dossier ANNULLAMENTO e/o
IMPUGNAZIONE P.d.C. (Permesso di Costruire) |
novembre 2021 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: La
Plenaria interviene sulla giurisdizione del g.a. in caso di risarcimento da
annullamento provvedimentale e sui limiti della tutela risarcitoria.
Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sussiste la giurisdizione
amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato
soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica
amministrazione sia in sede di giurisdizione generale di legittimità quanto
nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva di merito.
La Plenaria interviene inoltre sul tema della responsabilità
dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel
destinatario di un provvedimento favorevole poi annullato in sede
giurisdizionale, evidenziando che la relativa tutela è esclusa in caso di
illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza
dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento.
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Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da
provvedimento amministrativo favorevole annullato – Giurisdizione del
giudice amministrativo
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Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un
provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del contraente – Tutela
risarcitoria – Condizioni e limiti
L’Adunanza
plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
1) sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda
risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di
annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione tanto in sede
di giurisdizione generale di legittimità, quanto nelle materie devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nella specie si verteva
in materia di urbanistica e edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett.
f), del codice del processo amministrativo) (1);
2) la responsabilità dell’amministrazione per lesione
dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento
favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sia insorto
un ragionevole convincimento sulla legittimità dell’atto, il quale è escluso
in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia
conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento (2).
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(1-2) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato ha formulato i principi di diritto di cui in massima
relativi alla estensione della giurisdizione del giudice amministrativo in
caso di domanda di risarcimento dei danni da annullamento di provvedimento
favorevole, nonché in ordine alle condizioni e ai limiti entro i quali può
riconoscersi tutela risarcitoria in caso di lesione dell’affidamento
ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole della stessa
amministrazione.
Le questioni sono state deferite all’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. IV,
11.05.2021, n. 3701 (oggetto della
News US, n. 50
del 28.05.2021).
II. – Il Collegio, dopo aver descritto i fatti processuali e la
vicenda sottesa, ha osservato
quanto segue:
a) nel riconoscere la giurisdizione del giudice
amministrativo sulla domanda
risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di
annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione, sia in sede di
giurisdizione generale di legittimità, quanto in ipotesi di giurisdizione
esclusiva
del giudice amministrativo:
a1) la giurisdizione amministrativa ha fondamento costituzionale nella
dicotomia diritti soggettivi–interessi legittimi: al giudice ordinario è
devoluta la giurisdizione sui diritti soggettivi e al giudice amministrativo
sugli interessi legittimi salve le materie di giurisdizione esclusiva;
a2) la Corte costituzionale (06.07.2004, n. 204 in Foro it., 2004, I,
594, con note
di BENINI, TRAVI, FRACCHIA; Corriere giur., 2004, 1167; Nuove autonomie,
2004, 545, con nota di TERESI; Urbanistica e appalti, 2004, 1031, con nota
di
CONTI; Fisco 1, 2004, 6080; Giornale dir. amm., 2004, 969, con note di
CLARICH POLICE, MATTARELLA, PAJNO; Bollettino trib., 2004, 1606, con
nota di VOGLINO; Urbanistica e appalti, 2004, 1275, con nota di
LOTTI; Funzione pubbl., 2004, fasc. 2, 271; Riv. giur. edilizia, 2004, I,
1211, con
nota di SANDULLI; Dir. proc. amm., 2004, 799, con note di CERULLI IRELLI,
VILLATA; Cons. Stato, 2004, II, 1357; Guida al dir., 2004, fasc. 29, 88, con
nota
di FORLENZA; Resp. civ., 2004, 1003, con nota di ANGELETTI; Giust. civ.,
2004, I, 2207, con note di SANDULLI, DELLE DONNE; Mondo bancario,
2004, fasc. 4, 65, con nota di SICLARI; Dir. e giustizia, 2004, fasc. 29,
16, con
note di ROSSETTI, MEDICI; Giur. it., 2004, 2255) ha al riguardo affermato
che la Costituzione “ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità
di
giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica
amministrazione, delle
situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso)
l’art. 2 della
legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe
diventato l’art.
113 Cost., recepito il principio -«e fu per questo ritenuta una conquista
liberale di
grande importanza»– «per il quale, quando un diritto civile o politico viene
leso da
un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di
fronte
all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo chela pubblica amministrazione
davanti
ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi
litigante
privato soggetto alla giurisdizione … principio fondamentale che è stato
completato
poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato
... dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica
amministrazione»
(Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27.11.1947)”;
a3) la stessa Corte –dapprima con la sentenza 11.05.2006, n. 191 (in
Foro
it., 2006, I, 1625, con nota di TRAVI, DE MARZO; Foro it., 2006, I, 2277,
con
nota di MARZANO; Corriere giur., 2006, 922, con nota di MAJO; Corriere
merito, 2006, 948, con nota di MADDALENA; Giurisdiz. amm., 2006, III,
292; Urbanistica e appalti, 2006, 805, con nota di CONTI; Danno e resp.,
2006,
965, con nota di FABBRIZZI; Giust. civ., 2006, I, 1107; Giornale dir. amm.,
2006, 1095, con nota di BASSI; Ammin. it., 2006, 1241; Giur. it., 2006,
1729; Riv. giur. edilizia, 2006, I, 465; Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 1359,
con
nota di FERRERO, RISSO; Nuova rass., 2006, 2549; Riv. giur. edilizia, 2006,
I,
779, con nota di IUDICA; Guida al dir., 2006, fasc. 21, 62, con nota di
FORLENZA; Dir. proc. amm., 2006, 1005, con nota di MALINCONICO,
ALLENA; Dir. e giustizia, 2006, fasc. 24, 97, con nota di PROIETTI; Dir. e
pratica amm., 2006, fasc. 2, 58, con nota di PROIETTI) e, quindi, con la
sentenza 27.04.2007, n. 140 (in Foro it., 2008, I, 435, con nota di
VERDE; Foro amm.-Cons. Stato, 2007, 1109; Ammin. it., 2007, 910; Giornale
dir.
