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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
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69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
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81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
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85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
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93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
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dossier VINCOLO STRADALE (e distanza dalla strada)
anno 2023

URBANISTICA: Sulla differenza fra vincolo conformativo e vincolo espropriativo.
La differenza fra vincolo conformativo e vincolo espropriativo è già stata chiarita in giurisprudenza rilevando che «i vincoli conformativi si differenziano dai vincoli espropriativi o sostanzialmente espropriativi atteso che
   - i primi sono quelli che dividono in tutto o in parte il territorio comunale in zone assoggettate a una disciplina dello ius aedificandi omogenea (cd. zonizzazione) e che dunque si connotano per il fatto di incidere su una generalità di beni, potenzialmente appartenenti a una pluralità indifferenziata di soggetti, beni che vengono accumunati in ragione delle caratteristiche intrinseche degli stessi e del contesto nel quale si inseriscono; mentre
   - i secondi sono quelli che riservano alla mano pubblica l'edificazione in una specifica area (cd. localizzazione) o che svuotano sostanzialmente di contenuto del diritto di proprietà su di un determinato bene».
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Avuto riguardo alla natura e al contenuto del vincolo derivante dalla previsione di una fascia di rispetto stradale cui, come affermato in giurisprudenza, va riconosciuta una «valenza di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in argomento», non può che convenirsi con la posizione espressa dal Tar circa la natura meramente conformativa del vincolo in questione.
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Con il terzo motivo, le appellanti deducono «ERRATA VALUTAZIONE DI INFONDATEZZA DEL TERZO MOTIVO DEL RICORSO DI PRIMO GRADO. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 841 DEL CODICE CIVILE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 42 DELLA COSTITUZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 112 CPC: PRINCIPIO DI CORRISPONDENZA TRA CHIESTO E PRONUNCIATO. VIOLAZIONE DELL’ART 88 CPA: DIFETTO DI MOTIVAZIONE. ERRATA PERCEZIONE DELLA SITUAZIONE DI FATTO POSTA A BASE DELLA DECISIONE» sostenendo l’illegittimità dell’art. 28 delle N.T.A. se interpretato nei sensi fatti propri dal Tar.
Le appellanti affermano che, nell’ipotesi in cui l’art. 28 delle N.T.A. dovesse essere interpretato nei sensi fatti propri dall’amministrazione e condivisi dal Tar, la norma impedirebbe l’esercizio di una potestà tipica del diritto di proprietà quale è il potere di chiudere il proprio fondo facendo valere lo ius excludendi alios (affermazione che, peraltro, contraddice quanto sostenuto con il precedente capo di impugnazione con il quale tale funzione dell’opera realizzata veniva esclusa).
La mancata previsione della possibilità di una deroga all’ampiezza della fascia di rispetto «quantomeno per la zona E/B, nella quale ricadono le aree di proprietà delle appellanti» concretizzerebbe gli effetti di una «cessione senza contropartita, di una fascia di terreno lunga circa mt. 180,00 e larga 3,25. Con conseguente violazione dell’art. 42, comma 3, della Costituzione».
Il fondamento della censura, a parere delle appellanti, si rinverrebbe nella nuova formulazione delle N.T.A. al P.R.G.C. di Buja che, pur confermando la necessità del rispetto della fascia di cinque metri, prevedrebbero la possibilità di introdurre deroghe, caso per caso.
La censura è inammissibile nella misura in cui tende a sindacare l’opportunità di una scelta discrezionale dell’amministrazione assumendo quale parametro di legittimità della disposizione censurata una diversa e soggettiva valutazione della parte privata.
Privo di pregio, nei sensi invocati, è anche il richiamo alla disciplina sopravvenuta: sotto un primo profilo, poiché la legittimità dell’operato dell’amministrazione deve essere valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’adozione del provvedimento che materializza l’esercizio del potere; sotto altro profilo, poiché a fronte della allegata astratta possibilità, di nuova introduzione, di una modulazione del vincolo nulla viene allegato a comprova della doverosità, o anche solo opportunità, di tale deroga con specifico riferimento al caso di specie.
La sentenza viene, altresì, censurata nella parte in cui afferma che «l’obbligo di arretramento e il conseguente vincolo imposto alla proprietà possiede natura conformativa e non già espropriativa (cfr. TAR FVG n. 311 del 2018)…senza che quindi emerga alcuna limitazione del diritto di proprietà tale, in particolare, da giustificare la previsione di un corrispondente indennizzo economico».
Deducono a tal proposito le appellanti che il rigetto della censura, già formulata con il terzo motivo del ricorso di primo grado sul fondamento di una pretesa violazione dell’art. 841 c.c., sarebbe frutto di una «errata percezione della realtà» del giudice di prime cure cui sarebbe sfuggito che un vincolo può definirsi conformativo nella misura in cui dallo stesso non derivi «la perdita del diritto di proprietà», mentre «nel caso di specie, invece, l’arretramento dei pali in legno realizzati dalle odierne appellanti, al fine di determinare un allargamento, di fatto, della sede stradale comunale, determina un incisivo svuotamento del diritto di proprietà delle appellanti, impedendone ogni possibile utilizzazione».
Il motivo è infondato.
La censura si fonda sull’erroneo presupposto che la disposizione urbanistica imponga alla proprietà dell’appellante un vincolo sostanzialmente espropriativo.
Sul punto non può che rilevarsi che la differenza fra vincolo conformativo e vincolo espropriativo è già stata chiarita in giurisprudenza rilevando che «i vincoli conformativi si differenziano dai vincoli espropriativi o sostanzialmente espropriativi atteso che i primi sono quelli che dividono in tutto o in parte il territorio comunale in zone assoggettate a una disciplina dello ius aedificandi omogenea (cd. zonizzazione) e che dunque si connotano per il fatto di incidere su una generalità di beni, potenzialmente appartenenti a una pluralità indifferenziata di soggetti, beni che vengono accumunati in ragione delle caratteristiche intrinseche degli stessi e del contesto nel quale si inseriscono; mentre i secondi sono quelli che riservano alla mano pubblica l'edificazione in una specifica area (cd. localizzazione) o che svuotano sostanzialmente di contenuto del diritto di proprietà su di un determinato bene (C.d.S., Sez. IV, n. 3116/2018; C.d.S., Sez. II, n. 342/2020)» (Cons. Stato, sez. IV, 30.12.2022, n. 11707).
Avuto riguardo alla natura e al contenuto del vincolo derivante dalla previsione di una fascia di rispetto stradale cui, come affermato in giurisprudenza, va riconosciuta una «valenza di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in argomento» (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n. 7382), non può che convenirsi con la posizione espressa dal Tar circa la natura meramente conformativa del vincolo in questione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.07.2023 n. 6793 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di rispetto stradale è di carattere assoluto.
Invero, è costante l’insegnamento giurisprudenziale per il quale “Il vincolo delle fasce di rispetto stradale non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive”.
Ne consegue che “L'esistenza del vincolo di rispetto della fascia stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di costruire, rendendo legalmente inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata”.
E, in presenza di un divieto assoluto di edificare imposto prima della opera edilizia da condonare, il diniego di condono è provvedimento di carattere vincolato in base alla quale “Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale;
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l'imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal d.m. n. 1404 del 1968 si ricade nell'ipotesi di cui all'art. 33, comma 1, l. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell'opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto.
Solo, infatti, per le opere abusive realizzate prima dell'imposizione del vincolo, si può applicare l'ipotesi dell'art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall'art. 32, comma 4, lett. c), con riferimento alla sicurezza del traffico”.
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Ciò premesso, va, però, precisato che il ricorso per motivi aggiunti non è fondato.
Le censure sviluppate dai ricorrenti attengono, in sintesi:
   a) alla errata presupposizione in fatto circa la data di inizio dell’abuso e in merito alla preesistenza del vincolo di inedificabilità, per fascia di rispetto stradale, che la P.a. resistente desume in maniera automatica facendo riferimento ad un non meglio precisato stato di fatto presente alla data di realizzazione del fabbricato dei ricorrenti;
   b) alla omessa verifica dell’epoca di realizzazione della strada, in relazione alla quale i ricorrenti rilevano che la stessa è cominciata nel 1976 ed è stata ultimata alla fine degli anni ottanta, successivamente all’ultimazione dell’edificio (1982);
   c) alla omessa istruttoria in ordine alla rituale classificazione della strada, il che consentirebbe di ipotizzare un vincolo di inedificabilità relativa che rende le opere edilizie realizzate abusivamente suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985. L’amministrazione non ha neppure preso in alcun modo in considerazione il fatto che l’edificio degli odierni ricorrenti rispetta la distanza minima inderogabile (15 metri) dal confine della S.P. 239 stabilita dalla Circolare Min. Lavori Pubblici n. 3357/25 del 1985, paragrafo 4.3. lettera C) di cui sopra, trovandosi lo spigolo più prossimo al confine stradale ad una distanza di m. 20,01.
Ulteriori argomenti non adeguatamente valutati dalla P.a. sono:
   a) l’immobile in questione non confina direttamente con la strada provinciale ma con una strada comunale vicinale, ciò significando che non vi è un accesso diretto dell’immobile sulla strada provinciale ma solo sulla strada comunale predetta: è, infatti, quest’ultima strada comunale che sfocia direttamente sulla S.P. 239. Quindi, mai e poi mai, l’area su cui insiste l’immobile costituisce intralcio o minaccia per la sicurezza stradale, né tanto meno l’area su cui insiste l’immobile potrebbe mai essere utilizzata per cantieri, deposito materiali, etc.;
   b) l’immobile ha accesso su una strada comunale che trovasi in posizione sopraelevata rispetto al livello stradale della strada provinciale n. 239: anche per detta ulteriore ragione l’area su cui insiste l’edificio in questione, mai e poi mai, potrebbe essere utilizzata per probabili cantieri di lavori pubblici;
   c) non l’intero corpo di fabbrica ma soltanto uno spigolo del medesimo, come sempre rimarcato vibratamente, risulta allocato alla citata distanza di m. 20,01 dalla strada provinciale n. 239, ovvero ad una distanza sì inferiore rispetto ai 30 metri previsti dal D.M. 1404/68 ma rispettosa, si badi bene, del requisito della distanza minima inderogabile (al di sotto della quale non sarebbe ammessa la sanatoria in deroga dei vincoli), costituito dal rispetto del 50% della distanza di cui al citato D.M. 1404/1968, ovvero il rispetto di almeno 15 metri di distanza dalla strada (cfr. Circolare Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 del 1985, paragrafo 4.3., lettera C);
   d) l’immobile è preesistente al vincolo, posto che i primi lavori di costruzione sono iniziati in epoca antecedente alla realizzazione stessa della strada provinciale n. 239 e l’ultimazione dell’immobile risale al 1982, comunque, in epoca precedente all’ultimazione della suddetta strada (fine anni ottanta).
Il Collegio ritiene di non poter condividere l’impostazione dei ricorrenti.
Si osserva, in primo luogo, che il vincolo relativo alla fascia di rispetto stradale è preesistente alla realizzazione dell’immobile. Gli stessi ricorrenti ammettono che i lavori di realizzazione della strada provinciale n. 239 Alberobello sono iniziati nel 1976, epoca in cui non si ha contezza dell’avvio dei lavori di realizzazione del fabbricato da condonare, ma in cui il vincolo della fascia di rispetto stradale era senz’altro già operante, alla luce delle disposizioni contenute nel d.m. 1404 del 1968, normativa di carattere regolamentare, di attuazione della legge 24.07.1961, n. 729
Il vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di rispetto stradale è di carattere assoluto. Sotto tale profilo, è costante l’insegnamento giurisprudenziale per il quale “Il vincolo delle fasce di rispetto stradale non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive” (cfr: TAR Catania, (Sicilia) sez. I, 03/11/2022, n. 2854).
Ne consegue che “L'esistenza del vincolo di rispetto della fascia stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di costruire, rendendo legalmente inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata” (cfr: TAR Napoli (Campania) sez. IV, 08/02/2021, n. 798).
E, in presenza di un divieto assoluto di edificare imposto prima della opera edilizia da condonare, il diniego di condono è provvedimento di carattere vincolato, così come insegna la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in base alla quale “Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale; pertanto, in caso di opera realizzata dopo l'imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal d.m. n. 1404 del 1968 si ricade nell'ipotesi di cui all'art. 33, comma 1, l. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell'opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo, infatti, per le opere abusive realizzate prima dell'imposizione del vincolo, si può applicare l'ipotesi dell'art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall'art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico” (cfr Consiglio di Stato sez. II, 24/06/2020, n. 4052)
(cfr. Consiglio di Stato sez. II, 24/06/2020, n. 4052) (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 10.02.2023 n. 288 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa violazione delle distanze dalla sede stradale prescinde dalla qualificazione dell’opera in quanto all’interno delle fasce di rispetto vige un divieto assoluto di edificazione.
Ai sensi, infatti, dell’art. 16, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), «ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato: … costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale».
Ai sensi dell’art. 26, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 495/1992, «fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell’articolo 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: … 20 m per le strade di tipo F, ad eccezione delle "strade vicinali" come definite dall' articolo 3, comma 1, n. 52 del codice».
Ai sensi, inoltre, dell’art. 58.02 delle N.d.A. «entro le fasce di rispetto stradali sono consentite solo la realizzazione di piste ciclopedonali, di parcheggi, di barriere antirumore e di impianti di distribuzione del carburante».
Ciò premesso, deve rilevarsi che, per costante giurisprudenza, le fasce di rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che comportano l'inedificabilità delle aree interessate.
Si tratta, quindi, di un vincolo che, in quanto posto per esigenze di sicurezza, riveste carattere assoluto ed inderogabile conformando in tal senso la proprietà privata.
Ne deriva che il vincolo interessante le fasce di rispetto stradale determina un divieto assoluto di costruire indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
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In data 30.03.2004, l’odierno appellante presentava al Comune di Cesena un’istanza di sanatoria riferita alla «realizzazione di un portico in aderenza» ad un manufatto di proprietà, respinta con provvedimento del 22.03.2007.
A seguito di detto diniego l’appellante, in data 09.05.2007, presentava all’amministrazione una nuova istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L.R. n. 23/2004 che veniva respinta con provvedimento n. 17739 del 23.10.2007 sul rilievo che l’opera ricadesse nella fascia di rispetto stradale fissata dall’art. 26 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada in 20 metri.
Il nuovo diniego veniva impugnato innanzi al Tar Emilia Romagna, con contestuale istanza risarcitoria, con ricorso iscritto al n. 21/2008 R.R. deducendo, sotto un primo profilo, la natura pertinenziale del manufatto che priverebbe di rilievo il posizionamento dello stesso all’interno della fascia di rispetto stradale; sotto altro profilo, l’illegittimità della sottoscrizione del provvedimento da parte del R.U.P. che, essendosi già espresso negativamente in sede di preavviso di diniego, non avrebbe potuto sottoscrivere anche la determinazione conclusiva del procedimento.
Il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 569 del 18.05.2016 riconoscendo la competenza del R.U.P. e negando la natura pertinenziale del manufatto.
L’appellante impugnava la sentenza con appello iscritto al n. 9024/2016 R.R., depositato il 29.11.2016.
...
Il motivo è infondato, ancorché sulla base di una diversa motivazione.
Deve premettersi, in tema di corretta qualificazione del manufatto, che la giurisprudenza, con orientamento ormai consolidato, «ha limitato la nozione di pertinenza, sul piano urbanistico-edilizio, ai soli interventi accessori di modesta entità e privi di autonoma funzionale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 06.02.2019, n. 904)» (Cons. Stato, Sez. IV, 13.07.2022, n. 5926).
È stato, altresì, affermato che «il legislatore identifica, dunque, le nuove costruzioni non solo (e non tanto) per le loro caratteristiche costruttive, ma piuttosto per il loro uso, ove sia destinato a soddisfare esigenze di carattere non meramente temporaneo (ex multis, Con. Stato, sez. V, n. 3435 del 2017)» (Cons. Stato, Sez. IV, 28.01.2019, n. 667).
La consistenza della realizzazione in questione (in cemento e legno) esclude di per sé la destinazione della stessa ad un uso temporaneo e inibisce la qualificazione del manufatto in termini di opera pertinenziale atteso che «ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la creazione di un "nuovo volume" (v. Cons. Stato, Sez. IV, 02.02.2012, n. 615, cit.)» (Cons. Stato, Sez. VI, 06.02.2019, n. 904).
Nel caso di specie, è la stessa Perizia Tecnica depositata in primo grado dall’appellante a precisare che «l’oggetto dell’abuso consiste nella realizzazione di un porticato».
Circa tale tipologia di manufatto la giurisprudenza ha già avuto modi di precisare che «in termini generali, una loggia o un porticato, in quanto costituiscono un nuovo volume suscettibile di autonomo utilizzo, devono essere assentiti con il titolo edilizio maggiore, ovvero con il permesso: sul punto specifico, C.d.S. sez. IV 03.06.2010 n. 3542» (Cons. Stato, Sez. IV, 24.01.2022, n. 434).
L’amministrazione, pertanto, negava legittimamente la sanatoria richiesta ritenendo che la tettoia non costituisse una pertinenza poiché «parte dell’edificio aggiunta in ampliamento che va a modificare il volume complessivo e l’aspetto esteriore».
In ogni caso, deve ulteriormente rilevarsi che la violazione delle distanze dalla sede stradale prescinde dalla suesposta qualificazione dell’opera in quanto all’interno delle fasce di rispetto vige un divieto assoluto di edificazione.
Ai sensi, infatti, dell’art. 16, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 285/1992 (Codice della Strada), «ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato: … costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale».
Ai sensi dell’art. 26, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 495/1992, «fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell’articolo 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: … 20 m per le strade di tipo F, ad eccezione delle "strade vicinali" come definite dall' articolo 3, comma 1, n. 52 del codice».
Ai sensi, inoltre, dell’art. 58.02 delle N.d.A. «entro le fasce di rispetto stradali sono consentite solo la realizzazione di piste ciclopedonali, di parcheggi, di barriere antirumore e di impianti di distribuzione del carburante».
Ciò premesso, deve rilevarsi che, per costante giurisprudenza, le fasce di rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che comportano l'inedificabilità delle aree interessate. Si tratta, quindi, di un vincolo che, in quanto posto per esigenze di sicurezza, riveste carattere assoluto ed inderogabile conformando in tal senso la proprietà privata (Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021 n. 2602).
Ne deriva che il vincolo interessante le fasce di rispetto stradale determina un divieto assoluto di costruire indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n. 7382) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 11.01.2023 n. 385 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2022

EDILIZIA PRIVATA: ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 495/1992, non sono ammesse le nuove costruzioni, le ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o gli ampliamenti fronteggianti le strade che non rispettino le distanze minime dal confine stradale ivi indicate.
Consolidata giurisprudenza ha precisato che tale disposizione comporta un divieto assoluto di costruire che rende legalmente inedificabili (e, dunque, non sanabili) le aree site nella fascia di rispetto stradale, a prescindere dalle caratteristiche delle opere realizzate e da qualunque necessità di accertamento in concreto.
Tale principio subisce un temperamento, secondo ragionevolezza, nel solo caso in cui, “per le particolari modalità dell’intervento edilizio programmato, la limitazione alla proprietà privata risulti scissa da qualunque interesse pubblico salvaguardato con il vincolo” di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale.
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato, quindi, l’esistenza di situazioni particolari nelle quali, onde non imporre una limitazione irragionevole alla proprietà privata, l’effettivo stato dei luoghi impone un’interpretazione e un’applicazione della norma coerenti con la relativa ratio, ossia con l’esigenza di garantire condizioni di sicurezza della circolazione stradale, eventuali prospettive di ampliamento della sede viaria ovvero uno spazio sufficiente per l’esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità.
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E’ contestata la legittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di condono edilizio relativa ad opere di ampliamento di un edificio compreso nella fascia di rispetto stradale, motivato con riferimento al parere contrario formulato dall’Ente preposto alla tutela del vincolo.
...
Meritano di essere condivise, invece, le censure sollevate con il quarto e il quinto motivo in ordine all’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del divieto assoluto di edificazione che comporta la non sanabilità delle opere.
Si rammenta che, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 495/1992, non sono ammesse le nuove costruzioni, le ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o gli ampliamenti fronteggianti le strade che non rispettino le distanze minime dal confine stradale ivi indicate.
Consolidata giurisprudenza ha precisato che tale disposizione comporta un divieto assoluto di costruire che rende legalmente inedificabili (e, dunque, non sanabili) le aree site nella fascia di rispetto stradale, a prescindere dalle caratteristiche delle opere realizzate e da qualunque necessità di accertamento in concreto.
Tale principio subisce un temperamento, secondo ragionevolezza, nel solo caso in cui, “per le particolari modalità dell’intervento edilizio programmato, la limitazione alla proprietà privata risulti scissa da qualunque interesse pubblico salvaguardato con il vincolo” di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale (Cons. Stato, sez. IV, 22.06.2016, n. 2756; id., 27.01.2015, n. 347; TAR Liguria, sez. I, 20.03.2019, n. 237).
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato, quindi, l’esistenza di situazioni particolari nelle quali, onde non imporre una limitazione irragionevole alla proprietà privata, l’effettivo stato dei luoghi impone un’interpretazione e un’applicazione della norma coerenti con la relativa ratio (cfr. sent. n. 2756 cit.), ossia con l’esigenza di garantire condizioni di sicurezza della circolazione stradale, eventuali prospettive di ampliamento della sede viaria ovvero uno spazio sufficiente per l’esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità.
Nel caso in esame, le opere abusive hanno comportato lo scavo del terrapieno frapposto fra l’edificio principale e la strada nonché il tamponamento del portico posto sul fronte est dello stabile.
Anche prescindendo dal fatto che il primo ampliamento è stato realizzato “controterra” e il secondo su un prospetto dell’edificio che non fronteggia direttamente la sede stradale, tali interventi non paiono idonei ad incidere sulle esigenze tutelate dal vincolo viario di inedificabilità, poiché non modificano le condizioni di sicurezza della circolazione né riducono lo spazio di manovra concretamente disponibile.
Infatti, l’ampliamento superficiario ottenuto mediante scavo del terrapieno, non influendo evidentemente sul traffico, non può neppure costituire di per sé impedimento alla realizzazione di opere accessorie alla sicurezza stradale, stante l’interposizione della residua porzione di terrapieno e del relativo muro di contenimento a suo tempo realizzati in occasione della tracciatura della strada.
Anche la chiusura del porticato pare inidonea a determinare quei possibili pericoli o impedimenti sottesi alla ratio del citato art. 26, poiché ha lasciato immutato l’ingombro del fabbricato e la sua distanza dalla strada che corre “in trincea”.
Avendo riguardo alla peculiare situazione di fatto, quindi, non si ha evidenza di alcuna compromissione degli interessi pubblici salvaguardati dal vincolo stradale.
Nei termini così esposti, il ricorso è fondato e, previo assorbimento delle altre censure dedotte, deve essere accolto (TAR Liguria, Sez. II, sentenza 02.12.2022 n. 1026 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo l'orientamento ormai granitico nella giurisprudenza:
   - “Si ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata. Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti”;
   - “quanto alla pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente da censure, essendo la distanza stabilita per legge già volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del traffico. [...] Si fa quindi riferimento a un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze”.
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Questo Tribunale si è già pronunciato sostenendo che:
   - “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale […] a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico”;
   - “l'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo 33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di sanatoria’. Ed invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: .... d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
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A. – Viene in decisione il ricorso promosso dagli odierni istanti, quali eredi dell’originario ricorrente, i quali hanno censurato il provvedimento del 24.07.2013, prot. n. 0045575-P, con il quale l’ANAS S.p.a. ha adottato il diniego del nullaosta in sanatoria per l’immobile sito nel Comune di Ficarazzi in C/da -OMISSIS-, ricadente nella fascia di rispetto autostradale della A/19 e censito in catasto al foglio 6, part.lla n. 1325 subalterni 3 – 4 e 5.
B. – Deve in via preliminare darsi atto che la difesa dell’ANAS S.p.A. –per la quale si erano inizialmente costituiti sia l’avv. Gi. dell’Avvocatura interna all’ANAS S.p.A., sia l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo– è stata assegnata al primo difensore menzionato, come risulta dalla documentazione versata in atti dall’Avvocatura dello Stato in data 30.01.2014.
C. – Ciò premesso, il ricorso non è fondato.
C.1. – Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente censura l’operato dell’amministrazione che ha negato il rilascio del N.O. in sanatoria con nota prot. n. 0045575-P del 24.07.2013 senza motivare sulla eventuale minaccia alla sicurezza del traffico rappresentata dall’immobile in questione.
Parte ricorrente, deduce inoltre che le costruzioni oggetto del N.O. sono state realizzate sotto la vigenza dell’art. 9 della l. n. 729/1961, la quale individuava come fascia di inedificabilità assoluta solamente quella dei 25 metri, rimettendo alla valutazione dell’ente preposto l’eventuale sussistenza di altri pericoli o ragioni di interesse pubblico che impedissero il rilascio del N.O..
Gli odierni istanti lamentano altresì l’erronea misurazione svolta dall’Amministrazione, posto che la suddetta norma (i.e.: l’art. 9), almeno fino all’entrata in vigore del nuovo codice della strada, in combinato disposto con l’art. 41-septies, commi 1 e 2, della l. n. 1150/1942 imponeva, secondo parte ricorrente, che la fascia tra l’autostrada e gli immobili in questione fosse misurata “a partire dal ciglio stradale”.
Inoltre, parte ricorrente sostiene che la normativa regionale introdurrebbe una deroga al regime normativo nazionale, stabilendo che anche qualora le costruzioni siano costruite all’interno delle fasce di rispetto, le stesse possano essere sanate “sempre che a giudizio dell’ente preposto alla tutela della viabilità, le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”.
Tali profili di doglianza non meritano accoglimento per i seguenti motivi.
Con riferimento alla mancata motivazione sulla eventuale minaccia alla sicurezza del traffico e sulla pericolosità in concreto rappresentata dall’immobile in questione, il provvedimento appare esente da censure, avendo diffusamente motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza anche dal concessionario o “dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni” (cfr. TAR Sicilia, Sez. I, 16.03.2019, n. 901).
Tale orientamento è ormai granitico nella giurisprudenza anche di questo Tribunale, secondo cui, altresì,
   - “Si ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata. Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 30.09.2008, n. 4719; Cons. Stato, 15.04.2013, n. 2062; Cass. Civ., II, 03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana, III, 23.07.2012, n. 1347; TAR Campania, II, 26.10.2012, n. 4283)”; e che
   - “quanto alla pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente da censure, essendo la distanza stabilita per legge già volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del traffico. [...] Si fa quindi riferimento a un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze” (TAR Sicilia, Sez. II, 27.06.2022, n. 2096).
Con riferimento alla contestata misurazione della fascia di rispetto, invece, appare dirimente l’art. 3, co. 1, n. 10), del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), che disciplina il confine stradale definendolo come “limite della proprietà stradale quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di esproprio del progetto approvato”, come del resto osservato da questo Tribunale, secondo cui “Il criterio di computo adottato dall’ANAS nel caso in esame è corretto, in quanto la distanza deve essere misurata dal confine stradale inteso come linea della fascia di esproprio, posto che la definizione di confine è sancita normativamente dall’art. 3, co. 10, del nuovo codice della strada” (TAR Sicilia n. 2096/2022 cit.; nello stesso senso TAR Sicilia, Sez. II, 30.03.2022, n. 1104).
In tal senso appare corretta la misurazione realizzata dall’Amministrazione resistente, posto che l’immobile “A)” si troverebbe all’interno della fascia di rispetto a protezione del nastro stradale, a una distanza di 48,00 metri, mentre l’immobile “B” si troverebbe in parte dentro ed in parte fuori dalla fascia di rispetto, in quanto il punto più vicino al confine autostradale dista 57,90 metri dal confine.
Pertanto, gli immobili si troverebbero all’interno della fascia di rispetto, posto che ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 del D.M. e 26 del D.P.R. 495 del 1992, all’esterno del perimetro abitato la distanza delle edificazioni da osservarsi nelle strade di tipo A) e è 60 metri.
Inoltre, con riferimento alla circostanza secondo cui la normativa regionale introdurrebbe una deroga al regime nazionale, questo Tribunale si è già pronunciato sostenendo che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale […] a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico” (TAR Sicilia n. 1104/2022 cit.); e che “L'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo 33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di sanatoria’ (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2062/2013 cit.). Ed invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: .... d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree” (TAR Sicilia n. 2096/2022 cit.).
Nel caso di specie, costituisce circostanza incontestata che i fabbricati siano stati abusivamente realizzati nell’anno 1992, in epoca successiva alla costruzione dell’autostrada A/19 Palermo-Catania, con vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale: ciò si evince dal decreto del 17.10.1969 del Prefetto di Palermo, che richiama il provvedimento n. 1957 del 26.04.1965 con cui la Direzione dell’ANAS ha approvato il progetto di costruzione della citata autostrada (doc. n. 3, deposito documentale ANAS in data 06.10.2022).
Quanto alla ritenuta disparità di trattamento, invece, parte ricorrente si limita ad affermare una “odiosa disparità nel trattamento di situazioni analoghe. Anzi, ad onor del vero, gli immobili con riferimento ai quali risultano essere stati rilasciati i N.O. da parte dell’ANAS risultano più vicini alla sede autostradale rispetto a quelli del ricorrente”, senza indicare le unità immobiliari di cui trattasi e senza chiarire le condizioni in cui si trovassero gli immobili, nonché l’epoca in cui siano stati costruiti.
Sotto tale profilo, pertanto, non è apprezzabile l’adombrato eccesso di potere per disparità di trattamento (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 28.11.2022 n. 3426 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa “fascia di rispetto” delle strade, secondo la classificazione di queste offerta dal relativo Codice, consiste, ai sensi dell’art. 2, co. 1, n. 22, d.lgs. n. 285/1992, nella “striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili”.
Invero, il vincolo stradale che afferisce a tali fasce di rispetto è un vincolo assoluto, nel senso che esso grava sugli immobili considerati, limitando o escludendo l’esercizio di talune facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà, in modo pieno e inderogabile per il solo fatto della ubicazione dell’immobile al confine con la strada, e senza che occorra accertare in concreto il pregiudizio o il pericolo che l’opera realizzanda o abusivamente realizzata possa (o meno) arrecare alla circolazione stradale.
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La disciplina vincolistica introdotta dal Codice della strada –diversa e specifica rispetto a quella di cui all’art. 19, l. n. 06.08.1967 n. 765 e D.M. 01.04.1968 n. 1404- non ha natura prettamente urbanistica né tanto meno espropriativa e, dunque, non intende ontologicamente e teleologicamente disciplinare qualsivoglia trasformazione del territorio.
Essa è invece una disciplina di tutela della circolazione e sicurezza stradale, del buon uso delle strade. Le limitazioni e i divieti allo jus aedificandi sono introdotti a tali fini, poiché l’ordinamento accorda prevalenza, rispetto al diritto di proprietà, ad altri valori costituzionalmente garantiti, quali la sicurezza pubblica e privata, la salute, la tutela della vita e dell’integrità fisica.
E’ a tali fini che ne costituiscono giustificazione –e non per una generale regolazione dell’uso del territorio- che i vincoli di inedificabilità vengono introdotti dal Codice della strada.
Ma, al contempo, occorre anche ricordare che, trattandosi di vincoli conformativi (e non espropriativi) la limitazione del diritto di proprietà e delle facoltà ad esso connesse deve essere causalmente interpretata in connessione con le finalità imposte dalla legge, potendosi accettare (e ritenere costituzionalmente giustificati e dunque legittimi) solo quei limiti funzionali alla predetta tutela.
Come la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare fin dalla sentenza 09.05.1968 n. 55, il legislatore, nel determinare il regime del diritto di proprietà può “autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico”.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale anche con riferimento alle fasce di rispetto e relativi vincoli stradali (Corte cost., 16.06.1971 n. 133).
Sul piano dell’interpretazione, ciò comporta –fermo quanto già rilevato in sede di interpretazione letterale– che le norme limitative del diritto di proprietà contenute nel Codice della strada devono trovare il proprio “limite interpretativo”, sia sul piano logico-sistematico che su quello della coerenza costituzionale, nella stretta esigenza di preservare la tutela della circolazione stradale, il buono e sicuro uso delle strade. In sostanza, le ragioni che sorreggono teleologicamente il vincolo conformativo di natura stradale del diritto di proprietà sono le medesime che si impongono all’interprete, onde contemperare più valori costituzionalmente garantiti.
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Qualora l’amministrazione intenda, ritenendone sussistenti i presupposti, esercitare i propri poteri repressivi a tutela delle fasce  di rispetto –nel caso di specie si trattava di un manufatto nella fascia di rispetto autostradale- non può limitarsi ad indicare, genericamente, che sussiste una qualche violazione della disciplina del codice della strada e/o del suo regolamento di attuazione, ma deve specificamente indicare o comunque rendere individuabili –quale giustificazione dell’esercizio del potere in ossequio al principio di legalità– le norme specificamente violate.
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3.1. Occorre ricordare che la “fascia di rispetto” delle strade, secondo la classificazione di queste offerta dal relativo Codice, consiste, ai sensi dell’art. 2, co. 1, n. 22, d.lgs. n. 285/1992, nella “striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare, il vincolo stradale che afferisce a tali fasce di rispetto è un vincolo assoluto, nel senso che esso grava sugli immobili considerati, limitando o escludendo l’esercizio di talune facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà, in modo pieno e inderogabile per il solo fatto della ubicazione dell’immobile al confine con la strada, e senza che occorra accertare in concreto il pregiudizio o il pericolo che l’opera realizzanda o abusivamente realizzata possa (o meno) arrecare alla circolazione stradale (Cons. Stato, sez. II, 25.05.2020 n. 3320 e 12.02.2020 n. 1110; sez. IV, 13.06.2017 n. 2878; sez. V, 23.06.2014 n. 3147).
Più in particolare (e per quel che rileva nella presente controversia), specifiche “fasce di rispetto” sono previste dal Codice della strada (d.lgs. 30.04.1992 n. 285) dagli artt. 16 e 17, relativamente alle aree fuori dai centri abitati, e dall’art. 18, per le aree situate nei centri abitati.
In particolare, l’art. 16, demandando al regolamento di definire la profondità della fascia di rispetto, vieta tra l’altro (co. 1):
   - alla lett. b), di “costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale”;
   - alla lett. c), di “impiantare ….recinzioni”.
Il successivo art. 18, relativo ai centri abitati, nel fare rinvio alle più specifiche norme del regolamento, prevede fasce di rispetto che inibiscono “le nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti” (co. 1) e prescrizioni per la realizzazione di “recinzioni e piantagioni” (co. 4).
Il regolamento di attuazione del Codice della strada (DPR 16.12.1992 n. 495), disciplina a sua volta l’“attività a tutela delle strade e fasce di rispetto” agli articoli 26 (fasce di rispetto fuori dai centri abitati, ma con specifiche disposizioni –co. 3- per le “zone previste come edificabili e trasformabili dallo strumento urbanistico generale”), 27 (fasce di rispetto nelle curve fuori dai centri abitati) e 28 (fasce di rispetto per l’edificazione nei centri abitati).
In particolare, l’art. 26 prevede al co. 2 “le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade”; al co. 7, le distanze “per le recinzioni non superiori ad 1 metro costituite da siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e materiali similari, sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o in cordoli emergenti non oltre 30 cm. dal suolo”.
L’art. 28, relativamente alle fasce di rispetto nei centri abitati, prevede, al co. 1, quelle da rispettare “nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade”. Il successivo co. 4 disciplina, invece, le distanze da rispettare “nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi natura e consistenza, lateralmente alle strade”.
La disciplina primaria e regolamentare, come è dato osservare, lungi dall’individuare una misurazione e un contenuto unici delle fasce di rispetto, distinguono non solo per tipologie di strade, ma altresì per localizzazione della strada stessa, e cioè se essa è ubicata in centri abitati o fuori di questi, con l’ulteriore distinzione, in questo ultimo ambito, delle zone (non edificate ma) previste come edificabili (v. art. 26, co. 3 reg.) e delle zone “in assenza di strumento urbanistico” (v. art. 28, co. 3 reg. ).
In ragione della pluralità di distinzioni operata dalla disciplina in materia, appare evidente come il vincolo stradale, ferma la sua tipologia di vincolo assoluto, assuma un contenuto diverso a seconda della natura della strada e dell’ubicazione di questa e del fondo finitimo.
Ne consegue che, nell’ambito del genusvincolo stradale”, sono individuabili diverse species dello stesso che alla comune natura vincolistica “assoluta”, nei sensi innanzi definiti, accompagnano una diversa scansione dei limiti conformativi del diritto di proprietà.
3.2. La normativa innanzi richiamata distingue, poiché distintamente individuate, tra:
   - “costruzioni” e “recinzioni” (v. art. 2, co. 1, n. 22);
   - “costruzione, ricostruzione o ampliamento” di “edificazioni di qualsiasi tipo e materiale” (v. art. 16, co. 1, lett. b) cod.; art. 26, co. 2 reg. e art. 28 co. 1 reg.);
   - “recinzioni” (art. 16, co. 1, lett. d) cod.; art. 26, co. 7 reg.);
   - “muri di cinta” (art. 28, co. 4 reg.).
Ne consegue che, nell’ambito del Codice della strada, la nozione di “costruzione” ovvero di “edificazione” non è onnicomprensiva di qualunque elemento solido che, per opera dell’uomo, venga ex novo realizzato sul terreno.
In caso contrario (nel senso cioè, di un significato generalista e onnicomprensivo del termine “costruzione”), la disciplina normativa non avrebbe affiancato, con specifiche previsioni, alle “costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti”, per di più nell’ambito del medesimo articolo, le recinzioni ed i muri di cinta.
Queste due ultime realizzazioni ricevono disciplina diversa, di modo che già l’interpretazione letterale delle norme impedisce che esse possano essere assimilate, o meglio ricomprese nelle “costruzioni”.
Oltre le disposizioni già innanzi richiamate, anche l’art. 30 del Codice disciplina –ai fini della loro conservazione e manutenzione– distintamente i “fabbricati” e i “muri”.
Le distinzioni presenti -peraltro non occasionali ma ripetute in più articoli sia della fonte primaria che secondaria– conducono ad affermare che laddove si imponga il divieto di costruire, ricostruire o ampliare la norma intenda riferirsi alla realizzazione di volumi fuori terra, edifici, che in quanto tali possono costituire un pericolo per la circolazione stradale e dunque per la pubblica e privata incolumità ove posti a distanza ravvicinata delle strade, intendendosi per tale quella di volta in volta prevista dalle singole fasce di rispetto.
Da ultimo, occorre ricordare come anche la tradizionale interpretazione amministrativa del termine “edificazione”, riferito alle fasce di rispetto stradale, è nel senso che “l’edificazione consiste essenzialmente nell’esecuzione di edifici di qualsiasi grandezza, forma e destinazione” (v. circ. Ministero lavori pubblici 30.12.1970 n. 5980), e non già in qualunque manufatto realizzato dall’uomo “fuori terra”.
3.3. La disciplina vincolistica introdotta dal Codice della strada –diversa e specifica rispetto a quella di cui all’art. 19, l. n. 06.08.1967 n. 765 e D.M. 01.04.1968 n. 1404- non ha natura prettamente urbanistica né tanto meno espropriativa (Cons. Stato, sez. IV, 29.03.2021 n. 2602 e 20.10.2000 n. 5620; sez. II, 05.10.2020 n. 5865), e dunque non intende ontologicamente e teleologicamente disciplinare qualsivoglia trasformazione del territorio.
Essa è invece una disciplina di tutela della circolazione e sicurezza stradale, del buon uso delle strade. Le limitazioni e i divieti allo jus aedificandi sono introdotti a tali fini, poiché l’ordinamento accorda prevalenza, rispetto al diritto di proprietà, ad altri valori costituzionalmente garantiti, quali la sicurezza pubblica e privata, la salute, la tutela della vita e dell’integrità fisica.
E’ a tali fini che ne costituiscono giustificazione –e non per una generale regolazione dell’uso del territorio- che i vincoli di inedificabilità vengono introdotti dal Codice della strada.
Ma, al contempo, occorre anche ricordare che, trattandosi di vincoli conformativi (e non espropriativi) la limitazione del diritto di proprietà e delle facoltà ad esso connesse deve essere causalmente interpretata in connessione con le finalità imposte dalla legge, potendosi accettare (e ritenere costituzionalmente giustificati e dunque legittimi) solo quei limiti funzionali alla predetta tutela.
Come la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare fin dalla sentenza 09.05.1968 n. 55, il legislatore, nel determinare il regime del diritto di proprietà può “autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento storico”.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale anche con riferimento alle fasce di rispetto e relativi vincoli stradali (Corte cost., 16.06.1971 n. 133).
Sul piano dell’interpretazione, ciò comporta –fermo quanto già rilevato in sede di interpretazione letterale– che le norme limitative del diritto di proprietà contenute nel Codice della strada devono trovare il proprio “limite interpretativo”, sia sul piano logico-sistematico che su quello della coerenza costituzionale, nella stretta esigenza di preservare la tutela della circolazione stradale, il buono e sicuro uso delle strade. In sostanza, le ragioni che sorreggono teleologicamente il vincolo conformativo di natura stradale del diritto di proprietà sono le medesime che si impongono all’interprete, onde contemperare più valori costituzionalmente garantiti.
3.4. Quanto sin qui affermato, non appare contraddetto dalla circolare ANAS 29.07.2010 n. 109707, la quale (ferma, peraltro, la sua natura meramente interpretativa in via amministrativa) non fornisce alcuna propria interpretazione del concetto di “edificazione” ai fini dell’applicazione del vincolo stradale.
4. 3. Tanto ricordato sul piano generale, occorre precisare che né il provvedimento impugnato 11.01.2021 n. 521, né la precedente nota della società Autostrade 12.06.2017, dalla quale ha origine il procedimento, indicano le specifiche norme violate, riferendosi tali atti, in via generale (e generica), al Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), al suo regolamento di attuazione (DPR n. 495/1992) ed alla circolare ANAS s.p.a. 29.07.2010 n. 109707; né tali atti chiariscono se la zona interessata dal vincolo autostradale si trovi (o meno) in centro abitato.
E’ la sentenza impugnata, sulla scorta dei motivi proposti con il ricorso instaurativo del giudizio di primo grado e degli atti del giudizio di primo grado, ad indicare, quali disposizioni di riferimento e oggetto di violazione, gli artt. 26 e 28 del DPR 495/1992.
A prescindere dal caso in esame (dove non vi è specifica deduzione), occorre ricordare che, una volta che l’amministrazione intenda, ritenendone sussistenti i presupposti, esercitare i propri poteri repressivi a tutela delle fasce di rispetto, non può limitarsi ad indicare, genericamente, che sussiste una qualche violazione della disciplina del codice della strada e/o del suo regolamento di attuazione, ma deve specificamente indicare o comunque rendere individuabili –quale giustificazione dell’esercizio del potere in ossequio al principio di legalità- le norme specificamente violate.
E ciò a maggior ragione nel caso di specie, dove sono le stesse norme primarie e secondarie ad effettuare una pluralità di distinzioni, conformando di volta in volta il vincolo di inedificabilità e definendo l’entità della fascia di rispetto.
Così come –proprio perché rilevante ai fini della verifica della (eventuale) violazione dei divieti imposti– l’amministrazione è tenuta a specificare la classificazione della strada, tipologia dell’area interessata, se trattasi o meno di centro abitato e, inoltre, se trattasi di centro previsto come edificabile ovvero “in assenza di strumento urbanistico”.
5. Nel caso di specie, in assenza di puntuali indicazioni nel provvedimento impugnato, dalla complessiva lettura degli atti di causa, si evince che:
   - la strada considerata ai fini della definizione della fascia di rispetto è una autostrada (strada di tipo A: art. 2, co. 2, d.lgs. n. 285/1992);
   - la zona considerata è da ritenersi in “centro abitato”, ancorché la società Autostrade, nella nota del 12.06.2017, segnali la violazione costituita dal piazzale “indipendentemente dall’essere all’esterno o all’interno del perimetro del centro abitato” (ma, sul punto, il Comune di Firenze –come si evince dalla memoria del 07.02.2022, pag. 9- si riferisce espressamente al “vincolo di inedificabilità assoluta di 30 metri dal ciglio autostradale (per i centri abitati)”;
   - le realizzazioni consistono in “piazzale permeabile”, che si assume realizzato a circa 17 m. dal ciglio autostradale; “cancello di ingresso”, “recinzione”.
Tanto precisato, ed alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’appello deve essere accolto con riferimento al secondo motivo di impugnazione proposto (sub lett. b) dell’esposizione in fatto), con assorbimento degli ulteriori motivi, potendosi, in particolare. prescindere dall’accertare o meno se, nel caso di specie, le opere oggetto dell’ordinanza impugnata siano preesistenti o meno all’entrata in vigore del Codice della strada.
Alla luce di quanto sin qui considerato, non può essere condivisa la sentenza impugnata, laddove essa afferma che il vincolo di inedificabilità “è incompatibile con qualsiasi manufatto”, e tali sono il “piazzale pavimentato o asfaltato” e “il muro di recinzione” (pag. 5).
Né, per le stesse ragioni, può trovare accoglimento quanto dedotto dalla società Autostrade e dal Comune di Firenze, secondo il quale “la disciplina introdotta dal nuovo Codice della Strada e dal suo regolamento di esecuzione ... introduce un vincolo di inedificabilità assoluta di 30 metri dal ciglio autostradale (per i centri abitati) che non ammette ... nessuna deroga, tanto meno in relazione alla natura delle opere realizzate” (v. pag. 9 memoria Comune del 07.02.2022; considerazioni analoghe a pagg. 6-7 memoria Autostrade del 09.02.2022).
Al contrario, la recinzione ed il cancello non rientrano nel divieto di edificazione, così come genericamente richiamato nell’ordinanza impugnata, ma devono essere oggetto di verifica puntuale alla luce delle norme del Codice e della strada e del suo regolamento di attuazione, come innanzi richiamate.
Né può parlarsi di edificazione in violazione della fascia di rispetto, con riferimento alla realizzazione, senza ulteriori opere, di un piazzale, quale che sia il materiale disteso sul suolo ed utilizzato.
Sul punto, la giurisprudenza ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV, 29.03.2021 n. 2602) la piena compatibilità di un parcheggio a raso con la fascia di rispetto stradale (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 07.11.2022 n. 9709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare, infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale.
Tale vincolo, non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. […] Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive.

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... per l'annullamento del provvedimento, prot. CPA – 0017209-P del 15.03.12, notificato il 22.03.2012, con cui l’A.N.A.S. ha negato il nulla osta in relazione alla costruzione di un fabbricato sito lungo la S.S. 185 Km 54+800, nel comune di Motta Camastra.
...
1. Con ricorso ritualmente proposto il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe con cui l’ANAS ha espresso il proprio diniego sull’istanza di nulla osta avente ad oggetto la costruzione di un fabbricato sito lungo la S.S. 185 Km 54+800, nel comune di Motta Camastra.
L’ANAS ha respinto l’istanza ritenendo non sussistenti i necessari presupposti atteso che la distanza maturata tra la costruzione della ditta Bl.Sa. ed il confine di proprietà stradale della SS. n. 185 è di m. 16,5.
Pertanto ai sensi dell’art. 16 del Codice della Strada e dell’art. 26 del regolamento per l’esecuzione C.d.S., nonostante sia interposta una strada Comunale tra la S.S. 185 e la proprietà del Sig. Bl. il fabbricato ricade all’interno della fascia di rispetto.
2. Premette parte ricorrente:
   - di aver richiesto al Comune di Motta Camastra, in data 21.02.2003, il rilascio della concessione edilizia per la costruzione del suddetto fabbricato da adibire a ristorante per la degustazione dei prodotti tipici, su un lotto di terreno sito in Contrada Larderia, distinto in catasto al fg. di mappa n. 18, particella 334;
   - acquisiti i necessari pareri favorevoli, il Comune ha rilasciato la concessione edilizia con provvedimento del 07.06.2006 e con successivo provvedimento del 10.09.2007 l’Ufficio del Genio Civile di Messina ha preso atto della completezza degli elaborati rispetto alle prescrizioni dettate dalla normativa sulle zone sismiche (artt. 17 L. 64/1974, art. 4 L. 1086/1971);
   - a seguito di rituale istanza il Comune ha, inoltre, rilasciato, con provvedimento dell’08.07.2009, una concessione edilizia in variante.
Lamenta il ricorrente che, solo dopo l’inizio dei lavori, l’ANAS gli ha contestato l’inosservanza dell’art. 16, comma 1, lett. B), e comma 4 del D.Lgs. 285/1992 e dell’art. 26 regolamento di esecuzione del C.D.S., per aver costruito il fabbricato all’interno della fascia di rispetto prevista dalle suddette disposizioni (v. verbale di contestazione n. 18/10 dell’11.03.2010).
Preso atto della natura comunale della strada prospiciente l’immobile in corso di costruzione, come da certificato rilasciato in data 30.04.2010 dal Comune di Motta Camastra, parte ricorrente ha proposto ricorso al Prefetto ai sensi dell’art. 203 C.d.S., avverso la sanzione irrogata.
Nelle more, a seguito di apposito sopralluogo, i tecnici comunali hanno accertato che il fabbricato dista dalla strada statale poco meno dei 30 metri previsti dalle richiamate disposizioni del codice della strada, riservandosi di effettuare nuovi rilievi con diversa e più precisa strumentazione.
Tenuto conto delle risultanze di tale sopralluogo, il ricorrente ha presentato all’Anas, in data 25.10.2011, una nuova istanza per la concessione del nulla osta alla costruzione del fabbricato.
Con nota prot. CPA-0062936-P del 25.10.2011, tuttavia, l’Anas ha espresso parere negativo all’accoglimento dell’istanza motivato sulle risultanze di un precedente sopralluogo nel corso del quale era stato accertato che distanza fra il fabbricato di proprietà del ricorrente e la S.S. 185 è pari, nel punto più vicino, a mt. 16,5 e non a mt. 30 come prescritto dal codice della strada.
Con memoria datata 07.11.2011 ha controdedotto al preavviso di diniego del 25.10.2011 rappresentando che sul ricorso in opposizione ex art. 203 del codice della strada si sarebbe ormai formato il silenzio-assenso per decorso del termine di cui al successivo art. 204.
L’ANAS, tuttavia, con provvedimento notificato in data 22.03.2012 ha definitivamente rigettato l’istanza di nulla osta.
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6.3. È infine, infondato anche il terzo motivo di ricorso.
Dai rilievi effettuati dal Comune di Motta Camastra (v. verbale prot. 3551 del 24.08.2010) emerge, invero, che il fabbricato è collocato ad una distanza di 28,50/29,00 metri dalla SS 185 e, dunque, ad una distanza inferiore ai 30 metri previsti dalla richiamata normativa.
Ad analoghe conclusioni è giunto il consulente di parte ricorrente dopo aver fatto gli opportuni sopralluoghi ed avendo effettuato il rilievo topografico con strumentazione GPS. Il consulente, invero, pur affermando che le distanze ortogonali al prospetto Sud ed al prospetto Ovest del fabbricato alla S.S. 185 superano di gran lunga i 30 ml, evidenzia che se si misura il punto di minor distanza ortogonale alla strada con lo spigolo più vicino del fabbricato (spigolo Sud Ovest) si ottiene una distanza di metri 27,10 dal guard-rail e di ml 28,10 dalla striscia bianca che delimita la carreggiata (v. pag. 14 del ricorso introduttivo).
Risulta, pertanto, incontestato, in punto di fatto, che il fabbricato di che trattasi ricade in area di rispetto stradale secondo quanto previsto dal d.lgs. 285/1992 (che prevede in questi casi una fascia di rispetto di m. 30). Ed invero, gli accertamenti compiuti dal Comune di Motta Camastra, dall’ANAS e dal consulente di parte ricorrente, convergono tutti verso uno stesso risultato, ovvero l’insistenza del fabbricato all’interno della fascia di rispetto stradale (ad una distanza dalla sede stradale che, comunque, non supera, nel punto più vicino, i previsti 30 metri, alla luce di quanto lo stesso consulente di parte, con relazione espressamente richiamata nel ricorso, ha avuto modo di accertare).
Non è fondato il rilievo secondo cui nessuna minaccia alla sicurezza del traffico potrebbe essere rappresentata dalla presenza del costruendo fabbricato, anche in considerazione del fatto che tra lo stesso e la S.S. 185 esiste una strada comunale con il quale il fabbricato confina direttamente.
La giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare, infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale (Tar Campania, sez. II, sentenza n. 4105 del 17.06.2022).
Tale vincolo, non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. […] Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 6780 del 02.08.2022).
Tenuto conto, pertanto, del carattere assoluto del vincolo della fascia di rispetto stradale, non rileva nemmeno che la S.S. 185 non confini direttamente con il fabbricato né sulla particella sulla quale lo stesso insiste atteso che le esigenze sottese all’esistenza del vincolo non vengono meno a fronte di una tale evenienza non potendo, comunque, escludersi la necessità di interventi manutentivi che richiedano l’utilizzazione dell’intera fascia di rispetto.
7. Il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere rigettato (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 03.11.2022 n. 2854 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa distanza minima voluta dal d.m. 01.04.1968 (delle costruzioni rispetto al manto stradale), a prescindere dall'esistenza di pericoli e/o ostacoli alla circolazione, è intesa non solo a costituire una zona di rispetto -indipendentemente dalla circostanza che le costruzioni sorgano a ridosso del manto stradale- ma anche ad impedire che le stesse possano frapporsi ad eventuali opere di ampliamento ovvero di ammodernamento della strada.
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La ratio principale sottesa alla individuazione di fasce di rispetto consiste nella necessità di porre distanze minime tra gli edifici e il manto stradale onde garantire l'incolumità degli utenti della strada e delle zone circostanti: a tale ragione principale se ne affiancano altre (quali quella di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori) che non sono immediatamente correlate alla esigenza di sicurezza del traffico, pur costituendone logica conseguenza.
In tale ottica, rappresentano un potenziale ostacolo all'esigenza di tutelare la sicurezza stradale non solo quelle opere che, per sporgere dal suolo, limitano la visibilità o in qualche modo disturbano la regolarità della circolazione ma anche quelle che, pur non elevandosi rispetto al piano stradale, incidono sull'assetto del territorio circostante, atteggiandosi come un potenziale ostacolo, suscettibile di costituire, per la sua prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone.
Come già affermato in giurisprudenza, dunque, l'espressione "edificazione", stante la ratio della norma, va intesa nell'accezione più lata del termine "sì da farvi certamente rientrare ogni stabile modificazione dello stato dei luoghi, con esclusione dei soli interventi che, in quanto totalmente interrati, non incidono in alcun modo sulla superficie, neppure in misura minima".

