dossier L.R.
23.06.1997 n. 23 |
anno 2012 |
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LAVORI PUBBLICI - URBANISTICA: La
variante urbanistica che localizza un’opera
pubblica su un’area demaniale non produce un
vincolo espropriativo a carico del demanio,
ma si può interpretare come una proposta di
utilizzazione del bene demaniale subordinata
all’assenso dell’ente gestore e al rispetto
della consistenza e della destinazione del
bene stesso. La verifica di tali condizioni
è normalmente assicurata attraverso lo
strumento della concessione demaniale, che
si colloca tra la scelta urbanistica e
l’esecuzione dei lavori.
Lo strumento della variante semplificata
nell’ipotesi prevista dall’art. 2, comma 2,
lett. a), della LR 23/1997 consente anche di
introdurre modifiche alla zonizzazione, in
quanto la procedura è propriamente
finalizzata a ottenere l’effetto di variante
urbanistica per la localizzazione di opere
pubbliche comunali. La codificazione di
questo istituto nella legislazione regionale
rende inapplicabili le procedure di variante
previste a livello nazionale dall’art. 1,
comma 5, della legge 1/1978 e dall’art. 19,
commi 2 e 4, del DPR 327/2001 (quest’ultimo
del resto dichiarato espressamente non
applicabile in ambito regionale dall’art.
103 della LR 11.03.2005 n. 12). Il
radicamento presso i comuni del potere di
variante urbanistica per le opere pubbliche
di loro pertinenza non si armonizzerebbe con
il contemporaneo mantenimento in capo alla
Regione di un potere di approvazione del
progetto a fini urbanistici come stabilito
dalle citate norme statali. Nell’ordinamento
regionale, quindi, l’autonomia riconosciuta
ai comuni comporta che la procedura di
approvazione del progetto sia separata da
quella di variante urbanistica e che
ciascuna rimanga radicata presso gli organi
comunali competenti.
Per quanto riguarda la necessaria conformità
dei progetti delle opere pubbliche alla
destinazione urbanistica dei luoghi (v. art.
14, comma 8, della legge 109/1994 in vigore
all’epoca), si osserva che la possibilità di
ottenere l’effetto di variante urbanistica
attraverso la procedura di cui all’art. 2,
comma 2, lett. a), della LR 23/1997 consente
ai comuni di anticipare l’approvazione del
progetto, anzi normalmente esige che almeno
il progetto preliminare sia approvato prima
della variante semplificata. In una fase
successiva alla variante si colloca, quindi,
soltanto il progetto definitivo–esecutivo,
come è avvenuto nel caso in esame. Poiché il
progetto non determina vincoli espropriativi
(ma soltanto una prelazione
nell’assegnazione delle aree demaniali) non
è direttamente applicabile l’art. 16, comma
10, del DPR 327/2001.
(a)
la variante urbanistica che localizza
un’opera pubblica su un’area demaniale non
produce un vincolo espropriativo a carico
del demanio, ma si può interpretare come una
proposta di utilizzazione del bene demaniale
subordinata all’assenso dell’ente gestore e
al rispetto della consistenza e della
destinazione del bene stesso. La verifica di
tali condizioni è normalmente assicurata
attraverso lo strumento della concessione
demaniale, che si colloca tra la scelta
urbanistica e l’esecuzione dei lavori.
Nello specifico la passeggiata posizionata
lungo la sponda del lago non solo può
coesistere con la natura demaniale della
spiaggia ma rappresenta una delle forme di
utilizzo che meglio garantiscono la
fruizione collettiva del bene pubblico, nel
rispetto della sua intrinseca destinazione;
(b)
correttamente, quindi, il Comune ha chiesto
al Consorzio gestore del demanio lacuale la
concessione della superficie demaniale
necessaria per la realizzazione della
passeggiata. La posizione del Comune nei
confronti del bene pubblico è un’aspettativa
di utilizzazione assimilabile a quella dei
privati ma dotata di maggiore protezione.
Al riguardo, esplicitando un principio della
materia, sia la DGR 6/47317 del 22.12.1999
(punto 6-h dei criteri generali) sia la DGR
7/10487 del 30.09.2002 (punto 35) prevedono
che in presenza di più domande di
concessione riguardanti la stessa area
devono essere preferite quelle che
garantiscono maggiormente la fruizione
pubblica e la valorizzazione del bene
nell’interesse generale;
(c)
lo strumento della variante semplificata
nell’ipotesi prevista dall’art. 2, comma 2,
lett. a), della LR 23/1997 (norma che
ratione temporis regola la fattispecie
in esame) consente anche di introdurre
modifiche alla zonizzazione, in quanto la
procedura è propriamente finalizzata a
ottenere l’effetto di variante urbanistica
per la localizzazione di opere pubbliche
comunali. La codificazione di questo
istituto nella legislazione regionale rende
inapplicabili le procedure di variante
previste a livello nazionale dall’art. 1,
comma 5, della legge 1/1978 e dall’art. 19,
commi 2 e 4, del DPR 327/2001 (quest’ultimo
del resto dichiarato espressamente non
applicabile in ambito regionale dall’art.
103 della LR 11.03.2005 n. 12).
Il radicamento presso i comuni del potere di
variante urbanistica per le opere pubbliche
di loro pertinenza non si armonizzerebbe con
il contemporaneo mantenimento in capo alla
Regione di un potere di approvazione del
progetto a fini urbanistici come stabilito
dalle citate norme statali. Nell’ordinamento
regionale, quindi, l’autonomia riconosciuta
ai comuni comporta che la procedura di
approvazione del progetto sia separata da
quella di variante urbanistica e che
ciascuna rimanga radicata presso gli organi
comunali competenti;
(d)
la variante semplificata di cui all’art. 2,
comma 2, lett. a), della LR 23/1997 può
avere ad oggetto qualsiasi opera pubblica di
competenza comunale, e dunque anche quelle
che costituiscono standard urbanistico.
Conseguentemente la modifica della
destinazione urbanistica può consistere
nell’individuazione di nuove aree per opere
di urbanizzazione o per attrezzature
pubbliche o di interesse pubblico.
Le finalità programmatorie del piano dei
servizi non sono compromesse qualora la
variante semplificata riguardi opere
specifiche. Si potrebbe invece sospettare un
abuso dello strumento della variante
semplificata se attraverso una pluralità di
interventi apparentemente scollegati
l’amministrazione perseguisse lo scopo di
modificare l’impostazione complessiva del
piano dei servizi, ma nel caso in esame non
vi sono elementi che facciano supporre una
tale intenzione da parte del Comune;
(i)
per quanto riguarda la necessaria conformità
dei progetti delle opere pubbliche alla
destinazione urbanistica dei luoghi (v. art.
