048 del 19/05/2009, dep. 09/07/2009, Barbarossa, Rv. 244580; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, dep. 05/03/2009, Tarallo, Rv. 243099; Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, dep. 20/12/2006, Cariello, Rv. 235413).
Ciò in quanto l'art. 36 stabilisce che i manufatti abusivi già realizzati possano essere successivamente assentiti soltanto mediante il rilascio del permesso di costruire in sanatoria e non anche mediante D.I.A., in considerazione del più pregnante controllo richiesto alla pubblica amministrazione nell'ipotesi di sanatoria di costruzioni originariamente abusive, evidenziato dalla necessità che si proceda ad una valutazione di doppia conformità agli strumenti urbanistici e dalla previsione del rigetto tacito della richiesta di sanatoria nell'ipotesi di mancato accoglimento entro il termine di sessanta giorni.
Sotto altro profilo, deve altresì osservarsi, con riferimento all'atto d'obbligo sottoscritto dalla legale rappresentante della società committente, il quale, secondo le ricorrenti avrebbe concorso al perfezionamento della fattispecie sanante, che anche con riferimento tale aspetto il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte ritiene che sia illegittimo e non determini l'estinzione del reato edilizio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, dep. 29/12/2015, Carratù e altro, Rv. 266034; Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, dep. 18/05/2011, Montini e altro, Rv. 250477; Sez. 3, n. 291 del 26/11/2003, dep. 09/01/2004, P.M. in proc. Fannmiano, Rv. 226871).
Ne consegue la mancata integrazione della fattispecie sanante, anche a prescindere dal fatto che l'intervento edilizio incidesse su un'area parzialmente destinata a tratti di viabilità e che, per tale motivo, le opere realizzate si ponessero in conflitto con la disciplina della relativa macrozona del Piano di edilizia economica popolare; ciò che avrebbe, comunque, impedito, anche sotto tale concorrente profilo, l'accertamento di conformità, richiedendo l'art. 36 del d.P.R. citato la piena conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 21.09.2017 n. 43155).

EDILIZIA PRIVATA: La dichiarazione di inizio attività (segnalazione certificata di inizio attività) costituisce un atto soggettivamente e oggettivamente privato con cui l'interessato esercita la sua legittimazione ex lege all'esercizio di attività liberalizzate.
Tale strumento di semplificazione dei rapporti tra cittadino e PP.AA. può essere utilizzato anche ai fini del mutamento di destinazione d’uso degli immobili, ove ricorrano talune condizioni: “il mutamento di destinazione d'uso è assoggettato solo a Dia (ora Scia), purché però intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica.
Di recente, anche il Consiglio di Stato ha affermato che “Se è vero che un mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito, a condizione che, prima e dopo il mutamento, si rimanga all’interno della stessa categoria funzionale, ulteriormente coordinando sul piano ermeneutico la portata dei segmenti dispositivi degli artt. 22 e 23-ter D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) si giunge alla conclusione che, purché si rimanga nella stessa categoria funzionale, è possibile il cambio di destinazione d’uso attraverso una SCIA”.

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... per l'annullamento della nota prot. 22195 del 09.08.2016 con la quale è stata comunicata l'inefficacia della SCIA inerente il cambio di destinazione d'uso da “artigianale” a “commerciale”, senza esecuzione di opere, dell'immobile sito a Scicli in C.da C..., da destinare a MSV (Media Struttura di Vendita) assieme al contiguo locale commerciale;
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Il ricorrente Lo.An. espone di aver presentato in data 03.05.2016 al Comune di Scicli una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) con la quale segnalava l’avvio del cambio di destinazione d’uso -da “artigianale” a “commerciale”- senza realizzazione di opere, di un immobile sito in Scicli, C.da ..., da destinare a Media Struttura di Vendita.
Dopo il completamento dei lavori, con nota del 09.08.2016 (comunicata all’interessato il successivo giorno 16 agosto), lo Sportello unico per le attività produttive del Comune di Scicli ha rilevato che l’intervento proposto non sarebbe ammissibile dal punto di vista della conformità urbanistica, in quanto la destinazione d’uso “commerciale” richiesta confligge con la condizione riportata nella concessione edilizia in sanatoria n. 79/S022182 N del 21/06/2002 rilasciata per l’immobile in questione, che imponeva il mantenimento della destinazione d’uso specificata nel progetto allegato.
In conclusione, l’amministrazione comunale ha ritenuto che la SCIA non abbia prodotto effetti abilitativi e che la destinazione dell’immobile è da intendersi “artigianale”.
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Il Collegio ritiene di dover confermare la valutazione di fondatezza del ricorso già resa, sulla scorta di un primo esame, nella fase cautelare del giudizio.
In particolare, risulta in via documentale che la nota adottata dal SUAP del Comune di Scicli in data 09.08.2016 -della cui natura provvedimentale deve peraltro dubitarsi, alla luce del fatto che essa contiene l’invito rivolto al destinatario a presentare osservazioni/controdeduzioni, e fissa altresì un termine di conclusione del procedimento decorrente dalla data di notifica della nota stessa; anche se poi, contraddittoriamente, dichiara impugnabile il “provvedimento” innanzi al Tar- sia intervenuta oltre 90 giorni dalla presentazione della SCIA effettuata dal ricorrente.
Risulta, quindi, violato il termine di trenta giorni –quale emerge dal combinato disposto dei commi 3 e 6-bis dell’art. 19 della L. 241/1990 (cd. SCIA in materia edilizia)- entro il quale l’amministrazione può “in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, (…), adotta[re] motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa” (art. 19, co. 3, cit.).
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che “La dichiarazione di inizio attività (segnalazione certificata di inizio attività) costituisce un atto soggettivamente e oggettivamente privato con cui l'interessato esercita la sua legittimazione ex lege all'esercizio di attività liberalizzate” (Cons. Stato, A.P. n. 15/2011). Tale strumento di semplificazione dei rapporti tra cittadino e PP.AA. può essere utilizzato anche ai fini del mutamento di destinazione d’uso degli immobili, ove ricorrano talune condizioni: “il mutamento di destinazione d'uso è assoggettato solo a Dia (ora Scia), purché però intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica” (ex multis, Cass. Pen., III, 26455/2016, Id. 31465/2014).
Di recente, anche il Consiglio di Stato ha affermato che “Se è vero che un mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito, a condizione che, prima e dopo il mutamento, si rimanga all’interno della stessa categoria funzionale, ulteriormente coordinando sul piano ermeneutico la portata dei segmenti dispositivi degli artt. 22 e 23-ter D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia) si giunge alla conclusione che, purché si rimanga nella stessa categoria funzionale, è possibile il cambio di destinazione d’uso attraverso una SCIA” (Cons. Stato, VI, 2295/2017).
In conclusione, assorbite le ulteriori censure dedotte, il ricorso va accolto in ragione del ritardo con il quale l’amministrazione comunale è intervenuta per modificare gli effetti prodotti dalla SCIA. Rimane comunque salva, come già indicato nell’ordinanza cautelare, la facoltà per l’amministrazione di esercitare i poteri di vigilanza e di autotutela previsti nell’art. 19, commi 4 e 6-bis, della L. 241/1990 (TAR Sicilia-Catania, Sez. IV, sentenza 12.07.2017 n. 1773 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa dichiarazione di inizio attività non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19, l. n. 241 del 1990, presupposti indefettibili perché la d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione.
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà e il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.

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La DIA della ricorrente, riguardante, come evidenziato dall'Amministrazione Comunale e come emergente dagli atti, un intervento di sopraelevazione, anche se di modesta entità, avrebbe dovuto, in verità, essere soggetta alla verifica antisismica ai sensi dell'art. 2 del Regolamento Regionale n. 2/2012, documento, invece, assente nel progetto presentato.
In mancanza di tale accertamento, la DIA presentata dalla ricorrente non poteva, dunque, neppure dirsi integrata e legittimare le opere realizzate.
La dichiarazione di inizio attività … ( infatti) non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge. Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19, l. n. 241 del 1990, presupposti indefettibili perché la d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà e il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori" (cfr. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 05.04.2013 n. 3506; TAR Campania, Napoli, Sez. II, 25.07.2016 n. 3869).
Da qui la legittimità dell'intervento di Roma Capitale di “reiezione della DIA" e di comunicazione alla ricorrente della mancanza di titolo in relazione ai lavori de quibus e della perseguibilità degli stessi ai sensi di legge, effetti vincolati della violazione del Regolamento Regionale posto a tutela della stabilità e della sicurezza delle costruzioni, con espressa previsione, però, della “facoltà di ripresentare nuova DIA con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa vigente".
Per le argomentazioni che precedono, il ricorso deve essere, in conclusione, integralmente rigettato (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 05.07.2017 n. 7858 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di d.i.a e s.c.i.a., non è configurabile sia la formazione di un provvedimento silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia, conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti schiettamente privatistici.
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10. Il Comune, con il primo e secondo motivo di gravame, ha eccepito l’inammissibilità e l’irricevibilità del ricorso di primo grado avverso la nota del 14.02.2007 e la seconda DIA, in collegamento con l’implicito provvedimento di assenso del Comune.
Sostiene la titolarità in capo al terzo che si assume leso solo di un’azione di accertamento, non potendosi configurare la DIA come un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma come mero atto privato. Argomenta, inoltre, in ordine alla tardività dell’impugnazione proposta, atteso che il mutamento di destinazione d’uso era stato oggetto della prima DIA, conosciuta e non impugnata, e che la seconda DIA costituiva solo una variante non essenziale della prima.
10.1. Ritiene il Collegio che, in ossequio al criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015), possa prescindersi dall’esame di tali eccezioni essendo il ricorso impugnatorio di primo grado infondato nel merito.
In limine è appena il caso di rilevare –come ribadito di recente dalla Sezione (cfr. sentenze nn. 2120 e 1967 del 2017)– che, in materia di d.i.a e s.c.i.a., non è configurabile sia la formazione di un provvedimento silenzioso ad opera dell’Amministrazione, sia, conseguentemente, l’impugnativa diretta di atti schiettamente privatistici (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.07.2017 n. 3281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi.
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta avviene mediante attività che non è diretta a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente.
Del resto secondo condivisa giurisprudenza “l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. Ed anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio dell’affidamento”.
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Tali principi ancor più valgono con riferimento alla denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.
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8.2. – Da quanto appena evidenziato consegue che i provvedimenti adottati dal Comune ed oggetto di gravame assumono i caratteri dell’atto dovuto.
La denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non appare meritevole di positiva delibazione.
Sia i precedenti proprietari nell’istanza di accertamento di conformità, che la ricorrente nella SCIA hanno, infatti, dichiarato l’assenza della lesione dei diritti dei terzi.
Tali dichiarazioni sono risultate non rispondenti ai contenuti della produzione documentale.
In simili casi anche l’attuale formulazione dell’art. 19 L. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al comma 6-bis L. 241/1990, consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori, prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
La giurisprudenza è monolitica nell’affermare che il Comune in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi (ex multis Cons. Stato, sez. IV, sent, 5587 del 09.12.2015 e apre n. 4571 del 12.12.2011).
Dall’accertamento dell’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi o della piena disponibilità dei beni oggetto dell’intervento consegue per l’amministrazione il dovere di adottare i provvedimenti volti al ripristino della legalità violata. La verifica dell'esistenza di un idoneo titolo sul bene oggetto della richiesta avviene mediante attività che non è diretta a risolvere i conflitti tra i privati ma ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente (TAR Sicilia, sez. III, sent. 100 del 13.01.2017).
Del resto secondo condivisa giurisprudenza “l’Amministrazione non può agire in spregio dei principi che tutelano la proprietà privata nei confronti dell’azione amministrativa: principi che sono sanciti dalla Costituzione, ma ormai presidiati anche da un consistente corpus giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo; e che hanno anche un impatto sui profili sostanziali del governo e della gestione del territorio.
Ragionare diversamente significherebbe non salvaguardare, bensì pregiudicare i principi di buon andamento e del giusto procedimento, dovendosi aver riguardo alle fondamentali garanzie della proprietà. Ed anche il principio di conservazione degli atti si rivela recessivo nella specie, mancando il presupposto fondamentale della legittimazione, neppure sanato a posteriori.
E parimenti recessivo si rivela -in concreto- il principio dell’affidamento
” (TAR Lazio, sez. II-bis, sent. 1141 del 02.02.2012).
8.3. - Tali principi ancor più valgono con riferimento alla denuncia/segnalazione di inizio attività, che è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato, uno strumento di massima semplificazione quale manifestazione di autonomia privata con cui l'interessato certifica la sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto allegati a presupposto del legittimo esercizio dell'attività segnalata alla P.A.
Presupposto indefettibile perché una DIA/SCIA possa essere produttiva di effetti è la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione, in presenza di una dichiarazione inesatta o incompleta all'Amministrazione spetta comunque il potere di inibire l'attività dichiarata.
La Sezione in recente pronuncia (TAR Bari, sent. 96/2017) ha richiamato, condividendolo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza per cui “non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato
” (ex multis, da ultimo, TAR Bari, sez. III, sent. 222 del 09.03.2017, TAR Campania, sez. IV, sent. 5726, del 13.12.2016).
9. - Dalle considerazioni che precedono discende anche il rigetto delle censure articolate avverso la successiva ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto deve ritenersi provvedimento consequenziale rigidamente vincolato. L'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, infatti, ‘in re ipsa’.
Né può ritenersi legittimamente invocata l’applicazione dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. E’ sufficiente in proposito rilevare che la peculiarità dell’art. 38 è giustificata essenzialmente dalla necessità di tutela dell’affidamento del soggetto che ha edificato in conformità ad un titolo rivelatosi poi illegittimo. Ma si è già diffusamente argomentato sull’insussistenza, nella vicenda per cui è causa, di alcun legittimo affidamento tutelabile in capo alla ricorrente.
10. – In base alle considerazioni esposte il ricorso va rigettato (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 30.05.2017 n. 560 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui all’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una DIA, atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata;
   b) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal più volte menzionato art. 19, comma 6-ter.
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10. A prescindere dalla fondatezza dell’eccezione formulata dalla parte appellante di violazione dell’art. 276 c.p.c., conseguente all’omessa pronuncia del Tar di Genova in ordine alla mancata notifica del ricorso al condominio interessato all’installazione dell’ascensore, va preliminarmente rilevato che appare più liquida –secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015– la ragione fondativa del motivo di appello incentrato sull’inammissibilità dell’impugnativa diretta delle due DIA presentate dalla signora Be..
11. Il Tar non ha accolto l’eccezione in quanto non ha ritenuto che la disposizione di cui all’art. 19, comma 6-ter, della legge 07.08.1990, n. 241 -che ha stabilito la non impugnabilità diretta della D.I.A.- trovasse applicazione ratione temporis alle controversie che, come nel caso di specie, fossero state instaurate in data anteriore alla sua entrata in vigore.
12. Tuttavia, sul punto va rilevato che:
   a) la giurisprudenza del Consiglio di Stato, anche in epoca anteriore alla modifica legislativa di cui all’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241/1990, ha ritenuto inammissibile una domanda di annullamento di una DIA, atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. St., sez. IV, 13.05.2010, n. 2919; 12.03.2009, n. 1474; 19.09.2008, n. 4513);
   b) è evidente la naturale portata retroattiva della norma sancita dal più volte menzionato art. 19, comma 6-ter.
13. Tale giurisprudenza si è formata in epoca anteriore e coeva a quella degli atti impugnati (DIA del 04.04.2008 e DIA del 25.03.2010) e comunque precedente alla pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 29.07.2011 (che pure ha confermato la natura privatistica della DIA), richiamata dal Tar nella motivazione della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.04.2017 n. 1967 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Va sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo, la denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto effetti e le opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo. …”.
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001, con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria.
Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che, difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi perfezionate.
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L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal Comune.
Per costante giurisprudenza, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come osservato da condivisa giurisprudenza, non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato”.

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In presenza di opere realizzate senza titolo in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato.
L’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, infatti, “in re ipsa” anche per la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali che elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, anche in considerazione della non scorporabilità di quanto abusivamente realizzato da ciò che era stato originariamente assentito.

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1.1.- In data 28.10.2015 la Polizia Municipale ed il dirigente dell’U.T.C. di Mattinata effettuavano un sopralluogo nell’area in questione, predisponendo il relativo verbale.
1.2.- Successivamente il dirigente, con la censurata ordinanza n. 21 del 07.12.2015, riportando il contenuto del suddetto verbale di sopralluogo, accertava l’inefficacia delle D.I.A. presentate “… in quanto gli interventi previsti e realizzati incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia ed alterano la sagoma delle opere precedentemente approvate …” e, dunque, rilevava che detti interventi erano stati eseguiti “… in totale difformità da quanto autorizzato con il permesso di costruire n. 58/2006 …”, anche perché compiuti in difetto “… delle autorizzazioni previste in relazione ai vincoli esistenti sulla zona …”.
...
Sulla base di quanto esposto, va affermato che alcuna fattispecie tacita di autorizzazione può ritenersi formata correttamente poiché l’intervento non poteva essere assentito con DIA, tanto che la denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non è meritevole di positiva delibazione.
Va, infatti, sottolineato che “… Trattandosi di beni soggetti a vincolo, la denuncia di inizio attività in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non ha prodotto effetti (cfr. TAR Venezia, Veneto, Sez. II, 24.07.2015, n. 873; TAR Emilia Romagna, Bologna, 30.07.2014, n. 803; TAR Lazio, Roma, Sez. I, 23.01.2013, n. 76; TAR Campania, Napoli, Sez. III, 15.01.2013, n. 295) e le opere costruite in relazione ad essa possono ritenersi al pari di opere realizzate in assenza di titolo abilitativo. …” (TAR Marche, Sez. I, sent. n. 413 del 18.06.2016; cfr. altresì TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. n. 1350 del 02.12.2016).
In mancanza di autorizzazione paesaggistica, dunque, la DIA non produce alcun effetto, ai sensi degli artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 380/2001 (TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 05.03.2012, n. 1111), con conseguente obbligo di ripristino delle opere edilizie di cui all’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, non surrogabile con la pena pecuniaria (TAR Puglia, Bari, Sez. II, sent. 1350 del 02.12.2016).
13. - Né va tralasciato di considerare che l’intervento riferito all’interrato del lotto 3, quand’anche singolarmente valutato, per come realizzato, necessitasse, altresì, di nulla osta previsto dal R.D. n. 3267/1923 e dal R.D. n. 1126/1926, sussistendo sull’area anche il vincolo idrogeologico.
14. – Ne consegue che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare le DIA che, difettandone i relativi presupposti, non potevano ritenersi perfezionate (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 14.11.2016, n. 5248; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 10.01.2011, n. 35; Cassazione penale, Sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
15. - L’atto gravato, pertanto, si configura quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento delle DIA che restano, pertanto, inefficaci, come correttamente accertato dal Comune.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni dei ricorrenti che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
15.1.- Per costante giurisprudenza a cui il Collegio presta adesione, “l’atto di rimozione delle DIA si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che, come osservato da condivisa giurisprudenza, non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
L’eliminazione d’ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell’interessato (come nel caso in esame), non necessita, peraltro, di un’espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, Sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato
” (ex multis, da ultimo, TAR Puglia, Bari, Sez. III, 06.02.2017, n. 96 e TAR Campania, Sez. IV, sent. n. 5726 del 13.12.2016 e sent. n. 5248 del 14.11.2016).
16. - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione dell’art. 19 legge n. 241/1990, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, al comma 6-bis consente al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori in simili ipotesi, prevedendo che «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali».
17. – Alla luce delle suesposte considerazioni diventa superfluo -in quanto irrilevante ai fini della decisione e comunque inidoneo a supportare una conclusione di tipo diverso- soffermarsi ulteriormente sulla questione della destinazione d’uso degli immobili realizzati (con particolare riferimento alla eliminazione della ricezione e della camera per il personale, con consequenziale cambio di destinazione d’uso del lotto n. 3 di cui si fa menzione a pag. 5 -lett. e), in relazione agli interventi contemplati dalla DIA del 31.05.2007, ed a pag. 6 -punto 3 della censurata ordinanza), in quanto per consolidata giurisprudenza (ex pluribus, Cons. Stato, Sez. V, 06.06.2011, n. 3382; Cons. Stato, Sez. IV, 06.07.2012, n. 3970; Cons. Stato, Ad. Plen., 27.04.2015, n. 5), quando un provvedimento amministrativo negativo è sorretto da una pluralità di motivi è sufficiente che resti dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di disporne l’annullamento giurisdizionale.
18. – La natura e la corretta qualificazione degli interventi eseguiti (sottoposti al regime del permesso di costruire), consentono di concludere per la legittimità del provvedimento impugnato.
In presenza di opere realizzate senza titolo in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001 è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato. L’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è, infatti, “in re ipsa” anche per la straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali che elide, in radice, qualsivoglia doglianza circa la pretesa non proporzionalità della sanzione ablativa, anche in considerazione della non scorporabilità di quanto abusivamente realizzato da ciò che era stato originariamente assentito (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 23.06.2015, n. 3179) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 09.03.2017 n. 223 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza di questa Corte è pressoché concorde nel ritenere configurabile il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.) non solo per la falsificazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), ma anche della relazione di accompagnamento, avendo quest'ultima natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, alla rappresentazione delle opere che si intende realizzare e all'attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
Dopo aver evidenziato che, con la DIA, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore e che il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento, si conclude, affermando:
- "Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l'eliminazione dell'intermediazione del potere autorizzatorio dell'attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi certificativo"
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Nella fattispecie in esame il falso riguarda la rappresentazione dello stato dei luoghi.
Si tratta, quindi, palesemente di una falsa rappresentazione dello stato oggettivo dei luoghi, finalizzata ad eseguire, con la mera presentazione di una DIA, un incremento volumetrico del fabbricato preesistente.
E tale falsa rappresentazione, per le ragioni in precedenza esposte, integra indubitabilmente il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.).

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3. In ordine al secondo motivo, contrariamente a quanto assumono i ricorrenti,
la giurisprudenza di questa Corte è pressoché concorde (a parte una decisione rimasta isolata) nel ritenere configurabile il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.) non solo per la falsificazione della dichiarazione di inizio attività (DIA), ma anche della relazione di accompagnamento, avendo quest'ultima natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, alla rappresentazione delle opere che si intende realizzare e all'attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio (sez. 3 n. 35795 del 17/04/2012, Palotta, Rv. 253666; conf. Sez. 3 n. 50621 del 18/06/2014, Cazzato, Rv. 261513; sez. 3 n. 27699 del 20/05/2010, Coppola, Rv. 247927; sez. 5 n. 35615 del 14/05/2010, D'Anna, Rv. 248878; sez. 3 n. 1818 del 21/10/2008, Baldassari, Rv. 242478).
Dopo aver evidenziato che, con la DIA, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore e che il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento, si conclude, affermando: "Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l'eliminazione dell'intermediazione del potere autorizzatorio dell'attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi certificativo" (sez. 3 n. 35795/2012 cit.).
Il contrasto giurisprudenziale derivante dall'unica pronuncia richiamata nella sentenza n. 37174/2014 (pag. 7 ricorso), a ben vedere, è più apparente che reale.
In effetti, con la sentenza della sez. 5 n. 23668 del 26/04/2005, Giordano, Rv. 231906, si escludeva la natura di "certificato" della relazione allegata alla DIA ma solo con riferimento alla parte progettuale (in quanto manifesta una intenzione e non registra una realtà oggettiva) ed alla eventuale attestazione di assenza di vincoli (dal momento che esprime un giudizio dell'agente, passibile anche di errore).
3.1.
Nella fattispecie in esame il falso riguarda non certo la manifestazione di una intenzione o l'espressione di un giudizio, ma la rappresentazione dello stato dei luoghi (si legge nella stessa imputazione: "con una falsa descrizione, nella tavola stato attuale, del manufatto oggetto dell'intervento ed in particolare disegnavano il manufatto con la stessa altezza in gronda di m. 3,40, allegando altresì una fotografia (o comunque la stampa di una fotografia digitale modificata in modo tale da far apparire il fabbricato in oggetto come avente la stessa altezza sui lati nord e sud e comunque una altezza maggiore rispetto al fabbricato confinante sul lato sud"). Si tratta, quindi, palesemente di una falsa rappresentazione dello stato oggettivo dei luoghi, finalizzata ad eseguire, con la mera presentazione di una DIA, un incremento volumetrico del fabbricato preesistente.
E tale falsa rappresentazione, per le ragioni in precedenza esposte, integra indubitabilmente il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.).

3.2. Con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, la Corte territoriale ha ritenuto che dalle risultanze processuali emergesse, in modo inequivocabile, la sussistenza, sul piano oggettivo, del falso ideologico così come contestato.
Ha evidenziato, infatti, che dalle dichiarazioni pienamente attendibili del Cu., che trovavano puntuale riscontro nei rilievi fotografici e nella perizia d'ufficio dell'ing. Ga., emergeva chiaramente che nella DIA n. 1180/2007 era stata rappresentata una situazione dello stato dei luoghi, preesistente all'intervento, difforme dalla realtà ("e cioè come già esistente la sopraelevazione del lato sud del tetto del fabbricato, così riportandolo alla stessa altezza del tetto lato nord, mentre invece la sua realizzazione avveniva in corso di esecuzione dei lavori assentiti con DIA"). Tale falsa rappresentazione dello stato preesistente dei luoghi, comportava, come accertato dal perito d'ufficio, un aumento di volumetria di circa 40,20 metri cub (pag. 6 e 7 sent.).
Ha fatto riferimento la Corte territoriale anche alle deposizioni degli agenti verbalizzanti (isp. Lu.) ed ha disatteso motivatamente le valutazioni dei consulenti di parte, perché smentite da non equivoche risultanze probatorie: il falso e, quindi, l'abuso edilizio che ne era derivato erano talmente macroscopici da essere rilevabili ad "occhio nudo in base al semplice raffronto di tali foto riproducedi lo stato dei luoghi, prima, durante e dopo .. (pag. 8)".
Quanto all'elemento soggettivo (dolo generico), dalla complessiva motivazione della sentenza emerge che la rappresentazione falsa dello stato dei luoghi avvenne consapevolmente, essendo essa finalizzata ad ottenere un incremento volumetrico del fabbricato preesistente.
I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione e travisamento della prova, richiedono sostanzialmente una rilettura delle risultanze processuali non consentita nel giudizio di legittimità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.03.2017 n. 11051).

EDILIZIA PRIVATALa DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie che estende a detti titoli abilitativi il regime generale dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale.

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È impugnato -unitamente agli atti presupposti e conseguenti- il provvedimento con il quale il Comune di Andria ha intimato alla ditta esecutrice, odierna ricorrente, ai proprietari e al direttore dei lavori "la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, entro e non oltre 90 giorni dalla data di notifica della presente ingiunzione, delle opere realizzate presso il lastrico solare sovrastante il quinto piano del complesso edilizio ubicato in via Catullo, in difformità al permesso di costruire n. 190 del 20.10.2004 (P.E. n. 260/01) e relativa variante in corso d'opera n. 190/ A/ V del 10.10.2005, in zona classificata B/5 nel vigente P.R.G. e consistenti così come decritti nella premessa, che qui s'intende integralmente richiamata".
Le opere in questione, così come descritte nella premessa dell’ordine di demolizione, hanno ad oggetto “la realizzazione di una unità volumetrica, composta da un unico vano con scala di collegamento con la sottostante unità immobiliare ed un vano w.c., ultimata e rifinita, completa di impianto elettrico, idrico-fognante e termico il tutto funzionale ad uso di civile abitazione, con superficie lorda complessiva coperta di circa mq. 31,00 (anziché mq. 16,00 circa), altezza utile interna di circa mt. 2,80 (anziché mt. 2,30 circa) e con volume complessivo lordo di circa mc. 95,00 (anziché mc. 41,00 circa)”.
L’ordinanza di demolizione, espressamente richiama, quale atto presupposto, l’annullamento d’ufficio della DIA presentata il 31.10.2006 dalla Società Ed.Ma. s.r.l., titolare del permesso di costruire il complesso edilizio in questione.
Il Comune aveva infatti riscontrato, in sede di sopralluogo del 30.9.2008, un aumento della superficie, dell’altezza interna e della volumetria, nonché la trasformazione, in locali residenziali, dei vani tecnici –fra i quali quello oggetto del provvedimento impugnato- posti sul lastrico solare delle otto palazzine di cui detto complesso si compone in quanto dette opere sono state ritenute non assentibili tramite DIA.
...
3.1. Il primo motivo è infondato, al pari del secondo che da esso dipende.
La DIA edilizia (SCIA) non fa eccezione rispetto al genus “DIA” disciplinato dall’art. 19 della l. n. 241/1990, nella versione applicabile ratione temporis al caso di specie che estende a detti titoli abilitativi il regime generale dell’autotutela decisoria, da intendersi tuttavia limitato all'annullamento d'ufficio, in considerazione della deroga posta dall'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 la quale esclude la revocabilità dei titoli edilizi.
Non si ravvisa, del resto, alcun fondamento normativo, né ragioni dogmatiche che inducano a ritenere la SCIA non soggetta, come gli altri titoli edilizi rilasciati dalla p.a., al potere di annullamento d'ufficio, non potendosi riconoscere all'affidamento riposto nella legittimità della SCIA una tutela maggiore di quella che l'ordinamento riconosce ad analogo affidamento suscitato da un titolo di fonte provvedimentale (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’intervento edilizio in rassegna, poiché comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale (sottotetto) progettato e assentito per contenere impianti tecnici a servizio della sottostante abitazione, non è riconducibile al novero di quelli che l’art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 consente di realizzare previa presentazione della DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale espansione del principio di buona fede che governa i rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra, sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta la più complessa procedura del rilascio del permesso di costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti essenziali e per questo inefficace, o quella prevista dall’art. 23, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la DIA non produce effetti quando l’intervento edilizio incide su interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate non sono veritiere.
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune ha accertato che le opere edili in questione non sono legittimate dalla presentata DIA non è espressione di autotutela –è irrilevante la qualificazione contenuta nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla forma- ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più che nessun affidamento può vantare la ricorrente, per quanto detto in precedenza.
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3.4.1. Anche il terzo motivo, con il quale la ricorrente ritiene illegittimamente pretermesso l’affidamento che ha riposto nella validità della DIA oggetto di annullamento d’ufficio, deve essere respinto insieme al quarto che da esso logicamente dipende.
Come detto, l’intervento edilizio in rassegna, poiché comporta il mutamento di destinazione d’uso di un locale progettato e assentito per contenere impianti tecnici a servizio della sottostante abitazione, non è riconducibile al novero di quelli che l’art. 22, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 consente di realizzare previa presentazione della DIA.
L’affidamento sulla validità di un titolo edilizio, quale espansione del principio di buona fede che governa i rapporti giuridici, è il convincimento, indotto, in una delle parti del rapporto, dal comportamento dell’altra, sulla validità o l’esistenza di un fatto, atto o comportamento altrui giuridicamente rilevante.
Ne consegue che l’errore sui requisiti soggettivi o oggettivi della DIA, proprio perché è frutto di una dichiarazione unilaterale, non può comportare in favore di chi la rende un affidamento vincolante per la parte pubblica che si limita a riceverla, per il solo fatto che quest’ultima non avrebbe esercitato i conseguenti poteri correttivi o inibitori, potendo tale omissione comportare un’eventuale responsabilità amministrativa, non già la convalida –recte la sanatoria- della DIA mancante di un requisito essenziale.
Anche argomenti di ordine testuale e sistematico consentono di confermare che il privato non può accreditarsi, mediante DIA, un titolo edilizio per opere per le quali è richiesta la più complessa procedura del rilascio del permesso di costruire.
A tale riguardo appaiono evidenti le analogie fra il caso in decisione e l’ipotesi di una DIA priva dei requisiti essenziali e per questo inefficace (Consiglio di Stato, sez. VI, 24.03.2014, n. 1413), o quella prevista dall’art. 23, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 secondo cui la DIA non produce effetti quando l’intervento edilizio incide su interessi sensibili e l’Autorità, cui ne è affidata la tutela, non l’abbia autorizzato o, ancora, se le dichiarazioni sostitutive di atto notorio ad essa allegate non sono veritiere (Consiglio di Stato, sez. VI, 20.11.2013 n. 5513).
Chiaramente, allora, il provvedimento con il quale il Comune ha accertato che le opere edili in questione non sono legittimate dalla DIA, presentata il 31.10.2006, non è espressione di autotutela –è irrilevante la qualificazione contenuta nell’atto, dovendo prevalere la sostanza sulla forma- ma ha valore meramente accertativo di un abuso doverosamente rilevabile e reprimibile senza, peraltro, il limite di dover agire entro un termine ragionevole, chiaramente inapplicabile all’attività di vigilanza edilizia, tanto più che nessun affidamento può vantare la ricorrente, per quanto detto in precedenza.
3.5. Le considerazioni che precedono impongono di respingere anche il sesto motivo.
Come detto l’ordinanza impugnata è la conseguenza inevitabile, espressione di potere vincolato, dell’accertamento dell’abuso edilizio, insensibile pertanto ai vizi di forma come l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi dell’art. 21-octies della l. 241/1990.
4. Al rigetto del ricorso principale fa seguito la reiezione del ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento di accertamento dell'inottemperanza dell'ordine di demolizione, siccome impugnato per illegittimità derivata (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.02.2017 n. 161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla dichiarazione di "non procedibilità" della presentata DIA emessa oltre il termine dei 30 gg.
Il Collegio non ignora, relativamente al dibattito sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza, le diverse posizioni distintesi in merito alla natura giuridica della denuncia di inizio attività.
Tenendo conto dello stato dell’arte all’epoca dei fatti di causa occorre considerare che secondo una parte della giurisprudenza, la denuncia di inizio attività non sarebbe stata configurabile come un provvedimento amministrativo, neanche implicito; secondo altro indirizzo, la DIA avrebbe, invece, costituito un titolo edilizio al pari della concessione o del permesso di costruire, ovvero un “titolo abilitativo ex lege”, o, qualche tempo dopo, un atto del privato che “assume valore e consistenza di un atto abilitativo dell'intervento progettato e della sua conformità alle norme urbanistiche”.
È evidente che da tali, eterogenee, impostazioni sono discese altrettanto eterogenee posizioni in ordine alla perentorietà del termine previsto dall’art. 23.
Sul punto, tuttavia, non si è mai registrata una chiusura assoluta della giurisprudenza alla tesi favorevole all’esercizio dei poteri dell’Amministrazione dopo la scadenza del termine di verifica della DIA, essendosi osservato che i Comuni avrebbero sempre potuto adottare eventuali provvedimenti repressivi in relazione a opere in contrasto con prescrizioni urbanistiche e che, dunque, pur dopo tale termine sarebbero persistiti i presupposti per l’emissione di provvedimenti di autotutela, vigilanza e repressivi.
In sostanza, sembra corretto affermare che la DIA costituisse, già al tempo dei fatti di causa, una manifestazione dell’intento di realizzare determinate opere sul presupposto della sussistenza dei requisiti di legge, non potendosi, quindi, revocare in dubbio che tale denuncia non comportasse l’adozione –nell’ambito di un malinteso “procedimento a istanza di parte”– di un provvedimento implicito o esplicito.
Rapportando tali enunciati alla fattispecie di causa deve, pertanto, ritenersi che l’esito della verifica, ancorché condotta dopo lo spirare del termine dei 30 giorni dalla presentata DIA, sull’insufficiente rappresentazione delle opere denunciate dalla ricorrente non potesse che sostanziare la violazione della disciplina di cui all’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001, in cui è previsto che “il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la segnalazione certificata di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”.
In sostanza, il progettista ha rappresentato in modo lacunoso i lavori che quest’ultima aveva in animo di realizzare, prospettando in modo fuorviante la consistenza delle opere effettivamente realizzate: il che, paradossalmente, integra il principio espresso nella pronuncia alla quale la ricorrente ha fatto richiamo nella propria memoria, in cui si è statuito che “il decorso del termine per la formazione del titolo abilitativo non può avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento soltanto nel caso di dichiarazioni infedeli o recanti una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole del dichiarante, non già nei casi di mera incompletezza della documentazione a corredo dell’istanza”.
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... per l'annullamento del provvedimento emesso dal responsabile dell’area tecnica del Comune di Uboldo in data 09.06.2004, con cui è stata disposta "la non procedibilità della Denuncia di inizio attività (…) presentata in data 05.02.2004", dell’ordinanza di sospensione lavori n. 80 del 21.06.2004, nonché dell’ordinanza di demolizione n. 107 del 17.08.2004: atti impugnati con il ricorso principale;
...
Ciò premesso, la cognizione va diretta al provvedimento del 09.06.2004, con cui il responsabile dell’area tecnica ha disposto “la non procedibilità della denuncia di inizio attività prot. 2152 P.E. 1/04 presentata in data 05.02.2004”, quest’ultima avente a oggetto la realizzazione di n. 10 box per il ricovero di cavalli, modifiche interne ed esterne nonché ampliamento volumetrico della villetta esistente e recinzione della rete metallica.
Premettendo che dall’esame degli atti emerge che la villetta è stata sanata mediante il rilascio del permesso in sanatoria dell’01.02.2016, occorre considerare che “in data 16.06.2004 veniva eseguito sopralluogo da parte dei tecnici comunali (…) sull'immobile di Via per Cerro, s.n.c. ad Uboldo (…), riscontrando l'esecuzione di lavori edilizi consistenti nel getto in opera di platea di fondazione in cemento armato con rete elettrosaldata e tondini di acciaio di dimensioni planimetriche 10,04 mt. per 19,40 mt. con spessore di circa 30 cm. sul lato ovest del mappale 668 fg. 12”, ricondotta, dal punto di vista strutturale, a una “platea di fondazione (dimensioni di progetto 11,54 per 17,90 alt) per la costruzione di 10 box per ricovero cavalli da realizzarsi con muratura perimetrale in mattoni e tramezzature interne con pannelli di legno e ferro come previsto dalla denuncia di inizio attività presentata, ai sensi dell’art. 22, 3° comma, lett. c), del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e succ. modif. ed integraz., dalla sig.ra Ca.Ma. (…) in data 05.02.2004 prot. 2152”.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto che il decorso del termine di 30 giorni in assenza di un’interdizione da parte dell’Amministrazione avrebbe condotto al consolidamento dell’efficacia della DIA, e che, comunque, non rileverebbe l’integrazione documentale richiesta dal Comune in data 20.02.2004 (invero formulata per chiarire se fosse programmata, o meno, la realizzazione di una recinzione: lavori, infine, ammessi da parte ricorrente), dovendo, nella specie, trovare applicazione la disciplina di cui al comma 6 dell’art. 23 del DPR 380/2001 nel senso della perentorietà del termine per l’esercizio del potere repressivo (“il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza”).
Tale tesi non può essere condivisa.
Il Collegio non ignora, relativamente al dibattito sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza, le diverse posizioni distintesi in merito alla natura giuridica della denuncia di inizio attività.
Tenendo conto dello stato dell’arte all’epoca dei fatti di causa occorre considerare che secondo una parte della giurisprudenza, la denuncia di inizio attività non sarebbe stata configurabile come un provvedimento amministrativo, neanche implicito (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 04.09.2002 n. 4453); secondo altro indirizzo, la DIA avrebbe, invece, costituito un titolo edilizio al pari della concessione o del permesso di costruire (cfr. Tar Veneto, 10.09.2003 n. 4722), ovvero un “titolo abilitativo ex lege” (cfr. Tar Abruzzo, 11.03.2004, n. 267), o, qualche tempo dopo, un atto del privato che “assume valore e consistenza di un atto abilitativo dell'intervento progettato e della sua conformità alle norme urbanistiche” (cfr. Tar Emilia-Romagna, 07.05.2007 n. 457).
È evidente che da tali, eterogenee, impostazioni sono discese altrettanto eterogenee posizioni in ordine alla perentorietà del termine previsto dall’art. 23.
Sul punto, tuttavia, non si è mai registrata una chiusura assoluta della giurisprudenza alla tesi favorevole all’esercizio dei poteri dell’Amministrazione dopo la scadenza del termine di verifica della DIA, essendosi osservato che i Comuni avrebbero sempre potuto adottare eventuali provvedimenti repressivi in relazione a opere in contrasto con prescrizioni urbanistiche (cfr. Tar Lazio, 20.06.2002, n. 5629) e che, dunque, pur dopo tale termine sarebbero persistiti i presupposti per l’emissione di provvedimenti di autotutela, vigilanza e repressivi (cfr. Tar Piemonte, 19.11.2003 n. 1608).
In sostanza, sembra corretto affermare che la DIA costituisse, già al tempo dei fatti di causa, una manifestazione dell’intento di realizzare determinate opere sul presupposto della sussistenza dei requisiti di legge, non potendosi, quindi, revocare in dubbio che tale denuncia non comportasse l’adozione –nell’ambito di un malinteso “procedimento a istanza di parte”– di un provvedimento implicito o esplicito.
Rapportando tali enunciati alla fattispecie di causa deve, pertanto, ritenersi che l’esito della verifica, ancorché condotta dopo lo spirare del termine dei 30 giorni dalla DIA del 05.02.2004, sull’insufficiente rappresentazione delle opere denunciate dalla ricorrente non potesse che sostanziare la violazione della disciplina di cui all’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001, in cui è previsto che “il proprietario dell’immobile o chi abbia titolo per presentare la segnalazione certificata di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la segnalazione, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”.
In sostanza, il progettista della sig.ra Ca. ha rappresentato in modo lacunoso i lavori che quest’ultima aveva in animo di realizzare, prospettando in modo fuorviante la consistenza delle opere effettivamente realizzate: il che, paradossalmente, integra il principio espresso nella pronuncia alla quale la ricorrente ha fatto richiamo nella memoria del 30.12.2016, in cui si è statuito che “il decorso del termine per la formazione del titolo abilitativo non può avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento soltanto nel caso di dichiarazioni infedeli o recanti una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole del dichiarante, non già nei casi di mera incompletezza della documentazione a corredo dell’istanza” (Tar Liguria, 14.01.2011, n. 47).
Sulla scorta di quanto emerso dai controlli comunali si può, quindi, affermare che si trattasse di un intervento di nuova costruzione che sarebbe stato soggetto a domanda di permesso di costruire (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.02.2017 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili.
Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104.
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Secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela.
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla presentazione della DIA da parte del controinteressato, il Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla conservazione delle lievi modifiche effettuate e della pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che prevalesse il primo e supportando la propria convinzione, altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
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... per l'annullamento:
- della dichiarazione di inizio attività n. 13/05 depositata da Da.Fe. in data 16.02.2005 ed avente ad oggetto “ristrutturazione e divisione unità immobiliare al piano terreno e recupero del sottotetto a fini abitativi” di un immobile sito in Uboldo;
- con motivi aggiunti, del provvedimento dell’01.06.2007 con il quale il comune di Uboldo ha deciso di non procedere all’annullamento d’ufficio della DIA succitata.
...
Con il ricorso principale e per i motivi nello stesso dedotti, gli istanti, proprietari di fabbricati siti in prossimità di quello del controinteressato nel comune di Uboldo, hanno impugnato la dichiarazione di inizio attività indicata in epigrafe, avente ad oggetto la ristrutturazione e la divisione di un’unità immobiliare al piano terreno e il recupero del sottotetto a fini abitativi depositata dal controinteressato medesimo.
Con ricorso per motivi aggiunti hanno, invece, impugnato, limitatamente alla porzione concernente la ristrutturazione al piano terreno dell’immobile, il provvedimento del primo giugno 2007 con il quale il comune di Uboldo, dopo avere avviato il procedimento teso all’eventuale esercizio dell’autotutela, ha deciso di non procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA succitata.
...
Il Collegio ritiene, in via preliminare, di accogliere l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dall’Amministrazione intimata e dal controinteressato.
Ed invero, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241/1990, così come introdotto dal d.l. n. 138/2011: “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”.
Ne risulta l’inammissibilità del ricorso proposto in via principale avverso la DIA presentata dal controinteressato.
Riguardo, invece, al ricorso per motivi aggiunti, instaurato avverso il provvedimento con il quale il comune di Uboldo ha ritenuto di non procedere all’annullamento d’ufficio degli effetti della DIA succitata, gli istanti hanno dedotto, sostanzialmente: l’illegittimità dell’intervento di ristrutturazione e divisione dell’unità immobiliare al piano terreno ai sensi dell’art. 42 delle NTA del PRG vigente, trattandosi di un edificio ubicato in zona produttiva D1 e non residenziale, ove sarebbero consentiti solo interventi di manutenzione ordinaria; l’illegittimo esercizio da parte del Comune del potere di autotutela, subordinato alla verifica di un particolare interesse pubblico all’annullamento, invece che di quello sanzionatorio; l’illegittimità del provvedimento comunale nella parte in cui si riferisce alla normativa urbanistica sopravvenuta, che pacificamente ammette l’intervento di ristrutturazione in questione.
Il Collegio ritiene che il ricorso sia infondato, atteso che, indipendentemente dal verificarsi o meno di un minimo aumento del carico urbanistico a seguito dell’effettuazione dell’intervento di ristrutturazione al piano terreno, il Comune intimato, nell’esercizio discrezionale del proprio potere di autotutela, si è determinato nel senso della prevalenza dell’interesse del privato che aveva presentato la DIA, in capo al quale si era ingenerato l’affidamento della legittimità della ristrutturazione dallo stesso eseguita.
Ed invero, secondo il costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 241 del 1990, in presenza di una d.i.a. illegittima, è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della d.i.a. ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo. La d.i.a, una volta perfezionatasi, costituisce, infatti, un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile "quoad effectum" al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria. Ne consegue l’illegittimità del provvedimento repressivo-inibitorio avente ad oggetto lavori che risultano oggetto di una d.i.a. già perfezionatasi (per effetto del decorso del tempo) e non previamente rimossa in autotutela (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 22.09.2014, n. 4780).
Nella fattispecie all’esame, dunque, nella quale si erano prodotti gli effetti abilitativi conseguenti alla presentazione della DIA da parte del controinteressato, il Comune legittimamente ha omesso di esercitare il proprio potere sanzionatorio repressivo, avviando, invece, il procedimento di autotutela, ritenendo, peraltro, nel bilanciamento tra i contrapposti interessi del privato alla conservazione delle lievi modifiche effettuate e della pubblica collettività all’annullamento dell’atto, che prevalesse il primo e supportando la propria convinzione, altresì, con la sopravvenienza delle modifiche alla normativa urbanistica del comune, alla luce delle quali l’intervento sarebbe risultato pienamente legittimo.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso per motivi aggiunti va respinto (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 31.01.2017 n. 240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia urbanistica ed edilizia, quando sia contestata l'esecuzione di opere in assenza di un valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra cosa accertare l'intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza, qualificarlo ai sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice d.i.a.).
Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per l'opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il giudice non deve "disapplicare" la dichiarazione di inizio attività, perché non è di questo che si tratta; è sufficiente che prenda atto del fatto che l'intervento è stato realizzato in assenza dell'unico titolo che lo consente.
Né rileva l'eventualità che l'opera, così come realizzata, possa esser conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali silenzi possono costituire argomento d'accusa per concorsi dolosi o colposi, ma non possono rendere lecito quel che tale non è.
Sicché le numerose pagine della sentenza dedicate alla possibilità per il giudice di disapplicare il permesso di costruire e all'incidenza del rilascio del permesso stesso sulla consapevolezza della natura abusiva dell'opera da parte dei privati, sono del tutto irrilevanti.
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Q
uesta Suprema Corte ha avuto modo di pronunciare alcuni principi -che devono essere qui ribaditi perché in linea con il consolidato orientamento della S.C.- che possono essere così riassunti:
   - «
La realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (...) mentre non risulta che, nella specie, la To. s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio»;
   - «
La categoria "ristrutturazione edilizia" a fronte del più ristretto ambito di quelle del "risanamento conservativo" e del "restauro" come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell'intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l'aumento delle unità immobiliari nonché l'alterazione dell'originale impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici»;
   - «
Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 1, lett. d), del cit. T.U., in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
   - «
Non ha rilievo l'entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi:
- di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d'uso (art. 3, comma 1, lett. b, del cit. T.U.);
- di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli "elementi tipologia" dell'edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c, cit. T.U.).
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi "di nuova costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.. Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative di cui all'art. 31, cit.  T.U. e quella penale di cui all'art. 44, lett. b)
»;
   - «
Ai fini della individuazione della destinazione turistico-alberghiera di una struttura immobiliare non si deve tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della struttura (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o residenza turistico-ricettiva».
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Il palazzo, come detto, è immobile di rilevante interesse storico-artistico, soggetto a vincolo per i suoi rilevanti caratteri tipologici e perché di particolare interesse documentario ed ambientale. L'area di sedime ricade in zona omogenea A del Comune, centro storico, di interesse culturale ed ambientale.
Le varie D.i.a. che si sono succedute nel tempo (ben 18), hanno comportato la modifica di destinazione d'uso di gran parte dell'imponente immobile (che occupa un intero isolato) da "residenziale e direzionale" a "commerciale, direzionale, residenziale".
Il che comportava senz'altro la necessità, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, del rilascio del permesso di costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui all'art. 22, comma 3, lett. a), stesso d.P.R..
L'ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all'art. 22, comma 1, d.P.R. n. 380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al successivo comma 3 (dal quale quest'ultima ripete natura e funzione).
La cd. Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui cui al successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la denuncia di inizio attività di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001.
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6. Tanto premesso, i primi tre motivi, in essi assorbito il quarto, sono fondati.
6.1. Il caso in esame ha ad oggetto il Palazzo Tornabuoni-Corsi-Sestini di Firenze (dichiarato di rilevante interesse storico artistico dal Ministro della Pubblica Istruzione il 03/04/1918) e si segnala per il fatto che le opere in contestazione sono state effettuate in base ad titoli edilizi (D.i.a.) che, secondo l'impostazione accusatoria, non lo consentivano.
6.2. Il Tribunale, invertendo completamente i poli del ragionamento ed utilizzando principi di diritto elaborati da questa Suprema Corte in tema, tutt'affatto diverso, di illegittimità del permesso di costruire (titolo del quale invece è contestata proprio la mancanza), trascurando inoltre completamente la sentenza di questa Sezione, n. 8495 del 2012 (di cui oltre si dirà), compie un inammissibile atto di fede nei confronti degli imputati (ma anche degli organismi preposti al controllo della regolarità urbanistica e ambientale degli interventi progettati ed eseguiti) ed abdicando all'irrinunciabile dovere del giudice di controllare la legalità degli atti amministrativi, giunge sostanzialmente ad affermare che le opere potevano essere realizzate in base a semplice d.i.a. sol perché così sostanzialmente avevano attestato i professionisti che avevano redatto gli elaborati tecnici ad essa allegati, con l'autorevole avallo del Comune di Firenze (i cui tecnici, però, sono stati chiamati a rispondere del concorso nel reato ai sensi dell'art. 40, cpv., cod. pen.) e della Soprintendenza che avevano condiviso la qualificazione come "restauro" dei singoli interventi oggetto delle varie dichiarazioni.
6.3. Metodo, come detto, totalmente errato perché, in materia urbanistica ed edilizia, quando sia contestata l'esecuzione di opere in assenza di un valido titolo edilizio, il giudice deve prima di ogni altra cosa accertare l'intervento nella sua integrale sussistenza e consistenza, qualificarlo ai sensi degli artt. 3 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001, verificare di conseguenza se per esso è necessario un titolo edilizio e, in caso positivo, individuare quale (permesso di costruire o d.i.a. sostitutiva, ovvero una semplice d.i.a.). Alla fine di questo percorso ricostruttivo, se accerta che per l'opera, così come realizzata, è necessario il permesso di costruire il giudice non deve "disapplicare" la dichiarazione di inizio attività, perché non è di questo che si tratta; è sufficiente che prenda atto del fatto che l'intervento è stato realizzato in assenza dell'unico titolo che lo consente.
Né rileva l'eventualità che l'opera, così come realizzata, possa esser conforme a quella oggetto della dichiarazione di inizio attività. Allo stesso modo, eventuali mancate osservazioni dei tecnici comunali o di altre autorità non possono escludere la natura illecita della costruzione che in sede penale solo il giudice può e deve autonomamente accertare; eventuali silenzi possono costituire argomento d'accusa per concorsi dolosi o colposi, ma non possono rendere lecito quel che tale non è.
6.4. Sicché le numerose pagine della sentenza dedicate alla possibilità per il giudice di disapplicare il permesso di costruire e all'incidenza del rilascio del permesso stesso sulla consapevolezza della natura abusiva dell'opera da parte dei privati, sono del tutto irrilevanti.
6.5. Quanto alla qualificazione dell'intervento è francamente singolare che il Tribunale non accenni nemmeno, quantomeno per confutarli motivatamente, ai principi che, in relazione al medesimo immobile e al medesimo intervento, questa Suprema Corte, investita in sede cautelare dal medesimo PM, pronunciò con la citata sentenza n. 8945 del 20/10/2011 (dep. il 07/03/2012).
6.6. Tali principi -che devono essere qui ribaditi perché in linea con il consolidato orientamento della S.C., totalmente negletto dal Tribunale- possono essere così riassunti:
   6.6.1. <<La realizzazione di opere edilizie necessita di titolo abilitativo riferito all'intervento complessivo e non può essere autorizzata con artificiosa parcellizzazione. Il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso, infatti attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale. L'opera deve essere considerata unitariamente nel suo complesso, senza che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli componenti (...) mentre non risulta che, nella specie, la To. s.r.l., si sia lecitamente determinata, in tempi successivi, ad eseguire singole opere, non programmate sin dall'inizio»;
   6.6.2. «L
a categoria "ristrutturazione edilizia" a fronte del più ristretto ambito di quelle del "risanamento conservativo" e del "restauro" come configurate dal D.P.R. n. 380 del 2001 e dal D.Lgs. n. 42 del 2004, [comporta] la radicale ed integrale trasformazione dei componenti dell'intero edificio, con mutamento della qualificazione tipologica e degli elementi formali di esso, comportanti l'aumento delle unità immobiliari nonché l'alterazione dell'originale impianto tipologico - distributivo e dei caratteri architettonici»;
   6.6.3. <<Quanto al mutamento di destinazione di uso di un immobile attuato attraverso la realizzazione di opere edilizie, deve ricordarsi che, qualora esso venga realizzato dopo l'ultimazione del fabbricato e durante la sua esistenza (ipotesi ricorrente nella vicenda in esame), si configura in ogni caso un'ipotesi di ristrutturazione edilizia secondo la definizione fornita dall'art. 3, comma 1, lett. d), del cit. T.U., in quanto l'esecuzione dei lavori, anche se di entità modesta, porta pur sempre alla creazione di "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente". L'intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione»;
   6.6.4. «Non ha rilievo l'entità delle opere eseguite, allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi:
- di manutenzione straordinaria, qualora comportino modifiche delle destinazioni d'uso (art. 3, comma 1, lett. b, del cit. T.U.);
- di restauro e risanamento conservativo, qualora comportino il mutamento degli "elementi tipologia" dell'edificio, cioè di quei caratteri non soltanto architettonici ma anche funzionali che ne consentano la qualificazione in base alle tipologie edilizie (art. 3, comma 1, lett. c, cit. T.U.).
Gli interventi anzidetti, invero, devono considerarsi "di nuova costruzione", ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. e, cit. T.U.. Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative di cui all'art. 31, cit.  T.U. e quella penale di cui all'art. 44, lett. b)
»;
   6.6.5. <<Ai fini della individuazione della destinazione turistico-alberghiera di una struttura immobiliare non si deve tenere conto della titolarità della proprietà della stessa, che indifferentemente può appartenere ad un solo soggetto proprietario oppure ad una pluralità di soggetti. Ciò che rileva, invece, è la configurazione della struttura (anche se appartenente a più proprietari) come albergo o residenza turistico-ricettiva».
6.7. La imprescindibile necessità di mantenere l'originaria destinazione d'uso caratterizza ancor oggi gli "interventi di manutenzione straordinaria", non avendo alcun rilievo il fatto che, in conseguenza delle modifiche introdotte dall'art. 17, comma 1, lett. a), nn. 1 e 2, d.l. 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, sia oggi consentito nell'ambito di detti interventi procedere al frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico.
6.8. Altrettanto si dica per gli interventi di "restauro e risanamento conservativo".
6.9. Sorvolando sulle personali opinioni del Tribunale in ordine al concetto di restauro, rileva innanzitutto l'errore di diritto che il Giudice compie allorquando, nello sforzo di supportare giuridicamente tali opinioni, trae dal contenuto dell'art. 21, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004, argomento sistematico per affermare che il "restauro", così come definito dal successivo art. 29, comma 4, consente la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali, sminuendone però la funzione essenzialmente conservativa e ripristinatoria del bene da restaurare (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 1978 del 18/06/2014, Sgalannbro, Rv. 262002, secondo cui nella categoria degli "interventi di restauro o di risanamento conservativo", per i quali non occorre il permesso di costruire, possono essere annoverate soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l'inserimento di nuovi elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate tipologia, forma e struttura dell'edificio).
Resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d'uso anche all'interno della medesima categoria funzionale.
6.10. Il tema accusatorio, articolato e complesso, imponeva dunque al Giudice di spingere l'indagine ben oltre la semplice conformità delle opere alle d.i.a di volta in volta presentate per il (formale) restauro e risanamento dell'immobile, non mancando mai di perdere di vista il risultato finale, nella sua interezza.
6.11. Il Palazzo Tornabuoni, come detto, è immobile di rilevante interesse storico-artistico, soggetto a vincolo per i suoi rilevanti caratteri tipologici e perché di particolare interesse documentario ed ambientale. L'area di sedime ricade in zona omogenea A del Comune di Firenze, centro storico, di interesse culturale ed ambientale.
6.12. Come riconosce lo stesso Tribunale, le varie D.i.a. che si sono succedute nel tempo (ben 18), hanno comportato la modifica di destinazione d'uso di gran parte dell'imponente immobile (che occupa un intero isolato) da "residenziale e direzionale" a "commerciale, direzionale, residenziale".
6.13. Il che comportava senz'altro la necessità, ai sensi dell'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, del rilascio del permesso di costruire o, in alternativa, della d.i.a. sostitutiva di cui all'art. 22, comma 3, lett. a), stesso d.P.R..
6.14. L'ulteriore errore nel quale cade il Tribunale è di ritenere sostanzialmente fungibili la d.i.a. di cui all'art. 22, comma 1, d.P.R. n. 380, cit., con quella sostitutiva del permesso di costruire di cui al successivo comma 3 (dal quale quest'ultima ripete natura e funzione). La cd. Superdia è fungibile ed alternativa al permesso di costruire, non alla semplice DIA (oggi SCIA), rispetto alla quale si pone in rapporto di totale diversità, che ai fini della sussistenza del reato ipotizzato. Seguendo il ragionamento del Tribunale, infatti, il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001 non sarebbe per assurdo mai configurabile in caso di opere soggette a permesso di costruire realizzate in costanza di d.i.a. non sostitutiva, ancor più non lo sarebbe quello di cui cui al successivo comma 2-bis, che richiama espressamente ed esclusivamente la denuncia di inizio attività di cui all'art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001.
6.15. La sentenza deve perciò essere annullata in relazione al capo A della rubrica (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.02.2017 n. 6873).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: In tema di reati edilizi, nel caso in cui la denuncia di inizio attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22, commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente,
nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma terzo, d.P.R. n. 380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità parziale.
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2.1. Nella specie, la Corte territoriale non si è uniformata a tali principi, rinviando, da un lato, alla sentenza di primo grado ed agli elementi probatori acquisiti, ma non esaminando, dall'altro, le specifiche censure rivolte con l'appello a quella pronuncia.
Al ricorrente è stato contestato il reato previsto dall'art. 44, lett. b), del D.P.R. n. 380/2001 per aver realizzato lavori di esecuzione di un deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi provenienti da demolizioni edili, con difformità rispetto alle previsioni progettuali.
E' stato accertato che, in sede di accesso, venivano riscontrate le difformità rispetto alle previsioni progettuali di cui alla denuncia di inizio lavori presentata dall'imputato al Comune di San Marco d'Alunzio in data 04.08.2011 e, cioè, occupazione di un'area della superficie pari a mq 92,82 anziché mq 79,56, realizzazione di muretti dell'altezza di m 3,20 anziché m. 2,00, aumento dell'altezza del muretto di divisione esterno lato ovest, omessa realizzazione di un adeguato sistema di canalizzazione delle acque meteoriche.
Va ricordato, in proposito, che
la DIA prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3 (cd DIA alternativa o SuperDIA), non è istituto ontologicamente diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti (cd DIA semplice, ora SCIA) dal quale non si distingue certo per il carattere dell'onerosità, che ben può essere comune e differisce da esso soltanto in relazione agli interventi assoggettabili (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio.
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, -in cui la DIA (ora S.C.I.A.), si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio- l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
Questa Corte ha, infatti, affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) D.P.R. 06.06.2001, n. 380, ex art. 22, commi 1 e 2, (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dal citato D.P.R. n. 380, art. 44, lett. a), atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dallo stesso D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, (Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, invece, in cui la DIA (DIA alternativa o superDIA), ai sensi del successivo art. 44, comma 2-bis, si pone come alternativa al permesso di costruire, l'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) (Sez. 5, 26.04.2005, Giordano; Sez. 3, 09.03.2006, n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon).
La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell'intervento. Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere, poi, effettivamente eseguite (Sez. 3, n. 47046 del 26/10/2007, Rv. 238463).
Non trova, comunque, sanzione penale la difformità parziale: le sanzioni di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380/2001 sono applicabili soltanto in caso di assenza o totale difformità dalla DIA, atteso che la esclusione dell'ipotesi di parziale difformità dal regime sanzionatorio opera sia in caso di edificazione con permesso di costruire che nella diversa ipotesi di opzione per la DIA (Sez. 3, n.44248 del 23/09/2004, Croattini).
E' stato osservato, a tal proposito, che
le opere per le quali l'art. 1, comma 6, della legge 21.12.2001 n. 443 ha previsto la possibilità, a scelta dell'interessato, di procedere in base a DIA in alternativa al premesso di costruire (previsioni trasfuse, poi, con modificazioni nell'art. 22, comma 3, del T.U. n. 380/2001) sono rimaste soggette, rientrando in origine esclusivamente nel regime concessorio, alla sanzione di cui all'art. 44, lett. b), del T.U. n. 380/2001, con la conseguenza che integrano il reato previsto da tale norma le opere suddette, quando siano state realizzate in assenza sia del permesso di costruire sia della DIA, ovvero in totale difformità rispetto alla DIA inoltrata (Sez. 5, n. 23668 del 26/04/2005, Rv. 231905).
2.2. In definitiva, in tema di reati edilizi,
nel caso in cui la denuncia di inizio attività (DIA ora SCIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22, commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001; diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (cosiddetta superDIA: art. 22, comma terzo, d.P.R. n. 380/2001) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità parziale (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Rv. 243099, cit.) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 14.11.2016 n. 47970).

EDILIZIA PRIVATA: L’atto di rimozione delle D.I.A. si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
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In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato, non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Peraltro le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.
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9a - Anche la denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela, ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non appare meritevole di positiva delibazione.
Si lamenta, infatti, con dovizia di argomentazioni, che gli atti di annullamento delle D.I.A. non avrebbero rispettato i dettami previsti per l’esercizio del potere di autotutela; infatti, non si sarebbe tenuto conto del tempo trascorso né si sarebbe effettuato un corretto bilanciamento tra gli interessi del privato e l’interesse pubblico sotteso al provvedimento anche in relazione all’avvenuta demolizione dell’opera in epoca successiva al perfezionamento della fattispecie tacita di cui alla D.I.A.
Le considerazioni esposte in precedenza dimostrano che la fattispecie tacita di autorizzazione all’intervento non può ritenersi formata correttamente perché l’intervento non poteva essere assentito con mera D.I.A. essendo intervenuta una vera e propria nuova costruzione.
In definitiva, una volta stabilito che la tipologia di interventi richiedesse il permesso di costruire, ne deriva, quale logico corollario, che il procedimento per silentium non può ritenersi mai perfezionato, avendo un oggetto del tutto incongruente ed incompatibile con tale semplificato modulo di formazione del titolo edilizio.
Ne discende che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare la D.I.A. che, difettandone i relativi presupposti, non poteva ritenersi perfezionata (TAR Napoli Campania sez. VI, 10.01.2011, n. 35; Consiglio Stato sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; Cassazione penale sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
9b - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione della norma, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, consentirebbe al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori (v. l’art. 19, co. 6-bis, L. 241/1990 secondo cui «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali»).
9c - Ciò posto, l’atto in esame, pur qualificato quale atto di autotutela, va inteso correttamente quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento della D.I.A. che resta, pertanto, inefficace.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni di parte ricorrente che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
In questa ipotesi dunque l’atto di rimozione delle D.I.A. si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
9d - In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300); peraltro le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.
10 - La reiezione delle censure articolate nei ricorsi principali rende infondata anche la doglianza di cui ai motivi aggiunti presentati nel ricorso numero 289/2012.
L’intervento di manutenzione ivi previsto (ed astrattamente ben assentibile con D.I.A.) è, infatti, strettamente collegato ai lavori precedenti, correttamente ritenuti abusivi e, come si è detto in precedenza, è necessario considerare unitariamente l’insieme di opere poste in essere al fine di trasformare il cd. Palazzo Lauro in un albergo (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.11.2016 n. 5248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAnnullamento d'ufficio del titolo illegittimo: il termine dei 18 mesi rileva ai fini interpretativi anche se non applicabile retroattivamente.
Il Consiglio di Stato si pronuncia sui presupposti dell'annullamento in autotutela alla luce del limite temporale di 18 mesi introdotto dal Decreto Sblocca Italia del 2014.
I giudici di Palazzo Spada (Sez. VI, sentenza 31.08.2016 n. 3762) sono stati chiamati a
vagliare l'annullamento d'ufficio di una D.I.A. disposto a distanza di quattro anni dal suo consolidamento e ne hanno dichiarato l'illegittimità anche alla luce della novità legislativa, pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie.
Ricordando in via di principio che il riconoscimento di un errore tecnico tale da inficiare la validità del titolo avrebbe consentito all'Amministrazione di intervenire adottando un provvedimento inibitorio/ripristinatorio entro il termine di decadenza (30 giorni) previsto dall'art. 23, comma 6, D.P.R. 06.06.2001, n. 380,
nel caso di specie il Collegio ha esaminato la problematica connessa alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 per l'adozione del provvedimento repressivo d'ufficio adottato dopo la scadenza di detto termine.
Detto articolo, nella formulazione vigente al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, consentiva l'intervento postumo di annullamento d'ufficio ricorrendone le ragioni di interesse pubblico e sempreché il provvedimento fosse disposto entro un termine ragionevole, tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Successivamente, il D.L. 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11.11.2014, n. 164, ha modificato il testo introducendo il limite dei 180 giorni: "1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Nel caso in esame, il Collegio evidenzia la carenza sia dell'esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero ripristino della legalità violata) che della valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo edilizio.
In particolare
viene sottolineata l'importanza della tutela dell'affidamento del privato, che nel caso era particolarmente qualificata in ragione del lungo tempo trascorso dall'adozione della D.I.A. annullata (4 anni).
Prendendo spunto da quest'ultima considerazione, il Consiglio di Stato ricorda la novella legislativa del 2014 e lo sbarramento temporale posto con questa all'esercizio del potere di autotutela e
pur riconoscendo l'inapplicabilità della previsione ratione temporis -implicitamente confermando l'irretroattività della novità normativa- il Collegio conferma l'orientamento già espresso in un proprio precedente di dicembre (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.12.2015 n. 5625) e le attribuisce una vis che trascende il mero dato letterale ("rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti"), portandola a costituire parametro di riferimento, se non addirittura principio informatore, per tutte le fattispecie di annullamento d'ufficio, comprese quelle alla quali a stretto rigore la norma non sarebbe applicabile (tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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MASSIMA
1. Con separati appelli il Comune di Dolzago ha impugnato le sentenze rese del Tar Lombardia, Milano, entrambe pubblicate il 07.08.2012, n. 2180 e n. 2182.
2. Le sentenze appellate, accogliendo i ricorsi rispettivamente proposti da Fa.Sp. e Va.Sp. (sentenza n. 2180/2012) e da Se.Fu., Le Nu.Co. s.r.l., Br.Co. s.r.l. e Ro.Co. (sentenza n. 2181/2012), hanno annullato il medesimo provvedimento amministrativo: l’ordinanza, a firma del responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Dolzago, n. 11, datata 21.04.2011, avente ad oggetto l’annullamento della d.i.a. relativamente alle opere “riguardanti l’innalzamento del tetto con modifica della sagoma e del volume dell’edificio, come rappresentato nella d.i.a. prot. n. 2066 del 05.03.2007 rispetto alla d.i.a. prot. n. 9640 del 10.12.2005” e l’ordine di demolizione “delle opere che hanno comportato l’innalzamento del tetto ed il conseguente incremento volumetrico del sottotetto, come eseguite, abusivamente, in difformità ed in aggiunta a quelle risultanti dalla d.i.a. prot. n. 9640 del 10.12.2005”.
...
6. Gli appelli non meritano accoglimento.
7. Giova evidenziare che il provvedimento impugnato si basa sull’assunto secondo cui la d.i.a. prot. n. 2066/2007 conterrebbe una falsa dichiarazione nella misura in cui quanto rappresentato nel progetto in variante sezione 3-3 (ove si indica l’altezza del sottotetto in m. 2,29) non corrisponderebbe all’altezza effettiva del sottotetto. Ciò in quanto, la misura di m. 2,29 sarebbe stata ottenuta escludendo la computo il controsoffitto che, per contro, secondo l’Amministrazione, avrebbe dovuto essere necessariamente conteggiato.
Come correttamente e condivisibilmente evidenziato dal Tar, tuttavia, la tavola allegata alla d.i.a. n. 2066/2007, allorché raffigura l’altezza in sezione del sottotetto escludendo dal computo lo spessore sottostante l’intradosso di copertura, non pone in essere una falsa rappresentazione, integrando, al più, una valutazione tecnica erronea.
Infatti, in base alla disciplina comunale (articolo 10 NTA del P.R.G., cui fa riscontro l’articolo 8 delle stesse NTA sul computo del volume edificabile), l’altezza degli edifici si misura a partire dalla quota di terreno natura sino all’intradosso del solaio di copertura. L’intradosso del solaio di copertura, a sua volta, deve intendersi al netto di extra-spessori non strutturali, sì da rimanere indifferente alle opere interne realizzate in aderenza al tetto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30.05.2001, n. 3228).
Nel caso di specie, quindi, la rappresentazione grafica allegata alla d.i.a. nella misura in cui esclude il controsoffitto è contraria agli articoli 8 e 10 delle N.T.A. citate, i quali stabiliscono la non computabilità nel calcolo del volume complessivo degli spazi di sottotetto soltanto quando l’altezza media ponderale di essi non superi 2,40 m.
8. L’errore tecnico in esame, inficiando la validità della d.i.a., avrebbe consentito all’Amministrazione di intervenire sul titolo, adottando un provvedimento inibitorio/ripristinatorio o entro il termine di decadenza previsto dall’art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, oppure, scaduto infruttuosamente tale termine, soltanto ricorrendo le condizioni alle quali l’art. 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241, subordina l’esercizio del potere di autotutela.
Nel caso di specie,
poiché il provvedimento repressivo è stato adottato dopo la scadenza del termine perentorio di cui all’art. 23, comma 6, d.P.R. n 380 del 2001, occorre verificare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies legge n. 241 del 1990 per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
9.
L’art. 21-nonies cit. prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Nella specie, manca sia l’esternazione delle ragioni di interesse pubblico (al di là del mero ripristino della legalità violata) sia la valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del titolo edilizio. Nel caso in esame tale affidamento era, peraltro, particolarmente qualificato in ragione del lungo tempo trascorso dall'adozione della d.i.a. annullata, risultando trascorsi ben quattro anni dal suo consolidamento.
Va aggiunto sotto tale profilo che
il decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, rappresento da “diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.
Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, come questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di evidenziare, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti
(cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.12.2015, n. 5625).
10. Alla luce delle considerazioni che precedono gli appelli devono, pertanto, essere respinti (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.08.2016 n. 3762 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario unico spiegherà l'iter per ogni intervento. Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl 40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al restauro e al risanamento conservativo che non riguardano parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia (Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i procedimenti relativi alla certificazione di agibilità, prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di agibilità.

E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia 2”
(Atto del Governo n. 322 - Schema di decreto legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti), già varato in via preliminare dal consiglio dei ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il parere 04.08.2016 n.1784.
Si tratta di uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”), ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28 luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una ricognizione delle attività private nei settori dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo viene data piena attuazione alla legge delega di riforma della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso, autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo le novità più rilevanti.
Glossario unico. L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico». Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito web un glossario che consenta l'immediata individuazione della tipologia dell'intervento e del conseguente regime giuridico, indicando i documenti necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio. Viene abolita la Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010, che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto, osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo un regime a metà strada tra l'attività completamente libera e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e il risanamento conservativo che non riguardi parti strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto terminologica, già in parte realizzata a livello regionale, onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale». Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al certificato di agibilità, prevedendo un'apposita segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità ovvero Cila incompleta o irregolare) (articolo ItaliaOggi del 09.08.2016).

EDILIZIA PRIVATARistrutturazioni thrilling. Inibitoria anche con Dia-Scia consolidata. Il Tar Lombardia accoglie il ricorso di un proprietario di immobile.
Anche se la Dia-Scia per i lavori si è consolidata, il vicino di casa può sempre ottenere l'inibitoria sul progetto di ristrutturazione della costruzione contigua alla sua se ha agito entro 60 giorni dal momento in cui si è reso conto che il titolo edilizio del confinante risulta viziato, dopo essersi procurato le relativa pratiche.

È quanto emerge dalla sentenza 15.04.2016 n. 735, pubblicata dalla II Sez. del TAR Lombardia.
Lesione e consapevolezza. Accolto il ricorso del proprietario dell'immobile preoccupato per le intenzioni del vicino, che punta ad abbattere e ricostruire un fabbricato. Secondo il confinante il progetto contiene violazioni alle norme sulle distanze minime tra fabbricati oltre che delle stesse disposizioni urbanistiche.
Per il Comune, invece, niente da segnalare: «decorsi i termini a seguito della presentazione della documentazione integrativa», spiega l'ufficio tecnico, la Dia-Scia ha ormai consolidato i suoi effetti. E invece no, perché è l'articolo 19, comma 6-ter, legge 241/1990 a imporre all'amministrazione anzitutto di riscontrare l'istanza che proviene dal terzo titolare di un situazione giuridica differenziata, come è il vicino di casa che vuole bloccare il lavori.
Ma soprattutto il Comune deve anche bloccare l'opera se risulta che il confinante ha comunque agito entro sessanta giorni da quando ha avuto notizia dei profili lesivi dell'intervento: altrimenti il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Canale unico. È vero, il riferimento ai 60 giorni di tempo non risulta dal comma 3-bis dell'articolo 19 della legge sulla trasparenza: si tratta di un'interpretazione sistematica perché la diffida prevista dalla norma costituisce l'unico «canale» percorribile dall'interessato al fine di ottenere la tutela dal giudice in un secondo momento.
Obbligo di motivazione. E se invece sono passati più di due mesi? Il terzo può sempre chiedere all'ente locale di agire in autotutela. Anche in questo caso l'amministrazione è tenuta a pronunciarsi sull'istanza del confinante spiegando i motivi per i quali non intende esercitare il potere di «rimangiarsi» il nulla osta all'opera «incriminata».
Spese di giudizio compensate per la novità della questione (articolo ItaliaOggi Sette del 13.06.2016).
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MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si rende necessario chiarire la portata delle previsioni normative rilevanti nel presente giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le mosse proprio dalla sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto conclusioni che il Collegio condivide e ritiene di dover ribadire, e che tuttavia non conducono all’esito sostenuto dal controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività, secondo quanto autorevolmente chiarito, ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, “non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge” (Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione, questa, che ha poi trovato piena conferma da parte del legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma 6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990 –introdotto dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il decorso del termine normativamente previsto per l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo, ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta giorni di tempo per proporre impugnazione giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza, in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria nel diniego tacito di esercizio del potere inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla luce delle successive novità legislative e, in particolare, di quanto ora disposto dal richiamato articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “
(...) Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”. Previsione, questa, che come evidenziato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o della SCIA –non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti– ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all’art. 31” (TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n. 126).
9. In tale quadro si colloca il tema della tutela del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla denuncia di inizio di attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del 2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei confronti degli interventi oggetto di una denuncia di inizio di attività vanno esercitati entro il termine normativamente prescritto, decorso il quale il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità per il Comune di intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno riscontro nell’attuale previsione del comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio del controllo sulla denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, “l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile ratione temporis nel presente giudizio, ma che ha sostanzialmente codificato gli esiti del dibattito giurisprudenziale sul punto. E ciò anche avuto riguardo alla natura dei poteri esercitati dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela (in coerenza con quanto già da tempo autorevolmente chiarito da Cons. Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non soggetto al ricorrere dei presupposti propri del potere di autotutela, laddove la carenza dei presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo, titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter del medesimo articolo 19.
E ciò –come già affermato nella sentenza richiamata– perché è anzitutto il chiaro tenore testuale della previsione normativa richiamata a non fare alcun riferimento al decorso del termine per il “consolidarsi” della denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato nella sentenza n. 2799 del 2014– “
laddove dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del termine per il compimento delle verifiche, non possa chiedere l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei confronti della tutela offerta dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.” Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento in autotutela, che è però esercitabile solo in presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto al mero riscontro dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata condivisa e ribadita da numerose successive pronunce di primo grado (TAR Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che “
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio
.” (così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone all’amministrazione di esercitare pieni poteri inibitori della denuncia di inizio di attività, anche dopo il “consolidarsi” del titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, occorre chiedersi se tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata affrontata, sia pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come correttamente rilevato, nel presente giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla denuncia di inizio di attività presentata dal confinante si era rivolto all’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli atti della pratica edilizia, aveva preso piena conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto rilevante la circostanza che l’istanza volta a provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse intervenuta entro il suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia al momento della presentazione dell’istanza rivolta all’amministrazione non è stato condiviso da un altro orientamento giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri inibitori, senza necessità del riscontro dei presupposti propri dell’autotutela (in questo senso: TAR Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica testualmente alcun limite temporale per la diffida diretta all’amministrazione– sia in considerazione della circostanza che la possibilità di un intervento “a tutto campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo alla formazione di un provvedimento amministrativo e si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali considerazioni possano essere condivise soltanto in parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso –anche in relazione al profilo inerente ai termini per la sollecitazione dei poteri inibitori– dalla sentenza della Sezione n. 2799 del 2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente orientata del dato normativo, costituito dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve necessariamente tenere conto della circostanza che l’intera disciplina della denuncia di inizio di attività, fino ai più recenti interventi normativi (in parte successivi alla formazione dei titoli oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema), risulta chiaramente ispirata dalla finalità di coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del privato con quella di assicurare comunque una sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a quella propria del permesso di costruire– dopo il decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario –come sopra detto– assicurare al terzo la possibilità di ottenere piena tutela, mediante l’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso tale termine di tendenziale “stabilizzazione” del titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né eccedere quanto necessario e sufficiente ad assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio attività una tutela equivalente a quella riconosciuta al soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata che lamenti un pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività possa ottenere il pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori, senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto laddove abbia sollecitato l’intervento dell’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur non espressamente previsto dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo conto che la diffida prevista dalla disposizione ora richiamata costituisce l’unico “canale” percorribile dall’interessato al fine di adire eventualmente, in un secondo momento, la tutela giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la pienezza della tutela (ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione), che la parità di trattamento rispetto al soggetto leso da un permesso di costruire (in relazione all’articolo 3 della Costituzione) impone di fare applicazione del termine ordinariamente previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, fissato dall’articolo 29 del codice del processo amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29 ora richiamato ha natura processuale e non procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 costituisce un passaggio obbligato per l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è dalla disciplina propria di quest’ultima che può e deve trarsi il dato necessario all’integrazione in via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di rimarcare, in una recente pronuncia, che “
il potere di sollecitazione del terzo non è da intendersi come esercitabile ad libitum, bensì rimane assoggettato al rispetto del termine di decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.” (così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi quid iuris nel caso in cui il terzo abbia richiesto l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in questo caso, l’impugnazione del provvedimento con cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale soluzione risulta essere stata accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato da ultimo richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015, cit.), ma ritiene –su questo specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato imprescindibile (ben evidenziato, come detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015, cit., che però perviene a conclusioni non coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non prevede alcun termine per la sollecitazione dei poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del correlativo obbligo, per quest’ultima, di pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa sollecitare l’intervento dell’amministrazione anche oltre tale termine, al fine di invocare non già il pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì il riscontro della sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente previsti per l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la sollecitazione debba intendersi diretta a provocare l’esercizio dei poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente illustrando le ragioni per le quali ritenga non sussistenti i presupposti per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola, tipicamente discrezionale nell’an, per cui l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un privato (v. ex multis Cons. Stato, V, 03.05.2012 n. 2549). Tuttavia, nel caso della denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, la sussistenza di un dovere dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un incondizionato accesso anche alla tutela giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal legislatore è coerente con il fondamentale rilievo che, nel caso di intervento di controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di esercizio di poteri di autotutela in senso proprio, poiché manca un provvedimento amministrativo rispetto al quale possa esercitarsi un potere di secondo grado. Piuttosto –come sopra detto– l’amministrazione, in questo caso, esercita pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza con cui un terzo, titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, abbia sollecitato l’intervento della stessa amministrazione in relazione a una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione sarà tenuta a esercitare, sussistendone i presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni, l’amministrazione dovrà comunque a verificare, dandone conto motivatamente, unicamente la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo edilizio da più di sessanta giorni non comporta conseguenze processuali, in relazione alla eventuale successiva azione giurisdizionale contro il silenzio o il provvedimento negativo emesso dall’amministrazione, ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale (secondo quanto già rilevato dalla Sezione con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento con cui l’amministrazione abbia negato il proprio intervento sarà quindi ammissibile –sussistendo, beninteso, tutte le altre condizioni dell’azione– ma la risposta dell’amministrazione dovrà essere verificata tenendo conto del diverso potere esercitato nelle due ipotesi sopra dette.

