dossier VINCOLO STRADALE (e
distanza dalla strada) |
anno
2023 |
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URBANISTICA:
Sulla differenza
fra vincolo conformativo e vincolo espropriativo.
La differenza fra vincolo conformativo e
vincolo espropriativo è già stata
chiarita in giurisprudenza rilevando che «i vincoli
conformativi si differenziano dai vincoli espropriativi o
sostanzialmente espropriativi atteso che
- i primi sono quelli
che dividono in tutto o in parte il territorio comunale in
zone assoggettate a una disciplina dello ius aedificandi
omogenea (cd. zonizzazione) e che dunque si connotano per il
fatto di incidere su una generalità di beni, potenzialmente
appartenenti a una pluralità indifferenziata di soggetti,
beni che vengono accumunati in ragione delle caratteristiche
intrinseche degli stessi e del contesto nel quale si
inseriscono; mentre
- i secondi sono quelli che riservano alla mano pubblica
l'edificazione in una specifica area (cd. localizzazione) o
che svuotano sostanzialmente di contenuto del diritto di
proprietà su di un determinato bene».
---------------
Avuto riguardo alla natura e al contenuto del vincolo
derivante dalla previsione di una fascia di rispetto
stradale cui, come affermato in giurisprudenza, va
riconosciuta una «valenza di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende
inedificabili le aree site nella fascia di rispetto,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in
argomento»,
non può che convenirsi con la posizione espressa dal Tar
circa la natura meramente conformativa del vincolo in
questione.
---------------
Con il terzo motivo, le appellanti deducono «ERRATA
VALUTAZIONE DI INFONDATEZZA DEL TERZO MOTIVO DEL RICORSO DI
PRIMO GRADO. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 841
DEL CODICE CIVILE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART.
42 DELLA COSTITUZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 112 CPC:
PRINCIPIO DI CORRISPONDENZA TRA CHIESTO E PRONUNCIATO.
VIOLAZIONE DELL’ART 88 CPA: DIFETTO DI MOTIVAZIONE. ERRATA
PERCEZIONE DELLA SITUAZIONE DI FATTO POSTA A BASE DELLA
DECISIONE» sostenendo l’illegittimità dell’art. 28 delle N.T.A. se interpretato nei sensi fatti propri dal Tar.
Le appellanti affermano che, nell’ipotesi in cui l’art. 28
delle N.T.A. dovesse essere interpretato nei sensi fatti
propri dall’amministrazione e condivisi dal Tar, la norma
impedirebbe l’esercizio di una potestà tipica del diritto di
proprietà quale è il potere di chiudere il proprio fondo
facendo valere lo ius excludendi alios (affermazione che,
peraltro, contraddice quanto sostenuto con il precedente
capo di impugnazione con il quale tale funzione dell’opera
realizzata veniva esclusa).
La mancata previsione della possibilità di una deroga
all’ampiezza della fascia di rispetto «quantomeno per la
zona E/B, nella quale ricadono le aree di proprietà delle
appellanti» concretizzerebbe gli effetti di una «cessione
senza contropartita, di una fascia di terreno lunga circa mt. 180,00 e larga 3,25. Con conseguente violazione
dell’art. 42, comma 3, della Costituzione».
Il fondamento della censura, a parere delle appellanti, si
rinverrebbe nella nuova formulazione delle N.T.A. al
P.R.G.C. di Buja che, pur confermando la necessità del
rispetto della fascia di cinque metri, prevedrebbero la
possibilità di introdurre deroghe, caso per caso.
La censura è inammissibile nella misura in cui tende a
sindacare l’opportunità di una scelta discrezionale
dell’amministrazione assumendo quale parametro di
legittimità della disposizione censurata una diversa e
soggettiva valutazione della parte privata.
Privo di pregio, nei sensi invocati, è anche il richiamo
alla disciplina sopravvenuta: sotto un primo profilo, poiché
la legittimità dell’operato dell’amministrazione deve essere
valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto
esistente al momento dell’adozione del provvedimento che
materializza l’esercizio del potere; sotto altro profilo,
poiché a fronte della allegata astratta possibilità, di
nuova introduzione, di una modulazione del vincolo nulla
viene allegato a comprova della doverosità, o anche solo
opportunità, di tale deroga con specifico riferimento al
caso di specie.
La sentenza viene, altresì, censurata nella parte in cui
afferma che «l’obbligo di arretramento e il conseguente
vincolo imposto alla proprietà possiede natura conformativa
e non già espropriativa (cfr. TAR FVG n. 311 del 2018)…senza
che quindi emerga alcuna limitazione del diritto di
proprietà tale, in particolare, da giustificare la
previsione di un corrispondente indennizzo economico».
Deducono a tal proposito le appellanti che il rigetto della
censura, già formulata con il terzo motivo del ricorso di
primo grado sul fondamento di una pretesa violazione
dell’art. 841 c.c., sarebbe frutto di una «errata percezione
della realtà» del giudice di prime cure cui sarebbe sfuggito
che un vincolo può definirsi conformativo nella misura in
cui dallo stesso non derivi «la perdita del diritto di
proprietà», mentre «nel caso di specie, invece,
l’arretramento dei pali in legno realizzati dalle odierne
appellanti, al fine di determinare un allargamento, di
fatto, della sede stradale comunale, determina un incisivo
svuotamento del diritto di proprietà delle appellanti,
impedendone ogni possibile utilizzazione».
Il motivo è infondato.
La censura si fonda sull’erroneo presupposto che la
disposizione urbanistica imponga alla proprietà
dell’appellante un vincolo sostanzialmente espropriativo.
Sul punto non può che rilevarsi che la differenza fra
vincolo conformativo e vincolo espropriativo è già stata
chiarita in giurisprudenza rilevando che «i vincoli
conformativi si differenziano dai vincoli espropriativi o
sostanzialmente espropriativi atteso che i primi sono quelli
che dividono in tutto o in parte il territorio comunale in
zone assoggettate a una disciplina dello ius aedificandi
omogenea (cd. zonizzazione) e che dunque si connotano per il
fatto di incidere su una generalità di beni, potenzialmente
appartenenti a una pluralità indifferenziata di soggetti,
beni che vengono accumunati in ragione delle caratteristiche
intrinseche degli stessi e del contesto nel quale si
inseriscono; mentre i secondi sono quelli che riservano alla
mano pubblica l'edificazione in una specifica area (cd.
localizzazione) o che svuotano sostanzialmente di contenuto
del diritto di proprietà su di un determinato bene (C.d.S.,
Sez. IV, n. 3116/2018; C.d.S., Sez. II, n. 342/2020)» (Cons.
Stato, sez. IV, 30.12.2022, n. 11707).
Avuto riguardo alla natura e al contenuto del vincolo
derivante dalla previsione di una fascia di rispetto
stradale cui, come affermato in giurisprudenza, va
riconosciuta una «valenza di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende
inedificabili le aree site nella fascia di rispetto,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in
argomento» (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n. 7382),
non può che convenirsi con la posizione espressa dal Tar
circa la natura meramente conformativa del vincolo in
questione (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.07.2023 n. 6793 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di
rispetto stradale è di carattere assoluto.
Invero, è costante l’insegnamento giurisprudenziale per il
quale “Il vincolo delle fasce di rispetto stradale non può
essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni.
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha
carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di
assicurare il transito sicuro sulla strada, ma anche quello
di consentire un'ampia capacità di manutenzione della
stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo
così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non
essendo possibile prevedere le future evenienze manutentive”.
Ne consegue che “L'esistenza del vincolo di rispetto della
fascia stradale o autostradale comporta un divieto assoluto
di costruire, rendendo legalmente inedificabili le aree site
nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata”.
E, in presenza di un divieto assoluto di edificare imposto
prima della opera edilizia da condonare, il diniego di
condono è provvedimento di carattere vincolato in base alla
quale “Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di
rispetto stradale è di inedificabilità assoluta traducendosi
in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili
le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente
dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla
necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi
per la circolazione stradale;
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l'imposizione del
vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal d.m. n.
1404 del 1968 si ricade nell'ipotesi di cui all'art. 33,
comma 1, l. n. 47 del 1985, con la conseguenza della non
sanabilità dell'opera abusiva, trattandosi di vincolo per
sua natura incompatibile con ogni manufatto.
Solo, infatti, per le opere abusive realizzate prima
dell'imposizione del vincolo, si può applicare l'ipotesi
dell'art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la
possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere
previsto dall'art. 32, comma 4, lett. c), con riferimento
alla sicurezza del traffico”.
---------------
Ciò premesso, va, però, precisato che il ricorso per motivi aggiunti non è
fondato.
Le censure sviluppate dai ricorrenti attengono, in sintesi:
a) alla errata presupposizione in fatto circa la data di inizio
dell’abuso e in merito alla preesistenza del vincolo di inedificabilità, per
fascia di rispetto stradale, che la P.a. resistente desume in maniera
automatica facendo riferimento ad un non meglio precisato stato di fatto
presente alla data di realizzazione del fabbricato dei ricorrenti;
b) alla omessa verifica dell’epoca di realizzazione della strada,
in relazione alla quale i ricorrenti rilevano che la stessa è cominciata nel
1976 ed è stata ultimata alla fine degli anni ottanta, successivamente
all’ultimazione dell’edificio (1982);
c) alla omessa istruttoria in ordine alla rituale classificazione
della strada, il che consentirebbe di ipotizzare un vincolo di
inedificabilità relativa che rende le opere edilizie realizzate abusivamente
suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985.
L’amministrazione non ha neppure preso in alcun modo in considerazione il
fatto che l’edificio degli odierni ricorrenti rispetta la distanza minima
inderogabile (15 metri) dal confine della S.P. 239 stabilita dalla Circolare Min. Lavori Pubblici n. 3357/25 del 1985, paragrafo 4.3. lettera C) di cui
sopra, trovandosi lo spigolo più prossimo al confine stradale ad una
distanza di m. 20,01.
Ulteriori argomenti non adeguatamente valutati dalla P.a. sono:
a) l’immobile in questione non confina direttamente con la strada
provinciale ma con una strada comunale vicinale, ciò significando che non vi
è un accesso diretto dell’immobile sulla strada provinciale ma solo sulla
strada comunale predetta: è, infatti, quest’ultima strada comunale che
sfocia direttamente sulla S.P. 239. Quindi, mai e poi mai, l’area su cui
insiste l’immobile costituisce intralcio o minaccia per la sicurezza
stradale, né tanto meno l’area su cui insiste l’immobile potrebbe mai essere
utilizzata per cantieri, deposito materiali, etc.;
b) l’immobile ha accesso su una strada comunale che trovasi in
posizione sopraelevata rispetto al livello stradale della strada provinciale
n. 239: anche per detta ulteriore ragione l’area su cui insiste l’edificio
in questione, mai e poi mai, potrebbe essere utilizzata per probabili
cantieri di lavori pubblici;
c) non l’intero corpo di fabbrica ma soltanto uno spigolo del
medesimo, come sempre rimarcato vibratamente, risulta allocato alla citata
distanza di m. 20,01 dalla strada provinciale n. 239, ovvero ad una distanza
sì inferiore rispetto ai 30 metri previsti dal D.M. 1404/68 ma rispettosa,
si badi bene, del requisito della distanza minima inderogabile (al di sotto
della quale non sarebbe ammessa la sanatoria in deroga dei vincoli),
costituito dal rispetto del 50% della distanza di cui al citato D.M.
1404/1968, ovvero il rispetto di almeno 15 metri di distanza dalla strada (cfr.
Circolare Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25 del 1985, paragrafo 4.3.,
lettera C);
d) l’immobile è preesistente al vincolo, posto che i primi lavori
di costruzione sono iniziati in epoca antecedente alla realizzazione stessa
della strada provinciale n. 239 e l’ultimazione dell’immobile risale al
1982, comunque, in epoca precedente all’ultimazione della suddetta strada
(fine anni ottanta).
Il Collegio ritiene di non poter condividere l’impostazione dei ricorrenti.
Si osserva, in primo luogo, che il vincolo relativo alla fascia di rispetto
stradale è preesistente alla realizzazione dell’immobile. Gli stessi
ricorrenti ammettono che i lavori di realizzazione della strada provinciale
n. 239 Alberobello sono iniziati nel 1976, epoca in cui non si ha contezza
dell’avvio dei lavori di realizzazione del fabbricato da condonare, ma in
cui il vincolo della fascia di rispetto stradale era senz’altro già
operante, alla luce delle disposizioni contenute nel d.m. 1404 del 1968,
normativa di carattere regolamentare, di attuazione della legge 24.07.1961,
n. 729
Il vincolo di inedificabilità sussistente nella fascia di rispetto stradale
è di carattere assoluto. Sotto tale profilo, è costante l’insegnamento
giurisprudenziale per il quale “Il vincolo delle fasce di rispetto stradale
non può essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per
l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni. Da quanto sopra deriva che il vincolo in
questione ha carattere assoluto, giacché non ha solo il fine di assicurare
il transito sicuro sulla strada, ma anche quello di consentire un'ampia
capacità di manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso per
caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a relativo), non essendo
possibile prevedere le future evenienze manutentive” (cfr: TAR Catania,
(Sicilia) sez. I, 03/11/2022, n. 2854).
Ne consegue che “L'esistenza del vincolo di rispetto della fascia stradale o
autostradale comporta un divieto assoluto di costruire, rendendo legalmente inedificabili le aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata” (cfr: TAR Napoli (Campania) sez. IV, 08/02/2021, n. 798).
E, in presenza di un divieto assoluto di edificare imposto prima della opera
edilizia da condonare, il diniego di condono è provvedimento di carattere
vincolato, così come insegna la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in
base alla quale “Il vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto
stradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto
di costruire che rende inedificabili le aree site nella fascia di rispetto,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla
necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale; pertanto, in caso di opera realizzata dopo
l'imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal d.m. n.
1404 del 1968 si ricade nell'ipotesi di cui all'art. 33, comma 1, l. n. 47
del 1985, con la conseguenza della non sanabilità dell'opera abusiva,
trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto.
Solo, infatti, per le opere abusive realizzate prima dell'imposizione del
vincolo, si può applicare l'ipotesi dell'art. 32, dovendosi ammettere solo
in tal caso la possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere
previsto dall'art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento alla sicurezza
del traffico” (cfr Consiglio di Stato sez. II, 24/06/2020, n. 4052) (cfr. Consiglio di Stato sez. II,
24/06/2020, n. 4052) (TAR Puglia-Bari,
Sez. III,
sentenza 10.02.2023 n. 288 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
violazione delle distanze dalla sede stradale prescinde
dalla qualificazione dell’opera in quanto all’interno delle
fasce di rispetto vige un divieto assoluto di edificazione.
Ai sensi, infatti, dell’art. 16, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 285/1992
(Codice della Strada), «ai proprietari o aventi diritto dei fondi
confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato: …
costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di
qualsiasi tipo e materiale».
Ai sensi dell’art. 26, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 495/1992, «fuori
dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell’articolo 4 del codice, le
distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: … 20 m per le
strade di tipo F, ad eccezione delle "strade vicinali" come definite dall'
articolo 3, comma 1, n. 52 del codice».
Ai sensi, inoltre, dell’art. 58.02 delle N.d.A. «entro le fasce di
rispetto stradali sono consentite solo la realizzazione di piste
ciclopedonali, di parcheggi, di barriere antirumore e di impianti di
distribuzione del carburante».
Ciò premesso, deve rilevarsi che, per costante giurisprudenza, le fasce di
rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a
tutela della sicurezza stradale che comportano l'inedificabilità delle aree
interessate.
Si tratta, quindi, di un vincolo che, in quanto posto per
esigenze di sicurezza, riveste carattere assoluto ed
inderogabile conformando in tal senso la proprietà privata.
Ne deriva che il vincolo interessante le fasce di rispetto
stradale determina un divieto assoluto di costruire
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata.
---------------
In data 30.03.2004, l’odierno appellante presentava al
Comune di Cesena un’istanza di sanatoria riferita alla «realizzazione
di un portico in aderenza» ad un manufatto di proprietà,
respinta con provvedimento del 22.03.2007.
A seguito di detto diniego l’appellante, in data 09.05.2007,
presentava all’amministrazione una nuova istanza di
sanatoria ai sensi dell’art. 13 della L.R. n. 23/2004 che
veniva respinta con provvedimento n. 17739 del 23.10.2007
sul rilievo che l’opera ricadesse nella fascia di rispetto
stradale fissata dall’art. 26 del Regolamento di attuazione
del Codice della Strada in 20 metri.
Il nuovo diniego veniva impugnato innanzi al Tar Emilia
Romagna, con contestuale istanza risarcitoria, con ricorso
iscritto al n. 21/2008 R.R. deducendo, sotto un primo
profilo, la natura pertinenziale del manufatto che
priverebbe di rilievo il posizionamento dello stesso
all’interno della fascia di rispetto stradale; sotto
altro profilo, l’illegittimità della sottoscrizione del
provvedimento da parte del R.U.P. che, essendosi già
espresso negativamente in sede di preavviso di diniego, non
avrebbe potuto sottoscrivere anche la determinazione
conclusiva del procedimento.
Il Tar respingeva il ricorso con sentenza n. 569 del
18.05.2016 riconoscendo la competenza del R.U.P. e negando
la natura pertinenziale del manufatto.
L’appellante impugnava la sentenza con appello iscritto al
n. 9024/2016 R.R., depositato il 29.11.2016.
...
Il motivo è infondato, ancorché sulla base di una diversa motivazione.
Deve premettersi, in tema di corretta qualificazione del manufatto, che la
giurisprudenza, con orientamento ormai consolidato, «ha limitato la
nozione di pertinenza, sul piano urbanistico-edilizio, ai soli interventi
accessori di modesta entità e privi di autonoma funzionale (cfr., ex
plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 06.02.2019, n. 904)» (Cons. Stato, Sez.
IV, 13.07.2022, n. 5926).
È stato, altresì, affermato che «il legislatore identifica, dunque, le
nuove costruzioni non solo (e non tanto) per le loro caratteristiche
costruttive, ma piuttosto per il loro uso, ove sia destinato a soddisfare
esigenze di carattere non meramente temporaneo (ex multis, Con. Stato, sez.
V, n. 3435 del 2017)» (Cons. Stato, Sez. IV, 28.01.2019, n. 667).
La consistenza della realizzazione in questione (in cemento e legno) esclude
di per sé la destinazione della stessa ad un uso temporaneo e inibisce la
qualificazione del manufatto in termini di opera pertinenziale atteso che «ai
fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non
solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e
funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo
valore di mercato e non incide sul "carico urbanistico" mediante la
creazione di un "nuovo volume" (v. Cons. Stato, Sez. IV, 02.02.2012, n. 615,
cit.)» (Cons. Stato, Sez. VI, 06.02.2019, n. 904).
Nel caso di specie, è la stessa Perizia Tecnica depositata in primo grado
dall’appellante a precisare che «l’oggetto dell’abuso consiste nella
realizzazione di un porticato».
Circa tale tipologia di manufatto la giurisprudenza ha già avuto modi di
precisare che «in termini generali, una loggia o un porticato, in quanto
costituiscono un nuovo volume suscettibile di autonomo utilizzo, devono
essere assentiti con il titolo edilizio maggiore, ovvero con il permesso:
sul punto specifico, C.d.S. sez. IV 03.06.2010 n. 3542» (Cons. Stato,
Sez. IV, 24.01.2022, n. 434).
L’amministrazione, pertanto, negava legittimamente la sanatoria richiesta
ritenendo che la tettoia non costituisse una pertinenza poiché «parte
dell’edificio aggiunta in ampliamento che va a modificare il volume
complessivo e l’aspetto esteriore».
In ogni caso, deve ulteriormente rilevarsi che la violazione delle distanze
dalla sede stradale prescinde dalla suesposta qualificazione dell’opera in
quanto all’interno delle fasce di rispetto vige un divieto assoluto di
edificazione.
Ai sensi, infatti, dell’art. 16, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 285/1992
(Codice della Strada), «ai proprietari o aventi diritto dei fondi
confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato: …
costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente alle strade, edificazioni di
qualsiasi tipo e materiale».
Ai sensi dell’art. 26, comma 2, lett. d), del d.P.R. n. 495/1992, «fuori
dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell’articolo 4 del codice, le
distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a: … 20 m per le
strade di tipo F, ad eccezione delle "strade vicinali" come definite dall'
articolo 3, comma 1, n. 52 del codice».
Ai sensi, inoltre, dell’art. 58.02 delle N.d.A. «entro le fasce di
rispetto stradali sono consentite solo la realizzazione di piste
ciclopedonali, di parcheggi, di barriere antirumore e di impianti di
distribuzione del carburante».
Ciò premesso, deve rilevarsi che, per costante giurisprudenza, le fasce di
rispetto stradale non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a
tutela della sicurezza stradale che comportano l'inedificabilità delle aree
interessate.
Si tratta, quindi, di un vincolo che, in quanto posto per esigenze di
sicurezza, riveste carattere assoluto ed inderogabile conformando in tal
senso la proprietà privata (Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021 n. 2602).
Ne deriva che il vincolo interessante le fasce di rispetto stradale
determina un divieto assoluto di costruire indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata (Cons. Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n.
7382) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 11.01.2023 n. 385 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2022 |
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EDILIZIA PRIVATA:
ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n.
495/1992, non sono ammesse le nuove costruzioni, le
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o gli
ampliamenti fronteggianti le strade che non rispettino le
distanze minime dal confine stradale ivi indicate.
Consolidata giurisprudenza ha precisato che tale
disposizione comporta un divieto assoluto di costruire che
rende legalmente inedificabili (e, dunque, non sanabili) le
aree site nella fascia di rispetto stradale, a prescindere
dalle caratteristiche delle opere realizzate e da qualunque
necessità di accertamento in concreto.
Tale principio subisce un temperamento, secondo
ragionevolezza, nel solo caso in cui, “per le particolari
modalità dell’intervento edilizio programmato, la
limitazione alla proprietà privata risulti scissa da
qualunque interesse pubblico salvaguardato con il vincolo”
di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale.
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato, quindi,
l’esistenza di situazioni particolari nelle quali, onde non
imporre una limitazione irragionevole alla proprietà
privata, l’effettivo stato dei luoghi impone
un’interpretazione e un’applicazione della norma coerenti
con la relativa ratio, ossia con
l’esigenza di garantire condizioni di sicurezza della
circolazione stradale, eventuali prospettive di ampliamento
della sede viaria ovvero uno spazio sufficiente per
l’esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che
interessino la viabilità.
---------------
E’ contestata la legittimità del provvedimento di rigetto
dell’istanza di condono edilizio relativa ad opere di
ampliamento di un edificio compreso nella fascia di rispetto
stradale, motivato con riferimento al parere contrario
formulato dall’Ente preposto alla tutela del vincolo.
...
Meritano di essere condivise, invece, le censure sollevate
con il quarto e il quinto motivo in ordine all’insussistenza
dei presupposti per l’applicazione del divieto assoluto di
edificazione che comporta la non sanabilità delle opere.
Si rammenta che, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n.
495/1992, non sono ammesse le nuove costruzioni, le
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o gli
ampliamenti fronteggianti le strade che non rispettino le
distanze minime dal confine stradale ivi indicate.
Consolidata giurisprudenza ha precisato che tale
disposizione comporta un divieto assoluto di costruire che
rende legalmente inedificabili (e, dunque, non sanabili) le
aree site nella fascia di rispetto stradale, a prescindere
dalle caratteristiche delle opere realizzate e da qualunque
necessità di accertamento in concreto.
Tale principio subisce un temperamento, secondo
ragionevolezza, nel solo caso in cui, “per le particolari
modalità dell’intervento edilizio programmato, la
limitazione alla proprietà privata risulti scissa da
qualunque interesse pubblico salvaguardato con il vincolo”
di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale (Cons. Stato, sez. IV, 22.06.2016, n. 2756; id.,
27.01.2015, n. 347; TAR Liguria, sez. I, 20.03.2019, n. 237).
La giurisprudenza amministrativa ha evidenziato, quindi,
l’esistenza di situazioni particolari nelle quali, onde non
imporre una limitazione irragionevole alla proprietà
privata, l’effettivo stato dei luoghi impone
un’interpretazione e un’applicazione della norma coerenti
con la relativa ratio (cfr. sent. n. 2756 cit.), ossia con
l’esigenza di garantire condizioni di sicurezza della
circolazione stradale, eventuali prospettive di ampliamento
della sede viaria ovvero uno spazio sufficiente per
l’esecuzione di lavori o interventi di manutenzione che
interessino la viabilità.
Nel caso in esame, le opere abusive hanno comportato lo
scavo del terrapieno frapposto fra l’edificio principale e
la strada nonché il tamponamento del portico posto sul
fronte est dello stabile.
Anche prescindendo dal fatto che il primo ampliamento è
stato realizzato “controterra” e il secondo su un prospetto
dell’edificio che non fronteggia direttamente la sede
stradale, tali interventi non paiono idonei ad incidere
sulle esigenze tutelate dal vincolo viario di inedificabilità, poiché non modificano le condizioni di
sicurezza della circolazione né riducono lo spazio di
manovra concretamente disponibile.
Infatti, l’ampliamento superficiario ottenuto mediante scavo
del terrapieno, non influendo evidentemente sul traffico,
non può neppure costituire di per sé impedimento alla
realizzazione di opere accessorie alla sicurezza stradale,
stante l’interposizione della residua porzione di terrapieno
e del relativo muro di contenimento a suo tempo realizzati
in occasione della tracciatura della strada.
Anche la chiusura del porticato pare inidonea a determinare
quei possibili pericoli o impedimenti sottesi alla ratio del
citato art. 26, poiché ha lasciato immutato l’ingombro del
fabbricato e la sua distanza dalla strada che corre “in
trincea”.
Avendo riguardo alla peculiare situazione di fatto, quindi,
non si ha evidenza di alcuna compromissione degli interessi
pubblici salvaguardati dal vincolo stradale.
Nei termini così esposti, il ricorso è fondato e, previo
assorbimento delle altre censure dedotte, deve essere
accolto (TAR Liguria, Sez. II,
sentenza 02.12.2022 n. 1026 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Secondo l'orientamento ormai granitico nella giurisprudenza:
- “Si
ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante
sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e
prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata. Il
divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729
del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non
può essere inteso restrittivamente al solo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi
connessi alla presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze
previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando
nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti”;
- “quanto alla
pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in
concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia
alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente
da censure, essendo la distanza stabilita per legge già
volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del
traffico. [...] Si fa quindi riferimento a un ampio concetto
di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza
e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere
valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di
potere prevedere tutte le future evenienze”.
---------------
Questo Tribunale si è già pronunciato sostenendo che:
- “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle
caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del
24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n.
1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla
stessa norma regionale […] a nulla rilevando il profilo del
pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico”;
- “l'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno
rientrare lo stesso, in tema di condono edilizio,
nell'ambito applicativo dell'articolo 33 della L. n. 47 del
1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di sanatoria’.
Ed invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse,
che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non sono suscettibili
di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti
vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano
stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:
.... d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità
delle aree”.
---------------
A. – Viene in decisione il ricorso promosso dagli odierni
istanti, quali eredi dell’originario ricorrente, i quali
hanno censurato il provvedimento del 24.07.2013, prot.
n. 0045575-P, con il quale l’ANAS S.p.a. ha adottato il
diniego del nullaosta in sanatoria per l’immobile sito nel
Comune di Ficarazzi in C/da -OMISSIS-, ricadente nella
fascia di rispetto autostradale della A/19 e censito in
catasto al foglio 6, part.lla n. 1325 subalterni 3 – 4 e 5.
B. – Deve in via preliminare darsi atto che la difesa
dell’ANAS S.p.A. –per la quale si erano inizialmente
costituiti sia l’avv. Gi. dell’Avvocatura interna
all’ANAS S.p.A., sia l’Avvocatura Distrettuale dello Stato
di Palermo– è stata assegnata al primo difensore
menzionato, come risulta dalla documentazione versata in
atti dall’Avvocatura dello Stato in data 30.01.2014.
C. – Ciò premesso, il ricorso non è fondato.
C.1. – Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
censura l’operato dell’amministrazione che ha negato il
rilascio del N.O. in sanatoria con nota prot. n. 0045575-P
del 24.07.2013 senza motivare sulla eventuale minaccia
alla sicurezza del traffico rappresentata dall’immobile in
questione.
Parte ricorrente, deduce inoltre che le costruzioni oggetto
del N.O. sono state realizzate sotto la vigenza dell’art. 9
della l. n. 729/1961, la quale individuava come fascia di
inedificabilità assoluta solamente quella dei 25 metri,
rimettendo alla valutazione dell’ente preposto l’eventuale
sussistenza di altri pericoli o ragioni di interesse
pubblico che impedissero il rilascio del N.O..
Gli odierni istanti lamentano altresì l’erronea misurazione
svolta dall’Amministrazione, posto che la suddetta norma (i.e.:
l’art. 9), almeno fino all’entrata in vigore del nuovo
codice della strada, in combinato disposto con l’art. 41-septies, commi 1 e 2, della l. n. 1150/1942 imponeva, secondo
parte ricorrente, che la fascia tra l’autostrada e gli
immobili in questione fosse misurata “a partire dal ciglio
stradale”.
Inoltre, parte ricorrente sostiene che la normativa
regionale introdurrebbe una deroga al regime normativo
nazionale, stabilendo che anche qualora le costruzioni siano
costruite all’interno delle fasce di rispetto, le stesse
possano essere sanate “sempre che a giudizio dell’ente
preposto alla tutela della viabilità, le costruzioni stesse
non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”.
Tali profili di doglianza non meritano accoglimento per i
seguenti motivi.
Con riferimento alla mancata motivazione sulla eventuale
minaccia alla sicurezza del traffico e sulla pericolosità in
concreto rappresentata dall’immobile in questione, il
provvedimento appare esente da censure, avendo diffusamente
motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo di
prevenire l’esistenza di ostacoli materiali emergenti dal
suolo e suscettibili di costituire pregiudizio alla
sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza anche dal
concessionario o “dall'Ente proprietario o gestore per
l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di ampliamento
senza limiti connessi alla presenza di costruzioni” (cfr.
TAR Sicilia, Sez. I, 16.03.2019, n. 901).
Tale orientamento è ormai granitico nella giurisprudenza
anche di questo Tribunale, secondo cui, altresì,
- “Si
ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante
sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e
prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata. Il
divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729
del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non
può essere inteso restrittivamente al solo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi
connessi alla presenza di costruzioni. Pertanto, le distanze
previste vanno osservate comunque anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando
nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, 30.09.2008,
n. 4719; Cons. Stato, 15.04.2013, n. 2062; Cass. Civ., II,
03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana, III, 23.07.2012, n. 1347;
TAR Campania, II, 26.10.2012, n. 4283)”; e che
- “quanto alla
pretesa necessità di una valutazione della pericolosità in
concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia
alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente
da censure, essendo la distanza stabilita per legge già
volta a tutelare le medesime esigenze di sicurezza del
traffico. [...] Si fa quindi riferimento a un ampio concetto
di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza
e fluidità della circolazione, che non si presta ad essere
valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di
potere prevedere tutte le future evenienze” (TAR Sicilia, Sez. II, 27.06.2022, n. 2096).
Con riferimento alla contestata misurazione della fascia di
rispetto, invece, appare dirimente l’art. 3, co. 1, n. 10),
del d.lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), che
disciplina il confine stradale definendolo come “limite
della proprietà stradale quale risulta dagli atti di
acquisizione o dalle fasce di esproprio del progetto
approvato”, come del resto osservato da questo Tribunale,
secondo cui “Il criterio di computo adottato dall’ANAS nel
caso in esame è corretto, in quanto la distanza deve essere
misurata dal confine stradale inteso come linea della fascia
di esproprio, posto che la definizione di confine è sancita normativamente dall’art. 3, co. 10, del nuovo codice della
strada” (TAR Sicilia n. 2096/2022 cit.; nello stesso
senso TAR Sicilia, Sez. II, 30.03.2022, n. 1104).
In tal senso appare corretta la misurazione realizzata
dall’Amministrazione resistente, posto che l’immobile “A)”
si troverebbe all’interno della fascia di rispetto a
protezione del nastro stradale, a una distanza di 48,00
metri, mentre l’immobile “B” si troverebbe in parte dentro
ed in parte fuori dalla fascia di rispetto, in quanto il
punto più vicino al confine autostradale dista 57,90 metri
dal confine.
Pertanto, gli immobili si troverebbero all’interno della
fascia di rispetto, posto che ai sensi del combinato
disposto degli artt. 4 del D.M. e 26 del D.P.R. 495 del
1992, all’esterno del perimetro abitato la distanza delle
edificazioni da osservarsi nelle strade di tipo A) e è 60
metri.
Inoltre, con riferimento alla circostanza secondo cui la
normativa regionale introdurrebbe una deroga al regime
nazionale, questo Tribunale si è già pronunciato sostenendo
che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle
caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale n.
1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla
stessa norma regionale […] a nulla rilevando il profilo del
pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico” (TAR
Sicilia n. 1104/2022 cit.); e che “L'inderogabilità del
vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo stesso,
in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo
dell'articolo 33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le
‘Opere non suscettibili di sanatoria’ (cfr. Cons. Stato, IV,
n. 2062/2013 cit.). Ed invero, la norma prevede, per quanto
qui di interesse, che ‘Le opere di cui all'articolo 31 non
sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con
i seguenti vincoli, qualora questi comportino
inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione
delle opere stesse: .... d) ogni altro vincolo che comporti
la inedificabilità delle aree” (TAR Sicilia n. 2096/2022 cit.).
Nel caso di specie, costituisce circostanza incontestata che
i fabbricati siano stati abusivamente realizzati nell’anno
1992, in epoca successiva alla costruzione dell’autostrada
A/19 Palermo-Catania, con vincolo di inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale: ciò si evince
dal decreto del 17.10.1969 del Prefetto di Palermo, che
richiama il provvedimento n. 1957 del 26.04.1965 con cui
la Direzione dell’ANAS ha approvato il progetto di
costruzione della citata autostrada (doc. n. 3, deposito
documentale ANAS in data 06.10.2022).
Quanto alla ritenuta disparità di trattamento, invece, parte
ricorrente si limita ad affermare una “odiosa disparità nel
trattamento di situazioni analoghe. Anzi, ad onor del vero,
gli immobili con riferimento ai quali risultano essere stati
rilasciati i N.O. da parte dell’ANAS risultano più vicini
alla sede autostradale rispetto a quelli del ricorrente”,
senza indicare le unità immobiliari di cui trattasi e senza
chiarire le condizioni in cui si trovassero gli immobili,
nonché l’epoca in cui siano stati costruiti.
Sotto tale profilo, pertanto, non è apprezzabile l’adombrato
eccesso di potere per disparità di trattamento (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 28.11.2022 n. 3426 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
“fascia di rispetto” delle strade, secondo la
classificazione di queste offerta dal relativo Codice, consiste, ai sensi
dell’art. 2, co. 1, n. 22, d.lgs. n. 285/1992, nella “striscia di terreno,
esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla
realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni,
recinzioni, piantagioni, depositi e simili”.
Invero, il vincolo stradale che afferisce a tali fasce di rispetto è un
vincolo assoluto, nel senso che esso grava sugli immobili considerati,
limitando o escludendo l’esercizio di talune facoltà di godimento connesse
al diritto di proprietà, in modo pieno e inderogabile per il solo fatto
della ubicazione dell’immobile al confine con la strada, e senza che occorra
accertare in concreto il pregiudizio o il pericolo che l’opera realizzanda o
abusivamente realizzata possa (o meno) arrecare alla
circolazione stradale.
---------------
La disciplina vincolistica introdotta dal Codice della
strada –diversa e specifica rispetto a quella di cui
all’art. 19, l. n. 06.08.1967 n. 765 e D.M. 01.04.1968 n.
1404- non ha natura prettamente urbanistica né tanto meno espropriativa e, dunque, non intende ontologicamente e teleologicamente disciplinare qualsivoglia trasformazione
del territorio.
Essa è invece una disciplina di tutela della circolazione e sicurezza
stradale, del buon uso delle strade. Le limitazioni e i divieti allo jus
aedificandi sono introdotti a tali fini, poiché l’ordinamento accorda
prevalenza, rispetto al diritto di proprietà, ad altri valori
costituzionalmente garantiti, quali la sicurezza pubblica e privata, la
salute, la tutela della vita e dell’integrità fisica.
E’ a tali fini che ne costituiscono giustificazione –e non per una generale
regolazione dell’uso del territorio- che i vincoli di inedificabilità
vengono introdotti dal Codice della strada.
Ma, al contempo, occorre anche ricordare che, trattandosi di vincoli
conformativi (e non espropriativi) la limitazione del diritto di proprietà e
delle facoltà ad esso connesse deve essere causalmente interpretata in
connessione con le finalità imposte dalla legge, potendosi accettare (e
ritenere costituzionalmente giustificati e dunque legittimi) solo quei
limiti funzionali alla predetta tutela.
Come la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare fin dalla sentenza 09.05.1968 n. 55, il legislatore, nel determinare il regime del diritto di
proprietà può “autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa
gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e
di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai
eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il
sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale
al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento
storico”.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale anche con
riferimento alle fasce di rispetto e relativi vincoli stradali (Corte cost.,
16.06.1971 n. 133).
Sul piano dell’interpretazione, ciò comporta –fermo quanto già rilevato in
sede di interpretazione letterale– che le norme limitative del diritto di
proprietà contenute nel Codice della strada devono trovare il proprio
“limite interpretativo”, sia sul piano logico-sistematico che su quello
della coerenza costituzionale, nella stretta esigenza di preservare la
tutela della circolazione stradale, il buono e sicuro uso delle strade. In
sostanza, le ragioni che sorreggono teleologicamente il vincolo conformativo
di natura stradale del diritto di proprietà sono le medesime che si
impongono all’interprete, onde contemperare più valori costituzionalmente
garantiti.
---------------
Qualora l’amministrazione intenda, ritenendone sussistenti i
presupposti, esercitare i propri poteri repressivi a tutela
delle fasce di rispetto –nel caso di specie si
trattava di un manufatto nella fascia di rispetto
autostradale- non può limitarsi ad indicare, genericamente,
che sussiste una qualche violazione della disciplina del
codice della strada e/o del suo regolamento di attuazione,
ma deve specificamente indicare o comunque rendere
individuabili –quale giustificazione dell’esercizio del
potere in ossequio al principio di legalità– le norme
specificamente violate.
---------------
3.1. Occorre ricordare che la “fascia di rispetto” delle strade, secondo la
classificazione di queste offerta dal relativo Codice, consiste, ai sensi
dell’art. 2, co. 1, n. 22, d.lgs. n. 285/1992, nella “striscia di terreno,
esterna al confine stradale, sulla quale esistono vincoli alla
realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni,
recinzioni, piantagioni, depositi e simili”.
Come la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già avuto modo di
affermare, il vincolo stradale che afferisce a tali fasce di rispetto è un
vincolo assoluto, nel senso che esso grava sugli immobili considerati,
limitando o escludendo l’esercizio di talune facoltà di godimento connesse
al diritto di proprietà, in modo pieno e inderogabile per il solo fatto
della ubicazione dell’immobile al confine con la strada, e senza che occorra
accertare in concreto il pregiudizio o il pericolo che l’opera realizzanda o
abusivamente realizzata possa (o meno) arrecare alla circolazione stradale (Cons.
Stato, sez. II, 25.05.2020 n. 3320 e 12.02.2020 n. 1110; sez. IV,
13.06.2017 n. 2878; sez. V, 23.06.2014 n. 3147).
Più in particolare (e per quel che rileva nella presente controversia),
specifiche “fasce di rispetto” sono previste dal Codice della strada (d.lgs.
30.04.1992 n. 285) dagli artt. 16 e 17, relativamente alle aree fuori
dai centri abitati, e dall’art. 18, per le aree situate nei centri abitati.
In particolare, l’art. 16, demandando al regolamento di definire la
profondità della fascia di rispetto, vieta tra l’altro (co. 1):
- alla lett. b), di “costruire, ricostruire o ampliare,
lateralmente alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale”;
- alla lett. c), di “impiantare ….recinzioni”.
Il successivo art. 18, relativo ai centri abitati, nel fare rinvio alle più
specifiche norme del regolamento, prevede fasce di rispetto che inibiscono
“le nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti” (co. 1) e prescrizioni
per la realizzazione di “recinzioni e piantagioni” (co. 4).
Il regolamento di attuazione del Codice della strada (DPR 16.12.1992
n. 495), disciplina a sua volta l’“attività a tutela delle strade e fasce di
rispetto” agli articoli 26 (fasce di rispetto fuori dai centri abitati, ma
con specifiche disposizioni –co. 3- per le “zone previste come edificabili
e trasformabili dallo strumento urbanistico generale”), 27 (fasce di
rispetto nelle curve fuori dai centri abitati) e 28 (fasce di rispetto per
l’edificazione nei centri abitati).
In particolare, l’art. 26 prevede al co. 2 “le distanze dal confine
stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni
conseguenti a demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le
strade”; al co. 7, le distanze “per le recinzioni non superiori ad 1 metro
costituite da siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e
materiali similari, sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o
in cordoli emergenti non oltre 30 cm. dal suolo”.
L’art. 28, relativamente alle fasce di rispetto nei centri abitati, prevede,
al co. 1, quelle da rispettare “nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni
integrali e conseguenti ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le
strade”. Il successivo co. 4 disciplina, invece, le distanze da rispettare
“nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi natura e
consistenza, lateralmente alle strade”.
La disciplina primaria e regolamentare, come è dato osservare, lungi
dall’individuare una misurazione e un contenuto unici delle fasce di
rispetto, distinguono non solo per tipologie di strade, ma altresì per
localizzazione della strada stessa, e cioè se essa è ubicata in centri
abitati o fuori di questi, con l’ulteriore distinzione, in questo ultimo
ambito, delle zone (non edificate ma) previste come edificabili (v. art. 26,
co. 3 reg.) e delle zone “in assenza di strumento urbanistico” (v. art. 28, co. 3 reg. ).
In ragione della pluralità di distinzioni operata dalla disciplina in
materia, appare evidente come il vincolo stradale, ferma la sua tipologia di
vincolo assoluto, assuma un contenuto diverso a seconda della natura della
strada e dell’ubicazione di questa e del fondo finitimo.
Ne consegue che, nell’ambito del genus “vincolo stradale”, sono
individuabili diverse species dello stesso che alla comune natura
vincolistica “assoluta”, nei sensi innanzi definiti, accompagnano una
diversa scansione dei limiti conformativi del diritto di proprietà.
3.2. La normativa innanzi richiamata distingue, poiché distintamente
individuate, tra:
- “costruzioni” e “recinzioni” (v. art. 2, co. 1, n. 22);
- “costruzione, ricostruzione o ampliamento” di “edificazioni di
qualsiasi tipo e materiale” (v. art. 16, co. 1, lett. b) cod.; art. 26, co.
2 reg. e art. 28 co. 1 reg.);
- “recinzioni” (art. 16, co. 1, lett. d) cod.; art. 26, co. 7 reg.);
- “muri di cinta” (art. 28, co. 4 reg.).
Ne consegue che, nell’ambito del Codice della strada, la nozione di
“costruzione” ovvero di “edificazione” non è onnicomprensiva di qualunque
elemento solido che, per opera dell’uomo, venga ex novo realizzato sul
terreno.
In caso contrario (nel senso cioè, di un significato generalista e
onnicomprensivo del termine “costruzione”), la disciplina normativa non
avrebbe affiancato, con specifiche previsioni, alle “costruzioni,
ricostruzioni e ampliamenti”, per di più nell’ambito del medesimo articolo,
le recinzioni ed i muri di cinta.
Queste due ultime realizzazioni ricevono disciplina diversa, di modo che già
l’interpretazione letterale delle norme impedisce che esse possano essere
assimilate, o meglio ricomprese nelle “costruzioni”.
Oltre le disposizioni già innanzi richiamate, anche l’art. 30 del Codice
disciplina –ai fini della loro conservazione e manutenzione– distintamente
i “fabbricati” e i “muri”.
Le distinzioni presenti -peraltro non occasionali ma ripetute in più
articoli sia della fonte primaria che secondaria– conducono ad affermare
che laddove si imponga il divieto di costruire, ricostruire o ampliare la
norma intenda riferirsi alla realizzazione di volumi fuori terra, edifici,
che in quanto tali possono costituire un pericolo per la circolazione
stradale e dunque per la pubblica e privata incolumità ove posti a distanza
ravvicinata delle strade, intendendosi per tale quella di volta in volta
prevista dalle singole fasce di rispetto.
Da ultimo, occorre ricordare come anche la tradizionale interpretazione
amministrativa del termine “edificazione”, riferito alle fasce di rispetto
stradale, è nel senso che “l’edificazione consiste essenzialmente
nell’esecuzione di edifici di qualsiasi grandezza, forma e destinazione” (v.
circ. Ministero lavori pubblici 30.12.1970 n. 5980), e non già in
qualunque manufatto realizzato dall’uomo “fuori terra”.
3.3. La disciplina vincolistica introdotta dal Codice della strada –diversa
e specifica rispetto a quella di cui all’art. 19, l. n. 06.08.1967 n. 765
e D.M. 01.04.1968 n. 1404- non ha natura prettamente urbanistica né tanto meno espropriativa (Cons. Stato, sez. IV, 29.03.2021 n. 2602 e 20.10.2000 n. 5620; sez. II,
05.10.2020 n. 5865), e dunque non intende ontologicamente e teleologicamente disciplinare qualsivoglia trasformazione
del territorio.
Essa è invece una disciplina di tutela della circolazione e sicurezza
stradale, del buon uso delle strade. Le limitazioni e i divieti allo jus
aedificandi sono introdotti a tali fini, poiché l’ordinamento accorda
prevalenza, rispetto al diritto di proprietà, ad altri valori
costituzionalmente garantiti, quali la sicurezza pubblica e privata, la
salute, la tutela della vita e dell’integrità fisica.
E’ a tali fini che ne costituiscono giustificazione –e non per una generale
regolazione dell’uso del territorio- che i vincoli di inedificabilità
vengono introdotti dal Codice della strada.
Ma, al contempo, occorre anche ricordare che, trattandosi di vincoli
conformativi (e non espropriativi) la limitazione del diritto di proprietà e
delle facoltà ad esso connesse deve essere causalmente interpretata in
connessione con le finalità imposte dalla legge, potendosi accettare (e
ritenere costituzionalmente giustificati e dunque legittimi) solo quei
limiti funzionali alla predetta tutela.
Come la Corte costituzionale ha avuto modo di affermare fin dalla sentenza 09.05.1968 n. 55, il legislatore, nel determinare il regime del diritto di
proprietà può “autorizzare imposizioni a titolo particolare, con diversa
gradazione e più o meno accentuata restrizione delle facoltà di godimento e
di disposizione. Ma tali imposizioni a titolo particolare non possono mai
eccedere, senza indennizzo, quella portata, al di là della quale il
sacrificio imposto venga ad incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale
al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell’attuale momento
storico”.
Tali principi sono stati ribaditi dalla Corte costituzionale anche con
riferimento alle fasce di rispetto e relativi vincoli stradali (Corte cost.,
16.06.1971 n. 133).
Sul piano dell’interpretazione, ciò comporta –fermo quanto già rilevato in
sede di interpretazione letterale– che le norme limitative del diritto di
proprietà contenute nel Codice della strada devono trovare il proprio
“limite interpretativo”, sia sul piano logico-sistematico che su quello
della coerenza costituzionale, nella stretta esigenza di preservare la
tutela della circolazione stradale, il buono e sicuro uso delle strade. In
sostanza, le ragioni che sorreggono teleologicamente il vincolo conformativo
di natura stradale del diritto di proprietà sono le medesime che si
impongono all’interprete, onde contemperare più valori costituzionalmente
garantiti.
3.4. Quanto sin qui affermato, non appare contraddetto dalla circolare ANAS
29.07.2010 n. 109707, la quale (ferma, peraltro, la sua natura meramente
interpretativa in via amministrativa) non fornisce alcuna propria
interpretazione del concetto di “edificazione” ai fini dell’applicazione del
vincolo stradale.
4. 3. Tanto ricordato sul piano generale, occorre precisare che né il
provvedimento impugnato 11.01.2021 n. 521, né la precedente nota della
società Autostrade 12.06.2017, dalla quale ha origine il procedimento,
indicano le specifiche norme violate, riferendosi tali atti, in via generale
(e generica), al Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), al suo
regolamento di attuazione (DPR n. 495/1992) ed alla circolare ANAS s.p.a. 29.07.2010 n. 109707; né tali atti chiariscono se la zona interessata dal
vincolo autostradale si trovi (o meno) in centro abitato.
E’ la sentenza impugnata, sulla scorta dei motivi proposti con il ricorso
instaurativo del giudizio di primo grado e degli atti del giudizio di primo
grado, ad indicare, quali disposizioni di riferimento e oggetto di
violazione, gli artt. 26 e 28 del DPR 495/1992.
A prescindere dal caso in esame (dove non vi è specifica deduzione), occorre
ricordare che, una volta che l’amministrazione intenda, ritenendone
sussistenti i presupposti, esercitare i propri poteri repressivi a tutela
delle fasce di rispetto, non può limitarsi ad indicare, genericamente, che
sussiste una qualche violazione della disciplina del codice della strada e/o
del suo regolamento di attuazione, ma deve specificamente indicare o
comunque rendere individuabili –quale giustificazione dell’esercizio del
potere in ossequio al principio di legalità- le norme specificamente
violate.
E ciò a maggior ragione nel caso di specie, dove sono le stesse norme
primarie e secondarie ad effettuare una pluralità di distinzioni,
conformando di volta in volta il vincolo di inedificabilità e definendo
l’entità della fascia di rispetto.
Così come –proprio perché rilevante ai fini della verifica della
(eventuale) violazione dei divieti imposti– l’amministrazione è tenuta a
specificare la classificazione della strada, tipologia dell’area
interessata, se trattasi o meno di centro abitato e, inoltre, se trattasi di
centro previsto come edificabile ovvero “in assenza di strumento
urbanistico”.
5. Nel caso di specie, in assenza di puntuali indicazioni nel provvedimento
impugnato, dalla complessiva lettura degli atti di causa, si evince che:
- la strada considerata ai fini della definizione della fascia di
rispetto è una autostrada (strada di tipo A: art. 2, co. 2, d.lgs. n.
285/1992);
- la zona considerata è da ritenersi in “centro abitato”, ancorché
la società Autostrade, nella nota del 12.06.2017, segnali la violazione
costituita dal piazzale “indipendentemente dall’essere all’esterno o
all’interno del perimetro del centro abitato” (ma, sul punto, il Comune di
Firenze –come si evince dalla memoria del 07.02.2022, pag. 9- si
riferisce espressamente al “vincolo di inedificabilità assoluta di 30 metri
dal ciglio autostradale (per i centri abitati)”;
- le realizzazioni consistono in “piazzale permeabile”, che si
assume realizzato a circa 17 m. dal ciglio autostradale; “cancello di
ingresso”, “recinzione”.
Tanto precisato, ed alla luce delle considerazioni sin qui esposte,
l’appello deve essere accolto con riferimento al secondo motivo di
impugnazione proposto (sub lett. b) dell’esposizione in fatto), con
assorbimento degli ulteriori motivi, potendosi, in particolare. prescindere
dall’accertare o meno se, nel caso di specie, le opere oggetto
dell’ordinanza impugnata siano preesistenti o meno all’entrata in vigore del
Codice della strada.
Alla luce di quanto sin qui considerato, non può essere condivisa la
sentenza impugnata, laddove essa afferma che il vincolo di inedificabilità
“è incompatibile con qualsiasi manufatto”, e tali sono il “piazzale
pavimentato o asfaltato” e “il muro di recinzione” (pag. 5).
Né, per le stesse ragioni, può trovare accoglimento quanto dedotto dalla
società Autostrade e dal Comune di Firenze, secondo il quale “la disciplina
introdotta dal nuovo Codice della Strada e dal suo regolamento di esecuzione
... introduce un vincolo di inedificabilità assoluta di 30 metri dal ciglio
autostradale (per i centri abitati) che non ammette ... nessuna deroga,
tanto meno in relazione alla natura delle opere realizzate” (v. pag. 9
memoria Comune del 07.02.2022; considerazioni analoghe a pagg. 6-7
memoria Autostrade del 09.02.2022).
Al contrario, la recinzione ed il cancello non rientrano nel divieto di
edificazione, così come genericamente richiamato nell’ordinanza impugnata,
ma devono essere oggetto di verifica puntuale alla luce delle norme del
Codice e della strada e del suo regolamento di attuazione, come innanzi
richiamate.
Né può parlarsi di edificazione in violazione della fascia di rispetto, con
riferimento alla realizzazione, senza ulteriori opere, di un piazzale, quale
che sia il materiale disteso sul suolo ed utilizzato.
Sul punto, la
giurisprudenza ha già avuto modo di affermare (Cons. Stato, sez. IV,
29.03.2021 n. 2602) la piena compatibilità di un parcheggio a raso con la
fascia di rispetto stradale (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 07.11.2022 n. 9709 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare,
infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto stradale
comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
rischi per la circolazione stradale, sono inedificabili le
aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale.
Tale vincolo, non può essere inteso restrittivamente, al
solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede
stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia
esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni. […] Da quanto sopra deriva che
il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non
ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla
strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di
manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso
per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a
relativo), non essendo possibile prevedere le future
evenienze manutentive.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento, prot. CPA –
0017209-P del 15.03.12, notificato il 22.03.2012, con cui
l’A.N.A.S. ha negato il nulla osta in relazione alla
costruzione di un fabbricato sito lungo la S.S. 185 Km
54+800, nel comune di Motta Camastra.
...
1. Con ricorso ritualmente proposto il ricorrente ha
impugnato il provvedimento in epigrafe con cui l’ANAS ha
espresso il proprio diniego sull’istanza di nulla osta
avente ad oggetto la costruzione di un fabbricato sito lungo
la S.S. 185 Km 54+800, nel comune di Motta Camastra.
L’ANAS ha respinto l’istanza ritenendo non sussistenti i
necessari presupposti atteso che la distanza maturata tra la
costruzione della ditta Bl.Sa. ed il confine di proprietà
stradale della SS. n. 185 è di m. 16,5.
Pertanto ai sensi dell’art. 16 del Codice della Strada e
dell’art. 26 del regolamento per l’esecuzione C.d.S.,
nonostante sia interposta una strada Comunale tra la S.S.
185 e la proprietà del Sig. Bl. il fabbricato ricade
all’interno della fascia di rispetto.
2. Premette parte ricorrente:
- di aver richiesto al Comune di Motta Camastra, in data
21.02.2003, il rilascio della concessione edilizia per la
costruzione del suddetto fabbricato da adibire a ristorante
per la degustazione dei prodotti tipici, su un lotto di
terreno sito in Contrada Larderia, distinto in catasto al fg.
di mappa n. 18, particella 334;
- acquisiti i necessari pareri favorevoli, il Comune ha rilasciato
la concessione edilizia con provvedimento del 07.06.2006 e
con successivo provvedimento del 10.09.2007 l’Ufficio del
Genio Civile di Messina ha preso atto della completezza
degli elaborati rispetto alle prescrizioni dettate dalla
normativa sulle zone sismiche (artt. 17 L. 64/1974, art. 4
L. 1086/1971);
- a seguito di rituale istanza il Comune ha, inoltre, rilasciato,
con provvedimento dell’08.07.2009, una concessione edilizia
in variante.
Lamenta il ricorrente che, solo dopo l’inizio dei lavori,
l’ANAS gli ha contestato l’inosservanza dell’art. 16, comma
1, lett. B), e comma 4 del D.Lgs. 285/1992 e dell’art. 26
regolamento di esecuzione del C.D.S., per aver costruito il
fabbricato all’interno della fascia di rispetto prevista
dalle suddette disposizioni (v. verbale di contestazione n.
18/10 dell’11.03.2010).
Preso atto della natura comunale della strada prospiciente
l’immobile in corso di costruzione, come da certificato
rilasciato in data 30.04.2010 dal Comune di Motta Camastra,
parte ricorrente ha proposto ricorso al Prefetto ai sensi
dell’art. 203 C.d.S., avverso la sanzione irrogata.
Nelle more, a seguito di apposito sopralluogo, i tecnici
comunali hanno accertato che il fabbricato dista dalla
strada statale poco meno dei 30 metri previsti dalle
richiamate disposizioni del codice della strada,
riservandosi di effettuare nuovi rilievi con diversa e più
precisa strumentazione.
Tenuto conto delle risultanze di tale sopralluogo, il
ricorrente ha presentato all’Anas, in data 25.10.2011, una
nuova istanza per la concessione del nulla osta alla
costruzione del fabbricato.
Con nota prot. CPA-0062936-P del 25.10.2011, tuttavia, l’Anas
ha espresso parere negativo all’accoglimento dell’istanza
motivato sulle risultanze di un precedente sopralluogo nel
corso del quale era stato accertato che distanza fra il
fabbricato di proprietà del ricorrente e la S.S. 185 è pari,
nel punto più vicino, a mt. 16,5 e non a mt. 30 come
prescritto dal codice della strada.
Con memoria datata 07.11.2011 ha controdedotto al preavviso
di diniego del 25.10.2011 rappresentando che sul ricorso in
opposizione ex art. 203 del codice della strada si sarebbe
ormai formato il silenzio-assenso per decorso del termine di
cui al successivo art. 204.
L’ANAS, tuttavia, con provvedimento notificato in data
22.03.2012 ha definitivamente rigettato l’istanza di nulla
osta.
...
6.3. È infine, infondato anche il terzo motivo di
ricorso.
Dai rilievi effettuati dal Comune di Motta Camastra (v.
verbale prot. 3551 del 24.08.2010) emerge, invero, che il
fabbricato è collocato ad una distanza di 28,50/29,00 metri
dalla SS 185 e, dunque, ad una distanza inferiore ai 30
metri previsti dalla richiamata normativa.
Ad analoghe conclusioni è giunto il consulente di parte
ricorrente dopo aver fatto gli opportuni sopralluoghi ed
avendo effettuato il rilievo topografico con strumentazione
GPS. Il consulente, invero, pur affermando che le distanze
ortogonali al prospetto Sud ed al prospetto Ovest del
fabbricato alla S.S. 185 superano di gran lunga i 30 ml,
evidenzia che se si misura il punto di minor distanza
ortogonale alla strada con lo spigolo più vicino del
fabbricato (spigolo Sud Ovest) si ottiene una distanza di
metri 27,10 dal guard-rail e di ml 28,10 dalla striscia
bianca che delimita la carreggiata (v. pag. 14 del ricorso
introduttivo).
Risulta, pertanto, incontestato, in punto di fatto, che il
fabbricato di che trattasi ricade in area di rispetto
stradale secondo quanto previsto dal d.lgs. 285/1992 (che
prevede in questi casi una fascia di rispetto di m. 30). Ed
invero, gli accertamenti compiuti dal Comune di Motta
Camastra, dall’ANAS e dal consulente di parte ricorrente,
convergono tutti verso uno stesso risultato, ovvero
l’insistenza del fabbricato all’interno della fascia di
rispetto stradale (ad una distanza dalla sede stradale che,
comunque, non supera, nel punto più vicino, i previsti 30
metri, alla luce di quanto lo stesso consulente di parte,
con relazione espressamente richiamata nel ricorso, ha avuto
modo di accertare).
Non è fondato il rilievo secondo cui nessuna minaccia alla
sicurezza del traffico potrebbe essere rappresentata dalla
presenza del costruendo fabbricato, anche in considerazione
del fatto che tra lo stesso e la S.S. 185 esiste una strada
comunale con il quale il fabbricato confina direttamente.
La giurisprudenza amministrativa è consolidata
nell’affermare, infatti, che il vincolo delle fasce di
rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire,
in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche
dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in
concreto dei rischi per la circolazione stradale, sono
inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o
autostradale (Tar Campania, sez. II, sentenza n. 4105 del
17.06.2022).
Tale vincolo, non può essere inteso restrittivamente, al
solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede
stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all'incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia
esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni. […] Da quanto sopra deriva che
il vincolo in questione ha carattere assoluto, giacché non
ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla
strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di
manutenzione della stessa, che non può essere valutata caso
per caso (facendo così degradare il vincolo da assoluto a
relativo), non essendo possibile prevedere le future
evenienze manutentive (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza
n. 6780 del 02.08.2022).
Tenuto conto, pertanto, del carattere assoluto del vincolo
della fascia di rispetto stradale, non rileva nemmeno che la
S.S. 185 non confini direttamente con il fabbricato né sulla
particella sulla quale lo stesso insiste atteso che le
esigenze sottese all’esistenza del vincolo non vengono meno
a fronte di una tale evenienza non potendo, comunque,
escludersi la necessità di interventi manutentivi che
richiedano l’utilizzazione dell’intera fascia di rispetto.
7. Il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere rigettato (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 03.11.2022 n. 2854 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
distanza minima voluta dal d.m. 01.04.1968
(delle costruzioni rispetto al manto stradale), a prescindere dall'esistenza
di pericoli e/o ostacoli alla circolazione, è intesa non solo a costituire
una zona di rispetto -indipendentemente dalla circostanza che le
costruzioni sorgano a ridosso del manto stradale- ma anche ad impedire che
le stesse possano frapporsi ad eventuali opere di ampliamento ovvero di
ammodernamento della strada.
----------------
La ratio principale sottesa alla individuazione
di fasce di rispetto consiste nella necessità di porre distanze minime tra
gli edifici e il manto stradale onde garantire l'incolumità degli utenti
della strada e delle zone circostanti: a tale ragione principale se ne
affiancano altre (quali quella di assicurare un'area contigua all'arteria
stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore
per l'esecuzione di lavori) che non sono immediatamente correlate alla
esigenza di sicurezza del traffico, pur costituendone logica conseguenza.
In
tale ottica, rappresentano un potenziale ostacolo all'esigenza di tutelare
la sicurezza stradale non solo quelle opere che, per sporgere dal suolo,
limitano la visibilità o in qualche modo disturbano la regolarità della
circolazione ma anche quelle che, pur non elevandosi rispetto al piano
stradale, incidono sull'assetto del territorio circostante, atteggiandosi
come un potenziale ostacolo, suscettibile di costituire, per la sua
prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
alla incolumità delle persone.
Come già affermato in giurisprudenza, dunque,
l'espressione "edificazione", stante la ratio della norma, va intesa
nell'accezione più lata del termine "sì da farvi certamente rientrare ogni
stabile modificazione dello stato dei luoghi, con esclusione
dei soli interventi che, in quanto totalmente interrati, non
incidono in alcun modo sulla superficie, neppure in misura
minima".
---------------
5. Neppure è condivisibile la seconda censura, con la quale viene
dedotta l’illegittimità, nel merito, del provvedimento in esame.
Si osserva sul punto che, la distanza minima voluta dal d.m. 01.04.1968
(delle costruzioni rispetto al manto stradale), a prescindere dall'esistenza
di pericoli e/o ostacoli alla circolazione, è intesa non solo a costituire
una zona di rispetto -indipendentemente dalla circostanza che le
costruzioni sorgano a ridosso del manto stradale- ma anche ad impedire che
le stesse possano frapporsi ad eventuali opere di ampliamento ovvero di
ammodernamento della strada.
Ancora, l'art. 23, comma 8, della l.r. n. 37/1985, nel testo vigente
all’epoca dei fatti per cui è causa, così disponeva: “possono conseguire la
concessione o l'autorizzazione in sanatoria le costruzioni ricadenti nelle
fasce di rispetto stradali definite dal decreto ministeriale 01.04.1968
sempre che a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le
costruzioni stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”.
La circolare n. 3357/25 del 30.07.1985 -interpretativa della legge
47/1985 il cui articolo 32, comma 2, lett. c), fa riferimento al medesimo
concetto di “minaccia alla sicurezza del traffico” di cui alla predetta
norma regionale- ha chiarito che “quando l'abuso sia costituito da un
fabbricato di piccole dimensioni su strada diritta senza intersezioni, curve
o singolarità plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in
sanatoria sarà ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5
metri, ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore tale
frazione a 5 metri”.
6. In questo contesto normativo, la giurisprudenza chiamata a pronunciarsi
sul punto ha precisato che: “La ratio principale sottesa alla individuazione
di fasce di rispetto consiste nella necessità di porre distanze minime tra
gli edifici e il manto stradale onde garantire l'incolumità degli utenti
della strada e delle zone circostanti: a tale ragione principale se ne
affiancano altre (quali quella di assicurare un'area contigua all'arteria
stradale utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o gestore
per l'esecuzione di lavori) che non sono immediatamente correlate alla
esigenza di sicurezza del traffico, pur costituendone logica conseguenza. In
tale ottica, rappresentano un potenziale ostacolo all'esigenza di tutelare
la sicurezza stradale non solo quelle opere che, per sporgere dal suolo,
limitano la visibilità o in qualche modo disturbano la regolarità della
circolazione ma anche quelle che, pur non elevandosi rispetto al piano
stradale, incidono sull'assetto del territorio circostante, atteggiandosi
come un potenziale ostacolo, suscettibile di costituire, per la sua
prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
alla incolumità delle persone. Come già affermato in giurisprudenza, dunque,
l'espressione "edificazione", stante la ratio della norma, va intesa
nell'accezione più lata del termine "sì da farvi certamente rientrare ogni
stabile modificazione dello stato dei luoghi, con esclusione dei soli
interventi che, in quanto totalmente interrati, non incidono in alcun modo
sulla superficie, neppure in misura minima" (cfr. TAR Emilia Romagna,
Parma, 26.01.2006, n. 370)” (cfr. TAR Palermo n. 3197/2014, confermata
dal CGARS con sentenza n. 955/2019 che ha ribadito che “Non è dubbio
pertanto che, ai fini dell’ammissibilità in sanatoria di un immobile, è
necessario che la distanza dello stesso dal limite stradale deve essere
almeno di 5 m”).
7. Nella fattispecie in esame, l’ufficio tecnico, con il diniego di nulla
osta impugnato, ha rilevato innanzitutto che “l'ampliamento in sanatoria,
confinante con la S.P. n. 54, consiste nella trasformazione di un terrazzo
coperto con cannizzo, ancorato su strutture lignee (travi e traverse),
tipico dell'isola di Pantelleria, preesistente da almeno 30 anni, modificato
attraverso l'apposizione di ante in legno e scorrevoli, su una struttura
costituita da travi in legno e muretto di delimitazione della proprietà, con
l'aggiunta di copertura con pannelli coibentati, ubicata a ridosso di un
complesso edilizio vetusto preesistente, sottolineando la precarietà della
struttura in relazione ai materiali e alla possibilità di amovibilità. La
preesistenza della porzione in sanatoria da almeno 30 anni, ed il suo
posizionamento a ridosso da altra porzione vetusta, non hanno alcuna
rilevanza ai fini dell'applicabilità delle limitazioni al rilascio delle
concessioni per opere eseguite su aree sottoposte a vincolo di
inedificabilità, dettate dalle norme in materia di recupero e sanatoria
delle opere abusive di cui alla L. n. 47/1985”.
Ha precisato che tutte le argomentazioni relative al diniego si riferiscono
all’abuso nella sua interezza, che ricomprende anche il muro che, oltre che
da delimitazione del lotto, funge da tamponatura del vano, da supporto agli
infissi e/o da sostegno delle travi di copertura.
Ha altresì evidenziato che il punto 4.3 della Circolare del Ministero dei
LL.PP. 30.07.1985 n. 3357/25 “precisa che sono sanabili le costruzioni
realizzate nelle fasce poste a protezione del nastro stradale, a condizione
che non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico” e che, per la
costruzione su strada in rettilineo, "il criterio per l'ammissibilità della
concessione edilizia in sanatoria … decorre ove il manufatto disti dalla
strada almeno 5m”.