14, comma 8, della legge 109/1994 in vigore
all’epoca), si osserva che la possibilità di
ottenere l’effetto di variante urbanistica
attraverso la procedura di cui all’art. 2,
comma 2, lett. a), della LR 23/1997 consente
ai comuni di anticipare l’approvazione del
progetto, anzi normalmente esige che almeno
il progetto preliminare sia approvato prima
della variante semplificata. In una fase
successiva alla variante si colloca, quindi,
soltanto il progetto definitivo–esecutivo,
come è avvenuto nel caso in esame. Poiché il
progetto non determina vincoli espropriativi
(ma soltanto una prelazione
nell’assegnazione delle aree demaniali) non
è direttamente applicabile l’art. 16, comma
10, del DPR 327/2001
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.03.2012 n. 383 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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URBANISTICA:
1. Approvazione
Piano di Lottizzazione - Variante al P.R.G.
- Modifica del perimetro del comparto -
Violazione L.R. n. 23/1997 - Violazione del
principio di par condicio - Non sussistono.
2. Approvazione
variante urbanistica semplificata - Carenza
di motivazione - Discrezionalità
amministrativa - Esecuzione delle previsioni
di P.R.G. - Legittimità.
1. L'art. 2, c. 2, lettera f), L.R. n.
23/1997, consente il ricorso alla procedura
di variante semplificata per modificare il
perimetro degli ambiti territoriali
subordinati alla pianificazione attuativa,
per assicurare un migliore assetto
urbanistico. Inoltre nel caso di una
modifica del perimetro del comparto di
lottizzazione che tiene fermi gli indici
urbanistici previsti dal P.R.G. ed, altresì,
il regime urbanistico e la destinazione dei
terreni dei proprietari estranei alla
lottizzazione, il Piano di Lottizzazione
approvato non viola il principio di par
condicio, non risultando in alcun modo
limitate le prerogative del ricorrente
derivanti dal P.R.G. comunale in ragione
della immutata destinazione urbanistica
della sua area.
2. Premesso che la delibera di approvazione
di un piano attuativo di P.R.G., si
caratterizza quale manifestazione di ampia
discrezionalità dell'Amministrazione,
censurabile solo in caso di manifesta
illogicità o irrazionalità, e considerato
che il Comune ha approvato una riperimetrazione dell'ambito, allo scopo di
realizzare una -seppure parziale -
lottizzazione del medesimo, al fine di dare
esecuzione alle previsioni di PRG, si deve
ritenere che l'approvazione del Piano di
Lottizzazione impugnata risulti
sufficientemente motivata (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.03.2011 n.
820 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
1. Centro
commerciale - Elemento caratterizzante -
Esistenza di servizi ed infrastrutture
comuni agli esercizi commerciali che lo
costituiscono.
2. Variante
semplificata - Art. 2, comma 3°, L.R. n.
23/1997 - Scheda informativa - Omessa
compilazione - Costituisce una mera
irregolarità - Sanzione - Non sussiste.
1. L'elemento caratterizzante del centro
commerciale è rappresentato dall'esistenza
di servizi ed infrastrutture comuni agli
esercizi commerciali che costituiscono il
centro stesso.
2. L'omessa compilazione della scheda
informativa di cui all'art. 2, comma 3°,
della L.R. n. 23/1997 costituisce una mera
irregolarità, non prevedendo la legge alcuna
sanzione per l'omissione di cui sopra (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 14.03.2011 n.
730 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Progetto preliminare - Progetto
definitivo - Modificazione lavori - Variante
- Non è necessaria.
La vigente normativa (cfr. art. 93 del
D.L.vo 2006, n. 163) articola l'attività di
progettazione per l'esecuzione dei lavori
pubblici secondo tre successivi livelli di
approfondimenti tecnici, distinguendo il
progetto preliminare, il progetto definitivo
e il progetto esecutivo e spetta al progetto
definitivo di individuare "compiutamente
i lavori da realizzare". E' pertanto
considerata del tutto fisiologica
l'introduzione di modificazioni in ordine ai
lavori da realizzare senza che ciò implichi
l'applicazione dell'art. 19 del d.p.r. 2001
n. 327 e quindi l'approvazione di una
variante da riservare alla competenza del
Consiglio.
In particolare, la norma dispone
espressamente che "Gli strumenti
urbanistici comunali vigenti conservano
efficacia fino all'approvazione del PGT e
comunque non oltre la data del 31.03.2010.
Fino all'adeguamento dei PRG vigenti, a
norma dell'articolo 26, e comunque non oltre
il predetto termine, i comuni, ad eccezione
di quelli di cui al comma 2, possono
procedere unicamente all'approvazione di
atti di programmazione negoziata, di
progetti in variante ai sensi dell'articolo
5 del decreto del Presidente della
Repubblica 20.10.1998, n. 447, nonché di
varianti nei casi di cui all'articolo 2,
comma 2, della legge regionale 23.06.1997,
n. 23 (Accelerazione del procedimento di
approvazione degli strumenti urbanistici
comunali e disciplina del regolamento
edilizio) e di piani attuativi in variante,
con la procedura di cui all'articolo 3 della
predetta L.R. n. 23/1997".
Dal coordinamento tra le due norme citate
deriva che, qualora l'amministrazione
comunale approvi -nel periodo transitorio
individuato dall'art. 25, comma 1, della
legge reg. 2005 n. 12, periodo in cui si
colloca la fattispecie sottesa ai ricorsi in
esame- una delle varianti previste dall'art.
2, comma 2, della legge reg. 23.06.1997, n.
23, devono trovare applicazione le
previsioni dell'art. 3, commi da 2 a 40,
della legge reg. 05.01.2000, n. 1.
Pertanto, in questi casi deve essere
applicato anche il comma 18 dell'art. 3
della legge reg. 2000 n. 1, ove si prevede
che "Il comune, contestualmente al loro
deposito, trasmette alla provincia
competente per territorio il piano
regolatore generale adottato, o le sue
varianti, ovvero il piano attuativo di
interesse sovracomunale adottato. La
provincia, entro novanta giorni dal
ricevimento degli atti, ne verifica,
garantendo comunque il confronto con il
comune interessato, la compatibilità con gli
aspetti di carattere sovracomunale contenuti
nel proprio piano territoriale di
coordinamento; decorso tale termine il
comune decide sulle osservazioni e procede
all'approvazione in via definitiva".
Ecco, allora, che quando l'amministrazione
comunale adotta una delle varianti previste
dall'art. 2, comma 2, della legge reg.
23.06.1997, n. 23, secondo il meccanismo
fatto salvo dall'art. 25, comma 1, della
legge 2005 n. 12, deve trasmettere la
variante adottata alla Provincia competente,
al fine di consentire la verificazione della
compatibilità della nuova disciplina
urbanistica con il piano territoriale di
coordinamento.
Nel caso di specie il Comune resistente ha
dichiaratamente posto in essere la variante
semplificata, oggetto del ricorso in esame,
ai sensi della legge reg. 1997 n. 23, ma ha
omesso di trasmettere alla Provincia la
variante adottata, in violazione dell'art.
3, comma 18, della legge reg. 2000 n. 1,
così precludendo all'Ente competente la
verificazione della compatibilità della
variante con il piano territoriale di
coordinamento, come esattamente contestato
dalla ricorrente
(massima
tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 18.02.2011 n.