EDILIZIA PRIVATA: La denuncia d’inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge”. Affermazione, questa, che ha poi trovato piena conferma da parte del legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma 6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990 stabilisce espressamente che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il decorso del termine normativamente previsto per l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo, ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta giorni di tempo per proporre impugnazione giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza, in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria nel diniego tacito di esercizio del potere inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla luce delle successive novità legislative e, in particolare, di quanto ora disposto dal richiamato articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “
(...) Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”. Previsione, questa, che come evidenziato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o della SCIA –non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti– ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all’art. 31”.
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In tale quadro si colloca il tema della tutela del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla denuncia di inizio di attività presentata da altri.
La Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei confronti degli interventi oggetto di una denuncia di inizio di attività vanno esercitati entro il termine normativamente prescritto, decorso il quale il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità per il Comune di intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di autotutela.
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno riscontro nell’attuale previsione del comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio del controllo sulla denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, “l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile ratione temporis nel presente giudizio, ma che ha sostanzialmente codificato gli esiti del dibattito giurisprudenziale sul punto. E ciò anche avuto riguardo alla natura dei poteri esercitati dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela.
Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799/2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non soggetto al ricorrere dei presupposti propri del potere di autotutela, laddove la carenza dei presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo, titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter del medesimo articolo 19.
E ciò –come già affermato nella sentenza richiamata–
perché è anzitutto il chiaro tenore testuale della previsione normativa richiamata a non fare alcun riferimento al decorso del termine per il “consolidarsi” della denuncia di inizio di attività.
D’altra parte “
laddove dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del termine per il compimento delle verifiche, non possa chiedere l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei confronti della tutela offerta dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.” Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento in autotutela, che è però esercitabile solo in presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto al mero riscontro dell’illegittimità.
La posizione espressa con la sentenza di questa Sezione n. 2799/2014 è stata condivisa e ribadita da numerose successive pronunce di primo grado.
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che “
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio
.”.
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Posto quindi che, secondo la lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone all’amministrazione di esercitare pieni poteri inibitori della denuncia di inizio di attività, anche dopo il “consolidarsi” del titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, occorre chiedersi se tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo stabilito.
Anche questa questione è stata affrontata, sia pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n. 2799/2014. In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla denuncia di inizio di attività presentata dal confinante si era rivolto all’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli atti della pratica edilizia, aveva preso piena conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto rilevante la circostanza che l’istanza volta a provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse intervenuta entro il suddetto termine.
Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia al momento della presentazione dell’istanza rivolta all’amministrazione non è stato condiviso da un altro orientamento giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri inibitori, senza necessità del riscontro dei presupposti propri dell’autotutela.
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica testualmente alcun limite temporale per la diffida diretta all’amministrazione– sia in considerazione della circostanza che la possibilità di un intervento “a tutto campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo alla formazione di un provvedimento amministrativo e si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali considerazioni possano essere condivise soltanto in parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso –anche in relazione al profilo inerente ai termini per la sollecitazione dei poteri inibitori– dalla sentenza della Sezione n. 2799 del 2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente orientata del dato normativo, costituito dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve necessariamente tenere conto della circostanza che l’intera disciplina della denuncia di inizio di attività, fino ai più recenti interventi normativi (in parte successivi alla formazione dei titoli oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema), risulta chiaramente ispirata dalla finalità di coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del privato con quella di assicurare comunque una sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a quella propria del permesso di costruire– dopo il decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario –come sopra detto–
assicurare al terzo la possibilità di ottenere piena tutela, mediante l’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso tale termine di tendenziale “stabilizzazione” del titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né eccedere quanto necessario e sufficiente ad assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio attività una tutela equivalente a quella riconosciuta al soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata che lamenti un pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività possa ottenere il pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori, senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto laddove abbia sollecitato l’intervento dell’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur non espressamente previsto dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo conto che la diffida prevista dalla disposizione ora richiamata costituisce l’unico “canale” percorribile dall’interessato al fine di adire eventualmente, in un secondo momento, la tutela giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la pienezza della tutela (ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione), che la parità di trattamento rispetto al soggetto leso da un permesso di costruire (in relazione all’articolo 3 della Costituzione) impone di fare applicazione del termine ordinariamente previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, fissato dall’articolo 29 del codice del processo amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29 ora richiamato ha natura processuale e non procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 costituisce un passaggio obbligato per l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è dalla disciplina propria di quest’ultima che può e deve trarsi il dato necessario all’integrazione in via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di rimarcare, in una recente pronuncia, che “
il potere di sollecitazione del terzo non è da intendersi come esercitabile ad libitum, bensì rimane assoggettato al rispetto del termine di decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.”.
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Occorre a questo punto domandarsi quid iuris nel caso in cui il terzo abbia richiesto l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in questo caso, l’impugnazione del provvedimento con cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
Il Collegio non ignora che tale soluzione risulta essere stata accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato da ultimo richiamata, ma ritiene –su questo specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato imprescindibile che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non prevede alcun termine per la sollecitazione dei poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del correlativo obbligo, per quest’ultima, di pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa sollecitare l’intervento dell’amministrazione anche oltre tale termine, al fine di invocare non già il pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì il riscontro della sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente previsti per l’intervento in autotutela.
Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la sollecitazione debba intendersi diretta a provocare l’esercizio dei poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente illustrando le ragioni per le quali ritenga non sussistenti i presupposti per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola, tipicamente discrezionale nell’an, per cui l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un privato . Tuttavia, nel caso della denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, la sussistenza di un dovere dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un incondizionato accesso anche alla tutela giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal legislatore è coerente con il fondamentale rilievo che, nel caso di intervento di controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di esercizio di poteri di autotutela in senso proprio, poiché manca un provvedimento amministrativo rispetto al quale possa esercitarsi un potere di secondo grado. Piuttosto –come sopra detto– l’amministrazione, in questo caso, esercita pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela.
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In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza con cui un terzo, titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, abbia sollecitato l’intervento della stessa amministrazione in relazione a una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione sarà tenuta a esercitare, sussistendone i presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni, l’amministrazione dovrà comunque a verificare, dandone conto motivatamente, unicamente la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo edilizio da più di sessanta giorni non comporta conseguenze processuali, in relazione alla eventuale successiva azione giurisdizionale contro il silenzio o il provvedimento negativo emesso dall’amministrazione, ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale.
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MASSIMA
8. Al fine di inquadrare correttamente la questione, si rende necessario chiarire la portata delle previsioni normative rilevanti nel presente giudizio.
In tale prospettiva, occorre prendere le mosse proprio dalla sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014, che ha raggiunto conclusioni che il Collegio condivide e ritiene di dover ribadire, e che tuttavia non conducono all’esito sostenuto dal controinteressato, come si dirà.
8.1 Deve anzitutto ricordarsi che
la denuncia d’inizio attività, secondo quanto autorevolmente chiarito, ormai da tempo, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, “non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge” (Ad. Plen. n. 15 del 2011). Affermazione, questa, che ha poi trovato piena conferma da parte del legislatore, posto che l’attuale articolo 19, comma 6-ter, primo periodo della legge n. 241 del 1990 –introdotto dall'articolo 6, comma 1, lett. c) del decreto legge 13.08.2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14.09.2011, n. 148– stabilisce espressamente che “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
L’atto non muta tale sua natura neppure dopo il decorso del termine normativamente previsto per l’esercizio delle verifiche da parte del Comune.
Conseguentemente, non può sostenersi che, una volta che il terzo sia venuto a conoscenza del titolo, ormai consolidatosi per mancato esercizio dei poteri inibitori, lo stesso terzo disponga di sessanta giorni di tempo per proporre impugnazione giurisdizionale. E’ vero infatti che la sussistenza, in tale ipotesi, di un atto impugnabile era stata autorevolmente sostenuta, sulla base del quadro normativo allora vigente, dall’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, che aveva ravvisato un provvedimento suscettibile di tutela giurisdizionale demolitoria nel diniego tacito di esercizio del potere inibitorio. Tuttavia, le conclusioni cui era pervenuta l’Adunanza Plenaria sono oggi superate alla luce delle successive novità legislative e, in particolare, di quanto ora disposto dal richiamato articolo 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990.
In base a quest’ultima disposizione, “
(...) Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'art. 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104”. Previsione, questa, che come evidenziato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, “vieta sostanzialmente l’impugnazione diretta della DIA o della SCIA –non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti– ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all’art. 31” (TAR Lombardia, Sez. II, 14.01.2014, n. 126).
9. In tale quadro si colloca il tema della tutela del soggetto che alleghi di essere stato leso dalla denuncia di inizio di attività presentata da altri.
9.1 Con la richiamata sentenza n. 2799 del 2014, la Sezione ha, anzitutto, rilevato che
i poteri inibitori spettanti all’amministrazione nei confronti degli interventi oggetto di una denuncia di inizio di attività vanno esercitati entro il termine normativamente prescritto, decorso il quale il “consolidarsi” della d.i.a. determina –di regola– l’impossibilità per il Comune di intervenire, se non nell’esercizio dei poteri di autotutela (Cons. Stato, Sez. VI, 22.09.2014 n. 4780).
Si tratta di conclusioni che trovano ormai pieno riscontro nell’attuale previsione del comma 4 dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, come sostituito dall'articolo 6, comma 1, lett. a) della legge 07.08.2015, n. 124, in base al quale,
una volta decorso il termine per l’esercizio del controllo sulla denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, “l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies”.
Disposizione, questa, che è bensì inapplicabile ratione temporis nel presente giudizio, ma che ha sostanzialmente codificato gli esiti del dibattito giurisprudenziale sul punto. E ciò anche avuto riguardo alla natura dei poteri esercitati dall’amministrazione in quest’ultima ipotesi, che sono pur sempre di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela (in coerenza con quanto già da tempo autorevolmente chiarito da Cons. Stato, Sez. VI, 09.02.2009, n. 717).
9.2 Ciò posto, la sentenza della Sezione n. 2799 del 2014 ha affermato che
l’intervento inibitorio è, tuttavia, da ritenere doveroso, e non soggetto al ricorrere dei presupposti propri del potere di autotutela, laddove la carenza dei presupposti della d.i.a. sia denunciata dal terzo, titolare di una posizione giuridica qualificata e differenziata, ai sensi del richiamato comma 6-ter del medesimo articolo 19.
E ciò –come già affermato nella sentenza richiamata– perché è anzitutto il chiaro tenore testuale della previsione normativa richiamata a non fare alcun riferimento al decorso del termine per il “consolidarsi” della denuncia di inizio di attività.
D’altra parte –come pure si è affermato nella sentenza n. 2799 del 2014– “
laddove dovesse ritenersi che il terzo, venuto a conoscenza della d.i.a. dopo il decorso del termine per il compimento delle verifiche, non possa chiedere l’esercizio dei poteri inibitori, ne deriverebbe un vulnus nei confronti della tutela offerta dall’ordinamento nei confronti di tale soggetto.” Questi, infatti, da un lato non disporrebbe di alcun provvedimento impugnabile (ostandovi il chiaro tenore del richiamato comma 6-ter dell’articolo 19) e, dall’altro, potrebbe solo invocare l’intervento in autotutela, che è però esercitabile solo in presenza di precisi presupposti, ulteriori rispetto al mero riscontro dell’illegittimità.
9.3 La posizione espressa con la sentenza di questa Sezione n. 2799 del 2014 è stata condivisa e ribadita da numerose successive pronunce di primo grado (TAR Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; TAR Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; TAR Veneto, Sez. II, 12.10.2015, n. 1038 e n. 1039).
In particolare, la giurisprudenza ha evidenziato che “
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio
.” (così TAR Veneto, n. 1038 del 2015, cit.).
10.
Posto quindi che, secondo la lettura qui accolta, l’articolo 19, comma 6-ter, impone all’amministrazione di esercitare pieni poteri inibitori della denuncia di inizio di attività, anche dopo il “consolidarsi” del titolo edilizio, qualora sia a ciò sollecitata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, occorre chiedersi se tale soggetto possa sollecitare in qualunque momento l’intervento dell’amministrazione stessa, ovvero abbia l’onere di farlo entro un lasso di tempo stabilito.
10.1 Anche questa questione è stata affrontata, sia pure sinteticamente, nella richiamata sentenza n. 2799 del 2014, come correttamente rilevato, nel presente giudizio, dalla difesa del controinteressato.
In quella pronuncia, infatti, è stato esplicitamente evidenziato che il terzo che si assumeva leso dalla denuncia di inizio di attività presentata dal confinante si era rivolto all’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui, accedendo agli atti della pratica edilizia, aveva preso piena conoscenza del contenuto della d.i.a. e delle esatte caratteristiche dell’intervento progettato.
La pronuncia ha, quindi, implicitamente ritenuto rilevante la circostanza che l’istanza volta a provocare l’esercizio del potere inibitorio fosse intervenuta entro il suddetto termine.
10.2 Il rilievo attribuito dalla suddetta pronuncia al momento della presentazione dell’istanza rivolta all’amministrazione non è stato condiviso da un altro orientamento giurisprudenziale recentemente emerso.
In base a tale diversa ricostruzione, il terzo leso dalla d.i.a. (o s.c.i.a.) potrebbe infatti rivolgersi in ogni tempo all’amministrazione, e ottenere comunque il pieno esercizio dei poteri inibitori, senza necessità del riscontro dei presupposti propri dell’autotutela (in questo senso: TAR Piemonte, Sez. II, n. 1114 del 2015, cit.).
Tesi, questa, che viene argomentata sia sulla base del tenore testuale del comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 –il quale non indica testualmente alcun limite temporale per la diffida diretta all’amministrazione– sia in considerazione della circostanza che la possibilità di un intervento “a tutto campo” e in ogni tempo sulla d.i.a., in presenza di una sollecitazione proveniente da un terzo che si assuma pregiudicato dall’intervento, dovrebbe ritenersi giustificata dalla natura stessa dell’istituto, che non dà luogo alla formazione di un provvedimento amministrativo e si basa sulla responsabilità del privato.
Il Collegio ritiene, tuttavia, che tali considerazioni possano essere condivise soltanto in parte, come meglio si illustrerà nel prosieguo.
10.3
Deve, anzitutto, confermarsi e ribadirsi in questa sede l’orientamento già espresso –anche in relazione al profilo inerente ai termini per la sollecitazione dei poteri inibitori– dalla sentenza della Sezione n. 2799 del 2014. E’ infatti da ritenere che le conclusioni raggiunte, sul punto, dalla pronuncia richiamata siano necessitate, alla stregua dell’interpretazione sistematica e –ancora una volta– costituzionalmente orientata del dato normativo, costituito dall’articolo 19, comma 3-ter, della legge n. 241 del 1990.
Per ciò che attiene al profilo sistematico,
l’interpretazione della disposizione deve necessariamente tenere conto della circostanza che l’intera disciplina della denuncia di inizio di attività, fino ai più recenti interventi normativi (in parte successivi alla formazione dei titoli oggetto del presente giudizio, ma comunque rilevanti ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema), risulta chiaramente ispirata dalla finalità di coniugare l’esigenza di incentrare il fondamento normativo della d.i.a sull’autoresponsabilità del privato con quella di assicurare comunque una sostanziale stabilità del titolo edilizio –analoga a quella propria del permesso di costruire– dopo il decorso del tempo stabilito per il suo “consolidarsi”.
In tale quadro normativo,
è certamente necessario –come sopra detto– assicurare al terzo la possibilità di ottenere piena tutela, mediante l’esercizio dei poteri inibitori dell’amministrazione, anche dopo che sia trascorso tale termine di tendenziale “stabilizzazione” del titolo edilizio.
Tuttavia,
tale possibilità non può tradursi nell’eliminazione di qualunque garanzia attinente al “consolidarsi” della d.i.a., né eccedere quanto necessario e sufficiente ad assicurare al terzo leso dalla denuncia di inizio attività una tutela equivalente a quella riconosciuta al soggetto leso da un permesso di costruire.
Per questa ragione,
deve ritenersi che il soggetto titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata che lamenti un pregiudizio derivante da una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività possa ottenere il pieno e doveroso esercizio dei poteri inibitori, senza i limiti propri dell’autotutela, soltanto laddove abbia sollecitato l’intervento dell’amministrazione entro sessanta giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza della lesione.
Il predetto termine di sessanta giorni, pur non espressamente previsto dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, deve infatti ricavarsi in via sistematica, tenendo conto che la diffida prevista dalla disposizione ora richiamata costituisce l’unico “canale” percorribile dall’interessato al fine di adire eventualmente, in un secondo momento, la tutela giurisdizionale. In tale prospettiva, l’esigenza di assicurare sia la pienezza della tutela (ai sensi dell’articolo 24 della Costituzione), che la parità di trattamento rispetto al soggetto leso da un permesso di costruire (in relazione all’articolo 3 della Costituzione) impone di fare applicazione del termine ordinariamente previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, fissato dall’articolo 29 del codice del processo amministrativo.
E’ ben vero che il termine di cui all’articolo 29 ora richiamato ha natura processuale e non procedimentale; tuttavia, come detto,
la fase procedimentale necessaria stabilita dal comma 3-bis dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 costituisce un passaggio obbligato per l’accesso alla tutela giurisdizionale, per cui è dalla disciplina propria di quest’ultima che può e deve trarsi il dato necessario all’integrazione in via interpretativa della lacuna normativa.
Tale opzione ermeneutica risulta essere stata accolta, del resto, anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, la quale non ha mancato di rimarcare, in una recente pronuncia, che “
il potere di sollecitazione del terzo non è da intendersi come esercitabile ad libitum, bensì rimane assoggettato al rispetto del termine di decadenza decorrente dalla conoscenza della D.I.A.” (così Cons. Stato, Sez. IV, 12.11.2015, n. 5161).
11. Occorre a questo punto domandarsi quid iuris nel caso in cui il terzo abbia richiesto l’intervento dell’amministrazione dopo il decorso di sessanta giorni dal momento in cui ha avuto piena conoscenza del contenuto lesivo della denuncia di inizio di attività.
La difesa del controinteressato ritiene che, in questo caso, l’impugnazione del provvedimento con cui l’amministrazione ha negato l’esercizio dei poteri relativi alla d.i.a. sia radicalmente inammissibile.
11.1 Il Collegio non ignora che tale soluzione risulta essere stata accolta dalla sentenza del Consiglio di Stato da ultimo richiamata (Cons. Stato n. 5161 del 2015, cit.), ma ritiene –su questo specifico aspetto– di dover addivenire a conclusioni in parte diverse rispetto al giudice d’appello.
Deve, infatti, tenersi presente il dato imprescindibile (ben evidenziato, come detto, da TAR Piemonte n. 1114 del 2015, cit., che però perviene a conclusioni non coincidenti con quelle qui sostenute) che
il comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 non prevede alcun termine per la sollecitazione dei poteri dell’amministrazione e per l’insorgere del correlativo obbligo, per quest’ultima, di pronunciarsi sull’istanza.
Per le ragioni già diffusamente illustrate,
laddove l’istanza sia presentata da un terzo titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza della d.i.a. o s.c.i.a., l’amministrazione non potrà esimersi dall’esercitare pienamente i propri poteri inibitori.
Ciò, però, non toglie che il terzo ben possa sollecitare l’intervento dell’amministrazione anche oltre tale termine, al fine di invocare non già il pieno esercizio dei poteri inibitori, bensì il riscontro della sussistenza dei –diversi– presupposti normativamente previsti per l’intervento in autotutela.
11.2 Al riguardo,
deve precisarsi che –anche laddove la sollecitazione debba intendersi diretta a provocare l’esercizio dei poteri di autotutela– l’amministrazione è comunque tenuta ad esprimersi sull’istanza, eventualmente illustrando le ragioni per le quali ritenga non sussistenti i presupposti per la rimozione del titolo edilizio.
E’ vero, infatti, che –secondo i principi– l’esercizio dell’autotutela è, di regola, tipicamente discrezionale nell’an, per cui l’amministrazione non è tenuta, di norma, neppure a riscontrare l’istanza di autotutela presentata da un privato (v. ex multis Cons. Stato, V, 03.05.2012 n. 2549). Tuttavia, nel caso della denuncia o segnalazione certificata di inizio attività, la sussistenza di un dovere dell’amministrazione di verificare l’esistenza dei presupposti per l’esercizio del potere è imposta dal chiaro tenore testuale del richiamato comma 3-bis dell’articolo 19, il quale attribuisce espressamente al terzo che si assuma leso dal titolo edilizio un incondizionato accesso anche alla tutela giurisdizionale avverso il silenzio.
D’altro canto, la soluzione prescelta dal legislatore è coerente con il fondamentale rilievo che, nel caso di intervento di controllo relativo alla d.i.a. o s.c.i.a., non si fa questione di esercizio di poteri di autotutela in senso proprio, poiché manca un provvedimento amministrativo rispetto al quale possa esercitarsi un potere di secondo grado. Piuttosto –come sopra detto– l’amministrazione, in questo caso, esercita pur sempre poteri di tipo inibitorio, ma subordinatamente al riscontro dei presupposti per l’intervento in autotutela.
12. In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui esposto,
il Collegio ritiene che la previsione del comma 6-ter dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 imponga all’amministrazione di riscontrare motivatamente, in ogni caso, l’istanza con cui un terzo, titolare di una situazione giuridica qualificata e differenziata, abbia sollecitato l’intervento della stessa amministrazione in relazione a una denuncia o segnalazione certificata di inizio attività.
In particolare,
laddove l’istanza pervenga entro sessanta giorni dal momento in cui tale soggetto risulta aver avuto conoscenza dei profili lesivi dell’intervento, l’amministrazione sarà tenuta a esercitare, sussistendone i presupposti, pieni poteri inibitori, poiché –in difetto– il terzo subirebbe una diminuzione della tutela accordatagli rispetto a chi sia leso da un permesso di costruire.
Superati i sessanta giorni, l’amministrazione dovrà comunque a verificare, dandone conto motivatamente, unicamente la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela.
Logico corollario di quanto sin qui affermato è che la circostanza che
tale terzo abbia avuto conoscenza del titolo edilizio da più di sessanta giorni non comporta conseguenze processuali, in relazione alla eventuale successiva azione giurisdizionale contro il silenzio o il provvedimento negativo emesso dall’amministrazione, ma ha unicamente conseguenze di tipo procedimentale (secondo quanto già rilevato dalla Sezione con la sentenza n. 585 del 05.03.2014).
In entrambe le ipotesi sopra enunciate, il ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento con cui l’amministrazione abbia negato il proprio intervento sarà quindi ammissibile –sussistendo, beninteso, tutte le altre condizioni dell’azione– ma la risposta dell’amministrazione dovrà essere verificata tenendo conto del diverso potere esercitato nelle due ipotesi sopra dette (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2016 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASebbene a seguito della presentazione della DIA non si formi alcun provvedimento tacito, una volta spirato il termine per l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione può ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano l’esercizio.
E’ pertanto indispensabile, affinché tale potere possa dirsi legittimamente esercitato, che, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente, e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

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28. La giurisprudenza ritiene che, sebbene a seguito della presentazione della DIA non si formi alcun provvedimento tacito, una volta spirato il termine per l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano l’esercizio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
29. E’ pertanto indispensabile, affinché tale potere possa dirsi legittimamente esercitato, che, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga tempestivamente, e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati (TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 18.02.2016 n. 355 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATAE' vero che il sistema delineato dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la tutela di affidamento del privato che abbia presentato una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3 (falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la difesa nazionale), le Amministrazioni non possono intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
Sicché, il provvedimento comunale di archiviazione del procedimento di verifica (di terzi) deve essere annullato, ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare sollecitamente il procedimento di verifica accertando analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle illegittimità segnalate hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella propria posizione qualificata e differenziata.

Il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento di archiviazione, è invece fondato e deve essere accolto.
Il Comune di Cortina d’Ampezzo ha disposto l’archiviazione del procedimento di verifica della legittimità delle denunce di inizio attività ritenendo di per sé ostativa, e quindi senza svolgere un approfondimento istruttorio sui singoli rilievi sollevati nelle richieste di verifica, la norma di cui all’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241, nel testo allora vigente.
Secondo il Comune anche a seguito della richiesta di verifica da parte di un terzo non è possibile procedere al divieto di prosecuzione dell’attività se non vi siano lesioni agli specifici interessi sensibili menzionati dall’art. 19, comma 4, della legge 07.08.1990, n. 241.
Tale norma ammette il divieto di prosecuzione dell’attività “solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale”, che nel caso di specie non ricorrono.
La tesi non è condivisibile.
La giurisprudenza, alla quale il Collegio aderisce (cfr. Tar Piemonte, Sez. II, 01.07.2015, n. 1114; Tar Campania, Napoli, Sez. III, 05.03.2015, n. 1410; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 21.11.2014, n. 4799), ha infatti chiarito che è vero che il sistema delineato dal citato art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel rafforzare la tutela di affidamento del privato che abbia presentato una dia o una scia, ha previsto la tassatività dei casi in cui alla Amministrazione é consentito di intervenire dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3 e comma 6-bis, nel senso che fuori dalle situazioni individuate al comma 3 (falsità nelle dichiarazioni) ed al comma 4 (pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente e la salute, per la sicurezza pubblica e la difesa nazionale), le Amministrazioni non possono intervenire; tuttavia il comma 6-ter, nel porre un obbligo all’amministrazione di provvedere su istanza del privato, ha previsto una fattispecie autonoma e diversa dal potere ufficioso previsto dai menzionati commi 3 e 4.
Una tale interpretazione appare peraltro obbligata secondo una lettura costituzionalmente orientata delle norme alla luce dei principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale sanciti dagli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione, non risultando altrimenti giustificabile, rispetto all’intento di garantire una tendenziale stabilità ai titoli abilitativi, l’eccessivo sacrificio che verrebbe imposto al diritto di azione del terzo leso dall’attività intrapresa.
Infatti il legislatore ha escluso che la denuncia e la dichiarazione di inizio attività costituiscano provvedimenti taciti direttamente impugnabili, ammettendo solo che i terzi interessati possano sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione contro il silenzio.
Poiché il terzo leso ha quest’unico rimedio a tutela della propria sfera giuridica, quando l’intervento di verifica risulti dallo stesso sollecitato e ad esso possa riconoscersi la titolarità di un interesse differenziato e qualificato, il divieto di prosecuzione dell’attività o l’inibitoria deve potersi svolgere in modo pieno e senza i limiti propri dell’autotutela avviata d’ufficio.
In definitiva, in accoglimento delle censure del secondo motivo, il provvedimento di archiviazione del procedimento di verifica deve essere annullato, ed a tale annullamento consegue l’obbligo in capo all’Amministrazione di completare sollecitamente il procedimento di verifica accertando analiticamente la fondatezza o meno dei singoli rilievi proposti ed adottando i conseguenti provvedimenti che, in caso di riscontro delle illegittimità segnalate, come sopra precisato, hanno carattere doveroso e non soggiacciono ai limiti previsti per le attività di verifica attivate d’ufficio dall’Amministrazione quando, come nel caso di specie, siano avviati su segnalazione del terzo leso nella propria posizione qualificata e differenziata (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 12.10.2015 n. 1039 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’improrogabilità dei termini per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso, ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69 del 2013, secondo quanto sopra detto– costituisce un tratto caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla giurisprudenza.
Basti, al riguardo, tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che “La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento a contrario, evincibile proprio dalla previsione dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013, che ha espressamente e appositamente previsto l’applicazione della proroga straordinaria ed eccezionale dei termini di ultimazione dei lavori anche con riferimento agli interventi oggetto di denuncia di inizio attività.
Il legislatore ha quindi evidentemente inteso stabilire, anche sotto questo profilo, una deroga al regime ordinario, che di per sé esclude espressamente la possibilità per l’Amministrazione di spostare in avanti i termini di ultimazione degli interventi oggetto di denuncia di inizio attività.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non irragionevole –in considerazione della natura e dei caratteri della denuncia di inizio attività– né discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto della d.i.a..

4. Venendo ai motivi aggiunti, va respinto il mezzo indicato come terzo.
E invero, essendo allegata l’illegittimità derivata del secondo diniego di proroga rispetto al PGT, il rigetto delle censure dirette contro lo strumento urbanistico comporta che uguale sorte debbano seguire anche tali prospettate doglianze di illegittimità derivata.
5. Quanto alle ulteriori censure, deve rilevarsi che il secondo diniego di proroga della d.i.a. reca due distinte motivazioni, poiché in esso si legge:
- “Richiamato l’articolo 15.2 del D.P.R. n. 380/2001 il nuovo titolo abilitativo conseguito con Dia non può ritenersi pertanto idoneo al fine dell’ottenimento di una eventuale proroga della fine dei lavori”;
- “Si fa presente infine che le opere ancora da realizzare consistono nella completa realizzazione dei fabbricati in progetto, elemento significativo nel considerare le prescrizioni del nuovo strumento urbanistico prevalenti sulla volontà di portare a compimento un’opera ora in contrasto con la normativa attualmente in vigore”.
Ora, la parte ricorrente dirige le proprie censure –nel motivo rubricato come quinto nel ricorso per motivi aggiunti– unicamente contro questa seconda ragione posta alla base del provvedimento impugnato. Nessuna censura è invece espressamente articolata nel ricorso contro la prima delle motivazioni indicate dall’Amministrazione, ossia l’impossibilità di carattere generale di prorogare i termini per l’esecuzione degli interventi oggetto di denunce d’inizio attività.
D’altro canto, anche a voler tenere conto di quanto affermato dalla parte in memoria, laddove essa allega l’irragionevolezza e la disparità di trattamento, rispetto al regime del permesso di costruire, che deriverebbe dall’improrogabilità della d.i.a., prospettando l’illegittimità costituzionale della relativa disciplina (v. memoria del 02.04.2015, p. 5 e pp. 11 e s.), il Collegio ritiene che la motivazione addotta dal Comune sia insuperabile, per le ragioni che di seguito si espongono.
Deve, anzitutto, rilevarsi che l’improrogabilità dei termini per l’ultimazione dei lavori oggetto di d.i.a. –beninteso, ordinariamente, e al di fuori dell’ambito di applicazione dell’istituto introdotto una tantum dal decreto legge n. 69 del 2013, secondo quanto sopra detto– costituisce un tratto caratterizzante dell’istituto della denuncia di inizio di attività, chiaramente delineato dalla disciplina normativa di fonte statale e regionale, come del resto affermato dalla giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. IV, 11.12.2013, n. 5969, che conferma la sentenza di questa Sezione, 08.03.2013, n. 619).
Basti, al riguardo, tenere presente che:
- l’articolo 15, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel prevedere la proroga “ordinaria” dei termini dei lavori, si riferisce espressamente al solo permesso di costruire;
- l’articolo 23, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001, dopo aver previsto che la denuncia di inizio attività sia “sottoposta al termine massimo di efficacia pari a tre anni” (così il primo periodo), stabilisce esplicitamente che “La realizzazione della parte non ultimata dell'intervento è subordinata a nuova denuncia” (così il secondo periodo);
- l’articolo 42, comma 6, della legge regionale n. 12 del 2005 parimenti dispone che “I lavori oggetto della denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori. La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia (...)”.
Per altro verso, la non prorogabilità, ordinariamente, dei termini di ultimazione dei lavori oggetto di denuncia di inizio attività è suffragata anche da un ulteriore argomento a contrario, evincibile proprio dalla previsione dell’articolo 30, comma 4, del decreto legge n. 69 del 2013, che ha espressamente e appositamente previsto l’applicazione della proroga straordinaria ed eccezionale dei termini di ultimazione dei lavori anche con riferimento agli interventi oggetto di denuncia di inizio attività.
Il legislatore ha quindi evidentemente inteso stabilire, anche sotto questo profilo, una deroga al regime ordinario, che di per sé esclude espressamente la possibilità per l’Amministrazione di spostare in avanti i termini di ultimazione degli interventi oggetto di denuncia di inizio attività.
Il regime giuridico così delineato risulta, peraltro, non irragionevole –in considerazione della natura e dei caratteri della denuncia di inizio attività– né discriminante rispetto a quello, diverso, stabilito per il permesso di costruire, atteso altresì che costituisce pur sempre una facoltà dell’interessato scegliere di richiedere quest’ultimo titolo, in luogo di avvalersi dell’istituto della d.i.a. (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.07.2015 n. 1764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo tacito, bensì un atto privato dell'avvio di un'attività che trova la sua legittimità direttamente nella legge.
Dunque, non è corretto affermare che, decorsi trenta giorni dalla segnalazione certificata di inizio attività, si sia formato un provvedimento tacito di assenso all’attività edilizia programmata.
Piuttosto, presentata la segnalazione certificata di inizio attività, l’amministrazione ha trenta giorni di tempo per intervenire al fine di inibire l’intervento edilizio per il quale manchi una delle condizioni previste dalla legge.
Il termine in questione deve ritenersi riferito all’adozione del provvedimento inibitorio, e non alla sua notificazione.

7. - Il motivo, nel suo complesso, è infondato.
7.1. - Innanzitutto, va ricordato che la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo tacito, bensì un atto privato dell'avvio di un'attività che trova la sua legittimità direttamente nella legge (Cons. Stato, Ad. Plen., 29.07.2011, n. 15).
Dunque, non è corretto affermare che, decorsi trenta giorni dalla segnalazione certificata di inizio attività, si sia formato un provvedimento tacito di assenso all’attività edilizia programmata.
Piuttosto, presentata la segnalazione certificata di inizio attività, l’amministrazione ha trenta giorni di tempo per intervenire al fine di inibire l’intervento edilizio per il quale manchi una delle condizioni previste dalla legge.
Il termine in questione deve ritenersi riferito all’adozione del provvedimento inibitorio, e non alla sua notificazione (TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 04.04.2012, n. 990; TAR Puglia–Lecce, Sez. I, 15.01.2009, n. 54).
Nel caso di specie, il provvedimento, adottato il 19.03.2015, è tempestivo in considerazione della data di presentazione della segnalazione certificata di inizio attività, e cioè il 18.02.2015 (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 11.06.2015 n. 1066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come già ricordato da questa Sezione, per effetto dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), reputate illegittime, i soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima, esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a.; mentre, l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione d’inizio attività”.
Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo del Comune di ordinare il ripristino dei luoghi e la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là del portato motivazionale della presente sentenza, ancora margini di esercizio della discrezionalità da parte del Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.

4. Deve, invece, essere dichiarata inammissibile la domanda di accertamento della illegittimità/inefficacia della DIA del 22.10.2012 e della successiva SCIA del 02.07.2013.
Come già ricordato da questa Sezione con la sentenza n. 233 del 17.02.2013, resa nel precedente giudizio sul silenzio, infatti, per effetto dell'art. 19, ultimo comma, della L. n. 241 del 1990, in caso di presentazione di una DIA o di una SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), reputate illegittime, i soggetti che si considerano lesi dall'attività edilizia possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia di quest'ultima, esperire "esclusivamente", l'azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione di cui all'art. 31 del c.p.a..
Avendo questa Sezione già in precedenza affermato che la disposizione di cui al citato art. 19 vieta sostanzialmente l'impugnazione diretta della DIA o della SCIA -non costituenti provvedimenti amministrativi, neppure impliciti- ma consente la sola tutela giurisdizionale secondo il citato meccanismo di cui all'art. 31 c.p.a. (cfr. Sez. II: 05.03.2012, n. 298; 15.02.2013, n. 230); mentre, l’art. 133, comma 1, lett. a) n. 3, in tema di giurisdizione esclusiva, a chiusura del sistema dei rimedi esperibili dal terzo pregiudicato dalla D.I.A., implicitamente ammette l’impugnazione dei “provvedimenti espressi adottati in sede di verifica di segnalazione certificata, denuncia e dichiarazione d’inizio attività”.
Quello appena descritto è d’altra parte il percorso seguito dai ricorrenti, che hanno prima reagito giudizialmente al silenzio della P.A., ottenendo la condanna di quest’ultima a provvedere sulla loro diffida, e poi hanno impugnato il provvedimento del 23.04.2014 di diniego di autotutela.
5. Neppure sussistono i presupposti per dichiarare l’obbligo del Comune di Vicenza di ordinare il ripristino dei luoghi e la demolizione della nuova costruzione, residuando, al di là del portato motivazionale della presente sentenza, ancora margini di esercizio della discrezionalità da parte del Comune, insiti nella decisione sull’annullamento in autotutela della DIA; tenuto conto, che nel caso di specie gli interessi dei destinatari debbono ricevere adeguata considerazione, accanto all’interesse pubblico, essendo stata ultimata la costruzione del nuovo edificio.
Inoltre, non risulta che nel caso in esame siano state poste in essere falsità progettuali tali da legittimare un vincolato intervento sanzionatorio, venendo in rilievo, come testimoniato dalla presente motivazione, solo questioni interpretative di norme legislative e regolamentari (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.04.2015 n. 424 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sull'illegittimo annullamento della DIA e del certificato di agibilità.
Coglie nel segno il motivo incentrato sulla violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, concernente l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte della p.a..
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a norma della citata disposizione di legge, devono assistere l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005, ha declinato le coordinate per il valido esercizio del potere di autotutela espressamente ponendo, quale indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi dei soggetti privati coinvolti.
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Sia pure richiamando l’interesse pubblico astrattamente sotteso alla classificazione di pericolosità geomorfologica dell’area– l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero versante del bilanciamento degli opposti interessi in gioco, sia perché si è mantenuto in una posizione del tutto generica e non circostanziata in ordine all’interesse pubblico sussistente in concreto (posto che non risulta essere mai stata effettuata un’indagine sullo stato dei luoghi, al fine di verificare la concreta incidenza delle opere realizzate con l’assetto geomorfologico del territorio), sia perché non ha dato conto dell’opposto interesse del privato al mantenimento dell’opera, anche in relazione alla consistenza di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004, il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.

... per l'annullamento dell'ordinanza n. 1 del 13.12.2013, notificata il 28.12.2013, con la quale il responsabile del servizio urbanistica associato della Comunità Montana Terre del Giarolo ha annullato in autotutela la D.I.A. prot. 490 del 30.03.2004 ed il certificato di agibilità del 21.09.2010 e ordinato il ripristino dei luoghi entro il termine di 90 giorni;
...
Il ricorso è fondato.
Coglie nel segno il motivo incentrato sulla violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, concernente l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio da parte della p.a.
Il Comune intimato, mediante l’atto impugnato, è infatti incorso in un’evidente violazione delle garanzie che, a norma della citata disposizione di legge, devono assistere l’adozione di un provvedimento di annullamento d’ufficio di un precedente atto favorevole per il privato.
Tale norma, così come introdotta dalla legge n. 15 del 2005, ha declinato le coordinate per il valido esercizio del potere di autotutela espressamente ponendo, quale indefettibile condizione di legalità per l'esercizio del relativo potere, proprio la necessità che l'atto di secondo grado sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento viziato, nel necessario rispetto di un termine ragionevole entro il quale intervenire e tenendo conto degli interessi dei soggetti privati coinvolti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 5609 del 2014; Id., sez. V, n. 4902 del 2014; TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 208 del 2012; TAR Piemonte, questa sez. II, n. 609 e n. 1198 del 2012; Cons. Stato, sez. IV, n. 4770 del 2011).
Deve osservarsi, in proposito, che –sia pure richiamando l’interesse pubblico astrattamente sotteso alla classificazione di pericolosità geomorfologica dell’area– l’atto impugnato risulta carente lungo l’intero versante del bilanciamento degli opposti interessi in gioco, sia perché si è mantenuto in una posizione del tutto generica e non circostanziata in ordine all’interesse pubblico sussistente in concreto (posto che non risulta essere mai stata effettuata un’indagine sullo stato dei luoghi, al fine di verificare la concreta incidenza delle opere realizzate con l’assetto geomorfologico del territorio), sia perché non ha dato conto dell’opposto interesse del privato al mantenimento dell’opera, anche in relazione alla consistenza di quest’ultima.
Di rilievo è, inoltre, anche il mancato rispetto di un termine ragionevole entro il quale l’atto di secondo grado avrebbe dovuto essere adottato: a fronte del perfezionamento dell’efficacia della d.i.a., avvenuto nell’aprile del 2004, il Comune è intervenuto per rimuovere quell’efficacia a distanza di quasi dieci anni (in data 13.12.2013), ossia dopo un lasso di tempo manifestamente irragionevole.
Rilevanza, in proposito, assume quanto l’amministrazione ha illustrato in giudizio mediante l’apposita relazione di chiarimenti (predisposta a seguito di ordinanza istruttoria del Collegio). Lungi dal giustificare le ragioni dell’abnorme ritardo, e lungi dall’allegare circostanze di fatto tali da far ritenere sussistente, in concreto, un pericolo per il territorio derivante dalle opere realizzate, l’amministrazione, al contrario, ha confermato l’inesistenza di alcuna ragione giustificatrice del proprio intervento in autotutela.
Per un verso, infatti, essa ha riconosciuto che le opere realizzate nel 2004 non hanno comportato alcun aumento del carico antropico e, soprattutto, hanno mantenuto invariati la superficie ed il volume dell’immobile: onde non si comprende quale incidenza sul territorio esse abbiano potuto apportare, in termini anche di mera compromissione della stabilità geomorfologica, risultando per converso insussistente alcun interesse pubblico attuale alla demolizione. Per altro verso, essa ha affermato che il lungo lasso di tempo intercorso tra la d.i.a. presentata nel 2004 e l’esercizio del potere di annullamento in autotutela nel 2013 è dipeso “dall’avvio del procedimento in data 21.03.2012 da parte della Comunità Montana Terre del Giarolo a seguito di segnalazione da parte di privato”: ma davvero non è dato comprendere il significato di siffatta affermazione, certamente non tale da giustificare le ragioni del mancato esercizio dell’attività di vigilanza edilizia per quasi un decennio, peraltro essendo già disponibili, sin dalla data del deposito della d.i.a., le planimetrie e la relazione del progettista incaricato dei lavori che avevano descritto le opere da eseguirsi; e vieppiù, considerando che nemmeno in occasione della presentazione della successiva d.i.a. del 2010 l’amministrazione ha avuto alcunché da obiettare, tantomeno in ordine agli aspetti geomorfologici, ed ha anzi rilasciato il certificato di agibilità (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.02.2015 n. 293 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI climatizzatori o i condizionatori, per consolidata giurisprudenza amministrativa, costituiscono impianti tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie, all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001.
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L'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello stesso decreto n. 380 del 2001
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Nel caso di specie, l'installazione del condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
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L'opera installata dalla ricorrente non rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo.
Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al dlgs 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).

Ne consegue che,
essendo stato l'intervento eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004.
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1. E' impugnata la sentenza con la quale la Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, che aveva condannato Ca.An.Pa. alla pena alla pena di gg. 15 di arresto e 23.000,000 euro di ammenda, sostituita la pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria di 570,00 euro di ammenda, rideterminando la pena complessivamente inflitta in 23.570,00 euro di ammenda per il reato (capo a) previsto dagli artt. 81 cod. pen. e 44, lett. a), d.P.R. 06.06.2001, n. 380 per avere, in qualità di committente, installato, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, un condizionatore d'aria a servizio del proprio esercizio commerciale in assenza di alcun titolo autorizzativo e del reato (capo b) previsto dall'art. 181 d.lgs. 22.01.2004, n. 42 per aver eseguito i lavori di cui al precedente capo a) in zona sottoposta al vincolo paesaggistico in Ostuni il 14.10.2008.
2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, Ca.An.Pa. affidando il gravame a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia l'erronea ed illegittima applicazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) sul rilievo che la micro e temporanea apparecchiatura tecnologica allocata dalla ricorrente all'esterno della sua micro attività non rientrava, in alcun modo, nella previsione di cui all'art. 44, lett. a), del DPR 380 del 2001 non avendo la ricorrente ha posto in essere alcuna attività urbanistica edilizia. Alla ricorrente si contesta, infatti, la presunta violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale che non ha natura normativa e/o precettiva, ma meramente descrittiva di come vanno allocati micro impianti tecnologici, come nel caso in esame.
Ne consegue che la predetta regolamentazione tecnica non rientra e non può rientrare nella previsione dell'art. 44, lett. a), del DPR 380 del 2001 atteso che la temporanea installazione di un piccolo supporto tecnologico non può configurare e/o costituire attività urbanistica-edilizia, non incidendo minimamente sull'uso del territorio.
2.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione della legge penale in relazione all'art. 54 cod. pen. (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) per aver la Corte territoriale ignorato il prospettato e documentato stato di necessità in cui versava la ricorrente, dovendo il suo operato essere inquadrato in una condizione di necessità non altrimenti risolvibile.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen.) in quanto la contestazione mossa alla ricorrente di presunta violazione della disciplina del vincolo paesaggistico sarebbe del tutto illegittima posto che l'ambiente in cui insisteva il manufatto tecnologico di natura stagionale, precaria e rimovibile non aveva alcuna incidenza sotto il profilo paesaggistico.
2.4. Con il quarto motivo si duole del vizio di falsa applicazione della legge penale e del difetto di motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in ordine al diniego della concessione dei doppi benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna) per la violazione del principio di proporzionalità atteso che la ritenuta e lieve entità dell'intervento per cui è processo avrebbe dovuto indurre il Giudice del merito a concedere gli invocati doppi benefici.
...
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi e per la proposizione di essi nei casi non consentiti.
2. Quanto al primo motivo, è sufficiente osservare come
i climatizzatori o i condizionatori, per consolidata giurisprudenza amministrativa (ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI n. 4744 del 01/10/2008), costituiscono impianti tecnologici e pertanto se collocati, come nella specie, all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001 sicché sono assoggettati alla relativa normativa di settore, con la conseguenza che la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (S.C.I.A.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. n. 380 del 2001.
L'articolo 3, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (come modificato dall'art. 17, comma 1, decreto legge 12.09.2014, n. 133 convertito, nelle more tra la decisione e la redazione della presente sentenza, nella legge 11.11.2014, n. 164) tuttora include tra gli interventi di manutenzione straordinaria "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso", e l'articolo 22, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 richiede, per tali interventi, una S.C.I.A., trattandosi dell'istallazione di impianti che si pongano in rapporto di strumentalità necessaria rispetto a edifici preesistenti.
Il cosiddetto decreto "Sblocca Italia" (decreto legge 12.09.2014, n. 133 convertito in legge 11.11.2014, n. 164) ha introdotto modifiche alla nozione di "manutenzione straordinaria", irrilevanti ai fini dello scrutinio della questione sottoposta alla Corte, in quanto il riferimento a "volumi e superfici delle singole unità immobiliari" è stato modificato, come si è in precedenza segnalato, nel concetto di "volumetria complessiva degli edifici" ed inoltre rientrano, per quanto qui interessa, nella categoria della manutenzione straordinaria anche gli interventi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, a condizione che non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l'originaria destinazione.
Ciò posto, questa Corte ha affermato che
l'esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2, d.P.R. 06.06.2001 n. 380 (ora S.C.I.A.), allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l'applicazione della sanzione penale prevista dall'art. 44 lett. a), del citato d.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA (ora S.C.I.A.), ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall'art. 37 dello stesso decreto n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 41619 del 22/11/2006, Cariello, Rv. 235413; Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099).
Nel caso di specie, l'installazione del condizionatore d'aria è stata eseguita in violazione dell'art. 17 del regolamento edilizio comunale e senza la segnalazione di inizio di attività, sicché correttamente è stata ritenuta la violazione dell'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
3. Il terzo ed il quarto motivo di gravame attengono a questioni che sono state già proposte al giudice d'appello e sono state motivatamente respinte.
L'opera installata dalla ricorrente non rientrava, dunque, tra le attività edilizie libere ossia tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. Va quindi ricordato che, anche con riferimento a tali ultimi interventi, sono sempre fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali e comunque l'attività edilizia cd. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001).
Ne consegue che,
essendo stato l'intervento eseguito in zona nella quale era imposto il vincolo paesaggistico, l'esecuzione dell'opera era condizionata al rilascio del nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004 (manifesta infondatezza del terzo motivo).
Quanto al diniego dei benefici di legge, la Corte territoriale ha osservato, con congrua motivazione, che due precedenti condanne riportate dalla ricorrente rendevano infausta la prognosi relativa all'astensione dalla futura commissione di ulteriori reati (manifesta infondatezza del quarto motivo di gravame).
Va solo precisato come questa Corte abbia affermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione fondato, come nella specie, sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo ed altri, Rv. 260608) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 13.01.2015 n. 952).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 22, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 l’esecuzione di lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque subordinata, nonostante l’avvenuta presentazione di una DIA, al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative.
In assenza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la DIA non ha, dunque, effetto e l’intervento deve considerarsi eseguito in assenza di titolo.

Va invero osservato che, ai sensi dell’art. 22, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 l’esecuzione di lavori che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica o paesaggistica-ambientale, è comunque subordinata, nonostante l’avvenuta presentazione di una DIA, al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione richiesti dalle relative previsioni normative.
In assenza di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica la DIA non ha, dunque, effetto e l’intervento deve considerarsi eseguito in assenza di titolo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; TAR Campania Napoli, sez. III, 15.01.2013, n. 295; id., sez. VI, 10.01.2011, n. 35) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.07.2014 n. 2148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come ha definitivamente chiarito il legislatore, la DIA è un atto del privato e non è, quindi, possibile ipotizzare la formazione di un provvedimento tacito a seguito della sua presentazione, neppure dopo lo spirare del termine di esercizio del potere inibitorio (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della DIA aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano l’esercizio.
E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

20. Si può ora passare proprio all’esame del secondo motivo, con il quale la ricorrente deduce il mancato rispetto delle norme e dei principi che governano il potere di autotutela.
21. Ritiene il Collegio che il motivo sia fondato.
22. Come anticipato, l’amministrazione resistente, con provvedimento in data 01.10.2010, ha annullato il titolo edilizio formatosi a seguito della presentazione della DIA del 12.07.2010.
23. In realtà, l’atto impugnato non è intervenuto su un titolo edilizio giacché, come ha definitivamente chiarito il legislatore, la DIA è un atto del privato e non è, quindi, possibile ipotizzare la formazione di un provvedimento tacito a seguito della sua presentazione, neppure dopo lo spirare del termine di esercizio del potere inibitorio (cfr. art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990).
24. Ciononostante la giurisprudenza (che sulla natura della DIA aveva anticipato le conclusioni cui è poi giunto il legislatore) ritiene che, una volta spirato termine per l’esercizio del potere inibitorio, l’amministrazione possa ancora intervenire per contrastare l’attività edilizia non conforme alla vigente normativa, esercitando un potere di autotutela sui generis (sui generis proprio perché non ha ad oggetto un provvedimento di primo grado) che condivide con l’ordinario potere di autotutela i principi che ne governano l’esercizio (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
25. E’ pertanto indispensabile, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, che l’autorità amministrativa invii all’interessato la comunicazione di avviso di avvio del procedimento, che l’atto di autotutela intervenga a ragionevole distanza temporale, e che si dia conto in esso delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete ed attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
26. Ciò premesso, non ci si può esimere dall’osservare che il provvedimento impugnato non si è per nulla conformato a queste prescrizioni.
27. L’atto invero si limita ad enunciare le ragioni di illegittimità del titolo annullato (rectius dell’attività edilizia intrapresa) senza specificare in alcun modo le ragioni di interesse pubblico prevalenti rispetto a quelle contrastanti della ricorrente: il provvedimento si limita invero ad affermare “…la presenza di un interesse pubblico concreto ed attuale in relazione all’ambito particolare di tutela ambientale…”.
28. Tale enunciato è però del tutto inadeguato, considerato anche che il provvedimento impugnato è intervenuto a più di due anni di distanza dal momento di presentazione della DIA, quando i lavori erano pressoché ultimati, e che, quindi, in capo alla ricorrente si era ormai consolidato un fondato affidamento (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.05.2014 n. 1278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzate le regole garantistiche per l’esercizio dell’autotutela, tuttavia, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. resta inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –da ritenere prive di titolo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato d.P.R. n. 380 del 2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Viene anche chiarito, al comma 5 del medesimo articolo 23, che la “sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari”.
Tale disposizione conferma l’assunto secondo cui, anche aderendo alla tesi che attribuisce alla d.i.a. natura ‘privata’, esiste comunque un titolo abilitativo, che può considerarsi formato alla scadenza del termine previsto per l’inizio dei lavori, ma solo in presenza di tutti i presupposti di completezza e veridicità delle autocertificazioni, nonché degli altri documenti prescritti. A detto titolo abilitativo, ove regolarmente formato, corrisponde un legittimo affidamento dell’interessato, su cui l’Amministrazione può eventualmente incidere –ove dissenta sulla qualificazione dell’intervento– ma solo con le garanzie imposte all’esercizio della potestà di autotutela.
Le disposizioni sopra richiamate debbono essere coordinate con il pacifico indirizzo giurisprudenziale che identifica, dal punto di vista amministrativo, l’abuso edilizio come realizzazione ad effetti permanenti, in relazione ai quali l’Amministrazione, nel vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non può non disporre il ripristino dell’ordine urbanistico indebitamente violato, anche per manufatti risalenti nel tempo, ove realizzati senza il prescritto titolo abilitativo.
In tale contesto –se è stata ritenuta inefficace la d.i.a., presentata senza che fosse stato almeno richiesto la prescritta autorizzazione paesaggistica– a maggior ragione non può non ritenersi inefficace una d.i.a., che asseveri la conformità urbanistica di lavori, da effettuare su un immobile di cui non sia consentita la legittima permanenza sul territorio.
La regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dell’immobile interessato da nuovi interventi soggetti a d.i.a., in altre parole, deve considerarsi presupposto di veridicità e attendibilità della relazione del progettista abilitato, chiamato ad asseverare “la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati”, nonché l’assenza di “contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti”, oltre al “rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”: appare evidente infatti che le varie tipologie di interventi edilizi, diversi da quelli di nuova edificazione ed incidenti su immobili già realizzati, debbano avere come indefettibile presupposto il carattere non illegittimo di detti immobili.
Tale evidenza è rafforzata dalla possibilità di effettuare previa d.i.a., ex art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, “gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lettera c)”, ordinariamente soggetti a permesso di costruire ed implicanti –come specificato sia nel citato art. 10 che nell’art. 3, comma 1, lettera d), del medesimo d.P.R. n. 380 del 200 – “un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” anche con “aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti e delle superfici”, non esclusa la “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria” dell’edificio preesistente.
Ove la d.i.a. non fosse chiamata a certificare la legittimità dell’intervento nella dimensione più ampia, riferita anche alla regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile preesistente, potrebbero verificarsi situazioni paradossali facilmente intuibili, come in caso di edificazione, in base a d.i.a. (o s.c.i.a.), di un immobile di cui si postulasse la regolarità, in quanto realizzato al posto di un fabbricato abusivo demolito e fedelmente ricostruito, oppure (come nel caso di specie) in presenza della sopraelevazione di un edificio privo di titolo abilitativo, che verrebbe sostanzialmente sanato –con effetti sovrapposti alle disposizioni vigenti in materia (art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001)– ove l’Amministrazione ritenesse, in via di autotutela, non applicabili le misure repressive previste per detta sopraelevazione, con effetti che coinvolgerebbero inevitabilmente –di fatto paralizzandole– le misure repressive vincolate, imposte dall’ordinamento per l’immobile sottostante, con lesione dell’interesse pubblico alla doverosa salvaguardia dell’ordine del territorio.
In conclusione, queste nuove forme (basate sulla dichiarazione dell’interessato) di legittimazione all’intervento edilizio si fondano su esigenze di rapidità ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma non vi può corrispondere anche un’attenuazione dei controlli e delle misure sanzionatorie, che debbono essere anzi rafforzati grazie al coinvolgimento della responsabilità del professionista incaricato, che non può non fondare la propria valutazione di legittimità degli interventi “da effettuare” anche con riferimento alla verificata regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dell’immobile interessato dai lavori.
La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la dichiarazione di inefficacia di due denunce di inizio attività (d.i.a.) riferite a un capannone sul quale si intendevano eseguire lavori di ristrutturazione con sopraelevazione: lavori ritenuti non più legittimati –con conseguente ordine di demolizione– a causa della rilevata assenza di titolo abilitativo dell’immobile preesistente.
In materia di denuncia di inizio attività (d.i.a.), come disciplinata dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 –e con decorrenza 13.07.2011 anche dall’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, nel desto introdotto dall’art. 5d. l. 13.05.2011, n. 70, convertito dalla legge 12.07.2011, n. 106 (s.c.i.a.: segnalazione certificata di inizio attività)– in effetti, sussistono tuttora diversi indirizzi circa la sua natura giuridica e gli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia. 
In alcuni casi, in particolare, è stato ravvisata in esito alla procedura la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 05.04.2007, n. 1550; Cons. Stato, IV, 12.03.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811; Cons. Stato, II, 28.05.2010, parere n. 1990); in altri la d.i.a. è stata identificata come atto ‘privato’ di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica, resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del detto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli 21-quinquies e 21-novies della legge n. 241 del 1990 (cfr. in tal senso Cons. Stato, VI, 09.02.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751).
Le esigenze di protezione dell’affidamento del privato, cui sono finalizzate le regole garantistiche per l’esercizio dell’autotutela, tuttavia, richiedono la sussistenza di alcuni requisiti minimi, in assenza dei quali la d.i.a. resta inefficace, con conseguente sottoposizione delle opere realizzate –da ritenere prive di titolo– agli ordinari poteri repressivi dell’Amministrazione.
Detti requisiti sono precisati, oltre che nell’art. 22 sotto il profilo oggettivo, nell’art. 23 del citato d.P.R. n. 380 del 2001: al comma n. 1 di quest’ultimo, per quanto riguarda le modalità della domanda ed i requisiti soggettivi richiesti per la relativa presentazione, e nel comma 4 in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali. Viene anche chiarito, al comma 5 del medesimo articolo 23, che la “sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia, l’elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l’attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari”.
Tale disposizione conferma l’assunto secondo cui, anche aderendo alla tesi che attribuisce alla d.i.a. natura ‘privata’, esiste comunque un titolo abilitativo, che può considerarsi formato alla scadenza del termine previsto per l’inizio dei lavori, ma solo in presenza di tutti i presupposti di completezza e veridicità delle autocertificazioni, nonché degli altri documenti prescritti. A detto titolo abilitativo, ove regolarmente formato, corrisponde un legittimo affidamento dell’interessato, su cui l’Amministrazione può eventualmente incidere –ove dissenta sulla qualificazione dell’intervento– ma solo con le garanzie imposte all’esercizio della potestà di autotutela.
Le disposizioni sopra richiamate debbono essere coordinate con il pacifico indirizzo giurisprudenziale che identifica, dal punto di vista amministrativo, l’abuso edilizio come realizzazione ad effetti permanenti, in relazione ai quali l’Amministrazione, nel vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non può non disporre il ripristino dell’ordine urbanistico indebitamente violato, anche per manufatti risalenti nel tempo, ove realizzati senza il prescritto titolo abilitativo (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 11.04.2007, n. 1585, 27.12.2011, n. 6783 e 08.01.2013, n. 32; VI, 15.03.2007, n. 1255).
In tale contesto –se è stata ritenuta inefficace la d.i.a., presentata senza che fosse stato almeno richiesto la prescritta autorizzazione paesaggistica (Cons. Stato, VI, 20.11.2013, n. 5513)– a maggior ragione non può non ritenersi inefficace una d.i.a., che asseveri la conformità urbanistica di lavori, da effettuare su un immobile di cui non sia consentita la legittima permanenza sul territorio.
La regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dell’immobile interessato da nuovi interventi soggetti a d.i.a., in altre parole, deve considerarsi presupposto di veridicità e attendibilità della relazione del progettista abilitato, chiamato ad asseverare “la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati”, nonché l’assenza di “contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti”, oltre al “rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”: appare evidente infatti che le varie tipologie di interventi edilizi, diversi da quelli di nuova edificazione ed incidenti su immobili già realizzati, debbano avere come indefettibile presupposto il carattere non illegittimo di detti immobili.
Tale evidenza è rafforzata dalla possibilità di effettuare previa d.i.a., ex art. 22, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, “gli interventi di ristrutturazione di cui all’art. 10, comma 1, lettera c)”, ordinariamente soggetti a permesso di costruire ed implicanti –come specificato sia nel citato art. 10 che nell’art. 3, comma 1, lettera d), del medesimo d.P.R. n. 380 del 200 – “un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente” anche con “aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, dei prospetti e delle superfici”, non esclusa la “demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria” dell’edificio preesistente.
Ove la d.i.a. non fosse chiamata a certificare la legittimità dell’intervento nella dimensione più ampia, riferita anche alla regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile preesistente, potrebbero verificarsi situazioni paradossali facilmente intuibili, come in caso di edificazione, in base a d.i.a. (o s.c.i.a.), di un immobile di cui si postulasse la regolarità, in quanto realizzato al posto di un fabbricato abusivo demolito e fedelmente ricostruito, oppure (come nel caso di specie) in presenza della sopraelevazione di un edificio privo di titolo abilitativo, che verrebbe sostanzialmente sanato –con effetti sovrapposti alle disposizioni vigenti in materia (art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001)– ove l’Amministrazione ritenesse, in via di autotutela, non applicabili le misure repressive previste per detta sopraelevazione, con effetti che coinvolgerebbero inevitabilmente –di fatto paralizzandole– le misure repressive vincolate, imposte dall’ordinamento per l’immobile sottostante, con lesione dell’interesse pubblico alla doverosa salvaguardia dell’ordine del territorio.
In conclusione, queste nuove forme (basate sulla dichiarazione dell’interessato) di legittimazione all’intervento edilizio si fondano su esigenze di rapidità ed efficacia dell’azione amministrativa. Ma non vi può corrispondere anche un’attenuazione dei controlli e delle misure sanzionatorie, che debbono essere anzi rafforzati grazie al coinvolgimento della responsabilità del professionista incaricato, che non può non fondare la propria valutazione di legittimità degli interventi “da effettuare” anche con riferimento alla verificata regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, dell’immobile interessato dai lavori.
Nella situazione in esame, non è contestato che il fabbricato di cui si discute sia stato costruito fra il 1954 e il 1961, né che lo stesso ricadesse nel centro abitato, sulla base del P.R.G. di Firenze approvato con delibera del 29.12.1931, modificata con delibera n. 967 in data 08.05.1943. E’ anche pacifico che con la legge 06.08.1967, n. 765 (cosiddetta “legge-ponte”) sia stato soltanto esteso a tutto il territorio comunale quell’obbligo di titolo abilitativo, che per i centri urbani risultava introdotto dall’art. 31 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 e che, per le principali città-capoluogo, era già in precedenza previsto nei rispettivi regolamenti edilizi. La stessa appellante non contesta del resto l’assenza di un titolo abilitativo, necessario alla data di realizzazione del capannone di cui trattasi e –pur sottolineando l’avvenuta richiesta dell’autorizzazione e la possibilità di rilascio della stessa (condizionata solo all’acquisto della comunione su un muro)– conferma il mancato perfezionamento della licenza edilizia.
In tale situazione, ad avviso del Collegio, nessuna delle argomentazioni difensive prospettate dall’appellante può trovare accoglimento.
Col primo motivo di gravame, in particolare, vengono rappresentate ragioni riferite alla sopravvenuta normativa in materia di segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.), alla legge della Regione Toscana 03.01.2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio), approvata il 21.12.2004 e pubblicata sul BURT n. 2 del 12.01.2005 e alle successive modificazioni della stessa, nonché ad eccesso di potere sotto vari profili ed ulteriore violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990: il richiamo alle predette norme (in verità, senza considerazione del principio che impone di valutare la legittimità degli atti amministrativi in base alla normativa vigente alla data della relativa emanazione, o della formazione anche per silenzio-assenso) mira comunque a sottolineare una fondamentale distinzione fra gli interventi inibitori, posti in essere dall’Amministrazione nei trenta giorni successivi alla presentazione della d.i.a. (o s.c.i.a.) e –dato il carattere perentorio di tale termine– la possibilità di analoghi interventi successivi solo in base ai principi ed alle garanzie proprie per l’esercizio dell’autotutela (ovvero entro termini congrui e con discrezionale bilanciamento fra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l’interesse del privato, che abbia maturato un legittimo affidamento sulla regolarità delle opere edilizie realizzate).
Le argomentazioni in precedenza svolte, tuttavia, recepiscono un’impostazione totalmente diversa, che individua come elemento essenziale del titolo abilitativo tacito –di cui la relazione asseverata costituisce fattore probatorio, a norma del già ricordato art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001– la veridicità e l’attendibilità della relazione stessa, da riferire anche al fondamentale presupposto di non incidenza delle opere da realizzare su un manufatto abusivo, soggetto in ogni tempo (a meno di sanatoria) ai poteri repressivi vincolati dell’Amministrazione. L’incompletezza, o l’erroneità in fatto della citata relazione sul punto essenziale sopra indicato costituisce, ad avviso del Collegio, causa di nullità del titolo abilitativo in questione, a norma dell’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990, anche in assenza di dolo del professionista incaricato, come può verificarsi in vicende complesse, come quella attualmente in esame.
Nessuna delle normative, previgenti o successivamente intervenute, può precludere detta fattispecie di nullità, che trae le ragioni da principi basilari in materia di disciplina urbanistica.
Consegue a quanto sopra l’infondatezza delle ulteriori ragioni difensive rappresentate:
- la seconda, in quanto riferita alle modalità previste per documentare l’esistenza, o meno, del titolo abilitativo degli immobili di remota realizzazione (comunque senza che dette modalità possano coprire l’effettiva mancanza di titolo, ove positivamente accertata come nel caso di specie);
- la terza, poiché in parte relativa alla legittimità in sé dell’intervento ristrutturativo ed alla rilevata attivazione dei poteri repressivi del Comune solo per l’intervento dei proprietari limitrofi, mentre –come già illustrato– la conformità delle nuove opere alla disciplina urbanistico-edilizia ha carattere recessivo rispetto al carattere di illecito permanente, riconducibile all’immobile su cui dette opere dovrebbero essere effettuate; l’azione repressiva dell’Amministrazione comunale su impulso di privati cittadini, inoltre, risulta espressamente prevista dall’art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, mentre e la ricostruzione delle vicende, che hanno comportato il mancato perfezionamento della licenza edilizia, a suo tempo richiesta, non risulta sviluppata in termini tali, da escludere l’attuale carattere non autorizzato del manufatto, con le conseguenze in precedenza illustrate;
- la quarta censura (illegittimità dei provvedimenti sanzionatori, non adottati entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori) contrasta con il ricordato potere, non soggetto a limiti temporali, di repressione degli abusi edilizi ed è contraddetta da una consolidata giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 30.09.1983, n. 405);
- la quinta censura, riferita ad omessa comunicazione di avvio del procedimento, contrasta con il carattere vincolato del provvedimento, conseguente alla rilevata inefficacia della d.i.a., con applicabilità al riguardo dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, che esclude l’annullabilità per vizi di forma o del procedimento, quando il contenuto dell’atto non avrebbe potuto essere diverso;
- la sesta ed ultima censura riproduce in parte le argomentazioni della prima e non può che essere ritenuta infondata, per effetto della ritenuta insussistenza nella fattispecie dei presupposti per l’esercizio della potestà di autotutela dell’Amministrazione, in luogo dei provvedimenti repressivi vincolati, che l’Amministrazione stessa è tenuta ad adottare, in presenza di interventi edilizi senza titolo ed in mancanza di iniziative di sanatoria, nel caso di specie non evidenziate (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 24.03.2014 n. 1413 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’art. 23, comma 1, testo unico edilizia, dispone che la denuncia d’inizio di attività deve essere “accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.”.
È prescritto perciò con chiarezza che le opere che si intendono eseguire devono essere tutte specificate nella relazione del progettista; soltanto a questa è, infatti, attribuita la funzione specifica di asseverare la loro conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, non essendo quindi sufficiente che le opere siano rappresentate negli elaborati progettuali, se di esse non risulti attestata la detta conformità, sotto la formale responsabilità del progettista.
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Anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a. e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento.
L’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili modalità di cura dell’interesse pubblico affidato all’una od all’altra branca dell’amministrazione ed è espressione del principio di buon andamento, di cui all’art. 97, Cost..
Nella specifica materia dell’attività urbanistico-edilizia, un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati), vòlto ad assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, è affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001).

Neppure può essere accolta la contestazione (comune in particolare alle censure sub 2.b.1, 2 e 3) secondo cui la d.i.a. sarebbe valida anche riguardo a opere non asseverate nella relazione tecnica.
L’art. 23, comma 1, testo unico, dispone, infatti, che la denuncia d’inizio di attività deve essere “accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.”.
È prescritto perciò con chiarezza che le opere che si intendono eseguire devono essere tutte specificate nella relazione del progettista; soltanto a questa è, infatti, attribuita la funzione specifica di asseverare la loro conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia, non essendo quindi sufficiente che le opere siano rappresentate negli elaborati progettuali, se di esse non risulti attestata la detta conformità, sotto la formale responsabilità del progettista.
A questo riguardo il collegio non ritiene fondata la specifica, correlata doglianza per cui il primo giudice avrebbe ecceduto i limiti del giudizio, con esercizio di un potere di accertamento spettante all’amministrazione, nel momento in cui ha ritenuto la mancanza del titolo abilitativo per le opere di cui si tratta, non indicate nella relazione di asseverazione.
Agli atti del procedimento sono, infatti, acquisiti gli accertamenti tecnici eseguiti (n. 32187/2006 e n. 12184/2010) dai quali emerge con chiarezza che il presupposto per la valutazione di conformità delle opere in questione è la d.i.a. del 2005, con la conseguenza che, evidentemente, nessuna questione si sarebbe posta al riguardo se le opere fossero state tutte sin dall’inizio asseverate nella pertinente relazione.
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Non è fondata, infine, la deduzione per cui, decorso il termine per l’inibizione dell’esecuzione delle opere di cui all’art. 23, comma 6, cit. testo unico, l’amministrazione potrebbe soltanto agire in autotutela, non sanzionando gli abusi edilizi rilevati.
Questo Consiglio di Stato ha infatti chiarito al riguardo, con indirizzo da cui non vi è motivo di discostarsi per il caso all’esame, che “anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, l’amministrazione conserva il potere di verificare se le opere possono essere realizzate sulla base della d.i.a. e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento” (sez. IV, sent. 12.02.2010 n. 781), avendo specificato che “l’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili modalità di cura dell’interesse pubblico affidato all’una od all’altra branca dell’amministrazione ed è espressione del principio di buon andamento, di cui all’art. 97, Cost.”, e che “nella specifica materia dell’attività urbanistico-edilizia, un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati), vòlto ad assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, è affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001)” (sez. IV, sent. 25.11.2008 n. 5811)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.03.2014 n. 1084 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, La disciplina dell'immobile scolpita dal titolo abilitativo edilizio. Analisi degli effetti della c.d. super-DIA. Repetita iuvant (commento a TAR Liguria, n. 1581/2013) (18.02.2014 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, sussistono tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, circa la natura giuridica dell’istituto e degli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia.
In alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in esito alla procedura in questione la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento; in altre decisioni si identifica la DIA come atto privato di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli quinquies e nonies della legge n. 241/1990.
E’ riconosciuto dalla giurisprudenza, in ogni caso, l’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, in termini di comunicazione di avvio del procedimento e di motivata enunciazione di eventuali presupposti di inapplicabilità della DIA, anche a prescindere da un vero e proprio annullamento dell’assenso tacito, che si ritenesse in precedenza formato (purché in presenza di corretti requisiti formali dell’istanza: corrispondenza alle opere eseguite ed esibizione di altri atti di assenso eventualmente necessari, a norma dell’art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001).

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Ove ricorrano i principi dell’autotutela il provvedimento sanzionatorio –di norma vincolato– assume connotati discrezionali, connessi all’esigenza di bilanciamento fra gli interessi pubblici e privati coinvolti, nei termini oggi specificati nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
Un affidamento consolidato, in esito a DIA non resa oggetto di tempestiva contestazione, in altre parole, rende la comunicazione di avvio di cui trattasi non mero adempimento formale, ma atto prodromico dell’autotutela, da esercitare comunque con provvedimento motivato e non con mera applicazione della misura sanzionatoria.
Non si vede, pertanto, come detto fondamentale adempimento potesse considerarsi sostituito dalla mera presenza del diretto interessato al sopralluogo, non certo effettuato dall’organo competente a deliberare nei termini sopra specificati.

A diverse conclusioni si deve pervenire, poi, per quanto riguarda la recinzione e lo spargimento di brecciame.
Con riferimento alla recinzione, l’appellante ribadisce che l’intervento sarebbe stato preceduto, nel 2006 e nel 2008, da due denunce di inizio attività, in presenza delle quali le installazioni di cui trattasi non avrebbero potuto ritenersi abusive, con conseguente necessità che l’Amministrazione procedesse –prima di emettere eventuali provvedimenti repressivi– a rimuovere il titolo abilitativo, tacitamente formatosi, in via di autotutela. L’Amministrazione eccepisce, al riguardo, l’inammissibilità di “ius novorum” in appello. Detta eccezione è solo parzialmente condivisibile, in quanto la cesura di omessa comunicazione di avvio del procedimento, già prospettata in primo grado di giudizio (con entrambe le denunce di inizio attività depositate in atti), traeva solo da queste ultime ragione di fondatezza, risultando detta comunicazione non dovuta in presenza dei presupposti per l’emanazione di atti sanzionatori vincolati e dovuta, invece, per l’avvio di procedimenti in via di autotutela.
In materia di denuncia di inizio attività (DIA), come disciplinata dall’art. 22 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380, in effetti, sussistono tuttora diversi indirizzi giurisprudenziali, circa la natura giuridica dell’istituto e degli effetti del decorso del termine, che consente al dichiarante di effettuare gli interventi edilizi oggetto di denuncia.
In alcune pronunce, in particolare, si ravvisa in esito alla procedura in questione la formazione di un provvedimento tacito, abilitativo dell’intervento (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1474 e 25.11.2008, n. 5811; Cons. St., sez. II, 28.05.2010, parere n. 1990); in altre decisioni si identifica la DIA come atto privato di autocertificazione, che pur non costituendo espressione di potestà pubblicistica resta oggetto di poteri di controllo ed inibitori, anche dopo la scadenza del predetto termine, sempre comunque nel rispetto degli articoli quinquies e nonies della legge n. 241/1990 (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 09.02.2009, n. 717 e 14.11.2012, n. 5751).
E’ riconosciuto dalla giurisprudenza, in ogni caso, l’affidamento del privato, cui sono finalizzati i principi garantistici dell’autotutela, in termini di comunicazione di avvio del procedimento e di motivata enunciazione di eventuali presupposti di inapplicabilità della DIA, anche a prescindere da un vero e proprio annullamento dell’assenso tacito, che si ritenesse in precedenza formato (purché in presenza di corretti requisiti formali dell’istanza: corrispondenza alle opere eseguite ed esibizione di altri atti di assenso eventualmente necessari, a norma dell’art. 23, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001).
Nella situazione in esame, non risultando la sussistenza di vincoli, né comunque l’esigenza di altri preventivi pareri per la presentazione di denuncia di inizio attività, il Collegio ritiene che le caratteristiche delle opere –che appaiono peraltro di consistenza inferiore a quella segnalata nella sentenza in esame– non consentissero di considerare le denunce di inizio attività presentate “tamquam non essent”, con conseguente esigenza di previa comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, finalizzato alla rimozione degli effetti autorizzativi, conseguenti al decorso del termine prescritto.
Ove infatti ricorrano i principi dell’autotutela il provvedimento sanzionatorio –di norma vincolato– assume connotati discrezionali, connessi all’esigenza di bilanciamento fra gli interessi pubblici e privati coinvolti, nei termini oggi specificati nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990. Un affidamento consolidato, in esito a DIA non resa oggetto di tempestiva contestazione, in altre parole, rende la comunicazione di avvio di cui trattasi non mero adempimento formale, ma atto prodromico dell’autotutela, da esercitare comunque con provvedimento motivato e non con mera applicazione della misura sanzionatoria. Non si vede, pertanto, come detto fondamentale adempimento potesse considerarsi sostituito dalla mera presenza del diretto interessato al sopralluogo, non certo effettuato dall’organo competente a deliberare nei termini sopra specificati.
Non possono non rilevare, inoltre, le caratteristiche della recinzione di cui trattasi, oggettivamente diverse –come comprovato tramite perizia di parte e documentazione fotografica– da quelle che nella sentenza appellata avevano fatto dichiarare necessario il permesso di costruire: al posto della “recinzione in cemento armato alta 2 metri e 60 centimetri” è rilevabile, infatti, solo un muretto di altezza variabile fra metri 1,06 a metri 0,83, con sovrastante cancellata di non lieve consistenza, ma comunque distinta dall’opera muraria (con evidente possibilità che l’intervento, effettuato in base a titoli abilitativi taciti diversi, fosse ritenuto in tutto o almeno in parte –in termini da precisare in un provvedimento motivato– assoggettabile a DIA, sufficiente per delimitazioni dei confini non effettuate con opere di consistente entità, come confermato dalla giurisprudenza citata nella stessa sentenza appellata)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.02.2014 n. 532 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La disciplina nazionale dell’attività edilizia - Guida operativa 2013.
Sommario: 1. Premessa; 2. Lo sportello unico per l’edilizia (SUE); 3. l’attività edilizia libera; 3.1. L’attività edilizia totalmente libera; 3.2. L’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori; 4. L’attività edilizia soggetta a permesso di costruire; 4.1. Caratteristiche del permesso di costruire; 4.2. Efficacia temporale del permesso di costruire; 4.3. Onerosità del permesso di costruire; 4.4. Procedimento per il rilascio del permesso di costruire; 5. L’attività edilizia soggetta a S.C.I.A. o a super-D.I.A.; 5.1. L’ambito applicativo della S.C.I.A.; 5.2 L’ambito applicativo della super-D.I.A.; 5.3. La disciplina applicabile alla S.C.I.A. ed alla super-D.I.A.; 5.4. La S.C.I.A. e la super-D.I.A. e l’incidenza sulla commerciabilità dei fabbricati; 6. La demolizione e successiva ricostruzione; 7. La sanatoria ex lege delle difformità marginali; 8. L’agibilità; 8.1. La funzione del certificato di agibilità; 8.2. Il procedimento di rilascio del certificato di agibilità; 8.3. La dichiarazione di agibilità “parziale”; 8.4. La dichiarazione “alternativa” di conformità ed agibilità; 8.5. Il certificato di agibilità e riflessi sulla circolazione immobiliare; 9. Il piano nazionale per le città; 10. Il piano casa (Consiglio Nazionale del Notariato, studio 10.01.2014 n. 893-2013/C).

EDILIZIA PRIVATA: L’atto di autotutela appare doveroso e vincolato nella misura in cui si prende atto della mancanza della prescritta autorizzazione paesaggistica con conseguente inefficacia della D.I.A..
Va anzi detto, e sul punto non incidono le ricorrenti modifiche della normativa, che il mancato ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica ha impedito persino il perfezionamento della D.I.A. in oggetto con ulteriore conferma della doverosità dell’atto di cui si discute da cui, anzi, il Comune avrebbe potuto prescindere limitandosi a esercitare il proprio potere sanzionatorio.
La descritta doverosità dell’atto rende irrilevante la mancata partecipazione del ricorrente al procedimento per l’applicazione dell’ art. 21-octies L. 241/1990 (co. 2: «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»).

La terza censura è relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento volto all’adozione del presente atto di autotutela.
Sul punto, valgano due ordini di considerazioni.
In primo luogo, il ricorrente era stato messo in condizione di interloquire sulle circostanze poste alla base del provvedimento, in quanto con nota n. 195 del 07.01.2009, il Comune gli aveva richiesto di attivare la procedura per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica intimandogli, nel contempo, di sospendere i lavori.
In secondo luogo, l’atto di autotutela appare doveroso e vincolato nella misura in cui si prende atto della mancanza della prescritta autorizzazione paesaggistica con conseguente inefficacia della D.I.A.. Va anzi detto, e sul punto non incidono le ricorrenti modifiche della normativa, che il mancato ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica ha impedito persino il perfezionamento della D.I.A. in oggetto con ulteriore conferma della doverosità dell’atto di cui si discute da cui, anzi, il Comune avrebbe potuto prescindere limitandosi a esercitare il proprio potere sanzionatorio (sul punto, v. Consiglio di Stato sez. VI 05/04/2007 n. 1550; Cassazione penale sez. III 21/01/2010 n. 9255; TAR Napoli sez. VI 10/01/2011 n. 35; Cassazione penale sez. III 21/01/2010 n. 8739).
La descritta doverosità dell’atto rende irrilevante la mancata partecipazione del ricorrente al procedimento per l’applicazione dell’ art. 21-octies L. 241/1990 (co. 2: «non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato»)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 24.01.2014 n. 514 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge "sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati ".
La giurisprudenza amministrativa ha fissato precisi limiti per il legittimo esercizio del suindicato potere di autotutela, ritenendo che l'interesse pubblico specifico all'eliminazione dell'atto illegittimo non possa identificarsi, sic et simpliciter, nell'interesse al ripristino dell'ordine giuridico violato, ma debba essere individuato in relazione ad esigenze concrete ed attuali.
Invero, è stato affermato che "in tema di adozione di atti amministrativi, il potere di annullamento è immanente al potere di autotutela e ne condivide i limiti, con particolare riguardo all'obbligo di motivazione, alla presenza di concrete ragioni di pubblico interesse non riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità, alla valutazione dell'affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, al rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale, ivi compreso l'avviso di avvio del procedimento di ritiro, all'adeguata istruttoria”.
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Il recente arresto del Supremo Consesso amministrativo conferma come l’orientamento maggioritario in giurisprudenza inclini a ritenere che detto potere di autotutela al cospetto di una d.i.a. non si distingua, quanto ai presupposti applicativi, dall’autotutela in via generale prevista dalla legge generale sul procedimento amministrativo.
Invero, maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività dichiarata e l'esercizio, da parte della p.a., del potere inibitorio e/o di autotutela, e maggiore deve essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo, anche alla luce di quanto previsto espressamente dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990.
Analogamente, in applicazione del su richiamato disposto normativo, deve emergere dalla motivazione dell’atto la valutazione comparativa degli interessi in ipotesi in conflitto, di cui l’amministrazione deve dare conto.

Ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio dall'organo che lo ha emanato o da altro organo previsto dalla legge "sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati ".
La giurisprudenza amministrativa ha fissato precisi limiti per il legittimo esercizio del suindicato potere di autotutela, ritenendo che l'interesse pubblico specifico all'eliminazione dell'atto illegittimo non possa identificarsi, sic et simpliciter, nell'interesse al ripristino dell'ordine giuridico violato, ma debba essere individuato in relazione ad esigenze concrete ed attuali (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 21.12.2009, n. 8529, TAR Lazio, Latina, Sez. I, 02.02.2012, n. 64, per cui: "in tema di adozione di atti amministrativi, il potere di annullamento è immanente al potere di autotutela e ne condivide i limiti, con particolare riguardo all'obbligo di motivazione, alla presenza di concrete ragioni di pubblico interesse non riducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità, alla valutazione dell'affidamento delle parti private destinatarie del provvedimento oggetto di riesame, al rispetto delle regole del contraddittorio procedimentale, ivi compreso l'avviso di avvio del procedimento di ritiro, all'adeguata istruttoria.”; analogamente, cfr. ancora TAR Sicilia, Palermo, 11.01.2010, n. 235; TAR Veneto, Sez. II, 30.09.2010, n. 5242).
Con specifico riguardo alla fattispecie in esame va poi ulteriormente richiamato il recente arresto del Supremo Consesso amministrativo (cfr. Consiglio di Stato, IV sez., sent. 06.12.2013, n. 5822) che conferma come l’orientamento maggioritario in giurisprudenza inclini a ritenere che detto potere di autotutela al cospetto di una d.i.a. non si distingua, quanto ai presupposti applicativi, dall’autotutela in via generale prevista dalla legge generale sul procedimento amministrativo (cfr. anche TAR Toscana, Firenze, sez. II, sent. 24.08.2010, n. 4882, secondo cui maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività dichiarata e l'esercizio, da parte della p.a., del potere inibitorio e/o di autotutela, e maggiore deve essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo, anche alla luce di quanto previsto espressamente dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990).
Analogamente, in applicazione del su richiamato disposto normativo, deve emergere dalla motivazione dell’atto la valutazione comparativa degli interessi in ipotesi in conflitto, di cui l’amministrazione deve dare conto (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. III, 11.02.2008, n. 701).
Sennonché, avuto riguardo al provvedimento qui contestato, deve convenirsi con la difesa ricorrente in ordine alla mancanza, sia della rappresentazione di un interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dei titoli abilitativi formatisi a seguito della presentazione della dia del 01.04.2003, che in ordine alla valutazione dell’interesse del destinatario dell’atto medesimo.
Né si può poi ritenere, come adombra la difesa dell’amministrazione, che nel caso di specie alcuna dia si sarebbe perfezionata, a cagione della falsa attestazione da parte ricorrente della destinazione residenziale di una parte dell’immobile, attesa la sussistenza di un documento (cfr. allegato n. 3 di parte ricorrente) proveniente dalla stessa amministrazione in causa, che attesta la presenza, alla data del 05.04.1967, della destinazione ad uso abitazione di una parte, ivi meglio descritta, del ridetto immobile.
Ne consegue che non può parlarsi, qui, di esercizio di un potere sanzionatorio da parte comunale, esercitabile in ogni tempo siccome avulso dall’esercizio del potere di autotutela decisoria, non potendo il Comune disconoscere la presenza di un titolo edilizio (la dia del 2003 e ss. varianti) che lo stesso Comune, a ben vedere, ha contribuito a consolidare, non intervenendo nei termini prescritti e con i poteri inibitori all’uopo previsti.
Risulta, poi, inammissibile, alla stregua di motivazione “postuma” del provvedimento impugnato, l’ulteriore ragione, addotta in memoria da parte resistente a fondamento del proprio operato, che fa leva sulla circostanza che la nuova destinazione comporterebbe un aggravio del carico urbanistico di cui l’amministrazione non avrebbe tenuto conto ai fini del pagamento degli oneri di urbanizzazione e dello standard (in disparte, poi, la circostanza che si tratta di profili rispetto ai quali è indimostrata, da parte comunale, l’impossibilità di addivenire ad una regolarizzazione dei medesimi aspetti).
Per le suesposte considerazioni, quindi, assorbiti i mezzi non espressamente scrutinati, il ricorso in epigrafe specificato deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento con esso impugnato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.01.2014 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
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L'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia.
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Quando il privato ha parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione.

Come la Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138) le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6161 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi", le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti".
Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
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In linea generale, l'efficacia abilitativa alla realizzazione dell'intervento edilizio non è conseguente all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia.
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).

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In conseguenza del principio che precede, quando poi, come nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione.
Come la Sezione ha più volte avuto modo di ricordare, ai sensi del comma 6-ter dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 "Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi" (introdotto con l'articolo 6, co. 1°, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138), le denuncie di inizio attività "non costituiscono provvedimenti taciti". Il legislatore ha fatto dunque proprio l’avviso dell'Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 per cui "la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
In linea generale, l'efficacia abilitativa alla realizzazione dell'intervento edilizio non era conseguente all'iniziativa del privato ma alla giuridica possibilità di realizzare le opere.
Pertanto l'obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione deve essere agganciato non al tempo della presentazione della denuncia di inizio attività, ma al sorgere della giuridica possibilità di realizzare legittimamente l’intervento e quindi al momento dell’intervenuta efficacia della d.i.a. per decorso del termine o intervenuto accertamento della conformità alla disciplina urbanistica vigente.
La determinazione dell'importo dei contributi dovuti per le opere da realizzarsi è dunque connessa all'effettiva possibilità di effettuare l'intervento edilizio. Ciò, onde evitare l’insorgenza di un obbligo di pagamento anche nel caso in cui, nel termine di trenta giorni l'amministrazione intervenga con l'ordine motivato di blocco dei lavori, è dunque evidente che la determina dei contributi urbanistici deve essere effettuata tenendo conto dei parametri di calcolo in vigore al momento dell’operatività della detta denuncia (cfr. Cons. Stato Sez. IV 13.05.2010 n. 2922).
Fino al momento dell'attribuzione di efficacia, secondo momento di realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda procedimentale non è ancora conclusa, ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, (come nel caso di specie), o anche il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica).
In conseguenza del principio che precede, quando poi, come nel caso particolare, il privato abbia parcellizzato l’intervento attraverso uno stillicidio di molteplici DIA (nel caso ben cinque) tutte concernenti i medesimi spazi, è evidente che il contributo cui dovrà soggiacere non potrà che essere quello corrispondente all’assetto finale dell’immobile, onde evitare che una sapiente regia nella segmentazione dei lavori finisca per risolversi in un abuso del diritto in danno dell’Amministrazione.
Nel caso la terza DIA del 13.12.2005 si era perfezionata successivamente all’entrata in vigore -in data 01.01.2006- della determina dirigenziale n. 295/2005 per cui deve concludersi per la legittimità del computo del costo di costruzione di € 322,05 operato con riferimento alle tariffe in vigore al momento della formazione finale del titolo edilizio.
L’ultima DIA della società ricorrente è stata presentata, completa di tutti gli allegati e dei conteggi degli oneri, in data 21.12.2007 e quindi, allo scadere del termine di trenta giorni di cui al comma 1 dell'art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380. Pertanto il suo iter formativo si era concluso solo dopo l'intervenuta efficacia della delibera comunale.
Il motivo va dunque respinto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.12.2013 n. 6160 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' necessario distinguere due diverse evenienze:
a) se si è in presenza di opere realizzate in eccedenza o difformità rispetto alla d.i.a. presentata, le stesse possono essere fatte oggetto in ogni tempo, da parte dell’Amministrazione, di ordine si sospensione e di ripristino;
b) se invece le opere realizzate sono conformi alla denuncia presentata e sono state realizzate senza che l’Amministrazione si sia attivata nei termini per vietare la prosecuzione dell’attività e disporre la rimozione degli effetti, allora l’emanazione dei provvedimenti di rimessa in pristino deve essere necessariamente preceduta dall’adozione di un atto di autotutela, nel rispetto della garanzie sostanziali e procedimentali che assistono lo stesso, finalizzato alla eliminazione del titolo formatosi implicitamente con il decorso del termine di legge dalla presentazione della d.i.a. senza interventi inibitori.

... per l'annullamento del provvedimento del Comune di Monteriggioni Ordinanza n. 116 del 16.12.2010 notificata il 12.1.2011 con il quale è stata ordinata la demolizione delle seguenti opere realizzate nella superficie di terreno sita in Comune di Monteriggioni ed identificata al C.T. di detto comune al foglio n. 89 par.lle 1451, 1440,1457: Manufatto costituito da una gettata di cemento (o platea di cemento) delle dimensioni di m. 10 x 3 sulla quale è infissa e si eleva una struttura in ferro in forma di L che sorregge, ad una altezza dal suolo variabile dai m. 1,80 ai m. 2,00 una copertura in lamiera e plastica ondulina di pari dimensioni;
...
Con il secondo e terzo mezzo, che possono essere fatti oggetto di congiunta trattazione, parte ricorrente censura l’operato dell’Amministrazione, evidenziando che questa non poteva emettere l’ordinanza di demolizione, in presenza di titoli edilizi acquisiti con la presentazione delle varie d.i.a., senza prima procedere all’annullamento in autotutela dei titoli assentiti.
Le censure sono fondate.
Come la Sezione ha avuto più volte modo di evidenziare, è necessario distinguere due diverse evenienze:
a) se si è in presenza di opere realizzate in eccedenza o difformità rispetto alla d.i.a. presentata, le stesse possono essere fatte oggetto in ogni tempo, da parte dell’Amministrazione, di ordine si sospensione e di ripristino (in termini la sentenza della Sezione n. 806 del 2013, punto 16 della motivazione);
b) se invece le opere realizzate sono conformi alla denuncia presentata e sono state realizzate senza che l’Amministrazione si sia attivata nei termini per vietare la prosecuzione dell’attività e disporre la rimozione degli effetti, allora l’emanazione dei provvedimenti di rimessa in pristino (come quello gravato) deve essere necessariamente preceduta dall’adozione di un atto di autotutela, nel rispetto della garanzie sostanziali e procedimentali che assistono lo stesso, finalizzato alla eliminazione del titolo formatosi implicitamente con il decorso del termine di legge dalla presentazione della d.i.a. senza interventi inibitori (in termini le sentenze della Sezione n. 430 del 2009 e n. 1636 del 2013).
Nella specie l’Amministrazione non ha seguito la prima strada: infatti l’ordinanza gravata non motiva in alcun modo in punto di difformità tra opere denunziate e opere realizzate, cioè circa la difformità della platea di cemento realizzata rispetto alla soletta di cemento di cui alla d.i.a. del 2007 e non fornisce quindi la necessaria dimostrazione che gli interventi edilizi realizzati risultino diversi da quelli di cui alle d.i.a. presentate.
Né l’Amministrazione segue la seconda strada, perché l’ordine di demolizione qui gravato non risulta preceduto dalla procedura di autotutela volta a superare i titoli edilizi formatosi a fronte delle d.i.a. presentate e non inibite dall’Amministrazione nei termini di legge (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.12.2013 n. 1717 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine per l'esercizio del potere inibitorio di cui all’art. 23 del T.U. sull’Edilizia (ndr: 30 gg.) è perentorio, ma anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.

Come ha chiarito di recente l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. 29.07.2011, n. 15) il termine per l'esercizio del potere inibitorio di cui all’art. 23 del T.U. sull’Edilizia è perentorio, ma anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l'amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell'avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell'affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29.07.2011 n. 15
(TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 25.10.2013 n. 1132 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di edilizia, il potere inibitorio previsto dall'art. 23, comma 6, T.U. 06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di trenta giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d'autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell'Amministrazione comunale di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con provvedimento sanzionatorio di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.
Come di recente ripetuto (cfr. TAR Molise, 19.04.2013, n. 282), in tema di edilizia, il potere inibitorio previsto dall'art. 23, comma 6, T.U. 06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di trenta giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d'autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell'Amministrazione comunale di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con provvedimento sanzionatorio di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi (cfr. Cons. Stato, II Sezione, 17.10.2007 n. 1698, IV Sezione, 22.07.2005 n. 3916 e TAR Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n. 8707) (TAR Basilicata, sentenza 17.10.2013 n. 609 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALo jus aedificandi del privato, nei casi previsti dall’art. 22, t.u. dell’edilizia, non è subordinato ad un atto di assenso della pubblica amministrazione ma è legittimato direttamente dalla legge e condizionato all’attivazione di un «contatto necessario» con l’amministrazione che si realizza mediante la presentazione della d.i.a..
Segue da ciò che il decorso del termine previsto dalla legge a seguito della presentazione della d.i.a. non determina la formazione di un silenzio-assenso (o, comunque, di un consenso tacito) alla realizzazione dell’opera, ma vale sostanzialmente come termine utile per la verifica della regolarità dell’intervento edilizio che il denunciante intende intraprendere.
La caratteristica fondamentale della procedura abbreviata prevista per la d.i.a., infatti, è proprio quella di escludere la necessità di un titolo provvedimentale di legittimazione (anche implicito), residuando in capo all’amministrazione solamente un potere di verifica da esercitarsi nel termine massimo decadenziale previsto dalla legge, ma che non esclude i poteri generali di controllo sull’attività edilizia, una volta realizzata.