amm., 2007, 1167, con nota di BATTAGLIA; Giust. civ., 2007, I, 1815, con
nota
di FINOCCHIARO; Guida al dir., 2007, fasc. 23, 14, con nota di
FINOCCHIARO; Giur. costit., 2007, 1277)– ha precisato che la giurisdizione
non è devoluta al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda
proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno,
dal momento che il risarcimento non è oggetto di un diritto soggettivo, ma è
uno dei rimedi a tutela delle posizioni giuridiche soggettive riconosciuto
al singolo.
Il giudizio amministrativo assicura la tutela di ogni diritto in coerenza
con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e consente di
concentrare davanti a un unico giudice l’intera protezione del cittadino
avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica;
a4) l’art. 7 c.p.a. è espressione a livello normativo primario del descritto
assetto
e devolve al giudice amministrativo la giurisdizione nelle controversie
nelle
quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari
materie
indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il
mancato
esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti,
accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di
tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni;
b) nella dicotomia diritti soggettivi–interessi
legittimi si colloca anche
l’affidamento:
b1) il quale non è una posizione giuridica autonoma distinta dalle due, ma
può
riferirsi alternativamente ad esse;
b2) è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che
risponde
all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta
sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella
reale, da altri creata;
b3) del quale costituiscono espressione le seguenti disposizioni: la regola
possesso vale titolo di cui all’art. 1153 c.c.; l’acquisto dell’erede
apparente
di cui all’art. 534 c.c.; il pagamento al creditore apparente di cui
all’art. 1189
c.c.; l’acquisto dei diritti dal titolare apparente ai sensi degli artt.
1415 e 1416
c.c. in tema di simulazione;
b4) oggi l’istituto ha assunto il ruolo di principio regolatore di ogni
rapporto
giuridico, anche di quelli di diritto amministrativo. Nella giurisprudenza
amministrativa si osserva che opera in presenza di una attività della
pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al
mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale
attività;
c) la giurisdizione amministrativa va affermata
quando l’affidamento abbia ad
oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di
un atto di
esercizio di un potere pubblico, specie quanto questo afferisca ad una
materia di
giurisdizione esclusiva:
c1) “La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la
“fiducia” su cui
riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente
lesa, si
riferisce non già ad un comportamento privato o materiale -a un “mero
comportamento”- ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale
l’amministrazione
è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al
quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la
consistenza di
interesse legittimo”;
c2) la giurisdizione è del giudice amministrativo perché anche quando il
comportamento non si è manifestato in atti amministrativi, nondimeno
l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri
ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico
devolute alla sua cura. Tale operato è riferibile all’amministrazione che
agisce in veste di autorità e si iscrive pertanto nella dinamica potere
autoritativo–interesse legittimo, il cui giudice naturale è, per
Costituzione,
il giudice amministrativo;
c3) tale conclusione vale sia “che si verta dell’interesse del soggetto leso
dal
provvedimento amministrativo, e come tale titolato a domandare il
risarcimento del danno alternativamente o (come più spesso accade)
cumulativamente
all’annullamento del provvedimento lesivo, sia che si abbia riguardo
all’interesse
del soggetto invece beneficiato dal medesimo provvedimento. Anche quest’ultimo,
infatti, vanta nei confronti dell’amministrazione un legittimo interesse
alla sua
conservazione, non solo rispetto all’azione giurisdizionale del ricorrente,
ma anche
rispetto al potere di autotutela dell’amministrazione stessa”;
c4) non sembra quindi condivisibile interporre nel rapporto amministrativo
costituito dal provvedimento un diritto soggettivo, avente ad oggetto
l’affidamento alla stabilità del provvedimento medesimo, quale
presupposto sostanziale della giurisdizione amministrativa, in quanto
“Attraverso la stabilità del provvedimento e del rapporto con esso
costituito il
privato beneficiario conserva l’utilità attribuitagli, che nella misura in
cui è
correlata ad un pubblico potere è e rimane oggetto di un interesse legittimo
(da
pretensivo a oppositivo, secondo la terminologia invalsa al riguardo)”;
c5) non può quindi essere seguita l’impostazione secondo cui quando il
potere
amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico, ma è
rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al
giudice ordinario, che è invece ipotizzabile solo per comportamenti “meri”,
non riconducibili al pubblico potere;
c6) una conferma normativa di tali argomentazioni si può ricavare dall’art.