499 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Varianti al P.R.G. -
Procedimenti di varianti ex art. 2, comma 2,
lett. c), L.R. n. 23/1997 - Finalità -
Adeguamento delle previsioni urbanistiche
all'effettivo stato dei luoghi - Limiti.
2. Varianti al P.R.G. - Procedimenti di
varianti ex art. 2, comma 2, lett. f), L.R.
n. 23/1997 - Finalità - Assicurazione di un
migliore assetto urbanistico nell'ambito
dell'intervento o modificazione della
tipologia dello strumento urbanistico
attuativo - Interpretazione estensiva -
Inammissibilità.
1.
L'art. 2, comma 2, lett. c), L.R. 23/1997,
che contempla la fattispecie delle varianti
atte ad apportare agli strumenti urbanistici
generali -sulla scorta di rilevazioni
cartografiche aggiornate, dell'effettiva
situazione fisica e morfologica dei luoghi,
delle risultanze catastali e delle
confinanze- le modificazioni necessarie a
conseguire la realizzabilità delle
previsioni urbanistiche anche mediante
rettifiche delle delimitazioni tra zone
omogenee diverse, si riferisce
esclusivamente a varianti che apportino
modifiche e correzioni al P.R.G. al fine di
adeguare le previsioni urbanistiche
all'effettivo stato dei luoghi: tale non è
la variante che miri ad introdurre una
differente disciplina giuridica nella
edificazione in una determinata area
-prevedendo l'obbligo della previa adozione
dello strumento urbanistico attuativo- e non
certo a modificare il P.R.G. a seguito della
corretta rappresentazione dello stato di
fatto.
2.
La previsione di cui all'art. 2, comma 2,
lett. f), L.R. n. 23/1997, avente ad oggetto
varianti che comportino modificazioni dei
perimetri degli ambiti territoriali
subordinati a piani attuativi, finalizzate
ad assicurare un migliore assetto
urbanistico nell'ambito dell'intervento
ovvero a modificare la tipologia dello
strumento urbanistico attuativo, non è
interpretabile estensivamente -
riconducendovi anche varianti che
subordinano ex novo l'edificazione in
una determinata area all'obbligo della
previa adozione di uno strumento urbanistico
attuativo - poiché lo scopo di tale norma è
l'ammettere il ricorso alla procedura
semplificata solo in via eccezionale, come
dimostra la specifica elencazione dei casi
ammessi contenente, altresì, la puntuale
indicazione in ordine al contenuto delle
singole previsioni (cfr. TAR Milano, sent.
n. 768/2004, n. 5515/2004) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.01.2011 n.
92 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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URBANISTICA:
E'
illegittima la
delibera consiliare di approvazione di un
Piano di Recupero in variante al vigente
P.R.G. ex l.r. n. 23/1997 nella parte in cui
essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissa i limiti agli
interventi eseguibili anche con piano di
recupero nelle zone del centro storico.
Occorre anzitutto rilevare che già, in linea
generale, l’idea di un piano di recupero in
variante al p.r.g. contiene elementi di
contraddizione in termini. Infatti, “il
piano di recupero è notoriamente, sotto il
profilo giuridico, uno strumento urbanistico
sostanzialmente attuativo delle scelte
urbanistiche primarie contenute nel piano
regolatore generale ed è quindi equivalente
al piano particolareggiato, dal quale si
differenzia in quanto finalizzato piuttosto
che alla complessiva trasformazione del
territorio al recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente con
interventi rivolti alla conservazione,
ricostruzione e alla migliore utilizzazione
del patrimonio stesso” (CdS, IV, 05.03.2008, n. 922) (la massima prosegue
affermando che “così che in sede di sua
modifica non possono essere introdotti,
logicamente oltre che giuridicamente,
vincoli nuovi ed ulteriori rispetto a quelli
esistenti nello strumento urbanistico
generale in vigore, neppure quanto tale
modifica trovi la sua giustificazione in una
richiesta del privato”; nel caso in esame,
invece, ci troviamo nell’ipotesi -opposta
sul piano pratico, ma analoga sul piano
giuridico- di piano di recupero che elimina
vincoli previsti dal piano generale).
Queste perplessità sulla legittimità della
procedura di variante seguita dal Comune si
acuiscono nel caso di specie caratterizzato
da un particolarissimo tipo di variante
avente ad oggetto un unico edificio. Delle
perplessità sulla scelta di un piano di
recupero in variante al p.r.g relativo ad un
solo immobile le aveva manifestate in tempi
relativamente recenti anche questo Tribunale
che aveva affermato che “pur non potendosi
aprioristicamente escludere l'utilizzo di un
Piano attuativo in variante al P.R.G. in
riferimento ad un singolo immobile -con i
contenuti di cui all'art. 3 comma 1 della
l.r. 19/1992- è peraltro indispensabile che
una scelta così circoscritta sia
accompagnata da una specifica motivazione
che dia conto dell'interesse pubblico
perseguito” (TAR Lombardia, Brescia,
28/02/2006 n. 244).
Sono evidenti, d’altronde, le perplessità
che possono sorgere a proposito della
legittimità dell’utilizzo di un piano di
recupero in variante al p.r.g. relativo ad
un solo immobile, in quanto –come ben
evidenziato dalla difesa del ricorrente
negli scritti depositati in corso di
processo– in questo modo si finisce con il
sottrarre un immobile alle prescrizioni
della zonizzazione urbanistica, e si finisce
per creare una disciplina di piano valida
soltanto per esso e non per tutti gli altri
immobili rientranti nella stessa zona.
Il caso di specie, peraltro, è ancor più
particolare, perché non solo si utilizza un
piano attuativo in deroga, non solo lo si
realizza per un singolo immobile, ma per di
più lo si fa con le procedure semplificate
della l.r. 23/1997 nel periodo transitorio
previsto dall’art. 25 l.r. 12/2005 (si ricorda
che
il principio della domanda concerne il
monopolio della parte privata nella
individuazione del diritto fatto valere in
giudizio, non l’articolazione del
ragionamento giuridico attraverso cui
giungere al riconoscimento di tale diritto,
che rimane affidato al tradizionale iura
novit curia).
La norma dell’art. 25, co. 1, l.r. 12/2005
stabilisce, infatti, che “fino
all’adeguamento dei PRG vigenti, a norma
dell’art. 26, e comunque non oltre il
predetto termine di quattro anni, i comuni
ad eccezione di quelli di cui al comma 2,
possono procedere unicamente
all’approvazione di atti di programmazione
negoziata, di progetti in variante ai sensi
dell’ art. 5 d.p.r. 447/1998, previo parere
vincolante della Regione qualora non sia
vigente il P.T.C.P. e con l’applicazione
dell’art. 97 della presente legge, nonché di
varianti nei casi di cui all’ art. 2, co. 2,
l.r. 23/1997 e di piani attuativi in variante,
con la procedura di cui all’ art. 3 l.r.