Il ricorso è infondato e va respinto.
In particolare :
   a) il ricorrente ha abusivamente trasformato i locali ad uso residenziale da locale lavatoio creando nuova volumetria residenziale;
   b) solo in data 17.05.2011 veniva presentata DIA per mutamento di destinazione d’uso a fini residenziali per le stesse opere già adibite a fini residenziali in epoca anteriore alla presentazione della DIA;
   c) sulla presunta formazione del silenzio assenso il Collegio ritiene di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale per cui lo jus aedificandi del privato, nei casi previsti dall’art. 22, t.u. dell’edilizia, non è subordinato ad un atto di assenso della pubblica amministrazione ma è legittimato direttamente dalla legge e condizionato all’attivazione di un «contatto necessario» con l’amministrazione che si realizza mediante la presentazione della d.i.a. (Cons. St., sez. V, 19.06.2006, n. 3586; Tar Lombardia, Milano, sez. II, 29.11.2007, n. 6519; id. 15.11.2007, n. 6461; Tar Liguria 22.01.2003, n. 113).
Segue da ciò che il decorso del termine previsto dalla legge a seguito della presentazione della d.i.a. non determina la formazione di un silenzio-assenso (o, comunque, di un consenso tacito) alla realizzazione dell’opera, ma vale sostanzialmente come termine utile per la verifica della regolarità dell’intervento edilizio che il denunciante intende intraprendere.
La caratteristica fondamentale della procedura abbreviata prevista per la d.i.a., infatti, è proprio quella di escludere la necessità di un titolo provvedimentale di legittimazione (anche implicito), residuando in capo all’amministrazione solamente un potere di verifica da esercitarsi nel termine massimo decadenziale previsto dalla legge (Tar Piemonte, sez. I, 04.05.2005, n. 1359), ma che non esclude i poteri generali di controllo sull’attività edilizia, una volta realizzata (TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 14.10.2013 n. 8822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARisulta maggioritaria la tesi che riconosce la natura dichiarativa della d.i.a., la quale, con specifico riferimento alla disciplina urbanistica è stata descritta da autorevole dottrina come un istituto che non dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita e che consiste in una dichiarazione del privato alla quale, sussistendo le richieste condizioni ed in assenza di un intervento inibitorio a carattere vincolato dell'amministrazione comunale, la legge riconosce gli effetti corrispondenti a quelli tipici del permesso di costruire e, cioè, l'abilitazione alla realizzazione delle opere progettate.
Il ventennale dibattito sulla natura giuridica della d.i.a. ha interessato, ovviamente, anche la giurisprudenza amministrativa, anch'essa caratterizzata da opinioni difformi, tanto che, come ricordato in ricorso, la questione è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la quale,
con articolata motivazione, ha escluso che la denuncia di inizio attività sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita e che dia luogo ad un titolo costitutivo, essendo, invece, un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Chiarisce l'Adunanza Plenaria, ponendosi in evidente sintonia con l'indirizzo dottrinario precedentemente ricordato, che «
il denunciante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela».
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La relazione di accompagnamento alla d.i.a. edilizia ne costituisce parte integrante ed essenziale ed ha natura di certificazione per quanto riguarda sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizia.
La richiamata decisione, oltre a riproporre orientamenti già consolidati, ha dunque chiarito, riproponendo le argomentazioni prospettate in una precedente pronuncia, che
la natura di certificazione deve essere riconosciuta anche alla parte progettuale della relazione allegata alla d.i.a., così superando precedenti posizioni difformi.
Va peraltro rilevato che la suddetta sentenza
individua chiaramente la d.i.a. come atto del privato che esclude la necessità di un titolo di legittimazione, rilevando che il potere di verifica dell'amministrazione «non è finalizzato all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilltà dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore».
Ciò posto, osserva il Collegio che
le conclusioni cui è pervenuta la sentenza 35795/2012 appaiono pienamente convincenti, in quanto frutto di un'accurata analisi della natura dell'istituto della d.i.a. edilizia e della normativa che la disciplina, all'esito della quale viene giustamente riconosciuta alla condotta del professionista abilitato una specifica rilevanza pubblicistica in ragione della assunzione di responsabilità cui è chiamato, in considerazione «del particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento».
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5. Il ricorso è solo in parte fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto corretta la qualificazione giuridica della condotta di alterazione della d.i.a. effettuata dal giudice di prime cure, riconoscendo la natura di atto pubblico della denuncia di inizio attività, rilevando che gli interventi ad essa soggetti s'intenderebbero autorizzati, decorso il termine di trenta giorni per formazione del silenzio-assenso, nell'ambito di quanto prospettato nella denuncia stessa, la quale assume la forma e la sostanza di atto autorizzatorio, assurgendo al rango di atto pubblico.
A sostegno di tale soluzione interpretativa i giudici del gravame richiamano una decisione di questa Corte emessa nel medesimo procedimento in ambito di incidente cautelare (Sez. V n. 35153, 17.05.2007, non massimata) ed escludono che possa ritenersi la natura privatistica della denuncia sulla base della sua provenienza in quanto, una volta uscita dalla sfera del privato e presentata allo sportello unico corredata dagli elaborati di progetto e della relazione di asseveramento, essa determina l'avvio di una sequenza procedimentale che, all'esito di positivi riscontri sulla sussistenza delle condizioni di legge da parte del responsabile dell'ufficio tecnico comunale, dà luogo ad un provvedimento implicito di assenso all'esecuzione dei lavori ed acquista rilievo pubblicistico, come emergerebbe anche dal tenore letterale dell'art. 23, comma 5, d.P.R. 380/2001, ove è stabilito che «la sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari».
La decisione di questa Corte richiamata nella sentenza impugnata giunge alle medesime conclusioni, affermando che la d.i.a. assume, in conseguenza del silenzio-assenso che viene a formarsi dopo trenta giorni dalla sua presentazione, la forma e la sostanza del provvedimento autorizzativo che l'autorità non ha emesso, assurgendo, così, al rango di atto pubblico.
Di diverso avviso è, invece il ricorrente, per le ragioni sintetizzate in premessa.
Assume conseguentemente rilievo determinante l'individuazione della natura giuridica della denuncia di inizio attività.
6. Come è noto, l'istituto della d.i.a. è stato introdotto dalla legge 07.08.1990, n. 241 ed è disciplinato dall'articolo 19 della legge medesima che ha subito, nel tempo, numerose modifiche, tra le quali va ricordata quella ad opera dell'articolo 49, comma 4-bis, della L. 122/2010 di conversione del d.l. 31.05.2010, n. 78, con il quale si è proceduto all'introduzione della S.C.I.A., segnalazione certificata di inizio attività (secondo l'interpretazione autentica dell'art. 19 legge 241/1990 fornita dal dl. 70/2011, convertito nella Legge 106/2011, le disposizioni in esso contenute si applicano alle d.i.a. in materia edilizia disciplinate dal Testo Unico, con esclusione dei casi in cui esse siano, in base alla normativa statale o regionale, alternative o sostitutive del permesso di costruire).
Si tratta, pertanto, di un istituto di carattere generale il quale prevede, salvo eccezioni espressamente indicate, che ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una dichiarazione (ora segnalazione) dell'interessato corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà, nonché dalle attestazioni ed asseverazioni richieste.
Per ciò che concerne la disciplina edilizia, la relativa procedura è regolata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R. 380/2001. Sulla base delle disposizioni richiamate,
restano attualmente soggetti a d.i.a. esclusivamente gli interventi edilizi eseguibili con d.i.a. alternativa o sostitutiva del permesso di costruire in base a leggi statali o regionali, mentre i richiami riguardanti le altre tipologie di interventi soggetti a d.i.a. devono ora intendersi riferiti alla s.c.i.a.
La particolarità dell'istituto della d.i.a. ha indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi, in più occasioni, sull'esatta qualificazione della sua natura giuridica, giungendo a conclusioni non univoche anche in considerazione del fatto che, strettamente correlata a tale questione, vi è anche quella della tutela del terzo.
7. In termini estremamente sintetici e generali, le due principali soluzioni adottate propendono una per la natura meramente dichiarativa della d.i.a., mentre l'altra attribuisce all'istituto una natura provvedimentale. Nel primo caso, quindi, si tratterebbe di una mera dichiarazione del privato alla quale la legge, in presenza di determinate condizioni, attribuisce la produzione di particolari effetti, mentre, nel secondo, la dichiarazione darebbe luogo alla formazione di un provvedimento tacito o implicito quale conseguenza del decorso del termine fissato per l'attività di verifica imposta alla RA.
Tra le due tesi
risulta maggioritaria quella che riconosce la natura dichiarativa della d.i.a., la quale, con specifico riferimento alla disciplina urbanistica è stata descritta da autorevole dottrina come un istituto che non dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita e che consiste in una dichiarazione del privato alla quale, sussistendo le richieste condizioni ed in assenza di un intervento inibitorio a carattere vincolato dell'amministrazione comunale, la legge riconosce gli effetti corrispondenti a quelli tipici del permesso di costruire e, cioè, l'abilitazione alla realizzazione delle opere progettate.
8. Il ventennale dibattito sulla natura giuridica della d.i.a. ha interessato, ovviamente, anche la giurisprudenza amministrativa, anch'essa caratterizzata da opinioni difformi, tanto che, come ricordato in ricorso, la questione è stata sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen. n. 15, 29.07.2011) la quale,
con articolata motivazione, ha escluso che la denuncia di inizio attività sia un provvedimento amministrativo a formazione tacita e che dia luogo ad un titolo costitutivo, essendo, invece, un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Chiarisce l'Adunanza Plenaria, ponendosi in evidente sintonia con l'indirizzo dottrinario precedentemente ricordato, che «
il denunciante è, infatti, titolare di una posizione soggettiva originaria, che rinviene il suo fondamento diretto ed immediato nella legge, sempre che ricorrano i presupposti normativi per l'esercizio dell'attività e purché la mancanza di tali presupposti non venga stigmatizzata dall'amministrazione con il potere di divieto da esercitare nel termine di legge, decorso il quale si consuma, in ragione dell'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, il potere vincolato di controllo con esito inibitorio e viene in rilievo il discrezionale potere di autotutela».
Nel confutare gli argomenti prospettati a sostegno dell'opposta tesi sulla natura provvedimentale della d.i.a., il Consiglio di Stato prende in esame anche la specifica disciplina urbanistica, indicata, per la sua peculiarità, come significativa, evidenziando che il titolo II del d.P.R. 380/2001 indica, tra i «titoli abilitativi», tanto la denunzia di inizio di attività quanto il permesso di costruire, gli artt. 22 e 23 considerano la d.i.a. come abilitante all'intervento edificatorio e, nell'art. 22, ne delineano l'ambito di operatività rispetto al permesso di costruire, mentre nell'art. 38, il comma 2-bis formula una sostanziale equiparazione tra l'accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo per gli interventi edilizi soggetti a d.i.a. e quelli eseguiti in base a permesso annullato e, infine, l'art. 39, comma 5-bis, consente l'annullamento straordinario della d.i.a. da parte della Regione, inducendo così a ritenere che la denuncia sia considerata dal legislatore come un titolo passibile di annullamento.
Tali evenienze non sono tuttavia considerate determinanti dal giudice amministrativo, il quale osserva che
un primo elemento ostativo all'accoglimento dell'opzione ermeneutica che riconosce alla d.i.a. natura provvedimentale quale conseguenza del silenzio-significativo con effetto autorizzatorio è dato dal fatto che essa eliminerebbe ogni differenza sostanziale tra la d.i.a. ed il silenzio-assenso, che la legge specificamente distingue anche nel caso della disciplina urbanistica, la quale differenzia il permesso di costruire perfezionatosi con il silenzio-assenso rispetto alla d.i.a. ed alla s.c.i.a..
Ulteriori elementi indicativi sono poi individuati, ad esempio, nel tenore letterale dell'art. 19 legge 241/1990, il quale sostituisce, in presenza di determinati presupposti, ogni autorizzazione, comunque denominata, con una dichiarazione del privato ad efficacia legittimante immediata o differita, così contrapponendo l'istituto della d.i.a. al provvedimento amministrativo di stampo autorizzatorio, mentre i dubbi sollevati per il fatto che la scelta tra autorizzazione preventiva e controllo successivo sia rimessa, nella materia edilizia alla normativa regionale o addirittura all'iniziativa del privato (il riferimento è all'art. 22 del d.P.R. 380/2001) vengono ritenuti fugati dall'indirizzo giurisprudenziale che riconosce la possibilità di tecniche di tutela efficaci ed adeguate anche in caso di configurazione della d.i.a. come modello di liberalizzazione.
9. Alla luce delle considerazioni sinteticamente richiamate
non vi è dunque motivo per porre in dubbio la natura meramente dichiarativa della d.i.a. e, tenendo conto di tale scelta interpretativa già maggioritaria ed ormai avallata dall'autorevole intervento del giudice amministrativo, occorre rilevare quali conseguenze penali derivino in casi quale quello preso in considerazione nella sentenza impugnata.
Va osservato, a tale proposito, che l'art. 21, comma 2, legge 241/1990 specifica che con la denuncia o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e che, in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni, il dichiarante è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la sanzione prevista dell'articolo 483 cod. pen.
Il riferimento, come è dato desumere dal tenore letterale della disposizione, riguarda chiaramente la dichiarazione del privato e non anche la documentazione che necessariamente l'accompagna e che, per quanto riguarda la disciplina urbanistica, è costituita, in base a quanto stabilito dall'art. 23, comma 1, del Testo Unico, dagli elaborati progettuali e dalla relazione di asseverazione del professionista abilitato, rispetto alla quale il comma 6 del medesimo articolo ribadisce, in caso di falsità, l'obbligo di denuncia, già previsto in linea generale dall'art. 331 cod. proc. pen., prevedendo anche quello di informazione del consiglio dell'ordine di appartenenza.
L'art. 29, comma 3, del medesimo T.U. stabilisce inoltre che, per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen., ricordando, ancora una volta, l'obbligo di segnalazione in caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'articolo 23, comma 1.
10. Sul tema la giurisprudenza di questa Corte si è ripetutamente pronunciata, elaborando, in più occasioni, principi che sono stati ribaditi anche recentemente (Sez. III n. 35795, 17.04.2012, cui si rinvia anche per i puntuali richiami ai precedenti) ricordando che
la relazione di accompagnamento alla d.i.a. edilizia ne costituisce parte integrante ed essenziale ed ha natura di certificazione per quanto riguarda sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizia.
La richiamata decisione, oltre a riproporre orientamenti già consolidati, ha dunque chiarito, riproponendo le argomentazioni prospettate in una precedente pronuncia (Sez. III n. 23072, 08.06.2011, non massimata), che
la natura di certificazione deve essere riconosciuta anche alla parte progettuale della relazione allegata alla d.i.a., così superando precedenti posizioni difformi.
Va peraltro rilevato che la suddetta sentenza
individua chiaramente la d.i.a. come atto del privato che esclude la necessità di un titolo di legittimazione, rilevando che il potere di verifica dell'amministrazione «non è finalizzato all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilltà dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore».
11. Ciò posto, osserva il Collegio che
le conclusioni cui è pervenuta la sentenza 35795/2012 appaiono pienamente convincenti, in quanto frutto di un'accurata analisi della natura dell'istituto della d.i.a. edilizia e della normativa che la disciplina, all'esito della quale viene giustamente riconosciuta alla condotta del professionista abilitato una specifica rilevanza pubblicistica in ragione della assunzione di responsabilità cui è chiamato, in considerazione «del particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento».
La vicenda esaminata nella sentenza impugnata riguarda la materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già presentata.
Una simile condotta, ad avviso del Collegio, una volta esclusa la natura provvedimentale della d.i.a. non può configurare il delitto di cui all'art. 476 cod. pen., in quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati progettuali aventi valore di certificazione che ne costituiscono parte integrante. Va peraltro osservato che la decisione di questa Corte richiamata dai giudici del gravame ed emessa nell'ambito del medesimo procedimento (Sez. V n. 35153/2007, cit.) non assume alcun rilievo determinante, in quanto le conclusioni cui perviene si fondano sull'ormai minoritario indirizzo interpretativo confutato dal giudice amministrativo e sul richiamo ad altra decisione (Sez. V n. 8684, 26.02.2004) che riguarda, però, questione in parte diversa (modifica, ad opera di funzionari comunali, di domande di condono e sostituzione della documentazione allegata).
La riconducibilità delle condotte contestate all'ipotesi di cui all'art. 476 cod. pen. veniva infatti ritenuta, in quel caso, per il fatto che i documenti presentati dal privato, venendo recepiti dall'amministrazione, ricevono un contenuto aggiuntivo per effetto delle successive integrazioni di fonte pubblicistica e per tale nuovo profilo, che presenta indubbia autonomia funzionale, sono qualificabili come atti pubblici, ma nel caso esaminato l'elemento qualificante era rappresentato dall'apposizione del timbro del protocollo e sul conseguente rilievo assunto dalla soppressione della documentazione ove lo stesso era stato apposto.
La stessa sentenza, inoltre, afferma testualmente che «è fuor di dubbio che una scrittura privata o un altro documento, non costituente "ab origine" atto pubblico, non possa essere considerato tale in virtù del collegamento funzionale con l'atto cui esso mette o concorre a mettere capo ovvero assuma natura di atto pubblico, quasi che subisca una mutazione genetica, per il solo fatto che venga consegnato alla pubblica amministrazione, per effetto dell'inserimento di esso in una "pratica" il cui esito è costituito da un determinato provvedimento».
Deve dunque rilevarsi che, nella fattispecie, la materiale alterazione della d.i.a. mediante l'aggiunta manoscritta di una frase indicante lavori diversi da quelli originariamente dichiarati riguarderebbe, per quanto è dato desumere dal tenore del provvedimento impugnato, la sola descrizione dell'intervento, non viene tuttavia chiarito se l'intervento modificativo del testo abbia interessato parti del documento aventi, come si è detto in precedenza, valore di certificazione cosicché, esclusa la configurabilità del falso in atto pubblico di cui all'art. 476 cod. pen., si rende necessario l'annullamento dell'impugnata decisione sul punto affinché il giudice del rinvio, accertato preliminarmente in fatto, attraverso il diretto esame della d.i.a. e della documentazione che ne costituisce parte integrante, nella parte descrittiva delle opere da realizzare, qualifichi diversamente la condotta contestata alla luce dei principi in precedenza richiamati.
Il primo motivo di ricorso è dunque fondato e l'accoglimento del motivo consente di ritenere assorbita la questione prospettata nel secondo motivo di ricorso (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2013 n. 41480 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilevanza penale della materiale aggiunta di un testo su d.i.a. già presentata.
La materiale aggiunta di un testo sulla d.i.a. già presentata, esclusa la sua natura provvedimentale, non può configurare il delitto di cui all'art. 476 cod. pen., in quanto il deposito presso l'ufficio competente a riceverla non le attribuisce natura di atto pubblico, mantenendo essa l'originaria caratteristica di mera dichiarazione corredata dalla relazione di asseverazione e dagli elaborati progettuali aventi valore di certificazione che ne costituiscono parte integrante e l'alterazione dei quali assume, invece, diversa rilevanza penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.10.2013 n. 41480 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Reato di falsità ideologica in certificati (DIA).
Integra il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.), non solo la falsificazione della dichiarazione di inizio attività, ma anche quella riguardante la relazione di accompagnamento alla stessa, avendo essa natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, alla rappresentazione delle opere che si intende realizzare e all’attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 04.10.2013 n. 40975 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La denuncia di inizio attività, in quanto mero atto del privato, non costituisce titolo amministrativo: l’attività edilizia, realizzabile a seguito di denuncia, è attività completamente liberalizzata cui si correla un potere di controllo dell’Amministrazione, la quale può intervenire per inibirla o rimuoverne gli effetti qualora accerti il suo contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente.
Si distingue, pertanto, fra potere inibitorio, esercitabile nel breve termine previsto dalla legge, decorrente dal momento di presentazione della denunzia (il quale presuppone unicamente il mero accertamento della non compatibilità urbanistico–edilizia dell’intervento), e potere di “autotutela” che può essere invece esercitato senza limiti temporali prestabiliti (e che presuppone accertamenti più complessi).
Si tratta in realtà di un potere di “autotutela” sui generis in quanto, come detto, non incidente su un precedente provvedimento amministrativo. Tale potere tuttavia condivide con il classico potere di autotutela le regole di disciplina sostanziali e procedurali; sicché il suo esercizio presuppone:
a) l’avvio di un nuovo procedimento e, di conseguenza, la comunicazione agli interessati dell’avviso di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990;
B) lo svolgimento di un’attività di comparazione fra interesse pubblico, volto alla ripristino dello status quo ante, e interesse del privato, teso invece a conservare l’intervento, al fine di stabilire se effettivamente il primo prevalga sul secondo (il potere non è dunque attivabile al mero fine di ripristinare la legalità violata).
Queste regole, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale ed oggi codificate nell’art. 21-nonies, primo comma, della legge 07.08.1990 n. 241, hanno la finalità di tutelare l’affidamento ingenerato nel destinatario del titolo il quale, confidando nella legittimità di quest’ultimo, vi abbia in buona fede dato esecuzione.

Dopo iniziali incertezze, è ormai opinione pacifica in giurisprudenza quella secondo la quale la denuncia di inizio attività, in quanto mero atto del privato, non costituisce titolo amministrativo: l’attività edilizia, realizzabile a seguito di denuncia, è attività completamente liberalizzata cui si correla un potere di controllo dell’Amministrazione, la quale può intervenire per inibirla o rimuoverne gli effetti qualora accerti il suo contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente (cfr. Consiglio di Stato, ad. plen. 29.07.2011 n. 15).
Si distingue, pertanto, fra potere inibitorio, esercitabile nel breve termine previsto dalla legge, decorrente dal momento di presentazione della denunzia (il quale presuppone unicamente il mero accertamento della non compatibilità urbanistico–edilizia dell’intervento), e potere di “autotutela” che può essere invece esercitato senza limiti temporali prestabiliti (e che, come vedremo, presuppone accertamenti più complessi).
Si tratta in realtà di un potere di “autotutelasui generis in quanto, come detto, non incidente su un precedente provvedimento amministrativo. Tale potere tuttavia condivide con il classico potere di autotutela le regole di disciplina sostanziali e procedurali; sicché il suo esercizio presuppone:
a) l’avvio di un nuovo procedimento e, di conseguenza, la comunicazione agli interessati dell’avviso di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990;
B) lo svolgimento di un’attività di comparazione fra interesse pubblico, volto alla ripristino dello status quo ante, e interesse del privato, teso invece a conservare l’intervento, al fine di stabilire se effettivamente il primo prevalga sul secondo (il potere non è dunque attivabile al mero fine di ripristinare la legalità violata).
Queste regole, frutto dell’elaborazione giurisprudenziale ed oggi codificate nell’art. 21-nonies, primo comma, della legge 07.08.1990 n. 241, hanno la finalità di tutelare l’affidamento ingenerato nel destinatario del titolo il quale, confidando nella legittimità di quest’ultimo, vi abbia in buona fede dato esecuzione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.09.2013 n. 2213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Tribunale ritiene che l’adozione dell’ordinanza di demolizione impugnata dovesse essere necessariamente preceduta dall’annullamento, in autotutela, del titolo edilizio, silentemente formatosi in relazione alla suddetta denunzia d’inizio d’attività, in assenza dell’esercizio, da parte del Comune, del potere inibitorio, nel termine previsto dalla legge.
Per tale soluzione, cfr. la massima che segue: “E` legittimo l’ordine di demolizione di un’opera edilizia, adottato (ai sensi dell’art 35, comma 1, d.lgs. n. 380/2001) da un ente locale a tutela del patrimonio pubblico, avendo preliminarmente annullato, in autotutela, gli effetti della d.i.a., sulla quale si è impropriamente formato il silenzio-assenso a causa dell’assenza del presupposto della disponibilità dell’area: anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, infatti, l’amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri di espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca (art. 35, comma 3, d.lgs. 380/2001)”.
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Ritiene il Tribunale che, prima di sanzionare con la demolizione l’edificazione delle opere descritte in epigrafe, il Comune avrebbe dovuto necessariamente eliminare l’ostacolo giuridico (rispetto all’ordine di demolizione) costituito dall’avvenuto consolidamento del titolo edilizio “per silentium”, e per fare ciò (trattandosi di provvedimento di secondo grado, incidente su un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del ricorrente) avrebbe dovuto inderogabilmente rispettare le garanzie partecipative, previste dall’art. 7 della l. 241/1990, onde porre l’interessato in condizione d’interloquire al riguardo (in primis, evidentemente, proprio circa l’asserita –dal medesimo– non demanialità dell’area, oggetto d’intervento).
In senso conforme a quello sopra prospettato s’è espressa, del resto, la massima seguente: “Un esplicito riconoscimento della natura provvedimentale della d.i.a. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19 l. n. 241 del 1990 (con l’art. 3 d. l. 14.03.2005 n. 35, conv. dalla l. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a. il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies; pertanto, una volta formatosi il titolo edilizio della d.i.a., l’intervento dell’amministrazione può essere giustificato soltanto nell’ambito di in procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di avvio di procedimento all’interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al procedimento”.

Carattere dirimente, con assorbimento d’ogni altra doglianza, riveste la considerazione della censura sub 2), nell’ambito della quale il ricorrente ha denunziato quanto segue: “Ciò che, ad ogni modo, più propriamente rileva è che le opere di specie sono state realizzate in forza di d.i.a. acquisita al protocollo comunale in data 26.04.1997 al n. 3588, decorso il termine di legge senza che il responsabile del competente ufficio comunale abbia notificato l’ordine di non effettuare l’intervento”.
In presenza, infatti, della documentazione, prodotta da parte ricorrente, comprovante il deposito della d.i.a. in oggetto; tenuto conto del decorso di oltre nove mesi tra la data di deposito della suddetta denunzia e l’ordinanza di demolizione gravata; considerato, infine, che nessun chiarimento è stato fornito, dall’Ufficio Tecnico Comunale (nonostante l’ordine istruttorio impartito dal Collegio) circa “la relazione, intercorrente tra le opere realizzate e quelle, di cui alla d.i.a. presentata nel 2007”, tale eventualmente da corroborare l’ipotesi di una discordanza tra le opere in questione (dovendosi di conseguenza accettare, per il principio di non contestazione, l’affermazione di parte ricorrente, circa l’identità delle stesse); il Tribunale ritiene che l’adozione dell’ordinanza di demolizione impugnata dovesse essere necessariamente preceduta dall’annullamento, in autotutela, del titolo edilizio, silentemente formatosi in relazione alla suddetta denunzia d’inizio d’attività, in assenza dell’esercizio, da parte del Comune di Vibonati, del potere inibitorio, nel termine previsto dalla legge.
Per tale soluzione, cfr. la massima che segue: “E` legittimo l’ordine di demolizione di un’opera edilizia, adottato (ai sensi dell’art 35, comma 1, d.lgs. n. 380/2001) da un ente locale a tutela del patrimonio pubblico, avendo preliminarmente annullato, in autotutela, gli effetti della d.i.a., sulla quale si è impropriamente formato il silenzio assenso a causa dell’assenza del presupposto della disponibilità dell’area: anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, infatti, l’amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri di espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca (art. 35, comma 3, d.lgs. 380/2001)” (TAR Lombardia–Brescia – Sez. II, 03.09.2012, n. 1495).
Fermo restando, quindi, che anche nella specie l’Amministrazione conservava intatti, pur dopo il decorso del termine di legge per inibire l’intervento in questione (a seguito della presentazione della d.i.a.), i propri poteri di agire in autotutela, trattandosi di edificazione in area, qualificata come demaniale (in disparte ogni contestazione di parte ricorrente al riguardo) (rispetto alla quale tipologia di opere s’è affermato: “L’art. 35, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, che disciplina gli “interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici”, dispone che qualora sia accertata la realizzazione di interventi in assenza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dai medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, debba essere ordinata al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi. Tale disciplina, differente rispetto a quella ordinaria dettata dall’art. 31 del t. u. dell’edilizia e che non prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, trova la sua giustificazione nella peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici” – TAR Abruzzo–Pescara – Sez. I, 14.01.2010, n. 23), ritiene il Tribunale che peraltro, prima di sanzionare con la demolizione l’edificazione delle opere descritte in epigrafe, il Comune avrebbe dovuto necessariamente eliminare l’ostacolo giuridico (rispetto all’ordine di demolizione) costituito dall’avvenuto consolidamento del titolo edilizio “per silentium”, e per fare ciò (trattandosi di provvedimento di secondo grado, incidente su un provvedimento ampliativo della sfera giuridica del ricorrente) avrebbe dovuto inderogabilmente rispettare le garanzie partecipative, previste dall’art. 7 della l. 241/1990, onde porre l’interessato in condizione d’interloquire al riguardo (in primis, evidentemente, proprio circa l’asserita –dal medesimo– non demanialità dell’area, oggetto d’intervento).
In senso conforme a quello sopra prospettato s’è espressa, del resto, la massima seguente: “Un esplicito riconoscimento della natura provvedimentale della d.i.a. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19 l. n. 241 del 1990 (con l’art. 3 d. l. 14.03.2005 n. 35, conv. dalla l. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a. il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies; pertanto, una volta formatosi il titolo edilizio della d.i.a., l’intervento dell’amministrazione può essere giustificato soltanto nell’ambito di in procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990, previo avviso di avvio di procedimento all’interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell’ambito della partecipazione al procedimento” (TAR Lazio–Roma – Sez. II, 02.02.2010, n. 1408)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 06.09.2013 n. 1820 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARISTRUTTURAZIONI/ Dia salva dai rincari. L'urbanizzazione alla data dell'istanza.
Se il Comune aumenta gli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi, non può farne le spese chi ha già presentato la Dia per ristrutturare l'immobile.

È quanto emerge dalla sentenza 13.05.2013 n. 2593, pubblicata dalla IV Sez. del Consiglio di Stato, che rovescia la sentenza del Tar Lombardia.
Tempus regit actum
L'amministrazione deve restituire la somma cautelativamente versata dall'azienda «a seguito di illegittima richiesta», ma evita il risarcimento del danno grazie alla buona fede: l'ente locale ha aderito all'orientamento interpretativo prevalente al momento in cui il consiglio comunale ha deliberato il rincaro.
Il punto è che la Dia costituisce in pratica un'autocertificazione con cui il privato attesta che al momento della dichiarazione sussistono le condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento: sulla denuncia la pubblica amministrazione svolge poi un'eventuale attività di controllo; si può allora ben comprendere come l'attività di verifica dell'ente debba avere come esclusivo riferimento la normativa vigente al momento della presentazione dell'istanza e non la normativa sopravvenuta. Che dunque diventa irrilevante, compreso il caso del rincaro degli oneri.
Legittimo affidamento
Va detto poi che deve essere tutelato il legittimo affidamento del privato che deve poter programmare la sua attività economica con un minimo di certezza: passa dunque la tesi dell'azienda che fa i lavori all'immobile laddove sostiene che la determinazione dei contributi urbanistici da parte dell'amministrazione costituisce un'attività di tipo «paritetico e non autoritativo»; insomma: è evidente che in caso di rideterminazione o modifica unilaterale dell'onere dovuto la pubblica amministrazione non può limitarsi ad emettere un atto sostitutivo.
L'amministrazione può avere titolo a rideterminare l'importo soltanto se il precedente conteggio è stato frutto di un errore essenziale e riconoscibile ai sensi dell'articolo 1427 cc e seguenti. Pesa a favore dell'impresa il principio generale di tutela dell'affidamento dei privati, che è considerato un canone incluso nell'ordinamento giuridico comunitario. Spese compensate dei due gradi di giudizio a causa della giurisprudenza oscillante (articolo ItaliaOggi Sette del 26.08.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Anche per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001.
Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni ex art. 36, comma 3.

Sempre in via preliminare, va rilevato che i provvedimenti impugnati sono stati emanati nei termini legali, atteso che anche per le domande di SCIA in sanatoria si applica il termine di 60 giorni, prescritto dall’art. 36, comma 3, DPR n. 380/2001. Infatti il co. 1 dello stesso art. 36 comprende nel proprio ambito oggettivo solo gli interventi realizzati “in assenza di DIA” (ora SCIA) “nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 3, o in difformità da essa” (cioè gli interventi sottoposti a DIA in alternativa al permesso di costruire), e quindi il termine di 30 giorni, previsto dall’art. 23 DPR n. 380/2001, si applica soltanto per l’esercizio del controllo inibitorio, cioè soltanto nel caso di SCIA, presentata prima dell’inizio dei lavori.
E poiché l’art. 37 DPR n. 380/2001, che disciplina la SCIA in sanatoria, non prevede espressamente un termine per la pronuncia sull’istanza di sanatoria, deve ritenersi applicabile analogicamente il predetto termine di 60 giorni ex art. 36, comma 3
(TAR Basilicata, sentenza 21.06.2013 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: La normativa consente alla amministrazione comunale di inibire l’attività edilizia prevista dalla d.i.a. entro il termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione di quest’ultima.
Ora, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 241/1990, una simile misura interdittiva, per la sua natura recettizia, acquista efficacia con la sua comunicazione al destinatario e deve, quindi, considerarsi tempestivamente e legittimamente attuata, unicamente se, prima della maturazione del richiamato termine perentorio di 30 giorni, essa sia stata non solo adottata, ma anche notificata.
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Evocando l'autotutela (e, in particolare, l'annullamento d'ufficio), il legislatore … ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di 30 giorni per l'esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia della consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo … il riferimento agli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990 … consente alla pubblica amministrazione di esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento … in questo senso, deve ritenersi che il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies vada riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, nell'osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme … in tal modo, il legislatore, nel recepire l'orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla pubblica amministrazione di un potere residuale di intervento anche dopo la scadenza dl termine, si fa pure carico di tutelare l'affidamento che può essere maturato in capo al privato per effetto del decorso del tempo.
Non vi è dubbio, invero, che la d.i.a., pur essendo un atto che proviene da un privato, sia comunque suscettibile, a causa del decorso del tempo e del mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione, di consolidare, analogamente a quanto potrebbe fare un provvedimento espresso, un affidamento meritevole di protezione … tale affidamento non è certamente così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da parte della pubblica amministrazione, anche perché altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che deriva del provvedimento autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto rimosso in via di autotutela) … ed allora, superando anche i dubbi interpretativi in passato da qualcuno sollevati circa l'esistenza di un residuo potere di intervento da parte della pubblica amministrazione una volta scaduto il termine perentorio di 30 giorni, la l. n. 80/2005, nel riformulare l'art. 19 della l. n. 241/1990, ha precisato che la pubblica amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività ed ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio … lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l'esercizio del potere di autotutela (in particolare dell'annullamento d'ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
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Ai sensi dell’art. 23, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, la d.i.a. può essere presentata da chiunque, non solo essendo proprietario dell’immobile, ma anche vantando altro idoneo titolo di legittimazione, ossia la disponibilità giuridicamente qualificata dello stesso, abbia la facoltà di eseguire i lavori progettati.
Oltre al proprietario dell’immobile interessato dalle opere progettate, possono, cioè, invocare il rilascio del permesso di costruire, i titolari di diritti reali di godimento sullo stesso ovvero di obbligazioni, che accordino la disponibilità del fondo e il relativo ius aedificandi, così da legittimarli, nei confronti sia dell’autorità competente sia dei proprietari, ad eseguire le divisate trasformazioni urbanistico-edilizie del suolo.

Ciò premesso, occorre qui rammentare che, a norma dell’art. 23, commi 1 e 6, del d.p.r. n. 380/2001, “il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie … il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento”.
La disciplina dianzi riportata –previgente alle innovazioni apportate all’art. 19 della l. n. 241/1990 dall’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, ed applicabile, ratione temporis, alla fattispecie dedotta in giudizio– consente, dunque, alla competente amministrazione comunale di inibire l’attività edilizia prevista dalla d.i.a. entro il termine perentorio (cfr. TAR Abruzzo, L’Aquila, 08.06.2005, n. 433; TAR Campania, Napoli, sez. II, 27.06.2005, n. 8707) di 30 giorni dalla presentazione di quest’ultima.
Ora, ai sensi dell’art. 21-bis della l. n. 241/1990, una simile misura interdittiva, per la sua natura recettizia, acquista efficacia con la sua comunicazione al destinatario e deve, quindi, considerarsi tempestivamente e legittimamente attuata, unicamente se, prima della maturazione del richiamato termine perentorio di 30 giorni, essa sia stata non solo adottata, ma anche notificata (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. II, 27.06.2005, n. 8707; 11.04.2008, n. 2093; TAR Liguria, Genova, sez. I, 02.11.2011, n. 1511).
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In proposito, giova rammentare l’arresto di Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 717: “evocando l'autotutela (e, in particolare, l'annullamento d'ufficio), il legislatore … ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di 30 giorni per l'esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia della consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un'attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo … il riferimento agli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990 … consente alla pubblica amministrazione di esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volontà dell'amministrazione, ma che con l'autotutela classica condivide soltanto i presupposti e il procedimento … in questo senso, deve ritenersi che il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies vada riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, nell'osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme … in tal modo, il legislatore, nel recepire l'orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla pubblica amministrazione di un potere residuale di intervento anche dopo la scadenza dl termine, si fa pure carico di tutelare l'affidamento che può essere maturato in capo al privato per effetto del decorso del tempo … non vi è dubbio, invero, che la d.i.a., pur essendo un atto che proviene da un privato, sia comunque suscettibile, a causa del decorso del tempo e del mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio da parte della pubblica amministrazione, di consolidare, analogamente a quanto potrebbe fare un provvedimento espresso, un affidamento meritevole di protezione … tale affidamento non è certamente così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da parte della pubblica amministrazione, anche perché altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che deriva del provvedimento autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto rimosso in via di autotutela) … ed allora, superando anche i dubbi interpretativi in passato da qualcuno sollevati circa l'esistenza di un residuo potere di intervento da parte della pubblica amministrazione una volta scaduto il termine perentorio di 30 giorni, la l. n. 80/2005, nel riformulare l'art. 19 della l. n. 241/1990, ha precisato che la pubblica amministrazione può vietare lo svolgimento dell'attività ed ordinare l'eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio … lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l'esercizio del potere di autotutela (in particolare dell'annullamento d'ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico”.
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Ed invero, ai sensi dell’art. 23, comma 1, del d.p.r. n. 380/2001, la d.i.a. può essere presentata da chiunque, non solo essendo proprietario dell’immobile, ma anche vantando altro idoneo titolo di legittimazione, ossia la disponibilità giuridicamente qualificata dello stesso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 27.04.2004, n. 1255), abbia la facoltà di eseguire i lavori progettati.
Oltre al proprietario dell’immobile interessato dalle opere progettate, possono, cioè, invocare il rilascio del permesso di costruire, i titolari di diritti reali di godimento sullo stesso ovvero di obbligazioni –come, appunto, la C.M.T. & C.–, che accordino la disponibilità del fondo e il relativo ius aedificandi, così da legittimarli, nei confronti sia dell’autorità competente sia dei proprietari, ad eseguire le divisate trasformazioni urbanistico-edilizie del suolo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 28.05.2001, n. 2882; TAR Abruzzo, L’Aquila, 06.06.2002, n. 316; TAR Basilicata, Potenza, 24.11. 2003, n. 1007; TAR Campania, Napoli, sez. II, 22.09.2006, n. 8243; TAR Puglia, Bari, sez. II, 04.06.2010, n. 2250)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 09.05.2013 n. 2405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' senz’altro vero che ogni titolo edilizio ampiamente inteso esiste salvi i diritti dei terzi, e quindi è non automaticamente illegittimo allorquando contrasti con gli stessi in cui assentisca una costruzione a distanza inferiore alla legale; la conclusione però cambia quando l’ente competente a provvedere di tale contrasto sia a conoscenza: in tal caso, il titolo diventa illegittimo, e soggetto a interventi in senso ampio repressivi.
Ancòra una volta, ciò va ritenuto senz’altro ritenendo che la d.i.a. integrasse un atto abilitativo tacito, ma rimane valido anche aderendo alla citata tesi della d.i.a. come atto privato espressa da C.d.S. a.p. 15/2011 con riguardo alle norme vigenti all’epoca dei fatti: in linea generale, il Comune è comunque abilitato a intervenire a fronte di atti privati che si concretino in una costruzione abusiva.

Ciò posto, alla fattispecie si adatta l’insegnamento di TAR Liguria 11.07.2007 n. 1376.
In termini generali, è senz’altro vero che ogni titolo edilizio ampiamente inteso esiste salvi i diritti dei terzi, e quindi è non automaticamente illegittimo allorquando contrasti con gli stessi, come nel caso di rilievo, in cui assentisca una costruzione a distanza inferiore alla legale; la conclusione però cambia quando l’ente competente a provvedere di tale contrasto sia, come nella specie, a conoscenza: in tal caso, il titolo diventa illegittimo, e soggetto a interventi in senso ampio repressivi.
Ancòra una volta, ciò va ritenuto senz’altro ritenendo che la d.i.a. integrasse un atto abilitativo tacito, ma rimane valido anche aderendo alla citata tesi della d.i.a. come atto privato espressa da C.d.S. a.p. 15/2011 con riguardo alle norme vigenti all’epoca dei fatti: in linea generale, il Comune è comunque abilitato a intervenire a fronte di atti privati che si concretino in una costruzione abusiva (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.04.2013 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA e opere difformi.
In caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine previsto per legge ai fini dell’esercizio del potere inibitorio all’effettuazione delle opere non comporta che l’attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi legittimamente effettuata e, quindi possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle previsioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Ed infatti, in tali ipotesi il titolo abilitativo comunque formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d’ufficio o di revoca.
In siffatte ipotesi, infatti, l’amministrazione non perde i propri ordinari poteri di vigilanza e sanzionatori, il cui esercizio risponde a finalità di interesse generale e la cui connotazione presenta caratteri in parte diversi rispetto al potere esercitato al momento (per così dire ‘genetico’) della formazione del titolo per silentium.

Al riguardo, il Collegio condivide (non rinvenendosi nel caso di specie ragioni per discostarsene) l’orientamento secondo cui, in caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine previsto per legge ai fini dell’esercizio del potere inibitorio all’effettuazione delle opere (nel caso di specie, si tratta del termine di cui ai commi 11 e 15 dell’articolo 4 del decreto-legge 398 del 1993) non comporta che l’attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi legittimamente effettuata e, quindi possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle previsioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Ed infatti, in tali ipotesi il titolo abilitativo comunque formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d’ufficio o di revoca.
In siffatte ipotesi, infatti, l’amministrazione non perde i propri ordinari poteri di vigilanza e sanzionatori, il cui esercizio risponde a finalità di interesse generale e la cui connotazione presenta caratteri in parte diversi rispetto al potere esercitato al momento (per così dire ‘genetico’) della formazione del titolo per silentium (in tal senso: Cons. Stato, IV, 30.07.2012, n. 4318) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.04.2013 n. 1909 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A seguito della decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (29.07.2011, n. 15), la dichiarazione di inizio attività -oggi sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) per effetto dell'entrata in vigore del D.L. 31.05.2010 n. 78- non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì "riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Nella fattispecie per cui è causa, ritiene il Collegio che la d.i.a. in esame non possa dirsi "perfezionata", ostandovi appunto la carenza della documentazione richiesta e, comunque, dei presupposti di operatività della d.i.a. stessa, con conseguente mantenimento in capo al Comune del potere inibitorio di cui agli artt. 23 D.P.R. 380/2001 e 19 L. 241/1990 al fine del ripristino della legalità violata.
Con la precisazione doverosa che più di potere inibitorio in senso tecnico, si è al cospetto di un potere di "verifica della non formazione della d.i.a.", con conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ove in qualche misura alterato.

Le censure sono destituite di fondamento.
In particolare:
...
b). in data 16.05.2007 è stato effettuato un primo sopralluogo nel corso del quale sono state accertate difformità nel fabbricato A (di progetto fabbricato B) come da grafico allegato alla relazione del 29.05.2007, n. 153/UT.
La DIA è stata presentata -soltanto– in data 29.02.2008; e con nota del 12.03.2008 la PA ha subordinato l’esecuzione dei lavori alla produzione di specifica documentazione a cui, però, la ricorrente non ha ottemperato.
Giova evidenziare come la denuncia di inizio attività in esame, secondo la documentazione depositata in atti, risulta dunque carente sotto diversi profili.
A seguito della decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (29.07.2011, n. 15), la dichiarazione di inizio attività -oggi sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività (s.c.i.a.) per effetto dell'entrata in vigore del D.L. 31.05.2010 n. 78- non dà vita ad una fattispecie provvedimentale di assenso tacito, bensì "riflette un atto del privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge".
Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all'edilizia) sia al modello generale di cui all'art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione (ex multis TAR Lombardia Milano II 09.12.2008 n. 5737; TAR Emilia Romagna-Bologna sez. II 17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez. IV 24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez. I 02.12.2010, n. 35023). Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Nella fattispecie per cui è causa, ritiene il Collegio che la d.i.a. in esame non possa dirsi "perfezionata", ostandovi appunto la carenza della documentazione richiesta e, comunque, dei presupposti di operatività della d.i.a. stessa, con conseguente mantenimento in capo al Comune del potere inibitorio di cui agli artt. 23 D.P.R. 380/2001 e 19 L. 241/1990 al fine del ripristino della legalità violata.
Con la precisazione doverosa che più di potere inibitorio in senso tecnico, si è al cospetto di un potere di "verifica della non formazione della d.i.a.", con conseguente ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ove in qualche misura alterato
(TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 05.04.2013 n. 3506 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPresupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela sono:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili.
Il provvedimento impugnato –adottato un anno dopo il perfezionamento di un titolo avente ad oggetto un intervento edilizio di modesta entità e in corso di avanzata costruzione- si limita a rilevare il contrasto della d.i.a. con l’art. 61 delle n.t.a., a contestare l’incompletezza del permesso rilasciato dall’a.n.a.s., allegato alla d.i.a., e a lamentare la mancata presentazione del d.u.r.c., invocando quindi esigenze di mero ripristino della legalità, senza indicare la ragione di interesse pubblico per la quale la d.i.a. dovesse essere annullata.
Né può valere quanto affermato dalla difesa dell’amministrazione resistente nelle memorie depositate in giudizio, circa l’esigenza di tutela della zona agricola sulla quale è stata realizzata la recinzione, essendo inammissibile l’integrazione postuma della motivazione contenuta in una memoria difensiva.

Con ordinanza del 02.12.2010, il Comune di Samolaco ha annullato in autotutela la denuncia di inizio attività presentata dalla sig.ra Vaninetti il 09.11.2009, avente ad oggetto la realizzazione di lavori di completamento della recinzione dell’immobile di sua proprietà.
Con ordinanza, adottata sempre in data 02.12.2010, il Comune ha ingiunto la demolizione dell’opera.
La censura con cui viene lamentata l’illegittimità dell’ordinanza di annullamento in autotutela, per violazione dell’art. 21-nonies, è fondata.
Presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela sono:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili.
Il provvedimento impugnato –adottato un anno dopo il perfezionamento di un titolo avente ad oggetto un intervento edilizio di modesta entità e in corso di avanzata costruzione- si limita a rilevare il contrasto della d.i.a. con l’art. 61 delle n.t.a., a contestare l’incompletezza del permesso rilasciato dall’a.n.a.s., allegato alla d.i.a., e a lamentare la mancata presentazione del d.u.r.c., invocando quindi esigenze di mero ripristino della legalità, senza indicare la ragione di interesse pubblico per la quale la d.i.a. dovesse essere annullata.
Né può valere quanto affermato dalla difesa dell’amministrazione resistente nelle memorie depositate in giudizio, circa l’esigenza di tutela della zona agricola sulla quale è stata realizzata la recinzione, essendo inammissibile l’integrazione postuma della motivazione contenuta in una memoria difensiva (cfr., fra le tante, TAR Veneto, sez. I, 11.03.2010, n. 768; Consiglio di Stato sez. IV, 16.09.2008, n. 4368).
Il ricorso è, dunque, fondato nella parte in cui fa valere l’illegittimità dell’ordinanza di annullamento in autotutela e l’illegittimità, in via derivata, dell’ordinanza di demolizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.03.2013 n. 759 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si deve escludere che l’istituto della proroga dei termini di ultimazione dei lavori, prevista per il permesso di costruire dall’art. 15 del DPR 380/2001, possa trovare applicazione anche alla denuncia di inizio attività (DIA).
Si deve escludere che l’istituto della proroga dei termini di ultimazione dei lavori, prevista per il permesso di costruire dall’art. 15 del DPR 380/2001, possa trovare applicazione –come vorrebbe invece la parte istante– anche alla denuncia di inizio attività (DIA).
L’art. 23, comma 2, del DPR 380/2001 (Testo Unico dell’edilizia), stabilisce, in caso di omessa ultimazione dei lavori di cui alla DIA, che <<La realizzazione della parte non ultimata dell’intervento è subordinata a nuova denuncia>>.
Inoltre, l’art. 42, comma 6, della legge della Regione Lombardia n. 12/2005 sul governo del territorio, prevede espressamente che i lavori di cui alla DIA debbano essere ultimati entro tre anni dall’inizio dei lavori, altrimenti: <<La realizzazione della parte di intervento non ultimata nel predetto termine è subordinata a nuova denuncia>>.
Tale ultima norma è interpretata, anche dalla dottrina, nel senso che non è ammissibile una formale proroga dei termini di ultimazione dei lavori oggetto di DIA, essendo solo consentita la presentazione di altra denuncia di inizio attività.
Del resto, visto che alla DIA deve riconoscersi natura di atto del privato, con il quale quest’ultimo sotto la propria responsabilità si assume l’onere di eseguire determinate opere in un tempo definito (cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 15/2011), non appare illogico o irragionevole che, in caso di mancata ultimazione dei lavori, debba presentarsi una nuova denuncia di inizio attività.
Ciò premesso e tenuto conto che il Comune di Como ha dato applicazione ad una precisa norma di legge (appunto, i citati art. 23 ed art. 42), senza alcuno spazio per altre e differenti valutazioni, non meritano accoglimento neppure le censure relative alla presunta violazione dell’art. 10-bis della legge 241/1990 e delle norme sul c.d. giusto procedimento.
E’ fatta ovviamente salva la facoltà per l’esponente di presentare apposita DIA per il completamento dei lavori, da esaminarsi da parte del Comune di Como (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.03.2013 n. 619 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La Giunta non può imporre specifiche prescrizioni in tema di DIA.
E' illegittimo il provvedimento giuntale, reso a fronte di una DIA recante parere favorevole, contenente prescrizioni riduttive indicate per ragioni di tutela del demanio marittimo. La Giunta, in quanto organo politico, è incompetente ad imporre singole prescrizioni.

Con ricorso al TAR per la Campania, Sezione di Salerno, la società Alfa, titolare di una struttura ricettiva sita nel Comune di Castellabate, esponeva di aver presentato, a quest'ultimo, una dichiarazione di inizio di attività edilizia, consistente nell'ampliamento di una pedana amovibile con struttura in legno, già assentita con precedente autorizzazione.
A fronte dell'istanza, il responsabile del procedimento comunicava la sospensione dell'iter procedimentale finalizzata all'acquisizione, tanto dei pareri paesaggistico ambientali, quanto dell'autorizzazione demaniale ex art. 55 c.n..
In seguito, lo stesso responsabile notificava alla società istante un provvedimento con il quale, comunicava l'intervenuto parere favorevole della giunta comunale subordinato all'ottemperamento di alcune prescrizioni. Invitava pertanto la richiedente a ripresentare una nuova DIA conforme alle indicazioni emanate dall'organo politico.
Con ricorso la società Alfa domandava al Giudice Amministrativo l'annullamento del predetto atto.
Con sentenza resa in forma semplificata, ex art. 60 c.p.a., il TAR accoglieva il gravame, annullando il suddetto provvedimento e riconoscendo l'incompetenza della giunta, in quanto organo politico, ad imporre prescrizioni.
Ricorreva avverso tale sentenza il Comune chiedendone l'integrale riforma. Giunta la questione all'attenzione dei Giudici di Palazzo Spada, la Quarta Sezione ha rilevato che, nel caso di specie, la questione dirimente verte sulla legittimità di un provvedimento giuntale reso a fronte di una dichiarazione di inizio di attività edilizia recante parere favorevole, ma con prescrizioni riduttive della superficie assentibile, indicate per ragioni di tutela del demanio marittimo.
Sul punto il Collegio ha rilevato l'anomalia "normativa" dell'intervento nel procedimento amministrativo della giunta, in quanto organo politico, e la mancata applicazione delle disposizioni che il regolamento locale prevedeva in materia.
Nella specie, ha proseguito la Sezione, non è da considerarsi contestato il ruolo "politico" amministrativo che la giunta può, in base ai principi generali, svolgere in sede di pianificazione urbanistica bensì la legittimità della fonte che detto intervento prevede nei procedimenti edilizi che investono il demanio marittimo.
Sul punto, il Collegio ha confermato la correttezza della pronuncia del giudice di prime cure che, aveva già rilevato, il contrasto tra il provvedimento impugnato ed il principio di separazione tra politica ed amministrazione (art. 107 del t.u.ee.ll.).
Pertanto, Palazzo Spada, condividendo l'impianto della sentenza impugnata e valutando in termini fortemente negativi l'intervento normativo dell'organo politico nei singoli procedimenti edilizi, ha ritenuto di confermare la tesi accolta dal TAR in applicazione del menzionato ed elementare principio di separazione tra politica ed amministrazione ex art. 107 t.u.ee.ll. e proprio in forza di questa regola, di confermare l'incompetenza della giunta in materia.
Il Collegio ha altresì chiarito che, la fattispecie provvedimentale oggetto di controversia, viene in essere al termine di un procedimento nel quale, a fronte di una dichiarazione di inizio di un'attività edilizia con riflessi sul demanio marittimo, è ai sensi di legge richiesto, oltre a quelli paesaggistici, anche il nulla osta dell'autorità preposta alla tutela del demanio.
Nel caso in esame tuttavia, nel corso del prescritto "iter" procedimentale, il responsabile dell'ufficio, dopo aver sospeso gli sviluppi della DIA, non ha ordinato alla società, in esecuzione dell'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380 del 2001, di non eseguire l'intervento per la parte ritenuta in contrasto con la tutela del demanio, ma le ha direttamente opposto le emanate prescrizioni giuntali, invitandola alla presentazione di una nuova DIA.
In tal modo il comune, ha spiegato ancora Palazzo Spada, non esercitando i poteri previsti dalla legge in ordine alla dichiarazione di inizio di attività, ha posto in essere una distorsione del paradigma procedimentale tipico, puntualmente sanzionato dal giudice di prime cure.
Pertanto, ha concluso la Sezione, l'iter procedimentale dovrà essere ripetuto a partire dalla DIA presentata dalla società appellata, sulla quale l'amministrazione comunale, avrà nuovamente il potere-dovere di pronunciarsi, a norma del comma 6 dell'art. 23 del T.U. n. 380 del 2001, esprimendosi anche con riferimento ai profili di tutela del demanio, ma autonomamente, vale a dire senza obbligo di aderire al parere giuntale reso in forza di un regolamento la cui non contestata disapplicazione è divenuta inoppugnabile (commento tratto da www.ipsoa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.01.2013 n. 168 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: R. Micalizzi, DIA e oneri di urbanizzazione sopravvenuti (Urbanistica e appalti n. 12/2012).

EDILIZIA PRIVATA: L'istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli art. 22 e 23 D.P.R. 06.06.2001, n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza.
In particolare l'adozione del provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l'intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui all'art. 10-bis, l. n. 241/1990 ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una "istanza di parte", ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina "della notifica all'interessato" dell'"ordine motivato di non effettuare il previsto intervento", contenuta dal comma 6 dell'art. 23 cit., dove già è prevista la motivazione dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.

L’ultimo motivo di ricorso non può essere accolto perché esistono profili di incompatibilità tra il preavviso di rigetto e la D.I.A.
Si veda in merito quanto affermato nella sentenza 2478/2011 del TAR Lombardia che è espressione di un indirizzo consolidato: “L'istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli art. 22 e 23 D.P.R. 06.06.2001, n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza; in particolare l'adozione del provvedimento con il quale l'amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l'intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui all'art. 10-bis, l. n. 241/1990 ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una "istanza di parte", ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina "della notifica all'interessato" dell'"ordine motivato di non effettuare il previsto intervento", contenuta dal comma 6 dell'art. 23 cit., dove già è prevista la motivazione dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia" (TAR Umbria, sentenza 19.12.2012 n. 537 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl termine di 30 giorni previsto dalla legge circa la presentazione della D.I.A., nella specie dai citati artt. 23, comma 6, T.U. 380/2001 e 42, comma 1, l.r. Lombardia 12/2005, si intende rispettato dall’amministrazione allorché entro lo stesso l’atto repressivo sia stato predisposto ed avviato alla notifica, in analogia con quanto vale per il rispetto dei termini processuali di decadenza, e ciò è nella specie avvenuto.
Nell’ordine, è infondato il primo motivo di ricorso, incentrato sul presunto carattere tardivo dell’intervento del Comune, che sulla d.i.a. presentata il 19.02.2007 ha adottato il provvedimento repressivo impugnato avviandolo alla notifica il 20.03.2007, ovvero il ventottesimo giorno successivo.
Così come ribadito da recente giurisprudenza –per tutte TAR Liguria sez. I 02.11.2011 n. 1511- il termine di trenta giorni previsto dalla legge, nella specie dai citati artt. 23, comma 6, T.U. 380/2001 e 42, comma 1, l.r. Lombardia 12/2005, si intende rispettato dall’amministrazione allorché entro lo stesso l’atto repressivo sia stato predisposto ed avviato alla notifica, in analogia con quanto vale per il rispetto dei termini processuali di decadenza, e ciò è nella specie avvenuto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.11.2012 n. 1853 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' pur vero che secondo un certo orientamento la verifica sui requisiti necessari per legittimare la d.i.a. è riferita alla normativa vigente al momento di presentazione della stessa, anche in caso di modifiche successive.
Osserva però il Collegio che tale principio potrebbe al più valere per i casi di d.i.a. già perfezionatasi, e non per fattispecie, come quella per cui è causa, nelle quali il procedimento si è protratto per la mancanza di integrazioni documentali richieste al privato.

Infondato è anche il secondo motivo.
Va intanto ricordato quanto detto in narrativa, ovvero che l’amministrazione ha chiarito quali sarebbero state le norme a suo avviso violate, e che sulla violazione in quanto tale il privato nulla ha eccepito. Ciò posto, è pur vero che secondo un certo orientamento, espresso ad esempio da C.d.S. sez. V ord. 29.07.2003 n. 3234, la verifica sui requisiti necessari per legittimare la d.i.a. è riferita alla normativa vigente al momento di presentazione della stessa, anche in caso di modifiche successive.
Osserva però il Collegio che tale principio potrebbe al più valere per i casi di d.i.a. già perfezionatasi, e non per fattispecie, come quella per cui è causa, nelle quali il procedimento si è protratto per la mancanza di integrazioni documentali richieste al privato (doc.ti ricorrente 3 e 4, copie carteggio relativo).
In tal senso quindi, come correttamente osservato dal Comune nella relazione 18.07.2006, in presenza di modifiche nella normativa di riferimento, non era possibile tener per valida la dichiarazione di conformità alle stesse contenuta nella d.i.a. e riferita alle norme di legge e di piano previgenti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 28.11.2012 n. 1852 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a legittimazione differita’, sicché l’attività denunciata può essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione.
Ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.
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Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n. 15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il termine di 30 giorni dalla sua presentazione, l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di autotutela.
Dunque non è contestabile che l’amministrazione conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori, se difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela.

Va ricordato che la d.i.a. è stata introdotta disciplinata, in via generale, dall’art. 19 della 07.08.1990, n. 241 e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Dispone, in particolare, l’art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 che il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
Il comma 6 del medesimo articolo aggiunge che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a legittimazione differita’, sicché l’attività denunciata può essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di 30 giorni dalla comunicazione. Ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.
Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29.07.2011 n. 15).
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n. 15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il termine di 30 giorni dalla sua presentazione, l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di autotutela.
Dunque non è contestabile che l’amministrazione conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori, se difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.11.2012 n. 5751 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La denuncia di inizio attività disciplinata dal T.U. in materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è comunque assimilabile a un'istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un provvedimento tacito di accoglimento dell'istanza.
Dopo il decorso del termine di 30 giorni per la formazione del provvedimento tacito l’amministrazione non perde i suoi poteri di autotutela, i quali tuttavia devono essere esercitati nel rispetto del principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa.

È fondato e assorbente di ogni altra censura il motivo con il quale parte ricorrente deduce l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla d.i.a., ai sensi degli artt. 22 e 23 del D.P.R. n. 380/2001.
La denuncia di inizio attività disciplinata dal T.U. in materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è comunque assimilabile a un'istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un provvedimento tacito di accoglimento dell'istanza.
Dopo il decorso del termine di trenta giorni per la formazione del provvedimento tacito l’amministrazione non perde i suoi poteri di autotutela, i quali tuttavia devono essere esercitati nel rispetto del principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa.
Nel caso di specie, la valutazione effettuata dall'Amministrazione nel provvedimento impugnato, in ordine alla contrarietà dell'opera eseguita dal ricorrente a seguito della presentazione della d.i.a., valutazione che conduce al blocco delle opere, avrebbe dovuto essere preceduta dall'annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a..
Quest'ultimo avrebbe dovuto essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento e dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, ivi compreso il rispetto del tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado e la comparazione dell’interesse pubblico con l’aspettativa del privato, consolidata dal decorso del tempo –quasi un anno dalla denuncia di inizio attività edilizia- e dalla consapevolezza dell’intervenuto assenso tacito nei termini di legge.
Tale serie procedimentale non è stata seguita nel caso di specie, avendo l’Amministrazione emesso il provvedimento di blocco dei lavori senza preavviso e senza preventivo annullamento del provvedimento di tacito assenso, non svolgendo alcuna valutazione in ordine alla prevalenza dell’interesse all’autotutela sull’aspettativa consolidata del costruttore.
In difetto dei presupposti per l’esercizio dell’autotutela l’attività dichiarata può legittimamente proseguire, anche nelle opere denunciate nel 2011 in variante, le quali hanno carattere marginale e accessorio rispetto alla ristrutturazione di cui alla d.i.a. del 2010 (consistono in piccoli spostamenti di tramezzature interne, montaggio di infissi, sostituzione del pavimento, adeguamento degli impianti tecnologici e tinteggiature).
Il ricorso, pertanto deve essere accolto quanto alla richiesta di annullamento del provvedimento impugnato. Non emergono, invece, danni risarcibili, anche considerando che l’ordinanza cautelare emessa da questa Sezione (n. 3430/2011) ha tempestivamente inibito gli effetti dell’atto lesivo (TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, sentenza 12.11.2012 n. 9257 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAnche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del testo unico sull’edilizia (che disciplina la d.i.a.) l’amministrazione è titolare del potere di verificare se le opere possano essere realizzate sulla base della denuncia di inizio dell’attività e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento.
I ricorrenti fanno presente, a fronte dell’affermazione del Comune per cui per la realizzazione dell’opere contestate non risulterebbe presentata Denuncia di Inizio Attività, che detta circostanza sarebbe destituita di fondamento in quanto in data 09.11.2009 avrebbero depositato presso l’Ufficio Protocollo del Comune di Badolato, la Comunicazione di avvio dei lavori con relativi grafici che individuavano i lavori da realizzare.
Anche questa doglianza non può essere accolta.
In base all’articolo 23 del d.P.R. 380/2001 che disciplina la denuncia di inizio attività è prescritto che “il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie”.
Come affermato dal Comune e come emerge dagli atti di causa, la comunicazione inoltrata non presenta la documentazione richiesta e pertanto non può essere ricondotta alla prevista disciplina.
Infine, per quanto concerne il contrasto dell’opera realizzata con il disposto dell’articolo 44 del regolamento edilizio, il Collegio osserva che anche dopo la scadenza del termine fissato dall’art. 23, comma 6, del testo unico sull’edilizia l’amministrazione è titolare del potere di verificare se le opere possano essere realizzate sulla base della denuncia di inizio dell’attività e può esercitare i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’ordinamento (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6378/2008 - Sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Sez. IV, 30.06.2005, n. 3498) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2012 n. 1086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo la disposizione di cui all'articolo 22, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001 sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività (oltre agli interventi di cui al comma primo) <<le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. …>>.
Si tratta delle varianti cosiddette leggere, che consistono nella realizzazione di interventi edilizi in lieve difformità rispetto al progetto assentito, che si rendano necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche non previste o prevedibili al momento della redazione di esso.
Da tale ambito vanno invece esclusi gli interventi che consistono nella integrale ristrutturazione dell'edificio, nonché in modifiche esterne, tipologiche e di destinazione dei locali di tale entità da determinare sostanziali variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso dell'originario progetto, con la conseguenza che, in tali casi, è invece necessario il permesso di costruire.

Ciò posto, ritiene il Collegio che ai fini della risoluzione della presente controversia occorra fare riferimento alla disposizione di cui all'articolo 22, comma secondo, D.P.R. n. 380/2001, in base alla quale sono altresì realizzabili mediante denuncia di inizio attività (oltre agli interventi di cui al comma primo) <<le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. …>>.
Si tratta delle varianti cosiddette leggere, che consistono nella realizzazione di interventi edilizi in lieve difformità rispetto al progetto assentito, che si rendano necessari nel corso dell'edificazione per ragioni tecniche non previste o prevedibili al momento della redazione di esso.
Da tale ambito vanno invece esclusi gli interventi che consistono nella integrale ristrutturazione dell'edificio, nonché in modifiche esterne, tipologiche e di destinazione dei locali di tale entità da determinare sostanziali variazioni di sagoma, volumetria e destinazione d'uso dell'originario progetto, con la conseguenza che, in tali casi, è invece necessario il permesso di costruire (C.d.S., Sez. IV, 21.05.2010, n. 3231; TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 09.03.2011, n. 642; Cass. Pen., Sez. III, 27.10.2010, n. 41752)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.10.2012 n. 4288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATARELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO ALLA DIA, NATURA DI ‘‘CERTIFICATO’’ E FALSITA` DEL PROGETTISTA.
La relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell’attività) ha natura di ‘‘certificato’’ per quanto riguarda sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l’attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
Interessante questione quella oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione con la sentenza in esame. Il tema è quello della natura giuridica della cd. relazione di accompagnamento alla DIA edilizia, su cui è sorto un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.
La vicenda processuale vedeva imputato del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 481 c.p. un geometra progettista, cui era stato addebitato di aver, in relazione ad un intervento edilizio di ricostruzione di un manufatto:
a) asseverato falsamente, in una DIA presentata al Comune, che gli eseguendi lavori avrebbero riguardato la manutenzione straordinaria di un fabbricato che però era già semidemolito nel 2002 e che tale intervento non si poneva in contrasto con gli strumenti urbanistici, che invece non consentivano nuove costruzioni in area classificata come agricola;
b) in una successiva domanda di permesso di costruire per ristrutturazione, attestato falsamente l’esistenza del medesimo edificio ormai ridotto allo stato di rudere. Avverso tale sentenza aveva proposto ricorso per cassazione il geometra, il quale deduceva -per quanto di interesse in questa sede-, l’inconfigurabilità del reato di cui all’art. 481 c.p., riferito alla DIA, poiché la relazione ad essa allegata non avrebbe natura di ‘‘certificato’’, in quanto ‘‘non è destinata a provare la oggettiva verità di ciò che in essa è stato affermato e, per la parte progettuale, essa manifesta una semplice intenzione e non registra una realtà oggettiva’’.
La tesi è stata però respinta dalla Cassazione, che ha dichiarato il ricorso inammissibile.
In particolare, la Corte si mostra assolutamente consapevole dell’esistenza del contrasto, precisando come tesi non convergenti sono state espresse quanto alla parte progettuale detta relazione allegata alla DIA edilizia. In relazione a tale parte del documento si è sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione dell’interessato di realizzare le opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto riguarda l’eventuale attestazione dell’assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso dal dichiarante, come tale non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri (v., tra le tante: Cass. pen., sez. V, 24.02.2010, n. 7408, in CED Cass., n. 246094).
A divergenti conclusioni è pervenuta, invece, la stessa Sezione III (v., sul punto, Cass. pen., sez. III, 08.06.2011, n. 23072, inedita) - ove, in adesione alle argomentazioni svolte da una precedente decisione (Cass. pen., sez. III, 19.01.2009, n. 1818, in CED Cass., n. 242478), è stato evidenziato che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3), emerge un ‘‘sostanziale affidamento’’ riposto dall’ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che ‘‘quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell’ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell’intervento’’.
In tale prospettiva la relazione del tecnico abilitato, per la Cassazione, costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell’attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo dei titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.
La Corte, in adesione a tale ultimo orientamento, delinea la DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della p.a. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato; ne consegue, dunque, che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l’eliminazione dell’intermediazione del potere autorizzatorio) dell’attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi ‘‘certificativo’’ (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 19.09.2012 n. 35795 - tratto da Urbanistica e appalti n. 12/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Opere edilizie soggette a DIA e relazione di accompagnamento.
Integra il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 cod. pen.) non solo la falsificazione della dichiarazione di inizio attività (cosiddetta DIA) ma anche quella riguardante la relazione di accompagnamento alla stessa, avendo essa natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, alla rappresentazione delle opere che si intende realizzare e all'attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.

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L'art. 481 cod. pen. punisce la condotta di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in certificati commessa nell'esercizio di una professione forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica necessità.
In relazione a tale previsione sanzionatoria il Collegio ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:
-- il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all'interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 cod. pen..
L'art. 481 cod. pen. prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di un "certificato" e da ciò discende la necessità di individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia abbia o meno natura di "certificato".
Sui punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con consolidato orientamento, che
costituisce "certificazione" la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.
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L'art. 29, 3° comma, del T.U. n. 380/2001 dispone che "Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assuma la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'art. 23, comma 1, l'amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari".
Le previsioni anzidette devono essere lette in necessaria correlazione con quelle poste dai precedente art. 23, il quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una relazione del progettista:
- "che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti" (comma 1);
- che il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6);
- che, ultimato l'intervento, "il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale ... con il quale si attesta la conformità dell'opera ai progetto presentato con la denuncia di inizio attività" (comma 7).

Il progettista, dunque, ha un duplice obbligo:
   a) redigere una relazione preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare" tra l'altro la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza dì contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi;
   b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.

E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è stato esattamente osservato che
il termine "asseverare" ha il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità del contenuto. Il progettista si pone come "persona esercente un servizio di pubblica necessità" proprio perché assume una posizione di particolare rilievo in un procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della DIA, infatti, consiste nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è più necessaria l'emanazione di un titolo di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui dispone l'amministrazione -a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo- non è finalizzato all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione.

Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore. Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinarla, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento.
Proprio in considerazione di questo affidamento la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma 3, del T.U. n. 380/2001) che si connette alle previsioni dei commi 1 e 6 del precedente art. 23.
Il 6° comma dell'art. 23, in particolare, dispone che,
in caso di "falsa attestazione" del professionista, il funzionario comunale ha l'obbligo di inoltrare segnalazione informativa all'autorità giudiziaria, sicché è evidente che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più delle condizioni stabilite", risulta strettamente correlata alle prescrizioni poste dal 1° comma del medesimo art. 23, ove la relazione del progettista integra la dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato di piena autonomia.
Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che
la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda dell'intermediazione dei potere autorizzatorio dell'attività dei privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi "certificativo".
In conclusione,
sulla base dell'assetto normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni dianzi svolte, deve ribadirsi il principio secondo il quale:
-- la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di 'certificato' per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
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Nella fattispecie in esame,
l'imputato:
-- nella relazione allegata alla DIA del 28.08.2003 ha descritto la prevista realizzazione di opere di manutenzione straordinaria e non di conservazione dello status quo di un edificio ormai sostanzialmente diruto:  in tal modo -secondo la giurisprudenza costante di questa Corte- ha reso una falsa "certificazione" riferita alla descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.
Irrilevante è la circostanza della mancata esecuzione dei lavori denunziati (dovuta al fatto che, in seguito ad un controllo della DIA, il responsabile del procedimento aveva richiesto una relazione integrativa), poiché il reato deve ritenersi consumato con la presentazione della denuncia;

-- nella successiva relazione allegata alla richiesta di permesso di costruire ha inquadrato le opere da realizzare nella tipologia della 'ristrutturazione' a fronte di una situazione di fatto ove la realizzabilità di un intervento siffatto era vietata proprio dallo stato di rudere del fabbricato.
Secondo costante orientamento giurisprudenziale, invero,
la ricostruzione su ruderi costituisce sempre 'nuova costruzione', in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non é possibile valutare l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un'area non edificata.
Nella specie si é fatto surrettiziamente ricorso alla tipologia della "ristrutturazione" perché la realizzazione di una nuova costruzione residenziale non era consentita in area classificata come zona agricola dallo strumento urbanistico vigente.
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RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Bologna, con sentenza dell'11.02.2011, ha confermato la sentenza 01.02.2007 del Tribunale di Ravenna - Sezione distaccata di Lugo, che aveva affermato la responsabilità penale di Pa.Um. in ordine al delitto di cui:
-- agli artt. 81 cpv. e 481 cod. pen. [poiché -quale geometra progettista- in relazione ad un intervento edilizio di ricostruzione di un manufatto:
a) asseverava falsamente, in una DIA presentata al Comune di Lugo il 28.08.2003, che gli eseguendi lavori avrebbero riguardato la manutenzione straordinaria di un fabbricato che però era già semidemolito nel 2002 e che tale intervento non si poneva in contrasto con gli strumenti urbanistici, che invece non consentivano nuove costruzioni in area classificata come agricola;
b) in una successiva domanda di permesso di costruire per ristrutturazione, presentata il 19.12.2003, attestava falsamente resistenza del medesimo edificio ormai ridotto allo stato di rudere]; e lo aveva condannato alla pena (interamente condonata) di euro 516,00 di multa, concedendo li beneficio della non menzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cessazione il Pa., il quale -sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione- ha dedotto:
-- la insussistenza del reato di falso ideologico correlato alla DIA, per la mancanza di ogni intento fraudolento, in quanto la DIA presentata avrebbe rappresentato lo stato di fatto realmente esistente al momento della sua redazione e la procedura semplificata sarebbe stata utilizzata "perché i lavori che ci si apprestava ad eseguire erano essenzialmente diretti a conservare lo status quo, per poi, in un secondo momento, attraverso l'apertura di una nuova pratica edilizia ad hoc, poter procedere ah ristrutturazione ed al recupero dell'edificio";
-- la inconflgurabilità, in ogni caso, del reato di cui all'art. 481 cod. peri., riferito alla DIA, poiché la relazione ad essa allegata non avrebbe natura di "certificato", in quanto "non è destinata a provare la oggettiva verità di ciò che in essa é stato affermato e, per la parte progettuale, essa manifesta una semplice intenzione e non registra una realtà oggettiva";
-- la insussistenza anche dei reato di cui all'art. 481 cod. pen. riferito alla successiva richiesta di permesso di costruire, poiché il fabbricato era comunque ancora esistente "nei suoi tratti essenziali che lo identificavano come tale" e nella richiesta stessa veniva dato conto dei crollo parziale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché articolato in fatto e manifestamente infondato.
2.
L'art. 481 cod. pen. punisce la condotta di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in certificati commessa nell'esercizio di una professione forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica necessità.
In relazione a tale previsione sanzionatoria il Collegio -tenuto conto di quanto espressamente disposto dall'art. 29, 3° comma, del d.P.R. n. 380/2001, nonché della elaborazione giurisprudenziale già svolta da questa Corte- ribadisce anzitutto il principio secondo il quale:
-- il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all'interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 cod. pen. [vedi Cass.: sez. V, 04.10.2010, n. 35615, D'Anna; 24.02.2010, n. 7408, Frigé; nonché sez. III 16.07.2010, n. 27699, Coppola; 19.01.2009, n. 1818, Baldessari].
3.
L'art. 481 cod. pen. prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di un "certificato" e da ciò discende la necessità di individuare se la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia abbia o meno natura di "certificato".
Sui punto la giurisprudenza di questa Corte ha affermato, con consolidato orientamento, che
costituisce "certificazione" la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare [Cass.: sez. V, n. 35615/2010, D'Anna; sez. III, n. 27699/2010, Coppola.
3.1 Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto alla parte progettuale della relazione allegata da DIA edilizia.
In relazione a tale parte del documento si era sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione dell'interessato di realizzare le opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto riguarda l'eventuale attestazione dell'assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso dal dichiarante, come tale non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri [vedi Cass., sez. V: n. 7408/2010, Frigè; 03.05.2005, n. 24562, Mazzoni; 26.04.2005, n. 23668, Giordano; sez. III, n. 27699/2010, Coppola].
A divergenti conclusioni é pervenuta, invece, questa Sezione -con la più recente sentenza 08.06.2011, n. 23072, Lacorte- ove, in adesione alle argomentazioni svolte nella sentenza 19.01.2009, n. 1818, Baldessari, è stato evidenziato che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento (art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001), emerge un ''sostanziale affidamento" riposto dall'ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna Il progetto e sulla sua veridicità, atteso che "quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento". In tale prospettiva la relazione dei tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell'attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.
3.2 Quanto alla dichiarazione dl conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti -a fronte dell'orientamento secondo il quale si tratterebbe soltanto di un mero giudizio del dichiarante- la stessa è stata ricondotta, invece, all'attività certificativa già da Cass., sez. III, n. 27699/2010, Coppola.
4. Ribadisce il Collegio le argomentazioni svolte nella sentenza n. 23072/2011, Lacorte.
In tale sentenza è stato condivisibilmente evidenziato che
l'art. 29, 3° comma, del T.U. n. 380/2001 dispone che "Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assuma la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt. 359 e 481 cod. pen. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'art. 23, comma 1, l'amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari".
Le previsioni anzidette devono essere lette in necessaria correlazione con quelle poste dai precedente art. 23, il quale prescrive che la DIA deve essere accompagnata da una relazione del progettista:
- "che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti" (comma 1);
- che il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6);
- che, ultimato l'intervento, "il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale ... con il quale si attesta la conformità dell'opera ai progetto presentato con la denuncia di inizio attività" (comma 7).

Il progettista, dunque, ha un duplice obbligo:
a) redigere una relazione preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare" tra l'altro la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza dì contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi;
b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.

E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è stato esattamente osservato che
il termine "asseverare" ha il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità del contenuto. Il progettista si pone come "persona esercente un servizio di pubblica necessità" proprio perché assume una posizione di particolare rilievo in un procedimento (quello di DIA) che prevede la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della DIA, infatti, consiste nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è più necessaria l'emanazione di un titolo di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui dispone l'amministrazione -a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo- non è finalizzato all'emanazione di un provvedimento di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione.

Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore. Il ricorso al procedimento della DIA, conseguentemente, porta con sé una peculiare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinarla, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento.
Proprio in considerazione di questo affidamento la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma 3, del T.U. n. 380/2001) che si connette alle previsioni dei commi 1 e 6 del precedente art. 23.
Il 6° comma dell'art. 23, in particolare, dispone che,
in caso di "falsa attestazione" del professionista, il funzionario comunale ha l'obbligo di inoltrare segnalazione informativa all'autorità giudiziaria, sicché è evidente che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più delle condizioni stabilite", risulta strettamente correlata alle prescrizioni poste dal 1° comma del medesimo art. 23, ove la relazione del progettista integra la dichiarazione stessa di inizio attività, che è atto dotato di piena autonomia.
Dalla delineata costruzione della DIA, come atto fidefaciente a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che
la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda dell'intermediazione dei potere autorizzatorio dell'attività dei privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi "certificativo".
4.1 In conclusione,
sulla base dell'assetto normativo vigente ed alla stregua delle argomentazioni dianzi svolte, deve ribadirsi il principio secondo il quale:
-- la relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di 'certificato' per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.

5. Nella fattispecie in esame,
l'imputato:
-- nella relazione allegata alla DIA del 28.08.2003 ha descritto la prevista realizzazione di opere di manutenzione straordinaria e non di conservazione dello status quo di un edificio ormai sostanzialmente diruto:  in tal modo -secondo la giurisprudenza costante di questa Corte- ha reso una falsa "certificazione" riferita alla descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare.
Irrilevante è la circostanza della mancata esecuzione dei lavori denunziati (dovuta al fatto che, in seguito ad un controllo della DIA, il responsabile del procedimento aveva richiesto una relazione integrativa), poiché il reato deve ritenersi consumato con la presentazione della denuncia;

-- nella successiva relazione allegata alla richiesta di permesso di costruire ha inquadrato le opere da realizzare nella tipologia della 'ristrutturazione' a fronte di una situazione di fatto ove la realizzabilità di un intervento siffatto era vietata proprio dallo stato di rudere del fabbricato.
Secondo costante orientamento giurisprudenziale, invero,
la ricostruzione su ruderi costituisce sempre 'nuova costruzione', in quanto il concetto di ristrutturazione edilizia postula necessariamente la preesistenza di un organismo edilizio dotato delle murature perimetrali, strutture orizzontali e copertura. In mancanza di tali elementi strutturali non é possibile valutare l'esistenza e la consistenza dell'edificio da consolidare ed i ruderi non possono che considerarsi alla stregua di un'area non edificata [vedi Cass., Sez. III: 21.10.2008, n. 42521, Valeri; 24.09.2008, n. 36542, Verdi; 23.01.2007, Meli; 13.01.2006, Polverino, 0402..2003, Pellegrino e 20.02.2001, Perfetti; nonché C. Stato, Sez. IV: 26.02.2008, n. 681; 15.09.2006, n. 5375 e C. Stato, Sez. V: 28.05.2004, n. 3452; 15.04.2004, n. 2142; 01.12.1999, n. 2021; 04.08.1999, n. 398; 10.03.1997, n. 2401].
Nella specie si é fatto surrettiziamente ricorso alla tipologia della "ristrutturazione" perché la realizzazione di una nuova costruzione residenziale non era consentita in area classificata come zona agricola dallo strumento urbanistico vigente.
6.
Quanto alla individuazione dello stato di 'rudere' del manufatto, i giudici del merito, con argomentazioni puntualmente riferite agli elementi di prova raccolti (in particolare al sopralluogo effettuato dai vigili edilizi il 16.01.2004), hanno accertato che il tetto non era più esistente e si intravvedevano solo tracce di muri perimetrali.
Il ricorso si limita a confutare tale ricostruzione della vicenda senza alcuna specificazione tecnica, svolgendo censure in fatto del provvedimento impugnato.
Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio non sono proponibili -però- nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi di prova acquisiti, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito dei provvedimento impugnato
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.09.2012 n. 35795 - tratta da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: I contributi di costruzione. I chiarimenti che arrivano dal Consiglio di Stato. La data di Scia e Dia fissa il prezzo degli oneri. Niente aumenti dopo la presentazione dell'istanza.
GLI INTERVENTI MAGGIORI/ Solo per il permesso di costruire i conteggi vengono differiti fino all'approvazione del progetto.

L'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione per gli interventi edilizi non dipende solo dal rilascio del provvedimento autorizzatorio, ma sorge anche in caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia o di una Scia (segnalazione certificata di inizio attività), insieme all'inoltro della segnalazione o alla presentazione della denuncia. L'obbligo, infatti, è correlato all'aumento del carico urbanistico, quindi all'attività di trasformazione del territorio. È alla disciplina vigente al momento di presentazione della Scia o della denuncia che l'amministrazione dovrà fare riferimento per calcolare gli oneri dovuti, senza considerare mutamenti tariffari successivamente intervenuti o richiedere conguagli.
Un principio, quest'ultimo, affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza 04.09.2012 n. 4669.
In caso di rilascio del permesso di costruire, invece, l'obbligo di pagamento sorge con l'approvazione del progetto, anche se questo passaggio avviene a distanza di anni dalla domanda, e si dovrà fare riferimento alle tariffe vigenti in questo momento e non a quelle, eventualmente più favorevoli, in vigore alla data di presentazione della domanda (Consiglio di Stato, sezione IV, pronunce n. 3116 e n. 1752 del 2011).
Le origini
Il principio di onerosità della concessione edilizia è stato introdotto dalla legge Bucalossi (la n. 10/1977) e poi trasfuso nell'articolo 16 del testo unico dell'edilizia (il Dpr 380/2001); norma della quale la giurisprudenza ha progressivamente definito i contenuti e la portata, chiarendone gli aspetti più problematici.
Per orientamento ormai consolidato (da ultimo Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320) il contributo per il rilascio del permesso di costruire ha natura di prestazione patrimoniale pubblicistica ed obbligatoria, di tipo non tributario (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 20.04.2009, n. 2359). Si tratta di una prestazione a carattere generale, non disponibile dalle parti, poiché prescinde dalla effettiva realizzazione dell'intervento urbanizzatorio (Consiglio di Stato, sezione V, 22.02.2011, n. 1108). Ad esempio, è stato escluso che potesse omettersi il pagamento degli oneri concessori a fronte di un asserito inadempimento del Comune della "controprestazione" pattuita, che nel caso specifico consisteva nella costruzione di una strada indispensabile per assicurare l'accesso al suolo interessato dal permesso di costruire (Consiglio di Stato, sezione V, pronuncia 15.12.2005, n. 7140).
Il presupposto del contributo viene individuato nell'incremento del "carico urbanistico", quello, cioè, che viene prodotto da un nuovo insediamento o dall'ampliamento di uno preesistente, per l'aumento delle persone insediate e la correlata domanda di ulteriori strutture ed opere collettive (strade, fognature, eccetera) in una determinata area.
La quantificazione del contributo è del tutto indipendente sia dalle spese effettivamente occorrenti all'amministrazione per realizzare le opere di urbanizzazione, sia dall'immediata utilità che il proprietario dell'area riceve in conseguenza di un formale titolo edificatorio, ovvero dalla possibilità di eseguire l'intervento costruttivo in forza di Dia o Scia.
L'aggiornamento
Gli oneri di urbanizzazione devono essere aggiornati ogni cinque anni dai Comuni, in conformità alle relative disposizioni regionali e in relazione ai riscontri dei prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale. Quindi, una volta intervenuta la delibera comunale di aggiornamento, ogni trasformazione edilizia può essere assoggettata solo al pagamento degli oneri di urbanizzazione tabellari previsti dal provvedimento comunale vigente e applicati in relazione alla tipologia e localizzazione del manufatto, oppure all'entità della trasformazione urbanistica (Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757).
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati gli oneri di urbanizzazione è considerata dalla giurisprudenza un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione (60 giorni). Viceversa, nel caso in cui non vengano dedotte censure nei confronti della delibera, ma ci si limiti a contestare la concreta quantificazione del contributo di urbanizzazione e il suo ammontare, le controversie riguardano posizioni di diritto soggettivo e sono azionabili nel termine di prescrizione di cinque anni innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (Consiglio di Stato, sezione V, 28.05.2012, n. 3122; sezione IV, 10.03.2011, n. 1565).
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I punti fermi della giurisprudenza
01 | L'OBBLIGO DI PAGARE SCATTA CON LA CONCESSIONE
Il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo dell'obbligo del concessionario di pagare il contributo per oneri di urbanizzazione. Il privato deve contribuisce così alle spese affrontate dal Comune per le opere indispensabili affinché l'area diventi idonea all'insediamento autorizzato e grazie alle quali l'area acquista un beneficio economicamente rilevante. Il contributo va calcolato secondo i parametri vigenti al momento del rilascio della concessione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 30.07.2012, n. 4320
02 | CON LA DIA IL PAGAMENTO È IMMEDIATO
Nel caso di presentazione di una denuncia di inizio di attività edilizia (Dia), l'obbligo di pagare gli oneri di urbanizzazione e il costo di costruzione sussiste all'atto della presentazione della Dia stessa. L'importo è in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della domanda - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
03 | AL TAR I RICORSI CONTRO IL CALCOLO DEI VERSAMENTI
La delibera del Consiglio comunale con la quale vengono determinati i contributi concessori per gli interventi edilizi è da considerarsi un atto autoritativo e, come tale, è soggetta all'ordinario termine di decadenza ai fini della sua impugnazione. Al contrario, le controversie sulla contestazione degli oneri di urbanizzazione attengono a posizioni di diritto soggettivo azionabili davanti al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 28.05.2012 n. 3122
04 | PER STABILIRE GLI IMPORTI NON SERVE LA MOTIVAZIONE
La determinazione del contributo e degli oneri di urbanizzazione costituisce atto vincolato, che va effettuato sulla base di parametri prestabiliti e pertanto non richiede una specifica motivazione sulla determinazione delle somme
Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 01.09.2011, n. 4906
05 | VALORI DA INDIVIDUARE IN BASE ALL'ATTIVITÀ SVOLTA
L'ente locale deve necessariamente individuare e calcolare il quantum contributivo sulla base di quanto prevedono le tabelle e in relazione all'esatta qualificazione del complessivo intervento assentito. Il calcolo va quindi effettuato anche in modo corrispondente all'effettiva qualificazione dell'attività svolta nel nuovo edificio oggetto di concessione edilizia e di contribuzione urbanistica - Tar Emilia-Romagna, Bologna, sezione II, sentenza 12.09.2012, n. 557
06 | TERRAZZI, SOFFITTE E CANTINE ESCLUSI DAI CONTEGGI
Il calcolo degli oneri di urbanizzazione va effettuato tenendo conto anche delle "superfici di calpestio", ma per esse devono intendersi solo quelle utili, costituite dalla somma delle aree di pavimento dei singoli vani utilizzati per le attività e destinazioni d'uso. Vanno escluse dal conteggio le aree destinate ai porticati, ai pilotis, alle logge, ai balconi, ai terrazzi, ai locali cantina, soffitte e ai locali sottotetto non agibili.
Queste esclusioni sono coerenti con il presupposto per l'insorgenza dell'obbligo di versare gli oneri di urbanizzazione, e cioè che vi sia un effettivo aggravio del carico urbanistico dovuto alla incidenza dell'intervento edilizio, che deve essere ragionevolmente considerato non nell'insieme delle superfici "di calpestio", ma di quelle utili, le sole in grado di comportare un maggior incremento del carico urbanistico - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 15.07.2009, n. 4439
07 | ININFLUENTE LO SVILUPPO URBANISTICO DELL'AREA
Gli oneri di urbanizzazione stabiliti in via generale sono dovuti a prescindere dalla situazione urbanizzativa delle zone in cui ricadono i singoli interventi, in quanto essi adempieno all'esigenza di una partecipazione patrimoniale da parte dei privati al pregiudizio economico gravante sulla collettività comunale per effetto della trasformazione del territorio - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 24.12.2009, n. 8757
08 | SI PAGA SOLO SULLA BASE DEL PROGETTO PRESENTATO
L'imponibile per la liquidazione degli oneri d'urbanizzazione deve essere valutato sulla base delle tariffe esistenti al momento della domanda del permesso di costruire e con esclusivo riguardo all'immobile così come definito e autorizzato, risultando irrilevanti le istanze edilizie quando ad esse non abbia fatto seguito il titolo abilitativo - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752
09 | IMPORTI CONTESTABILI ANCHE SENZA IMPUGNARE L'ATTO
L'azione giudiziaria, volta alla declaratoria dell'insussistenza o di una diversa entità del debito contributivo per oneri di urbanizzazione, è esperibile a prescindere dall'impugnazione o dall'esistenza dell'atto con cui è preteso il pagamento del contributo, trattandosi di un giudizio d'accertamento di un rapporto obbligatorio pecuniario, proponibile nel termine di prescrizione - Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 22.03.2011, n. 1752 (articolo Il Sole 24 Ore del 26.11.2012).

EDILIZIA PRIVATA: Gli oneri urbanizzativi devono essere determinati con riguardo alla disciplina vigente al momento della presentazione della d.i.a..
La denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro immediatamente fatta propria dal legislatore il quale, introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la ricostruzione della natura del silenzio tenuto dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività già intrapresa in un momento anteriore”.
In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi.
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Sussiste l’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della d.i.a..
Tra l'altro, la vicenda deve ritenersi confermata anche dalla particolare disciplina della d.i.a. contenuta nella l.r. 12/2005 (art. 42, commi 2 e 3) che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al momento della presentazione della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari successivi.

Con ricorso iscritto al n. 2569 del 2010, Nova Domus Italia s.r.l. propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, n. 13 del giorno 11 gennaio 2010 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Milano per l'annullamento della nota pg. 90611/2008 del Comune di Milano, Sportello Unico dell’Edilizia, in data 30.01.2008, avente ad oggetto: “Denuncia di inizio attività per ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione in via Carbonera Azzo n. 1, pratica n. 10740/2007, P.G. 1111435000/2007 – Integrazione del contributo di costruzione”.
Dinanzi al giudice di prime cure, la Nuova Domus Italia s.r.l. aveva impugnato il provvedimento con il quale il Comune aveva disposto il conguaglio del contributo di costruzione relativo alla d.i.a., presentata in data 30.01.2008, relativa ad un intervento via Carbonera Azzo n. 1, in esecuzione della deliberazione del consiglio comunale n. 73/2007, divenuta esecutiva in data 08.01.2008, che aveva aggiornato in aumento gli oneri di urbanizzazione dovuti per gli interventi edilizi.
La ricorrente riteneva che l’integrazione richiesta fosse illegittima per violazione degli artt. 42, 44 e 48 della L.R. 12/2005 e degli artt. 16 e 23 del D.P.R. 380/01 ed eccesso di potere in quanto gli oneri urbanizzativi dovrebbero essere determinati con riguardo alla disciplina vigente al momento della presentazione della domanda. Chiedeva quindi il risarcimento dei danni per la stipulazione della fideiussione richiesta dal Tribunale in sede cautelare.
La difesa comunale ha invece sostenuto la legittimità del provvedimento comunale in quanto, dovendo ritenersi che la d.i.a. produca effetti decorsi trenta giorni dalla sua presentazione al Comune, tutte le sopravveninenze normative intercorse tra la presentazione e l’efficacia debbono essere applicate al procedimento.
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il TAR riteneva infondate le censure proposte, considerando la DIA, indifferentemente alla considerazione della sua natura come atto di autorizzazione implicita o come atto privato, fosse comunque soggetta alle modifiche normative fino al momento della compiuta efficacia, ossia fino alla data di possibile esercizio del potere interdittivo dell’amministrazione.
...
Il giudice di prime cure ha affrontato il tema delle sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione della DIA e la sua efficacia evidenziando come “la DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti al trentesimo giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei trenta giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione nella sentenza richiamata dalla difesa comunale (n. 588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui “le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche legislative nei trenta giorni tra la presentazione e l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri. Pare quindi corretta la posizione dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le quali non è decorso il termine di trenta giorni
”.
L’impostazione seguita dal giudice di prime cure non appare però in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali e con le disposizioni legislative successive che, sebbene non applicabili ratione temporis, servono a meglio illuminare il tema della disciplina applicabile alla fattispecie.
Occorre, infatti, rilevare come questo Consiglio abbia posto fine al dibattito sulla natura dei titoli abilitativi non provvedimentali in edilizia con la sentenza dell’Adunanza plenaria 29.07.2011 n. 15 dove, a seguito di un’attenta ricostruzione delle diverse posizioni sostenute, raffrontate al quadro normativo in evoluzione, si è affermato che “la denuncia di inizio attività non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita e non dà luogo in ogni caso ad un titolo costitutivo, ma costituisce un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge”.
Tale lettura, in senso non provvedimentale, è stata peraltro immediatamente fatta propria dal legislatore il quale, introducendo il comma 6-ter dell’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” tramite l'articolo 6, comma 1, lettera c), del D.L. 13.08.2011, n. 138, ha espressamente qualificato tali atti come “non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.
In questo senso, appare consequenziale e condivisibile la ricostruzione della natura del silenzio tenuto dall’amministrazione (sempre come ritenuto dalla citata Consiglio di Stato ad. plen. 29.07.2011 n. 15), per cui “il passaggio del tempo non produce un titolo costitutivo avente valore di assenso ma impedisce l'inibizione di un'attività già intrapresa in un momento anteriore”. In tal modo, appare chiaro che l’efficacia del titolo formatosi in base all’atto del privato (rectius, la modalità abilitativa alla realizzazione dell’intervento edilizio) si determina indipendentemente dal mancato esercizio del potere di interdizione da parte della pubblica amministrazione, trattandosi di fattispecie che operano su piani giuridici diversi.
Deve quindi convenirsi con l’appellante in merito all’immediato sorgere dell’obbligo di corrispondere gli oneri di urbanizzazione ed il costo di costruzione in relazione alla situazione esistente al momento della presentazione della domanda, vicenda che deve ritenersi confermata anche dalla particolare disciplina della denuncia di inizio attività contenuta nella legge regionale (art. 42, commi 2 e 3, della legge regionale Lombardia n. 12 del giorno 11.03.2005 “Legge per il governo del territorio”) che prevede, da un lato, che il calcolo dei dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione sia allegato già al momento della presentazione della denuncia di inizio attività e, in secondo luogo, disponendo che il pagamento sia effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa che, per gli oneri di urbanizzazione, impone l’adempimento entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, rendendo quindi impermeabile la disciplina ai mutamenti disciplinari successivi (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.09.2012 n. 4669 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e silenzio dell'amministrazione.
In materia edilizia, la inutile scadenza del termine di legge per contestare all'interessato la carenza dei presupposti e dei requisiti per seguire la disciplina procedimentale della denunzia di inizio attività non configura un provvedimento implicito di silenzio-assenso, rimanendo impregiudicato il potere-dovere del Comune e dell'autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui l'intervento realizzato a seguito della presentazione della D.I.A. risulti sottoposto a permesso di costruire (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 29.08.2012 n. 33355 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATALa consumazione del potere inibitorio (ndr: 30 gg. per la DIA) non preclude all’amministrazione stessa l’esercizio del diverso potere di autotutela, ex artt. 21-quinquies e 21-nonies legge n. 241/1990, oltre al potere sanzionatorio e di vigilanza di cui all’art. 21 stessa legge.
Anche ammesso che l’amministrazione abbia, con la nota datata 23.03.2007 (cfr. doc. n. 8 allegati di parte ricorrente), riscontrato positivamente la DIA prot. 2066 del 05.03.2007, (affermazione discutibile, tenuto conto sia del tenore della nota de qua, che si limita a richiedere il contributo di costruzione e i diritti di segreteria in relazione all’intervento dichiarato; che della sua datazione, ben anteriore alla scadenza del termine di trenta giorni spettante alla p.a. per l’esercizio del potere di diffida ex art. 23, co. 6, d.P.R. n. 380/2001), sta di fatto che la consumazione del potere inibitorio non preclude all’amministrazione stessa l’esercizio del diverso potere di autotutela, ex artt. 21-quinquies e 21-nonies legge n. 241/1990, oltre al potere sanzionatorio e di vigilanza di cui all’art. 21 stessa legge (cfr. sulla diversa natura del potere inibitorio e di quello di autotutela, entrambi richiamati dall’art. 19, co. 3, della legge n. 241/1990 Ad. Plen. Cons. Stato n. 15, del 29.07.2011; nonché, TAR Bologna, sez. I, 26.04.2012, n. 272; TAR Milano, sez. II, 24.11.2011, n. 2899) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.08.2012 n. 2181 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di presentazione di D.I.A., l'inutile decorso del termine, di cui all'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380, dei 30 giorni assegnati all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e, quindi possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può infatti comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o revoca.
L'amministrazione non perde infatti i propri poteri di vigilanza e sanzionatori per cui, a fronte della presentazione della d.i.a., i controinteressati sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che si è consolidato per effetto del decorso del termine procedimentale.

In caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività, l'inutile decorso del termine, di cui all'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380, dei 30 giorni assegnati all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e, quindi possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'amministrazione può infatti comunque formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o revoca (cfr. Consiglio Stato, Sez. IV 25.11.2008 n. 5811).
L'amministrazione non perde infatti i propri poteri di vigilanza e sanzionatori per cui, a fronte della presentazione della d.i.a., i controinteressati sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che si è consolidato per effetto del decorso del termine procedimentale (cfr. Cons. Stato, sez. IV 08.03.2011 n. 1423)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.07.2012 n. 4318 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nessun dubbio può sussistere in ordine alla impugnabilità della “DIA”.
Nessun dubbio può sussistere in ordine alla impugnabilità della “DIA”, nei sensi precisati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, Ad. Plen., 29.07.2011 n. 15; sez. IV, 15.12.2011 n. 6614).
Come è noto, l’Adunanza Plenaria ha, per un verso, escluso che il privato che ritiene di essere pregiudicato dai lavori effettuati sulla base di DIA debba necessariamente attivare il procedimento per la formazione del silenzio-rifiuto sulla istanza volta all’adozione di provvedimenti repressivi da parte dell’amministrazione; per altro verso, ha individuato nella fattispecie, quale oggetto specifico dell’impugnazione, il silenzio (avente valore di provvedimento negativo implicito) in ordine all’esercizio di poteri inibitori sulla dichiarazione di inizio di attività.
Come precisa l’Adunanza Plenaria, nel caso di specie, ricorre l’ipotesi “di un provvedimento per silentium con cui la p.a., esercitando in senso negativo il potere inibitorio, riscontra che l’attività è stata dichiarata in presenza dei presupposti di legge e, quindi, decide di non impedire l’inizio o la protrazione dell’attività dichiarata”. In questo caso, “venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo sarà affidata primariamente all’esperimento di un’azione impugnatoria”.
La ricostruzione operata dalla giurisprudenza (e dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi) si attaglia al caso di specie, non potendosi configurare, per le ragioni esposte, la necessità –come invece sostenuto dall’appellante Comune di Venezia– di “mettere in mora l’amministrazione ad adottare atti di inibizione all’esercizio dell’attività prefigurata, ritenuta illegittima”; dal che discende la reiezione del motivo di appello sub b) dell’esposizione in fatto
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.07.2012 n. 4255 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASCIA, super-DIA, permesso di costruire: tutto quello che c’è da sapere, in un documento semplice e sintetico.
Per la realizzazione di interventi edilizi, dalla semplice manutenzione alla costruzione di un nuovo fabbricato, è necessario possedere opportuno titolo abilitativo.
Ma quando occorre utilizzare la SCIA o la super-DIA, oppure il permesso di costruire?
Che differenza esiste tra le diverse attività edilizie?
Quali sono le spese da sostenere per l’uno o l’altro?
Qual è la validità in termini di tempo?
In questo articolo proponiamo un documento di sintesi, contenente le definizioni relative alle diverse attività edilizie, le tipologie dei permessi previsti, le relative normative di riferimento, i costi, i vincoli, le sanzioni previste.
Il documento risulterà certamente utile a tutti i tecnici dell’edilizia e non solo (26.07.2012 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: Decreto Sviluppo. Ora è possibile sostituire pareri e nullaosta con le dichiarazioni dei professionisti.
Dia con autocertificazione. Restano escluse le autorizzazioni per paesaggio, ambiente e sicurezza.