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5. Neppure è condivisibile la seconda censura, con la quale viene dedotta l’illegittimità, nel merito, del provvedimento in esame.
Si osserva sul punto che, la distanza minima voluta dal d.m. 01.04.1968 (delle costruzioni rispetto al manto stradale), a prescindere dall'esistenza di pericoli e/o ostacoli alla circolazione, è intesa non solo a costituire una zona di rispetto -indipendentemente dalla circostanza che le costruzioni sorgano a ridosso del manto stradale- ma anche ad impedire che le stesse possano frapporsi ad eventuali opere di ampliamento ovvero di ammodernamento della strada.
Ancora, l'art. 23, comma 8, della l.r. n. 37/1985, nel testo vigente all’epoca dei fatti per cui è causa, così disponeva: “possono conseguire la concessione o l'autorizzazione in sanatoria le costruzioni ricadenti nelle fasce di rispetto stradali definite dal decreto ministeriale 01.04.1968 sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”.
La circolare n. 3357/25 del 30.07.1985 -interpretativa della legge 47/1985 il cui articolo 32, comma 2, lett. c), fa riferimento al medesimo concetto di “minaccia alla sicurezza del traffico” di cui alla predetta norma regionale- ha chiarito che “quando l'abuso sia costituito da un fabbricato di piccole dimensioni su strada diritta senza intersezioni, curve o singolarità plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in sanatoria sarà ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 metri, ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore tale frazione a 5 metri”.
6. In questo contesto normativo, la giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sul punto ha precisato che: “La ratio principale sottesa alla individuazione di fasce di rispetto consiste nella necessità di porre distanze minime tra gli edifici e il manto stradale onde garantire l'incolumità degli utenti della strada e delle zone circostanti: a tale ragione principale se ne affiancano altre (quali quella di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori) che non sono immediatamente correlate alla esigenza di sicurezza del traffico, pur costituendone logica conseguenza. In tale ottica, rappresentano un potenziale ostacolo all'esigenza di tutelare la sicurezza stradale non solo quelle opere che, per sporgere dal suolo, limitano la visibilità o in qualche modo disturbano la regolarità della circolazione ma anche quelle che, pur non elevandosi rispetto al piano stradale, incidono sull'assetto del territorio circostante, atteggiandosi come un potenziale ostacolo, suscettibile di costituire, per la sua prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone. Come già affermato in giurisprudenza, dunque, l'espressione "edificazione", stante la ratio della norma, va intesa nell'accezione più lata del termine "sì da farvi certamente rientrare ogni stabile modificazione dello stato dei luoghi, con esclusione dei soli interventi che, in quanto totalmente interrati, non incidono in alcun modo sulla superficie, neppure in misura minima" (cfr. TAR Emilia Romagna, Parma, 26.01.2006, n. 370)” (cfr. TAR Palermo n. 3197/2014, confermata dal CGARS con sentenza n. 955/2019 che ha ribadito che “Non è dubbio pertanto che, ai fini dell’ammissibilità in sanatoria di un immobile, è necessario che la distanza dello stesso dal limite stradale deve essere almeno di 5 m”).
7. Nella fattispecie in esame, l’ufficio tecnico, con il diniego di nulla osta impugnato, ha rilevato innanzitutto che “l'ampliamento in sanatoria, confinante con la S.P. n. 54, consiste nella trasformazione di un terrazzo coperto con cannizzo, ancorato su strutture lignee (travi e traverse), tipico dell'isola di Pantelleria, preesistente da almeno 30 anni, modificato attraverso l'apposizione di ante in legno e scorrevoli, su una struttura costituita da travi in legno e muretto di delimitazione della proprietà, con l'aggiunta di copertura con pannelli coibentati, ubicata a ridosso di un complesso edilizio vetusto preesistente, sottolineando la precarietà della struttura in relazione ai materiali e alla possibilità di amovibilità. La preesistenza della porzione in sanatoria da almeno 30 anni, ed il suo posizionamento a ridosso da altra porzione vetusta, non hanno alcuna rilevanza ai fini dell'applicabilità delle limitazioni al rilascio delle concessioni per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo di inedificabilità, dettate dalle norme in materia di recupero e sanatoria delle opere abusive di cui alla L. n. 47/1985”.
Ha precisato che tutte le argomentazioni relative al diniego si riferiscono all’abuso nella sua interezza, che ricomprende anche il muro che, oltre che da delimitazione del lotto, funge da tamponatura del vano, da supporto agli infissi e/o da sostegno delle travi di copertura.
Ha altresì evidenziato che il punto 4.3 della Circolare del Ministero dei LL.PP. 30.07.1985 n. 3357/25 “precisa che sono sanabili le costruzioni realizzate nelle fasce poste a protezione del nastro stradale, a condizione che non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” e che, per la costruzione su strada in rettilineo, "il criterio per l'ammissibilità della concessione edilizia in sanatoria … decorre ove il manufatto disti dalla strada almeno 5m”.
Ha infine constatato che “la distanza del fabbricato dalla strada dalla strada è pari a m 0,00, inferiore a m 5,00” ed ha concluso esprimendo il proprio parere negativo.
8. Orbene, ritiene il Collegio che la distanza dell'immobile de quo dal confine stradale, essendo sensibilmente inferiore ai 5,00 metri previsti dalla normativa vigente quale vincolo assoluto di inedificabilità, ha giustamente comportato il diniego del nulla osta da parte del Libero Consorzio Comunale di Trapani.
Invero, come correttamente evidenziato dalla difesa del Consorzio, la predetta circolare n. 3357/25 al paragrafo 4.3, nel prevedere che sono sanabili le costruzioni realizzate nelle fasce poste a protezione del nastro stradale a condizione che non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico, “ha precisato i criteri per stabilire se esiste tale minaccia e se, perciò, la concessione in sanatoria debba essere negata, indicando le diverse tipologie: A) Abusi singoli su strada in rettilineo; B) Abusi singoli su intersezione stradale; C) Abusi plurimi o di dimensioni notevoli su strade in rettilineo; D) Abusi plurimi su intersezione stradale; E) Abusi singoli o plurimi in corrispondenza di curve, dossi, disuniformità planovolumetriche”.
La tipologia cui si riconduce il caso in esame è indubbiamente la A), secondo cui: “Quando l'abuso sia costituito da un fabbricato di piccole dimensioni su strada diritta senza intersezioni, curve o singolarità plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in sanatoria sarà ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 m, ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore tale frazione a 5 m.”.
Come già visto, non è dubbio che, ai fini dell'ammissibilità alla sanatoria di un immobile, è necessario che la distanza dello stesso dal limite stradale deve essere almeno di 5 m. e che detta distanza di 5.00 metri costituisce vincolo assoluto di inedificabilità (in tal senso, oltre alla giurisprudenza già citata, si veda C. di St. n. 5716/2002). Allorquando, come nella fattispecie (l'immobile dista “0,00 m dal ciglio stradale”), tale distanza è inferiore la costruzione costituisce minaccia alla sicurezza della circolazione secondo quanto stabilito dalla Circolare in argomento.
L’ente proprietario ha correttamente dichiarato la sussistenza di un pregiudizio alla sicurezza del traffico, affermando chiaramente che non sussistono le condizioni minime relativamente alla distanza, come previste sia dalla legge che dalla circolare citate.
Dunque l’accertamento “specifico” è stato effettuato, e la “peculiarità dei luoghi” è stata constatata, (avendo effettuato sopralluogo e constatato che non esistevano le condizioni minime di legge).
9. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 22.09.2022 n. 2630 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive.
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8.6 Il complessivo quadro probatorio, emergente dalla documentazione in atti, evidenzia, pertanto, non solo che il ricorrente ha omesso di dimostrare l’anteriorità al 1967 delle opere oggetto della domanda di condono –il che è sufficiente per il rigetto delle censure attoree– ma anche che alla data del 1967 non vi erano opere edili sul fondo nella disponibilità del Sig. El., risultando acquisiti al giudizio atti incompatibili con un’attività edilizia a tale data già esaurita.
Tali considerazioni conducono al rigetto del secondo motivo di appello, sia nella parte in cui deduce l’anteriorità delle opere de quibus rispetto al 1967, sia in quella in cui tende a censurare l’illegittimità di una delle autonome rationes decidendi alla base del diniego di condono, data dalla violazione della fascia di rispetto stradale imposta con D.M. n. 1404/1968.
Difatti, non risultando dimostrata la datazione delle opere oggetto della domanda di condono, non risulta comprovata neppure la loro anteriorità rispetto all’imposizione del vincolo di cui al D.M. m. 1404/1968, avente natura di inedificabilità assoluta e, dunque, ostativo alla sanatoria delle opere edificate in sua violazione.
8.7 Al riguardo, si osserva, infatti, che il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. VI, 30.11.2011, n. 7975).
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 02.08.2022 n. 6780 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale è assoluta e concerne ogni manufatto in essa ricadente, a nulla rilevando le relative caratteristiche costruttive.
Al riguardo, questo Consiglio ha avuto modo di precisare, con giurisprudenza costante, che il vincolo di inedificabilità assoluta entro le fasce di rispetto delle sedi autostradali per le aree situate fuori dal centro abitato sussiste a prescindere dalle concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale non può essere inteso restrittivamente e, cioè, come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone; ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Sicché, le distanze previste vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale, o che costituiscano mere sopraelevazioni, o, che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
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7. L’appello è infondato.
8. Correttamente, invero, il Tar ha rilevato che l’inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale è assoluta e concerne ogni manufatto in essa ricadente, a nulla rilevando le relative caratteristiche costruttive.
Al riguardo, questo Consiglio ha avuto modo di precisare, con giurisprudenza costante, che il vincolo di inedificabilità assoluta entro le fasce di rispetto delle sedi autostradali per le aree situate fuori dal centro abitato sussiste a prescindere dalle concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale non può essere inteso restrittivamente e, cioè, come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone; ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Sicché, le distanze previste vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale, o che costituiscano mere sopraelevazioni, o, che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (v., per tutte, Cgars, sez. giur, 01.02.2012, n. 115; id., 21.01.2019, n. 48) (CGARS, sentenza 19.07.2022 n. 848 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema di fascia di rispetto stradale:
   - “è dirimente osservare che, in disparte la questione dell'applicabilità del D.M. n. 1404 del 1968, la condonabilità dell'intervento edilizio in contestazione è comunque preclusa dal vincolo dettato, in tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali, dall'art. 9, comma 1, della L. 24.07.1961, n. 729, secondo cui ‘lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa’.
Il citato vincolo di inedificabilità -preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima- si traduce in un divieto assoluto di edificazione, ragion per cui è pertinente il richiamo fatto dall'A. alla previsione di cui all'art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47, il quale non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all'esecuzione (mentre non trova applicazione l'art. 32 della stessa legge, in base al quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione).
La predetta disposizione, vigente all'epoca di realizzazione dell'abuso, trova continuità normativa nei limiti di edificazione -da rispettare tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo- introdotti dal D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e dal suo regolamento di attuazione: segnatamente, l'art. 28 del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), nel disciplinare le "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati", fissa il limite di metri 30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade (come definite dall'art. 2 del codice della strada)
”;
   - “Si ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
L'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo 33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di sanatoria’.
Ed, invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: ....d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree’”.
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Quanto alla pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato abusivo (ossia che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), il provvedimento impugnato è esente da censure, essendo la distanza stabilita per legge già volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del traffico.
Il vincolo, infatti, non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Si fa quindi riferimento a un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze.
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5. Il ricorso è infondato e le censure devono essere complessivamente analizzate poiché connesse.
5.1. Anzitutto, deve essere chiarito che il fabbricato abusivo –realizzato nel 1972 come indicato da parte ricorrente– è stato pacificamente edificato quando il tratto autostradale di che trattasi era già esistente.
5.2. Quanto alla distanza del fabbricato abusivo dal confine autostradale, è incontestato che trattasi di mt. 20,60 (e infatti questa misurazione è indicata dall’interessata anche nelle proprie osservazioni del 17.09.2012). Tuttavia, secondo parte ricorrente, si dovrebbe utilizzare come termine di riferimento il ciglio autostradale, così pervenendo a una distanza di metri 36.
La tesi è infondata.
Il criterio di computo adottato dall’ANAS nel caso in esame è corretto, in quanto la distanza deve essere misurata dal confine stradale inteso come linea della fascia di esproprio, posto che la definizione di confine è sancita normativamente dall’art. 3, co. 10, del nuovo codice della strada. In particolare, l’art. 3, comma 1, punto 10, del D.lgs. 30.04.1992 n. 285, definisce il “confine stradale” come “il limite della proprietà stradale quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di esproprio del progetto approvato” (cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sezione Seconda, n. -OMISSIS-).
5.3. Puntualizzate tali premesse in punto di fatto e chiarito che l’immobile è stato realizzato successivamente al tratto autostradale, deve essere ora precisato che il vincolo esisteva già all’epoca di costruzione dell’immobile.
La norma ratione temporis applicabile era l’art. 9 della L. 24.07.1961, n. 729, che prevedeva che “[comma 1] Lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa. La distanza è ridotta a metri 10 per gli alberi da piantare. [comma 2] Le distanze di cui al comma precedente possono essere ridotte per determinati tratti ove particolari circostanze lo consiglino, con provvedimento del Ministro per i lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., su richiesta degli interessati e sentito il Consiglio di amministrazione dell'A.N.A.S.”.
Nel caso di specie, non ricorreva l’ipotesi di deroga alle distanze prevista dal comma 2, sicché all’epoca della costruzione del fabbricato la distanza minima dalla sede autostradale restava fissata in 25 mt ai sensi della norma citata, in vigore dal 1961.
Non rileverebbe nemmeno il fatto che l’edificio fosse situato o meno all’interno del centro abitato. Ciò perché il vincolo di inedificabilità nella fascia di 25 metri dal confine autostradale era comunque chiaramente già posto dall’art. 9 l. n. 729/1961 cit. Anche prima dell’adozione del D.M. 01.04.1968 n. 1404 –che ha dettato le distanze minime dal nastro stradale in attuazione dell’art. 19 l. n. 765/1967 (secondo cui “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici […]”)– l’area confinante con le autostrade non era liberamente edificabile se fuori dal centro abitato.
5.4. Le osservazioni sopra svolte conducono al rigetto dei primi due motivi di ricorso e sono in linea con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, che il Collegio condivide e richiama (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16.04.2019, n. 2501: “è dirimente osservare che, in disparte la questione dell'applicabilità del D.M. n. 1404 del 1968, la condonabilità dell'intervento edilizio in contestazione è comunque preclusa dal vincolo dettato, in tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali, dall'art. 9, comma 1, della L. 24.07.1961, n. 729, secondo cui ‘lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa’.
Il citato vincolo di inedificabilità -preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima- si traduce in un divieto assoluto di edificazione, ragion per cui è pertinente il richiamo fatto dall'A. alla previsione di cui all'art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47, il quale non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all'esecuzione (mentre non trova applicazione l'art. 32 della stessa legge, in base al quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione).
La predetta disposizione, vigente all'epoca di realizzazione dell'abuso, trova continuità normativa nei limiti di edificazione -da rispettare tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo- introdotti dal D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e dal suo regolamento di attuazione: segnatamente, l'art. 28 del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada), nel disciplinare le "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati", fissa il limite di metri 30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade (come definite dall'art. 2 del codice della strada)
”;
   - v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 06.11.2019, n. 7572: “Si ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata. Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 30.09.2008, n. 4719; Cons. Stato, 15.04.2013, n. 2062; Cass. Civ., II, 03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana, III, 23.07.2012, n. 1347; TAR Campania, II, 26.10.2012, n. 4283).
L'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo 33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di sanatoria’ (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2062/2013 cit.).
Ed, invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: ....d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree’
”.
5.5. Deve poi aggiungersi, quanto alla pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente da censure, essendo la distanza stabilita per legge già volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del traffico.
Il vincolo, infatti, non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Si fa quindi riferimento a un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze (cfr. TAR Sicilia, Palermo, 07.01.2022,-OMISSIS-).
5.6. Infine, con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce che alla data di emanazione del preavviso di rigetto con richiesta di osservazioni da parte di Anas, il nulla-osta doveva intendersi già favorevolmente reso ai sensi dell'art. 17, comma 6, L.r. 16/04/2003, considerato che era già trascorso il termine perentorio di centottanta giorni e che nessun chiarimento o integrazione all'interessata era stato chiesto.
La censura è infondata.
L’art. 17, comma 6, della L.reg.sic. n. 4/2003 non risulta applicabile alla fattispecie in esame atteso che la formazione del silenzio-assenso da detta norma disciplinato presuppone l’attivazione di una speciale procedura ad istanza di parte che nel caso in esame non risulta attivata da parte ricorrente.
Tale norma, invero, ha delineato, per i procedimenti di condono indicati al comma 1 dello stesso art. 17 (e, cioè, a quelli pendenti e “non ancora definiti” alla data di entrata in vigore della L.reg.sic. n. 4/2003) una specifica procedura acceleratoria, da avviarsi su istanza di parte, mediante l’inoltro, da parte del richiedente la concessione o autorizzazione in sanatoria, di “apposita perizia giurata a firma di un tecnico abilitato all'esercizio della professione”; perizia giurata asseverante “l'esistenza di tutte le condizioni di legge necessarie per l'ottenimento della sanatoria” e gli altri requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 17 in commento. Ed è in tale specifico contesto procedimentale (estraneo alla fattispecie presente) che si colloca la previsione, al comma 6, del silenzio-assenso (cfr., in termini, TAR Sicilia, Palermo, 07.01.2022,-OMISSIS-).
6. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 27.06.2022 n. 2096 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Detto vincolo “non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze”.
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Il ricorso è infondato.
Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui:
   - il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi (cfr., da ultimo, TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 07/01/2022, n. 23 che a sua volta richiama Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250 e, ivi, richiami; id., 03.11.2015, n. 5014);
   - detto vincolo “non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze” (TAR Palermo, n. 23/2022 cit.).
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la distanza delle opere realizzate è inferiore a quella minima prevista dalla normativa in esame per la concessione del nulla osta e, dunque, per la sanabilità della costruzione; donde l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.
Quanto alla dedotta formazione del silenzio-assenso (primo motivo), questo Tar ha già avuto modo di affermare che detto istituto non trova applicazione in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, visto il disposto di cui all’art. 35, c. 12, l. n. 47/1985, il quale, nel disciplinarne i presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei “casi di cui all'articolo 33” (TAR Sicilia, Palermo, 23/01/2018, n.-OMISSIS-).
Conclusivamente, sulla scorta di quanto precede, il ricorso in quanto infondato deve essere rigettato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 22.06.2022 n. 2031 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa delimitazione del cd. “centro abitato” è affidato, dal Codice della Strada (art. 4), ad un provvedimento formale della Giunta, in assenza del quale non vi è la possibilità per l’istante, onde escludere l’applicazione della fascia di rispetto in contestazione, di sostenere –contra l’evidenza della destinazione urbanistica impressa dal P.R.G.- che il manufatto di interesse ricade all’interno del centro abitato.
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Il vincolo di inedificabilità assoluta imposto sulle aree ricomprese nella fascia di rispetto stradale, in quanto funzionale a soddisfare anche esigenze di manutenzione della rete viaria, impianto di cantieri, deposito dei materiali e realizzazione di opere accessorie, prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Allorché l'opera venga realizzata dopo l'imposizione del vincolo, la sanabilità della stessa è, dunque, in ogni caso preclusa giusta il disposto dell'art. 33, comma 1, l. n. 47/1985, proprio perché si è in presenza di un vincolo incompatibile con qualsiasi manufatto, a prescindere dal fatto che lo stesso possa o meno astrattamente esporre a pericolo la circolazione stradale.
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10. Parimenti infondato si appalesa il primo ed articolato gruppo di censure (motivo sub. I) presupponente la sopravvenuta modifica della destinazione urbanistica dell’area di insistenza del manufatto abusivo, oggetto della richiesta di condono, da zona E, agricola, vigente nel 2006, a zona L, di recupero urbanistico.
Ed invero, con le istanze formulate in data 25.10.2013 e 11.11.2013, parte ricorrente ha chiesto all’ANAS il riesame del parere negativo prot. n. CRM-0007684-P, già reso in data 14.03.2006, a fronte dell'istanza di sanatoria avanzata al Comune di Velletri (prot. n. 20510 dell’01.04.1986).
Ciò posto, la rinnovazione, da parte della società, delle valutazioni in precedenza espresse ha correttamente avuto, quale parametro di riferimento, la destinazione urbanistica dell’area di riferimento pacificamente vigente al momento del rilascio del parere riesaminato (2006), ovvero la vocazione agricola della stessa, esterna al centro abitato (cd. zona E del P.R.G.).
Ne discende, quale immediato e diretto corollario, l’irrilevanza, ai fini dell’esercizio del potere di riesame in contestazione, del sopravvenuto mutamento della destinazione urbanistica dell’area in parola in termini di zona di recupero (cd. zona L), presupponente un certo grado di urbanizzazione (dovuta all’approvazione della Variante Generale al Piano Regolatore recepita dal Comune di Velletri con deliberazione C.C. del 17/12/2009), con conseguente impossibilità, per la ricorrente, di addurre utilmente siffatta sopravvenienza a motivo di illegittimità del rinnovato parere negativo.
10.1 Peraltro, in base ad un costante orientamento della giurisprudenza, anche di questo Tribunale, la delimitazione del cd. “centro abitato” è affidato, dal Codice della Strada (art. 4), ad un provvedimento formale della Giunta, in assenza del quale non vi è la possibilità per l’istante, onde escludere l’applicazione della fascia di rispetto in contestazione, di sostenere –contra l’evidenza della destinazione urbanistica impressa dal P.R.G.- che il manufatto di interesse ricade all’interno del centro abitato.
Costituiva, semmai, onere della ricorrente comprovare che l’area in parola, fin dall’epoca della realizzazione dell’abuso di che trattasi, insisteva all’interno del perimetro abitato, circostanza questa smentita per tabulas dall’inclusione della stessa in zona agricola (E) del P.R.G. (cfr. TAR Lazio, Roma, n. 1607/2020).
11. Fuori fuoco si appalesa anche il secondo motivo di gravame, secondo cui il rinnovato diniego di nulla-osta avrebbe dovuto essere preceduto dall’accertamento della pericolosità dell’immobile da sanare, avuto riguardo alle esigenze di sicurezza della circolazione stradale.
Tale assunto si pone, infatti, in aperta collisione con quel consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il vincolo di inedificabilità assoluta imposto sulle aree ricomprese nella fascia di rispetto stradale, in quanto funzionale a soddisfare anche esigenze di manutenzione della rete viaria, impianto di cantieri, deposito dei materiali e realizzazione di opere accessorie, prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Allorché l'opera venga realizzata, come nella specie, dopo l'imposizione del vincolo, la sanabilità della stessa è, dunque, in ogni caso preclusa giusta il disposto dell'art. 33, comma 1, l. n. 47/1985, proprio perché si è in presenza di un vincolo incompatibile con qualsiasi manufatto, a prescindere dal fatto che lo stesso possa o meno astrattamente esporre a pericolo la circolazione stradale (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 01/10/2021, n. 6150; TAR Lazio, Roma, sez. II, 27/05/2020, n. 5571; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 21.03.2011, n. 450; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 11.01.2011, n. 24; Cass. civ., sez. II, 03.11.2010 n. 22422; Cons. Stato, Sez. IV, 14.04.2010 n. 2076).
11.1 Ciò detto, l'operato dell’A.N.A.S. spa si è rivelato corretto in quanto presupponente l'esistenza del vincolo e la sua piena operatività in presenza di opere realizzate posteriormente all’entrata in vigore del D.M. 01.04.1968 ed a distanza non conforme a quanto stabilito dallo stesso decreto, ovvero edificazione ad una distanza inferiore a 30 mt., trattandosi di zona esterna al centro abitato e venendo in rilievo una strada statale di media importanza, cd. Strada di tipo C (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 17.06.2022 n. 8102 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare che il vincolo delle fasce di rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale; tale vincolo opera direttamente e automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, l'amministrazione può emettere solo un parere negativo sull'istanza di condono.
In tale quadro, la circostanza che il vincolo sia sopravvenuto alla realizzazione dell’abuso (in quanto la più ampia fascia di rispetto di m. 30 è stata introdotta con il d.lgs. 285/1992) non ha alcuna rilevanza, giacché comunque trattandosi di un vincolo assoluto, esistente già al momento della presentazione dell’istanza di condono, esso non è in alcun modo superabile. Ne consegue anche l’irrilevanza della mancata acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.

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Va in primo luogo rilevato che è incontestato tra le parti, in punto di fatto, che le opere abusivamente realizzate ricadono in area di rispetto stradale secondo quanto previsto dal d.lgs. 285/1992 (che prevede in questi casi una fascia di rispetto di m. 30).
Tale circostanza, di per sé, esclude la possibilità di condonare le opere, come correttamente ritenuto dal Comune resistente.
Ed infatti, come questa Sezione ha già avuto modo di rilevare, la giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare che il vincolo delle fasce di rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale; tale vincolo opera direttamente e automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, l'amministrazione può emettere solo un parere negativo sull'istanza di condono (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 19/10/2018, n. 5985; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 02.11.2021 Nr. 8090; TAR Bologna, (Emilia Romagna) sez. I, 20/09/2019, n. 710).
In tale quadro, la circostanza che, come dedotto dal ricorrente, il vincolo sia sopravvenuto alla realizzazione dell’abuso (in quanto la più ampia fascia di rispetto di m. 30 è stata introdotta con il d.lgs. 285/1992) non ha alcuna rilevanza, giacché comunque trattandosi di un vincolo assoluto, esistente già al momento della presentazione dell’istanza di condono, esso non è in alcun modo superabile. Ne consegue anche l’irrilevanza della mancata acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Quanto appena osservato vale, secondo ciò che si è in precedenza rilevato in tema di provvedimenti plurimotivati, ad assorbire logicamente il rilievo del primo motivo di censura, giacché l’infondatezza delle censure sviluppate con il secondo motivo consente di escludere l’illegittimità del provvedimento gravato
(TAR Capania-Napoli, Sez. II, sentenza 17.06.2022 n. 4105 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per consolidata giurisprudenza, il vincolo di rispetto della fascia autostradale si traduce in un divieto assoluto di costruire e comporta quindi l’inedificabilità delle aree interessate, indipendentemente dalle specifiche caratteristiche dell'opera realizzata e dall’accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale.
Ciò porta ad escludere che il parere negativo delle Autorità preposte alla tutela del vincolo debba essere sorretto da specifica motivazione, operando in tal caso il divieto ordinario imposto dalla legge, senza che occorra indicare in modo specifico gli interessi pubblici tutelati, la cui rilevanza è stata già valutata, in via preventiva, dal legislatore.
Laddove invece l’amministrazione ritenga di concedere la deroga al rispetto della distanza minima stabilita dalla legge per la salvaguardia di evidenti e rilevantissime esigenze di sicurezza pubblica e di manutenzione delle infrastrutture, la stessa dovrà fornire una motivazione rigorosa in ordine alle ragioni che consentono, nel caso specifico, di non rispettare tali distanze.

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L’ampiezza della fascia di rispetto autostradale è stata prevista dall’art. 9 della l. n. 729/1961, dall’art. 4 del successivo d.m. n. 1404/1968 e, infine, dal citato art. 28 del Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada.
La circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 del 28.02.1985 -relativa a manufatti di piccole dimensioni che si trovano entro la fascia di 5 m dalla strada o che distano da essa almeno la metà della larghezza della strada- non contiene previsioni di carattere normativo che possano derogare alle misure stabilite dal legislatore con le disposizioni sopra richiamate o modificare la natura assoluta del vincolo di inedificabilità in fascia di rispetto stradale, che necessariamente prescinde dalle caratteristiche delle opere realizzate.
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3.3. Passando ora all’esame delle censure formulate con il ricorso n. R.G. 233/2020, si deve in primo luogo escludere la sussistenza del denunciato vizio di carenza di motivazione.
Va infatti ricordato che, per consolidata giurisprudenza, il vincolo di rispetto della fascia autostradale si traduce in un divieto assoluto di costruire e comporta quindi l’inedificabilità delle aree interessate, indipendentemente dalle specifiche caratteristiche dell'opera realizzata e dall’accertamento in concreto dei rischi per la circolazione stradale (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.02.2021, n. 798; TAR Liguria, Genova, sez. I, 12.03.2015, n. 276).
Ciò porta ad escludere che il parere negativo delle Autorità preposte alla tutela del vincolo debba essere sorretto da specifica motivazione, operando in tal caso il divieto ordinario imposto dalla legge, senza che occorra indicare in modo specifico gli interessi pubblici tutelati, la cui rilevanza è stata già valutata, in via preventiva, dal legislatore; laddove invece l’amministrazione ritenga di concedere la deroga al rispetto della distanza minima stabilita dalla legge per la salvaguardia di evidenti e rilevantissime esigenze di sicurezza pubblica e di manutenzione delle infrastrutture, la stessa dovrà fornire una motivazione rigorosa in ordine alle ragioni che consentono, nel caso specifico, di non rispettare tali distanze (cfr. arg. ex TAR Toscana, sez. III, 06.05.2021, n. 665).
Peraltro, nella fattispecie, i pareri resi dalla Società Autostrade e dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, per quanto sintetici, danno conto della incompatibilità delle opere -in ragione della loro tipologia e della loro incontestata vicinanza all’autostrada- rispetto al vincolo di inedificabilità assoluta posto dalla normativa di settore, che ha come scopo quello di assicurare la protezione di primarie esigenze di rilievo collettivo come quella della sicurezza stradale o quella di consentire interventi manutentivi, di soccorso o di ampliamento dell’infrastruttura viaria.
La Società Autostrade, infatti, ha reso parere negativo “alla realizzazione della strada in conglomerato bituminoso in quanto, tale tipologia realizzativa, costituisce a tutti gli effetti un manufatto”; il Ministero ha confermato l’incompatibilità delle opere “per materiali e distanza”, posto che le opere da sanare si trovano vicinissime all’autostrada.
In conclusione, l’estrema vicinanza delle opere all’autostrada e la natura permanente delle stesse costituiscono ragione più che evidente a sostegno del parere negativo espresso dalle Autorità competenti.
Né, d’altra parte, può essere accolta la censura di violazione delle garanzie partecipative al sub-procedimento che ha portato all’adozione del parere negativo sulla deroga alla fascia di rispetto autostradale, dal momento che nel corso del presente giudizio non sono emerse circostanze che avrebbero giustificato l’adozione di un atto dal contenuto differente; la ricorrente, inoltre, anche dopo aver conosciuto i pareri delle Autorità competenti in materia di vincolo, non ha proposto ricorso per motivi aggiunti, con ciò dimostrando di non avere null’altro da dedurre in merito a tali atti.
3.4. Per quanto riguarda l’ampiezza della fascia di rispetto autostradale, occorre in primo luogo rammentare che nel caso di specie è stata presentata domanda di accertamento di conformità in sanatoria che -come noto- presuppone la conformità delle opere sia al momento della loro realizzazione, sia al momento di presentazione dell’istanza; appare dunque corretto il richiamo contenuto nel provvedimento impugnato all’art. 18 del Codice della Strada, d.lgs. n. 285/1992, e all’art. 28 del d.P.R. n. 495/1992, sicuramente vigenti nel 2018, quando la ricorrente ha avanzato la domanda di regolarizzazione delle opere di cui si discute, e alla fascia di rispetto ivi prevista, avente un’ampiezza di 30 m.
In secondo luogo, le amministrazioni coinvolte non hanno escluso in modo automatico la sanabilità delle opere ma -come evidenziato nella parte che precede- hanno operato una concreta valutazione di compatibilità delle stesse rispetto al vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di rispetto stabilita dai citati artt. 18 del Codice della Strada e 28 del Regolamento, in analogia a quanto previsto dalla normativa in materia di condono per le ipotesi di vincoli di inedificabilità sopravvenuta (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. II, 03.01.2022, n. 17).
In ultimo, va ricordato che l’ampiezza della fascia di rispetto autostradale è stata prevista dall’art. 9 della l. n. 729/1961, dall’art. 4 del successivo d.m. n. 1404/1968 e, infine, dal citato art. 28 del Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada.
La circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 del 28.02.1985 richiamata dalla ricorrente -relativa a manufatti di piccole dimensioni che si trovano entro la fascia di 5 m dalla strada o che distano da essa almeno la metà della larghezza della strada- non contiene previsioni di carattere normativo che possano derogare alle misure stabilite dal legislatore con le disposizioni sopra richiamate o modificare la natura assoluta del vincolo di inedificabilità in fascia di rispetto stradale, che necessariamente prescinde dalle caratteristiche delle opere realizzate (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.04.2020, n. 3904) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 17.06.2022 n. 808 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Piscina in fascia di rispetto stradale.
Il TAR Milano, con riferimento alla realizzazione di una piscina in fascia di rispetto stradale, osserva che una volta accertata la sussistenza del vincolo di rispetto stradale, risulta del tutto legittimo il diniego di sanatoria, poiché “il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.04.2022 n. 819 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
3. Con riguardo al primo motivo di ricorso –attraverso il quale è stata contestata la legittimità della notifica degli atti impugnati alla sig.ra Be. in proprio, piuttosto che nella esclusiva veste di legale rappresentante della società CO.– le parti ricorrenti hanno preso atto della rettifica del nominativo del destinatario dell’ordinanza di demolizione n. 1/2014 operata dal Comune di Mediglia a seguito della notifica del ricorso (all. 6 del Comune) e, pertanto, la censura deve ritenersi non più attuale.
In ogni caso la stessa è comunque infondata, poiché laddove la notificazione indirizzata alla persona fisica che rappresenta l’ente risulta andata a buon fine, la stessa produce effetto nei confronti della persona giuridica rappresentata, essendo questa posta in grado di tutelarsi adeguatamente in sede giurisdizionale (Consiglio di Stato, VI, 23.10.2015, n. 4884; anche, TAR Sicilia, Palermo, III, 13.09.2019, n. 2185; TAR Sicilia, Catania, II, 23.11.2017, n. 2722; TAR Lombardia, Milano, I, 05.07.2017, n. 1521).
4. Con la seconda e la terza doglianza, da trattare congiuntamente stante la loro stretta connessione, si assume l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non sarebbero stati affatto palesati i criteri sulla base dei quali si sarebbe affermato che una parte della piscina oggetto di richiesta di sanatoria ricadrebbe nella fascia di rispetto stradale della SP 159 “Dresano–Bettola di Peschiera”, né sarebbero stati indicati il punto del confine stradale dal quale è stata effettuata la misurazione e di quanto sarebbe stato violato il limite distanziale; ciò che, oltre a determinare un difetto di istruttoria e di motivazione, vizierebbe anche il conseguente ordine di demolizione adottato dal Comune.
4.1. Le censure sono infondate.
Va premesso che l’art. 16, comma 1, lett. b), del Codice della strada prevede che “ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato (…) costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale”; la violazione della citata disposizione “importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa del ripristino dei luoghi a proprie spese” (art. 16, comma 5).
L’art. 26 del Regolamento di attuazione del medesimo Codice della strada (“Fasce di rispetto fuori dai centri abitati”) prevede, invece, al comma 2, lett. c), che “fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell’articolo 4 del codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a (…) 30 m per le strade di tipo C [strade extraurbane secondarie]”.
Per completezza, l’art. 3 del Codice della strada definisce fascia di rispetto la “striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili”.
Non è contestato in giudizio che la SP 159 “Dresano–Bettola di Peschiera” appartenga al novero delle strade extraurbane secondarie di Tipo C, come stabilito con la Disposizione Dirigenziale n. 28/2009 del 25.05.2009, r.g. n. 8514/2009 (richiamata nell’atto della Città Metropolitana).
Nel ricorso si eccepisce la mancata indicazione da parte degli Enti procedenti dei criteri utilizzati per stabilire i punti da cui sono state poi misurate le distanze tra la piscina oggetto di richiesta di sanatoria e la strada SP 159, assumendo l’incomprensibilità delle ragioni da cui si sarebbe desunta la violazione del limite dei 30 m. In realtà, nella nota del 24.11.2014, gli Uffici della Città Metropolitana hanno precisato che il confine stradale è stato individuato nel limite della proprietà provinciale e non nel ciglio bitumato della sede stradale, come ritenuto dalla parte istante (all. 2 della Città Metropolitana).
Peraltro, su richiesta delle parti ricorrenti –contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso in cui si assume che nessun accertamento istruttorio sarebbe stato effettuato– è stato svolto, in data 01.12.2014, un sopralluogo congiunto con i Tecnici della Città Metropolitana, attraverso il quale è stata confermata la violazione del limite dei 30 m (all. 4 della Città Metropolitana).
La difesa comunale ha altresì rilevato che tale limite è stato recepito anche nel Piano Urbano del Traffico, atto ricompreso nel P.G.T., dove si conferma il limite dei 30 m tra la SP 159 e l’area dove è collocata la piscina (Tavola 3, all. 10 del Comune).
Nessuna contestazione su tali aspetti è stata formulata attraverso il ricorso, essendosi limitate le ricorrenti a produrre una perizia di parte attraverso la quale si è proceduto a effettuare le rilevazioni delle distanze, prendendo arbitrariamente a riferimento i due ceppi “che identificano il confine di proprietà della sede stradale rispetto al ciglio stradale della S.P. 159” (all. 7 al ricorso) e giungendo alla conclusione che la distanza minima di 30 m tra la strada provinciale e la piscina risulta certamente rispettata.
Tale modus procedendi non appare ammissibile, atteso che, in un giudizio di legittimità, “la parte ricorrente non può limitarsi a censurare gli atti sulla base della loro mera non condivisibilità, fornendo un diverso punto di vista del tutto soggettivo, ma deve indicare i vizi di legittimità degli stessi, non essendo ammessa in sede giurisdizionale una valutazione di merito, salvo i casi espressamente previsti, non ricorrenti nella specie (art. 134 cod. proc. amm.)” (TAR Valle d’Aosta, 22.09.2021, n. 58).
4.2. Una volta accertata la sussistenza del vincolo di rispetto stradale, risulta del tutto legittimo il diniego di sanatoria, poiché “il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi” (Consiglio di Stato, II, 12.02.2020, n. 1100; anche, TAR Lazio, Roma, II stralcio, 29.03.2022, n. 3548).

EDILIZIA PRIVATALe fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria. Si tratta di un vincolo posto a tutela della sicurezza della circolazione ed ha carattere assoluto ed inderogabile conformando in tal senso la proprietà privata.
Infatti, in linea di diritto, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale ha valenza di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
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8. – Un secondo motivo di appello, che poi contiene profili “spalmati” sulle ulteriori censure dedotte nel presente giudizio di secondo grado, tanto che le stesse possono essere scrutinate congiuntamente dal Collegio, attiene alla prospettazione secondo la quale l’area nella quale è stato realizzato il manufatto non ricadrebbe in alcuna fascia di rispetto stradale.
Si è già sunteggiato come il Comune di Mediglia abbia annullato, in autotutela, l’autorizzazione paesaggistica precedentemente rilasciata per la realizzazione della piscina in quanto detto atto favorevole confliggeva con la destinazione edilizio-urbanistica dell’area in cui l’opera era stata realizzata, posto che la stessa era destinata dall’allora vigente PRG a “zona di rispetto stradale” che, in ragione di cui alla previsione dell’art. 26, l.r. Lombardia 51/1975, era definita quale zona destinata “alla realizzazione di nuove strade o corsie di servizio, all’ampliamento di corsie esistenti, alla realizzazione di parcheggi pubblici e percorsi pedonali e ciclabili”.
Le appellanti lamentano che tale motivazione dell’atto di ritiro è frutto di una inadeguata rappresentazione delle norme che disciplinano l’assetto del territorio con riguardo all’area in questione. In particolare puntualizzano che:
   - il manufatto edificato non ricade in alcuna fascia di rispetto stradale sia relativamente alla via Grandi che alla SP 159 Bettola-Sordio, ciò in quanto dalla relazione del tecnico di parte prodotta in primo grado (architetto Ma.) emerge che:
a) alla luce, in particolare, dell’art. 1, comma 3, d.lgs. 285/1992, la Via Grandi è identificata come strada locale F (ovvero una strada urbana situata all’interno del centro abitato) e, tenuto conto, dell’art. 28, comma 2, del suddetto decreto, essendo esistente uno strumento urbanistico vigente, non vi sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione;
b) inoltre, il PUT approvato con delibera di Giunta n. 157 del 17.06.1999 e con delibera di Consiglio Comunale n. 81 del 20.12.1999 riporta correttamente alla Tavola 3 l’assenza di fascia di rispetto stradale per il tratto di strada definito “extraurbana locale F1” di cui alla Tavola 2;
c) da quanto sopra emerge la prova che il tratto di strada che collega la via Grandi dal civico 2 alla Provinciale SP 159 Bettola-Sordio, pur essendo indicata come strada “extraurbana locale F1”, non ha la fascia di rispetto stradale come si evince dalla Tavola 3;
d) successivamente sul tratto di strada qui di interesse erano stai effettuati interventi di riqualificazione (realizzazione di una corsia ciclabile, illuminazione e altro), di talché il tecnico concludeva affermando “in via principale che sia da considerarsi come indicato nel PUT che non vi è la presenza di fasce di rispetto stradale contrariamente a quanto indicato nel PRG ben più datato e, in via subordinata, che il Comune avrebbe dovuto classificare il tratto di strada F1 extraurbano in strada urbana e pertanto priva di fasce di rispetto” (così, testualmente, a pag. 12 dell’atto di appello);
   - l’art. 28 d.P.R. 495/1992 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della Strada) si limita a stabilire che “per le strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione” e quindi non prevede una distanza minima da osservare sempre all’interno dei centri abitati, rimettendo la relativa fissazione a determinazioni da assumersi caso per caso, circostanza che, nel caso di specie, si sarebbe verificata avendo il comune fissato detta distanza in 20 metri nello strumento urbanistico. E’ errato dunque affermare che l’area in questione sia coinvolta in una fascia di rispetto stradale, impeditiva della realizzazione della piscina;
   - ad ogni modo il Piano urbano del traffico (PUT) del Comune di Mediglia classifica la via Grandi quale “strada extraurbana locale”, all'interno del centro abitato, che quindi non è assistita da alcuna fascia e distanza di rispetto stradale.
Dalla documentazione versata in atti nei due gradi di giudizio si evince, invece, che:
   - l’area in questione ricade, secondo il PRG vigente all’epoca dei fatti qui oggetto di contestazione, in “zona agricola E” che, per l’art. 21 delle NTA al PRG viene qualificata alla stregua di una delle aree “prevalentemente destinate alla produzione agricola e che si ritiene debbano mantenere od acquisire tale funzione”;
   - sempre per il PRG la via Grandi è inserita in una fascia di rispetto stradale di 20 m, a partire dal ciglio stradale, mentre per la SP 159 è prescritta una fascia pari a 30 m. (per come emerge dalle tavole del PRG);
   - le due fasce del terreno oggetto di intervento si collocano, secondo il PRG allora vigente, nell’area di rispetto stradale compresa fra due strade in congiunzione (vale a dire la Via Achille Grandi e la SP 159 Bettola-Sordio). Dette aree sono destinate alla eventuale realizzazione di nuove strade o corsie di servizio, all’ampliamento di corsie esistenti, alla realizzazione di parcheggi pubblici, percorsi pedonali e ciclabili o adibite a verde;
   - nel parere reso dalla Commissione edilizia durante il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (successivamente annullata dal comune) si legge che “il manufatto in progetto ricadrà esclusivamente nella fascia di rispetto stradale relativa alla Via Achille Grandi”;
   - inoltre –e a tal proposito- la Tavola n. 3 del PUT fissa il vincolo di rispetto stradale per le strade qualificate di tipo “F1” (distanza di 20 mt.).
Con riferimento a tale ultimo aspetto merita di essere segnalato che, sebbene neppure l’art. 28, comma 2, d.P.R. 495/1992 preveda che “per le strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione”, tale previsione non inibisce l’introduzione di specifiche distanze da parte della normativa urbanistico edilizia comunale, come è avvenuto nella specie (tanto che l’autorizzazione paesaggistica, seppur inizialmente rilasciata dal comune, è stata da quest’ultimo annullata in sede di autotutela).
In argomento, una volta confermato, secondo quanto si è sopra illustrato, che il vincolo stradale sussisteva nella disciplina urbanistica locale dell’epoca, è opportuno rammentare brevemente che, per costante giurisprudenza, le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria. Si tratta di un vincolo posto a tutela della sicurezza della circolazione ed ha carattere assoluto ed inderogabile conformando in tal senso la proprietà privata (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021 n. 2602).
Infatti, in linea di diritto, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale ha valenza di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n. 7382).
Nel caso di specie, una volta che il P.R.G. vigente all’epoca dei fatti inserisce l’area in questione nell’ambito di una zona a rispetto stradale (e tale previsione non venga rimossa con effetto retroattivo), le eventuali formali incongruenze recate dalle rappresentazioni grafiche allegate (per come prospettato dalle appellanti) non mutano la portata prescrittiva dello strumento urbanistico primario, che nel caso in esame si mostra impeditivo rispetto alla realizzazione dell’opera, determinando la legittimità dei provvedimenti adottati dal comune ed oggetto di impugnazione nel presente contenzioso (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 06.04.2022 n. 2565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo un pacifico orientamento giurisprudenziale, il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale invocata in ricorso; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Quanto, poi, alla valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico) –in disparte ogni valutazione in ordine alla derogabilità o meno in Sicilia delle distanze minime di cui al DM 1404/1968, ad opera dell’art. 23, comma 8, L.R. 37/1985, che non costituisce oggetto di censura– il provvedimento appare esente da mende avendo diffusamente motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile all’occorrenza dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.