23/1997”.
Nel caso in esame vengono in questione solo
le ipotesi di cui agli artt. 2 e 3 l.r.
23/1997, a norma della quale è stato approvato
il piano di recupero in questione.
L’art. 2, co. 2, l.r. 23/1997 stabilisce che:
“il procedimento semplificato di cui
all’art. 3 si applica in presenza di una o
più delle seguenti fattispecie:
a) varianti
dirette a localizzare opere pubbliche di
competenza comunale, nonché a modificare i
relativi parametri urbanistici ed edilizi,
eccettuati i casi in cui la legislazione
statale o regionale già ammetta la
possibilità di procedere a tali adempimenti
senza preventiva variante urbanistica;
b)
varianti volte ad adeguare le originarie
previsioni di localizzazione dello strumento
urbanistico generale vigente, alla
progettazione esecutiva di servizi e
infrastrutture di interesse pubblico,
ancorché realizzate da soggetti non
istituzionalmente preposti;
c) varianti atte
ad apportare agli strumenti urbanistici
generali, sulla scorta di rilevazioni
cartografiche aggiornate, dell’effettiva
situazione fisica e morfologica dei luoghi,
delle risultanze catastali e delle confinanze, le modificazioni necessarie a
conseguire la realizzabilità delle
previsioni urbanistiche anche mediante
rettifiche delle delimitazioni tra zone
omogenee diverse;
d) varianti dirette a
modificare le modalità di intervento sul
patrimonio edilizio esistente, nel caso in
cui esse non concretino ristrutturazione
urbanistica e non comportino incremento del
peso insediativo in misura superiore al 10%
rispetto a quanto stabilito dallo strumento
urbanistico vigente; ove necessario, le
varianti potranno altresì prevedere il
conseguente adeguamento della dotazione di
aree a standard;
e) varianti di
completamento interessanti ambiti
territoriali di zone omogenee già
classificate ai sensi dell’ art. 2 d.m.
1444/1968 come zone B, C, e D che comportino,
con o senza incremento della superficie azzonata, un aumento della relativa capacità
edificatoria non superiore al 10% di quella
consentita nell’ambito oggetto della
variante dal vigente P.R.G., ove necessario
tali varianti potranno altresì prevedere il
conseguente adeguamento della dotazione di
aree a standard;
f) varianti che comportino
modificazioni dei perimetri degli ambiti
territoriali subordinati a piani attuativi,
finalizzate ad assicurare un migliore
assetto urbanistico nell’ambito
dell’intervento, opportunamente motivato e
tecnicamente documentato, ovvero a
modificare la tipologia dello strumento
urbanistico attuativo;
g) varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente, di cui all’ art. 27 l. 457/1978;
h)
varianti relative a comparti soggetti a
piano attuativo che comportino una diversa
dislocazione delle aree destinate a
infrastrutture e servizi;
i) varianti
concernenti le modificazioni della normativa
dello strumento urbanistico generale,
dirette esclusivamente a specificare la
normativa stessa, nonché a renderla
congruente con disposizioni normative
sopravvenute, eccettuati espressamente i
casi in cui ne derivi una rideterminazione
ex-novo della disciplina delle aree”.
Nella delibera impugnata il Comune di
Casalmaggiore non si è curato di specificare
in base a quale tra le ipotesi previste
dall’art. 2 l.r. 23/1997 veniva approvato il
piano di recupero in variante.
Vanno sicuramente escluse, peraltro, le
ipotesi delle lettere a) e b) (varianti di
localizzazione), c) (varianti di correzione
cartografica), e) (varianti di completamento
zone B, C, D), h) (varianti di
ridislocazione), i) (varianti di
specificazione o di adeguamento a normativa
sopravvenuta), in quanto totalmente
inconferenti.
Va esclusa anche la lettera d) (varianti
volte a modificare le modalità di intervento
sul patrimonio edilizio esistente), perché
per disposto della stessa norma sono
possibili soltanto “nel caso in cui esse non
concretino ristrutturazione urbanistica” (si
ricorderà che l’intervento sul comparto 1
del complesso Castra maiora è stato
qualificato dall’amministrazione comunale
proprio come ristrutturazione urbanistica).
Restano soltanto le ipotesi previste dalle
lettere f) e g), che si ripropongono di
seguito per comodità di lettura: “f)
varianti che comportino modificazioni dei
perimetri degli ambiti territoriali
subordinati a piani attuativi, finalizzate
ad assicurare un migliore assetto
urbanistico nell’ambito dell’intervento,
opportunamente motivato e tecnicamente
documentato, ovvero a modificare la
tipologia dello strumento urbanistico
attuativo; g) varianti finalizzate alla
individuazione delle zone di recupero del
patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 27 l. 457/1978”.
La lettera f) sembra inconferente, in quanto
presuppone la modificazione di un piano
attuativo già approvato, mentre nel caso in
esame il complesso degli 11 edifici oggetto
del piano di recupero non era subordinato
prima dell’approvazione della delibera
impugnata ad alcun piano attuativo, essendo
soggetto come tutti gli edifici della stessa
zona all’edificazione mediante
ristrutturazione con vincolo conservativo
parziale.
Resta la lettera g), che in effetti è
orientata a disciplinare proprio i piani di
recupero, in quanto consente l’approvazione
di “varianti finalizzate alla individuazione
delle zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, di cui all’art. 27 l.
457/1978”.
E l’art. 27 l. 457/1978, in effetti, prevede:
“I comuni individuano, nell'ambito degli
strumenti urbanistici generali, le zone ove,
per le condizioni di degrado, si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente mediante
interventi rivolti alla conservazione, al
risanamento, alla ricostruzione e alla
migliore utilizzazione del patrimonio
stesso. Dette zone possono comprendere
singoli immobili, complessi edilizi, isolati
ed aree, nonché edifici da destinare ad
attrezzature. Le zone sono individuate in
sede di formazione dello strumento
urbanistico generale ovvero, per i comuni
che, alla data di entrata in vigore della
presente legge, ne sono dotati, con
deliberazione del consiglio comunale
sottoposta al controllo di cui all'art. 59
della legge 10.02.1953, n. 62.
Nell'ambito delle zone, con la deliberazione
di cui al precedente comma o successivamente
con le stesse modalità di approvazione,
possono essere individuati gli immobili, i
complessi edilizi, gli isolati e le aree per
i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione dei piani di
recupero di cui al successivo art. 28. ...”.
Nella procedura prevista dall’art. 27,
pertanto, sono previsti due momenti
separati:
1) la individuazione delle zone
dove per le condizioni di degrado esistente
si rende opportuno il recupero del
patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente;
2) la individuazione degli
immobili, situati all’interno delle zone di
cui al punto 1, per i quali il rilascio
della concessione è subordinato alla
formazione di piano di recupero.