Ha infine constatato che “la distanza del fabbricato dalla strada dalla
strada è pari a m 0,00, inferiore a m 5,00” ed ha concluso esprimendo il
proprio parere negativo.
8. Orbene, ritiene il Collegio che la distanza dell'immobile de quo dal
confine stradale, essendo sensibilmente inferiore ai 5,00 metri previsti
dalla normativa vigente quale vincolo assoluto di inedificabilità, ha
giustamente comportato il diniego del nulla osta da parte del Libero
Consorzio Comunale di Trapani.
Invero, come correttamente evidenziato dalla difesa del Consorzio, la
predetta circolare n. 3357/25 al paragrafo 4.3, nel prevedere che sono
sanabili le costruzioni realizzate nelle fasce poste a protezione del nastro
stradale a condizione che non costituiscano minaccia alla sicurezza del
traffico, “ha precisato i criteri per stabilire se esiste tale minaccia e
se, perciò, la concessione in sanatoria debba essere negata, indicando le
diverse tipologie: A) Abusi singoli su strada in rettilineo; B) Abusi
singoli su intersezione stradale; C) Abusi plurimi o di dimensioni notevoli
su strade in rettilineo; D) Abusi plurimi su intersezione stradale; E) Abusi
singoli o plurimi in corrispondenza di curve, dossi, disuniformità
planovolumetriche”.
La tipologia cui si riconduce il caso in esame è indubbiamente la A),
secondo cui: “Quando l'abuso sia costituito da un fabbricato di piccole
dimensioni su strada diritta senza intersezioni, curve o singolarità
plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in sanatoria sarà
ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 m, ovvero almeno
metà della larghezza della strada, se superiore tale frazione a 5 m.”.
Come già visto, non è dubbio che, ai fini dell'ammissibilità alla sanatoria
di un immobile, è necessario che la distanza dello stesso dal limite
stradale deve essere almeno di 5 m. e che detta distanza di 5.00 metri
costituisce vincolo assoluto di inedificabilità (in tal senso, oltre alla
giurisprudenza già citata, si veda C. di St. n. 5716/2002). Allorquando,
come nella fattispecie (l'immobile dista “0,00 m dal ciglio stradale”), tale
distanza è inferiore la costruzione costituisce minaccia alla sicurezza
della circolazione secondo quanto stabilito dalla Circolare in argomento.
L’ente proprietario ha correttamente dichiarato la sussistenza di un
pregiudizio alla sicurezza del traffico, affermando chiaramente che non
sussistono le condizioni minime relativamente alla distanza, come previste
sia dalla legge che dalla circolare citate.
Dunque l’accertamento “specifico” è stato effettuato, e la “peculiarità dei
luoghi” è stata constatata, (avendo effettuato sopralluogo e constatato che
non esistevano le condizioni minime di legge).
9. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 22.09.2022 n. 2630 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo d'inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde
dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano
mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti.
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto,
giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada,
ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della
stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il
vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future
evenienze manutentive.
---------------
8.6 Il complessivo quadro probatorio, emergente dalla documentazione in
atti, evidenzia, pertanto, non solo che il ricorrente ha omesso di
dimostrare l’anteriorità al 1967 delle opere oggetto della domanda di
condono –il che è sufficiente per il rigetto delle censure attoree– ma
anche che alla data del 1967 non vi erano opere edili sul fondo nella
disponibilità del Sig. El., risultando acquisiti al giudizio atti
incompatibili con un’attività edilizia a tale data già esaurita.
Tali considerazioni conducono al rigetto del secondo motivo di appello, sia
nella parte in cui deduce l’anteriorità delle opere de quibus rispetto al
1967, sia in quella in cui tende a censurare l’illegittimità di una delle
autonome rationes decidendi alla base del diniego di condono, data dalla
violazione della fascia di rispetto stradale imposta con D.M. n. 1404/1968.
Difatti, non risultando dimostrata la datazione delle opere oggetto della
domanda di condono, non risulta comprovata neppure la loro anteriorità
rispetto all’imposizione del vincolo di cui al D.M. m. 1404/1968, avente
natura di inedificabilità assoluta e, dunque, ostativo alla sanatoria delle
opere edificate in sua violazione.
8.7 Al riguardo, si osserva, infatti, che il vincolo d'inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde
dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può
essere inteso restrittivamente, al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano
mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato,
sez. VI, 30.11.2011, n. 7975).
Da quanto sopra deriva che il vincolo in questione ha carattere assoluto,
giacché non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla strada,
ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione della
stessa, che non può essere valutata caso per caso (facendo così degradare il
vincolo da assoluto a relativo), non essendo possibile prevedere le future
evenienze manutentive (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 02.08.2022 n. 6780 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’inedificabilità
nella fascia di rispetto autostradale è assoluta e concerne
ogni manufatto in essa ricadente, a nulla rilevando le
relative caratteristiche costruttive.
Al riguardo, questo
Consiglio ha avuto modo di precisare, con giurisprudenza
costante, che il vincolo di inedificabilità assoluta entro
le fasce di rispetto delle sedi autostradali per le aree
situate fuori dal centro abitato sussiste a prescindere
dalle concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla
sede autostradale non può essere inteso restrittivamente e,
cioè, come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza
di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone; ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Sicché, le distanze previste vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede
stradale, o che costituiscano mere sopraelevazioni, o, che,
pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle
opere preesistenti.
---------------
7. L’appello è infondato.
8. Correttamente, invero, il Tar ha rilevato che l’inedificabilità
nella fascia di rispetto autostradale è assoluta e concerne
ogni manufatto in essa ricadente, a nulla rilevando le
relative caratteristiche costruttive.
Al riguardo, questo
Consiglio ha avuto modo di precisare, con giurisprudenza
costante, che il vincolo di inedificabilità assoluta entro
le fasce di rispetto delle sedi autostradali per le aree
situate fuori dal centro abitato sussiste a prescindere
dalle concrete caratteristiche dell'opera realizzata.
Infatti, il divieto di costruire ad una certa distanza dalla
sede autostradale non può essere inteso restrittivamente e,
cioè, come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza
di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone; ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi con la presenza di costruzioni.
Sicché, le distanze previste vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede
stradale, o che costituiscano mere sopraelevazioni, o, che,
pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle
opere preesistenti (v., per tutte, Cgars, sez. giur,
01.02.2012, n. 115; id., 21.01.2019, n. 48) (CGARS,
sentenza 19.07.2022 n. 848 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in tema
di fascia di rispetto stradale:
- “è dirimente osservare che, in disparte la
questione dell'applicabilità del D.M. n. 1404 del 1968, la condonabilità
dell'intervento edilizio in contestazione è comunque preclusa dal vincolo
dettato, in tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali,
dall'art. 9, comma 1, della L. 24.07.1961, n. 729, secondo cui ‘lungo i
tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei
progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare
edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal
limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa’.
Il citato vincolo di inedificabilità -preordinato non solo a prevenire la
presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la
circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua
alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della
medesima- si traduce in un divieto assoluto di edificazione, ragion per cui
è pertinente il richiamo fatto dall'A. alla previsione di cui all'art. 33
della L. 28.02.1985, n. 47, il quale non prevede la possibilità di sanatoria
delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità
imposto in epoca anteriore all'esecuzione (mentre non trova applicazione
l'art. 32 della stessa legge, in base al quale è ammissibile la sanatoria,
anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate
dopo l'esecuzione).
La predetta disposizione, vigente all'epoca di realizzazione dell'abuso,
trova continuità normativa nei limiti di edificazione -da rispettare tanto
fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo- introdotti dal
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e dal suo regolamento
di attuazione: segnatamente, l'art. 28 del D.P.R. 16.12.1992, n. 495
(Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada),
nel disciplinare le "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri
abitati", fissa il limite di metri 30 per le strade di tipo A, cioè per le
autostrade (come definite dall'art. 2 del codice della strada)”;
- “Si
ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata.
Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla
presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque
anche con riferimento ad opere che non superino il livello
della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni
o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto
alle opere preesistenti.
L'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo
stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo
33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di
sanatoria’.
Ed, invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di
cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in
contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità
e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: ....d) ogni
altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree’”.
---------------
Quanto alla pretesa necessità di una valutazione della
pericolosità in concreto del fabbricato abusivo (ossia che
non costituisca minaccia alla sicurezza del traffico), il
provvedimento impugnato è esente da censure, essendo la
distanza stabilita per legge già volta a tutelare le
medesime esigenze di sicurezza del traffico.
Il vincolo, infatti, non ha soltanto lo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei
lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limiti connessi alla presenza di costruzioni.
Si fa quindi riferimento a un ampio concetto di esigenza
manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità
della circolazione, che non si presta ad essere valutata
caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere
prevedere tutte le future evenienze.
---------------
5. Il ricorso è infondato e le censure devono essere complessivamente
analizzate poiché connesse.
5.1. Anzitutto, deve essere chiarito che il fabbricato abusivo –realizzato
nel 1972 come indicato da parte ricorrente– è stato pacificamente edificato
quando il tratto autostradale di che trattasi era già esistente.
5.2. Quanto alla distanza del fabbricato abusivo dal confine autostradale, è
incontestato che trattasi di mt. 20,60 (e infatti questa misurazione è
indicata dall’interessata anche nelle proprie osservazioni del 17.09.2012).
Tuttavia, secondo parte ricorrente, si dovrebbe utilizzare come termine di
riferimento il ciglio autostradale, così pervenendo a una distanza di metri
36.
La tesi è infondata.
Il criterio di computo adottato dall’ANAS nel caso in esame è corretto, in
quanto la distanza deve essere misurata dal confine stradale inteso come
linea della fascia di esproprio, posto che la definizione di confine è
sancita normativamente dall’art. 3, co. 10, del nuovo codice della strada.
In particolare, l’art. 3, comma 1, punto 10, del D.lgs. 30.04.1992 n. 285,
definisce il “confine stradale” come “il limite della proprietà
stradale quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di
esproprio del progetto approvato” (cfr. TAR Sicilia, Palermo, Sezione
Seconda, n. -OMISSIS-).
5.3. Puntualizzate tali premesse in punto di fatto e chiarito che l’immobile
è stato realizzato successivamente al tratto autostradale, deve essere ora
precisato che il vincolo esisteva già all’epoca di costruzione
dell’immobile.
La norma ratione temporis applicabile era l’art. 9 della L.
24.07.1961, n. 729, che prevedeva che “[comma 1] Lungo i tracciati delle
autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente
approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti
di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di
occupazione dell'autostrada stessa. La distanza è ridotta a metri 10 per gli
alberi da piantare. [comma 2] Le distanze di cui al comma precedente possono
essere ridotte per determinati tratti ove particolari circostanze lo
consiglino, con provvedimento del Ministro per i lavori pubblici, presidente
dell'A.N.A.S., su richiesta degli interessati e sentito il Consiglio di
amministrazione dell'A.N.A.S.”.
Nel caso di specie, non ricorreva l’ipotesi di deroga alle distanze prevista
dal comma 2, sicché all’epoca della costruzione del fabbricato la distanza
minima dalla sede autostradale restava fissata in 25 mt ai sensi della norma
citata, in vigore dal 1961.
Non rileverebbe nemmeno il fatto che l’edificio fosse situato o meno
all’interno del centro abitato. Ciò perché il vincolo di inedificabilità
nella fascia di 25 metri dal confine autostradale era comunque chiaramente
già posto dall’art. 9 l. n. 729/1961 cit. Anche prima dell’adozione del D.M.
01.04.1968 n. 1404 –che ha dettato le distanze minime dal nastro stradale in
attuazione dell’art. 19 l. n. 765/1967 (secondo cui “Fuori del perimetro
dei centri abitati debbono osservarsi nella edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a partire dal ciglio della strada.
Dette distanze vengono stabilite con decreto del Ministro per i lavori
pubblici […]”)– l’area confinante con le autostrade non era liberamente
edificabile se fuori dal centro abitato.
5.4. Le osservazioni sopra svolte conducono al rigetto dei primi due motivi
di ricorso e sono in linea con l’orientamento della giurisprudenza
amministrativa, che il Collegio condivide e richiama (cfr. Cons. Stato, Sez.
VI, 16.04.2019, n. 2501: “è dirimente osservare che, in disparte la
questione dell'applicabilità del D.M. n. 1404 del 1968, la condonabilità
dell'intervento edilizio in contestazione è comunque preclusa dal vincolo
dettato, in tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi autostradali,
dall'art. 9, comma 1, della L. 24.07.1961, n. 729, secondo cui ‘lungo i
tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei
progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare
edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal
limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa’.
Il citato vincolo di inedificabilità -preordinato non solo a prevenire la
presenza di ostacoli costituenti un possibile pregiudizio per la
circolazione, ma anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua
alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della
medesima- si traduce in un divieto assoluto di edificazione, ragion per cui
è pertinente il richiamo fatto dall'A. alla previsione di cui all'art. 33
della L. 28.02.1985, n. 47, il quale non prevede la possibilità di sanatoria
delle opere realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità
imposto in epoca anteriore all'esecuzione (mentre non trova applicazione
l'art. 32 della stessa legge, in base al quale è ammissibile la sanatoria,
anche tramite silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate
dopo l'esecuzione).
La predetta disposizione, vigente all'epoca di realizzazione dell'abuso,
trova continuità normativa nei limiti di edificazione -da rispettare tanto
fuori del centro abitato che nell'ambito di quest'ultimo- introdotti dal
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e dal suo regolamento
di attuazione: segnatamente, l'art. 28 del D.P.R. 16.12.1992, n. 495
(Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada),
nel disciplinare le "fasce di rispetto per l'edificazione nei centri
abitati", fissa il limite di metri 30 per le strade di tipo A, cioè per le
autostrade (come definite dall'art. 2 del codice della strada)”;
- v. anche Cons. Stato, Sez. VI, 06.11.2019, n. 7572: “Si
ritiene, invero, che il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata. Il divieto di costruzione sancito dall'art. 9 della
L. n. 729 del 1961 e dal successivo D.M. n. 1404 del 1968, dunque, non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla
presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste vanno osservate comunque anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV,
30.09.2008, n. 4719; Cons. Stato, 15.04.2013, n. 2062; Cass. Civ., II,
03.11.2010, n. 22422; TAR Toscana, III, 23.07.2012, n. 1347; TAR Campania,
II, 26.10.2012, n. 4283).
L'inderogabilità del vincolo e la sua natura assoluta fanno rientrare lo
stesso, in tema di condono edilizio, nell'ambito applicativo dell'articolo
33 della L. n. 47 del 1985, disciplinante le ‘Opere non suscettibili di
sanatoria’ (cfr. Cons. Stato, IV, n. 2062/2013 cit.).
Ed, invero, la norma prevede, per quanto qui di interesse, che ‘Le opere di
cui all'articolo 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in
contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità
e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: ....d) ogni
altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree’”.
5.5. Deve poi aggiungersi, quanto alla pretesa necessità di una valutazione
della pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca
minaccia alla sicurezza del traffico), che il provvedimento è esente da
censure, essendo la distanza stabilita per legge già volta a tutelare le
medesime esigenze di sicurezza del traffico.
Il vincolo, infatti, non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per
l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni. Si fa quindi riferimento a un ampio concetto
di esigenza manutentiva, anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della
circolazione, che non si presta ad essere valutata caso per caso per
l’impossibilità oggettiva di potere prevedere tutte le future evenienze (cfr.
TAR Sicilia, Palermo, 07.01.2022,-OMISSIS-).
5.6. Infine, con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce che
alla data di emanazione del preavviso di rigetto con richiesta di
osservazioni da parte di Anas, il nulla-osta doveva intendersi già
favorevolmente reso ai sensi dell'art. 17, comma 6, L.r. 16/04/2003,
considerato che era già trascorso il termine perentorio di centottanta
giorni e che nessun chiarimento o integrazione all'interessata era stato
chiesto.
La censura è infondata.
L’art. 17, comma 6, della L.reg.sic. n. 4/2003 non
risulta applicabile alla fattispecie in esame atteso che la formazione del
silenzio-assenso da detta norma disciplinato presuppone l’attivazione di una
speciale procedura ad istanza di parte che nel caso in esame non risulta
attivata da parte ricorrente.
Tale norma, invero, ha delineato, per i procedimenti di condono indicati al
comma 1 dello stesso art. 17 (e, cioè, a quelli pendenti e “non ancora
definiti” alla data di entrata in vigore della L.reg.sic. n. 4/2003) una
specifica procedura acceleratoria, da avviarsi su istanza di parte, mediante
l’inoltro, da parte del richiedente la concessione o autorizzazione in
sanatoria, di “apposita perizia giurata a firma di un tecnico abilitato
all'esercizio della professione”; perizia giurata asseverante “l'esistenza
di tutte le condizioni di legge necessarie per l'ottenimento della sanatoria”
e gli altri requisiti richiesti dal comma 2 dell’art. 17 in commento. Ed è
in tale specifico contesto procedimentale (estraneo alla fattispecie
presente) che si colloca la previsione, al comma 6, del silenzio-assenso (cfr.,
in termini, TAR Sicilia, Palermo, 07.01.2022,-OMISSIS-).
6. Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere
rigettato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 27.06.2022 n. 2096 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche
dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art.
9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto
interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti
sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia
di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a
nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla
sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto
affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n.
232/2017, circa i riflessi di natura penale connessi agli
abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango
primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Detto vincolo “non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza
di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità
alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Viene quindi fatto
riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa
attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad
essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere
prevedere tutte le future evenienze”.
---------------
Il ricorso è infondato.
Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo
cui:
- il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche
dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art.
9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto
interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti
sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto, relativamente alla fascia
di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo, a
nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del
traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale
connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango
primario) circa la possibile sanatoria degli stessi (cfr., da ultimo, TAR
Sicilia, Palermo, sez. I, 07/01/2022, n. 23 che a sua volta richiama Cons.
Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250 e, ivi, richiami; id., 03.11.2015, n.
5014);
- detto vincolo “non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza
di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità
alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limiti connessi alla presenza di costruzioni. Viene quindi fatto
riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva, anch’essa
attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si presta ad
essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di potere
prevedere tutte le future evenienze” (TAR Palermo, n. 23/2022 cit.).
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la
distanza delle opere realizzate è inferiore a quella minima prevista dalla
normativa in esame per la concessione del nulla osta e, dunque, per la
sanabilità della costruzione; donde l’infondatezza del secondo motivo di
ricorso.
Quanto alla dedotta formazione del silenzio-assenso (primo motivo), questo Tar ha già avuto modo di affermare che detto istituto non trova applicazione
in presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta, visto il disposto di
cui all’art. 35, c. 12, l. n. 47/1985, il quale, nel disciplinarne i
presupposti di operatività, espressamente lo esclude nei “casi di cui
all'articolo 33” (TAR Sicilia, Palermo, 23/01/2018, n.-OMISSIS-).
Conclusivamente, sulla scorta di quanto precede, il ricorso in quanto
infondato deve essere rigettato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 22.06.2022 n. 2031 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
delimitazione del cd. “centro abitato” è
affidato, dal Codice della Strada (art. 4), ad un provvedimento formale
della Giunta, in assenza del quale non vi è la possibilità per l’istante,
onde escludere l’applicazione della fascia di rispetto in contestazione, di
sostenere –contra l’evidenza della destinazione urbanistica impressa dal
P.R.G.- che il manufatto di interesse ricade all’interno del centro
abitato.
---------------
Il vincolo di inedificabilità assoluta imposto sulle aree ricomprese nella
fascia di rispetto stradale, in quanto funzionale a soddisfare anche
esigenze di manutenzione della rete viaria, impianto di cantieri, deposito
dei materiali e realizzazione di opere accessorie, prescinde dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento, in
concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Allorché l'opera venga realizzata dopo l'imposizione del vincolo, la
sanabilità della stessa è, dunque, in ogni caso preclusa giusta il disposto
dell'art. 33, comma 1, l. n. 47/1985, proprio perché si è in presenza di un
vincolo incompatibile con qualsiasi manufatto, a prescindere dal fatto che
lo stesso possa o meno astrattamente esporre a pericolo la circolazione
stradale.
---------------
10. Parimenti infondato si appalesa il primo ed articolato
gruppo di censure (motivo sub. I) presupponente la sopravvenuta modifica
della destinazione urbanistica dell’area di insistenza del manufatto
abusivo, oggetto della richiesta di condono, da zona E, agricola, vigente
nel 2006, a zona L, di recupero urbanistico.
Ed invero, con le istanze formulate in data 25.10.2013 e 11.11.2013, parte
ricorrente ha chiesto all’ANAS il riesame del parere negativo prot. n.
CRM-0007684-P, già reso in data 14.03.2006, a fronte dell'istanza di
sanatoria avanzata al Comune di Velletri (prot. n. 20510 dell’01.04.1986).
Ciò posto, la rinnovazione, da parte della società, delle valutazioni in
precedenza espresse ha correttamente avuto, quale parametro di riferimento,
la destinazione urbanistica dell’area di riferimento pacificamente vigente
al momento del rilascio del parere riesaminato (2006), ovvero la vocazione
agricola della stessa, esterna al centro abitato (cd. zona E del P.R.G.).
Ne discende, quale immediato e diretto corollario, l’irrilevanza, ai fini
dell’esercizio del potere di riesame in contestazione, del sopravvenuto
mutamento della destinazione urbanistica dell’area in parola in termini di
zona di recupero (cd. zona L), presupponente un certo grado di
urbanizzazione (dovuta all’approvazione della Variante Generale al Piano
Regolatore recepita dal Comune di Velletri con deliberazione C.C. del
17/12/2009), con conseguente impossibilità, per la ricorrente, di addurre
utilmente siffatta sopravvenienza a motivo di illegittimità del rinnovato
parere negativo.
10.1 Peraltro, in base ad un costante orientamento della giurisprudenza,
anche di questo Tribunale, la delimitazione del cd. “centro abitato” è
affidato, dal Codice della Strada (art. 4), ad un provvedimento formale
della Giunta, in assenza del quale non vi è la possibilità per l’istante,
onde escludere l’applicazione della fascia di rispetto in contestazione, di
sostenere –contra l’evidenza della destinazione urbanistica impressa dal
P.R.G.- che il manufatto di interesse ricade all’interno del centro
abitato.
Costituiva, semmai, onere della ricorrente comprovare che l’area in parola,
fin dall’epoca della realizzazione dell’abuso di che trattasi, insisteva
all’interno del perimetro abitato, circostanza questa smentita per tabulas
dall’inclusione della stessa in zona agricola (E) del P.R.G. (cfr. TAR
Lazio, Roma, n. 1607/2020).
11. Fuori fuoco si appalesa anche il secondo motivo di gravame, secondo cui
il rinnovato diniego di nulla-osta avrebbe dovuto essere preceduto
dall’accertamento della pericolosità dell’immobile da sanare, avuto riguardo
alle esigenze di sicurezza della circolazione stradale.
Tale assunto si pone, infatti, in aperta collisione con quel consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui il vincolo di inedificabilità
assoluta imposto sulle aree ricomprese nella fascia di rispetto stradale, in
quanto funzionale a soddisfare anche esigenze di manutenzione della rete
viaria, impianto di cantieri, deposito dei materiali e realizzazione di
opere accessorie, prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata e
dalla necessità di accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la
circolazione stradale.
Allorché l'opera venga realizzata, come nella specie, dopo l'imposizione del
vincolo, la sanabilità della stessa è, dunque, in ogni caso preclusa giusta
il disposto dell'art. 33, comma 1, l. n. 47/1985, proprio perché si è in
presenza di un vincolo incompatibile con qualsiasi manufatto, a prescindere
dal fatto che lo stesso possa o meno astrattamente esporre a pericolo la
circolazione stradale (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 01/10/2021,
n. 6150; TAR Lazio, Roma, sez. II, 27/05/2020, n. 5571; TAR Lombardia,
Brescia, Sez. I, 21.03.2011, n. 450; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 11.01.2011, n. 24; Cass. civ., sez. II,
03.11.2010 n. 22422; Cons.
Stato, Sez. IV, 14.04.2010 n. 2076).
11.1 Ciò detto, l'operato dell’A.N.A.S. spa si è rivelato corretto in quanto
presupponente l'esistenza del vincolo e la sua piena operatività in presenza
di opere realizzate posteriormente all’entrata in vigore del D.M. 01.04.1968
ed a distanza non conforme a quanto stabilito dallo stesso decreto, ovvero
edificazione ad una distanza inferiore a 30 mt., trattandosi di zona esterna
al centro abitato e venendo in rilievo una strada statale di media
importanza, cd. Strada di tipo C (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 17.06.2022 n. 8102 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa è
consolidata nell’affermare che il vincolo delle fasce di rispetto stradale
comporta un divieto assoluto di costruire, in base al quale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla
necessità di accertamento in concreto dei rischi per la circolazione
stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o
autostradale; tale vincolo opera direttamente e automaticamente, per cui una
volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità,
l'amministrazione può emettere solo un parere negativo sull'istanza di
condono.
In tale quadro, la circostanza che il vincolo sia sopravvenuto alla
realizzazione dell’abuso (in quanto la più ampia fascia di rispetto di m. 30
è stata introdotta con il d.lgs. 285/1992) non ha alcuna rilevanza, giacché
comunque trattandosi di un vincolo assoluto, esistente già al momento della
presentazione dell’istanza di condono, esso non è in alcun modo superabile.
Ne consegue anche l’irrilevanza della mancata acquisizione del parere
dell’autorità preposta alla tutela del vincolo.
---------------
Va in primo luogo rilevato che è
incontestato tra le parti, in punto di fatto, che le opere abusivamente
realizzate ricadono in area di rispetto stradale secondo quanto previsto dal
d.lgs. 285/1992 (che prevede in questi casi una fascia di rispetto di m.
30).
Tale circostanza, di per sé, esclude la possibilità di condonare le opere,
come correttamente ritenuto dal Comune resistente.
Ed infatti, come questa Sezione ha già avuto modo di rilevare, la
giurisprudenza amministrativa è consolidata nell’affermare che il vincolo
delle fasce di rispetto stradale comporta un divieto assoluto di costruire,
in base al quale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei rischi per la
circolazione stradale, sono inedificabili le aree site in fascia di rispetto
stradale o autostradale; tale vincolo opera direttamente e automaticamente,
per cui una volta attestata in concreto la violazione del vincolo di
inedificabilità, l'amministrazione può emettere solo un parere negativo
sull'istanza di condono (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 19/10/2018, n.
5985; Tar Campania, Napoli, Sez. II, 02.11.2021 Nr. 8090; TAR Bologna,
(Emilia Romagna) sez. I, 20/09/2019, n. 710).
In tale quadro, la circostanza che, come dedotto dal ricorrente, il vincolo
sia sopravvenuto alla realizzazione dell’abuso (in quanto la più ampia
fascia di rispetto di m. 30 è stata introdotta con il d.lgs. 285/1992) non
ha alcuna rilevanza, giacché comunque trattandosi di un vincolo assoluto,
esistente già al momento della presentazione dell’istanza di condono, esso
non è in alcun modo superabile. Ne consegue anche l’irrilevanza della
mancata acquisizione del parere dell’autorità preposta alla tutela del
vincolo.
Quanto appena osservato vale, secondo ciò che si è in precedenza rilevato in
tema di provvedimenti plurimotivati, ad assorbire logicamente il rilievo del
primo motivo di censura, giacché l’infondatezza delle censure
sviluppate con il secondo motivo consente di escludere
l’illegittimità del provvedimento gravato (TAR
Capania-Napoli, Sez. II,
sentenza 17.06.2022 n. 4105 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per consolidata
giurisprudenza, il vincolo di rispetto della fascia
autostradale si traduce in un divieto assoluto di costruire
e comporta quindi l’inedificabilità delle aree interessate,
indipendentemente dalle specifiche caratteristiche
dell'opera realizzata e dall’accertamento in concreto dei
rischi per la circolazione stradale.
Ciò porta ad escludere che il parere negativo delle Autorità
preposte alla tutela del vincolo debba essere sorretto da
specifica motivazione, operando in tal caso il divieto
ordinario imposto dalla legge, senza che occorra indicare in
modo specifico gli interessi pubblici tutelati, la cui
rilevanza è stata già valutata, in via preventiva, dal
legislatore.
Laddove invece l’amministrazione ritenga di
concedere la deroga al rispetto della distanza minima
stabilita dalla legge per la salvaguardia di evidenti e rilevantissime
esigenze di sicurezza pubblica e di manutenzione delle
infrastrutture, la stessa dovrà fornire una motivazione
rigorosa in ordine alle ragioni che consentono, nel caso
specifico, di non rispettare tali distanze.
---------------
L’ampiezza della fascia di rispetto autostradale è stata
prevista dall’art. 9 della l. n. 729/1961, dall’art. 4 del
successivo d.m. n. 1404/1968 e, infine, dal citato art. 28
del Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada.
La circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25
del 28.02.1985 -relativa a manufatti di piccole dimensioni
che si trovano entro la fascia di 5 m dalla strada o che
distano da essa almeno la metà della larghezza della strada-
non contiene previsioni di carattere normativo che possano
derogare alle misure stabilite dal legislatore con le
disposizioni sopra richiamate o modificare la natura
assoluta del vincolo di inedificabilità in fascia di
rispetto stradale, che necessariamente prescinde dalle
caratteristiche delle opere realizzate.
---------------
3.3. Passando ora all’esame delle censure formulate con il
ricorso n. R.G. 233/2020, si deve in primo luogo escludere
la sussistenza del denunciato vizio di carenza di
motivazione.
Va infatti ricordato che, per consolidata giurisprudenza, il
vincolo di rispetto della fascia autostradale si traduce in
un divieto assoluto di costruire e comporta quindi l’inedificabilità
delle aree interessate, indipendentemente dalle specifiche
caratteristiche dell'opera realizzata e dall’accertamento in
concreto dei rischi per la circolazione stradale (cfr.
TAR Campania, Napoli, sez. IV, 08.02.2021, n. 798;
TAR Liguria, Genova, sez. I, 12.03.2015, n. 276).
Ciò porta ad escludere che il parere negativo delle Autorità
preposte alla tutela del vincolo debba essere sorretto da
specifica motivazione, operando in tal caso il divieto
ordinario imposto dalla legge, senza che occorra indicare in
modo specifico gli interessi pubblici tutelati, la cui
rilevanza è stata già valutata, in via preventiva, dal
legislatore; laddove invece l’amministrazione ritenga di
concedere la deroga al rispetto della distanza minima
stabilita dalla legge per la salvaguardia di evidenti e
rilevantissime esigenze di sicurezza pubblica e di
manutenzione delle infrastrutture, la stessa dovrà fornire
una motivazione rigorosa in ordine alle ragioni che
consentono, nel caso specifico, di non rispettare tali
distanze (cfr. arg. ex TAR Toscana, sez. III, 06.05.2021, n. 665).
Peraltro, nella fattispecie, i pareri resi dalla Società
Autostrade e dal Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti, per quanto sintetici, danno conto della
incompatibilità delle opere -in ragione della loro
tipologia e della loro incontestata vicinanza all’autostrada- rispetto al vincolo di inedificabilità assoluta posto
dalla normativa di settore, che ha come scopo quello di
assicurare la protezione di primarie esigenze di rilievo
collettivo come quella della sicurezza stradale o quella di
consentire interventi manutentivi, di soccorso o di
ampliamento dell’infrastruttura viaria.
La Società Autostrade, infatti, ha reso parere negativo
“alla realizzazione della strada in conglomerato bituminoso
in quanto, tale tipologia realizzativa, costituisce a tutti
gli effetti un manufatto”; il Ministero ha confermato
l’incompatibilità delle opere “per materiali e distanza”,
posto che le opere da sanare si trovano vicinissime
all’autostrada.
In conclusione, l’estrema vicinanza delle opere
all’autostrada e la natura permanente delle stesse
costituiscono ragione più che evidente a sostegno del parere
negativo espresso dalle Autorità competenti.
Né, d’altra parte, può essere accolta la censura di
violazione delle garanzie partecipative al sub-procedimento
che ha portato all’adozione del parere negativo sulla deroga
alla fascia di rispetto autostradale, dal momento che nel
corso del presente giudizio non sono emerse circostanze che
avrebbero giustificato l’adozione di un atto dal contenuto
differente; la ricorrente, inoltre, anche dopo aver
conosciuto i pareri delle Autorità competenti in materia di
vincolo, non ha proposto ricorso per motivi aggiunti, con
ciò dimostrando di non avere null’altro da dedurre in merito
a tali atti.
3.4. Per quanto riguarda l’ampiezza della fascia di rispetto
autostradale, occorre in primo luogo rammentare che nel caso
di specie è stata presentata domanda di accertamento di
conformità in sanatoria che -come noto- presuppone la
conformità delle opere sia al momento della loro
realizzazione, sia al momento di presentazione dell’istanza;
appare dunque corretto il richiamo contenuto nel
provvedimento impugnato all’art. 18 del Codice della Strada, d.lgs. n. 285/1992, e all’art. 28 del d.P.R. n. 495/1992,
sicuramente vigenti nel 2018, quando la ricorrente ha
avanzato la domanda di regolarizzazione delle opere di cui
si discute, e alla fascia di rispetto ivi prevista, avente
un’ampiezza di 30 m.
In secondo luogo, le amministrazioni coinvolte non hanno
escluso in modo automatico la sanabilità delle opere ma -come evidenziato nella parte che precede- hanno operato una
concreta valutazione di compatibilità delle stesse rispetto
al vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di
rispetto stabilita dai citati artt. 18 del Codice della
Strada e 28 del Regolamento, in analogia a quanto previsto
dalla normativa in materia di condono per le ipotesi di
vincoli di inedificabilità sopravvenuta (cfr., tra le tante,
Cons. Stato, sez. II, 03.01.2022, n. 17).
In ultimo, va ricordato che l’ampiezza della fascia di
rispetto autostradale è stata prevista dall’art. 9 della l.
n. 729/1961, dall’art. 4 del successivo d.m. n. 1404/1968 e,
infine, dal citato art. 28 del Regolamento di Esecuzione del
Codice della Strada.
La circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 3357/25
del 28.02.1985 richiamata dalla ricorrente -relativa
a manufatti di piccole dimensioni che si trovano entro la
fascia di 5 m dalla strada o che distano da essa almeno la
metà della larghezza della strada- non contiene previsioni
di carattere normativo che possano derogare alle misure
stabilite dal legislatore con le disposizioni sopra
richiamate o modificare la natura assoluta del vincolo di inedificabilità in fascia di rispetto stradale, che
necessariamente prescinde dalle caratteristiche delle opere
realizzate (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 14.04.2020, n. 3904) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 17.06.2022 n. 808 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Piscina
in fascia di rispetto stradale.
Il TAR Milano, con
riferimento alla realizzazione di una
piscina in fascia di rispetto stradale,
osserva che una volta accertata la
sussistenza del vincolo di rispetto
stradale, risulta del tutto legittimo il
diniego di sanatoria, poiché “il vincolo
imposto sulle aree site nella fascia di
rispetto stradale o autostradale è di
inedificabilità assoluta, traducendosi in un
divieto assoluto di costruire che rende
inedificabili le aree site nella fascia di
rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell’opera realizzata e
dalla necessità di accertamento in concreto
dei connessi rischi per la circolazione
stradale.
Il vincolo derivante dalla fascia
di rispetto si traduce in un divieto di
edificazione che rende le aree medesime
legalmente inedificabili, trattandosi di
vincolo di inedificabilità che è sancito
nell’interesse pubblico da apposite leggi”
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.04.2022 n.
819 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
3. Con riguardo al primo motivo di ricorso –attraverso il quale è stata contestata la
legittimità della notifica degli atti
impugnati alla sig.ra Be. in proprio,
piuttosto che nella esclusiva veste di
legale rappresentante della società
CO.– le parti ricorrenti hanno preso
atto della rettifica del nominativo del
destinatario dell’ordinanza di demolizione
n. 1/2014 operata dal Comune di Mediglia a
seguito della notifica del ricorso (all. 6
del Comune) e, pertanto, la censura deve
ritenersi non più attuale.
In ogni caso la
stessa è comunque infondata, poiché laddove
la notificazione indirizzata alla persona
fisica che rappresenta l’ente risulta andata
a buon fine, la stessa produce effetto nei
confronti della persona giuridica
rappresentata, essendo questa posta in grado
di tutelarsi adeguatamente in sede
giurisdizionale (Consiglio di Stato, VI, 23.10.2015, n. 4884; anche, TAR
Sicilia, Palermo, III, 13.09.2019, n.
2185; TAR Sicilia, Catania, II, 23.11.2017, n. 2722; TAR Lombardia,
Milano, I, 05.07.2017, n. 1521).
4. Con la seconda e la terza doglianza, da
trattare congiuntamente stante la loro
stretta connessione, si assume
l’illegittimità dei provvedimenti impugnati
in quanto non sarebbero stati affatto
palesati i criteri sulla base dei quali si
sarebbe affermato che una parte della
piscina oggetto di richiesta di sanatoria
ricadrebbe nella fascia di rispetto stradale
della SP 159 “Dresano–Bettola di
Peschiera”, né sarebbero stati indicati il
punto del confine stradale dal quale è stata
effettuata la misurazione e di quanto
sarebbe stato violato il limite distanziale;
ciò che, oltre a determinare un difetto di
istruttoria e di motivazione, vizierebbe
anche il conseguente ordine di demolizione
adottato dal Comune.
4.1. Le censure sono infondate.
Va premesso che l’art. 16, comma 1, lett. b),
del Codice della strada prevede che “ai
proprietari o aventi diritto dei fondi
confinanti con le proprietà stradali fuori
dei centri abitati è vietato (…) costruire,
ricostruire o ampliare, lateralmente alle
strade, edificazioni di qualsiasi tipo e
materiale”; la violazione della citata
disposizione “importa la sanzione
amministrativa accessoria dell’obbligo per
l’autore della violazione stessa del
ripristino dei luoghi a proprie spese” (art.
16, comma 5).
L’art. 26 del Regolamento di
attuazione del medesimo Codice della strada
(“Fasce di rispetto fuori dai centri
abitati”) prevede, invece, al comma 2, lett.
c), che “fuori dai centri abitati, come
delimitati ai sensi dell’articolo 4 del
codice, le distanze dal confine stradale, da
rispettare nelle nuove costruzioni, nelle
ricostruzioni conseguenti a demolizioni
integrali o negli ampliamenti fronteggianti
le strade, non possono essere inferiori a
(…) 30 m per le strade di tipo C [strade
extraurbane secondarie]”.
Per completezza,
l’art. 3 del Codice della strada definisce
fascia di rispetto la “striscia di terreno,
esterna al confine stradale, sulla quale
esistono vincoli alla realizzazione, da
parte dei proprietari del terreno, di
costruzioni, recinzioni, piantagioni,
depositi e simili”.
Non è contestato in giudizio che la SP 159
“Dresano–Bettola di Peschiera” appartenga
al novero delle strade extraurbane
secondarie di Tipo C, come stabilito con la
Disposizione Dirigenziale n. 28/2009 del 25.05.2009, r.g. n. 8514/2009 (richiamata
nell’atto della Città Metropolitana).
Nel ricorso si eccepisce la mancata
indicazione da parte degli Enti procedenti
dei criteri utilizzati per stabilire i punti
da cui sono state poi misurate le distanze
tra la piscina oggetto di richiesta di
sanatoria e la strada SP 159, assumendo
l’incomprensibilità delle ragioni da cui si
sarebbe desunta la violazione del limite dei
30 m. In realtà, nella nota del 24.11.2014, gli Uffici della Città Metropolitana
hanno precisato che il confine stradale è
stato individuato nel limite della proprietà
provinciale e non nel ciglio bitumato della
sede stradale, come ritenuto dalla parte
istante (all. 2 della Città Metropolitana).
Peraltro, su richiesta delle parti
ricorrenti –contrariamente a quanto
sostenuto nel ricorso in cui si assume che
nessun accertamento istruttorio sarebbe
stato effettuato– è stato svolto, in data
01.12.2014, un sopralluogo congiunto
con i Tecnici della Città Metropolitana,
attraverso il quale è stata confermata la
violazione del limite dei 30 m (all. 4 della
Città Metropolitana).
La difesa comunale ha
altresì rilevato che tale limite è stato
recepito anche nel Piano Urbano del
Traffico, atto ricompreso nel P.G.T., dove
si conferma il limite dei 30 m tra la SP 159
e l’area dove è collocata la piscina (Tavola
3, all. 10 del Comune).
Nessuna contestazione su tali aspetti è
stata formulata attraverso il ricorso,
essendosi limitate le ricorrenti a produrre
una perizia di parte attraverso la quale si
è proceduto a effettuare le rilevazioni
delle distanze, prendendo arbitrariamente a
riferimento i due ceppi “che identificano il
confine di proprietà della sede stradale
rispetto al ciglio stradale della S.P. 159”
(all. 7 al ricorso) e giungendo alla
conclusione che la distanza minima di 30 m
tra la strada provinciale e la piscina
risulta certamente rispettata.
Tale modus procedendi non appare ammissibile, atteso
che, in un giudizio di legittimità, “la
parte ricorrente non può limitarsi a
censurare gli atti sulla base della loro
mera non condivisibilità, fornendo un
diverso punto di vista del tutto soggettivo,
ma deve indicare i vizi di legittimità degli
stessi, non essendo ammessa in sede
giurisdizionale una valutazione di merito,
salvo i casi espressamente previsti, non
ricorrenti nella specie (art. 134 cod. proc.
amm.)” (TAR Valle d’Aosta, 22.09.2021, n. 58).
4.2. Una volta accertata la sussistenza del
vincolo di rispetto stradale, risulta del
tutto legittimo il diniego di sanatoria,
poiché “il vincolo imposto sulle aree site
nella fascia di rispetto stradale o
autostradale è di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di
costruire che rende inedificabili le aree
site nella fascia di rispetto,
indipendentemente dalle caratteristiche
dell’opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi
per la circolazione stradale. Il vincolo
derivante dalla fascia di rispetto si
traduce in un divieto di edificazione che
rende le aree medesime legalmente
inedificabili, trattandosi di vincolo di
inedificabilità che è sancito nell’interesse
pubblico da apposite leggi” (Consiglio di
Stato, II, 12.02.2020, n. 1100; anche,
TAR Lazio, Roma, II stralcio, 29.03.2022, n. 3548). |
EDILIZIA PRIVATA: Le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle
norme poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici,
ma misure poste a tutela della sicurezza stradale, che comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione
urbanistica primaria. Si tratta di un vincolo posto a tutela della sicurezza
della circolazione ed ha carattere assoluto ed inderogabile conformando in
tal senso la proprietà privata.
Infatti, in linea di diritto, il vincolo imposto sulle aree site nella
fascia di rispetto stradale ha valenza di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le
aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche
dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale.
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8. – Un secondo motivo di appello, che poi contiene
profili “spalmati” sulle ulteriori censure dedotte nel presente giudizio di
secondo grado, tanto che le stesse possono essere scrutinate congiuntamente
dal Collegio, attiene alla prospettazione secondo la quale l’area nella
quale è stato realizzato il manufatto non ricadrebbe in alcuna fascia di
rispetto stradale.
Si è già sunteggiato come il Comune di Mediglia abbia annullato, in
autotutela, l’autorizzazione paesaggistica precedentemente rilasciata per la
realizzazione della piscina in quanto detto atto favorevole confliggeva con
la destinazione edilizio-urbanistica dell’area in cui l’opera era stata
realizzata, posto che la stessa era destinata dall’allora vigente PRG a
“zona di rispetto stradale” che, in ragione di cui alla previsione dell’art.
26, l.r. Lombardia 51/1975, era definita quale zona destinata “alla
realizzazione di nuove strade o corsie di servizio, all’ampliamento di
corsie esistenti, alla realizzazione di parcheggi pubblici e percorsi
pedonali e ciclabili”.
Le appellanti lamentano che tale motivazione dell’atto di ritiro è frutto di
una inadeguata rappresentazione delle norme che disciplinano l’assetto del
territorio con riguardo all’area in questione. In particolare puntualizzano
che:
- il manufatto edificato non ricade in alcuna fascia di rispetto stradale
sia relativamente alla via Grandi che alla SP 159 Bettola-Sordio, ciò in
quanto dalla relazione del tecnico di parte prodotta in primo grado
(architetto Ma.) emerge che:
a) alla luce, in particolare, dell’art. 1,
comma 3, d.lgs. 285/1992, la Via Grandi è identificata come strada locale F
(ovvero una strada urbana situata all’interno del centro abitato) e, tenuto
conto, dell’art. 28, comma 2, del suddetto decreto, essendo esistente uno
strumento urbanistico vigente, non vi sono stabilite distanze minime dal
confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione;
b) inoltre, il
PUT approvato con delibera di Giunta n. 157 del 17.06.1999 e con
delibera di Consiglio Comunale n. 81 del 20.12.1999 riporta
correttamente alla Tavola 3 l’assenza di fascia di rispetto stradale per il
tratto di strada definito “extraurbana locale F1” di cui alla Tavola 2;
c)
da quanto sopra emerge la prova che il tratto di strada che collega la via
Grandi dal civico 2 alla Provinciale SP 159 Bettola-Sordio, pur essendo
indicata come strada “extraurbana locale F1”, non ha la fascia di rispetto
stradale come si evince dalla Tavola 3;
d) successivamente sul tratto di
strada qui di interesse erano stai effettuati interventi di riqualificazione
(realizzazione di una corsia ciclabile, illuminazione e altro), di talché il
tecnico concludeva affermando “in via principale che sia da considerarsi
come indicato nel PUT che non vi è la presenza di fasce di rispetto stradale
contrariamente a quanto indicato nel PRG ben più datato e, in via
subordinata, che il Comune avrebbe dovuto classificare il tratto di strada
F1 extraurbano in strada urbana e pertanto priva di fasce di rispetto”
(così, testualmente, a pag. 12 dell’atto di appello);
- l’art. 28 d.P.R. 495/1992 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del
codice della Strada) si limita a stabilire che “per le strade di tipo E ed
F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite distanze minime dal
confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione” e quindi non
prevede una distanza minima da osservare sempre all’interno dei centri
abitati, rimettendo la relativa fissazione a determinazioni da assumersi
caso per caso, circostanza che, nel caso di specie, si sarebbe verificata
avendo il comune fissato detta distanza in 20 metri nello strumento
urbanistico. E’ errato dunque affermare che l’area in questione sia
coinvolta in una fascia di rispetto stradale, impeditiva della realizzazione
della piscina;
- ad ogni modo il Piano urbano del traffico (PUT) del Comune di Mediglia
classifica la via Grandi quale “strada extraurbana locale”, all'interno del
centro abitato, che quindi non è assistita da alcuna fascia e distanza di
rispetto stradale.
Dalla documentazione versata in atti nei due gradi di giudizio si evince,
invece, che:
- l’area in questione ricade, secondo il PRG vigente all’epoca dei fatti qui
oggetto di contestazione, in “zona agricola E” che, per l’art. 21 delle NTA
al PRG viene qualificata alla stregua di una delle aree “prevalentemente
destinate alla produzione agricola e che si ritiene debbano mantenere od
acquisire tale funzione”;
- sempre per il PRG la via Grandi è inserita in una fascia di rispetto
stradale di 20 m, a partire dal ciglio stradale, mentre per la SP 159 è
prescritta una fascia pari a 30 m. (per come emerge dalle tavole del PRG);
- le due fasce del terreno oggetto di intervento si collocano, secondo il
PRG allora vigente, nell’area di rispetto stradale compresa fra due strade
in congiunzione (vale a dire la Via Achille Grandi e la SP 159
Bettola-Sordio). Dette aree sono destinate alla eventuale realizzazione di
nuove strade o corsie di servizio, all’ampliamento di corsie esistenti, alla
realizzazione di parcheggi pubblici, percorsi pedonali e ciclabili o adibite
a verde;
- nel parere reso dalla Commissione edilizia durante il procedimento di
rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (successivamente annullata dal
comune) si legge che “il manufatto in progetto ricadrà esclusivamente nella
fascia di rispetto stradale relativa alla Via Achille Grandi”;
- inoltre –e a tal proposito- la Tavola n. 3 del PUT fissa il vincolo di
rispetto stradale per le strade qualificate di tipo “F1” (distanza di 20 mt.).
Con riferimento a tale ultimo aspetto merita di essere segnalato che,
sebbene neppure l’art. 28, comma 2, d.P.R. 495/1992 preveda che “per le
strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono stabilite
distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della
circolazione”, tale previsione non inibisce l’introduzione di specifiche
distanze da parte della normativa urbanistico edilizia comunale, come è
avvenuto nella specie (tanto che l’autorizzazione paesaggistica, seppur
inizialmente rilasciata dal comune, è stata da quest’ultimo annullata in
sede di autotutela).
In argomento, una volta confermato, secondo quanto si è sopra illustrato,
che il vincolo stradale sussisteva nella disciplina urbanistica locale
dell’epoca, è opportuno rammentare brevemente che, per costante
giurisprudenza, le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme
poste dal codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma
misure poste a tutela della sicurezza stradale, che comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione
urbanistica primaria. Si tratta di un vincolo posto a tutela della sicurezza
della circolazione ed ha carattere assoluto ed inderogabile conformando in
tal senso la proprietà privata (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021 n. 2602).
Infatti, in linea di diritto, il vincolo imposto sulle aree site nella
fascia di rispetto stradale ha valenza di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le
aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche
dell'opera realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale (cfr., in argomento, Cons.
Stato, Sez. VI, 24.11.2020 n. 7382).
Nel caso di specie, una volta che il P.R.G. vigente all’epoca dei fatti
inserisce l’area in questione nell’ambito di una zona a rispetto stradale (e
tale previsione non venga rimossa con effetto retroattivo), le eventuali
formali incongruenze recate dalle rappresentazioni grafiche allegate (per
come prospettato dalle appellanti) non mutano la portata prescrittiva dello
strumento urbanistico primario, che nel caso in esame si mostra impeditivo
rispetto alla realizzazione dell’opera, determinando la legittimità dei
provvedimenti adottati dal comune ed oggetto di impugnazione nel presente
contenzioso (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 06.04.2022 n. 2565 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
un pacifico orientamento giurisprudenziale, il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera
realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della
legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale
n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma
regionale invocata in ricorso; norma che, di fatto, relativamente alla
fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo,
a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del
traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale
connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango
primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Quanto, poi, alla
valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (che non
costituisca minaccia alla sicurezza del traffico) –in disparte ogni
valutazione in ordine alla derogabilità o meno in Sicilia delle distanze
minime di cui al DM 1404/1968, ad opera dell’art. 23, comma 8, L.R. 37/1985,
che non costituisce oggetto di censura– il provvedimento appare esente da
mende avendo diffusamente motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo
di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire,
per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza
del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più
ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile
all’occorrenza dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per
l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione
di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
---------------
L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in
argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della
discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di
un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività
di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato
alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con
interessi di altra natura e spettanza che è propria della
discrezionalità amministrativa.
Pertanto non si richiede una specifica motivazione che dia
conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico
che sorreggono il diniego avversato, o della comparazione di
tale interesse con quelli dei privati coinvolti e
sacrificati.
---------------
5. Con il primo motivo, come detto, si deduce che l'art.
9 della legge n. 729/1961 non avrebbe potuto essere applicato alla
fattispecie, dato che verrebbe all’esame una materia riservata alla potestà
normativa esclusiva della Regione Siciliana, che era intervenuta in materia
con l'art. 23, comma 8, della legge regionale n. 37/1985, il quale prevedeva
una valutazione specifica in merito al pericolo per la sicurezza del
traffico da parte dell'ente preposto alla tutela della viabilità, non
effettuata dall'A.N.A.S.
La doglianza è infondata.
L'art. 23 richiamato dispone che "Possono conseguire la concessione o
l'autorizzazione in sanatoria le costruzioni ricadenti nelle fasce di
rispetto stradali definite dal decreto ministeriale 01.04.1968 sempre che
a giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni
stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico".
L'art. 9 della legge n. 729/1961 prevede a sua volta, che "Lungo i tracciati
delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti
regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici
o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite
della zona di occupazione dell'autostrada stessa. La distanza è ridotta a
metri 10 per gli alberi da piantare".
Orbene, dal provvedimento impugnato risulta che l'A.N.A.S. ha ritenuto che
il criterio per stabilire la sussistenza di una minaccia alla sicurezza del
traffico doveva essere ricavato dal succitato art. 9 e che, pertanto, doveva
essere esclusa la possibilità di rilascio del nulla osta per le costruzioni
(quale quella della ricorrente) ubicate a meno di 25 metri dal limite della
zona di occupazione autostradale.
Tale prospettazione è, ad avviso del Collegio, condivisibile con conseguente
infondatezza della censura in esame tenuto conto degli interessi tutelati
dal ridetto art. 9.
Deve, infatti, ricordarsi che, secondo un pacifico orientamento
giurisprudenziale (per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n.
1250), il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale ha carattere assoluto, e prescinde dalle caratteristiche dell’opera
realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della
legge n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale
n. 1404 del 01.04.1968 debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma
regionale invocata in ricorso; norma che, di fatto, relativamente alla
fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di contenuto precettivo,
a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno alla sicurezza del
traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di natura penale
connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale (anche di rango
primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Quanto, poi, alla
valutazione della pericolosità in concreto del fabbricato (che non
costituisca minaccia alla sicurezza del traffico) –in disparte ogni
valutazione in ordine alla derogabilità o meno in Sicilia delle distanze
minime di cui al DM 1404/1968, ad opera dell’art. 23, comma 8, L.R. 37/1985,
che non costituisce oggetto di censura– il provvedimento appare esente da
mende avendo diffusamente motivato che il vincolo non ha soltanto lo scopo
di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire,
per la loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza
del traffico e all’incolumità delle persone, ma appare correlato alla più
ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile
all’occorrenza dal concessionario per l’esecuzione dei lavori, per
l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per la realizzazione
di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di costruzioni.
6. Parimenti infondato è il secondo ordine di censure, con il quale parte
ricorrente denunzia che la misurazione avrebbe dovuto essere effettuata a
partire dal ciglio della strada e non dal confine.
Rileva il Collegio che il
criterio adottato dall’ANAS nel caso in esame è corretto, in quanto la
distanza deve essere misurata dal confine stradale inteso come linea della
fascia di esproprio, posto che la definizione di confine è sancita normativamente dall'art. 3, comma 10, del nuovo codice della strada.
In particolare l’art. 3, comma 1, punto 10, del D.lgs. 30.04.1992, n. 285
definisce il “Confine stradale” come “il limite della proprietà stradale
quale risulta dagli atti di acquisizione o dalle fasce di esproprio del
progetto approvato; in mancanza, il confine è costituito dal ciglio esterno
del fosso di guardia o della cunetta, ove esistenti, o dal piede della
scarpata se la strada è in trincea”. Al confine stradale fa poi costante
riferimento, relativamente alle distanze imposte, il relativo regolamento
(D.P.R. n. 495/1992, in particolare l’art. 28).
Tanto premesso, posto che parte ricorrente si duole esclusivamente del
criterio applicato dall’A.N.A.S., ma non contesta la misurazione effettuata
sulla base di quel criterio –risultata pari a 19 mt.– può darsi per
accertato che il fabbricato in questione si trovi ad una distanza dal
confine autostradale comunque inferiore ai 25 metri previsti dall’invocato
art. 9, comma 1, l. n. 729/1961 (abrogata con D.L. n. 112/2008, convertito
in legge n. 133/2008).
7. Infondato è anche il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce,
per
un verso, che il carico urbanistico presente sull’area dove sorge il
fabbricato della ricorrente impedirebbe al vincolo di inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale di raggiungere lo scopo voluto
dal legislatore e, per altro verso, che la distanza del manufatto
dall’autostrada non assumerebbe rilievo in quanto tra questa ultima ed il
fabbricato della ricorrente si interponevano una strada comunale ed altri
fondi di proprietà altrui.
La censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione
competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare
valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal
perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere
quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato
alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra
natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
Pertanto non si richiede una specifica motivazione che dia conto della
valutazione delle ragioni di interesse pubblico che sorreggono il diniego
avversato, o della comparazione di tale interesse con quelli dei privati
coinvolti e sacrificati.
Peraltro il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di difetto di istruttoria
e di motivazione, in quanto il provvedimento è diffusamente motivato sia con
riferimento ai parametri normativi sui quali esso è fondato, sia in ordine
ai presupposti di fatto che asseverano l’espletamento di un’adeguata
istruttoria.
Quanto poi alla presenza all’interno della fascia di rispetto di una arteria
di natura diversa e di altri fondi di proprietà altrui osserva il Collegio
come tali circostanze non incidano sul vincolo di inedificabilità assoluta,
che va, comunque, garantito per superiori esigenze di sicurezza (cfr. in
termini TAR Palermo, Sez. III, 16.03.2020 n. 622) (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 30.03.2022 n. 1104 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art.
9 l. 24.07.1961 n. 729 e dal susseguente d.m. 01.04.1968, n. 1404 non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla
sicurezza del traffico e all'incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le
distanze previste vanno osservate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando
nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti.
Altresì, il vincolo posto dal
legislatore non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla
strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione
della stessa, che non può essere valutata caso per caso, facendo così
degradare il vincolo da assoluto a relativo, per l'ovvia ragione che sarebbe
impossibile prevedere le future evenienze manutentive.
---------------
5. – L’appello non può essere accolto stante la infondatezza dei motivi
dedotti.
In primo luogo va rilevato che la società Autostrade, nel parere reso
ai sensi dell’art. 32 l. 47/1985, ha espresso il proprio avviso sfavorevole
al rilascio del condono edilizio in quanto:
- dalla documentazione prodotta si evinceva che l'edificio in
questione insiste ad una distanza minima di mt 1,50 dal confine della
proprietà autostradale in zona classificata dal P.R.G. come esterna rispetto
al perimetro del centro abitato;
- inoltre le opere sono state eseguite nel 1993 e quindi in epoca
successiva rispetto all’entrata in vigore del DM 01.04.1968 che ha posto il
vincolo di inedificabilità assoluta nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale individuata in 60 mt..
Il Comune di Varazze, nel provvedimento impugnato in primo grado, ha
effettuato un espresso richiamo al suddetto parere, affermando in modo
sintetico ma comprensibile, che l’impedimento al diniego di condono era
costituito dalla realizzazione delle opere in un edificio che si trova
all’interno della fascia di rispetto autostradale.
Orbene tali elementi sono sufficienti a definire la motivazione del diniego,
avendo il Comune di Varazze fatto uso dello strumento della motivazione
ob relationem al parere reso dalla società Autostrade, quest’ultimo
correttamente evocato dagli uffici comunali e richiamato nel ridetto
provvedimento di diniego di condono specificandone in modo adeguato gli
elementi per rinvenirlo (nel senso della sufficienza di un siffatto richiamo
si veda, tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 18.08.2017 n. 4032).
Ne deriva che il provvedimento impugnato in primo grado si presenta
sufficientemente motivato con il richiamo, seppur sintetico, al parere
sfavorevole reso dalla società Autostrade e alla confermata presenza del
vincolo di rispetto autostradale, applicabile ratione temporis al
caso di specie, nella cui area ricade l’immobile.
6. – In secondo luogo con riferimento alla doglianza attraverso la
quale si invoca la necessità di un prudente apprezzamento del vincolo in
questione e se ne sostiene la non applicabilità al caso in esame anche in
ragione della peculiarità della fattispecie, va detto che la giurisprudenza
di questo Consiglio, come quella della Corte di Cassazione, dalla quale ad
avviso del Collegio non vi è ragione di discostarsi, ha sostenuto in modo
costante il carattere inderogabile del vincolo.
Infatti il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall'art.
9 l. 24.07.1961 n. 729 e dal susseguente d.m. 01.04.1968, n. 1404 non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla
sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario, per
l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni, con la conseguenza che le distanze previste
vanno osservate anche con riferimento ad opere che non superino il livello
della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr.,
ex plurimis, Cass. civ., Sez. II, 07.05.2014 n. 9889 e Cons. Stato,
Sez. II, 11.05.2020 n. 2949).
Da quanto sopra deriva che, per l’assolutezza del vincolo e del limite ad
ogni tipo di costruzione, destituita di fondamento è la tesi secondo la
quale il limite de quo non possa essere applicato alle opere oggetto
dell'intervento in questione.
Pertanto, non può che rilevarsi che il primo giudice ha fatto corretta
applicazione del principio secondo il quale il vincolo in questione ha
carattere assoluto giacché, come sopra rammentato, il vincolo posto dal
legislatore non ha solo il fine di assicurare il transito sicuro sulla
strada, ma anche quello di consentire un'ampia capacità di manutenzione
della stessa, che non può essere valutata caso per caso, facendo così
degradare il vincolo da assoluto a relativo, per l'ovvia ragione che sarebbe
impossibile prevedere le future evenienze manutentive (Consiglio
di Stato, Sez. VI,
sentenza 30.11.2021 n. 7975 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: C.
Tonola, La natura conformativa del vincolo di
inedificabilità della «fascia di rispetto stradale»
(commento tratto da www.njus.it).
La IV Sez. del Consiglio di Stato, con
sentenza
23.11.2021 n. 7846, ha ribadito la natura del vincolo di
inedificabilità della c.d. “fascia di rispetto stradale”.
Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a
protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con
le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o
riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le
distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e
ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina
in quanto stabilito dagli artt. 16, 17 e 18, D.L.vo 30.04.1992, n. 285
(Codice della strada) e dagli artt. 26, 27 e 28, d.P.R. 16.12.1992, n. 495
(Regolamento di attuazione).
Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” –che è una
tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di
una generalità di beni e di soggetti– non ha natura espropriativa, ma
unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà
l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di
salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente
dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (Cons. Stato, sez.
IV, 13.03.2008, n. 1095).
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità poi, in presenza di un
vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto),
non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”,
ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione
tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente” non edificabili
(Cass. civ., sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cass. civ., sez. I, 28.10.2005, n.
21092).
L’autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale fa sì che ivi
possa essere autorizzata attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni
della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione
stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti (in tal senso, Cons.
Stato, sez. IV, 29.03.2021, n. 2602; Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2015, n.
2880).
A più riprese, invero, è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di
rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minor, per gli utenti della
strada, rispetto ad un parcheggio a raso. In via generale, la giurisprudenza
ha chiarito che la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un
ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti
che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano
autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare.
Alla luce di tali principi, espressi da una normativa –quale quella in
materia di distanze stradali e autostradali de qua– finalizzata a
consentire quell’attività edificatoria di complemento o necessaria alla più
agevole circolazione degli autoveicoli, i giudici amministrativi chiariscono
che l’Autorità amministrativa competente ben può concordare con un privato
“l’arretramento” di un preesistente edificio, rispetto ad un tratto
autostradale, in luogo della demolizione sic et simpliciter del
manufatto posto ad una distanza inferiore a quella legale, al fine di
agevolare la sicurezza dei trasporti e la viabilità.
Le parti ben possono, cioè, concordare tale arretramento (pur se questo a
sua volta riguarda un’area anch’essa inferiore alla distanza legale), che ad
un tempo consente di soddisfare gli interessi pubblici connessi alla
viabilità ed alla sicurezza, nonché quelli privati inerenti alla
prosecuzione dell’attività svolta nell’edificio da demolire. Allorquando vi
sia l’accordo su tale arretramento, la demolizione del preesistente
manufatto può essere senz’altro effettuata, mentre per la realizzazione del
nuovo edificio occorrono ovviamente tutti i titoli abilitativi richiesti.
Tra questi, qualora il nuovo edificio a sua volta riguardi un’area anch’essa
inferiore alla distanza legale, in sede di esame della istanza formulata dal
soggetto che ha stipulato l’accordo “di arretramento”, le Autorità pubbliche
devono tenere conto del precedente accordo che mirava a salvaguardare le
esigenze della viabilità e della sicurezza.
---------------
Riferimenti Normativi:
Art. 16, D.L.vo 30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) - Art. 17, D.L.vo
30.04.1992, n. 285 (Codice della strada) - Art. 18, D.L.vo 30.04.1992, n.
285 (Codice della strada) - Art. 26, d.P.R. 16.12.1992, n. 495 - Art. 27,
d.P.R. 16.12.1992, n. 495 - Art. 28, d.P.R. 16.12.1992, n. 495
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SENTENZA
19. Va dunque esaminato il primo motivo di appello,
che è infondato.
20. Questo Consiglio ha avuto modo di statuire in precedenti
contenziosi che la disciplina delle fasce
di rispetto stradale -stabilita dagli artt. 16, 17 e 18, del
D.Lgs. n. 285/1992 e dagli artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n.
495/1992– costituendo una misura posta a tutela della
sicurezza stradale (di natura conformativa e non
espropriativa, non riconducibile alla categoria della “zonizzazione”),
consente il legittimo insediamento di attività "eccentrica",
rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché
comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e
nel rispetto della sicurezza degli utenti
(in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 29.03.2021, n. 2602, e
11.05.2015, n. 2880).
21. In particolare, nella sentenza n. 2880/2015, questo
Consiglio ha avuto modo di evidenziare come “a
più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. "fasce
di rispetto" che, oggettivamente, pare di utilità minore,
per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a
raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non
può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi
impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono
un ordinario completamento della strada su cui circolano
autoveicoli che devono necessariamente potersi
approvvigionare; inoltre, il D.lgs. n. 32 del 1998 consente
l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di
rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive
espressamente che i Comuni debbano “individuare le
destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli
impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di
rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto
legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice
della strada”.
22. La ratio decidendi, che traspare
dai citati precedenti, è quella di un’esegesi delle
richiamate norme in materia di distanze stradali e
autostradali, finalizzata a consentire quell’attività
edificatoria di complemento o necessaria alla più agevole
circolazione degli autoveicoli.
23. A questo stesso principio si è ispirato l’accordo
transattivo concluso tra le parti, nella misura in cui il
privato ha, infine, deciso di rinunciare all’impugnazione
degli atti della procedura espropriativa, per cedere i suoi
suoli, sui quali preesisteva, a distanza inferiore a quella
legale, un manufatto destinato allo svolgimento della sua
attività d’impresa, e pattuire, al contempo, la possibilità
di ottenere dal concessionario autostradale il suo appoggio,
mediante l’espressione di un parere favorevole, ad una
ricostruzione del suddetto manufatto in un altro sito della
sua proprietà, pur sempre ad una distanza inferiore a quella
prevista dalla normativa autostradale.
24. In questi termini, considerato che l’accordo ha
agevolato la realizzazione di necessari lavori di “adeguamento
del tratto di attraversamento appenninico tra Sasso Marconi
e Barnerino del Mugello” (si trattava, in particolare,
da quanto emerge dalla transazione, della realizzazione
dello svincolo autostradale di Sasso Marconi), esso si pone
in linea con i principi enunciati dalla citata
giurisprudenza, cosicché, in definitiva, la clausola
impugnata dall’appellante si palesa valida.
25. Più in generale, ritiene la Sezione che –dalla
complessiva normativa dettata dal testo unico sugli espropri
e dal codice della strada– si può desumere un principio
generale riguardante l’attività amministrativa, per la quale
l’Autorità competente ben può concordare con un privato “l’arretramento”
di un preesistente edificio, rispetto ad un tratto
autostradale.