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L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
Pertanto non si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono il diniego avversato, o della comparazione di tale interesse con quelli dei privati coinvolti e sacrificati.
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5. Con il primo motivo, come detto, si deduce che l'art. 9 della legge n. 729/1961 non avrebbe potuto essere applicato alla fattispecie, dato che verrebbe all’esame una materia riservata alla potestà normativa esclusiva della Regione Siciliana, che era intervenuta in materia con l'art. 23, comma 8, della legge regionale n. 37/1985, il quale prevedeva una valutazione specifica in merito al pericolo per la sicurezza del traffico da parte dell'ente preposto alla tutela della viabilità, non effettuata dall'A.N.A.S.
La doglianza è infondata.
L'art. 23 richiamato dispone che "Possono conseguire la concessione o l'autorizzazione in sanatoria le costruzioni ricadenti nelle fasce di rispetto stradali definite dal decreto ministeriale 01.04.1968 sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico".
L'art. 9 della legge n. 729/1961 prevede a sua volta, che "Lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa. La distanza è ridotta a metri 10 per gli alberi da piantare".
Orbene, dal provvedimento impugnato risulta che l'A.N.A.S. ha ritenuto che il criterio per stabilire la sussistenza di una minaccia alla sicurezza del traffico doveva essere ricavato dal succitato art. 9 e che, pertanto, doveva essere esclusa la possibilità di rilascio del nulla osta per le costruzioni (quale quella della ricorrente) ubicate a meno di 25 metri dal limite della zona di occupazione autostradale.
Tale prospettazione è, ad avviso del Collegio, condivisibile con conseguente infondatezza della censura in esame tenuto conto degli interessi tutelati dal ridetto art. 9.
Deve, infatti, ricordarsi che, secondo un pacifico orientamento giurisprudenziale (per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250), il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale invocata in ricorso; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Quanto, poi, alla valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico) –in disparte ogni valutazione in ordine alla derogabilità o meno in Sicilia delle distanze minime di cui al DM 1404/1968, ad opera dell’art. 23, comma 8, L.R. 37/1985, che non costituisce oggetto di censura– il provvedimento appare esente da mende avendo diffusamente motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile all’occorrenza dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
6. Parimenti infondato è il secondo ordine di censure, con il quale parte ricorrente denunzia che la misurazione avrebbe dovuto essere effettuata a partire dal ciglio della strada e non dal confine.
Rileva il Collegio che il criterio adottato dall’ANAS nel caso in esame è corretto, in quanto la distanza deve essere misurata dal confine stradale inteso come linea della fascia di esproprio, posto che la definizione di confine è sancita normativamente dall'art. 3, comma 10, del nuovo codice della strada.
In particolare l’art. 3, comma 1, punto 10, del D.lgs. 30.04.1992, n. 285 definisce il “Confine stradale” come “il limite della proprietà stradale quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di esproprio del progetto approvato; in mancanza, il confine è costituito dal ciglio esterno del fosso di guardia o della cunetta, ove esistenti, o dal piede della scarpata se la strada è in trincea”. Al confine stradale fa poi costante riferimento, relativamente alle distanze imposte, il relativo regolamento (D.P.R. n. 495/1992, in particolare l’art. 28).
Tanto premesso, posto che parte ricorrente si duole esclusivamente del criterio applicato dall’A.N.A.S., ma non contesta la misurazione effettuata sulla base di quel criterio –risultata pari a 19 mt.– può darsi per accertato che il fabbricato in questione si trovi ad una distanza dal confine autostradale comunque inferiore ai 25 metri previsti dall’invocato art. 9, comma 1, l. n. 729/1961 (abrogata con D.L. n. 112/2008, convertito in legge n. 133/2008).
7. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce, per un verso, che il carico urbanistico presente sull’area dove sorge il fabbricato della ricorrente impedirebbe al vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale di raggiungere lo scopo voluto dal legislatore e, per altro verso, che la distanza del manufatto dall’autostrada non assumerebbe rilievo in quanto tra questa ultima ed il fabbricato della ricorrente si interponevano una strada comunale ed altri fondi di proprietà altrui.
La censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa. Pertanto non si richiede una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono il diniego avversato, o della comparazione di tale interesse con quelli dei privati coinvolti e sacrificati.
Peraltro il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il provvedimento è diffusamente motivato sia con riferimento ai parametri normativi sui quali esso è fondato, sia in ordine ai presupposti di fatto che asseverano l’espletamento di un’adeguata istruttoria.
Quanto poi alla presenza all’interno della fascia di rispetto di una arteria di natura diversa e di altri fondi di proprietà altrui osserva il Collegio come tali circostanze non incidano sul vincolo di inedificabilità assoluta, che va, comunque, garantito per superiori esigenze di sicurezza (cfr. in termini TAR Palermo, Sez. III, 16.03.2020 n. 622) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 30.03.2022 n. 1104 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n. 729 e dal susseguente d.m. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
Altresì,
il vincolo posto dal legislatore non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso, facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo, per l'ovvia ragione che sarebbe impossibile prevedere le future evenienze manutentive.
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5. – L’appello non può essere accolto stante la infondatezza dei motivi dedotti.
In primo luogo va rilevato che la società Autostrade, nel parere reso ai sensi dell’art. 32 l. 47/1985, ha espresso il proprio avviso sfavorevole al rilascio del condono edilizio in quanto:
   - dalla documentazione prodotta si evinceva che l'edificio in questione insiste ad una distanza minima di mt 1,50 dal confine della proprietà autostradale in zona classificata dal P.R.G. come esterna rispetto al perimetro del centro abitato;
   - inoltre le opere sono state eseguite nel 1993 e quindi in epoca successiva rispetto all’entrata in vigore del DM 01.04.1968 che ha posto il vincolo di inedificabilità assoluta nell’ambito della fascia di rispetto autostradale individuata in 60 mt..
Il Comune di Varazze, nel provvedimento impugnato in primo grado, ha effettuato un espresso richiamo al suddetto parere, affermando in modo sintetico ma comprensibile, che l’impedimento al diniego di condono era costituito dalla realizzazione delle opere in un edificio che si trova all’interno della fascia di rispetto autostradale.
Orbene tali elementi sono sufficienti a definire la motivazione del diniego, avendo il Comune di Varazze fatto uso dello strumento della motivazione ob relationem al parere reso dalla società Autostrade, quest’ultimo correttamente evocato dagli uffici comunali e richiamato nel ridetto provvedimento di diniego di condono specificandone in modo adeguato gli elementi per rinvenirlo (nel senso della sufficienza di un siffatto richiamo si veda, tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 18.08.2017 n. 4032).
Ne deriva che il provvedimento impugnato in primo grado si presenta sufficientemente motivato con il richiamo, seppur sintetico, al parere sfavorevole reso dalla società Autostrade e alla confermata presenza del vincolo di rispetto autostradale, applicabile ratione temporis al caso di specie, nella cui area ricade l’immobile.
6. – In secondo luogo con riferimento alla doglianza attraverso la quale si invoca la necessità di un prudente apprezzamento del vincolo in questione e se ne sostiene la non applicabilità al caso in esame anche in ragione della peculiarità della fattispecie, va detto che la giurisprudenza di questo Consiglio, come quella della Corte di Cassazione, dalla quale ad avviso del Collegio non vi è ragione di discostarsi, ha sostenuto in modo costante il carattere inderogabile del vincolo.
Infatti il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n. 729 e dal susseguente d.m. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex plurimis, Cass. civ., Sez. II, 07.05.2014 n. 9889 e Cons. Stato, Sez. II, 11.05.2020 n. 2949).
Da quanto sopra deriva che, per l’assolutezza del vincolo e del limite ad ogni tipo di costruzione, destituita di fondamento è la tesi secondo la quale il limite de quo non possa essere applicato alle opere oggetto dell'intervento in questione.
Pertanto, non può che rilevarsi che il primo giudice ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale il vincolo in questione ha carattere assoluto giacché, come sopra rammentato, il vincolo posto dal legislatore non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per caso, facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo, per l'ovvia ragione che sarebbe impossibile prevedere le future evenienze manutentive (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 30.11.2021 n. 7975 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: C. Tonola, La natura conformativa del vincolo di inedificabilità della «fascia di rispetto stradale» (commento tratto da www.njus.it).
La IV Sez. del Consiglio di Stato, con sentenza 23.11.2021 n. 7846, ha ribadito la natura del vincolo di inedificabilità della c.d. “fascia di rispetto stradale”.
Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dagli artt. 16, 17 e 18, D.L.vo 30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) e dagli artt. 26, 27 e 28, d.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di attuazione).
Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” –che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti– non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (Cons. Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità poi, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente” non edificabili (Cass. civ., sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cass. civ., sez. I, 28.10.2005, n. 21092).
L’autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale fa sì che ivi possa essere autorizzata attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 29.03.2021, n. 2602; Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2015, n. 2880).
A più riprese, invero, è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minor, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso. In via generale, la giurisprudenza ha chiarito che la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare.
Alla luce di tali principi, espressi da una normativa –quale quella in materia di distanze stradali e autostradali de qua– finalizzata a consentire quell’attività edificatoria di complemento o necessaria alla più agevole circolazione degli autoveicoli, i giudici amministrativi chiariscono che l’Autorità amministrativa competente ben può concordare con un privato “l’arretramento” di un preesistente edificio, rispetto ad un tratto autostradale, in luogo della demolizione sic et simpliciter del manufatto posto ad una distanza inferiore a quella legale, al fine di agevolare la sicurezza dei trasporti e la viabilità.
Le parti ben possono, cioè, concordare tale arretramento (pur se questo a sua volta riguarda un’area anch’essa inferiore alla distanza legale), che ad un tempo consente di soddisfare gli interessi pubblici connessi alla viabilità ed alla sicurezza, nonché quelli privati inerenti alla prosecuzione dell’attività svolta nell’edificio da demolire. Allorquando vi sia l’accordo su tale arretramento, la demolizione del preesistente manufatto può essere senz’altro effettuata, mentre per la realizzazione del nuovo edificio occorrono ovviamente tutti i titoli abilitativi richiesti. Tra questi, qualora il nuovo edificio a sua volta riguardi un’area anch’essa inferiore alla distanza legale, in sede di esame della istanza formulata dal soggetto che ha stipulato l’accordo “di arretramento”, le Autorità pubbliche devono tenere conto del precedente accordo che mirava a salvaguardare le esigenze della viabilità e della sicurezza.
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Riferimenti Normativi:
Art. 16, D.L.vo 30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) - Art. 17, D.L.vo 30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) - Art. 18, D.L.vo 30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) - Art. 26, d.P.R. 16.12.1992, n. 495 - Art. 27, d.P.R. 16.12.1992, n. 495 - Art. 28, d.P.R. 16.12.1992, n. 495

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SENTENZA
19. Va dunque esaminato il primo motivo di appello, che è infondato.
20. Questo Consiglio ha avuto modo di statuire in precedenti contenziosi che
la disciplina delle fasce di rispetto stradale -stabilita dagli artt. 16, 17 e 18, del D.Lgs. n. 285/1992 e dagli artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495/1992– costituendo una misura posta a tutela della sicurezza stradale (di natura conformativa e non espropriativa, non riconducibile alla categoria della “zonizzazione”), consente il legittimo insediamento di attività "eccentrica", rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti (in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021, n. 2602, e 11.05.2015, n. 2880).
21. In particolare, nella sentenza n. 2880/2015, questo Consiglio ha avuto modo di evidenziare come “
a più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. "fasce di rispetto" che, oggettivamente, pare di utilità minore, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare; inoltre, il D.lgs. n. 32 del 1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive espressamente che i Comuni debbano “individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada”.
22.
La ratio decidendi, che traspare dai citati precedenti, è quella di un’esegesi delle richiamate norme in materia di distanze stradali e autostradali, finalizzata a consentire quell’attività edificatoria di complemento o necessaria alla più agevole circolazione degli autoveicoli.
23. A questo stesso principio si è ispirato l’accordo transattivo concluso tra le parti, nella misura in cui il privato ha, infine, deciso di rinunciare all’impugnazione degli atti della procedura espropriativa, per cedere i suoi suoli, sui quali preesisteva, a distanza inferiore a quella legale, un manufatto destinato allo svolgimento della sua attività d’impresa, e pattuire, al contempo, la possibilità di ottenere dal concessionario autostradale il suo appoggio, mediante l’espressione di un parere favorevole, ad una ricostruzione del suddetto manufatto in un altro sito della sua proprietà, pur sempre ad una distanza inferiore a quella prevista dalla normativa autostradale.
24. In questi termini, considerato che l’accordo ha agevolato la realizzazione di necessari lavori di “adeguamento del tratto di attraversamento appenninico tra Sasso Marconi e Barnerino del Mugello” (si trattava, in particolare, da quanto emerge dalla transazione, della realizzazione dello svincolo autostradale di Sasso Marconi), esso si pone in linea con i principi enunciati dalla citata giurisprudenza, cosicché, in definitiva, la clausola impugnata dall’appellante si palesa valida.
25. Più in generale, ritiene la Sezione che –dalla complessiva normativa dettata dal testo unico sugli espropri e dal codice della strada– si può desumere un principio generale riguardante l’attività amministrativa, per la quale l’Autorità competente ben può concordare con un privato “l’arretramento” di un preesistente edificio, rispetto ad un tratto autostradale.
Al fine di agevolare la sicurezza dei trasporti e la viabilità, in luogo della demolizione sic et simpliciter del manufatto posto ad una distanza inferiore a quella legale, le parti ben possono concordare tale arretramento (pur se questo a sua volta riguarda un’area anch’essa inferiore alla distanza legale), che ad un tempo consente di soddisfare gli interessi pubblici connessi alla viabilità ed alla sicurezza, nonché quelli privati inerenti alla prosecuzione dell’attività svolta nell’edificio da demolire.
Allorquando vi sia l’accordo su tale arretramento, la demolizione del preesistente manufatto può essere senz’altro effettuata, mentre per la realizzazione del nuovo edificio occorrono ovviamente tutti i titoli abilitativi richiesti.
Tra questi, qualora il nuovo edificio a sua volta riguardi un’area anch’essa inferiore alla distanza legale, in sede di esame della istanza formulata dal soggetto che ha stipulato l’accordo ‘di arretramento’, le Autorità pubbliche devono tenere conto del precedente accordo che mirava a salvaguardare le esigenze della viabilità e della sicurezza.
La clausola contestata dall’appellante, sotto tale profilo, risulta espressiva del dovere -che comunque sarebbe derivato in capo alla società Autostrade per l’Italia– di eseguire secondo buona fede e correttezza l’accordo stipulato con l’appellante, dal momento che, qualora fosse stata presentata l’istanza volta alla ricostruzione in altra area del nuovo edificio, la medesima società avrebbe dovuto esprimere un parere coerente con il contenuto del precedente accordo.
Ne consegue che la clausola contestata risulta di per sé valida.
26. Il primo motivo di appello va pertanto respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 23.11.2021 n. 7846 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICANon può assegnarsi natura espropriativa ai vincoli derivanti dalla ricomprensione dei terreni di proprietà privata all'interno della fascia di rispetto stradale in quanto tale tipologia di vincolo "(che è una tipica espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti) ... ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative".
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2. Per quanto concerne le ulteriori aree destinate a corridoio ecologico, va richiamata la distinzione fra vincoli espropriativi ovvero sostanzialmente tali, che possono essere imposti senza previsione di indennizzo per un periodo massimo di cinque anni (decorso il quale decadono), e vincoli conformativi che possono invece essere imposti a tempo indeterminato senza che alcun indennizzo sia dovuto.
2.1 Il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 21/06/2021 n. 4775) ha richiamato le pronunce della Corte costituzionale 20/01/1966 n. 6 e 29/05/1968 n. 55, nella quale <<ha distinto anzitutto i casi in cui la proprietà -ovvero singoli diritti minori, che all'istituto della proprietà si ricollegano- vengano sacrificati attraverso atti che, indipendentemente dalla forma adottata, comportino sia una traslazione totale o parziale del diritto, sia uno svuotamento di rilevante entità ed incisività del relativo contenuto, pur rimanendone intatta l'appartenenza e la sottoposizione a tutti gli oneri, anche fiscali connessi; in tali casi, ha ritenuto che la garanzia della proprietà privata di cui all'art. 42 Cost. comporti la necessità di corrispondere l'indennizzo e il carattere temporaneo del vincolo non indennizzato. … Viceversa, la stessa Corte ha escluso che tali garanzie siano dovute nel caso di disposizioni di vincolo le quali si riferiscano a intere categorie di beni, siano riferite alla generalità dei soggetti e sottopongano quindi tutti i beni di una qualche categoria, senza distinzione fra di essi, ad un particolare "regime di appartenenza", ovvero conformino in un dato modo il diritto relativo. … Sulla base di questa distinzione di principio, secondo la costante giurisprudenza, non integrano vincolo espropriativo le destinazioni di zona, anche quando prevedano una data opera di interesse pubblico che però possa essere realizzata anche ad iniziativa privata o promiscua, e non solo per iniziativa pubblica: così esattamente C.d.S. sez. II 06.03.2020 n. 1643, relativa ad un'area a verde pubblico>>.
2.2 La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal Piano Regolatore Generale ad aree di proprietà privata, non implica l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo (TAR Lombardia Brescia, sez. I – 21/06/2021 n. 584, che ha richiamato Consiglio di Stato, sez. II – 24/10/2020 n. 6455; TAR Puglia-Bari, sez. III – 23/04/2020 n. 529): ciò comporta che la reiterazione nel tempo di detta destinazione non impone particolari motivazioni all'amministrazione, né obblighi di indennizzo in favore della proprietà.
Ha aggiunto il giudice di prime cure che “Quanto alla nuova destinazione a "verde privato" impressa con il nuovo strumento urbanistico, essa appare coerente con gli obiettivi di fondo della pianificazione, diretti alla tutela del territorio e alla riduzione del consumo del suolo, anche mediante la formazione di zone filtro e di tutela ambientale (cfr. Relazione illustrativa generale del Documento di Piano, paragrafo 1.15.1, doc. 4 Comune), obiettivi condivisi da Regione, Provincia e ASL”.
2.3 Secondo TAR Sicilia-Catania, sez. II – 28/06/2021 n. 2115 “Anche di recente è stato infatti statuito che "il vincolo di destinazione urbanistica "zona attrezzature di interesse pubblico" impresso ad un'area dal piano regolatore generale non ha natura sostanzialmente espropriativa tale da comportarne la decadenza quinquennale, bensì costituisce un vincolo conformativo con validità a tempo indeterminato e senza obbligo di indennizzo in quanto le attrezzature in questione (nella fattispecie verde di quartiere) sono realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua in regime di economia di mercato e non dal solo intervento pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.05.2018, n. 3116; 13.10.2017, n. 4748; 12.04.2017, n. 1700)" (così Cons. St. 31.08.2018 n. 5125). Tanto meno può assegnarsi natura espropriativa ai vincoli derivanti dalla ricomprensione dei terreni di proprietà del ricorrente all'interno della fascia di rispetto stradale richiamata dall'Amministrazione, in quanto tale tipologia di vincolo "(che è una tipica espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti) ... ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative" (Consiglio di Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095)”.
2.4 Applicando il principio così delineato al caso di specie, la previsione di piano di un corridoio ecologico –contestata in questa sede– va qualificata come vincolo conformativo legittimamente apposto, realizzabile anche per iniziativa privata (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 06.10.2021 n. 822 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA"In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto dopo la sua imposizione, non si applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico".
Ed ancora, "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto".
"Sotto altro profilo va ancora osservato che il provvedimento di diniego impugnato esordisce premettendo che l’art. l'art. 23, comma 8, della L.R. n. 37/1985 ammette la possibilità di conseguire la concessione o l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti nelle fasce di rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non si applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt. 26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada, atteso che la giurisprudenza è stata sempre conforme nel ritenere il carattere assoluto del vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto autostradale, anche a prescindere dalle concrete caratteristiche dell’opera realizzata […].
Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi”.
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Essendo il vincolo di inedificabilità assoluta in questione correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, deve ritenersi che la distanza minima vada calcolata dal confine della proprietà autostradale e non dal ciglio della autostrada.
Tale circostanza è, peraltro, confermata dall’art. 3, comma 1, punto n. 10, del nuovo codice della strada approvato con D.Lgs. n. 285/1992, che identifica il confine stradale con il limite della proprietà.
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L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
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1. Come chiarito in fatto, la controversia ha ad oggetto il parere negativo espresso dall’ANAS sulla istanza di sanatoria presentata dai ricorrenti in quanto riferita ad immobile situato ad una distanza di mt. 13,40 dal confine dell’autostrada A/29.
2. Preliminarmente deve essere accolta l’eccezione sollevata dalla difesa del Comune di Palermo circa la propria carenza di legittimazione passiva non venendo all’esame del Collegio provvedimenti emessi dall’ente locale, né dagli atti depositati in giudizio si percepisce un qualche collegamento con l’attività istruttoria svolta dal comune sulla pratica di sanatoria urbanistica.
Nella specie, le istanze di condono depositate in atti dalla ditta Va.Be. riguardano due corpi di fabbrica realizzati su di un’area di sedime con accesso da Via ... n. 1059, che effettivamente non sembrano avere alcuna pertinenza con l’oggetto del presente giudizio, stante le diverse particelle catastali su cui insiste l’area ultima richiamata rispetto a quelle in contenzioso, pertanto la chiamata in causa anche del comune di Palermo risulta ultronea.
3. L’infondatezza nel merito del ricorso consente di ritenere assorbita l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dall’ANAS s.p.a., non avendo i Sigg.ri Ge.An., Va.Ma.Ad. e Va.An., costituitisi in giudizio quali eredi dell’originario ricorrente Va.Be., fornito prova della propria legittimazione attiva.
Tale eccezione, ad ogni modo, sarebbe stata da accogliere essendo di fatto non provata la qualità di eredi dei ricorrenti subentranti non essendo citato negli atti di successione depositati in giudizio l’immobile oggetto di causa, nonostante i chiarimenti forniti dai ricorrenti nella memoria del 17/06/2021.
4. Il collegio richiama precedenti di questo Tribunale che hanno già affrontato, anche di recente, analoghe vicende con i quali si sono affermati principi che vanno anche qui condivisi.
In primis, è infondata la censura con al quale si deduce l’applicabilità dell’art. 23, comma 8, della l.r. n. 37/1985 venendo in considerazione una materia riservata alla potestà normativa esclusiva della regione siciliana, che prevedeva una valutazione specifica in merito al pericolo per la sicurezza del traffico da parte dell’ente preposto alla tutela della viabilità, non effettuata dall’A.N.A.S.
Con la sentenza del 17.05.2019, n. 1366, richiamata anche dall’amministrazione resistente, questo collegio ha già avuto modo di chiarire che: "In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto dopo la sua imposizione (ndr circostanza assodata nel caso in esame), non si applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico" (TAR Lazio-Latina - Sez. I - 17.11.2011, n. 923).
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto" (Consiglio Stato - Sez. IV - 05.07.2000, n. 3731).
"Sotto altro profilo va ancora osservato che il provvedimento di diniego impugnato esordisce premettendo che l’art. l'art. 23, comma 8, della L.R. n. 37/1985 ammette la possibilità di conseguire la concessione o l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti nelle fasce di rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non si applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt. 26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada, atteso che la giurisprudenza è stata sempre conforme nel ritenere il carattere assoluto del vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto autostradale, anche a prescindere dalle concrete caratteristiche dell’opera realizzata […]. Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250 e, ivi, richiami; id., 03.11.2015, n. 5014), secondo cui il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi
”.
Principi, come detto, ribaditi anche dalle successive sentenze n. 901/2019 e n. 622/2020, sempre di questo Tribunale.
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la distanza del fabbricato dalla sede stradale è pari a ml. 13,40 e dunque inferiore a quella minima prevista dalla normativa in esame (25 metri dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 o 30 metri dagli artt. 26 e 28 D.P.R. 495/1992) per la concessione del nulla osta e, dunque, per la sanabilità della costruzione.
5. Così come non può essere accolto il ricorso nella parte in cui si deduce che la misurazione avrebbe dovuto essere fatta dal ciglio stradale e non dal confine stradale.
In proposito, si rammenta che, essendo il vincolo di inedificabilità assoluta in questione correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, deve ritenersi che la distanza minima vada calcolata dal confine della proprietà autostradale e non dal ciglio della autostrada. Tale circostanza è, peraltro, confermata dall’art. 3, comma 1, punto n. 10, del nuovo codice della strada approvato con D.Lgs. n. 285/1992, che identifica il confine stradale con il limite della proprietà.
...
7. In relazione all’ultima censura, con la quale i ricorrenti lamentano la mancata considerazione dello stato di fatto in concreto esistente nella zona dove il vincolo di inedificabilità succitato sarebbe diffusamente violato, lo stesso non è accoglibile.
A prescindere dalla genericità della censura che non consente un adeguato approfondimento da parte del collegio circa le condizioni riscontrate di saturazione urbanistica della zona (si fa presente che in nessun atto depositato è rinvenibile l’indirizzo preciso dell’immobile in questione, essendo sempre citate solo le particelle catastali come riferimento), la censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
Peraltro, la ricorrente non lamenta in concreto nemmeno una disparità di trattamento, non avendo postulato che in casi analoghi l’Anas abbia rilasciato il nulla osta ad essa invece denegato. Pertanto, il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il provvedimento è diffusamente motivato sia con riferimento ai parametri normativi sui quali esso è fondato, sia in ordine ai presupposti di fatto che asseverano l’espletamento di un’adeguata istruttoria (cfr., TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, 17/05/2019, n. 1366).
8. Concludendo, il provvedimento gravato appare adeguatamente motivato e sorretto da un’istruttoria che evidenzia il vulnus principale legato ad una distanza inferiore ai 30 metri dal confine autostradale, e comunque inferiore ai 25 metri previsti dall’art. 9 della L. 729/1961 (ora abrogata), con ciò risultando atto obbligato il diniego stante il carattere assoluto del vincolo in questione e non essendo tenuta l’amministrazione a svolgere alcun ulteriore indagine circa l’effettività del pericolo per la sicurezza del traffico da parte dell’ente preposto alla tutela della viabilità (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 23.07.2021 n. 2325 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAIl vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria.
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
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11. In subordine, parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 39 d.P.R. 327/2001 del T.U. Espropriazioni. Sostiene, in particolare, che debba essere riconosciuto valore sostanzialmente espropriativo ai vincoli imposti al fondo, in quanto incidenti in maniera pregnante ed assoluta sul diritto di proprietà della società ricorrente.
Anche questo motivo di doglianza va disatteso.
Come ha riconosciuto costantemente la giurisprudenza, il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620).
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell'01.06.1995; Cons. Stato, IV, n. 7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001).
Anche tale profilo di censura va dunque respinto e così, di conseguenza, il ricorso originario (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 30.06.2021 n. 4518 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Natura del vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di rispetto stradale.
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Fascia di rispetto stradale – Vincolo di inedificabilità – Natura conformativa – Caratteristiche.
Il vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di rispetto stradale non ha natura espropriativa, riguardando una generalità di beni e di soggetti ed avendo il solo effetto di conformare la proprietà in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dalla successiva eventuale attivazione di procedure espropriative.
L’inserimento nel piano urbanistico delle opere di viabilità, infatti, "pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno e a servizio delle singole zone, di regola rimessa allo strumento di attuazione e, come tale, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un'opera pubblica, incidente su specifici beni".
Il vincolo introdotto dallo strumento urbanistico non può quindi essere qualificato come espropriativo, bensì come conformativo, atteso che "va attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da parte dei privati"
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Con riferimento al secondo motivo, in ragione dell’infondatezza degli argomenti dedotti il Collegio ritiene di prescindere dallo scrutinio dell’eccezione di tardività sollevata dalla resistente amministrazione, peraltro riferibile solo alla tavola di Piano (T.01.PR-azzonamento) e non anche all’articolo 44.1.NTA, costituente previsione di carattere regolamentare.
Lo strumento urbanistico comunale ha indicato nelle cartografie dello strumento urbanistico il futuro tracciato stradale solo ove già esattamente localizzato. In particolare il PGT ha individuato, in conformità al Piano provinciale, la prevista tangenziale, ma non anche la viabilità complementare.
L’inserimento di alcune aree nel corridoio di salvaguardia implica una limitazione delle facoltà connesse alla proprietà finalizzata proprio ad impedire che nella fase di progettazione dell’opera pubblica possano essere rilasciati titoli edilizi incompatibili, che potrebbero aggravare il procedimento o i costi per la futura realizzazione dell’opera.
La giurisprudenza ha escluso peraltro che il vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di rispetto stradale abbia natura espropriativa, riguardando una generalità di beni e di soggetti ed avendo il solo effetto di conformare la proprietà in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dalla successiva eventuale attivazione di procedure espropriative (Cons. Stato, Sez. IV n. 5113 del 27.09.2012).
L’inserimento nel piano urbanistico delle opere di viabilità, infatti, “pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali all'interno e a servizio delle singole zone, di regola rimessa allo strumento di attuazione e, come tale, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un'opera pubblica, incidente su specifici beni (per tutte, cfr. Cass. civ., sez. I, 28.07.2010, n. 17677)” (TAR Toscana, Sez. I, 25.09.2012, n. 1555).
Il vincolo introdotto dallo strumento urbanistico non può quindi essere qualificato come espropriativo, bensì come conformativo, atteso che “va attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da parte dei privati (cfr. Cons. Stato sez. IV 07.04.2010 n. 1982)” (Cons. Stato, Sez. IV, 13.10.2017, n. 4748).
Pur imponendo limitazioni al diritto dominicale, l’inserimento nella fascia di salvaguardia non incide sulle facoltà di godimento del bene in modo così profondo da svuotarne o annullarne i contenuti e, quindi, non ha carattere ablatorio.
Va esclusa, quindi, la dedotta violazione del dettato costituzionale, atteso che “il contrasto con l’art. 42 della Carta costituzionale, (…) si può ravvisare solo nei casi in cui pur restando intatta la titolarità del diritto, quest'ultimo risulta annullato o menomato. Il problema si può porre, dunque, solo con riferimento a quelle limitazioni che la Corte ha individuato come tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio. I ricorrenti, invece, sono proprietari di terreni a destinazione agricola, la cui conservazione è dagli stessi indicata come bene primario da perseguire e la presenza del vincolo di salvaguardia non ha mai precluso la possibilità di continuare la coltivazione o di apportare migliorie per favorirla, né è stato fornito alcun principio di prova che ne sia stato gravemente inciso il valore di scambio” (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 21.06.2017, n. 838).
Né l’ulteriore indicazione contenuta nel provvedimento interinale di questo TAR, secondo cui “se però la situazione di blocco dell’utilizzazione delle aree dovesse prolungarsi indefinitamente, il vincolo assumerebbe carattere sostanzialmente espropriativo, e il ricorrente potrebbe opporsi al suo mantenimento, oppure chiedere la fissazione di un termine per il completamento della progettazione e l’esatta individuazione delle aree necessarie alla viabilità comunale” può essere assunta come parametro di legittimità degli atti qui avversati, come sostenuto da parte ricorrente, costituendo solo un’indicazione pro futuro, riferita all’approvazione del nuovo strumento urbanistico, all’eventuale reiterazione della disciplina qui contestata, e ai rimedi esperibili dal privato interessato.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto (
TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 18.06.2021 n. 574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA La fascia di rispetto stradale non individua una zona urbanistica ed è neutra rispetto alle zone urbanistiche con le quali confina.
Costituisce un principio pacifico nella giurisprudenza quello secondo cui le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che, tuttavia, comportano l’inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria.
Le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce, cioè le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal codice della strada (artt. 16, 17 e 18, del d.lgs. n. 285 del 1992) e dal regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495 del 1992).
Il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa a tutela della sicurezza stradale.
Proprio perché la destinazione impressa alla fascia di rispetto è finalizzata alla tutela di un interesse, quello della sicurezza della circolazione, e non a regolamentare gli insediamenti su un territorio, è improprio utilizzare la categoria di “zonizzazione”.
Anzi, può dirsi che essa non rileva, perché l’autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale consente il legittimo insediamento di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti.
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Nella fascia di rispetto stradale è possibile la realizzazione di parcheggi a raso, dovendosi escludere che per opere al servizio della strada possano intendersi solo gli spazi di sosta temporanea dei veicoli, quali le piazzole di sosta. Peraltro, la giurisprudenza ha anche espressamente ammesso che gli stessi possano essere ad iniziativa privata nell'esercizio di attività imprenditoriale, a condizione che si tratti di opere stradali in senso stretto e, quindi, di parcheggio al servizio della circolazione stradale.
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8. Passando all’esame delle questioni rilevanti per la decisione degli appelli, la prima concerne l’utilizzo di un’area di circa 2.700 mq, costituente zona di rispetto stradale, per un parcheggio a raso funzionale all’esercizio commerciale.
8.1. Il primo giudice ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso; inoltre, ha dichiarato assorbito dall’accoglimento il quinto, concernente la mancanza del parere dell’Anas in ordine alla fascia di rispetto. Gli appellanti hanno censurato la decisione: il Comune, con il quarto motivo; la società M.M.C., con più profili del secondo motivo; i proprietari controinteressati con il secondo motivo.
8.1.1. Ritiene il Collegio che con gli appelli e le difese dalla società appellata sia interamente riemerso il thema decidendum del primo grado di giudizio, con la conseguenza che possono essere esaminate direttamente le censure prospettate dalla società GSG con l’originario ricorso.
8.2. La società ricorrente dinanzi al Tar, con due motivi strettamente collegati (il primo e il terzo), ha invocato la violazione delle disposizioni (art. 37 della l. regionale n. 11 del 2008 e art. 32 § 2 NTA) concernenti la zonizzazione del territorio comunale.
Secondo l’assunto della ricorrente, la realizzazione di un nuovo centro commerciale, sia quanto agli edifici nei quali si svolge l’attività commerciale che per le aree al servizio della stessa -dai parcheggi, alla viabilità al verde pubblico- ricadrebbe per l’intero in zona C, quale zona destinata dallo strumento urbanistico alle “attrezzature commerciali”.
La tesi si basa sull’art. 37 cit., nella parte in cui dispone che per i nuovi insediamenti commerciali è necessaria la “specifica destinazione d’uso”, in collegamento con l’art. 32 § 2 cit., dove si prevede la zona C, quale zona destinata a “garantire lo spazio e le volumetrie necessarie all’attività commerciale”.
Dato il richiamo allo “spazio necessario”, che ricomprenderebbe tutte le aree serventi rispetto all’edificio commerciale in senso stretto, dal combinato disposto di queste due disposizioni discenderebbe, secondo la ricorrente, che tutta l’area utilizzata dovrebbe essere destinata dallo strumento urbanistico a zona C.
Invece, nella fattispecie, “la massima parte dei parcheggi, della viabilità interna al lotto e delle aree di cessione” è collocata in un’area avente la diversa destinazione di zona di rispetto stradale, nella quale, secondo l’art. 53 NTA, sono vietate le nuove costruzioni, sono consentiti solo ampliamenti delle edificazioni esistenti dal lato opposto alla strada, oltre che la realizzazione di stazioni di rifornimento per autoveicoli, annessi locali di ristoro e attrezzature di pronto soccorso.
Inoltre, con il consentire ai richiedenti la realizzazione di opere funzionali all’insediamento commerciale in una zona, quale quella di rispetto stradale, avente diversa destinazione, si sarebbe ampliato “il lotto di intervento”, e si sarebbe legittimata la costruzione di uno stabile di dimensioni maggiori rispetto a quello che si sarebbe potuto realizzare considerando solo l’area rientrante nella zona C.
8.3. Il Tar ha così essenzialmente argomentato l’accoglimento delle censure:
   a) secondo la normativa nazionale e la giurisprudenza consolidata, il vincolo di rispetto stradale comporta la inedificabilità assoluta e gli unici insediamenti ammessi, ove previsti dalla pianificazione comunale, sono quelli a beneficio della circolazione stradale e della sicurezza degli utenti, quali, in particolare, i parcheggi pubblici a raso e gli impianti di carburanti;
   b) l’art. 26, comma 6 (recte 27, comma 6), in coerenza con le disposizioni suddette, consente opere funzionali alla circolazione stradale e, in particolare, solo parcheggi pubblici;
   c) nella fattispecie è provato che una parte dei parcheggi posti al servizio esclusivo della struttura commerciale occupa la fascia di rispetto stradale;
   d) pertanto, il Comune ha errato nel considerare conformi alla normativa vigente la dotazione di parcheggi prevista, comprensiva di quelli che occupano la fascia di rispetto;
   e) dato il collegamento tra superficie commerciale utile e superficie da destinare a parcheggi, l’esclusione dei parcheggi previsti nella fascia di rispetto comporta una variazione in diminuzione percentuale della superficie commerciale assentibile.
8.4. Ritiene il Collegio che, come mettono in rilievo gli appellanti, il primo giudice non ha colto il nucleo centrale della censura proposta con il ricorso di primo grado.
8.4.1. Il presupposto logico-giuridico dedotto dalla società GSG è che la fascia di rispetto stradale costituisca una zona urbanistica, al pari di tutte quelle che governano il territorio.
Così, l’art. 53 delle NTA, rubricato “zone di rispetto stradale” detterebbe la disciplina urbanistica specifica della zona, prescrivendo la generale non edificabilità, salvo circoscritte eccezioni. A questo presupposto interpretativo se ne affianca un altro –basato sugli art. 37 e 32 prima richiamati- secondo il quale, nel caso di nuovi insediamenti commerciali, non solo l’edificio propriamente destinato al commercio, ma anche tutto quanto sia funzionale allo stesso debba essere collocato nella zona C, destinata allo scopo. Segue come corollario che, essendo state collocate nella fascia di rispetto stradale la viabilità di accesso al supermercato e una parte dei parcheggi necessari, “di pertinenza del supermercato di uso esclusivamente privato e privati del supermercato” (secondo quanto specificato nella memoria depositata il 26.03.2020), sarebbero violate le norme urbanistiche comunali relative alla zonizzazione e, stante il collegamento proporzionale tra volumetria assentita e dotazione di parcheggi, i proprietari avrebbero tratto vantaggio dalla costruzione di uno stabile di dimensioni maggiori rispetto al consentito.
8.4.2. Rileva il Collegio che il primo giudice non si sofferma sul presupposto teorico assunto dalla società ricorrente e, quindi, sulla fascia di rispetto come zona urbanistica; egli assume, invece, una diversa prospettiva ermeneutica, in sé corretta, della fascia di rispetto stradale, quale vincolo legislativo di inedificabilità assoluta derivante dalla legge; poi, ritiene consentiti solo gli interventi a beneficio della circolazione stradale e della sicurezza degli utenti della strada se previsti dalla pianificazione comunale, ed, in particolare, i parcheggi pubblici a raso. Quindi, rinviene nella regolamentazione del Comune di Scoppito (art. 26, comma 6, recte, 27, comma 6 NTA) una disposizione coerente con tali principi e ritiene legittimati solo i parcheggi pubblici, con conseguente illegittimità del posizionamento nella fascia di rispetto di parcheggi al servizio esclusivo della struttura, e vantaggio sulla superficie commerciale utile.
8.4.3. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla originaria società ricorrente e posta all’esame del primo giudice non possa essere condivisa, anche sulla base di principi già affermati in precedenti decisioni; ed inoltre, che le argomentazioni del primo giudice, le quali fanno perno sul carattere pubblico dei parcheggi consentiti nella zona di rispetto, non siano compatibili con la funzione propria della fascia di rispetto stradale, che è quella della garanzia degli utenti della circolazione stradale.
8.5. Il presupposto logico-giuridico assunto dalla società ricorrente trova un ostacolo insormontabile nella considerazione che la fascia di rispetto stradale non individua una zona urbanistica ed è neutra rispetto alle zone urbanistiche con le quali confina.
8.5.1. Costituisce un principio pacifico nella giurisprudenza quello secondo cui le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che, tuttavia, comportano l’inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620; sez. II, n. 5865 del 2020).
Le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce, cioè le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal codice della strada (artt. 16, 17 e 18, del d.lgs. n. 285 del 1992) e dal regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495 del 1992).
Il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa a tutela della sicurezza stradale.
8.5.2. Proprio perché la destinazione impressa alla fascia di rispetto è finalizzata alla tutela di un interesse, quello della sicurezza della circolazione, e non a regolamentare gli insediamenti su un territorio, è improprio utilizzare la categoria di “zonizzazione”.
Anzi, può dirsi che essa non rileva, perché l’autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale consente il legittimo insediamento di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2015, n. 2880).
8.5.2.1. Tanto è vero che la fascia di rispetto stradale non è logicamente incompatibile con un indice di edificabilità pari a quella della zona confinante, come è testualmente previsto dall’art. 53, ultimo comma, NTA del Comune di Scoppito. Tale elemento è indubbiamente rilevante, contrariamente a quanto opinato dalla società ricorrente GSG, la quale invoca la norma solo ai fini della inedificabilità.
8.5.3. Allora, la questione di diritto all’attenzione del Collegio è semplice e limitata; essa consiste nella possibilità –o meno- di autorizzare in zona destinata a pertinenza stradale parcheggi a raso collegati all’insediamento commerciale, a qualunque titolo essi siano previsti:
   - ai sensi dell’art. 32 NTA (parcheggi pubblici);
   - ex art. 5 del d.m. n. 1444 del 1968 (parcheggi pubblici da cedere);
   - ai sensi dell’art. 2 della l. n. 122 del 1989 (cd. Tognoli, parcheggi privati);
   - ai sensi dell’art. 38 della l.r. n. 11 del 2008 (parcheggi di pertinenza).
Ciò che conta è che siano a raso, perché è un dato fattuale rilevante per l’impatto ambientale della loro collocazione e, quindi, rispetto all’interesse tutelato con la individuazione della fascia di rispetto, non il carattere privato o pubblico del parcheggio (Cons. Stato n. n. 2880 del 2015), il quale rileverebbe solo ai fini della verifica della corretta applicazione delle disposizioni legislative o urbanistiche che li disciplinano.
8.5.4. Conferma della correttezza di tale interpretazione si rinviene nella circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 30.12.1970, n. 5980 ("Istruzioni sulle distanze da osservare nell'edificazione a protezione del nastro stradale"), che, adottata con riferimento al d.m. 01.04.1968, n. 1404 (recante disposizioni relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione), non dà rilievo al carattere privato o pubblico dei parcheggi, ma, in un elenco esemplificativo delle opere la cui realizzazione sarebbe stata possibile nelle fasce di rispetto stradale, annovera i "parcheggi scoperti, sempre che non comportino la costruzione di edifici".
8.5.5. Né la possibilità che nella fascia di rispetto siano collocati parcheggi a raso privati può essere esclusa, come ha ritenuto il primo giudice, dalle previsioni dell’art. 27, comma 6 NTA, atteso che lo stesso individua solo la possibilità che il Comune, nell’ambito degli obiettivi perseguiti di politica del territorio, scelga di destinare in tutto o in parte le fasce di rispetto stradale a parcheggi pubblici, oltre che alla viabilità.
8.5.6. D’altra parte -come rilevano i proprietari controinteressati nel secondo motivo di appello senza che la controparte abbia svolto contestazioni– essi hanno stipulato un accordo registrato con il Comune per l’ipotesi in cui questi intenda servirsi della fascia di rispetto per altre destinazioni, individuando soluzioni alternative consistenti nello spostamento all’interno dei parcheggi -mediante l’utilizzo di un tetto già previsto con solaio carrabile- e nella riduzione della superficie utile, con la previsione di parcheggi coperti, il tutto per mq 2720, pari alla superfici della fascia di rispetto.
8.5.7. Nella fattispecie, risulta dagli atti, e non è contestato, che si tratti di parcheggi a raso anche sprovvisti di pensilina.
Tanto è conforme alla giurisprudenza consolidata, secondo la quale nella fascia di rispetto stradale è possibile la realizzazione di parcheggi a raso, dovendosi escludere che per opere al servizio della strada possano intendersi solo gli spazi di sosta temporanea dei veicoli, quali le piazzole di sosta. Peraltro, la giurisprudenza ha anche espressamente ammesso che gli stessi possano essere ad iniziativa privata nell'esercizio di attività imprenditoriale, a condizione che si tratti di opere stradali in senso stretto e, quindi, di parcheggio al servizio della circolazione stradale (Cons. Stato, sez. IV, n. 2880 del 2015).
8.6. In conclusione, ritiene il Collegio che gli appelli sono fondati e vanno accolti, con conseguente rigetto dei corrispondenti motivi del ricorso dinanzi al Tar (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 29.03.2021 n. 2602 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’occupazione stabile e significativa dell’area in questione (qualificata come fascia di rispetto autostradale) per mezzo di un deposito a cielo aperto si pone in potenziale contrasto con le esigenze (di sicurezza, funzionali, etc.) connesse alla vicinanza della sede autostradale.
Va rammentato, infatti, l’insegnamento secondo il quale nella fascia di rispetto autostradale <<il vincolo di inedificabilità è assoluto, stante l'esigenza di assicurare la libera utilizzabilità da parte del concessionario dell'autostrada>>.
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In ogni caso, a prescindere dalla natura agricola o artigianale dell’area in contestazione, risulta assorbente un altro profilo di abusività dell’opera contestata, censurato dal Comune nel provvedimento impugnato.
L’area di cui si discorre, infatti, è, pacificamente, qualificata come fascia di rispetto autostradale.
Al riguardo, premesso che non risulta che parte ricorrente abbia richiesto ed ottenuto un titolo abilitativo per la realizzazione dell’opera in contestazione, è rilevante ricordare che le NTA dell’allora vigente piano regolatore, all’art. 11, destinavano le fasce di rispetto solo alla realizzazione di <<nuove strade, ampliamento di quelle esistenti, corsie di servizio, parcheggi piantumazioni, sistemazioni a verde, piste ciclabili, opere attinenti al regime idraulico, alle derivazioni d’acqua, distributori di carburante>>.
L’occupazione stabile e significativa dell’area in questione per mezzo di un deposito a cielo aperto non solo non rientra nelle categorie sopra indicate, ma si pone anche in potenziale contrasto con le esigenze (di sicurezza, funzionali, etc.) connesse alla vicinanza della sede autostradale.
Va rammentato, infatti, l’insegnamento secondo il quale nella fascia di rispetto autostradale <<il vincolo di inedificabilità è assoluto, stante l'esigenza di assicurare la libera utilizzabilità da parte del concessionario dell'autostrada (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2062/2013; Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3498; Cass. civ., sez. II, 22.11.2010, n. 22422)>> (C. Stato sez. II, 11.05.2020, n. 2949).
Ciò esclude, di per sé (ovvero anche a prescindere dalla natura agricola o artigianale dell’area in contestazione), l’illegittimità del provvedimento adottato dal Comune.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.03.2021 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’art. 26, comma 2, d.P.R. 16.12.1992 n. 495 (Regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo codice della strada) prevede che fuori dai centri abitati le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possano essere inferiori a 20 m per le strade di tipo F.
È noto che, secondo la giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale sia di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende non edificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Ne consegue che, in difetto dell’atto di assenso da parte dell’ente proprietario della strada a beneficio della quale è stabilita la fascia di rispetto, nessuna edificazione è possibile e che, quindi, legittimamente il Comune, ai fini delle valutazioni di competenza per pronunciarsi sull’istanza di accertamento di conformità domandato dalla ricorrente, ha richiesto la produzione del nulla osta (nel caso di specie) della Provincia.
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3.4.2 Invece, con riguardo alla necessità di produzione del nulla osta ai lavori da parte dell’Amministrazione provinciale, che deriva dal fatto che tutte le opere di cui parte ricorrente ha chiesto l’accertamento di conformità ricadono entro la fascia di rispetto stradale di m 20 dalla strada provinciale n. 187 Gricilli, si osserva quanto segue.
L’art. 26, comma 2, d.P.R. 16.12.1992 n. 495 (Regolamento di esecuzione e attuazione del nuovo codice della strada) prevede che fuori dai centri abitati le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possano essere inferiori a 20 m per le strade di tipo F, come è la s.p. 187 Gricilli.
È noto che, secondo la giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale sia di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende non edificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Cons. Stato, sez. II, 24.06.2020 n. 4052; sez. IV, 13.06.2017 n. 2878; sez. IV, 27.01.2015 n. 347; sez. IV, 14.04.2010 n. 2076).
Ne consegue che, in difetto dell’atto di assenso da parte dell’ente proprietario della strada a beneficio della quale è stabilita la fascia di rispetto, nessuna edificazione è possibile e che, quindi, legittimamente il Comune di Priverno, ai fini delle valutazioni di competenza per pronunciarsi sull’istanza di accertamento di conformità domandato dalla ricorrente, ha richiesto la produzione del nulla osta della Provincia di Latina (TAR Lazio-Latina, sentenza 12.03.2021 n. 151 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di rispetto, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
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Il ricorso è infondato per le considerazioni che seguono.
Il ricorrente impugna la disposizione dirigenziale n. 1160, del 26/09/2018, con cui il Dirigente del Servizio Unico Edilizia Privata del Comune di Napoli ha respinto l’istanza di permesso di costruire ex art. 36 Dpr 380/2001 per le opere di ristrutturazione edilizia realizzate in Napoli alla Via ... nn. 13/15; si trattava, in particolare, della demolizione di un manufatto in muratura e della ricostruzione di una nuova struttura in cemento armato, insistente in parte in zona di rispetto autostradale e in parte in zona qualificata Sin.
Il ricorrente ritiene che il Comune avrebbe erroneamente respinto l'istanza di accertamento di conformità in quanto le opere sarebbero conformi alla normativa urbanistica e edilizia vigente: non si era, cioè, creato aumento di volumetria e, comunque, l’intervento doveva ritenersi assentibile in quanto la consistente urbanizzazione della zona rendeva superflua la pianificazione di dettaglio, pur prevista dall’art. 2, comma 4, delle NTA del vigente Piano regolatore.
Ad ogni modo, le disposizioni dettate dal Comune in sede regolamentare erano state definitivamente superate dall’art. 9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 che, nelle zone del territorio comunale sprovviste di strumenti attuativi, ma dotate di uno strumento urbanistico generale, consente i lavori di ristrutturazione edilizia.
Le sopra riportate contestazioni di parte ricorrente non possono essere condivise.
Ed infatti, l’affermazione secondo cui il locale, aperto sui lati e dalle ridotte dimensioni, non sarebbe autonomamente utilizzabile in quanto costituirebbe una mera pertinenza, non risulta in alcuna modo comprovata ed al contrario, viene smentita dalla istruttoria effettuata dall'Ufficio preposto al rilascio del titolo abilitativo, ed in particolare dalla scheda tecnica redatta dal responsabile del procedimento, versata in atti, ove si rileva la presenza di un nuovo volume; rileva, invero, il Comune come, a seguito del sopralluogo effettuato in data 08.03.2018, si era accertata la presenza, al primo livello del manufatto, di un locale che superava i limiti dimensionali del 30% della superficie scoperta previsti dall'art. 7 delle vigenti NTA e che viene esplicitamente definito come “nuova volumetria” (cfr. pag. 2 della Scheda Tecnica).
Siffatta circostanza, quindi, assume, ad avviso del Collegio, una rilevanza determinante ai fini del rigetto del ricorso in quanto, anche a prescindere dalle ulteriori considerazioni circa la inoperatività dell’art. 2, comma 4, delle NTA in zona urbanizzata ed il superamento delle previsioni regolamentari comunali ad opera dell’art. 9 del d.P.R. n. 380/2001, il solo constatato aumento di volume rendeva, di per sé, i lavori non assentibili giusta quanto previsto dalle sopra citate norme tecniche regolamentari. Ed infatti, in nessuna delle disposizioni richiamate, si fa menzione, tra le attività consentite, agli aumenti di volumetria.
Con riferimento a quanto dedotto, poi, circa l’inoperatività del vincolo di rispetto della fascia autostradale, il ricorrente non dimostra né la data di avvenuta realizzazione del manufatto -circostanza, peraltro, evidenziata anche dal Comune sia nel preavviso di diniego sia nel diniego definitivo- né il fatto che solo una porzione di questo sarebbe interessata dal superamento del suddetto vincolo.
E comunque per giurisprudenza pure recente sull’argomento: “il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale” (TAR Lazio, II stralcio, 27/05/2020, n. 5571) (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 08.02.2021 n. 798 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost.
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato all’espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l’indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile.
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell’interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero “vincolo di distanza”, dovendosi ritenere che l’area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall’assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale dell’art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
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In ordine alla nozione di «edificazione», questa Corte ha chiarito che tale concetto non si identifica né si esaurisce in quello di edificabilità residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.
Anche in quelle pronunce in cui si è ritenuto che la realizzazione di un parcheggio integri una forma di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria, si è posto in evidenza la necessità che dette forme di utilizzazione siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.
La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere che lo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (circostanza questa che deve fondarsi su fatti positivamente accertati).
E' stata quindi riconosciuta «rilevanza urbanistica (anche) al solo spianamento di un terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale per deposito e smistamento di autocarri».
In ambito penale, si è poi affermato che «in materia edilizia, ai sensi delle disposizioni di cui al T.U. in materia edilizia (artt. 3 e 10 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380), sono subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire non soltanto gli interventi edilizi in senso stretto, ma anche gli interventi che comportano la trasformazione in via permanente del suolo inedificato».