Una volta individuate le zone del territorio
comunale, ed individuati i singoli immobili
che dovranno essere oggetto del piano, la
procedura di perfezionamento del piano di
recupero si completa con l’approvazione del
piano di recupero in senso proprio che detta
i parametri concreti dell’edificazione.
Riassumendo: i passaggi di cui si compone
l’approvazione di un piano di recupero sono
tre:
1) individuazione delle zone dove per le
condizioni di degrado esistente si rende
opportuno il recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico esistente;
2) individuazione degli immobili, situati
all’interno delle zone di cui al punto 1,
per i quali il rilascio della concessione è
subordinato alla formazione di piano di
recupero;
3) approvazione del piano di recupero che
detta i parametri concreti
dell’edificazione.
Non tutte queste tre operazioni possono, in
realtà, essere realizzate con la procedura
semplificata della l.r. 23/1997. Si è
ricordato, infatti, che l’art. 2, co. 2,
lett. f), ammette con tale procedura soltanto
le “varianti finalizzate alla individuazione
delle zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, di cui all’art. 27 l.
457/1978”, e cioè soltanto il primo dei tre
passaggi logici di cui consta l’approvazione
del piano di recupero.
Ma la delibera impugnata non si limita ad
individuare le zone, anzi non individua
affatto le zone di recupero del patrimonio
edilizio esistente, in quanto già il p.r.g.
prevedeva che nel centro storico fosse
astrattamente assentibile l’utilizzo di
piano di recupero, e prevedeva anche i
parametri per l’edificazione in base a piano
di recupero.
Nel caso in esame, in cui l’art. 8 p.r.g.
individuava già la zona del centro storico
come astrattamente assoggettabile a piano di
recupero e fissava anche i limiti che
avrebbe dovuto incontrare l’edificazione in
base ai piano di recupero in centro storico
(possibilità di “lievi spostamenti
volumetrici a saldo zero finalizzati ad un
miglioramento delle condizioni minime
prescritte di abitabilità, di sicurezza e di
riqualificazione architettonica e
tipologica”), il Comune di Casalmaggiore non
avrebbe potuto con lo strumento della
variante semplificata modificare i limiti
massimi dell’intervento edilizio fissati dal
piano generale.
Per spiegare meglio il concetto: nel caso in
esame non c’era alcun bisogno di approvare
il piano di recupero in variante posto che
la zona in esame era già assoggettabile al
piano, ma -come nota acutamente e
correttamente la difesa di parte ricorrente– l’approvazione del piano di recupero è
servita in realtà soltanto ad eliminare i
limiti all’edificazione in centro storico
previsti in via generale dal p.r.g.
Si è già detto d’altronde sopra del giudizio
di disfavore dato dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato sulla possibilità per il
piano di recupero di introdurre “logicamente
oltre che giuridicamente, vincoli nuovi ed
ulteriori rispetto a quelli esistenti nello
strumento urbanistico generale in vigore” (CdS,
IV, 05.03.2008, n. 922), ipotesi speculare
a quella di eliminazione di vincoli che è
avvenuta nel caso di specie, e si è già
detto anche del giudizio di disfavore
espresso nella sentenza 244/2006 di questo
Tribunale sulla possibilità di approvare un
piano di recupero in deroga relativo ad un
solo immobile cui sono stati posti limiti
rigorosi di motivazione, a questo punto si
aggiunge che in altro precedente
giurisprudenziale più risalente di questo
Tribunale si è espresso un ulteriore
giudizio di disfavore sulla possibilità di
utilizzare la variante semplificata ex l.r.
23/1997 per modificare situazioni soggettive
consolidate in forza del p.r.g..
Nella
pronuncia 1593/2001 questo Tribunale ha
affermato, infatti, che “i casi eterogenei
di più svariato genere (della l.r. 23/1997, n.d.E.), in cui non sembra decisivo il
criterio quantitativo in sé abbastanza
evanescente dell'estensione spaziale delle
aree coinvolte dalla variante, mostrano un
elemento comune, un collante che le lega.
Esso è individuato nelle varianti agli
strumenti urbanistici che non pregiudichino
le situazioni soggettive dei terzi già
consolidate in forza del P.R.G..
Se si ha
cura di scorrere l'elencazione di cui
all'art. 2 si leggono: a) varianti dirette a
localizzare opere di competenza comunale; b)
varianti volte ad adeguare le originarie
previsioni di localizzazione dello strumento
urbanistico alla progettazione esecutiva; c)
varianti atte ad apportare agli strumenti
urbanistici generali le modificazioni
necessarie a conseguire la realizzabilità
delle previsioni urbanistiche; d) varianti
dirette a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio
esistente; e) varianti di completamento; f)
varianti che comportino modificazioni dei
perimetri territoriali esistenti subordinati
ai piani attuativi, finalizzate ad
assicurare un migliore asseto urbanistico
nell'ambito dell'intervento opportunamente
motivato e tecnicamente documentato, ovvero
a modificare la tipologia dello strumento
urbanistico attuativo; g) varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente; h) varianti relative a comparti
soggetti a piani attuativi; i) varianti
concernenti le modificazioni della normativa
dello strumento urbanistico generale.
Ad
eccezione dell'ipotesi delineata sub a)
sulla localizzazione delle opere pubbliche
comunali per la quale non si fa altro che
riproporre lo stesso congegno normativo
previsto dall'art. 1 l. 03.01.1978 n. 1,
in tutti gli altri casi la variante in forma
semplificata non è idonea a mutare la
destinazione delle aree come prevista dal
P.R.G., e quindi a vanificare le situazioni
giuridiche consolidatesi in forza della
disciplina impressa dallo strumento
urbanistico primario.
In definitiva la
normativa regionale, alla stregua dell'art.
25, comma 1, lett. a), l. 28.02.1985 n.
47, mira a rendere più agile e flessibile il
rapporto tra i diversi livelli di
pianificazione, preservando peraltro il
nesso di derivazione di quello secondario
rispetto a quello primario, che non può
essere unilateralmente alterato da parte
dell'amministrazione comunale senza il
concorso di quella regionale”.
In un passo
successivo il Tribunale aggiunge che “la riperimetrazione degli ambiti territoriali
omogenei al fine di modificare la tipologia
del preesistente strumento attuativo,
prevista all'art. 2, comma 2, lett. f), L.r.
23.06.1997 n. 23, è stata invece
l'occasione, affatto esclusa dalla norma,
per assoggettare aree suscettibili di
diretta edificazione allo strumento
urbanistico attuativo, pregiudicando la
situazione giuridica soggettiva dominicale
della ricorrente consolidatasi in forza
della disciplina impartita dal P.R.G.”.
Il principio enucleato dal tribunale
nell’ormai lontano precedente del 2001,
secondo cui la normativa regionale della
l.r. 23/1997 mira a rendere più agile e
flessibile il rapporto tra i diversi livelli
di pianificazione, ma non può pregiudicando
la situazione giuridica soggettiva
dominicale di chi intende edificare, non può
non essere applicato per ragioni logiche
anche alle situazioni soggettive dominicali
non solo di coloro che sono interessati
all’edificazione, ma anche di quelli, come
nel caso in esame, che ad essa sono controinteressati.