Al fine di agevolare la sicurezza dei trasporti e la
viabilità, in luogo della demolizione sic et simpliciter
del manufatto posto ad una distanza inferiore a quella
legale, le parti ben possono concordare tale arretramento
(pur se questo a sua volta riguarda un’area anch’essa
inferiore alla distanza legale), che ad un tempo consente di
soddisfare gli interessi pubblici connessi alla viabilità ed
alla sicurezza, nonché quelli privati inerenti alla
prosecuzione dell’attività svolta nell’edificio da demolire.
Allorquando vi sia l’accordo su tale arretramento, la
demolizione del preesistente manufatto può essere senz’altro
effettuata, mentre per la realizzazione del nuovo edificio
occorrono ovviamente tutti i titoli abilitativi richiesti.
Tra questi, qualora il nuovo edificio a sua volta riguardi
un’area anch’essa inferiore alla distanza legale, in sede di
esame della istanza formulata dal soggetto che ha stipulato
l’accordo ‘di arretramento’, le Autorità pubbliche
devono tenere conto del precedente accordo che mirava a
salvaguardare le esigenze della viabilità e della sicurezza.
La clausola contestata dall’appellante, sotto tale profilo,
risulta espressiva del dovere -che comunque sarebbe derivato
in capo alla società Autostrade per l’Italia– di eseguire
secondo buona fede e correttezza l’accordo stipulato con
l’appellante, dal momento che, qualora fosse stata
presentata l’istanza volta alla ricostruzione in altra area
del nuovo edificio, la medesima società avrebbe dovuto
esprimere un parere coerente con il contenuto del precedente
accordo.
Ne consegue che la clausola contestata risulta di per sé
valida.
26. Il primo motivo di appello va pertanto respinto (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 23.11.2021 n. 7846 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Non
può assegnarsi natura espropriativa ai vincoli derivanti
dalla ricomprensione dei terreni di proprietà privata
all'interno della fascia di rispetto stradale in quanto tale
tipologia di vincolo "(che è una tipica espressione
dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una
generalità di beni e di soggetti) ... ha il solo effetto di
imporre alla proprietà l'obbligo di conformarsi alla
destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia
della programmazione urbanistica, indipendentemente
dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative".
---------------
2. Per quanto concerne le ulteriori aree destinate a
corridoio ecologico, va richiamata la distinzione fra
vincoli espropriativi ovvero sostanzialmente tali, che
possono essere imposti senza previsione di indennizzo per un
periodo massimo di cinque anni (decorso il quale decadono),
e vincoli conformativi che possono invece essere
imposti a tempo indeterminato senza che alcun indennizzo sia
dovuto.
2.1 Il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 21/06/2021 n.
4775) ha richiamato le pronunce della Corte costituzionale
20/01/1966 n. 6 e 29/05/1968 n. 55, nella quale <<ha
distinto anzitutto i casi in cui la proprietà -ovvero
singoli diritti minori, che all'istituto della proprietà si
ricollegano- vengano sacrificati attraverso atti che,
indipendentemente dalla forma adottata, comportino sia una
traslazione totale o parziale del diritto, sia uno
svuotamento di rilevante entità ed incisività del relativo
contenuto, pur rimanendone intatta l'appartenenza e la
sottoposizione a tutti gli oneri, anche fiscali connessi; in
tali casi, ha ritenuto che la garanzia della proprietà
privata di cui all'art. 42 Cost. comporti la necessità di
corrispondere l'indennizzo e il carattere temporaneo del
vincolo non indennizzato. … Viceversa, la stessa Corte ha
escluso che tali garanzie siano dovute nel caso di
disposizioni di vincolo le quali si riferiscano a intere
categorie di beni, siano riferite alla generalità dei
soggetti e sottopongano quindi tutti i beni di una qualche
categoria, senza distinzione fra di essi, ad un particolare
"regime di appartenenza", ovvero conformino in un dato modo
il diritto relativo. … Sulla base di questa distinzione di
principio, secondo la costante giurisprudenza, non integrano
vincolo espropriativo le destinazioni di zona, anche quando
prevedano una data opera di interesse pubblico che però
possa essere realizzata anche ad iniziativa privata o
promiscua, e non solo per iniziativa pubblica: così
esattamente C.d.S. sez. II 06.03.2020 n. 1643, relativa ad
un'area a verde pubblico>>.
2.2 La giurisprudenza è concorde nel ritenere che la
destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde
pubblico, data dal Piano Regolatore Generale ad aree di
proprietà privata, non implica l'imposizione sulle stesse di
un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo
(TAR Lombardia Brescia, sez. I – 21/06/2021 n. 584, che ha
richiamato Consiglio di Stato, sez. II – 24/10/2020 n. 6455;
TAR Puglia-Bari, sez. III – 23/04/2020 n. 529): ciò comporta
che la reiterazione nel tempo di detta destinazione non
impone particolari motivazioni all'amministrazione, né
obblighi di indennizzo in favore della proprietà.
Ha aggiunto il giudice di prime cure che “Quanto alla
nuova destinazione a "verde privato" impressa con il nuovo
strumento urbanistico, essa appare coerente con gli
obiettivi di fondo della pianificazione, diretti alla tutela
del territorio e alla riduzione del consumo del suolo, anche
mediante la formazione di zone filtro e di tutela ambientale
(cfr. Relazione illustrativa generale del Documento di
Piano, paragrafo 1.15.1, doc. 4 Comune), obiettivi condivisi
da Regione, Provincia e ASL”.
2.3 Secondo TAR Sicilia-Catania, sez. II – 28/06/2021 n.
2115 “Anche di recente è stato infatti statuito che "il
vincolo di destinazione urbanistica "zona attrezzature di
interesse pubblico" impresso ad un'area dal piano regolatore
generale non ha natura sostanzialmente espropriativa tale da
comportarne la decadenza quinquennale, bensì costituisce un
vincolo conformativo con validità a tempo indeterminato e
senza obbligo di indennizzo in quanto le attrezzature in
questione (nella fattispecie verde di quartiere) sono
realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua in
regime di economia di mercato e non dal solo intervento
pubblico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.05.2018, n. 3116;
13.10.2017, n. 4748; 12.04.2017, n. 1700)" (così Cons. St.
31.08.2018 n. 5125). Tanto meno può assegnarsi natura
espropriativa ai vincoli derivanti dalla ricomprensione dei
terreni di proprietà del ricorrente all'interno della fascia
di rispetto stradale richiamata dall'Amministrazione, in
quanto tale tipologia di vincolo "(che è una tipica
espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei
riguardi di una generalità di beni e di soggetti) ... ha il
solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo di
conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione
di salvaguardia della programmazione urbanistica,
indipendentemente dall'eventuale instaurazione di procedure
espropriative" (Consiglio di Stato, sez. IV, 13.03.2008, n.
1095)”.
2.4 Applicando il principio così delineato al caso di
specie, la previsione di piano di un corridoio ecologico
–contestata in questa sede– va qualificata come vincolo
conformativo legittimamente apposto, realizzabile anche per
iniziativa privata (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 06.10.2021 n. 822 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: "In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in
zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità
assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto
dopo la sua imposizione, non si
applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al
comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a
nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la
sicurezza del traffico".
Ed ancora, "Il vincolo d'inedificabilità
sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n.
47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui
all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a
discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato-
contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la
non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di
vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto".
"Sotto altro profilo va ancora osservato
che il provvedimento di diniego impugnato esordisce premettendo che l’art.
l'art. 23, comma 8, della L.R. n. 37/1985 ammette la possibilità di conseguire
la concessione o l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti
nelle fasce di rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a
giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni
stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas
precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non si
applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale
definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene
comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla
circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal
Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt.
26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del
Codice della Strada, atteso che la giurisprudenza è stata
sempre conforme nel ritenere il carattere assoluto del
vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto
autostradale, anche a prescindere dalle concrete
caratteristiche dell’opera realizzata […].
Il Collegio richiama il consolidato orientamento
giurisprudenziale secondo cui il vincolo d’inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e
prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal
susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono
ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto,
relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di
contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno
alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di
natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale
(anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi”.
---------------
Essendo il vincolo di inedificabilità assoluta in questione
correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area
contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi
momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di
lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti
connessi alla presenza di costruzioni, deve ritenersi che la
distanza minima vada calcolata dal confine della proprietà
autostradale e non dal ciglio della autostrada.
Tale circostanza è, peraltro, confermata dall’art. 3, comma
1, punto n. 10, del nuovo codice della strada approvato con
D.Lgs. n. 285/1992, che identifica il confine stradale con
il limite della proprietà.
---------------
L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in
argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della
discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di
un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività
di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato
alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con
interessi di altra natura e spettanza che è propria della
discrezionalità amministrativa.
---------------
1. Come chiarito in fatto, la controversia ha ad oggetto il
parere negativo espresso dall’ANAS sulla istanza di sanatoria presentata dai
ricorrenti in quanto riferita ad immobile situato ad una distanza di mt.
13,40 dal confine dell’autostrada A/29.
2. Preliminarmente deve essere accolta l’eccezione sollevata dalla difesa
del Comune di Palermo circa la propria carenza di legittimazione passiva non
venendo all’esame del Collegio provvedimenti emessi dall’ente locale, né
dagli atti depositati in giudizio si percepisce un qualche collegamento con
l’attività istruttoria svolta dal comune sulla pratica di sanatoria
urbanistica.
Nella specie, le istanze di condono depositate in atti dalla
ditta Va.Be. riguardano due corpi di fabbrica realizzati su di
un’area di sedime con accesso da Via ... n. 1059, che
effettivamente non sembrano avere alcuna pertinenza con l’oggetto del
presente giudizio, stante le diverse particelle catastali su cui insiste
l’area ultima richiamata rispetto a quelle in contenzioso, pertanto la
chiamata in causa anche del comune di Palermo risulta ultronea.
3. L’infondatezza nel merito del ricorso consente di ritenere assorbita
l’eccezione di inammissibilità del gravame sollevata dall’ANAS s.p.a., non
avendo i Sigg.ri Ge.An., Va.Ma.Ad. e Va.An.,
costituitisi in giudizio quali eredi dell’originario ricorrente Va.Be., fornito prova della propria legittimazione attiva.
Tale
eccezione, ad ogni modo, sarebbe stata da accogliere essendo di fatto non
provata la qualità di eredi dei ricorrenti subentranti non essendo citato
negli atti di successione depositati in giudizio l’immobile oggetto di
causa, nonostante i chiarimenti forniti dai ricorrenti nella memoria del
17/06/2021.
4. Il collegio richiama precedenti di questo Tribunale che hanno già
affrontato, anche di recente, analoghe vicende con i quali si sono affermati
principi che vanno anche qui condivisi.
In primis, è infondata la censura con al quale si deduce l’applicabilità
dell’art. 23, comma 8, della l.r. n. 37/1985 venendo in considerazione una
materia riservata alla potestà normativa esclusiva della regione siciliana,
che prevedeva una valutazione specifica in merito al pericolo per la
sicurezza del traffico da parte dell’ente preposto alla tutela della
viabilità, non effettuata dall’A.N.A.S.
Con la sentenza del 17.05.2019, n. 1366, richiamata anche
dall’amministrazione resistente, questo collegio ha già avuto modo di
chiarire che: "In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in
zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità
assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto
dopo la sua imposizione (ndr circostanza assodata nel caso in esame), non si
applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al
comma 3, il successivo art. 33 con conseguente insanabilità dell'abuso, a
nulla rilevando la non pericolosità della porzione di manufatto per la
sicurezza del traffico" (TAR Lazio-Latina - Sez. I - 17.11.2011, n. 923).
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità
sulle zone di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n.
47 ha carattere assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui
all'art. 32, d'inedificabilità relativa, che può essere rimosso a
discrezione dell'autorità preposta alla cura dell'interesse tutelato-
contiene un divieto di edificazione a carattere assoluto, che comporta la
non sanabilità dell'opera realizzata dopo la sua imposizione, trattandosi di
vincolo per sua natura incompatibile con ogni manufatto" (Consiglio Stato - Sez. IV -
05.07.2000, n. 3731).
"Sotto altro profilo va ancora osservato
che il provvedimento di diniego impugnato esordisce premettendo che l’art.
l'art. 23, comma 8, della L.R. n. 37/1985 ammette la possibilità di conseguire
la concessione o l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti
nelle fasce di rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a
giudizio degli enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni
stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas
precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non si
applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale
definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene
comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla
circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal
Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt.
26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada,
atteso che la giurisprudenza è stata sempre conforme nel ritenere il
carattere assoluto del vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto
autostradale, anche a prescindere dalle concrete caratteristiche dell’opera
realizzata […]. Il Collegio richiama il consolidato orientamento
giurisprudenziale (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n.
1250 e, ivi, richiami; id., 03.11.2015, n. 5014), secondo cui il vincolo d’inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e
prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal
susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono
ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto,
relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di
contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno
alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di
natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale
(anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi”.
Principi, come detto, ribaditi anche dalle successive sentenze n. 901/2019 e
n. 622/2020, sempre di questo Tribunale.
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la
distanza del fabbricato dalla sede stradale è pari a ml. 13,40 e dunque
inferiore a quella minima prevista dalla normativa in esame (25 metri
dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 o 30 metri dagli artt. 26 e
28 D.P.R. 495/1992) per la concessione del nulla osta e, dunque, per la
sanabilità della costruzione.
5. Così come non può essere accolto il ricorso nella parte in cui si deduce
che la misurazione avrebbe dovuto essere fatta dal ciglio stradale e non dal
confine stradale.
In proposito, si rammenta che, essendo il vincolo di inedificabilità assoluta in questione correlato alla più ampia esigenza di
assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi
momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi
compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni, deve ritenersi che la distanza minima vada calcolata dal
confine della proprietà autostradale e non dal ciglio della autostrada. Tale
circostanza è, peraltro, confermata dall’art. 3, comma 1, punto n. 10, del
nuovo codice della strada approvato con D.Lgs. n. 285/1992, che identifica
il confine stradale con il limite della proprietà.
...
7. In relazione all’ultima censura, con la quale i ricorrenti lamentano la
mancata considerazione dello stato di fatto in concreto esistente nella zona
dove il vincolo di inedificabilità succitato sarebbe diffusamente violato,
lo stesso non è accoglibile.
A prescindere dalla genericità della censura che non consente un adeguato
approfondimento da parte del collegio circa le condizioni riscontrate di
saturazione urbanistica della zona (si fa presente che in nessun atto
depositato è rinvenibile l’indirizzo preciso dell’immobile in questione,
essendo sempre citate solo le particelle catastali come riferimento), la
censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione competente
alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare valutazioni
proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di
un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività di
comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato alla sua cura (la
tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra natura e spettanza
che è propria della discrezionalità amministrativa.
Peraltro, la ricorrente
non lamenta in concreto nemmeno una disparità di trattamento, non avendo
postulato che in casi analoghi l’Anas abbia rilasciato il nulla osta ad essa
invece denegato. Pertanto, il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di
difetto di istruttoria e di motivazione, in quanto il provvedimento è
diffusamente motivato sia con riferimento ai parametri normativi sui quali
esso è fondato, sia in ordine ai presupposti di fatto che asseverano
l’espletamento di un’adeguata istruttoria (cfr., TAR Sicilia-Palermo,
Sez. I, 17/05/2019, n. 1366).
8. Concludendo, il provvedimento gravato appare adeguatamente motivato e
sorretto da un’istruttoria che evidenzia il vulnus principale legato ad una
distanza inferiore ai 30 metri dal confine autostradale, e comunque
inferiore ai 25 metri previsti dall’art. 9 della L. 729/1961 (ora abrogata),
con ciò risultando atto obbligato il diniego stante il carattere assoluto
del vincolo in questione e non essendo tenuta l’amministrazione a svolgere
alcun ulteriore indagine circa l’effettività del pericolo per la sicurezza
del traffico da parte dell’ente preposto alla tutela della viabilità (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 23.07.2021 n. 2325 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Il
vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica
espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una
generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente
conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo
di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di
salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente
dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal
D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure
poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione
urbanistica primaria.
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto
risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per
l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento
della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze
vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello
della sede stradale.
---------------
11. In subordine, parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 39 d.P.R.
327/2001 del T.U. Espropriazioni. Sostiene, in particolare, che debba essere
riconosciuto valore sostanzialmente espropriativo ai vincoli imposti al
fondo, in quanto incidenti in maniera pregnante ed assoluta sul diritto di
proprietà della società ricorrente.
Anche questo motivo di doglianza va disatteso.
Come ha riconosciuto costantemente la giurisprudenza, il vincolo di
inedificabilità della "fascia di rispetto stradale" -che è una tipica
espressione dell'attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una
generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente
conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l'obbligo
di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di
salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente
dall'eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal
D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure
poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione
urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV,
20.10.2000, n. 5620).
La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto
risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per
l'esecuzione di lavori, l'impianto di cantieri, l'eventuale allargamento
della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze
vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello
della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell'01.06.1995; Cons. Stato, IV, n.
7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003;
TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001).
Anche tale profilo di censura va dunque respinto e così, di conseguenza, il
ricorso originario
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 30.06.2021 n. 4518 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Natura
del vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di rispetto stradale.
---------------
Fascia di rispetto stradale – Vincolo di inedificabilità – Natura
conformativa – Caratteristiche.
Il vincolo di inedificabilità previsto nella fascia di
rispetto stradale non ha natura espropriativa, riguardando una generalità di
beni e di soggetti ed avendo il solo effetto di conformare la proprietà in
funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente
dalla successiva eventuale attivazione di procedure espropriative.
L’inserimento nel piano urbanistico delle opere di viabilità, infatti, "pur
comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio
interessate, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che
tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali
all'interno e a servizio delle singole zone, di regola rimessa allo
strumento di attuazione e, come tale, riconducibile a vincoli imposti a
titolo particolare in funzione non già di una generale destinazione di zona,
ma della localizzazione lenticolare di un'opera pubblica, incidente su
specifici beni".
Il vincolo introdotto dallo strumento urbanistico non può quindi essere
qualificato come espropriativo, bensì come conformativo, atteso che "va
attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di
proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano
esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di
un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei
suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da
parte dei privati".
----------------
Con riferimento al secondo motivo, in ragione dell’infondatezza degli
argomenti dedotti il Collegio ritiene di prescindere dallo scrutinio
dell’eccezione di tardività sollevata dalla resistente amministrazione,
peraltro riferibile solo alla tavola di Piano (T.01.PR-azzonamento) e non
anche all’articolo 44.1.NTA, costituente previsione di carattere
regolamentare.
Lo strumento urbanistico comunale ha indicato nelle cartografie dello
strumento urbanistico il futuro tracciato stradale solo ove già esattamente
localizzato. In particolare il PGT ha individuato, in conformità al Piano
provinciale, la prevista tangenziale, ma non anche la viabilità
complementare.
L’inserimento di alcune aree nel corridoio di salvaguardia implica una
limitazione delle facoltà connesse alla proprietà finalizzata proprio ad
impedire che nella fase di progettazione dell’opera pubblica possano essere
rilasciati titoli edilizi incompatibili, che potrebbero aggravare il
procedimento o i costi per la futura realizzazione dell’opera.
La giurisprudenza ha escluso peraltro che il vincolo di inedificabilità
previsto nella fascia di rispetto stradale abbia natura espropriativa,
riguardando una generalità di beni e di soggetti ed avendo il solo effetto
di conformare la proprietà in funzione di salvaguardia della programmazione
urbanistica, indipendentemente dalla successiva eventuale attivazione di
procedure espropriative (Cons. Stato, Sez. IV n. 5113 del 27.09.2012).
L’inserimento nel piano urbanistico delle opere di viabilità, infatti, “pur
comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio
interessate, non concreta un vincolo preordinato ad esproprio, a meno che
tale destinazione non sia assimilabile all'indicazione delle reti stradali
all'interno e a servizio delle singole zone, di regola rimessa allo
strumento di attuazione e, come tale, riconducibile a vincoli imposti a
titolo particolare in funzione non già di una generale destinazione di zona,
ma della localizzazione lenticolare di un'opera pubblica, incidente su
specifici beni (per tutte, cfr. Cass. civ., sez. I, 28.07.2010, n.
17677)” (TAR Toscana, Sez. I, 25.09.2012, n. 1555).
Il vincolo introdotto dallo strumento urbanistico non può quindi essere
qualificato come espropriativo, bensì come conformativo, atteso che “va
attribuita natura non espropriativa, ma conformativa del diritto di
proprietà sui suoli a tutti quei vincoli che non solo non siano
esplicitamente preordinati all’esproprio in vista della realizzazione di
un’opera pubblica, ma nemmeno si risolvano in una sostanziale ablazione dei
suoli medesimi, consentendo al contrario la realizzazione di interventi da
parte dei privati (cfr. Cons. Stato sez. IV 07.04.2010 n. 1982)” (Cons.
Stato, Sez. IV, 13.10.2017, n. 4748).
Pur imponendo limitazioni al diritto dominicale, l’inserimento nella fascia
di salvaguardia non incide sulle facoltà di godimento del bene in modo così
profondo da svuotarne o annullarne i contenuti e, quindi, non ha carattere
ablatorio.
Va esclusa, quindi, la dedotta violazione del dettato costituzionale, atteso
che “il contrasto con l’art. 42 della Carta costituzionale, (…) si può
ravvisare solo nei casi in cui pur restando intatta la titolarità del
diritto, quest'ultimo risulta annullato o menomato. Il problema si può
porre, dunque, solo con riferimento a quelle limitazioni che la Corte ha
individuato come tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà,
incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo
inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene
stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo
valore di scambio. I ricorrenti, invece, sono proprietari di terreni a
destinazione agricola, la cui conservazione è dagli stessi indicata come
bene primario da perseguire e la presenza del vincolo di salvaguardia non ha
mai precluso la possibilità di continuare la coltivazione o di apportare
migliorie per favorirla, né è stato fornito alcun principio di prova che ne
sia stato gravemente inciso il valore di scambio” (TAR Lombardia, Brescia, Sez. II, 21.06.2017, n. 838).
Né l’ulteriore indicazione contenuta nel provvedimento interinale di questo
TAR, secondo cui “se però la situazione di blocco dell’utilizzazione delle
aree dovesse prolungarsi indefinitamente, il vincolo assumerebbe carattere
sostanzialmente espropriativo, e il ricorrente potrebbe opporsi al suo
mantenimento, oppure chiedere la fissazione di un termine per il
completamento della progettazione e l’esatta individuazione delle aree
necessarie alla viabilità comunale” può essere assunta come parametro di
legittimità degli atti qui avversati, come sostenuto da parte ricorrente,
costituendo solo un’indicazione pro futuro, riferita all’approvazione del
nuovo strumento urbanistico, all’eventuale reiterazione della disciplina qui
contestata, e ai rimedi esperibili dal privato interessato.
Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 18.06.2021 n. 574 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La fascia di rispetto stradale non individua una
zona urbanistica ed è neutra rispetto alle zone urbanistiche
con le quali confina.
Costituisce un principio pacifico nella giurisprudenza quello secondo
cui le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal
codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste
a tutela della sicurezza stradale, che, tuttavia, comportano l’inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella
strumentazione urbanistica primaria.
Le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro
stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al
confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto
ambientale. L’ampiezza di tali fasce, cioè le distanze da rispettare nelle
nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti
fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal codice
della strada (artt. 16, 17 e 18, del d.lgs. n. 285 del 1992) e dal
regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495 del 1992).
Il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale non ha
natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto
di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione
impressa a tutela della sicurezza stradale.
Proprio perché la destinazione impressa alla fascia di rispetto è
finalizzata alla tutela di un interesse, quello della sicurezza della
circolazione, e non a regolamentare gli insediamenti su un territorio, è
improprio utilizzare la categoria di “zonizzazione”.
Anzi, può dirsi che essa non rileva, perché l’autonomia della disciplina
delle fasce di rispetto stradale consente il legittimo insediamento di
attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché
comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e
nel rispetto della sicurezza degli utenti.
---------------
Nella fascia di rispetto stradale è possibile la
realizzazione di parcheggi a raso, dovendosi escludere che
per opere al servizio della strada possano intendersi solo
gli spazi di sosta temporanea dei veicoli, quali le piazzole
di sosta. Peraltro, la giurisprudenza ha anche espressamente
ammesso che gli stessi possano essere ad iniziativa privata
nell'esercizio di attività imprenditoriale, a condizione che
si tratti di opere stradali in senso stretto e, quindi, di
parcheggio al servizio della circolazione stradale.
---------------
8. Passando all’esame delle questioni rilevanti per la decisione degli
appelli, la prima concerne l’utilizzo di un’area di circa 2.700 mq,
costituente zona di rispetto stradale, per un parcheggio a raso funzionale
all’esercizio commerciale.
8.1. Il primo giudice ha accolto il primo e il terzo motivo di ricorso;
inoltre, ha dichiarato assorbito dall’accoglimento il quinto, concernente la
mancanza del parere dell’Anas in ordine alla fascia di rispetto. Gli
appellanti hanno censurato la decisione: il Comune, con il quarto motivo; la
società M.M.C., con più profili del secondo motivo; i proprietari
controinteressati con il secondo motivo.
8.1.1. Ritiene il Collegio che con gli appelli e le difese dalla società
appellata sia interamente riemerso il thema decidendum del primo grado di
giudizio, con la conseguenza che possono essere esaminate direttamente le
censure prospettate dalla società GSG con l’originario ricorso.
8.2. La società ricorrente dinanzi al Tar, con due motivi strettamente
collegati (il primo e il terzo), ha invocato la violazione delle
disposizioni (art. 37 della l. regionale n. 11 del 2008 e art. 32 § 2 NTA)
concernenti la zonizzazione del territorio comunale.
Secondo l’assunto della ricorrente, la realizzazione di un nuovo centro
commerciale, sia quanto agli edifici nei quali si svolge l’attività
commerciale che per le aree al servizio della stessa -dai parcheggi, alla
viabilità al verde pubblico- ricadrebbe per l’intero in zona C, quale zona
destinata dallo strumento urbanistico alle “attrezzature commerciali”.
La tesi si basa sull’art. 37 cit., nella parte in cui dispone che per i
nuovi insediamenti commerciali è necessaria la “specifica destinazione
d’uso”, in collegamento con l’art. 32 § 2 cit., dove si prevede la zona C,
quale zona destinata a “garantire lo spazio e le volumetrie necessarie
all’attività commerciale”.
Dato il richiamo allo “spazio necessario”, che ricomprenderebbe tutte le
aree serventi rispetto all’edificio commerciale in senso stretto, dal
combinato disposto di queste due disposizioni discenderebbe, secondo la
ricorrente, che tutta l’area utilizzata dovrebbe essere destinata dallo
strumento urbanistico a zona C.
Invece, nella fattispecie, “la massima parte dei parcheggi, della viabilità
interna al lotto e delle aree di cessione” è collocata in un’area avente la
diversa destinazione di zona di rispetto stradale, nella quale, secondo
l’art. 53 NTA, sono vietate le nuove costruzioni, sono consentiti solo
ampliamenti delle edificazioni esistenti dal lato opposto alla strada, oltre
che la realizzazione di stazioni di rifornimento per autoveicoli, annessi
locali di ristoro e attrezzature di pronto soccorso.
Inoltre, con il consentire ai richiedenti la realizzazione di opere
funzionali all’insediamento commerciale in una zona, quale quella di
rispetto stradale, avente diversa destinazione, si sarebbe ampliato “il
lotto di intervento”, e si sarebbe legittimata la costruzione di uno stabile
di dimensioni maggiori rispetto a quello che si sarebbe potuto realizzare
considerando solo l’area rientrante nella zona C.
8.3. Il Tar ha così essenzialmente argomentato l’accoglimento delle censure:
a) secondo la normativa nazionale e la giurisprudenza consolidata,
il vincolo di rispetto stradale comporta la inedificabilità assoluta e gli
unici insediamenti ammessi, ove previsti dalla pianificazione comunale, sono
quelli a beneficio della circolazione stradale e della sicurezza degli
utenti, quali, in particolare, i parcheggi pubblici a raso e gli impianti di
carburanti;
b) l’art. 26, comma 6 (recte 27, comma 6), in coerenza con
le disposizioni suddette, consente opere funzionali alla circolazione
stradale e, in particolare, solo parcheggi pubblici;
c) nella fattispecie è provato che una parte dei parcheggi posti al
servizio esclusivo della struttura commerciale occupa la fascia di rispetto
stradale;
d) pertanto, il Comune ha errato nel considerare conformi alla
normativa vigente la dotazione di parcheggi prevista, comprensiva di quelli
che occupano la fascia di rispetto;
e) dato il collegamento tra superficie commerciale utile e
superficie da destinare a parcheggi, l’esclusione dei parcheggi previsti
nella fascia di rispetto comporta una variazione in diminuzione percentuale
della superficie commerciale assentibile.
8.4. Ritiene il Collegio che, come mettono in rilievo gli appellanti, il
primo giudice non ha colto il nucleo centrale della censura proposta con il
ricorso di primo grado.
8.4.1. Il presupposto logico-giuridico dedotto dalla società GSG è che la
fascia di rispetto stradale costituisca una zona urbanistica, al pari di
tutte quelle che governano il territorio.
Così, l’art. 53 delle NTA, rubricato “zone di rispetto stradale” detterebbe
la disciplina urbanistica specifica della zona, prescrivendo la generale non edificabilità, salvo circoscritte eccezioni. A questo presupposto
interpretativo se ne affianca un altro –basato sugli art. 37 e 32 prima
richiamati- secondo il quale, nel caso di nuovi insediamenti commerciali,
non solo l’edificio propriamente destinato al commercio, ma anche tutto
quanto sia funzionale allo stesso debba essere collocato nella zona C,
destinata allo scopo. Segue come corollario che, essendo state collocate
nella fascia di rispetto stradale la viabilità di accesso al supermercato e
una parte dei parcheggi necessari, “di pertinenza del supermercato di uso
esclusivamente privato e privati del supermercato” (secondo quanto
specificato nella memoria depositata il 26.03.2020), sarebbero violate le
norme urbanistiche comunali relative alla zonizzazione e, stante il
collegamento proporzionale tra volumetria assentita e dotazione di
parcheggi, i proprietari avrebbero tratto vantaggio dalla costruzione di uno
stabile di dimensioni maggiori rispetto al consentito.
8.4.2. Rileva il Collegio che il primo giudice non si sofferma sul
presupposto teorico assunto dalla società ricorrente e, quindi, sulla fascia
di rispetto come zona urbanistica; egli assume, invece, una diversa
prospettiva ermeneutica, in sé corretta, della fascia di rispetto stradale,
quale vincolo legislativo di inedificabilità assoluta derivante dalla legge;
poi, ritiene consentiti solo gli interventi a beneficio della circolazione
stradale e della sicurezza degli utenti della strada se previsti dalla
pianificazione comunale, ed, in particolare, i parcheggi pubblici a raso.
Quindi, rinviene nella regolamentazione del Comune di Scoppito (art. 26,
comma 6, recte, 27, comma 6 NTA) una disposizione coerente con tali principi
e ritiene legittimati solo i parcheggi pubblici, con conseguente
illegittimità del posizionamento nella fascia di rispetto di parcheggi al
servizio esclusivo della struttura, e vantaggio sulla superficie commerciale
utile.
8.4.3. Il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla originaria società
ricorrente e posta all’esame del primo giudice non possa essere condivisa,
anche sulla base di principi già affermati in precedenti decisioni; ed
inoltre, che le argomentazioni del primo giudice, le quali fanno perno sul
carattere pubblico dei parcheggi consentiti nella zona di rispetto, non
siano compatibili con la funzione propria della fascia di rispetto stradale,
che è quella della garanzia degli utenti della circolazione stradale.
8.5. Il presupposto logico-giuridico assunto dalla società ricorrente trova
un ostacolo insormontabile nella considerazione che la fascia di rispetto
stradale non individua una zona urbanistica ed è neutra rispetto alle zone
urbanistiche con le quali confina.
8.5.1. Costituisce un principio pacifico nella giurisprudenza quello secondo
cui le fasce di rispetto stradale, in attuazione delle norme poste dal
codice della strada, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste
a tutela della sicurezza stradale, che, tuttavia, comportano l’inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione
urbanistica primaria (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000,
n. 5620; sez. II, n. 5865 del 2020).
Le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro
stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al
confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto
ambientale. L’ampiezza di tali fasce, cioè le distanze da rispettare nelle
nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti
fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal codice
della strada (artt. 16, 17 e 18, del d.lgs. n. 285 del 1992) e dal
regolamento di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del d.P.R. n. 495 del 1992).
Il vincolo di inedificabilità della fascia di rispetto stradale non ha
natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto
di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione
impressa a tutela della sicurezza stradale.
8.5.2. Proprio perché la destinazione impressa alla fascia di rispetto è
finalizzata alla tutela di un interesse, quello della sicurezza della
circolazione, e non a regolamentare gli insediamenti su un territorio, è
improprio utilizzare la categoria di “zonizzazione”.
Anzi, può dirsi che essa non rileva, perché l’autonomia della disciplina
delle fasce di rispetto stradale consente il legittimo insediamento di
attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché
comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto
della sicurezza degli utenti (in tal senso, Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2015, n. 2880).
8.5.2.1. Tanto è vero che la fascia di rispetto stradale non è logicamente
incompatibile con un indice di edificabilità pari a quella della zona
confinante, come è testualmente previsto dall’art. 53, ultimo comma, NTA del
Comune di Scoppito. Tale elemento è indubbiamente rilevante, contrariamente
a quanto opinato dalla società ricorrente GSG, la quale invoca la norma solo
ai fini della inedificabilità.
8.5.3. Allora, la questione di diritto all’attenzione del Collegio è
semplice e limitata; essa consiste nella possibilità –o meno- di
autorizzare in zona destinata a pertinenza stradale parcheggi a raso
collegati all’insediamento commerciale, a qualunque titolo essi siano
previsti:
- ai sensi dell’art. 32 NTA (parcheggi pubblici);
- ex art. 5 del d.m.
n. 1444 del 1968 (parcheggi pubblici da cedere);
- ai sensi dell’art. 2 della
l. n. 122 del 1989 (cd. Tognoli, parcheggi privati);
- ai sensi dell’art. 38
della l.r. n. 11 del 2008 (parcheggi di pertinenza).
Ciò che conta è che siano a raso, perché è un dato fattuale rilevante per
l’impatto ambientale della loro collocazione e, quindi, rispetto
all’interesse tutelato con la individuazione della fascia di rispetto, non
il carattere privato o pubblico del parcheggio (Cons. Stato n. n. 2880 del
2015), il quale rileverebbe solo ai fini della verifica della corretta
applicazione delle disposizioni legislative o urbanistiche che li
disciplinano.
8.5.4. Conferma della correttezza di tale interpretazione si rinviene nella
circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 30.12.1970, n. 5980
("Istruzioni sulle distanze da osservare nell'edificazione a protezione del
nastro stradale"), che, adottata con riferimento al d.m. 01.04.1968, n.
1404 (recante disposizioni relative alle distanze minime a protezione del
nastro stradale nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e
degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di
fabbricazione), non dà rilievo al carattere privato o pubblico dei
parcheggi, ma, in un elenco esemplificativo delle opere la cui realizzazione
sarebbe stata possibile nelle fasce di rispetto stradale, annovera i
"parcheggi scoperti, sempre che non comportino la costruzione di edifici".
8.5.5. Né la possibilità che nella fascia di rispetto siano collocati
parcheggi a raso privati può essere esclusa, come ha ritenuto il primo
giudice, dalle previsioni dell’art. 27, comma 6 NTA, atteso che lo stesso
individua solo la possibilità che il Comune, nell’ambito degli obiettivi
perseguiti di politica del territorio, scelga di destinare in tutto o in
parte le fasce di rispetto stradale a parcheggi pubblici, oltre che alla
viabilità.
8.5.6. D’altra parte -come rilevano i proprietari controinteressati nel
secondo motivo di appello senza che la controparte abbia svolto
contestazioni– essi hanno stipulato un accordo registrato con il Comune per
l’ipotesi in cui questi intenda servirsi della fascia di rispetto per altre
destinazioni, individuando soluzioni alternative consistenti nello
spostamento all’interno dei parcheggi -mediante l’utilizzo di un tetto già
previsto con solaio carrabile- e nella riduzione della superficie utile,
con la previsione di parcheggi coperti, il tutto per mq 2720, pari alla
superfici della fascia di rispetto.
8.5.7. Nella fattispecie, risulta dagli atti, e non è contestato, che si
tratti di parcheggi a raso anche sprovvisti di pensilina.
Tanto è conforme alla giurisprudenza consolidata, secondo la quale nella
fascia di rispetto stradale è possibile la realizzazione di parcheggi a
raso, dovendosi escludere che per opere al servizio della strada possano
intendersi solo gli spazi di sosta temporanea dei veicoli, quali le piazzole
di sosta. Peraltro, la giurisprudenza ha anche espressamente ammesso che gli
stessi possano essere ad iniziativa privata nell'esercizio di attività
imprenditoriale, a condizione che si tratti di opere stradali in senso
stretto e, quindi, di parcheggio al servizio della circolazione stradale (Cons.
Stato, sez. IV, n. 2880 del 2015).
8.6. In conclusione, ritiene il Collegio che gli appelli sono fondati e
vanno accolti, con conseguente rigetto dei corrispondenti motivi del ricorso
dinanzi al Tar (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 29.03.2021 n. 2602 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’occupazione stabile e significativa dell’area in questione
(qualificata come fascia di rispetto autostradale) per mezzo di un
deposito a cielo aperto si pone in potenziale contrasto con le esigenze (di sicurezza,
funzionali, etc.) connesse alla vicinanza della sede autostradale.
Va rammentato, infatti, l’insegnamento secondo il quale nella fascia di
rispetto autostradale <<il vincolo di inedificabilità è assoluto,
stante l'esigenza di assicurare la libera utilizzabilità da parte del
concessionario dell'autostrada>>.
---------------
In ogni caso, a prescindere dalla natura agricola o artigianale dell’area in
contestazione, risulta assorbente un altro profilo di abusività dell’opera
contestata, censurato dal Comune nel provvedimento impugnato.
L’area di cui si discorre, infatti, è, pacificamente, qualificata come
fascia di rispetto autostradale.
Al riguardo, premesso che non risulta che parte ricorrente abbia richiesto
ed ottenuto un titolo abilitativo per la realizzazione dell’opera in
contestazione, è rilevante ricordare che le NTA dell’allora vigente piano
regolatore, all’art. 11, destinavano le fasce di rispetto solo alla
realizzazione di <<nuove strade, ampliamento di quelle esistenti, corsie
di servizio, parcheggi piantumazioni, sistemazioni a verde, piste ciclabili,
opere attinenti al regime idraulico, alle derivazioni d’acqua, distributori
di carburante>>.
L’occupazione stabile e significativa dell’area in questione per mezzo di un
deposito a cielo aperto non solo non rientra nelle categorie sopra indicate,
ma si pone anche in potenziale contrasto con le esigenze (di sicurezza,
funzionali, etc.) connesse alla vicinanza della sede autostradale.
Va rammentato, infatti, l’insegnamento secondo il quale nella fascia di
rispetto autostradale <<il vincolo di inedificabilità è assoluto, stante
l'esigenza di assicurare la libera utilizzabilità da parte del
concessionario dell'autostrada (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV,
n. 2062/2013; Consiglio di Stato, Sez. IV, 08.06.2011, n. 3498; Cass. civ.,
sez. II, 22.11.2010, n. 22422)>> (C. Stato sez. II, 11.05.2020, n.
2949).
Ciò esclude, di per sé (ovvero anche a prescindere dalla natura agricola o
artigianale dell’area in contestazione), l’illegittimità del provvedimento
adottato dal Comune.
Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.03.2021 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’art.
26, comma 2, d.P.R. 16.12.1992 n. 495 (Regolamento di
esecuzione e attuazione del nuovo codice della strada)
prevede che fuori dai centri abitati le distanze dal confine
stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli
ampliamenti fronteggianti le strade, non possano essere
inferiori a 20 m per le strade di tipo F.
È noto che, secondo la giurisprudenza, il vincolo imposto
sulle aree site nella fascia di rispetto stradale sia di
inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto
assoluto di costruire che rende non edificabili le aree site
nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale.
Ne consegue che, in difetto dell’atto di assenso da parte
dell’ente proprietario della strada a beneficio della quale
è stabilita la fascia di rispetto, nessuna edificazione è
possibile e che, quindi, legittimamente il Comune, ai fini
delle valutazioni di competenza per pronunciarsi
sull’istanza di accertamento di conformità domandato dalla
ricorrente, ha richiesto la produzione del nulla osta (nel
caso di specie) della Provincia.
---------------
3.4.2 Invece, con riguardo alla necessità di produzione del
nulla osta ai lavori da parte dell’Amministrazione
provinciale, che deriva dal fatto che tutte le opere di cui
parte ricorrente ha chiesto l’accertamento di conformità
ricadono entro la fascia di rispetto stradale di m 20 dalla
strada provinciale n. 187 Gricilli, si osserva quanto segue.
L’art. 26, comma 2, d.P.R. 16.12.1992 n. 495 (Regolamento di
esecuzione e attuazione del nuovo codice della strada)
prevede che fuori dai centri abitati le distanze dal confine
stradale, da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle
ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli
ampliamenti fronteggianti le strade, non possano essere
inferiori a 20 m per le strade di tipo F, come è la s.p. 187
Gricilli.
È noto che, secondo la giurisprudenza, il vincolo imposto
sulle aree site nella fascia di rispetto stradale sia di
inedificabilità assoluta, traducendosi in un divieto
assoluto di costruire che rende non edificabili le aree site
nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale (Cons. Stato, sez. II, 24.06.2020 n.
4052; sez. IV, 13.06.2017 n. 2878; sez. IV, 27.01.2015 n.
347; sez. IV, 14.04.2010 n. 2076).
Ne consegue che, in difetto dell’atto di assenso da parte
dell’ente proprietario della strada a beneficio della quale
è stabilita la fascia di rispetto, nessuna edificazione è
possibile e che, quindi, legittimamente il Comune di
Priverno, ai fini delle valutazioni di competenza per
pronunciarsi sull’istanza di accertamento di conformità
domandato dalla ricorrente, ha richiesto la produzione del
nulla osta della Provincia di Latina (TAR Lazio-Latina,
sentenza 12.03.2021 n. 151 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo di rispetto, traducendosi in un divieto assoluto di
costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in
fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale.
---------------
Il ricorso è infondato per le considerazioni che seguono.
Il ricorrente impugna la disposizione dirigenziale n. 1160,
del 26/09/2018, con cui il Dirigente del Servizio Unico
Edilizia Privata del Comune di Napoli ha respinto l’istanza
di permesso di costruire ex art. 36 Dpr 380/2001 per le
opere di ristrutturazione edilizia realizzate in Napoli alla
Via ... nn. 13/15; si trattava, in particolare, della
demolizione di un manufatto in muratura e della
ricostruzione di una nuova struttura in cemento armato,
insistente in parte in zona di rispetto autostradale e in
parte in zona qualificata Sin.
Il ricorrente ritiene che il Comune avrebbe erroneamente
respinto l'istanza di accertamento di conformità in quanto
le opere sarebbero conformi alla normativa urbanistica e
edilizia vigente: non si era, cioè, creato aumento di
volumetria e, comunque, l’intervento doveva ritenersi
assentibile in quanto la consistente urbanizzazione della
zona rendeva superflua la pianificazione di dettaglio, pur
prevista dall’art. 2, comma 4, delle NTA del vigente Piano
regolatore.
Ad ogni modo, le disposizioni dettate dal Comune in sede
regolamentare erano state definitivamente superate dall’art.
9, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 che, nelle zone del
territorio comunale sprovviste di strumenti attuativi, ma
dotate di uno strumento urbanistico generale, consente i
lavori di ristrutturazione edilizia.
Le sopra riportate contestazioni di parte ricorrente non
possono essere condivise.
Ed infatti, l’affermazione secondo cui il locale, aperto sui
lati e dalle ridotte dimensioni, non sarebbe autonomamente
utilizzabile in quanto costituirebbe una mera pertinenza,
non risulta in alcuna modo comprovata ed al contrario, viene
smentita dalla istruttoria effettuata dall'Ufficio preposto
al rilascio del titolo abilitativo, ed in particolare dalla
scheda tecnica redatta dal responsabile del procedimento,
versata in atti, ove si rileva la presenza di un nuovo
volume; rileva, invero, il Comune come, a seguito del
sopralluogo effettuato in data 08.03.2018, si era accertata
la presenza, al primo livello del manufatto, di un locale
che superava i limiti dimensionali del 30% della superficie
scoperta previsti dall'art. 7 delle vigenti NTA e che viene
esplicitamente definito come “nuova volumetria” (cfr.
pag. 2 della Scheda Tecnica).
Siffatta circostanza, quindi, assume, ad avviso del
Collegio, una rilevanza determinante ai fini del rigetto del
ricorso in quanto, anche a prescindere dalle ulteriori
considerazioni circa la inoperatività dell’art. 2, comma 4,
delle NTA in zona urbanizzata ed il superamento delle
previsioni regolamentari comunali ad opera dell’art. 9 del
d.P.R. n. 380/2001, il solo constatato aumento di volume
rendeva, di per sé, i lavori non assentibili giusta quanto
previsto dalle sopra citate norme tecniche regolamentari. Ed
infatti, in nessuna delle disposizioni richiamate, si fa
menzione, tra le attività consentite, agli aumenti di
volumetria.
Con riferimento a quanto dedotto, poi, circa l’inoperatività
del vincolo di rispetto della fascia autostradale, il
ricorrente non dimostra né la data di avvenuta realizzazione
del manufatto -circostanza, peraltro, evidenziata anche dal
Comune sia nel preavviso di diniego sia nel diniego
definitivo- né il fatto che solo una porzione di questo
sarebbe interessata dal superamento del suddetto vincolo.
E comunque per giurisprudenza pure recente sull’argomento: “il
vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto di
costruire, rende legalmente inedificabili le aree site in
fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale” (TAR
Lazio, II stralcio, 27/05/2020, n. 5571) (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 08.02.2021 n. 798 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o autostradale
comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende legalmente inedificabili.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale o
autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende
legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente
legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di
determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione,
espressione del potere conformativo della P.A. di cui all’art. 42 Cost.
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato
all’espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l’indennità di esproprio relativa alla
sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore
di mercato di terreno non edificabile.
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla
pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell’interesse
pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero “vincolo di distanza”,
dovendosi ritenere che l’area corrispondente alla fascia di rispetto, a
prescindere dall’assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna
potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili
dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere
anche dal tenore letterale dell’art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
---------------
In ordine alla nozione di «edificazione», questa Corte ha
chiarito che tale concetto non si identifica né si esaurisce in quello di edificabilità residenziale abitativa, ma ricomprende
tutte quelle forme di trasformazione del suolo che siano
riconducibili alla nozione tecnica di edificazione.
Anche in quelle pronunce in cui si è ritenuto che la realizzazione di un
parcheggio integri una forma di utilizzazione intermedia tra quella agricola
e quella edificatoria, si è posto in evidenza la necessità che dette forme
di utilizzazione siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il
conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative.
La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere che lo spargimento di
ghiaia su un'area che ne era in precedenza priva richiede la
concessione edilizia allorché appaia preordinata alla
modifica della precedente destinazione d'uso (circostanza
questa che deve fondarsi su fatti positivamente accertati).
E' stata quindi riconosciuta
«rilevanza urbanistica (anche) al solo spianamento di un terreno agricolo
con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale
per deposito e smistamento di autocarri».
In ambito penale, si è poi affermato che «in materia edilizia, ai sensi
delle disposizioni di cui al T.U. in materia edilizia (artt. 3 e 10 del
d.P.R. 06.06.2001 n. 380), sono subordinati al preventivo rilascio del
permesso di costruire non soltanto gli interventi edilizi in senso stretto,
ma anche gli interventi che comportano la trasformazione in via permanente
del suolo inedificato».
Deve quindi ritenersi che ai fini della determinazione dell’ambito di estensione del divieto assoluto
di edificazione, vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto
stradale o autostradale, può rilevare anche un’attività di spianatura ed
asfaltatura dell’area, prodromica alla realizzazione di parcheggi «a raso»,
implicante una trasformazione edilizia ed urbanistica del suolo.
---------------
3. La terza, la sesta e la settima censura, da trattare
unitariamente in quanto connesse, sono fondate.
In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto, secondo
l'orientamento di questa Corte, il vincolo imposto sulle aree site in fasce
di rispetto stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di
edificazione che le rende legalmente inedificabili, trattandosi di
limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto concernenti la
generalità dei cittadini proprietari di determinati beni individuati a
priori per categoria e localizzazione, espressione del potere conformativo
della P.A. di cui all'art. 42 Cost. (tra le tante Cass. n.
14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013).
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato
all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla
sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore
di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n.
5875/2015).
Questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 13598/2020) che «il
vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla
pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse
pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza"
(sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza
Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018)», dovendosi ritenere che
l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a prescindere
dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna
potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili
dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere
anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r.
327/2001.
In ordine alla nozione di «edificazione», sempre questa Corte ha
chiarito che tale concetto non si identifica né si esaurisce in quello di
edificabilità residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di
trasformazione del suolo che siano riconducibili alla nozione tecnica di
edificazione (Cass. nn. 9669, 8028/2000; Cass. 4473/1999; Cass. SU
172/2001).
Anche in quelle pronunce in cui si è ritenuto che la realizzazione di un
parcheggio integri una forma di utilizzazione intermedia tra quella agricola
e quella edificatoria, si è posto in evidenza la necessità che dette forme
di utilizzazione siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il
conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative (Cass.
25718/2011; Cass. 23514/2017; Cass. 19295/2018; Cass. 6527/2019; Cass. SU
7454/2020, con riferimento ad utilizzazione per attrezzature sportive).
La giurisprudenza amministrativa (richiamata dal PG nelle conclusioni
scritte) è ferma nel ritenere che lo spargimento di ghiaia su un'area che ne
era in precedenza priva richiede la concessione edilizia allorché appaia
preordinata alla modifica della precedente destinazione d'uso (circostanza
questa che deve fondarsi su fatti positivamente accertati) (v. anche: Cons.
Stato, sez. VI, 12.06.2018, n. 3617; Cons. Stato, sez. V, 31.03.2016, n.
1268).
E' stata quindi riconosciuta
«rilevanza urbanistica (anche) al solo spianamento di un terreno agricolo
con riporto di sabbia e ghiaia, realizzato al fine di ottenere un piazzale
per deposito e smistamento di autocarri» (TAR Lombardia, Brescia, sez.
II, 18.02.2019, n. 157).
In ambito penale, si è poi affermato che «in materia edilizia, ai sensi
delle disposizioni di cui al T.U. in materia edilizia (artt. 3 e 10 del
d.P.R. 06.06.2001 n. 380), sono subordinati al preventivo rilascio del
permesso di costruire non soltanto gli interventi edilizi in senso stretto,
ma anche gli interventi che comportano la trasformazione in via permanente
del suolo inedificato» (Cass. pen. 6930/2004: in applicazione di tale
principio la Corte ha ritenuto integrato il reato edilizio nella
trasformazione di un'area di circa mq. 70 da agricola a parcheggio per
autovetture mediante la messa in opera di ghiaia; conf. Cass. pen.
4916/2014; Cass. pen. 1308/2016).
Deve quindi ritenersi che, ai fini della determinazione dell'ambito di
estensione del divieto assoluto di edificazione, vincolo imposto sulle aree
site in fasce di rispetto stradale o autostradale, quale quella in oggetto,
sottostante il viadotto, può rilevare anche un'attività di spianatura ed
asfaltatura dell'area, prodromica alla realizzazione di parcheggi «a raso»,
implicante una trasformazione edilizia ed urbanistica del suolo.
Assumeva, pertanto, rilievo il fatto decisivo, il cui esame risulta
omesso dalla Corte di merito, allegato da Autostrade, rappresentato dai
lavori commissionati da Ar.Le. a terza Ditta di spianamento ed asfaltatura
dell'area, stante il divieto legale derivante dalla fascia di rispetto
autostradale (Corte
di Cassazione, Sez. I civile,
ordinanza 31.12.2020 n.
29983). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto
stradale o autostradale è di inedificabilità assoluta
traducendosi in un divieto inderogabile di costruire,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale. Invero,
“L’inedificabilità legale è sancita nell'interesse pubblico
da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942
aggiunto dall'art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n.
729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M.
01.04.1968".
Il divieto prescinde dalla programmazione urbanistica ed è
correlato all'esigenza di assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario per
l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il
deposito di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni: dunque, la proibizione non è finalizzata
solamente a garantire la sicurezza del traffico ed eventuali
ampliamenti della carreggiata, ma anche ad assicurare la
disponibilità di una fascia di terreno da utilizzare per
l'impianto dei cantieri, il deposito dei materiali e
l'esecuzione di tutti i tipi di lavori che si rendessero
necessari in relazione all'infrastruttura stradale.
Il vincolo –privo di natura espropriativa– rientra tra le
limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto
concernenti la generalità dei cittadini proprietari di
determinati beni individuati a priori per categoria e
localizzazione, espressione del potere conformativo della
pubblica amministrazione di cui all'art. 42 della
Costituzione.
La cornice legislativa di riferimento si rinviene nel Codice
della Strada e nel Regolamento di esecuzione. L'ampiezza
delle fasce è infatti specificamente disciplinata dal D.Lgs.
285/1992 (articoli 16, 17 e 18) e dal D.P.R. 495/1992
(articoli 26, 27 e 28), che pongono un divieto di
edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della
fascia di rispetto autostradale, per una distanza di 60
metri fuori dai centri abitati e di 30 metri all'interno di
essi.
---------------
Con riguardo
all’art. 9 della L. 729/1961 <<la giurisprudenza si è
pronunciata nel senso che la fascia di rispetto ivi prevista
integrava un vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto
preordinato non solo a prevenire la presenza di ostacoli
costituenti un possibile pregiudizio per la circolazione, ma
anche ad assicurare la disponibilità di un'area contigua
alla sede stradale all'occorrenza utilizzabile per un
ampliamento della medesima.
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla
fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal D.P.R. n.
495 del 1992 per le strade di tipo A, tenuto conto
dell'identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta
all'interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova
costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un
fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio
preesistente e integralmente demolito. Tale previsione che
penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele
ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di
ritenere rispondente ad un interesse prioritario il
mantenimento dell'area adiacente le autostrade sgombra da
costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti
della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza
pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente
nel senso della natura assoluta del vincolo di
inedificabilità imposto ex lege>>.
Va sul punto soggiunto che l’art. 16, comma 1, lett. b), del
Codice della Strada inibisce testualmente, nelle fasce di
rispetto, nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti di
edificazioni di qualsiasi tipo e materiale.
---------------
I ricorrenti censurano gli atti assunti dal Comune di
Ravenna (oltre al parere reso da Autostrade per l’Italia)
che hanno disposto l’annullamento parziale del permesso di
costruire e intimato il ripristino dello stato dei luoghi.
...
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
1. Osserva anzitutto il Collegio che, per consolidata
giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree site nella
fascia di rispetto stradale o autostradale è di
inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto
inderogabile di costruire, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale (Consiglio di Stato, sez. II –
12/02/2020 n. 1100, secondo il quale “L’inedificabilità
legale è sancita nell'interesse pubblico da apposite leggi
-art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto dall'art. 19
della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del 1961- e dai
relativi regolamenti di attuazione -D.M. 01.04.1968 (Cons.
Stato, Sez. IV, 13.06.2017, n. 2878”).
Si veda, su quest’ultima riflessione, anche la pronuncia del
Consiglio di Stato, sez. II – 31/01/2020 n. 815.
1.1 Il divieto prescinde dalla programmazione urbanistica ed
è correlato all'esigenza di assicurare una fascia di
rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal concessionario
per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri,
per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni (TAR Lombardia-Milano, sez. I – 22/07/2020 n.
1415): dunque, la proibizione non è finalizzata solamente a
garantire la sicurezza del traffico ed eventuali ampliamenti
della carreggiata, ma anche ad assicurare la disponibilità
di una fascia di terreno da utilizzare per l'impianto dei
cantieri, il deposito dei materiali e l'esecuzione di tutti
i tipi di lavori che si rendessero necessari in relazione
all'infrastruttura stradale (TAR Liguria, sez. I –
03/06/2019 n. 504; C.G.A. Sicilia – 21/01/2019 n. 48;
Consiglio di Stato, sez. IV – 04/02/2014 n. 485; TAR
Lazio-Roma, sez. II-quater – 07/04/2020 n. 3809).
1.2 Il vincolo –privo di natura espropriativa– rientra tra
le limitazioni costituzionalmente legittime, in quanto
concernenti la generalità dei cittadini proprietari di
determinati beni individuati a priori per categoria e
localizzazione, espressione del potere conformativo della
pubblica amministrazione di cui all'art. 42 della
Costituzione (Corte di Cassazione, sez. I civile –
30/06/2020 n. 13203 e l’ampia giurisprudenza di legittimità
evocata).
1.3 La cornice legislativa di riferimento si rinviene nel
Codice della Strada e nel Regolamento di esecuzione.
L'ampiezza delle fasce è infatti specificamente disciplinata
dal D.Lgs. 285/1992 (articoli 16, 17 e 18) e dal D.P.R.
495/1992 (articoli 26, 27 e 28), che pongono un divieto di
edificabilità assoluta ed inderogabile nell’ambito della
fascia di rispetto autostradale, per una distanza di 60
metri fuori dai centri abitati e di 30 metri all'interno di
essi.
...
4. Non è neppure
condivisibile l’affermazione della derogabilità della fascia
di protezione del nastro autostradale.
Con riguardo all’art. 9 della L. 729/1961 –invocato dalla
parte ricorrente– il TAR Abruzzo Pescara (cfr. sentenza
23/07/2018 n. 252, che non risulta appellata) ha statuito
che <<la giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la
fascia di rispetto ivi prevista integrava un vincolo di
inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a
prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile
pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la
disponibilità di un'area contigua alla sede stradale
all'occorrenza utilizzabile per un ampliamento della
medesima (cfr Tar Liguria, sez. I n. 276/2015; Tar Palermo
sez. II n. 34/2015).
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla
fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal D.P.R. n.
495 del 1992 per le strade di tipo A, tenuto conto
dell'identità di ratio e del fatto che la norma citata vieta
all'interno di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova
costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un
fabbricato preesistente o di ricostruzione di edificio
preesistente e integralmente demolito. Tale previsione che
penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele
ricostruzione da cui si desume la volontà del legislatore di
ritenere rispondente ad un interesse prioritario il
mantenimento dell'area adiacente le autostrade sgombra da
costruzioni idonee ad interferire con futuri ampliamenti
della sede stradale ovvero a compromettere la sicurezza
pubblica in caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente
nel senso della natura assoluta del vincolo di
inedificabilità imposto ex lege>>.
Va sul punto soggiunto che l’art. 16, comma 1, lett. b), del
Codice della Strada inibisce testualmente, nelle fasce di
rispetto, nuove costruzioni, ricostruzioni e ampliamenti di
edificazioni di qualsiasi tipo e materiale.
5. Anche ammettendo che la zona di cui si discorre sia al di
fuori del Centro abitato, il divieto assume natura
inderogabile.
In ogni caso, anche aderendo alla prospettazione di parte
ricorrente, l’art. 9, comma 2, della L. 729/1961 così
recita: “Le distanze di cui al comma precedente possono
essere ridotte per determinati tratti ove particolari
circostanze lo consiglino, con provvedimento del Ministro
per i lavori pubblici, presidente dell'A.N.A.S., su
richiesta degli interessati e sentito il Consiglio di
amministrazione dell'A.N.A.S.”.
Applicando le regole per tempo vigenti, l’Ente gestore della
strada (ASPI) sarebbe chiamato a formulare il parere di
competenza, che ha già emesso in senso sfavorevole: in buona
sostanza, in data 15/04/2013 ha già compiuto una valutazione
(negativa) quale autorità preposta alla cura dell’interesse
pubblico al corretto assetto viabilistico.
ASPI ha richiamato la circolare ANAS del 29/07/2010, mentre
la circolare 82481/2011 –invocata dai ricorrenti– ammette
nella fascia di rispetto l’istallazione e la manutenzione di
sotto-servizi (acquedotti, fognature, linee di
comunicazioni, gasdotti, metanodotti, etc.), ossia di opere
che non costituiscono edificazione (TAR
Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 29.10.2020 n. 689 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ESPROPRIAZIONE: Effetti
della decadenza del vincolo di esproprio sulle fasce di
rispetto stradali.
La circostanza che «il vincolo
preordinato all’esproprio sia decaduto ex lege non comporta
la decadenza anche delle fasce di rispetto stradali connesse
alla realizzazione dell’opera; e ciò in quanto, secondo
consolidati principi giurisprudenziali, le fasce di rispetto
stradali hanno natura di vincoli di carattere conformativo,
e non espropriativo, e come tali non sono soggetti a
decadenza ex lege per effetto del decorso del termine
quinquennale di cui all’art. 9 d.p.r. 327/2001, ma
conservano la propria efficacia a tempo indeterminato, fino
all’intervento di una nuova pianificazione urbanistica»
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 24.09.2020 n. 657 - commento tratto da
https://camerainsubria.blogspot.com).
---------------
SENTENZA
5. Con il quinto motivo, la ricorrente ha dedotto
l’illegittimità della Variante impugnata nella parte in cui
ha previsto una fascia di rispetto stradale di 40 metri,
così incidendo su fabbricati già costruiti e su aree di
potenziale espansione dello stabilimento, in violazione
dell’art. 26, comma 3, del Regolamento di esecuzione del
Codice della Strada che per le strade di tipo C prevede una
fascia di rispetto di 10 metri, in assenza di specifica
motivazione; la stessa variante parziale al P.T.C.P. in
corso di approvazione prevederebbe per questo tratto
stradale una distanza di 30 metri.
Nei propri scritti conclusivi, la ricorrente ha aggiunto che
con la decadenza ex lege del vincolo preordinato
all’esproprio, sopravvenuta in corso di causa, sarebbero
venute meno automaticamente anche le fasce di rispetto
stradali, essendo state previste a servizio di un’opera
viabilistica non più attuale. Per tale motivo, ha chiesto a
questo Tribunale di accertare il proprio diritto di
edificare sulle aree di sua proprietà già assoggettate a
vincolo preordinato all’esproprio e all’osservanza della
fascia di rispetto stradale, entrambe decadute per legge.
La censura (e la domanda) non possono essere condivise.
5.1. La difesa della parte interveniente Società di Progetto
Autovia Padana s.p.a., attuale titolare della concessione di
costruzione ed esercizio dell’Autostrada A21
Piacenza-Cremona-Brescia, in forza di convenzione stipulata
nel maggio del 2017 con il Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti, ha documentato in giudizio che il progetto di
realizzazione del “Terzo ponte sul fiume Po” è ancora
attuale, tanto da essere stato incluso nell’”oggetto”
della convenzione di concessione, all’art. 2.1., nella parte
in cui si fa specifico riferimento alle “Opere Lotto n.
2: Nuovo Casello di Castelvetro, Raccordo Autostradale con
la SS 10 “Padana inferiore” e completamento della bretella
autostradale tra la SS 10 “padana inferiore” e la SS 234”.
L’art. 11-bis della convenzione ha previsto l’impegno della
concessionaria a reperire i necessari finanziamenti entro la
fine del primo periodo regolatorio, che –da quel che è dato
di comprendere- dovrebbe giungere a scadenza nel maggio del
2022, dopo di che, in mancanza di finanziatori, il progetto
potrebbe essere stralciato dall’oggetto della concessione.
Allo stato, in pendenza del primo quinquennio regolatorio,
la previsione dell’opera viabilistica è ancora attuale e la
concessionaria ha ribadito in giudizio il proprio interesse
a realizzarla, previo reperimento delle risorse necessarie,
in ossequio agli impegni convenzionali.
5.2. Ciò posto, la circostanza che, nelle more del presente
giudizio il vincolo preordinato all’esproprio sia decaduto
ex lege non comporta la decadenza anche delle fasce
di rispetto stradali connesse alla realizzazione dell’opera;
e ciò in quanto, secondo consolidati principi
giurisprudenziali, le fasce di rispetto stradali hanno
natura di vincoli di carattere conformativo, e non
espropriativo (TAR Catania, sez. I , 22/10/2015, n. 2458;
TAR , Salerno, sez. II, 13/06/2013, n. 1276; TAR Palermo,
sez. III, 24/05/2013, n. 1167; TAR Lecce, sez. I,
24/09/2009, n. 2156; TAR Firenze, sez. III, 20/12/2012, n.
2110), e come tali non sono soggetti a decadenza ex lege
per effetto del decorso del termine quinquennale di cui
all’art. 9 d.p.r. 327/2001, ma conservano la propria
efficacia a tempo indeterminato, fino all’intervento di una
nuova pianificazione urbanistica (Cons. Stato, Sez. IV,
18.05.2018, n. 3002; Consiglio di Stato, sez. IV,
12/04/2017, n. 1700; TAR Napoli, sez. II, 27/12/2019, n.
6149; TAR Torino, sez. II, 29/08/2014, n. 1457; TAR Milano,
sez. II , 30/11/2007, n. 6532).
5.3. Quanto all’ampiezza della fascia di rispetto stradale
connessa alla realizzazione dell’opera viabilistica, venendo
in considerazione la realizzazione di un collegamento
autostradale, e quindi di una strada di tipologia A -secondo
la classificazione di cui all’art. 2 comma 2 del Codice
della Strada– essa non poteva essere fissata in misura
inferiore a 30 metri, secondo quanto previsto dall’art. 16,
comma 3, lett. a), del Regolamento di esecuzione del Codice
della Strada, norma applicabile “fuori dai centri abitati
ma all’interno di zone previste come edificabili o
trasformabili dallo strumento urbanistico”, come nel
caso di specie.
Nell’impugnato P.G.T. la fascia di rispetto stradale è stata
fissata in 40 metri, misura da ritenersi legittima in quanto
“non inferiore” alla misura minima di 30 metri
prescritta dalla normativa di settore; e ciò sarebbe già di
per sé sufficiente a consentire il rigetto della censura.
Nelle more del giudizio, peraltro, secondo la documentata
deduzione della difesa comunale, in occasione
dell’approvazione del P.G.T. del 2018 è stata accolta la
richiesta della ricorrente di ridurre da 40 a 30 metri la
fascia di rispetto stradale esistente, recependo i contenuti
del Protocollo d’Intesa sottoscritto in data 28.10.2018
dalla ricorrente e dal Comune di Cremona. In tale Protocollo
d’Intesa, il Comune si è impegnato, in particolare, “al
mantenimento della profondità di 30 metri della fascia di
rispetto del cosiddetto terzo Ponte e, qualora se ne
presentassero le condizioni, a fornire il proprio il proprio
pieno appoggio presso gli Enti competenti per una sua
ulteriore riduzione in una misura compatibile con le
esigenze di sviluppo produttivo di Ol.Zu.”.
Alla luce di tale accordo intercorso tra le parti,
pacificamente recepito nel P.G.T. del 2018 non impugnato
dalla parte ricorrente, la censura in esame è diventata
improcedibile per acquiescenza e sopravvenuta carenza di
interesse, così come eccepito dalle difese
dell’amministrazione e della parte controinteressata. Né
convince la replica della parte ricorrente secondo cui
l’efficacia del Protocollo d’Intesa sarebbe stata limitata
fino al 31.12.2020 (art. 4, comma 2), dal momento che, a
tutto concedere, questo implicherebbe la riviviscenza, a far
data dal 01.01.2021, della distanza previgente di 40 metri,
derogata solo temporaneamente dal Protocollo d’Intesa del
2018.