Deve quindi ritenersi che ai fini
della determinazione dell’ambito di estensione del divieto assoluto di edificazione, vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale, può rilevare anche un’attività di spianatura ed asfaltatura dell’area, prodromica alla realizzazione di parcheggi «a raso», implicante una trasformazione edilizia ed urbanistica del suolo.
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3. La terza, la sesta e la settima censura, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono fondate.
In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo l'orientamento di questa Corte, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all'art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013).
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n. 5875/2015).
Questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 13598/2020) che «il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza" (sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018)», dovendosi ritenere che l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
In ordine alla nozione di «edificazione», sempre questa Corte ha chiarito che tale concetto non si identifica né si esaurisce in quello di edificabilità residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo che siano riconducibili alla nozione tecnica di edificazione (Cass. nn. 9669, 8028/2000; Cass. 4473/1999; Cass. SU 172/2001).
Anche in quelle pronunce in cui si è ritenuto che la realizzazione di un parcheggio integri una forma di utilizzazione intermedia tra quella agricola e quella edificatoria, si è posto in evidenza la necessità che dette forme di utilizzazione siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass. 25718/2011; Cass. 23514/2017; Cass. 19295/2018; Cass. 6527/2019; Cass. SU 7454/2020, con riferimento ad utilizzazione per attrezzature sportive).
La giurisprudenza amministrativa (richiamata dal PG nelle conclusioni scritte) è ferma nel ritenere che lo spargimento di ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (circostanza questa che deve fondarsi su fatti positivamente accertati) (v. anche: Cons. Stato, sez. VI, 12.06.2018, n. 3617; Cons. Stato, sez. V, 31.03.2016, n. 1268).
E' stata quindi riconosciuta «rilevanza urbanistica (anche) al solo spianamento di un terreno agricolo con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale per deposito e smistamento di autocarri» (TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 18.02.2019, n. 157).
In ambito penale, si è poi affermato che «in materia edilizia, ai sensi delle disposizioni di cui al T.U. in materia edilizia (artt. 3 e 10 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380), sono subordinati al preventivo rilascio del permesso di costruire non soltanto gli interventi edilizi in senso stretto, ma anche gli interventi che comportano la trasformazione in via permanente del suolo inedificato» (Cass. pen. 6930/2004: in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto integrato il reato edilizio nella trasformazione di un'area di circa mq. 70 da agricola a parcheggio per autovetture mediante la messa in opera di ghiaia; conf. Cass. pen. 4916/2014; Cass. pen. 1308/2016).
Deve quindi ritenersi che, ai fini della determinazione dell'ambito di estensione del divieto assoluto di edificazione, vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale, quale quella in oggetto, sottostante il viadotto, può rilevare anche un'attività di spianatura ed asfaltatura dell'area, prodromica alla realizzazione di parcheggi «a raso», implicante una trasformazione edilizia ed urbanistica del suolo.
Assumeva, pertanto, rilievo il fatto decisivo, il cui esame risulta omesso dalla Corte di merito, allegato da Autostrade, rappresentato dai lavori commissionati da Ar.Le. a terza Ditta di spianamento ed asfaltatura dell'area, stante il divieto legale derivante dalla fascia di rispetto autostradale (Corte di Cassazione, Sez. I civile, ordinanza 31.12.2020 n. 29983).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto inderogabile di costruire, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Invero, “L’inedificabilità legale è sancita nell'interesse pubblico da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall'art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M. 01.04.1968".
Il divieto prescinde dalla programmazione urbanistica ed è correlato all'esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni: dunque, la proibizione non è finalizzata solamente a garantire la sicurezza del traffico ed eventuali ampliamenti della carreggiata, ma anche ad assicurare la disponibilità di una fascia di terreno da utilizzare per l'impianto dei cantieri, il deposito dei materiali e l'esecuzione di tutti i tipi di lavori che si rendessero necessari in relazione all'infrastruttura stradale.
Il vincolo –privo di natura espropriativa– rientra tra le limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della pubblica amministrazione di cui all'art. 42 della Costituzione.
La cornice legislativa di riferimento si rinviene nel Codice della Strada e nel Regolamento di esecuzione. L'ampiezza delle fasce è infatti specificamente disciplinata dal D.Lgs. 285/1992 (articoli 16, 17 e 18) e dal D.P.R. 495/1992 (articoli 26, 27 e 28), che pongono un divieto di edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto autostradale, per una distanza di 60 metri fuori dai centri abitati e di 30 metri all'interno di essi.  
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Con riguardo all’art. 9 della L. 729/1961 <<la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di rispetto ivi prevista integrava un vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima.
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal D.P.R. n. 495 del 1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell'identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta all'interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e integralmente demolito. Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di ritenere rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento dell'area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto ex lege>>.
Va sul punto soggiunto che l’art. 16, comma 1, lett. b), del Codice della Strada inibisce testualmente, nelle fasce di rispetto, nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti di edificazioni di qualsiasi tipo e materiale.

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I ricorrenti censurano gli atti assunti dal Comune di Ravenna (oltre al parere reso da Autostrade per l’Italia) che hanno disposto l’annullamento parziale del permesso di costruire e intimato il ripristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1. Osserva anzitutto il Collegio che, per consolidata giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto inderogabile di costruire, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Consiglio di Stato, sez. II – 12/02/2020 n. 1100, secondo il quale “L’inedificabilità legale è sancita nell'interesse pubblico da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall'art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M. 01.04.1968 (Cons. Stato, Sez. IV, 13.06.2017, n. 2878”).
Si veda, su quest’ultima riflessione, anche la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. II – 31/01/2020 n. 815.
1.1 Il divieto prescinde dalla programmazione urbanistica ed è correlato all'esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni (TAR Lombardia-Milano, sez. I – 22/07/2020 n. 1415): dunque, la proibizione non è finalizzata solamente a garantire la sicurezza del traffico ed eventuali ampliamenti della carreggiata, ma anche ad assicurare la disponibilità di una fascia di terreno da utilizzare per l'impianto dei cantieri, il deposito dei materiali e l'esecuzione di tutti i tipi di lavori che si rendessero necessari in relazione all'infrastruttura stradale (TAR Liguria, sez. I – 03/06/2019 n. 504; C.G.A. Sicilia – 21/01/2019 n. 48; Consiglio di Stato, sez. IV – 04/02/2014 n. 485; TAR Lazio-Roma, sez. II-quater – 07/04/2020 n. 3809).
1.2 Il vincolo –privo di natura espropriativa– rientra tra le limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della pubblica amministrazione di cui all'art. 42 della Costituzione (Corte di Cassazione, sez. I civile – 30/06/2020 n. 13203 e l’ampia giurisprudenza di legittimità evocata).
1.3 La cornice legislativa di riferimento si rinviene nel Codice della Strada e nel Regolamento di esecuzione. L'ampiezza delle fasce è infatti specificamente disciplinata dal D.Lgs. 285/1992 (articoli 16, 17 e 18) e dal D.P.R. 495/1992 (articoli 26, 27 e 28), che pongono un divieto di edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto autostradale, per una distanza di 60 metri fuori dai centri abitati e di 30 metri all'interno di essi.  
...
4. Non è neppure condivisibile l’affermazione della derogabilità della fascia di protezione del nastro autostradale.
Con riguardo all’art. 9 della L. 729/1961 –invocato dalla parte ricorrente– il TAR Abruzzo Pescara (cfr. sentenza 23/07/2018 n. 252, che non risulta appellata) ha statuito che <<la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di rispetto ivi prevista integrava un vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima (cfr Tar Liguria, sez. I n. 276/2015; Tar Palermo sez. II n. 34/2015).
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal D.P.R. n. 495 del 1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell'identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta all'interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e integralmente demolito. Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di ritenere rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento dell'area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto ex lege
>>.
Va sul punto soggiunto che l’art. 16, comma 1, lett. b), del Codice della Strada inibisce testualmente, nelle fasce di rispetto, nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti di edificazioni di qualsiasi tipo e materiale.
5. Anche ammettendo che la zona di cui si discorre sia al di fuori del Centro abitato, il divieto assume natura inderogabile.
In ogni caso, anche aderendo alla prospettazione di parte ricorrente, l’art. 9, comma 2, della L. 729/1961 così recita: “Le distanze di cui al comma precedente possono essere ridotte per determinati tratti ove particolari circostanze lo consiglino, con provvedimento del Ministro per i lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., su richiesta degli interessati e sentito il Consiglio di amministrazione dell'A.N.A.S.”.
Applicando le regole per tempo vigenti, l’Ente gestore della strada (ASPI) sarebbe chiamato a formulare il parere di competenza, che ha già emesso in senso sfavorevole: in buona sostanza, in data 15/04/2013 ha già compiuto una valutazione (negativa) quale autorità preposta alla cura dell’interesse pubblico al corretto assetto viabilistico.
ASPI ha richiamato la circolare ANAS del 29/07/2010, mentre la circolare 82481/2011 –invocata dai ricorrenti– ammette nella fascia di rispetto l’istallazione e la manutenzione di sotto-servizi (acquedotti, fognature, linee di comunicazioni, gasdotti, metanodotti, etc.), ossia di opere che non costituiscono edificazione
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 29.10.2020 n. 689 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ESPROPRIAZIONE: Effetti della decadenza del vincolo di esproprio sulle fasce di rispetto stradali.
La circostanza che «il vincolo preordinato all’esproprio sia decaduto ex lege non comporta la decadenza anche delle fasce di rispetto stradali connesse alla realizzazione dell’opera; e ciò in quanto, secondo consolidati principi giurisprudenziali, le fasce di rispetto stradali hanno natura di vincoli di carattere conformativo, e non espropriativo, e come tali non sono soggetti a decadenza ex lege per effetto del decorso del termine quinquennale di cui all’art. 9 d.p.r. 327/2001, ma conservano la propria efficacia a tempo indeterminato, fino all’intervento di una nuova pianificazione urbanistica» (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 24.09.2020 n. 657 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
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SENTENZA
5. Con il quinto motivo, la ricorrente ha dedotto l’illegittimità della Variante impugnata nella parte in cui ha previsto una fascia di rispetto stradale di 40 metri, così incidendo su fabbricati già costruiti e su aree di potenziale espansione dello stabilimento, in violazione dell’art. 26, comma 3, del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada che per le strade di tipo C prevede una fascia di rispetto di 10 metri, in assenza di specifica motivazione; la stessa variante parziale al P.T.C.P. in corso di approvazione prevederebbe per questo tratto stradale una distanza di 30 metri.
Nei propri scritti conclusivi, la ricorrente ha aggiunto che con la decadenza ex lege del vincolo preordinato all’esproprio, sopravvenuta in corso di causa, sarebbero venute meno automaticamente anche le fasce di rispetto stradali, essendo state previste a servizio di un’opera viabilistica non più attuale. Per tale motivo, ha chiesto a questo Tribunale di accertare il proprio diritto di edificare sulle aree di sua proprietà già assoggettate a vincolo preordinato all’esproprio e all’osservanza della fascia di rispetto stradale, entrambe decadute per legge.
La censura (e la domanda) non possono essere condivise.
5.1. La difesa della parte interveniente Società di Progetto Autovia Padana s.p.a., attuale titolare della concessione di costruzione ed esercizio dell’Autostrada A21 Piacenza-Cremona-Brescia, in forza di convenzione stipulata nel maggio del 2017 con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha documentato in giudizio che il progetto di realizzazione del “Terzo ponte sul fiume Po” è ancora attuale, tanto da essere stato incluso nell’”oggetto” della convenzione di concessione, all’art. 2.1., nella parte in cui si fa specifico riferimento alle “Opere Lotto n. 2: Nuovo Casello di Castelvetro, Raccordo Autostradale con la SS 10 “Padana inferiore” e completamento della bretella autostradale tra la SS 10 “padana inferiore” e la SS 234”.
L’art. 11-bis della convenzione ha previsto l’impegno della concessionaria a reperire i necessari finanziamenti entro la fine del primo periodo regolatorio, che –da quel che è dato di comprendere- dovrebbe giungere a scadenza nel maggio del 2022, dopo di che, in mancanza di finanziatori, il progetto potrebbe essere stralciato dall’oggetto della concessione. Allo stato, in pendenza del primo quinquennio regolatorio, la previsione dell’opera viabilistica è ancora attuale e la concessionaria ha ribadito in giudizio il proprio interesse a realizzarla, previo reperimento delle risorse necessarie, in ossequio agli impegni convenzionali.
5.2. Ciò posto, la circostanza che, nelle more del presente giudizio il vincolo preordinato all’esproprio sia decaduto ex lege non comporta la decadenza anche delle fasce di rispetto stradali connesse alla realizzazione dell’opera; e ciò in quanto, secondo consolidati principi giurisprudenziali, le fasce di rispetto stradali hanno natura di vincoli di carattere conformativo, e non espropriativo (TAR Catania, sez. I , 22/10/2015, n. 2458; TAR , Salerno, sez. II, 13/06/2013, n. 1276; TAR Palermo, sez. III, 24/05/2013, n. 1167; TAR Lecce, sez. I, 24/09/2009, n. 2156; TAR Firenze, sez. III, 20/12/2012, n. 2110), e come tali non sono soggetti a decadenza ex lege per effetto del decorso del termine quinquennale di cui all’art. 9 d.p.r. 327/2001, ma conservano la propria efficacia a tempo indeterminato, fino all’intervento di una nuova pianificazione urbanistica (Cons. Stato, Sez. IV, 18.05.2018, n. 3002; Consiglio di Stato, sez. IV, 12/04/2017, n. 1700; TAR Napoli, sez. II, 27/12/2019, n. 6149; TAR Torino, sez. II, 29/08/2014, n. 1457; TAR Milano, sez. II , 30/11/2007, n. 6532).
5.3. Quanto all’ampiezza della fascia di rispetto stradale connessa alla realizzazione dell’opera viabilistica, venendo in considerazione la realizzazione di un collegamento autostradale, e quindi di una strada di tipologia A -secondo la classificazione di cui all’art. 2 comma 2 del Codice della Strada– essa non poteva essere fissata in misura inferiore a 30 metri, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 3, lett. a), del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada, norma applicabile “fuori dai centri abitati ma all’interno di zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico”, come nel caso di specie.
Nell’impugnato P.G.T. la fascia di rispetto stradale è stata fissata in 40 metri, misura da ritenersi legittima in quanto “non inferiore” alla misura minima di 30 metri prescritta dalla normativa di settore; e ciò sarebbe già di per sé sufficiente a consentire il rigetto della censura.
Nelle more del giudizio, peraltro, secondo la documentata deduzione della difesa comunale, in occasione dell’approvazione del P.G.T. del 2018 è stata accolta la richiesta della ricorrente di ridurre da 40 a 30 metri la fascia di rispetto stradale esistente, recependo i contenuti del Protocollo d’Intesa sottoscritto in data 28.10.2018 dalla ricorrente e dal Comune di Cremona. In tale Protocollo d’Intesa, il Comune si è impegnato, in particolare, “al mantenimento della profondità di 30 metri della fascia di rispetto del cosiddetto terzo Ponte e, qualora se ne presentassero le condizioni, a fornire il proprio il proprio pieno appoggio presso gli Enti competenti per una sua ulteriore riduzione in una misura compatibile con le esigenze di sviluppo produttivo di Ol.Zu.”.
Alla luce di tale accordo intercorso tra le parti, pacificamente recepito nel P.G.T. del 2018 non impugnato dalla parte ricorrente, la censura in esame è diventata improcedibile per acquiescenza e sopravvenuta carenza di interesse, così come eccepito dalle difese dell’amministrazione e della parte controinteressata. Né convince la replica della parte ricorrente secondo cui l’efficacia del Protocollo d’Intesa sarebbe stata limitata fino al 31.12.2020 (art. 4, comma 2), dal momento che, a tutto concedere, questo implicherebbe la riviviscenza, a far data dal 01.01.2021, della distanza previgente di 40 metri, derogata solo temporaneamente dal Protocollo d’Intesa del 2018.
5.4. La domanda della società ricorrente di accertamento del proprio diritto di edificare sull’area di sua proprietà inclusa all’interno della fascia di rispetto, prima ancora che infondata nel merito alla luce di quanto sopra esposto, è inammissibile ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a., perché volta a sollecitare una pronuncia del giudice su poteri amministrativi non ancora esercitati.

ESPROPRIAZIONE - URBANISTICAIn ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all'art. 42 Cost..
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile.
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Deve escludersi qualsiasi incidenza dell'area corrispondente alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è compresa.
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza".
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima dell'assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.
Non è, pertanto, condivisibile l'indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell'individuazione della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la valutazione dello stesso ai fini urbanistici.
Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla prima, e ciò in quanto l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
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In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva dell’art.33 d.p.r. n. 327 /2001, per il deprezzamento dell’area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost.
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U. Espropriazioni, la fascia di rispetto prima dell’assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella qualità ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sottordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.
Nell’ipotesi di spostamento della fascia di rispetto all’interno dell’area residua di proprietà, concettualmente distinta dall’altra già considerata (ablazione della fascia di rispetto), la corrispondente porzione del bene è edificabile prima dell’imposizione sulla stessa del vincolo legale di inedificabilità conseguente dall’ablazione della fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo l’esproprio dell’originaria fascia di rispetto, così producendosi, per la “nuova” fascia di rispetto che resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.
Ove si verifichi detta situazione, poiché deve aversi riguardo alla consistenza dell’area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l’inedificabilità successiva della stessa ai fini dell’applicazione dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
Dunque, l’edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l’altra parte residua, rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in proprietà anche la nuova fascia di rispetto
(massima tratta da www.sdanganelli.it).
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1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta «Violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Violazione degli artt. 32, 33, 37 e 40 d.p.r. n. 327/2001 del d.p.r. 495/1992 art. 26 del d.lgs. n. 285/1992 art. 6- dell'art. 41-septies l. n. 1150/1941, aggiunto dall'art. 19 l. n. 765/1967- art. 9 l. n. 729/1961 - D.M. 01.04.1968 art. 4».
La ricorrente deduce che la natura giuridica della fascia di rispetto comporta l'inedificabilità assoluta, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama, e di conseguenza trova applicazione l'art. 40 TUE, e non l'art. 33. Sostiene che l'area in fascia di rispetto non possa concorrere al calcolo della superficie edificabile e l'indennità di espropriazione deve liquidarsi in base al valore agricolo del terreno, senza che rilevi il trasferimento della relativa volumetria.
Adduce la ricorrente che la disciplina non può essere derogata dagli strumenti generali di pianificazione e il deprezzamento della parte residua non può essere preso in considerazione perché la fascia di rispetto è un vincolo legale conformativo che cagiona un pregiudizio non indennizzabile. La disposizione legislativa precede e prevale sugli strumenti generali di pianificazione del territorio e la Corte territoriale avrebbe dovuto preliminarmente accertare se la destinazione edificatoria fosse preclusa dalle norme di legge citate in rubrica.
...
6. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
Occorre premettere che le articolate censure espresse con il primo motivo di ricorso involgono questioni di diritto in ordine alle quali il Collegio ritiene di disattendere l'istanza dei controricorrenti di rimessione alle Sezioni Unite, trattandosi di tematiche che, pur presentando profili di indubbio rilievo nomofilattico, possono essere decise dalla Sezione semplice mediante interpretazione del contesto normativa in via estensiva e chiarificatrice di principi già affermati da questa Corte, nel senso che sarà illustrato.
Le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte possono così sintetizzarsi:
   A) qualificazione giuridica della fascia di rispetto e correlata incidenza, in ipotesi di sua ablazione, sul criterio di determinazione dell'indennità di espropriazione e sull'individuazione della volumetria edificabile, ante assoggettamento alla procedura di espropriazione, dell'originario lotto unitario;
   B) rilevanza, in ordine all'individuazione della medesima volumetria edificabile, del solo "spostamento" della fascia di rispetto, nell'ipotesi in cui il vincolo, in conseguenza dell'espropriazione parziale, si sia spostato sull'area contigua, rimasta in proprietà dell'espropriato, venutasi a trovare per effetto dell'espropriazione all'interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava.
6.1. In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo l'orientamento di questa Corte che il Collegio ritiene di condividere, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo della P.A. di cui all'art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013).
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37, comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n. 5875/2015).
6.2. In ordine alle tematiche, più controverse, che presuppongono la sussistenza, accertata nella specie dalla Corte territoriale, dell'esproprio parziale di bene unitario ai sensi dell'art. 33 d.p.r. n. 327 /2001, ritiene il Collegio che sia condivisibile l'orientamento secondo cui deve escludersi qualsiasi incidenza dell'area corrispondente alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è compresa (tra le altre Cass. n. 8121/2009 e Cass. n. 26899/2008).
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza" (sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza cfr. Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018).
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima dell'assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.
Non è, pertanto, condivisibile l'indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell'individuazione della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la valutazione dello stesso ai fini urbanistici.
Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla prima, e ciò in quanto l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
6.3. A diversa conclusione si deve pervenire nell'ipotesi di spostamento della fascia di rispetto all'interno dell'area residua di proprietà, dovendosi rimarcare la sua dirimente distinzione dall'altra già considerata (ablazione della fascia di rispetto).
Infatti, in ipotesi di spostamento, la corrispondente porzione del bene è edificabile prima dell'imposizione sulla stessa del vincolo legale di inedificabilità conseguente dall'ablazione della fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo l'esproprio dell'originaria fascia di rispetto, così producendosi, per la "nuova" fascia di rispetto che resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.
In altri termini, come chiarito da questa Corte in precedenti pronunce (Cass. n. 5875/2012 e Cass. n. 23210/2012), il vincolo, in conseguenza dell'espropriazione, può essersi spostato sull'area contigua, rimasta in proprietà del privato, venutasi a trovare per effetto dell'espropriazione all'interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non rientrava (Cass. n. 13970/2011; n. 6518/2007; n. 14643/2001). Ove si verifichi detta situazione, poiché deve aversi riguardo alla consistenza dell'area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l'inedificabilità successiva della stessa ai fini dell'applicazione dell'art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
Dunque, l'edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l'altra parte residua, rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in proprietà anche la "nuova" fascia di rispetto. Negare rilevanza, nel senso indicato, alla descritta situazione si porrebbe in contrasto con i principi costantemente affermati da questa Corte in tema di espropriazioni per pubblica utilità, anche alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale (sentenze n. 348/2007, n. 349/2007 e 181/2011) e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo i quali non solo il sistema indennitario deve ritenersi improntato al riconoscimento del valore venale del bene ablato, ma l'indennizzo dovuto al proprietario, in base alla disciplina dettata dal citato art. 33, riguarda anche la compromissione o l'alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del bene rimasta nella disponibilità del proprietario stesso, in tutti i casi in cui il distacco di una parte del fondo e l'esecuzione dell'opera pubblica influiscano negativamente sulla proprietà residua, in modo da compensare il pregiudizio arrecato dall'ablazione ad essa (tra le tante Cass. n. 34745/2019).
Con riguardo a detti principi deve orientarsi l'interpretazione dell'art. 33 nella fattispecie in esame, la cui peculiarità risiede nel collegamento funzionale con una parte del fondo non espropriata, ma assoggettata, in diretta dipendenza dall'ablazione della fascia di rispetto, a vincolo assoluto di inedificabilità, e, quindi, alla perdita del diritto di costruire, pur nella permanenza del diritto di proprietà.
In tale ottica interpretativa, può darsi rilevanza, ai fini della configurabilità dell'esproprio parziale, a quel collegamento, a sua volta direttamente funzionale all'espropriazione della proprietà dell'area già in precedenza vincolata in quanto fascia di rispetto. Il fondamento normativa di suddetta ricostruzione si può rinvenire nell'art. 32, comma 1, citato d.p.r., che prescrive di tener conto, nella determinazione del valore del bene ai fini indennitari, anche dell'espropriazione di un diritto diverso da quello di proprietà, e a detta espropriazione è assimilabile l'ipotesi che si sta scrutinando, in cui il proprietario ha perso il diritto di costruire sulla porzione del fondo corrispondente alla "nuova" fascia di rispetto.
In base a detta opzione ermeneutica, estensiva nei termini consentiti dalla specificità del caso, il privato potrà ottenere il deprezzamento dell'area residua non ablata commisurato alla reale perdita o diminuzione di capacità edificatoria di essa.
Detto risultato può essere, infatti, raggiunto, in termini di effettività, solo se la valutazione della capacità edificatoria, da effettuarsi mediante comparazione delle caratteristiche del bene unitario ante e post procedura espropriativa, comprenda, nella ricostruzione della situazione ante procedura ablatoria, l'area della "nuova" fascia di rispetto originariamente edificabile, determinandosi, diversamente opinando, ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni con caratteristiche iniziali identiche, quanto alla pregressa destinazione urbanistica dell'area che, all'esito dell'espropriazione, rimane in proprietà.
Resta da precisare, sempre in ragione della specificità del caso, che il criterio di stima differenziale, che comporta la sottrazione all'iniziale valore dell'intero immobile quello della parte rimasta in capo al privato, non è vincolante e può essere sostituito dal criterio che procede al calcolo del deprezzamento della sola parte residua, per poi aggiungerlo alla somma liquidata per la parte espropriata, purché si raggiunga il medesimo risultato di compensare l'intero pregiudizio arrecato dall'ablazione alla proprietà residua (da ultimo Cass. n. 25385/2019 e n. 34745/2019).
Nella specie, poiché la perdita del diritto di costruire sull'area residua corrispondente alla "nuova" fascia di rispetto non è indennizzabile, il giudice di merito potrà accertare e calcolare la diminuzione di valore dell'area residua rimasta in proprietà a seguito dell'avanzamento della fascia di rispetto mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti (Cass. n. 24304/2011).
In altri termini, l'indennizzo eventualmente spettante al proprietario per la perdita di valore dell'area residua dovrà essere calcolato in relazione alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta superficie rimasta a seguito della creazione o dell'avanzamento della fascia di rispetto (Cass. n. 7195 del 2013).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il primo motivo va accolto nei limiti indicati, con la cassazione dell'ordinanza impugnata, e i Giudici di merito dovranno attenersi al principio di diritto secondo il quale, in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale all'interno dell'area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell'indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva dell'art. 33 d.p.r. n. 327 /2001, per il deprezzamento dell'area residua mediante il computo delle singole perdite ad essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della stessa ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici rimaste in proprietà (Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza 30.06.2020 n. 13203).

EDILIZIA PRIVATACondizione per l’applicabilità della disciplina sulla distanza dei fabbricati dalle strade.
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Edilizia – Distanze - Distanza dei fabbricati dalle strade – Presupposti - Individuazione.
L’applicabilità della disciplina sulla distanza dei fabbricati dalle strade di cui al combinato disposto degli artt. 16 del Codice della Strada e 26 del relativo regolamento di attuazione, è condizionata al verificarsi del seguente duplice presupposto:
   a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
   b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2, che tuttavia ne individua le tipologie sulla base delle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, distinguendole in categorie da “A” (corrispondente alle autostrade) a “F bis” (itinerari ciclopedonali) (1).

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   (1) La Sezione ha affronta il problema della disciplina delle fasce di rispetto stradale applicabile nelle costruzioni fuori dal centro abitato, chiarendo la portata della norma transitoria di cui all’art. 234, comma 5, del Codice della Strada. Da tale disposizione, infatti, emerge che l’applicabilità della disciplina recata, per quanto qui di interesse, dal combinato disposto di cui agli artt. 16 del Codice e 26 del relativo regolamento di attuazione, è condizionata al verificarsi del seguente duplice presupposto:
   a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
   b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2.
Nelle more di tali adempimenti, le norme previgenti, che devono continuare a trovare applicazione, sono appunto quelle contenute nel decreto interministeriale 01.04.1968, n. 1404, che detta le distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge n. 765 del 1967.
La distinzione delle strade ivi declinata all’art. 3, comma 1, «in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche», non appare affatto sovrapponibile alla assai più articolata prospettazione codicistica, pur potendo casualmente coincidere la riconducibilità di alcune fattispecie concrete alla medesima tipologia nominalistica, con particolare riferimento alla “C”, corrispondente a quelle “di media importanza”, di sicuro connotata da maggior genericità di inquadramento (tanto da ricomprendere strade statali, provinciali e finanche comunali, purché di dimensioni consistenti). Egualmente la delimitazione del “centro abitato” necessaria quale condizione di applicabilità della nuova normativa è soltanto quella di cui all’art. 4 del Codice della Strada.
Entrambe le discipline (la attuale e la previgente) si preoccupano di salvaguardare l’autonomia programmatoria in materia urbanistica degli enti territoriali, condizionando il rigoroso o più rigoroso regime delle distanze alla esistenza o meno di una disciplina edificatoria.
In tale ottica, mentre il comma 3 dell’art. 26 del d.P.R. n. 495/1992 (Regolamento di esecuzione del Codice), prevede, per quanto di interesse in relazione alle strade di tipologia “C”, la minore distanza di m. 10 ove si versi al di fuori dei centri abitati, «ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi»; l’art. 1 del decreto 01.04.1968, n. 1404, esclude genericamente dal proprio ambito di applicabilità sia i centri abitati sia gli «insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione».
Ha ancora chiarito la Sezione che il “centro abitato” come «insieme di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di inizio e fine», identificabile in un «raggruppamento continuo, ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi veicolari o pedonali sulla strada», è cosa diversa da quello individuato a fini urbanistici, siccome tipico della normativa previgente, a prescindere peraltro dalle esigenze e dalle modalità di coordinamento poste in essere dalle amministrazioni territoriali per cercare di armonizzare in ambito pianificatorio concreto le relative indicazioni.
Essere fuori dal centro abitato, quale che sia l’accezione attribuita al relativo termine, è uno dei presupposti di applicabilità del regime delle distanze di cui all’art. 26 del Regolamento di esecuzione del Codice; laddove l’altro è l’estraneità dall’ambito operativo degli strumenti urbanistici, che al contrario possono riferirsi anche ad altre zone, oltre al centro abitato medesimo (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 17.06.2020 n. 3900 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11. Punto essenziale dell’odierna controversia è l’esatta disciplina applicabile in materia di distanze dalla sede stradale dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, cd. “Nuovo Codice della Strada”.
Nel caso di specie, il Comune di Montaquila, infatti, pur classificando la strada statale -OMISSIS-) sulla base delle indicazioni di cui all’art. 2 del Codice della Strada, ha poi ritenuto di dover fare applicazione della disciplina previgente, invocando il regime delle distanze previsto dalla omonima, ma strutturalmente diversa, categoria delle “strade di media importanza”, egualmente denominate come “C” nella elencazione di cui all’art. 3 del decreto interministeriale n. 1444/1968.
Ciò in applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 234, comma 5, del d.lgs. n. 285/1992. Da tale disposizione, infatti, emerge che l’applicabilità della disciplina recata, per quanto qui di interesse, dal combinato disposto di cui agli artt. 16 del Codice e 26 del relativo regolamento di attuazione, approvato con d.P.R. 30 dicembre 1992, n. 495, è condizionata al verificarsi del seguente duplice presupposto:
   a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
   b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2, che tuttavia ne individua le tipologie sulla base delle caratteristiche costruttive, tecniche e funzionali, distinguendole in categorie da “A” (corrispondente alle autostrade) a “F bis” (itinerari ciclopedonali).
Nelle more di tali adempimenti, le norme previgenti, che devono continuare a trovare applicazione, sono appunto quelle contenute nel decreto interministeriale 01.04.1968, n. 1404, che detta le distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge n. 765 del 1967.
La richiamata distinzione delle strade ivi declinata all’art. 3, comma 1, «in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche», non appare affatto sovrapponibile alla assai più articolata prospettazione codicistica, pur potendo casualmente coincidere la riconducibilità di alcune fattispecie concrete alla medesima tipologia nominalistica, con particolare riferimento alla “C”, corrispondente a quelle “di media importanza”, di sicuro connotata da maggior genericità di inquadramento (tanto da ricomprendere strade statali, provinciali e finanche comunali, purché di dimensioni consistenti). Senza che di tale differenza concettuale, rileva ancora la Sezione, il Comune si sia fatto minimamente carico, essendosi limitato, con un evidente salto logico argomentativo, ad utilizzare le nuove indicazioni legislative a fini classificatori, salvo poi far leva sul tratto nominalistico dell’inquadramento conseguitone (la tipologia “C”) per esportarlo nel diverso contesto declinato dalla normativa previgente, senza la minima analisi, pur semplicemente descrittiva, dello stato dei luoghi.
12. Per delineare il quadro completo della disciplina astrattamente applicabile, la Sezione ritiene necessario ricordare anche come l’art. 26 del regolamento di attuazione del Codice della Strada, laddove si versi fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del codice, individui quale distanza dal confine di una strada di tipo “C”, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade quella non inferiore a m. 30; distanza lineare che corrisponde esattamente a quella prevista dall’art. 4 del decreto del 1968 per l’omonima categoria ivi individuata.
Quand’anche tuttavia, come peraltro parrebbe nel caso di specie, la strada statale -OMISSIS- possa classificarsi come “C” sia ai sensi dell’art. 2 del Codice della Strada, cui l’Amministrazione ha inteso fare riferimento, sia ai sensi dell’art. 3 del decreto n. 1404/1968, per contro neppure richiamato descrittivamente, il Comune avrebbe dovuto anche scrutinare il regime edificatorio dell’area, secondo la vigente normativa urbanistica locale. Occorre infatti precisare, rileva ancora la Sezione, come entrambe le discipline (la attuale e la previgente) si preoccupino -e non avrebbe potuto essere altrimenti- di salvaguardare l’autonomia programmatoria in materia urbanistica degli enti territoriali, condizionando il rigoroso o più rigoroso regime delle distanze alla esistenza o meno di una disciplina edificatoria.
In tale ottica, mentre il comma 3 del richiamato art. 26 del d.P.R. n. 495/1992, prevede, per quanto di interesse in relazione alle strade di tipologia “C”, la minore distanza di m. 10 ove si versi al di fuori dei centri abitati, «ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi»; l’art. 1 del decreto 01.04.1968, n. 1404, esclude genericamente dal proprio ambito di applicabilità sia i centri abitati sia gli «insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione».

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALe fasce di rispetto stradale, previste dal Codice della Strada e dal suo Regolamento di attuazione, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale.
In particolare, l'imposizione della fascia di rispetto stradale è funzionale, oltre che a ragioni di sicurezza della circolazione, ad eventuali prospettive di ampliamento della sede stradale, nonché all'esigenza di garantire uno spazio sufficiente ed adeguato all'esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità.
Nondimeno, non è escluso che il Comune imponga con il proprio strumento urbanistico una fascia di rispetto più ampia. In tal caso, il vincolo di inedificabilità, non riconducibile direttamente alle previsioni di regolazione della cricolazione stradale, ma avente la propria fonte esclusiva nello strumento urbanistico, non rientra fra i vincoli di inedificabilità assoluta ostativi alla sanatoria delle opere edilizie con essi contrastanti.
La scelta urbanistica è, in tal caso, sindacabile nei noti limiti dell’illogicità e irragionevolezza. Infatti, le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso.
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L’imposizione di un vincolo di inedificabilità comporta un sacrificio dell’interesse dei proprietari dell’area, benché lo strumento urbanistico consenta loro di utilizzare le volumetrie sviluppate dal terreno in fascia di rispetto, in quanto le possibilità edificatorie sono evidentemente assoggettate a condizioni più difficoltose.
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7. – Ciò posto, il ricorso, nella parte in cui vi è ancora interesse, è fondato.
7.1. – Secondo i ricorrenti, la scelta di rappresentare l’area di cui essi sono proprietari quale zona di rispetto stradale con una inedificabilità di venti metri dal ciglio della strada è frutto di un travisamento dei fatti.
Il combinato disposto dell’art. 18 d.lgs. 30.04.1992, n. 285, e dell’art. 28 d.P.R. 16.12.1992, n. 495, invero, stabilisce una fascia di rispetto di venti metri solo per le strade di tipo D (strada urbana di scorrimento, realizzata a carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate) e, in mancanza di strumenti urbanistici, per le strade di tipo E (strada urbana di quartiere, realizzata ad unica carreggiata con almeno due corsie, banchine pavimentate e marciapiedi).
Nel caso di specie, la strada cui l’area è prospiciente è stata considerata strada urbana di scorrimento, senza averne le caratteristiche, potendo al massimo essere considerata strada urbana di quartiere. L’imposizione di una fascia di rispetto così ampia sarebbe pertanto irragionevole.
In ogni caso, le scelte dell’amministrazione sarebbero prive di adeguata motivazione, necessaria in considerazione del fatto che le scelte urbanistiche operate, contrastanti con quelle del passato, hanno penalizzato i ricorrenti, i quali, essendo il loro terreno profondo non più di 30 m. dall’asse stradale, hanno di fatto perduto la possibilità di edificare.
L’irragionevolezza emergerebbe ancor di più ove si consideri che sull’asse viario esistono già almeno due edifici posti a meno di 20 m. dal ciglio della strada; la via prosegue in un Comune limitrofo, dove la fascia di rispetto è fissata in 10 m; per altre vie, di simili caratteristiche, nel Comune di Aci Bonacorsi la fascia di rispetto è fissata in m. 10.
7.2. – Va in proposito ricordato che le fasce di rispetto stradale, previste dal Codice della Strada e dal suo Regolamento di attuazione, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20.10.2000, n. 5620; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 12.07.2017, n. 1600).
In particolare, l'imposizione della fascia di rispetto stradale è funzionale, oltre che a ragioni di sicurezza della circolazione, ad eventuali prospettive di ampliamento della sede stradale, nonché all'esigenza di garantire uno spazio sufficiente ed adeguato all'esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità (TAR Campania–Napoli, Sez. VI, 10.04.2018, n. 2315).
Nondimeno, non è escluso che il Comune imponga con il proprio strumento urbanistico una fascia di rispetto più ampia. In tal caso, il vincolo di inedificabilità, non riconducibile direttamente alle previsioni di regolazione della cricolazione stradale, ma avente la propria fonte esclusiva nello strumento urbanistico, non rientra fra i vincoli di inedificabilità assoluta ostativi alla sanatoria delle opere edilizie con essi contrastanti (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 02.02.2015, n. 180).
La scelta urbanistica è, in tal caso, sindacabile nei noti limiti dell’illogicità e irragionevolezza. Infatti, le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti nell'impostazione del piano stesso (Cons. Stato, Sez. IV, 24.02.2020, n. 1355).
7.3. – Nel caso di specie, sussistono i profili di irragionevolezza denunciati dai ricorrenti.
Invero, non risulta contestato che lungo la strada di cui si controvente sono situati almeno due edifici che sono collocati a una distanza inferiore a 20 m.; la strada prosegue in un altro Comune, ove la fascia di rispetto è fissata in 10 m; altre strade aventi le medesime caratteristiche sono dotate di una fascia di rispetto di soli 10 m.
Quindi, accertato che ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 285 del 1992 e dell’art. 28 d.P.R. n. 495 del 1992, n. 495, era imposta dalla legge una fascia di rispetto di 10 m., non si comprende quale sia la logica sottintesa all’estensione del vincolo per una sola strada e, peraltro, nonostante la presenza di immobili a una distanza inferiore.
7.4. – È appena il caso di chiarire, inoltre, che l’imposizione di un vincolo di inedificabilità comporta un sacrificio dell’interesse dei proprietari dell’area, benché lo strumento urbanistico consenta loro di utilizzare le volumetrie sviluppate dal terreno in fascia di rispetto, in quanto le possibilità edificatorie sono evidentemente assoggettate a condizioni più difficoltose.
È dunque infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse (TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 16.06.2020 n. 1416 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa fascia di rispetto autostradale pone un divieto assoluto di edificabilità, da applicare sia alle nuove costruzioni, sia alle ricostruzioni a seguito di demolizione, sia agli ampliamenti di edifici fronteggianti le strade di tipo A.
Norme vigenti del Codice della Strada e del Regolamento di attuazione pongono un divieto di edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto autostradale per una distanza di mt. 60 fuori dai centri abitati e mt. 30 all’interno dei centri abitati oppure nelle aree edificabili fuori (art. 16 seg. D.Lgs. 285/1992 e art. 26 seg. DPR 495/1992).
Tale distanza minima è volta ad assicurare il prioritario interesse pubblico alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone oltre ad assicurare l'esecuzione di lavori di manutenzione, la realizzazione di opere accessorie e di ampliamento della sede stradale che sarebbero impediti dalla presenza di edificazioni e/o manufatti prossimi alla sede stradale; per tali motivi la normativa in materia impone delle distanze minime non derogabili tra le costruzioni e le strade, cd. fasce di rispetto, che devono rimanere inedificate a prescindere dall’effettivo pericolo ai beni giuridici protetti nello specifico caso in esame (vedi, tra tante, Cons, Stato, sez, IV, n. 22076/2010 e 4719/2008 ove si rappresentano gli inconvenienti degli insediamenti edilizi spontaneamente sorti a ridosso delle sedi stradali con danno sia dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione ed alla agibilità dell’area adiacente, ma anche i costi a carico del pubblico erario per l’installazione di barriere acustiche, antisfondamento, mezzi di mitigazione visiva ed ambientale, etc.).
Si tratta di limiti che si applicano sia alle nuove costruzioni, sia alle ricostruzioni a seguito di demolizione, sia agli ampliamenti di edifici fronteggianti le strade di tipo A (autostrade di qualunque tipo).
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... per l'annullamento:
quanto al ricorso n. 4500 del 2017:
   - della Determinazione Dirigenziale n. prot. 4637 del 28/02/2017 di diniego della domanda di condono edilizio prot. n. 6417 del 15/04/2004 – pratica di sanatoria n. 138;
   - della Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio del 25.07.2007 n. 556 di adozione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, nonché della Deliberazione sempre della Giunta Regionale del Lazio del 21.12.2007 n. 1025 di modificazione, integrazione e rettifica della delibera n. 556/2007;
quanto al ricorso n. 10821 del 2017:
   - della Determinazione Dirigenziale n. prot. 15629 del 03/07/2017 di diniego della domanda di condono edilizio prot. n. 6417 del 15/04/2004 – pratica di sanatoria n. 138;
   - della Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio del 25.07.2007 n. 556 di adozione del Piano Territoriale Paesistico Regionale, nonché della Deliberazione sempre della Giunta Regionale del Lazio del 21.12.2007 n. 1025 di modificazione, integrazione e rettifica della delibera n. 556/2007.
...
Il Collegio ritiene di invertire l’ordine dei motivi di ricorso, per comodità espositiva, iniziando l’esame da quello che tende a contestare il vincolo già esistente sull’area in questione al momento della commissione dell’abuso.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta che nel provvedimento impugnato vengono richiamate anche norme non più in vigore (legge n. 729 del 24/07/1961 e DM n. 1404 del 01/04/1968), che non sono specificate le norme del vigente Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 s.m.i.) e relativo Regolamento di esecuzione (DPR 495/1992) applicate, che non si tiene conto della richiesta inoltrata all’ANAS dal ricorrente né del fatto che sulla fascia di rispetto vi sono già altre costruzioni.
Il rilievo è pretestuoso in quanto il contestato richiamo non ha alcuna influenza nell’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione, che non ha fatto erronea applicazione di norme abrogate, ma di norme vigenti del Codice della Strada e del Regolamento di attuazione –agevolmente individuabili e non fraintese nel loro contenuto dispositivo- che pongono un divieto di edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto autostradale per una distanza di mt. 60 fuori dai centri abitati e mt. 30 all’interno dei centri abitati oppure nelle aree edificabili fuori (art. 16 seg. D.Lgs. 285/1992 e art. 26 seg. DPR 495/1992).
Come chiarito dall’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, tale distanza minima è volta ad assicurare il prioritario interesse pubblico alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone oltre ad assicurare l'esecuzione di lavori di manutenzione, la realizzazione di opere accessorie e di ampliamento della sede stradale che sarebbero impediti dalla presenza di edificazioni e/o manufatti prossimi alla sede stradale; per tali motivi la normativa in materia impone delle distanze minime non derogabili tra le costruzioni e le strade, cd. fasce di rispetto, che devono rimanere inedificate a prescindere dall’effettivo pericolo ai beni giuridici protetti nello specifico caso in esame (vedi, tra tante, Cons, Stato, sez, IV, n. 22076/2010 e 4719/2008 ove si rappresentano gli inconvenienti degli insediamenti edilizi spontaneamente sorti a ridosso delle sedi stradali con danno sia dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione ed alla agibilità dell’area adiacente, ma anche i costi a carico del pubblico erario per l’installazione di barriere acustiche, antisfondamento, mezzi di mitigazione visiva ed ambientale, etc.).
Si tratta di limiti che si applicano sia alle nuove costruzioni, sia alle ricostruzioni a seguito di demolizione, sia agli ampliamenti di edifici fronteggianti le strade di tipo A (autostrade di qualunque tipo).
È pacifico che l’immobile in contestazione, realizzato previa demolizione del preesistente pollaio e ricostruzione dislocata ed ampliata, si trova all’interno della predetta fascia di rispetto (risultante dai certificati di destinazione urbanistica del 1998 e del 2002).
Ne consegue che il diniego di sanatoria sancito con il provvedimento impugnato risulta immune dai vizi dedotti e che il motivo ostativo in parola precluda definitivamente la possibilità di condonare l’abuso, dato che il vincolo in parola, apposto prima della realizzazione dell’abuso non ne consente la sanatoria, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47/1985 (l’art. 32 limita la possibilità di sanatoria solo al caso di vincolo successivo ed a condizione che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico), richiamato dalla legge n. 326/2003 (vedi, da ultimo, Cons. St., sez. VI, n. 6614/2019; sez. IV n. 1225/2017).
Non giova al ricorrente invocare circostanze successive, quali l’aver presentato all’Ufficio Tecnico delle Autostrade per l’Italia-Direzione V tronco, una richiesta di nulla osta in deroga in data 26.09.2017, in corso di esame, dato che tale fatto non vale ad inficiare il provvedimento impugnato, la cui legittimità va valutata alla stregua delle circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione.
Né il vulnus dell’abuso commesso viene eliminato dalla realizzazione di altre costruzioni nella medesima area che, ove edificate abusivamente all’interno della fascia di rispetto stradale, già esistente prima della sua realizzazione, in violazione di un vincolo di inedificabilità totale e assoluto, più che giustificare la tolleranza dell’abuso commesso del ricorrente potrebbero semmai giustificare l’adozione di ulteriori misure di ripristino e sanzionatorie da parte dell’Amministrazione.
In conclusione, anche ritenendo superato il vincolo sismico (anch’esso esistente al momento della realizzazione dell’abuso (come riportato nei certificati di destinazione urbanistica del 1998 e del 2002) -per il quale il ricorrente ha ottenuto il certificato di idoneità sismica in data 12/11/2007– l’istanza di sanatoria resta comunque inaccoglibile per violazione delle distanze a protezione della sede autostradale (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 07.04.2020 n. 3809 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La fascia di rispetto stradale si applica sia alle nuove costruzioni sia alle ricostruzioni conseguenti ad integrali demolizioni.
Se è pur vero che la demolizione e successiva ricostruzione può costituire ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 del DPR 380/2001, in assenza di incremento di volumetria, è anche vero che essa rientra però nel campo di applicazione dell’art. 26, comma 2, del DPR 495/1992 il quale assoggetta al rispetto della distanza di 20 metri dal confine con le strade di tipo F, non soltanto gli interventi di “nuova costruzione”, ma anche quelli di “ricostruzione conseguente a integrale demolizione”.
La ratio di tale previsione è quella di rimuovere nel tempo, a far data dall’entrata in vigore del regolamento di esecuzione del codice della strada, le situazioni di pericolo preesistenti all’introduzione delle fasce di rispetto stradale di cui all’art. 16 del codice della strada, ed anche quella, più in generale, di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni; con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata; il che spiega perché la fascia di rispetto stradale si applichi sia alle nuove costruzioni sia anche alle ricostruzioni conseguenti ad integrali demolizioni.
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2. Con il secondo motivo, la parte ricorrente ha lamentato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 3 e 36 del D.P.R. n. 380/2001, dell’art. 27 della L.R. Lombardia n. 12/2005, dell’art. 26 del D.P.R. n. 496/1992, nonché vizi di eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, manifesta ingiustizia e irragionevolezza; in particolare:
   - secondo la parte ricorrente, l’amministrazione avrebbe erroneamente applicato l’art. 26, comma 2, del regolamento di esecuzione del codice della strada qualificando l’intervento come di “nuova costruzione”, mentre invece si sarebbe trattato di “ristrutturazione edilizia” con demolizione solo “parziale” del precedente manufatto e successiva ricostruzione;
   - nel caso di specie la fedele ricostruzione ci sarebbe stata sicuramente per gli interventi eseguiti sul fronte nord–ovest dell’edificio, posto che le murature, crollando solo parzialmente, sarebbero state in parte ricostruite fedelmente e in parte inglobate nelle nuove pareti, rispettando le previsioni di progetto e lo stato di fatto originario;
   - anche sul fronte nord-est prospiciente la strada provinciale, il muro crollato sarebbe stato ricostruito fedelmente sulla stessa linea del fabbricato preesistente.
Anche tale censura, osserva il collegio, non può essere condivisa.
2.1. Gli atti di causa evidenziano chiaramente che l’intervento edilizio eseguito dalla parte ricorrente è consistito nella demolizione integrale dell’edificio preesistente e nella ricostruzione dello stesso ad una distanza inferiore (metri 8,42 rispetto ai 9,03 precedenti) dal confine di proprietà provinciale; ciò si evince dalla stessa relazione del direttore dei lavori in data 05.06.2012, in risposta al preavviso di diniego dell’amministrazione (doc. 11 fascicolo Provincia), nella quale si afferma che le murature preesistenti sul fronte nord-est erano crollate per intero, mentre quelle sul fronte nord-ovest “hanno inizialmente tenuto, sono state successivamente parzialmente demolite fino alla loro messa in sicurezza e successivamente parzialmente annegate nel getto delle murature perimetrali al piano interrato e integrate al paino terra dalle murature di nuova costruzione a rispetto degli allineamenti da concessione da mantenere”.
2.2. Il crollo asseritamente “accidentale” dei muri avrebbe potuto mantenere l’intervento nei limiti della demolizione “parziale” se la parte ricorrente avesse sospeso i lavori, fatto accertare dall’amministrazione lo stato dei luoghi e concordato con la stessa gli interventi successivi, richiedendo le necessarie autorizzazioni; nei termini in cui si è svolta, invece, parte ricorrente ha conseguito un risultato analogo all’obiettivo originario di demolire per intero l’edificio preesistente e costruirne uno nuovo (va ricordato che l’istanza originaria, respinta dall’amministrazione, contemplava appunto la demolizione integrale dell’edificio preesistente).
2.3. Correttamente l’amministrazione ha qualificato l’intervento come ricostruzione conseguente a demolizione integrale del manufatto preesistente. E se pure è vero che tale intervento può costituire ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 del DPR 380/2001, in assenza di incremento di volumetria (non contestata dall’amministrazione), è anche vero che esso rientra però nel campo di applicazione dell’art. 26, comma 2, del DPR 495/1992 il quale assoggetta al rispetto della distanza di 20 metri dal confine con le strade di tipo F, non soltanto gli interventi di “nuova costruzione”, ma anche quelli di “ricostruzione conseguente a integrale demolizione”.
2.4. La ratio di tale previsione è quella di rimuovere nel tempo, a far data dall’entrata in vigore del regolamento di esecuzione del codice della strada, le situazioni di pericolo preesistenti all’introduzione delle fasce di rispetto stradale di cui all’art. 16 del codice della strada (TAR Ancona, sez. I, n. 361/2011), ed anche quella, più in generale, di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni; con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata (Cass. Civ., Sez. I, 11.04.2019 n. 10223); il che spiega perché la fascia di rispetto stradale si applichi sia alle nuove costruzioni sia anche alle ricostruzioni conseguenti ad integrali demolizioni (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 06.03.2020 n. 201 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAIl quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato, per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.