Semplificare, snellire, velocizzare. Con il decreto legge 83 del 22 giugno (il decreto sviluppo), il Governo ritorna sulla disciplina dei titoli edilizi nel tentativo di dare nuovo impulso alle costruzioni e all'economia.
In buona sostanza, si tratta di estendere alla Dia la possibilità, già prevista per la Scia, di autocertificare il ricorso dei presupposti e delle condizioni per lo svolgimento dell'attività edilizia che la legge (e ora anche i regolamenti) demandano al parere o all'esecuzione di verifiche preventive di organi o enti appositi (si veda anche l'articolo a fianco).
Se la modifica è di poco conto per la Scia (sono ora autocertificabili anche le verifiche previste dai regolamenti, quali il piano regolatore e il regolamento edilizio) perché si limita a chiarire quanto poteva essere fonte di dubbio, per la Dia (cui sono soggette anche le opere di ristrutturazione e che in alcune Regioni consente la realizzazione di tutti gli interventi edilizi) l'innovazione è rilevante e non è detto che sia a tutta vantaggio del privato.
La novella dell'articolo 23, comma 1-bis, del testo unico dell'edilizia, stabilisce dunque che «nel caso in cui la normativa vigente preveda l'acquisizione di atti o pareri di organi e enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive... essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti».
Con l'eccezione dei pareri relativi ai vincoli e ai vari profili della sicurezza pubblica, la cui assunzione preventiva continua a essere necessaria per l'avvio dei lavori, la nuova disciplina modifica il rapporto pubblico-privato. Mentre prima l'interessato poteva limitarsi a presentare la Dia demandando all'amministrazione di assumere –nei 30 giorni entro cui il comune può diffidare l'inizio dei lavori– i pareri e le verifiche previste, ora di queste attività (alcune con una forte componente discrezionale, si pensi ad esempio, al parere della commissione edilizia) deve farsi comunque carico il privato, assumendosi ulteriori responsabilità e spese tecnico-professionali.
La semplificazione parrebbe così forse più a vantaggio della Pa, anche se la nuova funzione di controllo rispetto alle attestazioni del privato può essere più rischiosa in termini di danni da risarcire qualora sia disposto un ordine di non eseguire i lavori che sia riconosciuto illegittimo dal Tar (si veda l'articolo a fianco).
Scia promossa
La nuova previsione, che comunque rafforza il ruolo del privato nella dialettica con l'amministrazione, giunge in un momento in cui si sono diradati i dubbi sulla legittimità dell'intervento statale nella disciplina dell'edilizia. La Corte costituzionale, con la decisione 164 depositata lo scorso 27 giugno, ha infatti chiarito che la Scia attiene ai livelli essenziali delle prestazioni che un cittadino vanta nei confronti della Pa ed è dunque materia riservata alla competenza esclusiva dello Stato. La sentenza ha così rigettato i ricorsi promossi da Valle d'Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna e Puglia per l'illegittimità del Dl 78/2010 che aveva introdotto la Scia.
Di conseguenza, le diverse leggi regionali che disciplinano compiutamente la procedura della Dia in modo difforme dalla novella statale sono da quest'ultima integrate, dovendosi ritenere che la possibilità di autocertificare i pareri, gli atti e le verifiche è prevista in relazione ai «diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».
Resta il rammarico che interventi non secondari rispetto alla disciplina edilizia vengano disposti attraverso la decretazione d'urgenza, mettendo a rischio la coerenza interna del sistema e creando -come accade ora- l'incertezza che si sviluppa nei 60 giorni che vanno dalla pubblicazione del decreto alla sua conversione in legge .
Senza peraltro che da questa innovazione si possa ragionevolmente attendere un contributo al rilancio dell'economia.
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Dalla domanda ai controlli
01 | LA DIA
La denuncia di inizio attività è una comunicazione che il proprietario dell'immobile o chi ne ha titolo presenta al Comune almeno 30 giorni prima dell'inizio dei lavori, corredata da una relazione dettagliata delle opere da eseguire e dagli elaborati grafici sottoscritti da un progettista abilitato
02 | I LAVORI
La Dia è necessaria per le opere di ristrutturazione. La sua applicazione è definita a livello regionale. In alcune Regioni la Dia è necessaria per tutti gli interventi edilizi, anche in sostituzione del permesso di costruire. Sono esclusi quelli liberi quali la manutenzione ordinaria.
03 | LA PROCEDURA
Nella relazione di accompagnamento il progettista deve asseverare la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
04 | LA SEMPLIFICAZIONE
Il decreto sviluppo
(Dl 83/2012, ora in fase di conversione alla Camera) ha esteso alla Dia la possibilità già prevista per la Scia di autocertificare nella relazione del tecnico l'esistenza dei presupposti che legittimano l'intervento edilizio, ovvero i pareri e i nullaosta non legati a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali.
05 | I CONTROLLI
Resta al Comune il compito di controllare le autocertificazioni, con l'onere di risarcire i danni in caso di stop illegittimi.
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Gli oneri
01|I TECNICI
I professionisti abilitati che autocertificano, attestano o asseverano gli atti e i pareri a corredo di una Scia o di una Dia si assumono l'onere con proprie valutazioni anche discrezionali di valutare la compatibilità dell'intervento sostituendosi ai giudizi degli enti preposti.
02|I COMUNI
L'ente pubblico non può più limitarsi a evidenziare eventuali contrasti con la normativa vigente. Deve individuare con precisioni eventuali errori. Se sbaglia, può essere condannato a pagare un indennizzo per aver bloccato i lavori in modo illegittimo.
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Sui progettisti ora gravano più responsabilità. L'impatto. Devono verificare la compatibilità
I COMUNI/ Più attenzione alla vigilanza: l'ente rischia di dover pagare un risarcimento se blocca in modo illegittimo i lavori già avviati.
Forse per il Comune è più comodo verificare la correttezza delle autocertificazioni del privato anziché attestare la rispondenza del progetto alle indicazioni di leggi e regolamenti, ma in questo modo aumenta per l'ente la responsabilità nel caso in cui il punto di vista del privato sia erroneamente disatteso bloccando la realizzazione di lavori che invece erano in regola.
Il decreto sviluppo estende alla Dia il principio di semplificazione già previsto per la Scia, secondo cui gli atti, i pareri e le verifiche preventive di organi o di enti appositi da acquisire sono sostituiti da autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni di tecnici abilitati.
I tecnici devono così garantire la sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi, sostituendo, responsabilmente, le proprie valutazioni a quelle dell'amministrazione.
Il Dl 83/2012, in ogni caso, fa salve le verifiche successive delle amministrazioni competenti, le quali, se riscontrano errori nelle valutazioni dei tecnici, possono diffidare dal realizzare l'intervento.
Ebbene, il nuovo procedimento certamente fa ricadere sui tecnici importanti responsabilità ma, a ben vedere, consente all'interessato di avere qualche garanzia in più sull'attuabilità dell'intervento e maggiori certezze riguardo al risarcimento del danno correlato a provvedimenti inibitori illegittimi della pubblica amministrazione.
L'amministrazione, infatti, non potrà diffidare un intervento limitandosi ad evidenziare un presunto contrasto con la normativa vigente, ma dovrà argomentare riguardo all'errata valutazione da parte del tecnico del privato.
A fronte di ciò, in sede giudiziale, una volta che è stato annullato un provvedimento di inibitoria illegittimo, sarà più semplice ottenere la condanna dell'ente a risarcire il danno dovuto per l'ingiustificata sospensione dei lavori.
La giustizia amministrativa ha già evidenziato che, a seguito dell'annullamento di un provvedimento di inibitoria, l'amministrazione può verificare nuovamente la sussistenza dei requisiti per l'attività costruttiva, ma è responsabile dei danni causati dall'illegittima sospensione dei lavori (Tar Milano-Lombardia sezione II, 05.04.2011, n. 901; Tar Milano-Lombardia, sezione II, 15.04.2010, n. 1092).
Per ottenere la condanna dell'amministrazione, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, nemmeno è richiesto un particolare impegno probatorio: l'interessato può limitarsi ad invocare l'illegittimità dell'atto quale indice presuntivo di colpa. Spetterà, per contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un "errore scusabile" o che comunque non fosse esigibile una alternativa condotta lecita (Consiglio di Stato, sezione IV, 31.01.2012, n. 483; Consiglio di Stato, sezione V, 06.12.2010, n. 8549).
A fronte di un provvedimento inibitorio illegittimo, mediante il quale siano state confutate considerazioni tecniche, poi giudicate corrette e conformi alla legge, è evidente che l'amministrazione difficilmente potrà sostenere di essere ricaduta in un errore scusabile e che una diversa valutazione non fosse possibile.
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L'iter. Esclusi gli atti legati a beni vincolati. Resta ancora necessario l'ok del sovrintendente.
La semplificazione che consente anche nella Dia di sostituire i pareri o le verifiche preventive necessarie con un'autocertificazione del tecnico abilitato prevista dal decreto sviluppo ha un limite: non si applica a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e agli atti delle amministrazioni preposte alla tutela di altri interessi preminenti, specificamente identificati dalla disposizione.
Con questa operazione il legislatore, rilevando che le leggi regionali prevedono per analoghi interventi Dia o Scia in termini spesso confusi ed alternativi, ha espressamente inteso rimettere ordine quantomeno procedimentale, dettando regole di semplificazione analoghe per i due istituti.
Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 23 del Dpr 380/2001, introdotto dall'articolo 13 del decreto legge, prevede dunque che anche per la Dia i tecnici abilitati debbano, con la propria attestazione, garantire la sussistenza dei requisiti e presupposti previsti dalla legge, dagli strumenti urbanistici approvati o adottati e dai regolamenti edilizi. Resta fermo il potere dell'amministrazione di verificare la correttezza delle valutazioni dei tecnici.
La modifica del Testo unico edilizia prevede, inoltre, che le denunce, corredate da tutti gli elaborati previsti, possano essere presentate mediante raccomandata con avviso di ricevimento, fatti salvi i procedimenti per i quali è previsto l'utilizzo esclusivo della modalità telematica, modalità che, sulla base di un regolamento da adottare su proposta del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, dovrebbe diventare la via esclusiva per la presentazione delle denunce.
Il Governo ha, infine, modificato la disciplina della Scia, precisando che sono sostituiti da autocertificazioni, attestazioni, asseverazioni o certificazioni, non solo gli atti, i pareri e le verifiche preventive previsti da legge, ma anche quelli imposti da regolamenti.
Continua dunque il processo di semplificazione dei procedimenti amministrativi, basato sulla limitazione dell'obbligo di ottenere un'autorizzazione preliminare ai soli casi indispensabili e sull'introduzione del principio comunitario di tacita autorizzazione (direttiva 2006/123/CE, attuata con Dlgs 59/2010) (articolo Il Sole 24 Ore del 16.07.2012).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia di inizio attività per la realizzazione di un intervento edilizio, adotta provvedimenti di sospensione dei lavori o di demolizione dopo che sia decorso il termine di 30 giorni previsto per il consolidamento del titolo, senza fare previo ricorso agli strumenti dell'autotutela.
Invero, non può essere revocato in dubbio che qualsivoglia intervento il Comune intenda esercitare sull’assetto di interessi risultante da una d.i.a. già perfetta ed efficace, la relativa attività deve necessariamente esplicarsi nell’ambito di un procedimento di secondo grado avente ad oggetto il riesame di un’autorizzazione implicita che ha già determinato la piena espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi conclusivamente che, al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, si fosse da tempo formato il provvedimento abilitativo tacito conseguente alla denuncia del privato e all'inerzia dell'amministrazione la quale, ritenendo di doversi tardivamente opporre all'intervento, non poteva limitarsi ad ordinare di non eseguire i lavori, dovendo previamente provvedere, in via di autotutela, alla rimozione del provvedimento implicito.

Al riguardo, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo cui, ai sensi delle richiamate previsioni contenute nell'art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380, è illegittimo l'operato dell'amministrazione comunale che, in presenza di una denuncia di inizio attività per la realizzazione di un intervento edilizio, adotta provvedimenti di sospensione dei lavori o di demolizione dopo che sia decorso il termine di trenta giorni previsto per il consolidamento del titolo, senza fare previo ricorso agli strumenti dell'autotutela (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 10.12.2009, n. 7730; 04.05.2010, n. 2558; TAR Campania, Sezione II, 25.06.2005, n. 8707; 11.04.2008 n. 2093; Sezione VIII, 08.10.2009, n. 5200; TAR Piemonte, Sezione I, 11.10.2006, n. 3382; TAR Liguria, Sezione I, 15.05.2010, n.2583).
Invero, non può essere revocato in dubbio che qualsivoglia intervento il Comune intenda esercitare sull’assetto di interessi risultante da una d.i.a. già perfetta ed efficace, la relativa attività deve necessariamente esplicarsi nell’ambito di un procedimento di secondo grado avente ad oggetto il riesame di un’autorizzazione implicita che ha già determinato la piena espansione del cd. ius aedificandi.
Per tali ragioni, deve ritenersi conclusivamente che, al momento dell'adozione del provvedimento impugnato, si fosse da tempo formato il provvedimento abilitativo tacito conseguente alla denuncia del privato e all'inerzia dell'amministrazione la quale, ritenendo di doversi tardivamente opporre all'intervento, non poteva limitarsi ad ordinare di non eseguire i lavori, dovendo previamente provvedere, in via di autotutela, alla rimozione del provvedimento implicito (il cui esercizio deve peraltro essere coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa: cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25.11.2008, n. 5811) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 04.07.2012 n. 3205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

AMBIENTE-ECOLOGIA - EDILIZIA PRIVATA - INCARICHI PROGETTUALI: G.U. 26.06.2012 n. 147, suppl. ord. n. 129/L, "Misure urgenti per la crescita del Paese" (D.L. 22.06.2012 n. 83).
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Le disposizioni del Decreto Legge sono già in vigore; tra queste ricordiamo:
● Innalzamento della detrazione per ristrutturazione (dal 36% al 50%)
● Credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati
● Tariffe minime nelle gare
● Ripristino Iva sull'invenduto
● Semplificazioni per i titoli abilitativi (SCIA e DIA)
● Sospensione del Sistri
● Finanziamenti green economy
● Possibilità di costituire “Srl semplificata” anche agli over 35
In allegato a questo articolo, oltre al testo del Decreto, riproponiamo il documento di sintesi delle principali disposizioni elaborato da BibLus-net
(commento tratto da e link a http://www.acca.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Ai sensi del sesto comma dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per interventi edilizi di eseguire sugli immobili sottoposti a tutela paesaggistica, è necessario il preventivo rilascio dell’autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo.
In sua assenza il procedimento avviato con la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun titolo abilitativo alla realizzazione delle opere può dirsi acquisito, sicché il programmato intervento edilizio, ove venga, comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito “sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001 circa la realizzabilità degli interventi in regime di DIA subordinatamente al preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla presunta formazione del silenzio–assenso, ovvero affidamenti nel privato sulla legittimazione ad eseguire l’intervento oggetto di denuncia.
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Laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.

Ed, invero, ai sensi del sesto comma dell’art. 22 D.P.R. n. 380, per interventi edilizi di eseguire sugli immobili sottoposti a tutela paesaggistica, è necessario il preventivo rilascio dell’autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (che, nella specie, non risulta essere stato affatto resa).
In sua assenza il procedimento avviato con la d.i.a non si perfeziona, di talché alcun titolo abilitativo alla realizzazione delle opere può dirsi acquisito, sicché il programmato intervento edilizio, ove venga, comunque, eseguito, deve ritenersi eseguito “sine titulo” e l’amministrazione è tenuta a sanzionarlo.
La violazione del chiaro principio impostato nell’articolo 22, comma 6, del d.p.r. 380/2001 circa la realizzabilità degli interventi in regime di DIA subordinatamente al preventivo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica elide –ripetesi– qualsivoglia dubbio sulla presunta formazione del silenzio–assenso, ovvero affidamenti nel privato sulla legittimazione ad eseguire l’intervento oggetto di denuncia (cfr. TAR Campania, VI Sezione, n. 2385 del 28.04.2011, TAR Campania, VI Sezione n. 3889 del 13.07.2009).
Resta, pertanto, acclarata la natura abusiva delle trasformazioni del territorio operate dalla parte ricorrente con l’intervento suddetto e l’incidenza delle medesime su un’area sottoposta a vincolo paesisitico.
In siffatte evenienze, consegue come effetto necessitato la spedizione dell’ordine demolitorio, stante la “straordinaria importanza della tutela reale dei beni paesaggistici ed ambientali” (cfr. C. Cost. Ord.za 12/20.12.2007 n. 439).
L’articolo 167 del d.p.r. 42/2004 espressamente prevede, infatti, come misura sanzionatoria tipica quella della rimessione in pristino.
Né poteva ritenersi concretamente predicabile –contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di gravame– la conversione della misura ripristinatoria irrogata in quella pecuniaria secondo quanto previsto dal combinato disposto dei commi 1, 4 e 5 dell’articolo 167 sopra citato.
E’, infatti, di tutta evidenza che il procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica -che consente di sanare anche gli interventi di manutenzione straordinaria, tipologia cui vanno ricondotte le opere abusivamente realizzate dal ricorrente- delineato dalla suddetta disciplina di settore ha luogo, invero, solo su impulso di parte, occorrendo a tali fini che “il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 (tra cui giustappunto gli interventi di manutenzione straordinaria) presenti apposita domanda …di accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi”.
Poste, dunque, da un lato, l’assenza della previa autorizzazione paesaggistica, che ha bloccato il perfezionamento del titolo edilizio sotto forma di dichiarazione di inizio attività, e, dall’altro, la mancata attivazione del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica di cui all’articolo 167, è dunque evidente che l’Amministrazione non ha avuto altra scelta che sanzionare gli interventi abusivamente eseguiti con gli strumenti repressivi (id est misure ripristinatorie) imposti dalla disciplina di settore.
A fronte della richiamata cornice normativa –che costruisce l’intervento repressivo demolitorio come atto dovuto ed a contenuto vincolato– devono evidentemente ritenersi recessive le ulteriori doglianze articolate nel gravame con le quali la parte ricorrente lamenta l’insufficienza dell’istruttoria ovvero l’inadeguatezza del corredo motivazionale del provvedimento impugnato.
Peraltro, la natura assorbente delle considerazioni fin qui svolte (che impingono nella necessità di una tutela “reale” ex articolo 167 del d.lgs. 42/2004 in ragione del valore paesistico dell’area) rispetto ai profili giuridici che involgono il (solo) rilievo edilizio delle opere eseguite (ai sensi della concorrente previsione sanzionatoria di cui all’articolo 31 del d.p.r. 380/2001, parimenti richiamata nell’ordine di demolizione) trova conforto nel principio giurisprudenziale secondo cui devono ritenersi inammissibili le censure tese a contestare aspetti ulteriori della motivazione i cui eventuali vizi non potrebbero determinare l’annullamento del provvedimento (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. VI, 29.03.2011, n. 1897, che ribadisce come “laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento”) (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 25.06.2012 n. 2987 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione. Infatti, il decorso del termine di 30 giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un “potere di verifica della non formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3, art. 19, L. 241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è sottoposto al termine perentorio di 30 giorni, che presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali.

Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all’edilizia) sia al modello generale di cui all’art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione (ex multis TAR Lombardia Milano II 09.12.2008 n. 5737; TAR Emilia-Romagna Bologna sez. II 17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez. IV 24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez. I 02.12.2010, n. 35023). Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un “potere di verifica della non formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3, art. 19, L. 241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali (ex multis TAR Lombardia Milano II 09.12.2008, n. 5737)
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.06.2012 n. 1195 - link a  www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all’edilizia) sia al modello generale di cui all’art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione.
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori.
Così opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un “potere di verifica della non formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3 art. 19 L. 241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali.
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Tali coordinate interpretative, invero, risultano già fatte proprie da questa Sezione con specifico riferimento ai procedimenti per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -caratterizzati come detto dal connotato della specialità- laddove si è precisato che le attestazioni che devono accompagnare la denuncia di inizio attività prevista dall'art. 5 del D.lgs. 29.12.2003 n. 387 non possono che ricalcare in linea di massima la documentazione da produrre con l'istanza per l'ottenimento dell'autorizzazione, di cui ai commi terzo e quarto dell'articolo 12 del decreto legislativo 29.12.2003 n. 387.
Pertanto in assenza della documentazione, se pertinente ed essenziale, la dichiarazione d'inizio attività “non può reputarsi formalmente presentata” e quindi, dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine dilatorio di 30 giorni.
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A diverse conclusioni non può giungersi in relazione all’intervenuta qualificazione normativa (per effetto dell’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13.08.2011, n. 138) della d.i.a. (e della s.c.i.a.) quale titolo abilitativo ex lege e non già di fattispecie provvedimentale a formazione tacita, come anticipato in via pretoria dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Infatti, allorché il legislatore introduca fattispecie di liberalizzazione di attività, vale il principio dell'autoresponsabilità del dichiarante, in base al quale, la dichiarazione può ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti -oltre alle formalità estrinseche prescritte dall'ordinamento (essenzialmente dirette a rendere incontrovertibile la paternità di una determinata dichiarazione)- anche il canone dell'autosufficienza contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione l’Amministrazione di poter effettivamente esercitare in concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla legge. E ciò, si badi bene, non solo nell’interesse pubblico alla repressione delle attività abusive, ma nello stesso interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente all’eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta già realizzate le opere ed effettuati i correlati investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di tempestività e contenimento dei termini, poste alla base del decreto legislativo 29.12.2003 n. 387 in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può allora esonerare il richiedente, secondo il suesposto principio della autoresponsabilità, dalla presentazione della documentazione prescritta dalla legge, al fine di consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda realizzare.
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -per le quali in considerazione della specialità non pare ipotizzabile la sostituzione con la s.c.i.a. di cui all’art. 19 L. 241/1990- deve rimanere fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore (statale o regionale) possono ritenersi “formate ed esistenti” soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l’esercizio del potere inibitorio–repressivo.

3.3. Tanto premesso, con riferimento sia alle d.i.a. di cui alla normativa di settore (con particolare riferimento all’edilizia) sia al modello generale di cui all’art. 19 legge 241/1990, la giurisprudenza ritiene che presupposti indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti siano la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione (ex multis TAR Lombardia Milano II 09.12.2008 n. 5737; TAR Emilia-Romagna Bologna sez. II 17.07.2006 n. 142; Consiglio di Stato sez. IV 24.05.2010, n. 3263; TAR Lazio-Roma sez. I 02.12.2010, n. 35023).
Infatti, il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l'attività o di sospendere i lavori. Così opinando, tale potere non è equiparabile ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un “potere di verifica della non formazione della d.i.a.”, con conseguente ordine di interruzione dei lavori, così come d’altronde normativamente previsto per l’ipotesi di mendacio (vedi comma 3 art. 19 L. 241/1990); per tale motivo, l'esercizio di tale potere non è sottoposto al termine perentorio di trenta giorni, che presuppone invece che la d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali (ex multis TAR Lombardia Milano II 09.12.2008, n. 5737).
3.4. Tali coordinate interpretative, invero, risultano già fatte proprie da questa Sezione con specifico riferimento ai procedimenti per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -caratterizzati come detto dal connotato della specialità- laddove si è precisato che le attestazioni che devono accompagnare la denuncia di inizio attività prevista dall'art. 5 del D.lgs. 29.12.2003 n. 387 non possono che ricalcare in linea di massima la documentazione da produrre con l'istanza per l'ottenimento dell'autorizzazione, di cui ai commi terzo e quarto dell'articolo 12 del decreto legislativo 29.12.2003 n. 387; pertanto in assenza della documentazione, se pertinente ed essenziale, la dichiarazione d'inizio attività “non può reputarsi formalmente presentata” e quindi, dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine dilatorio di 30 giorni (sentenza 02.10.2009, n. 2226).
3.5. A diverse conclusioni non può giungersi in relazione all’intervenuta qualificazione normativa (per effetto dell’art. 6, comma 1, lett. c), D.L. 13.08.2011, n. 138) della d.i.a. (e della s.c.i.a.) quale titolo abilitativo ex lege e non già di fattispecie provvedimentale a formazione tacita, come anticipato in via pretoria dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 29.07.2011, n. 15).
Infatti, allorché il legislatore introduca fattispecie di liberalizzazione di attività, vale il principio dell'autoresponsabilità del dichiarante, in base al quale, la dichiarazione può ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti -oltre alle formalità estrinseche prescritte dall'ordinamento (essenzialmente dirette a rendere incontrovertibile la paternità di una determinata dichiarazione)- anche il canone dell'autosufficienza contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione l’Amministrazione di poter effettivamente esercitare in concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla legge. E ciò, si badi bene, non solo nell’interesse pubblico alla repressione delle attività abusive, ma nello stesso interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente all’eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta già realizzate le opere ed effettuati i correlati investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti e di tempestività e contenimento dei termini, poste alla base del decreto legislativo 29.12.2003 n. 387 in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può allora esonerare il richiedente, secondo il suesposto principio della autoresponsabilità, dalla presentazione della documentazione prescritta dalla legge, al fine di consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda realizzare (in questi termini, in riferimento all’art. 23 t.u. edilizia e all’art. 19 legge 241/1990, Consiglio di Stato sez. IV 24.05.2010 n. 3263; in riferimento alla d.i.a. per la realizzazione di impianti di telefonia mobile TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 17.07.2006, n. 1462.)
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili -per le quali in considerazione della specialità non pare ipotizzabile la sostituzione con la s.c.i.a. di cui all’art. 19 L. 241/1990- deve rimanere fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore (statale o regionale) possono ritenersi “formate ed esistenti” soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l’esercizio del potere inibitorio–repressivo
(TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 18.06.2012 n. 1193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di ricorsi proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente all'esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione, in virtù del principio di economia processuale, l'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in ragione del fatto che la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire sia sul piano del petitum che della causa petendi la decisione della p.a. di non adottare il provvedimento inibitorio.
Dunque, è riconosciuta la possibilità di un’azione giurisdizionale di accertamento della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a. presentate dai privati, prima dell’esercizio da parte dell’amministrazione competente dell’azione inibitoria di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa nel caso in cui accerti la mancanza dei requisiti e dei presupposti per la validità delle dichiarazioni e delle segnalazioni sostitutive. Questo nella logica della garanzia di tutela giurisdizionale, che verrebbe meno laddove non fosse possibile riconoscere agli interessati la tutela in giudizio a fronte di dichiarazioni di privati sostitutive di titoli abilitanti all’esercizio di attività, nel caso di inerzia o rifiuto delle amministrazioni competenti a inibirne gli effetti a fronte della carenza dei presupposti di legittimità.

Per quanto riguarda la contestabilità in giudizio della s.c.i.a., va preliminarmente ricordato come l’istituto sia nuovo nel nostro ordinamento. Introdotte con modifica all’art. 19 della L. 07.08.1990 n. 241 dalla L. 30.07.2010 n. 122, le s.c.i.a. (segnalazioni certificate d’inizio attività edilizia) insieme alle d.i.a. s’inseriscono tra le modalità di semplificazione dell’azione amministrativa con effetto sostitutivo, a mezzo dichiarazione, di provvedimenti pubblici di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominati, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale (art. 19, comma 1, della L. n. 241/1990).
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con decisione 29.7.2011 n. 15, ha statuito che nel caso di ricorsi proposti avverso d.i.a. e s.c.i.a. anteriormente all'esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione, in virtù del principio di economia processuale, l'azione di accertamento, una volta maturato il termine per la definizione del procedimento amministrativo, si converte automaticamente in domanda di impugnazione del provvedimento sopravvenuto in ragione del fatto che la portata sostanziale del ricorso iniziale finisce per investire sia sul piano del petitum che della causa petendi la decisione della p.a. di non adottare il provvedimento inibitorio.
La pronuncia, dunque, riconosce la possibilità di un’azione giurisdizionale di accertamento della illegittimità di d.i.a. e s.c.i.a. presentate dai privati, prima dell’esercizio da parte dell’amministrazione competente dell’azione inibitoria di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa nel caso in cui accerti la mancanza dei requisiti e dei presupposti per la validità delle dichiarazioni e delle segnalazioni sostitutive. Questo nella logica della garanzia di tutela giurisdizionale, che verrebbe meno laddove non fosse possibile riconoscere agli interessati la tutela in giudizio a fronte di dichiarazioni di privati sostitutive di titoli abilitanti all’esercizio di attività, nel caso di inerzia o rifiuto delle amministrazioni competenti a inibirne gli effetti a fronte della carenza dei presupposti di legittimità
(TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 04.05.2012 n. 4007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La denunzia di inizio attività non ha valore di provvedimento amministrativo né lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l’attività di riscontro della p. a., sicché la sua impugnativa è inammissibile.
La d.i.a. in materia di edilizia costituisce un atto soggettivamente ed oggettivamente privato che in presenza delle condizioni richieste attribuisce al privato una legittimazione ex lege allo svolgimento di una determinata attività, che viene quindi liberalizzata. Da quanto detto deriva che, decorso il termine senza l’esercizio, da parte della p. a., del potere inibitorio, il terzo controinteressato potrà avvalersi solo dei provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio–rifiuto, che avrà quindi come riferimento solo il generale potere sanzionatorio e non quello inibitorio, dato che il giudice non potrebbe comunque costringere l’amministrazione ad esercitare un potere da cui è decaduta; pertanto, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso con cui il controinteressato impugna il c. d. atto abilitativo tacito formatosi sulla d.i.a. anziché chiedere al Comune direttamente la rimozione dell’atto, una volta scaduto il termine di esercizio del potere inibitorio dell’amministrazione.

Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti: “La denunzia di inizio attività non ha valore di provvedimento amministrativo né lo acquista in virtù del decorso del termine previsto per l’attività di riscontro della p. a., sicché la sua impugnativa è inammissibile” (TAR Campania Napoli, sez. III, 01.12.2008, n. 20723).
Né, del resto, potrebbe giungersi a diverse conclusioni, ove si ritenesse che la ricorrente (che afferma, a fol. 5 del ricorso, d’aver interesse ad impugnare “il provvedimento emesso dal Comune di Pollica”), abbia inteso gravare l’atto abilitativo tacito, formatosi a cagione del mancato esercizio da parte del Comune, nel termine di legge, del proprio potere inibitorio.
Tanto, in conformità all’ulteriore massima che segue: “La d.i.a. in materia di edilizia costituisce un atto soggettivamente ed oggettivamente privato che in presenza delle condizioni richieste attribuisce al privato una legittimazione ex lege allo svolgimento di una determinata attività, che viene quindi liberalizzata.
Da quanto detto deriva che, decorso il termine senza l’esercizio, da parte della p. a., del potere inibitorio, il terzo controinteressato potrà avvalersi solo dei provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio–rifiuto, che avrà quindi come riferimento solo il generale potere sanzionatorio e non quello inibitorio, dato che il giudice non potrebbe comunque costringere l’amministrazione ad esercitare un potere da cui è decaduta; pertanto, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso con cui il controinteressato impugna il c. d. atto abilitativo tacito formatosi sulla d.i.a. anziché chiedere al Comune direttamente la rimozione dell’atto, una volta scaduto il termine di esercizio del potere inibitorio dell’amministrazione
” (TAR Calabria Catanzaro, sez. II, 10.05.2007, n. 404; conforme: TAR Puglia Lecce, sez. I, 10.11.2006, n. 5284) (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 24.04.2012 n. 769 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa presentazione di una DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun procedimento amministrativo, per cui il decorso del termine di legge di 60 o 30 giorni per l’adozione di provvedimenti inibitori o repressivi da parte della Pubblica Amministrazione non configura alcuna conclusione di procedimento amministrativo né alcuna adozione di un provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990, consente al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo periodo, contiene a tale proposito la parola <<esclusivamente>>, introdotta in sede di conversione del decreto legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, la proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio della P.A. tutto sommato sui generis, visto che l’esperimento della stessa è consentito anche se la presentazione della DIA/SCIA non ha dato avvio ad alcun procedimento amministrativo.
Il silenzio della P.A., che consente l’azione ex art. 31 del codice del processo, presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione” del terzo all’Amministrazione, affinché quest’ultima eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale sollecitazione, pur non dovendo contenere formule sacramentali, debba però possedere una serie di minimi requisiti per così dire di “serietà”, che la rendano idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio annoverarsi la forma scritta, con l’indicazione –seppure di massima– della lamentata illegittimità dell’intervento edilizio e con la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione.
In altri termini, la sollecitazione all’esercizio del potere di cui è causa non può confondersi con la generica denuncia di eventuali abusi edilizi, che può ovviamente essere effettuata da qualsivoglia cittadino anche in forma orale, ma che non appare però idonea a fondare il silenzio dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la circostanza che, nel vigente ordinamento processuale amministrativo, a differenza del pregresso sistema, l’azione contro il silenzio della P.A. può essere promossa anche senza previa diffida all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°, del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui sopra è giustificata dal fatto che la scadenza infruttuosa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990), equivale comunque alla formazione del silenzio inadempimento della P.A., mentre nel caso di presentazione di DIA o di SCIA, come già sopra ricordato, non viene avviato alcun procedimento amministrativo, sicché soltanto attraverso l’idonea sollecitazione di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è possibile la formazione del silenzio inadempimento dell’Amministrazione.

Come noto, il regime della tutela giurisdizionale del terzo a fronte della presentazione di una denuncia/dichiarazione di inizio attività (DIA) o di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), reputate dal terzo contra legem, è oggi contenuto nell’art. 19 della legge 241/1990, come modificato dal decreto legge 138/2011, convertito con legge 148/2011.
Il comma 6-ter dell’art. 19 citato, esclude in primo luogo che la DIA e la SCIA costituiscano provvedimenti amministrativi taciti direttamente impugnabili: si tratta di una scelta legislativa conforme alla conclusione alla quale era giunta –seppure dopo un serrato dibattito– la stessa giurisprudenza amministrativa, con la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011, di poco anteriore alla riforma legislativa del decreto legge 138/2011.
Di conseguenza, nello schema normativo del citato comma 6-ter, la presentazione di una DIA o di una SCIA, non dà luogo ad alcun procedimento amministrativo, per cui il decorso del termine di legge di 60 o 30 giorni per l’adozione di provvedimenti inibitori o repressivi da parte della Pubblica Amministrazione non configura alcuna conclusione di procedimento amministrativo né alcuna adozione di un provvedimento tacito o implicito.
L’art. 19, comma 6-ter, consente al terzo che si reputa leso dalla presentazione della DIA/SCIA una sola modalità di tutela (il comma 6-ter, secondo periodo, contiene a tale proposito la parola <<esclusivamente>>, introdotta in sede di conversione del decreto legge), vale a dire la sollecitazione all’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia di quest’ultima, la proposizione dell’azione prevista dall’art. 31 del D.Lgs. 104/2010, cioè l’azione contro il silenzio della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di un’azione contro il silenzio della P.A. tutto sommato sui generis, visto che l’esperimento della stessa è consentito anche se la presentazione della DIA/SCIA non ha dato avvio ad alcun procedimento amministrativo (a tale proposito, si comprende perché il D.Lgs. 195/2011, costituente il primo decreto correttivo al codice del processo amministrativo, abbia modificato il primo comma dell’art. 31 del codice stesso, permettendo l’azione contro il silenzio non solo dal momento della conclusione del procedimento, ma anche <<negli altri casi previsti dalla legge>>, fra cui spicca senza dubbio quello dell’art. 19, comma 6-ter, succitato).
Il silenzio della P.A., che consente l’azione ex art. 31 del codice del processo, presuppone, ai sensi del comma 6-ter, la “sollecitazione” del terzo all’Amministrazione, affinché quest’ultima eserciti i propri poteri di verifica.
Orbene, ritiene il Collegio che tale sollecitazione, pur non dovendo contenere formule sacramentali, debba però possedere una serie di minimi requisiti per così dire di “serietà”, che la rendano idonea a porre in capo alla P.A. l’obbligo di esercitare i propri poteri di verifica e correlativamente a configurare, in caso di inerzia della P.A. stessa, un silenzio inadempimento, giuridicamente rilevante, censurabile davanti al giudice amministrativo con l’azione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
Fra questi requisiti deve senza dubbio annoverarsi la forma scritta, con l’indicazione –seppure di massima– della lamentata illegittimità dell’intervento edilizio e con la richiesta di esercizio del potere/dovere di verifica e di eventuale repressione.
In altri termini, la sollecitazione all’esercizio del potere di cui è causa non può confondersi con la generica denuncia di eventuali abusi edilizi, che può ovviamente essere effettuata da qualsivoglia cittadino anche in forma orale, ma che non appare però idonea a fondare il silenzio dell’Amministrazione di cui all’art. 31 del D.Lgs. 104/2010.
A diversa conclusione non induce la circostanza che, nel vigente ordinamento processuale amministrativo, a differenza del pregresso sistema, l’azione contro il silenzio della P.A. può essere promossa anche senza previa diffida all’Amministrazione (cfr. art. 31, comma 1°, del D.Lgs. 104/2010).
Infatti, la soluzione legislativa di cui sopra è giustificata dal fatto che la scadenza infruttuosa del termine di conclusione del procedimento amministrativo (ex art. 2, comma 1°, della legge 241/1990), equivale comunque alla formazione del silenzio inadempimento della P.A., mentre nel caso di presentazione di DIA o di SCIA, come già sopra ricordato, non viene avviato alcun procedimento amministrativo, sicché soltanto attraverso l’idonea sollecitazione di cui all’art. 19 comma 6-ter citato è possibile la formazione del silenzio inadempimento dell’Amministrazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.04.2012 n. 1075 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso di denunzia di inizio di attività, il termine di 30 giorni entro cui, ai sensi dell'art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, occorre riscontrare l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, va identificato nell'adozione del provvedimento e non nell'avvenuta notifica dello stesso.
Ai sensi dell’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, costituiscono, difatti, oggetto della d.i.a. solo le opere indicate, oltre che negli elaborati progettuali, nella relazione firmata da un progettista che ne asseveri la conformità agli strumenti urbanistici. La sola rappresentazione su una tavola di progetto non abilita, pertanto, alla realizzazione dell’intervento.

Nel caso di denunzia di inizio di attività, il termine di 30 giorni entro cui, ai sensi dell'art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001 n. 380, occorre riscontrare l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, va identificato nell'adozione del provvedimento e non nell'avvenuta notifica dello stesso (TAR Lecce Puglia sez. I, 15.01.2009, n. 54).
Ai sensi dell’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, costituiscono, difatti, oggetto della d.i.a. solo le opere indicate, oltre che negli elaborati progettuali, nella relazione firmata da un progettista che ne asseveri la conformità agli strumenti urbanistici. La sola rappresentazione su una tavola di progetto non abilita, pertanto, alla realizzazione dell’intervento (cfr. Tar Lombardia, Milano, 08.06.2011, n. 1472)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.04.2012 n. 990 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl terzo leso dagli effetti della D.I.A. potrà giovarsi unicamente dell’azione avverso il silenzio, senza che possano residuare ulteriori strumenti di tutela.
Quanto ai rimedi esperibili dal terzo controinteressato rispetto alla D.I.A., il Consiglio di Stato, con l’Adunanza Plenaria n. 15 del 29.07.2011, aveva stabilito che la D.I.A. non costituisce un provvedimento tacito formatosi per il decorso del termine, essendo invece una mera dichiarazione del privato rivolta all’amministrazione competente. Pertanto, secondo detta pronuncia, l’oggetto del giudizio, che vede come ricorrente il terzo leso dagli effetti della D.I.A., non può essere l’assenso tacito all’esercizio dell’attività, piuttosto, il terzo avrà l’onere d’impugnare l’inerzia dell’amministrazione, la quale, omettendo di esercitare i propri poteri inibitori, ha determinato la formazione di un provvedimento tacito di diniego di adozione di tali provvedimenti inibitori.
Nel caso di specie, la ricorrente sembra essersi adeguata a tale pronuncia del Consiglio di Stato nel momento in cui ha chiesto “l’annullamento del provvedimento tacito per silentium formatosi sulla D.I.A. a seguito del mancato esercizio da parte del Comune di Garda del potere inibitorio”.
Tuttavia, con l’art. 6 del D.L. n. 138 del 13.08.2011, convertito nella legge n. 148 del 2011, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia, aggiungendo all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 un comma 6-ter, il quale afferma che “la segnalazione certificata d’inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso d’inerzia, esperire l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del D.lgs. 02.07.2010, n. 104”.
Pertanto, il legislatore, pur recependo l’orientamento del Consiglio di Stato sulla natura giuridica della D.I.A. (oggi S.C.I.A.), come atto del privato non immediatamente impugnabile, si discosta da tale decisione quanto ai rimedi esperibili dal terzo controinteressato, il quale ha ora a disposizione solo l’azione prevista dall’art. 31 c.p.a. per i casi di silenzio della P.A. .
Dunque, quell’azione di annullamento del provvedimento tacito di diniego dei provvedimenti inibitori, introdotta solo per via giurisprudenziale dal Consiglio di Stato, è stata definitivamente espunta dal nostro ordinamento da parte del legislatore, che ha attribuito al terzo leso dagli effetti della D.I.A. (oggi S.C.I.A.) l’azione di cui all’art. 31 c.p.a. .
Peraltro, tra le correzioni ed integrazioni del Codice del processo amministrativo introdotte da ultimo dal D.lgs. 15.11.2011, entrato in vigore il 09.12.2011, vi è l’introduzione, all’art. 31, comma 1, dopo le parole “decorsi i termini per la conclusione del procedimento amministrativo”, della frase “e negli altri casi previsti dalla legge” cui segue il periodo, rimasto immutato “chi vi ha interesse può chiedere l’accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere”.
Il riferimento agli “altri casi previsti dalla legge” nei quali è possibile agire, dunque, ex art. 31 c.p.a., a prescindere dal decorso dei termini per la conclusione del procedimento, è chiaramente diretto al nuovo comma 6-ter dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990.
Pertanto, tale ultima integrazione dell’art. 31 c.p.a., consente di agire nei confronti del silenzio della P.A. mantenuto dopo la presentazione della S.C.I.A. o della D.I.A., ben prima della scadenza del termine finale assegnato all’amministrazione per l’esercizio del potere repressivo o modificativo, e sin da quando la S.C.I.A. o la D.I.A. vengano presentate e il terzo venga a conoscenza della loro utilizzazione.
In tal caso l’azione avrà ad oggetto, più che il silenzio, direttamente l’accertamento dei presupposti di legge per l’esercizio dell’attività oggetto della segnalazione, con i conseguenti effetti conformativi in ordine ai provvedimenti spettanti all’autorità amministrativa.
In definitiva, il rinvio operato dal legislatore all’istituto del silenzio, non riduce in maniera significativa l’ambito di tutela del quale il terzo si può giovare, considerato anche che quest’ultimo, pur trascorso il termine assegnato all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio, potrà sollecitare tramite diffida, oltre l’esercizio del potere di autotutela, anche l’esercizio dei poteri sanzionatori e repressivi sempre spettanti all’amministrazione in materia edilizia e, fintantoché l’inerzia perduri e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine per l’adempimento, potrà esperire l’azione di cui all’art. 31 c.p.a., richiamata dal comma 6-ter dell’art. 19 L. 241/1990.
In conclusione, sulla base del nuovo quadro normativo, applicabile, ratione temporis al ricorso in esame, il terzo leso dagli effetti della D.I.A. potrà giovarsi unicamente dell’azione avverso il silenzio, senza che possano residuare ulteriori strumenti di tutela (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 05.03.2012 n. 298 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAImpugnabilità diretta della D.I.A. - Applicabilità del legittimo affidamento prima della pronuncia dell'Adunanza Plenaria n. 15/2011 - Sussiste.
La decisione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 15/2011, ed il successivo intervento legislativo, che negano la diretta impugnabilità della D.I.A. non possono trovare diretta ed immediata applicazione nelle controversie instaurate quando l'indirizzo che sosteneva l'impugnabilità immediata della D.I.A. era prevalente perché su di esso la parte ricorrente ha riposto un legittimo affidamento che non può esserle "confiscato" a posteriori (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.02.2012 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAD.I.A. - Recupero abitativo di sottotetto - Documentazione incompleta - Preesistenze non riscontrabili - Illegittimità.
Un intervento di recupero di un sottotetto da attuarsi con D.I.A., soggetto in quanto tale a verifica ex post, non può essere progettato e realizzato sulla base di documentazione incompleta o comunque non rappresentativa dello stato di fatto su cui il progetto interviene con modifiche, specie laddove in seguito alla prevista demolizione di preesistenze lo stato di fatto non sia suscettibile di riscontro postumo da parte dell'Amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.02.2012 n. 457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio non ritiene di potere condividere la tesi comunale, secondo cui la mancata comunicazione dell’inizio dei lavori impedisca l’acquisto di efficacia della D.I.A. “sia ai fini del relativo procedimento che risulta mai formalmente avviato, che ai fini della decorrenza dei termini previsti dal D.P.R. 06/06/2001 n. 380 e s.m.i..
L’art. 42 della legge regionale n. 12/2005 prevede, al comma 1, che: “il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta la denuncia,…”, indi, al comma 6, precisa che: “I lavori oggetto della denuncia di inizio attività devono essere iniziati entro un anno dalla data di efficacia della denuncia stessa ed ultimati entro tre anni dall'inizio dei lavori... L'interessato è tenuto a comunicare immediatamente al comune la data di inizio e di ultimazione dei lavori, secondo le modalità indicate nel regolamento edilizio”.
Quest’ultimo, per il Comune di Limbiate, all’art. 116, co. 3, prevede chiaramente che: <<A seguito di presentazione di denuncia di inizio dell’attività l’inizio dei lavori avviene a partire dal ventesimo giorno successivo alla presentazione stessa, fatti salvi eventuali dinieghi sopravvenuti con provvedimenti motivati>>.
Tenuto conto di tale quadro normativo, il Collegio non ritiene di potere condividere la tesi comunale, secondo cui la mancata comunicazione dell’inizio dei lavori da parte dell’Immobiliare impedisca l’acquisto di efficacia della D.I.A. “sia ai fini del relativo procedimento che risulta mai formalmente avviato, che ai fini della decorrenza dei termini previsti dal D.P.R. 06/06/2001 n. 380 e s.m.i.” (così l’ordinanza impugnata).
In verità, se con l’espressione “procedimento” l’amministrazione ha inteso riferirsi al procedimento di verifica della sussistenza delle “condizioni stabilite”, ex art. 23, co. 6, d.P.R. n. 380/2001, preordinato all’esercizio del cd. potere inibitorio, non v’è dubbio che esso si attivi già con la presentazione della D.I.A., segnando semmai l’effettivo inizio dei lavori, in coincidenza del 30° giorno dalla dichiarazione, il momento conclusivo per l’esercizio del predetto potere (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. II, 07.11.2008, n. 5296, per cui il potere di vigilanza urbanistico-edilizia, decorsi i 30 giorni, non deve svolgersi più nelle forme dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, l. n. 241 del 1990, come modificata dalla l. n. 15 del 2005).
Un ampio riscontro di tale interpretazione si rinviene anche nella lettera dell’art. 42 L.R. cit., ove, ai commi 8 e ss., si prevede che:
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ovvero, laddove costituito, dello sportello unico per l'edilizia, entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività:
a) verifica la regolarità formale e la completezza della documentazione presentata;
b) accerta che l'intervento non rientri nel caso di esclusione previsto dall'articolo 41;
c) verifica la correttezza del calcolo del contributo di costruzione dovuto in relazione all'intervento.
Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ovvero, laddove costituito, dello sportello unico per l'edilizia, qualora entro il termine sopra indicato di trenta giorni sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria ed il consiglio dell'ordine di appartenenza
”.
La mancata comunicazione di inizio lavori può, in realtà, giustificare la declaratoria di inefficacia della D.I.A., ove si accerti che entro l’anno dalla dichiarazione non siano stati effettivamente iniziati i lavori oggetto dell’intervento dichiarato. Ma tale non è la situazione che qui occupa, ove non si contesta il mancato effettivo inizio dei lavori entro l’anno dalla D.I.A., ma la mancata comunicazione dell’inizio lavori, pur tuttavia iniziati.
In tali evenienze, non può ricollegarsi alla omissione in questione la conseguenza indicata dal Comune in termini di inefficacia della D.I.A., non trovando tale conseguenza alcun riscontro nella succitata normativa
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2012 n. 292 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANell’ipotesi di intervento edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo è affidata all’esperimento di un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod. proc. amm. da proporre nell’ordinario termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della DIA avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo per l’impugnativa coincide con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive, ovverosia 30 giorni dalla presentazione della denuncia ex art. 23 DPR 380/2011.

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (da ultimo Ad. Plen. 15/2011), nell’ipotesi di intervento edilizio a fronte di DIA, venendo in rilievo un provvedimento per silentium, la tutela del terzo (nel caso di specie l’odierno ricorrente) è affidata all’esperimento di un’azione impugnatoria, ex art. 29 del cod. proc. amm. da proporre nell’ordinario termine decadenziale.
Nel caso in cui la piena conoscenza della presentazione della DIA avvenga in uno stadio anteriore al decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, il dies a quo per l’impugnativa coincide con il decorso del termine per l’adozione delle doverose misure interdittive, ovverosia 30 giorni dalla presentazione della denuncia ex art. 23 DPR 380/2011 (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 12.01.2012 n. 49 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: L’autotutela avente per oggetto la DIA –o meglio il titolo formatosi a seguito della sua presentazione– deve rispettare i requisiti previsti dalle norme di legge succitate e quindi si impone, a carico del Comune, l’obbligo di indicare lo specifico interesse pubblico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, posto a fondamento dell’autotutela, oltre alla considerazione sia degli interessi dei privati coinvolti, sia del tempo trascorso dalla presentazione della DIA a quello di adozione del provvedimento.
Il provvedimento impugnato appare però viziato non solo da evidente difetto di istruttoria e di motivazione sulla questione della natura della strada, ma anche dalla violazione delle norme riguardanti l’autotutela amministrativa (artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990, articoli entrambi richiamati dall’art. 19 di quest’ultima, sia nel precedente testo relativo alla DIA sia in quello attuale relativo alla SCIA, segnalazione certificata di inizio attività).
L’ordinanza comunale gravata, infatti, dispone (così testualmente) la “revoca” della DIA n. 232/2000 (anche se, più correttamente, si sarebbe dovuto parlare di “annullamento d’ufficio”), presentata dagli attuali esponenti al Comune di Limbiate per la posa dei cancelli carrai sulla strada vicinale di cui è causa (cfr. doc. 2 dei ricorrenti, copia della DIA).
In realtà, com’è noto, l’autotutela avente per oggetto la DIA –o meglio il titolo formatosi a seguito della sua presentazione– deve rispettare i requisiti previsti dalle norme di legge succitate e quindi si impone, a carico del Comune, l’obbligo di indicare lo specifico interesse pubblico, diverso da quello al mero ripristino della legalità, posto a fondamento dell’autotutela, oltre alla considerazione sia degli interessi dei privati coinvolti, sia del tempo trascorso dalla presentazione della DIA (luglio 2000) a quello di adozione del provvedimento, nel caso di specie oltre nove anni (cfr. sul punto, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 01.03.2011, n. 596; TAR Marche, 08.11.2010, n. 3373; TAR Toscana, sez. II, 24.08.2010, n. 4882)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.12.2011 n. 3364 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulle controversie in materia di DIA e SCIA decide il giudice amministrativo.
Ogni controversia avente ad oggetto il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformità dell'attività dichiarata al paradigma normativo, con conseguente adozione della misura inibitoria in caso di esito negativo del riscontro, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo.
L’art. 133 del codice del processo amministrativo, comma 1, lett. a n. 3 e lett. f dispone che le controversie in materia di “Dia” devono essere affidate alla giurisdizione esclusiva del plesso giurisdizionale amministrativo. Muovendo dall’insegnamento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 (“SCIA e DIA sono dichiarazioni imputabili a manifestazione di volontà privata dalla quale scaturisce, ai sensi degli artt. 19, comma 3, legge n. 241/1990 un procedimento doveroso di verifica che, in assenza di requisiti alla continuazione o all'avvio dell'attività, si conclude con un diniego espresso o con un "diniego tacito" di adozione del provvedimento inibitorio.
Il silenzio che segue allo scadere del termine perentorio per la verifica e l'inibizione dell'attività denunciata, va equiparato, in assenza dei previsti requisiti, all'"atto tacito di diniego di provvedimento inibitorio" che rappresenta l'esito negativo del procedimento finalizzato all'adozione del provvedimento restrittivo dell'attività esercitata. La formazione dell'"atto tacito di diniego" alla scadenza del termine previsto per l'esercizio della potestà di verifica è direttamente connessa alla perentorietà del termine stabilito negli artt. 19, comma 3, legge n. 241/1990 -per la SCIA- e 23 comma 6, D.P.R. n. 380/2001 -per la DIA- , decorso il quale la competente amministrazione perde la potestà inibitoria dell'attività esercitata salva la residua potestà di autotutela.
Nei confronti dell'atto tacito di diniego di provvedimento inibitorio -espresso o tacito-, il terzo pregiudicato dispone dell'azione di annullamento a tutela dell'interesse pretensivo al corretto esercizio della potestà di verifica e controllo. Al terzo pregiudicato dall'attività proseguita o iniziata illegittimamente è altresì attribuita, congiuntamente o separatamente da quella di annullamento dell'"atto tacito di diniego", l'azione di adempimento dell'obbligo dell'amministrazione di adottare i provvedimenti interdittivi o restrittivi, da esercitare comunque nel termine di un anno previsto dall'art. 31, co. 3, cod. proc. amm. - D.Lgs. n. 104/2010 - per l'azione avverso il silenzio
.”) deve affermarsi che, quale che sia la tecnica di tutela prescelta dal controinteressato asseritamente leso, ciò non incide sul riparto della giurisdizione in subiecta materia (massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.12.2011 n. 6614 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. D.I.A. - Ordine di sospensione lavori - Sopravvenuta carenza di interesse - Art. 34 c.p.a. - Interesse a un risarcimento del danno - Prospettazione - Improcedibilità.
2. D.I.A. - Annullamento di titolo edilizio - Contrasto con valori paesaggistici - Carenza di motivazione - Illegittimità.

1. Sebbene l'art. 34, c. 3, c.p.a. rimetta, nel caso di sopravvenuta carenza di interesse, al giudice di accertare "l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori", laddove tale interesse non sia stato concretizzato dalla ricorrente tramite la presentazione formale di una specifica domanda (la quale è proponibile entro il termine di cui all'art. 30, c. 5, c.p.a.) non si può affermare che competa al Giudice rilevare ex officio l'ipotetica presenza di un interesse la cui azionabilità è ancora in potere della parte interessata, né è sufficiente la semplice segnalazione in tal senso della parte per evitare che il ricorso sia dichiarato improcedibile.
2. L'annullamento di un titolo edilizio fondato proprio sul contrasto con i valori paesaggistici non può apoditticamente affermare che la realizzazione del progetto pregiudica i valori ambientali e paesaggistici, ma deve basarsi sulla esistenza di circostanze di fatto o di elementi specifici, che nel caso di specie dovrebbero essere stati individuati dalla competente Commissione del Paesaggio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 2656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il comma 6-ter dell'art. 19 della Legge n. 241/1990 potrebbe mettere in discussione le conclusioni dell'Adunanza Plenaria sull’impugnazione della DIA.
Dapprima risulta necessario qualificare correttamente l’azione proposta dal ricorrente, che nel proprio atto introduttivo chiede, nel merito ed in via principale, di <<dichiarare la nullità della D.I.A.>>, attribuendo così alla propria impugnativa giurisdizionale la qualificazione di azione di nullità, azione prevista dall’art. 31, ultimo comma, del D.Lgs. 104/2010 (“Codice del processo amministrativo”).
Tuttavia, tenuto conto che, per generale principio processuale, la qualificazione dell’azione spetta al giudice, che può anche disporne la conversione (cfr. l’espressa previsione dell’art. 32, comma 2°, del D.Lgs. 104/2010 ed in giurisprudenza, fra le tante, Consiglio di Stato, sez. III, 11.03.2011, n. 1570); nel caso di specie l’azione proposta non appare rivolta a denunciare la presunta nullità delle DIA in epigrafe, ma semmai la loro illegittimità, configurandosi così come azione di annullamento, secondo l’art. 29 del D.Lgs. 104/2010 (si prescinde, in sede di qualificazione dell’azione, da ogni questione sulla impugnabilità diretta della DIA, che sarà invece affrontata in seguito).
Infatti, i presunti vizi delle DIA, che emergono dalla lettura del ricorso, sono senza ombra di dubbio riconducibili a vizi di legittimità dell’atto amministrativo, quali la violazione di legge (in specie, dell’art. 27 della legge regionale 12/2005 in merito alla corretta qualificazione dell’intervento edilizio, oltre che del decreto ministeriale 02.04.1968 sulle distanze minime ed inderogabili tra pareti finestrate dei fabbricati), oppure l’eccesso di potere per carenza dei presupposti o violazione delle norme tecniche di attuazione.
Al contrario, anche da una attenta lettura dell’atto introduttivo del giudizio, non emerge la denuncia di motivi di nullità dell’atto amministrativo, come previsti dalla legge (mancanza di elementi essenziali, difetto assoluto di attribuzione, violazione o elusione del giudicato, ai sensi dell’art. 21-septies della legge 241/1990), visto che il rilascio di titoli edilizi in violazione dei presupposti di legge o delle norme sulle distanze dà luogo tutt’al più ad un’ipotesi di cattivo esercizio del potere amministrativo, ma non certo ad un difetto assoluto di attribuzione del potere medesimo.
Di conseguenza, l’azione ivi proposta deve essere correttamente qualificata come azione di annullamento, avente ad oggetto le due DIA indicate in epigrafe e soggetta di conseguenza all’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni di cui al già citato art. 29 del codice del processo amministrativo.
Una ulteriore e preliminare riflessione deve essere dedicata, seppure per sommi capi, alla questione del regime di impugnazione giurisdizionale della denuncia di inizio attività.
Sul punto, è noto il complesso dibattito giurisprudenziale, che ha visto la formazione di orientamenti anche radicalmente differenti fra i giudici amministrativi e che ha indotto il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza 05.01.2011, n. 14, a rimettere la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria.
In particolare, per la Sezione IV, si possono individuare tre tesi sulla natura giuridica della DIA e conseguentemente sul suo regime di impugnazione:
a) titolo abilitativo implicito, impugnabile entro l’ordinario termine di decadenza (cfr. Consiglio di Stato, n. 72/2010);
b) atto del privato, suscettibile di autonoma azione di accertamento per la declaratoria di insussistenza dei presupposti (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, n. 717/2009);
c) atto del privato rispetto al quale il terzo può solo attivare i poteri repressivi e di controllo dell’Amministrazione ed impugnare l’eventuale diniego ovvero il silenzio rifiuto della P.A.
A tale ordinanza di remissione, ha fatto seguito la sentenza dell’Adunanza Plenaria 29.07.2011, n. 15, la quale ha dapprima escluso che la DIA (al pari della SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, introdotta nel nostro ordinamento con legge n. 122/2010), costituisca un provvedimento amministrativo a formazione tacita, configurando semmai un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività.
Quanto alla tutela giurisdizionale, l’Adunanza Plenaria ha delineato un complesso meccanismo, che vede la combinazione di un’azione di annullamento di un silenzio significativo negativo con un’azione di condanna pubblicistica (c.d. azione di adempimento), con un’ampia possibilità di ricorrere a misure cautelari, anche ante causam.
Alla decisione del Supremo Consesso Amministrativo, ha fatto però seguito un intervento legislativo, che ha –almeno stando ai primi commenti– messo in discussione le conclusioni dell’Adunanza Plenaria: infatti, con decreto legge 138/2011 convertito con legge 148/2011, è stato aggiunto il comma 6-ter all’art. 19 della legge 241/1990, il quale, dopo aver premesso che la DIA e la SCIA non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili, prevede che gli interessati possano sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’Amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi da 1 a 3, del D.Lgs. 104/2010, vale a dire l’azione contro il silenzio della P.A.
Ciò premesso, reputa il Collegio che la citata decisione dell’Adunanza Plenaria, al pari del resto del successivo intervento legislativo, non possano trovare diretta ed immediata applicazione nella presente controversia, introdotta con ricorso notificato il 24.12.2010, addirittura prima della rimessione della questione all’Adunanza Plenaria; per cui l’azione di impugnazione diretta delle DIA, proposta col presente ricorso, non può essere ritenuta di per sé inammissibile, salva la verifica della tempestività dell’azione stessa, verifica da condursi alla luce della giurisprudenza da tempo formatasi e relativa alla decorrenza del termine perentorio di impugnazione di sessanta giorni, con riguardo specifico ai titoli edilizi (concessione edilizia, ora permesso di costruire e dichiarazione o denuncia di inizio attività).
E’ opinione comune della giurisprudenza che il termine di decadenza per impugnare il permesso di costruire –ma tale tesi vale anche per la DIA, in caso di impugnazione diretta della medesima– decorra, per il terzo che si reputa leso dall’intervento edilizio –perlomeno in casi come quello attuale, dove è contestata l’inosservanza delle distanze– dal completamento della costruzione nel suo assetto planivolumetrico definitivo, o come si suole dire al “rustico”, cioè dal momento in cui l’interessato è in grado di percepire la lesione alla propria posizione giuridica, visto lo stato di avanzamento e di realizzazione dell’edificazione (cfr., fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 05.01.2011, n. 18; sez. VI, 10.12.2010, n. 8705 e TAR Lombardia, Milano, sez. II, 10.12.2010, n. 7511; 08.02.2011, n. 386 e 05.07.2011, n. 1762, con la giurisprudenza ivi richiamata; si ricordi ancora che l’ordinanza sopra citata del Consiglio di Stato n. 14/2011 di rimessione all’Adunanza Plenaria prevede, qualora si ammetta il carattere provvedimentale della DIA, la necessità della sua impugnazione nell’ordinario termine decadenziale, mentre la citata sentenza n. 15/2011 dell’Adunanza Plenaria, in ordine al termine di impugnazione del titolo edilizio, afferma anch’essa che il termine suddetto <<inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica>>).
Di conseguenza, nel caso di specie il computo del termine decadenziale per l’impugnativa diretta delle DIA in epigrafe non può che decorrere dal momento in cui l’esponente aveva piena conoscenza degli abusi a suo dire commessi dai controinteressati nel corso dell’attività costruttiva (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.11.2011 n. 2640 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività - Impugnazione del terzo - Necessità di proporre azione ex art 29 cod. proc. amm. - Sussiste - Decorrenza del termine decadenziale dalla piena conoscenza dell'atto lesivo - Sussiste.
Il terzo leso da una d.i.a. deve esperire un'azione impugnatoria ex art 29 cod. proc. amm., da proporre nell'ordinario termine decadenziale, decorrente dal momento della piena conoscenza dell'atto lesivo, e quindi, in edilizia, quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.10.2011 n. 2482 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAD.I.A. - Ordine inibitorio - Termine perentorio - Perfezionamento del processo decisionale pubblico - Successiva effettiva conoscenza - Irrilevanza - Legittimità.
Il rispetto del termine perentorio di trenta giorni per l'adozione del provvedimento inibitorio dei lavori di una D.I.A. riguarda il perfezionamento del momento decisionale pubblico, e, tutt'al più, la sua spedizione, mentre la notifica, ossia la materiale conoscenza dell'ordine da parte del privato, può ragionevolmente avvenire, in considerazione degli ordinari tempi tecnici, anche successivamente a tale termine (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.10.2011 n. 2478 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATATitoli abilitativi. Il quadro completo dopo la manovra. Permessi edilizi su cinque livelli con la nuova Scia. Attività libera e permesso di costruire.
Il quadro è completo, ma solo a livello statale. Con la conversione in legge della manovra di Ferragosto (Dl 138/2011, ora legge 148/2011) che ha chiarito termini e modi per contestare al Tar l'illegittimità delle opere edilizie realizzate attraverso la Scia (segnalazione certificata di inizio attività) e mediante la Dia (denuncia di inizio attività) –nei limitati casi per cui essa è ancora prevista nell'ordinamento– tutte le "cinque tessere" del mosaico statale delle procedure edilizie sono al proprio posto.
Tuttavia, ai sensi del decreto Sviluppo (Dl 70/2011 convertito in legge 106/2011), manca ancora il dispiegamento delle leggi regionali, che possono ulteriormente semplificare la disciplina procedurale delle costruzioni. E questo anche in relazione al meccanismo del silenzio-assenso ora previsto sulle domande di permesso di costruire (nuovo articolo 20, comma 8, del Testo unico sull'edilizia, Dpr 380/2001) e al rilascio dei titoli in deroga anche rispetto alle destinazioni d'uso imposte dai piani regolatori (articolo 5, comma 13, Dl 70).
Sempre le Regioni, d'altra parte, sono chiamate anche a dare attuazione al cosiddetto nuovo piano casa (o piano città) finalizzato ad agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate attraverso la concessione dei premi volumetrici. Una disposizione, quest'ultima, che non incide direttamente sul fronte dei titoli edilizi, ma che potrebbe ulteriormente modificare la situazione dei permessi edilizi, così come si è delineata nell'ultimo anno e mezzo.
La parola alla Consulta.
Il primo tema che si è posto agli operatori ha addirittura investito l'applicabilità al l'edilizia della Scia. Le incertezze anche lessicali del primo decreto (Dl 78/2010 convertito in legge 122/2010) sono state definitivamente spazzate via dalla legge di conversione del decreto Sviluppo, che ha espressamente previsto che le ultime disposizioni (cioè la nuova formulazione dell'articolo 20 della legge 241/1990) «si interpretano nel senso che le stesse si applicano alle denunce di inizio attività in materia edilizia disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380».
Resta comunque il dubbio sull'esito dei ricorsi proposti da diverse Regioni (Toscana, Emilia Romagna, Puglia) alla Corte costituzionale, che contestano soprattutto l'intrusione statale nella disciplina edilizia che, ove di dettaglio, è di competenza regionale.
La scala degli interventi.
Il sistema vigente è sicuramente articolato, si va dagli interventi liberi a quelli soggetti a comunicazione e a comunicazione asseverata, dalle opere sottoposte a Scia, a Dia (casi residuali) e a permesso di costruire (ora ottenibile anche per silentium e in deroga anche alle destinazioni d'uso e non soltanto a indici e parametri edilizi stereometrici).
Il grafico qui a fianco ricostruisce la disciplina statale, che resta valida in mancanza di specifiche disposizioni regionali e suddivide gli interventi in cinque tipologie:
- interventi liberi;
- interventi soggetti a comunicazione (semplice e asseverata a seconda dei casi);
- interventi soggetti a Scia;
- interventi soggetti a Dia;
- interventi soggetti a permesso di costruire.
L'iter della Scia.
A differenza della Dia, per la quale i lavori possono partire solo dopo il decorso di 30 giorni dalla presentazione della denuncia, nella Scia l'attività edilizia può essere avviata contestualmente al l'inoltro della segnalazione. Ecco come:
● la Scia è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, oppure dalle dichiarazioni di conformità relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti sulla conformità dell'intervento alle disposizioni di legge regolamentari, corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di competenza dell'amministrazione;
● l'attività oggetto può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione;
● se l'immobile è vincolato, i lavori potranno cominciare dopo l'ottenimento dell'autorizzazione dell'amministrazione competente alla tutela del vincolo (Soprintendenza, Regione, Provincia, Comune, Parco);
● in caso di accertata carenza della conformità dell'intervento alla legge o ai regolamenti, il Comune –nel termine di 60 giorni dal ricevimento della segnalazione– adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione del l'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a 30 giorni;
● dopo 60 giorni il Comune può intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente.
Alle violazioni di questa procedura si accompagnano poi sanzioni che variano dal livello amministrativo fino alle conseguenze penali per chi effettua false attestazioni.
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Non impugnabile il mancato diniego del Comune.
Le ultime manovre finanziarie cambiano anche il sistema delle impugnazioni, stabilendo che la Dia e la Scia non possono essere direttamente impugnate al Tar. Con la conversione in legge 111/2011 del Dl per la stabilizzazione finanziaria (98/2011) è legge la disposizione per cui Dia e Scia «non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 02.07.2010, n. 104» (articolo 6, comma 1, lettera c, del Dl 131/2011).
In concreto, vuol dire che i vicini lesi dall'attività edilizia o le associazioni ambientaliste possono chiedere al Comune di impedire lo svolgimento dell'attività e poi –in caso di silenzio dell'amministrazione e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento– ricorrere al Tar contro il silenzio del Comune sulla loro richiesta.
Parrebbe però un'arma spuntata, perché al giudice la norma assegna in generale solo il potere di ordinare al Comune di provvedere sulla verifica richiesta dal privato e rimasta inevasa. Il Tar, infatti, ha la possibilità di riconoscere direttamente l'illegittimità dell'attività disponendone la cessazione solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulta che non ci sono ulteriori margini di esercizio della discrezionalità amministrativa e non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dal Comune. Condizioni che non sempre ricorrono in edilizia, specie rispetto ai progetti più complessi.
La norma è stata introdotta con la rubrica «Ulteriori semplificazioni». Non pare però che l'obbiettivo della semplificazione sia stato centrato, dato che la giurisprudenza amministrativa era recentemente approdata a una soluzione molto più diretta sul tema del l'impugnabilità di Dia e Scia. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 15 depositata lo scorso 29 luglio aveva infatti statuito –attraverso una costruzione forse coraggiosa– che l'inerzia del Comune sulla Dia/Scia (inerzia che consente il legittimo svolgimento dell'attività privata) equivalesse a un «atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio» direttamente impugnabile al Tar, a cui era possibile richiedere non solo l'annullamento di questa "finzione di atto", ma anche l'ordine all'amministrazione di inibire l'attività oggetto del ricorso.
L'Adunanza plenaria aveva addirittura stabilito che in caso di Scia (per cui l'attività edilizia può iniziare contestualmente al deposito della segnalazione e per cui il Comune può solo emettere sanzioni, non necessariamente inibitorie) il Tar potesse disporre subito la sospensione dei lavori appena avviati, nonostante in quel momento non esistesse alcun atto nemmeno sotto la forma del «tacito diniego di provvedimento inibitorio». Con la nuova legge, l'articolata ricostruzione del giudice amministrativo viene spazzata via e non sembra che il legislatore abbia fatto meglio del Consiglio di Stato in termini di effettività della tutela dei terzi (articolo Il Sole 24 Ore del 26.09.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività - In caso di assenza delle condizioni richieste ex lege - Ordine di non effettuare il previsto intervento - Necessità - Mera sospensione dell'attività - Inconfigurabilità.
Ai sensi dell'art. 23, D.P.R. n. 380/2001, laddove la P.A. riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite in materia di D.I.A., deve notificare all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento ed il procedimento deve concludersi entro il termine perentorio previsto dalla legge, mentre non è consentito alla P.A. limitarsi a sospendere l'attività edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.09.2011 n. 2192 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAMANOVRA BIS/ Da Ferragosto la Scia è libera dai contenziosi. In base al decreto legge la segnalazione certificata di inizio attività non è più direttamente impugnabile.
Più libera la Scia da Ferragosto. Scia e Dia sono, infatti, diversi dal silenzio-assenso e non sono, quindi, direttamente impugnabili. La manovra-bis interviene sulla legge generale del procedimento amministrativo (legge 241/1990) e chiarisce una volta per tutte le modalità per gli interessati di reagire contro le iniziative assunte da chi vuole avviare un'attività, anche edilizia, sfruttando le misure di sburocratizzazione.
Il decreto legge 138/2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 13/08/2011, sceglie una strada già individuata dai Tar e dal Consiglio di stato (anche se non univocamente) e cioè sbarra la possibilità di ricorrere direttamente al giudice amministrativo contro Scia e Dia. Il controinteressato deve, invece, sollecitare l'intervento dell'amministrazione pubblica competente e, solo in caso di inerzia, può successivamente rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale per ottenere l'ordine alla p.a. di bloccare l'attività.
Una soluzione di questo tipo avvantaggia chi deve iniziare l'attività, in quanto impedisce al controinteressato di rivolgersi subito al giudice amministrativo e sposta al futuro ogni possibile iniziativa giudiziaria, subordinandola all'inerzia della pubblica amministrazione sollecitata a intervenire.
Per fare un esempio: si può iniziare l'opera edilizia subito con l'invio della Scia; il controinteressato (per esempio, il vicino di casa) non può impugnare la Scia, ma deve inviare al comune una denuncia-diffida, chiedendo all'amministrazione di verificare la legittimità dell'attività. Se il comune rimane inerte, allora, il cittadino potrà rivolgersi al Tribunale amministrativo regionale, chiedendo al Tar l'accertamento dell'obbligo di provvedere in capo all'amministrazione e quindi la condanna della stessa a intervenire. Fino a che non interviene la sentenza del giudice chi ha presentato la Scia non ha alcun obbligo giuridico di bloccare o interrompere l'attività.
In dettaglio, il decreto 138/2011 aggiunge il comma 6-ter all'articolo 19 della legge 241/1990 (dedicato alla segnalazione certificata di inizio attività). La nuova disposizione precisa subito che la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Ciò segna la differenza con il silenzio-assenso: in quest'ultimo caso siamo di fronte a un atto della p.a., sia pure tacito. In quanto provvedimento dell'amministrazione è autonomamente impugnabile. Dia e Scia non sono provvedimenti taciti e quindi non sono impugnabili in quanto tali.
Il comma 6-ter in commento fa riferimento sia alla Scia sia alle Dia (come dichiarazione e come denuncia) comprendendo tutte le ipotesi in cui la legge ha introdotto procedimenti liberalizzati di questo tipo, anche se con nomi diversi: averli enumerati tutti serve a non fare confusione (come è invece avvenuto per la scia in edilizia),
Chi ha interesse contrario al presentatore di Scia e Dia non è, però, sfornito di tutela: può sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire l'azione avverso il silenzio (articolo 31, commi 1, 2 e 3 del Codice del processo amministrativo, decreto legislativo 104/2010).
Fino a oggi si sono fronteggiati due orientamenti. Il primo ha sostenuto che il comportamento inerte dell'amministrazione sulla denuncia di inizio attività ha valenza di silenzio-assenso e da ciò faceva conseguire la sua impugnabilità in giudizio.
Un secondo orientamento ribatteva che la Dia è un mero atto di iniziativa privata non impugnabile davanti al giudice amministrativo.
La manovra di Ferragosto abbraccia questa seconda impostazione, con l'obiettivo di impedire intralci all'attività privata, stavolta non da lungaggini della burocrazia, ma da iniziative di privati controinteressati.
Questo, però, senza togliere, ma solo differendo nel tempo, la possibilità per il controinteressato di reagire.
Il controinteressato potrà in prima battuta sollecitare l'amministrazione ad adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa e, comunque, a esercitare il potere di assumere determinazioni in via di autotutela, mediante revoca o annullamento ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990.
In seconda battuta, se l'amministrazione non fa nulla, si può chiedere al Tar l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere.
Il giudice può non solo ordinare all'amministrazione di provvedere, ma può anche pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio: questo solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione.
Tra l'altro a questa iniziativa può aggiungersi la richiesta di risarcimento dei danni subiti. Anche se può risultare inefficace una tutela meramente risarcitoria e a posteriori (articolo ItaliaOggi del 18.08.2011 - tratto da www.ecostampa.it).

EDILIZIA PRIVATAAttività edilizia libera. O quasi. Alcuni interventi restano soggetti a preventiva comunicazione. Uno studio del Consiglio nazionale del notariato sgombera il campo dai dubbi in tema di permessi.
Attività edilizia: un mosaico di procedure. Con le progressive modifiche che hanno interessato in questi anni il Testo unico di cui al dpr n. 380/2001 la disciplina delle costruzioni è diventata frammentaria e di difficile interpretazione.
Con uno specifico studio dello scorso mese di giugno (
circolare 08.06.2011 n. 325-11/C), il Consiglio nazionale del notariato ha quindi inteso riepilogare in modo sintetico le regole che presiedono allo svolgimento dell'attività edilizia, soprattutto alla luce del decreto sviluppo.
Le modifiche al Testo unico dell'edilizia. Il Testo unico dell'edilizia, di cui al dpr n. 380/2001, entrato in vigore il 30.06.2003, innovando rispetto al passato, nel suo testo originario distingueva tra attività edilizia libera, per la quale non era richiesto alcun titolo abilitativo, e attività edilizia subordinata, rispettivamente, al permesso di costruire e alla denuncia di inizio attività, c.d. Dia (fattispecie residuale prevista per tutti gli interventi non rientranti tra le attività di edilizia libera né tra quelli per cui era obbligatorio il permesso di costruire).
Il T.u. è successivamente stato oggetto di numerose modifiche che hanno portato, da un lato, all'ampliamento delle fattispecie di attività edilizia libera, dall'altro all'introduzione della segnalazione certificata di inizio attività, meglio nota come Scia, all'utilizzo dell'istituto del c.d. silenzio assenso per il rilascio del permesso di costruire (a eccezione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici e culturali) e alla previsione di una sorta di sanatoria edilizia per le difformità contenute entro il limite del 2% delle misure progettuali. Attualmente la disciplina dell'attività edilizia risulta quindi abbastanza variegata (si veda la tabella in pagina) e pone i privati e gli operatori del settore dinanzi a problemi interpretativi spesso di non facile soluzione.
L'attività edilizia libera. Uno degli spunti più interessanti della nuova disciplina dell'attività edilizia riguarda sicuramente la progressiva liberalizzazione del settore, che permette ai privati di eseguire una serie di opere senza avere rapporti con la pubblica amministrazione.
All'interno di questa categoria occorre però distinguere tra attività totalmente libere e attività soggette a preventiva comunicazione di inizio lavori. In tutti e due i casi devono comunque essere rispettate le eventuali diverse prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, nonché quelle relative all'efficienza energetica e alla tutela dei beni culturali e paesaggistici.
L'attività edilizia totalmente libera riguarda principalmente gli interventi di manutenzione ordinaria e quelli volti all'eliminazione delle barriere architettoniche che non comportino la realizzazione di rampe o di ascensori esterni, ovvero di manufatti che alterino la sagoma dell'edificio.
Bisogna, invece, previamente operare la comunicazione al comune interessato degli interventi di manutenzione straordinaria (ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici), delle opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e a essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 90 giorni, delle opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, dell'installazione di pannelli solari, fotovoltaici e termici, senza serbatoio di accumulo esterno, nonché delle aree ludiche senza fini di lucro e degli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici.
In questo secondo caso, la mancata comunicazione dell'inizio dei lavori ovvero la mancata trasmissione della relazione tecnica (nel caso di interventi di manutenzione straordinaria) comportano per il privato l'irrogazione della sanzione pecuniaria di 258 euro, che è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è ancora in corso di esecuzione.
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Scia e superDia si dividono così il campo. Il ricorso all'una o all'altra procedura.
Sulla base della specifica norma interpretativa opportunamente introdotta nell'ordinamento dal legislatore con il dl n. 70/201, il ricorso alla Scia è previsto in via residuale per tutti gli interventi che non rientrano nel campo applicativo del permesso di costruire né in quello dell'attività edilizia libera, in entrambe le sue tipologie.
A titolo esemplificativo, si possono indicare i seguenti interventi: restauro e risanamento conservativo, mutamenti di destinazione d'uso funzionale, interventi di manutenzione straordinaria che riguardino parti strutturali dell'edificio, ampliamento di fabbricati all'interno della sagoma esistente che non determini volumi funzionalmente autonomi e semplici modifiche prospettiche (per esempio l'apertura o la chiusura di una o più finestre o di una o più porte).
Sono invece soggetti alla disciplina della superDia tutti quegli interventi per i quali è ammesso il ricorso alla Dia medesima in alternativa ovvero in sostituzione al permesso di costruire, dagli interventi di ristrutturazione di maggiore impatto a quelli di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, fino agli interventi di nuova costruzione, qualora gli stessi avvengano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche. A queste opere devono poi aggiungersi tutte quelle ipotesi per le quali le leggi regionali prevedano la possibilità di ricorrere a questo strumento in alternativa o in sostituzione al permesso di costruire.
La superDia deve essere presentata allo sportello unico dell'ente locale 30 giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori. Il responsabile comunale, ove entro il suddetto termine riscontri l'assenza di una o più delle condizioni stabilite dal Tu, deve notificare all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.
È comunque salva la facoltà del privato di ripresentare l'istanza con le modifiche o le integrazioni necessarie. L'attività oggetto della Scia, invece, può essere iniziata dalla data stessa di presentazione della domanda allo sportello unico, salvo che il responsabile comunale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di legge, ne vieti la prosecuzione.
Decorso tale termine, all'amministrazione locale è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell'impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell'attività dei privati alla normativa vigente (articolo ItaliaOggi Sette del 15.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAEdilizia, la Dia non dà certezze. Il Tar può bloccare i lavori se il comune non controlla. Per l'adunanza plenaria del Consiglio di stato la denuncia di inizio attività è un atto privatistico.
La denuncia di inizio attività (sostituita dalla Scia) non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma è un atto privato volto a comunicare l'intenzione di intraprendere un'attività direttamente ammessa dalla legge.
Se, peraltro, la p.a. non ha esperito gli accertamenti necessari per il controllo dei presupposti, il giudice può imporre l'adozione dei provvedimenti inibitori all'esercizio dell'attività intrapresa.

È quanto ha affermato l'Adunanza plenaria del Consiglio di stato, con la sentenza 29.07.2011 n. 15.
L'intervento del Consesso era stato richiesto dal Tar del Veneto, ai sensi dell'art. 99 del codice del processo amministrativo, anche a fronte di precedenti contrasti giurisprudenziali.
Contrasti, in pratica, relativi alla natura giuridica della dichiarazione di inizio attività ed alle conseguenti tecniche di tutela sperimentabili dal terzo leso dallo svolgimento dell'attività denunciata.
L'Adunanza, come risulta dalla articolata sentenza (disponibile nel sito), non si è sottratta al compito affermando che, con la Dia, il denunciante è «titolare di una posizione soggettiva di vantaggio immediatamente riconosciuta dall'ordinamento, che lo abilita a realizzare direttamente il proprio interesse, previa instaurazione di una relazione con la pubblica amministrazione, ossia un contatto amministrativo, mediante l'inoltro dell'informativa», mentre il terzo pregiudicato dallo svolgimento dell'attività «è titolare di una posizione qualificabile come interesse pretensivo all'esercizio del potere di verifica» da parte della p.a..
Ma stando così le cose, afferma la sentenza, il sistema complessivo della tutela previsto dall'ordinamento deve consentire comunque al terzo, anche se il codice espressamente non lo prevede, di ottenere la cessazione dell'attività non consentita dalla legge, attraverso l'azione di accertamento tesa a ottenere una pronuncia che verifichi l'insussistenza dei presupposti di legge per l'esercizio dell'attività oggetto della denuncia.
In altre parole, rileva l'Adunanza, «anche per gli interessi legittimi, come pacificamente ritenuto nel processo civile per i diritti soggettivi, la garanzia costituzionale impone di riconoscere l'esperibilità dell'azione di accertamento autonomo, con particolare riguardo a tutti i casi in cui, mancando il provvedimento da impugnare, una simile azione risulti indispensabile per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente».
Ciò in quanto, afferma la sentenza, «la mancata previsione nel testo finale del codice, di una norma esplicita sull'azione generale di accertamento, non è sintomatica della volontà legislativa di sancire una preclusione di dubbia costituzionalità» e, quindi, l'azione di accertamento atipica, nelle ipotesi previste dall'art. 100 c.p.c., risulta comunque praticabile; in forza delle coordinate costituzionali e comunitarie richiamate dallo stesso art. 1 del codice oltre che dai criteri di delega di cui all'art. 44 della legge n. 69/2009 (articolo ItaliaOggi del 03.08.08.2011).

EDILIZIA PRIVATAAumentano le tutele dei terzi sull'applicazione della «Scia».
Da sempre, la dichiarazione d'inizio di attività (la Dia) è un animale giuridico strano che crea difficoltà applicative. Ora l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 29.07.2011 n. 15) interviene a porre alcuni paletti, forse opinabili, ma che almeno fanno chiarezza.
Il fatto è piuttosto semplice. Un'impresa presenta al Comune di Venezia una Dia edilizia per rendere carrabile il transito sotto un porticato gravato da servitù di passaggio pedonale pubblico. Il comproprietario del porticato impugna la Dia in quanto produttiva di un aggravio illegittimo della servitù. Il Tar Veneto, nell'accogliere il ricorso, annulla la Dia, qualificata come provvedimento autorizzativo.
In sede di appello il Consiglio di Stato conferma la sentenza con diversa motivazione.
I giudici di Palazzo Spada, infatti, negano anzitutto che la Dia, dal 2010 sostituita dalla segnalazione certificata d'inizio di attività (Scia), possa essere assimilata a un provvedimento amministrativo impugnabile. Essa è solo una dichiarazione privata presentata a una pubblica amministrazione. La Scia attua una liberalizzazione delle attività private, in precedenza assoggettate a un regime di autorizzazione preventiva. Essa è diversa anche dal silenzio-assenso, che serve solo a equiparare l'inerzia protratta oltre un certo termine a un'autorizzazione tacita.
Il Consiglio di Stato si sofferma sul regime della Scia e ricorda che
l'amministrazione può vietare l'attività entro 30 giorni (con la Scia, 60 giorni), ove accerti che essa viola la legge. Quest'ultimo è un termine perentorio: successivamente l'amministrazione può intervenire solo con i poteri di autotutela (annullamento d'ufficio) che hanno però natura discrezionale e devono rispettare gli affidamenti creati.
E qui interviene la prima novità che ha un'implicazione pratica processuale per il terzo che vuole contestare la Scia.
La sentenza equipara l'inerzia dell'amministrazione protratta oltre il termine di 30 giorni a un «atto tacito di diniego del provvedimento inibitorio». Pertanto, in quanto atto amministrativo, il terzo può impugnarlo davanti al Tar nel termine ordinario di 60 giorni. Se il ricorso viene accolto, il giudice può, non solo annullare questa finzione di atto, ma anche ordinare all'amministrazione di inibire l'attività oggetto della Scia. Vengono così ribaltati alcuni precedenti che avevano consentito al terzo di esperire un'azione di accertamento atipica (sezione VI, n. 717/2009 e n. 2139/2010).
La sentenza si pone, poi, il problema se il terzo possa promuovere un giudizio prima dei 30 giorni, in modo da impedire l'avvio dell'attività oggetto della Scia o di farla cessare subito.
E qui, con un'ulteriore piroetta interpretativa, superando alcuni ostacoli contenuti nel Codice del processo amministrativo (articolo 34, comma 2), la sentenza ammette un'azione di accertamento atipica che consente solo la richiesta di misure cautelari immediate.
Decorso il termine di 30 giorni, se l'amministrazione emana il provvedimento inibitorio, cessa la materia del contendere e il processo si estingue. Se invece l'amministrazione resta inerte, l'azione di accertamento si converte nell'azione di annullamento dell'atto tacito di diniego di esercizio del potere inibitorio.
Insomma, la tutela del terzo è piena e completa: altro miracolo del nuovo Codice, unito alla fantasia creativa del giudice amministrativo (articolo Il Sole 24 Ore del 30.07.2011).

EDILIZIA PRIVATA1. D.I.A. - Impugnazione diretta di terzo - Inammissibilità - Mezzi di tutela - Incertezza giurisprudenziale - Non sussiste.
2. D.I.A. - Legittimazione alla presentazione titolo abilitativo - Amministratore di condominio - Verifica della P.A. - Titolo sostanziale - Legittimità.
3. D.I.A. - Rispetto disciplina sulle barriere architettoniche - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Divieto di aggravio del procedimento - Legittimità.

1. Deve escludersi la declaratoria di inammissibilità nei casi in cui il terzo ha proposto impugnazione diretta contro la D.I.A., o meglio contro il titolo che si sarebbe formato a fronte della presentazione della medesima, in quanto la complessa questione in merito alla natura giuridica della D.I.A. ed ai conseguenti mezzi di tutela per il terzo che si reputa leso dalla medesima, oltre che l'incertezza della giurisprudenza, testimoniata dalla remissione della questione all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, non può riverberarsi negativamente nei confronti dei cittadini che si reputino lesi dall'attività edilizia intrapresa in seguito a D.I.A. e questo soprattutto laddove, come nella Regione Lombardia, la D.I.A. è quasi totalmente alternativa al permesso di costruire.
2. L'art. 35, L.R. n. 12/2005, secondo cui il titolo abilitativo deve essere rilasciato "a chi abbia titolo per richiederlo" (dettata per il permesso di costruire ma valevole anche per chi si avvale della denuncia di inizio attività) deve essere interpretato nel senso che l'Amministrazione comunale è certamente chiamata allo svolgimento di un'attività istruttoria per accertare la sussistenza del titolo legittimante, anche se all'Ente pubblico spetta soltanto la verifica, in capo al richiedente, di un titolo sostanziale idoneo a costituire la posizione legittimante, senza alcuna ulteriore e minuziosa indagine che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità dell'immobile, allegato da chi presenta istanza edilizia.
3. Per quanto l'art. 23, c. 6, D.P.R. n. 380/2001, consenta all'Amministrazione, in caso di dubbio sull'esistenza dei presupposti per la denuncia di inizio attività, di chiedere chiarimenti o delucidazioni, allo scopo di completare la propria attività con un provvedimento espresso, inibitorio o di assenso all'attività del privato, tale norma deve essere interpretata alla luce dei generali principi sull'attività amministrativa di cui alla L. n. 241/1990, fra cui quello di divieto di aggravio del procedimento e di necessaria collaborazione fra Pubblica Amministrazione e soggetto privato, risultando conseguentemente la richiesta di chiarimenti in merito al rispetto della disciplina sulle barriere architettoniche (e la relativa risposta), non un atto di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la D.I.A., ma un atto dell'istruttoria che rende il perfezionamento della D.I.A. legittimo (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.07.2011 n. 1989 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. D.I.A. - Ordinanza di Sospensione dei lavori - Art. 27, D.P.R. n. 380/2001 - Accertamento sommario - Inosservanza di norme e prescrizioni - Legittimità.
2. D.I.A. - Ordinanza di Sospensione dei lavori - Parere paesistico - Discrezionalità tecnica - Impatto paesistico - Valutazione di merito non sovrapponibile - Legittimità.
3. D.I.A. in variante - Annullamento in autotutela e sospensione dei lavori - Art. 7, L. n. 241/1990 - Comunicazione di avvio del procedimento - Provvedimento conclusivo - Atti endoprocedimentali - Legittimità.