In definitiva, la delibera oggetto di
impugnazione, che ha modificato i parametri
urbanistici cui avrebbe dovuto essere
assoggettata la ristrutturazione del
complesso di edifici denominati Castra
maiora – che per p.r.g. avrebbero potuto
essere caratterizzati solo da lievi
spostamenti volumetrici a saldo zero, e di
cui invece con provvedimento ad hoc è stata
permessa la parziale (pressoché integrale)
demolizione con traslazione dei volumi fino
a determinare la quintuplicazione dei vani
abitabili, e quindi del carico urbanistico
generato dalla costruzione, urta contro
diversi profili di legittimità (sia relativi
alla legge statale, sia relativi alla
normativa regionale lombarda) già affrontati
in passato dalla giurisprudenza
amministrativa, anche di questo Tribunale.
Ne consegue che deve essere accolto il
motivo di impugnazione in cui si afferma la
illegittimità della delibera impugnata nella
parte in cui essa ha violato l’art. 8 delle n.t.a. del p.r.g. che fissava i limiti agli
interventi eseguibili anche con piano di
recupero nelle zone del centro storico
(TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 17.06.2010 n. 2329 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Varianti P.R.G. -
Procedura accelerata - Approvazione diretta
della variante da parte del consiglio
comunale - Ammissibilità - Presupposti:
competenza organo e realizzazione dell'opera
ex art. 2, comma 2, lett. a), L.R. 23/1997.
In materia di realizzazione di opere
pubbliche e relative varianti allo strumento
urbanistico, qualora sul piano formale la
sequenza procedimentale non sia stata "millimetricamente"
conforme al modello legale, non sono
tuttavia ravvisabili vizi significativi sul
piano sostanziale qualora sia stato appurato
che il progetto dell'opera è stato approvato
dagli organi comunali competenti e che
l'opera (nel caso di specie il c.d. raccordo
urbanistico) si è realizzata ai sensi
dell'art. 2, secondo comma, lett. a), L.R.
n. 23/1997, che ammette la procedura
accelerata per le varianti dirette a
localizzare opere pubbliche di competenza
comunale nonché a modificare i relativi
parametri urbanistici ed edilizi (nel caso
di specie veniva contestata l'assenza di una
valida dichiarazione di pubblica utilità,
mancando l'approvazione del progetto
definitivo da parte della giunta e la
susseguente approvazione regionale in
variante allo strumento urbanistico, ex art.
1, comma 5, legge n. 1/1978; tale mancanza,
secondo parte ricorrente, non poteva essere
supplita dall'approvazione diretta della
variante da parte del consiglio comunale con
la procedura accelerata di cui alla legge
regionale n. 23/1997) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.01.2010 n.
4 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
URBANISTICA:
Piano regolatore -
Variante semplificata ex L.R. 23/1997 -
Sanatoria abusi - Inammissibilità.
E' vietata l'utilizzazione della procedura
della variante semplificata ai sensi
dell'art. 2, comma 4, lett. a, della L.R.
23/1997 per ottenere come effetto la
conformità alle previsioni urbanistiche di
interventi abusivamente realizzati, la
disposizione non è un ostacolo a norme
generali che consentono (in via indiretta)
di regolarizzare edifici esistenti, ma,
trattandosi pur sempre di una disposizione
espressione della funzione di
pianificazione, la nuova disciplina deve
avere un contenuto generale,
indipendentemente dai risvolti concreti su
situazioni particolari (nel caso di specie
il TAR ha annullato la variante semplificata
approvata da un Comune al fine di
regolarizzare interventi abusivi realizzati
in un unico complesso residenziale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza
17.09.2009 n.
4674 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
1. Variante
parziale al PRG - Esame congiunto di due
osservazioni con il medesimo contenuto
provenienti da due soggetti diversi -
Violazione dell'obbligo di motivazione
analitica - Non sussiste.
2. Art. 100 L.R.
n. 12/2005 - Criterio di equivalenza tra i
termini PRG e PGT - Non comporta
l'estensione automatica delle disposizioni
dettate per il PGT al PRG previgente.
3. Procedimenti di
varianti ex art. 2 comma 2 L.R. n. 23/1997 -
Costituiscono procedimenti a termine ai
sensi dell'art. 25, comma 1 della L.R. n.
12/2005 e s.m.i. sino all'adeguamento dei
PRG o all'approvazione dei PGT - Possibilità
di eterointegrarli con disposizioni di cui
alla L.R. n. 12/2005 dettate per le varianti
al PGT - Non sussiste.
1. L'esame congiunto di due osservazioni
aventi il medesimo contenuto, seppure
provenienti da soggetti diversi, non viola
l'obbligo di motivazione analitica delle
osservazioni, né costituisce un ostacolo
alla funzione collaborativa assegnata alle
osservazioni stesse.
2. La formulazione letterale dell'art. 100
della L.R. n. 12/2005 e s.m.i. in cui il
legislatore regionale ha semplicemente
introdotto il criterio di equivalenza tra i
termini PRG e PGT, per cui le norme statali
o regionali in cui si utilizza il termine
PRG vanno oggi applicate anche verso il PRT,
non comporta l'estensione automatica delle
disposizioni dettate per il PGT al PRG
vigente.
3. I procedimenti di variante ex art. 2,
comma 2 della L.R. n. 23/1997 costituiscono
un procedimento "a termine", atteso che la
loro applicazione viene fatta salva
dall'art. 25, comma 1 della L.R. n. 12/2005
sino all'adeguamento dei PRG ovvero sino
all'approvazione dei PGT.
Detto
procedimento, per sua natura speciale,
derogatorio rispetto alla procedura
ordinaria del PRG, non può essere
eterointegrato con disposizioni dettate per
le varianti al PGT, disciplinate dalla L.R.
n. 12/2005 (massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 19.05.2009 n.
3784 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano di recupero - Nozione -
Approvazione - Procedura variante
semplificata ex LR Lombardia 23/1997 -
Inammissibilità.
Se, in linea generale, l'art. 2, lett. d),
l.r. 23/1997 ammette l'aumento del carico
insediativo con la procedura di variante
semplificata purché nel limite massimo del
10%, tale aumento non può però essere
realizzato con un piano di recupero, che è
uno strumento attuativo destinato al
recupero del patrimonio edilizio esistente
senza, tuttavia, implicare incrementi
volumetrici tali da determinare un aumento
del carico insediativi, deve, di
conseguenza, escludersi che il recupero
edilizio, consistendo in interventi sugli
elementi costitutivi degli edifici
esistenti, possa comportare incrementi
volumetrici, ossia aumenti di superficie o
di corpi di fabbrica.