L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze. Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
   - In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs. 30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere", disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze", non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato") ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza" della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2% delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2, lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n. 106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art. 32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle misure progettuali. Gli elementi sono:
   - Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
   - Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
   - Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della sagoma esterna del manufatto;
   - Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone. Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed, infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale; detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti. Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n. 495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi (Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di "scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
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Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 - D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza

TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II, 20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true).

EDILIZIA PRIVATAPer la consolidata giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M. 01.04.1968.
Il divieto di edificazione sancito dall’art. 4, D.M. 01.04.1968 non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo quindi, in caso di opere abusive realizzate prima dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico.

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L’appello è infondato.
L’art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47, applicabile anche alle domande di condono presentate ai sensi della legge n. 724 del 1994, in forza del richiamo operato dall’art. 39 di detta legge, subordina il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, “salve le fattispecie previste dall’articolo 33”.
In base al comma 2 del medesimo art. 32 “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino:
   a) in difformità dalla legge 02.02.1974, n. 64, e successive modificazioni, e dal D.P.R. 06.06.2001, n. 380, quando possano essere collaudate secondo il disposto del quarto comma dell’articolo 35;
   b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché non in contrasto con le previsioni delle varianti di recupero di cui al capo III;
   c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 01.04.1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13.06.1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma 2, si applicano le disposizioni dell’art. 33
”.
Ai sensi dell’art. 33 della legge 28.02.1985, n. 47, non sono suscettibili di sanatoria le opere in contrasto con i seguenti vincoli “qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:
   a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;
   b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;
   c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;
   d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree
”.
Nel caso di specie, l’area in cui sono poste le opere è soggetta a vincolo di inedificabilità per la fascia di rispetto autostradale, ai sensi del D.M. 01.04.1968, n. 1404.
L’art. 4 di tale decreto ministeriale indica le distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, tra cui per la strade di tipo A la distanza di metri 60,00.
In base all’art. 3 sono strade di tipo A: le autostrade di qualunque tipo; i raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona.
Tale vincolo della fascia di rispetto stradale è stato quindi posto dal detto decreto ministeriale anche prima della realizzazione dell’opera, che nella domanda di condono e anche negli scritti difensivi è indicata nell’anno 1985.
Ne deriva che il vincolo in questione, in quanto posto prima della realizzazione delle opere, è un vincolo di inedificabilità assoluta, disciplinato dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, che impedisce il rilascio del condono, indipendentemente dalla richiesta di parere all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
Per la consolidata giurisprudenza, infatti, il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M. 01.04.1968 (Cons. Stato, Sez. IV, 13.06.2017, n. 2878).
Il divieto di edificazione sancito dall’art. 4, D.M. 01.04.1968 non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2076; id., 27.01.2015, n. 347).
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo quindi, in caso di opere abusive realizzate prima dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza del traffico (Cons. Stato, Sez. VI, 02.09.2019, n. 6035).
Da tale quadro normativo e giurisprudenziale deriva la infondatezza del primo motivo di appello con cui si deduce che sarebbe dovuto intervenire il parere dell’ANAS, quale autorità preposta alla tutela del vincolo, non essendo stato invece dedotto alcun elemento in fatto relativo alla preesistenza dell’opera al vincolo della fascia di rispetto stradale, risultando anzi l’opera realizzata nel 1985 in base a quanto dichiarato nella domanda di condono e negli scritti difensivi (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 12.02.2020 n. 1100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che, pur non derivando dalla programmazione e pianificazione urbanistica, è pur sempre sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi (art. 41-septies, l. n. 1150 del 1942, aggiunto dall’art. 19, l. n. 765 del 1967; art. 9, l. n. 729 del 1961) e dai relativi provvedimenti di attuazione (d.m. 01.04.1968).
Ciò premesso, posto che l’immobile è stato costruito successivamente al 01.01.1968 [data di entrata in vigore del decreto ministeriale (Ministero dei lavori pubblici) n. 1404 del 1968], sussiste un divieto assoluto di edificare in aree site in fascia di rispetto stradale (vincolo assoluto di inedificabilità), ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 729/1961 e del citato decreto ministeriale n. 1404 del 1968, sicché va applicato l’articolo 33, comma 1, lett. d), della legge n. 47 del 1985, che statuisce l’impossibilità di sanatoria in presenza di vincoli di inedificabilità.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il vincolo di inedificabilità assoluta rende non fabbricabili le aree site nella fascia di rispetto stradale indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera abusivamente realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale, essendo correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, con la conseguenza che opera direttamente e automaticamente, sicché, accertata la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell’amministrazione sull’istanza di sanatoria non può essere che negativo.

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1. In data 25.01.1995, l’odierna appellante ha presentato al Comune di Alberobello domanda di concessione in sanatoria, ai sensi degli articoli 39 della legge n. 724 del 1994 e 31 e seguenti della legge n. 47 del 1985, per un locale ad uso ristoro in zona agricola nelle vicinanze della Strada provinciale 113 Monopoli-Alberobello.
Con note prot. numeri 7807 del 30.08.1996 e 9847 del 02.10.1996, l’allora Provincia di Bari (oggi Città metropolitana di Bari) ha emesso pareri negativi, stante la sussistenza di un vincolo di inedificabilità introdotto, a protezione del nastro stradale, dal D.M. n. 1404 del 01.04.1968, prima dell’ultimazione dell’edificio da sanare.
2. Avverso tali pareri, l’interessata ha proposto il ricorso di primo grado n. 3248 del 1996, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari.
L’allora Provincia Bari si è costituita nel giudizio di primo grado, mentre il Comune di Alberobello non si è costituito.
3. Con l’impugnata sentenza n. 2328 del 14.10.2008, il Tar per la Puglia, sede di Bari, sezione terza, ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione provinciale, delle spese di lite, liquidate in euro 2.000.
...
7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.
8. È dirimente –e assorbente ogni altra considerazione– il fatto che l’immobile è sito in zona agricola. Non è provato quanto affermato dall’appellante circa l’ubicazione dell’immobile in zona esterna all’abitato e tipizzata dal piano regolatore generale come ambito di particolare pregio ambientale. È pertanto infondato il tentativo dell’appellante di sostenere che la disciplina urbanistica dell’area su cui sorge il manufatto potesse qualificarsi come “edificabile” ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del d.P.R. n. 495 del 1992.
Non può peraltro sottacersi che “Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità che, pur non derivando dalla programmazione e pianificazione urbanistica, è pur sempre sancito nell'interesse pubblico da apposite leggi (art. 41-septies, l. n. 1150 del 1942, aggiunto dall'art. 19, l. n. 765 del 1967; art. 9, l. n. 729 del 1961) e dai relativi provvedimenti di attuazione (d.m. 01.04.1968)” (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, decisione 16.11.2005, n. 9).
Ciò premesso, posto che l’immobile è stato costruito successivamente al 01.01.1968 [data di entrata in vigore del decreto ministeriale (Ministero dei lavori pubblici) n. 1404 del 1968], sussiste un divieto assoluto di edificare in aree site in fascia di rispetto stradale (vincolo assoluto di inedificabilità), ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 729/1961 e del citato decreto ministeriale n. 1404 del 1968, sicché va applicato l’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge n. 47 del 1985, che statuisce l’impossibilità di sanatoria in presenza di vincoli di inedificabilità.
8.1. Del tutto legittimamente il Tar non si è pronunciato sulle ulteriori censure mosse dalla parte privata, in quanto assorbite dalla acclarata presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta del terreno su cui è stato edificato il manufatto.
In ogni caso, in ordine alla censura di non necessaria acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Provincia di Bari), si evidenzia che ai sensi degli articoli 32, comma 1, della legge n. 47 del 1985 e 39 della legge n. 724 del 1994, il parere era certamente necessario (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 22.01.2019, n. 540, e 28.09.2012, n. 5125).
Con riferimento all’asserita esigenza di vagliare l’effettiva pericolosità dell’opera per il traffico stradale, si osserva che, come chiarito dalla giurisprudenza, il vincolo di inedificabilità assoluta rende non fabbricabili le aree site nella fascia di rispetto stradale indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera abusivamente realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale, essendo correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, con la conseguenza che opera direttamente e automaticamente, sicché, accertata la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere dell’amministrazione sull’istanza di sanatoria non può essere che negativo (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 8 giugno 2011, n. 3498, 14.04.2010, n. 2076, e 15.04.2013, n. 2062; Cass. civ., sezione III, sentenza 21.02.2013, n. 4346).
Parimenti infondata è la deduzione per cui le distanze dal ciglio stradale sarebbero derogabili in caso di impianti di interesse pubblico, poiché il vincolo di inedificabilità è, per sua natura, incompatibile con qualsiasi tipologia di manufatto.
È altresì infondata la doglianza relativa all’incompetenza del dirigente ad emanare i pareri impugnati siccome di competenza della Giunta provinciale, in quanto detto vizio, attesa la già rilevata natura vincolata dei provvedimenti adottati, rientra nel novero dei vizi non invalidanti di cui all’articolo 21-octies, comma 2, prima parte, della legge n. 241 del 1990, e non ridonda, pertanto, in un’annullabilità.
9. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 31.01.2020 n. 815 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATAIl concessionario autostradale ha l’obbligo di segnalare la realizzazione di un’opera all’interno della fascia di rispetto dell’autostrada al Concedente.
Per quanto attiene alle attività di tutela delle strade e delle fasce di rispetto la giurisprudenza ha costantemente affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni".
Ne discende che “le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti”.
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La società ricorrente gestisce un parco attrezzato ed una pista di karting cross in virtù di una Convenzione stipulata con il Comune di Cattolica nel 1989.
A seguito della realizzazione della terza corsia dell’autostrada A14, la pista di karting risultava all’interno della fascia di rispetto e la società presentava un progetto preliminare di ulteriore arretramento della sede della pista che veniva respinto con i provvedimenti indicati in epigrafe.
Il primo motivo di ricorso riguarda la violazione dell’art. 10-bis L. 241/1990 poiché il Ministero resistente non ha notificato il preavviso di diniego impedendo il formarsi del contraddittorio procedimentale.
Il secondo motivo contesta la violazione degli artt. 16 e 18 DPR 285/1992 e 26 e 27 DPR 495/1992 poiché le fasce di rispetto previste da tali norma non si applicherebbero all’attività della società ricorrente in quanto la pista di karting non costituisce un manufatto sopraelevato che può costituire disturbo per la circolazione dei veicoli sull’autostrada.
Si costituivano in giudizio Autostrade per l’Italia ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti chiedendo il rigetto del ricorso, eccependo la prima anche l’inammissibilità per carenza di interesse essendo venuto meno il provvedimento edilizio che consentiva l’esercizio dell’attività.
Il ricorso è infondato e ciò consente di prescindere dall’esame dell’eccezione preliminare.
In merito al primo motivo al di là delle differente prospettazione delle parti circa l’iter procedimentale che ha preceduto gli atti impugnati, i provvedimenti non potrebbero avere un contenuto diverso e pertanto l’omissione procedimentale è irrilevante.
Il concessionario autostradale ha l’obbligo di segnalare la realizzazione di un’opera all’interno della fascia di rispetto dell’autostrada al Concedente; per quanto attiene alle attività di tutela delle strade e delle fasce di rispetto la giurisprudenza, che il Collegio condivide, ha costantemente affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni" (Consiglio di Stato, IV, 27.01.2015, n. 347).
Ne discende che “le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass. civ., n. 6118/1995) o che costituiscano mere sopraelevazioni (Cass. civ., n. 193/1987) o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti” (TAR Campania 1461/2011, Consiglio di Stato 2062/2013 e 2076/2010, TAR Lombardia 2353/2011 ) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. I, sentenza 17.06.2019 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' principio pacifico che "In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto dopo la sua imposizione, non si applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico".
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto".
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Il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale.
Norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
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Il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze, specie in casi come quelli qui in esame dove la distanza è risultata pari a ml. 13,75 e, pertanto, notevolmente inferiore a quella minima prevista dalla normativa vigente ratione temporis per la concessione del nulla osta, da non lasciare spazio ad alcuna valutazione discrezionale all’amministrazione.
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Iil vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata.
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L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
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3.1. Le superiori censure sono infondate.
3.2. Deve infatti evidenziarsi che la ricorrente omette di considerare che nel 1977 ha demolito e ricostruito l’immobile in assenza di titolo autorizzativo, tant’è che l’Anas elevò il verbale di contestazione n. 39 del 24/06/1980; sicché l’epoca di realizzazione (abusiva) del fabbricato oggi esistente deve farsi risalire al 1977, e dunque in epoca successiva all’apposizione del vincolo autostradale. E’ infatti consolidato orientamento giurisprudenziale che lo jus edificandi del lotto, divenuto libero a seguito di demolizione e/o crolli, segua le norme urbanistiche vigenti alla data di realizzazione, nel rispetto del regime vincolistico vigente alla data di ricostruzione.
3.3. Alla stregua di quanto precede, appare irrilevante il richiamo alla pronuncia di merito citata dalla ricorrente, essendo principio pacifico che "In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto dopo la sua imposizione, non si applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico" (TAR Lazio-Latina - Sez. I - 17.11.2011, n. 923).
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto" (Consiglio Stato - Sez. IV - 05.07.2000, n. 3731).
3.4. Sotto altro profilo va ancora osservato che il provvedimento di diniego impugnato esordisce premettendo che l’art. l'art. 23, comma 8, della L.R. n. 37/1985 ammette la possibilità di conseguire la concessione o l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti nelle fasce di rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non si applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt. 26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada, atteso che la giurisprudenza è stata sempre conforme nel ritenere il carattere assoluto del vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto autostradale, anche a prescindere dalle concrete caratteristiche dell’opera realizzata.
Orbene nel rilevare che la doglianza della ricorrente non sembra del tutto centrata sulla motivazione in effetti adottata dall’Amministrazione, non ponendo alcuna questione in ordine alla norma regionale citata nel provvedimento, appare opportuno al Collegio precisare quanto segue.
Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250 e, ivi, richiami; id., 03.11.2015, n. 5014), secondo cui il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la distanza è pari a ml. 13,75 e dunque inferiore a quella minima prevista dalla normativa in esame per la concessione del nulla osta e, dunque, per la sanabilità della costruzione.
Anche per detto profilo, pertanto, il provvedimento impugnato appare immune da censure.
4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, L. 28.02.1985 n. 47 – eccesso di potere e travisamento.
Afferma che in tema di sanatoria di abusi edilizi, in applicazione della Legge n. 47 del 1985, la natura del vincolo riveniente da una fascia di rispetto stradale differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo, dovendosi ammettere solo nel primo caso la possibilità di sanatoria (previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32), che resta invece esclusa nella seconda ipotesi, ai sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d).
E ciò in quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione temporis– consente la sanatoria –tra le altre ipotesi– per le opere abusive “in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 … sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” (lett. c), quando esse siano “… insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione …”, sicché soltanto in tale caso, attesa la natura “relativa” del vincolo (ai fini della sanatoria), l’Amministrazione deve darsi carico di verificare che le opere “… non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”, mentre per gli interventi realizzati dopo l’imposizione del vincolo opera la preclusione assoluta di cui all’art. 33, comma 1 (cita TAR Toscana, sez. III, 12.03.2013, n. 405, TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 26.01.2006, n. 22).
4.1. Le superiori censure sono infondate in quanto si fondano sull’assunto –già sopra smentito- che l’immobile per cui è causa sia stato realizzato in epoca anteriore all’imposizione del vincolo della fascia di rispetto stradale e che le opere di totale demolizione e ricostruzione che hanno interessato il fabbricato nel 1977 non incidano in alcun modo nella disciplina del regime vincolistico dell’area sulla quale esso insiste.
Deve poi aggiungersi, quanto alla pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), che il provvedimento appare esente da censure avendo l’Anas implicitamente motivato sul punto; infatti, richiamando copiosa giurisprudenza in materia, ha affermato che il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze, specie in casi come quelli qui in esame dove la distanza è risultata pari a ml. 13,75 e, pertanto, notevolmente inferiore a quella minima prevista dalla normativa vigente ratione temporis per la concessione del nulla osta, da non lasciare spazio ad alcuna valutazione discrezionale all’amministrazione.
5. Con il terzo motivo di ricorso deduce il vizio di eccesso di potere delle stesse disposizioni citate nei precedenti motivi di ricorso per carenza dei presupposti, sviamento, illogicità e contraddittorietà, iniquità, disparità di trattamento.
Afferma la ricorrente che per consolidato orientamento giurisprudenziale, la fascia di rispetto stradale si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili, ma tuttavia detto divieto di edificazione non preclude il recupero di edifici esistenti entro le fasce in oggetto.
Sicché il provvedimento sarebbe illegittimo a cagione del fatto in cui le opere di cui si chiede la sanatoria rappresentano un mero rifacimento del progetto originario che nulla ha alterato, in termini di cubatura, sia in altezza che in profondità, lasciando altresì quasi immutato il prospetto originario.
5.1. La censura è infondata per le medesime considerazioni sopra rassegnate in ordine all’epoca di realizzazione del fabbricato -demolito e poi ricostruito in assenza di titolo autorizzatorio- essendo inderogabile il rispetto delle distanze imposte dal regime vincolistico vigente alla data di ricostruzione.
6. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del punto 4.3, circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 30.07.1985, n. 3357/25 – eccesso di potere, sviamento, iniquità.
Sostiene che in tale Circolare, il Ministero dei Lavori pubblici premette che “sono sanabili le costruzioni realizzate nelle fasce di rispetto a protezione del nastro stradale, a condizione che non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” ed al contempo vengono indicati i criteri che i Comuni e gli Enti proprietari delle strade debbano seguire per accertare se esista o meno tale minaccia.
La circolare prevedrebbe, in particolare, che quando l’abuso sia costituito da un fabbricato di piccole dimensioni su strada senza intersezioni o singolarità plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in sanatoria sarà ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 m, ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore a 5 m.
Ne inferisce il ricorrente che nel caso di specie i requisiti anzidetti sarebbero pienamente rispettati, sicché l’Anas non avrebbe potuto negare il chiesto nulla osta in sanatoria.
6.1. La censura è infondata per le considerazioni sopra svolte, atteso che il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata.
7. Con il quinto motivo di ricorso deduce i vizi di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. 241/1990 e dell’art. 97 Cost. – difetto di istruttoria e motivazione - violazione dei principi di efficienza e buon andamento, violazione del giusto procedimento.
Il provvedimento non sarebbe adeguatamente motivato e l’Anas non farebbe alcun cenno della catena pressoché ininterrotta di costruzioni adibite a civile abitazione che si snodano lungo tutto il litorale (da Isola delle Femmine sin oltre Punta Raisi) e che hanno tutte la medesima distanza (minima) dalla sopravvenuta A/29.
7.1. La censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
Peraltro la ricorrente non lamenta in concreto nemmeno una disparità di trattamento, non avendo nemmeno postulato che in casi analoghi l’Anas abbia rilasciato il nulla osta ad essa invece denegato.
Pertanto il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il provvedimento è diffusamente motivato sia con riferimento ai parametri normativi sui quali esso è fondato, sia in ordine ai presupposti di fatto che asseverano l’espletamento di un adeguata istruttoria.
8. Per tutti i surriferiti motivi il ricorso è infondato e va rigettato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 17.05.2019 n. 1366 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA  - ESPROPRIAZIONEL'inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà, concretante il divieto assoluto di edificazione sancito nell'interesse pubblico, avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto a un'opera pubblica stradale o ferroviaria, non rilevando in senso contrario che il terreno sia collocato all'interno di un piano di insediamento industriale (P.I.P.) o di un piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.).
Tali vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto della sede stradale o autostradale, in conseguenza della destinazione di interesse pubblico, non arrecano alla parte sottratta al privato alcun deprezzamento, del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, facendo difetto il nesso di causalità sia con l'ablazione e sia con l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata.
La predetta disciplina non può essere derogata neppure da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto.
Ne consegue che al giudice, in sede di valutazione dell'indennità di occupazione, non è consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a prendere atto del regime direttamente stabilito dal legislatore.

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4.4. L'art. 16 del d.lgs. 30/04/1992 n. 285, recante il Codice della strada, in tema di «Fasce di rispetto in rettilineo ed aree di visibilità nelle intersezioni fuori dei centri abitati» vieta ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati, tra l'altro, di costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale; il successivo art. 18, in tema di « Fasce di rispetto ed aree di visibilità nei centri abitati», impone nei centri abitati, per le nuove costruzioni, ricostruzioni ed ampliamenti, le fasce di rispetto a tutela delle strade, misurate dal confine stradale, di dimensioni non inferiori a quelle indicate nel regolamento in relazione alla tipologia delle strade. Gli artt. 26 e 28 del regolamento di cui al d.P.R. 485 del 16/12/1992 dettano la misura precisa delle distanze da rispettare.
4.5. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, l'inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà, concretante il divieto assoluto di edificazione sancito nell'interesse pubblico, avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto a un'opera pubblica stradale o ferroviaria, non rilevando in senso contrario che il terreno sia collocato all'interno di un piano di insediamento industriale (P.I.P.) o di un piano di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.) (Sez. 1, 06/06/2018, n. 14632; Sez. 1, 21/12/2015, n. 25668; Sez. 1, 04/12/2013, n. 27114).
Tali vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto della sede stradale o autostradale, in conseguenza della destinazione di interesse pubblico, non arrecano alla parte sottratta al privato alcun deprezzamento, del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, facendo difetto il nesso di causalità sia con l'ablazione e sia con l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata. La predetta disciplina non può essere derogata neppure da parte degli strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, in quanto provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto. Ne consegue che al giudice, in sede di valutazione dell'indennità di occupazione, non è consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a prendere atto del regime direttamente stabilito dal legislatore (Sez. 1, 17/12/2012, n. 23210; Sez. 1, 13/04/2012, n. 5875) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, ordinanza 11.04.2019 n. 10223).

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto previsto dall'art. 16 del Codice della strada riguarda non solo le nuove costruzioni ma altresì le ricostruzioni di manufatti di qualsiasi tipo e materiale conseguenti a demolizioni integrali e anche ai volumi interrati, poiché il limite di edificabilità in questione non può essere inteso restrittivamente come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo, suscettibili come tali di costituire pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni, con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Invero, la nozione di ricostruzione, ai fini della salvaguardia delle fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati e delle distanze delle costruzioni dal confine stradale, non deve essere tratta, analogicamente, dalla normativa del codice civile in tema di distanze, dettata a tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, bensì dal codice della strada e dal suo regolamento di attuazione, le cui disposizioni mirano ad assicurare l'incolumità dei conducenti dei veicoli e della popolazione residente vicino alle strade.
Ne consegue che, ai predetti fini, rientrano nella citata nozione non solo gli interventi di demolizione seguiti dalla realizzazione di un'opera diversa, cioè difforme, per volumetria e sagoma, da quella preesistente, ma anche quelli attuati mediante demolizione e successiva fedele riproduzione del fabbricato originario, determinando anche questi ultimi l'obiettivo insorgere o risorgere proprio di quel pericolo che la normativa stradale ha inteso evitare.

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Il divieto previsto dall'art. 16 del Codice della strada riguarda non solo le nuove costruzioni ma altresì le ricostruzioni di manufatti di qualsiasi tipo e materiale conseguenti a demolizioni integrali e anche ai volumi interrati, poiché il limite di edificabilità in questione non può essere inteso restrittivamente come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo, suscettibili come tali di costituire pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni, con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Questa Corte ha anche precisato che la nozione di ricostruzione, ai fini della salvaguardia delle fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati e delle distanze delle costruzioni dal confine stradale, non deve essere tratta, analogicamente, dalla normativa del codice civile in tema di distanze, dettata a tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, bensì dal codice della strada e dal suo regolamento di attuazione, le cui disposizioni mirano ad assicurare l'incolumità dei conducenti dei veicoli e della popolazione residente vicino alle strade.
Ne consegue che, ai predetti fini, rientrano nella citata nozione non solo gli interventi di demolizione seguiti dalla realizzazione di un'opera diversa, cioè difforme, per volumetria e sagoma, da quella preesistente, ma anche quelli attuati mediante demolizione e successiva fedele riproduzione del fabbricato originario, determinando anche questi ultimi l'obiettivo insorgere o risorgere proprio di quel pericolo che la normativa stradale ha inteso evitare (Sez. 1, n. 2656 del 11/02/2015, Rv. 634121 - 01) (Corte di Cassazione, Sez. I civile, ordinanza 11.04.2019 n. 10223).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo derivante da una fascia di rispetto autostradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere l'area inedificabile, posto che la ratio delle disposizioni che danno origine alla c.d. zona di rispetto viario sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale.
Le zone di fascia di rispetto stradale vanno, quindi, calcolate ai fini della volumetria edificabile, dal momento che esse sanciscono soltanto l'obbligo urbanistico di costruire ad una certa distanza dalla strada, e perciò di non realizzare alcun manufatto edilizio all'interno della predetta fascia di rispetto stradale.
Quanto al calcolo delle distanze bisogna fare riferimento agli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell'opera.
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Con l'unico motivo di ricorso si deduce l'omessa motivazione di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e la violazione della L. 765/1967 e del D.M. 1404/1968 in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
Il ricorrente lamenta che la decisione si fondi sull'errato della sussistenza di una fascia di rispetto autostradale, calcolata in metri sessanta dal limite autostradale, ritenendo l'area interessata dall'intervento come ricadente fuori dal centro abitato laddove, da alcuni atti amministrativi acquisiti al processo, e segnatamente dal certificato di destinazione urbanistica, veniva certificata l'assenza di fasce di rispetto.
Il ricorrente richiamava altresì una delibera del Dirigente dell'Ufficio Tecnico del Comune che considerava l'area in questione all'interno del perimetro del centro abitato, con conseguente inapplicabilità della distanza di mt. 60. Riteneva che fosse applicabile l'art. 9 L. 729/1961, che stabilisce in metri 25 la distanza minima da osservare per la costruzione e l'ampliamento di edifici in qualsiasi parte del territorio, senza distinzione tra centro abitato e zone esterne a questo, con la conseguenza che la distanza prescritta dalla legge sarebbe stata rispettata, in quanto la costruzione dei Pe. si trovava a mt 30,37.
Ha, infine censurato la quantificazione del danno, quantificato nella perdita di valore dell'immobile del Perugino, sul rilievo che esso fosse totalmente abusivo e, pertanto incommerciabile.
Il motivo non è fondato.
Il vincolo derivante da una fascia di rispetto autostradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere l'area inedificabile, posto che la ratio delle disposizioni che danno origine alla c.d. zona di rispetto viario sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale.
Le zone di fascia di rispetto stradale vanno, quindi, calcolate ai fini della volumetria edificabile, dal momento che esse sanciscono soltanto l'obbligo urbanistico di costruire ad una certa distanza dalla strada, e perciò di non realizzare alcun manufatto edilizio all'interno della predetta fascia di rispetto stradale.
Quanto al calcolo delle distanze bisogna fare riferimento agli strumenti urbanistici vigenti al momento della realizzazione dell'opera.
Il ricorrente non ha invocato l'erronea applicazione dello strumento urbanistico vigente, che prescriveva una fascia di rispetto di metri sessanta, limitandosi a censurare la decisione attraverso il richiamo di atti amministrativi, segnatamente il certificato di destinazione urbanistica ed una delibera del Dirigente dell'Ufficio Tecnico del Comune del 23.10.1991, che, non solo non trascrive o allega, in violazione dell'art. 366 n. 6 c.p.c., ma che sono in conferenti rispetto alla decisione basata sulle prescrizioni del Programma di Fabbricazione del Comune di Casalnuovo.
Poiché lo strumento urbanistico aveva determinato in metri sessanta la fascia di rispetto, ai sensi del D.M. 1404/1968, non coglie nel segno il richiamo all'art. 9 L. 729/1961 che stabilisce in metri 25 la distanza minima da osservare per la costruzione e l'ampliamento di edifici in qualsiasi parte del territorio, senza distinzione tra centro abitato e zone esterne.
La sentenza gravata si rivela immune da censure, posto che, ha accertato che il Programma di Fabbricazione del Comune di Casalnuovo vigente all'epoca della concessione edilizia da parte della Se.Co. s.r.l. prevedeva che nella fascia di rispetto di sessanta metri dall'autostrada ricadesse una zona con destinazione a verde, con un indice di fabbricabilità inferiore rispetto a quella realizzata ed allegata all'istanza di concessione edilizia.
La corte territoriale, sulla base di una corretta applicazione delle norme di diritto, che il ricorrente censura attraverso le risultanze degli atti di causa, ha accertato che il corpo B dell'edificio ricade nella fascia di rispetto autostradale, causando alla proprietà Perugino un danno in termini di soleggiamento e luminosità.
Non ha conseguentemente rilievo la censura relativa alla condanna risarcitoria, genericamente dedotta nel ricorso, ed afferente alla presunta incommerciabilità del bene in ragione della sua abusività e non in relazione al godimento del bene.
Del tutto privo di fondamento è il dedotto vizio di omessa motivazione, posto che la corte territoriale si è puntualmente soffermata su tutti gli aspetti relativi alla dedotta violazione della fascia di rispetto, con motivazione diffusa e congrua (Corte di cassazione, Sez. II civile, ordinanza 10.10.2018 n. 25118).

EDILIZIA PRIVATA: Osserva il Collegio che la predisposizione di un piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali risale alla legge n. 729 del 24.07.1961 il cui art. 9, al comma 1, stabiliva che: “Lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa”.
La stessa norma al comma 3 stabiliva che: “Il divieto previsto dal presente articolo ha effetto dalla data della pubblicazione di apposito avviso, a cura del concessionario, sul Foglio degli annunzi legali delle singole Prefetture competenti per territorio, recante notizia dell'avvenuta approvazione del progetto di ciascuna strada.”
Inoltre, con d.m. n. 1404 dell’01.04.1968 è stato imposto per le nuove edificazioni al di fuori del perimetro del centro abitato, ai sensi dell’art. 4, l’obbligo del rispetto della distanza di 60 metri dal ciglio della strada per le autostrade in quanto qualificate come strade di tipo A.
Successivamente, con il regolamento del codice della strada approvato con d.p.r. 495/1992 è stato poi confermato all’art. 26 il limite di 60 metri per le distanze da osservare per le strade di tipo A fuori dai centri abitati, riferite alle “nuove costruzioni, ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali, o negli ampliamenti fronteggianti le strade”, ridotto a 30 metri all’interno dei centri abitati, oppure al di fuori dei centri abitati nel caso di zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, se lo strumento è suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già previsti strumenti attuativi.
Con riferimento all’art. 9 della legge n. 729/1961 la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di rispetto ivi prevista integrava un vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un’area contigua alla sede stradale all’occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima.
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal d.p.r. n. 495/1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell’identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta all’interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e integralmente demolito.
Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di ritenere rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento dell’area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto ex lege.
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1. Con ricorso iscritto al n. 120/2017 i sig.ri Li. Di Pa. e Li.Fi. adivano codesto TAR al fine di richiedere l’annullamento, previa sospensiva, dei pareri contrari rispettivamente espressi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Società Strada dei Parchi s.p.a. rispetto all'istanza volta al rilascio del permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia sulla copertura di un immobile di proprietà.
Esponevano che, quali proprietari di un immobile ubicato in Cepagatti, censito in catasto urbano al fg. 8 part. n. 356, realizzato nel 1968 ed adibito a civile abitazione, con istanza del 04/01/2017 prot. n. 188, avevano richiesto al Comune di Cepagatti il rilascio di un permesso di costruire per l'esecuzione di un intervento di ristrutturazione edilizia avente ad oggetto il miglioramento statico della copertura del preesistente fabbricato, realizzato in forza dei nulla osta del 04/04/1968 e del 28/09/1970, ed oggetto di quattro distinti permessi di costruire.
Esponevano che l’Amministrazione comunale, verificata l'ubicazione dell'immobile in fascia di rispetto autostradale (Autostrada A25), indiceva una conferenza di servizi che si concludeva in data 16.06.2017, con la presa d’atto dei due pareri negativi espressi dal Ministero e dalla società Strada dei Parchi, e che l'Amministrazione comunale, con nota prot. 13288 del 27/06/2017, comunicava il preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio del permesso di costruire.
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3. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto come di seguito argomentato.
Come anticipato in fatto si discute nel giudizio dell’approvazione di un progetto di ristrutturazione ed adeguamento statico della copertura di una fabbricato sito in Capagatti, all’interno della fascia di trenta metri di rispetto dell’autostrada A25, con dismissione della struttura di copertura esistente e nuova realizzazione della stessa con modifiche della sagoma.
Il parere negativo espresso con nota prot. n. 9275 del 25.05.2017 dal Ministero delle Infrastrutture risulta motivato poiché non è stata considerata esaustiva la documentazione trasmessa dal Comune con nota prot. n. 10812 del 23.05.2017 a riscontro dell’interlocutoria prot. n. 7460 del 28.04.2017 (con cui si era richiesta la documentazione progettuale di dettaglio, planimetrie e dettagli costruttivi poi consegnata dalla stessa ricorrente), e poiché non era risultato chiaro se l’edificazione fosse anteriore o posteriore alla costruzione dell’autostrada, né alcuna informativa era stata resa quanto all’ubicazione dell’intervento rispetto alla fascia di rispetto del sedime stradale.
Analogamente il diniego di nulla osta della Strada dei Parchi intervenuto con nota prot. n. 10784 dell’01.06.2017 risulta motivato poiché, benché richiesti, non erano pervenuti i nulla osta delle pregresse concessioni edilizie rilasciate nel 1980 e nel 1982.
3.1 Ciò premesso, come ricavabile dalla documentazione allegata da parte ricorrente, l’immobile oggetto di ristrutturazione è stato interessato da più interventi edilizi che nel tempo ne hanno modificato la conformazione originaria e precisamente una prima concessione edilizia per un fabbricato ad uso abitativo del 04.04.1968 con cui, rispetto ad un piano terra esistente è stata autorizzata la realizzazione di un primo piano, una successiva concessione edilizia del 28.09.1970 rilasciata per l’ampliamento del fabbricato con l’aggiunta di due vani ed una cucina al piano terra ed al primo piano, altra concessione edilizia n. 499/1980 per un ulteriore ampliamento tramite costruzione di locali accessori quali una cantina, garages ed una cucina rustica, ed un successivo ampliamento autorizzato con concessione edilizia del 22.09.1982.
Dalla relazione tecnica a cura del geom. P.T. allegata alla richiesta di permesso di costruire si ricava che il fabbricato è costituito da tre unità immobiliari ad uso abitativo ed annessi accessori e che il progetto mirava al consolidamento statico della copertura del fabbricato, versante in precarie condizioni statiche, con demolizione totale di quella esistente comprese le quinte in muratura, la ricostruzione di nuove quinte in muratura di mattoni forati o in pannelli lignei, e la installazione di una nuova struttura portante in legno lamellare di abete con tavolato chiuso e sovrastante nuovo manto di tegole in laterizio.
In particolare ivi si precisa che la modifica della copertura avrebbe comportato la rotazione di 90 gradi del colmo di copertura, che non sarebbe stata ricostruita la muratura di quinta prospiciente il tracciato autostradale ma verso di essa sarebbe stata prevista la linea di grondaia a quota inferiore a quella della citata quinta preesistente.
4. Le censure poste da parte ricorrente avverso il provvedimento impugnato non sono meritevoli di favorevole delibazione per i motivi che di seguito si vanno ad esporre.
4.1 Preliminarmente, dovendo ricostruire il quadro normativo di riferimento sulla base della normativa vigente ratione temporis, osserva il Collegio che la predisposizione di un piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali risale alla legge n. 729 del 24.07.1961 il cui articolo 9 al comma 1 stabiliva che: “Lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa”.
La stessa norma al comma 3 stabiliva che: “Il divieto previsto dal presente articolo ha effetto dalla data della pubblicazione di apposito avviso, a cura del concessionario, sul Foglio degli annunzi legali delle singole Prefetture competenti per territorio, recante notizia dell'avvenuta approvazione del progetto di ciascuna strada.”
Inoltre, con d.m. n. 1404 dell’01.04.1968, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 13.04.1968, è stato imposto per le nuove edificazioni al di fuori del perimetro del centro abitato, ai sensi dell’art. 4, l’obbligo del rispetto della distanza di 60 metri dal ciglio della strada per le autostrade in quanto qualificate come strade di tipo A.
Successivamente, con il regolamento del codice della strada approvato con d.p.r. 495/1992 è stato poi confermato all’art. 26 il limite di 60 metri per le distanze da osservare per le strade di tipo A fuori dai centri abitati, riferite alle “nuove costruzioni, ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali, o negli ampliamenti fronteggianti le strade”, ridotto a 30 metri all’interno dei centri abitati, oppure al di fuori dei centri abitati nel caso di zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, se lo strumento è suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già previsti strumenti attuativi.
Con riferimento all’art. 9 della legge n. 729/1961 la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di rispetto ivi prevista integrava un vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un’area contigua alla sede stradale all’occorrenza utilizzabile per un ampliamento della medesima (cfr. Tar Liguria, sez. I n. 276/2015; Tar Palermo sez. II n. 34/2015).
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal d.p.r. n. 495/1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell’identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta all’interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e integralmente demolito.
Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di ritenere rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento dell’area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto ex lege.
4.2 Ciò posto, alla luce di quanto sopra risulta innanzitutto destituito di fondamento l’assunto di parte ricorrente attestato sull’irrilevanza del vincolo in quanto ancorato alla mancata realizzazione dell’asse viario autostradale all’epoca del rilascio della concessione edilizia del 04.04.1968 con cui è stata assentita la sopraelevazione del fabbricato esistente.
Parte ricorrente al riguardo non ha dimostrato che all’epoca del rilascio delle concessioni edilizie del 04.04.1968 per la sopraelevazione del fabbricato, e del 28.09.1970 per il suo ampliamento, non fosse ancora stato pubblicato alcun avviso relativo all’asse viario in questione sul Foglio degli Annunzi legali della Prefettura.
Di qui l’inconferenza dei motivi con cui si oppone l’irrilevanza del vincolo rispetto agli interventi edilizi di ampliamento del medesimo fabbricato realizzati con le concessioni edilizie del 28.11.1980 e del 17.11.1982 in quanto realizzati a distanza di “30 metri” e nella parte dell’immobile non prospiciente il fronte autostradale, tenuto conto che con il d.m. n. 1404/1968 il vincolo di inedificabilità imposto, anche per gli ampliamenti, rispetto alle autostrade di tipo A era fissato al di fuori dei centri abitati in 60 metri, o al più, in presenza di strumentazione attuativa in 30 metri.
4.3 Sul punto occorre evidenziare che solo con il regolamento di attuazione del nuovo Codice della strada approvato con d.p.r. n. 495/1992, e quindi in data successiva al rilascio delle concessioni edilizie menzionate, è stato precisato a livello normativo che il limite di distanza fissato andava osservato rispetto agli ampliamenti “fronteggianti le strade”.
In ogni caso, pur a voler accedere in via interpretativa alla ricostruzione invocata, manca in atti la prova che gli ampliamenti realizzati con le concessioni edilizie del 28.11.1980 e del 17.11.1982 riguardassero effettivamente la parte non fronteggiante l’asse autostradale.
Né comunque può accedersi all’interpretazione propugnata volta a scindere le opere autorizzate con i titoli successivamente rilasciati come se si trattasse di manufatti indipendenti in presenza di un immobile unitario costituito da un piano terra ed un primo piano che nel tempo è stato via via ampliato (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 23.07.2018 n. 252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Tanto precisato in ordine alla definizione di “ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma, non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica.
In sostanza:
   - nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso –proprio perché “coincidente” per tali profili con il manufatto preesistente– potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa). Ed infatti, “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse”;
   - invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso –quanto alla sua collocazione fisica– rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare –indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione– le norme sulle distanze. Ed in questo senso depone altresì la stessa pronuncia n. 237/2017 di questo Tar secondo cui, se non è in discussione la possibilità di modificare la sagoma preesistente nel caso di ristrutturazione, quando l’intervento fuoriesce dall’originario contorno (orizzontale o verticale) ne deve essere verificata la conformità ai parametri fissati dalla normativa urbanistica.
Al fine della verifica del rispetto delle distanze, secondo i principi innanzi enunciati, mentre non rileva che non vi sia incremento di volumetria, ciò che rileva è che si rispetti l’allineamento della preesistente copertura, e che si sia inteso demolire e ricostruire quella preesistente modificandone la sagoma in altezza, ed incrementando l’ingombro volumetrico tramite innalzamento delle pareti perimetrali.
Non può quindi sostenersi che nel caso di edificio situato nella fascia di rispetto autostradale, devono intendersi precluse solo quelle modifiche che comportano un avvicinamento del fronte al tracciato viario, mentre sono consentiti gli interventi rispettosi del "filo" edilizio preesistente.
La tesi del ricorrente non può essere accolta in quanto urta contro l'inequivoco disposto dell'art. 28 del d.p.r. n. 495 del 1992 il quale vieta l'ampliamento di edifici preesistenti, che siano ubicati nella fascia di rispetto dell'autostrada.
Trattandosi di norma assolutamente cogente, in quanto finalizzata alla tutela del bene primario della sicurezza del traffico, la ristrutturazione progettata dall'appellante -comportando pacificamente una modificazione della sagoma di un edificio che già è sito all'interno della fascia- non poteva quindi essere in alcun modo autorizzata. Di qui l’irrilevanza del motivo con cui si contesta l’assenza di una specifica valutazione del pregiudizio alla circolazione stradale connesso all’ampliamento contestato, stante la natura assoluta del vincolo come sopra enunciata.
Alla luce di quanto esposto, prescindendosi dalla qualificazione giuridica dell’opera, ed anche a voler parlare di ristrutturazione edilizia, va ribadito che le opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al rispetto delle distanze legali.
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1. Con ricorso iscritto al n. 120/2017 i sig.ri Li. Di Pa. e Li.Fi. adivano codesto TAR al fine di richiedere l’annullamento, previa sospensiva, dei pareri contrari rispettivamente espressi dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Società Strada dei Parchi s.p.a. rispetto all'istanza volta al rilascio del permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia sulla copertura di un immobile di proprietà.
Esponevano che, quali proprietari di un immobile ubicato in Cepagatti, censito in catasto urbano al fg. 8 part. n. 356, realizzato nel 1968 ed adibito a civile abitazione, con istanza del 04/01/2017 prot. n. 188, avevano richiesto al Comune di Cepagatti il rilascio di un permesso di costruire per l'esecuzione di un intervento di ristrutturazione edilizia avente ad oggetto il miglioramento statico della copertura del preesistente fabbricato, realizzato in forza dei nulla osta del 04/04/1968 e del 28/09/1970, ed oggetto di quattro distinti permessi di costruire.
Esponevano che l’Amministrazione comunale, verificata l'ubicazione dell'immobile in fascia di rispetto autostradale (Autostrada A25), indiceva una conferenza di servizi che si concludeva in data 16.06.2017, con la presa d’atto dei due pareri negativi espressi dal Ministero e dalla società Strada dei Parchi, e che l'Amministrazione comunale, con nota prot. 13288 del 27/06/2017, comunicava il preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio del permesso di costruire.
...
4.4 Quanto alla dedotta inapplicabilità del regime delle distanze rispetto al progettato intervento di ristrutturazione edilizia, occorre precisare in quali casi di ristrutturazione edilizia è richiesto comunque il rispetto della normativa sulle distanze tra le costruzioni.
Con specifico riferimento alla successione di norme del tempo (per la parte che rileva nella presente sede), occorre ricordare che l’art. 3, co. 1, lett. d), nel suo testo originario, prevedeva che fossero interventi di “ristrutturazione edilizia”, quelli:
   - “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Nel testo originario, erano presenti, due tipologie di ristrutturazione edilizia, identiche quanto alla finale realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ma distinte dalla presenza (o meno) della demolizione (anche parziale) del fabbricato preesistente. Quest’ultima, ove effettuata, per poter rientrare nel campo della ristrutturazione edilizia (e non già della nuova costruzione), doveva concludersi con la “fedele ricostruzione di un fabbricato identico”, al punto da avere identità di sagoma, volume, area di sedime e, in generale, caratteristiche dei materiali.
Il successivo DPR 27.12.2002 n. 301 ha apportato alla definizione (di cui all’art. 3) alcune modifiche, con il risultato di affermare che, nel caso di demolizione e ricostruzione, per potersi definire l’intervento quale “ristrutturazione edilizia”, lo stesso doveva portare ad un manufatto “con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Come è dato osservare, con il nuovo testo il legislatore ha abbandonato sia lo specifico riferimento alla identità di area di sedime e di caratteristiche dei materiali, sia il più generale concetto di “fedele ricostruzione” (non potendo quest’ultimo, a tutta evidenza, essere più ribadito una volta che non sono più richieste le predette caratteristiche).
Infine, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla disposizione in esame, in particolare con l'art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98.
Attualmente, quindi, sono "interventi di ristrutturazione edilizia" quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell'edificio preesistente.
Come è dato osservare, con particolare riferimento alla ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, l’unico limite ora previsto è quello della identità di volumetria, rispetto al manufatto demolito, salve le “innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”, e ad eccezione degli immobili sottoposti a vincolo ex d.lgs. n. 42/2004, per i quali è altresì prescritto il rispetto della “medesima sagoma di quello preesistente”.
Tanto precisato in ordine alla definizione di “ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma, non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla pianificazione urbanistica.
In sostanza:
   - nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso –proprio perché “coincidente” per tali profili con il manufatto preesistente– potrà sottrarsi al rispetto delle norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo di un precedente manufatto che già non rispettava dette distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro previsione normativa). Ed infatti (Cons. Stato, sez. IV, 14.09.2017 n. 4337), “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato, sez. IV, 04.08.2016 n. 3522) “costruiti per la prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse”.
   - invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime, come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio perché esso –quanto alla sua collocazione fisica– rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare –indipendentemente dalla sua qualificazione come ristrutturazione edilizia o nuova costruzione– le norme sulle distanze. Ed in questo senso depone altresì la stessa pronuncia n. 237/2017, richiamata in atti, di questo Tar secondo cui, se non è in discussione la possibilità di modificare la sagoma preesistente nel caso di ristrutturazione, quando l’intervento fuoriesce dall’originario contorno (orizzontale o verticale) ne deve essere verificata la conformità ai parametri fissati dalla normativa urbanistica.
Al fine della verifica del rispetto delle distanze, secondo i principi innanzi enunciati, mentre non rileva che non vi sia incremento di volumetria, ciò che rileva è che si rispetti l’allineamento della preesistente copertura, e che si sia inteso demolire e ricostruire quella preesistente modificandone la sagoma in altezza, ed incrementando l’ingombro volumetrico tramite innalzamento delle pareti perimetrali.
Non può quindi sostenersi che nel caso di edificio situato nella fascia di rispetto autostradale, devono intendersi precluse solo quelle modifiche che comportano un avvicinamento del fronte al tracciato viario, mentre sono consentiti gli interventi rispettosi del "filo" edilizio preesistente.
La tesi del ricorrente non può essere accolta in quanto urta contro l'inequivoco disposto dell'art. 28 del d.p.r. n. 495 del 1992 il quale vieta l'ampliamento di edifici preesistenti, che siano ubicati nella fascia di rispetto dell'autostrada.
Trattandosi di norma assolutamente cogente, in quanto finalizzata alla tutela del bene primario della sicurezza del traffico, la ristrutturazione progettata dall'appellante -comportando pacificamente una modificazione della sagoma di un edificio che già è sito all'interno della fascia- non poteva quindi essere in alcun modo autorizzata. Di qui l’irrilevanza del motivo con cui si contesta l’assenza di una specifica valutazione del pregiudizio alla circolazione stradale connesso all’ampliamento contestato, stante la natura assoluta del vincolo come sopra enunciata.
Alla luce di quanto esposto, prescindendosi dalla qualificazione giuridica dell’opera, ed anche a voler parlare di ristrutturazione edilizia, va ribadito che le opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al rispetto delle distanze legali.
5. Va da ultimo respinta la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento con le edificazioni limitrofe poste in prossimità del ciglio autostradale.
Per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, la disparità di trattamento è sinonimo di eccesso di potere solo quando vi sia un’assoluta identità di situazioni oggettive, che valga a testimoniare dell'irrazionalità delle diverse conseguenze tratte dall'Amministrazione, cosa che nella specie non è emersa (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000, n. 726 e Tar Lazio, Roma, sez. I, 17.01.2012, n. 463) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 23.07.2018 n. 252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'ANAS, quale ente gestore della rete viaria statale, è preposta alla tutela del vincolo di rispetto stradale, essendo chiamata non solo a prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di nuocere alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma anche a preservare la fascia di terreno utilizzabile, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali e per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
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Costituisce jus receptum che il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto di una strada statale comporta l’inedificabilità assoluta del suolo e, dunque, la non sanabilità dell’opera, perché il vincolo è incompatibile, per loro natura, con ogni manufatto.
Infatti, il c.d. vincolo stradale implicante un divieto assoluto di edificazione si traduce in una limitazione legale al diritto di proprietà su categorie di beni individuate in via generale per la loro posizione relative ad altri beni destinati all’uso pubblico..
Per effetto della natura assoluta di detto vincolo, poi, è stato ritenuto che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in sua violazione non richieda nemmeno il previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale.
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Si ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 32 e 33, l. n. 47/1985, in combinato disposto con il d.m. 01.04.1968, per violazione degli artt. 3, 42, 97 Cost., oltre che dagli artt. 117 Cost. e 5 TUE, nella parte in cui, per i fabbricati realizzati successivamente all’entrata in vigore dello stesso decreto ministeriale, prevedrebbe un indistinto diniego di edificabilità per tutti gli immobili che ricadono nella fascia di rispetto stradale, a prescindere dalla concreta conformazione dei luoghi e della strada e da un effettivo pericolo per la viabilità, dando vita a una limitazione del diritto di proprietà “del tutto scissa (e/o comunque avulsa) da qualunque concreto/qualificato interesse pubblico”.