5.4. La domanda della società ricorrente di accertamento del
proprio diritto di edificare sull’area di sua proprietà
inclusa all’interno della fascia di rispetto, prima ancora
che infondata nel merito alla luce di quanto sopra esposto,
è inammissibile ai sensi dell’art. 34, comma 2, c.p.a.,
perché volta a sollecitare una pronuncia del giudice su
poteri amministrativi non ancora esercitati. |
ESPROPRIAZIONE -
URBANISTICA: In
ordine alla qualificazione giuridica della fascia di
rispetto, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale
o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende
legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente
legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di
determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione,
espressione del potere conformativo della P.A. di cui all'art. 42 Cost..
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato
all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla
sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore
di mercato di terreno non edificabile.
---------------
Deve escludersi qualsiasi incidenza dell'area corrispondente
alla fascia di rispetto ablata sulla determinazione della
volumetria edificabile del lotto in cui è compresa.
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla
pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse
pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza".
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche
in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima
dell'assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere
conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria
edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina
urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del
vincolo.
Non è, pertanto, condivisibile l'indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici
di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche
la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell'individuazione
della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe
interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la
valutazione dello stesso ai fini urbanistici.
Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla
prima, e ciò in quanto l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a
prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna
potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili
dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere
anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
---------------
In tema di determinazione dell’indennità di espropriazione
per pubblica utilità, lo spostamento della fascia di
rispetto autostradale all’interno dell’area residua rimasta
in proprietà degli espropriati, pur traducendosi in un
vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non
indennizzabile, può rilevare nella determinazione
dell’indennizzo dovuto al privato, in applicazione estensiva
dell’art.33 d.p.r. n. 327 /2001, per il deprezzamento
dell’area residua mediante il computo delle singole perdite
ad essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità
di utilizzo della stessa ed anche per la perdita di capacità
edificatoria realizzabile sulle più ridotte superfici
rimaste in proprietà.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto
stradale o autostradale comporta un divieto assoluto di
edificazione che le rende legalmente inedificabili,
trattandosi di limitazioni costituzionalmente legittime, in
quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari
di determinati beni individuati a priori per categoria e
localizzazione, espressione del potere conformativo della
P.A. di cui all’art. 42 Cost.
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza
ineludibilmente, anche in base alle citate norme del T.U.
Espropriazioni, la fascia di rispetto prima
dell’assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se
ne possa tenere conto senza quella qualità ai fini del
computo della volumetria edificabile, in unione con la parte
non ablata, secondo la disciplina urbanistica, che è
sottordinata gerarchicamente alla legge, fonte del vincolo.
Nell’ipotesi di spostamento della fascia di rispetto
all’interno dell’area residua di proprietà, concettualmente
distinta dall’altra già considerata (ablazione della fascia
di rispetto), la corrispondente porzione del bene è
edificabile prima dell’imposizione sulla stessa del vincolo
legale di inedificabilità conseguente dall’ablazione della
fascia di rispetto, mentre diviene inedificabile solo dopo
l’esproprio dell’originaria fascia di rispetto, così
producendosi, per la “nuova” fascia di rispetto che resta in
proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di
un diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto
di costruire.
Ove si verifichi detta situazione, poiché deve aversi
riguardo alla consistenza dell’area ante procedura
espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo di
inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere
rilevanza l’inedificabilità successiva della stessa ai fini
dell’applicazione dell’art. 33 d.p.r. n. 327/2001.
Dunque, l’edificabilità originaria di quella porzione
consente di valutarne la volumetria edificatoria
realizzabile in unione con l’altra parte residua, rimasta in
proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in
proprietà anche la nuova fascia di rispetto
(massima tratta da www.sdanganelli.it).
---------------
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta «Violazione e
falsa applicazione di norme di diritto in relazione all'art. 360, comma 1,
n. 3, cod. proc. civ.. Violazione degli artt. 32, 33, 37 e 40 d.p.r. n.
327/2001 del d.p.r. 495/1992 art. 26 del d.lgs. n. 285/1992 art. 6-
dell'art. 41-septies l. n. 1150/1941, aggiunto dall'art. 19 l. n. 765/1967-
art. 9 l. n. 729/1961 - D.M. 01.04.1968 art. 4».
La ricorrente deduce che la natura giuridica della fascia di rispetto
comporta l'inedificabilità assoluta, come da giurisprudenza di questa Corte
che richiama, e di conseguenza trova applicazione l'art. 40 TUE, e non
l'art. 33. Sostiene che l'area in fascia di rispetto non possa concorrere al
calcolo della superficie edificabile e l'indennità di espropriazione deve
liquidarsi in base al valore agricolo del terreno, senza che rilevi il
trasferimento della relativa volumetria.
Adduce la ricorrente che la disciplina non può essere derogata dagli
strumenti generali di pianificazione e il deprezzamento della parte residua
non può essere preso in considerazione perché la fascia di rispetto è un
vincolo legale conformativo che cagiona un pregiudizio non indennizzabile.
La disposizione legislativa precede e prevale sugli strumenti generali di
pianificazione del territorio e la Corte territoriale avrebbe dovuto
preliminarmente accertare se la destinazione edificatoria fosse preclusa
dalle norme di legge citate in rubrica.
...
6. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
Occorre premettere che le articolate censure espresse con il primo motivo di
ricorso involgono questioni di diritto in ordine alle quali il Collegio
ritiene di disattendere l'istanza dei controricorrenti di rimessione alle
Sezioni Unite, trattandosi di tematiche che, pur presentando profili di
indubbio rilievo nomofilattico, possono essere decise dalla Sezione semplice
mediante interpretazione del contesto normativa in via estensiva e
chiarificatrice di principi già affermati da questa Corte, nel senso che
sarà illustrato.
Le questioni sottoposte allo scrutinio di questa Corte possono così
sintetizzarsi:
A) qualificazione giuridica della fascia di rispetto e correlata
incidenza, in ipotesi di sua ablazione, sul criterio di determinazione
dell'indennità di espropriazione e sull'individuazione della volumetria
edificabile, ante assoggettamento alla procedura di espropriazione,
dell'originario lotto unitario;
B) rilevanza, in ordine all'individuazione della medesima
volumetria edificabile, del solo "spostamento" della fascia di
rispetto, nell'ipotesi in cui il vincolo, in conseguenza dell'espropriazione
parziale, si sia spostato sull'area contigua, rimasta in proprietà
dell'espropriato, venutasi a trovare per effetto dell'espropriazione
all'interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non
rientrava.
6.1. In ordine alla qualificazione giuridica della fascia di rispetto,
secondo l'orientamento di questa Corte che il Collegio ritiene di
condividere, il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto stradale
o autostradale comporta un divieto assoluto di edificazione che le rende
legalmente inedificabili, trattandosi di limitazioni costituzionalmente
legittime, in quanto concernenti la generalità dei cittadini proprietari di
determinati beni individuati a priori per categoria e localizzazione,
espressione del potere conformativo della P.A. di cui all'art. 42 Cost. (tra
le tante Cass. n. 14632/2018, n. 13516/2015 e n. 27114/2013).
Detto vincolo non ha natura espropriativa, né è preordinato
all'espropriazione, in base a quanto previsto dagli art. 32, comma 1, e 37,
comma 4, del d.p.r. n. 327/2001, e l'indennità di esproprio relativa alla
sola fascia di rispetto ablata deve, pertanto, calcolarsi secondo il valore
di mercato di terreno non edificabile (Cass. 14632/2018 e Cass. n.
5875/2015).
6.2. In ordine alle tematiche, più controverse, che presuppongono la
sussistenza, accertata nella specie dalla Corte territoriale, dell'esproprio
parziale di bene unitario ai sensi dell'art. 33 d.p.r. n. 327 /2001, ritiene
il Collegio che sia condivisibile l'orientamento secondo cui deve escludersi
qualsiasi incidenza dell'area corrispondente alla fascia di rispetto ablata
sulla determinazione della volumetria edificabile del lotto in cui è
compresa (tra le altre Cass. n. 8121/2009 e Cass. n. 26899/2008).
Il vincolo di inedificabilità discende dalla legge, che prevale sulla
pianificazione e programmazione urbanistica, è sancito nell'interesse
pubblico e non può, perciò, configurarsi come mero "vincolo di distanza"
(sulla qualificazione della fascia di rispetto come vincolo di distanza cfr.
Cons. Stato n. 2076/2010 e Cass. n. 25118/2018).
La connotazione di inedificabilità, che caratterizza ineludibilmente, anche
in base alle citate norme del T.U.E., la fascia di rispetto prima
dell'assoggettamento alla procedura ablatoria, osta a che se ne possa tenere
conto senza quella connotazione ai fini del computo della volumetria
edificabile, in unione con la parte non ablata, secondo la disciplina
urbanistica, che è sotto-ordinata gerarchicamente alla legge, fonte del
vincolo.
Non è, pertanto, condivisibile l'indirizzo, a cui si sono attenuti i Giudici
di merito (Cass. n. 5875/2012; Cass. n. 13970/2011), in base al quale anche
la superficie della fascia di rispetto deve computarsi nell'individuazione
della volumetria edificabile del lotto unitario, in quanto non vi sarebbe
interferenza o contrasto tra la qualificazione legale del vincolo e la
valutazione dello stesso ai fini urbanistici.
Deve, invece, ritenersi preclusa ogni difformità della seconda rispetto alla
prima, e ciò in quanto l'area corrispondente alla fascia di rispetto, a
prescindere dall'assoggettamento alla procedura espropriativa, non ha alcuna
potenzialità edificatoria in virtù di disposizioni di legge, non derogabili
dalla sotto-ordinata regolamentazione urbanistica, come è dato desumere
anche dal tenore letterale dell'art. 37, comma 4, d.p.r. 327/2001.
6.3. A diversa conclusione si deve pervenire nell'ipotesi di spostamento
della fascia di rispetto all'interno dell'area residua di proprietà,
dovendosi rimarcare la sua dirimente distinzione dall'altra già considerata
(ablazione della fascia di rispetto).
Infatti, in ipotesi di spostamento, la corrispondente porzione del bene è
edificabile prima dell'imposizione sulla stessa del vincolo legale di
inedificabilità conseguente dall'ablazione della fascia di rispetto, mentre
diviene inedificabile solo dopo l'esproprio dell'originaria fascia di
rispetto, così producendosi, per la "nuova" fascia di rispetto che
resta in proprietà, la perdita, e quindi la sostanziale ablazione, di un
diritto diverso da quello di proprietà, ossia del diritto di costruire.
In altri termini, come chiarito da questa Corte in precedenti pronunce
(Cass. n. 5875/2012 e Cass. n. 23210/2012), il vincolo, in conseguenza
dell'espropriazione, può essersi spostato sull'area contigua, rimasta in
proprietà del privato, venutasi a trovare per effetto dell'espropriazione
all'interno della fascia di rispetto, nella quale in precedenza non
rientrava (Cass. n. 13970/2011; n. 6518/2007; n. 14643/2001). Ove si
verifichi detta situazione, poiché deve aversi riguardo alla consistenza
dell'area ante procedura espropriativa e, in allora, non esisteva il vincolo
di inedificabilità su quella porzione di bene, non può assumere rilevanza l'inedificabilità
successiva della stessa ai fini dell'applicazione dell'art. 33 d.p.r. n.
327/2001.
Dunque, l'edificabilità originaria di quella porzione consente di valutarne
la volumetria edificatoria realizzabile in unione con l'altra parte residua,
rimasta in proprietà degli espropriati, così come, peraltro, rimane in
proprietà anche la "nuova" fascia di rispetto. Negare rilevanza, nel
senso indicato, alla descritta situazione si porrebbe in contrasto con i
principi costantemente affermati da questa Corte in tema di espropriazioni
per pubblica utilità, anche alla luce delle pronunce della Corte
Costituzionale (sentenze n. 348/2007, n. 349/2007 e 181/2011) e della Corte
Europea dei Diritti dell'Uomo, secondo i quali non solo il sistema
indennitario deve ritenersi improntato al riconoscimento del valore venale
del bene ablato, ma l'indennizzo dovuto al proprietario, in base alla
disciplina dettata dal citato art. 33, riguarda anche la compromissione o
l'alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione del
bene rimasta nella disponibilità del proprietario stesso, in tutti i casi in
cui il distacco di una parte del fondo e l'esecuzione dell'opera pubblica
influiscano negativamente sulla proprietà residua, in modo da compensare il
pregiudizio arrecato dall'ablazione ad essa (tra le tante Cass. n.
34745/2019).
Con riguardo a detti principi deve orientarsi l'interpretazione dell'art. 33
nella fattispecie in esame, la cui peculiarità risiede nel collegamento
funzionale con una parte del fondo non espropriata, ma assoggettata, in
diretta dipendenza dall'ablazione della fascia di rispetto, a vincolo
assoluto di inedificabilità, e, quindi, alla perdita del diritto di
costruire, pur nella permanenza del diritto di proprietà.
In tale ottica interpretativa, può darsi rilevanza, ai fini della
configurabilità dell'esproprio parziale, a quel collegamento, a sua volta
direttamente funzionale all'espropriazione della proprietà dell'area già in
precedenza vincolata in quanto fascia di rispetto. Il fondamento normativa
di suddetta ricostruzione si può rinvenire nell'art. 32, comma 1, citato
d.p.r., che prescrive di tener conto, nella determinazione del valore del
bene ai fini indennitari, anche dell'espropriazione di un diritto diverso da
quello di proprietà, e a detta espropriazione è assimilabile l'ipotesi che
si sta scrutinando, in cui il proprietario ha perso il diritto di costruire
sulla porzione del fondo corrispondente alla "nuova" fascia di
rispetto.
In base a detta opzione ermeneutica, estensiva nei termini consentiti dalla
specificità del caso, il privato potrà ottenere il deprezzamento dell'area
residua non ablata commisurato alla reale perdita o diminuzione di capacità
edificatoria di essa.
Detto risultato può essere, infatti, raggiunto, in termini di effettività,
solo se la valutazione della capacità edificatoria, da effettuarsi mediante
comparazione delle caratteristiche del bene unitario ante e post procedura
espropriativa, comprenda, nella ricostruzione della situazione ante
procedura ablatoria, l'area della "nuova" fascia di rispetto
originariamente edificabile, determinandosi, diversamente opinando,
ingiustificata disparità di trattamento rispetto a situazioni con
caratteristiche iniziali identiche, quanto alla pregressa destinazione
urbanistica dell'area che, all'esito dell'espropriazione, rimane in
proprietà.
Resta da precisare, sempre in ragione della specificità del caso, che il
criterio di stima differenziale, che comporta la sottrazione all'iniziale
valore dell'intero immobile quello della parte rimasta in capo al privato,
non è vincolante e può essere sostituito dal criterio che procede al calcolo
del deprezzamento della sola parte residua, per poi aggiungerlo alla somma
liquidata per la parte espropriata, purché si raggiunga il medesimo
risultato di compensare l'intero pregiudizio arrecato dall'ablazione alla
proprietà residua (da ultimo Cass. n. 25385/2019 e n. 34745/2019).
Nella specie, poiché la perdita del diritto di costruire sull'area residua
corrispondente alla "nuova" fascia di rispetto non è indennizzabile,
il giudice di merito potrà accertare e calcolare la diminuzione di valore
dell'area residua rimasta in proprietà a seguito dell'avanzamento della
fascia di rispetto mediante il computo delle singole perdite ad essa
inerenti (Cass. n. 24304/2011).
In altri termini, l'indennizzo eventualmente spettante al proprietario per
la perdita di valore dell'area residua dovrà essere calcolato in relazione
alla più limitata capacità edificatoria consentita sulla più ridotta
superficie rimasta a seguito della creazione o dell'avanzamento della fascia
di rispetto (Cass. n. 7195 del 2013).
Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il primo motivo va
accolto nei limiti indicati, con la cassazione dell'ordinanza impugnata, e i
Giudici di merito dovranno attenersi al principio di diritto secondo il
quale, in tema di determinazione dell'indennità di espropriazione per
pubblica utilità, lo spostamento della fascia di rispetto autostradale
all'interno dell'area residua rimasta in proprietà degli espropriati, pur
traducendosi in un vincolo assoluto di inedificabilità, di per sé non
indennizzabile, può rilevare nella determinazione dell'indennizzo dovuto al
privato, in applicazione estensiva dell'art. 33 d.p.r. n. 327 /2001, per il
deprezzamento dell'area residua mediante il computo delle singole perdite ad
essa inerenti, qualora risultino alterate le possibilità di utilizzo della
stessa ed anche per la perdita di capacità edificatoria realizzabile sulle
più ridotte superfici rimaste in proprietà (Corte
di Cassazione, Sez. I civile,
sentenza 30.06.2020 n. 13203). |
EDILIZIA PRIVATA: Condizione
per l’applicabilità della disciplina sulla distanza dei fabbricati dalle
strade.
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Edilizia – Distanze - Distanza dei fabbricati dalle strade – Presupposti
- Individuazione.
L’applicabilità della disciplina sulla distanza dei
fabbricati dalle strade di cui al combinato disposto degli artt. 16 del
Codice della Strada e 26 del relativo regolamento di attuazione, è
condizionata al verificarsi del seguente duplice presupposto:
a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi
provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2, che tuttavia ne individua le
tipologie sulla base delle caratteristiche costruttive, tecniche e
funzionali, distinguendole in categorie da “A” (corrispondente alle
autostrade) a “F bis” (itinerari ciclopedonali) (1).
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(1) La Sezione ha affronta il problema della disciplina delle fasce
di rispetto stradale applicabile nelle costruzioni fuori dal centro abitato,
chiarendo la portata della norma transitoria di cui all’art. 234, comma 5,
del Codice della Strada. Da tale disposizione, infatti, emerge che
l’applicabilità della disciplina recata, per quanto qui di interesse, dal
combinato disposto di cui agli artt. 16 del Codice e 26 del relativo
regolamento di attuazione, è condizionata al verificarsi del seguente
duplice presupposto:
a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi
provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2.
Nelle more di tali adempimenti, le norme previgenti, che devono continuare a
trovare applicazione, sono appunto quelle contenute nel decreto
interministeriale 01.04.1968, n. 1404, che detta le distanze minime a
protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del
perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge n. 765 del
1967.
La distinzione delle strade ivi declinata all’art. 3, comma 1, «in
rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche», non appare
affatto sovrapponibile alla assai più articolata prospettazione codicistica,
pur potendo casualmente coincidere la riconducibilità di alcune fattispecie
concrete alla medesima tipologia nominalistica, con particolare riferimento
alla “C”, corrispondente a quelle “di media importanza”, di sicuro
connotata da maggior genericità di inquadramento (tanto da ricomprendere
strade statali, provinciali e finanche comunali, purché di dimensioni
consistenti). Egualmente la delimitazione del “centro abitato”
necessaria quale condizione di applicabilità della nuova normativa è
soltanto quella di cui all’art. 4 del Codice della Strada.
Entrambe le discipline (la attuale e la previgente) si preoccupano di
salvaguardare l’autonomia programmatoria in materia urbanistica degli enti
territoriali, condizionando il rigoroso o più rigoroso regime delle distanze
alla esistenza o meno di una disciplina edificatoria.
In tale ottica, mentre il comma 3 dell’art. 26 del d.P.R. n. 495/1992
(Regolamento di esecuzione del Codice), prevede, per quanto di interesse in
relazione alle strade di tipologia “C”, la minore distanza di m. 10 ove si
versi al di fuori dei centri abitati, «ma all'interno delle zone previste
come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel
caso che detto strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se
per tali zone siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi»;
l’art. 1 del decreto 01.04.1968, n. 1404, esclude genericamente dal proprio
ambito di applicabilità sia i centri abitati sia gli «insediamenti
previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione».
Ha ancora chiarito la Sezione che il “centro abitato” come «insieme
di edifici, delimitato lungo le vie di accesso dagli appositi segnali di
inizio e fine», identificabile in un «raggruppamento continuo,
ancorché intervallato da strade, piazze, giardini o simili, costituito da
non meno di venticinque fabbricati e da aree di uso pubblico con accessi
veicolari o pedonali sulla strada», è cosa diversa da quello individuato
a fini urbanistici, siccome tipico della normativa previgente, a prescindere
peraltro dalle esigenze e dalle modalità di coordinamento poste in essere
dalle amministrazioni territoriali per cercare di armonizzare in ambito
pianificatorio concreto le relative indicazioni.
Essere fuori dal centro abitato, quale che sia l’accezione attribuita al
relativo termine, è uno dei presupposti di applicabilità del regime delle
distanze di cui all’art. 26 del Regolamento di esecuzione del Codice;
laddove l’altro è l’estraneità dall’ambito operativo degli strumenti
urbanistici, che al contrario possono riferirsi anche ad altre zone, oltre
al centro abitato medesimo
(Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 17.06.2020 n. 3900 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
11. Punto essenziale dell’odierna controversia è l’esatta disciplina
applicabile in materia di distanze dalla sede stradale dopo l’entrata in
vigore del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, cd. “Nuovo Codice della Strada”.
Nel caso di specie, il Comune di Montaquila, infatti, pur classificando la
strada statale -OMISSIS-) sulla base delle indicazioni di cui all’art. 2 del
Codice della Strada, ha poi ritenuto di dover fare applicazione della
disciplina previgente, invocando il regime delle distanze previsto dalla
omonima, ma strutturalmente diversa, categoria delle “strade di media
importanza”, egualmente denominate come “C” nella elencazione di cui
all’art. 3 del decreto interministeriale n. 1444/1968.
Ciò in applicazione della disciplina transitoria di cui all’art. 234, comma
5, del d.lgs. n. 285/1992. Da tale disposizione, infatti, emerge che
l’applicabilità della disciplina recata, per quanto qui di interesse, dal
combinato disposto di cui agli artt. 16 del Codice e 26 del relativo
regolamento di attuazione, approvato con d.P.R. 30 dicembre 1992, n. 495, è
condizionata al verificarsi del seguente duplice presupposto:
a) la delimitazione dei centri abitati prevista dall'art. 4;
b) la classificazione delle strade, demandata ad appositi
provvedimenti attuativi dall'art. 2, comma 2, che tuttavia ne individua le
tipologie sulla base delle caratteristiche costruttive, tecniche e
funzionali, distinguendole in categorie da “A” (corrispondente alle
autostrade) a “F bis” (itinerari ciclopedonali).
Nelle more di tali adempimenti, le norme previgenti, che devono continuare a
trovare applicazione, sono appunto quelle contenute nel decreto
interministeriale 01.04.1968, n. 1404, che detta le distanze minime a
protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del
perimetro dei centri abitati, di cui all'art. 19 della legge n. 765 del
1967.
La richiamata distinzione delle strade ivi declinata all’art. 3, comma 1,
«in rapporto alla loro natura ed alle loro caratteristiche», non appare
affatto sovrapponibile alla assai più articolata prospettazione codicistica,
pur potendo casualmente coincidere la riconducibilità di alcune fattispecie
concrete alla medesima tipologia nominalistica, con particolare riferimento
alla “C”, corrispondente a quelle “di media importanza”, di sicuro connotata
da maggior genericità di inquadramento (tanto da ricomprendere strade
statali, provinciali e finanche comunali, purché di dimensioni consistenti).
Senza che di tale differenza concettuale, rileva ancora la Sezione, il
Comune si sia fatto minimamente carico, essendosi limitato, con un evidente
salto logico argomentativo, ad utilizzare le nuove indicazioni legislative a
fini classificatori, salvo poi far leva sul tratto nominalistico
dell’inquadramento conseguitone (la tipologia “C”) per esportarlo nel
diverso contesto declinato dalla normativa previgente, senza la minima
analisi, pur semplicemente descrittiva, dello stato dei luoghi.
12. Per delineare il quadro completo della disciplina astrattamente
applicabile, la Sezione ritiene necessario ricordare anche come l’art. 26
del regolamento di attuazione del Codice della Strada, laddove si versi
fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del codice,
individui quale distanza dal confine di una strada di tipo “C”, da
rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a
demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade quella non
inferiore a m. 30; distanza lineare che corrisponde esattamente a quella
prevista dall’art. 4 del decreto del 1968 per l’omonima categoria ivi
individuata.
Quand’anche tuttavia, come peraltro parrebbe nel caso di specie, la strada
statale -OMISSIS- possa classificarsi come “C” sia ai sensi dell’art. 2 del
Codice della Strada, cui l’Amministrazione ha inteso fare riferimento, sia
ai sensi dell’art. 3 del decreto n. 1404/1968, per contro neppure richiamato
descrittivamente, il Comune avrebbe dovuto anche scrutinare il regime
edificatorio dell’area, secondo la vigente normativa urbanistica locale.
Occorre infatti precisare, rileva ancora la Sezione, come entrambe le
discipline (la attuale e la previgente) si preoccupino -e non avrebbe
potuto essere altrimenti- di salvaguardare l’autonomia programmatoria in
materia urbanistica degli enti territoriali, condizionando il rigoroso o più
rigoroso regime delle distanze alla esistenza o meno di una disciplina
edificatoria.
In tale ottica, mentre il comma 3 del richiamato art. 26 del d.P.R. n.
495/1992, prevede, per quanto di interesse in relazione alle strade di
tipologia “C”, la minore distanza di m. 10 ove si versi al di fuori dei
centri abitati, «ma all'interno delle zone previste come edificabili o
trasformabili dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto
strumento sia suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone
siano già esecutivi gli strumenti urbanistici attuativi»; l’art. 1 del
decreto 01.04.1968, n. 1404, esclude genericamente dal proprio ambito di
applicabilità sia i centri abitati sia gli «insediamenti previsti dai piani
regolatori generali e dai programmi di fabbricazione». |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Le
fasce di rispetto stradale, previste dal Codice della Strada e dal suo
Regolamento di attuazione, non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure
poste a tutela della sicurezza stradale.
In particolare, l'imposizione della fascia di rispetto stradale è
funzionale, oltre che a ragioni di sicurezza della circolazione, ad
eventuali prospettive di ampliamento della sede stradale, nonché
all'esigenza di garantire uno spazio sufficiente ed adeguato all'esecuzione
di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità.
Nondimeno, non è escluso che il Comune imponga con il proprio strumento
urbanistico una fascia di rispetto più ampia. In tal caso, il vincolo di
inedificabilità, non riconducibile direttamente alle previsioni di
regolazione della cricolazione stradale, ma avente la propria fonte
esclusiva nello strumento urbanistico, non rientra fra i vincoli di
inedificabilità assoluta ostativi alla sanatoria delle opere edilizie con
essi contrastanti.
La scelta urbanistica è, in tal caso, sindacabile nei noti limiti
dell’illogicità e irragionevolezza. Infatti, le scelte di pianificazione
urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione
della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni
dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non
necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai
criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti nell'impostazione
del piano stesso.
---------------
L’imposizione di un vincolo di inedificabilità comporta un sacrificio
dell’interesse dei proprietari dell’area, benché lo strumento urbanistico
consenta loro di utilizzare le volumetrie sviluppate dal terreno in fascia
di rispetto, in quanto le possibilità edificatorie sono evidentemente
assoggettate a condizioni più difficoltose.
---------------
7. – Ciò posto, il ricorso, nella parte in cui vi è ancora
interesse, è fondato.
7.1. – Secondo i ricorrenti, la scelta di rappresentare l’area di cui essi
sono proprietari quale zona di rispetto stradale con una inedificabilità di
venti metri dal ciglio della strada è frutto di un travisamento dei fatti.
Il combinato disposto dell’art. 18 d.lgs. 30.04.1992, n. 285, e
dell’art. 28 d.P.R. 16.12.1992, n. 495, invero, stabilisce una fascia
di rispetto di venti metri solo per le strade di tipo D (strada urbana di
scorrimento, realizzata a carreggiate indipendenti o separate da
spartitraffico, ciascuna con almeno due corsie di marcia, ed una eventuale
corsia riservata ai mezzi pubblici, banchina pavimentata a destra e
marciapiedi, con le eventuali intersezioni a raso semaforizzate) e, in
mancanza di strumenti urbanistici, per le strade di tipo E (strada urbana di
quartiere, realizzata ad unica carreggiata con almeno due corsie, banchine
pavimentate e marciapiedi).
Nel caso di specie, la strada cui l’area è prospiciente è stata considerata
strada urbana di scorrimento, senza averne le caratteristiche, potendo al
massimo essere considerata strada urbana di quartiere. L’imposizione di una
fascia di rispetto così ampia sarebbe pertanto irragionevole.
In ogni caso, le scelte dell’amministrazione sarebbero prive di adeguata
motivazione, necessaria in considerazione del fatto che le scelte
urbanistiche operate, contrastanti con quelle del passato, hanno
penalizzato i ricorrenti, i quali, essendo il loro terreno profondo non più
di 30 m. dall’asse stradale, hanno di fatto perduto la possibilità di
edificare.
L’irragionevolezza emergerebbe ancor di più ove si consideri che sull’asse
viario esistono già almeno due edifici posti a meno di 20 m. dal ciglio
della strada; la via prosegue in un Comune limitrofo, dove la fascia di
rispetto è fissata in 10 m; per altre vie, di simili caratteristiche, nel
Comune di Aci Bonacorsi la fascia di rispetto è fissata in m. 10.
7.2. – Va in proposito ricordato che le fasce di rispetto stradale, previste
dal Codice della Strada e dal suo Regolamento di attuazione, non
costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza
stradale (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20.10.2000, n. 5620; TAR Lombardia–Milano, Sez. II, 12.07.2017, n. 1600).
In particolare, l'imposizione della fascia di rispetto stradale è
funzionale, oltre che a ragioni di sicurezza della circolazione, ad
eventuali prospettive di ampliamento della sede stradale, nonché
all'esigenza di garantire uno spazio sufficiente ed adeguato all'esecuzione
di lavori o interventi di manutenzione che interessino la viabilità (TAR
Campania–Napoli, Sez. VI, 10.04.2018, n. 2315).
Nondimeno, non è escluso che il Comune imponga con il proprio strumento
urbanistico una fascia di rispetto più ampia. In tal caso, il vincolo di
inedificabilità, non riconducibile direttamente alle previsioni di
regolazione della cricolazione stradale, ma avente la propria fonte
esclusiva nello strumento urbanistico, non rientra fra i vincoli di
inedificabilità assoluta ostativi alla sanatoria delle opere edilizie con
essi contrastanti (cfr. TAR Toscana, Sez. III, 02.02.2015, n. 180).
La scelta urbanistica è, in tal caso, sindacabile nei noti limiti
dell’illogicità e irragionevolezza. Infatti, le scelte di pianificazione
urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono
apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità e, in occasione
della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni
dell'amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non
necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai
criteri generali -di ordine tecnico discrezionale- seguiti
nell'impostazione del piano stesso (Cons. Stato, Sez. IV, 24.02.2020,
n. 1355).
7.3. – Nel caso di specie, sussistono i profili di irragionevolezza
denunciati dai ricorrenti.
Invero, non risulta contestato che lungo la strada di cui si controvente
sono situati almeno due edifici che sono collocati a una distanza inferiore
a 20 m.; la strada prosegue in un altro Comune, ove la fascia di rispetto è
fissata in 10 m; altre strade aventi le medesime caratteristiche sono dotate
di una fascia di rispetto di soli 10 m.
Quindi, accertato che ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 285 del 1992 e
dell’art. 28 d.P.R. n. 495 del 1992, n. 495, era imposta dalla legge una
fascia di rispetto di 10 m., non si comprende quale sia la logica sottintesa
all’estensione del vincolo per una sola strada e, peraltro, nonostante la
presenza di immobili a una distanza inferiore.
7.4. – È appena il caso di chiarire, inoltre, che l’imposizione di un
vincolo di inedificabilità comporta un sacrificio dell’interesse dei
proprietari dell’area, benché lo strumento urbanistico consenta loro di
utilizzare le volumetrie sviluppate dal terreno in fascia di rispetto, in
quanto le possibilità edificatorie sono evidentemente assoggettate a
condizioni più difficoltose.
È dunque infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di
interesse
(TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 16.06.2020 n. 1416 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
fascia di rispetto autostradale pone un divieto assoluto di
edificabilità, da applicare sia alle nuove costruzioni, sia
alle ricostruzioni a seguito di demolizione, sia agli
ampliamenti di edifici fronteggianti le strade di tipo A.
Norme vigenti del Codice della Strada e del Regolamento di
attuazione pongono un divieto di edificabilità assoluta ed
inderogabile nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale per una distanza di mt. 60 fuori dai centri
abitati e mt. 30 all’interno dei centri abitati oppure nelle
aree edificabili fuori (art. 16 seg. D.Lgs. 285/1992 e art.
26 seg. DPR 495/1992).
Tale distanza minima è volta ad assicurare il prioritario
interesse pubblico alla sicurezza del traffico e
all'incolumità delle persone oltre ad assicurare
l'esecuzione di lavori di manutenzione, la realizzazione di
opere accessorie e di ampliamento della sede stradale che
sarebbero impediti dalla presenza di edificazioni e/o
manufatti prossimi alla sede stradale; per tali motivi la
normativa in materia impone delle distanze minime non
derogabili tra le costruzioni e le strade, cd. fasce di
rispetto, che devono rimanere inedificate a prescindere
dall’effettivo pericolo ai beni giuridici protetti nello
specifico caso in esame (vedi, tra tante, Cons, Stato, sez,
IV, n. 22076/2010 e 4719/2008 ove si rappresentano gli
inconvenienti degli insediamenti edilizi spontaneamente
sorti a ridosso delle sedi stradali con danno sia
dell’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione ed
alla agibilità dell’area adiacente, ma anche i costi a
carico del pubblico erario per l’installazione di barriere
acustiche, antisfondamento, mezzi di mitigazione visiva ed
ambientale, etc.).
Si tratta di limiti che si applicano sia alle nuove
costruzioni, sia alle ricostruzioni a seguito di
demolizione, sia agli ampliamenti di edifici fronteggianti
le strade di tipo A (autostrade di qualunque tipo).
---------------
... per l'annullamento:
quanto al ricorso n. 4500 del 2017:
- della Determinazione Dirigenziale n. prot. 4637 del 28/02/2017 di
diniego della domanda di condono edilizio prot. n. 6417 del
15/04/2004 – pratica di sanatoria n. 138;
- della Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio del
25.07.2007 n. 556 di adozione del Piano Territoriale
Paesistico Regionale, nonché della Deliberazione sempre
della Giunta Regionale del Lazio del 21.12.2007 n. 1025 di
modificazione, integrazione e rettifica della delibera n.
556/2007;
quanto al ricorso n. 10821 del 2017:
- della Determinazione Dirigenziale n. prot. 15629 del 03/07/2017
di diniego della domanda di condono edilizio prot. n. 6417
del 15/04/2004 – pratica di sanatoria n. 138;
- della Deliberazione della Giunta Regionale del Lazio del
25.07.2007 n. 556 di adozione del Piano Territoriale
Paesistico Regionale, nonché della Deliberazione sempre
della Giunta Regionale del Lazio del 21.12.2007 n. 1025 di
modificazione, integrazione e rettifica della delibera n.
556/2007.
...
Il Collegio ritiene di invertire l’ordine dei motivi di
ricorso, per comodità espositiva, iniziando l’esame da
quello che tende a contestare il vincolo già esistente
sull’area in questione al momento della commissione
dell’abuso.
Con il quarto motivo il ricorrente contesta che nel
provvedimento impugnato vengono richiamate anche norme non
più in vigore (legge n. 729 del 24/07/1961 e DM n. 1404 del
01/04/1968), che non sono specificate le norme del vigente
Codice della Strada (D.Lgs. 285/1992 s.m.i.) e relativo
Regolamento di esecuzione (DPR 495/1992) applicate, che non
si tiene conto della richiesta inoltrata all’ANAS dal
ricorrente né del fatto che sulla fascia di rispetto vi sono
già altre costruzioni.
Il rilievo è pretestuoso in quanto il contestato richiamo
non ha alcuna influenza nell’iter logico-giuridico seguito
dall’Amministrazione, che non ha fatto erronea applicazione
di norme abrogate, ma di norme vigenti del Codice della
Strada e del Regolamento di attuazione –agevolmente
individuabili e non fraintese nel loro contenuto
dispositivo- che pongono un divieto di edificabilità
assoluta ed inderogabile nell’ambito della fascia di
rispetto autostradale per una distanza di mt. 60 fuori dai
centri abitati e mt. 30 all’interno dei centri abitati
oppure nelle aree edificabili fuori (art. 16 seg. D.Lgs.
285/1992 e art. 26 seg. DPR 495/1992).
Come chiarito dall’ormai consolidato orientamento
giurisprudenziale, tale distanza minima è volta ad
assicurare il prioritario interesse pubblico alla sicurezza
del traffico e all'incolumità delle persone oltre ad
assicurare l'esecuzione di lavori di manutenzione, la
realizzazione di opere accessorie e di ampliamento della
sede stradale che sarebbero impediti dalla presenza di
edificazioni e/o manufatti prossimi alla sede stradale; per
tali motivi la normativa in materia impone delle distanze
minime non derogabili tra le costruzioni e le strade, cd.
fasce di rispetto, che devono rimanere inedificate a
prescindere dall’effettivo pericolo ai beni giuridici
protetti nello specifico caso in esame (vedi, tra tante,
Cons, Stato, sez, IV, n. 22076/2010 e 4719/2008 ove si
rappresentano gli inconvenienti degli insediamenti edilizi
spontaneamente sorti a ridosso delle sedi stradali con danno
sia dell’interesse pubblico alla sicurezza della
circolazione ed alla agibilità dell’area adiacente, ma anche
i costi a carico del pubblico erario per l’installazione di
barriere acustiche, antisfondamento, mezzi di mitigazione
visiva ed ambientale, etc.).
Si tratta di limiti che si applicano sia alle nuove
costruzioni, sia alle ricostruzioni a seguito di
demolizione, sia agli ampliamenti di edifici fronteggianti
le strade di tipo A (autostrade di qualunque tipo).
È pacifico che l’immobile in contestazione, realizzato
previa demolizione del preesistente pollaio e ricostruzione
dislocata ed ampliata, si trova all’interno della predetta
fascia di rispetto (risultante dai certificati di
destinazione urbanistica del 1998 e del 2002).
Ne consegue che il diniego di sanatoria sancito con il
provvedimento impugnato risulta immune dai vizi dedotti e
che il motivo ostativo in parola precluda definitivamente la
possibilità di condonare l’abuso, dato che il vincolo in
parola, apposto prima della realizzazione dell’abuso non ne
consente la sanatoria, ai sensi dell’art. 33 della legge n.
47/1985 (l’art. 32 limita la possibilità di sanatoria solo
al caso di vincolo successivo ed a condizione che le opere
stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del
traffico), richiamato dalla legge n. 326/2003 (vedi, da
ultimo, Cons. St., sez. VI, n. 6614/2019; sez. IV n.
1225/2017).
Non giova al ricorrente invocare circostanze successive,
quali l’aver presentato all’Ufficio Tecnico delle Autostrade
per l’Italia-Direzione V tronco, una richiesta di nulla osta
in deroga in data 26.09.2017, in corso di esame, dato che
tale fatto non vale ad inficiare il provvedimento impugnato,
la cui legittimità va valutata alla stregua delle
circostanze di fatto e di diritto esistenti al momento della
sua adozione.
Né il vulnus dell’abuso commesso viene eliminato
dalla realizzazione di altre costruzioni nella medesima area
che, ove edificate abusivamente all’interno della fascia di
rispetto stradale, già esistente prima della sua
realizzazione, in violazione di un vincolo di
inedificabilità totale e assoluto, più che giustificare la
tolleranza dell’abuso commesso del ricorrente potrebbero
semmai giustificare l’adozione di ulteriori misure di
ripristino e sanzionatorie da parte dell’Amministrazione.
In conclusione, anche ritenendo superato il vincolo sismico
(anch’esso esistente al momento della realizzazione
dell’abuso (come riportato nei certificati di destinazione
urbanistica del 1998 e del 2002) -per il quale il ricorrente
ha ottenuto il certificato di idoneità sismica in data
12/11/2007– l’istanza di sanatoria resta comunque
inaccoglibile per violazione delle distanze a protezione
della sede autostradale (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 07.04.2020 n. 3809 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
fascia di rispetto stradale si applica sia alle nuove costruzioni sia
alle ricostruzioni conseguenti ad integrali demolizioni.
Se è pur vero che la demolizione e successiva ricostruzione
può costituire ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 del DPR
380/2001, in assenza di incremento di volumetria, è anche vero che essa
rientra però nel campo di applicazione dell’art. 26, comma 2, del DPR
495/1992 il quale assoggetta al rispetto della distanza di 20 metri dal
confine con le strade di tipo F, non soltanto gli interventi di “nuova
costruzione”, ma anche quelli di “ricostruzione conseguente a
integrale demolizione”.
La ratio di tale previsione è quella di rimuovere nel tempo, a far
data dall’entrata in vigore del regolamento di esecuzione del codice della
strada, le situazioni di pericolo preesistenti all’introduzione delle fasce
di rispetto stradale di cui all’art. 16 del codice della strada, ed anche
quella, più in generale, di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza
di costruzioni; con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi
in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata; il che spiega perché la fascia di rispetto stradale si applichi sia
alle nuove costruzioni sia anche alle ricostruzioni conseguenti ad integrali
demolizioni.
---------------
2. Con il secondo motivo, la parte ricorrente ha lamentato la
violazione e l’errata applicazione degli artt. 3 e 36 del D.P.R. n.
380/2001, dell’art. 27 della L.R. Lombardia n. 12/2005, dell’art. 26 del
D.P.R. n. 496/1992, nonché vizi di eccesso di potere per travisamento dei
presupposti di fatto e di diritto, manifesta ingiustizia e irragionevolezza;
in particolare:
- secondo la parte ricorrente, l’amministrazione avrebbe
erroneamente applicato l’art. 26, comma 2, del regolamento di esecuzione del
codice della strada qualificando l’intervento come di “nuova costruzione”,
mentre invece si sarebbe trattato di “ristrutturazione edilizia” con
demolizione solo “parziale” del precedente manufatto e successiva
ricostruzione;
- nel caso di specie la fedele ricostruzione ci sarebbe stata
sicuramente per gli interventi eseguiti sul fronte nord–ovest dell’edificio,
posto che le murature, crollando solo parzialmente, sarebbero state in parte
ricostruite fedelmente e in parte inglobate nelle nuove pareti, rispettando
le previsioni di progetto e lo stato di fatto originario;
- anche sul fronte nord-est prospiciente la strada provinciale, il
muro crollato sarebbe stato ricostruito fedelmente sulla stessa linea del
fabbricato preesistente.
Anche tale censura, osserva il collegio, non può essere condivisa.
2.1. Gli atti di causa evidenziano chiaramente che l’intervento edilizio
eseguito dalla parte ricorrente è consistito nella demolizione integrale
dell’edificio preesistente e nella ricostruzione dello stesso ad una
distanza inferiore (metri 8,42 rispetto ai 9,03 precedenti) dal confine di
proprietà provinciale; ciò si evince dalla stessa relazione del direttore
dei lavori in data 05.06.2012, in risposta al preavviso di diniego
dell’amministrazione (doc. 11 fascicolo Provincia), nella quale si afferma
che le murature preesistenti sul fronte nord-est erano crollate per intero,
mentre quelle sul fronte nord-ovest “hanno inizialmente tenuto, sono
state successivamente parzialmente demolite fino alla loro messa in
sicurezza e successivamente parzialmente annegate nel getto delle murature
perimetrali al piano interrato e integrate al paino terra dalle murature di
nuova costruzione a rispetto degli allineamenti da concessione da mantenere”.
2.2. Il crollo asseritamente “accidentale” dei muri avrebbe potuto
mantenere l’intervento nei limiti della demolizione “parziale” se la
parte ricorrente avesse sospeso i lavori, fatto accertare
dall’amministrazione lo stato dei luoghi e concordato con la stessa gli
interventi successivi, richiedendo le necessarie autorizzazioni; nei termini
in cui si è svolta, invece, parte ricorrente ha conseguito un risultato
analogo all’obiettivo originario di demolire per intero l’edificio
preesistente e costruirne uno nuovo (va ricordato che l’istanza originaria,
respinta dall’amministrazione, contemplava appunto la demolizione integrale
dell’edificio preesistente).
2.3. Correttamente l’amministrazione ha qualificato l’intervento come
ricostruzione conseguente a demolizione integrale del manufatto
preesistente. E se pure è vero che tale intervento può costituire
ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3 del DPR 380/2001, in assenza
di incremento di volumetria (non contestata dall’amministrazione), è anche
vero che esso rientra però nel campo di applicazione dell’art. 26, comma 2,
del DPR 495/1992 il quale assoggetta al rispetto della distanza di 20 metri
dal confine con le strade di tipo F, non soltanto gli interventi di “nuova
costruzione”, ma anche quelli di “ricostruzione conseguente a
integrale demolizione”.
2.4. La ratio di tale previsione è quella di rimuovere nel tempo, a
far data dall’entrata in vigore del regolamento di esecuzione del codice
della strada, le situazioni di pericolo preesistenti all’introduzione delle
fasce di rispetto stradale di cui all’art. 16 del codice della strada (TAR
Ancona, sez. I, n. 361/2011), ed anche quella, più in generale, di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente
proprietario della strada per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei
cantieri, per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni; con il
risultato che il vincolo in questione, traducendosi in un divieto assoluto
di costruire, vale indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata (Cass. Civ., Sez. I, 11.04.2019 n. 10223); il che spiega perché
la fascia di rispetto stradale si applichi sia alle nuove costruzioni sia
anche alle ricostruzioni conseguenti ad integrali demolizioni
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 06.03.2020 n. 201 - link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
quesito che intendo sottoporre riguarda un ampliamento di volume in
sopraelevazione, di un edificio unifamiliare posto all'interno della fascia
di rispetto stradale, di cui al D.Lgs. 30.04.1992, n. 285.
Tale ampliamento, già realizzato, rispetta il 2% previsto dall'art. 34,
D.P.R. 06.06.2001, n. 380 e pertanto è ammesso anche se è in zona di vincolo
paesaggistico, come riportato dal D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31.
Dato che il Codice della Strada non contempla tolleranze, come invece
previsto dalle norme su citate, si chiede se il 2% in ampliamento, che non è
considerato ai fini edilizi come parziale difformità, può essere applicato,
per analogia, anche all'art. 16 del C.d.S. vigente.
L'avanzato quesito riguarda un'interessante fattispecie, coinvolgente
problematiche di natura edilizia e di disciplina delle distanze.
Precisamente, la concreta fattispecie può essere così sintetizzata:
- In un edificio unifamiliare, posto all'interno del vincolo della
fascia di rispetto stradale, come disciplinata dal Codice della strada (D.Lgs.
30.04.1992, n. 285), è stato realizzato un intervento edilizio, comportante
un ampliamento di volume, che si sviluppa in una sopraelevazione.
Siffatto ampliamento rispetta le cd. "tolleranze di cantiere",
disciplinate dall'art. 34, comma 2-ter, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Conseguentemente, l'intervento, in quanto rientrante nelle predette "tolleranze",
non dà luogo ad alcuna difformità, neppure parziale, rispetto al titolo
edilizio che ha legittimato il medesimo intervento.
A questo punto, si chiede di sapere se il consentito ("tollerato")
ampliamento dei "distacchi", cioè della distanza fra due edifici
fronteggianti, trova una legittimazione anche sul versante della fascia di
rispetto stradale. In altri termini, si chiede di sapere se la prevista "tolleranza"
della costruzione edilizia, in termini di "distacchi", pari al 2%
delle misure progettuali, trova applicazione anche nei riguardi dei limiti
afferenti la fascia di rispetto stradale.
Primariamente, occorre ricordare che il richiamato art. 34, comma 2-ter,
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, stabilisce quanto segue: "Ai fini
dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del
titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura
o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per
cento delle misure progettuali".
Siffatta disposizione normativa è stata aggiunta dall'art. 5, comma 2,
lettera "a", n. 5, D.L. 13.05.2011, n. 70, convertito in L. 12.07.2011, n.
106. La disposizione (ricalcante la pregressa ed analoga prevista dall'art.
32, comma 1, L. 28.02.1985, n. 47) è destinata ad operare, unicamente, nei
rapporti con la Pubblica amministrazione, non potendo legittimare alcuna
lesione dei diritti dei terzi, specie in materia di distanze tra
costruzioni. In altri termini, anche se un ampliamento del 2% del fronte di
un fabbricato potrà non costituire un abuso edilizio, il vicino potrà sempre
chiedere al giudice ordinario l'arretramento del corpo di fabbrica, per
ripristinare le distanze eventualmente violate.
In buona sostanza, la disposizione normativa prende in considerazione
quattro elementi di possibile tolleranza da valutare in confronto alle
misure progettuali. Gli elementi sono:
- Distacchi: la distanza tra due edifici fronteggianti;
- Cubatura: la volumetria espressa in metri cubi;
- Superficie coperta: la proiezione orizzontale al suolo della
sagoma esterna del manufatto;
- Altezza degli edifici.
Orbene, occorre osservare che la "fascia di rispetto", ai sensi
dell’art. 3, comma 1, n. 22 del Codice della strada, costituisce una
striscia di terreno, esterna al confine stradale, sulla quale esistono
vincoli alla realizzazione, da parte dei proprietari del terreno, di
costruzioni, recinzioni, piantagioni, depositi e simili.
Le fasce di rispetto stradali, normate dal Codice della Strada e dal suo
Regolamento attuativo (D.P.R. 16.12.1992, n. 495), hanno lo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali emergenti dal suolo e la loro
potenziale pericolosità a costituire, per la prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla incolumità delle persone.
Attraverso la fascia di rispetto, si garantisce un'area utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri,
per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limitazioni connesse alla presenza di costruzioni. Di regola, le fasce
di rispetto vengono istituite con l'approvazione del Progetto definitivo
dell'opera stradale e permangono per tutta la vita utile della strada
medesima.
All'interno delle fasce di rispetto, vige il vincolo di inedificabilità. Ed,
infatti, la giurisprudenza conferma che: "In materia edilizia il vincolo
delle fasce di rispetto stradale o viario è di inedificabilità assoluta,
traducendosi in un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le
aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale, indipendentemente
dalle caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la circolazione stradale;
detto divieto, inoltre, opera direttamente ed automaticamente, per cui una
volta attestata in concreto la violazione del vincolo di inedificabilità, il
parere dell'amministrazione sull'istanza di condono non può che essere
negativo” (TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584).
Dal vincolo di in edificabilità discende il conseguente corollario che non
sono previste, dalla normativa in materia, "tolleranze" o forme equivalenti.
Infatti, l'art. 16, del Codice della strada, in tema di fasce di rispetto
fuori dai centri abitati, non contempla alcuna tolleranza. Il comma 1° di
tale articolo rinvia, per la concreta tipologia dei divieti, al Regolamento
di esecuzione e di attuazione del Codice della strada (D.P.R. 16.12.1992, n.
495). Il Regolamento non prevede, agli articoli 26 e seguenti, alcuna forma
di tolleranza. Parimenti, l'art. 18 del Codice della strada, in tema di
fasce di rispetto nei centri abitati.
Pertanto, non appare possibile alcuna applicazione analogica della peculiare
disciplina delle cd. "tolleranze di cantiere". Ciò, anche per
un'altra ragione: l'indicata disciplina consacra l'irrilevanza degli
scostamenti, entro il limite del 2%, nella discrasia fra la precisione
teorica degli elaborati tecnici e la concreta esecuzione degli interventi
(Il comma 2-ter dell'art. 34, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, infatti, consente
di escludere dall'ambito delle difformità rilevanti ai fini sanzionatori
quelle che si verificano a causa di un fisiologico scarto tra la precisione
del disegno e la realizzazione, o dalla consistenza dei materiali, o dalla
necessità di modesti adeguamenti in sede esecutiva e, pertanto, non possono
che rilevare le misure effettive delle opere realizzate. Peraltro è la
stessa norma che espressamente correla la soglia del 2% alle "misure
progettuali"; TAR Veneto Venezia Sez. II, 20.09.2019, n. 1013).
In relazione alla fascia di rispetto stradale, non si pone alcun problema di
"scostamenti" fra quanto previsto e quanto effettivamente realizzato. Ragion
per cui l'analogia non può trovare spazio alcuno.
---------------
Riferimenti normativi e contrattuali
L. 28.02.1985, n. 47, art. 32 -
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 3 - D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 16 -
D.Lgs. 30.04.1992, n. 285, art. 18 - D.P.R. 16.12.1992, n. 495, art. 18 -
D.P.R. 06.06.2001, n. 380, art. 34 - D.P.R. 13.02.2017, n. 31
Riferimenti di giurisprudenza
TAR Campania Napoli Sez. II, 26.09.2019, n. 4584 - TAR Veneto, Sez. II,
20.09.2019, n. 1013
(20.02.2020 - tratto da www.risponde.leggiditalia.it/#doc_week=true). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
la consolidata giurisprudenza, il vincolo imposto sulle aree
site nella fascia di rispetto stradale o autostradale è di
inedificabilità assoluta traducendosi in un divieto assoluto
di costruire che rende inedificabili le aree site nella
fascia di rispetto, indipendentemente dalle caratteristiche
dell’opera realizzata e dalla necessità di accertamento in
concreto dei connessi rischi per la circolazione stradale.
Il vincolo derivante dalla fascia di rispetto si traduce in
un divieto di edificazione che rende le aree medesime
legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di
inedificabilità che è sancito nell’interesse pubblico da
apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del 1942 aggiunto
dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9 L. n. 729 del
1961- e dai relativi regolamenti di attuazione -D.M.
01.04.1968.
Il divieto di edificazione sancito dall’art. 4, D.M.
01.04.1968 non può essere inteso restrittivamente, cioè al
solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede
stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla
incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia
esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile
per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio,
per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza
di costruzioni.
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del
vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n.
1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33,
comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della
non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo
per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo
quindi, in caso di opere abusive realizzate prima
dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi
dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la
possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere
previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento
alla sicurezza del traffico.
---------------
L’appello è infondato.
L’art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47, applicabile anche
alle domande di condono presentate ai sensi della legge n.
724 del 1994, in forza del richiamo operato dall’art. 39 di
detta legge, subordina il rilascio del titolo abilitativo
edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili
sottoposti a vincolo al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, “salve
le fattispecie previste dall’articolo 33”.
In base al comma 2 del medesimo art. 32 “Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni sottoindicate, le
opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e
che risultino:
a) in difformità dalla legge 02.02.1974, n. 64, e successive
modificazioni, e dal D.P.R. 06.06.2001, n. 380, quando
possano essere collaudate secondo il disposto del quarto
comma dell’articolo 35;
b) in contrasto con le norme urbanistiche che prevedono la
destinazione ad edifici pubblici od a spazi pubblici, purché
non in contrasto con le previsioni delle varianti di
recupero di cui al capo III;
c) in contrasto con le norme del decreto ministeriale 01.04.1968,
n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del
13.04.1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge
13.06.1991, n. 190, e successive modificazioni, sempre che
le opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza
del traffico.
3. Qualora non si verifichino le condizioni di cui al comma
2, si applicano le disposizioni dell’art. 33”.
Ai sensi dell’art. 33 della legge 28.02.1985, n. 47, non
sono suscettibili di sanatoria le opere in contrasto con i
seguenti vincoli “qualora questi comportino
inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione
delle opere stesse:
a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli
strumenti urbanistici a tutela di interessi storici,
artistici, architettonici, archeologici, paesistici,
ambientali, idrogeologici;
b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle
coste marine, lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e
della sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
Nel caso di specie, l’area in cui sono poste le opere è
soggetta a vincolo di inedificabilità per la fascia di
rispetto autostradale, ai sensi del D.M. 01.04.1968, n.
1404.
L’art. 4 di tale decreto ministeriale indica le distanze da
osservarsi nella edificazione a partire dal ciglio della
strada e da misurarsi in proiezione orizzontale, tra cui per
la strade di tipo A la distanza di metri 60,00.
In base all’art. 3 sono strade di tipo A: le autostrade di
qualunque tipo; i raccordi autostradali riconosciuti quali
autostrade ed aste di accesso fra le autostrade e la rete
viaria della zona.
Tale vincolo della fascia di rispetto stradale è stato
quindi posto dal detto decreto ministeriale anche prima
della realizzazione dell’opera, che nella domanda di condono
e anche negli scritti difensivi è indicata nell’anno 1985.
Ne deriva che il vincolo in questione, in quanto posto prima
della realizzazione delle opere, è un vincolo di
inedificabilità assoluta, disciplinato dall’art. 33 della
legge n. 47 del 1985, che impedisce il rilascio del condono,
indipendentemente dalla richiesta di parere all’autorità
preposta alla tutela del vincolo.
Per la consolidata giurisprudenza, infatti, il vincolo
imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o
autostradale è di inedificabilità assoluta traducendosi in
un divieto assoluto di costruire che rende inedificabili le
aree site nella fascia di rispetto, indipendentemente dalle
caratteristiche dell’opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale. Il vincolo derivante dalla fascia di
rispetto si traduce in un divieto di edificazione che rende
le aree medesime legalmente inedificabili, trattandosi di
vincolo di inedificabilità che è sancito nell’interesse
pubblico da apposite leggi -art. 41-septies L. n. 1150 del
1942 aggiunto dall’art. 19 della L. n. 765 del 1967; art. 9
L. n. 729 del 1961- e dai relativi regolamenti di attuazione
-D.M. 01.04.1968 (Cons. Stato, Sez. IV, 13.06.2017, n.
2878).
Il divieto di edificazione sancito dall’art. 4, D.M.
01.04.1968 non può essere inteso restrittivamente, cioè al
solo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede
stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla
incolumità delle persone, ma è correlato alla più ampia
esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile
per finalità di interesse generale, e, cioè, per esempio,
per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza
di costruzioni (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 14.04.2010, n.
2076; id., 27.01.2015, n. 347).
Pertanto, in caso di opera realizzata dopo l’imposizione del
vincolo di assoluta inedificabilità previsto dal D.M. n.
1404 del 1968 si ricade nell’ipotesi di cui all’art. 33,
comma 1, della L. n. 47 del 1985, con la conseguenza della
non sanabilità dell’opera abusiva, trattandosi di vincolo
per sua natura incompatibile con ogni manufatto. Solo
quindi, in caso di opere abusive realizzate prima
dell’imposizione del vincolo, si può applicare l’ipotesi
dell’art. 32, dovendosi ammettere solo in tal caso la
possibilità di sanatoria, previa acquisizione del parere
previsto dall’art. 32, comma 4, lettera c), con riferimento
alla sicurezza del traffico (Cons. Stato, Sez. VI,
02.09.2019, n. 6035).
Da tale quadro normativo e giurisprudenziale deriva la
infondatezza del primo motivo di appello con cui si
deduce che sarebbe dovuto intervenire il parere dell’ANAS,
quale autorità preposta alla tutela del vincolo, non essendo
stato invece dedotto alcun elemento in fatto relativo alla
preesistenza dell’opera al vincolo della fascia di rispetto
stradale, risultando anzi l’opera realizzata nel 1985 in
base a quanto dichiarato nella domanda di condono e negli
scritti difensivi (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 12.02.2020 n. 1100 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo imposto sulle aree site nella fascia di rispetto stradale o
autostradale si traduce in un divieto di edificazione che rende le aree
medesime legalmente inedificabili, trattandosi di vincolo di inedificabilità
che, pur non derivando dalla programmazione e pianificazione urbanistica, è
pur sempre sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi (art. 41-septies, l. n. 1150 del 1942, aggiunto dall’art. 19, l. n. 765 del 1967;
art. 9, l. n. 729 del 1961) e dai relativi provvedimenti di attuazione (d.m.
01.04.1968).
Ciò premesso, posto che l’immobile è stato costruito successivamente al 01.01.1968 [data di entrata in vigore del decreto ministeriale (Ministero
dei lavori pubblici) n. 1404 del 1968], sussiste un divieto assoluto di
edificare in aree site in fascia di rispetto stradale (vincolo assoluto di inedificabilità),
ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 729/1961 e del
citato decreto ministeriale n. 1404 del 1968, sicché va
applicato l’articolo 33, comma 1, lett. d), della legge n. 47 del 1985, che statuisce
l’impossibilità di sanatoria in presenza di vincoli di inedificabilità.
Come chiarito dalla giurisprudenza, il vincolo di inedificabilità assoluta
rende non fabbricabili le aree site nella fascia di rispetto stradale
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera abusivamente realizzata e
dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale, essendo correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse
generale, con la conseguenza che opera direttamente e automaticamente,
sicché, accertata la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere
dell’amministrazione sull’istanza di sanatoria non può essere che negativo.
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1. In data 25.01.1995, l’odierna appellante ha presentato al Comune di Alberobello domanda di concessione in sanatoria, ai sensi degli articoli 39
della legge n. 724 del 1994 e 31 e seguenti della legge n. 47 del 1985, per
un locale ad uso ristoro in zona agricola nelle vicinanze della Strada
provinciale 113 Monopoli-Alberobello.
Con note prot. numeri 7807 del 30.08.1996 e 9847 del 02.10.1996,
l’allora Provincia di Bari (oggi Città metropolitana di Bari) ha emesso
pareri negativi, stante la sussistenza di un vincolo di inedificabilità
introdotto, a protezione del nastro stradale, dal D.M. n. 1404 del 01.04.1968, prima dell’ultimazione dell’edificio da sanare.
2. Avverso tali pareri, l’interessata ha proposto il ricorso di primo grado
n. 3248 del 1996, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la
Puglia, sede di Bari.
L’allora Provincia Bari si è costituita nel giudizio di primo grado, mentre
il Comune di Alberobello non si è costituito.
3. Con l’impugnata sentenza n. 2328 del 14.10.2008, il Tar per la
Puglia, sede di Bari, sezione terza, ha respinto il ricorso e ha condannato
la ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione provinciale,
delle spese di lite, liquidate in euro 2.000.
...
7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti
considerazioni in fatto e in diritto.
8. È dirimente –e assorbente ogni altra considerazione– il fatto che
l’immobile è sito in zona agricola. Non è provato quanto affermato
dall’appellante circa l’ubicazione dell’immobile in zona esterna all’abitato
e tipizzata dal piano regolatore generale come ambito di particolare pregio
ambientale. È pertanto infondato il tentativo dell’appellante di sostenere
che la disciplina urbanistica dell’area su cui sorge il manufatto potesse
qualificarsi come “edificabile” ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del d.P.R. n. 495 del 1992.
Non può peraltro sottacersi che “Il vincolo imposto sulle aree site nella
fascia di rispetto stradale o autostradale si traduce in un divieto di
edificazione che rende le aree medesime legalmente inedificabili,
trattandosi di vincolo di inedificabilità che, pur non derivando dalla
programmazione e pianificazione urbanistica, è pur sempre sancito
nell'interesse pubblico da apposite leggi (art. 41-septies, l. n. 1150 del
1942, aggiunto dall'art. 19, l. n. 765 del 1967; art. 9, l. n. 729 del 1961)
e dai relativi provvedimenti di attuazione (d.m. 01.04.1968)” (Consiglio
di Stato, Adunanza plenaria, decisione 16.11.2005, n. 9).
Ciò premesso, posto che l’immobile è stato costruito successivamente al 01.01.1968 [data di entrata in vigore del decreto ministeriale (Ministero
dei lavori pubblici) n. 1404 del 1968], sussiste un divieto assoluto di
edificare in aree site in fascia di rispetto stradale (vincolo assoluto di inedificabilità), ai sensi dell’articolo 9 della legge n. 729/1961 e del
citato decreto ministeriale n. 1404 del 1968, sicché va applicato l’articolo
33, comma 1, lettera d), della legge n. 47 del 1985, che statuisce
l’impossibilità di sanatoria in presenza di vincoli di inedificabilità.
8.1. Del tutto legittimamente il Tar non si è pronunciato sulle ulteriori
censure mosse dalla parte privata, in quanto assorbite dalla acclarata
presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta del terreno su cui è
stato edificato il manufatto.
In ogni caso, in ordine alla censura di non necessaria acquisizione del
parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Provincia di Bari),
si evidenzia che ai sensi degli articoli 32, comma 1, della legge n. 47 del
1985 e 39 della legge n. 724 del 1994, il parere era certamente necessario (cfr.
Consiglio di Stato, sezione VI, sentenze 22.01.2019, n. 540, e 28.09.2012, n. 5125).
Con riferimento all’asserita esigenza di vagliare l’effettiva pericolosità
dell’opera per il traffico stradale, si osserva che, come chiarito dalla
giurisprudenza, il vincolo di inedificabilità assoluta rende non
fabbricabili le aree site nella fascia di rispetto stradale
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera abusivamente realizzata e
dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale, essendo correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità di interesse
generale, con la conseguenza che opera direttamente e automaticamente,
sicché, accertata la violazione del vincolo di inedificabilità, il parere
dell’amministrazione sull’istanza di sanatoria non può essere che negativo (cfr.
Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 8 giugno 2011, n. 3498, 14.04.2010, n. 2076, e 15.04.2013, n. 2062; Cass. civ., sezione III, sentenza
21.02.2013, n. 4346).
Parimenti infondata è la deduzione per cui le distanze dal ciglio stradale
sarebbero derogabili in caso di impianti di interesse pubblico, poiché il
vincolo di inedificabilità è, per sua natura, incompatibile con qualsiasi
tipologia di manufatto.
È altresì infondata la doglianza relativa all’incompetenza del dirigente ad
emanare i pareri impugnati siccome di competenza della Giunta provinciale,
in quanto detto vizio, attesa la già rilevata natura vincolata dei
provvedimenti adottati, rientra nel novero dei vizi non invalidanti di cui
all’articolo 21-octies, comma 2, prima parte, della legge n. 241 del 1990, e
non ridonda, pertanto, in un’annullabilità.
9. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della
sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. II,
sentenza 31.01.2020 n. 815 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Il
concessionario autostradale ha l’obbligo di segnalare la
realizzazione di un’opera all’interno della fascia di
rispetto dell’autostrada al Concedente.
Per quanto attiene alle attività di tutela delle strade e delle fasce di
rispetto la giurisprudenza ha costantemente
affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla
caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione
sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968
non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limiti connessi alla presenza di costruzioni".
Ne discende che “le distanze previste vanno osservate anche con riferimento
ad opere che non superino il livello della sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle
opere preesistenti”.
---------------
La società ricorrente gestisce un parco attrezzato ed una
pista di karting cross in virtù di una Convenzione stipulata con il Comune
di Cattolica nel 1989.
A seguito della realizzazione della terza corsia dell’autostrada A14, la
pista di karting risultava all’interno della fascia di rispetto e la società
presentava un progetto preliminare di ulteriore arretramento della sede
della pista che veniva respinto con i provvedimenti indicati in epigrafe.
Il primo motivo di ricorso riguarda la violazione dell’art. 10-bis L.
241/1990 poiché il Ministero resistente non ha notificato il preavviso di
diniego impedendo il formarsi del contraddittorio procedimentale.
Il secondo motivo contesta la violazione degli artt. 16 e 18 DPR 285/1992 e
26 e 27 DPR 495/1992 poiché le fasce di rispetto previste da tali norma non
si applicherebbero all’attività della società ricorrente in quanto la pista
di karting non costituisce un manufatto sopraelevato che può costituire
disturbo per la circolazione dei veicoli sull’autostrada.
Si costituivano in giudizio Autostrade per l’Italia ed il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti chiedendo il rigetto del ricorso, eccependo
la prima anche l’inammissibilità per carenza di interesse essendo venuto
meno il provvedimento edilizio che consentiva l’esercizio dell’attività.