E', pertanto, illegittimo il Piano di
recupero che venga approvato attraverso la
procedura semplificata di variante
urbanistica ai sensi della legge regionale
23/1997, per assentire un aumento di
volumetria altrimenti non realizzabile
secondo le previsioni degli strumenti
urbanistici in vigore (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
08.04.2009 n. 806 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
URBANISTICA: Variante parziale mediante piano
attuativo ex art. 25, comma 1, L.R. n.
12/2005 - Sussistenza dei presupposti di cui
all'art. 2, comma 2, della L.R. n. 23/1997 -
Non necessità.
Dalla interpretazione letterale
dell'art. 25, comma 1, della L.R. n. 12/2005
si evince che per l'approvazione di varianti
al PRG occorre che ricorra una delle
fattispecie di cui all'art. 2, comma 2, della L.R. n. 23/1997 mentre, per l'approvazione
di piani attuativi in variante, non occorre
che ricorra una delle fattispecie di cui al
detto art. 2, comma 2, stante il richiamo
alla sola procedura di cui all'art. 3 della L.R.
n. 23/1997 (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.12.2007 n. 6541
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Se,
in linea generale, l’art. 2, lett. d), l.r.
23/1997 ammette l’aumento del carico
insediativo con la procedura di variante
semplificata purché nel limite massimo del
10%, tale aumento non può però essere
realizzato con piano di recupero, che è uno
“strumento attuativo destinato al recupero
del patrimonio edilizio esistente senza,
tuttavia, implicare incrementi volumetrici
tali da determinare un aumento del carico
insediativo”.
La norma attributiva del potere esercitato
dall’amministrazione comunale, nel caso in
esame, deve essere ricercata nell’art. 2
della l.r. 23/1997, che dispone che si possa
utilizzare la procedura di variante
semplificata per l’approvazione degli
strumenti urbanistici per: “(…), d)
varianti dirette a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio
esistente, nel caso in cui esse non
concretino ristrutturazione urbanistica e
non comportino incremento del peso
insediativo in misura superiore al 10%
rispetto a quanto stabilito dallo strumento
urbanistico vigente; ove necessario, le
varianti potranno altresì prevedere il
conseguente adeguamento della dotazione di
aree a standard; e) varianti di
completamento interessanti ambiti
territoriali di zone omogenee già
classificate ai sensi dell'art. 2 del D.M.
02.04.1968, n. 1444 come zone B, C e D che
comportino, con o senza incremento della
superficie azzonata, un aumento della
relativa capacità edificatoria non superiore
al 10% di quella consentita nell'ambito
oggetto della variante dal vigente PRG, ove
necessario tali varianti potranno altresì
prevedere il conseguente adeguamento della
dotazione di aree a standard”.
Nel caso in esame, l’amministrazione ha
utilizzato, in particolare, il disposto di
cui alla lettera d) dell’art. 2 l.r. 23/1997
ritenendo si trattasse di una variante
diretta a modificare le modalità di
intervento sul patrimonio edilizio
esistente, e che tale modifica delle
modalità di intervento fosse legittimata
dalla previsione della norma sovraordinata
di p.r.g. che prevedeva nelle zone A1 la
possibilità di edificare tramite piano di
recupero.
Il piano di recupero approvato non si è
limitato, però, a consentire l’edificazione
in base a titolo diverso dall’intervento
diretto di ristrutturazione edilizia, che è
l’unico titolo che sarebbe stato possibile
utilizzare in forza delle norme di piano
sovraordinate, ma ha anche consentito
l’aumento volumetrico del 10% sull’immobile
oggetto dell’intervento.
L’amministrazione ha ritenuto di disporre di
tale potere di aumentare la volumetria
dell’immobile nel limite del 10% dello
stesso per effetto della previsione della
lettera d) dell’art. 2 l.r. 23/1997 che,
come indicato sopra, ammette le varianti che
non comportino incremento del peso
insediativo in misura superiore al 10%
rispetto a quanto stabilito dallo strumento
urbanistico vigente.
Se, in linea generale, l’art. 2, lett. d),
l.r. 23/1997 ammette l’aumento del carico
insediativo con la procedura di variante
semplificata purché nel limite massimo del
10%, tale aumento non poteva però essere
realizzato con piano di recupero, che, come
già evidenziato da questo Tribunale, è uno “strumento
attuativo destinato al recupero del
patrimonio edilizio esistente senza,
tuttavia, implicare incrementi volumetrici
tali da determinare un aumento del carico
insediativo” (Tar Lombardia, sez.
Brescia, 09.12.2002, n. 2216) .
La pronuncia appena citata si è già occupata
del rapporto tra piano di recupero ed
utilizzo della procedura semplificata di
approvazione degli strumenti urbanistici di
cui alla l.r. 23/1997, ed ha stabilito sul
punto che “deve, di conseguenza,
escludersi che il recupero edilizio,
consistendo in interventi sugli elementi
costitutivi degli edifici esistenti, possa
comportare incrementi volumetrici, ossia
aumenti di superficie o di corpi di
fabbrica. Ciò premesso è illegittimo il
Piano di recupero che venga approvato
attraverso la procedura semplificata di
variante urbanistica ai sensi della legge
regionale 23.06.1997, n. 23, per assentire
un aumento di volumetria altrimenti non
realizzabile secondo le previsioni degli
strumenti urbanistici in vigore”.
La presente vicenda, che riguarda un caso
esattamente in termini con quello appena
citato di piano di recupero che legittima un
aumento di volumetria altrimenti non
realizzabile secondo le previsioni degli
strumenti urbanistici, deve pertanto essere
deciso in conformità con tale precedente
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 08.04.2009 n. 806 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Piano di recupero - Nozione -
Approvazione - Procedura variante
semplificata ex LR Lombardia 23/1997 -
Inammissibilità.
Se, in linea generale, l'art. 2, lett. d),
l.r. 23/1997 ammette l'aumento del carico
insediativo con la procedura di variante
semplificata purché nel limite massimo del
10%, tale aumento non può però essere
realizzato con un piano di recupero, che è
uno strumento attuativo destinato al
recupero del patrimonio edilizio esistente
senza, tuttavia, implicare incrementi
volumetrici tali da determinare un aumento
del carico insediativi, deve, di
conseguenza, escludersi che il recupero
edilizio, consistendo in interventi sugli
elementi costitutivi degli edifici
esistenti, possa comportare incrementi
volumetrici, ossia aumenti di superficie o
di corpi di fabbrica.
E', pertanto, illegittimo il Piano di
recupero che venga approvato attraverso la
procedura semplificata di variante
urbanistica ai sensi della legge regionale
23/1997, per assentire un aumento di
volumetria altrimenti non realizzabile
secondo le previsioni degli strumenti
urbanistici in vigore (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
08.04.2009 n. 806 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
URBANISTICA: Variante
semplificata ex L.R. 23/1997 - Rotatoria - Ente nel cui
interesse l'opera viene realizzata - Comune - Competenza
comunale - Sussiste.