Infatti, la limitazione al diritto di proprietà de qua, pur particolarmente penetrante, non è, come pretende parte ricorrente, del tutto scissa o avulsa da qualunque concreto o qualificato interesse pubblico, rispondendo invece, come chiarito da consolidata giurisprudenza, non solo all’esigenza di garantire la sicurezza del traffico e l’incolumità delle persone ma anche e soprattutto alla più ampia necessità di assicurare all’ente proprietario o gestore della strada una fascia di terreno da utilizzare, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
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4. In via preliminare, si rileva l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla difesa di ANAS s.p.a.
Infatti, tale società pubblica, quale ente gestore della rete viaria statale, nella quale rientra la s.s. 7 Appia, è preposta alla tutela del vincolo di rispetto stradale, essendo chiamata non solo a prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di nuocere alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma anche a preservare la fascia di terreno utilizzabile, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali e per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 21.10.2016 n. 4826).
Conseguentemente, l’impugnata nota del 30.09.2013 va qualificata come l’atto conclusivo del sub-procedimento di verifica della possibilità di sanare il manufatto abusivo di proprietà della ricorrente in funzione degli interessi pubblici sottesi al c.d. vincolo stradale ed attribuiti alle cure di ANAS s.p.a.
Quindi, il parere negativo de quo, espresso in applicazione dell’art. 33, l. n. 47 cit., che esclude qualsivoglia edificazione dopo l’imposizione del vincolo, incluso l’ampliamento di edifici esistenti, senza alcuna discrezionalità da parte dell’organo preposto alla sua tutela, è atto immediatamente lesivo della posizione giuridica della sig. Ca., perché idoneo ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva del procedimento di sanatoria edilizia (ex multis: TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 03.04.2017 n. 1776; TAR Lazio, Latina, sez. I, 23.09.2015 n. 634; TAR Lazio, Roma, sez. II, 27.11.2014 n. 11887; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 18.04.2013 n. 2053).
Nel medesimo senso depone anche la considerazione che ANAS s.p.a. è l’unico soggetto competente ad esprimersi sulla sicurezza o meno della viabilità su una strada statale, con l’effetto che, come ben osserva la ricorrente, la determinazione da esso assunta “non può essere sostituita/surrogata da alcun altro ente (men che meno dal Comune, avendo quest’ultimo competenza solo sulla viabilità comunale”.
5. Nel merito, il ricorso è infondato.
Infatti, con riferimento alla questione, dirimente, dell’applicabilità al caso di specie dell’art. 32, l. n. 47 cit., ovvero del successivo art. 33, si osserva che le opere abusive di cui al presente giudizio sono state pacificamente eseguite nel 1980, cioè dopo l’apposizione del vincolo stradale, ai sensi dell’art. 41-septies, l. 17.08.1942 n. 1150, aggiunto dall’art. 19, l. 06.08.1967 n. 765, e delle norme di attuazione recate dal d.m. 01.04.1968.
Ne consegue che nel caso di specie non viene in questione l’art. 32, comma 2, lett. c), l. n. 47 cit., che riguarda l’inedificabilità relativa di opere insistenti su aree “vincolate dopo la loro esecuzione”, bensì l’art. 33, commi 1, lett. d), e 3, cit., concernente i vincoli di inedificabilità assoluta “imposti prima della esecuzione delle opere stesse” (TAR Campania, Napoli, sez. II, 30.01.2013 n. 660; TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I, 24.02.2012 n. 71).
Sul punto, è ormai jus receptum che il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto di una strada statale comporta l’inedificabilità assoluta del suolo e, dunque, la non sanabilità dell’opera, perché il vincolo è incompatibile, per loro natura, con ogni manufatto (ex multis: Cons. Stato, sez. I, 27.05.2016 n. 282; TAR Umbria, sez. I, 08.03.2018 n. 154).
Infatti, il c.d. vincolo stradale implicante un divieto assoluto di edificazione si traduce in una limitazione legale al diritto di proprietà su categorie di beni individuate in via generale per la loro posizione relative ad altri beni destinati all’uso pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 10.01.2018 n. 90; sez. IV, 13.06.2017 n. 2878; sez. IV, 20.03.2017 n. 1225; sez. IV, 17.05.2012 n. 2842).
Per effetto della natura assoluta di detto vincolo, poi, è stato ritenuto che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in sua violazione non richieda nemmeno il previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale (Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2010, n. 2644; TAR Campania, Napoli, sez. II, 26.10.2012 n. 4283; TAR Campania, Salerno, sez. I, 17.09.2012 n. 1645; TAR Lazio, Latina, sez. I, 17.11.2011 n. 923).
In definitiva, stante tutto quanto sopra considerato, il parere espresso da ANAS s.p.a. nell’impugnata nota del 30.09.2013 si sottrae ai vizi di legittimità denunciati dal ricorrente.
6. Infine, ai sensi dell’art. 1, comma 1, l. cost. 09.02.1948 n. 1, si ritiene manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata da parte ricorrente, degli art. 32 e 33, l. n. 47 cit., in combinato disposto con il d.m. 01.04.1968, per violazione degli artt. 3, 42, 97 Cost., oltre che dagli artt. 117 Cost. e 5 TUE, nella parte in cui, per i fabbricati realizzati successivamente all’entrata in vigore dello stesso decreto ministeriale, prevedrebbe un indistinto diniego di edificabilità per tutti gli immobili che ricadono nella fascia di rispetto stradale, a prescindere dalla concreta conformazione dei luoghi e della strada e da un effettivo pericolo per la viabilità, dando vita a una limitazione del diritto di proprietà “del tutto scissa (e/o comunque avulsa) da qualunque concreto/qualificato interesse pubblico”.
Infatti, la limitazione al diritto di proprietà de qua, pur particolarmente penetrante, non è, come pretende parte ricorrente, del tutto scissa o avulsa da qualunque concreto o qualificato interesse pubblico, rispondendo invece, come chiarito da consolidata giurisprudenza, non solo all’esigenza di garantire la sicurezza del traffico e l’incolumità delle persone (Cass. civ., sez. I, 13.04.2012 n. 5875; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15.02.2013 n. 470) ma anche e soprattutto alla più ampia necessità di assicurare all’ente proprietario o gestore della strada una fascia di terreno da utilizzare, all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni (cfr.: TAR Campania, Napoli, sez. VII, 21.10.2016 n. 4826; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 26.07.2016 n. 1887; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 10.07.2015 n. 1885; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 08.01.2015 n. 34) (TAR Lazio-Latina, sentenza 11.07.2018 n. 397 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Distanze, chiarimenti sulla deroga per le costruzioni erette a confine con piazze e vie pubbliche.
Le norme relative alle distanze non si applicano alle costruzioni erette a confine con le piazze e le vie pubbliche: in tal caso si devono osservare le leggi e i regolamenti per esse specificamente dettati.
Ai sensi dell’art. 879, comma 2, del Codice civile, le norme relative alle distanze non si applicano alle costruzioni erette a confine con le piazze e le vie pubbliche, dovendosi in tal caso osservare le leggi e i regolamenti per esse specificamente dettati.
Lo ha precisato la IV Sez. del Consiglio di Stato con la sentenza 24.05.2018 n. 3098, nella quale Palazzo Spada ricorda che “secondo la Cassazione civile (cfr., ex plurimis, Cass. civ. Sez. II, 12.02.2016, n. 2863), la norma, esplicitamente riferita al caso di due fondi privati separati da via pubblica, è a fortiori applicabile quando la costruzione (nella specie un’edicola realizzata sul marciapiede) è edificata su suolo pubblico”.
Nel medesimo senso, il Consiglio di Stato “ha fatto osservare che la deroga prevista dall’art. 879, comma 2, c.c., discende dalla considerazione che in presenza di una strada pubblica non emerge tanto l'esigenza di tutelare un diritto soggettivo privato, quanto quella di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico, che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e nei regolamenti urbanistico edilizi (Sez. IV, 14.12.2016, n. 5264)”.
In definitiva, conclude Palazzo Spada, “poiché l’edicola è stata realizzata su suolo pubblico ed è accorpata ad un’opera funzionale all’esercizio di un servizio pubblico, ricorre obiettivamente una delle ipotesi per cui, sia in base alle disposizioni codicistiche che a quelle regolamentari vigenti nel Comune di Barga, era possibile derogare alle disposizioni relative alle distanze dai confini da osservarsi nelle nuove costruzioni” (commento tratto da www.casaeclima.com).
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3. L’appello è fondato.
3.1. Va anzitutto premesso che,
ai sensi dell’art. 879, comma 2, c.c., le norme relative alle distanze non si applicano alle costruzioni erette a confine con le piazze e le vie pubbliche, dovendosi in tal caso osservare le leggi e i regolamenti per esse specificamente dettati.
Secondo la Cassazione civile (cfr., ex plurimis, Cass. civ. Sez. II, 12.02.2016, n. 2863),
la norma, esplicitamente riferita al caso di due fondi privati separati da via pubblica, è a fortiori applicabile quando la costruzione (nella specie un’edicola realizzata sul marciapiede) è edificata su suolo pubblico.
Nello stesso senso, questo Consiglio ha fatto osservare che
la deroga prevista dall’art. 879, comma 2, c.c., discende dalla considerazione che in presenza di una strada pubblica non emerge tanto l'esigenza di tutelare un diritto soggettivo privato, quanto quella di perseguire il preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo urbanistico, che trova la sua disciplina esclusivamente nelle leggi e nei regolamenti urbanistico edilizi (Sez. IV, 14.12.2016, n. 5264).
3.2. Nel caso di specie, risultano poi dirimenti le delibere di Giunta n. 130/2002 e n. 182/2002, nonché il tenore (e la finalità) dell’art. 9.10 del Regolamento edilizio all’epoca vigente nel Comune di Barga.,
Dalla delibera di Giunta n. 130 del 28.05.2002 risulta che “il totale rifacimento della piazza sui cui insiste l’edicola ha consigliato l’Amministrazione a richiedere al concessionario la sostituzione del manufatto per adeguarlo, sotto l’aspetto estetico, al nuovo circostante arredo urbano” e che “in tale contesto la stessa amministrazione comunale ha richiesto al concessionario di gestire gli adiacenti gabinetti pubblici da anni inutilizzati proprio per carenza di manutenzione, pulizia e gestione”.
Inoltre “il concessionario ha aderito alla richiesta dell’Amministrazione comunale, indicando nuove condizioni in relazione all’alto costo dell’intervento facendosi carico anche della ristrutturazione dei servizi igienici pubblici che andranno a formare una unica struttura con l’edicola”.
La Giunta ha quindi ritenuto di “dover attuare nelle forme sopraindicate l’opera pubblica ricomprendendovi anche l’edicola per la connessione con i servizi igienici di cui sopra”.
Contestualmente, risulta essere stata rilasciato un nuovo atto di concessione di suolo pubblico, “redatto in conseguenza della nuova superficie concessa e necessaria alla posa in opera di un manufatto che esteticamente si adegui alla nuova piazza”.
La delibera si conclude con l’autorizzazione dell’originaria concessionaria a presentare il progetto relativo al nuovo manufatto e dà atto che l’intervento costituisce “per una parte opera pubblica e per la parte residuale opera di pubblica utilità”.
Il progetto risulta essere stato approvato, sempre dalla Giunta, con la successiva delibera n. 182 del 26.07.2002.
Tale sequenza procedimentale rende evidente:
   - che il rifacimento dell’edicola è stato sollecitato dal Comune nel quadro della risistemazione della piazza IV Novembre;
   - che è stato deliberato anche il rifacimento dei servizi igienici pubblici, accorpandoli con l’edicola;
   - che il titolare dell’edicola (nonché concessionario del suolo pubblico) si è contestualmente impegnato a garantire la gestione dei servizi igienici pubblici.
E’ quindi vero che l’edicola, come fatto osservare dal primo giudice, non è un manufatto precario e che ospita un attività commerciale.
Egli ha tuttavia non adeguatamente valutato che, insistendo il manufatto sul suolo pubblico ed essendo stato fisicamente accorpato ad un’opera incontestabilmente pubblica, ricorrevano tutti i presupposti per applicare l’art. 9.10 del Regolamento edilizio, secondo cui “il Sindaco, previa deliberazione del Consiglio comunale, ha facoltà di derogare dalle disposizioni del presente Regolamento e da quelle dei vigenti strumenti urbanistici limitatamente ai casi di edifici ed impianti pubblico o di interesse pubblico”, con la precisazione che (ultimo capoverso, punto 2): “per edifici ed impianti di interesse pubblico debbono intendersi quelli che, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li realizzano, enti pubblici o privati, siano destinati a finalità di carattere generale”.
Non è poi un caso che, nella fattispecie, gli elaborati progettuali siano stati approvati dalla stessa Giunta che aveva programmato la ristrutturazione dell’edicola e dei servizi igienici pubblici quali opere funzionali alla nuova sistemazione della piazza laddove, ove si fosse trattato di rilasciare un normale permesso di costruire, sarebbe stato sufficiente l’intervento del dirigente competente.
In definitiva,
poiché l’edicola è stata realizzata su suolo pubblico ed è accorpata ad un’opera funzionale all’esercizio di un servizio pubblico, ricorre obiettivamente una delle ipotesi per cui, sia in base alle disposizioni codicistiche che a quelle regolamentari vigenti nel Comune di Barga, era possibile derogare alle disposizioni relative alle distanze dai confini da osservarsi nelle nuove costruzioni.
4. Per quanto appena argomentato, l’appello deve essere accolto, con il conseguente rigetto, in riforma della sentenza gravata, del ricorso di primo grado.

EDILIZIA PRIVATAA prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo” della piscina costruita (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome” le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione) è pacifico che il vincolo delle fasce di rispetto autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione stradale”.
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Con il ricorso straordinario in esame si chiede l’annullamento della nota della Società autostrade per l’Italia con la quale è stato espresso parere negativo sulla istanza di deroga alla distanza minima dal sito autostradale per la realizzazione di una piscina accanto alla villetta di proprietà dei ricorrenti ricadente nella fascia di rispetto autostradale, nonché del silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di accertamento di conformità presentata al comune di Isola del Cantone ai sensi dell’articolo 43 della legge regionale della Liguria n. 16 del 2008.
In data 29.06.2016, l’amministrazione comunale, avendo ricevuto una segnalazione dalla Società autostrade per l’Italia e dopo aver effettuato un sopralluogo, comunicava ai ricorrenti l’avvio del procedimento di adozione dei provvedimenti sanzionatori ai sensi della legge regionale n. 16 del 2008 per la presenza di “opere eseguite in fascia di rispetto autostradale”.
In data 23.09.2016 i ricorrenti presentavano al comune di Isola del Cantone un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 43 della legge regionale n. 16 del 2008 e, alla Società autostrade per l’Italia, in data 30.09.2016, una richiesta di deroga alla distanza minima della costruzione dal “nastro autostradale”.
La nota della Società autostrade per l’Italia, impugnata con il ricorso in esame, motiva il parere negativo affermando che “secondo le direttive del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è da ritenersi nuova edificazione e, pertanto, non ammissibile all’interno della fascia di rispetto autostradale”.
...
Premesso che non è contestata dai ricorrenti la collocazione dell’opera all’interno della fascia di rispetto, con il primo motivo, articolato in tre punti, viene rappresentata, in primo luogo, la “violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e dell’articolo 28 del d.p.r. n. 495 del 1992; la violazione e falsa applicazione dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 e degli articoli 15 e 17 della legge regionale n. 16 del 2008 in relazione all’articolo 11 delle NTA del PUC del comune di Isola del Cantone del 28.10.2016; l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto e travisamento dei presupposti, illogicità della motivazione”.
La doglianza riguarda l’attribuzione all’opera in questione della qualificazione di “nuova edificazione”: ad avviso dei ricorrenti la realizzazione di una piscina con superficie pari a circa 19 mq. è invece da ritenersi opera pertinenziale ai sensi dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 e della legge regionale n. 16 del 2008, secondo cui le pertinenze possono essere assimilabili a interventi di nuova costruzione soltanto se ciò è previsto dagli strumenti urbanistici.
Nel caso di specie tale condizione non sarebbe realizzata in base a quanto previsto dall’articolo 11 delle NTA del comune di Isola del Cantone. Conseguentemente, non sarebbe applicabile il divieto di cui all’articolo 18 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e all’articolo 28 del d.p.r. n. 495 del 1992.
In secondo luogo, viene evidenziata la modesta entità dell’intervento che, anche nell’ipotesi denegata di “nuova costruzione” avrebbe dovuto indurre alla formulazione di un parere positivo da parte della Società autostrade per l’Italia, tenuto conto peraltro della sua collocazione al limite della zona di rispetto.
In terzo luogo, viene lamentata la carenza della motivazione, che non indica le “ragioni connesse alle finalità del vincolo autostradale”.
Con il secondo motivo si deduce la “invalidità derivata e propria del silenzio-rifiuto ai sensi dell’articolo 49, comma 4, della legge regionale n. 16 del 2008 formatosi sull’istanza di accertamento di conformità dei ricorrenti”. In sostanza, si estendono al silenzio-rifiuto le medesime doglianze evidenziate con il primo motivo.
I motivi proposti non sono accoglibili.
A prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo” dell’opera (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome” le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione, come appare nel caso di specie – Cons. Stato, sez. IV, sent. 31.08.2016, n. 3739) è pacifico, infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione stradale” (Cons. Stato, sezione IV, sent. 08.06.2011, n. 3498; sezione VI, sent. 24.11.2015, n. 5326).
Né vale ad affermare il contrario il riferimento, contenuto nel ricorso straordinario, alla sentenza di questo Consiglio (sezione IV, sent. 27.01.2015, n. 347) nella quale dopo aver confermato “in linea di principio” la inedificabilità assoluta nelle fasce di rispetto autostradale si affronta una situazione definita “eccezionale” in ragione della collocazione dell’opera su una collina a un dislivello di almeno 70 m dal sito autostradale e consistente in un ampliamento sul “retro” della costruzione preesistente e quindi non verso la sede autostradale. Circostanze che non ricorrono nel caso in esame.
Il ricorso è, pertanto, infondato (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 26.03.2018 n. 792 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n. 729 (e dal susseguente d.m. 01.04.1968 n. 1404) non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
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3.2. Tanto premesso deve essere esaminata la doglianza contenuta nell’odierno gravame principale nella misura in cui si invoca la necessità di un prudente apprezzamento del vincolo in questione e se ne sostiene la non applicabilità al caso in esame anche in ragione della peculiarità della fattispecie.
La giurisprudenza di questo Consiglio, come quella della Corte di Cassazione, ha sostenuto in modo costante il carattere inderogabile del vincolo.
Il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n. 729 (e dal susseguente d.m. 01.04.1968 n. 1404) non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 2062/2013; Id., Sez. I, 282/2016; Id., Sez. IV 5014/2015; Cass. civ., Sez. I, 25401/2016; Id., 25668/2015) (
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.02.2018 n. 1250 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (che, nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq).
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Le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M. 1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le luci e trovano applicazione anche quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe.
Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza, la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare alcun effetto distintivo.
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La distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via, deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale.

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La ditta ricorrente impugna, per violazione di legge ed eccesso di potere, il diniego di permesso di costruire, opposto dal Comune di Tortora, in relazione alla realizzazione di un immobile in contrada Riviera.
I motivi di diniego riguardano:
   - l’impossibilità di accedere alla cessione della cubatura mancante, in applicazione dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
   - il mancato rispetto della distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici;
   - il mancato rispetto della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale.
In proposito, sostiene la società ricorrente: che non sono consentiti, da parte dell’autorità comunale, limiti ad un istituto civilistico, qual è la cessione di cubatura; che la distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici non opera per le luci e quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata; che, nel computo della distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale, non si deve tenere conto del marciapiede.
Resiste il Comune di Tortora.
Il ricorso è infondato e va respinto.
I rilievi della P.A. sono infatti da ritenere tutti legittimi, posto che:
   a) lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (cfr. TAR Campania, Salerno, Sez. I, 27.10.2015 n. 2260) che, nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
   b) le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M. 1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le luci (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009 n. 4015; TAR Piemonte, Sez. I, 02.12.2010 n. 4374) e trovano applicazione anche quando solo una delle pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe (cfr. TAR Veneto, Sez. II, 16.03.2010 n. 823). Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108), la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare alcun effetto distintivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 05.12.2005 n. 6909 e TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, 08.07.2010 n. 2461);
   c) la distanza degli edifici dal limite della strada, che va misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della via (cfr. Cass. civ., Sez. II, 03.08.1984 n. 4624), deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 17.01.2018 n. 138 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2017

EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: realizzazione di una scala esterna ad un fabbricato – affaccio su strada comunale – incidenza sulla fascia di rispetto stradale – deroghe di cui alla L.R. n. 24/2009 - parere (Legali Associati per Celva, nota 28.03.2017 - tratto da www.celva.it).
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Problema riscontrato: La scrivente amministrazione intende chiedere chiarimenti circa la possibilità di realizzare una scala esterna ad un fabbricato per l’accesso al piano primo (oggi sottotetto non abitabile, ma nel quale il proprietario intende realizzare una nuova unità abitativa con la L.R. 24/2009 e smi).
Per la precisione la scala esterna sarebbe su una porzione di proprietà privata adiacente alla strada comunale, ma di fatto inglobata nella strada stessa da tempo. Tale porzione, infatti, è completamente asfaltata e costituisce un tutt’uno con la strada comunale a meno di due gradini in pietra che servono per accedere all’abitazione al piano terra. La scala in progetto partirebbe da tali gradini e salirebbe al piano primo lungo il fianco del fabbricato. Una parte della scala, quindi, sarebbe all’interno dell’ingombro dei 2 gradini preesistenti, il resto sarebbe sulla succitata porzione di terreno di proprietà privata che di fatto costituisce un tutt’uno con la strada comunale.
Su tale porzione di terreno, non risulta che siano mai stati fatti atti di qualunque tipo che ne indichino l’uso pubblico, è solo negli anni stata asfaltata ed in parte usata come se fosse parte della strada comunale.
Il fabbricato ricade in zona urbanistica “A” di P.R.G.C.
La nuova scala in progetto, per la presenza dei due gradini preesistenti a terra, non andrebbe a restringere la sede della strada comunale, ma, essendo posta ad un incrocio, ridurrebbe leggermente la visibilità e renderebbe più ardua la svolta.
Riferimenti normativi: Codice civile - DM 1444/1968 - Codice della Strada - LR 24/2009 - LR 11/1998
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: L’utenza ha prodotto un proprio parere ma che lascia forti dubbi quindi non esprimiamo possibile soluzione
Quesiti: Sulla base delle sopra citate premesse, la scrivente amministrazione vorrebbe sapere se:
   • la scala è un manufatto che può essere o meno realizzato all’interno della fascia dei 5m di rispetto della strada comunale;
   • se, all’interno di un procedimento di ampliamento volumetrico ex L.R. 24/2009 dell’unità immobiliare al piano primo, dato che tale legge prevede la possibilità di costruire all’interno della fascia di rispetto della strada comunale mantenendo gli allineamenti preesistenti, la scala potrebbe essere considerata come parte dell’ampliamento (anche se non costituisce il volume di ampliamento) e se, in caso affermativo, i due gradini preesistenti possano essere considerati come allineamento preesistente e quindi la scala in progetto all’interno degli allineamenti preesistenti e quindi realizzabile.

EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: costruzione di un fabbricato lungo una strada privata – qualificazione della strada – assoggettamento ad uso pubblico – non sussiste – fasce di rispetto stradale – inapplicabilità codice della strada – applicazione norme PRGC – parere (Legali Associati per Celva, nota 23.03.2017 - tratto da www.celva.it).
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Problema riscontrato: Distanze da rispettare nel caso di costruzioni in lotti adiacenti a strade private.
Riferimenti normativi: art. 25 N.T.A. del PRG
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: Stante l’assenza di classificazione, consentire le costruzioni senza imporre fasce di rispetto nei confronti della "strada" di accesso ai fondi privati.
Quesiti: 1) come classificare una strada privata in assenza di una sua definizione nel Regolamento edilizio; 2) necessità o meno di disciplinare le fasce di rispetto delle costruzioni in relazione alle strade private.

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale.
L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992).
Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria.
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
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In ordine alla Circolare Ministero dei LL.PP. – Direzione Generale Circolazione e Traffico n. 5980 del 30.12.1970, emanata allo scopo di assicurare uniforme applicazione alle disposizioni del D.M. n. 1404 dell’01.04.1968, con esclusione soltanto di quelle aventi carattere di edificazione quali alberghi e motel, ristoranti, stazioni di servizio che svolgono attività diversa da quella del soccorso immediato, il relativo contenuto, nella sua portata esplicativa, non può che essere inteso alla luce dei contenuti della giurisprudenza in materia.
E’ pur vero che, talvolta, la giurisprudenza ha ritenuto assentibili insediamenti di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti, come per es.
   - un parcheggio a raso o
   - un impianto di carburanti
assumendo che “in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare".
Inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del dlgs 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada”.
In tutte queste ipotesi, tuttavia, il parametro di riferimento era contenuta negli atti di pianificazione comunale, orientati a conferire alle predette fasce destinazioni compatibili con le finalità enucleate dalla giurisprudenza, insuscettibili di una lettura estensiva o analogica, siccome norme di stretta interpretazione.
Per converso, laddove detta previsione non vi sia, la fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati.
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7.- Nel merito, carattere dirimente assume, per il Tribunale, la circostanza ostativa per la quale, l’area di intervento ricade all’interno della fascia di rispetto della S.S. n. 19, ed il PRG di Battipaglia nelle fasce di rispetto stradale consente la sola realizzazione di impianti per la gestione della rete stradale.
Le censure con le quali parte ricorrente ha gravato siffatto profilo, non risultano condivisibili.
7.a- Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale.
L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992).
Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620).
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell’01.06.1995; Cons. Stato, IV, n. 7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001).
7.b.- Ciò premesso, risulta per tabulas, giusta documentazione versata in atti, che la strumentazione urbanistica del comune di Battipaglia (Prg approvato con decreto Ministro LL. PP. del 20.03.1972) consente nelle fasce di rispetto stradale solo “impianti per la gestione della rete stradale”.
7.c.- Quest’ultima indicazione, ad avviso di parte attorea, consentirebbe la realizzazione dell’impianto progettato, afferente ad attività di soccorso stradale, che, ad ogni effetto, rientrerebbe tra le attività ammesse dal punto 7 della Circolare Ministero dei LL.PP. – Direzione Generale Circolazione e Traffico n. 5980 del 30.12.1970, emanata allo scopo di assicurare uniforme applicazione alle disposizioni del D.M. n. 1404 dell’01.04.1968, con esclusione soltanto di quelle aventi carattere di edificazione quali alberghi e motel, ristoranti, stazioni di servizio che svolgono attività diversa da quella del soccorso immediato.
7.d.- Il Collegio non condivide la tesi attorea.
Il contenuto della menzionata circolare, nella sua portata esplicativa, non può che essere inteso alla luce dei contenuti della giurisprudenza in materia (riportata al punto 7.a) del capo che precede).
E’ pur vero che, talvolta, la giurisprudenza ha ritenuto assentibili insediamenti di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti, come per es. un parcheggio a raso (ex multis Cons. St. n. 2880/2015) o un impianto di carburanti assumendo che “in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare"; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada” (TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050).
In tutte queste ipotesi, tuttavia, il parametro di riferimento era contenuta negli atti di pianificazione comunale, orientati a conferire alle predette fasce destinazioni compatibili con le finalità enucleate dalla giurisprudenza, insuscettibili di una lettura estensiva o analogica, siccome norme di stretta interpretazione.
Per converso, laddove detta previsione non vi sia, la fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 2673).
7.e.- Nel caso che ci occupa, lo strumento urbanistico vigente nel Comune di Battipaglia, consente di realizzare nelle fasce di rispetto stradali, fuori del centro abitato, “solo impianti per la gestione della rete stradale” che, ad avviso del Collegio, non sono identificabili con le opere da assentire con il progetto respinto dall’amministrazione comunale, atteso che la citata previsione afferisce ad opere che funzionalmente ed oggettivamente siano preordinate alla sola gestione della rete stradale.
7.e.1.- Emerge dalla descrizione delle opere contenuta in ricorso che parte ricorrente intende realizzare: un corpo di fabbrica destinato
   - per circa 250,46 mq di superficie netta, a locali adibiti alla custodia degli autoveicoli e motoveicoli posti sotto sequestro dagli organi di polizia;
   - per circa 27,55 mq destinato ad uffici di gestione e servizi;
   - per circa 53,24 mq destinati a deposito, e
   - per circa 65,88 mq di superficie netta destinati ad alloggio del custode.
Trattasi all’evidenza di un impianto produttivo –da edificare al posto delle fatiscenti strutture in lamiere, oggetto di domanda di condono edilizio- incompatibile ed estraneo alla previsione urbanistica che consente di realizzare impianti per la gestione della rete stradale, atteso che le opere realizzande appaiono oggettivamente e funzionalmente connesse alle attività di sequestro, custodia e confisca amministrativa, non necessariamente ma solo occasionalmente riconducibile all’attività di soccorso stradale.
In sostanza, con il progetto denegato, parte ricorrente cerca di far discendere dalla funzione minoritaria ed eventuale dell’attività di soccorso, l’assenso alla realizzazione di un impianto produttivo funzionalmente preordinato ad altra attività -non riconducibile all’ipotesi contemplata dalla norma urbanistica- attraverso la costruzione di nuovi fabbricati, la ricostruzione e l’ampliamento di quelli esistenti.
Per le suesposte ragioni, il ricorso è infondato e soggiace a reiezione (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.03.2016 n. 608 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale.
L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (artt. 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992).
Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Come affermato dalla Cassazione, poi, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente" non edificabili.
Ciò è stato correttamente rilevato in passato, proprio dal TAR Veneto, Sez. I, 16.10.2006, n. 3442 (le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria.

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Le delibere consiliari di
adozione e di approvazione della variante parziale al PRG vigente, nella parte in cui modificano l’art. 61 delle NTA consentendo lo svolgimento dell’attività di imprenditoriale parcheggio nella fasce di rispetto stradali, non sono affette dai riscontrati vizi e devono essere reputate legittime.
Tale approdo appare conforme a quanto a più riprese affermato da condivisibile giurisprudenza di merito che, a più riprese, ha interpretato in termini non assoluti le prescrizioni del codice della strada in premessa citate.
Giova precisare, infatti, che a più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minore, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3 prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del dlgs 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada”.
Con riguardo all'ampiezza della fascia di rispetto stradale, si rileva che la medesima, in un contesto urbano densamente edificato ed abitato, persegue una serie di ragionevoli finalità -non limitate alla mera sicurezza ed alla conservazione/manutenzione delle vie, come per il D.M. n. 1444/1968- determinate proprio dalla presenza dell'elemento umano -destinazione pedonale, a parcheggio, misure antinquinamento, anche acustico, arredo urbano- oppure ricollegabili a criteri urbanistico-estetici.

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4.1. Il Collegio non concorda con la tesi esposta dal Tar e concorda invece con la tesi esposta dal Comune di Venezia appellante incidentale e dall’appellante principale Ma.Po.Pa..
Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale.
L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992).
Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Come affermato dalla Cassazione poi, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente" non edificabili (cfr. infra multa: Cassazione civile, sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cassazione civile, sez. I, 28.10.2005, n. 21092).
Ciò è stato correttamente rilevato in passato, proprio dal TAR Veneto, Sez. I, 16.10.2006, n. 3442 (le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620).
Il Tar, che nelle premesse descrittive (punto 7) sembrava avere correttamente colto che la modifica introdotta non escludesse che i parcheggi a raso siano a “servizio della strada” e, ancora, che risultino rispettate le previsioni urbanistiche di zona, è pervenuto ad una interpretazione contraria alle legittimità della variante, sulla scorta della considerazione che il parcheggio fosse organizzato con struttura imprenditoriale.
4.2. Contrariamente a quanto in sentenza esposto, non pare al Collegio che la possibile circostanza che un parcheggio sia organizzato in forma imprenditoriale leda alcuna delle dette esigenze/necessità.
Innanzitutto è improprio richiamare nel caso di specie il concetto di “zonizzazione”: esso non rileva, in quanto la autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale fa si che ivi possa essere autorizzata attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti.
Con delibazione non illogica né abnorme, ma, anzi, positivamente apprezzabile, il Comune di Venezia ha ritenuto, ed ha inteso specificare, che tale possa essere l’allocazione di parcheggi a raso.
In particolare –sempre valutando la problematica sotto il profilo urbanistico, l’unico rilevante nella specie e l’unico rientrante nella giurisdizione di questo Collegio- la circostanza che la possibilità di parcheggiare possa essere subordinata al versamento di un controvalore in denaro (né più né meno di ciò che avviene in presenza delle c.d. “zone blu” in tutte le città d’Italia, si badi) non implica il venire meno della condizione che il parcheggio sia “posto al servizio della strada e degli utenti”: il rispetto delle previsioni urbanistiche di zona (rectius: la neutralità delle stesse, ai fini della legittimità della allocazione di parcheggi nelle fasce di rispetto) discende dalla stessa destinazione delle medesime.
Le affermazioni del Tar sono evidentemente fuorviate dalla riscontrata destinazione “allo svolgimento di un’attività commerciale e imprenditoriale”, e dalla imprenditorialità della iniziativa in questione fanno discendere in automatico la conseguenza che i detti parcheggi a raso, non siano “al servizio della strada”: parte appellante principale ha buon giuoco nel constatare che la “patrimonializzazione” del parcheggio, non implica che lo stesso cessi per ciò solo di essere posto al servizio degli utenti della strada, ovvero crei pericoli per la sicurezza stradale.
Tale profilo di accoglimento del mezzo di primo grado appare al Collegio inesatto, e va pertanto riformato.
Il Tar si era espresso statuendo “l’annullamento in parte qua anche della delibera del Consiglio Comunale n. 59/2013 laddove possa essere interpretata nel senso di costituire il presupposto per lo sfruttamento commerciale della fascia di rispetto stradale in violazione della disciplina urbanistica.”
In contrario senso, evidenzia il Collegio che le delibere n. 5/2013 (di adozione) e n. 59/2013 (di approvazione) della variante parziale al PRG vigente, nella parte in cui modificano l’art. 61 delle NTA consentendo lo svolgimento dell’attività di imprenditoriale parcheggio nella fasce di rispetto stradali non sono pertanto affette dai riscontrati vizi e devono essere reputate legittime.
Tale approdo appare conforme a quanto a più riprese affermato da condivisibile giurisprudenza di merito che, a più riprese, ha interpretato in termini non assoluti le prescrizioni del codice della strada in premessa citate (TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050).
Giova precisare, infatti, che a più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minore, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3 prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada” TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050).
Anche in epoca più risalente, la giurisprudenza di merito ha patrocinato un approdo coincidente con quello raggiunto dal Collegio e sostenuto dall’appellante principale e dal Comune di Venezia (TAR Puglia Lecce Sez. I, 14.09.2006, n. 4456).
Con riguardo all'ampiezza della fascia di rispetto stradale, si rileva che la medesima, in un contesto urbano densamente edificato ed abitato, persegue una serie di ragionevoli finalità -non limitate alla mera sicurezza ed alla conservazione/manutenzione delle vie, come per il D.M. n. 1444/1968- determinate proprio dalla presenza dell'elemento umano -destinazione pedonale, a parcheggio, misure antinquinamento, anche acustico, arredo urbano- oppure ricollegabili a criteri urbanistico-estetici
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 11.06.2015 n. 2880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia di condono edilizio, il parere dell'ente proprietario della strada (fascia di rispetto stradale) deve far riferimento al "centro abitato" al momento in cui si svolge l'istruttoria dell'istanza e non alla data di esecuzione dell'abuso.
La valutazione richiesta dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, essendo relativa al dato concreto dell’esistenza o meno di un centro abitato conglobante l’immobile interessato, deve necessariamente avere attinenza alle concrete ed effettive coordinate di spazio e di tempo in cui tale immobile è calato: per tali intendendosi le reali condizioni dei luoghi.
La valutazione dell’Amministrazione deve, in altre parole, essere condotta alla stregua delle specifiche condizioni di fatto del contesto del quale il manufatto fa parte, esistenti al momento in cui si svolge il relativo procedimento. È a tale condizione materiale, invero, che risponde l’interesse curato dalla disposizione, che è quello alla sicurezza permanente degli abitati.
Ad altro, vale a dire alla sicurezza del traffico, è finalizzata la qualificazione normativa delle norme sulla circolazione stradale: ieri dell’art. 2 d.P.R. 15.06.1959, n. 393 per cui è centro abitato un insieme continuo di edifici, strade ed aree delimitato, lungo le vie di accesso, da apposito segnale; e poi, dell’art. 3, comma 8, e 4 d.lgs. 30.04.1992, n. 285, per il quale il centro abitato s’identifica in un agglomerato di almeno venticinque edifici, sebbene intervallati da strade, giardini od altro, che spetta alla Giunta comunale individuare e delimitare.
Queste definizioni –per quanto qui occupa- possono invero essere di ausilio per quanto concerne la caratterizzazione di un centro abitato dal punto di vista materiale, non anche per quanto concerne la sua identificazione formale (cartello, individuazione ad opera della Giunta comunale).

I) I signori F.A.C. e P.T., eredi del signor L.T., chiedono la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha respinto il ricorso proposto dal de cuius avverso il parere negativo espresso dall’Anas con nota del 06.04.2005 sull’istanza di sanatoria edilizia straordinaria (c.d. condono) presentata in data 03.12.1986 ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47 di un manufatto costruito abusivamente nel 1970, posto, secondo il Tribunale amministrativo, a distanza di 23 metri dal ciglio del Grande Raccordo Anulare.
Per ottenere l’esame della domanda da parte del Comune il ricorrente in data 16 settembre ha chiesto all’Anas, ente preposto alla tutela del vincolo stradale, il preliminare parere ex art. 32, quarto comma, lett. c), della suddetta legge n. 47 del 1985.
Con la nota oggetto del ricorso di primo grado l’Anas ha espresso parere negativo alla sanatoria, in quanto l’opera è stata realizzata posteriormente al 13.04.1968 a distanza non conforme a quanto stabilito dal decreto ministeriale 01.04.1968.
La sentenza ha rilevato che l’area su cui insiste la costruzione risulta gravata dal vincolo di rispetto della viabilità principale dell’autostrada Grande Raccordo Anulare ed è successiva all’imposizione del relativo vincolo di inedificabilità. Pertanto essa non è suscettibile di sanatoria, dato che l’art. 32, quarto comma, lettera c), della legge n. 47 del 1985 la consente solo per le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione […] sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
II) Ha ricordato il primo giudice che la legge 21.05.1955, n. 463, di approvazione del Piano autostradale nazionale, ha previsto che i tracciati delle quattro autostrade che interessano il territorio della città di Roma coincidano con l’inizio e con il termine del Grande Raccordo Anulare, per evitare al traffico autostradale l'attraversamento del centro cittadino. La legge 24.07.1961, n. 729, all’art. 13 ha autorizzato e finanziato la realizzazione dei raccordi autostradali, prevedendone la trasformazione in autostrade, poi effettuata per il Grande Raccordo Anulare con decreto del ministro dei lavori pubblici. Infine, nel 1962 è stato eseguito il primo raddoppio di carreggiata nel tratto interessato.
Pertanto legittimamente l’Anas ha escluso la sanabilità del manufatto, realizzato su un’area già gravata da vincolo di inedificabilità, e non assumono valore contrario né l’esistenza di altre costruzioni asseritamente autorizzate, né l’inapplicabilità, in ragione della collocazione dell’immobile, del decreto ministeriale 01.04.1968, richiamato nel provvedimento impugnato. A quest’ultimo riguardo la sentenza ha ritenuto non sufficiente la presenza di un certo numero di edifici nell’area in questione per ritenere l’esistenza di un centro abitato, e irrilevante la più recente classificazione dovuta all’evoluzione dell’area negli anni successivi.
III) La sentenza non può, sul punto appena evidenziato, essere condivisa.
Giova premettere che il decreto ministeriale 01.04.1968 (Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge 06.08.1967, n. 765), evocato dalla nota impugnata a preclusione della sanatoria, prevede per le autostrade di qualunque tipo (legge 07.02.1961, n. 59, art. 4) e per i raccordi autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona la distanza minima di sessanta metri da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale (artt. 3 e 4: distanza che comunque non risulterebbe rispettata neppure tenendo per provata quella, pari a quaranta metri, di cui alla perizia depositata in causa dagli appellanti).
Tale distanza, peraltro, deve essere osservata al di fuori del perimetro dei centri abitati, come testualmente precisano sia il decreto citato, sia l’art. 41-septies della legge 17.08.1942, n. 1150, aggiunto dall’articolo 19 della legge 06.08.1967, n. 765, alla quale il citato decreto ha dato attuazione.
La risposta all’istanza di condono richiesto dal ricorrente sconta, pertanto, la collocazione del manufatto (pacificamente realizzato, come si è detto, dopo l’imposizione del vincolo autostradale e a distanza inferiore a quella prescritta) all’interno del centro abitato. Una tale effettiva collocazione conduce ad una risposta positiva, essendo all’esterno operante la preclusione per vincolo di inedificabilità imposto dal citato decreto.
Il Collegio ritiene fondate le censure rivolte, sul punto, avverso la sentenza impugnata dall’appellante.
IV) Deve, infatti, essere considerato che la valutazione richiesta dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, essendo relativa al dato concreto dell’esistenza o meno di un centro abitato conglobante l’immobile interessato, deve necessariamente avere attinenza alle concrete ed effettive coordinate di spazio e di tempo in cui tale immobile è calato: per tali intendendosi le reali condizioni dei luoghi.
La valutazione dell’Amministrazione deve, in altre parole, essere condotta alla stregua delle specifiche condizioni di fatto del contesto del quale il manufatto fa parte, esistenti al momento in cui si svolge il relativo procedimento. È a tale condizione materiale, invero, che risponde l’interesse curato dalla disposizione, che è quello alla sicurezza permanente degli abitati.
Ad altro, vale a dire alla sicurezza del traffico, è finalizzata la qualificazione normativa delle norme sulla circolazione stradale: ieri dell’art. 2 d.P.R. 15.06.1959, n. 393 per cui è centro abitato un insieme continuo di edifici, strade ed aree delimitato, lungo le vie di accesso, da apposito segnale; e poi, dell’art. 3, comma 8, e 4 d.lgs. 30.04.1992, n. 285, per il quale il centro abitato s’identifica in un agglomerato di almeno venticinque edifici, sebbene intervallati da strade, giardini od altro, che spetta alla Giunta comunale individuare e delimitare. Queste definizioni –per quanto qui occupa- possono invero essere di ausilio per quanto concerne la caratterizzazione di un centro abitato dal punto di vista materiale, non anche per quanto concerne la sua identificazione formale (cartello, individuazione ad opera della Giunta comunale).
Nella fattispecie in esame il certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune di Roma il 21.01.2015, depositato in atti, attesta comunque che la costruzione di cui trattasi è attualmente inserita nel tessuto urbanistico ed edilizio all’interno del piano particolareggiato 13/F “La Rustica”, approvato con deliberazione della Giunta regionale del Lazio in data 13.11.1984, con tessuto prevalentemente residenziale secondo il Piano regolatore generale approvato il 12.02.2008.
Una tale essenziale caratteristica del luogo, non solo ormai nella sua realtà profondamente mutato rispetto al tempo della realizzazione del manufatto, ma anche assoggettato a una tale qualificazione formale, avrebbe dovuto essere considerata dall’Anas. Questa invece, prescindendo da una siffatta indagine, si è attestata sulla mera collocazione formale dell’area al tempo dell’intervento, allora esterna al qualificato centro abitato.
Ne deriva l’illegittimità del parere impugnato, che esclude l’ulteriore sviluppo del procedimento, dato che la regola di cui l’Anas ha fatto applicazione non è coerente con la concreta e attuale caratteristica dell’area, ora, come si è detto, anche formalmente inglobata dal centro abitato e fronteggiata da altre costruzioni limitrofe al bordo del Grande Raccordo Anulare.
Quanto al prosieguo del procedimento di condono qui in questione, resta integro il potere dell’Anas, in sede di rinnovo del parere prescritto dall’art. 32, 4° comma, lett. c), della legge n. 47 del 1985, di valutare la compatibilità dell’immobile con le esigenze di sicurezza del traffico.
È poi il caso di evidenziare, per la certezza dei rapporti, che ai fini dell’eventuale sanatoria edilizia ordinaria le considerazioni precluse all’Anas (in quanto attinenti al vincolo di cui è custode) potranno trovare espressione da parte del Comune, la cui valutazione prettamente edilizia non potrà prescindere dall’esaminare la cosiddetta doppia conformità dell’opera abusivamente realizzata, in rispetto alla regola introdotta dall’art. 13, primo comma, della legge n. 47 del 1985, oggi art. 36, comma 1, d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
V) In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza di primo grado e annullamento del provvedimento oggetto del ricorso, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 25.03.2015 n. 1582 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Non v’è dubbio che in base alla normativa del codice della strada la delimitazione del centro abitato avviene con uno specifico procedimento; ma è altrettanto certo che in carenza di tale determinazione la questione controversa deve essere affrontata da un lato sulla base della normativa vigente all’epoca dell’abuso e per altro verso verificando sul piano del diritto urbanistico se la sussistenza di un centro abitato possa essere rappresentata dall’assetto interamente urbanizzato della zona realizzatosi in forza del piano regolatore.
Sotto il primo profilo occorre muovere dal dato normativo per cui, in base all’art. 9 della legge n. 761/1961, le costruzioni debbono tenersi a distanza di rispetto dall’autostrada non inferiore ai 25 m.l.. Tale norma, vigente all’epoca dell’abuso, per espressa disposizione dell’art. 17-quater della legge n. 765/1967, è rimasta in vigore ben oltre l’avvento del DM 01.04.1968 attuativo della stessa, ed è stata abrogata solo con l’intervento dell’art. 231 del nuovo codice della strada (d.leg.vo n. 295/1992).
Quanto alla valenza delle disposizioni di PRG, occorre rilevare che, in base all’art. 7 (comma 2, n. 2) della legge n. 1150 del 1942 (come modificata dall’art. 1 della legge n. 1187/1968) il piano regolatore deve recare tra l’altro la “precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano”.
Più precisa è la disposizione introdotta dall’art. 18, secondo comma, della legge n. 865/1971 che, nel definire il “
centro edificato” ai fini urbanistico-edilizi, e sostanzialmente precisando direttamente il contenuto che deve avere il provvedimento di delimitazione, stabilisce che esso “comprende tutte le aree edificate”... Con tale ambito appare quindi del tutto collimare la realizzata previsione di PRG relativa a zona a completamento residenziale e saturazione.
Sul versante della nozione di centro abitato emergente dal codice della strada, fermo restando che la sua perimetrazione avviene mediante lo specifico procedimento indicato dal codice della strada, il Collegio ritiene che la mancata osservanza di tale indicazione normativa non prelude che, ai differenti fini urbanistici, la definizione in questione possa essere individuata sulla base delle norme del PRG; ciò anche considerato che la perimetrazione del centro abitato ai sensi dell'art. 4 del Codice della strada (che si realizza attraverso uno specifico procedimento amministrativo) avviene, per espressa previsione della medesima disposizione, “ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale”, fornendosi inoltre (art. 3, n. 8 del D.lgs. n. 285/1982) una nozione di centro abitato affatto diversa da quella prevista dall'art. 4 della legge reg. n. 17/1982 e dell’art. 18 della legge n. 865/1971.
Sul punto, dell’esame della giurisprudenza in materia, dopo un iniziale e datato orientamento generale per cui la perimetrazione del centro abitato può risultare anche dallo strumento urbanistico, emerge la tesi per cui “la delimitazione del centro abitato eventualmente disposta ai fini del codice della strada o del piano del traffico è del tutto irrilevante ai fini urbanistici”; in particolare, "non sussiste la necessità di un apposito atto di perimetrazione allorché l’insistenza dell’immobile in centro abitato emerge “ictu oculi” dalla semplice postazione dello stato dei luoghi”.
Anche recentissimamente è stato osservato che: “l'art. 1 del D.M. n. 1404 del 1968 afferma che le disposizioni contenute in tale testo normativo "relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione", e che l'art. 9 della L. n. 729 del 1961, a sua volta, dispone al suo primo comma, ... che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa".
In sintesi, ai fini della normativa edilizia sul condono edilizio, ad avviso del Collegio va confermato che la previsione da parte dello strumento urbanistico di una zona residenziale di completamento e la sua realizzazione mediante i relativi insediamenti abitativi, costituiscono elementi sufficienti ad integrare il concetto di centro abitato (differente da quello accolto dal codice della strada) e pertanto a rendere inapplicabili i limiti di distanza di rispetto autostradale previsti dal DM del 1968, perché questi operano espressamente al di fuori del centro abitato.
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2.2.- La questione in esame verte dunque sullo stabilire se, in carenza di un provvedimento di perimetrazione del centro abitato, sia legittimo il diniego di condono di un abuso edilizio realizzato oltre i 25 ml dalla proprietà autostradale, in applicazione della predetta distanza di 60 metri.
L’individuazione della distanza applicabile si collega a sua volta alla questione se, in detta carenza, può tenersi conto (come sostengono gli appellanti) dello stato di urbanizzazione della zona o più precisamente delle disposizioni dello strumento urbanistico, le quali nella specie conformano la zona come B1 di completamento e saturazione residenziale.
Non v’è dubbio che in base alla normativa del codice della strada la delimitazione del centro abitato avviene con uno specifico procedimento (per questo profilo cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 3741/2007); ma è altrettanto certo che in carenza di tale determinazione la questione controversa deve essere affrontata da un lato sulla base della normativa vigente all’epoca dell’abuso e per altro verso verificando sul piano del diritto urbanistico se la sussistenza di un centro abitato possa essere rappresentata dall’assetto interamente urbanizzato della zona realizzatosi in forza del piano regolatore.
Sotto il primo profilo occorre muovere dal dato normativo per cui, in base all’art. 9 della legge n. 761/1961, le costruzioni debbono tenersi a distanza di rispetto dall’autostrada non inferiore ai 25 m.l.. Tale norma, vigente all’epoca dell’abuso, per espressa disposizione dell’art. 17-quater della legge n. 765/1967, è rimasta in vigore ben oltre l’avvento del DM 01.04.1968 attuativo della stessa, ed è stata abrogata solo con l’intervento dell’art. 231 del nuovo codice della strada (d.leg.vo n. 295/1992).
Quanto alla valenza delle disposizioni di PRG, occorre rilevare che, in base all’art. 7 (comma 2, n. 2) della legge n. 1150 del 1942 (come modificata dall’art. 1 della legge n. 1187/1968) il piano regolatore deve recare tra l’altro la “precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano”.
Più precisa è la disposizione introdotta dall’art. 18, secondo comma, della legge n. 865/1971 che, nel definire il “centro edificato” ai fini urbanistico-edilizi, e sostanzialmente precisando direttamente il contenuto che deve avere il provvedimento di delimitazione, stabilisce che esso “comprende tutte le aree edificate”... Con tale ambito appare quindi del tutto collimare la realizzata previsione di PRG relativa a zona a completamento residenziale e saturazione.
Sul versante della nozione di centro abitato emergente dal codice della strada, fermo restando che la sua perimetrazione avviene mediante lo specifico procedimento indicato dal codice della strada, il Collegio ritiene che la mancata osservanza di tale indicazione normativa non prelude che, ai differenti fini urbanistici, la definizione in questione possa essere individuata sulla base delle norme del PRG; ciò anche considerato che, come ricorda la stessa decisione impugnata, la perimetrazione del centro abitato ai sensi dell'art. 4 del Codice della strada (che si realizza attraverso uno specifico procedimento amministrativo) avviene, per espressa previsione della medesima disposizione, “ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale”, fornendosi inoltre (art. 3, n. 8 del D.lgs. n. 285/1982) una nozione di centro abitato affatto diversa da quella prevista dall'art. 4 della legge reg. n. 17/1982 e dell’art. 18 della legge n. 865/1971.
Sul punto, dell’esame della giurisprudenza in materia, dopo un iniziale e datato orientamento generale per cui la perimetrazione del centro abitato può risultare anche dallo strumento urbanistico (Cons. di Stato n. 167/1973), emerge la tesi (peraltro citata dalla stessa decisione gravata) per cui “la delimitazione del centro abitato eventualmente disposta ai fini del codice della strada o del piano del traffico è del tutto irrilevante ai fini urbanistici (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 05.04.2005, n. 1560; idem, Sez. V, 07.03.1997, n. 211)”; in particolare secondo l’orientamento sopra citato (v. anche Cons. di Stato n. 1560/2005) “non sussiste la necessità di un apposito atto di perimetrazione allorché l’insistenza dell’immobile in centro abitato emerge “ictu oculi” dalla semplice postazione dello stato dei luoghi”.
Anche recentissimamente è stato osservato (Cons. di Stato, sez. IV, n. 1118/2014) che: “l'art. 1 del D.M. n. 1404 del 1968 afferma che le disposizioni contenute in tale testo normativo "relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione", e che l'art. 9 della L. n. 729 del 1961, a sua volta, dispone al suo primo comma, ……….. che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa";
In sintesi, ai fini della normativa edilizia sul condono edilizio, ad avviso del Collegio va confermato che la previsione da parte dello strumento urbanistico di una zona residenziale di completamento e la sua realizzazione mediante i relativi insediamenti abitativi, costituiscono elementi sufficienti ad integrare il concetto di centro abitato (differente da quello accolto dal codice della strada) e pertanto a rendere inapplicabili i limiti di distanza di rispetto autostradale previsti dal DM del 1968, perché questi operano espressamente al di fuori del centro abitato.
Di conseguenza, la fattispecie di sanatoria in esame non poteva trovare ostacolo nella disciplina di cui all’art. 33 della legge n. 47/1985, essendo costituita da un abuso realizzato in vigenza dell’art. 9 della legge n. 729/1961, in zona urbanizzata ai sensi del PRG e situato a distanza superiore ai 25 metri dalla proprietà autostradale.
3. - L’appello deve pertanto essere accolto con conseguente riforma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 03.09.2014 n. 4469 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il vincolo d’inedificabilità relativa quale la "fascia di rispetto stradale, a tutela di una viabilità esistente" esprime un limite di natura conformativa, che si traduce nell’obbligo di osservare determinate distanze delle costruzioni dal ciglio delle strade, ed è quindi insuscettibile di decadenza, con il trascorrere del periodo quinquennale, legislativamente previsto.
Invero, è già stato ribadito di recente quanto segue: “Ritorna all’attenzione del Collegio il problema della decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio, di cui si è più volte occupata la giurisprudenza costituzionale ed amministrativa.
Il caso di specie, non ancora governato dalle previsioni di cui al DPR n. 327/2001, risulta riconducibile all’assetto normativo di cui alla legge fondamentale ed alle previsioni di cui all’art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187, le cui linee portanti, così come elaborate dalla giurisprudenza, possono compendiarsi nella sintetica ricostruzione che segue.
2.a.- Alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20.05.1999, n. 179 –dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della legge 17.08.1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19.11.1968, n. 1187, nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo– i vincoli urbanistici non indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e che devono essere indennizzati, sono:
a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta;
b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi;
c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost. Il Consiglio di Stato ha più volte precisato che costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai sensi dell’articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, quelli preordinati all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone significativamente il suo valore di scambio.
A seguito della scadenza dei vincoli di inedificabilità imposti dal piano regolatore generale, per effetto dell’art. 2 l. 19.11.1968 n. 1187, l’area resta assoggettata alla disciplina prevista dall’art. 4, ultimo comma, l. 28.01.1977 n. 10 o alla legislazione regionale ove esistente per i comuni sprovvisti di strumento urbanistico e non alla disciplina anteriore all’imposizione del vincolo o ricavabile dalle destinazioni proprie delle aree limitrofe.
2.b. Tanto premesso, la Suprema Corte di Cassazione, occupandosi della natura dei vincoli relativi alle opere di viabilità previste nel prg, ha chiarito che l’indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art. 7, comma 2, n. 1 l. 17.08.1942 n. 1150), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema dell’art. 5-bis l. 08.08.1992 n. 359, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato all’esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (art. 13 l. n. 1150 del 1942) di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili ai vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo.
2.c.- La giurisprudenza di merito ha chiarito, altresì, che la destinazione dell’area a fascia di rispetto della sede viaria non costituisce utilizzazione a fini pubblici dell’area stessa né introduce un vincolo preordinato all’esproprio, ma integra un vincolo di natura conformativa costituente un limite all’edificabilità dell’area che l’amministrazione può imporre nell’esercizio dei suoi poteri ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del territorio e che trova la sua giustificazione nell’esigenza di tutela del superiore interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale; pertanto, alla natura conformativa del vincolo consegue che lo stesso non soggiace a decadenza quinquennale”.
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La stessa conclusione, cui giunge la sentenza di questo Tribunale, testé citata, non costituisce, del resto, una voce isolata nella giurisprudenza amministrativa, ma è ribadita costantemente, come si ricava dalle massime seguenti (per citare solo le più recenti):
- “In caso di area ricadente in parte all’interno della “fascia di rispetto delle sedi stradali” e in parte in “sede stradale”, le porzioni di terreno ricadenti nella zona di rispetto della sede stradale sono soggette ad un vincolo conformativo non soggetto a decadenza, mentre la porzione di terreno ricadente in area destinata a sede stradale è soggetta ad un vincolo di natura espropriativa”;
- “Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” –che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti– non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative”.