Il ricorso è infondato e ciò consente di prescindere dall’esame
dell’eccezione preliminare.
In merito al primo motivo al di là delle differente prospettazione delle
parti circa l’iter procedimentale che ha preceduto gli atti impugnati, i
provvedimenti non potrebbero avere un contenuto diverso e pertanto
l’omissione procedimentale è irrilevante.
Il concessionario autostradale ha l’obbligo di segnalare la realizzazione di
un’opera all’interno della fascia di rispetto dell’autostrada al Concedente;
per quanto attiene alle attività di tutela delle strade e delle fasce di
rispetto la giurisprudenza, che il Collegio condivide, ha costantemente
affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalla
caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione
sancito dall’art. 9 della l. n. 729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968
non può essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e
alla incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri,
per il deposito di materiali, per la realizzazione di opere accessorie,
senza limiti connessi alla presenza di costruzioni" (Consiglio di Stato, IV,
27.01.2015, n. 347).
Ne discende che “le distanze previste vanno osservate anche con riferimento
ad opere che non superino il livello della sede stradale (Cass. civ., n.
6118/1995) o che costituiscano mere sopraelevazioni (Cass. civ., n.
193/1987) o che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle
opere preesistenti” (TAR Campania 1461/2011, Consiglio di Stato 2062/2013
e 2076/2010, TAR Lombardia 2353/2011 ) (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez.
I,
sentenza 17.06.2019 n. 536 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
principio pacifico che "In tema di condono edilizio il vincolo di
inedificabilità in zona di rispetto stradale è considerato un vincolo di
inedificabilità assoluta e, di conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia
stato compiuto dopo la sua imposizione, non si applica l'art. 32, comma 2,
lett. c), l. 28.02.1985 n. 47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33
con conseguente insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non
pericolosità della porzione di manufatto per la sicurezza del traffico".
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone di
rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere
assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità
relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla
cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a
carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata
dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile
con ogni manufatto".
---------------
Il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche
dell’opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione sancito dall’art.
9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal susseguente decreto interministeriale
n. 1404 del 01.04.1968, debbono ritenersi prevalenti sulla stessa norma
regionale.
Norma che, di fatto, relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve
ritenersi priva di contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del
pregiudizio o meno alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di
quanto affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa
i riflessi di natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina
regionale (anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli
stessi.
---------------
Il vincolo non ha soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza
di ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la
loro prossimità alla sede autostradale, pregiudizio alla
sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una
fascia di rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni.
Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva,
anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si
presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di
potere prevedere tutte le future evenienze, specie in casi come quelli qui
in esame dove la distanza è risultata pari a ml. 13,75 e, pertanto,
notevolmente inferiore a quella minima prevista dalla normativa vigente
ratione temporis per la concessione del nulla osta, da non lasciare
spazio ad alcuna valutazione discrezionale all’amministrazione.
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Iil vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e prescinde
dalle caratteristiche dell’opera realizzata.
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L'Amministrazione competente alla tutela del vincolo in
argomento è chiamata ad esercitare valutazioni proprie della
discrezionalità tecnica, caratterizzata dal perseguimento di
un unico interesse, e non può legittimamente svolgere quell'attività
di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato
alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con
interessi di altra natura e spettanza che è propria della
discrezionalità amministrativa.
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3.1. Le superiori censure sono infondate.
3.2. Deve infatti evidenziarsi che la ricorrente omette di considerare che
nel 1977 ha demolito e ricostruito l’immobile in assenza di titolo
autorizzativo, tant’è che l’Anas elevò il verbale di contestazione n. 39 del
24/06/1980; sicché l’epoca di realizzazione (abusiva) del fabbricato oggi
esistente deve farsi risalire al 1977, e dunque in epoca successiva
all’apposizione del vincolo autostradale. E’ infatti consolidato
orientamento giurisprudenziale che lo jus edificandi del lotto,
divenuto libero a seguito di demolizione e/o crolli, segua le norme
urbanistiche vigenti alla data di realizzazione, nel rispetto del regime
vincolistico vigente alla data di ricostruzione.
3.3. Alla stregua di quanto precede, appare irrilevante il richiamo alla
pronuncia di merito citata dalla ricorrente, essendo principio pacifico che
"In tema di condono edilizio il vincolo di inedificabilità in zona di
rispetto stradale è considerato un vincolo di inedificabilità assoluta e, di
conseguenza, allorché l'abuso edilizio sia stato compiuto dopo la sua
imposizione, non si applica l'art. 32, comma 2, lett. c), l. 28.02.1985 n.
47 ma, in base al comma 3, il successivo art. 33 con conseguente
insanabilità dell'abuso, a nulla rilevando la non pericolosità della
porzione di manufatto per la sicurezza del traffico" (TAR Lazio-Latina -
Sez. I - 17.11.2011, n. 923).
Ed ancora è stato affermato che "Il vincolo d'inedificabilità sulle zone
di rispetto stradale, imposto dall'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47 ha carattere
assoluto e pertanto -a differenza del vincolo di cui all'art. 32, d'inedificabilità
relativa, che può essere rimosso a discrezione dell'autorità preposta alla
cura dell'interesse tutelato- contiene un divieto di edificazione a
carattere assoluto, che comporta la non sanabilità dell'opera realizzata
dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua natura incompatibile
con ogni manufatto" (Consiglio Stato - Sez. IV - 05.07.2000, n. 3731).
3.4. Sotto altro profilo va ancora osservato che il provvedimento di diniego
impugnato esordisce premettendo che l’art. l'art. 23, comma 8, della L.R. n.
37/1985 ammette la possibilità di conseguire la concessione o
l'autorizzazione in sanatoria per le costruzioni ricadenti nelle fasce di
rispetto stradali definite dal D.M. 01.04.1968 sempre che a giudizio degli
enti preposti alla tutela della viabilità le costruzioni stesse non
costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico.
L’Anas precisa poi, nel provvedimento, che tuttavia tale norma regionale non
si applica alle costruzioni ricadenti nella fascia di rispetto Autostradale
definita dall'art. 9 della Legge n. 729/1961 (poi abrogato) e ritiene
comunque inderogabili le distanze minime imposte dal D.M. 1404/1968 e dalla
circolare Anas n. 109707/2010 applicativa delle disposizioni dettate dal
Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti in applicazione degli artt.
26 e 28 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada,
atteso che la giurisprudenza è stata sempre conforme nel ritenere il
carattere assoluto del vincolo introdotto a tutela della fascia di rispetto
autostradale, anche a prescindere dalle concrete caratteristiche dell’opera
realizzata.
Orbene nel rilevare che la doglianza della ricorrente non sembra del tutto
centrata sulla motivazione in effetti adottata dall’Amministrazione, non
ponendo alcuna questione in ordine alla norma regionale citata nel
provvedimento, appare opportuno al Collegio precisare quanto segue.
Il Collegio richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr.,
ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 28.02.2018, n. 1250 e, ivi, richiami;
id., 03.11.2015, n. 5014), secondo cui il vincolo d’inedificabilità gravante
sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere “assoluto” e
prescinde dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della l. n. 729 del 24.07.1961 e dal
susseguente decreto interministeriale n. 1404 del 01.04.1968, debbono
ritenersi prevalenti sulla stessa norma regionale; norma che, di fatto,
relativamente alla fascia di rispetto delle strade deve ritenersi priva di
contenuto precettivo, a nulla rilevando il profilo del pregiudizio o meno
alla sicurezza del traffico; e ciò anche alla stregua di quanto affermato
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232/2017, circa i riflessi di
natura penale connessi agli abusi edilizi ed alla disciplina regionale
(anche di rango primario) circa la possibile sanatoria degli stessi.
Nel caso di specie, a seguito di sopralluogo, l’Anas ha accertato che la
distanza è pari a ml. 13,75 e dunque inferiore a quella minima prevista
dalla normativa in esame per la concessione del nulla osta e, dunque, per la
sanabilità della costruzione.
Anche per detto profilo, pertanto, il provvedimento impugnato appare immune
da censure.
4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 32, L. 28.02.1985 n. 47 – eccesso
di potere e travisamento.
Afferma che in tema di sanatoria di abusi edilizi, in applicazione della
Legge n. 47 del 1985, la natura del vincolo riveniente da una fascia di
rispetto stradale differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano
state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo, dovendosi ammettere
solo nel primo caso la possibilità di sanatoria (previa acquisizione del
parere previsto dall’art. 32), che resta invece esclusa nella seconda
ipotesi, ai sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d).
E ciò in quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione
temporis– consente la sanatoria –tra le altre ipotesi– per le opere
abusive “in contrasto con le norme del D.M. 01.04.1968 … sempre che le
opere stesse non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico”
(lett. c), quando esse siano “… insistenti su aree vincolate dopo la loro
esecuzione …”, sicché soltanto in tale caso, attesa la natura “relativa”
del vincolo (ai fini della sanatoria), l’Amministrazione deve darsi carico
di verificare che le opere “… non costituiscano minaccia alla sicurezza
del traffico”, mentre per gli interventi realizzati dopo l’imposizione
del vincolo opera la preclusione assoluta di cui all’art. 33, comma 1 (cita
TAR Toscana, sez. III, 12.03.2013, n. 405, TAR Emilia Romagna, Parma, sez.
I, 26.01.2006, n. 22).
4.1. Le superiori censure sono infondate in quanto si fondano sull’assunto
–già sopra smentito- che l’immobile per cui è causa sia stato realizzato in
epoca anteriore all’imposizione del vincolo della fascia di rispetto
stradale e che le opere di totale demolizione e ricostruzione che hanno
interessato il fabbricato nel 1977 non incidano in alcun modo nella
disciplina del regime vincolistico dell’area sulla quale esso insiste.
Deve poi aggiungersi, quanto alla pretesa necessità di una valutazione della
pericolosità in concreto del fabbricato (ossia che non costituisca minaccia
alla sicurezza del traffico), che il provvedimento appare esente da censure
avendo l’Anas implicitamente motivato sul punto; infatti, richiamando
copiosa giurisprudenza in materia, ha affermato che il vincolo non ha
soltanto lo scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all’incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di
rispetto utilizzabile, all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione
dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di materiali, per
la realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni.
Viene quindi fatto riferimento ad un ampio concetto di esigenza manutentiva,
anch’essa attinente alla sicurezza e fluidità della circolazione, che non si
presta ad essere valutata caso per caso per l’impossibilità oggettiva di
potere prevedere tutte le future evenienze, specie in casi come quelli qui
in esame dove la distanza è risultata pari a ml. 13,75 e, pertanto,
notevolmente inferiore a quella minima prevista dalla normativa vigente
ratione temporis per la concessione del nulla osta, da non lasciare
spazio ad alcuna valutazione discrezionale all’amministrazione.
5. Con il terzo motivo di ricorso deduce il vizio di eccesso di
potere delle stesse disposizioni citate nei precedenti motivi di ricorso per
carenza dei presupposti, sviamento, illogicità e contraddittorietà,
iniquità, disparità di trattamento.
Afferma la ricorrente che per consolidato orientamento giurisprudenziale, la
fascia di rispetto stradale si traduce in un divieto di edificazione che
rende le aree medesime legalmente inedificabili, ma tuttavia detto divieto
di edificazione non preclude il recupero di edifici esistenti entro le fasce
in oggetto.
Sicché il provvedimento sarebbe illegittimo a cagione del fatto in cui le
opere di cui si chiede la sanatoria rappresentano un mero rifacimento del
progetto originario che nulla ha alterato, in termini di cubatura, sia in
altezza che in profondità, lasciando altresì quasi immutato il prospetto
originario.
5.1. La censura è infondata per le medesime considerazioni sopra rassegnate
in ordine all’epoca di realizzazione del fabbricato -demolito e poi
ricostruito in assenza di titolo autorizzatorio- essendo inderogabile il
rispetto delle distanze imposte dal regime vincolistico vigente alla data di
ricostruzione.
6. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione
e falsa applicazione del punto 4.3, circolare del Ministero dei Lavori
Pubblici 30.07.1985, n. 3357/25 – eccesso di potere, sviamento, iniquità.
Sostiene che in tale Circolare, il Ministero dei Lavori pubblici premette
che “sono sanabili le costruzioni realizzate nelle fasce di rispetto a
protezione del nastro stradale, a condizione che non costituiscano minaccia
alla sicurezza del traffico” ed al contempo vengono indicati i criteri
che i Comuni e gli Enti proprietari delle strade debbano seguire per
accertare se esista o meno tale minaccia.
La circolare prevedrebbe, in particolare, che quando l’abuso sia costituito
da un fabbricato di piccole dimensioni su strada senza intersezioni o
singolarità plano-volumetriche prossime, la concessione edilizia in
sanatoria sarà ammissibile ove il manufatto disti dalla strada almeno 5 m,
ovvero almeno metà della larghezza della strada, se superiore a 5 m.
Ne inferisce il ricorrente che nel caso di specie i requisiti anzidetti
sarebbero pienamente rispettati, sicché l’Anas non avrebbe potuto negare il
chiesto nulla osta in sanatoria.
6.1. La censura è infondata per le considerazioni sopra svolte, atteso che
il vincolo d’inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto autostradale
ha carattere “assoluto” e prescinde dalle caratteristiche dell’opera
realizzata.
7. Con il quinto motivo di ricorso deduce i vizi di violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 L. 241/1990 e dell’art. 97 Cost. – difetto di
istruttoria e motivazione - violazione dei principi di efficienza e buon
andamento, violazione del giusto procedimento.
Il provvedimento non sarebbe adeguatamente motivato e l’Anas non farebbe
alcun cenno della catena pressoché ininterrotta di costruzioni adibite a
civile abitazione che si snodano lungo tutto il litorale (da Isola delle
Femmine sin oltre Punta Raisi) e che hanno tutte la medesima distanza
(minima) dalla sopravvenuta A/29.
7.1. La censura è infondata per la considerazione che l'Amministrazione
competente alla tutela del vincolo in argomento è chiamata ad esercitare
valutazioni proprie della discrezionalità tecnica, caratterizzata dal
perseguimento di un unico interesse, e non può legittimamente svolgere
quell'attività di comparazione e di bilanciamento dell'interesse affidato
alla sua cura (la tutela della sicurezza stradale) con interessi di altra
natura e spettanza che è propria della discrezionalità amministrativa.
Peraltro la ricorrente non lamenta in concreto nemmeno una disparità di
trattamento, non avendo nemmeno postulato che in casi analoghi l’Anas abbia
rilasciato il nulla osta ad essa invece denegato.
Pertanto il Collegio non ravvisa i denunciati vizi di difetto di istruttoria
e di motivazione, in quanto il provvedimento è diffusamente motivato sia con
riferimento ai parametri normativi sui quali esso è fondato, sia in ordine
ai presupposti di fatto che asseverano l’espletamento di un adeguata
istruttoria.
8. Per tutti i surriferiti motivi il ricorso è infondato e va rigettato (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 17.05.2019 n. 1366 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - ESPROPRIAZIONE: L'inclusione
del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a
qualificarlo come non edificabile, ai fini della determinazione
dell'indennità di espropriazione, trattandosi di una limitazione legale
della proprietà, concretante il divieto assoluto di edificazione sancito
nell'interesse pubblico, avente carattere generale, in quanto concernente,
sotto il profilo soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati
beni che si trovino nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo,
beni immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro
posizione o localizzazione rispetto a un'opera pubblica stradale o
ferroviaria, non rilevando in senso contrario che il terreno sia collocato
all'interno di un piano di insediamento industriale (P.I.P.) o di un piano
di edilizia economica e popolare (P.E.E.P.).
Tali vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto della sede stradale o
autostradale, in conseguenza della destinazione di interesse pubblico, non
arrecano alla parte sottratta al privato alcun deprezzamento, del quale
debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile,
facendo difetto il nesso di causalità sia con l'ablazione e sia con
l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata.
La predetta disciplina non può essere derogata neppure da parte degli
strumenti generali di pianificazione del territorio, i quali, in quanto
provvedimenti amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle
norme di legge che impongono limitazioni legali di carattere assoluto.
Ne consegue che al giudice, in sede di valutazione dell'indennità di
occupazione, non è consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a
prendere atto del regime direttamente stabilito dal legislatore.
---------------
4.4. L'art. 16 del d.lgs. 30/04/1992 n. 285, recante il Codice della strada,
in tema di «Fasce di rispetto in rettilineo ed aree di visibilità nelle
intersezioni fuori dei centri abitati» vieta ai proprietari o aventi
diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri
abitati, tra l'altro, di costruire, ricostruire o ampliare, lateralmente
alle strade, edificazioni di qualsiasi tipo e materiale; il successivo art.
18, in tema di « Fasce di rispetto ed aree di visibilità nei centri
abitati», impone nei centri abitati, per le nuove costruzioni,
ricostruzioni ed ampliamenti, le fasce di rispetto a tutela delle strade,
misurate dal confine stradale, di dimensioni non inferiori a quelle indicate
nel regolamento in relazione alla tipologia delle strade. Gli artt. 26 e 28
del regolamento di cui al d.P.R. 485 del 16/12/1992 dettano la misura
precisa delle distanze da rispettare.
4.5. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, l'inclusione del
terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo
come non edificabile, ai fini della determinazione dell'indennità di
espropriazione, trattandosi di una limitazione legale della proprietà,
concretante il divieto assoluto di edificazione sancito nell'interesse
pubblico, avente carattere generale, in quanto concernente, sotto il profilo
soggettivo, tutti i cittadini proprietari di determinati beni che si trovino
nella medesima situazione e, sotto il profilo oggettivo, beni immobili
individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o
localizzazione rispetto a un'opera pubblica stradale o ferroviaria, non
rilevando in senso contrario che il terreno sia collocato all'interno di un
piano di insediamento industriale (P.I.P.) o di un piano di edilizia
economica e popolare (P.E.E.P.) (Sez. 1, 06/06/2018, n. 14632; Sez. 1,
21/12/2015, n. 25668; Sez. 1, 04/12/2013, n. 27114).
Tali vincoli imposti sulle aree in fasce di rispetto della sede stradale o
autostradale, in conseguenza della destinazione di interesse pubblico, non
arrecano alla parte sottratta al privato alcun deprezzamento, del quale
debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile,
facendo difetto il nesso di causalità sia con l'ablazione e sia con
l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata. La predetta
disciplina non può essere derogata neppure da parte degli strumenti generali
di pianificazione del territorio, i quali, in quanto provvedimenti
amministrativi, sono assoggettati pur essi al rispetto delle norme di legge
che impongono limitazioni legali di carattere assoluto. Ne consegue che al
giudice, in sede di valutazione dell'indennità di occupazione, non è
consentito prescinderne, dovendo egli limitarsi a prendere atto del regime
direttamente stabilito dal legislatore (Sez. 1, 17/12/2012, n. 23210; Sez.
1, 13/04/2012, n. 5875)
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
ordinanza
11.04.2019 n. 10223). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto previsto dall'art. 16 del
Codice della strada riguarda non solo le nuove costruzioni ma altresì
le ricostruzioni di manufatti di qualsiasi tipo e materiale
conseguenti a demolizioni integrali e anche ai volumi interrati, poiché il
limite di edificabilità in questione non può essere inteso restrittivamente
come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali
emergenti dal suolo, suscettibili come tali di costituire pregiudizio alla
sicurezza del traffico e alla incolumità delle persone, ma è correlato alla
più ampia esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni connesse alla presenza
di costruzioni, con il risultato che il vincolo in questione, traducendosi
in un divieto assoluto di costruire, vale indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata.
Invero, la nozione di ricostruzione, ai fini della salvaguardia delle
fasce di rispetto per l'edificazione nei centri abitati e delle distanze
delle costruzioni dal confine stradale, non deve essere tratta,
analogicamente, dalla normativa del codice civile in tema di distanze,
dettata a tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, bensì dal codice
della strada e dal suo regolamento di attuazione, le cui disposizioni mirano
ad assicurare l'incolumità dei conducenti dei veicoli e della popolazione
residente vicino alle strade.
Ne consegue che, ai predetti fini, rientrano nella citata nozione non solo
gli interventi di demolizione seguiti dalla realizzazione di un'opera
diversa, cioè difforme, per volumetria e sagoma, da quella preesistente,
ma anche quelli attuati mediante demolizione e successiva fedele
riproduzione del fabbricato originario, determinando anche questi ultimi
l'obiettivo insorgere o risorgere proprio di quel pericolo che la normativa
stradale ha inteso evitare.
---------------
Il divieto previsto dall'art. 16 del Codice della strada riguarda non solo
le nuove costruzioni ma altresì le ricostruzioni di manufatti di qualsiasi
tipo e materiale conseguenti a demolizioni integrali e anche ai volumi
interrati, poiché il limite di edificabilità in questione non può essere
inteso restrittivamente come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza
di ostacoli materiali emergenti dal suolo, suscettibili come tali di
costituire pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità delle
persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di assicurare una fascia di
rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dall'ente proprietario della strada
per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito
dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni
connesse alla presenza di costruzioni, con il risultato che il vincolo in
questione, traducendosi in un divieto assoluto di costruire, vale
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera realizzata.
Questa Corte ha anche precisato che la nozione di ricostruzione, ai fini
della salvaguardia delle fasce di rispetto per l'edificazione nei centri
abitati e delle distanze delle costruzioni dal confine stradale, non deve
essere tratta, analogicamente, dalla normativa del codice civile in tema di
distanze, dettata a tutela della proprietà nei rapporti di vicinato, bensì
dal codice della strada e dal suo regolamento di attuazione, le cui
disposizioni mirano ad assicurare l'incolumità dei conducenti dei veicoli e
della popolazione residente vicino alle strade.
Ne consegue che, ai predetti fini, rientrano nella citata nozione non solo
gli interventi di demolizione seguiti dalla realizzazione di un'opera
diversa, cioè difforme, per volumetria e sagoma, da quella preesistente, ma
anche quelli attuati mediante demolizione e successiva fedele riproduzione
del fabbricato originario, determinando anche questi ultimi l'obiettivo
insorgere o risorgere proprio di quel pericolo che la normativa stradale ha
inteso evitare (Sez. 1, n. 2656 del 11/02/2015, Rv. 634121 - 01)
(Corte di Cassazione, Sez. I civile,
ordinanza
11.04.2019 n. 10223). |
anno
2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo derivante da una fascia di rispetto autostradale ha
l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo di
distanza, ma non quello di rendere l'area inedificabile,
posto che la ratio delle disposizioni che danno origine alla
c.d. zona di rispetto viario sono quelle di garantire la
sicurezza della circolazione stradale.
Le zone di fascia di rispetto stradale vanno, quindi,
calcolate ai fini della volumetria edificabile, dal momento
che esse sanciscono soltanto l'obbligo urbanistico di
costruire ad una certa distanza dalla strada, e perciò di
non realizzare alcun manufatto edilizio all'interno della
predetta fascia di rispetto stradale.
Quanto al calcolo delle distanze bisogna fare riferimento
agli strumenti urbanistici vigenti al momento della
realizzazione dell'opera.
---------------
Con l'unico motivo di ricorso si deduce l'omessa
motivazione di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti e la violazione della L. 765/1967 e
del D.M. 1404/1968 in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5
c.p.c..
Il ricorrente lamenta che la decisione si fondi sull'errato
della sussistenza di una fascia di rispetto autostradale,
calcolata in metri sessanta dal limite autostradale,
ritenendo l'area interessata dall'intervento come ricadente
fuori dal centro abitato laddove, da alcuni atti
amministrativi acquisiti al processo, e segnatamente dal
certificato di destinazione urbanistica, veniva certificata
l'assenza di fasce di rispetto.
Il ricorrente richiamava altresì una delibera del Dirigente
dell'Ufficio Tecnico del Comune che considerava l'area in
questione all'interno del perimetro del centro abitato, con
conseguente inapplicabilità della distanza di mt. 60.
Riteneva che fosse applicabile l'art. 9 L. 729/1961, che
stabilisce in metri 25 la distanza minima da osservare per
la costruzione e l'ampliamento di edifici in qualsiasi parte
del territorio, senza distinzione tra centro abitato e zone
esterne a questo, con la conseguenza che la distanza
prescritta dalla legge sarebbe stata rispettata, in quanto
la costruzione dei Pe. si trovava a mt 30,37.
Ha, infine censurato la quantificazione del danno,
quantificato nella perdita di valore dell'immobile del
Perugino, sul rilievo che esso fosse totalmente abusivo e,
pertanto incommerciabile.
Il motivo non è fondato.
Il vincolo derivante da una fascia di rispetto autostradale
ha l'effetto urbanistico di prescrivere un semplice obbligo
di distanza, ma non quello di rendere l'area inedificabile,
posto che la ratio delle disposizioni che danno
origine alla c.d. zona di rispetto viario sono quelle di
garantire la sicurezza della circolazione stradale.
Le zone di fascia di rispetto stradale vanno, quindi,
calcolate ai fini della volumetria edificabile, dal momento
che esse sanciscono soltanto l'obbligo urbanistico di
costruire ad una certa distanza dalla strada, e perciò di
non realizzare alcun manufatto edilizio all'interno della
predetta fascia di rispetto stradale.
Quanto al calcolo delle distanze bisogna fare riferimento
agli strumenti urbanistici vigenti al momento della
realizzazione dell'opera.
Il ricorrente non ha invocato l'erronea applicazione dello
strumento urbanistico vigente, che prescriveva una fascia di
rispetto di metri sessanta, limitandosi a censurare la
decisione attraverso il richiamo di atti amministrativi,
segnatamente il certificato di destinazione urbanistica ed
una delibera del Dirigente dell'Ufficio Tecnico del Comune
del 23.10.1991, che, non solo non trascrive o allega, in
violazione dell'art. 366 n. 6 c.p.c., ma che sono in
conferenti rispetto alla decisione basata sulle prescrizioni
del Programma di Fabbricazione del Comune di Casalnuovo.
Poiché lo strumento urbanistico aveva determinato in metri
sessanta la fascia di rispetto, ai sensi del D.M. 1404/1968,
non coglie nel segno il richiamo all'art. 9 L. 729/1961 che
stabilisce in metri 25 la distanza minima da osservare per
la costruzione e l'ampliamento di edifici in qualsiasi parte
del territorio, senza distinzione tra centro abitato e zone
esterne.
La sentenza gravata si rivela immune da censure, posto che,
ha accertato che il Programma di Fabbricazione del Comune di
Casalnuovo vigente all'epoca della concessione edilizia da
parte della Se.Co. s.r.l. prevedeva che nella fascia di
rispetto di sessanta metri dall'autostrada ricadesse una
zona con destinazione a verde, con un indice di
fabbricabilità inferiore rispetto a quella realizzata ed
allegata all'istanza di concessione edilizia.
La corte territoriale, sulla base di una corretta
applicazione delle norme di diritto, che il ricorrente
censura attraverso le risultanze degli atti di causa, ha
accertato che il corpo B dell'edificio ricade nella fascia
di rispetto autostradale, causando alla proprietà Perugino
un danno in termini di soleggiamento e luminosità.
Non ha conseguentemente rilievo la censura relativa alla
condanna risarcitoria, genericamente dedotta nel ricorso, ed
afferente alla presunta incommerciabilità del bene in
ragione della sua abusività e non in relazione al godimento
del bene.
Del tutto privo di fondamento è il dedotto vizio di omessa
motivazione, posto che la corte territoriale si è
puntualmente soffermata su tutti gli aspetti relativi alla
dedotta violazione della fascia di rispetto, con motivazione
diffusa e congrua (Corte di cassazione, Sez. II civile,
ordinanza 10.10.2018 n. 25118). |
EDILIZIA PRIVATA:
Osserva il Collegio che la predisposizione di un
piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali risale
alla legge n. 729 del 24.07.1961 il cui art. 9, al comma 1,
stabiliva che: “Lungo i tracciati delle autostrade e
relativi accessi, previsti sulla base dei progetti
regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o
ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza
inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione
dell'autostrada stessa”.
La stessa norma al comma 3
stabiliva che: “Il divieto previsto dal presente articolo ha
effetto dalla data della pubblicazione di apposito avviso, a
cura del concessionario, sul Foglio degli annunzi legali
delle singole Prefetture competenti per territorio, recante
notizia dell'avvenuta approvazione del progetto di ciascuna
strada.”
Inoltre, con d.m. n. 1404 dell’01.04.1968 è stato imposto
per le nuove edificazioni al di fuori del perimetro del
centro abitato, ai sensi dell’art. 4, l’obbligo del rispetto
della distanza di 60 metri dal ciglio della strada per le
autostrade in quanto qualificate come strade di tipo A.
Successivamente, con il regolamento del codice della strada
approvato con d.p.r. 495/1992 è stato poi confermato
all’art. 26 il limite di 60 metri per le distanze da
osservare per le strade di tipo A fuori dai centri abitati,
riferite alle “nuove costruzioni, ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali, o negli ampliamenti fronteggianti
le strade”, ridotto a 30 metri all’interno dei centri
abitati, oppure al di fuori dei centri abitati nel caso di
zone previste come edificabili o trasformabili dallo
strumento urbanistico generale, se lo strumento è
suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone
siano già previsti strumenti attuativi.
Con riferimento all’art. 9 della legge n. 729/1961 la
giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di
rispetto ivi prevista integrava un vincolo di
inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a
prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile
pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la
disponibilità di un’area contigua alla sede stradale
all’occorrenza utilizzabile per un ampliamento della
medesima.
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla
fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal d.p.r. n.
495/1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell’identità
di ratio e del fatto che la norma citata vieta all’interno
di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato
preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e
integralmente demolito.
Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da
cui si desume la volontà del legislatore di ritenere
rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento
dell’area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni
idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede
stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in
caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso
della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto
ex lege.
---------------
1. Con ricorso iscritto al n. 120/2017 i sig.ri Li.
Di Pa. e Li.Fi. adivano codesto TAR al fine
di richiedere l’annullamento, previa sospensiva, dei pareri
contrari rispettivamente espressi dal Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Società Strada dei
Parchi s.p.a. rispetto all'istanza volta al rilascio del
permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione
edilizia sulla copertura di un immobile di proprietà.
Esponevano che, quali proprietari di un immobile ubicato in
Cepagatti, censito in catasto urbano al fg. 8 part. n. 356,
realizzato nel 1968 ed adibito a civile abitazione, con
istanza del 04/01/2017 prot. n. 188, avevano richiesto al
Comune di Cepagatti il rilascio di un permesso di costruire
per l'esecuzione di un intervento di ristrutturazione
edilizia avente ad oggetto il miglioramento statico della
copertura del preesistente fabbricato, realizzato in forza
dei nulla osta del 04/04/1968 e del 28/09/1970, ed oggetto
di quattro distinti permessi di costruire.
Esponevano che l’Amministrazione comunale, verificata
l'ubicazione dell'immobile in fascia di rispetto
autostradale (Autostrada A25), indiceva una conferenza di
servizi che si concludeva in data 16.06.2017, con la presa
d’atto dei due pareri negativi espressi dal Ministero e
dalla società Strada dei Parchi, e che l'Amministrazione
comunale, con nota prot. 13288 del 27/06/2017, comunicava il
preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio
del permesso di costruire.
...
3. Nel merito il ricorso è infondato e va respinto come di
seguito argomentato.
Come anticipato in fatto si discute nel giudizio
dell’approvazione di un progetto di ristrutturazione ed
adeguamento statico della copertura di una fabbricato sito
in Capagatti, all’interno della fascia di trenta metri di
rispetto dell’autostrada A25, con dismissione della
struttura di copertura esistente e nuova realizzazione della
stessa con modifiche della sagoma.
Il parere negativo espresso con nota prot. n. 9275 del
25.05.2017 dal Ministero delle Infrastrutture risulta
motivato poiché non è stata considerata esaustiva la
documentazione trasmessa dal Comune con nota prot. n. 10812
del 23.05.2017 a riscontro dell’interlocutoria prot. n. 7460
del 28.04.2017 (con cui si era richiesta la documentazione
progettuale di dettaglio, planimetrie e dettagli costruttivi
poi consegnata dalla stessa ricorrente), e poiché non era
risultato chiaro se l’edificazione fosse anteriore o
posteriore alla costruzione dell’autostrada, né alcuna
informativa era stata resa quanto all’ubicazione
dell’intervento rispetto alla fascia di rispetto del sedime
stradale.
Analogamente il diniego di nulla osta della Strada dei
Parchi intervenuto con nota prot. n. 10784 dell’01.06.2017
risulta motivato poiché, benché richiesti, non erano
pervenuti i nulla osta delle pregresse concessioni edilizie
rilasciate nel 1980 e nel 1982.
3.1 Ciò premesso, come ricavabile dalla documentazione
allegata da parte ricorrente, l’immobile oggetto di
ristrutturazione è stato interessato da più interventi
edilizi che nel tempo ne hanno modificato la conformazione
originaria e precisamente una prima concessione edilizia per
un fabbricato ad uso abitativo del 04.04.1968 con cui,
rispetto ad un piano terra esistente è stata autorizzata la
realizzazione di un primo piano, una successiva concessione
edilizia del 28.09.1970 rilasciata per l’ampliamento del
fabbricato con l’aggiunta di due vani ed una cucina al piano
terra ed al primo piano, altra concessione edilizia n. 499/1980
per un ulteriore ampliamento tramite costruzione di locali
accessori quali una cantina, garages ed una cucina rustica,
ed un successivo ampliamento autorizzato con concessione
edilizia del 22.09.1982.
Dalla relazione tecnica a cura del geom. P.T. allegata
alla richiesta di permesso di costruire si ricava che il
fabbricato è costituito da tre unità immobiliari ad uso
abitativo ed annessi accessori e che il progetto mirava al
consolidamento statico della copertura del fabbricato,
versante in precarie condizioni statiche, con demolizione
totale di quella esistente comprese le quinte in muratura,
la ricostruzione di nuove quinte in muratura di mattoni
forati o in pannelli lignei, e la installazione di una
nuova struttura portante in legno lamellare di abete con
tavolato chiuso e sovrastante nuovo manto di tegole in
laterizio.
In particolare ivi si precisa che la modifica
della copertura avrebbe comportato la rotazione di 90 gradi
del colmo di copertura, che non sarebbe stata ricostruita la
muratura di quinta prospiciente il tracciato autostradale ma
verso di essa sarebbe stata prevista la linea di grondaia a
quota inferiore a quella della citata quinta preesistente.
4. Le censure poste da parte ricorrente avverso il
provvedimento impugnato non sono meritevoli di favorevole
delibazione per i motivi che di seguito si vanno ad esporre.
4.1 Preliminarmente, dovendo ricostruire il quadro normativo
di riferimento sulla base della normativa vigente ratione
temporis, osserva il Collegio che la predisposizione di un
piano di nuove costruzioni stradali ed autostradali risale
alla legge n. 729 del 24.07.1961 il cui articolo 9 al comma 1
stabiliva che: “Lungo i tracciati delle autostrade e
relativi accessi, previsti sulla base dei progetti
regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o
ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza
inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione
dell'autostrada stessa”.
La stessa norma al comma 3
stabiliva che: “Il divieto previsto dal presente articolo ha
effetto dalla data della pubblicazione di apposito avviso, a
cura del concessionario, sul Foglio degli annunzi legali
delle singole Prefetture competenti per territorio, recante
notizia dell'avvenuta approvazione del progetto di ciascuna
strada.”
Inoltre, con d.m. n. 1404 dell’01.04.1968, pubblicato
in Gazzetta Ufficiale del 13.04.1968, è stato imposto
per le nuove edificazioni al di fuori del perimetro del
centro abitato, ai sensi dell’art. 4, l’obbligo del rispetto
della distanza di 60 metri dal ciglio della strada per le
autostrade in quanto qualificate come strade di tipo A.
Successivamente, con il regolamento del codice della strada
approvato con d.p.r. 495/1992 è stato poi confermato
all’art. 26 il limite di 60 metri per le distanze da
osservare per le strade di tipo A fuori dai centri abitati,
riferite alle “nuove costruzioni, ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali, o negli ampliamenti fronteggianti
le strade”, ridotto a 30 metri all’interno dei centri
abitati, oppure al di fuori dei centri abitati nel caso di
zone previste come edificabili o trasformabili dallo
strumento urbanistico generale, se lo strumento è
suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone
siano già previsti strumenti attuativi.
Con riferimento all’art. 9 della legge n. 729/1961 la
giurisprudenza si è pronunciata nel senso che la fascia di
rispetto ivi prevista integrava un vincolo di
inedificabilità assoluta, in quanto preordinato non solo a
prevenire la presenza di ostacoli costituenti un possibile
pregiudizio per la circolazione, ma anche ad assicurare la
disponibilità di un’area contigua alla sede stradale
all’occorrenza utilizzabile per un ampliamento della
medesima (cfr. Tar Liguria, sez. I n. 276/2015; Tar
Palermo sez. II n. 34/2015).
Medesime considerazioni valgono anche con riferimento alla
fascia di rispetto di 60 metri oggi prevista dal d.p.r. n.
495/1992 per le strade di tipo A, tenuto conto dell’identità
di ratio e del fatto che la norma citata vieta all’interno
di tale fascia di rispetto, qualsiasi nuova costruzione, ancorché nella forma di ampliamento di un fabbricato
preesistente o di ricostruzione di edificio preesistente e
integralmente demolito.
Tale previsione che penalizza sinanche la demolizione seguita da fedele ricostruzione da
cui si desume la volontà del legislatore di ritenere
rispondente ad un interesse prioritario il mantenimento
dell’area adiacente le autostrade sgombra da costruzioni
idonee ad interferire con futuri ampliamenti della sede
stradale ovvero a compromettere la sicurezza pubblica in
caso di sinistri. Ciò depone indubitabilmente nel senso
della natura assoluta del vincolo di inedificabilità imposto
ex lege.
4.2 Ciò posto, alla luce di quanto sopra risulta
innanzitutto destituito di fondamento l’assunto di parte
ricorrente attestato sull’irrilevanza del vincolo in quanto
ancorato alla mancata realizzazione dell’asse viario
autostradale all’epoca del rilascio della concessione
edilizia del 04.04.1968 con cui è stata assentita la
sopraelevazione del fabbricato esistente.
Parte ricorrente
al riguardo non ha dimostrato che all’epoca del rilascio
delle concessioni edilizie del 04.04.1968 per la
sopraelevazione del fabbricato, e del 28.09.1970 per il suo
ampliamento, non fosse ancora stato pubblicato alcun avviso
relativo all’asse viario in questione sul Foglio degli
Annunzi legali della Prefettura.
Di qui l’inconferenza dei motivi con cui si oppone
l’irrilevanza del vincolo rispetto agli interventi edilizi
di ampliamento del medesimo fabbricato realizzati con le
concessioni edilizie del 28.11.1980 e del 17.11.1982 in
quanto realizzati a distanza di “30 metri” e nella parte
dell’immobile non prospiciente il fronte autostradale,
tenuto conto che con il d.m. n. 1404/1968 il vincolo di
inedificabilità imposto, anche per gli ampliamenti, rispetto
alle autostrade di tipo A era fissato al di fuori dei centri
abitati in 60 metri, o al più, in presenza di strumentazione
attuativa in 30 metri.
4.3 Sul punto occorre evidenziare che solo con il
regolamento di attuazione del nuovo Codice della strada
approvato con d.p.r. n. 495/1992, e quindi in data
successiva al rilascio delle concessioni edilizie
menzionate, è stato precisato a livello normativo che il
limite di distanza fissato andava osservato rispetto agli
ampliamenti “fronteggianti le strade”.
In ogni caso, pur a voler accedere in via interpretativa
alla ricostruzione invocata, manca in atti la prova che gli
ampliamenti realizzati con le concessioni edilizie del
28.11.1980 e del 17.11.1982 riguardassero effettivamente la
parte non fronteggiante l’asse autostradale.
Né comunque può accedersi all’interpretazione propugnata
volta a scindere le opere autorizzate con i titoli
successivamente rilasciati come se si trattasse di manufatti
indipendenti in presenza di un immobile unitario costituito
da un piano terra ed un primo piano che nel tempo è stato
via via ampliato (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.07.2018 n. 252 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Tanto precisato in ordine alla definizione di
“ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo
manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente
previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma,
non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al
rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri
fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile
sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla
pianificazione urbanistica.
In sostanza:
- nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato
di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito
con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso –proprio perché “coincidente” per tali profili con il
manufatto preesistente– potrà sottrarsi al rispetto delle
norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo
di un precedente manufatto che già non rispettava dette
distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro
previsione normativa).
Ed infatti, “la disposizione dell’art. 9 n. 2 D.M. n. 1444
riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali gli edifici
(o parti e/o sopraelevazioni di essi) “costruiti per la
prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in
sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere
distanze diverse”;
- invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza
il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime,
come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà
comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio
perché esso –quanto alla sua collocazione fisica–
rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare –indipendentemente dalla sua qualificazione come
ristrutturazione edilizia o nuova costruzione– le norme
sulle distanze.
Ed in questo senso depone altresì la stessa
pronuncia n. 237/2017 di questo Tar
secondo cui, se non è in discussione la possibilità di
modificare la sagoma preesistente nel caso di
ristrutturazione, quando l’intervento fuoriesce
dall’originario contorno (orizzontale o verticale) ne deve
essere verificata la conformità ai parametri fissati dalla
normativa urbanistica.
Al fine della verifica del rispetto delle distanze, secondo
i principi innanzi enunciati, mentre non rileva che non vi
sia incremento di volumetria, ciò che rileva è che si
rispetti l’allineamento della preesistente copertura, e che
si sia inteso demolire e ricostruire quella preesistente
modificandone la sagoma in altezza, ed incrementando
l’ingombro volumetrico tramite innalzamento delle pareti
perimetrali.
Non può quindi sostenersi che nel caso di edificio situato
nella fascia di rispetto autostradale, devono intendersi
precluse solo quelle modifiche che comportano un
avvicinamento del fronte al tracciato viario, mentre sono
consentiti gli interventi rispettosi del "filo" edilizio
preesistente.
La tesi del ricorrente non può essere accolta in quanto urta
contro l'inequivoco disposto dell'art. 28 del d.p.r. n. 495
del 1992 il quale vieta l'ampliamento di edifici
preesistenti, che siano ubicati nella fascia di rispetto
dell'autostrada.
Trattandosi di norma assolutamente cogente, in quanto
finalizzata alla tutela del bene primario della sicurezza
del traffico, la ristrutturazione progettata dall'appellante
-comportando pacificamente una modificazione della sagoma
di un edificio che già è sito all'interno della fascia- non
poteva quindi essere in alcun modo autorizzata. Di qui
l’irrilevanza del motivo con cui si contesta l’assenza di
una specifica valutazione del pregiudizio alla circolazione
stradale connesso all’ampliamento contestato, stante la
natura assoluta del vincolo come sopra enunciata.
Alla luce di quanto esposto, prescindendosi dalla
qualificazione giuridica dell’opera, ed anche a voler
parlare di ristrutturazione edilizia, va ribadito che le
opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di
sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al
rispetto delle distanze legali.
---------------
1. Con ricorso iscritto al n. 120/2017 i sig.ri Li.
Di Pa. e Li.Fi. adivano codesto TAR al fine
di richiedere l’annullamento, previa sospensiva, dei pareri
contrari rispettivamente espressi dal Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti e dalla Società Strada dei
Parchi s.p.a. rispetto all'istanza volta al rilascio del
permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione
edilizia sulla copertura di un immobile di proprietà.
Esponevano che, quali proprietari di un immobile ubicato in
Cepagatti, censito in catasto urbano al fg. 8 part. n. 356,
realizzato nel 1968 ed adibito a civile abitazione, con
istanza del 04/01/2017 prot. n. 188, avevano richiesto al
Comune di Cepagatti il rilascio di un permesso di costruire
per l'esecuzione di un intervento di ristrutturazione
edilizia avente ad oggetto il miglioramento statico della
copertura del preesistente fabbricato, realizzato in forza
dei nulla osta del 04/04/1968 e del 28/09/1970, ed oggetto
di quattro distinti permessi di costruire.
Esponevano che l’Amministrazione comunale, verificata
l'ubicazione dell'immobile in fascia di rispetto
autostradale (Autostrada A25), indiceva una conferenza di
servizi che si concludeva in data 16.06.2017, con la presa
d’atto dei due pareri negativi espressi dal Ministero e
dalla società Strada dei Parchi, e che l'Amministrazione
comunale, con nota prot. 13288 del 27/06/2017, comunicava il
preavviso di diniego ex art. 10-bis L. n. 241/1990 al rilascio
del permesso di costruire.
...
4.4 Quanto alla dedotta inapplicabilità del regime delle
distanze rispetto al progettato intervento di
ristrutturazione edilizia, occorre precisare in quali casi
di ristrutturazione edilizia è richiesto comunque il
rispetto della normativa sulle distanze tra le costruzioni.
Con specifico riferimento alla successione di norme del
tempo (per la parte che rileva nella presente sede), occorre
ricordare che l’art. 3, co. 1, lett. d), nel suo testo
originario, prevedeva che fossero interventi di
“ristrutturazione edilizia”, quelli:
- “rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e successiva fedele
ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma,
volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a
quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni
necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Nel testo originario, erano presenti, due tipologie di
ristrutturazione edilizia, identiche quanto alla finale
realizzazione di un “organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente”, ma distinte dalla presenza (o meno)
della demolizione (anche parziale) del fabbricato
preesistente. Quest’ultima, ove effettuata, per poter
rientrare nel campo della ristrutturazione edilizia (e non
già della nuova costruzione), doveva concludersi con la
“fedele ricostruzione di un fabbricato identico”, al punto
da avere identità di sagoma, volume, area di sedime e, in
generale, caratteristiche dei materiali.
Il successivo DPR 27.12.2002 n. 301 ha apportato alla
definizione (di cui all’art. 3) alcune modifiche, con il
risultato di affermare che, nel caso di demolizione e
ricostruzione, per potersi definire l’intervento quale
“ristrutturazione edilizia”, lo stesso doveva portare ad un
manufatto “con la stessa volumetria e sagoma di quello
preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per
l'adeguamento alla normativa antisismica”.
Come è dato osservare, con il nuovo testo il legislatore ha
abbandonato sia lo specifico riferimento alla identità di
area di sedime e di caratteristiche dei materiali, sia il
più generale concetto di “fedele ricostruzione” (non potendo quest’ultimo, a tutta evidenza, essere più ribadito una
volta che non sono più richieste le predette
caratteristiche).
Infine, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla
disposizione in esame, in particolare con l'art. 30, comma
1, lett. a), d.l. 21.06.2013, n. 69, convertito dalla L. 09.08.2013, n. 98.
Attualmente, quindi, sono "interventi di ristrutturazione
edilizia" quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare
ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,
l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli
consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa
volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o
parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso
la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la
preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a
vincoli ai sensi del decreto legislativo 22.01.2004, n.
42 e successive modificazioni, gli interventi di demolizione
e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici
crollati o demoliti costituiscono interventi di
ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell'edificio preesistente.
Come è dato osservare, con particolare riferimento alla
ristrutturazione edilizia cd. ricostruttiva, l’unico limite
ora previsto è quello della identità di volumetria, rispetto
al manufatto demolito, salve le “innovazioni necessarie per
l’adeguamento alla normativa antisismica”, e ad eccezione
degli immobili sottoposti a vincolo ex d.lgs. n. 42/2004,
per i quali è altresì prescritto il rispetto della “medesima
sagoma di quello preesistente”.
Tanto precisato in ordine alla definizione di
“ristrutturazione edilizia”, occorre osservare che il nuovo
manufatto, se può sottrarsi ai limiti, precedentemente
previsti, del rispetto dell’area di sedime e della sagoma,
non di meno anche in tali casi è certamente tenuto al
rispetto del limite delle distanze dal confine e/o da altri
fabbricati, nel rispetto sia delle norme del codice civile
sia di quelle previste dai regolamenti edilizi e dalla
pianificazione urbanistica.
In sostanza:
- nel caso in cui il manufatto che costituisce il risultato
di una ristrutturazione edilizia venga comunque ricostruito
con coincidenza di area di sedime e di sagoma, esso –proprio perché “coincidente” per tali profili con il
manufatto preesistente– potrà sottrarsi al rispetto delle
norme sulle distanze innanzi citate, in quanto sostitutivo
di un precedente manufatto che già non rispettava dette
distanze (e magari preesisteva anche alla stessa loro
previsione normativa).
Ed infatti (Cons. Stato, sez. IV, 14.09.2017 n. 4337), “la disposizione dell’art. 9 n. 2
D.M. n. 1444 riguarda “nuovi edifici”, intendendosi per tali
gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons.
Stato, sez. IV, 04.08.2016 n. 3522) “costruiti per la
prima volta” e non già edifici preesistenti, per i quali, in
sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere
distanze diverse”.
- invece, nel caso in cui il manufatto venga ricostruito senza
il rispetto della sagoma preesistente e dell’area di sedime,
come pure consentito dalle norme innanzi indicate, occorrerà
comunque il rispetto delle distanze prescritte, proprio
perché esso –quanto alla sua collocazione fisica–
rappresenta un novum, come tale tenuto a rispettare –indipendentemente dalla sua qualificazione come
ristrutturazione edilizia o nuova costruzione– le norme
sulle distanze.
Ed in questo senso depone altresì la stessa
pronuncia n. 237/2017, richiamata in atti, di questo Tar
secondo cui, se non è in discussione la possibilità di
modificare la sagoma preesistente nel caso di
ristrutturazione, quando l’intervento fuoriesce
dall’originario contorno (orizzontale o verticale) ne deve
essere verificata la conformità ai parametri fissati dalla
normativa urbanistica.
Al fine della verifica del rispetto delle distanze, secondo
i principi innanzi enunciati, mentre non rileva che non vi
sia incremento di volumetria, ciò che rileva è che si
rispetti l’allineamento della preesistente copertura, e che
si sia inteso demolire e ricostruire quella preesistente
modificandone la sagoma in altezza, ed incrementando
l’ingombro volumetrico tramite innalzamento delle pareti
perimetrali.
Non può quindi sostenersi che nel caso di edificio situato
nella fascia di rispetto autostradale, devono intendersi
precluse solo quelle modifiche che comportano un
avvicinamento del fronte al tracciato viario, mentre sono
consentiti gli interventi rispettosi del "filo" edilizio
preesistente.
La tesi del ricorrente non può essere accolta in quanto urta
contro l'inequivoco disposto dell'art. 28 del d.p.r. n. 495
del 1992 il quale vieta l'ampliamento di edifici
preesistenti, che siano ubicati nella fascia di rispetto
dell'autostrada.
Trattandosi di norma assolutamente cogente, in quanto
finalizzata alla tutela del bene primario della sicurezza
del traffico, la ristrutturazione progettata dall'appellante
-comportando pacificamente una modificazione della sagoma
di un edificio che già è sito all'interno della fascia- non
poteva quindi essere in alcun modo autorizzata. Di qui
l’irrilevanza del motivo con cui si contesta l’assenza di
una specifica valutazione del pregiudizio alla circolazione
stradale connesso all’ampliamento contestato, stante la
natura assoluta del vincolo come sopra enunciata.
Alla luce di quanto esposto, prescindendosi dalla
qualificazione giuridica dell’opera, ed anche a voler
parlare di ristrutturazione edilizia, va ribadito che le
opere in edifici preesistenti costituenti modifiche di
sagoma, ampliamenti e sopraelevazioni siano soggette al
rispetto delle distanze legali.
5. Va da ultimo respinta la
censura di eccesso di potere per disparità di trattamento
con le edificazioni limitrofe poste in prossimità del ciglio
autostradale.
Per consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale,
la disparità di trattamento è sinonimo di eccesso di potere
solo quando vi sia un’assoluta identità di situazioni
oggettive, che valga a testimoniare dell'irrazionalità delle
diverse conseguenze tratte dall'Amministrazione, cosa che
nella specie non è emersa (Cons. Stato, sez. V, 10.02.2000, n. 726 e Tar Lazio, Roma, sez. I, 17.01.2012, n.
463) (TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 23.07.2018 n. 252 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'ANAS, quale ente gestore della rete viaria
statale, è preposta alla tutela del vincolo di rispetto
stradale, essendo chiamata non solo a prevenire l’esistenza
di ostacoli materiali suscettibili di nuocere alla sicurezza
del traffico e all’incolumità delle persone, ma anche a
preservare la fascia di terreno utilizzabile,
all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto
dei cantieri, per il deposito dei materiali e per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni.
---------------
Costituisce jus receptum che il divieto di
costruzione entro la fascia di rispetto di una strada
statale comporta l’inedificabilità assoluta del suolo e,
dunque, la non sanabilità dell’opera, perché il vincolo è
incompatibile, per loro natura, con ogni manufatto.
Infatti, il c.d. vincolo stradale implicante un divieto
assoluto di edificazione si traduce in una limitazione
legale al diritto di proprietà su categorie di beni
individuate in via generale per la loro posizione relative
ad altri beni destinati all’uso pubblico..
Per effetto della natura assoluta di detto vincolo, poi, è
stato ritenuto che il diniego di condono di un edificio
abusivamente realizzato in sua violazione non richieda
nemmeno il previo accertamento sulla effettiva pericolosità
dello stesso per il traffico stradale.
---------------
Si ritiene manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli art. 32 e 33, l. n. 47/1985, in combinato
disposto con il d.m. 01.04.1968, per violazione degli
artt. 3, 42, 97 Cost., oltre che dagli artt. 117 Cost. e 5
TUE, nella parte in cui, per i fabbricati realizzati
successivamente all’entrata in vigore dello stesso decreto
ministeriale, prevedrebbe un indistinto diniego di
edificabilità per tutti gli immobili che ricadono nella
fascia di rispetto stradale, a prescindere dalla concreta
conformazione dei luoghi e della strada e da un effettivo
pericolo per la viabilità, dando vita a una limitazione del
diritto di proprietà “del tutto scissa (e/o comunque avulsa)
da qualunque concreto/qualificato interesse pubblico”.
Infatti, la limitazione al diritto di proprietà de qua, pur
particolarmente penetrante, non è, come pretende parte
ricorrente, del tutto scissa o avulsa da qualunque concreto
o qualificato interesse pubblico, rispondendo invece, come
chiarito da consolidata giurisprudenza, non solo
all’esigenza di garantire la sicurezza del traffico e
l’incolumità delle persone ma anche e soprattutto alla più
ampia necessità di assicurare all’ente proprietario o
gestore della strada una fascia di terreno da utilizzare,
all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto
dei cantieri, per il deposito di materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni.
---------------
4. In via preliminare, si rileva l’infondatezza
dell’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata
dalla difesa di ANAS s.p.a.
Infatti, tale società pubblica, quale ente gestore della
rete viaria statale, nella quale rientra la s.s. 7 Appia, è
preposta alla tutela del vincolo di rispetto stradale,
essendo chiamata non solo a prevenire l’esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di nuocere alla sicurezza
del traffico e all’incolumità delle persone, ma anche a
preservare la fascia di terreno utilizzabile,
all’occorrenza, per l’esecuzione dei lavori, per l’impianto
dei cantieri, per il deposito dei materiali e per la
realizzazione di opere accessorie, senza limiti connessi
alla presenza di costruzioni (TAR Campania, Napoli, sez. VII, 21.10.2016 n. 4826).
Conseguentemente, l’impugnata nota del 30.09.2013 va
qualificata come l’atto conclusivo del sub-procedimento di
verifica della possibilità di sanare il manufatto abusivo di
proprietà della ricorrente in funzione degli interessi
pubblici sottesi al c.d. vincolo stradale ed attribuiti alle
cure di ANAS s.p.a.
Quindi, il parere negativo de quo,
espresso in applicazione dell’art. 33, l. n. 47 cit., che
esclude qualsivoglia edificazione dopo l’imposizione del
vincolo, incluso l’ampliamento di edifici esistenti, senza
alcuna discrezionalità da parte dell’organo preposto alla
sua tutela, è atto immediatamente lesivo della posizione
giuridica della sig. Ca., perché idoneo ad imprimere un
indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva del
procedimento di sanatoria edilizia (ex multis: TAR
Campania, Napoli, sez. VIII, 03.04.2017 n. 1776; TAR
Lazio, Latina, sez. I, 23.09.2015 n. 634; TAR
Lazio, Roma, sez. II, 27.11.2014 n. 11887; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, 18.04.2013 n. 2053).
Nel
medesimo senso depone anche la considerazione che ANAS
s.p.a. è l’unico soggetto competente ad esprimersi sulla
sicurezza o meno della viabilità su una strada statale, con
l’effetto che, come ben osserva la ricorrente, la
determinazione da esso assunta “non può essere
sostituita/surrogata da alcun altro ente (men che meno dal
Comune, avendo quest’ultimo competenza solo sulla viabilità
comunale”.
5. Nel merito, il ricorso è infondato.
Infatti, con riferimento alla questione, dirimente,
dell’applicabilità al caso di specie dell’art. 32, l. n. 47
cit., ovvero del successivo art. 33, si osserva che le opere
abusive di cui al presente giudizio sono state pacificamente
eseguite nel 1980, cioè dopo l’apposizione del vincolo
stradale, ai sensi dell’art. 41-septies, l. 17.08.1942
n. 1150, aggiunto dall’art. 19, l. 06.08.1967 n. 765, e
delle norme di attuazione recate dal d.m. 01.04.1968.
Ne consegue che nel caso di specie non viene in questione
l’art. 32, comma 2, lett. c), l. n. 47 cit., che riguarda l’inedificabilità
relativa di opere insistenti su aree “vincolate dopo la loro
esecuzione”, bensì l’art. 33, commi 1, lett. d), e 3, cit.,
concernente i vincoli di inedificabilità assoluta “imposti
prima della esecuzione delle opere stesse” (TAR Campania,
Napoli, sez. II, 30.01.2013 n. 660; TAR
Friuli Venezia Giulia, sez. I, 24.02.2012 n. 71).
Sul punto, è ormai jus receptum che il divieto di
costruzione entro la fascia di rispetto di una strada
statale comporta l’inedificabilità assoluta del suolo e,
dunque, la non sanabilità dell’opera, perché il vincolo è
incompatibile, per loro natura, con ogni manufatto (ex multis: Cons. Stato, sez. I, 27.05.2016 n. 282; TAR
Umbria, sez. I, 08.03.2018 n. 154).
Infatti, il c.d.
vincolo stradale implicante un divieto assoluto di
edificazione si traduce in una limitazione legale al diritto
di proprietà su categorie di beni individuate in via
generale per la loro posizione relative ad altri beni
destinati all’uso pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 10.01.2018 n. 90; sez. IV, 13.06.2017 n. 2878; sez. IV, 20.03.2017 n. 1225; sez. IV, 17.05.2012 n. 2842).
Per
effetto della natura assoluta di detto vincolo, poi, è stato
ritenuto che il diniego di condono di un edificio
abusivamente realizzato in sua violazione non richieda
nemmeno il previo accertamento sulla effettiva pericolosità
dello stesso per il traffico stradale (Cons. Stato, sez. IV,
06.05.2010, n. 2644; TAR Campania, Napoli, sez. II, 26.10.2012 n. 4283; TAR Campania, Salerno, sez. I, 17.09.2012 n. 1645; TAR Lazio, Latina, sez. I, 17.11.2011 n. 923).
In definitiva, stante tutto quanto sopra considerato, il
parere espresso da ANAS s.p.a. nell’impugnata nota del 30.09.2013 si sottrae ai vizi di legittimità denunciati
dal ricorrente.
6. Infine, ai sensi dell’art. 1, comma 1, l. cost. 09.02.1948 n. 1, si ritiene manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale, sollevata da parte
ricorrente, degli art. 32 e 33, l. n. 47 cit., in combinato
disposto con il d.m. 01.04.1968, per violazione degli
artt. 3, 42, 97 Cost., oltre che dagli artt. 117 Cost. e 5
TUE, nella parte in cui, per i fabbricati realizzati
successivamente all’entrata in vigore dello stesso decreto
ministeriale, prevedrebbe un indistinto diniego di
edificabilità per tutti gli immobili che ricadono nella
fascia di rispetto stradale, a prescindere dalla concreta
conformazione dei luoghi e della strada e da un effettivo
pericolo per la viabilità, dando vita a una limitazione del
diritto di proprietà “del tutto scissa (e/o comunque avulsa)
da qualunque concreto/qualificato interesse pubblico”.
Infatti, la limitazione al diritto di proprietà de qua, pur
particolarmente penetrante, non è, come pretende parte
ricorrente, del tutto scissa o avulsa da qualunque concreto
o qualificato interesse pubblico, rispondendo invece, come
chiarito da consolidata giurisprudenza, non solo
all’esigenza di garantire la sicurezza del traffico e
l’incolumità delle persone (Cass. civ., sez. I, 13.04.2012 n. 5875; TAR Lombardia, Milano, sez. II, 15.02.2013 n. 470) ma anche e soprattutto alla più ampia necessità
di assicurare all’ente proprietario o gestore della strada
una fascia di terreno da utilizzare, all’occorrenza, per
l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il
deposito di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni (cfr.: TAR Campania, Napoli, sez. VII, 21.10.2016 n. 4826; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 26.07.2016 n. 1887; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 10.07.2015 n. 1885; TAR Sicilia, Palermo, sez. II,
08.01.2015 n. 34) (TAR Lazio-Latina,
sentenza 11.07.2018 n. 397 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Distanze, chiarimenti sulla deroga per le costruzioni erette
a confine con piazze e vie pubbliche.
Le norme relative alle distanze non si applicano alle
costruzioni erette a confine con le piazze e le vie
pubbliche: in tal caso si devono osservare le leggi e i
regolamenti per esse specificamente dettati.
Ai sensi dell’art. 879, comma 2, del
Codice civile, le norme relative alle distanze non si
applicano alle costruzioni erette a confine con le piazze e
le vie pubbliche, dovendosi in tal caso osservare le leggi e
i regolamenti per esse specificamente dettati.
Lo ha precisato la IV Sez. del Consiglio di Stato con la
sentenza 24.05.2018 n. 3098, nella quale Palazzo
Spada ricorda che “secondo la Cassazione civile (cfr., ex
plurimis, Cass. civ. Sez. II, 12.02.2016, n. 2863), la
norma, esplicitamente riferita al caso di due fondi privati
separati da via pubblica, è a fortiori applicabile quando la
costruzione (nella specie un’edicola realizzata sul
marciapiede) è edificata su suolo pubblico”.
Nel medesimo senso, il Consiglio di Stato “ha fatto
osservare che la deroga prevista dall’art. 879, comma 2,
c.c., discende dalla considerazione che in presenza di una
strada pubblica non emerge tanto l'esigenza di tutelare un
diritto soggettivo privato, quanto quella di perseguire il
preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo
urbanistico, che trova la sua disciplina esclusivamente
nelle leggi e nei regolamenti urbanistico edilizi (Sez. IV,
14.12.2016, n. 5264)”.
In definitiva, conclude Palazzo Spada, “poiché l’edicola
è stata realizzata su suolo pubblico ed è accorpata ad
un’opera funzionale all’esercizio di un servizio pubblico,
ricorre obiettivamente una delle ipotesi per cui, sia in
base alle disposizioni codicistiche che a quelle
regolamentari vigenti nel Comune di Barga, era possibile
derogare alle disposizioni relative alle distanze dai
confini da osservarsi nelle nuove costruzioni”
(commento tratto da www.casaeclima.com).
---------------
3. L’appello è fondato.
3.1. Va anzitutto premesso che, ai sensi
dell’art. 879, comma 2, c.c., le norme relative alle
distanze non si applicano alle costruzioni erette a confine
con le piazze e le vie pubbliche, dovendosi in tal caso
osservare le leggi e i regolamenti per esse specificamente
dettati.
Secondo la Cassazione civile (cfr., ex plurimis,
Cass. civ. Sez. II, 12.02.2016, n. 2863),
la norma, esplicitamente riferita al caso di due fondi
privati separati da via pubblica, è a fortiori
applicabile quando la costruzione (nella specie un’edicola
realizzata sul marciapiede) è edificata su suolo pubblico.
Nello stesso senso, questo Consiglio ha fatto osservare che
la deroga prevista dall’art. 879, comma 2, c.c.,
discende dalla considerazione che in presenza di una strada
pubblica non emerge tanto l'esigenza di tutelare un diritto
soggettivo privato, quanto quella di perseguire il
preminente interesse pubblico ad un ordinato sviluppo
urbanistico, che trova la sua disciplina esclusivamente
nelle leggi e nei regolamenti urbanistico edilizi
(Sez. IV, 14.12.2016, n. 5264).
3.2. Nel caso di specie, risultano poi dirimenti le delibere
di Giunta n. 130/2002 e n. 182/2002, nonché il tenore (e la
finalità) dell’art. 9.10 del Regolamento edilizio all’epoca
vigente nel Comune di Barga.,
Dalla delibera di Giunta n. 130 del 28.05.2002 risulta che “il
totale rifacimento della piazza sui cui insiste l’edicola ha
consigliato l’Amministrazione a richiedere al concessionario
la sostituzione del manufatto per adeguarlo, sotto l’aspetto
estetico, al nuovo circostante arredo urbano” e che “in
tale contesto la stessa amministrazione comunale ha
richiesto al concessionario di gestire gli adiacenti
gabinetti pubblici da anni inutilizzati proprio per carenza
di manutenzione, pulizia e gestione”.
Inoltre “il concessionario ha aderito alla richiesta
dell’Amministrazione comunale, indicando nuove condizioni in
relazione all’alto costo dell’intervento facendosi carico
anche della ristrutturazione dei servizi igienici pubblici
che andranno a formare una unica struttura con l’edicola”.
La Giunta ha quindi ritenuto di “dover attuare nelle
forme sopraindicate l’opera pubblica ricomprendendovi anche
l’edicola per la connessione con i servizi igienici di cui
sopra”.
Contestualmente, risulta essere stata rilasciato un nuovo
atto di concessione di suolo pubblico, “redatto in
conseguenza della nuova superficie concessa e necessaria
alla posa in opera di un manufatto che esteticamente si
adegui alla nuova piazza”.
La delibera si conclude con l’autorizzazione dell’originaria
concessionaria a presentare il progetto relativo al nuovo
manufatto e dà atto che l’intervento costituisce “per una
parte opera pubblica e per la parte residuale opera di
pubblica utilità”.
Il progetto risulta essere stato approvato, sempre dalla
Giunta, con la successiva delibera n. 182 del 26.07.2002.
Tale sequenza procedimentale rende evidente:
- che il rifacimento dell’edicola è stato sollecitato dal Comune
nel quadro della risistemazione della piazza IV Novembre;
- che è stato deliberato anche il rifacimento dei servizi igienici
pubblici, accorpandoli con l’edicola;
- che il titolare dell’edicola (nonché concessionario del suolo
pubblico) si è contestualmente impegnato a garantire la
gestione dei servizi igienici pubblici.
E’ quindi vero che l’edicola, come fatto osservare dal primo
giudice, non è un manufatto precario e che ospita un
attività commerciale.
Egli ha tuttavia non adeguatamente valutato che, insistendo
il manufatto sul suolo pubblico ed essendo stato fisicamente
accorpato ad un’opera incontestabilmente pubblica,
ricorrevano tutti i presupposti per applicare l’art. 9.10
del Regolamento edilizio, secondo cui “il Sindaco, previa
deliberazione del Consiglio comunale, ha facoltà di derogare
dalle disposizioni del presente Regolamento e da quelle dei
vigenti strumenti urbanistici limitatamente ai casi di
edifici ed impianti pubblico o di interesse pubblico”,
con la precisazione che (ultimo capoverso, punto 2): “per
edifici ed impianti di interesse pubblico debbono intendersi
quelli che, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che
li realizzano, enti pubblici o privati, siano destinati a
finalità di carattere generale”.