1. L'accertamento, pur sommario, di un'inosservanza di norme e prescrizioni è l'unica condizione prevista dall'art. 27, D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio del potere cautelare di sospensione di una D.I.A. e non è, dunque richiesto all'Amministrazione di avere già accertato, in questa fase, il ricorrere dei presupposti per l'esercizio del potere di annullamento in autotutela del titolo che abilita l'attività edilizia.
2. La valutazione circa l'impatto paesistico di un progetto è espressione di discrezionalità tecnica e, come tale, può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza di profili di incongruità ed illogicità di evidenza tali da fare emergere l'inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta; non configura tali profili la prospettazione dell'intervento come un miglioramento qualitativo e di impatto visivo, che rappresenta un giudizio di merito della ricorrente, non sovrapponibile alla valutazione tecnica espressa dalla commissione per il paesaggio, sfornito di elementi probatori.
3. L'art. 7, L. n. 241/1990, prevede che l'Amministrazione comunichi l'avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi, ma non che comunichi, altresì, prima di addivenire all'adozione del provvedimento conclusivo, tutti gli atti procedimentali intervenuti nel corso del procedimento (adempimento necessario laddove trovi applicazione l'art. 10-bis, L. n. 241/1990).
Di conseguenza una volta informati i soggetti interessati dell'avvio del procedimento dell'annullamento in autotutela della D.I.A. è onere di questi attivarsi al fine di conoscerne i relativi sviluppi (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 25.07.2011 n. 1980 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti di produzione da fonti rinnovabili - Sospensione della pratica DIA in attesa dell’adozione di indirizzi interpretativi - Illegittimità - Fondamento.
Secondo lo schema delineato dall’art. 23 del T.U. edilizia non è consentita l’inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione.
Un simile potere soprassessorio (sospensione della pratica DIA in attesa della adozione di indirizzi interpretativi ed operativi), oltre a porsi in contrasto con quanto previsto dall’art. 21-quater della l. n. 241 del 1990, non appare neppure contemplato dalla normativa in materia di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili (d.lgs. n. 387 del 2003).
Peraltro, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste, e ciò tanto più ove si tratti di incidere su attività economiche soggette a (parziale) liberalizzazione (cfr. art. 1 della legge n. 239 del 2004) e ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE) e internazionale (Protocollo di Kyoto).
In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio viola i principi fondamentali di semplificazione stabiliti dal d.lgs. n. 387 del 2003, che prevede termini perentori per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione ad tempus (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006) o, a maggior ragione, sine die (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.07.2011 n. 1373 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. edilizia, se la relazione e' falsa scatta la responsabilità penale. La dichiarazione ha natura certificativa.
La relazione di accompagnamento alla D.I.A. edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di "certificato" per quanto riguarda la descrizione dello stato attuale dei luoghi, la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento e la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
Interessante decisione quella di seguito commentata, affrontando la Corte di Cassazione un tema interessante costituito dalla natura giuridica della relazione tecnica di accompagnamento della D.I.A. edilizia.
La Corte, prendendo posizione rispetto ad un contrasto giurisprudenziale che da qualche tempo si affaccia nelle nostre aule giudiziarie, opta motivatamente per la natura di "certificato" di tale documento, con riferimento in particolare alla parte progettuale della relazione di accompagnamento ed alla dichiarazione di conformità alla pianificazione comunale delle opere da realizzarsi, giungendo quindi a ritenere configurabile l'illecito penale previsto dall'art. 481 c.p. a carico del professionista che rediga detta relazione inserendovi dati ideologicamente falsi.
Il fatto.
La vicenda processuale oggetto di esame da parte dei giudici di Piazza Cavour trae origine da una sentenza di condanna, confermata in grado d'Appello, emessa nei confronti di un architetto in qualità di direttore dei lavori, in relazione ad un intervento edilizio di totale demolizione di un manufatto preesistente ad unica elevazione e realizzazione di un nuovo fabbricato a tre piani completamente diverso per sagoma, tipologia, forma, struttura, superficie e volumetria complessive.
Questi, secondo l'accusa, aveva asseverato falsamente, in una perizia tecnica allegata ad una D.I.A., che i lavori da eseguirsi avrebbero riguardato il risanamento conservativo di un fabbricato esistente e che l'intervento sarebbe stato eseguito con la tecnica del "cuci-scuci" senza porsi in contrasto con la normativa urbanistica, il regolamento edilizio e lo strumento urbanistico.
Il professionista, inoltre, in altra perizia giurata conseguente a sospensione dei lavori disposti con ordinanza comunale, aveva attestato falsamente la regolarità dell'intervento eseguito.
Il ricorso.
Contro la sentenza di condanna proponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, deducendo, per quanto qui di interesse, l'inconfigurabilità del reato di cui all'art. 481 c.p., in quanto la relazione tecnica asseverata da allegarsi alla D.I.A. non avrebbe natura di "certificato", "riflettendo essa, per la parte progettuale, non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione".
In relazione, poi, alla perizia giurata, la difesa sosteneva che il professionista non avrebbe attestato la regolarità dell'intervento, ma si sarebbe limitato ad affermare che l'originaria struttura muraria sarebbe stata ripristinata e le dimensioni in pianta dell'edificio e la sua sagoma sarebbero rimaste invariate, manifestando ancora una volta "una semplice intenzione o, comunque, la previsione di un fatto futuro". Quanto, infine, alle opere effettivamente realizzate, non vi sarebbe stata una totale "demolizione e ricostruzione della struttura preesistente", avendo tale attività riguardato, invece, "una piccola parte del fabbricato".
La decisione della Cassazione.
La terza sezione penale della Corte Suprema, investita del ricorso, ha rigettato il ricorso confermando la responsabilità penale del professionista. Sul punto, come anticipato, si registra un contrasto giurisprudenziale che la Corte supera agevolmente con un'analisi cui non può che convintamente aderirsi.
Come di consueto è utile prendere le mosse dall'inquadramento normativo della questione. L'art. 481 c.p. punisce la condotta di colui il quale ponga in essere una falsità ideologica in certificati commessa nell'esercizio di una professione forense, sanitaria o di altro servizio di pubblica necessità. In relazione a tale previsione sanzionatoria, l'art. 29, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. Testo Unico dell'Edilizia) prevede che «Per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli articoli 359 e 481 del codice penale. In caso di dichiarazioni non veritiere nella relazione di cui all'articolo 23, comma 1, l'amministrazione ne dà comunicazione al competente ordine professionale per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari».
La giurisprudenza di legittimità afferma, senza contrasti, che il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all'interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della D.I.A. in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 c.p.
L'art. 481 c.p. prevede, però, che la falsa attestazione dei fatti dei quali l'atto sia destinato a provare la verità sia contenuta all'interno di un "certificato" e da ciò discende la necessità di individuare se la relazione di accompagnamento alla D.I.A. edilizia abbia o meno natura di "certificato". Sul punto la giurisprudenza della Cassazione ha affermato, con consolidato orientamento, che costituisce "certificazione" la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare (v., da ultimo: Cass. pen., Sez. 3, n. 27699 del 16.07.2010, imp. C. e altro, in Ced. Cass. 247927).
Tesi non convergenti sono state espresse, invece, quanto alla parte progettuale della relazione allegata alla DIA edilizia. In relazione a tale parte del documento si e' sostenuto, infatti, che essa rifletterebbe non una realtà oggettiva ma una semplice intenzione dell'interessato di realizzare le opere in essa descritte ed ancora inesistenti e, per quanto riguarda l'eventuale attestazione dell'assenza di vincoli, solamente un giudizio espresso dal dichiarante, come tale non necessariamente fondato su dati di fatto certi e sicuri vedi (v., sul punto, tra le più recenti: Cass. pen., Sez. 5, n. 7408 del 24.02.2010, imp. F., in Ced. Cass. 246094).
A divergenti conclusioni è pervenuta, invece, la terza Sezione della Corte di Cassazione (Sez. 3, n. 1818 del 19/01/2009, imp. B., in Ced Cass. 242478) ritenendosi invece che, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento (d.P.R. n. 380/2001, art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3), emergerebbe un "sostanziale affidamento" riposto dall'ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che "quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento". In tale prospettiva, la relazione del tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell'attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.
Quanto alla dichiarazione di conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, a fronte dell'orientamento secondo il quale si tratterebbe soltanto di un mero giudizio del dichiarante, la stessa è stata ricondotta, invece, da certa giurisprudenza, all'attività certificativa (v., la già cit., sez. 3, n. 27699/2010).
A fronte degli orientamenti giurisprudenziali dianzi delineati, con riferimento alla parte progettuale della relazione di accompagnamento alla DIA edilizia ed alla dichiarazione di conformità delle opere realizzande alla pianificazione comunale, ritiene la sentenza qui commentata di aderire alle argomentazioni ed alle conclusioni cui è pervenuto il più rigoroso orientamento sostenuto dalla già citata Sez. 3, n. 1818/2009.
In tale sentenza è stato, infatti, condivisibilmente evidenziato che la già richiamata norma dell'art. 29, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 dev'essere letta in necessaria correlazione con quella posta dal precedente art. 23, il quale prescrive che la D.I.A. dev'essere accompagnata da una relazione del progettista "che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti" (comma 1), precisando che il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6) e che, ultimato l'intervento, "il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale ... con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività" (comma 7).
Il progettista, dunque, sottolineano i giudici di Piazza Cavour, ha un duplice obbligo: a) redigere una relazione preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare" tra l'altro la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi; b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico abilitato) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.
E, quanto al primo aspetto di detta condotta doverosa, è stato esattamente osservato che il termine "asseverare" ha il significato di "affermare con solennità", e cioè di porre in essere una dichiarazione di particolare rilevanza formale e di particolare valore nei confronti dei terzi quanto alla verità ed alla affidabilità del contenuto. Il progettista si pone come "persona esercente un servizio di pubblica necessità" proprio perché assume una posizione di particolare rilievo in un procedimento (quello di D.I.A.) che prevede la sostituzione con una dichiarazione del privato di ogni autorizzazione amministrativa comunque denominata.
La principale caratteristica della D.I.A., infatti, consiste nella sostituzione dei tradizionali modelli procedimentali in tema di autorizzazione con uno schema diverso ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che per l'esercizio delle stesse non è più necessaria l'emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione.
A seguito della denuncia, il potere di verifica di cui dispone l'amministrazione -a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo- non e' finalizzato all'emanazione di un provvedimento amministrativo di consenso all'esercizio dell'attività, ma al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione. Con la D.I.A., quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore.
Il ricorso al procedimento della D.I.A., conseguentemente, porta con sé una particolare assunzione di responsabilità, in relazione al particolare affidamento che l'ordinamento pone sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento. Proprio in considerazione di questo affidamento la condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (d.P.R. n. 380/2001, art. 29, comma 3) che si connette alle previsioni del precedente art. 23, commi 1 e 6.
L'articolo 23, comma 6, in particolare, dispone che, in caso di "falsa attestazione" del professionista, il funzionario comunale ha l'obbligo di inoltrare segnalazione informativa all'autorità giudiziaria, sicché e' evidente che la "falsa attestazione" in parola, riferita dal comma 6 alla "assenza di una o più delle condizioni stabilite", risulta strettamente correlata alle prescrizioni poste dal medesimo art. 23, comma 1, ove la relazione del progettista integra la dichiarazione stessa di inizio attività, che e' atto dotato di piena autonomia.
Dalla delineata costruzione della D.I.A., come atto fidefacente  a prescindere dal controllo della P.A. e riconnesso alla delega di potestà pubblica ad un soggetto qualificato, discende che la relazione asseverativa del progettista, sulla quale si fonda l'eliminazione dell'intermediazione del potere autorizzatorio dell'attività del privato da parte della pubblica amministrazione, assume valore sostitutivo del provvedimento amministrativo e quindi "certificativo", con conseguente responsabilità penale del professionista che dichiari in essa il falso (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.07.2011 n. 23072 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Relazione di accompagnamento alla DIA - Natura e funzione - Principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato - Violazione - Fattispecie - Art. 481 cod. pen. - Falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità.
La relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell'attività) ha natura di "certificato" per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull'area o sull'immobile interessati dall'intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l'attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio.
Con la DIA, quindi, al principio autoritativo si sostituisce il principio dell'autoresponsabilità dell'amministrato, che è legittimato ad agire in via autonoma, valutando l'esistenza dei presupposti richiesti dalla normativa in vigore. (Nella specie, l'imputato, non era soltanto progettista ma anche direttore dei lavori, sicché aveva il dovere di costante controllo della conformità delle opere che progressivamente venivano realizzate rispetto a quelle denunziate con la DIA).
DIA edilizia - Relazione di accompagnamento - Natura di "certificato" - Qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità - Falsa attestazione dei fatti - Obbligo di comunicazioni all’autorità giudiziaria - Sanzioni disciplinari - Artt. 23, cc. 1 e 6, e 29, c. 3, D.P.R. n. 380/2001 - Artt. 359 e 481 cod. pen..
Ai sensi dell'art. 29, 3° comma, del D.P.R. n. 380/2001, il progettista o, comunque, il tecnico abilitato che predispone la relazione di accompagnamento, all'interno del procedimento che la legge prescrive per la presentazione della DIA in materia edilizia, assume la qualifica di persona esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 cod. pen. [Cass. Sez. V, 04.10.2010, n. 35615, D'Anna; 24.02.2010, n. 7408, Frigé; Cass. sez. III. 16.07.2010, n. 27699, Coppola e altro; 19.01.2009, n. 1818, Baldessari]. Costituendo "certificazione", anche ai sensi dell'art. 481 cod. pen., la descrizione dello stato dei luoghi antecedente alle opere da realizzare [Cass.: sez. V, n. 35615/2010, D'Anna; sez. III, n. 27699/2010, Coppola e altro].
In conclusione, dalla lettura coordinata e sistematica della normativa di riferimento (art. 23, commi 1 e 6, e art. 29, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001), emergerebbe un "sostanziale affidamento" riposto dall'ordinamento sulla relazione tecnica che accompagna il progetto e sulla sua veridicità, atteso che "quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento".
In tale prospettiva la relazione del tecnico abilitato costituisce un atto non solo idoneo ad integrare la dichiarazione di inizio dell'attività, ma anche dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico, assumendo valore sostitutivo del titolo edilizio abilitante e quindi certificativo.
Il dirigente o responsabile dell'ufficio tecnico comunale, "in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza" (comma 6); che, ultimato l'intervento, "il progettista o un tecnico abilitato rilascia un certificato di collaudo finale ... con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la denuncia di inizio attività" (comma 7). (Fattispecie relativa al reato di cui all'articolo 481 c.p. commesso da architetto direttore dei lavori) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.07.2011 n. 23072 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per demolire un manufatto è sufficiente la denuncia di inizio attività.
La demolizione di un manufatto non integra la fattispecie di cui all’art. 44, primo comma, lett. b), del Testo Unico Edilizia, perché per un simile intervento non è necessario il permesso a costruire, ma è sufficiente la semplice denuncia di inizio attività, la cui mancanza costituisce illecito amministrativo .
E’ questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 17.06.2011 n. 24423 in merito ad una questione rilevante, ancora di incerta soluzione dottrinaria, relativa alla individuazione della natura dei titoli abilitativi necessari per la demolizione di opere.
Nel caso di specie si è trattato di un ricorso promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze contro un’ordinanza pronunciata dallo stesso Tribunale in funzione di giudice del riesame. In particolare, il provvedimento aveva disposto la revoca del decreto di sequestro preventivo di un immobile sul quale erano stati effettuati interventi di demolizione in assenza del necessario titolo abilitativo.
La decisione dei giudici del Palazzaccio, anche se non in maniera decisiva, risolve ancora una volta la questione escludendo la sussistenza del reato richiamato, che di per sé avrebbe comportato la sanzione dell’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986 a 103.290 euro, in quanto nel caso specifico per i lavori di cui alle DIA risultava essere stata rilasciata apposita autorizzazione paesaggistica.
Resta tuttavia un margine di incertezza di carattere generale che ad oggi non trova una vera e propria linea di confine tra le ipotesi in cui risulti necessario il permesso a costruire.
Il ricorso in Cassazione, tuttavia, è stato rigettato per una questione di carattere pregiudiziale, in quanto l’ordinanza del Tribunale del riesame, oltre al fumus del reato, aveva escluso la sussistenza delle esigenze cautelari che giustificassero la misura del sequestro preventivo, non essendo in corso l’esecuzione di interventi edilizi né prevedibile la loro prosecuzione. Infatti, secondo i giudici di Piazza Cavour, l’impugnazione della pubblica accusa ha totalmente ignorato tale argomentazione, di per sé sola sufficiente ad escludere la necessità della misura cautelare. Da qui il rigetto del ricorso del P.M. (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: La tutela del terzo leso è possibile mediante l’esperimento (nei confronti del soggetto pubblico titolare del potere di vigilanza edilizia e in contraddittorio con il denunciante) di un’azione atipica di accertamento volta a stabilire l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività edilizia sulla base di una semplice d.i.a.; azione il cui fondamento va trovato nel principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. e da esercitare comunque nel termine di gg. 60 dalla conoscenza del sostanziarsi del titolo edilizio.
E' nota, a proposito della natura della d.i.a., l’esistenza di due differenti impostazioni giurisprudenziali, l’una delle quali individua nella fattispecie la sussistenza di un provvedimento autorizzatorio implicito derivante da una valutazione legale tipizzata (Cons. Stato, IV, 13.01.2010 n. 72, 24.05.2010, n. 3263, 10.12.2009, n. 7730, nonché, in precedenza, Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008 , n. 5811; Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550): la d.i.a., per tale impostazione, non sarebbe uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenterebbe una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo tacito, rispetto al quale ultimo la tutela del terzo che si pretenda leso non incontrerebbe limiti diversi da quelli ordinariamente previsti in riferimento a provvedimenti espressi.
Diversamente, altra impostazione (Cons. Stato, IV, 13.05.2010, n. 2919, 12.03.2009, n. 1474 e 19.09.2008, n. 4513) afferma essere la d.i.a. un atto di natura privata, inserito in un nuovo schema ispirato alla liberalizzazione delle attività economiche private, con la conseguenza che, per l'esercizio delle stesse, viene a non essere più necessaria l'emanazione di un titolo provvedimentale di legittimazione: il potere di verifica di cui dispone l'Amministrazione, a differenza di quanto accade nel regime a previo atto amministrativo, non sarebbe finalizzato all'emanazione dell'atto amministrativo di consenso all'esercizio dell'attività, bensì al controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dall'interessato rispetto ai canoni normativi stabiliti per l'attività in questione.
Appunto quest’ultimo orientamento appare al Collegio più convincente, in particolare sulla scorta di due considerazioni.
La prima è che, diversamente opinando, non si spiegherebbe per quale ragione il legislatore tiene distinto l’istituto in commento (disciplinato dall’art. 19 L. 241/1990) da quello del silenzio assenso (disciplinato dal successivo art. 20 e costituente una mera semplificazione procedimentale, in forza della quale si perviene ad una autorizzazione tacita, del tutto equipollente ad un provvedimento esplicito di accoglimento); la seconda è che tale impostazione appare in linea con l’evoluzione dell’ordinamento, caratterizzata dall’aumentare delle fattispecie in cui un esercizio del potere amministrativo non si ha sempre e necessariamente, bensì solo eventualmente (all’esito di un procedimento di verifica di quanto dichiarato ed attestato dal privato interessato, per il quale vi sono perciò ambiti sempre più ampi entro cui viene a presentare rilevanza l’assunzione diretta di responsabilità da parte sua, come appunto dimostrato dall’introduzione della s.c.i.a.).
Diversi sono poi i mezzi di tutela riconosciuti al terzo controinteressato in detta fattispecie da chi opta per quest’ultima ricostruzione.
Alcuni ritengono che il terzo possa agire con lo strumento del silenzio-rifiuto, ovvero che egli, decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta, abbia legittimazione a richiedere all'Amministrazione, nell’esercizio dei poteri di vigilanza e controllo sul territorio, di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" adottabili ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies L. 241/1990, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis L. 1034/1971 (oggi art. 117 codice del processo amministrativo).
Altri ritengono invece che la tutela del terzo leso sia possibile mediante l’esperimento (nei confronti del soggetto pubblico titolare del potere di vigilanza edilizia e in contraddittorio con il denunciante) di un’azione atipica di accertamento volta a stabilire l’insussistenza dei presupposti per svolgere l’attività edilizia sulla base di una semplice d.i.a.; azione il cui fondamento va trovato nel principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost. e da esercitare comunque nel termine di gg. 60 dalla conoscenza del sostanziarsi del titolo edilizio (posto che il suo regime va strutturato in modo analogo all’azione di annullamento che vi sarebbe stata qualora l’intervento fosse stato assentito a mezzo di permesso di costruire; e ciò onde assicurare la certezza dei rapporti di diritto pubblico). La cognizione di detta azione risulta oggi devoluta al G.A. nell’ambito della giurisdizione esclusiva a lui attribuita ai sensi dell’art. 133, commi 1, lett. a), n° 3, e 1, lett. f), del codice del processo amministrativo.
Appunto a quest’ultima impostazione (cfr. Cons. di Stato sez. VI, n° 717 del 09.02.2009; Cons. di Stato sez. VI, n° 2139 del 15.04.2010; TAR Campania-Salerno n° 1291 dell’08.02.2010; TAR Calabria-Reggio Calabria n° 915 del 23.08.2010; TAR Lombardia–Milano n° 4886 del 23.10.2009; TAR Puglia–Bari n° 4242 del 17.12.2010) ritiene di aderire il Tribunale, stante la possibilità di assicurare all’interessato, in tal modo, una tutela effettiva e tempestiva pur in assenza di un provvedimento amministrativo suscettibile di essere impugnato secondo lo schema ordinario della tutela degli interessi legittimi.
A tal proposito, va evidenziato come l’esperibilità di un’azione di accertamento atipica anche con riferimento a posizioni di interesse legittimo appaia coerente con il sistema giuridico nei casi in cui l’attività amministrativa sia di tipo vincolato o comunque allorché determinati effetti siano collegati al ricorrere di specifici presupposti, e in particolare quando vi sia un oggettivo interesse alla verifica della sussistenza della posizione sostanziale stessa (ad es. per stabilire se, per la presenza dei necessari elementi, si sia o meno sostanziato un provvedimento tacito).
In tal senso appare invero deporre la considerazione che, qualora la P.A. sia venuta meno all’obbligo di concludere il procedimento e l’interessato si sia attivato ai sensi dell’art. 31 del codice del processo amministrativo, il G.A., a mente del comma 3 di quest’ultimo, “può pronunziare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio” appunto “solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’Amministrazione”: risulterebbe infatti incongruo che l’ordinamento consentisse al giudice di effettuare accertamenti sulla fondatezza della pretesa del privato soltanto in presenza di una inerzia della P.A., e limitasse invece il suo potere d’intervento all’annullamento del provvedimento nel caso di adozione di un provvedimento (espresso o tacito che sia) di diniego
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 10.06.2011 n. 3099 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA e violazione articolo 481 cod.pen..
La relazione di accompagnamento alla DIA edilizia (che costituisce parte integrante ed essenziale della dichiarazione stessa di inizio dell’attività) ha natura di “certificato” per quanto riguarda: sia la descrizione dello stato attuale dei luoghi, sia la ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, sia la rappresentazione delle opere che si intende realizzare e l’attestazione della conformità delle stesse agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio (fattispecie relativa al reato di cui all'articolo 481 c.p. commesso da architetto direttore dei lavori) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.06.2011 n. 23072 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATAIl trascorrere del tempo (30 gg.) previsto prima dell’inizio dei lavori della DIA presentata pur non facendo venir meno i poteri di autotutela in capo all’Amministrazione, né con riferimento ai poteri di vigilanza e sanzionatori, né con riferimento ai poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca, postula comunque il rispetto del principio di reciproca lealtà e certezza dei rapporti giuridici.
In data 20.10.2000 il ricorrente Condominio ha presentato presso gli uffici comunali una denuncia di inizio attività per la realizzazione di un muretto in calcestruzzo per dividere la proprietà privata dalla strada pubblica, per l’installazione di un cancello automatico per accedere ai box interrati e per la predisposizione di una piazzola per collocarvi un cassonetto porta rifiuti.
Trascorsi i 20 giorni –secondo il disposto dell’allora vigente art. 4, comma 11, del decreto legge n. 398 del 1993, convertito in legge n. 493 del 1993– le opere sono state iniziate e soltanto in data 04.01.2001 il Comune ha emanato un provvedimento con cui è stato negato quanto previsto in sede di denuncia di inizio attività, con la conseguente inibizione dei relativi lavori (peraltro quasi già terminati).
Tuttavia, il trascorrere del tempo previsto prima dell’inizio dei lavori –nel caso di specie, 20 giorni– pur non facendo venir meno i poteri di autotutela in capo all’Amministrazione, né con riferimento ai poteri di vigilanza e sanzionatori, né con riferimento ai poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell’annullamento d’ufficio e nella revoca, postula comunque il rispetto del principio di reciproca lealtà e certezza dei rapporti giuridici (Consiglio di Stato, IV, 12.03.2009, n. 1474) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 07.06.2011 n. 1405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADifferentemente del provvedimento sanzionatorio, è da ritenersi discrezionale il provvedimento adottato in sede di autotutela, con il quale l’amministrazione comunale vieta lo svolgimento di attività edilizie iniziate a seguito della presentazione di una dia e ordina l’eliminazione degli effetti già prodotti in conseguenza del mancato esercizio dei poteri inibitori; pertanto, l’amministrazione comunale è tenuta, da un lato, a valutare gli interessi in conflitto, anche tenendo conto dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante, e dall’altro, a motivare in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, non coincidente con il mero ripristino della legalità violata.
A differenza del provvedimento sanzionatorio, è da ritenersi discrezionale il provvedimento adottato in sede di autotutela, con il quale l’amministrazione comunale vieta lo svolgimento di attività edilizie iniziate a seguito della presentazione di una dia e ordina l’eliminazione degli effetti già prodotti in conseguenza del mancato esercizio dei poteri inibitori; pertanto, l’amministrazione comunale è tenuta, da un lato, a valutare gli interessi in conflitto, anche tenendo conto dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante, e dall’altro, a motivare in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, non coincidente con il mero ripristino della legalità violata (TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2009, n. 4066) (TAR Calabria-Salerno, Sez. II, sentenza 26.05.2011 n. 1008 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASospensione D.I.A. - Approvazione P.G.T. - Art. 12, D.P.R. n. 380/2001, artt. 13, 34 e 36, L.R. n. 12/2005 - Misure di salvaguardia normali e/o eccezionali - Perfezionamento D.I.A. - Illegittimità.
Il potere inibitorio dell'Amministrazione in materia di D.I.A. è "estinguibile" in quanto sottoposto al termine di esercizio perentorio di giorni trenta dalla presentazione della denuncia, al pari dell'attività di verifica cui è funzionalmente collegato, non potendo conseguentemente l'Amministrazione intervenire su una D.I.A. perfezionata tramite l'esercizio di un potere inibitorio ormai esauritosi e salvo restando il potere di autotutela, ma soggetto a ben diversi presupposti.
In particolare, risulta illegittima la sospensione in aututela della D.I.A. adottata quale "normale" misura di salvaguardia comunale per asserito contrasto dell'opera con le previsioni del P.G.T. in itinere in quanto, avvenuto il perfezionamento della D.I.A., residuano le misure di salvaguardia eccezionali di cui agli artt. 12, comma 4, D.P.R. n. 380/2001 e 34, comma 3, L.R. n. 12/2005 con un potere inibitorio rimesso al vaglio della competente autorità regionale, all'uopo investita del potere discrezionale di intervento cautelare previa ponderazione dell'interesse pubblico con l'interesse dei privati incisi dalla misura in questione (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il potere inibitorio dell’amministrazione in materia di D.I.A. è "estinguibile” in quanto sottoposto al termine di esercizio perentorio di giorni 30 dalla presentazione della denuncia, al pari dell’attività di verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine, l’attività edilizia potrà essere liberamente iniziata non potendo l’amministrazione intervenire sulla stessa tramite l’esercizio di un potere inibitorio ormai esauritosi e salvo restando il potere di autotutela, ma soggetto a ben diversi presupposti.

Il potere inibitorio dell’amministrazione in materia di D.I.A. è –per orientamento costante della giurisprudenza- “estinguibile”, in quanto sottoposto al termine di esercizio perentorio di giorni 30 dalla presentazione della denuncia, al pari dell’attività di verifica cui è funzionalmente collegato.
Ne consegue che, spirato detto termine, l’attività edilizia potrà essere liberamente iniziata non potendo l’amministrazione intervenire sulla stessa tramite l’esercizio di un potere inibitorio ormai esauritosi e salvo restando il potere di autotutela, ma soggetto a ben diversi presupposti (cfr. TAR Campania Napoli, sez. VIII, 08.10.2009, n. 5200; TAR Veneto, Venezia, sez. II, 09.07.2009, n. 2137; TAR Lombardia Milano, sez. II, 17.06.2009, n. 4066; TAR Liguria, 22.01.2003, n. 113)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1278 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di DIA, il potere inibitorio, previsto dall’art. 23, comma 6, T.U. 06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di 30 giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d’autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell’Amministrazione comunque di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con un provvedimento di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.
La denuncia di inizio attività edilizia -che non è una domanda ma una informativa cui è subordinato l’esercizio di un diritto- costituisce species (la cui disciplina prevale su quella generale) di un particolare tipo di procedimento semplificato e accelerato, introdotto in via generale dall’art. 19 della Legge 241 del 1990, che consente al privato l’esercizio di una certa attività comunque rilevante per l’ordinamento, già subordinato a qualsivoglia forma di autorizzazione, a prescindere dalla emanazione di un espresso provvedimento amministrativo, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che con il decorso del termine di legge provoca la formazione di un titolo che rende lecito l’esercizio dell’attività, e cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza.
Il potere inibitorio, previsto dall’art. 23, comma 6, T.U. 06.06.2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di 30 giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d’autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell’Amministrazione comunque di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con un provvedimento di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.
Va da sé, quindi, per quanto innanzi chiarito, che condizione necessaria perché sia validamente presentata una DIA è che i lavori oggetto della stessa non siano stati già interamente o in parte realizzati essendo la denuncia finalizzata esclusivamente alla predisposizione di uno strumento più agile ed efficace di determinati interventi edilizi.
La norma in materia prevede, infatti, che la denuncia debba essere presentata almeno 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, termine entro il quale l’Amministrazione competente può esercitare il controllo sulla sussistenza delle condizioni legittimanti l’attività e conseguentemente inibire l’attività stessa in caso di mancanza delle condizioni necessarie.
In altri termini, non è ipotizzabile una denuncia di inizio di attività per opere già realizzate non potendosi utilizzare tale procedimento quale strumento per ottenere un titolo abilitativo in sanatoria.
Nella specie, invece, risulta in modo incontrastato che il sig. ... ha presentato la denuncia di inizio attività in data 22.06.2005 relativamente ad opere di ristrutturazione edilizia di un sottotetto già interamente realizzate e quindi senza che all’Amministrazione fosse consentito di esercitare tempestivamente il già citato potere di inibizione.
Inappropriato era da considerarsi, quindi, lo strumento della DIA, nel mentre poteva invece utilizzarsi il diverso istituto dell’accertamento di conformità ex art. 36, comma 1, del DPR 380/2001 (TAR Basilicata, sentenza 11.05.2011 n. 301 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa Sezione condivide l'orientamento giurisprudenziale che ritiene il terzo leso dall’attività denunciata legittimato all'instaurazione di un giudizio di cognizione: ciò sul presupposto che la denuncia di inizio attività non è formalmente né sostanzialmente un’istanza, ma uno strumento di massima semplificazione, il quale resta sottoposto all’esercizio di un potere amministrativo successivo, finalizzato sia al riscontro della sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto meramente allegati nella previa denuncia del privato che all’eventuale repressione dell’illecito edilizio.
Sulla configurazione della D.I.A. esistono due diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo uno, il procedimento avviato con la D.I.A. darebbe luogo ad una fattispecie provvedimentale a formazione progressiva e a determinazione implicita (cfr., C.d.S., sez. IV, 25.11.2008, n. 5811) ed al conseguente formarsi del titolo abilitativo -avverso cui possono insorgere i terzi dallo stesso danneggiati- per effetto del decorso del termine fissato dalla legge (art. 91-bis della l.p. n. 22 del 1991), entro cui l'Amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A. (cfr., C.d.S., sez. IV, 13.01.2010, n. 72; sez. IV, 29.07.2008, n. 3742; sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; sez. VI, 05.04.2007, n. 1550). Secondo tale teoria, pertanto, trattandosi di provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato, il suo autoannullamento d’ufficio, pur non ristretto entro termini di decadenza o prescrizione, deve tuttavia essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato.
Secondo un’altra costruzione, il procedimento connesso alla D.I.A. presentata dal privato non dà luogo ad un atto implicito di natura provvedimentale, trattandosi, al contrario, di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al Tar, con la conseguenza che l'azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall'attività svolta sulla base della denuncia non è un’azione di annullamento, ma di accertamento dell'inesistenza dei presupposti della D.I.A. Tale azione (che, sebbene non legalmente tipizzata, troverebbe il suo fondamento nel principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall'art. 24 Cost.) andrebbe proposta nei confronti del soggetto pubblico che ha il compito di vigilare sulla D.I.A. e verso il quale si produrranno poi gli effetti conformativi derivanti dall'eventuale sentenza di accoglimento, da pronunciarsi in contraddittorio con il presentatore, contro interessato processuale.
Di conseguenza, è a questo specifico aspetto di situazioni create ed affidamenti indotti che dovrebbe rivolgersi l’obbligo di motivazione, per il resto essendo sufficiente la constatata violazione delle regole edilizie poste in essere dal denunciante (cfr., C.d.S., sez. IV, 13.05.2010, n. 2919; sez. VI, 15.04.2010, n. 2139; sez. IV, 12.03.2009, n. 1474; sez. VI, 09.02.2009, n. 717, con ampi riferimenti dottrinari e normativi; sez. IV, 19.09.2008, n. 4513; sez. V, 22.02.2007, n. 948).
Questo Tribunale si è attestato sulla seconda tesi ricostruttiva dell’istituto, condividendo l'orientamento giurisprudenziale sopra sintetizzato, che ritiene il terzo leso dall’attività denunciata legittimato all'instaurazione di un giudizio di cognizione: ciò sul presupposto che la denuncia di inizio attività non è formalmente né sostanzialmente un’istanza, ma uno strumento di massima semplificazione, il quale resta sottoposto all’esercizio di un potere amministrativo successivo, finalizzato sia al riscontro della sussistenza dei presupposti in fatto ed in diritto meramente allegati nella previa denuncia del privato che all’eventuale repressione dell’illecito edilizio (cfr., TRGA Trento, 14.05.2008, n. 111, ed anche 10.11.2008, n. 286; 07.05.2009, n. 150; 05.10.2009, n. 248; 18.11.2009, n. 281; 17.12.2009, n. 310; 05.02.2010, n. 38; 16.11.2010, n. 219).
Qualunque sia la corretta costruzione teorica da dare all’istituto della D.I.A. -per la quale l’ordinanza n. 14 del 05.01.2011 della IV Sezione del Consiglio di Stato ha chiesto l’intervento chiarificatore ed unificante dell’Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio- resta comunque il fatto che a fronte di un procedimento attivato mediante una denuncia di inizio attività del privato i noti orientamenti giurisprudenziali in tema di motivazione degli atti di annullamento dei titoli edilizi debbono essere adattati alla particolarità della fattispecie della D.I.A.
La giurisprudenza, infatti, si è sempre preoccupata di dare effettività alla tutela dell'affidamento ingenerato nel cittadino dopo il rilascio di un titolo abilitativo esplicito e con il successivo trascorrere del tempo in assenza di provvedimenti inibitori dell'attività edilizia formalmente assentita dalla stessa Amministrazione; nonché di assicurare la necessità, per il potere pubblico, di esercitare la propria discrezionalità tecnica nel procedimento di riesame del permesso rilasciato mediante un adeguato iter istruttorio. Ha considerato pertanto abnorme, soprattutto in casi di non particolare complessità dell'istruttoria, il provvedimento di annullamento che fosse intervenuto a distanza di vari anni dal rilascio dell'atto annullato in sede di autotutela (cfr., con riferimento alla concessione edilizia, C.d.S., sez. IV, 21.12.2009, n. 8529).
Se, dunque, l’affidamento del privato si correla ad un’attività amministrativa esplicita al fine di delimitare tempi e contenuti dei successivi atti di autotutela, per una serie di effetti incidenti sull’azione e la responsabilità della Pubblica amministrazione (motivazione dell’autoannullamento, tempestività dell’esercizio del relativo potere, risarcimento del danno, ecc. ) è evidente che quell’affidamento subisce un affievolimento -rispetto agli ordinari canoni del potere repressivo dell’attività edilizia illegittima o illecita- nel caso di dichiarazione di inizio attività che, se incompleta o inesatta rispetto alla fattispecie teorica legislativamente predeterminata, non produce alcun effetto di legittimazione dell’intervento.
Con l’introduzione della D.I.A, infatti, il Legislatore ha sostituito il principio di imperatività con quello dell'autoresponsabilità dell'amministrato, il quale è sì legittimato a procedere in via autonoma, a prescindere dall’emanazione di un provvedimento di formale autorizzazione, ma, al contempo, accollandosi la valutazione, in prima battuta, dell'esistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti dalla normativa per porre in essere l’attività in tal modo liberalizzata.
Secondo la ricordata impostazione la D.I.A., in definitiva, è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria; essa non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica (cfr., C.d.S., sez. VI, n. 717 del 2009, cit.). Da ciò consegue che la fiducia che il privato nutre circa la bontà e la conformità alla legge del proprio operato denunciato con la D.I.A. è meno consistente e tutelabile di quanto non sia l’ordinario affidamento -peraltro già di per sé limitato in materia edilizia, stante la natura vincolata ed obbligatoria dei provvedimenti repressivi degli abusi- connesso all’emanazione di un formale ed espresso provvedimento di autorizzazione, concessione, presa d’atto e, in genere, ampliativo della sfera giuridica del privato.
In aggiunta a ciò, non si può non osservare che lo stesso Legislatore, ove in ordine alla disciplina generale dell’istituto della D.I.A. ha precisato che è comunque “fatto salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela” (cfr., art. 23, comma 1-bis, della l.p. 30.11.1992, n. 23, e, in termini, art. 19, comma 3, della l. 07.08.1990, n. 241), per la particolare fattispecie della D.I.A. edilizia ha inteso invece ulteriormente precisare che “è fatto salvo l’esercizio dei poteri di vigilanza di cui al titolo X” (cfr., commi 6 e 10 dell’art. 91-bis della l.p. n. 22 del 1991), e che gli imposti controlli successivi alla presentazione delle denunce di inizio attività sono quantificati solo nel minimo (almeno il 20 per cento degli interventi in corso, o realizzati, scelti a campione), così lasciando all’organizzazione amministrativa di ogni Comune la potestà di scegliere modalità e tempi per la verifica, anche sistematica, delle denunce di inizio attività pervenute.
In tale prospettiva, dunque, l’ordinario affidamento che governa i rapporti sociali non è collocato sull’operato dell’Amministrazione bensì in capo al progettista. Non si può non ricordare, a questo proposito, che la “dettagliata relazione” di accompagnamento della D.I.A. per opere a tale istituto soggette, la quale “assevera la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti” (cfr., comma 4 dell’art. 91-bis della l.p. n. 22 del 1991), comporta che l’ordinamento riponga uno specifico affidamento sulla relazione tecnica del progettista e sulla sua veridicità, atteso che quella relazione si sostituisce, in via ordinaria, ai controlli dell'ente territoriale ed offre le garanzie di legalità e correttezza dell'intervento; con il termine <asseverare> il legislatore ha inteso affermare con solennità la particolare rilevanza formale della dichiarazione del tecnico di parte e il suo particolare valore nei confronti dei terzi quanto a verità ed affidabilità del contenuto (cfr., Cass. Pen., sez. III, 16.07.2010, n. 27699)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 11.05.2011 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer l’annullamento d’ufficio del provvedimento implicito formatosi sulla D.I.A., così come per l’autoannullamento della concessione edilizia o del permesso di costruire, è di norma irrilevante -salvi casi di spazi temporali esagerati- il tempo trascorso dall’attività edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell’Amministrazione pubblica la quale, a fronte dell’accertamento della violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, l’atto di repressione degli abusi non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare.
Per l’annullamento d’ufficio del provvedimento implicito formatosi sulla D.I.A., così come per l’autoannullamento della concessione edilizia o del permesso di costruire, è di norma irrilevante -salvi casi di spazi temporali esagerati- il tempo trascorso dall’attività edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell’Amministrazione pubblica la quale, a fronte dell’accertamento della violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo; pertanto, l’atto di repressione degli abusi non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare (cfr., C.d.S., sez. IV, 01.10.2007, n. 5049 e n. 5050; 10.12.2007, n. 6344; 31.08.2010, n. 3955; sez. V, 07.09.2009, n. 5229 e 11.01.2011, n. 79) (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 11.05.2011 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Natura - E' atto di un soggetto privato - Tutela del terzo - Azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. - Esperibilità.
La natura della D.I.A. è quella di atto di un soggetto privato ed è pertanto esperibile da un terzo un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 917/2009: tuttavia, la questione della natura della D.I.A. e della sua impugnabilità diretta è stata rimessa alla Adunanza Plenaria dalla IV sez. con ordinanza n. 14/2011; TAR Milano, sent. 4886/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 29.04.2011 n. 1105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa dichiarazione d’inizio attività non ha natura provvedimentale, trattandosi di un atto privato, e non è, pertanto, ad essa pertinente un’azione di annullamento, potendo la stessa semplicemente costituire presupposto per l’attivazione dei poteri inbitori della amministrazione, eventualmente stimolati da altri soggetti privati che si ritengano lesi dall’opera denunciata; né può attribuirsi carattere provvedimentale, onde ammettere che essa possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta dall’amministrazione a seguito del ricevimento della D.I.A., che rileva quale puro fatto.
Preliminare esame richiede la questione, molto dibattuta e che ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali (noti alla ricorrente che vi accenna in memoria, con richiami alla giurisprudenza), della impugnabilità della D.I.A..
Il Collegio condivide al riguardo l’indirizzo, ormai prevalente, secondo il quale (v., recentemente, Cons. Stato, Sez IV, 13.05.2010, n. 2139 e id, Sez. VI, 15.04.2010, n. 2139, cui si rinvia, a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d, c.p.a.) la dichiarazione d’inizio attività non ha natura provvedimentale, trattandosi di un atto privato, e non è, pertanto, ad essa pertinente un’azione di annullamento, potendo la stessa semplicemente costituire presupposto per l’attivazione dei poteri inbitori della amministrazione, eventualmente stimolati da altri soggetti privati che si ritengano lesi dall’opera denunciata; né può attribuirsi carattere provvedimentale, onde ammettere che essa possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta dall’amministrazione a seguito del ricevimento della D.I.A., che rileva quale puro fatto (cfr. Cons. Stato, Sez IV, 19.09.2008, n. 4513) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 08.04.2011 n. 656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Sindacato giurisdizionale diretto sulla D.I.A. - Ammissibilità.
E' ammissibile un sindacato giurisdizionale diretto sulla DIA, sia esso finalizzato ad accertarne l'illegittimità o ad annullare il titolo abilitativo tacito o implicito formatosi su di essa (cfr. Cons. di Stato, sent. nn. 2139/2010, 72/2010, 5811/2008, TAR Milano, sent. 227/2011)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.02.2011 n. 518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATATITOLI EDILIZI: Così si impugnano la Dia e la Scia.
In attesa che si pronunci il Consiglio di Stato, l'incertezza sulla natura giuridica della Dia e della Scia condiziona le contestazioni di terzi. Chi vuole opporsi ai lavori avviati in base a uno di questi due titoli, oggi deve chiedere al Comune lo stop ai lavori e, al contempo, domandare al Tar l'annullamento del provvedimento.
In attesa che il Consiglio di Stato decida sull'inquadramento della dichiarazione servono più livelli di tutela. Contro la Dia non basta il ricorso. I terzi che contestano i lavori devono rivolgersi sia al Tar sia al Comune.
La natura giuridica della denuncia di inizio di attività (Dia), della segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e della comunicazione di inizio lavori non è solo una questione teorica: anzi, ha importante ricadute pratiche. La possibilità di contestare al Tar gli interventi edilizi realizzabili con questi titoli edilizi dipende infatti da come si definiscono le dichiarazioni con cui il privato può avviare i lavori senza dover attendere il rilascio del permesso di costruire.
Il permesso di costruire -in quanto provvedimento espresso della p.a.- è pacifico che possa essere impugnato al Tar entro Go giorni dalla sua conoscibilità, che al più tardi coincide con l'avvio dei lavori o con il momento in cui gli stessi raggiungono lo stadio che consente ai terzi di valutarne la portata lesiva.
Ma per le denunce o le segnalazioni presentate dai privati c'è più di un dubbio: è possibile impugnarle? Oppure bisogna chiedere al comune di bloccare i lavori ed eventualmente portare al giudice la decisione dell'amministrazione di lasciar correre?
La differenza è evidente: nel primo caso si può andare subito dal giudice anche per chiedere l'immediata sospensione dei lavori, nell'altro caso possono non bastare alcuni anni e si rischia di arrivare al Tar a opere finite.
L'impugnazione.
È proprio di un caso come questo che il Consiglio di Stato si è recentemente interessato per fare chiarezza in merito.
Si trattava di una Dia presentata per rendere carrabile un porticato, impugnata dal vicino e annullata dal Tar Veneto. Il costruttore ha quindi proposto appello sostenendo che la Dia non costituirebbe atto amministrativo impugnabile e suscettibile di rimedi demolitori, trattandosi di attività del privato e non assumendo valore provvedimentale; la sentenza sarebbe quindi erronea laddove ha ritenuto direttamente impugnabile la Dia.
Il Consiglio di Stato con l'ordinanza 14/2011 del 07.12.2010, alla luce del contrasto giurisprudenziale in atto addirittura all'interno della stessa sezione chiamata a dirimere la controversia, ha deciso di rimettere la questione all'Adunanza plenaria deputata a dare un univoco indirizzo che possa guidare i Tar e i cittadini.
Esistono -secondo l'ordinanza citata- almeno tre tesi ... (articolo Il Sole 24 Ore del 14.02.2011 - tratto da www.corteconti.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Sindacato giurisdizionale - Sindacato per l'accertamento dell'illegittimità della D.I.A. - E' legittimo - Sindacato per l'annullamento del titolo abilitativo formatosi sulla D.I.A. - E' legittimo.
E' legittimo un sindacato giurisdizionale diretto sulla D.I.A., sia qualora esso risulti finalizzato ad accertarne l'illegittimità (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 2139/2010) sia qualora esso risulti volto ad annullare il titolo abilitativo tacito o implicito formatosi su di essa (Cons. Stato, sent. n. 72/2010, sent. n. 1409/2007) - il Collegio ha peraltro evidenziato che nella fattispecie de qua tale problematica non avesse comunque ragione di porsi avendo il ricorrente contestualmente impugnato l'atto amministrativo che attestava la legittimità della DIA (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.01.2011 n. 227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'atto comunale col quale è stato sospeso il termine previsto dall’art. 26, comma 1, lett. a), della L.R. n. 16/2008 per l’inizio dei lavori di cui alla presentata D.I.A. condizionando la ulteriore efficacia della D.I.A alla produzione di un atto di consenso di terzi, concreta un vero e proprio arresto procedimentale, di natura immediatamente lesiva.
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E' illegittimo l’atto inibitorio adottato oltre il termine perentorio di venti giorni, alla scadenza del quale matura l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di inizio attività, fermo il potere dell'amministrazione comunale di avviare uno specifico procedimento di autotutela preordinato all’annullamento dell’autorizzazione implicita.
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Il decorso del termine per la formazione del titolo abilitativo non può avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento soltanto nel caso dichiarazioni infedeli o recanti una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole del dichiarante, non già nei casi di mera incompletezza della documentazione a corredo dell’istanza, che debbono essere evidenziati nell’apposito termine perentorio di cui sopra.
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- Rilevato che, con ricorso notificato in data 29.11.2010, la signora Ch.Ga. ha impugnato il provvedimento 08.10.2010, con il quale il comune di Levanto ha sospeso il termine previsto dall’art. 26, comma 1, lett. a), della L.R. n. 16/2008 per l’inizio dei lavori di cui alla D.I.A. obbligatoria n. 107/2010, presentata in data 01.06.2010 in vista della realizzazione di due finestre, a motivo della mancanza del nulla osta condominiale;
- Rilevato come la sospensione del termine, condizionando la ulteriore efficacia della D.I.A alla produzione di un atto di consenso di terzi, concreti un vero e proprio arresto procedimentale, di natura immediatamente lesiva;
- Ritenuto che il ricorso è fondato, sotto l’assorbente profilo della violazione degli artt. 23 e 26 L.R. Liguria n. 16/2008, essendo stato l’atto inibitorio adottato oltre il termine perentorio di venti giorni, alla scadenza del quale matura l'autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati e indicati nella denuncia di inizio attività, fermo il potere dell'amministrazione comunale di avviare uno specifico procedimento di autotutela preordinato all’annullamento dell’autorizzazione implicita (TAR Toscana, III, 16.03.2009, n. 430; TAR Liguria, I, 04.04.2008, n. 460);
- Considerato che il decorso del termine per la formazione del titolo abilitativo non può avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento soltanto nel caso dichiarazioni infedeli o recanti una erronea rappresentazione dei fatti, cioè in presenza di un’attività potenzialmente decettiva od ingannevole del dichiarante, non già nei casi di mera incompletezza della documentazione a corredo dell’istanza, che debbono essere evidenziati nell’apposito termine perentorio di cui all’art. 26, comma 4, della L.R. n. 16/2008 (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 14.01.2011 n. 47 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA: atto privato o provvedimento?
Va rimessa alla Adunanza Plenaria la questione inerente la qualificazione giuridica, privata o provvedimentale, dell’istituto della denuncia di inizio attività.

Così ha deciso il Consiglio di Stato, Sez. IV, con l’ordinanza 05.01.2011 n. 14.
Il provvedimento in esame ha ad oggetto l’azione di annullamento di una denuncia di inizio attività proposta in variante ad un permesso di costruire.
Uno dei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado riguarda nello specifico la natura della denuncia, che costituirebbe atto del privato e non atto amministrativo impugnabile e perciò insuscettibile di rimedi demolitori.
I giudici di Palazzo Spada, rilevando l’esistenza di diversi orientamenti giurisprudenziali, ritengono che: “la tesi secondo cui è inammissibile il ricorso proposto per l’annullamento della denuncia di inizio attività, intesa come atto avente natura oggettivamente e soggettivamente privata, ha avuto il conforto in sede giurisprudenziale anche di questa Sezione (ex plurimis, da ultimo, Cons. Stato, IV, 13.05.2010, n. 2919; si veda in tal senso anche Cons. Stato, V, 22.02.2007, n. 948).
Tale inammissibilità della impugnativa troverebbe comunque un rimedio nell’azione avverso il silenzio-inadempimento; il terzo che intende opporsi all’intervento, una volta decorso il termine per l’esercizio del potere inibitorio, sarebbe legittimato unicamente a presentare all’amministrazione formale istanza per la adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure a impugnare il provvedimento emanato all’esito della avvenuta verifica.
Questa Sezione, però, sempre recentemente, ha sostenuto la opposta tesi (per così dire provvedimentale) che i terzi che ritengano di essere pregiudicati dalla effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito (nella specie, DIA) possono agire dinanzi al giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della D.I.A. (Cons. Stato; IV, 13.01.2010 n. 72)
.”
La sezione rileva, pertanto, l’esistenza di tre tesi differenti sui rimedi esperibili dal terzo:
1) nel caso in cui si consideri la dia quale provvedimento si potrebbe utilizzare la tradizionale azione di annullamento;
2) nel caso invece si qualificasse la denuncia come atto del privato sarebbe necessario agire attraverso un’azione di accertamento autonomo (negativo) della inesistenza dei presupposti per ritenere completa la fattispecie;
3) la terza tesi, partendo da una considerazione di natura privatistica, richiederebbe al privato di presentare, una volta decorsi i termini senza l’esercizio del potere inibitorio, una istanza formale e impugnare il successivo atto negativo dell’amministrazione ovvero agire avverso la successiva inerzia amministrativa (silenzio–rifiuto).
Vista l’esistenza di tali contrasti la sezione ha ritenuto opportuno chiamare in causa l’Adunanza Plenaria, la quale, si spera, fornirà le soluzioni interpretative necessarie anche in seguito all’introduzione nel panorama edilizio della segnalazione certificata di inizio attività (c.d. scia) (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATATanto maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività edilizia e l'esercizio del potere di autotutela, maggiore deve essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo.
In caso di DIA, una volta decorso il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere esercitare il potere sanzionatorio, deve, prima, incidere sul titolo edilizio, intervenendo su di esso in autotutela, sempre che ne ricorrano i presupposti. E di ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo” ai casi di interventi eseguiti in base a “permesso annullato”.

Tanto maggiore è il lasso di tempo trascorso tra l'avvio dell'attività e l'esercizio del potere di autotutela, maggiore deve, dunque, essere il grado di motivazione sulle ragioni di pubblico interesse, diverse da quelle al mero ripristino della legalità, che deve connotare il relativo provvedimento amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 31.10.2006, n. 6465, Sez. V, 25.09.2006, n. 5622 e Sez. VI, 27.02.2006, n. 846).
Nel caso di specie, l’amministrazione si è limitata a motivare il provvedimento di annullamento della denuncia di inizio attività indicando i motivi per i quali il progetto edilizio si pone in contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia vigente e ravvisando l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto nell’esigenza di imparzialità di trattamento e nell’interesse all’ordinato assetto territoriale.
Queste ragioni, attesa la loro genericità, coincidono di fatto con una mera esigenza di ripristino della legalità, non identificando un interesse concreto ed attuale all’annullamento dell’atto.
L’amministrazione non ha, inoltre, effettuato alcuna comparazione tra l’interesse perseguito e quello privato sacrificato, adempimento ancor più necessario in considerazione della posizione di affidamento ingenerata nel privato dal decorso di un ampio lasso di tempo (oltre cinque anni) dal consolidarsi del titolo edilizio e della circostanza che i principali vizi riscontrati erano evincibili già dalle indicazioni del progettista e dagli elaborati grafici e non richiedevano, dunque, lo svolgimento di una particolare e complessa attività istruttoria.
Né l’amministrazione può invocare il potere di repressione degli abusi edilizi per giustificare un intervento finalizzato a ristabilire una situazione di regolarità urbanistica ed edilizia in mancanza di un interesse pubblico ulteriore.
Come questo Tar ha già affermato, una volta decorso il termine perentorio di 30 giorni previsto dall’art. 23, d.P.R. n. 380/2001, la p.a., per potere esercitare il potere sanzionatorio, deve, prima, incidere sul titolo edilizio, intervenendo su di esso in autotutela, sempre che ne ricorrano i presupposti. E di ciò ne è riprova il comma 2-bis dell'art. 38 del d.P.R. n. 380/2001 che, con specifico riferimento alla d.i.a. edilizia, equipara l’ipotesi dell’“accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo” ai casi di interventi eseguiti in base a “permesso annullato” (Tar Lombardia, Milano, 22.01.2010, n. 135) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.12.2010 n. 7474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La DIA produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa.

Rispetto alle censure articolate nei motivi successivi, in cui si contesta la scelta dell’Amministrazione di applicare le tariffe vigenti al momento del decorso dei 30 giorni di efficacia, in violazione alle disposizioni regionali in materia di d.i.a., si richiama l’orientamento di questa Sezione (sentenze nn. 2029/2009, 2030/2009) confermato in sede di appello ( Consiglio di Stato sez. IV, 2922 del 13.05.2010).
Nelle decisione di primo grado i provvedimenti del Comune sono stati ritenuti legittimi, in base alle seguenti motivazioni, che qui si riportano integralmente: “la DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008) .
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione nella sentenza richiamata dalla difesa Comunale (n. 588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui “le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa
.”
E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri.
Pare quindi corretta la posizione dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce effetti dall'08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le quali non è decorso il termine di 30 giorni.
A tale conclusione non osta la disciplina regionale di riferimento, invocata da parte ricorrente, la quale, con puntuali argomentazioni, sostiene che il momento dell’efficacia non sarebbe rilevante ai fini del calcolo degli oneri di urbanizzazione, in quanto l’obbligazione contributiva a carico del privato troverebbe il proprio momento genetico all’atto della presentazione della DIA.
In tal senso vengono invocate le seguenti disposizioni della L.R. 12/2005:
a) l’art. 42, commi 2 e 3, in materia di disciplina della denuncia di inizio attività, in cui si stabilisce che “Nel caso in cui siano dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il relativo calcolo è allegato alla denuncia di inizio attività e il pagamento è effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa, fatta comunque salva la possibilità per il comune di richiedere le eventuali integrazioni.
La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione
”;
b) l’art. 44, comma 12, in materia di oneri di urbanizzazione, laddove per gli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d'uso su edifici esistenti stabilisce che “per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il contributo dovuto è commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente e alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti, determinata con le modalità di cui ai commi 8 e 9”, precisando poi nel successivo comma che “L'ammontare dell'eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività.”
c) l’art. 48, comma 7, in materia di costo di costruzione, che così recita: “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre sessanta giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”.
A giudizio del Collegio le disposizioni regionali richiamate non derogano al principio generale secondo cui nel caso di intervento edilizio assentito in forza di una DIA la normativa da applicare è quella vigente alla data di efficacia: infatti gli artt. 42 e 48 si limitano a disciplinare il procedimento di presentazione della DIA, stabilendo che il costo di costruzione va allegato alla DIA (mentre l’art. 44 disciplina una fattispecie specifica), ma non introducono una disciplina derogatoria speciale, rispetto al principio generale della efficacia della DIA dopo il decorso del termine di 30 giorni.
Va invece dato particolare rilievo alla modifica apportata in materia dalla L.R. n. 4/2008, che ha introdotto nell’art. 38 il comma 7-bis, stabilendo, per il permesso di costruire, che gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengano determinati alla data di presentazione della richiesta di permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica legislativa gli oneri andassero determinati al momento del rilascio del titolo, mentre a seguito della modifica legislativa la determinazione è anticipata all’atto della presentazione della richiesta di permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si deve ritenere che prima della nuova disciplina valesse il principio sopra esposto, per cui erano rilevanti le eventuali innovazioni legislative intervenute nei trenta giorni ed anche l’introduzione di nuove tariffe, se approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo l’introduzione del comma 7-bis all’art. 38 il calcolo deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione della domanda del permesso di costruire.
I Giudici di Palazzo Spada, confermando la decisione di primo grado hanno evidenziato che “nessuna delle disposizioni indicate (n.d.r. cioè le disposizioni della L.R. 12/2005 richiamate anche nel presente ricorso) è destinata ad incidere sulla vicenda in scrutinio, che deve quindi essere esaminata solo in rapporto alla disciplina generale, fondata sul testo unico dell’edilizia.”
Proprio in ragione di tale evenienza, è stato evidenziato che, in disparte l’annosa questione sulla ricostruzione dell’istituto, in termini pubblicistici o in termini privatistici, la lettera della norma (art. 23, comma 1, del testo unico sull’edilizia) permette la realizzazione delle opere solo allo spirare del termine di 30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere”, il giudice di appello ha osservato che “deve convenirsi con la ricostruzione del giudice di primo grado che vede un nesso tra l’intervenuta efficacia, data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, e l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi, che non può che avvenire in quel momento, in rispetto di un’ordinaria logica di corrispettività.”
Da questa impostazione discende che “fino al momento dell’attribuzione di efficacia, secondo ed ultimo momento della realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, come qui esaminato, ma come anche potrebbe essere il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica” (TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 02.12.2010 n. 7467 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Autotutela - Decorso del termine di legale per interdire i lavori - Esercitabilità del potere di autotutela - Sussiste - Limiti.
In materia di D.I.A., una volta decorso il termine legale per interdire i lavori, decorrente dalla presentazione della stessa, il Comune può agire -entro un ragionevole lasso di tempo- solo nell'esercizio del potere di autotutela, valutando gli interessi in conflitto, ovverossia raffrontando l'interesse pubblico alla demolizione all'interesse del privato alla conservazione dell'opera, ultimata senza tempestiva opposizione del Comune stesso (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 717/2009) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.11.2010 n. 7356 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'azione avverso la DIA non può essere esperita oltre i termini previsti per l'azione contro i titoli edilizi tipici e nominati, quali il permesso di costruire, la concessione o l’autorizzazione edilizia.
Sono noti al Collegio i diversi orientamenti giurisprudenziali che si fronteggiano riguardo alla natura della DIA (qualificabile come atto di natura privatistica oppure come vera e propria autorizzazione implicita di natura provvedimentale).
Questo Tribunale ha, tuttavia, già manifestato adesione all'orientamento secondo cui la DIA sia da assimilarsi ad un provvedimento assentivo espresso (cfr. TAR Marche 27.09.2010 n. 3305 che richiama Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550 e Sez. IV, 13.01.2010, n. 72), con la conseguenza che dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, ossia dopo il consolidarsi del titolo edilizio, l’Amministrazione può provvedere all’adozione di eventuali atti repressivi solo dopo aver esercitato i propri poteri di autotutela, qualora ne ricorrano i presupposti di legge (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 10.12.2009, n. 7730).
L'odierno Collegio non intravede elementi per aderire ora al diverso orientamento privatistico.
Va comunque osservato che entrambi gli orientamenti paiono concordare nel ritenere che l'azione avverso la DIA non possa essere esperita oltre i termini previsti per l'azione contro i titoli edilizi tipici e nominati, quali il permesso di costruire, la concessione o l’autorizzazione edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 13.01.2010 n. 72; id. IV, 25.11.2008 n. 5811; id. 29.07.2008 n. 3742; id. 12.09.2007 n. 4828; id. 05.04.2007 n. 1550, per l'orientamento provvedimentale, e Cons. Stato, Sez. VI, 09.02.2009 n. 717 per l'orientamento privatistico).
In sostanza la determinazione del dies a quo per impugnare la DIA o per contestare il silenzio-inadempimento serbato dal Comune, segue la tesi tradizionale, ossia quella secondo cui, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione di una concessione edilizia rilasciata a terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si ha quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica, sicché, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori, il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento, a meno che non si deducano l'assoluta inedificabilità dell'area o analoghe censure, nel qual caso risulta sufficiente la conoscenza dell'iniziativa in corso (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 08.07.2002 n. 3805).
Del resto questo Collegio osserva che dilungare ulteriormente il termine per proporre l'azione giudiziaria violerebbe il principio di certezza alle situazioni giuridiche poiché, in caso contrario, si finirebbe per ammettere “sine die” la contestabilità di un intervento edilizio realizzato mediante DIA, poiché sarebbe sufficiente presentare, in qualunque tempo, una semplice denuncia di contrasto tra il titolo e la relativa disciplina, per rimettere tutto in discussione (peraltro disponendo del termine lungo per denunciare la pretesa illegittima inerzia dell'amministrazione; termine che può essere protratto fino ad un anno dalla scadenza del termine assegnato all'amministrazione per provvedere, salvo poi rinnovarlo con la presentazione di una nuova denuncia) (TAR Marche, sentenza 08.11.2010 n. 3373 - TAR link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. – Natura giuridica – Provvedimento assentivo espresso quoad effectum – Poteri di autotutela dell’amministrazione – Decorso di 30 giorni – Opere realizzate – Adozione di atti repressivi – Limiti.
Pur nella consapevolezza delle attuali incertezze dottrinali e giurisprudenziali circa la natura giuridica della D.I.A., sembra preferibile la tesi secondo cui essa “quoad effectum” sia da assimilarsi ad un provvedimento assentivo espresso (cfr. Cons. St., Sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e Sez. IV, 13.01.2010, n. 72), con la conseguenza che anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, la P.A. non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri di espressione dell’esercizio di un’attività di secondo grado, estrinsecatesi nell’annullamento d’ufficio e nell’autotutela.
Tuttavia una volta consolidatosi il titolo edilizio per il decorso di trenta giorni dalla sua presentazione, le opere realizzate in conformità ad esso non possono ritenersi abusive, onde l’Amministrazione può provvedere all’adozione di eventuali atti repressivi solo dopo aver esercitato i propri poteri di autotutela, qualora ne ricorrano i presupposti di legge (Cons. St., Sez. IV, 10.12.2009, n. 7730) (TAR Marche, Sez. I, sentenza 27.09.2010 n. 3305 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Presupposto - Conformità dell’opera edilizia agli strumenti urbanistici - Attività edilizia oggettivamente abusiva - Ricorso all’istituto della D.I.A. - Inammissibilità.
L'operatività della D.I.A. è subordinata alla conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e, in generale, della normativa urbanistica vigente (TAR Toscana Firenze, sez. III, 20.01.2009, n. 21), come dimostra anche la circostanza che tale denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di conformità (TAR Campania Napoli, sez. IV, 12.01.2009, n. 68) che attesti, tra l’altro, il rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Ne consegue che, in assenza di detta conformità urbanistico-edilizia o alle normative di settore, il ricorso all’istituto non è, a priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza titolo per mancata produzione degli effetti legali tipici. In altri termini, la valenza di tale istituto non può trasformare in lecita e/o legittima un'attività edilizia oggettivamente abusiva (TAR Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n. 1506).
Attività edilizia - Autorità comunale - Potere di vigilanza - Potere di sospensione - Ingiunzione di demolizione - Artt. 23 e 27 d.P.R. n. 380/2001.
Il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia attribuito all'autorità comunale non è limitato alla previsione di cui all’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina della denuncia di inizio attività; trattandosi, infatti, di un potere generale attribuito all'autorità amministrativa per tutti i tipi di intervento edilizio che avvengono sul territorio di competenza, può svolgersi senza limiti di tempo e può esplicarsi sia attraverso l’esercizio del potere di sospensione che di ingiunzione alla demolizione da parte dell'ente comunale ex art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (TAR Campania Napoli, sez. II, 03.02.2006, n. 1506) (TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 10.09.2010 n. 1962 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA: la Cassazione chiarisce l’applicabilità delle sanzioni amministrative e penali.
Il testo Unico dell’Edilizia, all’art. 22, individua gli interventi edilizi subordinati a Denuncia di Inizio Attività.
I commi 1 e 2 del suddetto articolo, in particolare, individuano gli interventi realizzabili con DIA, mentre il successivo comma 3 definisce gli interventi che possono essere realizzati con DIA in alternativa al permesso di costruire.
Il successivo Capo II disciplina le sanzioni per l’esecuzione di interventi edilizi in assenza o in difformità dai titoli abilitativi prevedendo sanzioni amministrative e penali (art. 44).
La Corte di Cassazione ha chiarito i limiti per l’applicabilità delle sanzioni penali per l’esecuzione, in assenza o difformità dai titoli abilitativi, di interventi eseguibili con DIA.
Quando la DIA si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire), la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata non comportano l'applicazione delle sanzioni penali ma soltanto di quelle amministrative.
Quando invece la DIA si pone come alternativa al Permesso di Costruire, l'assenza della Denuncia di Inizio dell'Attività (e naturalmente del Permesso di Costruire) o la difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata integrano il reato penale previsto dall’art. 44, comma 1, lettera b). Per la difformità parziale non trova comunque applicazione la sanzione penale.
La Cassazione ha inoltre chiarito che è sanzionabile penalmente, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera a), del D.P.R. 380/2001, l'esecuzione di interventi difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi, anche se preceduta da DIA (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.09.2010 n. 32974 - link a www.acca.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Potere di autotutela sulla d.i.a. - Sussiste.
2. Denuncia di inizio attività - Potere di autotutela sulla d.i.a. - Artt. 19, L. n. 241/1990 - Richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, L. n. 241/1990 - Va riferito alla possibilità di esercitare i poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.
3. Denuncia di inizio attività - Autotutela - Decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della d.i.a. - Affidamento del privato - Non prevale sull'interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo.
1. Nessun dubbio sussiste sulla possibilità per l'amministrazione di esercitare il potere di autotutela sulla d.i.a., e ciò a prescindere dalla soluzione della questione di quale sia la natura giuridica che ad essa si intenda attribuire.
Il potere di autotutela sulla d.i.a. è da intendersi come un potere sui generis che della consueta autotutela decisoria condivide soltanto i presupposti ed il procedimento -dovendo essere esercitato entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico- e che da essa si differenzia poiché non implica un'attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo.
2. Il richiamo, ad opera dell'art. 19 della l. n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies va riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, nell'osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti da tali norme.
3. Non può ritenersi che il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività, costituente presupposto per l'esercizio del potere di autotutela, ingeneri un affidamento che prevalga, per ciò solo, su ogni interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo perché, se così fosse, verrebbe negata in radice ogni possibilità per l'amministrazione di intervenire in autotutela (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il decorso del termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività costituisce il presupposto per l’esercizio del potere di autotutela: prima di tale termine all’amministrazione compete, difatti, il differente potere di verificare la sussistenza dei requisiti e presupposti normativi per l’esercizio dell’attività oggetto di denuncia e, se del caso, di inibire l’intervento edilizio.
Già prima dell’entrata in vigore della legge n. 80/2005, la giurisprudenza affermava la sussistenza, in capo alla p.a., di un potere residuale di intervento in autotutela sulla dichiarazione di inizio attività, successivamente alla scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere inibitorio (Cons. Stato, sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
Con la legge n. 80/2005, il legislatore ha recepito questo orientamento giurisprudenziale ed ha modificato l’art. 19 della l. n. 241/1990 -norma che detta una disciplina generale della dichiarazione di inizio attività applicabile anche alla d.i.a. edilizia- facendo espressamente “salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies”.
Nessun dubbio sussiste, dunque, sulla possibilità per l’amministrazione di esercitare il potere di autotutela sulla d.i.a., e ciò a prescindere dalla soluzione della questione di quale sia la natura giuridica che ad essa si intenda attribuire.
Il Collegio ritiene, comunque, che il riferimento all’autotutela possa spiegarsi anche restando entro i confini della linea interpretativa secondo cui la d.i.a. è un atto del privato: il potere di autotutela sulla d.i.a. è, difatti, da intendersi come un potere sui generis che della consueta autotutela decisoria condivide soltanto i presupposti ed il procedimento -dovendo essere esercitato entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico- e che da essa si differenzia poiché non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo.
Il richiamo, ad opera dell’art. 19 della l. n. 241/1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies va, quindi, riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, nell’osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme (Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 717/2009).
Il decorso del termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione di inizio attività costituisce il presupposto per l’esercizio del potere di autotutela: prima di tale termine all’amministrazione compete, difatti, il differente potere di verificare la sussistenza dei requisiti e presupposti normativi per l’esercizio dell’attività oggetto di denuncia e, se del caso, di inibire l’intervento edilizio.
Pur se, con il perfezionarsi della d.i.a., si consolida in capo al privato una posizione di affidamento meritevole di protezione, tuttavia, “tale affidamento non è certamente così forte da escludere qualsiasi potere di intervento da parte della p.a., anche perché altrimenti per effetto della d.i.a., si andrebbe a consolidare una posizione più stabile rispetto a quella che deriva dal provvedimento autorizzatorio (il quale, ricorrendo le condizioni di legge, può essere appunto rimosso in via di autotutela)” (Cons. Stato, sent. n. 717/2009).
Non può, quindi, ritenersi che il decorso del termine di 30 giorni ingeneri un affidamento che prevalga, per ciò solo, su ogni interesse pubblico alla rimozione del titolo abilitativo perché, se così fosse, verrebbe negata in radice ogni possibilità per l’amministrazione di intervenire in autotutela.
È, pertanto, legittima la valutazione compiuta dal Comune di Besozzo che ha escluso la sussistenza in capo agli istanti di una posizione di affidamento in considerazione del decorso di un breve lasso di tempo tra la pronuncia di questo Tar del 04.12.2007, n. 6542 -di annullamento del provvedimento del 27.03.2007, con cui il Comune aveva inibito la realizzazione dell’attività edilizia oggetto della d.i.a. (prima di tale momento, difatti, non poteva sussistere in capo ai ricorrenti alcuna posizione di affidamento circa la legittimità dell’attività edilizia ma semmai la sola aspettativa di un esito positivo della controversia)- e l’esercizio del potere di autotutela, con l’adozione, in data 22.01.2008, del provvedimento impugnato.
Altresì corretta è stata la considerazione dell’amministrazione che ha escluso la sussistenza di una posizione di affidamento anche perché non era ancora stata posta in essere alcuna attività edificatoria (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.09.2010 n. 5122 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa realizzazione in assenza di DIA si sanziona pecuniariamente e non con la riduzione in pristino.
Nel caso trattato dai giudici del capoluogo marino abruzzese, fa ingresso la nuova disciplina dell’attività edilizia libera introdotta dal d.l. 40/2010 convertito in legge 73/2010 la cui interpretazione non ancora consolidata ha portato i giudici alla compensazione delle spese.
Il caso è quello della costruzione, senza aver ottenuto e richiesto alcun titolo edilizio, di una struttura di legno composta da pilastrini e travi su un balcone. Secondo l’amministrazione comunale ciò basta per intervenire ordinando la demolizione del manufatto.
La parte privata resiste: l’intervento avrebbe potuto legittimamente essere realizzato senza chiedere alcun titolo edilizio, in quanto l’opera costituisce un mero arredo di natura precaria, per altro verso che in ogni caso, ove l’opera fosse in realtà soggetta a d.i.a., avrebbe dovuto applicarsi una sanzione pecuniaria e non ordinarsi la demolizione.
I giudici non ritengono di dover affrontare la prima questione, essendo convinti dalla fondatezza del secondo motivo.
Nell’ordinanza il Comune ha ritenuto di ricondurre l’opera in questione non nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del D.P.R. n. 380/2001, sottopone a preventivo permesso di costruire, ma a quelli sottoposti a preventiva denuncia d’inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma.
E’ sulla base di questo assunto che risulta illegittima la sanzione applicata. Infatti, l’art. 37 DPR 380/2001 stabilisce che: “La realizzazione di interventi edilizi di cui all'articolo 22, commi 1 e 2, in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
E solo nel caso in cui le opere realizzate in assenza di denuncia d’inizio attività consistono in interventi di restauro e di risanamento conservativo, eseguiti su immobili comunque vincolati in base a leggi statali e regionali l'autorità competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, può ordinare la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile.
Nel caso di specie non sussistevano vincoli. Pertanto la sanzione applicata risulta illegittima. Il fatto che entri in gioco anche l’applicazione delle nuove disposizioni dell’art. 6 del d.l. 40/2010 sulle quali non si è ancora consolidato un orientamento giurisprudenziale condiviso suggerisce ai giudici la misura della compensazione delle spese (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 08.07.2010 n. 779 - link a ww
w.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività - Decorrenza di 20 giorni - Termine perentorio - Residuale successivo istituto di autotutela.
Il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine perentorio di 20 giorni dalla data di presentazione della D.I.A.: una volta spirato detto termine il potere di riscontro a fini inibitori attribuito all'amministrazione è esaurito, e la stessa può provvedere solo avvalendosi dell'istituto dell'autotutela e della generale potestà di controllo emanando gli eventuali provvedimenti sanzionatori ai sensi dell'art. 21, comma 2, della L. 241/1990 (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 01.07.2010 n. 2419 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. attuativa di un P.I.I. - Parere negativo Collegio di Vigilanza sull'accordo di programma - Mutamento di destinazione - Legittimità.
2. D.I.A. attuativa di un P.I.I. - Diffida comunale all'esecuzione dei lavori - Attività di commercio vietata - Sospensione domanda agibilità - Legittimità.

1. Risulta legittimo il parere negativo adottato dalla Commissione di Vigilanza sull'accordo di programma in merito ad una D.I.A. implicante un mutamento di destinazione, dalla vendita al dettaglio a quella all'ingrosso, delle realizzande strutture al piano sotterraneo di un complesso cinematografico, in quanto la destinazione ad attività di vendita all'ingrosso non è compatibile con le previsioni degli atti di pianificazione, P.I.I. e relativo Accordo di Programma, relativi alla struttura multisala prevedendo tali atti pianificatori un ruolo accessorio e sussidiario degli spazi di vendita rispetto alla principale funzione della struttura, cioè lo svolgimento di spettacoli cinematografici.
2. Considerato che l'attività di commercio all'ingrosso risulta vietata negli spazi interessati dalla D.I.A. in relazione alla quale è stata assunta la diffida all'esecuzione dei lavori impugnata, risulta legittima la contestuale sospensione della domanda di agibilità adottata dal Comune in relazione a tale pratica urbanistica, tenuto anche conto del potere del Comune di verificare -ed eventualmente revocare- in ogni momento l'agibilità dei locali, in relazione alle loro concrete caratteristiche (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.06.2010 n. 2646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria e non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica.
Il termine di 30 giorni previsto dall'art. 23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001, entro il quale l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio avverso l'intervento presentato con d.i.a., deve considerarsi di carattere perentorio, con la conseguenza che, una volta scaduto detto termine, potranno pertanto essere emanati solo provvedimenti di autotutela e sanzionatori.

La giurisprudenza amministrativa ha precisato che la denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria e non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica (TAR Campania, Napoli, Sez. II, 27.06.2005 n. 8707).
Il termine di 30 giorni previsto dall'art. 23, sesto comma, del D.P.R. n. 380 del 2001, entro il quale l’amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio avverso l'intervento presentato con d.i.a., deve considerarsi di carattere perentorio, con la conseguenza che, una volta scaduto detto termine, potranno pertanto essere emanati solo provvedimenti di autotutela e sanzionatori (TAR Campania Napoli, Sez. III, 17.04.2008 n. 2300)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 15.06.2010 n. 14339 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività edilizia – Natura giuridica della dia – autorizzazione implicita di natura provvedimentale – tutela dei terzi – modalità. 
Secondo il recente orientamento del Consiglio di Stato, dal quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di D.I.A., il cui possesso è essenziale, non potendosi da esso prescindere, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della D.I.A., o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di D.I.A..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di D.I.A. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità, o meno, dell'intervento edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 05.04.2007 n. 1550; TAR Sicilia, Catania, II, 15.07.2009, n. 1328) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 14.06.2010 n. 2544 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di diffida a non eseguire i lavori oggetto di dichiarazione di inizio di attività non occorre la preventiva comunicazione degli elementi ostativi ex art. 10-bis L. 241/1990.
La comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda prevista dall'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241, introdotto dalla l. 11.02.2005 n. 15, non è necessaria nel caso di diffida a non eseguire i lavori oggetto di dichiarazione di inizio di attività (Consiglio Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 26.11.2008, n. 5651) (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 28.05.2010 n. 1391 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In generale il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori… deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa.
L’art. 19 l. 241/1990, nel prevedere in termini generali l’istituto della denunzia di inizio attività, afferma com’è noto che “l'attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata decorsi trenta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione all'amministrazione competente” e che la stessa “in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, o, nei casi di cui all’ultimo periodo del medesimo comma 2, nel termine di trenta giorni dalla data della presentazione della dichiarazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti”, salva la possibilità, decorso il termine suddetto, di agire in autotutela.
In proposito, è ben noto al Collegio l’orientamento, espresso per tutte da C.d.S. sez. IV 25.11.2008 n. 5811, e invocato dalla ricorrente, per cui in generale “il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori… deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa”.
Tale orientamento, però, presuppone secondo logica che l’attività sulla quale si va ad intervenire sia effettivamente quella oggetto della d.i.a., ritenuta illegittima, appunto, per mancanza di un qualche presupposto; viceversa, nessun affidamento potrebbe sussistere allorquando si intervenga su una attività diversa e difforme da quella oggetto della d.i.a. stessa, che in nessun modo si potrebbe ritenere legittimata da essa (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 14.05.2010 n. 1767 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASe prima dello scadere dei 30 gg. dalla data di presentazione della DIA ovvero se prima dell'intervenuta efficacia della DIA presentata  il Comune adegua gli oo.uu. vigenti, la DIA presentata sconta l'intervenuto aumento degli stessi.
La questione centrale, sulla quale si fondano le ragioni della decisione, va individuata nel momento dal quale possono essere applicate le nuove tariffe degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, stabilite dalla delibera n. 73 del 21.12.2007 del Comune di Milano, in relazione alla presentazione da parte della società appellante, in data 21.12.2007 allo sportello unico per l’edilizia, di una dichiarazione di inizio di attività per l’esecuzione di opere di completamento di un immobile, di sua proprietà, sito in Via dei Missaglia 89.
La scansione temporale dei fatti può essere sinteticamente riassunta.
La delibera consiliare di approvazione delle nuove tariffe è stata adottata nella seduta del 21.12.2007 ed è divenuta esecutiva in data 08.01.2008. La DIA della società ricorrente è stata presentata, completa di tutti gli allegati e dei conteggi degli oneri, in data 21.12.2007, e quindi il suo iter formativo si è concluso allo scadere del termine di 30 giorni di cui al comma 1 dell’art. 23 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380 ossia dopo l’intervenuta efficacia della delibera comunale.
Di fronte a detta situazione, il Comune ha ritenuto di poter applicare le nuove tariffe a “tutte le denuncie di inizio attività che acquistano efficacia dopo l’entrata in vigore della citata deliberazione e quindi presentate dopo l’08.12.2007” e pertanto anche alla DIA presentata dalla società appellante. Al contrario, la Blue Milano s.r.l. ritiene che il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione vada fatto in relazione alla situazione di diritto esistente al momento della presentazione della dichiarazione, in forza del combinato disposto degli artt. 42, 44 e 48 della Legge regionale Lombardia 11.03.2005 n. 12 “Legge per il governo del territorio”.
In merito a quest’ultima affermazione, la Sezione ritiene corretta la ricostruzione operata dal TAR che ha evidenziato l’irrilevanza delle disposizioni regionali.
Infatti, l’art. 42, commi 2 e 3, in tema di denuncia di inizio attività, stabilisce che “Nel caso in cui siano dovuti oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, il relativo calcolo è allegato alla denuncia di inizio attività e il pagamento è effettuato con le modalità previste dalla vigente normativa, fatta comunque salva la possibilità per il comune di richiedere le eventuali integrazioni. La quota relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune entro trenta giorni successivi alla presentazione della denuncia di inizio attività, fatta salva la facoltà di rateizzazione”.
Si tratta di una disposizione che riguarda le modalità di adempimento, e non il perfezionamento della denuncia di attività. Infatti, se la norma dovesse essere letta come attributiva di efficacia alla DIA in raccordo al suo momento di presentazione, si assisterebbe alla singolare circostanza che il pagamento sarebbe dovuto anche se, nel corso del termine di 30 giorni, l’amministrazione dovesse intervenire con l’ordine motivato di blocco dei lavori.
L’art. 44, comma 12, in materia di oneri di urbanizzazione, in merito agli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d'uso su edifici esistenti, prevede che “per quanto attiene all'incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, il contributo dovuto è commisurato alla eventuale maggior somma determinata in relazione alla nuova destinazione rispetto a quella che sarebbe dovuta per la destinazione precedente e alla quota dovuta per le opere relative ad edifici esistenti, determinata con le modalità di cui ai commi 8 e 9”, e dispone al comma 13 che “L'ammontare dell'eventuale maggior somma va sempre riferito ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività.”
Si tratta di un caso molto particolare, non valido nella situazione in scrutinio, e che non appare irragionevole differenziare dal regime ordinario di DIA, atteso che il mutamento di destinazione d’uso è ex lege oggetto di disciplina regionale.
Infine, l’art. 48, comma 7, sul costo di costruzione, afferma che “La quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre 60 giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori”.
Anche in relazione a tale ultima disposizione, valgono le considerazioni sopra espresse sulle conseguenze irragionevoli che deriverebbero dalla ricostruzione proposta dall’appellante.
Nessuna delle disposizioni indicate è quindi destinata ad incidere sulla vicenda in scrutinio, che deve quindi essere esaminata solo in rapporto alla disciplina generale, fondata sul testo unico dell’edilizia.
Proprio in ragione di tale evenienza, occorre evidenziare che, in disparte l’annosa questione sulla ricostruzione dell’istituto, in termini pubblicistici, come è l’orientamento di questa Sezione, o in termini privatistici, dove si fa risaltare l’azione del cittadino, il testo normativo (art. 23, comma 1, del testo unico sull’edilizia) permette la realizzazione delle opere solo allo spirare del termine di 30 giorni.
Poiché i contributi urbanistici sono collegati alla realizzazione delle opere, deve convenirsi con la ricostruzione del giudice di primo grado che vede un nesso tra l’intervenuta efficacia, data dalla possibilità effettiva di realizzare l’intervento, e l’applicazione della disciplina del calcolo dei costi, che non può che avvenire in quel momento, in rispetto di un’ordinaria logica di corrispettività.
Ciò comporta che fino al momento dell’attribuzione di efficacia, secondo ed ultimo momento della realizzazione della fattispecie precettiva, la vicenda non è ancora conclusa ed è quindi ancora possibile, ed anzi doveroso, dare risalto agli eventi esterni sopravvenuti, quale è il mutamento dei parametri di calcolo, come qui esaminato, ma come anche potrebbe essere il sopraggiungere di una nuova disciplina urbanistica.
Deve quindi ritenersi corretta l’interpretazione adottata dal Comune di Milano nell’atto principalmente gravato, del quale va quindi confermata la legittimità (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.05.2010 n. 2922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAConsiglio di Stato: d.i.a., e' atto privato.
Nuovo giro, nuova corsa. Contraddicendo varie sentenze precedenti il Consiglio di Stato afferma che la d.ia. costituisce atto privato, non impugnabile. E' invece impugnabile il silenzio dell p.a. sull'istanza del privato volta a rimuoverne gli effetti.
Cosa accadrà con la scia?

E' prioritario stabilire se sia ammissibile l’impugnativa diretta di una d.i.a. edilizia.
Sul punto il collegio non intende discostarsi dalle conclusioni cui è giunta la giurisprudenza di questo Consiglio che reputa inammissibile una domanda di annullamento di un atto che ha natura oggettivamente e soggettivamente privata (cfr. Cons. St., sez. IV, 12.03.2009, n. 1474; 19.09.2008, n. 4513, cui si rinvia a mente dell’art. 9, l. n. 205 del 2000).
Deve pertanto essere confermata la statuizione del primo giudice in ordine all’inammissibilità del ricorso nrg. 4586/2004 e dei connessi motivi aggiunti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.05.2010 n. 2919 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: BENI CULTURALI ED AMBIENTALI - Area vincolata - Esecuzione di opere soggette a denuncia di inizio attività (d.i.a.) - Disciplina della DIA - Artt. 22, co. 6, e 23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001 - Rilascio del nulla-osta dall’autorità preposta alla tutela del vincolo - Necessità.
Nelle ipotesi di interventi da effettuare su immobili siti in zone sottoposte a vincolo, la disciplina della DIA è ricavabile dal combinato disposto degli artt. 22, co. 6, e 23, commi 3 e 4 del d.P.R. 380/2001.
La prima norma consente la presentazione della denuncia anche con riferimento a tale tipologia di immobili, purché la realizzazione delle opere sia, comunque, preceduta dal rilascio, secondo lo schema delineato dal successivo articolo, del relativo atto di assenso, ovvero, del parere favorevole dell'Amministrazione comunale.
Pertanto, per gli interventi edilizi su manufatti in zona vincolata la denuncia di inizio attività costituisce titolo abilitativo solo se sia già stato rilasciato il nulla-osta dall'autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo (Cass. 20/03/2002, n. 246) (conferma ordinanza del Tribunale di Latina del 17/12/2009) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.05.2010 n. 17973 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Recupero sottotetti in deroga allo strumento urbanistico - Normativa applicabile - L.R. n. 12/2005 - Lavori non assentibili.
In caso di denunzia di inizio attività relativa a lavori di recupero sottotetti trovano applicazione le prescrizione degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente sopravvenute, vigenti al momento della scadenza del termine di trenta giorni dalla sua presentazione, non applicandosi di conseguenza nella specie la L.R. n. 15/1996, che consentiva il recupero dei sottotetti anche in deroga allo strumento urbanistico, ma la L.R. n. 12/2005 che, anche nella versione antecedente alle innovazioni della L.R. n. 20/2005, non ha previsto la possibilità di eseguire trasformazioni dei sottotetti in deroga ad indici e parametri stabiliti dagli strumenti urbanistici comunali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.05.2010 n. 1242 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A prescindere dalla ricostruzione dottrinaria alla quale si aderisca, la D.i.a. va impugnata comunque nel termine decadenziale.
Il caso commentato dimostra come la tutela nei confronti della DIA prescinda dalla scelta dottrinaria in ordine alla sua natura. In effetti sia che si voglia ricondurre la denuncia nell'alveo degli atti privati, sia che le si voglia attribuire il valore di provvedimento (di implicito provvedimento), quando si voglia evidenziare l'irregolarità della medesima non si può prescindere dal ricorso alla via giudiziaria in tempi utili. Anche un ricorso avverso una DIA deve essere pertanto presentato nel termine decadenziale di 60 giorni dall'avvenuta conoscenza della DIA come stabilito dall'art. 21 della legge TAR.
Secondo i giudici di Palazzo Spada quand'anche si volesse attribuire alla DIA il valore di atto privato, l'azione volta all'accertamento della insussistenza dei suoi requisiti sarebbe comunque assoggettata al termine decadenziale. Se poi, come è accaduto nel caso oggetto della sentenza, il privato abbia impugnato la nota dell'amministrazione con la quale la medesima, negando la necessità del ricorso all'autotutela, confermava la validità della DIA, di certo, la tardività dell'impugnazione sarebbe manifesta.
A fronte di un’istanza di un privato intesa a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in modo espresso; dal che non può non discendere anche che, qualora l’istanza sia riscontrata con un atto nel quale l’Amministrazione si limita a escludere l’avvio di un procedimento di autotutela, tale atto non è autonomamente impugnabile, risolvendosi in una mera conferma della legittimità del precedente operato della stessa Amministrazione, ormai definitivo e inoppugnabile (al contrario, in caso di effettivo esercizio dei poteri di autotutela, gli atti eventualmente posti in essere –di annullamento, revoca o quant’altro– potranno naturalmente essere impugnati dagli interessati, costituendo rinnovata esplicazione del potere pubblico).
In definitiva, la persona interessata che abbia avuto conoscenza dell'esistenza della DIA, legittimamente può far valere i propri diritti seguendo strade alternative a quella della proposizione di un ricorso giurisdizionale (esercizio di azioni in sede civile, sollecitazione di interventi in autotutela alla stessa Amministrazione comunale), ciò però, a causa del decorso del tempo, le preclude la possibilità di poter in seguito esperire tale rimedio (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa, deve restare anch’essa soggetta al termine decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a..
Il primo giudice ha aderito alla tesi secondo cui la d.i.a. costituisce un atto di natura privata, recentemente sostenuta –come noto- dalla Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato (dec. nr. 917 del 09.02.2009); permangono però a tutt’oggi pronunce nelle quali la d.i.a. viene qualificata come provvedimento implicito, impugnabile secondo gli ordinari criteri (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 13.01.2010, nr. 72).
Anche a voler effettivamente aderire alla tesi “privatistica”, appare corretto concludere –come ritenuto dal giudice di primo grado– che l’azione di accertamento di insussistenza dei presupposti per la d.i.a., costituente in tale ipotesi il rimedio a disposizione del terzo che si ritenga leso dall’intervento posto in essere in esecuzione di essa, debba restare anch’essa soggetta al termine decadenziale di 60 giorni ex art. 21 della legge 06.12.1971, nr. 1034, decorrente dalla conoscenza della d.i.a. (in tale senso, la citata decisione nr. 917 del 2009).
Laddove, al contrario, si propenda per la natura provvedimentale della d.i.a., a fortiori essa dovrà essere impugnata nel medesimo termine a partire dal perfezionarsi del titolo abilitativo implicito, alla scadenza del trentesimo giorno dalla presentazione della dichiarazione (ovvero, come ordinariamente accadrà, dal momento della conoscenza che il terzo abbia avuto di tale titolo).
Devono considerarsi validi anche in tale settore (in materia di d.i.a.) i consolidati principi giurisprudenziali per cui, a fronte di un’istanza di un privato intesa a sollecitare l’esercizio di poteri di autotutela, l’Amministrazione non ha alcun obbligo di rispondere in modo espresso; dal che non può non discendere anche che, qualora l’istanza sia riscontrata con un atto nel quale l’Amministrazione si limita a escludere l’avvio di un procedimento di autotutela, tale atto non è autonomamente impugnabile, risolvendosi in una mera conferma della legittimità del precedente operato della stessa Amministrazione, ormai definitivo e inoppugnabile (al contrario, in caso di effettivo esercizio dei poteri di autotutela, gli atti eventualmente posti in essere –di annullamento, revoca o quant’altro– potranno naturalmente essere impugnati dagli interessati, costituendo rinnovata esplicazione del potere pubblico)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.05.2010 n. 2558 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Quesito 6 - Quanto all'irrogazione di sanzione pecuniaria per la riscontrata realizzazione di opere edili senza la preventiva denuncia di inizio attività  (Geometra Orobico n. 2/2010).