A tale riguardo, la difesa del Comune ha opposto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il vincolo d’inedificabilità relativa in questione (fascia di rispetto stradale, a tutela di una viabilità esistente) esprimerebbe, invece, un limite di natura conformativa, che si traduce nell’obbligo di osservare determinate distanze delle costruzioni dal ciglio delle strade, ed è quindi insuscettibile di decadenza, con il trascorrere del periodo quinquennale, legislativamente previsto.
La tesi della difesa del Comune è condivisibile: si richiama, a tale proposito, la parte motiva della recente sentenza di questa Sezione Staccata di Salerno del TAR Campania - Sez. II, n. 1276 del 13.06.2013, ove è dato leggere quanto segue: “Ritorna all’attenzione del Collegio il problema della decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio, di cui si è più volte occupata la giurisprudenza costituzionale ed amministrativa.
Il caso di specie, non ancora governato dalle previsioni di cui al DPR n. 327/2001, risulta riconducibile all’assetto normativo di cui alla legge fondamentale ed alle previsioni di cui all’art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187, le cui linee portanti, così come elaborate dalla giurisprudenza, possono compendiarsi nella sintetica ricostruzione che segue.
2.a.- Alla stregua dei principi espressi dalla Corte costituzionale, con la sentenza 20.05.1999, n. 179 –dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della legge 17.08.1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19.11.1968, n. 1187, nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di un indennizzo– i vincoli urbanistici non indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del predetto articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e che devono essere indennizzati, sono:
a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di condizioni di inedificabilità assoluta;
b) quelli che superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi;
c) quelli che superano quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost. Il Consiglio di Stato ha più volte precisato che costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai sensi dell’articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, quelli preordinati all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale, ovvero diminuendone significativamente il suo valore di scambio.
A seguito della scadenza dei vincoli di inedificabilità imposti dal piano regolatore generale, per effetto dell’art. 2 l. 19.11.1968 n. 1187, l’area resta assoggettata alla disciplina prevista dall’art. 4, ultimo comma, l. 28.01.1977 n. 10 o alla legislazione regionale ove esistente per i comuni sprovvisti di strumento urbanistico e non alla disciplina anteriore all’imposizione del vincolo o ricavabile dalle destinazioni proprie delle aree limitrofe (ex multis Cons. St. Sez. V 03.10.1992 n. 924).
2.b. Tanto premesso, la Suprema Corte di Cassazione, occupandosi della natura dei vincoli relativi alle opere di viabilità previste nel prg, ha chiarito che l’indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art. 7, comma 2, n. 1 l. 17.08.1942 n. 1150), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella scelta del criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel sistema dell’art. 5-bis l. 08.08.1992 n. 359, basato sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato all’esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (art. 13 l. n. 1150 del 1942) di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tali riconducibili ai vincoli imposti a titolo particolare, a carattere espropriativo (Sez. I 06.11.2008 n. 26615).
2.c.- La giurisprudenza di merito ha chiarito, altresì, che la destinazione dell’area a fascia di rispetto della sede viaria non costituisce utilizzazione a fini pubblici dell’area stessa né introduce un vincolo preordinato all’esproprio, ma integra un vincolo di natura conformativa costituente un limite all’edificabilità dell’area che l’amministrazione può imporre nell’esercizio dei suoi poteri ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del territorio e che trova la sua giustificazione nell’esigenza di tutela del superiore interesse pubblico alla sicurezza della circolazione stradale; pertanto, alla natura conformativa del vincolo consegue che lo stesso non soggiace a decadenza quinquennale (ex multis Tar Liguria Sez. I 01.02.2011 n. 172
)”.
La stessa conclusione, cui giunge la sentenza di questo Tribunale, testé citata, non costituisce, del resto, una voce isolata nella giurisprudenza amministrativa, ma è ribadita costantemente, come si ricava dalle massime seguenti (per citare solo le più recenti): “In caso di area ricadente in parte all’interno della “fascia di rispetto delle sedi stradali” e in parte in “sede stradale”, le porzioni di terreno ricadenti nella zona di rispetto della sede stradale sono soggette ad un vincolo conformativo non soggetto a decadenza, mentre la porzione di terreno ricadente in area destinata a sede stradale è soggetta ad un vincolo di natura espropriativa” (TAR Sicilia–Palermo – Sez. III, 24.05.2013, n. 1167); “Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” –che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti– non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative” (Consiglio di Stato – Sez. IV, 27.09.2012, n. 5113; conformi: TAR Puglia–Lecce, Sez. I, 19.10.2011, n. 1798; TAR Lombardia–Milano, Sez. IV, 21.04.2011, n. 1019).
Ne deriva che, trattandosi di vincolo conformativo anziché espropriativo, e non essendo quindi, il medesimo, soggetto a decadenza quinquennale, il motivo di diniego, impingente nella destinazione impressa alla zona, e nelle connesse previsioni, circa l’edificazione assentibile, contenute nelle N.T.A. del P.R.G., resiste alle censure espresse in ricorso (ammesso e non concesso che le stesse possano ritenersi compiutamente formulate sul punto).
Ne deriva che il motivo di ricorso sub 1), basato proprio sulla natura di “zona bianca” ascrivibile all’area “de qua”, non ha pregio, una volta venuto meno il presupposto, su cui si fondava; lo stesso dicasi per il motivo sub 2) (imperniato sull’asserito non superamento del limite volumetrico dello 0,03 mc/mq); mentre, quanto al difetto di motivazione circa le “modifiche inaccettabili del piano di campagna”, che l’intervento proposto avrebbe determinato, dedotto dal ricorrente sub 3), deve rimarcarsene l’irrilevanza, una volta stabilito che un altro motivo di diniego resisterebbe, in ogni caso, alle doglianze espresse in ricorso, giusta quanto anche sopra rilevato.
Per ciò che concerne, infine, l’asserita violazione dell’art. 10-bis della l. 241/1990, di cui alla quarta ed ultima censura, la stessa non merita accoglimento, posto che i nuovi motivi di definitivo diniego (i quali, non espressi nel preavviso ex art. 10-bis l. 241/1990, avrebbero determinato la violazione del principio del contraddittorio sostanziale), sono stati formulati, come sopra anche rilevato, in risposta alle osservazioni, rassegnate dal ricorrente nelle memorie prodotte, dopo aver ricevuto il detto preavviso di provvedimento negativo; sicché non può predicarsene la diversità, rispetto a quelli espressi precedentemente, dovendosi anzi rimarcare come il rispetto del canone del contraddittorio procedimentale si sia spinto, nella specie, fino alla formulazione di una ragione di rigetto dell’istanza di p. di c., ulteriore rispetto a quella, dirimente, del contrasto dell’intervento previsto con il vincolo di fascia di rispetto stradale, per il caso che quest’ultima non fosse stata ritenuta valida (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.07.2014 n. 1393 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali, il vincolo di inedificabilità a distanza inferiore a 25 metri dal limite della zona di occupazione dell'autostrada, imposto dall'art. 9 della legge 24.07.1961, n. 729, si traduce in un divieto assoluto di edificazione. In tale ipotesi, quindi, non è applicabile la previsione di cui all'art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47 -in base al quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione- bensì quella del successivo art. 33, che non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all'esecuzione.
Ne consegue che la società concessionaria per la costruzione di un'autostrada non perde l'interesse ad agire per il rispetto della suddetta distanza anche in caso di presentazione, da parte del privato, della domanda di condono

Va respinta anche l’ultima doglianza, giacché è proprio l’esistenza di una massa d’acqua della quale doveva essere assicurato il libero deflusso e la presenza di una costruzione in contrasto con il vincolo in questione a giustificare il diniego di condono che non poteva essere successivamente superato.
Non rileva infatti il richiamo operato all’art. 32, comma 1, l. 47 del 1985, in quanto quest’ultimo non deroga l’autonoma disciplina dettata dal successivo art. 33, comma 1, che indica gli specifici vincoli che non possono comunque essere superati, e che comportano l’impossibilità di rilascio del provvedimento di condono (cfr. Cass. civ., Sez. III, 03.11.2010, n. 22422: “In tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali, il vincolo di inedificabilità a distanza inferiore a 25 metri dal limite della zona di occupazione dell'autostrada, imposto dall'art. 9 della legge 24.07.1961, n. 729, si traduce in un divieto assoluto di edificazione. In tale ipotesi, quindi, non è applicabile la previsione di cui all'art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47 -in base al quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione- bensì quella del successivo art. 33, che non prevede la possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore all'esecuzione; ne consegue che la società concessionaria per la costruzione di un'autostrada non perde l'interesse ad agire per il rispetto della suddetta distanza anche in caso di presentazione, da parte del privato, della domanda di condono.”).
L’appello in esame va dunque respinto (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 30.06.2014 n. 3283 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quanto al vincolo stradale, per le opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è parimenti in presenza di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito dall'art. 4, d.m. 01.04.1968 (recante norme in materia di distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, la sentenza TAR Toscana è corretta anche nella parte in cui afferma che il vincolo stradale di cui al D.M. 01.04.1968, n. 1404 ha carattere inderogabile ed assoluto, con la conseguenza che, nella fattispecie, trova applicazione l’art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47 che non consente alcuna possibilità di deroga da parte dell’autorità preposta -a differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta all’interno del centro abitato- in relazione alle opere costruite successivamente all’imposizione del vincolo, sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de qua.
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Come ha specificato questo Consiglio, la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione a edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore.
Il parere della Commissione edilizia può essere sollecitato soltanto con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore.
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La comunicazione dell'avvio del procedimento non era necessaria, trattandosi di procedimento a istanza di parte (istanza di condono edilizio) e di provvedimento a contenuto vincolato, rispetto al quale l'interessata non avrebbe potuto apportare alcun contributo partecipativo.
Tale principio è applicabile per il diniego di condono e, a fortiori, per il conseguente, ineludibile, ordine di demolizione.
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Il Comune, nel momento in cui ha rilevato l’insanabilità dell’opera, conseguentemente e doverosamente ne ha ordinato la demolizione; il pedissequo provvedimento demolitorio risulta, dunque, in re ipsa motivato.
Infatti, a fronte del diniego di sanatoria, l’ordinanza di demolizione si appalesa come atto meramente consequenziale al diniego e l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né, infine, può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato.
Pertanto, il Collegio deve ribadire, in adesione a costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge.

Quanto al vincolo stradale, per le opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è parimenti in presenza di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito dall'art. 4, d.m. 01.04.1968 (recante norme in materia di distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2014, n. 485).
Pertanto, la sentenza TAR Toscana è corretta anche nella parte in cui afferma che il vincolo stradale di cui al D.M. 01.04.1968, n. 1404 ha carattere inderogabile ed assoluto, con la conseguenza che, nella fattispecie, trova applicazione l’art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47 che non consente alcuna possibilità di deroga da parte dell’autorità preposta -a differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta all’interno del centro abitato- in relazione alle opere costruite successivamente all’imposizione del vincolo, sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de qua.
Anche il secondo motivo d’appello è infondato, poiché, come ha specificato questo Consiglio, la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione a edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 05.11.2012, n. 5619).
Il parere della Commissione edilizia può essere sollecitato soltanto con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 03.08.2010, n. 5156; Id., Sez. IV, 06.07.2012, n. 3969; ivi riferimenti ulteriori). Che nella specie non sussistessero particolari condizioni, tali da rendere complessa o difficoltosa la valutazione del Comune, è circostanza già emersa nel corso della disamina del precedente motivo dell'appello; dunque, non v'erano spazi per poter invocare utilmente l'intervento dell'organo consultivo collegiale.
Anche il terzo motivo d’appello è infondato.
Infatti, la comunicazione dell'avvio del procedimento non era necessaria, trattandosi di procedimento a istanza di parte (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. VI, 08.06.2010, n. 3624) e di provvedimento a contenuto vincolato, rispetto al quale l'interessata non avrebbe potuto apportare alcun contributo partecipativo (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 07.09.2011, n. 5028; Id, Sez. IV, 17.09.2012, n. 4925).
Tale principio è applicabile per il diniego di condono e, a fortiori, per il conseguente, ineludibile, ordine di demolizione.
Anche il quarto motivo d’appello è infondato, poiché nel caso di specie l’Amministrazione comunale non aveva alcun obbligo specifico di motivare la concreta applicazione della sanzione della demolizione.
Il Comune, nel momento in cui ha rilevato l’insanabilità dell’opera, conseguentemente e doverosamente ne ha ordinato la demolizione; il pedissequo provvedimento demolitorio risulta, dunque, in re ipsa motivato.
Infatti, a fronte del diniego di sanatoria, l’ordinanza di demolizione si appalesa come atto meramente consequenziale al diniego e l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né, infine, può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può avere legittimato (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 31.08.2010, n. 3955).
Pertanto, il Collegio deve ribadire, in adesione a costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il provvedimento di repressione degli abusi edilizi (ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle fattispecie di illecito previste dalla legge (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2014 n. 3147 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per quanto riguarda il vincolo stradale, per le opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, questo Consiglio ha adottato l’orientamento che si tratti di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito dall'art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Per quanto riguarda il vincolo stradale, per le opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, questo Consiglio ha adottato l’orientamento che si tratti di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito dall'art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2014, n. 485) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 23.06.2014 n. 3140 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo stradale opera anche per sopraelevazioni.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale, prescritto dal D.M. n. 1404 del 1968, si traduce in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree legalmente inedificabili, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Tale vincolo deve ritenersi operante anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, infatti, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale, prescritto dal D.M. n. 1404 del 1968, si traduce in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree legalmente inedificabili, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Tale vincolo, inoltre, deve ritenersi operante anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana , sez. III, 23.07.2012, n. 1349).
Ciò detto, il Collegio rileva che, nella fattispecie in esame, i lavori abusivi, oggetto della richiesta di sanatoria, rientravano pienamente nella fascia di rispetto stradale in quanto, lungi dal costituire un manufatto distinto e ulteriore rispetto a quello originario, rappresentavano un ampliamento, peraltro di non irrilevante consistenza, dell’edificio originario che, a sua volta fronteggiava la sede stradale.
Risultava, pertanto, indiscussa l'operatività del vincolo imposto con D.M. n. 1404/1968.
Per tali ragioni, l’Amministrazione correttamente faceva applicazione dell’art. 33 della L. 28.02.1985 n. 47 ed escludeva la sanabilità dell’abuso. (cfr. ex multis, Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; TAR Lazio, Roma, sez. I, 12.11.2008, n. 10100; Cons. St., sez. IV, 18.10.2002 n. 5716).
Il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale, infatti, deve essere qualificato come un vincolo di inedificabilità assoluta, incompatibile per sua natura, con qualunque manufatto, con la conseguenza che, a differenza del vincolo di cui all’art. 32, lo stesso determina un divieto di edificazione a carattere assoluto e la non sanabilità dell’opera realizzata dopo la sua imposizione, a nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico. (Cons. Stato, Sez. IV, 05.07.2000, n. 3731) (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.04.2014 n. 705 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente ……. ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti.

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2. E’ infondato il primo motivo mediante il quale si rileva la violazione dell’art. 39 delle NTA e dell’art. 7 della L. Reg. 24/1985.
2.1 L’esame degli atti consente di rilevare come l’Amministrazione comunale abbia correttamente applicato il sopra citato art. 7 e, ciò, nella parte in cui consente, nelle fasce di rispetto stradali, l’esecuzione di una serie limitata di opere edilizie, purché queste ultime non comportino l’avanzamento dell’edificio esistente sul fronte stradale.
2.2 Si è accertato, infatti, che l’intervento richiesto in sanatoria prevedeva la demolizione di un manufatto di mq. 56,79 in luogo della realizzazione di un nuovo fabbricato di mq. 172,13.
Tale intervento ricadeva all’interno di una fascia di rispetto stradale che, ai sensi, dell’art. 39, comma 1, delle NTA, costituisce area “destinata alla conservazione, alla protezione, all’ampliamento e alla creazione di spazi per il traffico pedonale e veicolare”.
2.3 Ne consegue come risulti evidente la legittimità del provvedimento e, ciò, considerando che l’ampliamento proposto andava a costituire un avanzamento verso la strada, ipotesi quest’ultima espressamente vietata dalle disposizioni sopra citate.
2.4 Si consideri, inoltre, che un costante orientamento giurisprudenziale (per tutti si veda TAR Toscana Sez. III, 24.01.2013, n. 112) ha affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente ……. ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti” (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 15.01.2014 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo autostradale ha senza dubbio carattere di vincolo di inedificabilità assoluta.
Tuttavia, nel caso di vincoli di inedificabilità assoluta sopravvenuti alla realizzazione dell’opera, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che gli stessi assumono certamente rilevanza, seppure non quali elementi di preclusione assoluta al condono, bensì costituendo vincoli relativi, ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985, che impongono una concreta valutazione di compatibilità.

Nel merito il ricorso merita accoglimento, per le ragioni che seguono.
In primo luogo, appare incontestato –in quanto ammesso anche da ASPI, cfr. il doc. 2 della ricorrente, ultimo “considerato”– che le opere abusive di cui è causa sono state realizzate negli anni 1962-1963, mentre l’attuale disciplina legislativa del vincolo autostradale –che prevede nei centri abitati una fascia di rispetto di 30 metri– è contenuta nel D.Lgs. 285/1992 e nel DPR 495/1992, vale a dire il Nuovo Codice della Strada ed il suo regolamento di attuazione (cfr. in particolare l’art. 2, comma 2, del D.Lgs. 285/1992 e l’art. 28, comma 1, lett. a, del DPR 495/1992).
In precedenza, l’art. 9 della legge 24.07.1961 n. 729 (oggi abrogato), prevedeva una fascia di rispetto di 25 metri, da osservarsi dal momento di pubblicazione sul Foglio degli annunzi legali della Provincia (FAL) dell’avviso di avvenuta approvazione del progetto della strada.
Il vincolo autostradale ha senza dubbio carattere di vincolo di inedificabilità assoluta; tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto nel parere di ASPI ivi impugnato (cfr. ancora il doc. 2 della ricorrente), non sussistono nel caso di specie i presupposti per l’applicazione dell’art. 33, comma 1, della legge 47/1985 (come richiamato dall’art. 32 della legge 326/2003), in quanto tale norma prevede espressamente che i vincoli siano anteriori alla realizzazione dell’opera abusiva (<<…siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse>>).
Nel caso di vincoli di inedificabilità assoluta sopravvenuti alla realizzazione dell’opera, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che gli stessi assumono certamente rilevanza, seppure non quali elementi di preclusione assoluta al condono, bensì costituendo vincoli relativi, ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985, che impongono una concreta valutazione di compatibilità (si veda sul punto, quale precedente specifico, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 04.05.2012, n. 2576, che ha confermato la pronuncia del TAR Lombardia, Milano, sez. II, n. 3150/2004).
Nel caso di specie, il parere negativo non effettua alcuna concreta verifica della compatibilità dell’opera con il vincolo autostradale, limitandosi ad un apodittico richiamo all’art. 33 della legge 47/1985 ed al vincolo dei 30 metri introdotto dal Nuovo Codice della Strada.
Preme ancora evidenziare che il parere non contiene neppure alcun eventuale richiamo al vincolo di 25 metri previsto dalla legge 729/1961, la cui applicabilità al caso di specie (soprattutto in ordine alla pubblicazione sul FAL dell’avviso di approvazione del progetto), non viene concretamente provata dalle parti resistenti.
Per effetto dell’accoglimento del presente ricorso, devono essere annullati gli atti impugnati, con conseguente obbligo di riavvio del procedimento di condono e di rilascio, da parte dell’Ente preposto alla tutela del vincolo autostradale, di un nuovo parere sulla compatibilità o meno - in concreto - dell’opera abusiva con le esigenze della sicurezza del traffico e con gli altri interessi pubblici sottesi al vincolo (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.10.2013 n. 2285 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAMani legate all'Anas sulla fascia di rispetto.
La c.d. «fascia di rispetto», essendo esterna al confine stradale, e dunque oltre il limite della proprietà stradale, non rientra nella sede stradale, e il suo uso o attraversamento non è suscettibile di essere oggetto di concessione da parte dell'ente proprietario della strada.

Lo ha stabilito la I Sez. del TAR Umbria con sentenza 12.08.2013 n. 448.
I giudici amministrativi hanno sottolineato come non possa essere condiviso, in quanto privo di base legale, l'avviso espresso dalla circolare del ministero delle Infrastrutture n. 2876 del 18.05.2011, che assoggetta anche il passaggio dei sottoservizi realizzati nella fascia di rispetto alla preventiva e specifica autorizzazione da parte dell'ente gestore stradale (artt. 65 e 66 del regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada, di cui al dpr 16.12.1992, n. 495).
L'art. 25, comma 1, del dlgs 30.04.1992, n. 285, dispone che «non possono essere effettuati, senza preventiva concessione dell'ente proprietario, attraversamenti od uso della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua, condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione, sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e sovrappassi, teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di combustibili liquidi, o con altri impianti e opere, che possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non intralci la circolazione dei veicoli sulle strade, garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della strada».
Secondo i giudici umbri la norma prevede chiaramente che la concessione, da richiedere, in caso di strade statali, all'Anas, secondo quanto precisato dall'art. 27 dello stesso codice della strada, occorre per gli attraversamenti e l'uso della sede stradale e relative pertinenze; in tale ambito nozionale non rientra la «fascia di rispetto», qualificata quale striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili evince, pertanto, l'inesistenza del potere concessorio dell'Anas sulla fascia di rispetto (articolo ItaliaOggi Sette del 02.09.2013).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità diniego condono edilizio opere all’interno della fascia di rispetto autostradale.
Il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della L. 24.07.1961 n. 729 del 1961 e dal D.M. 1404 del 1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale rientrano nella previsione di cui all’art. 33, comma 1, lett. d), della L. 28.02.1985 n. 47 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria.

Come è ben noto, il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della L. 24.07.1961 n. 729 del 1961 e dal susseguente D.M. 1404 del 1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 30.09.2008 n. 4719 e Cass. Civ., Sez. II, 03.11.2010 n. 22422).
In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale rientrano nella previsione di cui all’art. 33, comma 1, lett. d), della L. 28.02.1985 n. 47 e non sono pertanto suscettibili di sanatoria (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 18.10.2002 n. 5716 e 25.09.2002 n. 4927) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.04.2013 n. 2062 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In relazione alle opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è in presenza di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di “edificazione” sancito dall’art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di "distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, legge 06.08.1967, n. 765"), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
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Il vincolo urbanistico sulle distanze minime a protezione del nastro stradale, previsto dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, a differenza di quello di inedificabilità relativa previsto dall’art. 32 –che può essere rimosso a discrezione dell’Autorità preposta alla cura dell’interesse tutelato–, contiene un divieto di edificazione di carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell’opera abusiva realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto.
Ed in effetti, in tema di sanatoria di abusi edilizi in applicazione della legge n. 47 del 1985, la natura del vincolo riveniente da una fascia di rispetto stradale differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo, dovendosi ammettere solo nel primo caso la possibilità di sanatoria (previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32), che resta invece esclusa nella seconda ipotesi, ai sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d); ciò in quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione temporis- consente la sanatoria –tra le altre ipotesi– per le opere abusive “in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 ... sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” (lett. c), quando esse siano “... insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione ...”, sicché soltanto in tale caso, attesa la natura «relativa» del vincolo (ai fini della sanatoria), l’Amministrazione deve darsi carico di verificare che le opere “... non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”, mentre per gli interventi realizzati dopo l’imposizione del vincolo opera la preclusione assoluta di cui all’art. 33, comma 1.

In relazione alle opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è in presenza di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di “edificazione” sancito dall’art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di "distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19, legge 06.08.1967, n. 765"), non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2076).
Quanto, poi, all’asserita sanabilità dell’abuso, va ricordato che esso, risalente al 1973, è stato realizzato dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n. 1404 del 1968, onde ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 1, della legge n. 47 del 1985 (“Le opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) …; b) …; c) …; d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”).
E’ stato in proposito rilevato che il vincolo urbanistico sulle distanze minime a protezione del nastro stradale, previsto dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, a differenza di quello di inedificabilità relativa previsto dall’art. 32 –che può essere rimosso a discrezione dell’Autorità preposta alla cura dell’interesse tutelato–, contiene un divieto di edificazione di carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell’opera abusiva realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto (v. Cons. Stato, Sez. IV, 05.07.2000 n. 3731).
Ed in effetti, in tema di sanatoria di abusi edilizi in applicazione della legge n. 47 del 1985, la natura del vincolo riveniente da una fascia di rispetto stradale differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo, dovendosi ammettere solo nel primo caso la possibilità di sanatoria (previa acquisizione del parere previsto dall’art. 32), che resta invece esclusa nella seconda ipotesi, ai sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d); ciò in quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione temporis- consente la sanatoria –tra le altre ipotesi– per le opere abusive “in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 ... sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” (lett. c), quando esse siano “... insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione ...”, sicché soltanto in tale caso, attesa la natura «relativa» del vincolo (ai fini della sanatoria), l’Amministrazione deve darsi carico di verificare che le opere “... non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”, mentre per gli interventi realizzati dopo l’imposizione del vincolo opera la preclusione assoluta di cui all’art. 33, comma 1 (cfr., TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 26.01.2006, n. 22)
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 12.03.2013 n. 405 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Collegio osserva che un pacifico orientamento giurisprudenziale ha affermato che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale abbia carattere assoluto e prescinda dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti qual è nel caso di specie un filare di alberi.
Tale principio trova applicazione per tutte le opere stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali utilizzati.
Ne consegue che le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto stradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di venti metri per il caso specifico), se costruite dopo l'imposizione del vincolo (come nel caso di specie), rientrano nella previsione di cui all'art. 33, comma 1, lett. d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.

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Il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto stradale non deriva dalla pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che rendono il suolo ad esso soggetto legalmente inedificabile, sicché tale vincolo non ha né un contenuto propriamente espropriativo né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione, dovendosi tenere conto, invece, di esso nella determinazione dell’indennità di esproprio.
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1) Con atto ritualmente notificato e depositato, il nominato ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, relativo al diniego di sanatoria di un piccolo magazzino/ripostiglio realizzato abusivamente a servizio dell’appartamento di proprietà, chiedendone –previa la sospensione (la relativa istanza è stata respinta con ordinanza n. 224 del 1997), l’annullamento per i tre motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio nei quali parte ricorrente lamenta:
   - il vincolo stradale che non consentirebbe la sanatoria non sarebbe assoluto, ma relativo, dovendosi diversamente considerare in violazione dell’art. 42 della Costituzione perché non soggetto a decadenza né a indennizzo;
   - trattandosi di vincolo relativo, l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto chiedere il parere all’Autorità preposta al vincolo anziché affermare apoditticamente l’insanabilità dell’abuso edilizio;
   - mancherebbe il necessario parere di compatibilità espresso dall’Autorità preposta al vincolo e un’adeguata motivazione sulle ragioni del contrasto dell’abuso con il vincolo stesso che in realtà non sussisterebbero, essendo collocato il manufatto al di sotto della sede stradale e dietro una fila di cipressi secolari che lo sovrastano.
Una memoria difensiva è stata depositata dal ricorrente in data 14.12.2012. In tale atto, oltre a insistere sui motivi dedotti viene dedotto che sarebbe stata rilasciata nel 2001 un’autorizzazione a sanatoria per un altro abuso (serra) posto a ridosso della strada e ciò confermerebbe la tesi già propugnata che nella specie si tratterebbe di un vincolo di in edificabilità relativa.
L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
2) Il ricorso, nei tre motivi dedotti che possono essere trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
Il Collegio osserva che un pacifico orientamento giurisprudenziale anche di questa Sezione, che il Collegio non ha motivo di disattendere, ha affermato che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale abbia carattere assoluto e prescinda dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al vincolo sancito dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti qual è nel caso di specie un filare di alberi (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008 n. 4719; TAR Toscana, Sez. 3^ 23.07.2012, n. 1347).
Tale principio trova applicazione per tutte le opere stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali utilizzati.
Ne consegue che le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto stradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di venti metri per il caso specifico), se costruite dopo l'imposizione del vincolo (come nel caso di specie), rientrano nella previsione di cui all'art. 33, comma 1, lett. d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
Il ricorrente, che ha realizzato un'opera abusiva all'interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non può, quindi, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall'art. 32, comma 2, lett. c), della citata legge n. 47 del 1985 (per cui "Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sotto indicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: [...] c) in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 n. 1404 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico"), perché nella fattispecie in esame il vincolo sull'area era stato imposto prima della costruzione del manufatto. Donde l’Amministrazione non doveva e non poteva sottoporre l’istanza all’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e inderogabile, non occorreva alcuna particolare motivazione che si facesse carico della situazione in concreto, essendo sufficiente la verifica della violazione del limite di distanza dalla strada, configurandosi l'atto di diniego come un provvedimento del tutto vincolato. In tal senso, neppure la presenza di una fila di secolari cipressi posti sul ciglio stradale innanzi, quindi, al manufatto abusivo, poteva costituire motivo di deroga, posto che, verificandosi esigenze di pubblica necessità, anche tali alberi potrebbero essere rimossi.
Dal che consegue, in particolare, anche l'infondatezza dei vizi dedotti nel secondo e terzo motivo, come pure l’irrilevanza della circostanza, peraltro non dimostrata con il deposito del titolo rilasciato dall’Amministrazione, della sanatoria ottenuta nel 2001 per altro manufatto adibito a serra,non potendo giustificare eventuali illegittime precedenti autorizzazioni l'adozione di un provvedimento in ripetuta violazione della legge. E ciò a prescindere dalla precarietà propria della tipologia di abuso che sarebbe stato sanato.
Di alcun rilievo è, infine, la tesi che una tale qualificazione renderebbe la disciplina del vincolo derivante dal rispetto delle fasce autostradali contrario all’art. 42 della Costituzione. Come evidenziato, infatti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di rispetto stradale non deriva dalla pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che rendono il suolo ad esso soggetto legalmente inedificabile, sicché tale vincolo non ha né un contenuto propriamente espropriativo né può qualificarsi come preordinato all’espropriazione, dovendosi tenere conto, invece, di esso nella determinazione dell’indennità di esproprio (cfr. Cass.ne. Sez. I^ Civile, 13.04.2012 n. 5875; 06.09.2006 n. 19132) (
TAR Toscana, Sez. III, sentenza 24.01.2013 n. 112 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale prescritte dal D.M. n. 1404 del 1968 si traduce in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree legalmente inedificabili, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale, con la conseguenza che tale limitazione deve ritenersi operativa anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
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L’art. 33 della L. 28.02.1985 n. 47 non consente alcuna possibilità di deroga da parte dell'autorità preposta –a differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta all'interno del centro abitato– in relazione alle opere costruite successivamente all’imposizione del vincolo, sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione provinciale ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de qua.

Si sottolinea, infatti, che, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale prescritte dal D.M. n. 1404 del 1968 si traduce in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree legalmente inedificabili, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale, con la conseguenza che tale limitazione deve ritenersi operativa anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II, 03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana, sez. III, 23.07.2012, n. 1349).
Nella fattispecie, dunque, trova applicazione l’art. 33 della L. 28.02.1985 n. 47, che non consente alcuna possibilità di deroga da parte dell'autorità preposta –a differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta all'interno del centro abitato– in relazione alle opere costruite successivamente all’imposizione del vincolo, sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione provinciale ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de qua (cfr. ex multis, Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; TAR Lazio, Roma, sez. I, 12.11.2008, n. 10100; Cons. St., sez. IV, 18.10.2002 n. 5716).
Il Collegio rileva, inoltre, l’adeguatezza dell’istruttoria condotta dall’amministrazione che non ha trascurato di esaustivamente considerare le diverse opere oggetto di sanatoria; dallo stesso atto gravato emerge, infatti, che gli altri abusi hanno ricevuto una diversa valutazione in quanto realizzati prima del 13.04.1968, data di entrata in vigore del D.M. n. 1404 del 1968 (abusi indicati ai punti 1, 4 e 6) ovvero in quanto realizzati in conformità alla distanza prescritta (abuso indicato al punto 5) o, infine, in quanto sostanziatisi in una mera modifica di destinazione d’uso senza aumento di superficie e volume (abuso indicato al punto 3).
Quanto alla deduzione diretta a contestare il diverso trattamento riservato dall’amministrazione in relazione ad altre costruzioni asseritamente edificate in palese violazione dell’art. 4 del D.M. n. 104 del 1968, il Collegio, oltre a rilevare che tale argomentazione è stata prospettata, peraltro genericamente, solo nella perizia di parte depositata in data 31.08.2012, sottolinea che la disparità di trattamento non rileva quando si tratta di rivendicazione di posizioni riconosciute ad altri in modo illegittimo in quanto, altrimenti, il giudice si troverebbe a dover consentire un'applicazione incongrua ed illegittima della normativa in favore del mero principio di par condicio (cfr. ex multis, Cons. St., sez. VI, 27.08.2010, n. 5980; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.09.2010, n. 3763; TAR Lazio, Roma, sez. I, 07.09.2010, n. 32113) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 26.10.2012 n. 4283 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, dal che si è tratta la conseguenza che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in violazione di detto vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale.
Si rammenta sul punto: "il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, dal che si è tratta la conseguenza che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in violazione di detto vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale - Consiglio Stato, sez. IV, 06.05.2010, n. 2644" (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.10.2012 n. 5204 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative.
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In presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente non edificabili".

La giurisprudenza ha correttamente concluso che il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
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Deve dunque concordarsi con la Cassazione che, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente non edificabili" (cfr. infra multa: Cassazione civile, sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cassazione civile, sez. I, 28.10.2005, n. 21092) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.09.2012 n. 5113 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Insanabilità opere su area di rispetto autostradale.
Il vincolo di rispetto autostradale previsto dal D.M. n. 1404/1968 comporta, dopo la sua imposizione, un divieto di edificabilità di carattere assoluto ex art. 33 (opere non suscettibili di sanatoria), comma 1, lett. d, della Legge n. 47/1985, differente dalla inedificabilità relativa e rimuovibile, di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985.
Come correttamente ritenuto dal TAR, ricadendo la fattispecie in esame nel contesto dell’art. 33, comma 1, lett. d, della Legge n. 47/1985 (opere non suscettibili di sanatoria), l’Amministrazione comunale non era tenuta ad acquisire alcun parere da parte dell’Autorità preposta al vincolo di rispetto stradale che nella specie era l’A.N.A.S.
Il vincolo di rispetto autostradale, previsto dal D.M. n. 1404/1968, comporta infatti un divieto di edificabilità di carattere assoluto dopo la sua imposizione, differentemente dalla inedificabilità relativa e rimuovibile, di cui all’art. 32 della legge n. 46/1985 
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.08.2012 n. 4432 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un’area contigua all’arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall’Ente proprietario o gestore per l’esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti qual è nel caso il muro di confine con la strada.
Tale principio trova applicazione per tutte le opere stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali utilizzati.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e inderogabile, non occorre alcuna particolare motivazione che si faccia carico della situazione in concreto, essendo sufficiente la verifica della violazione del limite di distanza dalla strada dato che l’atto di diniego si configura come un provvedimento del tutto vincolato. Dal che consegue anche l’infondatezza del vizio di disparità di trattamento, peraltro genericamente dedotta, non potendo giustificare eventuali illegittime precedenti autorizzazioni l’adozione di un provvedimento in ripetuta violazione della legge.
Neppure l’esistenza di un muro di confine fra l’opera abusiva e la fascia posta a rispetto della strada può costituire una deroga al divieto posto dalla legge posto che verificandosi la necessità anche tale muro di cinta può essere oggetto di interventi ripristinatori.
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La specialità del procedimento di condono edilizio, rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare, e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi presupposti e delle condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore.

Va detto che un pacifico orientamento giurisprudenziale che il Collegio non ha motivo di disattendere, ha da tempo affermato che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale abbia carattere assoluto e prescinda dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare un’area contigua all’arteria stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall’Ente proprietario o gestore per l’esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti qual è nel caso il muro di confine con la strada (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008 n. 4719).
Tale principio trova applicazione per tutte le opere stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali utilizzati.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e inderogabile, non occorre alcuna particolare motivazione che si faccia carico della situazione in concreto, essendo sufficiente la verifica della violazione del limite di distanza dalla strada dato che l’atto di diniego si configura come un provvedimento del tutto vincolato. Dal che consegue anche l’infondatezza del vizio di disparità di trattamento, peraltro genericamente dedotta, non potendo giustificare eventuali illegittime precedenti autorizzazioni l’adozione di un provvedimento in ripetuta violazione della legge.
Neppure l’esistenza di un muro di confine fra l’opera abusiva e la fascia posta a rispetto della strada può costituire una deroga al divieto posto dalla legge posto che verificandosi la necessità anche tale muro di cinta può essere oggetto di interventi ripristinatori.
La circostanza che dalla data di realizzazione dell’opera il Comune non abbia adottato alcun provvedimento repressivo non costituisce legittimo affidamento al mantenimento del manufatto abusivo né impedimento per l’Amministrazione al ripristino della legalità in occasione dell’esame della domanda di sanatoria.
Quanto alla mancanza del parere della C.E., va detto che l’orientamento costante dei giudici amministrativi è nel senso che la specialità del procedimento di condono edilizio, rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare, e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria c.d. straordinaria (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi presupposti e delle condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. IV, 03.08.2010 n. 5156) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 23.07.2012 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Diniego di rilascio del Permesso di costruire nel caso in cui la costruzione ricada nella fascia di rispetto stradale.
E’ legittimo il diniego di rilascio di un permesso di costruire per una costruzione che ricade nella fascia di rispetto stradale, atteso che il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili; da ciò deriva la conseguenza che il diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in violazione di detto vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per il traffico stradale (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2010, n. 2644) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.05.2012 n. 2842 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

PATRIMONIOLa proprietà delle scarpate stradali. Chi deve provvedere alla manutenzione e come si determinano i confini.
Le scarpate stradali sono da considerarsi parti delle strade su cui insistono, in quanto pertinenze la cui staticità influisce sull'agibilità delle strade stesse. In tal senso, esse possono essere paragonate ai fossi e alle banchine.
Del resto, lo stesso articolo 3, n. 10), del decreto legislativo n. 285/1992 (Codice della strada) prevede espressamente che in assenza di atti di acquisizione o di fasce di esproprio di progetto, i confini stradali vadano rinvenuti nel piede della scarpata, se la strada è in rilevato, o nel ciglio superiore della scarpata, se la strada è in trincea.
I soggetti onerati della manutenzione delle scarpate.
Da quanto detto, deriva che proprietario delle scarpate e onerato del loro mantenimento è esclusivamente l'ente proprietario della strada. I privati proprietari dei fondi limitrofi, invece, non hanno alcun obbligo in tal senso.
Su questi ultimi, piuttosto, ricade un obbligo manutentivo relativamente alle ripe che sono situate nei fondi limitrofi alle strade, ovverosia relativamente a quelle zone di terreno immediatamente sovrastanti o sottostanti le scarpate.
Sulla base dell'articolo 31 del Codice della strada, infatti, i proprietari delle ripe sono chiamati a mantenerle in una condizione tale da non rischiare di causare frane, cedimenti o ingombri delle strade, cadute di massi o materiali o qualsiasi ulteriore insidia atta a generare danni.
Del resto, l'ente proprietario della strada, pur se chiamato, ai sensi dell'articolo 14 del Codice della strada, a provvedere alla manutenzione e alla pulizia non solo della sede stradale in senso stretto ma anche delle sue pertinenze, non può veder esteso il proprio obbligo di tutela della sicurezza degli utenti della strada sino al punto di doversi occupare della gestione anche di zone estranee ad essa, pur se circostanti.
Il parere n. 2158/2012 del Consiglio di Stato.
Sulla questione si sono espressi in diverse occasioni sia i giudici di merito che i giudici di legittimità, ma una particolare rilevanza la assume il parere n. 2158 reso dal Consiglio di Stato in data 09.05.2012, con il quale, nel respingere il ricorso dinanzi al Presidente della Repubblica fatto da un privato cittadino avverso una delle numerose ordinanze emesse dai Comuni nei confronti dei proprietari dei fondi limitrofi alle sedi stradali, si è fatta chiarezza circa i confini degli obblighi manutentivi dei privati rispetto a quelli degli enti gestori delle strade.
Tale parere risulta rilevante, peraltro, anche per aver precisato, confermando la sentenza della Cassazione n. 1730 del 25.06.2008, come per la definizione di "strada" (e in conseguenza della scarpata) assuma rilievo la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico e non la titolarità pubblica o privata della proprietà (commento tratto da www.studiocataldi.it).
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MASSIMA
Per la definizione di “strada” assume rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà.
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L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor S.V. avverso l’ordinanza del Comune di Terni concernente esecuzione di lavori su terreni confinanti con strada pubblica;
...
Premesso:
Con ordinanza n. 13217 del 21.01.2009, il sindaco del Comune di Terni, ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, ha intimato a tutti i proprietari ed ai soggetti aventi titolo sui terreni confinanti con il corpo delle strade di pubblico transito, di tenere regolate le siepi, togliere i rami che si protendono oltre il confine stradale, rimuovere gli alberi che cadono sul piano stradale, non piantare alberi, siepi, piantagioni nelle fasce di rispetto laterali alle strade all’esterno di centri abitati relativamente ai tratti in rettilineo o in curva, nonché nelle aree di visibilità in corrispondenza delle intersezioni.
L’ordinanza prevede che i suddetti lavori debbano essere eseguiti entro il 20.05.2009, disponendo, in caso di violazione, l’avvio di azioni di tutela ed ingerenza straordinaria con rivalsa della spesa a carico dell’inadempiente e con irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla legge per le specifiche violazioni accertate secondo le procedure di cui all’art. 211 del Codice della Strada, salvi gli interventi di indifferibile urgenza.
Avverso tale ordinanza propone ricorso straordinario al Capo dello Stato il signor S.V., proprietario di alcune particelle di terreno prospicienti strade, chiedendone l’annullamento per eccesso di potere per falsità dei presupposti, travisamento dei fatti e illogicità manifesta.
In sintesi il ricorrente, premesso che le strade di interesse sono diventate di pubblico transito raramente per cessione volontaria ma soprattutto per acquisizione appropriativa e/o accessione invertita, con ampliamenti non risultanti in catasto (per cui pende causa civile attivata dal ricorrente), ritiene che le opere imposte relativamente alle scarpate confinanti con la strada siano di competenza del Comune.
Ciò in quanto l’area di pertinenza sotto la responsabilità del Comune è delimitata dal “confine stradale” inteso come “limite del corpo stradale che contiene la sede stradale, ovvero la carreggiata e le fasce di pertinenza (comprese le scarpate), come afferma peraltro la stessa ordinanza imponendo il taglio “dei rami che protendono oltre il confine stradale”.
Doglianze queste ribadite e sviluppate con memoria aggiunta presentata, a confutazione delle controdeduzioni del Comune, in data 04.01.2010.
L’Amministrazione, acquisite le controdeduzioni del Comune, che deduce preliminarmente la inammissibilità del ricorso per difetto di concretezza dell’interesse fatto valere, ritiene chiede conclude per la reiezione del ricorso.
Considerato:
Pur considerando che il gravame è volto avverso un atto generale e che il ricorrente non fornisce una prova concreta degli effetti immediati dell’atto sulla propria situazione fattuale, ritiene la Sezione di poter considerare il ricorso ammissibile, tenuto conto che trattasi di atto potenzialmente in grado di incidere sui diritti e interessi del ricorrente, in quanto proprietario di aree confinanti con strade pubbliche.
Nel merito il ricorso è da respingere.
In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”, assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350 del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni confinanti con il “corpo stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d. leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, “qualora non vi siano atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto", come nel suo caso, il “confine stradale” è identificato “nel piede della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio superiore della scarpata se la strada è in trincea”, gli obblighi manutentivi ed il taglio dei sensi insistenti sulla strada e involgenti le scarpate non sono legittimamente addossabili ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare adottato in violazione della suddetta normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in questione, diretta a soggetti responsabili di terreni privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate, ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del confinante che abbia illecitamente operato sulla sede stradale medesima.
Il ricorrente, d’altra parte, non evidenzia situazioni concrete che possono, nei suoi confronti, concretare una illegittima applicazione dell’ordinanza in questione che, se verificata, potrà determinare l’attuazione di specifici rimedi contenziosi.
Né assumono consistenze le osservazioni svolte in ordine alla procedura sanzionatoria di cui l’atto impugnato fa ricognizione, coerente alle disposizioni normative vigenti, mentre non assume alcun rilievo la lamentata entità delle spese necessarie ad assicurarne l’adempimento delle prescrizioni, in luogo di una astratta azione preventiva, che rientra a pieno titolo nei poteri-doveri della Pubblica Amministrazione.
Per le esposte considerazioni l’atto impugnato non è affetto dai lamentati vizi di legittimità ed il ricorso è da respingere (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 09.05.2012 n. 2158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI: Per la definizione di “strada”, assume rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà.
L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.

In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”, assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del codice della strada, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350 del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni confinanti con il “corpo stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d. leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, qualora non vi siano atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto, come nel suo caso, il “confine stradale” è identificato “nel piede della scarpata se la strada è in rilevato o dal ciglio superiore della scarpata se la strada è in trincea”, gli obblighi manutentivi ed il taglio dei sensi insistenti sulla strada e involgenti le scarpate non sono legittimamente addossabili ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare adottato in violazione della suddetta normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada, devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale, nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in questione, diretta a soggetti responsabili di terreni privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate, ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del confinante che abbia illecitamente operato sulla sede stradale medesima (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 09.05.2012 n. 2158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO: Distanza delle costruzioni dalle autostrade.
In relazione al Suo quesito sulla distanza da rispettare dalle pertinenze autostradali “nel caso in cui si debba costruire o condonare un manufatto edile, sia in zona rurale che in zona urbana (all’interno del centro urbano)” osservo quanto segue (Regione Marche, parere 20.04.2012 n. 255/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale ha natura assoluta. Lo stesso, cioè, ha una giustificazione che non ammette prova contraria.
La sussistenza del divieto vale anche nel caso in cui il vincolo sopravvenga alla realizzazione della costruzione e nel caso in cui il sedime autostradale si trovi a un livello diverso da quello della realizzanda costruzione. Di talché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale. Ovvero anche nel caso, invero speculare, di costruzioni realizzate ad un livello superiore rispetto al sedime autostradale.
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L’art. 4 d.m. 01.04.1968 n. 1404 si limita ad imporre il divieto di edificazione senza ulteriormente specificare, onde deve ritenersi l’irrilevanza del carattere frontistante alla strada dell’ampliamento.