Non è poi un caso che, nella fattispecie, gli elaborati
progettuali siano stati approvati dalla stessa Giunta che
aveva programmato la ristrutturazione dell’edicola e dei
servizi igienici pubblici quali opere funzionali alla nuova
sistemazione della piazza laddove, ove si fosse trattato di
rilasciare un normale permesso di costruire, sarebbe stato
sufficiente l’intervento del dirigente competente.
In definitiva, poiché l’edicola è stata
realizzata su suolo pubblico ed è accorpata ad un’opera
funzionale all’esercizio di un servizio pubblico, ricorre
obiettivamente una delle ipotesi per cui, sia in base alle
disposizioni codicistiche che a quelle regolamentari vigenti
nel Comune di Barga, era possibile derogare alle
disposizioni relative alle distanze dai confini da
osservarsi nelle nuove costruzioni.
4. Per quanto appena argomentato, l’appello deve essere
accolto, con il conseguente rigetto, in riforma della
sentenza gravata, del ricorso di primo grado. |
EDILIZIA PRIVATA: A prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo”
della piscina costruita (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome”
le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione) è pacifico che il vincolo delle fasce di rispetto
autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende
inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla
necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione
stradale”.
---------------
Con il ricorso straordinario in esame si chiede l’annullamento della nota
della Società autostrade per l’Italia con la quale è stato espresso parere
negativo sulla istanza di deroga alla distanza minima dal sito autostradale
per la realizzazione di una piscina accanto alla villetta di proprietà dei
ricorrenti ricadente nella fascia di rispetto autostradale, nonché del
silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di accertamento di conformità
presentata al comune di Isola del Cantone ai sensi dell’articolo 43 della
legge regionale della Liguria n. 16 del 2008.
In data 29.06.2016, l’amministrazione comunale, avendo ricevuto una
segnalazione dalla Società autostrade per l’Italia e dopo aver effettuato un
sopralluogo, comunicava ai ricorrenti l’avvio del procedimento di adozione
dei provvedimenti sanzionatori ai sensi della legge regionale n. 16 del 2008
per la presenza di “opere eseguite in fascia di rispetto autostradale”.
In data 23.09.2016 i ricorrenti presentavano al comune di Isola del Cantone
un’istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’articolo 43 della
legge regionale n. 16 del 2008 e, alla Società autostrade per l’Italia, in
data 30.09.2016, una richiesta di deroga alla distanza minima della
costruzione dal “nastro autostradale”.
La nota della Società autostrade per l’Italia, impugnata con il ricorso in
esame, motiva il parere negativo affermando che “secondo le direttive del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, è da ritenersi nuova
edificazione e, pertanto, non ammissibile all’interno della fascia di
rispetto autostradale”.
...
Premesso che non è contestata dai ricorrenti la collocazione dell’opera
all’interno della fascia di rispetto, con il primo motivo, articolato
in tre punti, viene rappresentata, in primo luogo, la “violazione e falsa
applicazione dell’articolo 18 del decreto legislativo n. 285 del 1992 e
dell’articolo 28 del d.p.r. n. 495 del 1992; la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del 2001 e degli articoli 15
e 17 della legge regionale n. 16 del 2008 in relazione all’articolo 11 delle
NTA del PUC del comune di Isola del Cantone del 28.10.2016; l’eccesso di
potere per difetto di istruttoria, difetto e travisamento dei presupposti,
illogicità della motivazione”.
La doglianza riguarda l’attribuzione all’opera in questione della
qualificazione di “nuova edificazione”: ad avviso dei ricorrenti la
realizzazione di una piscina con superficie pari a circa 19 mq. è invece da
ritenersi opera pertinenziale ai sensi dell’articolo 3 del d.p.r. n. 380 del
2001 e della legge regionale n. 16 del 2008, secondo cui le pertinenze
possono essere assimilabili a interventi di nuova costruzione soltanto se
ciò è previsto dagli strumenti urbanistici.
Nel caso di specie tale condizione non sarebbe realizzata in base a quanto
previsto dall’articolo 11 delle NTA del comune di Isola del Cantone.
Conseguentemente, non sarebbe applicabile il divieto di cui all’articolo 18
del decreto legislativo n. 285 del 1992 e all’articolo 28 del d.p.r. n. 495
del 1992.
In secondo luogo, viene evidenziata la modesta entità dell’intervento che,
anche nell’ipotesi denegata di “nuova costruzione” avrebbe dovuto
indurre alla formulazione di un parere positivo da parte della Società
autostrade per l’Italia, tenuto conto peraltro della sua collocazione al
limite della zona di rispetto.
In terzo luogo, viene lamentata la carenza della motivazione, che non indica
le “ragioni connesse alle finalità del vincolo autostradale”.
Con il secondo motivo si deduce la “invalidità derivata e propria
del silenzio-rifiuto ai sensi dell’articolo 49, comma 4, della legge
regionale n. 16 del 2008 formatosi sull’istanza di accertamento di
conformità dei ricorrenti”. In sostanza, si estendono al silenzio-rifiuto le medesime doglianze evidenziate con il primo motivo.
I motivi proposti non sono accoglibili.
A prescindere dal carattere “pertinenziale” o “autonomo”
dell’opera (peraltro la giurisprudenza è incline a considerare “autonome”
le piscine se stabili e richiedenti lavori rilevanti per la realizzazione,
come appare nel caso di specie – Cons. Stato, sez. IV, sent. 31.08.2016, n.
3739) è pacifico, infatti, che il vincolo delle fasce di rispetto
autostradale costituisce un “divieto assoluto di costruire” che “rende
inedificabili le aree site in fascia di rispetto stradale o autostradale,
indipendentemente dalle caratteristiche dell’opera realizzata o dalla
necessità di accertamento in concreto di connessi rischi per la circolazione
stradale” (Cons. Stato, sezione IV, sent. 08.06.2011, n. 3498; sezione
VI, sent. 24.11.2015, n. 5326).
Né vale ad affermare il contrario il riferimento, contenuto nel ricorso
straordinario, alla sentenza di questo Consiglio (sezione IV, sent.
27.01.2015, n. 347) nella quale dopo aver confermato “in linea di
principio” la inedificabilità assoluta nelle fasce di rispetto
autostradale si affronta una situazione definita “eccezionale” in ragione
della collocazione dell’opera su una collina a un dislivello di almeno 70 m
dal sito autostradale e consistente in un ampliamento sul “retro”
della costruzione preesistente e quindi non verso la sede autostradale.
Circostanze che non ricorrono nel caso in esame.
Il ricorso è, pertanto, infondato (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 26.03.2018 n. 792 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
autostradale ha carattere assoluto e prescinde dalle
caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n. 729 (e
dal susseguente d.m. 01.04.1968 n. 1404) non può essere
inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la
conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche
con riferimento ad opere che non superino il livello della
sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o
che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto
alle opere preesistenti.
---------------
3.2. Tanto premesso deve essere esaminata la doglianza
contenuta nell’odierno gravame principale nella misura in
cui si invoca la necessità di un prudente apprezzamento del
vincolo in questione e se ne sostiene la non applicabilità
al caso in esame anche in ragione della peculiarità della
fattispecie.
La giurisprudenza di questo Consiglio, come quella della
Corte di Cassazione, ha sostenuto in modo costante il
carattere inderogabile del vincolo.
Il vincolo d'inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto e prescinde
dalle caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il
divieto di costruzione sancito dall'art. 9 l. 24.07.1961 n.
729 (e dal susseguente d.m. 01.04.1968 n. 1404) non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, dal concessionario, per l'esecuzione dei
lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la
conseguenza che le distanze previste vanno osservate anche
con riferimento ad opere che non superino il livello della
sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o
che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto
alle opere preesistenti (ex plurimis, Cons. St., Sez.
IV, 2062/2013; Id., Sez. I, 282/2016; Id., Sez. IV
5014/2015; Cass. civ., Sez. I, 25401/2016; Id., 25668/2015) (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.02.2018 n. 1250 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Lo strumento della cessione di cubatura (o
asservimento), quale espressione dell’autonomia negoziale
delle parti, è limitabile dalla Pubblica amministrazione
solo espressamente ed a chiare e specifiche condizioni (che,
nella fattispecie, si rinvengono nel disposto dell’art. 13
del regolamento edilizio, secondo cui nei singoli lotti non
è in ogni caso possibile superare l’indice territoriale di
0,70 mc/mq).
---------------
Le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M.
1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le
luci e trovano applicazione anche quando solo una delle
pareti antistanti risulta finestrata e non entrambe.
Inoltre, essendo finalizzate a stabilire un’idonea
intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, e non a
salvaguardare l’interesse privato del frontista alla
riservatezza, la circostanza che si tratti di corpi di uno
stesso edificio, ovvero di edifici distinti, non può
dispiegare alcun effetto distintivo.
---------------
La distanza degli edifici dal limite della strada, che va
misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della
via, deve tenere conto del marciapiede, il quale fa parte
della strada, quale tratto di essa situato fuori dalla
carreggiata e normalmente destinato alla circolazione dei
pedoni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale.
---------------
La ditta ricorrente impugna, per violazione di legge ed
eccesso di potere, il diniego di permesso di costruire,
opposto dal Comune di Tortora, in relazione alla
realizzazione di un immobile in contrada Riviera.
I motivi di diniego riguardano:
- l’impossibilità di accedere alla cessione della cubatura
mancante, in applicazione dell’art. 13 del regolamento
edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso
possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 10 tra pareti
finestrate di edifici;
- il mancato rispetto della distanza minima di m. 5 dal ciglio
stradale.
In proposito, sostiene la società ricorrente: che non sono
consentiti, da parte dell’autorità comunale, limiti ad un
istituto civilistico, qual è la cessione di cubatura; che la
distanza minima di m. 10 tra pareti finestrate di edifici
non opera per le luci e quando solo una delle pareti
antistanti risulta finestrata; che, nel computo della
distanza minima di m. 5 dal ciglio stradale, non si deve
tenere conto del marciapiede.
Resiste il Comune di Tortora.
Il ricorso è infondato e va respinto.
I rilievi della P.A. sono infatti da ritenere tutti
legittimi, posto che:
a) lo strumento della cessione di cubatura (o asservimento), quale
espressione dell’autonomia negoziale delle parti, è
limitabile dalla Pubblica amministrazione solo espressamente
ed a chiare e specifiche condizioni (cfr. TAR Campania,
Salerno, Sez. I, 27.10.2015 n. 2260) che, nella fattispecie,
si rinvengono nel disposto dell’art. 13 del regolamento
edilizio, secondo cui nei singoli lotti non è in ogni caso
possibile superare l’indice territoriale di 0,70 mc/mq;
b) le distanze tra pareti di edifici ex art. 9, comma 1, D.M.
1444/1968 valgono non solo per le finestre, ma anche per le
luci (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 18.06.2009 n. 4015; TAR
Piemonte, Sez. I, 02.12.2010 n. 4374) e trovano applicazione
anche quando solo una delle pareti antistanti risulta
finestrata e non entrambe (cfr. TAR Veneto, Sez. II,
16.03.2010 n. 823). Inoltre, essendo finalizzate a stabilire
un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico,
e non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla
riservatezza (cfr. Cass. civ., Sez. II, 26.01.2001 n. 1108),
la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso
edificio, ovvero di edifici distinti, non può dispiegare
alcun effetto distintivo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV,
05.12.2005 n. 6909 e TAR Lombardia, Brescia, Sez. I,
08.07.2010 n. 2461);
c) la distanza degli edifici dal limite della strada, che va
misurata dal profilo estremo degli sporti al ciglio della
via (cfr. Cass. civ., Sez. II, 03.08.1984 n. 4624), deve
tenere conto del marciapiede, il quale fa parte della
strada, quale tratto di essa situato fuori dalla carreggiata
e normalmente destinato alla circolazione dei pedoni, ai
sensi dell’art. 2, comma 1, del codice stradale (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 17.01.2018 n. 138 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
realizzazione di una scala esterna ad un fabbricato
– affaccio su strada comunale – incidenza sulla fascia di
rispetto stradale – deroghe di cui alla L.R. n. 24/2009 -
parere
(Legali Associati per Celva,
nota
28.03.2017 - tratto da www.celva.it).
---------------
Problema riscontrato: La scrivente amministrazione
intende chiedere chiarimenti circa la possibilità di
realizzare una scala esterna ad un fabbricato per l’accesso
al piano primo (oggi sottotetto non abitabile, ma nel quale
il proprietario intende realizzare una nuova unità abitativa
con la L.R. 24/2009 e smi).
Per la precisione la scala esterna sarebbe su una porzione
di proprietà privata adiacente alla strada comunale, ma di
fatto inglobata nella strada stessa da tempo. Tale porzione,
infatti, è completamente asfaltata e costituisce un tutt’uno
con la strada comunale a meno di due gradini in pietra che
servono per accedere all’abitazione al piano terra. La scala
in progetto partirebbe da tali gradini e salirebbe al piano
primo lungo il fianco del fabbricato. Una parte della scala,
quindi, sarebbe all’interno dell’ingombro dei 2 gradini
preesistenti, il resto sarebbe sulla succitata porzione di
terreno di proprietà privata che di fatto costituisce un
tutt’uno con la strada comunale.
Su tale porzione di terreno, non risulta che siano mai stati
fatti atti di qualunque tipo che ne indichino l’uso
pubblico, è solo negli anni stata asfaltata ed in parte
usata come se fosse parte della strada comunale.
Il fabbricato ricade in zona urbanistica “A” di P.R.G.C.
La nuova scala in progetto, per la presenza dei due gradini
preesistenti a terra, non andrebbe a restringere la sede
della strada comunale, ma, essendo posta ad un incrocio,
ridurrebbe leggermente la visibilità e renderebbe più ardua
la svolta.
Riferimenti normativi: Codice civile - DM 1444/1968 -
Codice della Strada - LR 24/2009 - LR 11/1998
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: L’utenza
ha prodotto un proprio parere ma che lascia forti dubbi
quindi non esprimiamo possibile soluzione
Quesiti: Sulla base delle sopra citate premesse, la
scrivente amministrazione vorrebbe sapere se:
• la scala è un manufatto che può essere o meno realizzato
all’interno della fascia dei 5m di rispetto della strada
comunale;
• se, all’interno di un procedimento di ampliamento volumetrico ex
L.R. 24/2009 dell’unità immobiliare al piano primo, dato che
tale legge prevede la possibilità di costruire all’interno
della fascia di rispetto della strada comunale mantenendo
gli allineamenti preesistenti, la scala potrebbe essere
considerata come parte dell’ampliamento (anche se non
costituisce il volume di ampliamento) e se, in caso
affermativo, i due gradini preesistenti possano essere
considerati come allineamento preesistente e quindi la scala
in progetto all’interno degli allineamenti preesistenti e
quindi realizzabile. |
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
costruzione di un fabbricato lungo una strada privata –
qualificazione della strada – assoggettamento ad uso
pubblico – non sussiste – fasce di rispetto stradale –
inapplicabilità codice della strada – applicazione norme
PRGC – parere
(Legali Associati per Celva,
nota
23.03.2017 - tratto da www.celva.it).
---------------
Problema riscontrato: Distanze da rispettare nel
caso di costruzioni in lotti adiacenti a strade private.
Riferimenti normativi: art. 25 N.T.A. del PRG
Ipotesi di risoluzione da parte dell'ente: Stante
l’assenza di classificazione, consentire le costruzioni
senza imporre fasce di rispetto nei confronti della "strada"
di accesso ai fondi privati.
Quesiti: 1) come classificare una strada privata in
assenza di una sua definizione nel Regolamento edilizio; 2)
necessità o meno di disciplinare le fasce di rispetto delle
costruzioni in relazione alle strade private. |
anno
2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Come è noto, le fasce di rispetto
individuano le distanze minime a protezione
del nastro stradale dall’edificazione e
coincidono, dunque, con le aree esterne al
confine stradale finalizzate alla eliminazione
o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992). Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale"
-che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative. Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine
recepite nella strumentazione urbanistica
primaria. La giurisprudenza ha in proposito
precisato che il divieto in oggetto risulta
finalizzato a mantenere una fascia di
rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di
lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale
allargamento della sede stradale, nonché per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione; per
cui le relative distanze vanno rispettate
anche con riferimento ad opere che non
superino il livello della sede stradale. ---------------
In ordine alla
Circolare Ministero dei LL.PP. – Direzione Generale Circolazione e Traffico n. 5980 del 30.12.1970, emanata allo scopo di assicurare uniforme applicazione alle disposizioni del D.M. n. 1404 dell’01.04.1968,
con esclusione soltanto di quelle aventi
carattere di edificazione quali alberghi e
motel, ristoranti, stazioni di servizio che
svolgono attività diversa da quella del
soccorso immediato, il relativo contenuto, nella sua portata esplicativa, non può che essere inteso alla luce dei contenuti della giurisprudenza in materia. E’ pur vero che, talvolta, la giurisprudenza ha ritenuto assentibili insediamenti di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti, come per es.
- un parcheggio a raso o
- un impianto di carburanti
assumendo che “in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare".
Inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del dlgs 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada”. In tutte queste ipotesi, tuttavia, il parametro di riferimento era contenuta negli atti di pianificazione comunale, orientati a conferire alle predette fasce destinazioni compatibili con le finalità enucleate dalla giurisprudenza, insuscettibili di una lettura estensiva o analogica, siccome norme di stretta interpretazione. Per converso, laddove detta previsione non vi sia, la fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello ius aedificandi:
come stabilito dall’art. 26 del Regolamento
del Codice della Strada, al suo interno non è
consentito costruire, ricostruire o ampliare
fabbricati.
--------------- 7.- Nel merito, carattere dirimente assume, per il Tribunale, la circostanza ostativa per la quale, l’area di intervento ricade all’interno della fascia di rispetto della S.S. n. 19, ed il PRG di Battipaglia nelle fasce di rispetto stradale consente la sola realizzazione di impianti per la gestione della rete stradale. Le censure con le quali parte ricorrente ha gravato siffatto profilo, non risultano condivisibili. 7.a- Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992). Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale"
-che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095). Le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620). La giurisprudenza ha in proposito precisato che il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla percorribilità della via di comunicazione; per cui le relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad opere che non superino il livello della sede stradale (cfr. Cass. n. 6118 dell’01.06.1995; Cons. Stato, IV, n. 7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR Campania, Napoli, n. 5226/2001). 7.b.- Ciò premesso, risulta
per tabulas, giusta documentazione versata in atti, che la strumentazione urbanistica del comune di Battipaglia (Prg approvato con decreto Ministro LL. PP. del 20.03.1972) consente nelle fasce di rispetto stradale solo “impianti per la gestione della rete stradale”. 7.c.- Quest’ultima indicazione, ad avviso di parte attorea, consentirebbe la realizzazione dell’impianto progettato, afferente ad attività di soccorso stradale, che, ad ogni effetto, rientrerebbe tra le attività ammesse dal punto 7 della
Circolare Ministero dei LL.PP. – Direzione Generale Circolazione e Traffico n. 5980 del 30.12.1970, emanata allo scopo di assicurare uniforme applicazione alle disposizioni del D.M. n. 1404 dell’01.04.1968, con esclusione soltanto di quelle aventi carattere di edificazione quali alberghi e motel, ristoranti, stazioni di servizio che svolgono attività diversa da quella del soccorso immediato. 7.d.- Il Collegio non condivide la tesi attorea. Il contenuto della menzionata circolare, nella sua portata esplicativa, non può che essere inteso alla luce dei contenuti della giurisprudenza in materia (riportata al punto 7.a) del capo che precede). E’ pur vero che, talvolta, la giurisprudenza ha ritenuto assentibili insediamenti di attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti, come per es. un parcheggio a raso (ex multis Cons. St. n. 2880/2015) o un impianto di carburanti assumendo che “in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare"; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3, prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada” (TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050). In tutte queste ipotesi, tuttavia, il parametro di riferimento era contenuta negli atti di pianificazione comunale, orientati a conferire alle predette fasce destinazioni compatibili con le finalità enucleate dalla giurisprudenza, insuscettibili di una lettura estensiva o analogica, siccome norme di stretta interpretazione. Per converso, laddove detta previsione non vi sia, la fascia di rispetto stradale determina, dunque, una limitazione dello
ius aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, al suo interno non è consentito costruire, ricostruire o ampliare fabbricati (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 05.05.2010 n. 2673). 7.e.- Nel caso che ci occupa, lo strumento urbanistico vigente nel Comune di Battipaglia, consente di realizzare nelle fasce di rispetto stradali, fuori del centro abitato, “solo impianti per la gestione della rete stradale” che, ad avviso del Collegio, non sono identificabili con le opere da assentire con il progetto respinto dall’amministrazione comunale, atteso che la citata previsione afferisce ad opere che funzionalmente ed oggettivamente siano preordinate alla sola gestione della rete stradale. 7.e.1.- Emerge dalla descrizione delle opere contenuta in ricorso che parte ricorrente intende realizzare: un corpo di fabbrica destinato
- per circa 250,46 mq di superficie netta, a locali adibiti alla custodia degli autoveicoli e motoveicoli posti sotto sequestro dagli organi di polizia;
- per circa 27,55 mq destinato ad uffici di gestione e servizi;
- per circa 53,24 mq destinati a deposito, e
- per circa 65,88 mq di superficie netta destinati ad alloggio del custode. Trattasi all’evidenza di un impianto produttivo –da edificare al posto delle fatiscenti strutture in lamiere, oggetto di domanda di condono edilizio- incompatibile ed estraneo alla previsione urbanistica che consente di realizzare impianti per la gestione della rete stradale, atteso che le opere realizzande appaiono oggettivamente e funzionalmente connesse alle attività di sequestro, custodia e confisca amministrativa, non necessariamente ma solo occasionalmente riconducibile all’attività di soccorso stradale.
In sostanza, con il progetto denegato, parte ricorrente cerca di far discendere dalla funzione minoritaria ed eventuale dell’attività di soccorso, l’assenso alla realizzazione di un impianto produttivo funzionalmente preordinato ad altra attività -non riconducibile all’ipotesi contemplata dalla norma urbanistica- attraverso la costruzione di nuovi fabbricati, la ricostruzione e l’ampliamento di quelli esistenti. Per le suesposte ragioni, il ricorso è infondato e soggiace a reiezione (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.03.2016 n. 608 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS
(artt. 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento
di attuazione (artt. 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992). Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale"
-che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative.
Come affermato dalla Cassazione, poi, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente"
non edificabili. Ciò è stato correttamente rilevato in passato, proprio dal TAR Veneto, Sez. I, 16.10.2006, n. 3442 (le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità
delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella
strumentazione urbanistica primaria.
---------------
Le delibere consiliari di
adozione e di approvazione della variante parziale al PRG vigente, nella parte in cui modificano l’art. 61 delle NTA consentendo lo svolgimento dell’attività di imprenditoriale parcheggio nella fasce di rispetto stradali, non sono affette dai riscontrati vizi e devono essere reputate legittime.
Tale approdo appare conforme a quanto a più riprese
affermato da condivisibile giurisprudenza di merito che, a
più riprese, ha interpretato in termini non assoluti le
prescrizioni del codice della strada in premessa citate. Giova precisare, infatti, che a più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minore, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3 prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del dlgs 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada”. Con riguardo all'ampiezza della fascia di rispetto stradale, si rileva che la medesima, in un contesto urbano densamente edificato ed abitato, persegue una serie di ragionevoli finalità -non limitate alla mera sicurezza ed alla conservazione/manutenzione delle vie, come per il D.M. n. 1444/1968- determinate proprio dalla presenza dell'elemento umano -destinazione pedonale, a parcheggio, misure antinquinamento, anche acustico, arredo urbano- oppure ricollegabili a criteri urbanistico-estetici.
--------------- 4.1. Il Collegio non concorda con la tesi esposta dal Tar e concorda invece con la tesi esposta dal Comune di Venezia appellante incidentale e dall’appellante principale Ma.Po.Pa.. Come è noto, le fasce di rispetto individuano le distanze minime a protezione del nastro stradale dall’edificazione e coincidono, dunque, con le aree esterne al confine stradale finalizzate alla eliminazione o riduzione dell’impatto ambientale. L’ampiezza di tali fasce ovvero le distanze da rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni e ricostruzioni e negli ampliamenti fronteggianti le strade, trova disciplina in quanto stabilito dal NCS (articoli 16, 17 e 18, del D.LGT n. 285/1992) e dal Regolamento di attuazione (articoli 26, 27 e 28, del DPR n. 495/1992). Il vincolo di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale"
-che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia della programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
Come affermato dalla Cassazione poi, in presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree “giuridicamente" non edificabili (cfr.
infra multa: Cassazione civile, sez. I, 13.04.2006, n. 8707; Cassazione civile, sez. I, 28.10.2005, n. 21092). Ciò è stato correttamente rilevato in passato, proprio dal TAR Veneto, Sez. I, 16.10.2006, n. 3442 (le fasce di rispetto stradale previste dal D.Lgs. n. 285 del 1992 e dal D.P.R. n. 495 del 1992 non costituiscono vincoli urbanistici, ma misure poste a tutela della sicurezza stradale che, tuttavia, comportano l'inedificabilità delle aree interessate e sono a tal fine recepite nella strumentazione urbanistica primaria (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, sez. IV, 20.10.2000, n. 5620). Il Tar, che nelle premesse descrittive (punto 7) sembrava avere correttamente colto che la modifica introdotta non escludesse che i parcheggi a raso siano a “servizio della strada” e, ancora, che risultino rispettate le previsioni urbanistiche di zona, è pervenuto ad una interpretazione contraria alle legittimità della variante, sulla scorta della considerazione che il parcheggio fosse organizzato con struttura imprenditoriale. 4.2. Contrariamente a quanto in sentenza esposto, non pare al Collegio che la possibile circostanza che un parcheggio sia organizzato in forma imprenditoriale leda alcuna delle dette esigenze/necessità. Innanzitutto è improprio richiamare nel caso di specie il concetto di “zonizzazione”: esso non rileva, in quanto la autonomia della disciplina delle fasce di rispetto stradale fa si che ivi possa essere autorizzata attività “eccentrica” rispetto alle prescrizioni della zonizzazione, purché comunque svolta a beneficio della circolazione stradale, e nel rispetto della sicurezza degli utenti. Con delibazione non illogica né abnorme, ma, anzi, positivamente apprezzabile, il Comune di Venezia ha ritenuto, ed ha inteso specificare, che tale possa essere l’allocazione di parcheggi a raso. In particolare –sempre valutando la problematica sotto il profilo urbanistico, l’unico rilevante nella specie e l’unico rientrante nella giurisdizione di questo Collegio- la circostanza che la possibilità di parcheggiare possa essere subordinata al versamento di un controvalore in denaro (né più né meno di ciò che avviene in presenza delle c.d. “zone blu” in tutte le città d’Italia, si badi) non implica il venire meno della condizione che il parcheggio sia “posto al servizio della strada e degli utenti”: il rispetto delle previsioni urbanistiche di zona (rectius: la neutralità delle stesse, ai fini della legittimità della allocazione di parcheggi nelle fasce di rispetto) discende dalla stessa destinazione delle medesime. Le affermazioni del Tar sono evidentemente fuorviate dalla riscontrata destinazione “allo svolgimento di un’attività commerciale e imprenditoriale”, e dalla imprenditorialità della iniziativa in questione fanno discendere in automatico la conseguenza che i detti parcheggi a raso, non siano “al servizio della strada”: parte appellante principale ha buon giuoco nel constatare che la “patrimonializzazione” del parcheggio, non implica che lo stesso cessi per ciò solo di essere posto al servizio degli utenti della strada, ovvero crei pericoli per la sicurezza stradale. Tale profilo di accoglimento del mezzo di primo grado appare al Collegio inesatto, e va pertanto riformato. Il Tar si era espresso statuendo “l’annullamento in parte qua anche della delibera del Consiglio Comunale n. 59/2013 laddove possa essere interpretata nel senso di costituire il presupposto per lo sfruttamento commerciale della fascia di rispetto stradale in violazione della disciplina urbanistica.” In contrario senso, evidenzia il Collegio che le delibere n. 5/2013 (di adozione) e n. 59/2013 (di approvazione) della variante parziale al PRG vigente, nella parte in cui modificano l’art. 61 delle NTA consentendo lo svolgimento dell’attività di imprenditoriale parcheggio nella fasce di rispetto stradali non sono pertanto affette dai riscontrati vizi e devono essere reputate legittime. Tale approdo appare conforme a quanto a più riprese affermato da condivisibile giurisprudenza di merito che, a più riprese, ha interpretato in termini non assoluti le prescrizioni del codice della strada in premessa citate (TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050). Giova precisare, infatti, che a più riprese è stato consentito un utilizzo delle c.d. “fasce di rispetto” che, oggettivamente, pare di utilità minore, per gli utenti della strada, rispetto ad un parcheggio a raso (“in via generale, la fascia di rispetto stradale non può rappresentare un ostacolo all'insediamento di nuovi impianti di distribuzione dei carburanti che costituiscono un ordinario completamento della strada su cui circolano autoveicoli che devono necessariamente potersi approvvigionare; inoltre, il d.lgs. 32/1998 consente l'installazione degli impianti all'interno delle fasce di rispetto stradale in quanto all'art. 2, comma 3 prescrive espressamente che i Comuni debbano "individuare le destinazioni d'uso compatibili con l'installazione degli impianti all'interno delle zone comprese nelle fasce di rispetto di cui agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 30.04.1992, n. 285, recante il Nuovo codice della strada” TAR Molise Campobasso Sez. I, 23.09.2010, n. 1050). Anche in epoca più risalente, la giurisprudenza di merito ha patrocinato un approdo coincidente con quello raggiunto dal Collegio e sostenuto dall’appellante principale e dal Comune di Venezia (TAR Puglia Lecce Sez. I, 14.09.2006, n. 4456). Con riguardo all'ampiezza della fascia di rispetto stradale, si rileva che la medesima, in un contesto urbano densamente edificato ed abitato, persegue una serie di ragionevoli finalità -non limitate alla mera sicurezza ed alla conservazione/manutenzione delle vie, come per il D.M. n. 1444/1968- determinate proprio dalla presenza dell'elemento umano -destinazione pedonale, a parcheggio, misure antinquinamento, anche acustico, arredo urbano- oppure ricollegabili a criteri urbanistico-estetici (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 11.06.2015 n. 2880 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
materia di condono edilizio, il parere dell'ente
proprietario della strada (fascia di rispetto stradale) deve
far riferimento al "centro abitato" al momento in cui si
svolge l'istruttoria dell'istanza e non alla data di
esecuzione dell'abuso.
La valutazione richiesta dall’art. 32 della legge
n. 47 del 1985 all’Amministrazione preposta alla tutela del
vincolo, essendo relativa al dato concreto dell’esistenza o
meno di un centro abitato conglobante l’immobile
interessato, deve necessariamente avere attinenza alle
concrete ed effettive coordinate di spazio e di tempo in cui
tale immobile è calato: per tali intendendosi le reali
condizioni dei luoghi.
La valutazione dell’Amministrazione deve, in altre parole,
essere condotta alla stregua delle specifiche condizioni di
fatto del contesto del quale il manufatto fa parte,
esistenti al momento in cui si svolge il relativo
procedimento. È a tale condizione materiale, invero, che
risponde l’interesse curato dalla disposizione, che è quello
alla sicurezza permanente degli abitati.
Ad altro, vale a dire alla sicurezza del traffico, è
finalizzata la qualificazione normativa delle norme sulla
circolazione stradale: ieri dell’art. 2 d.P.R. 15.06.1959,
n. 393 per cui è centro abitato un insieme continuo di
edifici, strade ed aree delimitato, lungo le vie di accesso,
da apposito segnale; e poi, dell’art. 3, comma 8, e 4 d.lgs.
30.04.1992, n. 285, per il quale il centro abitato
s’identifica in un agglomerato di almeno venticinque
edifici, sebbene intervallati da strade, giardini od altro,
che spetta alla Giunta comunale individuare e delimitare.
Queste definizioni –per quanto qui occupa- possono invero
essere di ausilio per quanto concerne la caratterizzazione
di un centro abitato dal punto di vista materiale, non anche
per quanto concerne la sua identificazione formale
(cartello, individuazione ad opera della Giunta comunale).
I) I signori F.A.C. e P.T., eredi
del signor L.T., chiedono la riforma della
sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale
amministrativo del Lazio ha respinto il ricorso proposto dal
de cuius avverso il parere negativo espresso dall’Anas con
nota del 06.04.2005 sull’istanza di sanatoria edilizia
straordinaria (c.d. condono) presentata in data 03.12.1986 ai sensi della legge 28.02.1985, n. 47 di
un manufatto costruito abusivamente nel 1970, posto, secondo
il Tribunale amministrativo, a distanza di 23 metri dal
ciglio del Grande Raccordo Anulare.
Per ottenere l’esame
della domanda da parte del Comune il ricorrente in data 16
settembre ha chiesto all’Anas, ente preposto alla tutela del
vincolo stradale, il preliminare parere ex art. 32, quarto
comma, lett. c), della suddetta legge n. 47 del 1985.
Con la nota oggetto del ricorso di primo grado l’Anas ha
espresso parere negativo alla sanatoria, in quanto l’opera è
stata realizzata posteriormente al 13.04.1968 a distanza
non conforme a quanto stabilito dal decreto ministeriale 01.04.1968.
La sentenza ha rilevato che l’area su cui insiste la
costruzione risulta gravata dal vincolo di rispetto della
viabilità principale dell’autostrada Grande Raccordo Anulare
ed è successiva all’imposizione del relativo vincolo di
inedificabilità. Pertanto essa non è suscettibile di
sanatoria, dato che l’art. 32, quarto comma, lettera c),
della legge n. 47 del 1985 la consente solo per le opere
insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione […]
sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia alla
sicurezza del traffico.
II) Ha ricordato il primo giudice che la legge 21.05.1955, n. 463, di approvazione del Piano autostradale
nazionale, ha previsto che i tracciati delle quattro
autostrade che interessano il territorio della città di Roma
coincidano con l’inizio e con il termine del Grande Raccordo
Anulare, per evitare al traffico autostradale
l'attraversamento del centro cittadino. La legge 24.07.1961, n. 729, all’art. 13 ha autorizzato e finanziato la
realizzazione dei raccordi autostradali, prevedendone la
trasformazione in autostrade, poi effettuata per il Grande
Raccordo Anulare con decreto del ministro dei lavori
pubblici. Infine, nel 1962 è stato eseguito il primo
raddoppio di carreggiata nel tratto interessato.
Pertanto
legittimamente l’Anas ha escluso la sanabilità del
manufatto, realizzato su un’area già gravata da vincolo di inedificabilità, e non assumono valore contrario né
l’esistenza di altre costruzioni asseritamente autorizzate,
né l’inapplicabilità, in ragione della collocazione
dell’immobile, del decreto ministeriale 01.04.1968,
richiamato nel provvedimento impugnato. A quest’ultimo
riguardo la sentenza ha ritenuto non sufficiente la presenza
di un certo numero di edifici nell’area in questione per
ritenere l’esistenza di un centro abitato, e irrilevante la
più recente classificazione dovuta all’evoluzione dell’area
negli anni successivi.
III) La sentenza non può, sul punto appena evidenziato,
essere condivisa.
Giova premettere che il decreto ministeriale 01.04.1968
(Distanze minime a protezione del nastro stradale da
osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri
abitati, di cui all'art. 19 della legge 06.08.1967, n.
765), evocato dalla nota impugnata a preclusione della
sanatoria, prevede per le autostrade di qualunque tipo
(legge 07.02.1961, n. 59, art. 4) e per i raccordi
autostradali riconosciuti quali autostrade ed aste di
accesso fra le autostrade e la rete viaria della zona la
distanza minima di sessanta metri da osservarsi nella
edificazione a partire dal ciglio della strada e da
misurarsi in proiezione orizzontale (artt. 3 e 4: distanza
che comunque non risulterebbe rispettata neppure tenendo per
provata quella, pari a quaranta metri, di cui alla perizia
depositata in causa dagli appellanti).
Tale distanza, peraltro, deve essere osservata al di fuori
del perimetro dei centri abitati, come testualmente
precisano sia il decreto citato, sia l’art. 41-septies della
legge 17.08.1942, n. 1150, aggiunto dall’articolo 19
della legge 06.08.1967, n. 765, alla quale il citato
decreto ha dato attuazione.
La risposta all’istanza di condono richiesto dal ricorrente
sconta, pertanto, la collocazione del manufatto
(pacificamente realizzato, come si è detto, dopo
l’imposizione del vincolo autostradale e a distanza
inferiore a quella prescritta) all’interno del centro
abitato. Una tale effettiva collocazione conduce ad una
risposta positiva, essendo all’esterno operante la
preclusione per vincolo di inedificabilità imposto dal
citato decreto.
Il Collegio ritiene fondate le censure rivolte, sul punto,
avverso la sentenza impugnata dall’appellante.
IV) Deve, infatti, essere considerato che la valutazione
richiesta dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985
all’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo,
essendo relativa al dato concreto dell’esistenza o meno di
un centro abitato conglobante l’immobile interessato, deve
necessariamente avere attinenza alle concrete ed effettive
coordinate di spazio e di tempo in cui tale immobile è
calato: per tali intendendosi le reali condizioni dei
luoghi.
La valutazione dell’Amministrazione deve, in altre parole,
essere condotta alla stregua delle specifiche condizioni di
fatto del contesto del quale il manufatto fa parte,
esistenti al momento in cui si svolge il relativo
procedimento. È a tale condizione materiale, invero, che
risponde l’interesse curato dalla disposizione, che è quello
alla sicurezza permanente degli abitati.
Ad altro, vale a
dire alla sicurezza del traffico, è finalizzata la
qualificazione normativa delle norme sulla circolazione
stradale: ieri dell’art. 2 d.P.R. 15.06.1959, n. 393 per
cui è centro abitato un insieme continuo di edifici, strade
ed aree delimitato, lungo le vie di accesso, da apposito
segnale; e poi, dell’art. 3, comma 8, e 4 d.lgs. 30.04.1992, n. 285, per il quale il centro abitato s’identifica in
un agglomerato di almeno venticinque edifici, sebbene
intervallati da strade, giardini od altro, che spetta alla
Giunta comunale individuare e delimitare. Queste definizioni
–per quanto qui occupa- possono invero essere di ausilio
per quanto concerne la caratterizzazione di un centro
abitato dal punto di vista materiale, non anche per quanto
concerne la sua identificazione formale (cartello,
individuazione ad opera della Giunta comunale).
Nella fattispecie in esame il certificato di destinazione
urbanistica rilasciato dal Comune di Roma il 21.01.2015, depositato in atti, attesta comunque che la
costruzione di cui trattasi è attualmente inserita nel
tessuto urbanistico ed edilizio all’interno del piano
particolareggiato 13/F “La Rustica”, approvato con
deliberazione della Giunta regionale del Lazio in data 13.11.1984, con tessuto prevalentemente residenziale
secondo il Piano regolatore generale approvato il 12.02.2008.
Una tale essenziale caratteristica del luogo,
non solo ormai nella sua realtà profondamente mutato
rispetto al tempo della realizzazione del manufatto, ma
anche assoggettato a una tale qualificazione formale,
avrebbe dovuto essere considerata dall’Anas. Questa invece,
prescindendo da una siffatta indagine, si è attestata sulla
mera collocazione formale dell’area al tempo
dell’intervento, allora esterna al qualificato centro
abitato.
Ne deriva l’illegittimità del parere impugnato, che esclude
l’ulteriore sviluppo del procedimento, dato che la regola di
cui l’Anas ha fatto applicazione non è coerente con la
concreta e attuale caratteristica dell’area, ora, come si è
detto, anche formalmente inglobata dal centro abitato e
fronteggiata da altre costruzioni limitrofe al bordo del
Grande Raccordo Anulare.
Quanto al prosieguo del procedimento di condono qui in
questione, resta integro il potere dell’Anas, in sede di
rinnovo del parere prescritto dall’art. 32, 4° comma, lett.
c), della legge n. 47 del 1985, di valutare la compatibilità
dell’immobile con le esigenze di sicurezza del traffico.
È poi il caso di evidenziare, per la certezza dei rapporti,
che ai fini dell’eventuale sanatoria edilizia ordinaria le
considerazioni precluse all’Anas (in quanto attinenti al
vincolo di cui è custode) potranno trovare espressione da
parte del Comune, la cui valutazione prettamente edilizia
non potrà prescindere dall’esaminare la cosiddetta doppia
conformità dell’opera abusivamente realizzata, in rispetto
alla regola introdotta dall’art. 13, primo comma, della
legge n. 47 del 1985, oggi art. 36, comma 1, d.P.R. 06.06.2001, n. 380.
V) In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto,
con conseguente riforma della sentenza di primo grado e
annullamento del provvedimento oggetto del ricorso, salvi
gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 25.03.2015 n. 1582 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Non v’è dubbio che in base alla normativa del codice della strada la delimitazione del
centro abitato avviene con uno specifico procedimento; ma è altrettanto certo che in carenza di tale determinazione la questione controversa deve essere affrontata da un lato sulla base della normativa vigente all’epoca dell’abuso e per altro verso verificando sul piano del diritto urbanistico se la sussistenza di un
centro abitato possa essere rappresentata dall’assetto interamente urbanizzato della zona realizzatosi in forza del piano regolatore. Sotto il primo profilo occorre muovere dal dato normativo per cui, in base all’art. 9 della legge n. 761/1961, le costruzioni debbono tenersi a distanza di rispetto dall’autostrada non inferiore ai 25 m.l.. Tale norma, vigente all’epoca dell’abuso, per espressa disposizione dell’art. 17-quater della legge n. 765/1967, è rimasta in vigore ben oltre l’avvento del DM 01.04.1968 attuativo della stessa, ed è stata abrogata solo con l’intervento dell’art. 231 del nuovo codice della strada (d.leg.vo n. 295/1992). Quanto alla valenza delle disposizioni di PRG, occorre rilevare che, in base all’art. 7 (comma 2, n. 2) della legge n. 1150 del 1942 (come modificata dall’art. 1 della legge n. 1187/1968) il piano regolatore deve recare tra l’altro la “precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano”.
Più precisa è la disposizione introdotta dall’art. 18, secondo comma, della legge n. 865/1971 che, nel definire il “centro edificato” ai fini urbanistico-edilizi, e sostanzialmente precisando direttamente il contenuto che deve avere il provvedimento di delimitazione, stabilisce che esso “comprende tutte le aree edificate”... Con tale ambito appare quindi del tutto collimare la realizzata previsione di PRG relativa a zona a completamento residenziale e saturazione. Sul versante della nozione di
centro abitato emergente dal codice della strada, fermo restando che la sua perimetrazione avviene mediante lo specifico procedimento indicato dal codice della strada, il Collegio ritiene che la mancata osservanza di tale indicazione normativa non prelude che, ai differenti fini urbanistici, la definizione in questione possa essere individuata sulla base delle norme del PRG; ciò anche considerato che la perimetrazione del
centro abitato ai sensi dell'art. 4 del Codice della strada (che si realizza attraverso uno specifico procedimento amministrativo) avviene, per espressa previsione della medesima disposizione, “ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale”, fornendosi inoltre (art. 3, n. 8 del D.lgs. n. 285/1982) una nozione di
centro abitato affatto diversa da quella prevista dall'art. 4 della legge reg. n. 17/1982 e dell’art. 18 della legge n. 865/1971. Sul punto, dell’esame della giurisprudenza in materia, dopo un iniziale e datato orientamento generale per cui la perimetrazione del
centro abitato può risultare anche dallo strumento urbanistico,
emerge la tesi per cui “la delimitazione del
centro abitato eventualmente disposta ai fini del codice della strada o del piano del traffico è del tutto irrilevante ai fini urbanistici”;
in particolare, "non sussiste la necessità di un apposito atto di perimetrazione allorché l’insistenza dell’immobile in
centro abitato emerge “ictu oculi” dalla semplice postazione dello stato dei luoghi”.
Anche recentissimamente è stato osservato che: “l'art. 1 del D.M. n. 1404 del 1968 afferma che le disposizioni contenute in tale testo normativo "relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione", e che l'art. 9 della L. n. 729 del 1961, a sua volta, dispone al suo primo comma,
... che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa". In sintesi, ai fini della normativa edilizia sul condono edilizio, ad avviso del Collegio va confermato che la previsione da parte dello strumento urbanistico di una zona residenziale di completamento e la sua realizzazione mediante i relativi insediamenti abitativi, costituiscono elementi sufficienti ad integrare il concetto di
centro abitato (differente da quello accolto dal codice della strada) e pertanto a rendere inapplicabili i limiti di distanza di rispetto autostradale previsti dal DM del 1968, perché questi operano espressamente al di fuori del
centro abitato.
--------------- 2.2.- La questione in esame verte dunque sullo stabilire se, in carenza di un provvedimento di perimetrazione del
centro abitato, sia legittimo il diniego di condono di un abuso edilizio realizzato oltre i 25 ml dalla proprietà autostradale, in applicazione della predetta distanza di 60 metri.
L’individuazione della distanza applicabile si collega a sua volta alla questione se, in detta carenza, può tenersi conto (come sostengono gli appellanti) dello stato di urbanizzazione della zona o più precisamente delle disposizioni dello strumento urbanistico, le quali nella specie conformano la zona come B1 di completamento e saturazione residenziale. Non v’è dubbio che in base alla normativa del codice della strada la delimitazione del
centro abitato avviene con uno specifico procedimento (per questo profilo cfr. Cons. di Stato, sez. IV, n. 3741/2007); ma è altrettanto certo che in carenza di tale determinazione la questione controversa deve essere affrontata da un lato sulla base della normativa vigente all’epoca dell’abuso e per altro verso verificando sul piano del diritto urbanistico se la sussistenza di un
centro abitato possa essere rappresentata dall’assetto interamente urbanizzato della zona realizzatosi in forza del piano regolatore. Sotto il primo profilo occorre muovere dal dato normativo per cui, in base all’art. 9 della legge n. 761/1961, le costruzioni debbono tenersi a distanza di rispetto dall’autostrada non inferiore ai 25 m.l.. Tale norma, vigente all’epoca dell’abuso, per espressa disposizione dell’art. 17-quater della legge n. 765/1967, è rimasta in vigore ben oltre l’avvento del DM 01.04.1968 attuativo della stessa, ed è stata abrogata solo con l’intervento dell’art. 231 del nuovo codice della strada (d.leg.vo n. 295/1992). Quanto alla valenza delle disposizioni di PRG, occorre rilevare che, in base all’art. 7 (comma 2, n. 2) della legge n. 1150 del 1942 (come modificata dall’art. 1 della legge n. 1187/1968) il piano regolatore deve recare tra l’altro la “precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano”.
Più precisa è la disposizione introdotta dall’art. 18, secondo comma, della legge n. 865/1971 che, nel definire il “centro edificato” ai fini urbanistico-edilizi, e sostanzialmente precisando direttamente il contenuto che deve avere il provvedimento di delimitazione, stabilisce che esso “comprende tutte le aree edificate”... Con tale ambito appare quindi del tutto collimare la realizzata previsione di PRG relativa a zona a completamento residenziale e saturazione. Sul versante della nozione di
centro abitato emergente dal codice della strada, fermo restando che la sua perimetrazione avviene mediante lo specifico procedimento indicato dal codice della strada, il Collegio ritiene che la mancata osservanza di tale indicazione normativa non prelude che, ai differenti fini urbanistici, la definizione in questione possa essere individuata sulla base delle norme del PRG; ciò anche considerato che, come ricorda la stessa decisione impugnata, la perimetrazione del
centro abitato ai sensi dell'art. 4 del Codice della strada (che si realizza attraverso uno specifico procedimento amministrativo) avviene, per espressa previsione della medesima disposizione, “ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale”, fornendosi inoltre (art. 3, n. 8 del D.lgs. n. 285/1982) una nozione di
centro abitato affatto diversa da quella prevista dall'art. 4 della legge reg. n. 17/1982 e dell’art. 18 della legge n. 865/1971. Sul punto, dell’esame della giurisprudenza in materia, dopo un iniziale e datato orientamento generale per cui la perimetrazione del
centro abitato può risultare anche dallo strumento urbanistico (Cons. di Stato n. 167/1973), emerge la tesi (peraltro citata dalla stessa decisione gravata) per cui “la delimitazione del
centro abitato eventualmente disposta ai fini del codice della strada o del piano del traffico è del tutto irrilevante ai fini urbanistici (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
05.04.2005, n. 1560; idem, Sez. V, 07.03.1997, n. 211)”; in particolare secondo l’orientamento sopra citato (v. anche Cons. di Stato n. 1560/2005) “non sussiste la necessità di un apposito atto di perimetrazione allorché l’insistenza dell’immobile in
centro abitato emerge “ictu oculi” dalla semplice postazione dello stato dei luoghi”.
Anche recentissimamente è stato osservato (Cons. di Stato, sez. IV, n. 1118/2014) che: “l'art. 1 del D.M. n. 1404 del 1968 afferma che le disposizioni contenute in tale testo normativo "relative alle distanze minime a protezione del nastro stradale, vanno osservate nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione", e che l'art. 9 della L. n. 729 del 1961, a sua volta, dispone al suo primo comma, ……….. che "lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi, previsti sulla base dei progetti regolarmente approvati, è vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi specie a distanza inferiore a metri 25 dal limite della zona di occupazione dell'autostrada stessa"; In sintesi, ai fini della normativa edilizia sul condono edilizio, ad avviso del Collegio va confermato che la previsione da parte dello strumento urbanistico di una zona residenziale di completamento e la sua realizzazione mediante i relativi insediamenti abitativi, costituiscono elementi sufficienti ad integrare il concetto di
centro abitato (differente da quello accolto dal codice della strada) e pertanto a rendere inapplicabili i limiti di distanza di rispetto autostradale previsti dal DM del 1968, perché questi operano espressamente al di fuori del
centro abitato.
Di conseguenza, la fattispecie di sanatoria in esame non poteva trovare ostacolo nella disciplina di cui all’art. 33 della legge n. 47/1985, essendo costituita da un abuso realizzato in vigenza dell’art. 9 della legge n. 729/1961, in zona urbanizzata ai sensi del PRG e situato a distanza superiore ai 25 metri dalla proprietà autostradale. 3. - L’appello deve pertanto essere accolto con conseguente riforma della sentenza impugnata (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 03.09.2014 n. 4469 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il vincolo d’inedificabilità relativa quale la
"fascia di rispetto stradale, a tutela di una viabilità
esistente" esprime un limite di natura conformativa, che si
traduce nell’obbligo di osservare determinate distanze delle
costruzioni dal ciglio delle strade, ed è quindi
insuscettibile di decadenza, con il trascorrere del periodo
quinquennale, legislativamente previsto.
Invero, è già stato ribadito di recente quanto segue:
“Ritorna all’attenzione del Collegio il problema della
decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio, di cui si è
più volte occupata la giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa.
Il caso di specie, non ancora governato dalle previsioni di
cui al DPR n. 327/2001, risulta riconducibile all’assetto
normativo di cui alla legge fondamentale ed alle previsioni
di cui all’art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187, le cui
linee portanti, così come elaborate dalla giurisprudenza,
possono compendiarsi nella sintetica ricostruzione che
segue.
2.a.- Alla stregua dei principi espressi dalla Corte
costituzionale, con la sentenza 20.05.1999, n. 179
–dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del
combinato disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della
legge 17.08.1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge
19.11.1968, n. 1187, nella parte in cui consente
all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici
scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità,
senza la previsione di un indennizzo– i vincoli urbanistici
non indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del
predetto articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187, sono
quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli di
tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i vincoli
urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e che
devono essere indennizzati, sono:
a) quelli preordinati all’espropriazione ovvero aventi
carattere sostanzialmente espropriativo, in quanto
implicanti uno svuotamento incisivo della proprietà, se non
discrezionalmente delimitati nel tempo dal legislatore
statale o regionale, attraverso l’imposizione a titolo
particolare su beni determinati di condizioni di
inedificabilità assoluta;
b) quelli che superano la durata non irragionevole e non
arbitraria ove non si compia l’esproprio o non si avvii la
procedura attuativa preordinata a tale esproprio con
l’approvazione dei piani urbanistici esecutivi;
c) quelli che superano quantitativamente la normale
tollerabilità, secondo una concezione della proprietà
regolata dalla legge nell’ambito dell’art. 42 Cost. Il
Consiglio di Stato ha più volte precisato che costituiscono
vincoli soggetti a decadenza, ai sensi dell’articolo 2 della
legge 19.11.1968, n. 1187, quelli preordinati
all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità, e
che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di proprietà,
incidendo sul godimento del bene in modo tale da renderlo
inutilizzabile rispetto alla sua destinazione naturale,
ovvero diminuendone significativamente il suo valore di
scambio.
A seguito della scadenza dei vincoli di inedificabilità
imposti dal piano regolatore generale, per effetto dell’art.
2 l. 19.11.1968 n. 1187, l’area resta assoggettata alla
disciplina prevista dall’art. 4, ultimo comma, l. 28.01.1977
n. 10 o alla legislazione regionale ove esistente per i
comuni sprovvisti di strumento urbanistico e non alla
disciplina anteriore all’imposizione del vincolo o
ricavabile dalle destinazioni proprie delle aree limitrofe.
2.b. Tanto premesso, la Suprema Corte di Cassazione,
occupandosi della natura dei vincoli relativi alle opere di
viabilità previste nel prg, ha chiarito che l’indicazione
delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art.
7, comma 2, n. 1 l. 17.08.1942 n. 1150), pur comportando un
vincolo di inedificabilità delle parti del territorio
interessate, con le relative conseguenze nella scelta del
criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel
sistema dell’art. 5-bis l. 08.08.1992 n. 359, basato sulla
edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo
preordinato all’esproprio, a meno che tale destinazione non
sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali
all’interno e a servizio delle singole zone (art. 13 l. n.
1150 del 1942) di regola rimesse allo strumento di
attuazione, e come tali riconducibili ai vincoli imposti a
titolo particolare, a carattere espropriativo.
2.c.- La giurisprudenza di merito ha chiarito, altresì, che
la destinazione dell’area a fascia di rispetto della sede
viaria non costituisce utilizzazione a fini pubblici
dell’area stessa né introduce un vincolo preordinato
all’esproprio, ma integra un vincolo di natura conformativa
costituente un limite all’edificabilità dell’area che
l’amministrazione può imporre nell’esercizio dei suoi poteri
ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del
territorio e che trova la sua giustificazione nell’esigenza
di tutela del superiore interesse pubblico alla sicurezza
della circolazione stradale; pertanto, alla natura
conformativa del vincolo consegue che lo stesso non soggiace
a decadenza quinquennale”.
---------------
La stessa conclusione, cui giunge la sentenza di questo
Tribunale, testé citata, non costituisce, del resto, una
voce isolata nella giurisprudenza amministrativa, ma è
ribadita costantemente, come si ricava dalle massime
seguenti (per citare solo le più recenti):
- “In caso di area ricadente in parte all’interno della
“fascia di rispetto delle sedi stradali” e in parte in “sede
stradale”, le porzioni di terreno ricadenti nella zona di
rispetto della sede stradale sono soggette ad un vincolo
conformativo non soggetto a decadenza, mentre la porzione di
terreno ricadente in area destinata a sede stradale è
soggetta ad un vincolo di natura espropriativa”;
- “Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto
stradale” –che è una tipica espressione dell’attività
pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di
beni e di soggetti– non ha natura espropriativa, ma
unicamente conformativa, perché ha il solo effetto di
imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi alla
destinazione impressa al suolo in funzione di salvaguardia
della programmazione urbanistica, indipendentemente
dall’eventuale instaurazione di procedure espropriative”.
A tale riguardo, la difesa del Comune ha
opposto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale,
il vincolo d’inedificabilità relativa in questione (fascia
di rispetto stradale, a tutela di una viabilità esistente)
esprimerebbe, invece, un limite di natura conformativa, che
si traduce nell’obbligo di osservare determinate distanze
delle costruzioni dal ciglio delle strade, ed è quindi
insuscettibile di decadenza, con il trascorrere del periodo
quinquennale, legislativamente previsto.
La tesi della difesa del Comune è condivisibile: si
richiama, a tale proposito, la parte motiva della recente
sentenza di questa Sezione Staccata di Salerno del TAR Campania
- Sez. II, n. 1276 del 13.06.2013, ove è
dato leggere quanto segue:
“Ritorna all’attenzione del Collegio il problema della
decadenza dei vincoli preordinati all’esproprio, di cui si è
più volte occupata la giurisprudenza costituzionale ed
amministrativa.
Il caso di specie, non ancora governato dalle previsioni di
cui al DPR n. 327/2001, risulta riconducibile all’assetto
normativo di cui alla legge fondamentale ed alle previsioni
di cui all’art. 2 della legge 19.11.1968 n. 1187, le
cui linee portanti, così come elaborate dalla
giurisprudenza, possono compendiarsi nella sintetica
ricostruzione che segue.
2.a.- Alla stregua dei principi espressi dalla Corte
costituzionale, con la sentenza 20.05.1999, n. 179 –dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del combinato
disposto degli articoli 7, n. 2, 3 e 4 e 40 della legge 17.08.1942, n. 1150, e 2, primo comma, della legge 19.11.1968, n. 1187, nella parte in cui consente
all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici
scaduti preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità,
senza la previsione di un indennizzo– i vincoli urbanistici
non indennizzabili, e che sfuggono alla previsione del
predetto articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187,
sono quelli che riguardano intere categorie di beni, quelli
di tipo conformativo e i vincoli paesistici, mentre i
vincoli urbanistici soggetti alla scadenza quinquennale, e
che devono essere indennizzati, sono:
a) quelli preordinati
all’espropriazione ovvero aventi carattere sostanzialmente
espropriativo, in quanto implicanti uno svuotamento incisivo
della proprietà, se non discrezionalmente delimitati nel
tempo dal legislatore statale o regionale, attraverso
l’imposizione a titolo particolare su beni determinati di
condizioni di inedificabilità assoluta;
b) quelli che
superano la durata non irragionevole e non arbitraria ove
non si compia l’esproprio o non si avvii la procedura
attuativa preordinata a tale esproprio con l’approvazione
dei piani urbanistici esecutivi;
c) quelli che superano
quantitativamente la normale tollerabilità, secondo una
concezione della proprietà regolata dalla legge nell’ambito
dell’art. 42 Cost. Il Consiglio di Stato ha più volte
precisato che costituiscono vincoli soggetti a decadenza, ai
sensi dell’articolo 2 della legge 19.11.1968, n. 1187,
quelli preordinati all’espropriazione, o che comportino l’inedificabilità,
e che, dunque, svuotano il contenuto del diritto di
proprietà, incidendo sul godimento del bene in modo tale da
renderlo inutilizzabile rispetto alla sua destinazione
naturale, ovvero diminuendone significativamente il suo
valore di scambio.
A seguito della scadenza dei vincoli di inedificabilità
imposti dal piano regolatore generale, per effetto dell’art.
2 l. 19.11.1968 n. 1187, l’area resta assoggettata
alla disciplina prevista dall’art. 4, ultimo comma, l. 28.01.1977 n. 10 o alla legislazione regionale ove
esistente per i comuni sprovvisti di strumento urbanistico e
non alla disciplina anteriore all’imposizione del vincolo o
ricavabile dalle destinazioni proprie delle aree limitrofe
(ex multis Cons. St. Sez. V 03.10.1992 n. 924).
2.b. Tanto premesso, la Suprema Corte di Cassazione,
occupandosi della natura dei vincoli relativi alle opere di
viabilità previste nel prg, ha chiarito che l’indicazione
delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (art.
7, comma 2, n. 1 l. 17.08.1942 n. 1150), pur comportando
un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio
interessate, con le relative conseguenze nella scelta del
criterio di determinazione dell’indennità di esproprio nel
sistema dell’art. 5-bis l. 08.08.1992 n. 359, basato
sulla edificabilità o meno dei suoli, non concreta un
vincolo preordinato all’esproprio, a meno che tale
destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti
stradali all’interno e a servizio delle singole zone (art.
13 l. n. 1150 del 1942) di regola rimesse allo strumento di
attuazione, e come tali riconducibili ai vincoli imposti a
titolo particolare, a carattere espropriativo (Sez. I 06.11.2008 n. 26615).
2.c.- La giurisprudenza di merito ha chiarito, altresì, che
la destinazione dell’area a fascia di rispetto della sede
viaria non costituisce utilizzazione a fini pubblici
dell’area stessa né introduce un vincolo preordinato
all’esproprio, ma integra un vincolo di natura conformativa
costituente un limite all’edificabilità dell’area che
l’amministrazione può imporre nell’esercizio dei suoi poteri
ampiamente discrezionali in tema di pianificazione del
territorio e che trova la sua giustificazione nell’esigenza
di tutela del superiore interesse pubblico alla sicurezza
della circolazione stradale; pertanto, alla natura
conformativa del vincolo consegue che lo stesso non soggiace
a decadenza quinquennale (ex multis Tar Liguria Sez. I 01.02.2011 n. 172)”.
La stessa conclusione, cui giunge la sentenza di questo
Tribunale, testé citata, non costituisce, del resto, una
voce isolata nella giurisprudenza amministrativa, ma è
ribadita costantemente, come si ricava dalle massime
seguenti (per citare solo le più recenti): “In caso di area
ricadente in parte all’interno della “fascia di rispetto
delle sedi stradali” e in parte in “sede stradale”, le
porzioni di terreno ricadenti nella zona di rispetto della
sede stradale sono soggette ad un vincolo conformativo non
soggetto a decadenza, mentre la porzione di terreno
ricadente in area destinata a sede stradale è soggetta ad un
vincolo di natura espropriativa” (TAR Sicilia–Palermo
– Sez. III, 24.05.2013, n. 1167); “Il vincolo di inedificabilità della “fascia di rispetto stradale” –che è
una tipica espressione dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di soggetti–
non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa,
perché ha il solo effetto di imporre alla proprietà
l’obbligo di conformarsi alla destinazione impressa al suolo
in funzione di salvaguardia della programmazione
urbanistica, indipendentemente dall’eventuale instaurazione
di procedure espropriative” (Consiglio di Stato – Sez. IV,
27.09.2012, n. 5113; conformi: TAR Puglia–Lecce, Sez.
I, 19.10.2011, n. 1798; TAR Lombardia–Milano, Sez. IV,
21.04.2011, n. 1019).
Ne deriva che, trattandosi di vincolo conformativo anziché
espropriativo, e non essendo quindi, il medesimo, soggetto a
decadenza quinquennale, il motivo di diniego, impingente
nella destinazione impressa alla zona, e nelle connesse
previsioni, circa l’edificazione assentibile, contenute
nelle N.T.A. del P.R.G., resiste alle censure espresse
in ricorso (ammesso e non concesso che le stesse possano
ritenersi compiutamente formulate sul punto).
Ne deriva che il motivo di ricorso sub 1), basato proprio
sulla natura di “zona bianca” ascrivibile all’area “de qua”,
non ha pregio, una volta venuto meno il presupposto, su cui
si fondava; lo stesso dicasi per il motivo sub 2)
(imperniato sull’asserito non superamento del limite
volumetrico dello 0,03 mc/mq); mentre, quanto al difetto di
motivazione circa le “modifiche inaccettabili del piano di
campagna”, che l’intervento proposto avrebbe determinato,
dedotto dal ricorrente sub 3), deve rimarcarsene
l’irrilevanza, una volta stabilito che un altro motivo di
diniego resisterebbe, in ogni caso, alle doglianze espresse
in ricorso, giusta quanto anche sopra rilevato.
Per ciò che concerne, infine, l’asserita violazione
dell’art. 10-bis della l. 241/1990, di cui alla quarta ed
ultima censura, la stessa non merita accoglimento, posto che
i nuovi motivi di definitivo diniego (i quali, non espressi
nel preavviso ex art. 10-bis l. 241/1990, avrebbero
determinato la violazione del principio del contraddittorio
sostanziale), sono stati formulati, come sopra anche
rilevato, in risposta alle osservazioni, rassegnate dal
ricorrente nelle memorie prodotte, dopo aver ricevuto il
detto preavviso di provvedimento negativo; sicché non può
predicarsene la diversità, rispetto a quelli espressi
precedentemente, dovendosi anzi rimarcare come il rispetto
del canone del contraddittorio procedimentale si sia spinto,
nella specie, fino alla formulazione di una ragione di
rigetto dell’istanza di p. di c., ulteriore rispetto a
quella, dirimente, del contrasto dell’intervento previsto
con il vincolo di fascia di rispetto stradale, per il caso
che quest’ultima non fosse stata ritenuta valida
(TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.07.2014 n. 1393 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In tema di distacchi delle costruzioni dalle sedi
autostradali, il vincolo di inedificabilità a distanza
inferiore a 25 metri dal limite della zona di occupazione
dell'autostrada, imposto dall'art. 9 della legge 24.07.1961,
n. 729, si traduce in un divieto assoluto di edificazione.
In tale ipotesi, quindi, non è applicabile la previsione di
cui all'art. 32 della legge 28.02.1985, n. 47 -in base al
quale è ammissibile la sanatoria, anche tramite
silenzio-assenso, per le opere insistenti su aree vincolate
dopo l'esecuzione- bensì quella del successivo art. 33, che
non prevede la possibilità di sanatoria delle opere
realizzate in contrasto con un vincolo di inedificabilità
imposto in epoca anteriore all'esecuzione.
Ne consegue che la società concessionaria per la costruzione
di un'autostrada non perde l'interesse ad agire per il
rispetto della suddetta distanza anche in caso di
presentazione, da parte del privato, della domanda di
condono
Va respinta anche l’ultima doglianza, giacché è proprio
l’esistenza di una massa d’acqua della quale doveva essere
assicurato il libero deflusso e la presenza di una
costruzione in contrasto con il vincolo in questione a
giustificare il diniego di condono che non poteva essere
successivamente superato.
Non rileva infatti il richiamo operato all’art. 32, comma 1,
l. 47 del 1985, in quanto quest’ultimo non deroga l’autonoma
disciplina dettata dal successivo art. 33, comma 1, che
indica gli specifici vincoli che non possono comunque essere
superati, e che comportano l’impossibilità di rilascio del
provvedimento di condono (cfr. Cass. civ., Sez. III, 03.11.2010, n. 22422: “In tema di distacchi delle
costruzioni dalle sedi autostradali, il vincolo di inedificabilità a distanza inferiore a 25 metri dal limite
della zona di occupazione dell'autostrada, imposto dall'art.
9 della legge 24.07.1961, n. 729, si traduce in un
divieto assoluto di edificazione. In tale ipotesi, quindi,
non è applicabile la previsione di cui all'art. 32 della
legge 28.02.1985, n. 47 -in base al quale è
ammissibile la sanatoria, anche tramite silenzio-assenso,
per le opere insistenti su aree vincolate dopo l'esecuzione- bensì quella del successivo art. 33, che non prevede la
possibilità di sanatoria delle opere realizzate in contrasto
con un vincolo di inedificabilità imposto in epoca anteriore
all'esecuzione; ne consegue che la società concessionaria
per la costruzione di un'autostrada non perde l'interesse ad
agire per il rispetto della suddetta distanza anche in caso
di presentazione, da parte del privato, della domanda di
condono.”).
L’appello in esame va dunque respinto
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 30.06.2014 n. 3283 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Quanto al vincolo stradale, per le opere
realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di
rispetto stradale, si è parimenti in presenza di un vincolo
di carattere assoluto, che prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di edificazione
sancito dall'art. 4, d.m. 01.04.1968 (recante norme in
materia di distanze minime a protezione del nastro stradale
da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei
centri abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765),
non può essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo
di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili
di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Pertanto, la sentenza TAR Toscana è corretta anche nella
parte in cui afferma che il vincolo stradale di cui al D.M.