Agli effetti della L.R. 23/1997, una rotatoria situata nel
centro abitato di un Comune e riguardante l'incrocio tra una
serie di strade comunali e una strada provinciale, non è
opera pubblica posta ad esclusivo servizio di quest'ultima,
finanziata dal Comune ed espressamente autorizzata dalla
Provincia, va considerata di competenza Comunale, nel cui
interesse l'opera viene realizzata, non necessitando di
valutazioni, sotto il profilo urbanistico, di enti
sovraordinati (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza
10.11.2006 n. 1391
- massima tratta da www.solom.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
URBANISTICA: Deve
escludersi che il recupero edilizio,
consistendo in interventi sugli elementi
costitutivi degli edifici esistenti, possa
comportare incrementi volumetrici, ossia
aumenti di superficie o di corpi di
fabbrica.
E' illegittima l'approvazione di un piano di
recupero attraverso la procedura
semplificata di variante urbanistica, ai
sensi della L.R. n. 23/1997, per assentire
un aumento di volumetria nella misura del
10%, altrimenti non realizzabile per le
previsioni degli strumenti urbanistici
vigenti, al fine della realizzazione di un
terzo piano dell’edificio.
Il piano di recupero consiste in uno
strumento attuativo destinato al recupero
del patrimonio edilizio esistente, senza,
tuttavia, implicare incrementi volumetrici
tali da determinare un aumento del carico
insediativo, come risulta dall’opinione
della costante giurisprudenza
amministrativa.
Tale strumento ha, dunque, per oggetto la
ridefinizione del tessuto urbanistico di
un'area ed è connaturato dalla specialità
dei fini del recupero del patrimonio
edilizio ed urbanistico degradato per
mantenere e meglio utilizzare il patrimonio
stesso mediante una globalità di interventi
edilizi organici integrati con il tessuto
urbanistico esistente, nonché con lo
sviluppo programmato, attraverso gli
strumenti urbanistici generali.
Balza agli occhi, di conseguenza, che tale
piano può assolvere alla finalità di
recupero edilizio di immobili degradati
esistenti, magari attraverso sistematici
interventi di ristrutturazione o restauro,
oppure può ridisegnare l'assetto urbanistico
esistente nelle zone soggette a recupero ed
assumere una caratteristica efficacia di
programmazione, salva restando la
connotazione tipica dello strumento
attuativo, che ne individua i limiti
oggettivi, connaturati dalla conservazione e
riutilizzazione del patrimonio edilizio
esistente. Deve, quindi, escludersi che il
recupero edilizio, consistendo in interventi
sugli elementi costitutivi degli edifici
esistenti, possa comportare incrementi
volumetrici, ossia aumenti di superficie o
di corpi di fabbrica.
Ciò, del resto, risulta avvalorato dall’art.
27 della legge 05.08.1978, n. 457,
intitolato: Individuazione delle zone di
recupero del patrimonio edilizio esistente,
nonché dall’art. 2, comma 2, lett. g, della
L.R. 23.06.1997, n. 23, che,
nell’esplicitare una delle ipotesi cui si
applica il procedimento semplificato di
variante urbanistica, ai sensi dell’art. 3
della stessa legge, menziona le varianti
finalizzate alla individuazione delle zone
di recupero del patrimonio edilizio
esistente, di cui all'art. 27 della legge
05.08.1978, n. 457 (norme per l'edilizia
residenziale).
Nel caso di specie, dalla documentazione
versata in atti risulta
incontrovertibilmente, come confermato,
peraltro, dalle stesse difese del comune di
Palosco, che il piano di recupero è stato
approvato attraverso la procedura
semplificata di variante urbanistica, ai
sensi della L.R. n. 23/1997, per assentire
un aumento di volumetria nella misura del
10%, altrimenti non realizzabile per le
previsioni degli strumenti urbanistici
vigenti, al fine della realizzazione di un
terzo piano dell’edificio
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 09.12.2002 n. 2216 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 21 del 20.05.2002, "Direzione
Generale Territorio e Urbanistica - Integrazione della circolare n. 37
del 10.07.1997 «Attuazione della l.r. 23.06.1997, n. 23»" (circolare
regionale 13.05.2002 n. 25 - link a www.infopoint.it). |
anno 2000 |
|
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 3° suppl. straord. al n. 22 del 02.06.2000, "Schede
tecniche aggiornate a corredo dei Piani Urbanistici e revoca parziale
della d.g.r. 01.07.1997, n. 29534" (deliberazione
G.R. 19.05.2000 n. 49916 - link a www.infopoint.it). |
anno 1998 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
B.U.R. Lombardia, 5° suppl. straord. al n.
43 del 30.10.1998 (link a www.infopoint.it):
- "Attuazione della legge regionale
23.06.1997, n. 23 («Accelerazione del
procedimento di approvazione degli strumenti
urbanistici comunali e disciplina del
regolamento edilizio»). Approvazione di
criteri ed indirizzi generali per la
redazione dei regolamenti edilizi comunali"
(deliberazione
G.R. 25.09.1998 n. 38573);
- "FASCICOLO 1 - Criteri e indirizzi
generali per la redazione dei regolamenti
edilizi";
- "FASCICOLO 2 - Allegato "A" - Patrimonio
edilizio esistente e nuove costruzioni:
definizione e tipologie degli interventi";
- "FASCICOLO 3 - Allegato "B" - Rassegna dei
principali atti normativi statali e
regionali". |
anno 1997 |
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URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, serie ordinaria n. 35 del 25.08.1997, "Adempimenti
previsti dall'art. 7, comma 2, della legge regionale 23.06.1997, n.
23 «Accelerazione del procedimento di approvazione degli strumenti
urbanistici comunali e disciplina del regolamento edilizio» -
Documentazione a corredo dei piani urbanistici attuativi" (deliberazione
G.R. 25.07.1997 n. 30267 - link a www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 28 dell'11.07.1997, "Assessorato
all'Urbanistica e al Territorio - Circolare n. 37 del 10.07.1997 -
Attuazione della legge regionale 23.06.1997, n. 23: «Accelerazione
del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e
disciplina del regolamento edilizio»" (circolare
regionale 10.07.1997 n. 37 - link a www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 4° suppl. straord. al n. 28 dell'11.07.1997, "Approvazione
dei modelli di schede informative relative alle varianti agli strumenti
urbanistici generali, ai piani attuativi in variante degli strumenti
urbanistici generali e alle rettifiche dei piani regolatori generali, ed
individuazione delle modalità di pubblicazione sul BURL delle
deliberazioni di giunta regionale di proposta di modifica d'ufficio
aventi efficacia di approvazione definitiva del piano, ai sensi degli
artt. 2, 4, 6 e 13 della l.r. n. 23 del 23.06.1997" (deliberazione
G.R. 01.07.1997 n. 29534 - link a www.infopoint.it). |
URBANISTICA:
B.U.R. Lombardia, 2° suppl. ord. al n. 26 del 27.06.1997, "Accelerazione
del procedimento di approvazione degli strumenti urbanistici comunali e
disciplina del regolamento edilizio" (L.R.
23.06.1997 n. 23 - link a www.infopoint.it). |
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