Il ricorso in esame è rivolto avverso il parere negativo rilasciato dalla società Autostrade relativamente alla deroga al rispetto delle distanze autostradali per la ristrutturazione di un immobile.
Con il primo motivo i ricorrenti, dopo avere evidenziato come il vincolo di inedificabilità sia funzionale al perseguimento di interessi e utilità pubbliche, hanno lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto, per la conformazione dei luoghi e le caratteristiche dell’area ove è previsto l’intervento edilizio, non sarebbe ravvisabile, nella specie, alcun interesse o utilità pubblica nel rispetto del vincolo.
Il motivo è infondato: il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale ha natura assoluta (da ultimo Cass. civ. II 22.11.2010 n. 22422). Lo stesso, cioè, ha una giustificazione che non ammette prova contraria.
La sussistenza del divieto vale anche nel caso in cui il vincolo sopravvenga alla realizzazione della costruzione e nel caso in cui il sedime autostradale si trovi a un livello diverso da quello della realizzanda costruzione. Di talché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009, n. 1383). Ovvero anche nel caso, invero speculare, di costruzioni realizzate ad un livello superiore rispetto al sedime autostradale (Cass. civ. II 03.02.2005 n. 2164).
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Con il secondo motivo i ricorrenti invocano il disposto dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. 495/1992 recante regolamento di esecuzione del codice della strada sostenendo che il divieto di costruzione vale esclusivamente riguardo alle costruzioni che fronteggiano la strada e non già gli ampliamenti non fronteggianti la strada per essere, ad esempio, che come nel caso di specie .
Il motivo è infondato.
Il complesso normativo che regole le distanze dalle strade è ancora costituito dal d.m. 01.04.1968 n. 1404 per effetto della norma transitoria contenuta all’art. 234, comma 5, cds che recita: “Le norme di cui agli articoli 16, 17 e 18 si applicano successivamente alla delimitazione dei centri abitati prevista dall'articolo 4 ed alla classificazione delle strade prevista dall'articolo 2, comma 2. Fino all'attuazione di tali adempimenti si applicano le previgenti disposizioni in materia”.
Poiché il decreto ministeriale previsto dall’art. 2, comma 8, non è stato mai emanato, con conseguente impossibilità di classificazione delle strade, per effetto del disposto della norma transitoria di cui all’art. 234, comma 5, cds è ancora applicabile il complesso normativo previgente cioè per quanto qui interessa il d.m. 01.04.1968 n. 1404.
La misura della fascia di rispetto autostradale così come disciplinata dall'art. 26 del regolamento di attuazione del codice della strada e dall'art. 16, comma 3, c. strad., in base al disposto dell'art. 234, comma 5, del codice, si applica "successivamente alla delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4 ed alla classificazione delle strade prevista dall'art. 2, comma 2. Fino all'attuazione di tali adempimenti si applicano le previgenti disposizioni in materia". La classificazione delle strade in conformità alle indicazioni di cui all'art. 2, comma 2, è demandata ad un decreto del Ministro delle infrastrutture, non emanato, con conseguente inapplicabilità della norme richiamate (TAR Toscana Firenze, sez. III, 12.07.2010, n. 2449).
Orbene l’art. 4 d.m. 01.04.1968 n. 1404 si limita ad imporre il divieto di edificazione senza ulteriormente specificare, onde deve ritenersi l’irrilevanza del carattere frontistante alla strada dell’ampliamento
(TAR Liguria, Sez. I, sentenza 13.02.2012 n. 281 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Cosicché le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti
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Come affermato da recente giurisprudenza, che il Collegio condivide, “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Cosicché le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass. civ., n. 6118/1995) o che costituiscano mere sopraelevazioni (Cass. civ., n. 193/1987) o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti
” (TAR Campania, Napoli, VIII, 14.03.2011, n. 1461; altresì, ex multis, Cassazione civile, II, 03.11.2010, n. 22422; Consiglio di Stato, IV, 14.04.2010, n. 2076) (TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 05.10.2011 n. 2353 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per espresso dato normativo (art. 9 della legge 24/07/1961 n. 729), le fasce di rispetto autostradali sono soggette a vincolo di inedificabilità assoluta non suscettibile a deroghe o sanatorie.
Sul punto conforta altresì l’orientamento giudice di seconde cure. Il Consiglio di Stato ha chiarito come le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l'imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all'articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
Le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopralevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
In altri termini, in presenza di una norma introduttiva di un vincolo di inedificabilità assoluto, non può operare, all’interno del procedimento volto all’eventuale rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, l’istituto del silenzio significativo per l’acquisizione del parere da parte dell’autorità preposta alla tutela dello specifico vincolo.
Né come già sopra evidenziato, possono venire il rilievo le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima.

Analoga questione è stata già affrontata da questa sezione con la condivisibile sentenza n. 1070/2009 dalla quale il Collegio non trae oggi motivo di discostarsi.
Ed invero il dettato letterale dell’art. 23, comma nono, della L.R. n. 37/1985 prevede la concedibilità del titolo edilizio in sanatoria per le costruzioni realizzate all’interno delle fasce di rispetto “stradali”, come definite dal D.M. 01/04/1968 e “semprechè a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”.
Si osserva a tal fine che per espresso dato normativo (art. 9 della legge 24/07/1961 n. 729), le fasce di rispetto autostradali sono soggette a vincolo di inedificabilità assoluta non suscettibile a deroghe o sanatorie.
Sul punto conforta altresì l’orientamento giudice di seconde cure. Il Consiglio di Stato ha chiarito come le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l'imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all'articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell'articolo 41-septies, commi 1 e 2, della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall'articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) "Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell'edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'Interno, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica".
Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché -ai sensi del D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a venticinque metri all'interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell'articolo 9, comma 1, della legge 24.07.1961, n. 729). [...]
Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell'opera realizzata. Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall'articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (Cons. Stato, sez. IV, 18.10.2002 n. 5716; Cons. Stato, sez. IV, 25.09.2002 n. 4927; Cons. Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968).
In altri termini, in presenza di una norma introduttiva di un vincolo di inedificabilità assoluto, non può operare, all’interno del procedimento volto all’eventuale rilascio di una concessione edilizia in sanatoria, l’istituto del silenzio significativo per l’acquisizione del parere da parte dell’autorità preposta alla tutela dello specifico vincolo.
Né come già sopra evidenziato, possono venire il rilievo le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima (cfr. TAR Lombardia Brescia, sez. I, 30.04.2010, n. 1628; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II, 20.05.2009, n. 768; Consiglio Stato, sez. IV, 14.04.2010, n. 2076) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 20.09.2011 n. 1663 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale - Art. 9 L. n. 729/1961 - Finalità - Divieto assoluto di edificare - Verifica in concreto dei rischi per la circolazione stradale - Necessità - Esclusione.
Il divieto di costruire a una certa distanza dal nastro autostrdale, imposto dall'art. 9 l. n. 729/1961 e dal d.m. Lavori Pubblici 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibilità di costituire, per la prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, in quanto è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni.
Pertanto, il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale (Cass. civ., sez. II, 03.11.2010 n. 22422; Cons. Stato, sez. IV, 14.04.2010 n. 2076).
Fascia di rispetto autostradale - Divieto di costruire a distanza inferiore a 25 metri - Art. 9, c. 1 L. n. 729/1961 - Vigenza - Autostrade costruite successivamente all’entrata in vigore della legge.
Il divieto di costruire di ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie, a distanza inferiore a 25 m. dal limite della zona di occupazione dell'autostrada, di cui all'art. 9, 1° comma, l. 24.07.1961, n. 729, opera soltanto per le autostrade la cui costruzione è avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge medesima, oppure alle autostrade la cui costruzione è stata già concessa anteriormente a tale data.
È la stessa lettera della legge ad implicare tale conclusione, laddove fa riferimento alle autostrade e ai relativi accessi, previsti sulla base di progetti regolarmente approvati: tanto basta a rendere inapplicabile la nuova normativa ad autostrade già edificate in base al generale principio della irretroattività sancito dall'art. 11 delle preleggi (Consiglio di Stato sez. IV, 29.04. 2002 n. 2277) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.06.2011 n. 3498 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAE' vero che, in base al T.U. n. 380/2001, la ristrutturazione edilizia può consistere nella demolizione e ricostruzione di un edificio, ma questo ha rilievo solo dal punto di vista edilizio. Ai fini dell’applicazione delle norme del Codice della Strada, invece, la demolizione e fedele ricostruzione è assimilata ad una nuova costruzione (art. 26, commi 2 e 3, DPR n. 495/1992). Questo obbedisce all’esigenza di rimuovere con il tempo situazioni di pericolo che preesistevano all’introduzione delle fasce di rispetto.
E' vero che, in base al T.U. n. 380/2001, la ristrutturazione edilizia può consistere nella demolizione e ricostruzione di un edificio, ma questo ha rilievo solo dal punto di vista edilizio. Ai fini dell’applicazione delle norme del Codice della Strada, invece, la demolizione e fedele ricostruzione è assimilata ad una nuova costruzione (art. 26, commi 2 e 3, DPR n. 495/1992).
Questo obbedisce all’esigenza di rimuovere con il tempo situazioni di pericolo che preesistevano all’introduzione delle fasce di rispetto (TAR Marche, sentenza 26.05.2011 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Vincolo di inedificabilità assoluto - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto (conforme Cons. Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale. (Tar Toscana, sez. II, sentenza 25.06.2007, n. 934; Tar Liguria, I, 05.07.2010, n. 5565; Cass. civ., II, 03.11.2010, n. 22422) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 21.03.2011 n. 450 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: D.M. 01.04.1968 n. 1404 - Fascia di rispetto autostradale - Vincolo assoluto di inedificabilità - Condono edilizio - Non ammissibile - Caratteristiche concrete delle opere abusive - Non rilevano.
Nell'ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto e la sua violazione impedisce il conseguimento di una concessione edilizia a seguito di domanda di condono edilizio, essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell'ambito della fascia medesima (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.03.2011 n. 603 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Inedificabilità assoluta - Abusi - Insuscettibilità di sanatoria.
Le opere realizzate all'interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l'imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all'articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
Vincolo autostradale - Carattere assoluto - Caratteristiche dell’opera - Opere che non superino il livello della sede stradale - Rilevanza - Esclusione.
Il carattere assoluto del vincolo di cui all’art. 9 della L. n. 729/1961 sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dal menzionato art. 9 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti. (Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008, n. 4719; 18.10.2002 n. 5716; 25.09.2002 n. 4927; Cons. Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 11.01.2011 n. 24 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATALe norme sulle distanze in materia urbanistica di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono che le distanze minime a protezione del nastro stradale debbono osservarsi nell'edificazione fuori del perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei confronti di quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività edificatoria un vincolo (ontologico e funzionale) d'assoluta inedificabilità la cui applicazione costituisce puntuale esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47.

La Sezione condivide l’orientamento giurisprudenziale secondo cui “le norme sulle distanze in materia urbanistica di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono che le distanze minime a protezione del nastro stradale debbono osservarsi nell'edificazione fuori del perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale nei confronti di quanti transitano sulle strade o passano nelle immediate vicinanze ovvero in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività edificatoria un vincolo (ontologico e funzionale) d'assoluta inedificabilità la cui applicazione costituisce puntuale esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 (cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 08.01.2003 n. 20)
"
(TAR Roma-Latina, Sez. I, sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASebbene la fascia di rispetto della strada demaniale sia vincolata ad inedeficabilità assoluta dalla normativa vigente, il divieto di costruire su tale striscia di terreno non impedisce che essa sia computata come superficie fondiaria, ai fini del calcolo dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può costruire sulla parte di fondo fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò non impedisce che tale superficie debba essere presa in considerazione ai fini della determinazione della volumetria complessivamente edificabile, in quanto lo strumento urbanistico determina l’indice di fabbricabilità facendo riferimento al rapporto tra volume della costruzione e superficie del fondo, ivi compresa la parte vincolata al rispetto della sicurezza stradale.

Deve ritenersi che sebbene la fascia di rispetto della strada demaniale sia vincolata ad inedeficabilità assoluta dalla normativa vigente, il divieto di costruire su tale striscia di terreno non impedisce che essa sia computata come superficie fondiaria, ai fini del calcolo dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può costruire sulla parte di fondo fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò non impedisce che tale superficie debba essere presa in considerazione ai fini della determinazione della volumetria complessivamente edificabile, in quanto lo strumento urbanistico determina l’indice di fabbricabilità facendo riferimento al rapporto tra volume della costruzione e superficie del fondo, ivi compresa la parte vincolata al rispetto della sicurezza stradale
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'area sita in fascia di rispetto, sebbene inedificabile, esprime una volumetria concentrabile sulle aree adiacenti esterne a detta fascia, secondo i parametri nelle stesse fissate e, quindi, concorre per intero alla determinazione della superficie utile ai fini del calcolo della cubatura assentibile e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e consolidato in giurisprudenza, secondo cui la fascia di rispetto partecipa, come regola generale e salvi gli specifici obblighi da essa nascenti, della natura e della disciplina della zona nella quale essa è inserita, concorrendo alla determinazione delle capacità edificatorie della più vasta area in cui essa è inclusa.
Il vincolo derivante da una fascia di rispetto stradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere inedificabile l'area che vi ricade, posto che la "ratio" delle disposizioni che danno origine alla cosiddetta "zona di rispetto viario" sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale, con la conseguenza che tali aree possono essere computabili ai fini della volumetria edificabile.
Le norme che impongono vincoli di rispetto dalla sede stradale operano al pari della disciplina sulle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e confini, che hanno natura edilizia ed impongono arretramenti e distacchi, senza incidenza sulla vocazione edificatoria del suolo compreso nella distanza, la quale, a sua volta, trae origine dalla disciplina a natura urbanistica.

La “fascia di rispetto stradale” costituisce un vincolo al quale è riconosciuta natura “conformativa”, per essere configurato in maniera obiettiva e rispetto alla totalità dei soggetti e beni che si trovano nelle suddette condizioni nonché in considerazione del fatto che esso non è funzionale ad alcuna vicenda ablatoria, per cui non incide sulla qualità edificatoria della superficie, che deriva esclusivamente dalla destinazione impressa dalla zonizzazione nello strumento urbanistico.
L’amministrazione sostiene, nella specie, che l’area derivante dalla fascia di rispetto stradale, essendo graficizzata come zona bianca, non potrebbe essere computata ai fini volumetrici, non essendo compresa tra le aree a destinazione agricola.
Osserva il Collegio che l'area sita in fascia di rispetto, sebbene inedificabile, esprime una volumetria concentrabile sulle aree adiacenti esterne a detta fascia, secondo i parametri nelle stesse fissate e, quindi, concorre per intero alla determinazione della superficie utile ai fini del calcolo della cubatura assentibile e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e consolidato in giurisprudenza, secondo cui la fascia di rispetto partecipa, come regola generale e salvi gli specifici obblighi da essa nascenti, della natura e della disciplina della zona nella quale essa è inserita, concorrendo alla determinazione delle capacità edificatorie della più vasta area in cui essa è inclusa (conf: Cons. Stato Sez. IV 31.01.2005 n. 253; TAR Campania-Salerno, Sez. I, 27/11/2006, n. 2178; TAR Catania, I, 15.10.2007 n. 1663, in cui si richiama Cass. Civ., Sez. I 06.09.2006 n. 19132; TAR Toscana n. 1982 del 2000).
In definitiva, il vincolo derivante da una fascia di rispetto stradale ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di distanza, ma non quello di rendere inedificabile l'area che vi ricade, posto che la "ratio" delle disposizioni che danno origine alla cosiddetta "zona di rispetto viario" sono quelle di garantire la sicurezza della circolazione stradale, con la conseguenza che tali aree possono essere computabili ai fini della volumetria edificabile.
La tesi del Comune e la conclusione della relazione, posta alla base dell’attività amministrativa svolta in via di autotutela non è condivisibile, poiché la ricostruzione della cubatura assentibile effettuata appare viziata dal medesimo errore di fondo e, cioè, l'aver escluso, dalla superficie "utile" dell’unità culturale, quella oggetto della fascia di rispetto stradale.
In particolare, le norme che impongono vincoli di rispetto dalla sede stradale operano al pari della disciplina sulle distanze tra costruzioni e tra costruzioni e confini, che hanno natura edilizia ed impongono arretramenti e distacchi, senza incidenza sulla vocazione edificatoria del suolo compreso nella distanza, la quale, a sua volta, trae origine dalla disciplina a natura urbanistica.
Nella specie, la volumetria derivante dalla fascia di rispetto (pari a quella agricola 0,03) non determina un superamento della densità fondiaria: infatti per le residenze è previsto un indice di densità fondiaria di edificazione=0,03 mc/mq che è il medesimo previsto anche per la restante proprietà.
Pertanto, non risultando dimostrato che l’accorpamento della volumetria, derivante anche dal computo della fascia di rispetto, abbia superato i limiti della densità fondiaria, non esiste alcuna valida ragione per ritenere i provvedimenti autorizzativi a suo tempo assentiti non conformi alle previsioni legislative e regolamentari disciplinati la fattispecie, trattandosi, peraltro, di situazioni urbanistiche assolutamente equiparabili (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 17.11.2010 n. 2709 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La fascia di rispetto stradale ha un contenuto omnicomprensivo, che incide sulla recinzione e su qualsiasi altro manufatto avente carattere di consistenza e stabilità.
Gli interventi in questione, oggetto dell’impugnata ordinanza, sono costituiti dall’installazione di sette pali metallici alti 9 metri posti a sostegno di fari, dieci lampioni alti 3,50 metri, quattro pali portabandiera alti 7-8 metri, una zona lavaggio auto con calcestruzzo grigliato, un cartellone pubblicitario, due tettoie, zona pavimentata con grigliato in calcestruzzo, recinzione e cancello metallici anziché in legno, recinzione su cordolo in cemento armato.
Trattasi di opere che, nell’insieme, per dimensioni e destinazione modificano in via definitiva l’assetto del territorio, in contrasto sia con la zonizzazione agricola, sia con le preclusioni derivanti dalla fascia di rispetto stradale in cui esse ricadono.
Le ricorrenti, in particolare, affermano che la recinzione ed il cancello in esame rientrano tra gli interventi liberamente realizzabili, in quanto espressione del diritto di escludere i terzi dalla proprietà privata.
Al riguardo occorre considerare che la predetta fascia di rispetto ha un contenuto omnicomprensivo, che incide sulla recinzione e su qualsiasi altro manufatto avente carattere di consistenza e stabilità (TAR Toscana, III, 20/05/2002, n. 1035).
Inoltre, come specificato al punto 10 della contestata ordinanza, una parte della recinzione è su cordolo in calcestruzzo, il quale richiede il rilascio del permesso di costruire e giustifica di per sé l’ordine di rimessa in pristino, a prescindere dagli effetti della destinazione a fascia di rispetto stradale (TAR Lombardia, Milano, IV, 29/12/2009, n. 6266) (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 04.10.2010 n. 6437 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale e autostradale - Artt. 16, 17 e 18 C.d.S. e Artt. 26-28 Regolamento di attuazione - Limiti all’edificazione - Finalità - Parcheggi pertinenziali - Disciplina ex art. 6 L.r. Campania n. 19/2001 - Applicabilità - Esclusione.
L'esistenza di limiti all'edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17, e 18 Decr. Leg.vo 285/1992) e del suo Regolamento di attuazione (artt. 26, 27, e 28 D.P.R. 495/1992).
Il limite in questione è finalizzato a mantenere una fascia di rispetto utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, e per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n. 7275 del 23.12.2002; Cons. di Stato sez. IV, n. 5716 del 18.10.2002; TAR Campania-Napoli n. 5226 del 05.12.2001).
Sulla base di tali premesse deve allora escludersi che possa trovare applicazione la speciale disciplina prevista dall'art. 6 L. Reg. Campania 19/2001 in tema di parcheggi pertinenziali: il comma 8 assicura la prevalenza di essa rispetto alle sole disposizioni dei Regolamenti edilizi comunali, ma non può superare previsioni che promanano da norme primarie anch'esse speciali.
Fascia di rispetto autostradale - Tutela dell’incolumità pubblica - Applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso - Esclusione. - Art. 19, c. 4, L. n. 241/1990.
La fascia di rispetto autostradale, disciplinata dall’art. 18 del codice della strada e dall’art. 28, comma 1, del relativo regolamento, che ne hanno fissato l'ampiezza in metri 30, è prevista al fine di evitare possibili pregiudizi alla percorribilità delle strade e per assicurare l’incolumità non solo dei conducenti dei veicoli, ma anche della popolazione che risiede vicino alle autostrade.
Trattandosi, quindi, di un divieto che ha la funzione di assicurare l'incolumità pubblica, non può trovare applicazione il meccanismo del silenzio assenso, in virtù dell’espressa esclusione sancita dall'articolo 19, comma 4, della legge 241/1990 (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.07.2010 n. 16967 - link a www
.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
Giova richiamare l’art. 1 del D.Lgs. 16.12.1992, n. 495 (recante il regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada), a mente del quale “le distanze dal confine stradale all'interno dei centri abitati, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: a) 30 m per le strade di tipo A […]”.
Contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti, il termine “fronteggianti” non si riferisce affatto ai soli manufatti “in elevazione” rispetto al livello della strada, bensì a tutte le costruzioni che si trovino, in proiezione orizzontale, di fronte al confine stradale, e siano dunque finitime ad esso.
Per costante giurisprudenza, infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009, n. 1383).
Del resto, già la normativa precedente (art. 4 del D.M. 01.04.1968) -rispetto alla quale quella di cui all’art. 1 del D. Lgs. 16.12.1992, n. 495 si pone in linea di coerente continuità– stabiliva che alle distanze da osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, “va aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione di eventuali scarpate”, con ciò confermando che, al fine di escludere l’applicazione della fascia di rispetto stradale, non rileva che l’autostrada corra (come nel caso di specie) su di un rilevato posto ad una quota superiore rispetto a quella del terreno oggetto della progettata edificazione.
Per il resto, l’art. 9 della legge 24.03.1989, n. 122, nella parte in cui consente di derogare agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, costituisce norma eccezionale, non applicabile –ex art. 14 disp. prel. c.c.– oltre i casi in essa specificamente considerati (i divieti contenuti negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo stradale - Finalità - Sicurezza della circolazione - Impianto di cantieri e deposito di materiali - Opere realizzate a livello della sede stradale, non emergenti dal suolo - Rispetto delle distanze - Obbligo.
Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale non deve essere inteso restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma è connesso alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni, sicché le distanze previste dalla normativa vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009, n. 1383) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a ww
w.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristica dell’opera realizzanda e risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
Il Collegio osserva, in linea con la consolidata giurisprudenza (ex plurimis Tar Campania, Salerno, n. 1383/2009 e n. 89/2006) che:
a) l’esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione, nonché per le sole autostrade dall'art. 9 della l. 729/1961: in particolare l'art. 28 del dpr 495/1992 fissa delle "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati" (mt. 30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade), mentre il comma 1 dell'art. 9 l. n. 729/1961 pone comunque il divieto di realizzare qualsivoglia edificazione a distanza inferiore a mt. 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada;
b) la giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto di inedificabilità nella fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla caratteristica dell’opera realizzanda (CS, sez. IV, n. 4618/2008) e risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell'01-06-1995; Cons. Stato, IV, n. 7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001);
c) alla luce di quanto sopra deve escludersi che, con riferimento alla fascia di rispetto oggetto della presente controversia, possa trovare applicazione sia la speciale disciplina di cui all’art. 9 della L. n. 122/1989 sia quella regionale dettata dall'art. 6, comma 8, della L.R. Campania n. 19/2001, atteso che nelle suddette disposizioni è prevista la prevalenza rispetto alle sole disposizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi comunali, con esclusione, quindi, delle previsioni che promanino direttamente da norme primarie anch'esse speciali (TAR Lazio-Roma, Sez. III, sentenza 17.05.2010 n. 11642 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale si applica anche nel caso di opere che costituiscono mera sopraelevazione di un edificio esistente.
Come è noto, la giurisprudenza della Suprema Corte e quella del Consiglio di Stato convergono nell’affermare che il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede stradale si applica anche nel caso di opere che costituiscono –come nel caso all’esame- mera sopraelevazione di un edificio esistente (cfr. Cass. Civile II Sez. n. 2164 del 2005 e Consiglio di Stato IV Sez. n. 5716 del 2002) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.05.2010 n. 3032 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il divieto di edificare nelle fasce di rispetto stradale risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui lo stesso è di carattere assoluto, tanto che le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale.
La fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati.

Ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
L’esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell’ambito di quest’ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione, nonché per le sole autostrade dall’art. 9 della l. 729/1961.
La disciplina delle zone di rispetto stradale è oggi dettata dal Codice della Strada, approvato con il D.Lgs. n. 285/1992, e dal relativo Regolamento di cui al D.P.R. n. 495/1992.
E’ l’art. 26 del D.P.R. n. 495/1992 –in attuazione dell’art. 16 del Codice della Strada- che detta la disciplina relativa alle “fasce di rispetto fuori dai centri abitati”, prescrivendo che: “Fuori dai centri abitati… le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: …
d) 20 mt. per strade di tipo F, ad eccezione delle “strade vicinali”, come definite dall’art. 3, comma 1, n. 52 del Codice;
e) 10 mt. per le “strade vicinali” di tipo F
”;
A sua volta il comma 3 dispone:
"3. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'articolo 4 del codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.
".
Il divieto in oggetto, secondo la costante interpretazione della giurisprudenza, risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui lo stesso è di carattere assoluto, tanto che le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. TAR Campania Salerno Sez. II sent. 1383 del 09.04.2009; Cassazione Civile, sezione II, n. 2164 del 03.02.2005).
In termini più generali, va comunque osservato che, poiché il Codice della Strada contiene norme di rango primario in una materia, quale è la sicurezza della circolazione stradale, attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato, tali norme devono ritenersi oggetto di immediata applicazione sull’intero territorio nazionale cosicché ad esse devono adeguarsi gli strumenti urbanistici locali, come del resto sistematicamente ricordano le deliberazioni regionali con le quali vengono approvati i P.R.G. e le relative varianti.
La fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto autostradale - Vincolo di inedificabilità assoluto - Fondamento - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale di 60 metri, prevista dal D.M. 01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità è assoluto (Cons. Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal fine irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale (Tar Toscana, 25.06.2007, n. 934) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 30.04.2010 n. 1628 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAIl vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili.
Il vincolo prescinde dalla caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione (sancito prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal successivo D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.

Come chiarito da univoca giurisprudenza penale ed amministrativa, le fasce di rispetto previste dal codice della strada, che comportano l'inedificabilità assoluta dell'area, vanno incluse tra i vincoli previsti dal citato articolo 33, lett. d).
Ed infatti il codice stradale prevede, nell'ipotesi di violazione di dette fasce, l'obbligo per l'autore della stessa di "ripristino dei luoghi a proprie spese" (u.c. degli artt. 16, 17, 18, 19 cod. vigente). Deve, allora, escludersi l'applicabilità della sanatoria prevista dalla L. n. 326 del 2003 alle opere costruite abusivamente (Cons. St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3731; cfr. Cass. Pen., Sez. III, 25-11-2008 n. 47106).
Rileva la Sezione che il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili (posti in evidenza dalla fondamentale sentenza della Corte Costituzionale n. 133 del 1971, che ha evidenziato anche come il vincolo rilevi pur quando sopraggiunga alla realizzazione del manufatto, in ragione della riconducibilità del relativo regime giuridico alla categoria identificata dalla normativa primaria).
Il vincolo, infatti, prescinde dalla caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione (sancito prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal successivo D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni (Consiglio di Stato, sez. IV, 18.10.2002, n. 5716; id., 30.09.2008, n. 4719; id. 12.02.2010, n. 772).
D’altra parte, la correlazione del vincolo di rispetto stradale con la tutela di interessi fondamentali della collettività traspare dalla semplice osservazione dell’entità e quantità delle opere accessorie necessarie per tutelare i diritti fondamentali delle persone che abitano in insediamenti sorti incontrollatamente a ridosso delle sedi stradali (barriere antiacustiche, barriere antisfondamento, strumenti di protezione e mitigazione visiva ed ambientale, ecc. ), opere poste a carico delle finanze pubbliche e, quindi, dell’intera collettività.
Non rileva in contrario la giurisprudenza di questo Consiglio, sulla realizzabilità nella fascia di rispetto di manufatti completamente interrati e di modesta entità, tale da non compromettere gli interessi pubblici coinvolti (C.d.S sez. V, 19.06.2003, n. 3641 ).
Infatti, nel caso di specie la domanda di condono ha riguardato un vano seminterrato, quindi parzialmente sporgente dal terreno, tale da compromettere i sopra evidenziati profili di viabilità e di sicurezza.
Quanto al profilo della rilevanza della situazione di fatto in mancanza di formale provvedimento di perimetrazione del centro abitato, richiamato dal TAR per ritenere illegittimo il parere negativo, osserva la Sezione che il TAR ha considerato sussistente una circostanza rimasta indimostrata nel corso del giudizio.
L’articolo 41-septies della legge n. 1150 del 1942, come modificato con l'art. 19 della legge 06.08.1967, n. 765, ha disposto che “fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell'edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada, ... stabilite con decreto del Ministro per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l'interno, entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente legge”.
Il TAR, al riguardo, ha ritenuto che, all’epoca della sua realizzazione, il manufatto si trovava nel centro abitato, desumendo tale situazione da una presunzione, cioè dal fatto che solo nel settembre 1998 il Comune di Diso ha formalmente delimitato il territorio comunale: ciò varrebbe come “conferma a posteriori di una situazione preesistente di fatto e valutabile come tale già all’epoca del procedimento di sanatoria”.
Ritiene la Sezione che un’operazione ermeneutica del genere non sia corretta, poiché ha invertito l’onere della prova disciplinato dalla legge, spettando a chi richieda il condono l'onere di dimostrare il fatto che si sostiene e l'epoca dell'abuso e la sussistenza dei relativi presupposti (Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; id., 24.12.2008, n. 6548; V, 27.09.1996, n. 1275).
Inoltre, il TAR non ha considerato che il provvedimento di perimetrazione è stato emesso a distanza di oltre 20 anni dalla commissione dell’abuso e da esso, pertanto, non può ricavarsi nessuna presunzione di conformità dello stato di fatto esistente all’epoca dell’abuso stesso rispetto a quello ricostruito ed accertato con il provvedimento formale di limitazione del centro abitato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.04.2010 n. 2076 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Vincolo di rispetto stradale - Vincolo di inedificabilità assoluta - Sussiste.
In merito al vincolo di rispetto stradale l'esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro stradale, tanto fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla normativa del codice della Strada (art. 16, 17 e 18 d.lgs. 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione) ed ha natura cogente in quanto finalizzata alla tutela della sicurezza del traffico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 26.01.2010 n. 178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

LAVORI PUBBLICI: E' legittima la realizzazione di una piazzola ecologica, in difetto di qualsivoglia opera edilizia, nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale e di rispetto stradale.
Le isole ecologiche sono aree pubbliche sulle quali sono collocati a cielo aperto i contenitori (amovibili) per i rifiuti urbani, per cui deve essere condivisa l’obiezione addotta dal difensore del Comune, secondo cui non si tratta di opere o di manufatti che, in quanto tali, non potrebbero essere collocati nelle aree di rispetto cimiteriale e nelle fasce di rispetto stradale.
Le vigenti prescrizioni urbanistiche locali sono chiare, infatti, nel far divieto di realizzazione nelle aree ricadenti in fascia di rispetto cimiteriale unicamente per quei manufatti che, per durata, inamovibilità ed incorporazione al suolo, possano qualificarsi come costruzioni edilizie. Solo queste, infatti, sono incompatibili con la natura insalubre dei luoghi e con l'eventuale futura espansione del cimitero.
Alcun rischio del tipo considerato si profila al contrario per le viste isole ecologiche, di cui è da ritenere legittima la realizzazione in difetto di qualsivoglia opera edilizia (cfr., per una fattispecie analoga: TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.10.1990, n. 837)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 14.01.2010 n. 20 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

URBANISTICA: 1. Piano regolatore generale - Vincolo di rispetto stradale - Natura espropriativa - Non sussiste - Natura conformativa - Sussiste - Decadenza del vincolo - Non sussiste.
2. Piano regolatore generale - Azzonamenti - Obbligo di motivazione - Non sussiste - Superamento degli standard minimi - Obbligo di motivazione - Sussiste.
3. Variante al P.R.G. - Annullamento - Diritto al risarcimento del danno - Non sussiste atteso il carattere eventuale dell'emanazione del provvedimento ampliativo della sfera giuridico- patrimoniale dell'interessato.

1. Il vincolo di rispetto stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa e, in quanto tale, non è soggetto a decadenza. E' pacifico, infatti, che il vincolo di inedificabilità relativo alla "fascia di rispetto stradale" riguardante una generalità di beni e di soggetti, ha una funzione di salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è soggetto a scadenze temporali.
2. Sebbene gli azzonamenti non richiedano apposita motivazione, oltre quella implicita nelle scelte tecnico-urbanistiche effettuate in sede di redazione del piano regolatore, una più incisiva motivazione si impone, viceversa, in talune ipotesi, tra le quali va annoverata quella del superamento degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 n. 1444.
3. Il risarcimento del danno può essere ammesso solo quando l'attività amministrativa rinnovatoria conseguente ad annullamento di illegittimo diniego si connoti in termini tali da escludere ogni ulteriore apprezzamento discrezionale, ovvero quando spetti all'Autorità amministrativa un potere sostanzialmente vincolato, anche se entro i termini della sentenza di annullamento.
Esso deve escludersi, al contrario, nei casi, quali la rinnovazione della pianificazione urbanistica, nei quali in capo all'Autorità stessa residui un margine di apprezzamento discrezionale che configuri come eventuale l'emanazione del provvedimento ampliativo della sfera giuridico patrimoniale dell'interessato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 01.12.2009 n. 5215 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rilascio permesso a costruire impianto fotovoltaico sottoposto a vincolo urbanistico.
Si chiede parere in merito alla possibilità di rilascio di un permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione di un impianto fotovoltaico da installare in zona sottoposta a vincolo di rispetto cimiteriale e, parzialmente, in fascia di rispetto stradale (Regione Piemonte, parere n. 140/2009 - link a www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ordinanza di demolizione opera abusiva - Istanza di permesso di costruire in sanatoria - Improcedibilità.
2. Opera abusiva - Vincolo di inedificabilità - Diniego di sanatoria - Mancata comunicazione avvio procedimento - Atto vincolato - Art. 21-octies L. n. 241/1990 - Legittimità.

1. L'ordinanza di demolizione impugnata, per effetto della presentazione dell'istanza di permesso di costruire in sanatoria e del successivo provvedimento di diniego, ha perso la propria efficacia lesiva con conseguente improcedibilità del ricorso (principale) per sopravvenuta carenza di interesse.
2. La presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta sull'area in questione (ricadente in una fascia di rispetto stradale), imposto prima dell'esecuzione delle opere, esclude la sanabilità delle stesse ai sensi dell'art. 33 L. n. 47/1985, senza che assumano rilievo le norme dettate dal codice della strada e dal relativo regolamento in tema di recinzioni e le norme del regolamento edilizio relative alle distanze delle recinzioni dall'asse stradale.
Peraltro, in considerazione della natura vincolata del potere esercitato con il diniego di sanatoria e della correttezza del contenuto dispositivo dello stesso atto, la mancata comunicazione di avvio del procedimento, di cui si duole il ricorrente, non porta, ai sensi dell'art. 21-octies, L. n. 241/1990, all'annullamento del provvedimento impugnato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 06.10.2009 n. 4762 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale.
L’esistenza di limiti di edificazione da rispettare con riferimento al nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro abitato che nell’ambito di quest’ultimo, deriva direttamente dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione), nonché per le sole autostrade dall’art. 9 della l. 729/1961: in particolare l’art. 28 del dpr 495/1992 fissa delle “fasce di rispetto per l’edificazione nei centri abitati” (mt. 30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade), mentre il comma 1 dell’art. 9 l. n. 729/1961 pone comunque il divieto di realizzare qualsivoglia edificazione a distanza inferiore a mt. 25 dal limite della zona di occupazione dell’autostrada.
Il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 09.04.2009 n. 1383 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAmpliamento edificio rurale. Rispetto limite fascia stradale.
La questione posta nel quesito riguarda la distanza delle costruzioni dalle strade.
Nello specifico, il Comune ha evidenziato la seguente situazione.
Nel territorio agricolo esiste un fabbricato rurale, edificato antecedentemente all’entrata in vigore del d.m. 01.04.1968, n. 1404, (“distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati”).
L’edificio ricade, in base alla normativa anzidetta, successivamente intervenuta ed oggi vigente, in fascia di rispetto stradale.
In virtù delle disposizioni del Piano Regolatore Generale Comunale in vigore, il fabbricato può essere fatto oggetto di ampliamento nel limite massimo del 20% del volume residenziale esistente.
Il privato ipotizza di sfruttare la facoltà di ampliamento predetta, sopraelevando l’edificio a filo.
La sopraelevazione, pertanto, verrebbe a ricadere nella fascia di rispetto stradale di cui dianzi si è detto.
Sia la legge reg. 56/1977 (art. 27) che il P.R.G. medesimo dispongono che in fascia di rispetto gli ampliamenti siano ammessi esclusivamente sul lato opposto alla strada, nei casi in cui essi sono di per sé possibili.
Viene quindi richiesto se l’intervento, così come proposto, sia ammissibile o se, invece, debba rispettare il limite della fascia di rispetto stradale come dianzi statuita (
Regione Piemonte, parere 39/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATADisciplina edilizia concernente fasce di rispetto stradale.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina edilizia concernente le fasce di rispetto stradali.
Il Comune richiedente, partendo dal presupposto che “il Codice Stradale equipara le strade vicinali alle strade comunali”, chiede di sapere, nel caso in cui “il P.R.G. preveda distanze diverse (20 mt. per le comunali e 10 mt. per le vicinali) e in sede di approvazione del P.R.G. la Regione abbia prescritto “fatto salvo il codice della strada”, quale distanza deve essere rispettata in caso di realizzazione di un edificio limitrofo ad una strada vicinale” e se sia possibile “realizzare costruzioni interrate nelle fasce di rispetto stradali” (
Regione Piemonte, parere 22/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 7 - Sulla natura del vincolo derivante dalla fascia di rispetto stradale e sul procedimento per la sanatoria di abusi commessi in area di rispetto stradale (Geometra Orobico n. 5/2008).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Giustizia amministrativa - Ricorso avverso ordinanza di demolizione opera abusiva- Presentazione sanatoria dell'opera abusiva - Improcedibilità del ricorso - Sussiste.
2. Vincolo di rispetto stradale - Vincolo di inedificabilità assoluta - Sussiste - Vincoli di rispetto stradale che rientrano nell'art. 32 della L. n. 47/1985 - Vincoli ex art. 32, comma 2, lett. c), della L. n. 47/1985 a condizione che siano stati imposti dopo l'esecuzione delle opere abusive - Sussiste.
3. Concessione edilizia in sanatoria - Specialità del procedimento - Obbligo del parere della commissione edilizia - Non sussiste.

1. La presentazione della domanda di sanatoria fa venire meno l'interesse alla decisione sul ricorso contro l'ordinanza di demolizione dell'abuso, considerato che, da un lato, il rilascio della concessione in sanatoria produce evidentemente l'improcedibilità del ricorso e, dall'altro, uguale effetto si produce in caso di diniego di sanatoria, concentrandosi l'interesse nel contestare con apposito ricorso l'eventuale provvedimento di diniego della sanatoria, nei termini e nei limiti in cui essa è stata richiesta.
2. IL vincolo di rispetto stradale costituisce vincolo di inedificabilità assoluta che rientra nelle previsioni dell'art. 33 L. n. 47/1985 applicabile al condono in base all'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003, e gli unici vincoli di rispetto stradale che rientrano nella disciplina dell'art. 32 della L. n. 47/1985 sono quelli indicati al comma 2, lettera c), a condizione che siano stati imposti dopo l'esecuzione delle opere abusive.
3. Ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria non è obbligatorio, al più facoltativo, il parere della commissione edilizia e ciò in considerazione della specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio di concessione edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.09.2008 n. 4045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICA: Vincolo di inedificabilità relativo alla fascia di rispetto stradale - Natura conformativa e non espropriativa - Sussiste - Scadenza temporale del vincolo - Non sussiste.
Il vincolo di inedificabilità relativo alla "fascia di rispetto stradale" non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso, quindi, non è soggetto a scadenze temporali (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 10.09.2008 n. 4045 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Quesito 6 - Sul vincolo di inedificabilità derivante dalla fascia di rispetto stradale prevista dal p.r.g. (Geometra Orobico n. 3/2008).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Destinazione di un piazzale a deposito duraturo di autoveicoli - Comporta attività di modifica del territorio urbanisticamente rilevante - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Sussiste.
2. Realizzazione di opere o destinazione di un'area ad usi precari - Non comporta attività di modifica del territorio urbanisticamente rilevante - Necessità di titolo abilitativo edilizio - Non sussiste.
3. Fascia di rispetto stradale - Carattere espropriativo del vincolo - Non sussiste - Carattere conformativo del vincolo - Sussiste.
4. Vincolo urbanistico - Qualificazione - Dipende dalla circostanza che il vincolo precluda o meno l'iniziativa privata - Vincolo espropriativo - Sussiste solo quando il bene viene sottratto alla disponibilità del privato.

1. Adibire un piazzale in modo duraturo al deposito di autoveicoli costituisce attività di modifica dell'assetto del territorio urbanisticamente rilevante e quindi necessitante di titolo abilitativo.
2. È irrilevante sul piano urbanistico, e rientra nel mero esercizio del diritto di proprietà, la realizzazione di opere o la destinazione di un'area ad usi precari, in quanto le opere precarie sono inidonee ad incidere sull'assetto urbanistico del territorio.
3. L'apposizione di una fascia di rispetto stradale non ha carattere espropriativo, ma rappresenta vincolo conformativo, conseguenza di una previsione generale ed astratta relativa a tutte le aree del territorio comunale che si trovino in una certa situazione.
4. Ciò che è decisivo per qualificare la natura di un vincolo urbanistico non è la quantità di facoltà dominicali incise, ma la circostanza che il vincolo non precluda del tutto l'iniziativa privata, consentendo l'utilizzazione dell'area da parte della collettività anche tramite costruzioni non di proprietà pubblica; in presenza di tali possibilità di utilizzo del bene non si può parlare di un vincolo espropriativo, perché di espropriazione in senso tecnico si può parlare solo quando il bene viene sottratto alla disponibilità del privato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 28.04.2008 n. 1271).

EDILIZIA PRIVATADistanza dalle strade.
(...) detto divieto di edificazione non preclude, di norma, il recupero di edifici esistenti entro le fasce in oggetto; in difetto di specifici divieti stabiliti dalla disciplina edificatoria comunale (PRG o Regolamento edilizio), il recupero può considerarsi quindi ammissibile, anche eventualmente spinto ai limiti estremi della ristrutturazione integrale da cui deriva un edificio completamente diverso, purché venga accertato, in sede istruttoria, che il nuovo edificio non rechi, rispetto alla situazione preesistente, pregiudizi maggiori alle esigenze di tutela sopra indicate (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it -
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.04.2008 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Fascia di rispetto stradale - Ratio - Sicurezza della circolazione e possibilità di esecuzione lavori - Edifici esistenti - Recupero - E' ammissibile -Ristrutturazione integrale - E' ammissibile - Ipotetici maggiori oneri espropriativi - Sono irrilevanti.
La fascia di rispetto stradale si traduce in un divieto di edificazione, che rende le aree medesime legalmente inedificabili per favorire la circolazione ed offrire idonee garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade, passano nelle vicinanze od abitano in esse, nonché per assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni, tuttavia, detto divieto di edificazione non preclude, di norma, il recupero di edifici esistenti entro le fasce in oggetto.
Pertanto, in difetto di specifici divieti stabiliti dalla disciplina edificatoria comunale, il recupero può considerasi ammissibile, anche eventualmente spinto ai limiti estremi della ristrutturazione integrale da cui deriva un edificio completamente diverso, purché venga accertato, in sede istruttoria, che il nuovo edificio non rechi, rispetto alla situazione preesistente, pregiudizi maggiori alle esigenze di tutela sopra indicate senza che il mero riferimento ad ipotetici maggiori oneri di esproprio o di indennizzo in caso di eventuali lavori di adeguamento della sede viaria, non può considerarsi legittima causa di diniego
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, sentenza 07.04.2008 n. 357 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

URBANISTICAFascia di rispetto stradale - Vincolo di inedificabilità - Natura - Subordinazione a scadenza temporale - Esclusione.
Il vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di rispetto stradale” non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è soggetto a scadenze temporali.
Adozione del P.R.G. - Sindacato di legittimità - Limiti.
Le scelte effettuate dall’amministrazione all’atto di adozione del piano regolatore generale costituiscono apprezzamenti di merito sottratti come tali al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnorme illogicità (in tal senso, ex plurimis, Consiglio Stato, IV, 06.02.2004, n. 664) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.03.2008 n. 1095 - link a www.ambientediritto.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale o stradale il vincolo di inedificabilità è assoluto per cui sono irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale.
Le opere abusive realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, al di fuori del perimetro del centro abitato, se realizzate dopo l’imposizione del vincolo, non sono suscettibili di sanatoria anche se si tratta di mere sopraelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada.

Nell’ambito della fascia di rispetto autostradale o stradale, come è stato chiarito dalla giurisprudenza (vedi ex multis C.d..S. 25.09.2002 n. 4927), il vincolo di inedificabilità è assoluto per cui sono irrilevanti le caratteristiche concrete delle opere abusive realizzate nell’ambito della fascia medesima; il divieto di costruire è infatti in questo caso correlato alla esigenza di assicurare un’area libera utilizzabile dal concessionario dell’autostrada -all’occorrenza- per installarvi cantieri, depositare materiali, per necessità varie e, comunque, per ogni necessità di gestione relativa ad interventi in loco sulla rete autostradale.
Premesso che il divieto di edificazione nell’ambito della fascia di rispetto autostradale è assoluto, nel caso di specie le opere abusive non risultano condonabili poiché innegabilmente hanno comportato un aumento della superficie utile del fabbricato preesistente; inoltre, secondo la citata giurisprudenza seguita anche da questo TAR (vedi Sez. 3^, 12.02.2003 n. 277), le opere abusive realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale, al di fuori del perimetro del centro abitato, se realizzate dopo l’imposizione del vincolo, non sono suscettibili di sanatoria anche se si tratta di mere sopraelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada (TAR Toscana, Sez. II, sentenza 25.06.2007 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATAIl sopralzo di un fabbricato esistente è subordinato al rispetto delle norme sulle distanze dalle strade o da altre costruzioni.
Il rilascio del titolo edilizio, con riguardo alla parte dell’intervento qualificabile come nuova costruzione, è subordinato al rispetto delle norme sulle distanze dalle strade o da altre costruzioni (v. Cass. Civ., Sez. II, 16.03.2000, n. 3054; id., 24.05.2000, n. 6809; TAR Veneto, sez. II, 22.04.2005, n. 1778, relative ad interventi di sopraelevazione di edifici esistenti) (TAR Valle d'Aosta, sentenza 18.10.2005 n. 109 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATAIl divieto di costruire ad una determinata distanza dalle strade vale anche per le sopraelevazioni di edifici già esistenti.
Non è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopralevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di sessanta metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d) della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria.
A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché -ai sensi del D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in sessanta metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a venticinque metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente, che ha realizzato un’opera abusiva all’interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non può, inoltre, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: […] c) in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”), perché nella fattispecie in esame il vincolo sull’area era stato imposto prima della costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la possibilità di sanatoria delle opere di cui al precedente articolo 31 “quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per cui non è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26.01.2000, n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 08.09.1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla sua incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopralevazioni (v. la citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.10.2002 n. 5716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopralevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.

Le opere realizzate all’interno della fascia di rispetto autostradale prevista al di fuori del perimetro del centro abitato (fascia di 60 metri) sono ubicate in aree assolutamente inedificabili e, pertanto, se costruite dopo l’imposizione del vincolo, rientrano nella previsione di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono suscettibili di sanatoria, anche se si tratti di mere soprelevazioni di manufatti preesistenti ed anche se l’opera resti al di sotto del livello della strada.
A tale riguardo giova premettere che, ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2 della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19 della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro dei centri abitati debbono osservarsi nell’edificazione distanze minime a protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada. Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i Lavori pubblici di concerto con i Ministri per i trasporti e per l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, in rapporto alla natura delle strade ed alla classificazione delle strade stesse, escluse le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è configurato come assoluto nel caso di autostrade per le aree situate al di fuori del centro abitato, perché -ai sensi del D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità di deroga alla distanza minima, fissata in 60 metri (la fascia di rispetto è, invece, ridotta a 25 metri all’interno del perimetro del centro abitato ed è derogabile a mente dell’articolo 9, comma 1 della legge 24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente, che ha realizzato un’opera abusiva all’interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori del perimetro del centro abitato, non può, inoltre, avvalersi della possibilità di sanatoria offerta dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e che risultino: […] c) in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”), perché nella fattispecie in esame il vincolo sull’area era stato imposto prima della costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui all’articolo 33, comma 1, lettera d), della legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la possibilità di sanatoria delle opere di cui al precedente articolo 31 “quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per cui non è suscettibile di sanatoria, ai sensi della citata legge n. 47 del 1985, la sopraelevazione di edificio che disti dal ciglio dell’autostrada, all’esterno dei centri abitati, meno di quanto previsto dal d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è stata realizzata dopo l’imposizione del vincolo autostradale; v. anche Cass. civ., 26.01.2000, n. 841, che per tale ragione esclude la natura edificatoria del terreno rientrante nella fascia di rispetto) sia quella del Consiglio di Stato (Sez. V, 08.09.1994, n. 968, che qualifica come inedificabile l’area ricompresa nella predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere assoluto del vincolo sussiste a prescindere dalla concrete caratteristiche dell’opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa distanza dalla sede autostradale, posto dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non può essere inteso restrittivamente e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma suddetta vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (in termini, Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che costituiscano mere sopraelevazioni (v. la citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 25.09.2002 n. 4927 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATADistanza dalle strade.
Le fasce di rispetto stradale previste dalle norme poste dal c. strad. non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate (massima tratta da www.lavatellilatorraca.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 20.10.2000 n. 5620 -
link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 1990

EDILIZIA PRIVATAFattispecie in materia di ristrutturazione - Distanze.
Le limitazioni contenute nell'art. 19 legge n. 765 del 1967 e nel d.m. 01.04.1968 n. 1404 in tema di distanze legali delle costruzioni dal ciglio stradale, mentre non possono essere applicate in caso di interventi di semplice restauro e risanamento volti alla conservazione degli elementi strutturali, tipologici e formali dell'edificio, sono invece operanti in caso di ristrutturazione o di ricostruzione dal momento che, intervenendo sull'immobile in modo consistente e tale da modificarlo in tutto od in parte, si devono necessariamente osservare le limitazioni imposte allo "ius aedificandi" nell'interesse pubblico (massima tratta da www.studiospallino.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 12.05.1990 n. 356).