01.04.1968, n. 1404 ha carattere inderogabile ed assoluto,
con la conseguenza che, nella fattispecie, trova
applicazione l’art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47 che non
consente alcuna possibilità di deroga da parte dell’autorità
preposta -a differenza del caso in cui l’edificazione sia
avvenuta all’interno del centro abitato- in relazione alle
opere costruite successivamente all’imposizione del vincolo,
sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione ha
escluso la sanabilità dell’opera abusiva de qua.
---------------
Come ha specificato questo Consiglio, la specialità del
procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario
procedimento di rilascio della concessione a edificare e
l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua
necessità rendono, per il rilascio della concessione in
sanatoria, il parere della Commissione edilizia non
obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di
acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo
a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria
è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e
condizioni espressamente e chiaramente fissati dal
legislatore.
Il parere della Commissione edilizia può essere sollecitato
soltanto con riguardo a particolari e sporadici casi incerti
e complessi, in assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla semplice
verifica dei presupposti e condizioni espressamente e
chiaramente fissati dal legislatore.
---------------
La comunicazione dell'avvio del procedimento non era
necessaria, trattandosi di procedimento a istanza di parte
(istanza di condono edilizio) e di provvedimento a contenuto
vincolato, rispetto al quale l'interessata non avrebbe
potuto apportare alcun contributo partecipativo.
Tale principio è applicabile per il diniego di condono e, a
fortiori, per il conseguente, ineludibile, ordine di
demolizione.
---------------
Il Comune, nel momento in cui ha rilevato l’insanabilità
dell’opera, conseguentemente e doverosamente ne ha ordinato
la demolizione; il pedissequo provvedimento demolitorio
risulta, dunque, in re ipsa motivato.
Infatti, a fronte del diniego di sanatoria, l’ordinanza di
demolizione si appalesa come atto meramente consequenziale
al diniego e l’ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto
vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione
delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di
quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né,
infine, può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva che il
tempo non può avere legittimato.
Pertanto, il Collegio deve ribadire, in adesione a costante
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il
provvedimento di repressione degli abusi edilizi
(ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni
altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto
della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio
di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento
dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle
fattispecie di illecito previste dalla legge.
Quanto al vincolo stradale, per le opere realizzate in zona
vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è
parimenti in presenza di un vincolo di carattere assoluto,
che prescinde dalle caratteristiche dell'opera realizzata,
in quanto il divieto di edificazione sancito dall'art. 4,
d.m. 01.04.1968 (recante norme in materia di distanze
minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella
edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui
all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può essere
inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2014, n. 485).
Pertanto, la sentenza TAR Toscana è corretta anche nella
parte in cui afferma che il vincolo stradale di cui al D.M.
01.04.1968, n. 1404 ha carattere inderogabile ed
assoluto, con la conseguenza che, nella fattispecie, trova
applicazione l’art. 33 della L. 28.02.1985, n. 47 che
non consente alcuna possibilità di deroga da parte
dell’autorità preposta -a differenza del caso in cui
l’edificazione sia avvenuta all’interno del centro abitato-
in relazione alle opere costruite successivamente
all’imposizione del vincolo, sicché doverosamente e
legittimamente l’amministrazione ha escluso la sanabilità
dell’opera abusiva de qua.
Anche il secondo motivo d’appello è infondato, poiché, come
ha specificato questo Consiglio, la specialità del
procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario
procedimento di rilascio della concessione a edificare e
l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua
necessità rendono, per il rilascio della concessione in
sanatoria, il parere della Commissione edilizia non
obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo, al fine di
acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo
a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria
è subordinato alla semplice verifica dei presupposti e
condizioni espressamente e chiaramente fissati dal
legislatore (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 05.11.2012, n. 5619).
Il parere della Commissione edilizia può essere sollecitato
soltanto con riguardo a particolari e sporadici casi incerti
e complessi, in assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla semplice
verifica dei presupposti e condizioni espressamente e
chiaramente fissati dal legislatore (cfr. Cons. Stato, Sez.
IV, 03.08.2010, n. 5156; Id., Sez. IV, 06.07.2012, n.
3969; ivi riferimenti ulteriori). Che nella specie non
sussistessero particolari condizioni, tali da rendere
complessa o difficoltosa la valutazione del Comune, è
circostanza già emersa nel corso della disamina del
precedente motivo dell'appello; dunque, non v'erano spazi
per poter invocare utilmente l'intervento dell'organo
consultivo collegiale.
Anche il terzo motivo d’appello è infondato.
Infatti, la comunicazione dell'avvio del procedimento non
era necessaria, trattandosi di procedimento a istanza di
parte (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. VI, 08.06.2010,
n. 3624) e di provvedimento a contenuto vincolato, rispetto
al quale l'interessata non avrebbe potuto apportare alcun
contributo partecipativo (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV,
07.09.2011, n. 5028; Id, Sez. IV, 17.09.2012, n. 4925).
Tale principio è applicabile per il diniego di condono e, a
fortiori, per il conseguente, ineludibile, ordine di
demolizione.
Anche il quarto motivo d’appello è infondato, poiché nel
caso di specie l’Amministrazione comunale non aveva alcun
obbligo specifico di motivare la concreta applicazione della
sanzione della demolizione.
Il Comune, nel momento in cui ha rilevato l’insanabilità
dell’opera, conseguentemente e doverosamente ne ha ordinato
la demolizione; il pedissequo provvedimento demolitorio
risulta, dunque, in re ipsa motivato.
Infatti, a fronte del diniego di sanatoria, l’ordinanza di
demolizione si appalesa come atto meramente consequenziale
al diniego e l’ordine di demolizione, come tutti i
provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto
vincolato e, quindi, non richiede una specifica valutazione
delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di
quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e
sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un
interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né,
infine, può ammettersi alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva che il
tempo non può avere legittimato (cfr., ex multis, Consiglio
di Stato, sez. IV, 31.08.2010, n. 3955).
Pertanto, il Collegio deve ribadire, in adesione a costante
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il
provvedimento di repressione degli abusi edilizi
(ingiunzione a demolire e/o ordine di demolizione, ed ogni
altro provvedimento sanzionatorio), costituisce atto dovuto
della pubblica amministrazione, riconducibile ad esercizio
di potere vincolato, in mera dipendenza dall’accertamento
dell’abuso e della riconducibilità del medesimo ad una delle
fattispecie di illecito previste dalla legge
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2014 n. 3147 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per quanto riguarda il vincolo stradale, per le
opere realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di
rispetto stradale, questo Consiglio ha adottato
l’orientamento che si tratti di un vincolo di carattere
assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera
realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito
dall'art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di
distanze minime a protezione del nastro stradale da
osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri
abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può
essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Per quanto riguarda il vincolo stradale, per le opere
realizzate in zona vincolata, ricadente in fascia di
rispetto stradale, questo Consiglio ha adottato
l’orientamento che si tratti di un vincolo di carattere
assoluto, che prescinde dalle caratteristiche dell'opera
realizzata, in quanto il divieto di edificazione sancito
dall'art. 4, D.M. 01.04.1968 (recante norme in materia di
distanze minime a protezione del nastro stradale da
osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri
abitati, di cui all'art. 19, l. 06.08.1967, n. 765), non può
essere inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di
prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale e, cioè, per esempio, per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito dei
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 04.02.2014, n. 485)
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 23.06.2014 n. 3140 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Vincolo stradale opera anche per sopraelevazioni.
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto
stradale, prescritto dal D.M. n. 1404 del 1968, si traduce
in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree
legalmente inedificabili, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la
circolazione stradale.
Tale vincolo deve ritenersi operante
anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso
livello da quello della sede stradale o che costituiscano
mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia,
siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, infatti, il
vincolo imposto sulle aree site in fasce di rispetto
stradale, prescritto dal D.M. n. 1404 del 1968, si traduce
in un divieto assoluto di edificazione che rende le aree
legalmente inedificabili, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento, in concreto, dei connessi rischi per la
circolazione stradale.
Tale vincolo, inoltre, deve ritenersi operante anche con
riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello
da quello della sede stradale o che costituiscano mere
sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex
multis, Cass. Civ., sez. II, 03.11.2010, n. 22422; TAR
Toscana , sez. III, 23.07.2012, n. 1349).
Ciò detto, il Collegio rileva che, nella fattispecie in
esame, i lavori abusivi, oggetto della richiesta di
sanatoria, rientravano pienamente nella fascia di rispetto
stradale in quanto, lungi dal costituire un manufatto
distinto e ulteriore rispetto a quello originario,
rappresentavano un ampliamento, peraltro di non irrilevante
consistenza, dell’edificio originario che, a sua volta
fronteggiava la sede stradale.
Risultava, pertanto, indiscussa l'operatività del vincolo
imposto con D.M. n. 1404/1968.
Per tali ragioni, l’Amministrazione correttamente faceva
applicazione dell’art. 33 della L. 28.02.1985 n. 47 ed
escludeva la sanabilità dell’abuso. (cfr. ex multis,
Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; TAR Lazio, Roma,
sez. I, 12.11.2008, n. 10100; Cons. St., sez. IV, 18.10.2002
n. 5716).
Il vincolo di inedificabilità in zona di rispetto stradale,
infatti, deve essere qualificato come un vincolo di
inedificabilità assoluta, incompatibile per sua natura, con
qualunque manufatto, con la conseguenza che, a differenza
del vincolo di cui all’art. 32, lo stesso determina un
divieto di edificazione a carattere assoluto e la non
sanabilità dell’opera realizzata dopo la sua imposizione, a
nulla rilevando la non pericolosità della porzione di
manufatto per la sicurezza del traffico. (Cons. Stato, Sez.
IV, 05.07.2000, n. 3731) (massima tratta da
www.lexambiente.it -
TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.04.2014 n. 705 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al
vincolo sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente
……. ma appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare un'area contigua all'arteria stradale
utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o
gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di
ampliamento senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni.
Pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad
opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad
opere preesistenti.
---------------
2. E’ infondato il primo motivo mediante il quale si rileva la
violazione dell’art. 39 delle NTA e dell’art. 7 della L. Reg. 24/1985.
2.1 L’esame degli atti consente di rilevare come l’Amministrazione comunale
abbia correttamente applicato il sopra citato art. 7 e, ciò, nella parte in
cui consente, nelle fasce di rispetto stradali, l’esecuzione di una serie
limitata di opere edilizie, purché queste ultime non comportino
l’avanzamento dell’edificio esistente sul fronte stradale.
2.2 Si è accertato, infatti, che l’intervento richiesto in sanatoria
prevedeva la demolizione di un manufatto di mq. 56,79 in luogo della
realizzazione di un nuovo fabbricato di mq. 172,13.
Tale intervento ricadeva all’interno di una fascia di rispetto stradale che,
ai sensi, dell’art. 39, comma 1, delle NTA, costituisce area “destinata alla
conservazione, alla protezione, all’ampliamento e alla creazione di spazi
per il traffico pedonale e veicolare”.
2.3 Ne consegue come risulti evidente la legittimità del provvedimento e,
ciò, considerando che l’ampliamento proposto andava a costituire un
avanzamento verso la strada, ipotesi quest’ultima espressamente vietata
dalle disposizioni sopra citate.
2.4 Si consideri, inoltre, che un costante orientamento giurisprudenziale
(per tutti si veda TAR Toscana Sez. III, 24.01.2013, n. 112) ha
affermato che “il vincolo di inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto stradale ha carattere assoluto e prescinde dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione connesso al
vincolo sancito dal D.M. 01.04.1968, n. 1404 non può essere inteso restrittivamente ……. ma appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare un'area contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi
momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di lavori ivi
compresi quelli di ampliamento senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche con riferimento ad
opere che pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto ad
opere preesistenti” (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 15.01.2014 n. 24 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il vincolo autostradale ha senza dubbio carattere
di vincolo di inedificabilità assoluta.
Tuttavia, nel caso di vincoli di inedificabilità assoluta
sopravvenuti alla realizzazione dell’opera, la
giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che gli
stessi assumono certamente rilevanza, seppure non quali
elementi di preclusione assoluta al condono, bensì
costituendo vincoli relativi, ai sensi dell’art. 32 della
legge 47/1985, che impongono una concreta valutazione di
compatibilità.
Nel merito il ricorso merita accoglimento,
per le ragioni che seguono.
In primo luogo, appare incontestato –in quanto ammesso
anche da ASPI, cfr. il doc. 2 della ricorrente, ultimo
“considerato”– che le opere abusive di cui è causa sono
state realizzate negli anni 1962-1963, mentre l’attuale
disciplina legislativa del vincolo autostradale –che
prevede nei centri abitati una fascia di rispetto di 30
metri– è contenuta nel D.Lgs. 285/1992 e nel DPR 495/1992,
vale a dire il Nuovo Codice della Strada ed il suo
regolamento di attuazione (cfr. in particolare l’art. 2,
comma 2, del D.Lgs. 285/1992 e l’art. 28, comma 1, lett.
a, del DPR 495/1992).
In precedenza, l’art. 9 della legge 24.07.1961 n. 729 (oggi
abrogato), prevedeva una fascia di rispetto di 25 metri, da
osservarsi dal momento di pubblicazione sul Foglio degli
annunzi legali della Provincia (FAL) dell’avviso di avvenuta
approvazione del progetto della strada.
Il vincolo autostradale ha senza dubbio carattere di vincolo
di inedificabilità assoluta; tuttavia, contrariamente a
quanto sostenuto nel parere di ASPI ivi impugnato (cfr.
ancora il doc. 2 della ricorrente), non sussistono nel caso
di specie i presupposti per l’applicazione dell’art. 33,
comma 1, della legge 47/1985 (come richiamato dall’art. 32
della legge 326/2003), in quanto tale norma prevede
espressamente che i vincoli siano anteriori alla
realizzazione dell’opera abusiva (<<…siano stati imposti
prima della esecuzione delle opere stesse>>).
Nel caso di vincoli di inedificabilità assoluta sopravvenuti
alla realizzazione dell’opera, la giurisprudenza
amministrativa ha da tempo chiarito che gli stessi assumono
certamente rilevanza, seppure non quali elementi di
preclusione assoluta al condono, bensì costituendo vincoli
relativi, ai sensi dell’art. 32 della legge 47/1985, che
impongono una concreta valutazione di compatibilità (si veda
sul punto, quale precedente specifico, la sentenza del
Consiglio di Stato, sez. IV, 04.05.2012, n. 2576, che ha
confermato la pronuncia del TAR Lombardia, Milano, sez. II,
n. 3150/2004).
Nel caso di specie, il parere negativo non effettua alcuna
concreta verifica della compatibilità dell’opera con il
vincolo autostradale, limitandosi ad un apodittico richiamo
all’art. 33 della legge 47/1985 ed al vincolo dei 30 metri
introdotto dal Nuovo Codice della Strada.
Preme ancora evidenziare che il parere non contiene neppure
alcun eventuale richiamo al vincolo di 25 metri previsto
dalla legge 729/1961, la cui applicabilità al caso di specie
(soprattutto in ordine alla pubblicazione sul FAL
dell’avviso di approvazione del progetto), non viene
concretamente provata dalle parti resistenti.
Per effetto dell’accoglimento del presente ricorso, devono
essere annullati gli atti impugnati, con conseguente obbligo
di riavvio del procedimento di condono e di rilascio, da
parte dell’Ente preposto alla tutela del vincolo
autostradale, di un nuovo parere sulla compatibilità o meno
- in concreto - dell’opera abusiva con le esigenze della
sicurezza del traffico e con gli altri interessi pubblici
sottesi al vincolo
(TAR Lombardia-Milano,
Sez. II,
sentenza 11.10.2013 n. 2285
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Mani legate all'Anas sulla fascia di rispetto.
La c.d. «fascia di rispetto», essendo esterna al confine
stradale, e dunque oltre il limite della proprietà stradale,
non rientra nella sede stradale, e il suo uso o
attraversamento non è suscettibile di essere oggetto di
concessione da parte dell'ente proprietario della strada.
Lo ha stabilito la I Sez. del TAR Umbria con
sentenza
12.08.2013 n. 448.
I giudici amministrativi hanno sottolineato come non possa
essere condiviso, in quanto privo di base legale, l'avviso
espresso dalla circolare del ministero delle Infrastrutture
n. 2876 del 18.05.2011, che assoggetta anche il
passaggio dei sottoservizi realizzati nella fascia di
rispetto alla preventiva e specifica autorizzazione da parte
dell'ente gestore stradale (artt. 65 e 66 del regolamento di
esecuzione e di attuazione del codice della strada, di cui
al dpr 16.12.1992, n. 495).
L'art. 25, comma 1, del dlgs 30.04.1992, n. 285, dispone
che «non possono essere effettuati, senza preventiva
concessione dell'ente proprietario, attraversamenti od uso
della sede stradale e relative pertinenze con corsi d'acqua,
condutture idriche, linee elettriche e di telecomunicazione,
sia aeree che in cavo sotterraneo, sottopassi e sovrappassi,
teleferiche di qualsiasi specie, gasdotti, serbatoi di
combustibili liquidi, o con altri impianti e opere, che
possono comunque interessare la proprietà stradale. Le opere
di cui sopra devono, per quanto possibile, essere realizzate
in modo tale che il loro uso e la loro manutenzione non
intralci la circolazione dei veicoli sulle strade,
garantendo l'accessibilità delle fasce di pertinenza della
strada».
Secondo i giudici umbri la norma prevede chiaramente che la
concessione, da richiedere, in caso di strade statali,
all'Anas, secondo quanto precisato dall'art. 27 dello stesso
codice della strada, occorre per gli attraversamenti e l'uso
della sede stradale e relative pertinenze; in tale ambito
nozionale non rientra la «fascia di rispetto»,
qualificata quale striscia di terreno, esterna al confine
stradale, sulla quale esistono vincoli alla realizzazione,
da parte dei proprietari del terreno, di costruzioni,
recinzioni, piantagioni, depositi e simili evince, pertanto, l'inesistenza del potere concessorio
dell'Anas sulla fascia di rispetto (articolo
ItaliaOggi Sette del 02.09.2013). |
EDILIZIA PRIVATA: Legittimità diniego condono edilizio opere
all’interno della fascia di rispetto autostradale.
Il vincolo di inedificabilità gravante
sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto
e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in
quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della
L. 24.07.1961 n. 729 del 1961 e dal D.M. 1404 del 1968 non
può essere inteso restrittivamente al solo scopo di
prevenire l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei
lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la
conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede
stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti.
In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del
vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale
rientrano nella previsione di cui all’art. 33, comma 1, lett.
d), della L. 28.02.1985 n. 47 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria.
Come è ben noto, il vincolo di inedificabilità gravante
sulla fascia di rispetto autostradale ha carattere assoluto
e prescinde dalla caratteristiche dell’opera realizzata, in
quanto il divieto di costruzione sancito dall’art. 9 della
L. 24.07.1961 n. 729 del 1961 e dal susseguente D.M. 1404
del 1968 non può essere inteso restrittivamente al solo
scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro prossimità alla sede
autostradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla
incolumità delle persone, ma appare correlato alla più ampia
esigenza di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all’occorrenza, dal concessionario, per l’esecuzione dei
lavori, per l’impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limiti connessi alla presenza di costruzioni, con la
conseguenza le distanze previste vanno osservate anche con
riferimento ad opere che non superino il livello della sede
stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons.
Stato, Sez. IV, 30.09.2008 n. 4719 e Cass. Civ., Sez. II,
03.11.2010 n. 22422).
In tale contesto, le opere realizzate dopo l’imposizione del
vincolo all’interno della fascia di rispetto autostradale
rientrano nella previsione di cui all’art. 33, comma 1,
lett. d), della L. 28.02.1985 n. 47 e non sono pertanto
suscettibili di sanatoria (cfr. al riguardo, ad es., Cons.
Stato, Sez. IV, 18.10.2002 n. 5716 e 25.09.2002 n. 4927)
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.04.2013 n. 2062 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In relazione alle opere realizzate in zona
vincolata, ricadente in fascia di rispetto stradale, si è in
presenza di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde
dalle caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il
divieto di “edificazione” sancito dall’art. 4, D.M.
01.04.1968 (recante norme in materia di "distanze minime a
protezione del nastro stradale da osservarsi nella
edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui
all'art. 19, legge 06.08.1967, n. 765"), non può essere
inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale, e, cioè, per esempio, per
l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il
deposito dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza
di costruzioni.
---------------
Il vincolo urbanistico sulle distanze minime a protezione
del nastro stradale, previsto dall’art. 33 della legge n. 47
del 1985, a differenza di quello di inedificabilità relativa
previsto dall’art. 32 –che può essere rimosso a discrezione
dell’Autorità preposta alla cura dell’interesse tutelato–,
contiene un divieto di edificazione di carattere assoluto,
che comporta la non sanabilità dell’opera abusiva realizzata
dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua
natura incompatibile con ogni manufatto.
Ed in effetti, in tema di sanatoria di abusi edilizi in
applicazione della legge n. 47 del 1985, la natura del
vincolo riveniente da una fascia di rispetto stradale
differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano
state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo,
dovendosi ammettere solo nel primo caso la possibilità di
sanatoria (previa acquisizione del parere previsto dall’art.
32), che resta invece esclusa nella seconda ipotesi, ai
sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d); ciò in
quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione
temporis- consente la sanatoria –tra le altre ipotesi– per
le opere abusive “in contrasto con le norme del D.M.
01.04.1968 ... sempre che le opere stesse non costituiscano
minaccia alla sicurezza del traffico” (lett. c), quando esse
siano “... insistenti su aree vincolate dopo la loro
esecuzione ...”, sicché soltanto in tale caso, attesa la
natura «relativa» del vincolo (ai fini della sanatoria),
l’Amministrazione deve darsi carico di verificare che le
opere “... non costituiscano minaccia alla sicurezza del
traffico”, mentre per gli interventi realizzati dopo
l’imposizione del vincolo opera la preclusione assoluta di
cui all’art. 33, comma 1.
In relazione alle opere realizzate in zona vincolata,
ricadente in fascia di rispetto stradale, si è in presenza
di un vincolo di carattere assoluto, che prescinde dalle
caratteristiche dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di “edificazione” sancito dall’art. 4, D.M.
01.04.1968 (recante norme in materia di "distanze minime
a protezione del nastro stradale da osservarsi nella
edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui
all'art. 19, legge 06.08.1967, n. 765"), non può essere
inteso restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per finalità
di interesse generale, e, cioè, per esempio, per
l’esecuzione dei lavori, per l’impianto dei cantieri, per il
deposito dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi connessi alla presenza
di costruzioni (cfr., Cons. di Stato, sez. IV, 14.04.2010,
n. 2076).
Quanto, poi, all’asserita sanabilità dell’abuso, va
ricordato che esso, risalente al 1973, è stato realizzato
dopo l’imposizione del vincolo di assoluta inedificabilità
previsto dal D.M. n. 1404 del 1968, onde ricade nell’ipotesi
di cui all’art. 33, comma 1, della legge n. 47 del 1985 (“Le
opere di cui all’articolo 31 non sono suscettibili di
sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli,
qualora questi comportino inedificabilità e siano stati
imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) …; b)
…; c) …; d) ogni altro vincolo che comporti la
inedificabilità delle aree”).
E’ stato in proposito rilevato che il vincolo urbanistico
sulle distanze minime a protezione del nastro stradale,
previsto dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985, a
differenza di quello di inedificabilità relativa previsto
dall’art. 32 –che può essere rimosso a discrezione
dell’Autorità preposta alla cura dell’interesse tutelato–,
contiene un divieto di edificazione di carattere assoluto,
che comporta la non sanabilità dell’opera abusiva realizzata
dopo la sua imposizione, trattandosi di vincolo per sua
natura incompatibile con ogni manufatto (v. Cons. Stato,
Sez. IV, 05.07.2000 n. 3731).
Ed in effetti, in tema di sanatoria di abusi edilizi in
applicazione della legge n. 47 del 1985, la natura del
vincolo riveniente da una fascia di rispetto stradale
differisce a seconda che le opere edilizie abusive siano
state realizzate prima o dopo l’imposizione del vincolo,
dovendosi ammettere solo nel primo caso la possibilità di
sanatoria (previa acquisizione del parere previsto dall’art.
32), che resta invece esclusa nella seconda ipotesi, ai
sensi del successivo art. 33, comma 1, lett. d); ciò in
quanto l’art. 32, comma 4 –nella versione vigente ratione
temporis- consente la sanatoria –tra le altre ipotesi–
per le opere abusive “in contrasto con le norme del D.M.
01.04.1968 ... sempre che le opere stesse non costituiscano
minaccia alla sicurezza del traffico” (lett. c), quando
esse siano “... insistenti su aree vincolate dopo la loro
esecuzione ...”, sicché soltanto in tale caso, attesa la
natura «relativa» del vincolo (ai fini della
sanatoria), l’Amministrazione deve darsi carico di
verificare che le opere “... non costituiscano minaccia
alla sicurezza del traffico”, mentre per gli interventi
realizzati dopo l’imposizione del vincolo opera la
preclusione assoluta di cui all’art. 33, comma 1 (cfr., TAR
Emilia Romagna, Parma, sez. I, 26.01.2006, n. 22)
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 12.03.2013 n. 405 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio osserva che un pacifico orientamento
giurisprudenziale ha affermato che il vincolo di
inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto stradale
abbia carattere assoluto e prescinda dalle caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione
connesso al vincolo sancito dal successivo D.M. 01.04.1968
n. 1404 non può essere inteso restrittivamente al solo scopo
di prevenire l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili
di costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e all'incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare un'area contigua all'arteria stradale
utilizzabile in qualsiasi momento dall'Ente proprietario o
gestore per l'esecuzione di lavori ivi compresi quelli di
ampliamento senza limiti connessi alla presenza di
costruzioni; pertanto tale distanze vanno mantenute anche
con riferimento ad opere che pur rientrando nella fascia
stessa, siano arretrate rispetto ad opere preesistenti qual
è nel caso di specie un filare di alberi.
Tale principio trova applicazione per tutte le opere
stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro
tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali
utilizzati.
Ne consegue che le opere realizzate all'interno della fascia
di rispetto stradale prevista al di fuori del perimetro del
centro abitato (fascia di venti metri per il caso
specifico), se costruite dopo l'imposizione del vincolo
(come nel caso di specie), rientrano nella previsione di cui
all'art. 33, comma 1, lett. d), della legge 28.02.1985, n.
47 e non sono suscettibili di sanatoria.
---------------
Il vincolo di inedificabilità ricadente sulle aree situate
in fascia di rispetto stradale non deriva dalla
pianificazione e dalla programmazione urbanistica, ma è
sancito nell’interesse pubblico da apposite leggi che
rendono il suolo ad esso soggetto legalmente inedificabile,
sicché tale vincolo non ha né un contenuto propriamente
espropriativo né può qualificarsi come preordinato
all’espropriazione, dovendosi tenere conto, invece, di esso
nella determinazione dell’indennità di esproprio.
---------------
1) Con atto ritualmente notificato e depositato, il nominato
ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe
indicato, relativo al diniego di sanatoria di un piccolo
magazzino/ripostiglio realizzato abusivamente a servizio
dell’appartamento di proprietà, chiedendone –previa la
sospensione (la relativa istanza è stata respinta con
ordinanza n. 224 del 1997), l’annullamento per i tre motivi
dedotti nell’atto introduttivo del giudizio nei quali parte
ricorrente lamenta:
- il vincolo stradale che non consentirebbe la sanatoria non
sarebbe assoluto, ma relativo, dovendosi diversamente
considerare in violazione dell’art. 42 della Costituzione
perché non soggetto a decadenza né a indennizzo;
- trattandosi di vincolo relativo, l’Amministrazione comunale
avrebbe dovuto chiedere il parere all’Autorità preposta al
vincolo anziché affermare apoditticamente l’insanabilità
dell’abuso edilizio;
- mancherebbe il necessario parere di compatibilità espresso
dall’Autorità preposta al vincolo e un’adeguata motivazione
sulle ragioni del contrasto dell’abuso con il vincolo stesso
che in realtà non sussisterebbero, essendo collocato il
manufatto al di sotto della sede stradale e dietro una fila
di cipressi secolari che lo sovrastano.
Una memoria difensiva è stata depositata dal ricorrente in
data 14.12.2012. In tale atto, oltre a insistere sui motivi
dedotti viene dedotto che sarebbe stata rilasciata nel 2001
un’autorizzazione a sanatoria per un altro abuso (serra)
posto a ridosso della strada e ciò confermerebbe la tesi già
propugnata che nella specie si tratterebbe di un vincolo di
in edificabilità relativa.
L’Amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
2) Il ricorso, nei tre motivi dedotti che possono essere
trattati congiuntamente, sono manifestamente infondati.
Il Collegio osserva che un pacifico orientamento
giurisprudenziale anche di questa Sezione, che il Collegio
non ha motivo di disattendere, ha affermato che il vincolo
di inedificabilità gravante sulla fascia di rispetto
stradale abbia carattere assoluto e prescinda dalle
caratteristiche dell'opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione connesso al vincolo sancito dal successivo
D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può essere inteso
restrittivamente al solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza
del traffico e all'incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di assicurare un'area
contigua all'arteria stradale utilizzabile in qualsiasi
momento dall'Ente proprietario o gestore per l'esecuzione di
lavori ivi compresi quelli di ampliamento senza limiti
connessi alla presenza di costruzioni; pertanto tale
distanze vanno mantenute anche con riferimento ad opere che
pur rientrando nella fascia stessa, siano arretrate rispetto
ad opere preesistenti qual è nel caso di specie un filare di
alberi (cfr. sul punto Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008 n.
4719; TAR Toscana, Sez. 3^ 23.07.2012, n. 1347).
Tale principio trova applicazione per tutte le opere
stabilmente realizzate sul terreno, a prescindere dalla loro
tipologia, utilizzazione e dalla precarietà dei materiali
utilizzati.
Ne consegue che le opere realizzate all'interno della fascia
di rispetto stradale prevista al di fuori del perimetro del
centro abitato (fascia di venti metri per il caso
specifico), se costruite dopo l'imposizione del vincolo
(come nel caso di specie), rientrano nella previsione di cui
all'art. 33, comma 1, lett. d), della legge 28.02.1985, n.
47 e non sono suscettibili di sanatoria.
Il ricorrente, che ha realizzato un'opera abusiva
all'interno della predetta fascia di rispetto ed al di fuori
del perimetro del centro abitato, non può, quindi, avvalersi
della possibilità di sanatoria offerta dall'art. 32, comma
2, lett. c), della citata legge n. 47 del 1985 (per cui "Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni sotto indicate,
le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro
esecuzione e che risultino: [...] c) in contrasto con le
norme del D.M. 01.04.1968 n. 1404 pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 96 del 13.04.1968, sempre che le opere stesse
non costituiscano minaccia alla sicurezza del traffico"),
perché nella fattispecie in esame il vincolo sull'area era
stato imposto prima della costruzione del manufatto. Donde
l’Amministrazione non doveva e non poteva sottoporre
l’istanza all’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e inderogabile,
non occorreva alcuna particolare motivazione che si facesse
carico della situazione in concreto, essendo sufficiente la
verifica della violazione del limite di distanza dalla
strada, configurandosi l'atto di diniego come un
provvedimento del tutto vincolato. In tal senso, neppure la
presenza di una fila di secolari cipressi posti sul ciglio
stradale innanzi, quindi, al manufatto abusivo, poteva
costituire motivo di deroga, posto che, verificandosi
esigenze di pubblica necessità, anche tali alberi potrebbero
essere rimossi.
Dal che consegue, in particolare, anche l'infondatezza dei
vizi dedotti nel secondo e terzo motivo, come
pure l’irrilevanza della circostanza, peraltro non
dimostrata con il deposito del titolo rilasciato
dall’Amministrazione, della sanatoria ottenuta nel 2001 per
altro manufatto adibito a serra,non potendo giustificare
eventuali illegittime precedenti autorizzazioni l'adozione
di un provvedimento in ripetuta violazione della legge. E
ciò a prescindere dalla precarietà propria della tipologia
di abuso che sarebbe stato sanato.
Di alcun rilievo è, infine, la tesi che una tale
qualificazione renderebbe la disciplina del vincolo
derivante dal rispetto delle fasce autostradali contrario
all’art. 42 della Costituzione. Come evidenziato, infatti
dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il vincolo
di inedificabilità ricadente sulle aree situate in fascia di
rispetto stradale non deriva dalla pianificazione e dalla
programmazione urbanistica, ma è sancito nell’interesse
pubblico da apposite leggi che rendono il suolo ad esso
soggetto legalmente inedificabile, sicché tale vincolo non
ha né un contenuto propriamente espropriativo né può
qualificarsi come preordinato all’espropriazione, dovendosi
tenere conto, invece, di esso nella determinazione
dell’indennità di esproprio (cfr. Cass.ne. Sez. I^ Civile,
13.04.2012 n. 5875; 06.09.2006 n. 19132) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 24.01.2013 n. 112 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
Il vincolo imposto sulle aree site in fasce di
rispetto stradale prescritte dal D.M. n. 1404 del 1968 si
traduce in un divieto assoluto di edificazione che rende le
aree legalmente inedificabili, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e dalla necessità di
accertamento in concreto dei connessi rischi per la
circolazione stradale, con la conseguenza che tale
limitazione deve ritenersi operativa anche con riferimento a
costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della
sede stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o
che, pur rientrando nella fascia, siano arretrate rispetto
alle opere preesistenti.
---------------
L’art. 33 della L. 28.02.1985 n. 47 non consente alcuna
possibilità di deroga da parte dell'autorità preposta –a
differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta
all'interno del centro abitato– in relazione alle opere
costruite successivamente all’imposizione del vincolo,
sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione
provinciale ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de
qua.
Si sottolinea, infatti, che, come chiarito dalla consolidata
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, il vincolo imposto
sulle aree site in fasce di rispetto stradale prescritte dal
D.M. n. 1404 del 1968 si traduce in un divieto assoluto di
edificazione che rende le aree legalmente inedificabili,
indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei
connessi rischi per la circolazione stradale, con la
conseguenza che tale limitazione deve ritenersi operativa
anche con riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso
livello da quello della sede stradale o che costituiscano
mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella fascia,
siano arretrate rispetto alle opere preesistenti (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. II,
03.11.2010, n. 22422;
TAR Toscana, sez. III, 23.07.2012, n. 1349).
Nella fattispecie, dunque, trova applicazione l’art. 33
della L. 28.02.1985 n. 47, che non consente alcuna
possibilità di deroga da parte dell'autorità preposta –a
differenza del caso in cui l’edificazione sia avvenuta
all'interno del centro abitato– in relazione alle opere
costruite successivamente all’imposizione del vincolo,
sicché doverosamente e legittimamente l’amministrazione
provinciale ha escluso la sanabilità dell’opera abusiva de
qua (cfr. ex multis, Cons. St., sez. IV, 12.02.2010,
n. 772; TAR Lazio, Roma, sez. I, 12.11.2008, n.
10100; Cons. St., sez. IV, 18.10.2002 n. 5716).
Il Collegio rileva, inoltre, l’adeguatezza
dell’istruttoria condotta dall’amministrazione che non ha
trascurato di esaustivamente considerare le diverse opere
oggetto di sanatoria; dallo stesso atto gravato emerge,
infatti, che gli altri abusi hanno ricevuto una diversa
valutazione in quanto realizzati prima del 13.04.1968,
data di entrata in vigore del D.M. n. 1404 del 1968 (abusi
indicati ai punti 1, 4 e 6) ovvero in quanto realizzati in
conformità alla distanza prescritta (abuso indicato al punto
5) o, infine, in quanto sostanziatisi in una mera modifica
di destinazione d’uso senza aumento di superficie e volume
(abuso indicato al punto 3).
Quanto alla deduzione diretta a contestare il diverso
trattamento riservato dall’amministrazione in relazione ad
altre costruzioni asseritamente edificate in palese
violazione dell’art. 4 del D.M. n. 104 del 1968, il
Collegio, oltre a rilevare che tale argomentazione è stata
prospettata, peraltro genericamente, solo nella perizia di
parte depositata in data 31.08.2012, sottolinea che la
disparità di trattamento non rileva quando si tratta di
rivendicazione di posizioni riconosciute ad altri in modo
illegittimo in quanto, altrimenti, il giudice si troverebbe
a dover consentire un'applicazione incongrua ed illegittima
della normativa in favore del mero principio di par condicio
(cfr. ex multis, Cons. St., sez. VI, 27.08.2010, n.
5980; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 20.09.2010, n. 3763; TAR
Lazio, Roma, sez. I, 07.09.2010, n. 32113) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 26.10.2012 n. 4283 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il vincolo di rispetto stradale ha carattere
assoluto, in quanto perseguente una serie concorrente di
interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, dal che si
è tratta la conseguenza che il diniego di condono di un
edificio abusivamente realizzato in violazione di detto
vincolo non richiede un previo accertamento sulla effettiva
pericolosità dello stesso per il traffico stradale.
Si rammenta sul punto: "il vincolo di rispetto stradale
ha carattere assoluto, in quanto perseguente una serie
concorrente di interessi pubblici fondamentali ed
inderogabili, dal che si è tratta la conseguenza che il
diniego di condono di un edificio abusivamente realizzato in
violazione di detto vincolo non richiede un previo
accertamento sulla effettiva pericolosità dello stesso per
il traffico stradale - Consiglio Stato, sez. IV, 06.05.2010,
n. 2644" (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.10.2012 n. 5204 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Il vincolo di inedificabilità della "fascia di
rispetto stradale" -che è una tipica espressione
dell’attività pianificatoria della p.a. nei riguardi di una
generalità di beni e di soggetti- non ha natura
espropriativa, ma unicamente conformativa, perché ha il solo
effetto di imporre alla proprietà l’obbligo di conformarsi
alla destinazione impressa al suolo in funzione di
salvaguardia della programmazione urbanistica,
indipendentemente dall’eventuale instaurazione di procedure
espropriative.
---------------
In presenza di un vincolo conformativo previsto dalla legge
(quale è la fascia di rispetto), non sono predicabili
riferimenti di effettualità edificatoria “di fatto”, ma, ai
fini del ristoro del proprietario inciso, rileva solo la
distinzione tra aree edificabili “di diritto” ed aree
“giuridicamente non edificabili".
La giurisprudenza ha correttamente concluso che il vincolo
di inedificabilità della "fascia di rispetto stradale"
-che è una tipica espressione dell’attività pianificatoria
della p.a. nei riguardi di una generalità di beni e di
soggetti- non ha natura espropriativa, ma unicamente
conformativa, perché ha il solo effetto di imporre alla
proprietà l’obbligo di conformarsi alla destinazione
impressa al suolo in funzione di salvaguardia della
programmazione urbanistica, indipendentemente dall’eventuale
instaurazione di procedure espropriative (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 13.03.2008, n. 1095).
---------------
Deve dunque concordarsi con la
Cassazione che, in presenza di un vincolo conformativo
previsto dalla legge (quale è la fascia di rispetto), non
sono predicabili riferimenti di effettualità edificatoria “di
fatto”, ma, ai fini del ristoro del proprietario inciso,
rileva solo la distinzione tra aree edificabili “di
diritto” ed aree “giuridicamente non edificabili"
(cfr. infra multa: Cassazione civile, sez. I,
13.04.2006, n. 8707; Cassazione civile, sez. I, 28.10.2005,
n. 21092)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.09.2012 n. 5113 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Insanabilità opere su area di rispetto
autostradale.
Il vincolo di rispetto autostradale previsto dal D.M. n.
1404/1968 comporta, dopo la sua imposizione, un divieto di
edificabilità di carattere assoluto ex art. 33 (opere non
suscettibili di sanatoria), comma 1, lett. d, della Legge n.
47/1985, differente dalla inedificabilità relativa e
rimuovibile, di cui all’art. 32 della legge n. 47/1985.
Come correttamente ritenuto dal
TAR, ricadendo la fattispecie in esame nel contesto
dell’art. 33, comma 1, lett. d, della Legge n. 47/1985
(opere non suscettibili di sanatoria), l’Amministrazione
comunale non era tenuta ad acquisire alcun parere da parte
dell’Autorità preposta al vincolo di rispetto stradale che
nella specie era l’A.N.A.S.
Il vincolo di rispetto autostradale, previsto dal D.M. n.
1404/1968, comporta infatti un divieto di edificabilità di
carattere assoluto dopo la sua imposizione, differentemente
dalla inedificabilità relativa e rimuovibile, di cui
all’art. 32 della legge n. 46/1985 (massima
tratta da www.lexambiente.it - Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 03.08.2012 n. 4432
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo di inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale
ha carattere assoluto e prescinde dalle
caratteristiche dell’opera realizzata, in
quanto il divieto di costruzione sancito
dall’art. 9 della legge n. 729 del 1961 e
dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non
può essere inteso restrittivamente al solo
scopo di prevenire l’esistenza di ostacoli
materiali suscettibili di costituire, per la
loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all’incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare un’area contigua all’arteria
stradale utilizzabile in qualsiasi momento
dall’Ente proprietario o gestore per
l’esecuzione di lavori ivi compresi quelli
di ampliamento senza limiti connessi alla
presenza di costruzioni; pertanto tale
distanze vanno mantenute anche con
riferimento ad opere che pur rientrando
nella fascia stessa, siano arretrate
rispetto ad opere preesistenti qual è nel
caso il muro di confine con la strada.
Tale principio trova applicazione per tutte
le opere stabilmente realizzate sul terreno,
a prescindere dalla loro tipologia,
utilizzazione e dalla precarietà dei
materiali utilizzati.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e
inderogabile, non occorre alcuna particolare
motivazione che si faccia carico della
situazione in concreto, essendo sufficiente
la verifica della violazione del limite di
distanza dalla strada dato che l’atto di
diniego si configura come un provvedimento
del tutto vincolato. Dal che consegue anche
l’infondatezza del vizio di disparità di
trattamento, peraltro genericamente dedotta,
non potendo giustificare eventuali
illegittime precedenti autorizzazioni
l’adozione di un provvedimento in ripetuta
violazione della legge.
Neppure l’esistenza di un muro di confine
fra l’opera abusiva e la fascia posta a
rispetto della strada può costituire una
deroga al divieto posto dalla legge posto
che verificandosi la necessità anche tale
muro di cinta può essere oggetto di
interventi ripristinatori.
---------------
La specialità del procedimento di condono
edilizio, rispetto all'ordinario
procedimento di rilascio della concessione
ad edificare, e l'assenza di una specifica
previsione in ordine alla sua necessità
rendono, per il rilascio della concessione
in sanatoria c.d. straordinaria (o condono),
il parere della Commissione edilizia non
obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo,
al fine di acquisire eventuali informazioni
e valutazioni con riguardo a particolari e
sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla
semplice verifica dei numerosi presupposti e
delle condizioni espressamente e chiaramente
fissati dal legislatore.
Va detto che un pacifico orientamento
giurisprudenziale che il Collegio non ha
motivo di disattendere, ha da tempo
affermato che il vincolo di inedificabilità
gravante sulla fascia di rispetto stradale
abbia carattere assoluto e prescinda dalle
caratteristiche dell’opera realizzata, in
quanto il divieto di costruzione sancito
dall’art. 9 della legge n. 729 del 1961 e
dal successivo D.M. 01.04.1968 n. 1404 non può
essere inteso restrittivamente al solo scopo
di prevenire l’esistenza di ostacoli
materiali suscettibili di costituire, per la
loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e
all’incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare un’area contigua all’arteria
stradale utilizzabile in qualsiasi momento
dall’Ente proprietario o gestore per
l’esecuzione di lavori ivi compresi quelli
di ampliamento senza limiti connessi alla
presenza di costruzioni; pertanto tale
distanze vanno mantenute anche con
riferimento ad opere che pur rientrando
nella fascia stessa, siano arretrate
rispetto ad opere preesistenti qual è nel
caso il muro di confine con la strada (cfr.
sul punto Cons. Stato, sez. IV, 30.09.2008 n.
4719).
Tale principio trova applicazione per tutte
le opere stabilmente realizzate sul terreno,
a prescindere dalla loro tipologia,
utilizzazione e dalla precarietà dei
materiali utilizzati.
Trattandosi di vincolo assoluto permanente e
inderogabile, non occorre alcuna particolare
motivazione che si faccia carico della
situazione in concreto, essendo sufficiente
la verifica della violazione del limite di
distanza dalla strada dato che l’atto di
diniego si configura come un provvedimento
del tutto vincolato. Dal che consegue anche
l’infondatezza del vizio di disparità di
trattamento, peraltro genericamente dedotta,
non potendo giustificare eventuali
illegittime precedenti autorizzazioni
l’adozione di un provvedimento in ripetuta
violazione della legge.
Neppure l’esistenza di un muro di confine
fra l’opera abusiva e la fascia posta a
rispetto della strada può costituire una
deroga al divieto posto dalla legge posto
che verificandosi la necessità anche tale
muro di cinta può essere oggetto di
interventi ripristinatori.
La circostanza che dalla data di
realizzazione dell’opera il Comune non abbia
adottato alcun provvedimento repressivo non
costituisce legittimo affidamento al
mantenimento del manufatto abusivo né
impedimento per l’Amministrazione al
ripristino della legalità in occasione
dell’esame della domanda di sanatoria.
Quanto alla mancanza del parere della C.E.,
va detto che l’orientamento costante dei
giudici amministrativi è nel senso che la
specialità del procedimento di condono
edilizio, rispetto all'ordinario
procedimento di rilascio della concessione
ad edificare, e l'assenza di una specifica
previsione in ordine alla sua necessità
rendono, per il rilascio della concessione
in sanatoria c.d. straordinaria (o condono),
il parere della Commissione edilizia non
obbligatorio ma, tutt'al più, facoltativo,
al fine di acquisire eventuali informazioni
e valutazioni con riguardo a particolari e
sporadici casi incerti e complessi, in
assenza dei quali il rilascio della
concessione in sanatoria è subordinato alla
semplice verifica dei numerosi presupposti e
delle condizioni espressamente e chiaramente
fissati dal legislatore (cfr. tra le tante
Cons. Stato, sez. IV, 03.08.2010 n. 5156) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 23.07.2012 n. 1347 - link a
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EDILIZIA PRIVATA:
Diniego di rilascio del Permesso
di costruire nel caso in cui la costruzione
ricada nella fascia di rispetto stradale.
E’ legittimo il diniego di rilascio di un
permesso di costruire per una costruzione
che ricade nella fascia di rispetto
stradale, atteso che il vincolo di rispetto
stradale ha carattere assoluto, in quanto
perseguente una serie concorrente di
interessi pubblici fondamentali ed
inderogabili; da ciò deriva la conseguenza
che il diniego di condono di un edificio
abusivamente realizzato in violazione di
detto vincolo non richiede un previo
accertamento sulla effettiva pericolosità
dello stesso per il traffico stradale (Cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 06.05.2010, n. 2644)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it -
Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.05.2012 n. 2842
-
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
PATRIMONIO: La
proprietà delle scarpate stradali. Chi deve provvedere alla
manutenzione e come si determinano i confini.
Le scarpate stradali sono da considerarsi parti delle strade
su cui insistono, in quanto pertinenze la cui staticità
influisce sull'agibilità delle strade stesse. In tal senso,
esse possono essere paragonate ai fossi e alle banchine.
Del resto, lo stesso articolo 3, n. 10), del decreto
legislativo n. 285/1992 (Codice della strada) prevede
espressamente che in assenza di atti di acquisizione o di
fasce di esproprio di progetto, i confini stradali vadano
rinvenuti nel piede della scarpata, se la strada è in
rilevato, o nel ciglio superiore della scarpata, se la
strada è in trincea.
I soggetti onerati della manutenzione delle
scarpate.
Da quanto detto, deriva che proprietario delle scarpate e
onerato del loro mantenimento è esclusivamente l'ente
proprietario della strada. I privati proprietari dei fondi
limitrofi, invece, non hanno alcun obbligo in tal senso.
Su questi ultimi, piuttosto, ricade un obbligo manutentivo
relativamente alle ripe che sono situate nei fondi limitrofi
alle strade, ovverosia relativamente a quelle zone di
terreno immediatamente sovrastanti o sottostanti le
scarpate.
Sulla base dell'articolo 31 del Codice della strada,
infatti, i proprietari delle ripe sono chiamati a mantenerle
in una condizione tale da non rischiare di causare frane,
cedimenti o ingombri delle strade, cadute di massi o
materiali o qualsiasi ulteriore insidia atta a generare
danni.
Del resto, l'ente proprietario della strada, pur se
chiamato, ai sensi dell'articolo 14 del Codice della strada,
a provvedere alla manutenzione e alla pulizia non solo della
sede stradale in senso stretto ma anche delle sue
pertinenze, non può veder esteso il proprio obbligo di
tutela della sicurezza degli utenti della strada sino al
punto di doversi occupare della gestione anche di zone
estranee ad essa, pur se circostanti.
Il parere n. 2158/2012 del Consiglio di
Stato.
Sulla questione si sono espressi in diverse occasioni sia i
giudici di merito che i giudici di legittimità, ma una
particolare rilevanza la assume il parere n. 2158 reso dal
Consiglio di Stato in data 09.05.2012, con il quale, nel
respingere il ricorso dinanzi al Presidente della Repubblica
fatto da un privato cittadino avverso una delle numerose
ordinanze emesse dai Comuni nei confronti dei proprietari
dei fondi limitrofi alle sedi stradali, si è fatta chiarezza
circa i confini degli obblighi manutentivi dei privati
rispetto a quelli degli enti gestori delle strade.
Tale parere risulta rilevante, peraltro, anche per aver
precisato, confermando la sentenza della Cassazione n. 1730
del 25.06.2008, come per la definizione di "strada"
(e in conseguenza della scarpata) assuma rilievo la
destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico e
non la titolarità pubblica o privata della proprietà
(commento tratto da www.studiocataldi.it).
---------------
MASSIMA
Per la definizione di “strada”
assume rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del
codice della strada, la destinazione di una determinata
superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o
privata della proprietà.
---------------
L’art. 14 del codice della strada assegna all’ente comunale
il compito di provvedere alla manutenzione, gestione e
pulizia della sede stradale, ma tale obbligo non si estende
alle aree estranee circostanti, in particolare alle ripe
site nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada,
devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in
modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse
a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di
sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale,
nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano
immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata
del corpo stradale.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
proposto dal signor S.V. avverso l’ordinanza del Comune di
Terni concernente esecuzione di lavori su terreni confinanti
con strada pubblica;
...
Premesso:
Con ordinanza n. 13217 del 21.01.2009, il sindaco del Comune
di Terni, ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del
2000, ha intimato a tutti i proprietari ed ai soggetti
aventi titolo sui terreni confinanti con il corpo delle
strade di pubblico transito, di tenere regolate le siepi,
togliere i rami che si protendono oltre il confine stradale,
rimuovere gli alberi che cadono sul piano stradale, non
piantare alberi, siepi, piantagioni nelle fasce di rispetto
laterali alle strade all’esterno di centri abitati
relativamente ai tratti in rettilineo o in curva, nonché
nelle aree di visibilità in corrispondenza delle
intersezioni.
L’ordinanza prevede che i suddetti lavori debbano essere
eseguiti entro il 20.05.2009, disponendo, in caso di
violazione, l’avvio di azioni di tutela ed ingerenza
straordinaria con rivalsa della spesa a carico
dell’inadempiente e con irrogazione delle sanzioni
amministrative previste dalla legge per le specifiche
violazioni accertate secondo le procedure di cui all’art.
211 del Codice della Strada, salvi gli interventi di
indifferibile urgenza.
Avverso tale ordinanza propone ricorso straordinario al Capo
dello Stato il signor S.V., proprietario di alcune
particelle di terreno prospicienti strade, chiedendone
l’annullamento per eccesso di potere per falsità dei
presupposti, travisamento dei fatti e illogicità manifesta.
In sintesi il ricorrente, premesso che le strade di
interesse sono diventate di pubblico transito raramente per
cessione volontaria ma soprattutto per acquisizione
appropriativa e/o accessione invertita, con ampliamenti non
risultanti in catasto (per cui pende causa civile attivata
dal ricorrente), ritiene che le opere imposte relativamente
alle scarpate confinanti con la strada siano di competenza
del Comune.
Ciò in quanto l’area di pertinenza sotto la responsabilità
del Comune è delimitata dal “confine stradale” inteso
come “limite del corpo stradale che contiene la sede
stradale, ovvero la carreggiata e le fasce di pertinenza
(comprese le scarpate), come afferma peraltro la stessa
ordinanza imponendo il taglio “dei rami che protendono oltre
il confine stradale”.
Doglianze queste ribadite e sviluppate con memoria aggiunta
presentata, a confutazione delle controdeduzioni del Comune,
in data 04.01.2010.
L’Amministrazione, acquisite le controdeduzioni del Comune,
che deduce preliminarmente la inammissibilità del ricorso
per difetto di concretezza dell’interesse fatto valere,
ritiene chiede conclude per la reiezione del ricorso.
Considerato:
Pur considerando che il gravame è volto avverso un atto
generale e che il ricorrente non fornisce una prova concreta
degli effetti immediati dell’atto sulla propria situazione
fattuale, ritiene la Sezione di poter considerare il ricorso
ammissibile, tenuto conto che trattasi di atto
potenzialmente in grado di incidere sui diritti e interessi
del ricorrente, in quanto proprietario di aree confinanti
con strade pubbliche.
Nel merito il ricorso è da respingere.
In ordine alle connotazione dei luoghi effettuata dal
ricorrente, va considerato come, per la definizione di “strada”,
assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma primo, del
codice della strada, la destinazione di una determinata
superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o
privata della proprietà (cfr., Cass. Sez. II, sent. 17350
del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è volta a
precisare e ad imporre gli obblighi manutentivi, ordinari e
straordinari, previsti ai fini della sicurezza, che
incombono sui proprietari e gli aventi titolo dei terreni
confinanti con il “corpo stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3, punto 10, del d.
leg.vo n. 285 del 1992 stabilisce che, “qualora non vi
siano atti di acquisizione o fasce di esproprio di progetto",
come nel suo caso, il “confine stradale” è
identificato “nel piede della scarpata se la strada è in
rilevato o dal ciglio superiore della scarpata se la strada
è in trincea”, gli obblighi manutentivi ed il taglio dei
sensi insistenti sulla strada e involgenti le scarpate non
sono legittimamente addossabili ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato, nell’imporre ai
confinanti gli obblighi ivi previsti, nel richiamare
esplicitamente la normativa vigente al riguardo, non appare
adottato in violazione della suddetta normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e l’esecuzione dei
lavori, relativamente a coloro che siano proprietari o
abbiano comunque titolo nei terreni “confinanti” con
il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della strada assegna
all’ente comunale il compito di provvedere alla
manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale, ma
tale obbligo non si estende alle aree estranee circostanti,
in particolare alle ripe site nei fondi laterali alle
strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice della strada,
devono essere mantenute dai proprietari delle medesime in
modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse
a franamenti e cedimenti del corpo stradale o delle opere di
sostegno, l’ingombro delle pertinenze e della sede stradale,
nonché la caduta di massi o altro materiale, qualora siano
immediatamente sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla strada, la scarpata
del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto dall’ordinanza in
questione, diretta a soggetti responsabili di terreni
privati posti oltre il confine stradale, mentre rimangono a
carico del Comune gli interventi riguardanti le strade in
quanto tali, comprese le fasce di rispetto e le scarpate,
ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale responsabilità del
confinante che abbia illecitamente operato sulla sede
stradale medesima.
Il ricorrente, d’altra parte, non evidenzia situazioni
concrete che possono, nei suoi confronti, concretare una
illegittima applicazione dell’ordinanza in questione che, se
verificata, potrà determinare l’attuazione di specifici
rimedi contenziosi.
Né assumono consistenze le osservazioni svolte in ordine
alla procedura sanzionatoria di cui l’atto impugnato fa
ricognizione, coerente alle disposizioni normative vigenti,
mentre non assume alcun rilievo la lamentata entità delle
spese necessarie ad assicurarne l’adempimento delle
prescrizioni, in luogo di una astratta azione preventiva,
che rientra a pieno titolo nei poteri-doveri della Pubblica
Amministrazione.
Per le esposte considerazioni l’atto impugnato non è affetto
dai lamentati vizi di legittimità ed il ricorso è da
respingere
(Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 09.05.2012 n. 2158 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - LAVORI PUBBLICI:
Per la definizione di “strada”,
assume rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma
primo, del codice della strada, la
destinazione di una determinata superficie
ad uso pubblico, e non la titolarità
pubblica o privata della proprietà.
L’art. 14 del codice della strada assegna
all’ente comunale il compito di provvedere
alla manutenzione, gestione e pulizia della
sede stradale, ma tale obbligo non si
estende alle aree estranee circostanti, in
particolare alle ripe site nei fondi
laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice
della strada, devono essere mantenute dai
proprietari delle medesime in modo da
impedire e prevenire situazioni di pericolo
connesse a franamenti e cedimenti del corpo
stradale o delle opere di sostegno,
l’ingombro delle pertinenze e della sede
stradale, nonché la caduta di massi o altro
materiale, qualora siano immediatamente
sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla
strada, la scarpata del corpo stradale.
In ordine alle connotazione dei luoghi
effettuata dal ricorrente, va considerato
come, per la definizione di “strada”,
assuma rilievo, ai sensi dell’art. 2, comma
primo, del codice della strada, la
destinazione di una determinata superficie
ad uso pubblico, e non la titolarità
pubblica o privata della proprietà (cfr.,
Cass. Sez. II, sent. 17350 del 25.06.2008).
Quanto sopra premesso, l’ordinanza gravata è
volta a precisare e ad imporre gli obblighi
manutentivi, ordinari e straordinari,
previsti ai fini della sicurezza, che
incombono sui proprietari e gli aventi
titolo dei terreni confinanti con il “corpo
stradale”.
In tesi del ricorrente, poiché l’art. 3,
punto 10, del d. leg.vo n. 285 del 1992
stabilisce che, qualora non vi siano atti di
acquisizione o fasce di esproprio di
progetto, come nel suo caso, il “confine
stradale” è identificato “nel piede
della scarpata se la strada è in rilevato o
dal ciglio superiore della scarpata se la
strada è in trincea”, gli obblighi
manutentivi ed il taglio dei sensi
insistenti sulla strada e involgenti le
scarpate non sono legittimamente addossabili
ai privati.
Va considerato che l’atto impugnato,
nell’imporre ai confinanti gli obblighi ivi
previsti, nel richiamare esplicitamente la
normativa vigente al riguardo, non appare
adottato in violazione della suddetta
normativa.
Invero, l’ordinanza impone gli obblighi e
l’esecuzione dei lavori, relativamente a
coloro che siano proprietari o abbiano
comunque titolo nei terreni “confinanti”
con il corpo stradale.
Al riguardo l’art. 14 del codice della
strada assegna all’ente comunale il compito
di provvedere alla manutenzione, gestione e
pulizia della sede stradale, ma tale obbligo
non si estende alle aree estranee
circostanti, in particolare alle ripe site
nei fondi laterali alle strade.
Le ripe, ai sensi dell’art. 31 del codice
della strada, devono essere mantenute dai
proprietari delle medesime in modo da
impedire e prevenire situazioni di pericolo
connesse a franamenti e cedimenti del corpo
stradale o delle opere di sostegno,
l’ingombro delle pertinenze e della sede
stradale, nonché la caduta di massi o altro
materiale, qualora siano immediatamente
sovrastanti o sottostanti, in taglio o in
riporto nel terreno preesistente alla
strada, la scarpata del corpo stradale.
Tale impianto normativo non è contraddetto
dall’ordinanza in questione, diretta a
soggetti responsabili di terreni privati
posti oltre il confine stradale, mentre
rimangono a carico del Comune gli interventi
riguardanti le strade in quanto tali,
comprese le fasce di rispetto e le scarpate,
ferma rimanendo, ovviamente, l’eventuale
responsabilità del confinante che abbia
illecitamente operato sulla sede stradale
medesima (Consiglio di Stato, Sez. I,
parere 09.05.2012 n. 2158 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
OGGETTO: Distanza delle costruzioni dalle autostrade.
In relazione al Suo quesito sulla distanza da rispettare
dalle pertinenze autostradali “nel caso in cui si debba
costruire o condonare un manufatto edile, sia in zona rurale
che in zona urbana (all’interno del centro urbano)”
osservo quanto segue (Regione Marche,
parere 20.04.2012 n. 255/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di costruire ad una
certa distanza dalla sede autostradale ha
natura assoluta. Lo stesso, cioè, ha una
giustificazione che non ammette prova
contraria.
La sussistenza del divieto vale anche nel
caso in cui il vincolo sopravvenga alla
realizzazione della costruzione e nel caso
in cui il sedime autostradale si trovi a un
livello diverso da quello della realizzanda
costruzione. Di talché le distanze previste
dalla normativa vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale. Ovvero anche
nel caso, invero speculare, di costruzioni
realizzate ad un livello superiore rispetto
al sedime autostradale.
---------------
L’art. 4 d.m. 01.04.1968 n. 1404 si limita
ad imporre il divieto di edificazione senza
ulteriormente specificare, onde deve
ritenersi l’irrilevanza del carattere
frontistante alla strada dell’ampliamento.
Il ricorso in esame è rivolto avverso il
parere negativo rilasciato dalla società
Autostrade relativamente alla deroga al
rispetto delle distanze autostradali per la
ristrutturazione di un immobile.
Con il primo motivo i ricorrenti, dopo avere
evidenziato come il vincolo di
inedificabilità sia funzionale al
perseguimento di interessi e utilità
pubbliche, hanno lamentato l’illegittimità
del provvedimento impugnato in quanto, per
la conformazione dei luoghi e le
caratteristiche dell’area ove è previsto
l’intervento edilizio, non sarebbe
ravvisabile, nella specie, alcun interesse o
utilità pubblica nel rispetto del vincolo.
Il motivo è infondato: il divieto di
costruire ad una certa distanza dalla sede
autostradale ha natura assoluta (da ultimo
Cass. civ. II 22.11.2010 n. 22422). Lo
stesso, cioè, ha una giustificazione che non
ammette prova contraria.
La sussistenza del divieto vale anche nel
caso in cui il vincolo sopravvenga alla
realizzazione della costruzione e nel caso
in cui il sedime autostradale si trovi a un
livello diverso da quello della realizzanda
costruzione. Di talché le distanze previste
dalla normativa vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (Cass., II,
01.06.1995, n. 6118; Cons. di St., IV,
18.10.2002, n. 5716; id., 25.09.2002, n.
4927; TAR Campania-Salerno, II, 09.04.2009,
n. 1383). Ovvero anche nel caso, invero
speculare, di costruzioni realizzate ad un
livello superiore rispetto al sedime
autostradale (Cass. civ. II 03.02.2005 n.
2164).
--------------
Con il secondo
motivo i ricorrenti invocano il disposto
dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. 495/1992
recante regolamento di esecuzione del codice
della strada sostenendo che il divieto di
costruzione vale esclusivamente riguardo
alle costruzioni che fronteggiano la strada
e non già gli ampliamenti non fronteggianti
la strada per essere, ad esempio, che come
nel caso di specie .
Il motivo è infondato.
Il complesso normativo che regole le
distanze dalle strade è ancora costituito
dal d.m. 01.04.1968 n. 1404 per effetto
della norma transitoria contenuta all’art.
234, comma 5, cds che recita: “Le norme
di cui agli articoli 16, 17 e 18 si
applicano successivamente alla delimitazione
dei centri abitati prevista dall'articolo 4
ed alla classificazione delle strade
prevista dall'articolo 2, comma 2. Fino
all'attuazione di tali adempimenti si
applicano le previgenti disposizioni in
materia”.
Poiché il decreto ministeriale previsto
dall’art. 2, comma 8, non è stato mai
emanato, con conseguente impossibilità di
classificazione delle strade, per effetto
del disposto della norma transitoria di cui
all’art. 234, comma 5, cds è ancora
applicabile il complesso normativo
previgente cioè per quanto qui interessa il
d.m. 01.04.1968 n. 1404.
La misura della fascia di rispetto
autostradale così come disciplinata
dall'art. 26 del regolamento di attuazione
del codice della strada e dall'art. 16,
comma 3, c. strad., in base al disposto
dell'art. 234, comma 5, del codice, si
applica "successivamente alla
delimitazione dei centri abitati prevista
dall'art. 4 ed alla classificazione delle
strade prevista dall'art. 2, comma 2. Fino
all'attuazione di tali adempimenti si
applicano le previgenti disposizioni in
materia". La classificazione delle
strade in conformità alle indicazioni di cui
all'art. 2, comma 2, è demandata ad un
decreto del Ministro delle infrastrutture,
non emanato, con conseguente inapplicabilità
della norme richiamate (TAR Toscana Firenze,
sez. III, 12.07.2010, n. 2449).
Orbene l’art. 4 d.m. 01.04.1968 n. 1404 si
limita ad imporre il divieto di edificazione
senza ulteriormente specificare, onde deve
ritenersi l’irrilevanza del carattere
frontistante alla strada dell’ampliamento
(TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza
13.02.2012 n. 281 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
vincolo di inedificabilità gravante sulla
fascia di rispetto autostradale ha carattere
assoluto e prescinde dalla caratteristiche
dell’opera realizzata, in quanto il divieto
di costruzione sancito dall’art. 9 della l.
n. 729/1961 e dal successivo d.m. n.
1404/1968 non può essere inteso
restrittivamente al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla
presenza di costruzioni.
Cosicché le distanze previste vanno
osservate anche con riferimento ad opere che
non superino il livello della sede stradale
o che costituiscano mere sopraelevazioni o
che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti.
Come affermato da recente giurisprudenza,
che il Collegio condivide, “il vincolo di
inedificabilità gravante sulla fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto
e prescinde dalla caratteristiche dell’opera
realizzata, in quanto il divieto di
costruzione sancito dall’art. 9 della l. n.
729/1961 e dal successivo d.m. n. 1404/1968
non può essere inteso restrittivamente al
solo scopo di prevenire l’esistenza di
ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede
autostradale, pregiudizio alla sicurezza del
traffico e alla incolumità delle persone, ma
appare correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limiti connessi alla
presenza di costruzioni.
Cosicché le distanze previste vanno
osservate anche con riferimento ad opere che
non superino il livello della sede stradale
(Cass. civ., n. 6118/1995) o che
costituiscano mere sopraelevazioni (Cass.
civ., n. 193/1987) o che, pur rientrando
nella fascia, siano arretrate rispetto alle
opere preesistenti” (TAR Campania,
Napoli, VIII, 14.03.2011, n. 1461; altresì,
ex multis, Cassazione civile, II,
03.11.2010, n. 22422; Consiglio di Stato, IV,
14.04.2010, n. 2076)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 05.10.2011 n. 2353 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Per espresso dato normativo (art.
9 della legge 24/07/1961 n. 729), le fasce
di rispetto autostradali sono soggette a
vincolo di inedificabilità assoluta non
suscettibile a deroghe o sanatorie.
Sul punto conforta altresì l’orientamento
giudice di seconde cure. Il Consiglio di
Stato ha chiarito come le opere realizzate
all'interno della fascia di rispetto
autostradale prevista al di fuori del
perimetro del centro abitato (fascia di
sessanta metri) sono ubicate in aree
assolutamente inedificabili e, pertanto, se
costruite dopo l'imposizione del vincolo,
rientrano nella previsione di cui
all'articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria.
Le distanze previste dalla norma suddetta
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale o che costituiscano mere
sopralevazioni o che, pur rientrando nella
fascia, siano arretrate rispetto alle opere
preesistenti.