EDILIZIA PRIVATA: Interventi soggetti a D.I.A. - Art. 23 T.U.ED. - Amministrazione procedente - Condizioni ostative ulteriori rispetto alle previsioni normative - Illegittimità.
Poiché l’art. 23 del testo unico edilizia richiede che gli interventi soggetti a D.I.A., ai fini della loro ammissibilità, siano unicamente conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi, alle norme di sicurezza ed a quelle di carattere igienico-sanitario, si deve ritenere che fuori da tali ipotesi la PA procedente non possa prospettare condizioni ostative alla realizzazione dell’intervento ulteriori o afferenti ad interessi non rientranti tra quelli eminentemente ascritti alla sua sfera di competenza (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1064 - link a www.
ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dichiarazione inizio attività - Termine di impugnazione - Azione di accertamento - Impugnazione diretta - Oscillazione giurisprudenziale - Errore scusabile - Rimessione in termini - Sussiste.
In ragione dell'oscillazione giurisprudenziale in merito alle modalità di impugnazione di una D.I.A., ovvero nel considerarla o un atto privato in relazione al quale al terzo è riconosciuta solo un'azione di accertamento dell'insussistenza dei presupposti per la presentazione o, al contrario, un provvedimento amministrativo tacito passibile di impugnazione diretta per l'annullamento da parte del terzo, sussistono i presupposti per il riconoscimento dell'errore scusabile in capo ai ricorrenti in merito al termine per la presentazione del ricorso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.04.2010 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. - Potere dell'amministrazione di inibire l'esecuzione dei lavori - Termine di 30 giorni - Decorrenza - Intervento inibitorio e autotutela - Differenze.
Oltre il termine di 30 gg. di cui all'art. 42, co. 9, l.r. 12/2005, il potere dell'amministrazione comunale di inibire l'esecuzione dei lavori oggetto di d.i.a. deve ritenersi consumato, salvo l'esercizio dei poteri di revoca ed annullamento in autotutela.
Ciò non significa che il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia attribuito all'autorità comunale dall'art. 27, co. 1, del d.p.r 380/2001 sia limitato da tale previsione; si tratta, infatti, di un potere generale attribuito all'autorità amministrativa per tutti i tipi di interventi edilizi che avvengono sul territorio di competenza, ma tale potere -decorsi i 30 gg.- non deve svolgersi più nelle forme dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990, come modificata dalla l. 15/2005.
Lo schema dei poteri spettanti all'autorità comunale a seguito della presentazione della d.i.a. presenta, infatti, una bipartizione di regime: nei primi 30 gg. decorrenti dalla data di presentazione della denuncia il Comune può intervenire con il potere inibitorio dell'attività edilizia che impedisce il perfezionarsi della fattispecie della d.ia.; decorso tale termine, invece, tale potere può svolgersi soltanto nelle forme del provvedimento di autotutela, e quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.04.2010 n. 1585 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Recupero abitativo sottotetto - Successione di norme - Norme applicabili - Scadenza del termine di presentazione.
2. D.I.A. - Recupero abitativo sottotetto - Diffida dall'iniziare le opere - Conformarsi a legge sopravvenuta - L.R. Lombardia n. 12/2005 - Difetto di motivazione - Sussiste.

1. In caso di denuncia di inizio attività trovano applicazione le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente sopravvenute vigenti al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla sua presentazione, in quanto l'art. 39, c. 5-bis, e l'art. 40, c. 4-bis, D.P.R. n. 380/2001, dispongono, nel disciplinare la potestà regionale di annullamento del permesso di costruire e, rispettivamente, i poteri sostitutivi della regione in tema di sospensione o demolizione di interventi abusivi, di sanzionare gli interventi edilizi realizzati su D.I.A. in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività.
2. Il generico rilievo, mosso con la diffida dall'iniziare le opere, secondo cui la D.I.A. deve conformarsi alla sopravvenuta legge regionale n. 12 del 2005 non consente in alcun modo di comprendere sotto quale profilo il progetto presentato con la D.I.A. si ponga, ad avviso del Comune, in contrasto con la normativa sopravvenuta, risultando conseguentemente la diffida impugnata illegittima per difetto di motivazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.04.2010 n. 1103 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia Inizio Attività - Preavviso di diniego - Art. 10-bis L. n. 241/1990 - Clausola di salvezza - Inapplicabile.
La presentazione di una D.I.A. non dà avvio ad un procedimento ad istanza di parte pertanto l'onere del preavviso di diniego dell'art. 10-bis L. n. 241/1990 è inapplicabile e, inoltre, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'Amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.04.2010 n. 1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa d.i.a. non ha natura provvedimentale, trattandosi al contrario di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al TAR.
Ll sentenza che accerta l’inesistenza dei presupposti della d.i.a. ha effetti conformativi nei confronti dell’Amministrazione, in quanto le impone di porre rimedio alla situazione nel frattempo venutasi a creare sulla base della d.i.a., segnatamente di ordinare l’interruzione dell’attività e l’eventuale riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.

Il Collegio ritiene di confermare l’orientamento (già espresso da questa Sezione con la decisione n. 717/2009), secondo cui la d.i.a. non ha natura provvedimentale, trattandosi al contrario di un atto del privato, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al T.a.r..
L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della d.i.a. non è, quindi, l’azione di annullamento, ma l’azione di accertamento dell’inesistenza dei presupposti della d.i.a.. Tale azione (che sebbene non espressamente prevista trova il suo fondamento nel principio dell’effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost.) va proposta nei confronti del soggetto pubblico che ha il compito di vigilare sulla d.i.a. (verso il quale si produrranno poi gli effetti conformativi derivanti dall’eventuale sentenza di accoglimento), in contraddittorio con il denunciante, che assume la veste di soggetto controinteressato (perché l’eventuale accoglimento della domanda di accertamento andrebbe ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica).
E’ appena il caso di precisare che la sentenza che accerta l’inesistenza dei presupposti della d.i.a. ha effetti conformativi nei confronti dell’Amministrazione, in quanto le impone di porre rimedio alla situazione nel frattempo venutasi a creare sulla base della d.i.a., segnatamente di ordinare l’interruzione dell’attività e l’eventuale riduzione in pristino di quanto nel frattempo realizzato.
Tale potere, in quanto volto a dare esecuzione al comando implicitamente contenuto nella sentenza di accertamento, deve essere esercitato a prescindere sia dalla scadenza del termine perentorio previsto dall’art. 19 l. n. 241/1990 per l’adozione dei provvedimenti inibitori-repressivi, sia dalla sussistenza dei presupposti dell’autotutela decisoria richiamati sempre dall’art. 19.
Non si tratta, infatti, né di un potere di autotutela propriamente inteso (e, quindi, non richiede alcuna valutazione sull’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto prevalente sull’interesse del privato), né del potere inibitorio tipizzato dall’art. 19 l. n. 241/1990 (per il quale è previsto il termine perentorio).
Si tratta, al contrario, di un potere che ha diversa natura e che trova il suo fondamento nell’effetto conformativo del giudicato amministrativo, da cui discende, appunto, il dovere per l’Amministrazione di determinarsi tenendo conto delle prescrizioni impartite dal giudice nella motivazione della sentenza (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.04.2010 n. 2139 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Inibizione dell'esecuzione - Annullamento del provvedimento inibitorio - Conseguenze - Perfezionamento titolo - Non sussiste - Decorrenza nuovo termine di verifica per la P.A. - Sussiste.
L'annullamento giurisdizionale di decisione negativa in sede di controllo (nel caso di specie, provvedimenti inibitori dell'attività costruttiva oggetto di DIA) comporta necessariamente il riesercizio del relativo potere da parte della P.A. controllante, salvo quando l'annullamento si sia basato sulla tardività della decisione di controllo, entro un nuovo termine decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della sentenza (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 194/1994) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1092 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Moro, La controversa natura giuridica della D.I.A. (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATALa dichiarazione d’inizio attività non ha natura provvedimentale, trattandosi di un atto privato, e non è, pertanto, ad essa pertinente un’azione di annullamento, potendo la stessa semplicemente costituire presupposto per l’attivazione dei poteri inbitori della amministrazione, eventualmente stimolati da altri soggetti privati che si ritengano lesi dall’opera denunciata; né può attribuirsi carattere provvedimentale, onde ammettere che essa possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta dall’amministrazione a seguito del ricevimento della D.I.A., che rileva quale puro fatto.
Il Collegio condivide al riguardo l’indirizzo, ormai prevalente, secondo il quale (v., recentemente, Cons. Stato, Sez IV, 13.05.2010, n. 2139 e id, Sez. VI, 15.04.2010, n. 2139, cui si rinvia, a mente dell’art. 88, comma 2, lett. d, c.p.a.) la dichiarazione d’inizio attività non ha natura provvedimentale, trattandosi di un atto privato, e non è, pertanto, ad essa pertinente un’azione di annullamento, potendo la stessa semplicemente costituire presupposto per l’attivazione dei poteri inbitori della amministrazione, eventualmente stimolati da altri soggetti privati che si ritengano lesi dall’opera denunciata; né può attribuirsi carattere provvedimentale, onde ammettere che essa possa formare oggetto di ricorso giurisdizionale, alla mera inerzia mantenuta dall’amministrazione a seguito del ricevimento della D.I.A., che rileva quale puro fatto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19.09.2008, n. 4513) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 08.04.2010 n. 656 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine di trenta giorni - Prescrizioni di strumenti urbanistici e innovazioni normative sopravvenute - Applicabilità.
2. Denuncia di inizio attività - Notifica dell'atto inibitorio - Obbligo di osservanza del termine di trenta giorni - Non sussiste.

1. In caso di denuncia di inizio attività trovano applicazione le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le norme legislative e regolamentari eventualmente medio tempore sopravvenute, vigenti al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla sua presentazione (cfr. TAR Milano, sent. n. 587/2006, confermata anche in appello da Cons. di Stato, sent. n. 3758/2007).
2. Il termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., valevole per l'emanazione dell'ordine di non effettuare l'intervento, non vale anche per la notifica (cfr. TAR Milano, sent. nn. 1793/2006 e 586/2006) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.04.2010 n. 972 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACon la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “dichiarazione” di inizio attività in materia urbanistico-edilizia è stata disciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l'esecuzione dell'opera, l'amministrazione, nel caso in cui l'opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi -e cioè rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un'autorizzazione espressa.
Una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento.
Ai fini del tempestivo esercizio del potere inibitorio, in materia di d.i.a., è necessario far riferimento al momento in cui l’atto interdittivo venga partecipato al suo destinatario e cioè il termine è osservato soltanto se prima della sua maturazione (30 gg. dalla data di presentazione della d.i.a. al protocollo comunale) l'atto sia non soltanto adottato, ma anche notificato.

Deve essere condivisa la censura con cui il ricorrente deduce l’intervenuta estinzione del potere inibitorio riservato all’Amministrazione nel caso di interventi edilizi realizzabili con d.i.a..
Al riguardo, è utile osservare che, ai sensi dell'articolo 19, comma 3, della legge 241/1990, come sostituito dall'articolo 3 del d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005, applicabile ratione temporis alla vicenda in esame, “l'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione (...) adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione stessa, in ogni caso non inferiore a 30 giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007, n. 2253) ritiene che con la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “dichiarazione” di inizio attività in materia urbanistico-edilizia sia stata disciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l'esecuzione dell'opera, l'amministrazione, nel caso in cui l'opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi -e cioè rimuovere gli effetti dell'atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo (anche per quanto riguarda i presupposti ed il modus procedendi) a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un'autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (cfr. TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74).
Ai fini del tempestivo esercizio del potere inibitorio è necessario far riferimento al momento in cui l’atto interdittivo venga partecipato al suo destinatario.
Sul punto, vale richiamare il tenore della disposizione normativa di riferimento –art. 23, comma 6, del d.p.r. 380/2001- secondo cui “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento….”.
Ad una piana lettura della richiamata disposizione, appare, invero, dirimente il chiaro tenore del contenuto precettivo della disposizione di riferimento, dal quale si evince la natura recettizia del provvedimento de quo, sicché il dies ad quem è rappresentato dalla sua notifica, nel senso che il termine è osservato soltanto se prima della sua maturazione l'atto sia non soltanto adottato, ma anche notificato (cfr. TAR Campania, Napoli, Sezione II, n. 2093 dell’11.04.2008; idem, 25.06.2005, n. 8707)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 1725 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA Ordine di non effettuare l'intervento notificato dopo 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., ma emanato entro tale termine - Legittimità - Sussiste.
L'ordine di non effettuare l'intervento non è tardivo, se ancorché notificato dopo il decorso di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a, è emanato entro detto termine; il termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a. vale per l'emanazione dell'ordine di non effettuare l'intervento, e non anche per la notifica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.03.2010 n. 839 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Provvedimento inibitorio dei lavori di cui alla D.I.A. - Tardività - Art. 23 D.P.R. n. 380/2001 - Non sussiste.
Non è tardivo il provvedimento di inibizione dei lavori di cui alla D.I.A. presentata dal ricorrente in quanto il rispetto del termine dei trenta giorni di cui all'art. 23, comma 6, D.P.R. n. 380/2001, per l'esercizio dell'attività inibitoria, va verificato con riferimento all'adozione del provvedimento e non all'avvenuta notifica dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.03.2010 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il parere concernente la compatibilità paesaggistica è presupposto per la decorrenza del termine per la D.I.A..
Nel caso di coinvolgimento in via sostitutiva della Soprintendenza, infatti, non operava l’istituto del silenzio assenso ma, semmai, quello del silenzio rifiuto in relazione ad un parere obbligatorio normativamente previsto.
In seguito alla sospensione, da parte del comune in causa, dei lavori per l’installazione di un impianto di telefonia mobile, la società ricorrente ha, pertanto, contestato allo stesso la violazione degli artt. 146 e 159 del D.Lgs. n. 42/2004 e dell’art. 87 del D.Lgs. n. 259/2003.
Il Tribunale amministrativo di Firenze, rilevando la fondatezza del ricorso, ricorda che l’art. 87, comma 9, d.lgs. n. 259/03 applicabile alla fattispecie, prevede che “Le istanze di autorizzazione e le denunce di attività di cui al presente articolo…si intendono accolte qualora, entro novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, fatta eccezione per il dissenso di cui al comma 8, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego…”.
Tale disposizione, facendo espresso richiamo al “dissenso di cui al comma 8” –che prevede il motivato dissenso espresso da un Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico– chiarisce che l’automaticità del silenzio assenso come invocato, anche nelle sue difese, dal Comune non opera qualora sia necessaria la pronuncia di un’Autorità preposta alla tutela dei particolari beni di rilevante importanza sociale individuati dal richiamato comma 8, dovendosi attendere una pronuncia espressa in tal senso.
Si ricorda che già lo stesso Tribunale toscano aveva precisato, in applicazione della normativa precedente al d.lgs. n. 42/2004, che le opere relative all’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, devono essere precedute dal rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 151 T.U. n. 490/1999 (TAR Toscana, Sez. I, 22.12.04, n. 6625).
Tale conclusione è stata avallata anche da successiva giurisprudenza –con cui i giudici fiorentini sono concordi– per la quale il parere dell’autorità competente alla tutela del vincolo paesaggistico si configura come un presupposto di validità della d.i.a., e non quale semplice condizione di efficacia della stessa, come per i titoli edilizi la cui normativa non può essere invocata in applicazione analogica (Cons. Stato, Sez. VI, 21.1.2005, n. 100).
La necessità della preventiva acquisizione di detto parere emerge chiaramente, a contrario, dallo stesso dato normativo rilevabile nell’art. 87, commi 6,7, 8 e 9, d.lgs. n. 259/03 che, nel prevedere espressamente che il parere contrario (c.d. “motivato dissenso”) assunto dall’Amministrazione preposta alla tutela ambientale ovvero della salute ovvero del patrimonio storico-artistico impedisce la formazione del silenzio assenso postula, evidentemente, la necessità che un parere comunque venga espresso (TAR Campania, Na, Sez. VII, 06.04.2006, n. 3454).
Se, dunque, la mancanza del parere concernente la compatibilità paesaggistica o storico-artistica è stato ritenuto legittimo motivo di reiezione della D.I.A. (TAR Sicilia, Pa, Sez. II, 22.2.05, n. 203), tanto più –aggiungono gli stessi giudici- la sua presenza appare necessaria come presupposto per la decorrenza del termine osservato dalla società ricorrente (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - TAR Toscana, Sez. II, sentenza 03.03.2010 n. 589 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: F. Petrillo, L’applicabilità del preavviso di rigetto ex articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 - Con particolare riferimento ai procedimenti destinati a concludersi con le varie tipologie di silenzio ed a quelli avviati con la presentazione della d.i.a. (link a www.filodiritto.com).

EDILIZIA PRIVATANel caso di presentazione di una D.I.A. anche dopo il decorso del termine di 30 giorni l'Amministrazione non perde i suoi poteri di autotutela sia come potere di vigilanza e sanzionatorio, sia come potere di annullamento d'ufficio in tutti i casi di accertamento della mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti al cui possesso l'ordinamento di settore subordina l'espletamento dell'attività medesima.
Anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto dall'art. 23 TU 06.06.2001 n. 380 e decorrente dalla denuncia di inizio attività edilizia per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i suoi poteri di autotutela sia come potere di vigilanza e sanzionatorio, sia come potere di annullamento d'ufficio in tutti i casi di accertamento della mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti al cui possesso l'ordinamento di settore subordina l'espletamento dell'attività medesima (Cons. Stato IV 25.11.2008 n. 5811; V 19.06.2006 n. 3586) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.02.2010 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il rifiuto del destinatario di ricevere il diniego di d.i.a vale a considerare eseguita ex art. 138 c.p.c. la notifica dell'atto, con conseguente decorrenza dei termini per la sua impugnazione.
Anche nel procedimento amministrativo vale il principio generale ex art. 138 c.p.c., secondo il quale in caso di notificazione (o comunicazione) a mani proprie (e cioè direttamente al destinatario), in caso di rifiuto del destinatario di ricevere l'atto, la notificazione si considera valida (Consiglio Stato, sez. IV, 05.10.2004, n. 6490) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.02.2010 n. 383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa DIA è un atto di natura privata e quindi ne esclude la sua diretta impugnazione. Il terzo che vuole quindi contestare la legittimità delle opere realizzate in forza di detto titolo, deve promuovere un’azione, non di annullamento, ma di accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per i lavori oggetti della DIA.
Come noto questa Sezione aderisce all’orientamento secondo cui la DIA è un atto di natura privata e quindi ne esclude la sua diretta impugnazione. Il terzo che vuole quindi contestare la legittimità delle opere realizzate in forza di detto titolo, deve promuovere un’azione, non di annullamento, ma di accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per i lavori oggetti della DIA (da ultimo TAR Lombardia Milano, sez. II, 23.10.2009 n. 4886) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 27.01.2010 n. 191 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA - Edifici - Certificazione energetica - Agrotecnici - Competenza - Non sussiste.
La certificazione energetica prevista in caso di costruzioni di nuovi edifici ovvero di ristrutturazione e trasformazione di edifici esistenti soggetti a DIA deve essere rilasciata da soggetti certificati all'uopo accreditati dalle regioni, in possesso dei relativi requisiti (D.Lgs. n. 192/2005).
Dai requisiti professionali di cui alla l. n. 251/1986 e dalla verifica della disciplina professionale degli agrotecnici è evidente come nel caso degli agrotecnici difetti una puntuale attribuzione di competenza relativa (o quantomeno affine) alla progettazione di edifici ed impianti asserviti agli edifici stessi.
Altresì, le opere di trasformazione e miglioramento fondiario non rientrano nella nozione di "edificio" (sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l'ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come unità immobiliari a sé stanti) di cui all'art. 2, comma 1, d.lgs. 192/2005, rispetto alla quale va rilasciata la certificazione energetica.
Deve aggiungersi che ai fini dell'esercizio della specifica attività professionale, non sussiste l'equiparabilità del diploma di agrotecnico con quello di perito agrario, e che l'equipollenza tra i due titoli di studio, sancita dall'art. 3, l. 27.10.1969, n. 754 si riferisce ad una preparazione culturale ed applicativa analoga nel senso che tra i due corsi di studio sono riconoscibili punti di contatto tali da giustificare l'equiparabilità delle conoscenze tecnico-professionali acquisite non ad ogni fine di legge ma specificatamente ai fini di pubblici concorsi e l'accesso ai corsi universitari, al cui esito la distinzione della provenienza dalle scuole di secondo grado è assolutamente superata dal conseguimento del diploma di laurea (TAR Lazio, sez. II, 26.09.1995 n. 1450) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 25.01.2010 n. 141 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Abuso edilizio - D.I.A. - decorrenza del termine - potere sanzionatorio - sussiste - Demolizione - obbligo comunicazione preventiva - non sussiste.
Trascorso il termine fissato dall'art. 23, sesto comma, del DPR 06.06.2001 n. 380 l'A.C. conserva comunque il potere di vigilare e sanzionare, previa verifica di sussistenza di contrasti con le norme urbanistiche in essere, sino a giungere alla adozione anche di provvedimenti demolitori (cfr. ex multis CdS Sez IV, 25.11.2008 n. 5811).
In situazione di totale non conformità alle norme urbanistiche in essere, si concretizza un materiale abuso edilizio che dura nel tempo finché non viene eliminato o di fatto o giuridicamente e che perciò non può essere reso legittimo dal solo consolidarsi, per il decorrere del tempo, di una DIA (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 22.01.2010 n. 213 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Provvedimento comunale di inibitoria - Termine - Perentorietà - Sussistenza
2. D.I.A. - Decorso del termine -Provvedimento comunale di inibitoria - Possibilità - Modalità.

1. Il termine previsto dalla legge per l'esercizio del potere inibitorio è da considerarsi perentorio in quanto finalizzato a dare certezza ai rapporti giuridici tra privati e pubblica amministrazione e posto, quindi, a tutela sia dell'interesse pubblico che degli interessi dei privati.
2. Allo scadere del termine ex art. 23 D.P.R. 380/2001, si consolida in capo all'istante una legittimazione ex lege all'esercizio dell'attività edilizia, pertanto la P.A., per contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l'esercizio dell'attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio: prima deve intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine senza che la stessa P.A. abbia esercitato il potere inibitorio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2010 n. 135 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Tutela del terzo - Azione di accertamento insussistenza presupposti D.I.A.- Sussiste.
2. D.I.A. - Tutela del terzo - Azione di accertamento insussistenza presupposti D.I.A.- Termine- Sessanta giorni - Ratio.
3. Ricorso giurisdizionale - Tardività - Errore scusabile - Sussistenza - Fattispecie.
1. Il terzo che intenda contestare un intervento edilizio in via di esecuzione in forza di denuncia di inizio attività può esperire un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla d.i.a. (Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917).
2. L'azione di accertamento è da ritenersi sottoposta al generale termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento, pena una illogica diversificazione degli strumenti di tutela di cui dispongono i terzi, a seconda che siano lesi da un permesso di costruire o da una denuncia di inizio attività.
3. Sussistono i presupposti per il riconoscimento dell'errore scusabile, con conseguente rimessione in termini, in capo al ricorrente che al fine di contestare la costruzione realizzata dal controinteressato in forza di DIA abbia dapprima rivolto all'amministrazione formale istanza per l'esercizio della potestà repressiva attribuitale dalla legge (artt. 27 ss., d.P.R. n. 380 del 2001) e poi agito ai sensi dell'art. 21-bis, l. n. 1034 del 1971 avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza (ovvero impugnando con il ricorso ordinario il diniego esplicito di intervento da parte del comune considerazione delle continue oscillazioni giurisprudenziali in ordine agli strumenti ed alle modalità con cui il soggetto che si ritenga danneggiato dall'attività costruttiva esercitata in forza di una dichiarazione di inizio attività possa contestare la d.i.a. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tenendo ferma la natura di atto privato della dichiarazione di inizio attività, è riconosciuta l’esperibilità di un’azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l’attività in base alla d.i.a., sottoposta al generale termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento.
Questa Sezione si è recentemente discostata dall’orientamento precedentemente seguito che sosteneva l’inammissibilità dell’impugnazione della d.i.a., in quanto atto privato, e che la tutela del terzo si realizzasse rivolgendo all'amministrazione formale istanza per l'esercizio della potestà repressiva attribuitale dalla legge (artt. 27 ss., d.P.R. n. 380 del 2001) ed agendo ai sensi dell'art. 21-bis, l. n. 1034 del 1971 avverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza (ovvero impugnando con il ricorso ordinario il diniego esplicito di intervento da parte del comune) (TAR Lombardia-Milano, sez. II, 10.05.2007, n. 2894).
Con la sentenza n. 4886/2009, questa Sezione ha, difatti, aderito alla tesi che, tenendo ferma la natura di atto privato della dichiarazione di inizio attività, riconosce l’esperibilità di un’azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l’attività in base alla d.i.a., sottoposta al generale termine di decadenza di sessanta giorni previsto per l'azione di annullamento (Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2010 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Impugnativa diretta - Inammissibilità.
2. Opere abusive - Ordinanza di demolizione - Comunicazione di avvio del procedimento - Necessità - Non sussiste.
3. D.I.A. - Errata rappresentazione stato di fatto - Illegittimità - Non sussiste - Fattispecie.

1. E' inammissibile l'impugnativa diretta della DIA presentata dal controinteressato, dal momento che la tutela del terzo che si oppone all'intervento attuato tramite la D.I.A. è garantita rivolgendo all'Amministrazione formale istanza per l'esercizio della potestà repressiva attribuitale dalla legge (artt. 27 e segg. del d.P.R. n. 380/2001) ed agendo poi, ai sensi dell'art. 21-bis della l. n. 1034/1971, avverso il cd. silenzio rifiuto formatosi sull'istanza (ovvero, impugnando con il ricorso ordinario il diniego esplicito di intervento da parte della P.A.).
2. Non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento nel caso di ordine di demolizione di opere abusive, in quanto trattasi di provvedimento alla cui adozione l'Amministrazione comunale è vincolata per legge, a seguito dell'accertata abusività delle opere, tale principio deve estendersi anche agli atti di ritiro dei provvedimenti inibitori edilizi quando l'amministrazione accerti che tale violazione non sussiste.
3. L'errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di permesso a costruire o nella dichiarazione di inizio di attività e nella documentazione asseverata dal tecnico, è causa di illegittimità degli atti dell'amministrazione quando abbia influito sulla determinazione dell'amministrazione in modo tale da condurla a rilasciare un atto autorizzativo che altrimenti non avrebbe rilasciato od a tenere un comportamento di non opposizione nei confronti dell'esecuzione del progetto presentato ed asseverato dai tecnici abilitati, che altrimenti avrebbe inibito (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.01.2010 n. 125 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Decorrenza del termine - Potere iniborio - Non è ammesso - Annullamento in autotutela - E' ammesso.
Lo schema dei poteri spettanti all'autorità comunale a seguito della presentazione della d.i.a. presenta, infatti, una bipartizione di regime: nei primi 30 gg. decorrenti dalla data di presentazione della denuncia il Comune può intervenire con il potere inibitorio dell'attività edilizia che impedisce il perfezionarsi della fattispecie della d.i.a.; decorso tale termine, invece, tale potere può svolgersi soltanto nelle forme del provvedimento di autotutela, e quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.01.2010 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
I terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall'effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al giudice amministrativo per chiedere l'annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l'Amministrazione può impedire gli effetti della d.i.a. (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di d.i.a., è possibile che i terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall’effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al Giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della DIA.
La eccezione relativa alla non immediata impugnabilità della DIA viene a cadere in considerazione dell’accoglimento del primo motivo dell’appello n. 10341/2008 con cui si deduce, appunto, l’erroneità della decisione appellata che ha ritenuto non impugnabile la DIA e che viene qui di seguito esaminato.
E’ noto che sul punto questa Sezione, dopo alcune pronunce di diverso segno, ha assunto un orientamento meditato (con sentenza n. 5811 del 25.11.2008) che qui è condiviso, in ordine alla possibilità che i terzi, che ritengano di essere pregiudicati dall’effettuazione di una attività edilizia assentita in modo implicito, possono agire innanzi al Giudice amministrativo per chiedere l’annullamento del titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine fissato dalla legge entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della DIA (nello stesso senso anche Sez. VI n. 1550 del 05.04.2007 e Sez. V n. 172 del 20.01.2003 mentre a diverse conclusioni è giunta la stessa Sez. VI con decisione n. 717/2009).
Appaiono decisive nel caso qui all’esame, a sostegno della tesi della diretta impugnabilità della DIA, le considerazioni svolte nella sentenza qui richiamata che ha, in particolare, posto in rilievo la previsione espressa nella nuova formulazione dell’articolo 19, terzo comma, della legge n. 241 del 07.08.1990 del potere dell’Amministrazione di annullare in via di autotutela il titolo conseguente alla DIA nonché la possibilità “dell’accertamento della inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo“ con equiparazione di questa ipotesi al permesso annullato (articolo 38, comma 2-bis, del DPR 06.06.2001 n. 380).
Queste norme si giustificano solo con la sostanziale assimilazione del titolo conseguito in esito alla presentazione della DIA ed al decorso del termine di legge (dato all’Amministrazione per verificarne i presupposti) ad un titolo abilitativo esplicito.
Si deve, inoltre, considerare comunque che nel caso qui in esame almeno altre due ragioni sostanziali inducono a ritenere che vi sia una equiparazione piena con il permesso di costruire anche al fine della diretta impugnabilità dell’atto di assenso implicito.
In primo luogo l’articolo 41 della legge regionale n. 12 dell’11.03.2005 equipara in tutto il permesso di costruire alla DIA consentendo al privato di scegliere in via alternativa l’uno o l’altro strumento procedimentale.
E’, quindi, chiaro che se non si vuole ridurre la tutela giurisdizionale del terzo, in forza di un atto di autonomia riferibile alla volontà di un altro soggetto privato, di regola portatore di interessi contrapposti con quelli del terzo, si deve garantire a quest’ultimo anche la diretta impugnabilità della DIA così come accade per il permesso di costruire (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.01.2010 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Incompletezza della D.I.A. - Inibizione dell'esecuzione - Legittimità - Obbligo di soccorso procedimentale del Comune - Non sussiste.
In caso di incompletezza della documentazione non sussiste alcun obbligo in capo all'amministrazione di preventiva richiesta di integrazione documentale: infatti, ex art. 23 comma 6, D.P.R. 380/2001, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza.
È comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.01.2010 n. 14 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - Decorrenza del termine di trenta giorni dalla presentazione ai fini dell'efficacia - Necessità - Innovazioni normative intervenute medio tempore - Sono rilevanti.
2. D.I.A. - Innovazioni regolamentari intervenute medio tempore - Principio della sensibilità della d.i.a. - Sussiste.

1. In materia di sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione della d.i.a. e la sua efficacia (cfr. TAR Milano, sent. n. 2030/2009), la d.i.a., indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnatale -punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sent. n. 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sent. n. 717/2009)- produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Pertanto, le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.
2. Il principio della "sensibilità" della d.i.a. alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 11.01.2010 nn. 12 e 13 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La DIA produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge.
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige, allora, il principio del tempus regit actum per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.

Dagli atti risulta che l’aumento degli oneri di urbanizzazione deliberato dal Comune è entrato in vigore prima che decorressero 30 giorni dalla presentazione della d.i.a..
Il problema delle sopravvenienze normative intercorse tra la presentazione della d.i.a. e la sua efficacia è stato già affrontato da questa Sezione (ex plurimis TAR Lombardia, Milano, sez. II, 27.03.2009 n. 2030), la quale ha chiarito che “la DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata –punto su cui come noto si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. Stato sez IV 5811/2008) e di atto privato (Cons. Stato sez. VI 717/2009)– produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l’Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
Tale posizione è stata ampiamente espressa da questa Sezione nella sentenza richiamata dalla difesa comunale (n. 588/2006), in cui si è affermato il principio secondo cui “le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.” E il principio della “sensibilità” della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l’inizio dell’efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri. Pare quindi corretta la posizione dell’Amministrazione Comunale laddove ritiene che la nuova disciplina introdotta con un atto deliberativo che produce effetti dal 08.01.2008 vada applicato anche alle DIA per le quali non è decorso il termine di 30 giorni
”.
Né in contrario può valere la disciplina regionale secondo la quale il calcolo degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione è allegato alla denuncia di inizio attività (art. 42 commi 2 e 3 L.R. 12/2005), né quella secondo la quale la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all'atto del rilascio, ovvero per effetto della presentazione della denuncia di inizio attività, è corrisposta in corso d'opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune e comunque non oltre 60 giorni dalla data dichiarata di ultimazione dei lavori (art. 48, comma 7, L.R. 12/2005); né, da ultimo, la richiamata normativa secondo la quale gli oneri di urbanizzazione dovuti per gli interventi comportanti modificazioni delle destinazioni d'uso su edifici esistenti sono calcolati con riferimento ai valori stabiliti dal comune alla data del rilascio del permesso di costruire, ovvero di presentazione della denuncia di inizio attività (art. 44 comma 13 L.R. 12/2005).
Tali norme, infatti, hanno carattere di specialità rispetto alla regola generale secondo la quale il momento rilevante ai fini dell’applicazione della regola tempus regit actum è quello della conclusione del procedimento.
Questa interpretazione è confermata anche dall’art. 38, comma 7-bis, della L.R. 12/2005, introdotto dalla L.R. n. 4/2008, il quale stabilisce, per il permesso di costruire, che gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengano determinati alla data di presentazione della richiesta di permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.01.2010 n. 12 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Palliggiano, L’attività edilizia: dal permesso di costruire alla denuncia di inizio di attività. Profili sostanziali e processuali (link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: 1. Comma 3-bis dell'art. 52 della L.R. n. 12/2005 introdotto dall'art. 1, comma 1, lett. m), della L.R. n. 12/2006 - Efficacia retroattiva - Non sussiste.
2. Intervento di manutenzione straordinaria realizzato senza DIA - Acquisizione al patrimonio del Comune - Non sussiste.

1. Il comma 3-bis dell'art. 52 della L.R. n. 12/2005 è stato introdotto con L.R. n. 12/2006 (art. 1, comma 1, lett. m) e non è applicabile, in virtù di quanto previsto dall'art. 11 delle preleggi, prima della sua entrata in vigore.
2. L'assenza di DIA per gli interventi qualificati come manutenzione straordinaria non dà luogo ad acquisizione, da parte del Comune, dell'immobile interessato da tali interventi realizzati senza il suddetto titolo (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.12.2009 n. 6226 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riferimento alla natura giuridica della D.I.A. edilizia, i due diversi rapporti intercorrenti tra denunciante ed Amministrazione, da una parte, e tra denunciante, Amministrazione e terzi dall'altra.
Con riferimento alla natura giuridica della D.I.A., e in particolare di quella inerente all'attività edilizia, sono stati formulati vari orientamenti in dottrina ed in giurisprudenza, che prendono in esame, tra l'altro, i due diversi rapporti intercorrenti tra denunciante ed Amministrazione, da una parte, e tra denunciante, Amministrazione e terzi dall'altra.
La tesi che, quanto a quest’ultimo aspetto, il Collegio fa propria muove dalla constatazione che le controversie concernenti oggetto, procedura ed effetti della D.I.A. sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, secondo il nuovo testo dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, il che dimostra che, anche in sede di semplificazione della procedura finalizzata a dare inizio ad una novella attività edilizia, il Legislatore ha ricalcato la risalente previsione dell’art. 16 della legge 28.01.1977, n. 10. Il Tribunale ritiene che, nell’ipotesi che possa constatarsi che la D.I.A. non trovi alcuna norma urbanistica che l’autorizzi, è sempre possibile un intervento repressivo dell’illecito da parte dell’Amministrazione.
Quanto all’azione proponibile avverso la D.I.A. da parte di terzi, che siano controinteressati all'intervento che si rende operativo dopo il prescritto termine di legge e che deducano che le opere progettate non siano conformi alla normativa urbanistica, la verifica affidata al Giudice amministrativo non può che concernere funditus i suoi presupposti in fatto ed in diritto. Il che postula, quindi, che l’azione promossa dal terzo introduca un giudizio di cognizione, nel quadro di un’attività amministrativa strettamente vincolata, volto ad ottenere l'accertamento dell'assunto illecito edilizio. Tali considerazioni appaiono avvalorate dalla circostanza che attualmente il confine tra permesso di costruire (o concessione edilizia) e denuncia d'inizio attività è stato lasciato dal Legislatore alla libera scelta dell’interessato, per cui sembra ragionevole ritenere che il terzo possa avvalersi di un’identica tutela
(TRGA Trentino Alto Adige, sentenza 17.12.2009 n. 310 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa particolarità della DIA consiste nella sostituzione del privato all’Amministrazione, nella conduzione di un procedimento che condurrà all’abilitazione edilizia, in presenza dei presupposti ed in seguito al decorso del termine. Il ruolo della PA, in tale procedura, è limitato al controllo della sussistenza dei presupposti, al fine dell’eventuale esercizio del potere inibitorio. L’attività amministrativa, quindi, non è destinata a concludersi necessariamente con un provvedimento amministrativo, ma è una mera attività di controllo, che non assume la forma del procedimento amministrativo.
I rapporti tra privati appartengono alla giurisdizione civile, non essendo tenuta l’amministrazione ad effettuare ulteriori indagini quando l’interessato ha depositato al comune la prescritta documentazione da allegare alla DIA. Al giudice amministrativo, nel sindacare l’attività della P.A., compete solamente verificare se il Comune ha legittimamente esercitato i suoi poteri inibitori e sanzionatori controllando la sussistenza dei requisiti per la formazione del provvedimento abilitativo a formazione tacita.

La particolarità della DIA consiste nella sostituzione del privato all’Amministrazione, nella conduzione di un procedimento che condurrà all’abilitazione edilizia, in presenza dei presupposti ed in seguito al decorso del termine. Il ruolo della PA, in tale procedura, è limitato al controllo della sussistenza dei presupposti, al fine dell’eventuale esercizio del potere inibitorio. L’attività amministrativa, quindi, non è destinata a concludersi necessariamente con un provvedimento amministrativo, ma è una mera attività di controllo, che non assume la forma del procedimento amministrativo. Deve essere, pertanto, escluso l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
L’art. 22, comma 3, del DPR n. 380 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 301 del 2002, prevede che, in alternativa al permesso di costruire, possano realizzarsi tramite denuncia di inizio attività “gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c)”; si tratta degli “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso”.
La norma consente, dunque, che, a scelta dell’interessato, siano realizzabili mediante permesso di costruire ovvero previa DIA le ristrutturazioni edilizie che comportino limitati incrementi di volume e di superficie.
Il modesto incremento del volume derivante dall’abbassamento del pavimento consente di ritenere senza alcun dubbio che la ristrutturazione di cui si tratta rientri nell’ambito degli interventi edilizi assentibili mediante DIA.
I rapporti tra privati appartengono alla giurisdizione civile, non essendo tenuta l’amministrazione ad effettuare ulteriori indagini quando l’interessato ha depositato al comune la prescritta documentazione da allegare alla DIA. Giustamente, dunque, la ricorrente ha fatto ricorso al Tribunale civile di Crotone per tutelare la proprietà privata da possibili minacce alla stabilità dell’edificio proponendo azione di nunciazione nella specie di denuncia di nuova opera. Sarebbe, pertanto, inammissibile una duplicazione di tutela proponendo al giudice amministrativo la medesima azione già appartenente alla cognizione del giudice ordinario.
Al giudice amministrativo, nel sindacare l’attività della P.A., compete solamente verificare se il Comune ha legittimamente esercitato i suoi poteri inibitori e sanzionatori controllando la sussistenza dei requisiti per la formazione del provvedimento abilitativo a formazione tacita
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 14.12.2009 n. 1457 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA e permesso di costruire non oneroso.
Una equivalenza o addirittura sovrapponibilità tra DIA e permesso di costruire non oneroso non può affatto ricavarsi dall’art. 22, comma 7, del d.p.r. 06.06.2001, n. 380, il quale prevede che, qualora si tratti di interventi edilizi realizzabili mediante sola denunzia di inizio attività, l’interessato, pur non essendone obbligato, ha comunque la facoltà di chiedere il rilascio del permesso di costruire, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione.
Questa disposizione non stabilisce alcuna equiparazione tra i due diversi titoli abilitativi, ma si limita a prevedere che il soggetto che intenda realizzare interventi che richiedono una semplice DIA ha ugualmente la facoltà di chiedere un permesso di costruire, che in tale caso va rilasciato senza pagamento degli oneri di costruzione, mentre non prevede affatto che per un intervento per il quale sia obbligatorio (e non facoltativo) un permesso di costruire, sia pure senza pagamento degli oneri di costruzione, il permesso di costruire possa essere sostituito ad ogni effetto da una denunzia di inizio attività.
Dalla disposizione di cui al citato art. 22, comma 7, resta semmai confermato che permesso di costruire, oneroso o non oneroso che sia, e denunzia di inizio attività costituiscono titoli abilitativi differenziati tra loro (per condizioni, competenza ed effetti) che non possono considerarsi equivalenti o sovrapponibili (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 11.12.2009 n. 47279 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Termine iniziale efficacia D.I.A. edilizia.
Viene chiesto parere in ordine al termine iniziale (e quindi, di conseguenza, allo scadere di quello finale) di efficacia della d.i.a. edilizia (Regione Piemonte, parere n. 105/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Meneguzzo, Il fascino dell'ambiguo e la natura transprovvedimentale della D.I.A. (link a http://venetoius.myblog.it).

EDILIZIA PRIVATA1. In materia di DIA, la legge n. 80/2005, nel riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha precisato che la P.A. può vietare lo svolgimento dell’attività ed ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine di 30 giorni. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
2. L’ordine di inibizione dei lavori, nell’ipotesi di presentazione della d.i.a., deve indicare le motivazioni per cui i lavori, così come indicati in progetto, non possono essere eseguiti, al fine di consentire all’interessato di presentare un nuovo progetto, conforme alle prescrizioni indicate.
3. Il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA il cui termine è da considerarsi perentorio, con la conseguenza che, oltre detto termine, il potere di riscontro a fini inibitori attribuito alla PA è esaurito e la stessa può provvedere solo con l'esercizio del potere di autotutela e al generale potere di controllo sulle attività di trasformazione edilizia del territorio.
1.
Giova una breve premessa in ordine all’istituto giuridico della d.i.a e ai poteri che all’amministrazione competono nell’ambito del relativo procedimento, ai tempi per il loro esercizio, essendosi al riguardo fronteggiati diversi orientamenti.
Come noto, la denunzia di inizio attività è stata introdotta nel nostro ordinamento, nell’ambito della semplificazione dell’attività amministrativa con la legge. n. 241/1990 che all’art. 19 ha previsto che qualora l’esercizio di un’attività privata sia subordinato ad un atto di consenso, comunque denominato, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei presupposti e requisiti di legge, questo è sostituito da una denuncia di inizio attività da parte dell’interessato.
A seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 35 del 2005, l’interessato prima di dare inizio all’attività oggetto della d.i.a. deve inoltrare all’Amministrazione competente una dichiarazione corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste ed attendere lo scadere del termine di 30 giorni, decorrenti dalla data della presentazione della dichiarazione; l’Amministrazione può richiedere informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità solo qualora non siano attestati in documenti già in possesso della stessa o non siano direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni; allo spirare dell’anzidetto termine di 30 giorni, l’attività oggetto della dichiarazione può essere iniziata ma, contestualmente all’inizio, l’interessato deve darne comunicazione all’Amministrazione competente, la quale ha il potere di adottare “nel termine di 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti”, salvo che ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività e i suoi effetti entro un termine fissato dall’Amministrazione, che non può essere inferiore a 30 giorni; nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o di enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti è sospeso, dandosene comunicazione all’interessato, fino ad un massimo di 30 giorni, scaduti i quali, l’Amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall’acquisizione del parere; è fatto salvo comunque il potere dell’Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. 241/1990; sono comunque fatte salve le vigenti disposizioni di legge che prevedono termini diversi per l’inizio dell’attività e per l’adozione, da parte dell’Amministrazione competente, dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti.
La denuncia di inizio attività in materia edilizia è attualmente disciplinata dagli artt. 22 e 23 T.U. dell’Edilizia – D.P.R. n. 380/2001: l’interessato deve presentare la denuncia almeno 30 giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori ed il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro tale termine sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, “notifica all’interessato l’ordine di non effettuare il previsto intervento”.
A norma dell’art. 23 T.U. la denuncia di inizio attività, presentata allo sportello unico dal proprietario dell’immobile o da chi abbia tiolo per avvalersi del regime della denuncia di inizio attività, deve essere accompagnata dagli opportuni elaborati progettuali e da una dettagliata relazione, a firma di un progettista abilitato -che asseveri la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati o il non contrasto con gli strumenti urbanistici adottati e con i regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle nome di sicurezza e di quelle igienico sanitarie- e dall’indicazione dell’impresa cui si intendono affidare i lavori.
Qualora l’interevento oggetto di denuncia di inizio attività sia sottoposto ad un vincolo la cui tutela compete (anche in via di delega) alla stessa Amministrazione comunale, l’anzidetto termine di 30 giorni decorre dal rilascio del relativo atto di assenso ed in mancanza di siffatto provvedimento favorevole la denuncia è priva di effetti; qualora invece la tutela del vincolo non spetti all’Amministrazione comunale, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente Ufficio del Comune deve convocare una conferenza di servizi e l’anzidetto termine di 30 giorni decorre dall’esito della conferenza. In caso di esito non favorevole la denuncia è priva di effetti.
In merito alla natura giuridica della d.i.a. si sono contrapposti diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo orientamento, la d.i.a. si tradurrebbe direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attività, in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811; Cons. Stato, sez. IV, 29.07.2008, n. 3742; Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550).
Si tratterebbe, quindi, di un istituto del tutto peculiare, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un “titolo”, cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza, che rende lecito l'esercizio dell'attività, (in questi termini, Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811).
Secondo questa impostazione, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Secondo altro orientamento giurisprudenziale (cfr. Consiglio di Stato sez. VI; 04.09.2002 n. 4453; sez. VI, 26.07.2004, n. 5326; sez. IV, 22.07.2005, n. 3916; da ultimo Sezione VI n. 717/2009) la d.i.a., in è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica. L’Amministrazione non rilascia nessun atto di assenso, dovendo solo verificare la sussistenza dei prescritti requisiti affinché l’interessato possa autonomamente intraprendere la preannunciata attività quale espressione del suo diritto legislativamente prefigurato.
Tale orientamento è basato sul fondamentale rilievo che se la d.i.a. fosse davvero un atto destinato ad avviare un procedimento destinato a concludersi con un provvedimento di accoglimento per silentium, tra d.i.a. e silenzio-assenso sarebbe arduo cogliere una sostanziale differenza. Al contrario, la legge n. 241/1990 li contempla in due articoli differenti, il 19 e il 20, così mostrando di voler tenere distinti i due istituti e di attribuire loro una diversa funzione: mentre con la d.i.a. si attua una liberalizzazione dell’attività privata non più soggetta ad autorizzazione, il silenzio assenso non incide in senso abrogativo sul regime autorizzatorio, ma costituisce una mera semplificazione procedimentale, prevedendo una modalità di conseguimento dell’autorizzazione equipollente ad un provvedimento esplicito di accoglimento.
Quanto agli opposti argomenti invocati a sostegno della natura provvedimentale della d.i.a. -fondati soprattutto sulla constatazione che il legislatore fa più volte riferimento all’esercizio di un potere di autotutela (normalmente di annullamento di ufficio) che ha per oggetto proprio la denuncia di inizio di attività, autotutela decisoria che, in quanto attività amministrativa di secondo grado, presupporrebbe l’esistenza di un atto amministrativo- secondo tale secondo orientamento giurisprudenziale non deve essere enfatizzato il riferimento compiuto dal legislatore al potere di autotutela. Ed invero l’art. 19 l. n. 241/1990, che richiama gli artt. 21-quinquies e 21-nonies, e le norme del T.U. edilizia che prevedono l’annullamento d’ufficio della d.i.a., non hanno, in realtà, voluto sancire implicitamente la natura provvedimentale di tale fattispecie.
Richiamando l’autotutela (e, in particolare, l’annullamento d’ufficio), il legislatore, più che prendere posizione sulla natura giuridica dell’istituto, ha voluto solo chiarire che, anche dopo la scadenza del termine perentorio di 30 giorni per l’esercizio del potere inibitorio, la P.A. conserva un potere residuale di autotutela, da intendere, però, come potere sui generis, che si differenzia della consueta autotutela decisoria proprio perché non implica un’attività di secondo grado insistente, su un procedente provvedimento amministrativo.
Il riferimento agli artt. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241/1990, contenuto nella l. n. 241/1990 consente alla P.A. di esercitare un potere che tecnicamente non è di secondo grado, in quanto non interviene su una precedente manifestazione di volontà dell’amministrazione, ma che con l’autotutela decisoria condivide soltanto i presupposti e il procedimento.
In questo senso, deve ritenersi che il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies vada riferito alla possibilità di adottare non già atti di autotutela in senso proprio, ma di esercitare i poteri di inibizione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, nell’osservanza dei presupposti sostanziali e procedimentali previsti dal tali norme (in tal senso Consiglio di Stato, Sezione VI n. 717/2009; in senso analogo Tar Campanaia Napoli, sez. III, 27.01.2006 n. 1131; Tar Campania-Napoli, sez. IV, 22.02.2006, n. 3200).
In tal modo, il legislatore, nel recepire l’orientamento giurisprudenziale che ammetteva la sussistenza in capo alla P.A. di un potere residuale di intervento anche dopo la scadenza dl termine, si preoccupa di tutelare l’affidamento che può essere maturato in capo al privato per effetto del decorso del tempo. Ed invero, la d.i.a., pur essendo un atto che proviene da un privato, è comunque suscettibile, a causa del decorso del tempo e del mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio da parte della P.A., di consolidare, analogamente a quanto potrebbe fare un provvedimento espresso, un affidamento meritevole di protezione.
Pertanto, superando anche i dubbi interpretativi in passato da qualcuno sollevati circa l’esistenza di un residuo potere di intervento da parte della p.a. una volta scaduto il termine perentorio di 30 gg., la legge n. 80/2005, nel riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha precisato che la P.A. può vietare lo svolgimento dell’attività ed ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto tale termine perentorio. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
Quanto alla tutela dei terzi controinteressati, per una parte di tale orientamento giurisprudenziale, non venendo in rilievo un atto tacito di assenso della P.A., la d.i.a non sarebbe direttamente impugnabile dai terzi, i quali potrebbero solo ricorrere all’istituto giuridico del silenzio rifiuto, al fine di sollecitare l’esercizio dei poteri repressivi ad opera della P.A., mentre secondo il più recente e condivisibile orientamento giurisprudenziale, gli stessi potrebbero agire direttamente innanzi al G.A. con un’azione di accertamento (sull’inesistenza dei presupposti per la D.I.A. o sulla violazione della normativa urbanistica od edilizia) da esperirsi peraltro nel termine di decadenza, trattandosi pur sempre di azione di accertamento vertente in materia di interessi legittimi (così da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, n. 717/2009 cit.).
Peraltro tale problematica deve intendersi risolta a seguito della recente modifica apportata all’art. 19, comma 5, della l. 241/1990 dalla l. n. 69 del 2009 in forza della quale “Il relativo ricorso giurisdizionale, esperibile da qualunque interessato nei termini di legge, può riguardare anche gli atti di assenso formati in virtù delle norme sul silenzio assenso previste dall’articolo 20”, per cui al di là delle implicazioni sulla natura giuridica della d.i.a., sottese a tale modifica, deve ritenersi che il legislatore. con detta norma (da intendersi di interpretazione autentica), abbia inteso sicuramente assimilare, in riferimento alla tutela dei terzi, il regime del silenzio assenso e quello della denuncia di inizio attività.
Costante è invece in giurisprudenza l’affermazione circa la perentorietà del termine di 30 giorni per l’esercizio del potere inibitorio, residuando, un volta decorso tale termine, in capo all’Amministrazione i poteri di vigilanza e repressivi, da esercitarsi come detto, in ragione della previsione di cui all’art. 19 l. 241/1990, nel rispetto dei principi propri dell’autotutela.
Il Collegio ritiene che, ai fini del calcolo del dies a quo per l’esercizio dei poteri inibitori, debba prendersi in rilievo il tempo in cui l’ordine inibitorio viene notificato al destinatario e non possa pertanto farsi riferimento alla mera adozione del provvedimento inibitorio come è d’altra parte dato evincere dal chiaro tenore letterale dell’art. 23, comma 6, D.P.R. 380/2001 (cfr. in tal senso Tar Lazio–Roma, sez. II-bis, 08.10.2008 n. 8840, che ha ritenuto tardivo il ricorso al potere inibitorio –anziché al potere di autotutela- qualora la comunicazione dell’ordine di inibizione sia intervenuta oltre i trenta giorni dalla presentazione della d.i.a.).
D’altra parte detta opzione ermeneutica è coerente con la disciplina del Testo Unico che ha unificato il regime della decorrenza degli effetti, portando a 30 giorni il termine entro il quale l’amministrazione è tenuta ad esercitare il proprio potere di controllo preventivo e dal quale decorre per il denunciante la possibilità di iniziare legittimamente i lavori (come evidenziato da Consiglio di Stato, sez. V, 29.01.2004, n. 308), unificazione che verrebbe di fatto vanificata laddove l’Amministrazione possedesse un ulteriore lasso dei tempo per portare il provvedimento inibitorio a conoscenza del destinatario che, decorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della dichiarazione, potrebbe legittimamente iniziare i lavori, facendo affidamento sull’esito positivo della verifica affidata all’Amministrazione nei 30 giorni dalla presentazione dalla d.i.a..
Peraltro, anche a voler ritenere che laddove la P.A. faccia ricorso, al pari dei soggetti privati, alla notifica a mezzo posta o alla notifica a mezzo ufficiale giudiziario, la notifica debba intendersi compiuta, per il notificante con la consegna del documento oggetto di notifica all’ufficiale giudiziario o all’agente postale, in coerenza con la scissione delineatasi nella giurisprudenza della Corte Costituzionale dei termini per la notifica, avuto riguardo alla diversa situazione del notificante e del destinatario –soluzione questa peraltro problematica dal punto di vista della non coincidenza fra il termine della comunicazione dell’ordine inibitorio e quello per l’inizio dei lavori- detta scissione non può essere riscontrata laddove, come nella specie, il Comune si avvalga della notifica a mezzo messo comunale. Infatti in tale ipotesi, solo con l’avvenuta consegna, l’atto da notificare esce dalla sfera di disponibilità dell’Amministrazione comunale, essendo il messo comunale dipendente della medesima Amministrazione.
2. Sia la clausola generale di salvaguardia dei diritti dei terzi sia le disposizioni che disciplinano l'attività di controllo che i Comuni devono apprestare a seguito di presentazione, da parte di un privato, di denuncia d'inizio attività, non precludono all'ente locale di esercitare -sull'attività urbanistica ed edilizia realizzata nell'ambito territoriale comunale- il generale potere di vigilanza di cui è espressione l'art. 4 L. n. 47 del 1985, ora trasfuso nell'art. 27 del D.P.R. n. 380 del 2001.
Sulla base di questa disposizione, il Comune ha il potere di sospendere immediatamente i lavori assentiti qualora accerti la non rispondenza degli stessi alle norme di legge e/o degli strumenti urbanistici e dei regolamenti comunali, nonché alle modalità esecutive fissate nel titolo edilizio.
Tale potere può essere esercitato dal Comune anche a seguito di presentazione di D.I.A., dato che il peculiare regime procedimentale proprio di tale istituto non fa venire meno, o meglio non esime l'ente locale dal più generale dovere di vigilanza ed eventuale repressione sull'attività urbanistico-edilizia svolta all'interno del territorio comunale (v. TAR Campania-NA- sez. IV, 27/03/2006 n. 3200, TAR Lazio-RM- sez. II, 21/07/2005 n. 5810; TAR Sicilia-CT- sez. I, 18/04/2005 n. 672; Tar Emilia Romagna–Parma, sent. n. 612/2007).
Sotto tale profilo nell’ipotesi in cui i lavori interessino una strada interessata da pubblico transito, modificandone l’assetto, la normativa del codice della strada va ad integrare la normativa in materia urbanistico–edilizia.
Del pari infondata è la censura laddove si deduce che alcuna indicazione poteva dare il Comune in ordine alle modifiche da apportare al progetto.
Ed invero l’ordine di inibizione dei lavori, nell’ipotesi di presentazione della d.i.a., deve indicare le motivazioni per cui i lavori, così come indicati in progetto, non possono essere eseguiti, al fine di consentire all’interessato di presentare un nuovo progetto, conforme alle prescrizioni indicate. Ciò d’altra parte è coerente con lo stesso tenore letterale dell’art. 23, comma 6, d.p.r. 380/2001, seconda parte, a mente del quale “è comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia”, dovendo le norme in materia urbanistica considerarsi integrate, come innanzi precisato, qualora si incida sull’assetto stradale, dalla normativa del codice della strada.
Dette considerazioni sono avvalorate dalla circostanza che nell’ambito del procedimento instaurato a seguito della presentazione della d.i.a. non vi è spazio, in considerazione anche della brevità del termine assegnato alla P.A. per l’esercizio del potere di verifica ex art. 23, comma 6, D.P.R. 380/2001, non suscettibile di sospensioni procedimentali se non nell’ipotesi normativamente previste (qualora il bene interessato dai lavori sia soggetto a vincolo), per la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10-bis l. 241/1990, per cui lo stesso ordine inibitorio si pone come sostitutivo della comunicazione dei motivi di diniego (cfr. in tal senso Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4828 del 2007).
3. Sulla base dell'orientamento conforme della giurisprudenza in materia edilizia, il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA, ai sensi della predetta disposizione del T.U. in materia edilizia, termine da considerarsi perentorio, con la conseguenza che, oltre detto termine il potere di riscontro a fini inibitori attribuito alla PA è esaurito e la stessa può provvedere solo con l'esercizio del potere di autotutela e al generale potere di controllo sulle attività di trasformazione edilizia del territorio (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2006, n. 72; Tar Campania, Salerno, sez. II, 20.07.2006, n. 1107; Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Cass. Pen., sez. III, 29.01.2008, n. 11113).
Il Collegio ritiene a tal riguardo, in aderenza all’orientamento da ultimo espresso dal Consigli di Stato, sez. VI, con la sent. n. 719/2009, innanzi citata, che il riferimento all’autotutela in tali casi non vada inteso nel senso della necessità di annullamento di un atto di assenso tacito (non ravvisabile nell’ipotesi di d.i.a.), ma in riferimento all’obbligatorietà del rispetto delle norme procedimentali previste in materia di autotutela ed in particolare in ordine alla necessità di una puntuale motivazione sull’interesse pubblico sotteso all’adozione dell’atto, che non può essere ravvisato nella mera necessità di ripristino della legalità (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 23.11.2009 n. 7807 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura della DIA e sulla possibilità dei terzi di far ricorso avverso la stessa.
E’ noto che il tema della natura giuridica della D.I.A. (denuncia di inizio attività) e quello correlato della tutela dei terzi che si oppongono ai suoi effetti ha sempre presentato profili teorici problematici: acuiti, in presenza di denunce di inizio attività in campo edilizio, dalle interferenze con i titoli abilitativi legati ai diversi regimi vincolistici e dalla previsione normativa della c. detta D.I.A. “pesante” alternativa al permesso di costruire, con quanto ne consegue (cfr. sul punto, da ultimo, Tar Lazio, Roma, sezione I-quater, n. 9539 del 02.10.2009).
Secondo un primo orientamento la D.I.A. si tradurrebbe direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita (cfr., tra le più recenti, Cons. Stato, sezione quarta, 25.11.2008, n. 5811; 29.07.2008, n. 3742; 12.09.2007, n. 4828; sezione sesta, 05.04.2007, n. 1550). Si tratterebbe, quindi, di un istituto del tutto peculiare, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un "titolo", cioè di “un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza, che rende lecito l'esercizio dell'attività” (in questi testuali termini, Cons. Stato, sezione quarta, 25.11.2008, n. 5811, cit.).
In sintesi, a seguirsi questa impostazione, la D.I.A. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dell'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Diverso orientamento ritiene invece che la D.I.A. non sia configurabile come provvedimento amministrativo, neanche implicito (Cons. Stato, sez. 4^, 04.09.2002, n. 4453; Tar Campania, Napoli, sez. 4^, 17.06.2004, n. 9530; Tar Abruzzo, L’Aquila, 03.04.2004, n. 383) ed il terzo, decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che l’amministrazione sia intervenuta, sarebbe legittimato a richiedere alla stessa di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" previsti dall’ordinamento, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis l. n. 1034/1971.
Siffatti principali filoni giurisprudenziali, in una a rivoli (più o meno) secondari, sono stati rivisitati da recente pronuncia della sesta sezione del Consiglio di Stato, la n. 717 del 09.02.2009, che -dopo aver riportate le ragioni via via poste a sostegno delle diverse posizioni in campo e dopo averne operata un’ampia valutazione- ritiene che non possa essere (oltre) sostenuta la natura provvedimentale della D.I.A. in presenza “in definitiva, di un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria…”.
La pronuncia ammette tuttavia che la via della tutela del terzo a mezzo dello strumento del silenzio-rifiuto “compromette notevolmente” l’efficacia della tutela, in presenza soprattutto di un potere dell’amministrazione “ampiamente discrezionale, dovendosi valutare prima di intervenire gli interessi in conflitto tenendosi conto anche dell’affidamento….” e, quindi, (in presenza) dei limiti per lo stesso giudice amministrativo “che, nell’eventuale giudizio avverso il silenzio-rifiuto fatto formare dall’amministrazione, non potrebbe che limitarsi ad una mera declaratoria dell’obbligo di provvedere, senza poter predeterminare il contenuto del provvedimento da adottare (Cons. Stato, sezione quinta, 09.10.2007, n. 5271) e tutto ciò renderebbe ancor più lunga e faticosa la tutela del terzo”.
Da qui, l’innovativa via di assicurare al terzo leso efficace e compiuta tutela, quale costituzionalmente garantita, a mezzo “dell’azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull'Amministrazione l'obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.”
A sostegno di detta posizione -secondo la quale “l'azione di accertamento sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di 60 giorni) previsto per l'azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire se l'Amministrazione avesse adottato un permesso di costruire. Non si ritiene applicabile un diverso termine di natura prescrizionale in quanto l'azione, ancorché di accertamento, non è diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo”- la pronuncia svolge articolate argomentazioni con richiami a dottrina e giurisprudenza ed alla loro evoluzione temporale.
Il descritto, ultimo, orientamento del giudice amministrativo evidentemente non può dirsi consolidato; anzi, sono già emerse posizioni che, pur alla luce delle previsioni sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui all’art. 34 del d. l.vo n. 80/1998 (nel caso a ritenersi costituzionalmente illegittime), negano la possibilità di potersi far luogo all’azione di accertamento innanzi al giudice amministrativo in presenza di una posizione di diritto soggettivo non incisa da alcun potere amministrativo autorizzatorio (presenti solo poteri inibitori o repressivi), sì da far prefigurare, in presenza di un’attività predeterminata interamente dalla legge, posizioni per l’appunto di diritto soggettivo, con quanto ne consegue in termini di tutela giurisdizionale e di suo riparto (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 17.11.2009 n. 7537 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Potere di inibizione - Attività vincolata - Vizio di eccesso di potere - Non Sussiste.
Il potere di inibire i lavori oggetto di denuncia di inizio attività ha carattere vincolato e, pertanto, non può ravvisarsi un vizio di eccesso di potere che presuppone l'esistenza di un potere discrezionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.11.2009 n. 4985 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.I.A. - E' atto di un soggetto privato - Tutela del terzo - Esperibilità di un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. tramite richiesta alla P.A. di porre in essere provvedimenti in autotutela, attivando in caso di inerzia il rimedio di cui all'art. 21-bis della L. n. 1034/1971.
2. D.I.A. - Azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla D.I.A. - Sottoponibilità al generale termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento - Sussiste.

1. La d.i.a. è un atto di un soggetto privato in relazione al quale la tutela del terzo è assicurata tramite l'esperibilità di un'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla d.i.a..
Il terzo, infatti, una volta decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la P.A. sia intervenuta deve chiedere all'Amministrazione di porre in essere i provvedimenti di "autotutela" previsti, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui all'art. 21-bis della L. n. 1034/1971.
Detta istanza rivolta alla P.A. è diretta a sollecitare non il potere inibitorio, di natura vincolata e che si estingue decorso il termine perentorio di 30 gg., ma il c.d. potere di autotutela, evocato tramite il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies.
Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale, dovendo l'Amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell'affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.
2. L'azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla d.i.a. è da ritenersi sottoposta al generale termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento, pena un'illogica diversificazione degli strumenti di tutela di cui dispongono i terzi, a seconda che siano lesi da un permesso di costruire o da una denuncia di inizio attività.
A sostegno di ciò, depone anche l'esigenza di certezza delle relazioni giuridiche, che si pone nei medesimi termini quale che sia il titolo che abiliti all'esercizio dell'attività edilizia: si evita, in tal modo, che chi ha presentato una denuncia di inizio attività si trovi esposto indefinitivamente al rischio dell'esercizio di un'azione giurisdizionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.10.2009 n. 4886 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA: il TAR Lombardia aderisce all'orientamento del Consiglio di Stato sull'impugnabilità.
Il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale che qualifica la d.i.a. quale atto di un soggetto privato e che riconosce l’esperibilità di un’azione di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per intraprendere l'attività in base alla d.i.a. (Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917).
L’alternativa che costringe il terzo -una volta decorso il termine per l'esercizio del potere inibitorio senza che la p.a. sia intervenuta- a chiedere all’amministrazione di porre in essere i provvedimenti di “autotutela” previsti, attivando, in caso di inerzia, il rimedio di cui all'art. 21-bis l. n. 1034/1971, limita fortemente gli ambiti di tutela.
L’istanza rivolta alla p.a. sarebbe, difatti, diretta a sollecitare non il potere inibitorio, di natura vincolata (che si estingue decorso il termine perentorio di 30 gg.), ma il c.d. potere di autotutela, evocato tramite il richiamo agli artt. 21-quinquies e 21-nonies. Tale potere, tuttavia, è ampiamente discrezionale, dovendo l'amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell'affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata (Cons. Stato, sez. VI, 09.02.2009, n. 917).
L’azione di accertamento è da ritenersi sottoposta al generale termine di decadenza di 60 giorni previsto per l'azione di annullamento, pena una illogica diversificazione degli strumenti di tutela di cui dispongono i terzi, a seconda che siano lesi da un permesso di costruire o da una dichiarazione di inizio attività.
A sostegno di questa conclusione milita l’esigenza di certezza delle relazioni giuridiche, che si pone nei medesimi termini quale che sia il titolo che abiliti all’esercizio dell’attività edilizia: si evita, in tal modo, che chi ha presentato una dichiarazione di inizio attività si trovi esposto indefinitivamente al rischio dell’esercizio di un’azione giurisdizionale (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.10.2009 n. 4886 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Dichiarazione inizio attività - Installazione e di produzione di elettricità da fonte eolica - Valgono gli stessi principi elaborati in tema di denuncia edilizia – Requisiti.
Con riferimento alla denuncia d’inizio attività d’installazione e di produzione di elettricità da fonte eolica (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 22.07.2009 n. 1939) valgono gli stessi principi elaborati in tema di denuncia edilizia e precisamente: “la denuncia di inizio attività dev’essere prodotta, ai sensi dell’articolo 23, primo comma, del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 dal soggetto legittimato, ovvero da “Il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”. La formulazione richiama quella dell'articolo 11 del D.P.R. (secondo il quale “il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo") a sua volta ispirata dall'art. 4 della legge 28.01.1977 n. 10.
In altre parole, per edificare è necessario che il soggetto istante sia o il titolare del diritto di proprietà sul fondo o chi, pur essendo titolare di altro diritto, reale o di obbligazione, abbia, per effetto di questo, obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui chiede il permesso; quindi anche il locatario se il contratto di locazione reca l'esplicita o implicita, ma inequivocabile, autorizzazione all'esecuzione di dati interventi di trasformazione edilizia del bene in funzione dell'uso per il quale lo stesso è stato concesso ad altri (Cass. civ., III sez., 15.03.2007 n. 6005; Cons. Stato, Sez. V, 28.05.2001 n. 2882; 04.02.2004 n. 368; TAR Veneto, Sez. II, 23.07.2001 n. 2211; TAR Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 01.07.2008 n. 338).
D’altra parte, certamente spetta al Comune la verifica del possesso del titolo, la cui mancanza impedisce all'amministrazione di procedere oltre nell'esame del progetto (Cons. Stato, Sez. IV, 22.06.2000 n. 3525; Sez. V, 12.05.2003, n. 2506; Sez. IV, 08.06.2007 n. 3027; TAR Emilia Romagna, Parma, 21.02.2007 n. 53; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 12.12.2007 n. 16213; TAR Basilicata, 19.01.2008 n. 15 (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 01.10.2009 n. 2226 - link a
http://mondolegale.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIn caso di rigetto di istanza di sanatoria presentata con DIA devono essere comunicati i motivi ostativi all’accoglimento della richiesta.
Il caso concerne la costruzione di un muretto con sovrastante ringhiera metallica, muretto per cui il ricorrente aveva avanzato istanza di sanatoria tramite DIA presentata ai sensi degli articoli 36 e 37 del dpr 380/2001.
Con determinazione dirigenziale il comune dichiarava di non poter accogliere l’istanza di sanatoria.
Il ricorrente oppone il mancato rispetto dell’art. 10-bis della legge 241/1990: il collegio ritiene fondata la doglianza infatti afferma “Rispetto a provvedimenti del genere di quello in esame non appare, infatti, che possa essere posta in discussione l’operatività del disposto della prescrizione di cui al citato art. 10-bis della legge n. 241/1990 e, dunque, l’esistenza dell’obbligo dell’Amministrazione di comunicare all’istante i motivi che ostano all’accoglimento della domanda, così da porre l’interessato nella condizione di presentare osservazioni”. D’altro canto l’amministrazione non può invocare l’applicazione dell’art. 21-octies comma 2 della legge 241/1990 in quanto non ha dimostrato che il contenuto del provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato in concreto.
La disposizione citata infatti reca specificatamente: ”il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Non essendoci elementi per fare riferimento a suddetto articolo non diventa irrilevante il fatto di non aver comunicato, in ossequio all’art. 10-bis, i motivi che si frapponevano alla accettazione della istanza di sanatoria. E pertanto il collegio ha ritenuto di dover accogliere il ricorso presentato dal ricorrente e annullare il provvedimento di diniego impugnato  (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Lazio-Roma, Sez. I-quater, sentenza 23.09.2009 n. 9240 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  E’ illegittima l’ordinanza di demolizione di un manufatto costruito su progetto presentato tramite DIA se l’amministrazione non abbia prima annullato il provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza.
La decisione in rassegna tratta di un tardivo ripensamento di una pubblica amministrazione.
Al comune, resistente nel presente giudizio, il ricorrente aveva inoltrato istanza autorizzatoria alla costruzione di un manufatto per il tramite di denuncia di inizio attività. Decorsi i 30 giorni stabiliti dalla norma, il ricorrente ha avviato i lavori per la costruzione di una veranda. In riferimento al manufatto, per il quale la DIA era stata presentata nel 2006, il comune emette ordinanza di demolizione nel 2007 assegnando per l’esecuzione dell’ordine un termine di 90 giorni.
In risposta all’ordinanza di demolizione che da una parte riconosce la legittimità del progetto presentato tramite DIA e dall’altra ne ravvisa l’incompatibilità con la zonizzazione del Piano Regolatore, il ricorrente propone ricorso al Tar competente il quale accoglie la proposta per i motivi che di seguito si illustrano. La denuncia di inizio attività disciplinata dal T.U. in materia edilizia 06.06.2001 n. 380 è assimilabile a un’istanza autorizzatoria, che, con il decorso del termine di legge, provoca la formazione di un provvedimento tacito di accoglimento dell’istanza.
Pertanto, l’Amministrazione, dopo il decorso del termine di trenta giorni per la formazione del provvedimento tacito, non perde i propri poteri di autotutela che, nel caso di esercizio di un’attività di secondo grado (che si estrinseca in un annullamento d’ufficio o in una revoca), devono tuttavia essere esercitati nel rispetto del principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell’attività amministrativa.
La valutazione effettuata dall’Amministrazione nell’ordinanza di demolizione circa la contrarietà dell’opera eseguita dal ricorrente a seguito della presentazione della D.I.A., avrebbe dovuto essere preceduta dall’annullamento del provvedimento formatosi sulla D.I.A.
E quest’ultimo avrebbe dovuto essere preceduto dall’avviso di avvio del procedimento nel rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, compreso il rispetto del tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado come espressamente stabilito dall’art. 21-nonies della legge 241/1990 il quale stabilisce che il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
In sostanza il provvedimento impugnato non rispetta la serie procedimentale descritta ponendosi in violazione sia dell’art. 3 che degli articoli 7, 8 e 21-nonies della legge 241/1990.
Sulla base di tale considerazione finale il collegio emiliano non può che emettere la propria sentenza di accoglimento del ricorso e quindi di annullamento dell’ordinanza di demolizione (commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - TAR Emilia Romagna-Parma, sentenza 22.09.2009 n. 676 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl fatto che la presentazione della d.i.a., una volta decorso il termine di 20 giorni senza che il Comune abbia inibito i lavori ivi previsti, formi un titolo autorizzatorio implicito trova conferma nell’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, il quale fa salvo il potere dell’amministrazione di revocare o annullare, in autotutela, il provvedimento formatosi per l’effetto combinato della denuncia di inizio attività e del silenzio dell’Ente.
Secondo un recente orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, la d.i.a. rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, nella forma dell’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso del termine di legge dalla presentazione della denuncia (art. 84 della L.R. n. 1/2005), ed è impugnabile dal terzo nell’ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla conoscenza del consenso implicito all’intervento edilizio oggetto della stessa (Cons. Stato, IV, 25/11/2008, n. 5811; idem, VI, 05/04/2007, n. 1550; TAR Liguria, II, 09/01/2009, n. 43).
Il fatto che la presentazione della d.i.a., una volta decorso il termine di 20 giorni senza che il Comune abbia inibito i lavori ivi previsti, formi un titolo autorizzatorio implicito trova conferma nell’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, il quale fa salvo il potere dell’amministrazione di revocare o annullare, in autotutela, il provvedimento formatosi per l’effetto combinato della denuncia di inizio attività e del silenzio dell’Ente (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 18.09.2009 n. 1456 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990.
In sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (da ultimo, Consiglio di Stato, IV, n. 4828 del 12.09.2007) non è applicabile alla denuncia di inizio attività l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e, comunque, ai sensi dell’art. 21-octies della stessa legge, il vizio formale impedisce l’annullamento del provvedimento impugnato nell’ipotesi in cui il contenuto sostanziale dell’atto non avrebbe potuto essere diverso.
Come affermato dal Consiglio di Stato (IV, n. 4828 del 12.09.2007), l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 è inapplicabile alla denuncia di inizio attività, che costituisce un provvedimento (implicito) favorevole al privato, mentre presenta contenuto negativo (pur non essendo a rigore un rigetto dell’istanza) il successivo atto di diffida a non compiere l’attività. Inoltre, il preavviso relativo all’ordine di non eseguire si sostanzierebbe in un’ingiustificata duplicazione dell’ordine stesso, incompatibile con il termine ristretto entro cui l’Amministrazione deve provvedere, non essendo, tra l’altro, previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine medesimo.
Come affermato in giurisprudenza (Consiglio di Stato, IV, n. 5811 del 25.11.2008; TAR Catanzaro, II, n. 1133 del 29.07.2008; Consiglio di Stato, V, n. 2506 del 12.05.2003, n. 2506), in sede di rilascio dei titoli edilizi (inclusa la particolare ipotesi della denuncia di inizio attività), il Comune è tenuto a verificare la legittimazione soggettiva del richiedente, con il solo limite di non poter procedere d’ufficio ad indagini su profili che non appaiano controversi.
Ne consegue che l’Amministrazione ha il dovere di verificare l’esistenza del possesso dell’area (cioè del concreto esercizio, da parte del richiedente, del potere sulla cosa, che si concreta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale), anche tenendo conto di eventuali giudizi instaurati (senza che ciò implichi che sia devoluto al Comune il definitivo accertamento di contrastanti posizioni di diritto soggettivo, demandato, invece, alla sede naturale della risoluzione di tali conflitti, cioè alla giurisdizione ordinaria), di talché nella specie risulta legittimo (e ragionevole) il ricorso alla diffida a non eseguire l’attività, in quanto Biamonte Alfonsina in Leone ha sostenuto in giudizio di aver usucapito (almeno in parte) anche la particella 448 del foglio 14, come risulta dall’atto di citazione versato in atti
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 23.07.2009 n. 802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. a sanatoria.
La sanatoria di cui all'articolo 37 dpr 380/2001 può essere chiesta solo per gli interventi edilizi di cui all’art. 22, commi 1 e 2 (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 09.07.2009 n. 28040 - link a www.
lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' illegittimo il motivato provvedimento di divieto all'esecuzione delle opere notificato oltre i 60 gg. dalla data di presentazione della D.I.A. (ex art. 9 del d.l. n. 154/1996 in relazione all’art. 19 della legge n. 241/1990).
Oggi, come è noto, in relazione alla materia dell’edilizia, vige una disciplina in qualche modo speciale o comunque diversificata, introdotta dagli art. 22 e 23 del T.U. sull’edilizia (approvato con DPR 06.06.2001 n. 380); ma ciò è affatto ininfluente ai fini della risoluzione della controversia che ne occupa, poiché alla stessa si applica quella antecedente, all’epoca dei fatti racchiusa nell’art. 9 del d.l. 25.03.1996 n. 154, che richiamava, a tal fine, l’art. 19 della legge n. 241/1990 (ovviamente, nel testo allora vigente, allora modificato dall’art. 2, comma 10, della legge 23.12.1993 n. 537).
Ora, il dettato testuale della norma appena citata è il seguente: <<10. L'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, è sostituito dal seguente:
"Art. 19. - 1. In tutti i casi in cui l'esercizio di un'attività privata sia subordinato ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla-osta, permesso o altro atto di consenso comunque denominato, ad esclusione delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni rilasciate ai sensi delle leggi 01.06.1939, n. 1089, 29.06.1939, n. 1497, e del decreto-legge 27.06.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 08.08.1985, n. 431, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo per il rilascio degli atti stessi, l'atto di consenso si intende sostituito da una denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge, eventualmente accompagnata dall'autocertificazione dell'esperimento di prove a ciò destinate, ove previste. In tali casi, spetta all'amministrazione competente, entro e non oltre 60 giorni dalla denuncia, verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare all'interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività e la rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro il termine prefissatogli dall'amministrazione stessa">>.

Orbene, come appare evidente dalla semplice lettura della norma, nel caso di specie la violazione della stessa si manifesta per tabulas. Infatti, il divieto impugnato è stato emesso ben oltre il termine di 60 giorni, vale a dire allorquando l’amministrazione aveva consumato il potere conferitole dalla legge, né essa aveva assegnato all’interessato un termine per la regolarizzazione della situazione (nel caso che l’avesse ritenuta possibile) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.07.2009 n. 2137 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Moro, LA CONTROVERSA NATURA GIURIDICA DELLA D.I.A. (link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: F. Zambelli, Denuncia Inizio Attività Edilizia – Aspetti Giuridici (26.06.2009 - tratto da www.ztlex.com).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Giudizio amministrativo - Procedura - Legittimazione - Edilizia - Nozione di collegamento fra immobili.
2. Dichiarazione inizio attività - Impugnazione da parte del terzo - Mezzi - Azione di accertamento autonomo - Sussistenza - Ragioni.
1.
Oltre ai singoli proprietari di immobili limitrofi, la legittimazione va riconosciuta a tutti coloro che si trovino, non in virtù della titolarità di un diritto reale, comunque in una situazione di collegamento, non effimero ma stabile con la zona stessa, ove gli stessi ritengano che per effetto della nuova costruzione, in contrasto con le prescrizioni urbanistiche, si determini una rilevante e pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio. Tale precisazione deriva dalla considerazione per cui il rapporto di vicinitas dei proprietari frontisti è sufficiente a sostanziare la legittimazione ad agire, in quanto non può che comprendere in sé l'interesse personale alla conservazione e salvaguardia delle caratteristiche costruttive e insediative dell'ambiente circostante.
2. Poiché la d.i.a. non è un provvedimento amministrativo a formazione tacita, ma un atto privato, la tutela deve essere assicurata al terzo mediante strumenti diversi dall'azione di annullamento, che siano perfettamente compatibili con la natura privatistica della d.i.a.. E tale strumento è stato individuato nell'azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l'attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività (Cons. Stato, sez. VI, 09-02-2009 n. 717) ( TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 18.06.2009 n. 431 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Art. 23 d.P.R. n. 380/2001 - Scadenza del termine - Legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia - Amministrazione - Esercizio del potere sanzionatorio - Preventivo intervento in autotutela.
Allo scadere del termine previsto dall’art. 23 d.P.R. 380/2001, si consolida in capo all’istante una legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia.
L’amministrazione, ove intenda contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio ma deve prima intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare che è sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine di trenta giorni senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Il potere di autotutela, a differenza di quello sanzionatorio, è discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sui poteri di cui dispone l'amministrazione nell'ambito del rapporto che si origina on la presentazione della D.I.A..
La pubblica amministrazione, nell’ambito del rapporto che si origina con la presentazione della dichiarazione di inizio attività, dispone di tre differenti poteri.
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, per 30 giorni a decorrere dal ricevimento della dichiarazione di avvio dell’attività, l’amministrazione ha il potere di inibire l’intervento edilizio.
Allo scadere del 30° giorno si consolida la fattispecie che abilita il privato a costruire e l’amministrazione decade dal potere di inibire la prosecuzione dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il conseguente consolidamento del titolo, non comportano tuttavia che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 3498/2005).
Venuto meno il potere inibitorio, residuano, difatti, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n. 380/2001 ed un potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 secondo cui “è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies” (sia pure sui generis, poiché, a differenza della consueta autotutela decisoria non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo).
La legge n. 80/2005, nel riformulare l’art. 19 l. n. 241/1990, ha, difatti, precisato che la p.a. può vietare lo svolgimento dell’attività ed ordinare l’eliminazione degli effetti già prodotti anche dopo che è scaduto il termine perentorio. Lo potrà fare, però, soltanto se vi sono i presupposti per l’esercizio del potere di autotutela (in particolare dell’annullamento d’ufficio) e, quindi, entro un ragionevole lasso di tempo, dopo aver valutato gli interessi in conflitto e sussistendone le ragioni di interesse pubblico.
Allo scadere del termine previsto dall’art. 23 d.P.R. 380/2001, si consolida, difatti, in capo all’istante una legittimazione ex lege all’esercizio dell’attività edilizia. L’amministrazione, ove intenda contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l’esercizio dell’attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio ma deve prima intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare che è sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine di 30 giorni senza che l’amministrazione abbia esercitato il potere inibitorio.
Il provvedimento impugnato, adottato dall’amministrazione successivamente allo scadere del termine di 30 giorni, che afferma l’insussistenza del presupposto per l’intervento di recupero del sottotetto richiesto dalla l.reg. n. 15/1996, non può, dunque, che qualificarsi come esercizio di un potere di autotutela.
Non assume rilievo, al riguardo, la circostanza che le modifiche all’art. 19, l. n. 241/1990 siano intervenute successivamente alla presentazione della d.i.a.: l’attuale formulazione di tale norma era sicuramente vigente alla data di adozione del provvedimento impugnato; in ogni caso, anche prima dell’entrata in vigore della l. n. 80/2005, la giurisprudenza riteneva che, successivamente al perfezionarsi della d.i.a., sussistesse in capo alla p.a. un potere di intervento in autotutela (Consiglio di Stato, sez. IV, 04.09.2002, n. 4453).
Il potere di autotutela, a differenza di quello sanzionatorio, è discrezionale, dovendo l’amministrazione, prima di intervenire, valutare gli interessi in conflitto (tenendo conto anche dell’affidamento ingeneratosi in capo al denunciante) e la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, che non coincide con il mero ripristino della legalità violata.
Presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela sono dunque:
- un atto affetto da un vizio di legittimità;
- l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata;
- la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell’atto, specie se, per il tempo trascorso dall’adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e poteri della P.A..
Ai sensi dell’art. 23, c. 6, d.P.R. n. 380/2001, per 30 giorni a decorrere dal ricevimento della dichiarazione di avvio dell’attività, l’amministrazione ha il potere di inibire l’intervento edilizio. Allo scadere del 30° giorno si consolida la fattispecie che abilita il privato a costruire e l’amministrazione decade dal potere di inibire la prosecuzione dell’attività.
Il decorso del termine di 30 giorni, ed il conseguente consolidamento del titolo, non comportano tuttavia che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e dunque possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi
Venuto meno il potere inibitorio, residuano, difatti, il generale potere repressivo degli abusi previsto dall’art. 27, d.p.r. n. 380/2001 ed un potere di autotutela previsto dall’art. 19, comma 3, legge n. 241/1990 secondo cui "è fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies" (sia pure sui generis, poiché, a differenza della consueta autotutela decisoria non implica un’attività di secondo grado insistente su un procedente provvedimento amministrativo) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La DIA è sostanzialmente equiparata al permesso di costruire per quanto concerne le modalità di impugnazione.
Il Collegio condivide l’orientamento giurisprudenziale riguardante la natura della DIA che viene sostanzialmente equiparata al permesso di costruire per quanto concerne le modalità di impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI 05.04.2007 n. 1550; Sez. V, 20.01.2003 n. 172; TAR Liguria, Sez. I, 06.06.2008 n. 1228) (TAR Marche, sentenza 03.06.2009 n. 466 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Decorso del termine - Effetti.
2. Denuncia di inizio attività - Decorso del termine -Provvedimento comunale di inibitoria - Possibilità - Modalità.
3. Denuncia di inizio attività - Annullamento in autotutela - Presupposti.

1. Il decorso del termine di 30 giorni, ed il conseguente consolidamento della d.i.a., non comportano che l'attività edilizia del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e possa andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3498/2005; TAR Milano, sent. n. 5224/2008).
2. Allo scadere del termine ex art. 23 D.P.R. 380/2001, si consolida in capo all'istante una legittimazione ex lege all'esercizio dell'attività edilizia, pertanto la P.A., per contestare la sussistenza dei requisiti o delle condizioni previste dalla legge per l'esercizio dell'attività edificatoria oltre lo scadere di tale termine, non può esercitare direttamente un potere sanzionatorio: prima deve intervenire in autotutela per rimuovere la legittimazione ad edificare sorta per effetto della presentazione della d.i.a. e del decorso del termine senza che la stessa P.A. abbia esercitato il potere inibitorio.
3. Tre sono i presupposti per il corretto esercizio del potere di annullamento in autotutela: un atto affetto da un vizio di legittimità; l'esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento, non identificabile con il mero ripristino della legalità violata; la prevalenza di tale interesse sugli interessi pubblici e privati alla conservazione dell'atto, specie se, per il tempo trascorso dall'adozione dell'atto viziato, si siano consolidate, in concreto, situazioni soggettive tutelabili (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4066 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. D.i.a. in sanatoria - Variante in corso d'opera - Obbligo di preventivo esame rispetto all'adozione di misure repressive di abusi edilizi - Sussiste - Obbligo di preventivo esame anche nel caso di accertamento di abusi prima della presentazione della variante - Sussiste.
2. Motivazione dell'atto amministrativo - Divieto di integrazione ex post in giudizio della motivazione - Non può essere eluso dalla presentazione di una relazione da parte di tecnico incaricato dal Comune.
3. L.R. 26/1995 - Modifica dell'altezza realizzata in sua applicazione - Incidenza sul volume e sui parametri urbanistici - Non sussiste.

1. La presentazione di una d.i.a. in sanatoria (o variante in corso d'opera) produce infatti l'effetto che l'Amministrazione non può adottare misure repressive di abusi edilizi senza aver prima vagliato la dichiarazione di inizio di attività e, ciò, all'evidenza, per non correre il rischio che, portata ad esecuzione l'ingiunzione a demolire, risulterebbe vanificato un eventuale provvedimento di accoglimento della variante in sanatoria con il conseguente riconoscimento della legittimità di un opera ormai non più esistente.
Tale obbligo sussiste anche nel caso in cui, prima della presentazione della variante al progetto, le opere siano state considerate abusive dall'amministrazione in quanto non conformi alla normativa urbanistica e quindi oggetto di un provvedimento di demolizione. Anche in questo caso, infatti, l'Amministrazione deve valutare la sanabilità dell'opera sia nel caso in cui l'interessato presenti istanza di accertamento di conformità sia nel caso in cui presenti variante in corso d'opera.
2. La prospettazione per la prima volta in giudizio delle ragioni che hanno effettivamente determinato la scelta amministrativa controversa si rivela confliggente con il divieto di integrazione ex post della motivazione dell'atto impugnato, né a tale scopo può sovvenire la relazione tecnica presentata da un tecnico incaricato dal Comune.
3. La L.R. 26/1995, disponendo che i volumi creati in conformità alle sue disposizioni non vanno computati a diversi fini, permette di escludere che le modifiche di altezza incidano sul volume e sui parametri urbanistici (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.05.2009 n. 3776 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Potere di inibire i lavori oggetto di d.i.a. - Attività vincolata - Vizio di eccesso di potere - Non Sussiste.
Il potere di inibire i lavori oggetto di denuncia di inizio attività ha carattere vincolato e, pertanto, non può ravvisarsi un vizio di eccesso di potere che presuppone l'esistenza di un potere discrezionale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.05.2009 n. 3652 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Dichiarazione inizio attività - Realizzazione di impianti di energia rinnovabile - Ratio.
2. Dichiarazione inizio attività - Asseverazione del tecnico-progettista - Ex art. 23, co. 1, D.P.R. n. 380/2001 - Funzione.
3. Dichiarazione inizio attività - Qualificazione - Relazione asseverata ex art. 23, co. 1, D.P.R. n. 380/2001 - Ratio.
4. Dichiarazione inizio attività - Ex art. 23, D.P.R. n. 380/2001 - Funzione - Peculiarità.
5. Dichiarazione inizio attività - Relazione del progettista abilitato ex art. 23, co. 1, D.P.R. n. 380/2001 - Condizione necessaria ala realizzazione della denuncia di inizio attività - Falsa attestazione - Conseguenze.
6. Dichiarazione inizio attività - Richiesta istruttoria - In caso di omissione della relazione del progettista abilitato - Conseguenze - Effetti inibitori - Termine - Decorrenza.