In altri termini, in presenza di una norma
introduttiva di un vincolo di
inedificabilità assoluto, non può operare,
all’interno del procedimento volto
all’eventuale rilascio di una concessione
edilizia in sanatoria, l’istituto del
silenzio significativo per l’acquisizione
del parere da parte dell’autorità preposta
alla tutela dello specifico vincolo.
Né come già sopra evidenziato, possono
venire il rilievo le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima.
Analoga questione è stata già affrontata da
questa sezione con la condivisibile sentenza
n. 1070/2009 dalla quale il Collegio non
trae oggi motivo di discostarsi.
Ed invero il dettato letterale dell’art. 23,
comma nono, della L.R. n. 37/1985 prevede la
concedibilità del titolo edilizio in
sanatoria per le costruzioni realizzate
all’interno delle fasce di rispetto “stradali”,
come definite dal D.M. 01/04/1968 e “semprechè
a giudizio degli enti preposti alla tutela
della viabilità le costruzioni stesse non
costituiscano minaccia alla sicurezza del
traffico”.
Si osserva a tal fine che per espresso dato
normativo (art. 9 della legge 24/07/1961 n.
729), le fasce di rispetto autostradali sono
soggette a vincolo di inedificabilità
assoluta non suscettibile a deroghe o
sanatorie.
Sul punto conforta altresì l’orientamento
giudice di seconde cure. Il Consiglio di
Stato ha chiarito come le opere realizzate
all'interno della fascia di rispetto
autostradale prevista al di fuori del
perimetro del centro abitato (fascia di
sessanta metri) sono ubicate in aree
assolutamente inedificabili e, pertanto, se
costruite dopo l'imposizione del vincolo,
rientrano nella previsione di cui
all'articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria.
A tale riguardo giova premettere che, ai
sensi dell'articolo 41-septies, commi 1 e 2,
della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150
(articolo aggiunto dall'articolo 19 della l.
06.08.1967, n. 765) "Fuori del perimetro
dei centri abitati debbono osservarsi
nell'edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l'Interno, entro sei mesi dall'entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica".
Tale vincolo di inedificabilità è
configurato come assoluto nel caso di
autostrade per le aree situate al di fuori
del centro abitato, perché -ai sensi del
D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità
di deroga alla distanza minima, fissata in
sessanta metri (la fascia di rispetto è,
invece, ridotta a venticinque metri
all'interno del perimetro del centro abitato
ed è derogabile a mente dell'articolo 9,
comma 1, della legge 24.07.1961, n. 729).
[...]
Va, inoltre, osservato che il carattere
assoluto del vincolo sussiste a prescindere
dalla concrete caratteristiche dell'opera
realizzata. Infatti il divieto di costruire
ad una certa distanza dalla sede
autostradale, posto dall'articolo 9 della
legge 24.07.1961, n. 729 e dal successivo
d.m. 01.04.1968, non può essere inteso
restrittivamente e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass.
civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti (Cons.
Stato, sez. IV, 18.10.2002 n. 5716; Cons.
Stato, sez. IV, 25.09.2002 n. 4927; Cons.
Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968).
In altri termini, in presenza di una norma
introduttiva di un vincolo di
inedificabilità assoluto, non può operare,
all’interno del procedimento volto
all’eventuale rilascio di una concessione
edilizia in sanatoria, l’istituto del
silenzio significativo per l’acquisizione
del parere da parte dell’autorità preposta
alla tutela dello specifico vincolo.
Né come già sopra evidenziato, possono
venire il rilievo le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima (cfr. TAR
Lombardia Brescia, sez. I, 30.04.2010, n.
1628; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. II,
20.05.2009, n. 768; Consiglio Stato, sez. IV,
14.04.2010, n. 2076) (TAR Sicilia-Palermo,
Sez. II,
sentenza 20.09.2011 n. 1663 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto stradale -
Art. 9 L. n. 729/1961 - Finalità - Divieto
assoluto di edificare - Verifica in concreto
dei rischi per la circolazione stradale -
Necessità - Esclusione.
Il divieto di costruire a una certa distanza
dal nastro autostrdale, imposto dall'art. 9
l. n. 729/1961 e dal d.m. Lavori Pubblici
01.04.1968, non può essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibilità di costituire, per la
prossimità alla sede stradale, pregiudizio
alla sicurezza del traffico e alla
incolumità delle persone, in quanto è
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
dei materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza limitazioni connesse alla
presenza di costruzioni.
Pertanto, il vincolo in questione,
traducendosi in un divieto assoluto di
costruire, rende legalmente inedificabili le
aree site in fascia di rispetto stradale o
autostradale, indipendentemente dalle
caratteristiche dell'opera realizzata e
dalla necessità di accertamento in concreto
dei connessi rischi per la circolazione
stradale (Cass. civ., sez. II, 03.11.2010 n.
22422; Cons. Stato, sez. IV, 14.04.2010 n.
2076).
Fascia di rispetto
autostradale - Divieto di costruire a
distanza inferiore a 25 metri - Art. 9, c. 1
L. n. 729/1961 - Vigenza - Autostrade
costruite successivamente all’entrata in
vigore della legge.
Il divieto di costruire di ampliare edifici
o manufatti di qualsiasi specie, a distanza
inferiore a 25 m. dal limite della zona di
occupazione dell'autostrada, di cui all'art.
9, 1° comma, l. 24.07.1961, n. 729, opera
soltanto per le autostrade la cui
costruzione è avvenuta dopo l'entrata in
vigore della legge medesima, oppure alle
autostrade la cui costruzione è stata già
concessa anteriormente a tale data.
È la stessa lettera della legge ad implicare
tale conclusione, laddove fa riferimento
alle autostrade e ai relativi accessi,
previsti sulla base di progetti regolarmente
approvati: tanto basta a rendere
inapplicabile la nuova normativa ad
autostrade già edificate in base al generale
principio della irretroattività sancito
dall'art. 11 delle preleggi (Consiglio di
Stato sez. IV, 29.04. 2002 n. 2277)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.06.2011 n. 3498 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
vero che, in base al T.U. n. 380/2001, la
ristrutturazione edilizia può consistere
nella demolizione e ricostruzione di un
edificio, ma questo ha rilievo solo dal
punto di vista edilizio. Ai fini
dell’applicazione delle norme del Codice
della Strada, invece, la demolizione e
fedele ricostruzione è assimilata ad una
nuova costruzione (art. 26, commi 2 e 3, DPR
n. 495/1992). Questo obbedisce all’esigenza
di rimuovere con il tempo situazioni di
pericolo che preesistevano all’introduzione
delle fasce di rispetto.
E' vero che, in base al T.U. n. 380/2001, la
ristrutturazione edilizia può consistere
nella demolizione e ricostruzione di un
edificio, ma questo ha rilievo solo dal
punto di vista edilizio. Ai fini
dell’applicazione delle norme del Codice
della Strada, invece, la demolizione e
fedele ricostruzione è assimilata ad una
nuova costruzione (art. 26, commi 2 e 3, DPR
n. 495/1992).
Questo obbedisce all’esigenza di rimuovere
con il tempo situazioni di pericolo che
preesistevano all’introduzione delle fasce
di rispetto
(TAR Marche,
sentenza 26.05.2011 n. 361 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Vincolo di inedificabilità assoluto - D.M.
01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di
inedificabilità è assoluto (conforme Cons.
Stato, Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo
a tal fine irrilevanti le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima; il
divieto di costruire è infatti in questo
caso correlato alla esigenza di assicurare
un’area libera utilizzabile dal
concessionario dell’autostrada -all’occorrenza-
per installarvi cantieri, depositare
materiali e, comunque, per ogni necessità di
gestione relativa ad interventi in loco
sulla rete autostradale. (Tar Toscana, sez.
II, sentenza 25.06.2007, n. 934; Tar
Liguria, I, 05.07.2010, n. 5565; Cass. civ.,
II, 03.11.2010, n. 22422) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 21.03.2011 n. 450 - link
a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
D.M. 01.04.1968 n. 1404 - Fascia di rispetto
autostradale - Vincolo assoluto di inedificabilità - Condono edilizio - Non
ammissibile - Caratteristiche concrete delle
opere abusive - Non rilevano.
Nell'ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di inedificabilità
è assoluto e la sua violazione impedisce il
conseguimento di una concessione edilizia a
seguito di domanda di condono edilizio,
essendo a tal fine irrilevanti le
caratteristiche concrete delle opere abusive
realizzate nell'ambito della fascia medesima (massima tratta da www.solom.it
- TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.03.2011 n.
603 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Inedificabilità assoluta - Abusi -
Insuscettibilità di sanatoria.
Le opere realizzate all'interno della fascia
di rispetto autostradale prevista al di
fuori del perimetro del centro abitato
(fascia di sessanta metri) sono ubicate in
aree assolutamente inedificabili e,
pertanto, se costruite dopo l'imposizione
del vincolo, rientrano nella previsione di
cui all'articolo 33, comma 1, lettera d),
della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria.
Vincolo autostradale -
Carattere assoluto - Caratteristiche
dell’opera - Opere che non superino il
livello della sede stradale - Rilevanza -
Esclusione.
Il carattere assoluto del vincolo di cui
all’art. 9 della L. n. 729/1961 sussiste a
prescindere dalla concrete caratteristiche
dell'opera realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto dal
menzionato art. 9 e dal successivo d.m.
01.04.1968, non può essere inteso
restrittivamente e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopralevazioni (v. Cass.
civ., 14.01.1987, n. 193), o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti. (Cons.
Stato, sez. IV, 30.09.2008, n. 4719;
18.10.2002 n. 5716; 25.09.2002 n. 4927;
Cons. Stato, sez. V, 08.09.1994 n. 968) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 11.01.2011 n. 24 - link
a www.ambientediritto.it). |
anno
2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Le
norme sulle distanze in materia urbanistica
di cui agli articoli 19 l. 06.08.1967 n. 765
e 4 d.m. 01.04.1968 -le quali prescrivono
che le distanze minime a protezione del
nastro stradale debbono osservarsi
nell'edificazione fuori del perimetro dei
centri abitati- hanno lo scopo di garantire
la sicurezza della circolazione stradale nei
confronti di quanti transitano sulle strade
o passano nelle immediate vicinanze ovvero
in queste abitano od operano.
Pertanto, esse impongono all'attività
edificatoria un vincolo (ontologico e
funzionale) d'assoluta inedificabilità la
cui applicazione costituisce puntuale
esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47.
La Sezione
condivide l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui “le norme sulle distanze in
materia urbanistica di cui agli articoli 19
l. 06.08.1967 n. 765 e 4 d.m. 01.04.1968 -le
quali prescrivono che le distanze minime a
protezione del nastro stradale debbono
osservarsi nell'edificazione fuori del
perimetro dei centri abitati- hanno lo scopo
di garantire la sicurezza della circolazione
stradale nei confronti di quanti transitano
sulle strade o passano nelle immediate
vicinanze ovvero in queste abitano od
operano.
Pertanto, esse impongono all'attività
edificatoria un vincolo (ontologico e
funzionale) d'assoluta inedificabilità la
cui applicazione costituisce puntuale
esecuzione dell'art. 33 l. 28.02.1985 n. 47
(cfr. TAR Puglia Bari, sez. II, 08.01.2003
n. 20)"
(TAR Roma-Latina, Sez. I,
sentenza 15.12.2010 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sebbene
la fascia di rispetto della strada demaniale
sia vincolata ad inedeficabilità assoluta
dalla normativa vigente, il divieto di
costruire su tale striscia di terreno non
impedisce che essa sia computata come
superficie fondiaria, ai fini del calcolo
dell’indice di fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può
costruire sulla parte di fondo
fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò
non impedisce che tale superficie debba
essere presa in considerazione ai fini della
determinazione della volumetria
complessivamente edificabile, in quanto lo
strumento urbanistico determina l’indice di
fabbricabilità facendo riferimento al
rapporto tra volume della costruzione e
superficie del fondo, ivi compresa la parte
vincolata al rispetto della sicurezza
stradale.
Deve ritenersi
che sebbene la fascia di rispetto della
strada demaniale sia vincolata ad
inedeficabilità assoluta dalla normativa
vigente, il divieto di costruire su tale
striscia di terreno non impedisce che essa
sia computata come superficie fondiaria, ai
fini del calcolo dell’indice di
fabbricabilità.
In altri termini, il proprietario non può
costruire sulla parte di fondo
fiancheggiante la strada pubblica, ma ciò
non impedisce che tale superficie debba
essere presa in considerazione ai fini della
determinazione della volumetria
complessivamente edificabile, in quanto lo
strumento urbanistico determina l’indice di
fabbricabilità facendo riferimento al
rapporto tra volume della costruzione e
superficie del fondo, ivi compresa la parte
vincolata al rispetto della sicurezza
stradale (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 14.12.2010 n. 2945 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'area
sita in fascia di rispetto, sebbene
inedificabile, esprime una volumetria
concentrabile sulle aree adiacenti esterne a
detta fascia, secondo i parametri nelle
stesse fissate e, quindi, concorre per
intero alla determinazione della superficie
utile ai fini del calcolo della cubatura
assentibile e della superficie che può
essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e
consolidato in giurisprudenza, secondo cui
la fascia di rispetto partecipa, come regola
generale e salvi gli specifici obblighi da
essa nascenti, della natura e della
disciplina della zona nella quale essa è
inserita, concorrendo alla determinazione
delle capacità edificatorie della più vasta
area in cui essa è inclusa.
Il vincolo derivante da una fascia di
rispetto stradale ha l'effetto urbanistico
di prescrivere un semplice obbligo di
distanza, ma non quello di rendere
inedificabile l'area che vi ricade, posto
che la "ratio" delle disposizioni che danno
origine alla cosiddetta "zona di rispetto
viario" sono quelle di garantire la
sicurezza della circolazione stradale, con
la conseguenza che tali aree possono essere
computabili ai fini della volumetria
edificabile.
Le norme che impongono vincoli di rispetto
dalla sede stradale operano al pari della
disciplina sulle distanze tra costruzioni e
tra costruzioni e confini, che hanno natura
edilizia ed impongono arretramenti e
distacchi, senza incidenza sulla vocazione
edificatoria del suolo compreso nella
distanza, la quale, a sua volta, trae
origine dalla disciplina a natura
urbanistica.
La “fascia di rispetto stradale”
costituisce un vincolo al quale è
riconosciuta natura “conformativa”,
per essere configurato in maniera obiettiva
e rispetto alla totalità dei soggetti e beni
che si trovano nelle suddette condizioni
nonché in considerazione del fatto che esso
non è funzionale ad alcuna vicenda ablatoria,
per cui non incide sulla qualità
edificatoria della superficie, che deriva
esclusivamente dalla destinazione impressa
dalla zonizzazione nello strumento
urbanistico.
L’amministrazione sostiene, nella specie,
che l’area derivante dalla fascia di
rispetto stradale, essendo graficizzata come
zona bianca, non potrebbe essere computata
ai fini volumetrici, non essendo compresa
tra le aree a destinazione agricola.
Osserva il Collegio che l'area sita in
fascia di rispetto, sebbene inedificabile,
esprime una volumetria concentrabile sulle
aree adiacenti esterne a detta fascia,
secondo i parametri nelle stesse fissate e,
quindi, concorre per intero alla
determinazione della superficie utile ai
fini del calcolo della cubatura assentibile
e della superficie che può essere coperta.
Ciò corrisponde ad un principio pacifico e
consolidato in giurisprudenza, secondo cui
la fascia di rispetto partecipa, come regola
generale e salvi gli specifici obblighi da
essa nascenti, della natura e della
disciplina della zona nella quale essa è
inserita, concorrendo alla determinazione
delle capacità edificatorie della più vasta
area in cui essa è inclusa (conf: Cons.
Stato Sez. IV 31.01.2005 n. 253; TAR
Campania-Salerno, Sez. I, 27/11/2006, n.
2178; TAR Catania, I, 15.10.2007 n. 1663, in
cui si richiama Cass. Civ., Sez. I
06.09.2006 n. 19132; TAR Toscana n. 1982 del
2000).
In definitiva, il vincolo derivante da una
fascia di rispetto stradale ha l'effetto
urbanistico di prescrivere un semplice
obbligo di distanza, ma non quello di
rendere inedificabile l'area che vi ricade,
posto che la "ratio" delle
disposizioni che danno origine alla
cosiddetta "zona di rispetto viario"
sono quelle di garantire la sicurezza della
circolazione stradale, con la conseguenza
che tali aree possono essere computabili ai
fini della volumetria edificabile.
La tesi del Comune e la conclusione della
relazione, posta alla base dell’attività
amministrativa svolta in via di autotutela
non è condivisibile, poiché la ricostruzione
della cubatura assentibile effettuata appare
viziata dal medesimo errore di fondo e,
cioè, l'aver escluso, dalla superficie "utile"
dell’unità culturale, quella oggetto della
fascia di rispetto stradale.
In particolare, le norme che impongono
vincoli di rispetto dalla sede stradale
operano al pari della disciplina sulle
distanze tra costruzioni e tra costruzioni e
confini, che hanno natura edilizia ed
impongono arretramenti e distacchi, senza
incidenza sulla vocazione edificatoria del
suolo compreso nella distanza, la quale, a
sua volta, trae origine dalla disciplina a
natura urbanistica.
Nella specie, la volumetria derivante dalla
fascia di rispetto (pari a quella agricola
0,03) non determina un superamento della
densità fondiaria: infatti per le residenze
è previsto un indice di densità fondiaria di
edificazione=0,03 mc/mq che è il medesimo
previsto anche per la restante proprietà.
Pertanto, non risultando dimostrato che
l’accorpamento della volumetria, derivante
anche dal computo della fascia di rispetto,
abbia superato i limiti della densità
fondiaria, non esiste alcuna valida ragione
per ritenere i provvedimenti autorizzativi a
suo tempo assentiti non conformi alle
previsioni legislative e regolamentari
disciplinati la fattispecie, trattandosi,
peraltro, di situazioni urbanistiche
assolutamente equiparabili (TAR
Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 17.11.2010 n. 2709 -
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EDILIZIA PRIVATA:
La fascia di rispetto stradale ha
un contenuto omnicomprensivo, che incide
sulla recinzione e su qualsiasi altro
manufatto avente carattere di consistenza e
stabilità.
Gli interventi in questione, oggetto
dell’impugnata ordinanza, sono costituiti
dall’installazione di sette pali metallici
alti 9 metri posti a sostegno di fari, dieci
lampioni alti 3,50 metri, quattro pali
portabandiera alti 7-8 metri, una zona
lavaggio auto con calcestruzzo grigliato, un
cartellone pubblicitario, due tettoie, zona
pavimentata con grigliato in calcestruzzo,
recinzione e cancello metallici anziché in
legno, recinzione su cordolo in cemento
armato.
Trattasi di opere che, nell’insieme, per
dimensioni e destinazione modificano in via
definitiva l’assetto del territorio, in
contrasto sia con la zonizzazione agricola,
sia con le preclusioni derivanti dalla
fascia di rispetto stradale in cui esse
ricadono.
Le ricorrenti, in particolare, affermano che
la recinzione ed il cancello in esame
rientrano tra gli interventi liberamente
realizzabili, in quanto espressione del
diritto di escludere i terzi dalla proprietà
privata.
Al riguardo occorre considerare che la
predetta fascia di rispetto ha un contenuto
omnicomprensivo, che incide sulla recinzione
e su qualsiasi altro manufatto avente
carattere di consistenza e stabilità (TAR
Toscana, III, 20/05/2002, n. 1035).
Inoltre, come specificato al punto 10 della
contestata ordinanza, una parte della
recinzione è su cordolo in calcestruzzo, il
quale richiede il rilascio del permesso di
costruire e giustifica di per sé l’ordine di
rimessa in pristino, a prescindere dagli
effetti della destinazione a fascia di
rispetto stradale (TAR Lombardia, Milano, IV,
29/12/2009, n. 6266) (TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 04.10.2010 n. 6437 -
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EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto stradale e
autostradale - Artt. 16, 17 e 18 C.d.S. e
Artt. 26-28 Regolamento di attuazione -
Limiti all’edificazione - Finalità -
Parcheggi pertinenziali - Disciplina ex art.
6 L.r. Campania n. 19/2001 - Applicabilità -
Esclusione.
L'esistenza di limiti all'edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell'ambito di quest'ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17, e 18
Decr. Leg.vo 285/1992) e del suo Regolamento
di attuazione (artt. 26, 27, e 28 D.P.R.
495/1992).
Il limite in questione è finalizzato a
mantenere una fascia di rispetto
utilizzabile per l'esecuzione di lavori,
l'impianto di cantieri, l'eventuale
allargamento della sede stradale, e per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale (cfr. Cons. di Stato sez. IV, n.
7275 del 23.12.2002; Cons. di Stato sez. IV,
n. 5716 del 18.10.2002; TAR Campania-Napoli
n. 5226 del 05.12.2001).
Sulla base di tali premesse deve allora
escludersi che possa trovare applicazione la
speciale disciplina prevista dall'art. 6 L.
Reg. Campania 19/2001 in tema di parcheggi
pertinenziali: il comma 8 assicura la
prevalenza di essa rispetto alle sole
disposizioni dei Regolamenti edilizi
comunali, ma non può superare previsioni che
promanano da norme primarie anch'esse
speciali.
Fascia di rispetto
autostradale - Tutela dell’incolumità
pubblica - Applicabilità dell’istituto del
silenzio-assenso - Esclusione. - Art. 19, c.
4, L. n. 241/1990.
La fascia di rispetto autostradale,
disciplinata dall’art. 18 del codice della
strada e dall’art. 28, comma 1, del relativo
regolamento, che ne hanno fissato l'ampiezza
in metri 30, è prevista al fine di evitare
possibili pregiudizi alla percorribilità
delle strade e per assicurare l’incolumità
non solo dei conducenti dei veicoli, ma
anche della popolazione che risiede vicino
alle autostrade.
Trattandosi, quindi, di un divieto che ha la
funzione di assicurare l'incolumità
pubblica, non può trovare applicazione il
meccanismo del silenzio assenso, in virtù
dell’espressa esclusione sancita
dall'articolo 19, comma 4, della legge
241/1990 (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 23.07.2010 n. 16967 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruire ad una certa distanza
dalla sede stradale non deve essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale.
Giova richiamare l’art. 1 del D.Lgs.
16.12.1992, n. 495 (recante il regolamento
di esecuzione e di attuazione del codice
della strada), a mente del quale “le
distanze dal confine stradale all'interno
dei centri abitati, da rispettare nelle
nuove costruzioni, nelle demolizioni
integrali e conseguenti ricostruzioni o
negli ampliamenti fronteggianti le strade,
non possono essere inferiori a: a) 30 m per
le strade di tipo A […]”.
Contrariamente a quanto ritenuto dai
ricorrenti, il termine “fronteggianti”
non si riferisce affatto ai soli manufatti “in
elevazione” rispetto al livello della
strada, bensì a tutte le costruzioni che si
trovino, in proiezione orizzontale, di
fronte al confine stradale, e siano dunque
finitime ad esso.
Per costante giurisprudenza, infatti, il
divieto di costruire ad una certa distanza
dalla sede stradale non deve essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al
solo scopo di prevenire l'esistenza di
ostacoli materiali emergenti dal suolo e
suscettibili di costituire, per la loro
prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118;
Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id.,
25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno,
II, 09.04.2009, n. 1383).
Del resto, già la normativa precedente (art.
4 del D.M. 01.04.1968) -rispetto alla quale
quella di cui all’art. 1 del D. Lgs.
16.12.1992, n. 495 si pone in linea di
coerente continuità– stabiliva che alle
distanze da osservarsi nella edificazione a
partire dal ciglio della strada e da
misurarsi in proiezione orizzontale, “va
aggiunta la larghezza dovuta alla proiezione
di eventuali scarpate”, con ciò
confermando che, al fine di escludere
l’applicazione della fascia di rispetto
stradale, non rileva che l’autostrada corra
(come nel caso di specie) su di un rilevato
posto ad una quota superiore rispetto a
quella del terreno oggetto della progettata
edificazione.
Per il resto, l’art. 9 della legge
24.03.1989, n. 122, nella parte in cui
consente di derogare agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti, costituisce norma eccezionale, non
applicabile –ex art. 14 disp. prel. c.c.–
oltre i casi in essa specificamente
considerati (i divieti contenuti negli
strumenti urbanistici e nei regolamenti
edilizi)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 05.07.2010 n. 5565 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Vincolo stradale - Finalità -
Sicurezza della circolazione - Impianto di
cantieri e deposito di materiali - Opere
realizzate a livello della sede stradale,
non emergenti dal suolo - Rispetto delle
distanze - Obbligo.
Il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede stradale non deve essere
inteso restrittivamente, e cioè come
previsto al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma è
connesso alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario, per l'esecuzione dei lavori,
per l'impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni,
sicché le distanze previste dalla normativa
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (Cass., II, 01.06.1995, n. 6118;
Cons. di St., IV, 18.10.2002, n. 5716; id.,
25.09.2002, n. 4927; TAR Campania-Salerno,
II, 09.04.2009, n. 1383) (TAR Liguria, Sez.
I,
sentenza 05.07.2010 n. 5565 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di inedificabilità nella fascia di
rispetto autostradale ha carattere assoluto
e prescinde dalla caratteristica dell’opera
realizzanda e risulta finalizzato a
mantenere una fascia di rispetto,
utilizzabile per l'esecuzione di lavori,
l'impianto di cantieri, l'eventuale
allargamento della sede stradale, nonché per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale.
Il Collegio osserva, in linea con la
consolidata giurisprudenza (ex plurimis
Tar Campania, Salerno, n. 1383/2009 e n.
89/2006) che:
a)
l’esistenza di limiti di edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell'ambito di quest'ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo
285/2002) e del suo Regolamento di
attuazione, nonché per le sole autostrade
dall'art. 9 della l. 729/1961: in
particolare l'art. 28 del dpr 495/1992 fissa
delle "fasce di rispetto per
l'edificazione nei centri abitati" (mt.
30 per le strade di tipo A, cioè per le
autostrade), mentre il comma 1 dell'art. 9
l. n. 729/1961 pone comunque il divieto di
realizzare qualsivoglia edificazione a
distanza inferiore a mt. 25 dal limite della
zona di occupazione dell'autostrada;
b)
la giurisprudenza ha in proposito precisato
che il divieto di inedificabilità nella
fascia di rispetto autostradale ha carattere
assoluto e prescinde dalla caratteristica
dell’opera realizzanda (CS, sez. IV, n.
4618/2008) e risulta finalizzato a mantenere
una fascia di rispetto, utilizzabile per
l'esecuzione di lavori, l'impianto di
cantieri, l'eventuale allargamento della
sede stradale, nonché per evitare possibili
pregiudizi alla percorribilità della via di
comunicazione; per cui le relative distanze
vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede
stradale (cfr. Cass. n. 6118
dell'01-06-1995; Cons. Stato, IV, n.
7275/2002, n. 5716/2002, n. 3731/2000; TAR
Calabria, Catanzaro, n. 130/2003; TAR
Campania, Napoli, n. 5226/2001);
c)
alla luce di quanto sopra deve escludersi
che, con riferimento alla fascia di rispetto
oggetto della presente controversia, possa
trovare applicazione sia la speciale
disciplina di cui all’art. 9 della L. n.
122/1989 sia quella regionale dettata
dall'art. 6, comma 8, della L.R. Campania n.
19/2001, atteso che nelle suddette
disposizioni è prevista la prevalenza
rispetto alle sole disposizioni degli
strumenti urbanistici e dei regolamenti
edilizi comunali, con esclusione, quindi,
delle previsioni che promanino direttamente
da norme primarie anch'esse speciali
(TAR Lazio-Roma, Sez. III,
sentenza 17.05.2010 n. 11642 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di costruire ad una
certa distanza dalla sede stradale si
applica anche nel caso di opere che
costituiscono mera sopraelevazione di un
edificio esistente.
Come è noto, la giurisprudenza della Suprema
Corte e quella del Consiglio di Stato
convergono nell’affermare che il divieto di
costruire ad una certa distanza dalla sede
stradale si applica anche nel caso di opere
che costituiscono –come nel caso all’esame-
mera sopraelevazione di un edificio
esistente (cfr. Cass. Civile II Sez. n. 2164
del 2005 e Consiglio di Stato IV Sez. n.
5716 del 2002)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.05.2010 n. 3032 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il divieto di edificare nelle
fasce di rispetto stradale risulta
finalizzato a mantenere una fascia di
rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di
lavori, l’impianto di cantieri, l’eventuale
allargamento della sede stradale, nonché per
evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione;
per cui lo stesso è di carattere assoluto,
tanto che le relative distanze vanno
rispettate anche con riferimento ad opere
che non superino il livello della sede
stradale.
La fascia di rispetto stradale determina,
dunque, una limitazione dello ius
aedificandi: come stabilito dall’art. 26 del
Regolamento del Codice della Strada, al suo
interno non è consentito costruire,
ricostruire o ampliare fabbricati.
Ai sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e
2 della legge urbanistica 17.08.1942, n.
1150 (articolo aggiunto dall’articolo 19
della l. 06.08.1967, n. 765) “Fuori del
perimetro dei centri abitati debbono
osservarsi nell’edificazione distanze minime
a protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica”.
L’esistenza di limiti di edificazione da
rispettare con riferimento al nastro di
autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell’ambito di quest’ultimo,
deriva direttamente dalla normativa del
Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18 d.lvo
285/2002) e del suo Regolamento di
attuazione, nonché per le sole autostrade
dall’art. 9 della l. 729/1961.
La disciplina delle zone di rispetto
stradale è oggi dettata dal Codice della
Strada, approvato con il D.Lgs. n. 285/1992,
e dal relativo Regolamento di cui al D.P.R.
n. 495/1992.
E’ l’art. 26 del D.P.R. n. 495/1992 –in
attuazione dell’art. 16 del Codice della
Strada- che detta la disciplina relativa
alle “fasce di rispetto fuori dai centri
abitati”, prescrivendo che: “Fuori
dai centri abitati… le distanze dal confine
stradale, da rispettare nelle nuove
costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere
inferiori a: …
d) 20 mt. per strade di tipo F, ad eccezione
delle “strade vicinali”, come definite
dall’art. 3, comma 1, n. 52 del Codice;
e) 10 mt. per le “strade vicinali” di tipo F”;
A sua volta il comma 3 dispone:
"3. Fuori dai centri abitati, come
delimitati ai sensi dell'articolo 4 del
codice, ma all'interno delle zone previste
come edificabili o trasformabili dallo
strumento urbanistico generale, nel caso che
detto strumento sia suscettibile di
attuazione diretta, ovvero se per tali zone
siano già esecutivi gli strumenti
urbanistici attuativi, le distanze dal
confine stradale, da rispettare nelle nuove
costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti
a demolizioni integrali o negli ampliamenti
fronteggianti le strade, non possono essere
inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.".
Il divieto in oggetto, secondo la costante
interpretazione della giurisprudenza,
risulta finalizzato a mantenere una fascia
di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione
di lavori, l’impianto di cantieri,
l’eventuale allargamento della sede
stradale, nonché per evitare possibili
pregiudizi alla percorribilità della via di
comunicazione; per cui lo stesso è di
carattere assoluto, tanto che le relative
distanze vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (cfr. TAR
Campania Salerno Sez. II sent. 1383 del
09.04.2009; Cassazione Civile, sezione II,
n. 2164 del 03.02.2005).
In termini più generali, va comunque
osservato che, poiché il Codice della Strada
contiene norme di rango primario in una
materia, quale è la sicurezza della
circolazione stradale, attribuita alla
legislazione esclusiva dello Stato, tali
norme devono ritenersi oggetto di immediata
applicazione sull’intero territorio
nazionale cosicché ad esse devono adeguarsi
gli strumenti urbanistici locali, come del
resto sistematicamente ricordano le
deliberazioni regionali con le quali vengono
approvati i P.R.G. e le relative varianti.
La fascia di rispetto stradale determina,
dunque, una limitazione dello ius
aedificandi: come stabilito dall’art. 26
del Regolamento del Codice della Strada, al
suo interno non è consentito costruire,
ricostruire o ampliare fabbricati
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 05.05.2010 n. 2673 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Fascia di rispetto autostradale -
Vincolo di inedificabilità assoluto -
Fondamento - D.M. 01.04.1968 n. 1404.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale di 60 metri, prevista dal D.M.
01.04.1968 n. 1404, il vincolo di
inedificabilità è assoluto (Cons. Stato,
Sez. V, 25.09.2002 n. 4927), essendo a tal
fine irrilevanti le caratteristiche concrete
delle opere abusive realizzate nell’ambito
della fascia medesima; il divieto di
costruire è infatti in questo caso correlato
alla esigenza di assicurare un’area libera
utilizzabile dal concessionario
dell’autostrada -all’occorrenza- per
installarvi cantieri, depositare materiali,
per necessità varie e, comunque, per ogni
necessità di gestione relativa ad interventi
in loco sulla rete autostradale (Tar
Toscana, 25.06.2007, n. 934) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 30.04.2010 n. 1628 -
link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in
quanto perseguente una serie concorrente di interessi
pubblici fondamentali ed inderogabili.
Il vincolo prescinde dalla caratteristiche dell'opera
realizzata, in quanto il divieto di costruzione (sancito
prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal successivo
D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso
restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per
finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni.
Come chiarito da univoca giurisprudenza penale ed
amministrativa, le fasce di rispetto previste dal codice
della strada, che comportano l'inedificabilità assoluta
dell'area, vanno incluse tra i vincoli previsti dal citato
articolo 33, lett. d).
Ed infatti il codice stradale prevede, nell'ipotesi di
violazione di dette fasce, l'obbligo per l'autore della
stessa di "ripristino dei luoghi a proprie spese"
(u.c. degli artt. 16, 17, 18, 19 cod. vigente). Deve,
allora, escludersi l'applicabilità della sanatoria prevista
dalla L. n. 326 del 2003 alle opere costruite abusivamente
(Cons. St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3731; cfr. Cass. Pen.,
Sez. III, 25-11-2008 n. 47106).
Rileva la Sezione che il vincolo di rispetto stradale ha
carattere assoluto, in quanto perseguente una serie
concorrente di interessi pubblici fondamentali ed
inderogabili (posti in evidenza dalla fondamentale sentenza
della Corte Costituzionale n. 133 del 1971, che ha
evidenziato anche come il vincolo rilevi pur quando
sopraggiunga alla realizzazione del manufatto, in ragione
della riconducibilità del relativo regime giuridico alla
categoria identificata dalla normativa primaria).
Il vincolo, infatti, prescinde dalla caratteristiche
dell'opera realizzata, in quanto il divieto di costruzione
(sancito prima dall'art. 9 della L. n. 729/1961 e poi dal
successivo D.M. n. 1404 del 1968) non può essere inteso
restrittivamente, cioè al solo scopo di prevenire
l'esistenza di ostacoli materiali suscettibili di
costituire, per la loro prossimità alla sede stradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico e alla incolumità
delle persone, ma appare correlato alla più ampia esigenza
di assicurare una fascia di rispetto utilizzabile per
finalità di interesse generale, ad esempio per l'esecuzione
dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il deposito di
materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
vincoli limitativi connessi alla presenza di costruzioni
(Consiglio di Stato, sez. IV, 18.10.2002, n. 5716; id.,
30.09.2008, n. 4719; id. 12.02.2010, n. 772).
D’altra parte, la correlazione del vincolo di rispetto
stradale con la tutela di interessi fondamentali della
collettività traspare dalla semplice osservazione
dell’entità e quantità delle opere accessorie necessarie per
tutelare i diritti fondamentali delle persone che abitano in
insediamenti sorti incontrollatamente a ridosso delle sedi
stradali (barriere antiacustiche, barriere antisfondamento,
strumenti di protezione e mitigazione visiva ed ambientale,
ecc. ), opere poste a carico delle finanze pubbliche e,
quindi, dell’intera collettività.
Non rileva in contrario la giurisprudenza di questo
Consiglio, sulla realizzabilità nella fascia di rispetto di
manufatti completamente interrati e di modesta entità, tale
da non compromettere gli interessi pubblici coinvolti (C.d.S
sez. V, 19.06.2003, n. 3641 ).
Infatti, nel caso di specie la domanda di condono ha
riguardato un vano seminterrato, quindi parzialmente
sporgente dal terreno, tale da compromettere i sopra
evidenziati profili di viabilità e di sicurezza.
Quanto al profilo della rilevanza della situazione di fatto
in mancanza di formale provvedimento di perimetrazione del
centro abitato, richiamato dal TAR per ritenere illegittimo
il parere negativo, osserva la Sezione che il TAR ha
considerato sussistente una circostanza rimasta indimostrata
nel corso del giudizio.
L’articolo 41-septies della legge n. 1150 del 1942, come
modificato con l'art. 19 della legge 06.08.1967, n. 765, ha
disposto che “fuori del perimetro dei centri abitati
debbono osservarsi nell'edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a partire dal
ciglio della strada, ... stabilite con decreto del Ministro
per i lavori pubblici di concerto con i Ministri per i
trasporti e per l'interno, entro sei mesi dall'entrata in
vigore della presente legge”.
Il TAR, al riguardo, ha ritenuto che, all’epoca della sua
realizzazione, il manufatto si trovava nel centro abitato,
desumendo tale situazione da una presunzione, cioè dal fatto
che solo nel settembre 1998 il Comune di Diso ha formalmente
delimitato il territorio comunale: ciò varrebbe come “conferma
a posteriori di una situazione preesistente di fatto e
valutabile come tale già all’epoca del procedimento di
sanatoria”.
Ritiene la Sezione che un’operazione ermeneutica del genere
non sia corretta, poiché ha invertito l’onere della prova
disciplinato dalla legge, spettando a chi richieda il
condono l'onere di dimostrare il fatto che si sostiene e
l'epoca dell'abuso e la sussistenza dei relativi presupposti
(Cons. St., sez. IV, 12.02.2010, n. 772; id., 24.12.2008, n.
6548; V, 27.09.1996, n. 1275).
Inoltre, il TAR non ha considerato che il provvedimento di
perimetrazione è stato emesso a distanza di oltre 20 anni
dalla commissione dell’abuso e da esso, pertanto, non può
ricavarsi nessuna presunzione di conformità dello stato di
fatto esistente all’epoca dell’abuso stesso rispetto a
quello ricostruito ed accertato con il provvedimento formale
di limitazione del centro abitato (Consiglio di Stato, Sez.
IV,
sentenza 14.04.2010 n. 2076 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Vincolo di rispetto stradale - Vincolo
di inedificabilità assoluta - Sussiste.
In merito al vincolo di rispetto stradale l'esistenza di
limiti di edificazione da rispettare con riferimento al
nastro stradale, tanto fuori del centro abitato che
nell'ambito di quest'ultimo, deriva direttamente dalla
normativa del codice della Strada (art. 16, 17 e 18 d.lgs.
285/2002) e del suo Regolamento di attuazione) ed ha natura
cogente in quanto finalizzata alla tutela della sicurezza
del traffico (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 26.01.2010 n. 178 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
LAVORI PUBBLICI:
E' legittima
la realizzazione di una
piazzola ecologica, in difetto di qualsivoglia opera
edilizia, nell'ambito della fascia di rispetto cimiteriale e
di rispetto stradale.
Le isole ecologiche sono aree
pubbliche sulle quali sono collocati a cielo aperto i
contenitori (amovibili) per i rifiuti urbani, per cui deve
essere condivisa l’obiezione addotta dal difensore del
Comune, secondo cui non si tratta di opere o di manufatti
che, in quanto tali, non potrebbero essere collocati nelle
aree di rispetto cimiteriale e nelle fasce di rispetto
stradale.
Le vigenti prescrizioni urbanistiche locali sono chiare,
infatti, nel far divieto di realizzazione nelle aree
ricadenti in fascia di rispetto cimiteriale unicamente per
quei manufatti che, per durata, inamovibilità ed
incorporazione al suolo, possano qualificarsi come
costruzioni edilizie. Solo queste, infatti, sono
incompatibili con la natura insalubre dei luoghi e con
l'eventuale futura espansione del cimitero.
Alcun rischio del tipo considerato si profila al contrario
per le viste isole ecologiche, di cui è da ritenere
legittima la realizzazione in difetto di qualsivoglia opera
edilizia (cfr., per una fattispecie analoga: TAR Lombardia,
Milano, sez. II, 12.10.1990, n. 837)
(TRGA Trentino Alto
Adige-Trento,
sentenza 14.01.2010 n. 20 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2009 |
|
URBANISTICA:
1. Piano regolatore generale - Vincolo
di rispetto stradale - Natura espropriativa - Non sussiste -
Natura conformativa - Sussiste - Decadenza del vincolo - Non
sussiste.
2. Piano regolatore generale - Azzonamenti - Obbligo di
motivazione - Non sussiste - Superamento degli standard
minimi - Obbligo di motivazione - Sussiste.
3. Variante al P.R.G. - Annullamento - Diritto al
risarcimento del danno - Non sussiste atteso il carattere
eventuale dell'emanazione del provvedimento ampliativo della
sfera giuridico- patrimoniale dell'interessato.
1.
Il vincolo di rispetto stradale non ha natura espropriativa,
ma unicamente conformativa e, in quanto tale, non è soggetto
a decadenza. E' pacifico, infatti, che il vincolo di
inedificabilità relativo alla "fascia di rispetto
stradale" riguardante una generalità di beni e di
soggetti, ha una funzione di salvaguardia della
circolazione, indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è
soggetto a scadenze temporali.
2.
Sebbene gli azzonamenti non richiedano apposita motivazione,
oltre quella implicita nelle scelte tecnico-urbanistiche
effettuate in sede di redazione del piano regolatore, una
più incisiva motivazione si impone, viceversa, in talune
ipotesi, tra le quali va annoverata quella del superamento
degli standard minimi di cui al d.m. 02.04.1968 n. 1444.
3.
Il risarcimento del danno può essere ammesso solo quando
l'attività amministrativa rinnovatoria conseguente ad
annullamento di illegittimo diniego si connoti in termini
tali da escludere ogni ulteriore apprezzamento
discrezionale, ovvero quando spetti all'Autorità
amministrativa un potere sostanzialmente vincolato, anche se
entro i termini della sentenza di annullamento.
Esso deve escludersi, al contrario, nei casi, quali la
rinnovazione della pianificazione urbanistica, nei quali in
capo all'Autorità stessa residui un margine di apprezzamento
discrezionale che configuri come eventuale l'emanazione del
provvedimento ampliativo della sfera giuridico patrimoniale
dell'interessato (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 01.12.2009 n. 5215 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Rilascio permesso a costruire impianto
fotovoltaico sottoposto a vincolo urbanistico.
Si chiede parere in merito alla possibilità di rilascio di
un permesso di costruire avente ad oggetto la realizzazione
di un impianto fotovoltaico da installare in zona sottoposta
a vincolo di rispetto cimiteriale e, parzialmente, in fascia
di rispetto stradale (Regione Piemonte,
parere n. 140/2009 - link a
www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Ordinanza di demolizione opera
abusiva - Istanza di permesso di costruire in sanatoria -
Improcedibilità.
2. Opera abusiva - Vincolo di inedificabilità - Diniego di
sanatoria - Mancata comunicazione avvio procedimento - Atto
vincolato - Art. 21-octies L. n. 241/1990 - Legittimità.
1.
L'ordinanza di demolizione impugnata, per effetto della
presentazione dell'istanza di permesso di costruire in
sanatoria e del successivo provvedimento di diniego, ha
perso la propria efficacia lesiva con conseguente
improcedibilità del ricorso (principale) per sopravvenuta
carenza di interesse.
2.
La presenza di un vincolo di inedificabilità assoluta
sull'area in questione (ricadente in una fascia di rispetto
stradale), imposto prima dell'esecuzione delle opere,
esclude la sanabilità delle stesse ai sensi dell'art. 33 L.
n. 47/1985, senza che assumano rilievo le norme dettate dal
codice della strada e dal relativo regolamento in tema di
recinzioni e le norme del regolamento edilizio relative alle
distanze delle recinzioni dall'asse stradale.
Peraltro, in considerazione della natura vincolata del
potere esercitato con il diniego di sanatoria e della
correttezza del contenuto dispositivo dello stesso atto, la
mancata comunicazione di avvio del procedimento, di cui si
duole il ricorrente, non porta, ai sensi dell'art.
21-octies, L. n. 241/1990, all'annullamento del
provvedimento impugnato (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 06.10.2009 n. 4762 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Fascia di rispetto stradale.
L’esistenza di
limiti di edificazione da rispettare con riferimento al
nastro di autostrade e strade, tanto fuori del centro
abitato che nell’ambito di quest’ultimo, deriva direttamente
dalla normativa del Codice della Strada (artt. 16, 17 e 18
d.lvo 285/2002) e del suo Regolamento di attuazione), nonché
per le sole autostrade dall’art. 9 della l. 729/1961: in
particolare l’art. 28 del dpr 495/1992 fissa delle “fasce
di rispetto per l’edificazione nei centri abitati” (mt.
30 per le strade di tipo A, cioè per le autostrade), mentre
il comma 1 dell’art. 9 l. n. 729/1961 pone comunque il
divieto di realizzare qualsivoglia edificazione a distanza
inferiore a mt. 25 dal limite della zona di occupazione
dell’autostrada.
Il divieto in oggetto risulta finalizzato a mantenere una
fascia di rispetto, utilizzabile per l’esecuzione di lavori,
l’impianto di cantieri, l’eventuale allargamento della sede
stradale, nonché per evitare possibili pregiudizi alla
percorribilità della via di comunicazione; per cui le
relative distanze vanno rispettate anche con riferimento ad
opere che non superino il livello della sede stradale (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 09.04.2009 n. 1383 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ampliamento
edificio rurale. Rispetto limite fascia stradale.
La questione posta nel quesito riguarda la distanza delle
costruzioni dalle strade.
Nello specifico, il Comune ha evidenziato la seguente
situazione.
Nel territorio agricolo esiste un fabbricato rurale,
edificato antecedentemente all’entrata in vigore del d.m.
01.04.1968, n. 1404, (“distanze minime a protezione del
nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del
perimetro dei centri abitati”).
L’edificio ricade, in base alla normativa anzidetta,
successivamente intervenuta ed oggi vigente, in fascia di
rispetto stradale.
In virtù delle disposizioni del Piano Regolatore Generale
Comunale in vigore, il fabbricato può essere fatto oggetto
di ampliamento nel limite massimo del 20% del volume
residenziale esistente.
Il privato ipotizza di sfruttare la facoltà di ampliamento
predetta, sopraelevando l’edificio a filo.
La sopraelevazione, pertanto, verrebbe a ricadere nella
fascia di rispetto stradale di cui dianzi si è detto.
Sia la legge reg. 56/1977 (art. 27) che il P.R.G. medesimo
dispongono che in fascia di rispetto gli ampliamenti siano
ammessi esclusivamente sul lato opposto alla strada, nei
casi in cui essi sono di per sé possibili.
Viene quindi richiesto se l’intervento, così come proposto,
sia ammissibile o se, invece, debba rispettare il limite
della fascia di rispetto stradale come dianzi
statuita (Regione
Piemonte,
parere 39/2009 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Disciplina
edilizia concernente fasce di rispetto stradale.
E’ chiesto parere in merito alla disciplina edilizia
concernente le fasce di rispetto stradali.
Il Comune richiedente, partendo dal presupposto che “il
Codice Stradale equipara le strade vicinali alle strade
comunali”, chiede di sapere, nel caso in cui “il P.R.G.
preveda distanze diverse (20 mt. per le comunali e 10 mt.
per le vicinali) e in sede di approvazione del P.R.G. la
Regione abbia prescritto “fatto salvo il codice della
strada”, quale distanza deve essere rispettata in caso di
realizzazione di un edificio limitrofo ad una strada
vicinale” e se sia possibile “realizzare costruzioni
interrate nelle fasce di rispetto stradali” (Regione
Piemonte,
parere
22/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it). |
anno
2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 7 -
Sulla natura del vincolo derivante dalla fascia di rispetto
stradale e sul procedimento per la sanatoria di abusi
commessi in area di rispetto stradale (Geometra
Orobico n. 5/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Giustizia
amministrativa - Ricorso avverso ordinanza di demolizione
opera abusiva- Presentazione sanatoria dell'opera abusiva -
Improcedibilità del ricorso - Sussiste.
2. Vincolo di rispetto stradale - Vincolo di inedificabilità
assoluta - Sussiste - Vincoli di rispetto stradale che
rientrano nell'art. 32 della L. n. 47/1985 - Vincoli ex art.
32, comma 2, lett. c), della L. n. 47/1985 a condizione che
siano stati imposti dopo l'esecuzione delle opere abusive -
Sussiste.
3. Concessione edilizia in sanatoria - Specialità del
procedimento - Obbligo del parere della commissione edilizia
- Non sussiste.
1.
La presentazione della domanda di sanatoria fa venire meno
l'interesse alla decisione sul ricorso contro l'ordinanza di
demolizione dell'abuso, considerato che, da un lato, il
rilascio della concessione in sanatoria produce
evidentemente l'improcedibilità del ricorso e, dall'altro,
uguale effetto si produce in caso di diniego di sanatoria,
concentrandosi l'interesse nel contestare con apposito
ricorso l'eventuale provvedimento di diniego della
sanatoria, nei termini e nei limiti in cui essa è stata
richiesta.
2.
IL vincolo di rispetto stradale costituisce vincolo di
inedificabilità assoluta che rientra nelle previsioni
dell'art. 33 L. n. 47/1985 applicabile al condono in base
all'art. 32, comma 25, del D.L. n. 269/2003, e gli unici
vincoli di rispetto stradale che rientrano nella disciplina
dell'art. 32 della L. n. 47/1985 sono quelli indicati al
comma 2, lettera c), a condizione che siano stati imposti
dopo l'esecuzione delle opere abusive.
3.
Ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria
non è obbligatorio, al più facoltativo, il parere della
commissione edilizia e ciò in considerazione della
specialità del procedimento di condono edilizio rispetto
all'ordinario procedimento di rilascio di concessione
edilizia (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.09.2008 n. 4045 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA:
Vincolo di inedificabilità relativo alla
fascia di rispetto stradale - Natura conformativa e non
espropriativa - Sussiste - Scadenza temporale del vincolo -
Non sussiste.
Il vincolo di
inedificabilità relativo alla "fascia di rispetto stradale"
non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in
quanto riguarda una generalità di beni e di soggetti ed ha
una funzione di salvaguardia della circolazione
indipendentemente dalla eventuale instaurazione di procedure
espropriative; esso, quindi, non è soggetto a scadenze
temporali (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 10.09.2008 n. 4045 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Quesito 6 -
Sul vincolo di inedificabilità derivante dalla fascia di
rispetto stradale prevista dal p.r.g. (Geometra
Orobico n. 3/2008). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Destinazione di un piazzale a
deposito duraturo di autoveicoli - Comporta attività di
modifica del territorio urbanisticamente rilevante -
Necessità di titolo abilitativo edilizio - Sussiste.
2. Realizzazione di opere o destinazione di un'area ad usi
precari - Non comporta attività di modifica del territorio
urbanisticamente rilevante - Necessità di titolo abilitativo
edilizio - Non sussiste.
3. Fascia di rispetto stradale - Carattere espropriativo del
vincolo - Non sussiste - Carattere conformativo del vincolo
- Sussiste.
4. Vincolo urbanistico - Qualificazione - Dipende dalla
circostanza che il vincolo precluda o meno l'iniziativa
privata - Vincolo espropriativo - Sussiste solo quando il
bene viene sottratto alla disponibilità del privato.
1.
Adibire un piazzale in modo duraturo al deposito di
autoveicoli costituisce attività di modifica dell'assetto
del territorio urbanisticamente rilevante e quindi
necessitante di titolo abilitativo.
2.
È irrilevante sul piano urbanistico, e rientra nel mero
esercizio del diritto di proprietà, la realizzazione di
opere o la destinazione di un'area ad usi precari, in quanto
le opere precarie sono inidonee ad incidere sull'assetto
urbanistico del territorio.
3.
L'apposizione di una fascia di rispetto stradale non ha
carattere espropriativo, ma rappresenta vincolo conformativo,
conseguenza di una previsione generale ed astratta relativa
a tutte le aree del territorio comunale che si trovino in
una certa situazione.
4.
Ciò che è decisivo per qualificare la natura di un vincolo
urbanistico non è la quantità di facoltà dominicali incise,
ma la circostanza che il vincolo non precluda del tutto
l'iniziativa privata, consentendo l'utilizzazione dell'area
da parte della collettività anche tramite costruzioni non di
proprietà pubblica; in presenza di tali possibilità di
utilizzo del bene non si può parlare di un vincolo
espropriativo, perché di espropriazione in senso tecnico si
può parlare solo quando il bene viene sottratto alla
disponibilità del privato
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 28.04.2008 n. 1271). |
EDILIZIA PRIVATA: Distanza
dalle strade.
(...) detto divieto di edificazione non
preclude, di norma, il recupero di edifici
esistenti entro le fasce in oggetto; in
difetto di specifici divieti stabiliti dalla
disciplina edificatoria comunale (PRG o
Regolamento edilizio), il recupero può
considerarsi quindi ammissibile, anche
eventualmente spinto ai limiti estremi della
ristrutturazione integrale da cui deriva un
edificio completamente diverso, purché venga
accertato, in sede istruttoria, che il nuovo
edificio non rechi, rispetto alla situazione
preesistente, pregiudizi maggiori alle
esigenze di tutela sopra indicate
(massima tratta da www.lavatellilatorraca.it
-
TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 07.04.2008 n. 357 - link
a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Fascia di rispetto stradale - Ratio -
Sicurezza della circolazione e possibilità di esecuzione
lavori - Edifici esistenti - Recupero - E' ammissibile
-Ristrutturazione integrale - E' ammissibile - Ipotetici
maggiori oneri espropriativi - Sono irrilevanti.
La fascia di rispetto stradale si traduce in un divieto di
edificazione, che rende le aree medesime legalmente
inedificabili per favorire la circolazione ed offrire idonee
garanzie di sicurezza a quanti transitano sulle strade,
passano nelle vicinanze od abitano in esse, nonché per
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile,
all'occorrenza, per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto
dei cantieri, per il deposito dei materiali, per la
realizzazione di opere accessorie, senza limitazioni
connesse alla presenza di costruzioni, tuttavia, detto
divieto di edificazione non preclude, di norma, il recupero
di edifici esistenti entro le fasce in oggetto.
Pertanto, in difetto di specifici divieti stabiliti dalla
disciplina edificatoria comunale, il recupero può
considerasi ammissibile, anche eventualmente spinto ai
limiti estremi della ristrutturazione integrale da cui
deriva un edificio completamente diverso, purché venga
accertato, in sede istruttoria, che il nuovo edificio non
rechi, rispetto alla situazione preesistente, pregiudizi
maggiori alle esigenze di tutela sopra indicate senza che il
mero riferimento ad ipotetici maggiori oneri di esproprio o
di indennizzo in caso di eventuali lavori di adeguamento
della sede viaria, non può considerarsi legittima causa di
diniego
(massima tratta
da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 07.04.2008 n. 357 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
URBANISTICA: Fascia
di rispetto stradale - Vincolo di inedificabilità - Natura -
Subordinazione a scadenza temporale - Esclusione.
Il vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di
rispetto stradale” non ha natura espropriativa, ma
unicamente conformativa, in quanto riguarda una generalità
di beni e di soggetti ed ha una funzione di salvaguardia
della circolazione, indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative; esso quindi non è
soggetto a scadenze temporali.
Adozione del P.R.G. - Sindacato di legittimità -
Limiti.
Le scelte effettuate dall’amministrazione all’atto di
adozione del piano regolatore generale costituiscono
apprezzamenti di merito sottratti come tali al sindacato di
legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di
fatto o abnorme illogicità (in tal senso, ex plurimis,
Consiglio Stato, IV, 06.02.2004, n. 664) (Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 13.03.2008 n. 1095
- link a www.ambientediritto.it). |
anno
2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Nell’ambito della fascia di
rispetto autostradale o stradale il vincolo
di inedificabilità è assoluto per cui sono
irrilevanti le caratteristiche concrete
delle opere abusive realizzate nell’ambito
della fascia medesima; il divieto di
costruire è infatti in questo caso correlato
alla esigenza di assicurare un’area libera
utilizzabile dal concessionario
dell’autostrada -all’occorrenza- per
installarvi cantieri, depositare materiali,
per necessità varie e, comunque, per ogni
necessità di gestione relativa ad interventi
in loco sulla rete autostradale.
Le opere abusive realizzate all’interno
della fascia di rispetto autostradale, al di
fuori del perimetro del centro abitato, se
realizzate dopo l’imposizione del vincolo,
non sono suscettibili di sanatoria anche se
si tratta di mere sopraelevazioni di
manufatti preesistenti ed anche se l’opera
resti al di sotto del livello della strada.
Nell’ambito della fascia di rispetto
autostradale o stradale, come è stato
chiarito dalla giurisprudenza (vedi ex
multis C.d..S. 25.09.2002 n. 4927), il
vincolo di inedificabilità è assoluto per
cui sono irrilevanti le caratteristiche
concrete delle opere abusive realizzate
nell’ambito della fascia medesima; il
divieto di costruire è infatti in questo
caso correlato alla esigenza di assicurare
un’area libera utilizzabile dal
concessionario dell’autostrada -all’occorrenza-
per installarvi cantieri, depositare
materiali, per necessità varie e, comunque,
per ogni necessità di gestione relativa ad
interventi in loco sulla rete autostradale.
Premesso che il
divieto di edificazione nell’ambito della
fascia di rispetto autostradale è assoluto,
nel caso di specie le opere abusive non
risultano condonabili poiché innegabilmente
hanno comportato un aumento della superficie
utile del fabbricato preesistente; inoltre,
secondo la citata giurisprudenza seguita
anche da questo TAR (vedi Sez. 3^,
12.02.2003 n. 277), le opere abusive
realizzate all’interno della fascia di
rispetto autostradale, al di fuori del
perimetro del centro abitato, se realizzate
dopo l’imposizione del vincolo, non sono
suscettibili di sanatoria anche se si tratta
di mere sopraelevazioni di manufatti
preesistenti ed anche se l’opera resti al di
sotto del livello della strada
(TAR
Toscana, Sez. II,
sentenza 25.06.2007 n. 934 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
sopralzo di un fabbricato esistente è
subordinato al rispetto delle norme sulle
distanze dalle strade o da altre
costruzioni.
Il rilascio del titolo edilizio, con
riguardo alla parte dell’intervento
qualificabile come nuova costruzione, è
subordinato al rispetto delle norme sulle
distanze dalle strade o da altre costruzioni
(v. Cass. Civ., Sez. II, 16.03.2000, n.
3054; id., 24.05.2000, n. 6809; TAR Veneto,
sez. II, 22.04.2005, n. 1778, relative ad
interventi di sopraelevazione di edifici
esistenti)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 18.10.2005 n. 109 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Il
divieto di costruire ad una determinata
distanza dalle strade vale anche per le
sopraelevazioni di edifici già esistenti.
Non è suscettibile di sanatoria, ai sensi
della citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopralevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti.
Le opere realizzate all’interno della fascia
di rispetto autostradale prevista al di
fuori del perimetro del centro abitato
(fascia di sessanta metri) sono ubicate in
aree assolutamente inedificabili e,
pertanto, se costruite dopo l’imposizione
del vincolo, rientrano nella previsione di
cui all’articolo 33, comma 1, lettera d)
della legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria.
A tale riguardo giova premettere che, ai
sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2
della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150
(articolo aggiunto dall’articolo 19 della l.
06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro
dei centri abitati debbono osservarsi
nell’edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è
configurato come assoluto nel caso di
autostrade per le aree situate al di fuori
del centro abitato, perché -ai sensi del
D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità
di deroga alla distanza minima, fissata in
sessanta metri (la fascia di rispetto è,
invece, ridotta a venticinque metri
all’interno del perimetro del centro abitato
ed è derogabile a mente dell’articolo 9,
comma 1 della legge 24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente, che ha realizzato un’opera
abusiva all’interno della predetta fascia di
rispetto ed al di fuori del perimetro del
centro abitato, non può, inoltre, avvalersi
della possibilità di sanatoria offerta
dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della
citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni
sottoindicate, le opere insistenti su aree
vincolate dopo la loro esecuzione e che
risultino: […] c) in contrasto con le norme
del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968,
sempre che le opere stesse non costituiscano
minaccia alla sicurezza del traffico”),
perché nella fattispecie in esame il vincolo
sull’area era stato imposto prima della
costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la
possibilità di sanatoria delle opere di cui
al precedente articolo 31 “quando siano
in contrasto con i seguenti vincoli, qualora
questi comportino inedificabilità e siano
stati imposti prima della esecuzione delle
opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che
comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la
giurisprudenza della Corte di cassazione
(cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per
cui non è suscettibile di sanatoria, ai
sensi della citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale; v. anche Cass. civ.,
26.01.2000, n. 841, che per tale ragione
esclude la natura edificatoria del terreno
rientrante nella fascia di rispetto) sia
quella del Consiglio di Stato (Sez. V,
08.09.1994, n. 968, che qualifica come
inedificabile l’area ricompresa nella
predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere
assoluto del vincolo sussiste a prescindere
dalla concrete caratteristiche dell’opera
realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla sua incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopralevazioni (v. la
citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o
che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.10.2002 n. 5716 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Non
è suscettibile di sanatoria, ai sensi della
citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale.
Il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale o che
costituiscano mere sopralevazioni o che, pur
rientrando nella fascia, siano arretrate
rispetto alle opere preesistenti.
Le opere realizzate all’interno della fascia
di rispetto autostradale prevista al di
fuori del perimetro del centro abitato
(fascia di 60 metri) sono ubicate in aree
assolutamente inedificabili e, pertanto, se
costruite dopo l’imposizione del vincolo,
rientrano nella previsione di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47 e non sono
suscettibili di sanatoria, anche se si
tratti di mere soprelevazioni di manufatti
preesistenti ed anche se l’opera resti al di
sotto del livello della strada.
A tale riguardo giova premettere che, ai
sensi dell’articolo 41-septies, commi 1 e 2
della legge urbanistica 17.08.1942, n. 1150
(articolo aggiunto dall’articolo 19 della l.
06.08.1967, n. 765) “Fuori del perimetro
dei centri abitati debbono osservarsi
nell’edificazione distanze minime a
protezione del nastro stradale, misurate a
partire dal ciglio della strada. Dette
distanze vengono stabilite con decreto del
Ministro per i Lavori pubblici di concerto
con i Ministri per i trasporti e per
l’Interno, entro sei mesi dall’entrata in
vigore della presente legge, in rapporto
alla natura delle strade ed alla
classificazione delle strade stesse, escluse
le strade vicinali e di bonifica”.
Tale vincolo di inedificabilità è
configurato come assoluto nel caso di
autostrade per le aree situate al di fuori
del centro abitato, perché -ai sensi del
D.M. 01.04.1968- è esclusa ogni possibilità
di deroga alla distanza minima, fissata in
60 metri (la fascia di rispetto è, invece,
ridotta a 25 metri all’interno del perimetro
del centro abitato ed è derogabile a mente
dell’articolo 9, comma 1 della legge
24.07.1961, n. 729).
Il ricorrente,
che ha realizzato un’opera abusiva
all’interno della predetta fascia di
rispetto ed al di fuori del perimetro del
centro abitato, non può, inoltre, avvalersi
della possibilità di sanatoria offerta
dall’articolo 32, comma 4, lettera c), della
citata legge n. 47 del 1985 (per cui “Sono
suscettibili di sanatoria, alle condizioni
sottoindicate, le opere insistenti su aree
vincolate dopo la loro esecuzione e che
risultino: […] c) in contrasto con le norme
del D.M. 01.04.1968 pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 96 del 13.04.1968,
sempre che le opere stesse non costituiscano
minaccia alla sicurezza del traffico”),
perché nella fattispecie in esame il vincolo
sull’area era stato imposto prima della
costruzione del manufatto.
Trova, allora, applicazione la norma di cui
all’articolo 33, comma 1, lettera d), della
legge 28.02.1985, n. 47, che esclude la
possibilità di sanatoria delle opere di cui
al precedente articolo 31 “quando siano
in contrasto con i seguenti vincoli, qualora
questi comportino inedificabilità e siano
stati imposti prima della esecuzione delle
opere stesse: […] d) ogni altro vincolo che
comporti la inedificabilità delle aree”.
In tal senso si è espressa sia la
giurisprudenza della Corte di cassazione
(cfr. Cass. civ., 14.01.1987, n. 193, per
cui non è suscettibile di sanatoria, ai
sensi della citata legge n. 47 del 1985, la
sopraelevazione di edificio che disti dal
ciglio dell’autostrada, all’esterno dei
centri abitati, meno di quanto previsto dal
d.m. 01.04.1968, se la sopraelevazione è
stata realizzata dopo l’imposizione del
vincolo autostradale; v. anche Cass. civ.,
26.01.2000, n. 841, che per tale ragione
esclude la natura edificatoria del terreno
rientrante nella fascia di rispetto) sia
quella del Consiglio di Stato (Sez. V,
08.09.1994, n. 968, che qualifica come
inedificabile l’area ricompresa nella
predetta fascia di rispetto).
Va, inoltre, osservato che il carattere
assoluto del vincolo sussiste a prescindere
dalla concrete caratteristiche dell’opera
realizzata.
Infatti il divieto di costruire ad una certa
distanza dalla sede autostradale, posto
dall’articolo 9 della legge 24.07.1961, n.
729 e dal successivo d.m. 01.04.1968, non
può essere inteso restrittivamente e cioè
come previsto al solo scopo di prevenire
l’esistenza di ostacoli materiali emergenti
dal suolo e suscettibili di costituire, per
la loro prossimità alla sede autostradale,
pregiudizio alla sicurezza del traffico ed
alla incolumità delle persone, ma appare
correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto
utilizzabile, all’occorrenza, dal
concessionario, per l’esecuzione dei lavori,
per l’impianto dei cantieri, per il deposito
di materiali, per la realizzazione di opere
accessorie, senza vincoli limitativi
connessi con la presenza di costruzioni.
Pertanto, le distanze previste dalla norma
suddetta vanno rispettate anche con
riferimento ad opere che non superino il
livello della sede stradale (in termini,
Cass. civ., 01.06.1995, n. 6118) o che
costituiscano mere sopraelevazioni (v. la
citata Cass. civ., 14.01.1987, n. 193), o
che, pur rientrando nella fascia, siano
arretrate rispetto alle opere preesistenti
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 25.09.2002 n. 4927 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
2000 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Distanza
dalle strade.
Le fasce di rispetto stradale previste dalle
norme poste dal c. strad. non costituiscono
vincoli urbanistici, ma misure poste a
tutela della sicurezza stradale che,
tuttavia, comportano l'inedificabilità delle
aree interessate (massima tratta da
www.lavatellilatorraca.it - Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 20.10.2000 n. 5620 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno
1990 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Fattispecie
in materia di ristrutturazione - Distanze.
Le limitazioni contenute nell'art. 19 legge
n. 765 del 1967 e nel d.m. 01.04.1968 n.
1404 in tema di distanze legali delle
costruzioni dal ciglio stradale, mentre non
possono essere applicate in caso di
interventi di semplice restauro e
risanamento volti alla conservazione degli
elementi strutturali, tipologici e formali
dell'edificio, sono invece operanti in caso
di ristrutturazione o di ricostruzione dal
momento che, intervenendo sull'immobile in
modo consistente e tale da modificarlo in
tutto od in parte, si devono necessariamente
osservare le limitazioni imposte allo "ius
aedificandi" nell'interesse pubblico
(massima tratta da www.studiospallino.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza
12.05.1990 n. 356). |
|