1. Nell'ampio contesto di liberalizzazione, la D.I.A. nasce dall'esigenza di introdurre forme di semplificazione per gli interventi c.d. minori, ossia per quelle opere aventi un minore impatto urbanistico-edilizio. In questa direzione si colloca la "responsabilizzazione" del privato attraverso l'assunzione di maggiori attribuzioni nell'accertamento della conformità dell'opera ai parametri urbanistici vigenti.
In particolare, con la D.I.A. si legittima l'esercizio di talune attività economiche (tra cui quella diretta alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile, i quali godono di un certo favor legislativo anche per i benefici che gli stessi apportano in termini di tutela dell'ambiente e della salute per i cittadini) sulla base di una semplice dichiarazione del privato, con ciò abolendo la necessità dell'intervento preventivo della pubblica autorità.
2. La asseverazione del tecnico-progettista prevista dall'art. 23 co. 1, D.P.R. n. 380/2001, costituisce condizione essenziale di efficacia della denuncia di inizio attività, ossia elemento fondamentale ed imprescindibile del procedimento. Essa svolge in particolare funzione eminentemente certificativa -rafforzata anche da specifiche previsioni sanzionatorie- nella parte in cui il tecnico abilitato attesta la regolarità dell'intervento da realizzare in relazione all'intera disciplina dell'attività edilizia (1).
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(1) Cass. Pen., sez. III, 6-4-1995
3. La D.I.A. va qualificata come fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona solo in presenza di alcuni elementi costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi l'atto del privato (unitamente alla asseverazione del progettista), il decorso di un determinato lasso di tempo (30 gg.), oltre alla sussistenza dei presupposti sostanziali di operatività dell'istituto (ossia la conformità dell'intervento alle prescrizioni di piano).
In detto contesto, la relazione asseverata di cui all'art. 23 co. 1, D.P.R. n. 380/2001, assume un'importanza fondamentale in quanto rappresenta in concreto l'atto in base al quale avrà luogo l'attività di verifica in ordine alla conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
4. L'istituto della D.I.A. comporta una inversione della tradizionale sequenza procedimentale, poiché la dichiarazione del privato, corredata dalla relazione tecnica attestante l'esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge, precede e, salvo provvedimento inibitorio, prescinde dall'atto amministrativo che tradizionalmente, invece, ed almeno in via di regola, deve autorizzare l'attività edilizia dei privati, così come accade per il permesso di costruire.
Nel caso della D.I.A., il ruolo giocato dalla p.A. muta radicalmente rispetto ai procedimenti permissivi: mentre in questi ultimi il provvedimento amministrativo è di tipo autorizzatorio e, quindi, precede l'inizio dei lavori, nella procedura semplificata, invece, la p.A. non adotta un formale atto di consenso, ma interviene solo in termini inibitori qualora accerti l'assenza dei presupposti legislativamente richiesti. Da tale inversione procedurale discendono indubbi vantaggi in termini di accelerazione e di semplificazione dei procedimenti, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi di liberalizzazione di quel determinato settore economico (2).
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(2) Puntualizza il Tribunale, che tuttavia per garantire l'ottenimento di tali vantaggi è quanto mai necessario che ciascuno degli attori del processo (privato e amministrazione) rispetti il ruolo che l'ordinamento gli attribuisce, pena la vanificazione dell'obiettivo legislativamente fissato. In altre parole, qualora si acceda alla tesi secondo la quale, ai fini dell'utile decorso del termine, non è strettamente necessario allegare alla dichiarazione del privato anche l'asseverazione del tecnico abilitato (la quale potrebbe essere allegata in ogni momento su richiesta del responsabile del procedimento, senza che tale richiesta istruttoria possa in qualche modo interrompere l'utile decorso del termine di 30 gg.), si rischierebbe di alterare il predetto rapporto di inversione, ossia di ritornare agli schemi classici secondo cui il privato chiede e la p.A. valuta la legittimità della pretesa, il che non sarebbe coerente con la ratio che ispira il modello di semplificazione della D.I.A..
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5. Dal punto di vista strettamente procedurale, la relazione asseverata costituisce una condizione necessaria alla realizzazione della fattispecie complessa a formazione progressiva della denuncia di inizio attività, posto che funge da parametro nelle operazioni di verifica della p.A., la quale deve controllare il rispetto dei vincoli urbanistici sulla base della descrizione dell'intervento edilizio risultante dalla relazione.
Proprio per questa ragione il progettista abilitato, nel dichiarare la sostanziale conformità alle normative urbanistico-edilizie delle opere oggetto di D.I.A., compie un servizio di pubblica necessità: dunque, in caso di falsa attestazione, accertata dalla p.A. in fase di controllo, può essere denunziato all'autorità giudiziaria e segnalato all'ordine di appartenenza, così da essere soggetto sia alle sanzioni previste dagli artt. 359 e 481, Cod. Pen. sia a quelle del proprio ordine professionale (3).
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(3) Il Tribunale, ritiene che non debba essere trascurato il fatto che il co. 5 dell'art. 23, T.U.E.L. specifica altresì che la sussistenza del titolo edilizio formatosi con la D.I.A. viene dimostrata grazie alla copia della denuncia di inizio attività da cui deve risultare la data di ricevimento della D.I.A. ed a cui va aggiunto l'elenco della documentazione allegata alla denunzia e, in primo luogo, la relazione asseverata del progettista abilitato. Ciò che assicura una efficacia probatoria, del tutto analoga a quella offerta dal permesso di costruire formalmente rilasciato dalla p.A., sia sul piano della vigilanza edilizia, sia su quello dei rapporti tra privati (si pensi alla compravendita di immobili edificati o ristrutturati in base a D.I.A.). Art. 29, Testo Unico Edilizia.
6. Nell'ambito del procedimento di dichiarazione di inizio attività, l'eventuale intervento del responsabile, diretto a richiedere l'integrazione della pratica attraverso la asseverazione del progettista qualora questa sia stata omessa, non può che avere effetti sostanzialmente inibitori, dal momento che l'utile decorso del termine deve essere indissolubilmente legato alla presentazione di tutta la documentazione (e soprattutto attestazione) necessaria a porre gli uffici comunali nelle condizioni di poter esercitare in concreto il proprio potere di controllo di secondo grado.
Ciò in quanto senza asseverazione non è possibile attivare la successiva fase di verifica. Il suddetto intervento produce effetti interruttivi e non sospensivi del termine di 30 giorni; tale termine riprenderà poi a decorrere soltanto a seguito della nuova ed eventuale presentazione della D.I.A., se integrata con la prescritta asseverazione (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.05.2009 n. 1012 - link a http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nella denuncia di inizio attività, produce effetti interruttivi l'intervento del responsabile del procedimento diretto a richiedere l'integrazione della pratica attraverso l'asseverazione del progettista, qualora questa sia stata omessa.
La asseverazione del tecnico progettista prevista dall’art. 23, comma 1, del DPR n. 380 del 2001, anche secondo la dottrina dominante, costituisce condizione essenziale di efficacia della denuncia, ossia elemento fondamentale ed imprescindibile del procedimento (cfr. Cass. pen., Sez. III, 06.04.1995).
Essa svolge in particolare funzione eminentemente certificativa –rafforzata anche da specifiche previsioni sanzionatorie, come si vedrà– nella parte in cui il tecnico abilitato attesta la regolarità dell’intervento da realizzare in relazione all’intera disciplina dell’attività edilizia.
Del resto, se la DIA di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990 prevede in linea generale che una semplice “denunzia” a firma del privato interessato possa attestare l’esistenza dei presupposti e dei requisiti di legge dell’attività da intraprendere, l’art. 23 del testo unico edilizia sembra senz’altro sottrarre questo potere autocertificativo al privato esecutore dell’intervento, o almeno attenuarne la portata, per attribuirlo invece –quanto meno nella sua parte prevalente– al progettista abilitato.
In questa direzione va condivisa la tesi che qualifica la DIA come fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona solo in presenza di alcuni elementi costitutivi, tra i quali sono da annoverarsi l’atto del privato (unitamente alla asseverazione del progettista), il decorso di un determinato lasso di tempo (30 gg.), oltre alla sussistenza dei presupposti sostanziali di operatività dell’istituto (ossia la conformità dell’intervento alle prescrizioni di piano).
La relazione asseverata assume in detto contesto un’importanza fondamentale in quanto rappresenta in concreto l’atto in base al quale avrà luogo l’attività di verifica in ordine alla conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
L’istituto della DIA comporta così una inversione della tradizionale sequenza procedimentale, poiché la dichiarazione del privato, corredata da una relazione tecnica attestante l’esistenza dei requisiti stabiliti dalla legge, precede e, salvo provvedimento inibitorio, prescinde dall’atto amministrativo che tradizionalmente, invece, ed almeno in via di regola, deve autorizzare l’attività edilizia dei privati, così come accade per il permesso di costruire.
Risulta allora evidente che, nel caso della DIA, il ruolo giocato dalla PA muta radicalmente rispetto ai procedimenti permissivi: mentre in questi ultimi il provvedimento amministrativo è di tipo autorizzatorio e, quindi, precede l’inizio dei lavori, nella procedura semplificata, invece, la pubblica amministrazione non adotta un formale atto di consenso, ma interviene solo in termini inibitori qualora accerti l’assenza dei presupposti legislativamente richiesti.
Da tale inversione procedurale discendono indubbi vantaggi in termini di accelerazione e di semplificazione dei procedimenti, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi di liberalizzazione di quel determinato settore economico.
Tuttavia per garantire l’ottenimento di tali vantaggi è quanto mai necessario che ciascuno degli attori del processo (privato e amministrazione) rispetti il ruolo che l’ordinamento gli attribuisce, pena la vanificazione dell’obiettivo legislativamente fissato.
In altre parole, qualora si acceda alla tesi secondo la quale, ai fini dell’utile decorso del termine, non è strettamente necessario allegare alla dichiarazione del privato anche l’asseverazione del tecnico abilitato (la quale potrebbe essere allegata in ogni momento su richiesta del responsabile del procedimento, a giudizio del ricorrente, senza che tale richiesta istruttoria possa in qualche modo interrompere l’utile decorso del termine di 30 gg.), si rischierebbe di alterare il predetto rapporto di inversione, ossia di ritornare agli schemi classici secondo cui il privato chiede e la PA valuta la legittimità della pretesa, il che non sarebbe coerente con la ratio che ispira il modello di semplificazione della DIA (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 07.05.2009 n. 1012 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQuesito 7 - In merito all'obbligo di sorveglianza sull'esecuzione dei lavori che grava sul progettista anche in caso di denuncia di inizio attività (Geometra Orobico n. 2/2009).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e permesso di costruire.
In base ad una analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi possibile anche alla D.I.A. l’applicazione degli istituti previsti per il permesso di costruire, in quanto entrambi gli istituti hanno in comune la natura di “titoli edilizi” e secondariamente alla luce dei poteri che il legislatore ha previsto in capo alle Amministrazioni deputate al controllo degli interventi posti in essere con la D.I.A..
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento di quella parte della giurisprudenza alla luce del quale, nonostante il richiamo specifico dell’art 19, comma 3, della legge n. 241 del 1990, agli artt. 21-quinquies e 21-nonies, che disciplinano la revoca e l’annullamento d’ufficio, il potere dell’Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela che la suddetta norma fa salvo, non si esaurisce nell’utilizzazione dei suddetti istituti, ma deve intendersi comprensivo di tutte le iniziative che l’Amministrazione è legittimata ad assumere per ristabilire, nel pubblico interesse, la legalità violata, compresa, quindi, la decadenza, come sostenuto da parte resistente.
La giurisprudenza ha, d’altro canto, già ritenuto applicabile alla D.I.A. edilizia l’art. 31, comma 11, della legge n. 1150 del 1942, avente lo stesso contenuto del citato art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto espressione dei permanenti poteri di vigilanza che, nel pubblico interesse, sono attribuiti all’Amministrazione in ordine all’esecuzione dell’opera autorizzata ed ai sensi dell’art. 4, comma 10 del D.L. 05.10.1993 n. 398, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 04.12.1993, n. 493 che recita: “L'esecuzione delle opere per cui sia esercitata la facoltà di denuncia di attività ai sensi del comma 7 è subordinata alla medesima disciplina definita dalle norme nazionali e regionali vigenti per le corrispondenti opere eseguite su rilascio di concessione edilizia” (TAR Lombardia, Brescia, ord. n. 27/2003, giurisprudenza alla quale il Collegio non ritiene di doversi discostare) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 - Permesso di costruire - Decadenza a seguito dell’entrata in vigore di nuova disciplina urbanistica - Applicabilità alla D.I.A..
L’istituto della decadenza previsto per il permesso di costruire dall’art. 15, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale “Il permesso decade con l'entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”, si applica anche alla D.I.A.
Ciò, prioritariamente, in base ad una analisi logico sistematica del D.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi possibile anche alla D.I.A. l’applicazione degli istituti previsti per il permesso di costruire, in quanto entrambi gli istituti hanno in comune la natura di “titoli edilizi” e secondariamente alla luce dei poteri che il legislatore ha previsto in capo alle Amministrazioni deputate al controllo degli interventi posti in essere con la D.I.A. (TAR Umbria, 15.07.2007, n. 518) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 22.04.2009 n. 983 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. DIA - Spatium deliberandi dei 30 giorni dalla data di presentazione della DIA e la sua efficacia - Applicazione delle modifiche normative sopravvenute - Sussiste in quanto il procedimento non si è perfezionato e la DIA non può ancora produrre effetti.
2. DIA - Spatium deliberandi dei 30 giorni dalla data di presentazione della DIA e la sua efficacia - Applicazione delle modifiche relative alle disposizioni regolamentari locali in materia pianificatoria e di tariffe degli oneri - Sussiste.
3. DIA - Disposizioni contenute nell'art. 42 commi 2 e 3 L.R. n. 12/2005 - Disciplinano il procedimento di presentazione della DIA e prevedono l'allegazione del computo del costo di costruzione - Deroga al principio generale sull'efficacia della DIA - Non sussiste.
4. DIA - Disposizione contenuta nel comma 7-bis dell'art. 38 L.R. n. 12/2005 e s.m.i. - Calcolo degli oneri di urbanizzazione - DIA - Va effettuato al momento della presentazione, momento equiparabile alla presentazione della domanda di permesso di costruire.
5. DIA - Carenza di uno dei requisiti previsti dalla legge - Efficacia - Non sussiste - Termine di riferimento per il decorso dei 30 giorni - Data di presentazione della documentazione completa.

1. Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l'Amministrazione ha un compito di controllo a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori dei lavori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti: vige allora il principio del tempus regit actum per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quelle in vigore al momento dell'avvio del procedimento.
2. Il principio della sensibilità della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri.
3. Le disposizioni regionali contenute nell'art. 42, commi 2 e 3, della L.R. n. 12/2005 non derogano al principio generale secondo cui nel caso di intervento edilizio assentito in forza di una DIA la normativa da applicare è quella vigente alla data di efficacia: l'art. 42 infatti si limita a disciplinare il procedimento di presentazione della DIA stabilendo che il computo del costo di costruzione va allegato alla DIA ma non introduce una deroga al principio generale sull'efficacia della DIA.
4. A seguito dell'introduzione all'art. 38 della L.R. n. 12/2005 del comma 7-bis ad opera della L.R. n. 4/2008, il calcolo degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione della domanda di permesso di costruire, purché la DIA sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla normativa.
5. La DIA per essere efficace deve avere tutti i contenuti prescritti, dal momento che la carenza di uno dei requisiti richiesti dalla legge rende la denuncia non produttiva di alcun effetto e, quindi, risulta irrilevante il momento in cui la denuncia è stata presentata incompleta. Il termine di riferimento per il decorso dei 30 giorni sarà quello in cui viene presentata la documentazione completa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.04.2009 n. 3146).

EDILIZIA PRIVATA: Il principio della "sensibilità" della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri.
- Dopo l'introduzione del comma 7-bis all'art. 38 L.R. n. 12/2005 il calcolo degli oo.uu. deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione del permesso di costruire. Pertanto, la riterminazione degli oneri secondo le nuove tariffe alle DIA non ancora efficaci è una corretta applicazione dei princìpi in materia.
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Poiché la DIA, per essere efficace, deve avere tutti i contenuti prescritti, la carenza di uno dei requisiti richiesti dalla legge rende la denuncia non produttiva di alcun effetto e, quindi, risulta irrilevante il momento in cui la denuncia è stata presentata incompleta. Il termine di riferimento per il decorso dei 30 giorni sarà quello in cui viene presentata la documentazione completa.
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Il termine di 30 giorni per la notifica dell'ordine di non eseguire i lavori decorre dalla presentazione della DIA allo sportello unico per l'edilizia, come esplicitamente dispone l'art. 23 del d.p.r. 380 del 2001", in quanto "i tempi estremamente ristretti assegnati all’Amministrazione per eseguire le dovute verifiche giustificano pienamente una disciplina che valorizza il momento in cui la DIA viene presentata (o effettivamente perviene) all’ufficio deputato a dette verifiche, piuttosto che il momento di presentazione ad altro ufficio (ufficio centrale di protocollo) tenuto a trasmetterlo a quello competente.
La DIA produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché, come già affermato da questa Sezione, sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla Legge (sentenza n. 5737/2008).
Nello spatium deliberandi dei 30 giorni dalla presentazione della denuncia, periodo durante il quale l'Amministrazione ha un compito di controllo, a conclusione del quale può esercitare poteri inibitori non ancora avviati, le eventuali modifiche normative devono trovare applicazione, in quanto il procedimento non è ancora perfezionato e la DIA non può produrre effetti; vige, allora, il principio del tempus regit actum, per cui l'Amministrazione è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo, quand'anche sopravvenuta, e non già, salvo che espresse norme statuiscano diversamente, quella in vigore al momento dell'avvio del procedimento. 
Le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa.
E il principio della "sensibilità" della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri.
L'art. 42 della L.R. n. 12/2005 non deroga al principio generale secondo cui nel caso di intervento edilizio assentito in forza di una DIA la normativa da applicare è quella vigente alla data di efficacia: infatti, l'art. 42 si limita a disciplinare il procedimento di presentazione della DIA, stabilendo che il costo di costruzione va allegato alla DIA, ma non introduce una deroga al principio generale sulla efficacia della DIA.
La L.R. n. 4/2008, che ha introdotto nell'art. 38 il comma 7-bis, ha stabilito, per il permesso di costruire, che gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria vengano determinati alla data di presentazione della richiesta del permesso di costruire, purché vi sia la completezza documentale.
Da ciò si deduce che prima della modifica legislativa gli oneri andassero determinati al momento del rilascio del titolo, mentre a seguito della modifica legislativa la determinazione è anticipata all'atto della presentazione del permesso.
Applicando questo principio alla DIA, si deve ritenere che prima della nuova disciplina valesse il principio sopra esposto, per cui erano rilevanti le eventuali innovazioni legislative intervenute nei 30 giorni ed anche l'introduzione di nuove tariffe, se approvate nel corso dei 30 giorni. Dopo l'introduzione del comma 7-bis all'art. 38 il calcolo deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione del permesso di costruire. Dalle considerazioni sopra esposte discende l'infondatezza del secondo motivo, dal momento che la riterminazione degli oneri secondo le nuove tariffe alle DIA non ancora efficaci è una corretta applicazione dei princìpi in materia.
Poiché la DIA, per essere efficace, deve avere tutti i contenuti prescritti, la carenza di uno dei requisiti richiesti dalla legge rende la denuncia non produttiva di alcun effetto e, quindi, risulta irrilevante il momento in cui la denuncia è stata presentata incompleta. Il termine di riferimento per il decorso dei 30 giorni sarà quello in cui viene presentata la documentazione completa.
"Il termine di 30 giorni per la notifica dell'ordine di non eseguire i lavori (o di altro provvedimento equivalente) decorre dalla presentazione della DIA allo sportello unico per l'edilizia, come esplicitamente dispone l'art. 23 del d.p.r. 380 del 2001", in quanto "i tempi estremamente ristretti assegnati all’Amministrazione per eseguire le dovute verifiche giustificano pienamente una disciplina che valorizza il momento in cui la DIA viene presentata (o effettivamente perviene) all’ufficio deputato a dette verifiche, piuttosto che il momento di presentazione ad altro ufficio (ufficio centrale di protocollo) tenuto a trasmetterlo a quello competente"
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.04.2009 n. 3146).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di denuncia inizio attività quanto al dies a quo va fatto riferimento a quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo sportello unico per l’edilizia e non già a quello in cui essa denuncia sia stata presentata all’ufficio di protocollo del Comune.
A
lla D.I.A. non trova applicazione l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di rigetto nei procedimenti amministrativi ad istanza di parte.
In tema di denuncia inizio attività quanto al dies a quo va fatto riferimento a quello in cui la d.i.a. sia pervenuta allo sportello unico per l’edilizia (nella specie il 21.12.2007 prot. n. 22358) e non già a quello in cui essa denuncia sia stata presentata all’ufficio di protocollo del Comune (nella specie, cioè, il 18.12.2007).
I tempi ristretti per eseguire le verifiche (appunto 30 gg.) giustificano la individuazione del giorno iniziale in quello in cui la d.i.a. perviene effettivamente all’Ufficio deputato a dette verifiche e cioè allo Sportello Unico per l’Edilizia (SUE) dotato di un proprio protocollo, diverso dal protocollo generale del Comune; la disposizione di cui al 1^ comma art. 23 T.U. dell’Edilizia fa riferimento allo sportello unico (“…presenta allo sportello unico la denuncia…”) il che letteralmente avvalora la conclusione sopra riferita. Quindi iniziando il conteggio dei giorni dal 21.12.2007, alcun silenzio assenso conseguente al decorso dei 30 giorni si era determinato al 18.01.2008.
La d.i.a. non dà l’avvio ad un procedimento ad istanza di parte (il potere dell’Amministrazione non è di rigetto di istanza procedimentale bensì inibitorio della realizzazione delle opere nel termine di trenta giorni dalla presentazione della denuncia e ciò sulla base di riscontrata assenza di una o più delle condizioni previste) sicché alla medesima denuncia non trova applicazione l’art. 10-bis della 241 sul preavviso di rigetto nei procedimenti amministrativi ad istanza di parte (Tar Milano 5651/2008) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 02.04.2009 n. 763 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn materia di d.i.a. anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento.
Il Collegio è dell’avviso, come affermato dalla prevalente giurisprudenza amministrativa, e, in particolare, dalla decisione 12.09.2007 n.4228 della Sez. IV, del Consiglio di Stato, che la denuncia di inizio attività in materia edilizia “costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sul quale la pubblica Amministrazione svolge un’eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell’effettivo svolgimento dell’attività) del titolo legittimante l’inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l’attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento”.
Conforme è anche la recente giurisprudenza della Cassazione penale (v.si Sez. III, 29.01.2008 n. 11113): del resto, anche se il sopravvenuto, nuovo testo dell’art. 19 della legge n. 241/1990 ora prevede, in generale, che sulla dichiarazione di inizio attività il potere di autotutela dell’Amministrazione va effettuato ai sensi dei successivi artt. 21-quinquies e 21-nonies, di fatto, l’impugnato divieto di prosecuzione dei lavori oggetto di d.i.a. a ciò adempie, né necessitava di preventiva comunicazione, trattandosi di atto obbligato a fronte dell’accertato ed incontestato uso pubblico della strada (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 02.04.2009 n. 250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia inizio attività - Momento di efficacia - Decorrenza dal 30° giorno - Requisiti.
2. Denuncia inizio attività - Oneri di urbanizzazione e costi di costruzione - Quantificazione - Momento determinante - Criteri.
3. Denuncia inizio attività - Oneri di urbanizzazione e costi di costruzione - Quantificazione - Momento determinante - Artt. 42 e 48 L.R. 12/2005 - Irrilevanza ai fini della determinazione importi.
4. Denuncia inizio attività - Oneri di urbanizzazione e costi di costruzione - Quantificazione - Momento determinante - Art. 38, comma 7-bis, L.R. 12/2005 - Criteri.

1. La DIA, indipendentemente dalla qualifica giuridica assegnata -punto su cui si contrappongono due differenti orientamenti che sostengono rispettivamente la natura di autorizzazione implicita (Cons. di Stato, sent. n. 5811/2008) e di atto privato (Cons. di Stato, sent. n. 717/2009)- produce effetti al 30° giorno dalla sua presentazione, purché sia completa di tutti gli elementi richiesti dalla legge (cfr. TAR Milano, sez. II, sent. n. 5737/2008) .
2. Ai fini della determinazione di oneri di urbanizzazione e costi di costruzione le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del 30° giorno dalla presentazione della denuncia stessa (cfr. TAR Milano, sez. II, sent. n. 588/2006).
Tale principio della "sensibilità" della DIA alle modifiche legislative nei 30 giorni tra la presentazione e l'inizio dell'efficacia, deve trovare applicazione anche rispetto ad eventuali variazioni delle disposizioni regolamentari, tra cui la disciplina pianificatoria e le tariffe degli oneri: pertanto la P.A. è tenuta ad applicare la normativa in vigore al momento dell'adozione del provvedimento definitivo.
3. Gli artt. 42 e 48 L.R. 12/2005, come modificata dalla L.R. 4/2008, si limitano a disciplinare il procedimento di presentazione della DIA, stabilendo che il costo di costruzione va allegato alla DIA, ma non introducono una disciplina derogatoria speciale, rispetto al principio generale della efficacia della DIA dopo il decorso del termine di 30 giorni.
4. Prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina della L.R. 4/2008, che ha introdotto nell'art. 38 il comma 7-bis, erano rilevanti le eventuali innovazioni legislative intervenute nei trenta giorni ed anche l'introduzione di nuove tariffe se approvate nel corso dei trenta giorni; dopo l'introduzione del comma 7-bis all'art. 38, invece, il calcolo deve essere effettuato con riferimento alle sole leggi vigenti al momento della presentazione della DIA, momento equiparabile a quello della presentazione della domanda del permesso di costruire, purché la DIA sia completa (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenze 27.03.2009 nn. 2029 e 2030 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Natura - E' atto del privato - Conseguenze.
2. Denuncia di inizio attività - Principio di autoresponsabilità - Attività edilizia in difformità dalla D.I.A. o sulla base di D.I.A. illegittima - Conseguenze - Responsabilità della P.A. - Non sussiste.

1. La D.I.A. si configura soggettivamente come atto del privato, che autocertifica la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la realizzazione dell'intervento (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1409/2007): pertanto, la legittimazione all'esercizio dell'attività non è fondata su un atto di consenso della P.A., ma trova la propria fonte direttamente nella legge (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 3586/2006).
2. Il principio di autoresponsabilità del denunciante esclude che possano ritorcersi in danno del Comune le conseguenze derivanti dall'attività edilizia intrapresa dal medesimo in difformità dalla D.I.A. o sulla base di una D.I.A. illegittima, ancorché il Comune non abbia inibito l'opera tempestivamente, o sia intervenuto con interventi repressivi tardivamente: tanto più ciò è vero laddove, come nel caso in esame, il mancato o intempestivo intervento del Comune sia dovuto ad una erronea o incompleta rappresentazione dello stato di fatto o di progetto da parte del denunciante (cfr. TAR Milano, sez. II, sent. n. 5004/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 13.03.2009 n. 1924 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPresentando una D.I.A., il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione può formare oggetto di interventi di annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo il decorso del termine previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca.
Nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine assegnato prima dall’art. 2. comma 60, della legge n. 662/1996 e oggi dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Di qui una serie di conseguenze quali: il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione può formare oggetto di interventi di annullamento d'ufficio o revoca; anche dopo il decorso del termine previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella revoca, seppure con il rispetto del principio di reciproca lealtà e certezza dei rapporti giuridici (Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811).
Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell'attività, consente al privato di intraprendere un'attività in correlazione all'inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell'amministrazione, correttamente definito inibitorio dell'attività. Una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, il privato può sì dar corso all’intervento dichiarato, ma l’attività legittimamente (sul piano formale) intrapresa non fa venir meno la persistenza del generale potere repressivo degli abusi edilizi, eventualmente sollecitata dai terzi controinteresati attraverso la procedura del silenzio-inadempimento (cfr. Consiglio di stato, sez. IV, 22.07.2005, n. 3916 ).
In definitiva, se la d.i.a. non ha di per sé efficacia sanante dell’attività edilizia iniziata dopo il decorso del termine di legge e per effetto del mero dato temporale, ma solo effetti abilitanti di una serie di interventi minori liberalizzati, essa non può essere invocata quale motivo ostativo all’esercizio del potere di controllo degli interventi edilizi, compreso il diniego di concessione edilizia (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.03.2009 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: DIA (denunzia di inizio dell'attività) - Mancanza o difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA - Effetti - Art. 22, cc.. 1, 2 e 3; 37, 6° c.; 44, lett. b) T.U. n. 380/2001 - D.Lgs n. 301/2002.
Nei casi previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001 come modificato dal D.Lgs 27.12.2002, n. 301 -in cui la DIA, si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (art. 37, 6° comma, del T.U. n. 380/2001). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi dell'art. 44, lett. a), del T.U. n. 380/2001 -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
Nei casi previsti dal 3° comma, dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001, invece -in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire (ai sensi del comma 2-bis del successivo art. 44)- l'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b)
[vedi Cass.: Sez. V, 26.4.2005, Giordano; Sez. III 9/03/2006, n. 8303; 26/01/2004, n. 2579, Tollon].
Non trova comunque sanzione penale la difformità parziale (vedi Cass., Sez. III, 23/09/2004, roattini).
Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere poi effettivamente eseguite
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 05.03.2009 n. 9894 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
Nella contestazione della legittimità di lavori eseguiti con denuncia di inizio attività è esperibile, in base all'art. 24 della Costituzione, anche un'azione di accertamento atipica tutte le volte in cui una simile azione risulti necessaria per la soddisfazione concreta della pretesa sostanziale del ricorrente (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Abruzzo-Pescara, Sez. I, sentenza 05.03.2009 n. 134 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul silenzio serbato dal comune a fronte della presentazione di una DIA.
I terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione della D.I.A., sono legittimati a impugnare, nelle forme dell'ordinario giudizio, il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811).
Inoltre, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella révoca, che ben possono essere sollecitati da parte del terzo medesimo (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 25.02.2009 n. 2006 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Provvedimento comunale di inibitoria - Termine - Perentorietà - Sussistenza.
Il termine di 30 giorni, previsto ai fini dell'adozione del provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della D.I.A. per l'esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio (nel caso di specie il TAR ha poi precisato che la diffida emessa dal Comune ad opera quasi ultimata non è valutabile come atto di autotutela: sia perché manca un qualsiasi riferimento alla relativa potestà, sia in quanto priva degli elementi necessari a qualificarla e riconoscerla come emanata nell'esercizio della medesima) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.02.2009 n. 1331 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Atto di iniziativa meramente privata - Impugnabilità avanti al G.A. - Non sussiste.
La D.I.A. non è atto impugnabile avanti al giudice amministrativo in quanto essa continua ad avere natura di mero atto del privato e di strumento di liberalizzazione delle attività anche dopo le modifiche apportate all'art. 19 della Legge 241/1990 e dall'art. 3 del D.L. 35/2005, convertito con Legge 80/2005 e, per la D.I.A. in materia edilizia, dall'art. 38 del D.P.R. 380/2001 e dal D.Lgs. 301/2002 (orientamento costante della Sezione) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2009 n. 1326).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Atto di iniziativa meramente privata - Impugnabilità avanti al G.A. - Non sussiste - Conseguenze - Eccezione di tardività nell'impugnazione - Inammissibilità.
Avendo la D.I.A. natura di atto privato, essa non è direttamente impugnabile da parte di controinteressati: pertanto, in caso di ricorso di questi ultimi avverso provvedimento con cui il Comune ha affermato, a seguito di verifica delle opere in corso, l'insussistenza dei presupposti per l'adozione di provvedimenti inibitori o sanzionatori, è inammissibile l'eccezione di tardività, sollevata dal Comune, per mancata impugnativa della D.I.A.: ciò, dal momento che non si tratta di un'impugnazione di un titolo edilizio, per il quale va considerato il termine decadenziale di legge dalla piena conoscenza, bensì dell'impugnazione di un atto del Comune, per il quale il termine decorre dalla data di ricevimento del provvedimento stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 19.02.2009 n. 1322 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
Avverso una denuncia di inizio attività il terzo è legittimato all'instaurazione di un giudizio di cognizione tendente ad ottenere l'accertamento dell'insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per la libera intrapresa dei lavori a seguito di DIA.
Il terzo che intenda agire a tutela della propria sfera giuridica lesa da un supposto intervento sprovvisto di ogni titolo potrà dunque contrastarlo in giudizio non già tramite l'impugnazione tesa all'annullamento di un inesistente provvedimento amministrativo, ma assai più semplicemente richiedendo l'accertamento della insussistenza dello jus in capo al soggetto agente.
Così configurandosi il rapporto triadico tra denunciante, amministrazione e terzo controinteressato, in sede di giurisdizione esclusiva il terzo controinteressato che contesti la presentazione di una denuncia di inizio attività associata al successivo silenzio dell'Autorità amministrativa, potrà attivare un giudizio di cognizione volto all'accertamento della corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dall'interessato e di quanto previsto dal progetto ai canoni stabiliti per la regolamentazione dell'attività edilizia in questione, oltre che all'eventuale difformità dell'opera realizzata rispetto al progetto anteriormente presentato in sede di DIA, azione non soggetta ad alcun termine di decadenza previsto esclusivamente per la disciplina del processo in sede di giurisdizione generale di legittimità (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 18.02.2009 n. 219 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOpere regolari se la DIA non è contestata.
Illegittimo il comportamento del Comune che, senza contestare la DIA e suggerire soluzioni alternative, ordina la rimozione di opere già eseguite.

Il Tar di Napoli ha accolto il ricorso presentato dalla Asl contro l'ente locale che a distanza di dieci anni dall'installazione di impianti tecnologici per l'aria condizionata sul terrazzo della struttura sanitaria ne ha ordinato lo spostamento.
I giudici, in particolare, bocciano la mancanza di un necessario contraddittorio con la parte al fine di individuare le soluzioni più adatte a contemperare il rilevante interesse pubblico della azienda sanitaria a dotarsi di un moderno impianto di condizionamento -senza sacrificare uno spazio consistente all'interno della struttura pubblica destinata ai fini assistenziali- e l'interesse (pure pubblico) al rispetto delle norme edilizie e a quelle sui limiti di rumorosità degli impianti (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 17.02.2009 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione dichiarativa (d.i.a.).
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica.
È esperibile, da parte del terzo leso dagli effetti di una denuncia di inizio di attività, un'azione di accertamento -ancorché atipica- della carenza dei presupposti per l'esercizio dell'attività oggetto di dichiarazione.
Detta azione di accertamento, non essendo diretta alla tutela di un diritto soggettivo, ma di un interesse legittimo, deve essere sottoposta all'ordinario termine di decadenza (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2009 n. 717 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Natura - Atto privato - Terzo controinteressato - Strumenti di tutela giurisdizionale - Azione di annullamento - Esclusione in ragione della natura non provvedimentale della d.i.a. - Azione di accertamento autonomo - Termine di decadenza - 60 giorni - Decorrenza.
La d.i.a. è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica. Gli strumenti di tutela giurisdizionale offerti al terzo controinteressato devono però rimanere sostanzialmente immutati anche laddove l’intervento edilizio trovi fondamento nella d.i.a. anziché nel provvedimento: l’effettività della tutela, in ragione della ricordata natura privatistica della d.i.a., deve essere tuttavia assicurata al terzo mediante strumenti diversi dall’azione di annullamento.
Lo strumento di tutela non può quindi che essere identificato nell’azione di accertamento autonomo che il terzo può esperire innanzi al giudice amministrativo per sentire pronunciare che non sussistevano i presupposti per svolgere l’attività sulla base di una semplice denuncia di inizio di attività. Emanata la sentenza di accertamento, graverà sull’Amministrazione l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti della condotta posta in essere dal privato, sulla base dei presupposti che il giudice ha ritenuto mancanti.
L’azione di accertamento in tal caso sarà sottoposta allo stesso termine di decadenza (di 60 giorni) previsto per l’azione di annullamento che il terzo avrebbe potuto esperire se l’Amministrazione avesse adottato un permesso di costruire, termine che inizia a decorrere dal momento in cui le originarie ricorrenti sono venute a conoscenza della d.i.a. e della lesività dell'intervento edilizio realizzato sulla base della stessa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2009 n. 717 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIn generale, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, a norma dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, deve precedere l’adozione del provvedimento negativo in relazione ai procedimenti ad istanza di parte.
La giurisprudenza ha evidenziato che il provvedimento adottato dall’amministrazione in relazione alla denunzia di inizio di attività, teso ad inibire l’inizio dell’attività stessa, non è, a rigore, un provvedimento di rigetto. Pur aderendo, infatti, alle più recenti impostazioni che connettono al decorso del termine di 30 giorni la formazione di un titolo abilitativo configurabile quale autorizzazione implicita, resta fermo il fatto che l’intervento inibitorio dell’amministrazione, se ed in quanto esercitato tempestivamente, non può configurarsi come rigetto dell’istanza dell’interessato.
L’onere del preavviso di rigetto, d’altra parte, viene considerato incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, in relazione al quale, peraltro, non sono previste ipotesi di sospensione o interruzione.
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Al vano decorso del termine di 30 giorni, entro cui inibire l'esecuzione dei lavori della presentata DIA, si connette il conseguimento di un titolo abilitativo.
In tale ottica, la d.i.a. non costituisce uno strumento di liberalizzazione dell’attività, quanto piuttosto uno strumento di semplificazione procedimentale, che conduce, nel caso di mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio, alla formazione di un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, assoggettata agli ordinari strumenti di tutela mediante impugnazione, nonché all’esercizio dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione.
Decorso il termine di 30 giorni residua in capo all’amministrazione il solo potere di autotutela, da esercitarsi mediante la rimozione dell’indicato provvedimento implicito di autorizzazione, nel quadro di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all’interessato e previo adempimento degli obblighi motivazionali in ordine alla sussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’adozione di provvedimenti del genere.
È, invece, illegittimo il tardivo esercizio del potere inibitorio, in quanto incidente su un titolo abilitativo ormai formatosi.

La comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, a norma dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, deve precedere l’adozione del provvedimento negativo in relazione ai procedimenti ad istanza di parte.
La giurisprudenza ha evidenziato che il provvedimento adottato dall’amministrazione in relazione alla denunzia di inizio di attività, teso ad inibire l’inizio dell’attività stessa, non è, a rigore, un provvedimento di rigetto. Pur aderendo, infatti, alle più recenti impostazioni che connettono al decorso del termine di 30 giorni la formazione di un titolo abilitativo configurabile quale autorizzazione implicita, resta fermo il fatto che l’intervento inibitorio dell’amministrazione, se ed in quanto esercitato tempestivamente, non può configurarsi come rigetto dell’istanza dell’interessato.
L’onere del preavviso di rigetto, d’altra parte, viene considerato incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, in relazione al quale, peraltro, non sono previste ipotesi di sospensione o interruzione (sul tema dell’inapplicabilità della norma relativa al preavviso di rigetto, Cons. St., sez. IV, 12.09.2007 n. 4828; TAR Piemonte, sez. I, 05.07.2006 n. 2728; TAR Campania Napoli, sez. VI, 23.05.2006, n. 5487; TAR Lombardia Milano, sez. II, 27.03.2006, n. 695).
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Il sesto comma dell’art. 23 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) prevede che, nel caso in cui, ove entro il termine di 30 giorni indicato al primo comma dello stesso articolo, sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento.
È previsto, pertanto, un potere inibitorio dell’attività edilizia di cui alla denuncia, da esercitare nel termine di 30 giorni, decorrente dalla presentazione della denuncia di inizio di attività. Secondo la giurisprudenza più recente al vano decorso di tale termine si connette, come accennato, il conseguimento di un titolo abilitativo. In tale ottica, la d.i.a. non costituisce uno strumento di liberalizzazione dell’attività, quanto piuttosto uno strumento di semplificazione procedimentale, che conduce, nel caso di mancato tempestivo esercizio del potere inibitorio, alla formazione di un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, assoggettata agli ordinari strumenti di tutela mediante impugnazione, nonché all’esercizio dei poteri di autotutela della pubblica amministrazione (Cons. St., sez. IV, 25.11.2008, n. 5811, id., sez. IV, 29.07.2008, n. 3742, id. 05.04.2007, n. 155, TAR Liguria Genova, sez. I, 06.06.2008, n. 1228).
Decorso il termine di 30 giorni, residua in capo all’amministrazione il solo potere di autotutela, da esercitarsi mediante la rimozione dell’indicato provvedimento implicito di autorizzazione, nel quadro di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d’ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all’interessato e previo adempimento degli obblighi motivazionali in ordine alla sussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’adozione di provvedimenti del genere (tra le altre, TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 22.09.2008 n. 1310, TAR Umbria, sez. I, 29.08.2008 n. 549).
È, invece, illegittimo il tardivo esercizio del potere inibitorio, in quanto incidente su un titolo abilitativo ormai formatosi.
Ciò premesso va notato che l’atto in questione, con il quale l’amministrazione intende esercitare il potere inibitorio di cui al menzionato sesto comma, è intervenuto ben oltre il termine di trenta giorni, quando si era già costituito il titolo abilitativo, la cui formazione può essere impedita solo dal tempestivo esercizio del potere sopra indicato.
Ne consegue l’illegittimità del provvedimento in questione, in quanto adottato oltre i termini indicati ed al di fuori dell’ambito di un procedimento di secondo grado
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 06.02.2009 n. 117 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Di Feo, Denuncia d’inizio di attività: natura giuridica e tutela dei terzi controinteressati  (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: In genere - Reati edilizi - Interventi eseguibili in base a denuncia di inizio attività - D.i.a. esclusiva e d.i.a. alternativa - Regime sanzionatorio - Differenze - Individuazione.
In tema di reati edilizi, nel caso in cui la denuncia di inizio attività (DIA) si ponga quale titolo abilitativo esclusivo (art. 22, commi primo e secondo, d.P.R. 06.06.2001, n. 380), solo l'esecuzione di interventi edilizi in difformità sostanziale da quanto stabilito dagli strumenti urbanistici e dai regolamenti edilizi integra il reato di cui all'art. 44, lett. a), d.P.R. n. 380 del 2001.
Diversamente, nel caso in cui la DIA si ponga quale titolo abilitativo alternativo al permesso di costruire (cosiddetto super DIA: art. 22, comma terzo, d.P.R. citato) è configurabile il reato di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. n. 380 del 2001, sia nel caso di assenza del permesso di costruire o della DIA, sia nel caso di difformità totale delle opere eseguite rispetto alla DIA presentata, restando priva di sanzione penale la sola difformità parziale.
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La qualificazione dell'intervento edilizio.
1.1 A giudizio del Collegio si verte inconfutabilmente, nella specie, in tema di ristrutturazione edilizia.
Al riguardo va rilevato che:
   a) Il D.P.R. n. 390 del 2001, art. 3, comma 1, lett. d), -come modificato dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301- definisce interventi di ristrutturazione edilizia quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti".
La ristrutturazione edilizia non è vincolata, pertanto, al rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'edificio esistente e differisce sia dalla manutenzione straordinaria (che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, né modifica della sagoma o mutamento della destinazione d'uso) sia dal restauro e risanamento conservativo (che non può modificare in modo sostanziale l'assetto edilizio preesistente e consente soltanto variazioni d'uso "compatibili" con l'edificio conservato).
La stessa attività di ristrutturazione, del resto, può attuarsi attraverso una serie di interventi che, singolarmente considerati, ben potrebbero ricondursi agli altri tipi dianzi enunciati.
L'elemento caratterizzante, però, è la connessione finalistica delle opere eseguite, che non devono essere riguardate partitamente ma valutate nel loro complesso al fine di individuare se esse siano o meno rivolte al recupero edilizio dello spazio attraverso la realizzazione di un edificio in tutto o in parte nuovo.
Alla stregua di tali considerazioni appaiono ad evidenza infondate le argomentazioni difensive che, nel caso in esame, tendono a frazionare le singole opere realizzate ed a valutarle autonomamente e separatamente nel contesto dell'intervento complessivo di trasformazione dei locali in un supermercato;
   b) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. c), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, assoggetta permesso di costruire quegli interventi di ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero si connettano a mutamenti di destinazione d'uso, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A)”;
   c) Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a), come modificato dal D.Lgs. n. 301 del 2002, prevede, però, che -a scelta dell'interessato ed in alternativa al permesso di costruire- gli interventi di cui all'art 10, comma 1, lett. c), possono essere realizzati anche in base a semplice denunzia di inizio attività.
1.2 La vicenda in oggetto è connotata dalla intervenuta trasformazione dei locati interrati mediante un insieme sistematico di opere, con modifiche riguardanti anche (sia pure lievemente) il prospetto ed inserimento di nuovi elementi ed impianti, che hanno portato ad un organismo diverso dal precedente.
Tale intervento, assoggettato in via ordinaria a permesso di costruire, si sarebbe potuto realizzare (a scelta dell'interessato) -pure in ipotesi di connessa modifica della destinazione d'uso- anche in base a semplice denunzia di inizio attività, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, lett. a).
Nella specie, però, la DIA in concreto presentata non conteneva alcun riferimento ad un mutamento di destinazione d'uso, sicché -ove tale mutamento fosse stato posto in essere- si configurerebbe la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA inoltrata, integrante pur sempre il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).
Giova ricordare, in proposito, che la DIA prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, non è istituto ontologicamente diverso da quello disciplinato dai due commi precedenti dal quale non si distingue certo per il carattere dell'onerosità, che ben può essere comune e differisce da esso soltanto in relazione agli interventi assoggettatali (alternativamente) alla procedura.
Diverso, invece, è il connesso regime sanzionatorio, poiché:
   a) nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, commi 1 e 2, -in cui la DIA si pone come titolo abilitativo esclusivo (non alternativo, cioè, al permesso di costruire)- la mancanza della denunzia di inizio dell'attività o la difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata non comportano l'applicazione di sanzioni penali ma sono sanzionate soltanto in via amministrativa (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 37, comma 6). Dovendo ritenersi, però, che sia comunque punibile ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), -pure se preceduta da rituale denuncia d'inizio- l'esecuzione di interventi sostanzialmente difformi da quanto stabilito da strumenti urbanistici e regolamenti edilizi.
   b) nei casi previsti dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 3, invece -in cui la DIA si pone come alternativa al permesso di costruire- (ai sensi del successivo art. 44, comma 2-bis) l'assenza sia del permesso di costruire sia della denunzia di inizio dell'attività ovvero la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla DIA effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art. 44, lett. b) (vedi Cass.: Sez. 5^, 26.04.2005, Giordano; Sez. 3^: 09.03.2006, n. 8303; 26.01.2004, n. 2579, Tollon). Non trova comunque sanzione penale la difformità parziale (vedi Cass., Sez. 3^, 23.09.2004, Croattini).
Ciò che conta non è la qualificazione dell'intervento data dal privato nella DIA presentata ma la esatta indicazione e descrizione, in tale denuncia, delle opere poi effettivamente eseguite
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.01.2009 n. 9894).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. e manufatti abusivi.
Non è applicabile il regime della D.I.A. a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 20.01.2009 n. 2112 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. e violazione dell’articolo 481 c.p. (falsa attestazione del progettista).
In tema di responsabilità del progettista di lavori edili firmatario di relazione tecnica di asseverazione allegata a denuncia di inizio attività (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1818 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.i.a. (denuncia di inizio attività) - Asseverazione “falsa” del progettista - Responsabilità del professionista "abilitato" - Art. 481 c.p. - Configurabilità - Art. 359 c.p. - Artt. 23 e 29 D.P.R. n. 380/2001, (l'art. 23 succ. sost. d.lgs. n. 301/2002).
La decisione del committente e del suo professionista di non sollecitare mediante richiesta di permesso di costruire il preventivo controllo dell'ente pubblico, e di procedere piuttosto con D.i.a. porta con sé una particolare assunzione di responsabilità del progettista stesso. Per questo motivo, le disposizione contenute negli artt. 23 e 29 del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (l'art. 23 sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002) non lasciano dubbi, nel loro significato letterale, oltre che, nella loro "ratio", che il professionista "abilitato" abbia un duplice obbligo:
a) formare una relazione preventiva in cui si assume l'onere di "asseverare": la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie;
b) rilasciare al termine dei lavori (ove non lo faccia altro tecnico che se ne assume la responsabilità) un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale.
Di conseguenza, la disciplina prevista dal comma terzo dell'art. 29 non può, non essere letta in coerenza con l'art. 23 sopra ricordato e che in tale contesto assume valore decisivo la circostanza che al progettista abilitato venga attribuita la qualità di "persona esercente un servizio di pubblica necessità", ai sensi degli artt. 359 e 481 c.p. e relative responsabilità.
D.i.a. (denuncia di inizio attività) - Rilevanza pubblicistica del professionista abilitato - Responsabilità penale - Sussistenza - Fondamento - Segnalazione di reato all'autorità giudiziaria da parte dell’Ente - Obbligo - Artt. 23 e 29 D.P.R. n. 380/2001, (l'art. 23 succ. sost. d.lgs. n. 301/2002).
La condotta del professionista abilitato assume una specifica rilevanza pubblicistica (art. 29, comma terzo d.P.R. 06.06.2001, n. 380) muovendo da quell'affidamento, che incide sulle previsioni dei commi primo e sesto dell'art. 23 (poi sostituito dal d.lgs. n. 301 del 2002). In particolare, il sesto comma dell'art. 23, dispone in caso di "falsa attestazione" del professionista l'obbligo per l'ente territoriale di inoltrare segnalazione di reato all'autorità giudiziaria anche con riferimento alle disposizioni contenute nel comma settimo dell'art. 23 e nel comma secondo dell'art. 29, in quanto la responsabilità del direttore dei lavori per la difformità delle opere edificate rispetto a quelle contenute nel progetto iniziale allegato alla D.i.a. rafforza il valore della relazione del progettista, che integra la dichiarazione stessa di inizio attività, come atto dotato di piena autonomia e di valore pubblicistico: solo un atto definitivo e in sé compiuto può originare la responsabilità penale per chi esegue in difformità. In altri termini, la costruzione della D.i.a. come atto a controllo successivo rafforza concetto di delega di potestà pubblica al soggetto qualificato, con dichiarazione del progettista che assume valore sostitutivo e quindi "certificativo".
D.i.a - Falsa attestazione posta in essere dal progettista - Tempestivo controllo dell'ente amministrativo - Effetti - Art. 481 c.p..
In materia di D.i.a., l'intervento dell'ente amministrativo che prevenga l'effettuazione dei lavori mediante un tempestivo controllo seguito da immediato ordine di non procedere non esclude la rilevanza penale della condotta di falsa attestazione posta in essere dal progettista.
Permesso di costruire e Dia - Valore ed effetti delle certificazioni dei documenti e delle attestazioni.
In materia edilizia, non hanno valore di certificazione i documenti e le attestazioni allegate alla domanda di concessione, che non assume efficacia se non dopo il vaglio positivo dell'ente pubblico, mentre a diverse conclusioni deve giungersi per la domanda di inizio attività, dotata di autonoma efficacia (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1818 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Costruzione abusiva non sanata - Esecuzione di lavori assoggettabili a DIA - Applicabilità - Esclusione - Categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione - D.P.R. n. 380/2001, art. 44, lett. c) - D.Lgs. n. 42/2004, e reati satelliti.
In materia edilizia, non è applicabile il regime della D.I.A. (denuncia di inizio attività) a lavori edilizi che interessino manufatti abusivi che non siano stati sanati né condonati, in quanto gli interventi ulteriori (sia pure riconducigli, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente (Cass. pen. sez. III, 19.4.2006, n. 21490) (Corte di cassazione, Sez. III penale, sentenza 19.01.2009 n. 1810 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ordine di non effettuare le opere oggetto di D.I.A. - Giurisdizione esclusiva del G.A. - Accertamento dell'assentibilità delle opere - Sussiste.
In materia di D.I.A. il G.A. ha giurisdizione esclusiva, ai sensi dell'art. 19, c. 5, L. 241/1990, con un sindacato esteso all'accertamento del rapporto che consente di scrutinare e di stabilire se la ristrutturazione oggetto della D.I.A. presentata dai ricorrenti avrebbe potuto essere comunque assentita, anche al di là dei motivi di diniego contenuti nel provvedimento impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 16.01.2009 n. 153 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio.
E' ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo –nel termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA stessa– che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.
Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, TAR Abruzzo L'Aquila, 08.06.2005, n. 433).
Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
Secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 15.01.2009 n. 59 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Decorso del termine di 30 giorni per inibire la DIA - Potere in capo all'Amministrazione comunale di esercitare l'autotutela - Sussiste.
2. Terzo asseritamente leso dalla DIA - Potere di indurre l'Amministrazione comunale all'esercizio del potere di autotutela - Sussiste.
1.
La perdita del potere di inibire il perfezionamento della DIA di cui all'art. 42, comma 9 della L.R. n. 12/2005 non impedisce al Comune ex art. 19 L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. di annullare la DIA in autotutela.
2. Il terzo asseritamente leso da una DIA può sollecitare l'esercizio dei poteri di autotutela di cui il Comune dispone ex art. 19 L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 91 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di intervento da parte della P.A. - Necessità di impugnare la D.I.A. - Inammissibilità - Non sussiste.
La D.I.A. edilizia, avendo natura di mero atto del privato e di strumento di liberalizzazione delle attività, non configura un provvedimento tacito di assenso all'edificazione impugnabile, con la conseguenza che la tutela del terzo che si oppone all'intervento attuato tramite D.I.A. si realizza rivolgendo all'Amministrazione formale istanza per l'esercizio della potestà repressiva attribuitale dalla legge ed impugnando il diniego esplicito di intervento da parte della P.A. (nel caso di specie tale scelta procedimentale del ricorrente risulta inoltre essere stata necessitata in quanto lo stesso G.A. adito aveva già ritenuto inammissibile l'impugnazione diretta della D.I.A. proposta precedentemente dal ricorrente) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 14.01.2009 n. 77).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
Poiché con la d.i.a. si è in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, il terzo può contestarla direttamente, entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di d.i.a.
In presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell'istituto della d.i.a., il collegio ritiene preferibile il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., sez VI, 05.04.2007 n. 1550, sez. IV, 29.07.2008 n. 3742, v. ora anche sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che "il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l'adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell'intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l'accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a.".
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento; né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a. Al contrario, egli è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il terzo che si opponga ai lavori edilizi intrapresi tramite D.I.A. è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo formatosi a seguito della stessa.
Il Collegio ritiene preferibile, in presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell’istituto della d.i.a., il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI, 05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n. 3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che “il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a.. Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.".
Si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La d.i.a. costituisce un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale.
Il Collegio ritiene, in presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell’istituto della d.i.a., preferibile il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. St. Sez VI, 05.04.2007 n. 1550, Sez. IV 29.07.2008 n. 3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che "il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a." (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Impugnazione - Oggetto e termini.
Il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l'adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell'intervento, né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l'accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a.
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata: si è quindi in presenza, decorsi i 30 giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l'ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall'avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell'amministrazione, ma direttamente l'assentibilità, o meno, dell'intervento edilizio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 10.01.2009 n. 15 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
Per ciò che concerne la natura della denuncia di inizio attività, la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all’impugnazione, dal che consegue che la relativa decisione giurisdizionale riguarderà quella parte ammissibile dell’impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l’annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge.
Mentre i soggetti terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione di una denuncia di inizio attività, sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come
fattispecie provvedimentale a formazione implicita (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. II, sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa d.i.a. non ha valore di provvedimento amministrativo tacito, ma si configura come atto di parte che consente al privato di intraprendere un'attività, una volta scaduto il termine di decadenza entro il quale l'Amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio; pertanto, il terzo che intende opporsi all'intervento, una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, è legittimato unicamente a presentare all'Amministrazione istanza formale per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure il provvedimento emanato dalla stessa all'esito dell'avvenuta verifica.
Per ciò che concerne la natura della d.i.a., la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all'impugnazione: da ciò consegue che la relativa decisione riguarderà quella parte ammissibile dell'impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l'annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia, ed è impugnabile dal terzo nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto della stessa.
Nel caso di presentazione di d.i.a. l'inutile decorso del termine di 30 giorni, assegnato dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, ben potendo il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o révoca da parte dell'Amministrazione stessa.

In primo luogo, viene eccepita l’inammissibilità del gravame nella parte in cui si impugna una denuncia di inizio attività, invocando il noto orientamento a mente del quale “la denuncia di inizio attività non ha valore di provvedimento amministrativo tacito, ma si configura come atto di parte che consente al privato di intraprendere un'attività, una volta scaduto il termine di decadenza entro il quale l'Amministrazione può esercitare il proprio potere inibitorio; pertanto, il terzo che intende opporsi all'intervento, una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, è legittimato unicamente a presentare all'Amministrazione istanza formale per l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti e ad impugnare l'eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi, oppure il provvedimento emanato dalla stessa all'esito dell'avvenuta verifica" (cfr. Consiglio Stato, sez. V, 22.02.2007, n. 948).
Tale tesi, ribadita anche da una parte della giurisprudenza di primo grado oltre che da alcune prese di posizione della sez IV del Consiglio di Stato, è stata oggetto di numerose critiche, caratterizzate in prevalenza dalle conseguenze negative per le esigenze di tutela dei terzi oltre che di certezza dei rapporti giuridici.
In proposito, questo stesso Tribunale, sin dalla nota presa di posizione di cui alla sentenza n. 113 del 2003 (superata quale costruzione teorica ma non quale chiaro tentativo di dare una risposta completa a tutte le esigenze e gli interessi coinvolti) si è da sempre inserito nel filone giurisprudenziale teso a garantire il rispetto dei suddetti insuperabili paletti: l’effettività della tutela anche giurisdizionale dei terzi, in quanto l’opzione criticata non appare conforme all’art. 24 della Costituzione nella misura in cui scollega la possibilità di agire in sede giurisdizionale dal momento di avvio dei lavori e quindi dalla concreta lesione degli interessi coinvolti; la certezza delle posizioni giuridiche coinvolte, quindi anche (e soprattutto) di chi aspira legittimamente a realizzare gli interventi edilizi ammessi dalla pianificazione vigente senza rischi potenziali di successivi interventi dell’autorità sollecitata da privati la cui legittimazione non sempre è facilmente identificabile per le stesse amministrazioni coinvolte.
In quest’ottica si inserisce quindi l’opzione espressa da ultimo dal Tar Liguria e condensata nella seguente massima: “per ciò che concerne la natura della denuncia di inizio attività, la stessa va equiparata al permesso di costruire quanto all'impugnazione: da ciò consegue che la relativa decisione riguarderà quella parte ammissibile dell'impugnazione, con cui si chiede di voler conseguire l'annullamento del titolo edilizio conseguito dalla controinteressata con il deposito della denuncia, trascorso il tempo di legge" (TAR Liguria Genova, sez. I, 06.06.2008, n. 1228).
Sulla scorta di tali considerazioni l’opinione espressa da larga parte della giurisprudenza di primo grado ha finito col fare breccia a livello di appello, in specie presso la sesta sezione del Consiglio di Stato la quale, non a caso, si è espressa in fattispecie caratterizzate dalla sussistenza del vincolo paesaggistico e dalla conseguente necessità dell’autorizzazione ex d.lgs. 42 del 2004; in proposito è stato quindi affermato che “la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale, a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia, ed è impugnabile dal terzo nell'ordinario termine di decadenza di 60 giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del suo perfezionamento, ovvero, dalla conoscenza del consenso (implicito) all'intervento oggetto della stessa" (Consiglio Stato , sez. VI, 05.04.2007, n. 1550).
Sulla scia di tale condivisibile orientamento risulta poi essersi posta anche altra giurisprudenza di appello, la quale ha circostanziato il relativo adeguamento precisando che nel caso di presentazione di dichiarazione di inizio di attività l'inutile decorso del termine di 30 giorni, assegnato dall'art. 23, t.u. 06.06.2001 n. 380 all'autorità comunale per l'adozione del provvedimento di inibizione ad effettuare il previsto intervento edificatorio, non comporta che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e quindi andare esente dalle sanzioni previste dall'ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi, ben potendo il titolo abilitativo formatosi per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione formare oggetto, alle condizioni previste in via generale dall'ordinamento, di interventi di annullamento d'ufficio o révoca da parte dell'Amministrazione stessa; segue da ciò che, anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell'esercizio di una attività di secondo grado estrinsecantesi nell'annullamento d'ufficio e nella révoca, ma con il limite, per l'ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, che detto potere, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23, comma 6, cit. t.u. n. 380 del 2001, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa; mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio serbato dall'Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., sono legittimati a gravarsi non avverso il silenzio stesso ma, nelle forme dell'ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 25.11.2008, n. 5811)
(TAR Liguria, Sez. II, sentenza 09.01.2009 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATADenuncia Inizio Attività.
Viene formulato quesito inteso a stabilire in quali casi possa avere applicazione il disposto dell’articolo 22, comma 3, lettera c), del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, recante “testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, in virtù del quale può essere utilizzata la d.i.a. (denuncia di inizio di attività) come titolo abilitativo edilizio che legittima interventi di nuova costruzione qualora gli stessi costituiscano diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali che recano precise disposizioni plano-volumetriche (Regione Piemonte, parere n. 165/2008 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATAIntervento di recupero abitativo di sottotetto - Incompletezza della DIA - Inibizione dell'esecuzione - Legittimità.
La DIA deve riportare gli elementi che consentono di individuare con completezza l'intervento di recupero abitativo del sottotetto da realizzare, in quanto l'Amministrazione non ha l'obbligo di colmare le eventuali carenze di tali dati in via deduttiva arguendoli da elementi estranei all'intervento denunciato ed, in particolare, sulla base di quanto previsto nei progetti precedentemente assentiti. Di conseguenza, in carenza della specificazione in sede di DIA di diversi elementi relativi all'intervento di recupero abitativo del sottotetto progettato, risulta legittimo il provvedimento di inibizione dell'intervento adottato dal Comune (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 23.12.2008 n. 6148).

EDILIZIA PRIVATAOrdine di demolizione di opere realizzate con DIA non inibita nei 30 giorni non preceduto da provvedimento di autotutela della DIA - Illegittimità.
E' illegittimo l'ordine di demolizione di opere realizzate in forza di DIA non inibita nei 30 giorni decorrenti dalla sua presentazione, qualora tale ordine non sia preceduto da specifico provvedimento di annullamento in autotutela della DIA (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.12.2008 n. 5752 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di DIA, anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 giorni) l'amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall'ordinamento; in tale contesto, pertanto deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell'amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto consolidamento del titolo.
Presupposti indefettibili affinché la DIA possa essere produttiva di effetti sono la completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nella autocertificazione: il decorso del termine di 30 giorni non può avere alcun effetto di legittimazione dell’intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o incompleta, con la conseguenza che l’Amministrazione ha la facoltà ed il potere di inibire l’attività o di sospendere i lavori, in quanto privi di titolo.
Potere equiparabile non ad un potere di autotutela, poiché non vi è alcun provvedimento su cui intervenire, ma ad un potere di verifica della non formazione della DIA, con conseguente ordine di interruzione dei lavori; per tale motivo l’esercizio tale potere non è sottoposto al termine perentorio di 30 giorni, che presuppone invece che la DIA sia completa nei suoi elementi essenziali (in tal senso TAR Veneto Venezia, sez. II, 18.12.2006, n. 4095, secondo cui “La denuncia di inizio attività prevista dall'art. 23, D.P.R. n. 380 del 2001 costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento, sul quale la p.a. svolge un'eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell'effettivo svolgimento dell'attività) del titolo legittimante l'inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l'attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 giorni) l'amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall'ordinamento; in tale contesto, pertanto deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell'amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto consolidamento del titolo”.).
Il provvedimento inibitorio emesso rispetto ad un intervento edilizio realizzato in base ad una DIA irregolare, al pari del provvedimento sanzionatorio di un illecito edilizio, è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata irregolarità dell'intervento, essendo in re ipsa l'interesse pubblico alla rimozione dell’abuso -anche se risalente nel tempo– o all’interruzione delle opere, senza necessità di una specifica comparazione con gli interessi privati coinvolti o sacrificati (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 09.12.2008 n. 5737 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Impugnazione di ordinanza di demolizione di opere eseguite con DIA - Vendita del terreno su cui insistono le opere - Difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti - Carenza di interesse - Non sussiste.
2. Sospensione dei lavori autorizzati con DIA - Ordinanza di demolizione di opere eseguite con DIA - Violazione dell'art. 27 c. 1 e 3 D.P.R. 380/2001 - Conservazione dei poteri sanzionatori e di controllo da parte dell'Amministrazione - Legittimità.

1. L'eccezione preliminare di difetto di legittimazione attiva sollevata dal Comune, poiché, in particolare, sarebbe venuto meno l'interesse di una delle società ricorrenti per avere venduto, prima dell'intentato ricorso, il terreno su cui insistono le opere, ad altro privato e non vanterebbe a maggior ragione interesse l'altra società ricorrente, in quanto mera esecutrice dei lavori per conto della prima, è infondata in quanto entrambe le società ricorrenti risultano dirette destinatarie dell'ordine di demolizione e, per questo solo, interessate alla rimozione dell'ordine medesimo.
2. L'ordinanza di demolizione di opere adottata dal Comune, in violazione dell'art. 27, c. 3, DPR 380/2001, secondo cui in caso di sospensione lavori gli ulteriori provvedimenti definitivi devono intervenire entro 45 giorni, deve essere ritenuta legittima in quanto l'inutile decorso del termine di 45 giorni fa perdere automaticamente efficacia all'ordinanza di sospensione lavori ma non consuma il potere dell'amministrazione di emettere eventuali successivi provvedimenti sanzionatori dell'illecito riscontrato. Similmente risulta infondata l'eccezione di illegittimità dell'ordinanza di demolizione per essere emessa trascorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA, in quanto, anche una volta che sia decorso il temine di 30 giorni di cui all'art. 23, c. 1, D.P.R. 380/2001, per l'esercizio dei poteri inibitori, l'Amministrazione può sempre esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie ed agire in via sanzionatoria (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 05.12.2008 n. 5730).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
La d.i.a., in virtù di una preventiva valutazione legale tipica, si traduce in un’autorizzazione implicita all’effettuazione dell’attività edilizia, con la conseguenza che i terzi lesi possono impugnare innanzi al giudice amministrativo il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550 e sez. V, 20.01.2003, n. 172) (massima tratta da www.studiospallino.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado (estrinsecantisi nell’annullamento d’ufficio e nella révoca); mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio prestato dall’Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., si graveranno legittimamente non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell’ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo, che, formatosi e consolidatosi nei modi di cui sopra, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita.
In relazione all’istituto della D.I.A., previsto in via generale dall’art. 19 della legge n. 241/1990 (che ad ogni modo fa salve le discipline di settore: cfr. il comma 4), il moltiplicarsi della normativa in materia ha portato ad una vera e propria frantumazione dell'istituto in parola in una pluralità di istituti diversi, ciascuno dei quali assoggettato ad un regime più o meno peculiare (v., sul punto, Cons. St., sez. IV, 22.07.2005, n. 3916).
Sulla base dell'interpretazione tradizionale, che della denuncia d'inizio attività hanno dato sia ampi settori della giurisprudenza (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 04.09.2002, n. 4453), sia parte della dottrina, va escluso che dalla D.I.A. possa nascere un atto amministrativo, perché si tratterebbe di atto soggettivamente e oggettivamente privato, che ha soltanto il valore di una comunicazione fatta dal privato alla Pubblica Amministrazione circa la propria intenzione di realizzare un'attività direttamente conformata dalla legge e non necessita di titoli provvedimentali (sulla natura di mera informativa della D.I.A. v. anche Cass. civ., Sez. I, 24.07.2003, n. 11478); sì che, si conclude sulla base di tali premesse, la domanda di annullamento della D.I.A. è inammissibile, in quanto la D.I.A. è e rimane un mero atto di iniziativa privata, per ciò solo non impugnabile davanti al Giudice Amministrativo.
Da una tale ricostruzione dell'istituto sorgono tuttavia rilevanti problemi sostanziali e processuali.
Si è posto in particolare l’articolato problema dell'esatta natura giuridica del silenzio eventualmente mantenuto dall'amministrazione nei venti giorni successivi alla presentazione di una denuncia di inizio attività (nello specifico modulo delineato in materia edilizia dalla legge n. 662/1996), dei rimedi giurisdizionali di cui il terzo dispone per opporsi all'esecuzione dei lavori intrapresi in base alla semplice denuncia del loro inizio da parte dell'interessato (in particolare nel caso che l'Amministrazione non adotti un formale provvedimento inibitorio nel termine dei venti giorni prescritti dalla norma, prima che l'attività denunciata possa essere intrapresa dall'interessato) e, dunque, se il comportamento silente in questione sia giuridicamente qualificabile come "inadempimento" e come tale sia quindi giustiziabile (solo) secondo il rito speciale di cui all'art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971 (tesi appunto sostenuta qui dall’appellante principale).
Alla risoluzione del problema concorrono, sottolinea il Collegio, una serie di elementi logico-normativi.
Occorre premettere che l'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662 e successive modificazioni (sostituendo il testo dell'art. 4 del decreto legge 05.10.1993, n. 398, convertito nella legge 04.12.1993, n. 493) ha introdotto nel nostro ordinamento la facoltà di eseguire taluni specifici interventi edilizi previa mera Denuncia di Inizio di Attività, ai sensi e per gli effetti dell'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 (nel testo sostituito dall'art. 2 della legge 24.12.1993, n. 537), per cui in tali casi l'atto di consenso dell’Amministrazione si intende sostituito dalla D.I.A. (c.d. "deregulation").
Il comma undicesimo dell'art. 4 della citata legge 04.12.1993 n. 493 e ss. mm. statuiva, in particolare, che: "Nei casi di cui al comma 7°, venti giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, l'interessato deve presentare la denuncia di inizio dell'attività, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato, nonché dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati ed ai regolamenti edilizi vigenti ...".
Disponeva, poi, il comma quindicesimo del medesimo art. 4 che: "Nei casi di cui al comma 7°, il Sindaco, ove entro il termine indicato al comma 11°, sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica agli interessati l'ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni e, nei casi di false attestazioni dei professionisti abilitati, ne dà contestuale notizia all'autorità giudiziaria ed al consiglio dell'ordine di appartenenza".
Insomma, alla stregua di dette norme, spettava all'Autorità Comunale, nel termine di venti giorni dalla presentazione della denuncia (periodo che doveva essere lasciato libero prima di iniziare i lavori), verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti della procedura ed il rispetto delle prescrizioni di legge; qualora venisse riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, spettava al dirigente del competente ufficio comunale (in virtù dello spostamento di competenze gestorie operato dall'art. 45 del decreto legislativo 31.03.1998, n. 80) ordinare agli interessati, con provvedimento motivato da notificarsi entro il termine anzidetto, di non effettuare le previste trasformazioni.
A disciplinare siffatta D.I.A. è poi sopravvenuto il T.U. in materia edilizia 06.06.2001, n. 380.
Esso, nell’abrogare il ridetto art. 4 del decreto legge 05.10.1993, n. 398, convertito nella legge 04.12.1993, n. 493 (art. 136, comma 1, lett. g)), ha modificato il veduto assetto normativo.
In particolare, l'art 23 (R) [ la cui rubrica reca: - (L comma 3 e 4 - R comma 1, 2, 5, 6 e 7) (Disciplina della denuncia di inizio attività) - (legge 24.12.1993, n. 537, art. 2, comma 10, che sostituisce l'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241; decreto-legge 05.10.1993, n. 398, art. 4, commi 8-bis, 9, 10, 11, 14, e 15, come modificato dall'art. 2, comma 60, della legge 23.12.1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 10 del decreto-legge 31.12.1996, n. 669) ] prescrive che:
- comma 1: "il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia ...";
- comma 5: “la sussistenza del titolo è provata con la copia della denuncia di inizio attività da cui risulti la data di ricevimento della denuncia, l'elenco di quanto presentato a corredo del progetto, l'attestazione del professionista abilitato, nonché gli atti di assenso eventualmente necessari”;
- comma 6: "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento ... ".
Il T.U. per l'edilizia ha, quindi, espressamente collocato allo scadere del trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il quale l'interessato può iniziare i lavori ed il termine ultimo entro il quale la P.A. può inibire l'inizio delle opere; in altre parole, ha unificato i due termini in questione, ampliando quello relativo all'inizio dei lavori e dimezzando quello relativo all'adozione di eventuali misure inibitorie preventive (Cons. St., V, 29.01.2004, n. 308).
Ciò premesso, va poi ricordato che la D.I.A. edilizia costituisce species (la cui disciplina prevale sui quella generale) di un particolare tipo di procedimento semplificato ed accelerato, introdotto, come s’è già detto, in via generale dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241, riguardante, appunto, la c.d. denuncia di inizio di attività, il cui aspetto contenutistico e sostanziale va oggi valutato alla luce delle modificazioni apportate all’istituto dalla legge 14.05.2005, n. 80.
Si tratta invero di un istituto del tutto peculiare (che consente oggi al privato l’esercizio di una certa attività comunque rilevante per l’ordinamento, già subordinato a qualsivoglia forma di autorizzazione -il cui rilascio dipendesse esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti fissati dalla legge o da atto amministrativo generale- a prescindere dalla emanazione di un espresso provvedimento amministrativo), comunque assimilabile ad una istanza autorizzatòria, che, con il decorso del términe di legge, provoca la formazione di un “titolo”, che rende lecito l’esercizio dell’attività e cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza.
Si prevede a tal fine una doppia comunicazione da parte del privato.
La prima consiste in una dichiarazione dell’interessato, “corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste”.
Con la seconda, il soggetto comunica che ad una certa data (non anteriore ai trenta giorni dalla presentazione della anzidetta dichiarazione) inizierà una certa attività (di solito produttiva) e, se entro un termine stabilito decorrente da tale comunicazione (trenta giorni, il cui computo inizia dal momento in cui la stessa sia stata ricevuta al protocollo generale dell’ente) l'Amministrazione non ne inibisce la prosecuzione (con un atto che ha natura di accertamento dei motivi giuridico-fattuali ostativi allo svolgimento dell’attività e dunque del tutto analogo ad un provvedimento di diniego di un atto autorizzatòrio dell’attività medesima, sì che deve ritenersi in tal caso applicabile il disposto dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e che invece, verificandosi in tale ipotesi una sorta di inversione procedimentale, non necessita di previa comunicazione dell’avvio del procedimento: Consiglio Stato, sez. VI, 23.12.2005, n. 7359), il titolo si consolida, salvo, naturalmente, l'intervento successivo di interdizione dell'attività, che può intervenire in tutti i casi di accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti, al cui possesso l’ordinamento di settore subordini l’espletamento dell’attività medesima (Cons. St., IV, 26.07.2004, n. 5323).
L’atto di comunicazione dell’avvio dell'attività, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio-assenso, disciplinato dall'articolo 20 della stessa legge n. 241/1990, non è una domanda, ma una informativa, cui è subordinato l'esercizio del diritto.
E il provvedimento, rispetto al quale l'amministrazione potrà esercitare poteri di autotutela (non solo vincolati a carattere repressivo, ma anche discrezionali di secondo grado, come oggi espressamente previsto dal secondo periodo del comma 3 del nuovo art. 19), si forma con l’esperimento di un ben delineato mòdulo procedimentale, all’interno del quale la D.I.A. costituisce pur sempre una autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sulla quale la pubblica amministrazione svolge una attività eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a séguito del mero decorso di detto periodo di tempo (e non, dunque, dell’effettivo svolgimento della attività medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attività del privato.
Quanto al decorso del termine di trenta giorni, sembra ormai chiaro:
- che il consolidamento del titolo non possa comportare la possibilità che l'attività del privato, ancorché del tutto difforme dal paradigma normativo, possa considerarsi lecitamente effettuata e, dunque, possa andare esente dalle sanzioni previste dall’ordinamento per il caso di sua mancata rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi;
- che il titolo stesso, in tal caso, possa esser fatto oggetto, alle condizioni previste in via generale dall’ordinamento, di interventi di annullamento d’ufficio o révoca da parte dell’Amministrazione.
In proposito, sembra decisivo:
- il fatto che l'art. 21 della legge n. 241 del 1990 stabilisce che le sanzioni già previste per le attività svolte senza la prescritta autorizzazione siano applicate quando una attività, pur dopo la comunicazione all'amministrazione, venga iniziata in mancanza dei requisiti richiesti o comunque in contrasto con le disposizioni di legge (comma 2) e che lo stesso art. 21, al comma 2-bis, configura l’inizio della attività “ai sensi degli articoli 19 e 20” non preclusivo dell’esercizio delle “attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte di pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti”;
- che la veduta odierna previsione espressa del potere dell’Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela (v. il comma 3 del nuovo art. 19) presuppone un provvedimento, o comunque un titolo, su cui intervenire;
- che, con specifico riferimento alla D.I.A. edilizia, il comma 2-bis dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 prevede la possibilità di “accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo”, detta ipotesi equiparando ai casi di “permesso annullato”;
- che l’esercizio dei poteri di vigilanza e repressivi rappresenta, in via generale, una delle imprescindibili modalità di cura dell’interesse pubblico affidato all’una od all’altra branca dell’Amministrazione ed è espressione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.;
- che, nella specifica materia dell’attività urbanistico-edilizia, un potere specifico di vigilanza (esercitabile, per la sua stessa natura, anche mediante provvedimenti innominati), vòlto ad “assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”, è affidato dalla legge al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001).
Pertanto, anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado (estrinsecantisi nell’annullamento d’ufficio e nella révoca, a proposito dei quali va peraltro rilevato che, nell'ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l'esercizio dei poteri inibitori ex art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380/2001, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa); mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio prestato dall’Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., si graveranno legittimamente non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell’ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo, che, formatosi e consolidatosi nei modi di cui sopra, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita.
Né alla opposta tesi, di cui si fa in questa sede portatore l’appellante principale, può aderirsi nemmeno in relazione al periodo, che viene appunto qui in considerazione in relazione alla data di formazione del titolo oggetto del giudizio, anteriore alle modifiche apportate all’istituto dalla legge n. 80/2005, atteso che la veduta introduzione, ad opera di detta legge, di poteri di autotutela in capo all’amministrazione, pur certamente significativa ai fini della ricostruzione dell’istituto come sopra operata, non sembra tuttavia decisiva, ed autonomamente rilevante, ai fini della stessa e della risultante qualificazione dell’istituto stesso; la quale, legata, come s’è visto a ben più ampi e diversificati presupposti e riscontri di carattere logico e normativo, non può che essere riferita anche ai provvedimenti formatisi anteriormente alla novellazione della legge n. 241/1990 operata dal legislatore del 2005, rilevando in particolare, per quanto specificamente attiene alla D.I.A. edilizia, l'art. 38, comma 2-bis e dall'art. 39, comma 5-bis, del D.P.R. n. 380/2001, in forza dei quali risultano estese agli interventi realizzati con D.I.A. sia la disciplina degli interventi eseguiti in base a permesso annullato (il che presuppone evidentemente che la D.I.A. costituisca un titolo suscettibile di annullamento), sia la possibilità di annullamento straordinario da parte della Regione
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.11.2008 n. 5811 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività - Provvedimento comunale di inibitoria - Termine - Perentorietà - Sussistenza - Potere di vigilanza e repressione - Permane.
Il termine di 30 giorni, previsto ai fini dell'adozione del provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della denuncia di inizio attività per l'esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio. Decorso tale termine, permane il potere dell'Amministrazione comunale di potere e vigilanza e controllo sull'attività edilizia che non deve però più svolgersi nelle forme dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela di cui agli articoli 21-quinquies e 21-nonies legge 241/1990 e s.m.i. e quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 24.11.2008 n. 5539).

EDILIZIA PRIVATA1. Art. 10-bis Legge 241/1990 - Denuncia di inizio attività ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Provvedimento negativo - Obbligo di preavviso - Non sussiste - Ratio.
2. Art. 10-bis Legge 241/1990 - Denuncia di inizio attività ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Inapplicabilità - Ratio.
1. In caso di D.I.A. non sussiste l'obbligo dell'amministrazione di inviare all'interessato il c.d. preavviso di provvedimento negativo: ciò, in quanto, da un lato, in presenza di tale titolo abilitativo la diffida a non eseguire le opere non corrisponde ad un atto di diniego dell'istanza ed in considerazione, dall'altro, della speciale disciplina "della notifica all'interessato" dell'"ordine motivato di non effettuare il previsto intervento", contenuta nel comma 6, articolo 23 T.U. edilizia in cui già è prevista la motivazione dell'ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia".
2. L'art. 10-bis L. 241/1990 è inapplicabile alla D.I.A. per il fatto che, in tale fattispecie, l'atto di diffida è negativo ma non è -a rigore- un rigetto della istanza (cfr. TAR Milano, sent. n. 6542/2007); inoltre, il preavviso per l'ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale la P.A. deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 07.11.2008 n. 5245 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Potere comunale di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persiste.
2. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Potere comunale di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persiste - Presupposti e ratio.
3. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Potere inibitorio ex art. 42, comma 9 L.R. 12/2005 - Non sussiste - Potere comunali di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persiste.

1. In materia di D.I.A., benché alla scadenza del termine previsto dalla legge per le verifiche di competenza della P.A. non si formi un provvedimento autorizzativo tacito, residua comunque in capo all'Amministrazione il potere di vigilanza edilizia, soggetto ai principi ed alle forme dell'autotutela.
2. Ai sensi dell'art. 21-nonies L. 241/1990, il potere di autotutela va esercitato "sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati": l'applicazione di tali principi trova una parziale deroga in materia edilizia, atteso che il potere di vigilanza edilizia di cui all'art. 27 D.P.R. 380/2001, attribuisce al potere in questione il carattere della vincolatezza ed il suo esercizio è pertanto doveroso, con la conseguenza che l'interesse pubblico al suo esercizio è da ritenere in re ipsa, senza bisogno di una sua esplicitazione ulteriore o di comparazione con gli interessi del privato (le conclusioni alle quali giunge il TAR con la sentenza massimata si pongono in contrasto con il decisum della sentenza n. 5162 del 17.10.2008 che aveva affermato un principio di tenore opposto).
3. Non può ritenersi leso l'affidamento che sorge dalla scadenza del termine di 30 giorni previsto per l'esercizio del potere di controllo della D.I.A., in quanto esso consiste nel ragionevole affidamento che, decorso il termine previsto, la P.A. non eserciti più il potere inibitorio previsto dall'art. 42, comma 9, L.R. 12/2005 e non può avere per oggetto il successivo potere di vigilanza edilizia esercitato in concreto dall'Amministrazione (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 30.10.2008 n. 5224 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Potere comunale di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persiste.
2. Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Potere comunale di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persiste - Presupposti e ratio.

1. In materia di D.I.A., benché alla scadenza del termine previsto dalla legge per le verifiche di competenza della P.A. non si formi un provvedimento autorizzativo tacito, residua comunque in capo all'Amministrazione il potere di vigilanza edilizia, soggetto ai principi ed alle forme dell'autotutela.
2. Ai sensi dell'art. 21-nonies L. 241/1990, il potere di autotutela va esercitato "sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati".
L'annullamento d'ufficio rientra nell'esercizio del potere di autotutela che è espressione della discrezionalità dell'amministrazione. Il suo esercizio richiede la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell'atto da eliminare e non è sufficiente il puro e semplice ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e procedere alla comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.10.2008 n. 5162).

EDILIZIA PRIVATASul potere inibitorio del Comune nel caso di presentazione di una D.I.A..
Sulla base dell’orientamento conforme della giurisprudenza in materia edilizia il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine di 30 giorni dalla presentazione della DIA, termine da considerarsi perentorio, con la conseguenza che, oltre detto termine il potere di riscontro a fini inibitori attribuito alla PA è esaurito e la stessa può provvedere solo con l’esercizio del potere di autotutela e al generale potere di controllo sulle attività di trasformazione edilizia del territorio (cfr. Tar Lombardia, Milano, sez. II, 17.01.2006, n. 72; Tar Campania, Salerno, sez. II, 20.07.2006, n. 1107; Cons. Stato, sez. IV, 12.09.2007, n. 4828; Cass. Pen., sez. III, 29.01.2008, n. 11113) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 08.10.2008 n. 8840 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl decorso dei 30 gg. dalla data di presentazione della d.i.a. non impedisce -al Comune- l'esercizio del suo ordinario potere sanzionatorio-repressivo per ogni trasformazione edilizia contrastante con la disciplina urbanistica.
Nel procedimento di denuncia di inizio di attività, disciplinato dall'art. 23 T.U. 06.06.2001 n. 380, la scadenza del termine perentorio di trenta giorni preclude all'Autorità comunale competente l'esercizio del suo potere di controllo a fini inibitori (previsto dal comma 6, in relazione al comma 1), ma non impedisce l'esercizio del suo ordinario potere sanzionatorio-repressivo per ogni trasformazione edilizia contrastante con la disciplina urbanistica.
Rimane pertanto impregiudicato il potere-dovere del Comune e dell'Autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui l'intervento realizzato a seguito della presentazione della denuncia di inizio di attività, risulti sottoposto a permesso di costruire (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 06.10.2008 n. 1822 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'impugnazione della d.i.a. da parte di terzi.
Secondo un orientamento giurisprudenziale dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi, la presentazione della d.i.a. è finalizzata alla formazione di un atto implicitamente provvedimentale di tacito assenso, che -perciostesso- è direttamente impugnabile dai terzi interessati innanzi al Giudice Amministrativo (C.S., VI^, 05.04.2007 n. 1550) (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 03.10.2008 n. 8750 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Realizzazione di un campo da tennis e sufficienza della DIA..
Per la realizzazione di un campo da tennis, che non comporta la creazione di nuovi volumi, è sufficiente la denuncia di inizio di attività, la cui mancanza non ha rilevanza penale (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 24.09.2008 n. 36560 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso in cui l’opera edilizia richiesta con d.i.a. non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione il Comune può intervenire solo con un atto di autotutela, analogo a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un’autorizzazione espressa.
In merito all’adozione di un provvedimento inibitorio dell’efficacia della d.i.a., è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, della legge 241/1990, come sostituito dall’articolo 3 del d.l. 35/2005, convertito in legge 80/2005 “L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione (…) adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni”.
La giurisprudenza più recente (cfr. TAR Liguria, I, 19.03.2008, n. 418; TAR Campania, Napoli, II, 07.03.2008, n. 1167; TAR Emilia Romagna, Bologna, II, 02.10.2007, n. 2253; Tar Basilicata, 12.07.2007, n. 502; TAR Abruzzo, Pescara, 19.09.2005, n. 498) ritiene che con la nuova formulazione della legge 241/1990, anche la “denuncia” (oggi “dichiarazione”) di inizio attività in materia urbanistico-edilizia sia stata ridisciplinata nel senso che, ove non sia stata interdetta nei termini l’esecuzione dell’opera, l’amministrazione, nel caso in cui l’opera edilizia non sia conforme alle disposizioni prescritte per la sua realizzazione, può intervenire sulla situazione così determinatasi –e cioè rimuovere gli effetti dell’atto abilitativo tacito formatosi per effetto del decorso del termine- solo con un atto di autotutela, analogo (anche per quanto riguarda i presupposti ed il modus procedendi) a quello che sarebbe possibile adottare per rimuovere un’autorizzazione espressa.
In altri termini, una volta formatosi il titolo edilizio conseguente alla d.i.a., l'intervento in autotutela dell'Amministrazione può essere giustificato soltanto nell'ambito di un procedimento di secondo grado di annullamento o revoca d'ufficio, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies, della legge 241/1990, previo avviso di avvio del procedimento all'interessato e previa confutazione, ove ne sussistano i presupposti, delle ragioni dallo stesso eventualmente presentate nell'ambito della partecipazione al procedimento (cfr. TAR Sicilia, Catania, I, 09.01.2008, n. 74) (TAR Umbria, sentenza 29.08.2008 n. 549 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAÈ inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990.
La denunzia di inizio attività costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento, sul quale la PA svolge un'eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell'effettivo svolgimento dell'attività) del titolo legittimante l'inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l'attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l'Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005 n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell'Amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i lavori coincide con l’ordine motivato di non effettuare i lavori di cui alla disciplina della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non iniziare i lavori non corrisponde all’atto di diniego di una istanza di parte di provvedimento favorevole e quindi non deve essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che la dia è provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l’ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale (favorevole), a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una sorta di autoamministrazione, secondo alcuni, di autorizzazione implicita (positiva) di natura provvedimentale per altra ricostruzione, che può essere succeduta da ordine (negativo) di non iniziare i lavori o può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come ristretto nei suoi tempi procedimentali, non coincide con la ipotesi di provvedimento (negativo) su istanza di parte di provvedimento positivo; pertanto, a tale diffida-ordine non si applica l’istituto del c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova applicazione solo nell'ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull'istanza (di provvedimento positivo) presentata dal privato e non nel caso di presentazione di denunzia di inizio di attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che l'onere del preavviso di diniego è incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se non rilevante nella specie, il principio evocato dall’appellante comune, secondo cui in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione sul c.d. preavviso di diniego essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies della citata l. n. 241 del 1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.09.2007 n. 4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'opposizione del terzo nei confronti dell'esecuzione di lavori edilizi mediante D.I.A..
Secondo il recente orientamento di questo Consesso (Sez VI, 05.04.2007 n. 1550), dal quale non si ha ragione di doversi discostare, il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento.
Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a..
Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.
Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.07.2008 n. 3742 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAI lavori soggetti a DIA semplice non sempre, se abusivi, sono soggetti a sanzione pecuniaria.
La sottoposizione a DIA semplice non implica che la violazione delle norme edilizie sulle recinzioni abbia come unica conseguenza l’applicazione di una sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 37 comma 1 del DPR 380/2001. Occorre infatti tenere presenti due circostanze:
a) in base all’art. 3 comma 1 lett.e6 del DPR 380/2001 e all’art. 27 comma 1 lett.e6 della LR 11.03.2005 n. 12 la definizione edilizia di pertinenza è rimessa agli strumenti urbanistici e ai regolamenti comunali e dunque anche per questi interventi le facoltà edificatorie sono strettamente conformate dal potere pubblico di programmazione del territorio;
b) l’art. 37 comma 4 del DPR 380/2001 ammette la sanatoria degli interventi soggetti a DIA solo se l'intervento realizzato rispetti la disciplina urbanistica ed edilizia in vigore al momento della realizzazione dell'intervento e al momento della presentazione della domanda.
Di conseguenza anche le recinzioni irregolari quando superano i limiti previsti dalle norme urbanistiche comunali possono essere oggetto di ordini di rimozione.
Nel caso in esame l’intervento edilizio è in contrasto con l’art. 12 punto 7 delle NTA, il quale definisce in dettaglio le caratteristiche delle recinzioni ammissibili in zona A. Al riguardo occorre sottolineare che una disciplina restrittiva della facoltà di realizzare recinzioni non viola il diritto di chiusura del fondo previsto dall’art. 841 del codice civile. Anche il posizionamento delle recinzioni, come le altre facoltà inerenti al diritto di proprietà, è conformato da un potere pubblico a tutela di interessi di natura urbanistica. Il corretto uso di tale potere deve essere verificato in concreto. Nello specifico la scelta di limitare l’altezza delle recinzioni e di precisarne le modalità costruttive può essere considerata utile e proporzionata, in quanto tutela il continuum visivo dell’area edificata consentendo la chiusura dei fondi ma evitando l’effetto di frammentazione e la perdita delle caratteristiche d’insieme dei luoghi (queste ultime di particolare rilievo, trattandosi di una zona A) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 25.07.2008 n. 840 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR 12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”) individui oltre al proprietario altre due categorie di soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale diverso dalla proprietà che conferisca il potere di modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto a questi si possono considerare legittimati quanti dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino aspettative edificatorie.
La promessa di vendita, e in generale il preliminare di compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli idonei, purché non vi sia una clausola con un divieto espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di definire le questioni edilizie in attesa del contratto definitivo.
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8. Con il primo motivo di ricorso viene in rilievo la questione della legittimazione del geom. Fr.Da. a presentare la DIA.
Questo problema è alla base sia della censura del ricorrente, che lamenta la violazione dell’art. 42, comma 1, della LR 12/2005, sia dell’eccezione di inammissibilità formulata dai controinteressati, i quali sostengono che il ricorso avrebbe dovuto essere instaurato nei confronti della società Ed. 90 snc.
9. Per quanto riguarda la presentazione della DIA si ritiene che l’espressione utilizzata dall’art. 42, comma 1, della LR 12/2005 (“il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività”) individui oltre al proprietario altre due categorie di soggetti.
In primo luogo coloro che dispongono di un diritto reale diverso dalla proprietà che conferisca il potere di modificare l’immobile attraverso interventi edilizi. Accanto a questi si possono considerare legittimati quanti dispongano di un diritto di natura personale da cui derivino aspettative edificatorie. La promessa di vendita, e in generale il preliminare di compravendita, costituiscono sotto questo profilo titoli idonei (v. CS Sez. VI 03.12.2004 n. 7847), purché non vi sia una clausola con un divieto espresso che riservi al promittente venditore la facoltà di definire le questioni edilizie in attesa del contratto definitivo.
Nel caso in esame la promessa di vendita contiene tra i patti speciali una dichiarazione di disponibilità del promittente venditore a “firmare l’eventuale documentazione necessaria all’inoltro della pratica edilizia al Comune” e il consenso all’effettuazione di misurazioni e rilievi da parte del promissario acquirente. Queste formule possono essere interpretate come manifestazioni della volontà di trasferire immediatamente al promissario acquirente ogni potere circa l’edificazione: del resto la vendita di un lotto edificabile ha come finalità intrinseca, nota alle parti, proprio la realizzazione di un intervento edilizio.
Di conseguenza la disponibilità a firmare la documentazione va intesa come impegno del promittente venditore a favorire una rapida conclusione della procedura edilizia: a tale scopo il promittente venditore si impegna a presentare a proprio nome (o a controfirmare) una richiesta di permesso di costruire (o una DIA) nell’eventualità che l’amministrazione non accetti una simile richiesta formulata dal solo promissario acquirente.
In conclusione non vi è nella promessa di vendita alcun elemento che privi il promissario acquirente della legittimazione a presentare una DIA. Occorre poi sottolineare, trattandosi di promessa per persona da nominare, che qualora l’effettivo acquirente sia un terzo è comunque applicabile l’istituto della ratifica ex art. 2032 cc. e conseguentemente il nuovo proprietario può consolidare a proprio vantaggio gli effetti del titolo edificatorio. In concreto la funzione della ratifica è stata svolta dalla volturazione della DIA su richiesta della società Ed. 90 snc (v. sopra al punto 3)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  DIA - Presentazione - Categorie di soggetti - Legittimità.
Ai fini della presentazione della DIA, la L.r. n. 12/2005 individua oltre al proprietario altre categorie di soggetti: coloro che dispongono di un diritto reale diverso dalla proprietà che conferisca il potere di modificare l'immobile attraverso interventi edilizi; quanti dispongono di un diritto di natura personale da cui derivino aspettative edificatorie. La promessa di vendita, e in generale il preliminare di compravendita, costituiscono titoli idonei salvo clausola con divieto espresso che riservi al promettente venditore la facoltà di definire le questioni edilizie in attesa del contratto definitivo. (CDS sez. VI, n. 7847/2004)
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 19.07.2008 n. 830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAD.i.a. e responsabilità del progettista.
L'art. 23 DPR 380/2001 prevede che la denuncia di inizio di attività venga accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie (comma 1) e che sia corredata dalla indicazione della impresa (comma 2). Non è prevista invece la nomina di un direttore dei lavori.
Il legislatore ha evidentemente ritenuta superflua siffatta nomina, stante il ruolo complesso ed impegnativo affidato al progettista in relazione non solo all'osservanza delle previsioni urbanistiche, ma anche delle norme in materia di sicurezza e di igiene e sanità.
Ed il rispetto di tali norme non può, ovviamente, essere solo enunciato al momento della presentazione della relazione, ma (per avere un significato concreto) deve essere controllato soprattutto nel corso della esecuzione dei lavori. Deve ritenersi, quindi, che il progettista abbia un connesso obbligo di vigilanza (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 10.07.2008 n. 28267 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Quesito 4 :
- Legittimità di un provvedimento di sospensione dei lavori iniziati a seguito della presentazione della d.i.a. non proceduto dal preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis della legge n. 241/1990;
- Qualificazione della ristrutturazione edilizia rispetto alla manutenzione ordinaria;
- Natura giuridica della convenzione di lottizzazione (Geometra Orobico n. 3/2008).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Scadenza del termine - Poteri comunali di vigilanza, sanzione ed autotutela - Persistenza - Ratio normativa.
In caso di D.I.A., di cui all'art. 2, comma 60, Legge 662/1996, lo spirare del termine di 20 giorni, fissato per riscontrare la sussistenza delle condizioni legali necessarie per intraprendere le attività denunciate, non impedisce all'Autorità Comunale di adottare, mediante intervento analogo a quello esercitabile in sede di autotutela, i provvedimenti inibitori del caso a fronte di un intervento che contrasti con la normativa urbanistica ed edilizia. Ciò, poiché lo strumento della D.I.A. in materia edilizia rientra nel più generale istituto della "denuncia in luogo di autorizzazione" (c.d. deregulation) delineato dall'art. 19 Legge 241/1990, e che l'art. 21, comma 2, Legge 241/1990 raccorda la procedura della D.I.A. a tutto il sistema sanzionatorio già operante, contemplando un generale potere di intervento successivo della P.A. per l'ipotesi in cui l'inizio dell'attività ex art. 19 sia avvenuto in contrasto con la normativa di legge
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.05.2008 n. 1802 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASulla sanzione delle opere realizzate in difformità dalla D.I.A..
L’Amministrazione Comunale, nonostante il decorso del termine perentorio di trenta giorni, può, comunque, esercitare in ogni tempo il suo generale potere di controllo sulle attività edilizie -trattandosi di un potere per il quale l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 non prevede un termine di decadenza- sia nel caso in cui che le opere in via di realizzazione o già realizzate non corrispondessero a quelle oggetto della denuncia, sia nel caso in cui tali opere non sarebbero potute essere realizzate in base una semplice D.I.A., perché richiedenti il previo rilascio del permesso di costruire.
Dal momento che l’istituto della D.I.A. presuppone che le opere realizzate corrispondano perfettamente a quelle oggetto della comunicazione indirizzata all’Amministrazione, non sussiste alcun affidamento del privato da tutelare, nel caso di difformità delle opere realizzate rispetto a quelle descritte nella relazione e negli elaborati progettuali allegati alla D.I.A., con la conseguenza che le parti di opere realizzate in difformità dalla D.I.A. non potrebbero che essere tout court equiparate alle opere realizzate sine titulo.
Nell’ipotesi di opere realizzate in assenza del permesso di costruire, trova applicazione l’art. 31, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, che prevede l’adozione di un ordine di demolizione, mentre, nell’ipotesi in cui le opere realizzate in difformità dalla D.I.A. rientrano tra gli interventi edilizi assoggettati al regime del permesso di costruire, trova applicazione l’art. 37, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, che non prevede la sanzione demolitoria, ma solo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria al responsabile dell’abuso (TAR Calabra-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 19.05.2008 n. 520 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sul collegamento funzionale di n. 2 D.I.A. presentate a poca distanza l'una dall'altra.
Il Sig. ... ha prodotto una prima DIA il 12.08.2002, relativa all’apertura di un vano porta per l’accesso al locale deposito ed una seconda DIA il 10.12.2002 per il mutamento di destinazione d’uso da deposito ad autorimessa.
Il breve lasso temporale esistente tra i due atti e la oggettiva necessità del vano porta per l’utilizzo dell’immobile quale autorimessa inducono ragionevolmente ed oggettivamente a collegare in via funzionale i due interventi, rilevando che nella specie ci si trova di fronte ad un intervento edilizio di mutamento di destinazione d’uso con opere edilizie, assoggettato al previo rilascio di permesso di costruire ai sensi dell’articolo 2 della legge regionale Campania n. 19/2001 (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 16.05.2008 n. 1600 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAInterventi soggetti a D.I.A. su area paesaggisticamente vincolata - Configurabilità del reato edilizio - Esclusione - Fondamento - Rapporti tra D.I.A. e la c.d. SUPER-D.I.A - Fattispecie - D.P.R. n. 380/2001.
Gli interventi di ristrutturazione edilizia effettuabile anche con semplice d.i.a. in zone soggette a vincolo sono realizzabili con la procedura semplificata della d.i.a. solo subordinatamente al rilascio del parere o dell’autorizzazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Sicché, quando si tratta di interventi soggetti a semplice d.i.a. (art. 22, comma primo, d.P.R. n. 380 del 2001) la loro realizzazione senza titolo (o per non aver presentato la d.i.a. ovvero per non aver conseguito il n.o. dell’Autorità tutoria in caso di immobile vincolato) non è soggetta a sanzione penale, essendo invece quest’ultima riservata (art. 44, comma secondo bis, d.P.R. citato) ai soli interventi ammessi al regime della c.d. SUPER-D.I.A. contemplati dall’art. 22, comma terzo, del d.P.R. n. 380 del 2001. Fattispecie nella quale era contestato all’imputata di aver abusivamente ricostruito un “porticato” con la stessa volumetria e sagoma del precedente in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI - Reato ambientale di cui all’art. 181 D.Lgs. 42/2004 - Condotta incriminata - Configurabilità.
Il reato ambientale di cui all’art. 181 D.Lgs. 42/2004, punisce "chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni ambientali" denotando che la condotta incriminata perdura sino a quando prosegue la esecuzione dei lavori senza titolo (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.05.2008 n. 17954 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA Interventi soggetti a d.i.a..
Qualora un intervento eseguito in base a semplice denuncia di inizio attività non sia riconducile a quelli assentibili con tale titolo abilitativo, ma richiede il permesso di costruire, l'intervenuta presentazione della denuncia medesima è assolutamente irrilevante ed i lavori eseguiti vanno considerati abusivi e a fortiori vanno considerati abusivi allorché si eseguono in base a semplice denuncia d'inizio attività interventi assentibili con permesso di costruire . Il decorso del termine di giorni trenta dalla denuncia esaurisce il potere di riscontro a fini inibitori attribuiti alla pubblica amministrazione , ma non fa venir meno i diversi poteri di vigilanza e controllo: la pubblica amministrazione ha sempre il potere di controllare che l'opera realizzata sia conforme a quella denunciata e, riscontrata la difformità, denunciare il trasgressore (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 12.03.2008 n. 11113 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura della d.i.a. e sull’obbligo di provvedere della PA.
Con la d.i.a. si costituisce un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, suscettibile di contestazione da parte del terzo entro l’ordinario termine decadenziale, decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento.
Conseguentemente, il ricorso avverso il titolo abilitativi, così formatosi, concerne non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’Amministrazione, bensì direttamente l’assentibilità o meno dell’intervento oggetto di d.i.a. (v. Cons. Stato, sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; TAR Emilia-Romagna, Parma, 19.02.2008, n. 102).
Può, pertanto, affermarsi che Il TAR Parma, sposando l’indirizzo interpretativo seguito dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (dec. n. 1550/2007), supera il prevalente e precedente indirizzo giurisprudenziale che optava per la natura privatistica della Dia e che escludeva che il terzo potesse seguire la strada dell’impugnazione innanzi al TAR della denuncia di inizio attività (ex multis, cfr. Cons. Stato sez. IV n. 3916/2005; Cons. Stato sez. V n. 948/2007) (TAR Emilia Romagna–Parma, Sez. I, sentenza 10.03.2008 n. 135 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAL’impugnativa della dia è configurabile, essendo superato l’orientamento giurisprudenziale che ne escludeva la natura provvedimentale.
L’impugnativa della dia è configurabile, essendo superato l’orientamento giurisprudenziale che ne escludeva la natura provvedimentale; secondo il più recente orientamento, che il Collegio condivide, la d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività privata, bensì una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine dalla presentazione della denuncia.
Col decorso del termine dalla presentazione della denuncia di inizio attività si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza, decorrente dalla comunicazione del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso implicito all’intervento oggetto di d.i.a.
A sostegno di tale configurazione vale osservare che la legge 80/2005 ha espressamente previsto in relazione alla d.i.a. il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies: se è ammesso l’annullamento d’ufficio, a maggior ragione deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo; la natura provvedimentale della d.i.a., ancor prima delle modifiche legislative del 2005, poteva desumersi, altresì, dalle norme contenute nel testo unico sull’edilizia), le quali estendono agli interventi assoggettati a d.i.a. le conseguenze legate all’annullamento del permesso di costruire; anche la previsione dell’ultimo comma dell’art. 19 legge 241/1990 circa la giurisdizione esclusiva del G.A. nelle controversie in materia di d.i.a. è sintomatica della volontà legislativa di sottoporre tale atto alla piena sindacabilità giurisdizionale; la tutela del terzo controinteressato rispetto ad una d.i.a. non può essere costretta negli angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di autotutela da parte della P.A. Secondo l’opposta tesi che nega natura provvedimentale alla d.i.a., infatti, al terzo danneggiato non resterebbe altra via di tutela che sollecitare l’amministrazione a esercitare i poteri inibitori o l’autotutela.
Queste osservazioni, valide in via generale per ogni denuncia di inizio attività, ancor di più sono riferibili alla d.i.a. edilizia, dal momento che il T.U. edilizia D.p.R. 38072001 (in particolare l’art. 22) tratta il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività come titoli abilitativi di natura analoga, diversi solo per il procedimento da seguire: sarebbe irragionevole e lesivo dell’effettività della tutela giurisdizionale ritenere che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, peraltro rimesso alla scelta della parte o ad una diversa normativa regionale (cfr. CdS sez. VI 05.04.2007 n. 1550) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 07.03.2008 n. 1167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.I.A. - Opere eseguite oltre il termine ex art. 32 co. 2 D.P.R. 380/2001 - Ordine di demolizione - Intera opera - Illegittimità - Identificazione opere successive - Necessità.
In caso di opere eseguite oltre il termine stabilito dall'art. 23 co. 2 D.P.R. 380/2001 l'Amministrazione non può ordinare la demolizione di tutte le opere realizzate, ma deve, da una parte, identificare esattamente le opere conformi alla DIA e realizzate entro i suddetti termini e, dall'altra, identificare quelle eseguite oltre i predetti termini (ed eventualmente in difformità dal titolo edilizio), adottando conseguentemente, nei confronti delle stesse, gli opportuni provvedimenti sanzionatori (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 25.02.2008 n. 150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Provvedimento comunale di inibitoria - Termine - Perentorietà - Sussistenza - Potere di vigilanza e repressione - Permane.
Il termine di trenta giorni, previsto ai fini dell'adozione del provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della denuncia di inizio attività per l'esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio. Decorso tale termine, permane il potere dell'Amministrazione comunale di potere e vigilanza e controllo sull'attività edilizia che non deve però più svolgersi nelle forme dell'intervento inibitorio, ma in quelle della procedura di autotutela di cui agli articoli 21-quinquies e 21-nonies legge 241/1990 e s.m.i. e quindi seguendo differenti presupposti (in tema di motivazione sull'interesse pubblico) e procedure (comunicazioni ex artt. 7 e 10-bis l. 241/1990) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.02.2008 n. 326 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Denuncia di inizio attività - Fattispecie a formazione progressiva - Presupposti titolo autorizzatorio: presentazione della dichiarazione e inerzia dell'amministrazione.
Per quanto concerne la denuncia di inizio attività (DIA), la formazione del titolo autorizzatorio avviene a formazione progressiva e si perfeziona con il concorso di due elementi: i) la presentazione della dichiarazione corredata dalle autorizzazioni necessarie ed ii) il decorso di un certo periodo di tempo allo scadere del quale, nell'inerzia dell'amministrazione, nasce in capo al dichiarante il diritto di porre in essere l'attività comunicata (nella fattispecie il TAR ha respinto il secondo motivo di ricorso in quanto il titolo autorizzatorio si era già perfezionato prima della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del d. lgs. n. 198/2002, base legislativa della DIA. La sentenza pertanto non era suscettibile di inibire l'attività edilizia precedentemente autorizzata in base ad una fattispecie a formazione progressiva in quanto, come noto, ai sensi dell'art. 136 Cost. la norma dichiarata incostituzionale cessa di aver efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 07.02.2008 n. 297).

EDILIZIA PRIVATA: Lavori di demolizione - Permesso di costruire - Necessità - Esclusione - Denuncia di inizio attività - Sufficienza.
In tema di reati edilizi, la semplice demolizione di un manufatto non integra il reato di cui all'art. 44, comma primo, lett. b), del d.P.R. 06.06.2001, n. 380 (esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire), in quanto per tale tipologia di intervento non è necessario il permesso di costruire ma è sufficiente la denuncia di inizio attività la cui mancanza costituisce illecito amministrativo (in motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha ulteriormente affermato che la mancanza della d.i.a. non può giustificare il sequestro penale).
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In relazione di fumus, peraltro, la motivazione è mancante sotto un ulteriore aspetto. Si afferma infatti che il reato contestato, in relazione al quale è stato disposto il sequestro, è esclusivamente quello di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 31 e art. 44, lett. b), ossia -deve presumersi, mancando un permesso di costruire in relazione al quale possa predicarsi una totale difformità ed essendo stato disapplicata l'ordinanza contingibile ed urgente- di avere realizzato, in assenza del permesso di costruire, una nuova costruzione o una ristrutturazione urbanistica o una ristrutturazione edilizia.
Sennonché, dalla ordinanza impugnata non è dato comprendere quale sia la concreta condotta contestata che integrerebbe il reato, dal momento che in essa si parla sempre ed esclusivamente di demolizione o di lavori di demolizione e di modalità di demolizione, e mai di una attività concretante un effettivo intervento di ristrutturazione edilizia o urbanistica. E' vero che la demolizione ben può essere, e normalmente è, la fase iniziale della ristrutturazione e che l'ordinanza impugnata ritiene che i lavori di demolizione siano stati ordinati "per verosimili fini di ristrutturazione edilizia ed urbanistica della zona a fini di rilancio turistico e residenziale".
Tuttavia è anche vero che non sono stati indicati gli elementi concreti in base ai quali si è eventualmente ritenuto che la demolizione fosse solo la fase prodromica di una ristrutturazione; che non si è accertato che fosse stato fatto un qualche intervento che eccedesse la sola demolizione (specificazione necessaria perché la difesa sostiene che dopo le demolizioni il cantiere sarebbe stato smontato e che non sarebbero stati compiuti ulteriori interventi); e che, quindi, non si è specificato perché la semplice demolizione integrasse il reato di cui al D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 44, lett. b), dal momento che per i soli interventi di demolizione non occorre il permesso di costruire (v. Sez. 3, 13.03.1991, Benzi, m. 186815) ma, semmai, la denunzia di inizio attività (la cui mancanza dà luogo ad un illecito amministrativo, che non può giustificare il sequestro penale) (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 28.01.2008 n. 4098).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA1. Annullamento d'ufficio effetti della DIA - tutela del regime delle acque pubbliche - giurisdizione del giudice amministrativo.
2. Annullamento d'ufficio effetti della DIA - fascia di rispetto delle acque pubbliche - art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904 - argini naturali e artificiali - legittimità.

1. Il ricorso avverso l'annullamento d'ufficio degli effetti di una DIA, motivata sul rispetto della normativa delle acque pubbliche, rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo in quanto non è un provvedimento caratterizzato da un'incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche.
2. Nel caso in cui il titolo edilizio (DIA) violi la fascia di rispetto dei corsi d'acqua di cui all'art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904, che riguarda sia gli argini naturali che quelli artificiali, è norma inderogabile, ed ha un carattere obiettivo (a prescindere dall'accertamento in concreto delle caratteristiche geologiche del terreno), risulta legittimo il suo annullamento d'ufficio (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.12.2007 n. 6668).

EDILIZIA PRIVATA: Tutela dei terzi - Azione di annullamento (d.i.a.).
In caso di denunzia di inizio attività edilizia è preferibile la tesi per cui l'unico veicolo d'accesso alla tutela giurisdizionale sia costituito dalla impugnazione del provvedimento di diniego o del silenzio-rifiuto di esercitare il potere sanzionatorio opposto all'istanza del terzo che lamenti l'illegittima esecuzione di opere (cfr. Cons. St., sez. V, 22.02.2007 n. 948) (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Liguria, Sez. I, sentenza 11.12.2007 n. 2050 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAArt. 10-bis della L. n. 241/1990 e succ. mod. ed int. - Denuncia di inizio attività ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Inapplicabilità - Denuncia di inizio attività ex art. 42 L.R. n. 12/2005 - Provvedimento comunale recante motivi ostativi all'accoglimento della DIA - Sospensione del termine di trenta giorni di cui all'art. 42, comma 9 della L.R. n. 12/2005 - Inefficacia - Decorso del termine di trenta giorni di cui all'art. 42, comma 9 della L.R. n. 12/2005 - Notifica del provvedimento comunale di non effettuare i lavori - Illegittimità per tardività.
La disciplina dettata dalla L.R. n. 12/2005 in tema di denuncia di inizio attività, non dando avvio ad un procedimento amministrativo ad istanza di parte, non è compatibile con l'istituto del preavviso di rigetto di cui all'art. 10-bis della L. n. 241/1990, ciò in quanto l'art. 42, comma 9 della menzionata legge regionale subordina l'esercizio del potere inibitorio dell'amministrazione ad un termine di decadenza fissato espressamente dalla legge, tanto che l'eventuale applicazione della norma procedimentale citata (art. 10-bis della L. n. 241/1990) avrebbe l'effetto di vanificare l'intento di accelerazione e semplificazione delle attività soggette a DIA; pertanto, in pendenza di denuncia di inizio attività, la mera nota comunale con cui vengono comunicati i "motivi ostativi all'accoglimento della DIA" non produce l'effetto di sospensione del termine di trenta giorni previsto dall'art. 42 della L.R. n. 12/2005 per l'adozione dell'ordine inibitorio, con la conseguenza che il provvedimento di non effettuare i lavori di cui alla DIA intervenuto dopo il decorso dei trenta giorni dalla presentazione di quest'ultima è illegittimo per tardività dello stesso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.12.2007 n. 6542 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Denunzia di inizio attività - Ha natura di mero atto del privato e di strumento di liberalizzazione delle attività edilizie.
2. Denunzia di inizio attività - Art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001 - Obbligo per la P.A. di esercizio del potere di abilitazione o di autorizzazione all'esercizio dell'attività - Non sussiste - Potere di inibizione dell'esercizio di un'attività illegittima od irregolare - Sussiste - Configurabilità del silenzio-assenso della P.A. - Non sussiste.
3. Denunzia di inizio attività - Parificazione al permesso di costruire - Non è ammissibile - Tutela del terzo giurisdizionale del terzo - È garantita attraverso formale istanza di intervento rivolta alla P.A. e successiva azione ex art. 21-bis, L. n. 1034/1971, attraverso il silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza, oppure con ricorso ordinario avverso il diniego esplicito di intervento.
4. Denunzia di inizio attività - Art. 38, comma 2-bis, D.P.R. n. 380/2001 - Si riferisce alle sole ipotesi di cui all'art. 22, comma 3°, D.P.R. n. 380/2001 - Individuabilità di principi generali estensibili a tutte le ipotesi sottoposte a d.i.a. - Non sussiste.
5. Denunzia di inizio attività - Affidamento sulla legittimità dell'opera edilizia - Non insorge per il fatto del mero decorso del tempo - D.i.a. in materia edilizia - Art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001 - Inutile decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione - Consolidamento in capo al dichiarante di un affidamento sulla formazione del titolo - Sussiste.
6. Denunzia di inizio attività - Opposizione del terzo alle opere eseguite in base alla d.i.a. - È possibile solo entro un termine ragionevole.

1. La d.i.a. continua ad avere natura di mero atto del privato e di strumento di liberalizzazione delle attività anche dopo le modifiche apportate dall'art. 19, L. n. 241/1990 con l'art. 3 della D.L. n. 35/2005, convertito con L. n. 80/2005 e, per la d.i.a. in materia edilizia, dall'art. 38, D.P.R. n. 380/2001.
2. L'Amministrazione che ha ricevuto la d.i.a. non è chiamata ad esercitare, entro il termine decadenziale previsto in materia edilizia dall'art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001, un potere di abilitazione o di autorizzazione all'esercizio dell'attività, ma il distinto potere di inibizione dell'esercizio di un'attività che dovesse risultare illegittima od irregolare. Non si può quindi configurare alcuna ipotesi di silenzio-assenso, giacché questo dovrebbe ipotizzarsi quale rimedio al mancato esercizio, da parte della P.A., di un potere autorizzativo: potere autorizzativo che la P.A. non possiede affatto, non essendo ipotizzabile, nello schema procedimentale della d.i.a. tuttora vigente -sia in linea generale, nella L. n. 241/1990 riformata, sia nella materia edilizia, ex art. 22 e ss., D.P.R. n. 380/2001- un provvedimento di autorizzazione esplicita dell'intervento.
3. Non pare ammissibile la parificazione della d.i.a. al permesso di costruire, muovendo dalla necessità di scongiurare le ritenute lesioni che si determinerebbero qualora si insista nel qualificare la d.i.a. come mero atto del privato, non direttamente impugnabile in sede giurisdizionale. La tutela del terzo che si oppone all'intervento attuato tramite la d.i.a. è infatti pienamente garantita, potendosi realizzare rivolgendo all'Amministrazione formale istanza per l'esercizio della potestà repressiva attribuitale dalla legge ed agendo poi, ai sensi dell'art. 21-bis, L. n. 1034/1971, attraverso il c.d. silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza (ovvero, impugnando con il ricorso ordinario il diniego esplicito di intervento da parte della P.A.).
4. Riferendosi alle sole ipotesi di cui all'art. 22, comma 3°, D.P.R. n. 380/2001, ossia alle sole fattispecie in cui la d.i.a. è alternativa al permesso di costruire, la norma dell'art. 38, comma 2-bis, D.P.R. n. 380/2001, non consente di individuare alcun principio generale estensibile a tutte le ipotesi sottoposte a d.i.a., onde non può essere usata per sostenere che la dichiarazione costituisca provvedimento impugnabile ed annullabile.
5. Il fatto del mero decorso del tempo non è sufficiente a far sorgere un affidamento sulla legittimità dell'opera edilizia, o comunque sul consolidamento dell'interesse del privato alla sua conservazione. Nel caso della d.i.a. in materia edilizia, d'altra parte, il decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione ex art. 23, commi 1° e 6°, D.P.R. n. 380/2001 senza che la P.A. eserciti il proprio potere inibitorio dell'intervento, considerato il carattere perentorio comunemente riconosciuto a detto termine, comporta quantomeno il consolidamento in capo al dichiarante di un affidamento circa l'avvenuta formazione del titolo.
6. Il terzo che intenda opporsi alle opere eseguite in base alla d.i.a. può chiedere l'intervento dell'Amministrazione, ma solo entro un termine ragionevole, oltre il quale non gli si può più riconoscere la titolarità di una situazione differenziata e qualificata, che obblighi la P.A. a rispondere alla sua richiesta a pena, nel caso di inerzia, di attivazione del rito di cui all'art. 21-bis, L. n. 1034/1971. Né ad una tale conclusione osta il dato normativo, in base al quale il potere repressivo sanzionatorio degli abusi edilizi è esercitabile dall'Amministrazione ex officio senza limiti di tempo, atteso che per esso non risulta previsto alcun termine di decadenza o di prescrizione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 15.11.2007 n. 6361 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nulla osta - DIA - Difformità - Sussiste.
E' annullato il provvedimento comunale che ha illegittimamente ordinato al ricorrente l'esecuzione di idonea pavimentazione dell'area di proprietà per consentire il passaggio dei pedoni, a somiglianza degli analoghi passaggi pedonali limitrofi: il provvedimento non contesta l'esecuzione di opere difformi dalla DIA (irrogando la sanzione corrispondente) ma la difformità della DIA dal nulla-osta provinciale nella ritenuta convinzione -smentita dalla Provincia- che ciò corrisponda a quanto prescritto dal nulla-osta. L'asserita difformità della d.i.a dal nulla-osta avrebbe potuto semmai formare oggetto di provvedimento di autotutela incidente sul titolo edilizio formatosi sulla denuncia di inizio attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.10.2007 n. 6156 - massima tratta da www.solom.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADenuncia di inizio attività (D.I.A.) - Decorrenza del termine di 30 giorni - Effetti - Potere di controllo delle attività edilizie - Artt. 23 e 27, c. 1 D.P.R. n. 380/2001.
Nell’ambito del potere di autotutela, l’Amministrazione anche una volta decorso il termine di trenta giorni può esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività edilizie, per il quale l’art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso o realizzate non corrispondano a quelle oggetto della denuncia, sia quando le opere non possono essere realizzate con una semplice D.I.A. perché richiedono il permesso di costruire. Inoltre, il suddetto termine di trenta giorni è previsto solo per la verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 23, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, ma non può certo essere riferito al generale potere previsto dall’art. 27, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001. (ex multis, TAR Veneto Venezia, Sez. II, 18.12.2006, n. 4095; TAR Campania Napoli, Sez. VII, n. 7221/2006; TAR Campania Napoli, Sez. IV, n. 3200/2006 cit.; TAR Campania Napoli, Sez. II, 03.02.2006, n. 1506; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 17.01.2006, n. 72).
Mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti - Trasformazione di una porcilaia in abitazione privata - Ristrutturazione edilizia - Esclusione - Modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico - D.P.R. n. 380/2001 - L. R. Campania n. 19/2001.
In materia edilizia, la trasformazione di una porcilaia in abitazione privata, si configura come un intervento di ristrutturazione edilizia che determina un’evidente modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico. Nel caso in specie, a fronte del combinato disposto degli articoli 10, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001, e art. 2, comma 1, lettera f), della legge Regione Campania n. 19/2001 deve, ritenersi che in Zona A non possano comunque essere realizzati in base ad una semplice D.I.A. i cambi di destinazione d’uso di immobili o loro parti che, pur risultando astrattamente compatibili con le categorie consentite dalla strumentazione urbanistica, intervengano tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee e, quindi, integrino una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico (TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 04.10.2007 n. 8951 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATASulla natura giuridica della Dia e sulla tutela del terzo.
La denuncia di inizio attività (Dia) non è da considerare strumento di liberalizzazione dell’attività, ma rappresenta uno strumento di semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia.
Pertanto, nel caso della Dia, con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della Dia o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di Dia
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 02.10.2007 n. 2253 - link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATAÈ inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990.
La denunzia di inizio attività costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell'intervento, sul quale la PA svolge un'eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell'effettivo svolgimento dell'attività) del titolo legittimante l'inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l'attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l'Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall'ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005 n. 3498).
In tale contesto, pertanto deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell'Amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l'avvenuto consolidamento del titolo.
Nella specie, la diffida a non iniziare i lavori coincide con l’ordine motivato di non effettuare i lavori di cui alla disciplina della denunzia di inizio di attività.
Conseguentemente, l’ordine-diffida di non iniziare i lavori non corrisponde all’atto di diniego di una istanza di parte di provvedimento favorevole e quindi non deve essere preceduto da preavviso di rigetto.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che la dia è provvedimento (implicito) di tipo favorevole al privato, mentre è negativo (ma non è a rigore un rigetto della istanza) il successivo atto di diffida a non agire; inoltre, il preavviso per l’ordine di non eseguire costituirebbe una non giustificata duplicazione del medesimo, incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell'attività, ma rappresenta una semplificazione procedimentale che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo, sub specie dall'autorizzazione implicita di natura provvedimentale (favorevole), a seguito del decorso di un termine (30 giorni) della presentazione della denunzia.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una sorta di autoamministrazione, secondo alcuni, di autorizzazione implicita (positiva) di natura provvedimentale per altra ricostruzione, che può essere succeduta da ordine (negativo) di non iniziare i lavori o può essere contestata dal terzo.
L’ordine di non iniziare i lavori, per come ristretto nei suoi tempi procedimentali, non coincide con la ipotesi di provvedimento (negativo) su istanza di parte di provvedimento positivo; pertanto, a tale diffida-ordine non si applica l’istituto del c.d. preavviso di rigetto (non trattandosi di rigetto in senso proprio).
L'istituto del preavviso di rigetto trova applicazione solo nell'ipotesi di adozione di un provvedimento negativo sull'istanza (di provvedimento positivo) presentata dal privato e non nel caso di presentazione di denunzia di inizio di attività e successivo ordine o diffida a non iniziare i lavori.
È inapplicabile alla Dia (di cui al d.P.R. n. 380 del 2001) l'art. 10-bis, l. n. 241 del 1990, atteso che l'onere del preavviso di diniego è incompatibile con il termine ristretto entro il quale l'amministrazione deve provvedere, non essendo fra l'altro previste parentesi procedimentali produttive di sospensione del termine stesso.
Per completezza, vale ricordare, anche se non rilevante nella specie, il principio evocato dall’appellante comune, secondo cui in ogni caso la violazione dell'art. 10-bis l. 07.08.1990 n. 241, non produce ex se l'illegittimità del provvedimento terminale, dovendo la disposizione sul c.d. preavviso di diniego essere interpretata alla luce del successivo art. 21-octies della citata l. n. 241 del 1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, quindi, di non annullare l'atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale del provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.09.2007 n. 4828 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La mancata asseverazione circa il rispetto delle norme igienico-sanitarie con consente di poter iniziare i lavori con la D.I.A..
La DIA presentata dalla ricorrente nel novembre 2003 non recava alcuna asseverazione con riferimento al rispetto delle norme igienico-sanitarie e, pertanto, ai sensi dell'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001, la denuncia di inizio attività, decorsi i prescritti trenta giorni, non poteva costituire titolo abilitativo per l'esecuzione dei lavori di recupero del sottotetto di che trattasi.
Il Collegio, pur avendo contezza di una pronuncia ancora isolata del Consiglio di Stato che attribuisce alla DIA valore provvedimentale, continua ad accedere alla tesi che si tratti di un atto del privato che acquista efficacia in forza del decorso del tempo sulla base di quanto previsto dalla legislazione di rango primario (art. 19 della legge 241/1990, art. 23 del DPR 380/2001 ed art. 42 della L.R. n. 12/2005)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 05.09.2007 n. 5765).

EDILIZIA PRIVATA: W. Fumagalli, La Denuncia di Inizio di Attività: una trappola a tempo (AL n. 5-6/2007)

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Crollo di edificio sottoposto a ristrutturazione edilizia - Variante a permesso di costruire mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001.
Il Comune chiede “se è necessaria l’applicazione della sanzione di Euro 516,00 prevista dall’art. 37 del D.P.R. 380/ 2001, per una denuncia inizio attività depositata in variante al permesso di costruire, relativo alla ristrutturazione di un fabbricato colonico, mediante demolizione completa con fedele ricostruzione” e, in particolare, se tale denuncia di inizio attività “depositata in corso d’opera” e “per l’avvenuta completa demolizione del fabbricato stesso (non prevista) nel progetto originario, possa rientrare fra le varianti di cui all’art. 22, comma 2, del D.P.R. 380/2001 o se la stessa debba considerarsi in corso d’opera e cioè fra le D.I.A. di cui all’art. 37, comma 5, del citato D.P.R. 380/2001”.
A tal fine fa presente: che il comune “ha rilasciato un permesso di costruire, per la ristrutturazione” di un “fabbricato rurale” e che “il relativo progetto prevedeva la ristrutturazione dell’edificio senza completa demolizione e senza aumenti di volume e di sagoma preesistenti; che il direttore dei lavori “comunicava l’avvenuto parziale crollo dell’edificio” e “la sospensione dei lavori”; che successivamente veniva depositata “una variante al permesso di costruire originario, con la quale si prevedeva che la ristrutturazione dell’edificio sarebbe avvenuta con una modalità esecutiva diversa e precisamente mediante demolizione e ricostruzione integrale dell’edificio con stessa volumetria e sagoma di quello preesistente”.
Fa anche presente che l’edificio “non risulta fra quelli di valore storico e architettonico sulla base del censimento redatto ai sensi dell’art. 15 della L.R. n. 13/1990. Pertanto per lo stesso non vige il divieto di demolizione di cui al 3° comma dell’art. 15 della predetta legge regionale” e che “non rientra nella casistica di cui all’art. 6, 2° comma, della L.R. 13/1990 in quanto di volumetria inferiore ai 1000 m. Per lo stesso vige invece la norma di cui al 1° comma dei predetto articolo, nel quale non figura il divieto di demolizione ma solo quello di non aumentarne il volume”.
Il Comune rileva inoltre che a seguito della segnalazione del fatto da parte della Polizia Municipale l’Ufficio tecnico “precisava che la diversa modalità di attivazione dell’intervento di ristrutturazione doveva essere regolarizzata con apposita variante secondo le procedure di cui al D.P.R. n. 380/2001 e che la ricostruzione dell’edificio, ancora da effettuare, doveva avvenire nell’integrale rispetto della volumetria e sagoma autorizzati e con l’utilizzo di materiali che facciano salvo l’aspetto esterno dell’edificio”, variante poi presentata in tal senso dagli interessati come sopra esposto, e che quindi “non è necessario applicare alcuna sanzione” (Regione Marche, parere 14.06.2007 n. 55/2007).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Disciplina della denuncia di inizio attività.
Il Comune pone dei quesiti sulla disciplina della denuncia di inizio attività, di cui agli articoli 22 e 23 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), in ordine ai quali si osserva quanto segue.
QUESITO N. 1
In considerazione del fatto che l‟art. 22, commi 3 e 7, del D.P.R. 06.06.2001, n. 380, consente all'interessato, per gli interventi edilizi ivi indicati, di presentare una denuncia di inizio attività (DIA) o di richiedere il permesso di costruire, si chiede se “in caso di opere eseguite non conformemente alla denuncia inizio attività o al permesso di costruire presentato”, gli adempimenti relativi all'accertamento dell'abuso “vanno riferiti ai tipo di domanda esistente (Permesso di costruire o DIA) o alla natura dell'intervento”.
Il Responsabile dell'Area tecnica del Comune ritiene che nell'accertamento delle opere difformi “debba essere fatto riferimento alla tipologia dell'intervento” e non al titolo abilitativo edilizio che si è richiesto ed ottenuto.
QUESITO N. 2
Alla luce di quanto stabilito dall'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001, sulla disciplina della denuncia di inizio attività, e dagli attuali articoli 19 e 20 della legge 07.08.1990, n. 241, che non escludono dal proprio ambito di applicazione la materia urbanistica e che prevedono che nei casi in cui il silenzio dell'Amministrazione equivale all'accoglimento della domanda, questa possa assumere determinazioni in via di autotutela, si chiede se “il termine dei 30 giorni prima dell'effettivo inizio previsto dallo art. 23 del T.U.” “possa essere inferiore”, qualora il “Responsabile del competente ufficio comunale, concluda il proprio iter di verifica della denuncia inizio attività attestandone la correttezza della presentazione e la completezza dei documenti”.
Il Responsabile dell'Area tecnica del Comune ritiene che il termine dei 30 giorni previsto dall'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 sia da ritenere come un termine concesso all'Amministrazione “per le proprie valutazioni e l'eventuale notifica dell'ordine di non iniziare, qualora sia riscontrata l'assenza di una o più condizioni” e che pertanto, qualora il Responsabile del competente ufficio comunale, concluda prima di trenta giorni il proprio iter di verifica della denuncia inizio attività attestandone la correttezza della presentazione e la completezza dei documenti il richiedente possa procedere all'inizio delle opere anche prima che siano trascorsi 30 giorni dalla presentazione dell'istanza”.
QUESITO N. 3
Si chiede un parere in relazione ad un caso specifico, che viene illustrato nel quesito e che concerne l‟applicazione di quanto stabilito dall'art. 3, comma 1, lett. e 6), del D.P.R. n. 380/2001 sugli interventi pertinenziali da considerare come di “nuova costruzione”. (Regione Marche, parere 24.05.2007 n. 52/2007).

EDILIZIA PRIVATANon è applicabile alla presentata DIA il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990, ciò sul presupposto che la DIA c.d. “edilizia” non dà inizio ad un procedimento ad istanza di parte in quanto, anche con le innovazioni da ultimo apportate alla citata legge n. 241/1990 (in particolare, art. 19), tale denuncia rimane ancora un atto del privato non soggetto alle regole tipiche del procedimento amministrativo.
Ciò risulta confermato dal fatto che l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione è soggetto ad un termine di decadenza fissato dalla legge (nel caso di specie, 30 gg. ex art. 23 del DPR n. 380/2001) tanto che l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 alla fattispecie di che trattasi finirebbe per vanificare l’intento di accelerazione e semplificazione delle attività soggette a denuncia di inizio attività.

Il Collegio ritiene di aderire alla giurisprudenza amministrativa che considera non applicabile alla fattispecie in argomento (presentazione della denuncia di inizio attività) il preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241/1990, ciò sul presupposto che la DIA c.d. “edilizia” non dà inizio ad un procedimento ad istanza di parte in quanto, anche con le innovazioni da ultimo apportate alla citata legge n. 241/1990 (in particolare, art. 19), tale denuncia rimane ancora un atto del privato non soggetto alle regole tipiche del procedimento amministrativo.
Ciò risulta confermato dal fatto che l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione è soggetto ad un termine di decadenza fissato dalla legge (nel caso di specie, 30 gg. ex art. 23 del DPR n. 380/2001) tanto che l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 alla fattispecie di che trattasi finirebbe per vanificare l’intento di accelerazione e semplificazione delle attività soggette a denuncia di inizio attività
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.04.2007 n. 1775 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo.
Tale disposizione, pur non essendo temporalmente applicabile alla fattispecie in esame, può essere letta come riconoscimento da parte del legislatore della natura provvedimentale del titolo abilitativo che si forma in seguito ad una d.i.a..
Nello stesso senso sembrerebbe essersi orientato il legislatore già in precedenza: nel T.U. edilizia l'applicabilità degli artt. 38 (interventi eseguiti in base a permesso annullato) e 39 (annullamento del permesso di costruire da parte della Regione) è stata estesa anche agli interventi di cui all'art. 22, comma 3, assoggettati a d.i.a..
Resta fermo che la tutela del terzo controinteressato rispetto ad una d.i.a. non può essere certo costretta negli angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di autotutela da parte della p.a..
Come per qualsiasi atto amministrativo illegittimo, mentre il potere di autotutela dell’amministrazione è subordinato a determinati limiti, oggi codificati dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, alcun limite incontra l’intervento del giudice, diretto solamente ad accertare l’illegittimità dell’atto, e in questo caso del titolo abilitativo formatosi in seguito a d.i.a..
In caso di ricorso avverso la d.i.a. la decisione del giudice non può che travolgere l’assenso (implicito) comunale e gli effetti dell’attività illegittima, che costituiscono il contenuto reale della lite.
Del resto, l’esercizio del potere (anche in via implicita) con effetti favorevoli per il diretto interessato non può mai compromettere diritti e interessi dei terzi e la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 19, comma 5, legge n. 241/1990) conferma la piena sindacabilità della d.i.a. e dei suoi effetti da parte del giudice.
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Il T.U. edilizia (d.P.R. n. 380/2001) prevede quali titoli abilitativi in materia edilizia il permesso di costruire e la d.i.a. e stabilisce anche che il confine tra i due titoli non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4) ed è comunque fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
Ciò significa che si tratta di titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano per il procedimento da seguire e comporta anche che sarebbe irragionevole, oltre che lesivo dell’effettività della tutela giurisdizionale, ritenere che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una scelta della parte o da una diversa normativa regionale.
E’, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e del conseguente intervento del giudice, in alcun modo limitato dalla decadenza del potere di intervento dell’amministrazione.
In definitiva, in caso di intervento assentito a seguito di d.i.a., è ammissibile il ricorso proposto direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine di trenta giorni, entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della d.i.a..
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Si è già detto che il termine per impugnare la d.i.a. decorre dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
In caso di d.i.a edilizia, infatti, il titolo abilitativo si forma decorsi trenta giorni dalla presentazione della d.i.a. per effetto del mancato esercizio dei poteri dell’amministrazione (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n. 380/2001 e artt. 10 e 11 della L.R. Emilia Romagna n. 31/2002).
Nel caso di specie, tuttavia, si trattava di intervento ricadente in zona paesaggisticamente vincolata e il termine di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ed ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti (art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001).
Il Tar ha fatto applicazione dell’art. 10, comma 4, della L.R. n. 31/2002, secondo cui il termine di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione ovvero dall’eventuale decorso del termine per l’esercizio del poteri di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.
La disposizione non è chiara e deve essere letta, in conformità con la richiamata norma del T.U. edilizia, nel senso che per il decorso del termine deve essere stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e che l’eventuale annullamento di questa rende priva di effetti la d.i.a..

La tutela dei terzi, che si oppongono ad intervento edilizio assentito a seguito di d.i.a., ha sempre presentato profili teorici problematici.
Secondo un orientamento, la d.i.a costituisce un atto soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza di determinate condizioni e all’esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al privato una legittimazione ex lege allo svolgimento di una determinata attività, che sarebbe così liberalizzata.
Colui che si oppone all'intervento autorizzato tramite d.i.a., una volta decorso il termine senza l'esercizio del potere inibitorio, e nella persistenza del generale potere repressivo degli abusi edilizi, sarebbe legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto, che pertanto non potrebbe avere come riferimento il potere inibitorio dell'Amministrazione -essendo decorso il relativo termine, con la conseguenza che il giudice non potrebbe costringere l'Amministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta- bensì il generale potere sanzionatorio (Cons. Stato, IV, 22.07.2005, n. 3916).
Secondo altre tesi, la d.i.a. si tradurrebbe direttamente nell'autorizzazione implicita all'effettuazione dell'attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l'adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere (TAR Lombardia, Brescia, 01.06.2001, n. 397), o l'annullamento della determinazione formatasi in forma tacita (in tal senso: implicitamente, Cons. Stato, VI, 10.06.2003 n. 3265 e, espressamente, V, 20.01.2003 n. 172; TAR Veneto, sez. II, 20.06.2003, n. 3405) o comunque per contestare la realizzabilità dell'intervento (Cons. Stato, VI, 16.03.2005 n. 1093).
Secondo ulteriore orientamento il terzo sarebbe legittimato (entro il termine di decadenza) all'instaurazione di un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l'accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a. (TAR Liguria; I, 22.01.2003 n. 113 e TAR Abruzzo, Sez. Pescara, 23.01.2003 n. 197).
Il Collegio ritiene che il ricorso proposto direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. sia ammissibile.
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo.
Tale disposizione, pur non essendo temporalmente applicabile alla fattispecie in esame, può essere letta come riconoscimento da parte del legislatore della natura provvedimentale del titolo abilitativo che si forma in seguito ad una d.i.a..
Nello stesso senso sembrerebbe essersi orientato il legislatore già in precedenza: nel T.U. edilizia l'applicabilità degli artt. 38 (interventi eseguiti in base a permesso annullato) e 39 (annullamento del permesso di costruire da parte della Regione) è stata estesa anche agli interventi di cui all'art. 22, comma 3, assoggettati a d.i.a..
Resta fermo che la tutela del terzo controinteressato rispetto ad una d.i.a. non può essere certo costretta negli angusti limiti dell’eventuale esercizio del potere di autotutela da parte della p.a..
Come per qualsiasi atto amministrativo illegittimo, mentre il potere di autotutela dell’amministrazione è subordinato a determinati limiti, oggi codificati dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, alcun limite incontra l’intervento del giudice, diretto solamente ad accertare l’illegittimità dell’atto, e in questo caso del titolo abilitativo formatosi in seguito a d.i.a..
In caso di ricorso avverso la d.i.a. la decisione del giudice non può che travolgere l’assenso (implicito) comunale e gli effetti dell’attività illegittima, che costituiscono il contenuto reale della lite.
Del resto, l’esercizio del potere (anche in via implicita) con effetti favorevoli per il diretto interessato non può mai compromettere diritti e interessi dei terzi e la previsione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 19, comma 5, legge n. 241/1990) conferma la piena sindacabilità della d.i.a. e dei suoi effetti da parte del giudice.
Peraltro, queste considerazioni, valide per tutti gli interventi assoggettati a d.i.a., sono ancor di più riferibili alla d.i.a. edilizia, oggetto della presente controversia.
Il T.U. edilizia (d.P.R. n. 380/2001) prevede quali titoli abilitativi in materia edilizia il permesso di costruire e la d.i.a. e stabilisce anche che il confine tra i due titoli non sia fisso: le Regioni possono ampliare o ridurre l'ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4) ed è comunque fatta salva la facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a d.i.a. (art. 22, comma 7).
Ciò significa che si tratta di titoli abilitativi di analoga natura, che si diversificano per il procedimento da seguire e comporta anche che sarebbe irragionevole, oltre che lesivo dell’effettività della tutela giurisdizionale, ritenere che il terzo controinteressato incontri limiti diversi a seconda del tipo di titolo abilitativo, che può dipendere da una scelta della parte o da una diversa normativa regionale.
E’, invece, preferibile ritenere che il formarsi di un determinato titolo abilitativo, o di un altro, non comporti alcun cambiamento sotto il profilo della tutela del terzo e del conseguente intervento del giudice, in alcun modo limitato dalla decadenza del potere di intervento dell’amministrazione.
In definitiva, in caso di intervento assentito a seguito di d.i.a., è ammissibile il ricorso proposto direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine di trenta giorni, entro cui l’amministrazione può impedire gli effetti della d.i.a..
Chiarita l’ammissibilità del ricorso proposto in primo grado, deve essere verificata la tempestività dello stesso, tenuto conto delle censure mosse con il secondo motivo di appello.
Si è già detto che il termine per impugnare la d.i.a. decorre dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
In caso di d.i.a edilizia, infatti, il titolo abilitativo si forma decorsi trenta giorni dalla presentazione della d.i.a. per effetto del mancato esercizio dei poteri dell’amministrazione (art. 23, commi 1 e 6, d.P.R. n. 380/2001 e artt. 10 e 11 della L.R. Emilia Romagna n. 31/2002).
Nel caso di specie, tuttavia, si trattava di intervento ricadente in zona paesaggisticamente vincolata e il termine di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ed ove tale atto non sia favorevole, la denuncia è priva di effetti (art. 22, comma 3, d.P.R. n. 380/2001).
Il Tar ha fatto applicazione dell’art. 10, comma 4, della L.R. n. 31/2002, secondo cui il termine di trenta giorni decorre dal rilascio dell’autorizzazione ovvero dall’eventuale decorso del termine per l’esercizio del poteri di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.
La disposizione non è chiara e deve essere letta, in conformità con la richiamata norma del T.U. edilizia, nel senso che per il decorso del termine deve essere stata rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e che l’eventuale annullamento di questa rende priva di effetti la d.i.a..
Ciò premesso, nel caso di specie, il termine per contestare la d.i.a. ha iniziato a decorrere alla scadenza del termine di 30 giorni decorrenti dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (03/05/2004) e l’annullamento di tale autorizzazione da parte della Soprintendenza ha sospeso tale termine ma solo fino alla ordinanza cautelare di questa Sezione che in data 05/11/2004 ha sospeso l’atto della Soprintendenza.
Essendo pacifica la conoscenza della d.i.a. da parte della ricorrente di primo grado, che ha anche impugnato l’autorizzazione paesaggistica, il ricorso avverso la d.i.a., notificato in data 28/12/2004 è tardivo (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.04.2007 n. 1550 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla natura giuridica e diretta impugnabilità della D.I.A..
La d.i.a. non è uno strumento di liberalizzazione dell’attività, come da molti sostenuto, ma rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia; la liberalizzazione di determinate attività economiche è cosa diversa e presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
Nel caso della d.i.a., con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a. o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..
Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha, quindi, ad oggetto non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento.
Un sostegno in favore della diretta impugnazione della d.i.a.. è stato fornito dal legislatore, che ha modificato l’art. 19, della legge n. 241/1990 (con l’art. 3 del D.L. 14.03.2005 n. 35, convertito dalla L. 14.05.2005 n. 80), prevedendo in relazione alla d.i.a.. il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies. Se è ammesso l’annullamento di ufficio, parimenti, e tanto più, deve essere consentita l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 05.04.2007 n. 1550 - link a www.altalex.com).
anno 2006

EDILIZIA PRIVATASui poteri in capo al Comune nel caso di intervento assoggettato a D.I.A..
La DIA costituisce autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sul quale la PA svolge un’eventuale attività di controllo che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo, non dell’effettivo svolgimento dell’attività) del titolo legittimante l’inizio dei lavori: titolo, il cui consolidamento non comporta, però, che l’attività del privato possa andare esente da sanzioni quando sia difforme dal paradigma normativo, con la conseguenza che anche dopo il termine previsto per la verifica dei presupposti e dei requisiti di legge (30 gg.) l’Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio attribuitole dall’ordinamento (cfr. CdS, IV, 30.06.2005 n. 3498). In tale contesto, pertanto, deve ammettersi, per il principio di economia dei mezzi giuridici, la facoltà dell’Amministrazione di inibire i lavori non iniziati anche dopo l’avvenuto consolidamento del titolo
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 18.12.2006 n. 4095 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ristrutturazioni edilizie - Denunzia di inizio attività - Variazione del carico urbanistico - Esclusione - Edificio esistente - Interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali - Modifiche del volume - Permesso di costruire.
Le ristrutturazioni edilizie di portata minore, sono sempre realizzabili previa mera denunzia di inizio attività, cioè quelle, che determinano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le diverse parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza urbanistica (diverse da quelle, descritte dall’art. 10, 1° comma - lett. c), che comportano invece una variazione del carico urbanistico).
Inoltre, sono realizzabili, in seguito a permesso di costruire ovvero (a scelta dell‘interessato) previa mera denunzia di inizio attività interventi di ristrutturazione edilizia che comportino integrazioni funzionali o strutturali dell’edificio esistente, pure con incrementi limitati di superficie e di volume. Pertanto, le «modifiche del volume” previste dall’art. 10 possono consistere, in diminuzioni o trasformazioni dei volumi preesistenti ed in incrementi volumetrici modesti (tali da non configurare apprezzabili aumenti di volumetria) poiché, qualora si ammettesse la possibilità di un sostanziale ampliamento dell’edificio, verrebbe meno la linea di distinzione tra “ristrutturazione edilizia» e "nuova Costruzione” (Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 06.12.2006 n. 40173 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: E. Raganella, La natura giuridica della d.i.a. e la “via” della sanatoria (commento a TAR Abruzzo-Pescara, sent. 30.05.2006) (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: D. Pantano, Natura giuridica della d.i.a. e tutela dei terzi (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: La D.I.A. può essere bloccata solo entro 30 gg. dalla data di presentazione.
L’art. 23, comma 6, del D.P.R. l’art. 23 del 06/06/2001 n. 380 stabilisce che il Comune può, ricorrendone le condizioni, inibire la realizzazione delle opere nel termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., termine che, come la giurisprudenza ha avuto modo di affermare, è perentorio, con la conseguenza che, in mancanza dell’atto d’inibizione l’Amministrazione può provvedere solo con l’esercizio del potere di autotutela e non direttamente mediante il potere repressivo che presuppone il ritiro del titolo autorizzatorio formatosi per decorso del detto termine (Cfr. anche TAR Campania–NA - Sez. II – 27/01/2005 n. 8787; id. Abruzzo–L’Aquila – 08/06/2005 n. 433)  (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 20.07.2006 n. 1107 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASuccessivamente alla proposizione della d.i.a. residua comunque in capo alla P.A. il potere di autotutela, sia pure sui generis in quanto caratterizzato dal fatto di non implicare un’attività di secondo grado su di un precedente provvedimento amministrativo; il riferimento all’autotutela può, quindi, spiegarsi anche restando nei confini della linea interpretativa secondo cui la DIA è un atto del privato: si tratterà, appunto, di un’autotutela sui generis poiché non andrà ad incidere su un atto amministrativo, ma consisterà nella possibilità per la P.A. di adottare, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dalla comunicazione di avvio dell’attività, provvedimenti di divieto di prosecuzione della stessa e di rimozione dei suoi effetti, condizionata, però, dalla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto, ulteriore e diverso rispetto a quello volto al mero ripristino della legalità violata.
Con il secondo motivo di appello si deduce l’inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa impugnazione della D.I.A. presentata dal sig. Messina.
Al fine di poter meglio delibare la fondatezza o meno di tale eccezione di inammissibilità, appare utile fare qualche breve cenno in ordine alla questione della natura giuridica della dichiarazione di inizio di attività, al centro di un annoso dibattito in dottrina ed in giurisprudenza, dibattito non ancora sopito e che ha ricevuto di recente nuova linfa a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 80/2005.
Le tesi che si contendono il campo sono essenzialmente due.
Secondo una prima opzione ermeneutica la dichiarazione di inizio di attività si configura come un atto di iniziativa privata e la legittimazione all’esercizio dell’attività non è fondata su un atto di consenso della P.A., ma trova la propria fonte direttamente nella legge.
Secondo un altro orientamento, invece, la DIA costituirebbe una fattispecie complessa o a formazione successiva, che vede un atto amministrativo tacito formarsi in presenza di alcuni presupposti formali e sostanziali e per effetto del decorso del tempo assegnato all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio.
Aderire all’uno o all’altro indirizzo interpretativo comporta alcune rilevanti conseguenze in punto di tutela per il terzo danneggiato dall’intervento edilizio.
Muta, in particolare, l’oggetto del giudizio. La giurisprudenza, alquanto divisa sul punto, ha, invero, individuato l’oggetto del giudizio di impugnazione ora direttamente nella DIA, ora nel comportamento inerte tenuto dall’amministrazione dopo la presentazione della dichiarazione, ora nel silenzio sulla richiesta di intervento in autotutela, ora nel silenzio sulla richiesta di esercizio del potere sanzionatorio.
Il problema si pone in quanto, se si considera la DIA un atto privato, allora ne è inammissibile la diretta impugnazione in sede giurisdizionale e la tutela del terzo passa attraverso la sollecitazione del potere (sanzionatorio o di autotutela) dell’amministrazione e, in caso di inerzia, dall’impugnazione del silenzio secondo il rito di cui all’art. 21-bis L. n. 1034/1971 (cfr. Cons. St., sez. IV, 04.09.2002, n. 4453), oppure dall’accertamento in sede giurisdizionale dell’illegittimità del comportamento dell’amministrazione che, pur nell’inesistenza dei presupposti e dei requisiti fissati dalla legge per il legittimo compimento dei lavori, non ha inibito l’avvio delle opere oggetto della denunzia.
Se, invece, si attribuisce alla DIA il valore di provvedimento, allora non vi sono ostacoli alla sua impugnativa: alcune pronunce configurano, infatti, la DIA come istanza idonea ad originare un provvedimento per silentium della p.a. che nei trenta giorni successivi alla sua presentazione non inibisca l’inizio dei lavori, ritenendo ammissibile il ricorso del terzo danneggiato avverso l’atto di assenso tacito dell’amministrazione.
Quest’ultima opzione ha registrato consenso in qualche decisione, di questo Consiglio che qualifica la DIA, unitamente al decorso del tempo, in termini di provvedimento amministrativo (cfr. Cons. St., sez. VI, 10.06.2003, n. 356).
Tuttavia, l’orientamento prevalente di questo Consiglio è per la tesi della DIA come atto privato (cfr. Cons. St., sez. IV, 04.09.2002, n. 4453; id., 22.07.2005, n. 3916).
La tesi che configura la DIA come un atto abilitativo tacito, formatosi a seguito della denunzia del privato e della successiva inerzia dell’amministrazione sembrerebbe oggi avere al suo arco una nuova freccia, costituita dalla espressa previsione, contenuta nell’art. 19, comma 3, l. 07.08.1990 n. 241, nel testo stabilito dall’art. 3, comma 1, d.l. 14.03.2005 n. 35, conv. nella l. 14.05.2005 n. 80, del residuare in capo alla P.A. del potere di autotutela.
Non pare, tuttavia, che questa novità normativa possa ritenersi decisiva, in quanto, già prima della citata L. n. 80/2005 la giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. IV, dec. n. 4453 del 2002 cit.) affermava che, successivamente alla proposizione della denunzia di inizio di attività, residua comunque in capo alla P.A. il potere di autotutela, sia pure sui generis in quanto caratterizzato dal fatto di non implicare un’attività di secondo grado su di un precedente provvedimento amministrativo; il riferimento all’autotutela può, quindi, spiegarsi anche restando nei confini della linea interpretativa secondo cui la DIA è un atto del privato: si tratterà, appunto, di un’autotutela sui generis poiché non andrà ad incidere su un atto amministrativo, ma consisterà nella possibilità per la P.A. di adottare, successivamente alla scadenza del termine di 30 giorni dalla comunicazione di avvio dell’attività, provvedimenti di divieto di prosecuzione della stessa e di rimozione dei suoi effetti, condizionata, però, dalla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto, ulteriore e diverso rispetto a quello volto al mero ripristino della legalità violata (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.06.2006 n. 3586 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa D.I.A. non realizza un procedimento ad iniziativa di parte, ma è una fattispecie tipica a formazione progressiva automatica, con consolidazione degli effetti della “denuncia”, ovvero con la sua interruzione “in itinere”, in sede di controllo amministrativo dei presupposti e/o della conformità agli stessi; non si tratta, quindi, di accogliere o meno una domanda di parte, ma vi è solo una dichiarazione privata soggetta a controllo.
La DIA, invero, non realizza un procedimento ad iniziativa di parte, ma è una fattispecie tipica a formazione progressiva automatica, con consolidazione degli effetti della “denuncia”, ovvero con la sua interruzione “in itinere”, in sede di controllo amministrativo dei presupposti e/o della conformità agli stessi; non si tratta, quindi, di accogliere o meno una domanda di parte, ma vi è solo una dichiarazione privata soggetta a controllo (cd. inversione procedimentale).
IL particolare tipo di procedimento semplificato ed accelerato, introdotto dall'art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 (la denuncia di inizio di attività), rappresenta un istituto “sui generis”, che non richiede l’emanazione di un provvedimento amministrativo; il soggetto, infatti, comunica che inizierà una certa attività, con la tacita intesa “ope legis”, che, se nel termine stabilito tra la comunicazione e l'inizio dell'attività stessa, l'Amministrazione nulla comunicherà, l'attività potrà essere iniziata, salvo un eventuale intervento successivo in autotutela.
Non vi è, quindi, alcun inizio di un procedimento amministrativo ordinario, ma, soltanto la sua conclusione, ovvero, come per legge, un’attività di inibizione e/o interruzione.
Stessa conclusione si ricava dalla specifica finalità della DIA, che non prevede alcun adempimento ulteriore da parte dell’Amministrazione (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 30.05.2006 n. 334 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAGli effetti della d.i.a. decorrono dopo 30 giorni dalla presentazione della stessa e la relativa legittimità resta subordinata alla permanenza delle condizioni normative esistenti al tempo della sua presentazione.
Gli effetti della d.i.a. -consistenti nel dare libero corso all’attività edilizia denunciata dall’interessato e non interdetta dall’Amministrazione- decorrono dopo 30 giorni dalla presentazione della denuncia e la legittimità della d.i.a. resta subordinata alla permanenza delle condizioni normative esistenti al tempo della sua presentazione.
Ne consegue che le innovazioni normative introdotte medio tempore non sono irrilevanti, giacché un intervento edilizio, ancorché conforme alla normativa vigente al tempo della denuncia, ben può essere interdetto ove non sia più in linea con la normativa sopravvenuta, entrata in vigore (o destinata a entrare in vigore) prima del compimento del trentesimo giorno dalla presentazione della denuncia stessa.
D’altronde, se l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche può comportare la decadenza del permesso, caducando un titolo già formato (quando i lavori non sono stati ancora iniziati e purché vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio: cfr. art. 15, quarto comma, d.p.r. 06.06.2001 n. 380), non v’è ragione perché esse non producano effetti nella fase antecedente in cui il titolo è ancora in corso di formazione (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.03.2006 n. 588 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla competenza comunale trascorso il termine dei 30 gg. dalla presentazione della d.i.a..
E' giurisprudenza costante che l’Amministrazione (comunale) conservi il potere di provvedere quando la d.i.a. sia stata presentata al di fuori dei presupposti o in violazione delle prescrizioni urbanistiche. L'Amministrazione, anche una volta decorso il termine di 30 giorni di cui all'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, può esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio per il quale l'art. 27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso o realizzate non corrispondano a quelle oggetto della Denuncia Inizio Attività, sia quando le opere non possono essere realizzate con una semplice d.i.a. perché richiedono il permesso di costruire: infatti, il suddetto termine di 30 giorni è previsto solo per la verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, ma non può certo essere riferito al generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio, previsto dall'art. 27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, né al generale potere di agire in via amministrativa a tutela dei diritti demaniali e di uso pubblico (TAR Campania Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la denuncia di inizio attività configura una fattispecie a formazione progressiva, nella quale alla dichiarazione del privato conseguono effetti successivamente al decorso del tempo e alla inerzia della Amministrazione è solo al compimento del trentesimo giorno che si verifica il perfezionamento di detta fattispecie. La denunzia di inizio d'attività (DIA) costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire ed è ad esso sostitutiva e produttiva d'effetti decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione (Tar Marche n. 58 del 03.02.2004). Poiché la produzione degli effetti tipici si verifica al trascorrere del trentesimo giorno dalla presentazione, l’Amministrazione deve considerare la normativa vigente a tale data. L’articolo 39 del d.p.r. 06-06-2001 n. 380 contiene un dato testuale che conferma tale interpretazione. Infatti, disciplinando l’annullamento del permesso di costruire da parte della Regione, prevede al comma 5-bis introdotto dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301 che il potere regionale di annullamento dei provvedimenti autorizzatori edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi si applichi anche agli interventi edilizi soggetti a denuncia di inizio attività non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.01.2006 n. 72 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con la D.I.A. è al 30° giorno -dalla data di presentazione- che va verificata la conformità edilizio-urbanistica dell'intervento edilizio che si vuole attuare.
Nei rapporti tra denunciante e Pa, la D.i.a. si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell'attività, consente al privato di intraprendere un'attività in correlazione all'inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell'amministrazione di inibire l'attività (Cons. St., V, 22.07.2005, n. 3916) e che rappresenta altresì il “momento storico”, con riferimento al quale delle opere contemplate nella denuncia di inizio di attività va verificata la conformità alle norme vigenti  (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 13.01.2006 n. 23).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATAIn materia di d.i.a., la prevalente giurisprudenza sembra sostanzialmente d’accordo sulla necessità, ai fini dell’adozione dei provvedimenti repressivi, di distinguere tra potere inibitorio e potere sanzionatorio: il primo, esercitabile nel termine previsto dalla legge a pena di decadenza; il secondo, sovente ricondotto per la DIA in materia edilizia all’articolo 4 della legge n. 47 del 1985 e, comunque, al più generale potere di ordinare la cessazione dell’attività «in tutti i casi di mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti», potere generalmente tenuto distinto dal generale potere di autotutela (da chi nega la formazione di un provvedimento tacito, per mancanza del provvedimento su cui intervenire; in ogni caso, per il carattere discrezionale dell’annullamento in autotutela).
La DIA in materia edilizia, oltre che dalla legislazione regionale, tra cui quella della Lombardia, è specificamente disciplinata dal testo unico in materia edilizia, emanato con D.P.R. 06.06.2001, n. 380, cui ha apportato significative modificazioni il d.lg. 27.12.2002, n. 301, che ha delineato il meccanismo della DIA alternativa al permesso di costruire.
Le tesi che sono state sostenute in tema di natura giuridica della DIA, nella dottrina e nella giurisprudenza soprattutto dei Tribunali amministrativi, oscillano tra due poli opposti: si sostiene, da un lato, che la denuncia di inizio attività sia un mero atto di iniziativa privata che consente solo un intervento di tipo inibitorio, in difetto dei presupposti, della pubblica amministrazione; dall’altro, che la denuncia di inizio attività, per effetto del decorso del tempo assegnato all’amministrazione per esercitare il potere inibitorio, dia luogo sostanzialmente a una fattispecie, da taluni definita anche complessa o a formazione successiva, configurabile come titolo abilitativo tacito.
Le due tesi, che si presentano variamente articolate al loro interno, comportano rilevanti conseguenze sul piano delle tutele, sia del denunciante nei confronti dell’amministrazione, sia dei terzi contrari all’intervento edilizio, ammettendosi, in via alternativa: l’immediata impugnativa della denuncia di parte; l’impugnazione del silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza e quindi il mancato esercizio del potere inibitorio; l’impugnazione del provvedimento tacito che si forma per effetto combinato della denuncia del privato e del mancato esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione.
Si è giunti anche a ipotizzare, pur dinanzi al giudice amministrativo, un’azione di accertamento con la quale il privato controinteressato contesti al denunciante la realizzabilità dell’intervento edilizio o, quanto meno, la sua assentibilità mediante la procedura della DIA.
La prevalente giurisprudenza sembra, invece, sostanzialmente d’accordo sulla necessità, ai fini dell’adozione dei provvedimenti repressivi, di distinguere tra potere inibitorio e potere sanzionatorio: il primo, esercitabile nel termine previsto dalla legge a pena di decadenza; il secondo, sovente ricondotto per la DIA in materia edilizia all’articolo 4 della legge n. 47 del 1985 e, comunque, al più generale potere di ordinare la cessazione dell’attività «in tutti i casi di mancanza originaria o sopravvenuta dei requisiti» (IV, 26.07.2004, n. 5323), potere generalmente tenuto distinto dal generale potere di autotutela (da chi nega la formazione di un provvedimento tacito, per mancanza del provvedimento su cui intervenire; in ogni caso, per il carattere discrezionale dell’annullamento in autotutela).
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha avuto modo di affrontare le varie questioni inevitabilmente in relazione ai casi specifici pervenuti e da angolazioni diverse: IV, 26.07.2004 n. 5323, resa in relazione all’apertura di un «centro di trasmissione dati» e con riferimento al problema dell’avvio del procedimento, afferma che in materia di DIA si «prescinde dall’emanazione di un provvedimento amministrativo»; nei casi di realizzazione di impianti di telefonia cellulare si rinviene un orientamento che qualifica la denuncia di inizio attività corroborata dal decorso del tempo in termini di provvedimento amministrativo tacito (implicitamente, VI, 10.06.2003 n. 3265 e, espressamente, VI, n. 6910 del 2004, con considerazioni anche di ordine generale sulla DIA edilizia), mentre, sempre con riferimento agli impianti di telefonia cellulare, VI, 04.09.2002 n. 4453 esclude che la DIA abbia valore di provvedimento amministrativo e che il potere repressivo, pur ricondotto allo schema generale dell’autotutela, costituisca attività di secondo grado (tale ricostruzione è sostanzialmente conforme al parere dell’Adunanza generale 06.02.1992 n. 27, sul regolamento di attuazione dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 nel testo originario).
Ancora, V, 20.01.2003 n. 172 ricollega, senza ulteriori precisazioni, alla DIA, questa volta in materia edilizia, la «formazione di un implicito assenso», mentre, in maniera più articolata e mossa soprattutto da considerazioni attinenti alla tutela dei terzi, VI, 16.03.2005 n. 1093 ritiene sufficiente che gli interessati contestino la realizzabilità dell’intervento, confermando peraltro una sentenza di primo grado che –si badi- aveva dichiarato l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune e il suo obbligo di attivare il procedimento repressivo delle opere edilizie.
Nessun argomento, per converso, sembra sia possibile ricavare da V, 29.01.2004 n. 308 e 04.02.2004 n. 376, per la peculiarità delle fattispecie ivi considerate e dell’oggetto del decisum.
Non è possibile, né conferente, in questa sede ripercorrere in dettaglio le varie tesi, molte delle quali tendenti a enucleare, dal regime giuridico della denuncia di inizio attività, un peculiare regime della DIA edilizia. Probabilmente le incertezze regnanti in materia, che inevitabilmente si ripercuotono sul piano delle tutele, discendono anche da una progressiva trasfigurazione dell’istituto in parola, sorto e naturalmente allocato tra gli strumenti di liberalizzazione delle attività private (che, cioè, presuppongono un’attività non soggetta al regime autorizzatorio), e poi utilizzato come strumento di semplificazione procedimentale inerente, paradossalmente, a procedimenti di natura autorizzatoria: il che ha inevitabilmente portato l’istituto in parola a confondersi con lo strumento del silenzio-assenso o, quanto meno, a frantumarsi in una pluralità di istituti diversi, ciascuno dei quali assoggettato a un regime più o meno peculiare.
Ad avviso della Sezione, la soluzione della questione, nei termini rilevanti ai fini di cui è causa, deve tendere, sul piano dell’ermeneusi, a privilegiare ipotesi che possano semplificare, in termini di chiarezza, il quadro normativo, assicurando, al contempo, una facile e quindi efficace tutela ai privati, siano essi gli interessati all’intervento edilizio, siano essi i controinteressati allo stesso.
Nella ricostruzione del sistema cui dà luogo l’istituto della denuncia di inizio attività –con riferimento particolare alla materia edilizia e alla normativa vigente anteriormente alle richiamate modifiche legislative dell’istituto in generale, la cui portata innovativa sulla DIA edilizia non rileva nel presente giudizio- è necessario distinguere tra due distinti rapporti: quello tra denunciante e amministrazione e quello che riguarda i controinteressati all’intervento. Tali rapporti, pur attenendo a una medesima vicenda sostanziale, possono essere tenuti distinti sul piano delle tutele, anche in considerazione della diversità dei poteri di cui dispone l’amministrazione.
Vero è, invece, che, proprio perché trattasi di situazioni direttamente collegate all’esercizio di un potere pubblicistico dell’amministrazione cui possono contrapporsi interesse legittimi dei vari interessati, le relative controversie rientrano comunque nella giurisdizione del giudice amministrativo (salve le ipotesi di concorrenti azioni tra privati sulla base delle norme del codice civile sui rapporti di vicinato).
Nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività si pone come atto di parte, che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell’attività, consente al privato di intraprendere un’attività in correlazione all’inutile decorso di un termine, cui è legato, a pena di decadenza, il potere dell’amministrazione, correttamente definito inibitorio dell’attività.
Sul piano pratico, rileva poco se, in forza di un’inversione procedimentale, la fattispecie dia luogo, con la scadenza del termine, a un titolo abilitativo tacito o al consolidarsi, per volontà legislativa, degli effetti di un atto di iniziativa di parte. L’interessato potrà contestare l’esercizio del potere inibitorio, tale qualificato dall’amministrazione, vuoi per motivi formali (decadenza dal termine), vuoi sul piano sostanziale (sussistenza dei requisiti).
A tale potere resta estraneo, sul piano normativo della qualificazione degli interessi, colui che si oppone all’intervento, perché la norma sulla denuncia di inizio attività non prende (ancora) formalmente in considerazione la sua posizione, per qualificarla in senso legittimante, ed egli, in definitiva, non può opporsi, in sede di giurisdizione amministrativa, all’attività del privato.
Una volta decorso il termine senza l’esercizio del potere inibitorio, e nella persistenza, generalmente ritenuta, del generale potere repressivo degli abusi edilizi, colui che si oppone all’intervento, essendosi consolidata la fattispecie complessa che abilita, ex lege o ex actu non rileva, il privato a costruire, sarà legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio, che pertanto non avrà, né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dell’amministrazione –essendo decorso, a tacer d’altro, il relativo termine, con la conseguenza, sottolineata in dottrina, che il giudice non potrà costringere l’amministrazione a esercitare un potere da cui è decaduta- bensì il generale potere sanzionatorio, salvo poi a stabilire se tale potere abbia carattere vincolato (come ritengono i più) o sia comunque esercitabile alla stregua dei princìpi dell’autotutela (come mostra ritenere VI, n. 4453/2002, citata).
La tesi esposta, da un lato, consente di attenuare i profili critici di ordine generale cui conduce l’utilizzazione normativa della denuncia di inizio attività in termini di semplificazione procedimentale anzi che di supporto ad attività liberalizzate; dall’altro, consente di assicurare la tutela dei terzi in termini ragionevoli con lo strumento del silenzio, secondo uno schema più lineare e quindi semplice, rispetto alle variegate ipotesi cui in pratica possono condurre le altre tesi sin qui prospettate, tutte accomunate dal non irrilevante problema della precisa individuazione dell’oggetto del giudizio, come si evince dalla stessa formulazione dei ricorsi in primo grado.
Qualche inconveniente può forse derivare dallo slittamento del tempo in cui il terzo può agire alla scadenza del termine previsto per l’esercizio del potere inibitorio, ma, se anche tale conclusione fosse imposta dalla tesi esposta, essa avrebbe scarsa rilevanza pratica sul piano dell’effettività, sia per la generale esiguità del termine (entro il quale è difficile completare l’intervento), sia perché comunque l’avvio dell’attività resterebbe a rischio del soggetto procedente.
Facendo applicazione degli esposti princìpi alla controversia in esame, deve ritenersi che l’impugnazione originariamente proposta dinanzi al Tribunale amministrativo, con il ricorso principale e con i vari atti per motivi aggiunti, sia inammissibile.
Ed invero:
- dovendosi correttamente qualificare la domanda dei ricorrenti originari in termini di azione volta a far dichiarare l’illegittimità del silenzio, la stessa non è stata preceduta dalla formale diffida all’amministrazione, come imposto dalla normativa all’epoca vigente (non potendosi evidentemente accogliere la tesi del primo giudice secondo cui i silenzi sarebbero stati comunque procedimentalizzati, in forza di un’equiparazione tra ricorso e diffida);
- non possono essere condivise, per quanto dianzi argomentato, né la tesi per cui oggetto dell’impugnativa e quindi dell’annullamento siano gli effetti della DIA (tesi, sia pure non con assoluta linearità, sostenuta dal primo giudice), né la tesi che configura la DIA come un provvedimento tacito (tesi riproposta nell’appello incidentale dagli originari ricorrenti e invero non coerente con l’impostazione degli originari ricorsi che sembrano volti a contestare l’illegittimità dei silenzi);
- la qualificazione della domanda come volta all’accertamento dell’illegittimità del silenzio non è scalfita dall’impugnazione espressa di alcuni atti, volti, nell’assunto degli originari ricorrenti e, a quel che sembra, anche del primo giudice, ad assentire espressamente gli interventi in parola con ricorso alla DIA: la ricostruzione del sistema nei termini prospettati esclude in radice che tali atti possano assumere valore provvedimentale, in quanto il principio di legalità e di conseguente tipicità dei provvedimenti amministrativi esclude che possano essere inseriti nella sequenza procedimentale provvedimenti non espressione di poteri tipici previsti dalla legge;
-ai fini delle modalità di contestazione della realizzabilità dell’intervento da parte del terzo non rileva che l’intervento medesimo sia escluso in radice dalla normativa urbanistica o che lo stesso non potesse ritualmente essere avviato tramite DIA: in entrambe le ipotesi, occorre che il terzo stimoli il potere repressivo dell’amministrazione, diverse potendo essere solo le conseguenze che derivino dall’accoglimento dell’asserito motivo di illegittimità (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 22.07.2005 n. 3916 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sui poteri comunali decorsi i 30 gg. dalla presentazione della D.I.A..
Anche dopo il decorso del termine di 30 giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l'Amministrazione non perde il potere di vigilanza e sanzionatorio.
E per esercitare tale potere non ha bisogno di annullare in via di autotutela un precedente atto di assenso che non vi è stato, avendo l'interessato intrapreso i lavori a proprio rischio e pericolo. L'omesso controllo nel termine di 30 giorni dalla denuncia di attività rileva solo sotto il profilo della responsabilità per danni, per non avere tempestivamente impedito lavori che non erano legittimi, ma non vale certo a legittimare tali lavori ove questi siano in contrasto con la normativa.
E tra i poteri di intervento rientra in primo luogo la “diffida dal proseguire i lavori” la quale, non risultando i lavori stessi ultimati (si ricordi che, a norma dell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001, “l'interessato è comunque tenuto a comunicare allo sportello unico la data di ultimazione dei lavori”), può qualificarsi, ad avviso del Collegio, come ordine di sospensione dei lavori, ai sensi del comma 3 dell’art. 27 dello stesso D.P.R.; ordine, al quale, ove le successive risultanze istruttorie confermino l’accertamento negativo posto a base dello stesso, dovranno poi seguire i provvedimenti definitivi, di cui agli artt. 28 e ss. del medesimo testo unico (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 30.06.2005 n. 3498 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: E' allo scadere dei 30 gg. che le opere edilizie, della d.i.a. presentata, devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata.
- la Sezione ha già statuito, in riferimento alla D.I.A., che “Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata” (Sentenza Sezione 02/04/2004 n. 380);
- la pronuncia ha aggiunto che “Qualora non sussista tale presupposto l'amministrazione deve intervenire, analogamente a quanto avviene nel procedimento volto al rilascio del permesso di costruire, per l'applicazione delle misure di salvaguardia”;
- malgrado la sentenza richiamata riguardi l'applicazione delle misure di salvaguardia, essa appare esprimere un principio valido per la fattispecie in esame, dovendosi assumere la disciplina vigente al compimento del trentesimo giorno come riferimento per la legittimazione dell'intervento oggetto della D.I.A.
(TAR Lombardia-Brescia, ordinanza sospensiva 28.06.2005 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio-assenso).
Il termine di 30 giorni, entro il quale il Sindaco, a seguito di denuncia di inizio attività, può notificare agli interessati l’ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni, ha natura perentoria, essendo finalizzato a dare certezza ai rapporti giuridici tra privati e Pubblica amministrazione, a tutelare gli interessi di entrambi nonché, contemporaneamente, l’interesse pubblico.
In materia di d.i.a., il potere inibitorio previsto dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001, può essere esercitato entro il termine perentorio di 30 giorni, trascorso il quale possono soltanto essere emanati provvedimenti d’autotutela e sanzionatori; invero, alla scadenza del citato termine di 30 giorni matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella D.I.A., fermo restando il potere dell’Amministrazione comunale di provvedere anche successivamente alla scadenza del termine stesso, ma non più con provvedimento inibitorio (ordine o diffida a non eseguire i lavori) bensì con provvedimento sanzionatorio (se i lavori sono già stati eseguiti, in tutto o in parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.

Secondo un indirizzo giurisprudenziale prevalente, la denunzia di inizio di attività costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire, ma non ha il carattere del provvedimento amministrativo, in quanto non promana da una pubblica amministrazione che ne è la destinataria, non costituisce esercizio di una potestà pubblicistica, né dà origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita (silenzio-assenso), non sussistendo il potere-dovere dell’Amministrazione di provvedere sull’istanza del privato. (…)
E’ anche costantemente affermata la natura perentoria del termine di 30 giorni (già venti) ex art. 23 d.P.R. 380/2001.
Circa la natura del termine, concesso all’Amministrazione comunale per l’esercizio del potere inibitorio, a seguito della ricezione della denuncia d’inizio attività da parte del privato, si vedano le seguenti massime: TAR Piemonte, n. 70 del 16.01.2002: “Il termine di venti giorni stabilito dall’art. 2, comma 60, l. 23.12.1996 n. 662 (che ha sostituito l’art. 4 d. l. 05.10.1993 n. 398 convertito dalla l. 04.12.1993 n. 493), ai fini dell’adozione del provvedimento comunale di inibitoria a seguito della ricezione della denuncia di inizio attività per l’esecuzione di lavori edilizi, ha carattere perentorio”; TAR Friuli Venezia Giulia n. 18 del 30.01.2001: “Il termine di venti giorni, entro il quale il Sindaco, a seguito di denuncia di inizio attività relativamente a lavori interni, può notificare agli interessati l’ordine motivato di non effettuare le previste trasformazioni, ha natura perentoria, essendo finalizzato a dare certezza ai rapporti giuridici tra privati e Pubblica amministrazione, a tutelare gli interessi di entrambi nonché, contemporaneamente, l’interesse pubblico”; e, ancora, TAR Emilia Romagna, Parma, 08.06.2001, n. 325; TAR Lombardia, Brescia, 01.06.2001, n. 397; TAR Basilicata, 21.10.2000, n. 647.
La perentorietà è da riconnettersi con il venir meno del potere, di cui al co. 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001, del Comune di contestare al denunziante la carenza dei presupposti e dei requisiti di legge.
Con il decorso di un termine breve, si definiscono e vengono a giuridica esistenza anche gli effetti dell’atto-denunzia, titolo abilitante di natura privata.
La valenza di tale atto non può trasformare in lecita e/o legittima un’attività edilizia oggettivamente abusiva, qualora il denunziante abbia erroneamente ricondotto l’intervento ad una delle fattispecie in cui opera il meccanismo della d.i.a., od erroneamente abbia certificato, tramite il proprio progettista, l’inesistenza delle condizioni impeditive stabilite dalla legge.
Conclusosi, pertanto, il procedimento d’iniziativa privata, permane in capo all’Amministrazione il più generale potere di vigilanza e di repressione di cui all’art. 4 e segg. della l. 28.02.1985, n. 47, il cui esercizio non è soggetto a termini di prescrizione (salvo a dover motivare, in ipotesi di un lungo tempo trascorso dall’ultimazione dei lavori, sulla permanenza dell’interesse pubblico specifico ed attuale perseguito e ritenuto prevalente rispetto all'affidamento ingenerato nel privato dal comportamento omissivo dell’Amministrazione).
In definitiva, il potere inibitorio previsto dal comma 6 dell’art. 23 del d.P.R. 380/2001, può essere esercitato entro il termine perentorio di 30 giorni, trascorso il quale possono soltanto essere emanati provvedimenti d’autotutela e sanzionatori; invero, alla scadenza del citato termine di 30 giorni matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella D.I.A., fermo restando il potere dell’Amministrazione comunale di provvedere anche successivamente alla scadenza del termine stesso, ma non più con provvedimento inibitorio (ordine o diffida a non eseguire i lavori) bensì con provvedimento sanzionatorio (se i lavori sono già stati eseguiti, in tutto o in parte) di tipo ripristinatorio o pecuniario, secondo i casi, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi (è discusso, in tal caso, se l’Amministrazione debba far precedere tale provvedimento sanzionatorio dall’emanazione, in autotutela, di un atto di secondo grado -revoca od annullamento dell’autorizzazione tacita od implicita formatasi- anche se la soluzione negativa pare quella preferibile).
Appare inoltre evidente, in base all’interpretazione letterale, che entro il termine di 30 giorni il provvedimento inibitorio di cui sopra debba essere non soltanto emanato, ma anche notificato al privato (ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l’assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto intervento); depone chiaramente in tal senso, del resto, anche la indubbia natura recettizia dell’ordine di non eseguire i lavori da parte del Comune (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 27.06.2005 n. 8707 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nella presentazione della d.i.a. il Comune deve considerare la normativa urbanistica vigente allo scadere del 30° giorno.
E' giurisprudenza costante che l’Amministrazione conservi il potere di provvedere quando la d.i.a. sia stata presentata al di fuori dei presupposti o in violazione delle prescrizioni urbanistiche. L'Amministrazione, anche una volta decorso il termine di trenta giorni di cui all'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, può esercitare il suo generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio -per il quale l'art. 27 comma 1 d.P.R. n. 380 del 2001 non prevede alcun termine di decadenza, sia quando le opere in corso o realizzate non corrispondano a quelle oggetto della Denuncia Inizio Attività, sia quando le opere non possono essere realizzate con una semplice d.i.a. perché richiedono il permesso di costruire: infatti, il suddetto termine di trenta giorni è previsto solo per la verifica della sussistenza delle condizioni richieste dall'art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, ma non può certo essere riferito al generale potere di controllo sulle attività di trasformazioni edilizie del territorio, previsto dall'art. 27, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, né al generale potere di agire in via amministrativa a tutela dei diritti demaniali e di uso pubblico (TAR Campania Napoli, sez. IV, 02.12.2004, n. 18030).
Poiché la denuncia di inizio attività configura una fattispecie a formazione progressiva, nella quale alla dichiarazione del privato conseguono effetti successivamente al decorso del tempo e alla inerzia della Amministrazione, è solo al compimento del trentesimo giorno che si verifica il perfezionamento di detta fattispecie. La denunzia di inizio d'attività (DIA) costituisce una dichiarazione del privato cui la legge, in presenza di specifiche condizioni, ricollega effetti tipici corrispondenti a quelli del permesso di costruire ed è ad esso sostitutiva e produttiva d'effetti decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione (Tar Marche n. 58 del 03.02.2004).
Poiché la produzione degli effetti tipici si verifica al trascorrere del trentesimo giorno dalla presentazione, l’Amministrazione deve considerare la normativa vigente a tale data.
L’articolo 39 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380, disciplinando l’annullamento del permesso di costruire da parte della Regione, prevede al comma 5-bis introdotto dal D.Lgs. 27.12.2002, n. 301 che il potere regionale di annullamento dei provvedimenti autorizzatori edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi si applichi anche agli interventi edilizi soggetti a denuncia di inizio attività non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della scadenza del termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di inizio attività (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza n. 72/2005).

anno 2004

EDILIZIA PRIVATA: A. Ferruti, L’attività edilizia e la sicurezza nei cantieri. Dal 26.10.2004 novità per d.i.a. e permesso di costruire (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di presentazione della d.i.a., è al 30° giorno successivo che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata.
Fra i vari requisiti richiesti affinché la D.I.A. possa produrre i propri effetti legittimanti è prevista la conformità delle opere da realizzare con gli strumenti urbanistici adottati o approvati (art. 4, comma 11, del D.L. n. 398 del 1993).
Al fine di verificare la sussistenza di tutti presupposti legittimanti è prescritto che la denuncia venga presentata prima dell’inizio dei lavori.
In sostanza l'ordinamento non consente all'interessato l'immediato inizio dell'attività edilizia, ma prevede un breve termine entro cui l'amministrazione possa intervenire per inibire definitivamente l'attività in caso di assenza dei requisiti richiesti senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato dall’interessato (termine fissato in 20 giorni dall’art. 4, comma 11, del D.L. n. 398 del 1993 ora elevato a 30 gg. dall'art. 23, comma 1, del D.p.r. n. 380 del 2001).
In questa logica procedimentale gli effetti dell'attività amministrativa di istruttoria sulla D.I.A. non sono diversi da quelli conseguenti all'espletamento dell’istruttoria volta al rilascio del permesso di costruire. In sostanza, in entrambi i casi, è precluso all'interessato intraprendere i lavori fino a quando non decorra infruttuosamente il termine previsto dalla legge per inibire l'effettivo inizio degli stessi ovvero fino al rilascio dell'esplicito titolo edilizio (permesso di costruire).
L'ordinamento, pertanto, non tollera attività edilizie intraprese in assenza di un comportamento cosciente, attivo o passivo, dell'amministrazione deputata al relativo controllo.
Nel caso della D.I.A. si tratta di un comportamento omissivo, ossia la mancata inibizione dei lavori dopo lo svolgimento dell'attività istruttoria volta all'accertamento dei presupposti legittimanti l'esecuzione degli stessi. Nel caso di permesso di costruire si tratta, al contrario, di un comportamento attivo, consistente nell'emanazione del prescritto titolo legittimante.
Analogo parallelismo deve, pertanto, sussistere anche per l'applicazione delle misure di salvaguardia, atteso che la denuncia di inizio attività non può validamente produrre i suoi effetti in caso di contrasto con gli strumenti urbanistici anche adottati.
Nel caso di opere edilizie subordinate all’ottenimento di un titolo espresso (oggi permesso di costruire), l'ordinamento non tollera che lo stesso venga rilasciato in contrasto con gli strumenti urbanistici in fase di adozione prevedendo, al riguardo, l'applicazione delle misure di salvaguardia di cui alla Legge 03.11.1952 n. 1902, ancorché l'istanza sia stata presentata prima di tale adozione.
In sostanza nelle more di conclusione del procedimento amministrativo, in questo caso volto all'emanazione di un provvedimento espresso, l'istanza dell'interessato non può ritenersi immune dai mutamenti della strumentazione urbanistica del frattempo intervenuti.
In questa logica appare coerente applicare analogo principio al procedimento istruttorio volto alla verifica dei presupposti legittimanti l'esecuzione dei lavori in base ad una denuncia di inizio attività.
Poiché la legge inibisce all'interessato l’avvio dell’attività edilizia fino a quando non spiri infruttuosamente il termine concesso all'amministrazione per disporre definitivamente il divieto della stessa senza violare alcun legittimo affidamento nel frattempo maturato, è al momento di scadenza di tale termine che le opere devono risultare conformi sia alla strumentazione urbanistica vigente che a quella adottata. Qualora non sussista tale presupposto l'amministrazione deve intervenire, analogamente come avviene nel procedimento volto al rilascio del permesso di costruire, per l'applicazione delle misure di salvaguardia (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 02.04.2004 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATA: P. Falcone, La denuncia d’inizio attività dopo il d.lgs. n. 301/2002: prime note (link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATADecorso il termine di 30 giorni per il controllo della d.i.a., in capo all’Autorità comunale permangono integri sia il potere di autotutela che quello più generale di intervento successivo, magari ad istanza di un terzo, che possono, comunque, dar luogo all’interdizione dell’opera.
Appare esperibile da parte del terzo un’azione diretta a provocare in sede di giurisdizione esclusiva un sindacato da parte del giudice in ordine alla corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dall’interessato con la d.i.a. e di quanto previsto dal relativo progetto rispetto ai canoni normativi stabiliti per la realizzazione dell’attività edilizia in questione

Una volta spirato il termine legislativamente prescritto per il controllo sulla c.d. d.i.a., in capo all’Autorità comunale permangono integri sia il potere di autotutela che quello più generale di intervento successivo, magari ad istanza di un terzo, che possono, comunque, dar luogo all’interdizione dell’opera (in questi ultimi sensi: Cons. St., sent. n. 4453 del 2002 cit.; TAR Napoli, sent. n. 5272 del 2001 cit.).
La liberalizzazione dell’accesso alle attività edilizie cui si applica l’istituto della “denuncia inizio attività” non significa, ad avviso del Collegio, che l’Autorità comunale è esonerata dal riscontrare se siano presenti tutte, o meno, le condizioni stabilite per procedere in base alla c.d. d.i.a., né che il riscontro possa essere effettuato a campione o soltanto su impulso della parte interessata; l’istituto in parola ha, evidentemente, lo scopo di snellire l’attività amministrativa e di alleggerire la posizione del privato onde consentirgli di espletare determinate attività senza l’intermediazione di un provvedimento amministrativo, purché ricorrano tutte le condizioni legislativamente stabilite, ma non può avere lo scopo, da una parte, di esonerare dall’attività di controllo le amministrazioni pubbliche preposte alla cura dei relativi interessi pubblici, e, dall’altra, di consentire ai privati di espletare quelle attività in assenza delle condizioni prescritte per giovarsi dell’istituto in discorso.
Se, dunque, l’istituto della c.d. d.i.a. è volto a semplificare l’attività delle due parti dirette del rapporto, da una parte l’Amministrazione pubblica e dall’altra il soggetto privato che intenda intraprendere quelle attività cui l’istituto stesso è applicabile, non sembra sostenibile, ad avviso del Collegio, che l’utilizzo di tale istituto possa, invece, appesantire la posizione del soggetto terzo il quale, essendo titolare di una situazione soggettiva di controinteresse rispetto al soggetto che si giovi della c.d. d.i.a., onde tutelarsi in sede giurisdizionale debba previamente diffidare l’Amministrazione a che proceda a verifica della stessa d.i.a. e quindi, all’esito, esperire le azioni a difesa dei propri interessi o diritti.
Più semplicemente, ad avviso del Collegio, appare esperibile da parte del terzo un’azione diretta a provocare in sede di giurisdizione esclusiva, secondo i motivi dedotti, un sindacato da parte del giudice in ordine alla corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dall’interessato e di quanto previsto dal relativo progetto rispetto ai canoni normativi stabiliti per la realizzazione dell’attività edilizia in questione
(TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 23.01.2003 n. 197 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATA: N. Lais, Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività nel nuovo testo unico dell’edilizia (D.P.R. 06.06.2001, n. 380) (link a www.lexitalia.it).

anno 2001

EDILIZIA PRIVATAAssume autonomo rilievo provvedimentale ai fini dell’eventuale preclusione dell’altrimenti normale operatività della D.I.A. non già il parere positivo ancorché formalmente espresso e comunicato dal Responsabile dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità delle opere ivi indicate, ma esclusivamente l’eventuale formale dissenso espresso da quest’ultimo nel termine di 20 giorni.
Nel quadro normativo di cui alla denuncia di nuova attività edilizia, assume autonomo rilievo provvedimentale ai fini dell’eventuale preclusione dell’altrimenti normale operatività della D.I.A. non già il parere positivo ancorché formalmente espresso e comunicato dal Responsabile dell’Ufficio in ordine alla realizzabilità delle opere ivi indicate, ma esclusivamente l’eventuale formale dissenso espresso da quest’ultimo nel termine di 20 giorni a tal fine prescritto dall’art. 4 del D.L. 05.10.1993, n. 398, convertito nella L. 04.12.1993, n. 493 (TAR Lombardia-Bresia, sentenza 01.06.2001 n. 397 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: N. Lais, Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività nel nuovo testo unico dell’edilizia (D.P.R. 06.06.2001 n. 380) (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Cicciò, Gli interventi edilizi minori e la semplificazione delle relative procedure (link a www.lexitalia.it).

EDILIZIA PRIVATA: S. Scarlatelli, Autorizzazione edilizia e denuncia di inizio attività in una prospettiva evolutiva (link a www.lexitalia.it).