1,
comma 2-bis, della l. 07.08.1990, n. 241, ai sensi del quale i “rapporti
tra il
cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della
collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1,
lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76);
c7) non è quindi possibile, nel definire il riparto di giurisdizione,
circoscrivere
la rilevanza dei doveri in esame al diritto comune, dal momento che gli
stessi sono invece comuni al diritto civile e al diritto amministrativo,
ossia
ai rapporti paritetici di diritto soggettivo così come a quelli originati
dall’esistenza e dall’esercizio in concreto del pubblico potere.
La mancata
osservanza del dovere di correttezza da parte dell’amministrazione in
violazione dei principi di affidamento può determinare una lesione della
situazione giuridica soggettiva del privato che afferisce pur sempre
all’esercizio del potere pubblico, si manifesti esso con un provvedimento
tipico o con un comportamento pur sempre tenuto nell’esercizio di quel
potere e la cui natura resta qualificata dall’inerenza al pubblico potere.
“Si
tratta, quindi, di aspettative correlate ad «interessi legittimi (…)
concernenti
l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» ai sensi
dell’art. 7,
comma 1, cod. proc. amm. sopra citato, la cui lesione rimane devoluta al
giudice
amministrativo. Come infatti testualmente previsto dalla disposizione in
parola, la
giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo non solo nel caso in cui
il potere
sia stato esercitato, ma anche nel caso contrario di mancato esercizio. Non
è
conseguentemente possibile scindere sul piano del riparto giurisdizionale le
due
ipotesi, che peraltro possono in astratto dare luogo a profili diversi di
addebito sul
piano diacronico (per il fatto ad esempio di avere esercitato il potere
tardivamente e
di averlo poi esercitato illegittimamente), la cui cognizione va concentrata
presso
un unico giudice, ovvero quello amministrativo, quale giudice naturale della
funzione amministrativa”;
c8) tali principi trovano conferma nei precedenti della giurisprudenza
amministrativa in tema di responsabilità precontrattuale proposta
dall’aggiudicataria di una procedura di affidamento nei confronti
dell’amministrazione per revoca legittima della gara. In tali precedenti si
è
chiarito che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza
operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti
amministrativi
e l’altro fonte di responsabilità per l’amministrazione. “Oltre che
distinti, i
profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità,
nella misura
in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che
l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti
dal
privato destinatario degli stessi, anche per violazione degli connessi
obblighi di
protezione inerenti al procedimento”;
c9) nell’autonomia dei due ordini di regole operanti con riguardo
all’esercizio
della funzione pubblica –validità degli atti e comportamento complessivo
dell’amministrazione– si colloca l’affidamento del privato, il quale si
proietta sulla positiva conclusione del procedimento e, dunque,
sull’attuazione dell’interesse legittimo di cui il medesimo privato è
portatore, ma che diventa in sé tutelabile in via risarcitoria se
l’amministrazione con il proprio comportamento abbia suscitato una
ragionevole aspettativa sulla conclusione positiva del procedimento, a
prescindere dal fatto che il bene della vita fosse dovuto e anche se si
accertasse in positivo che non era dovuto;
c10) è devoluta quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo la
cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione
dell’affidamento sul provvedimento favorevole;
c11) il possibile contrasto del principio di diritto con l’orientamento
prevalente
della giurisprudenza di legittimità potrà essere vagliato in sede di
eventuale
impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost.;
d) con riferimento ai limiti entro i quali è
ravvisabile un affidamento incolpevole del
privato sulla legittimità del provvedimento favorevole poi annullato in sede
giurisdizionale:
d1) l’affidamento tutelabile deve essere ragionevole e, quindi, incolpevole;
d2) esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita
dall’amministrazione con il provvedimento o con il suo comportamento
correlato al pubblico potere e in cui il privato abbia senza colpa
confidato.
“La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della
vita perso a
causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è
accertato
non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento
ragionevole che esso spettasse”;
d3) in tale prospettiva, il grado della colpa dell’amministrazione –da
intendersi
come la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile– rileva sotto il
profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere
affetto il provvedimento; “per il danno da lesione dell’affidamento da
provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è
invece un
elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità
del
provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che
egli ne
potesse pertanto essere consapevole”;
d4) la tutela dell’affidamento si fonda sui principi di correttezza e buona
fede
che regolano l’esercizio del pubblico potere, ma anche la posizione del
privato, con la conseguenza che tale tutela postula che l’aspettativa sul
risultato utile o sulla conservazione dell’utilità ottenuta sia sorretta da
circostanze che obiettivamente la giustifichino;
d5) un affidamento incolpevole non è predicabile innanzitutto nel caso
estremo
in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l’amministrazione ad
emanare il provvedimento o, ancora, nelle ipotesi in cui l’illegittimità del
provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente
accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere
generale, espressamente richiamata in ambito civilistico dall’art. 1147,
comma 2, c.c., secondo cui la buona fede non giova se l’ignoranza dipende
da colpa grave;
d6) l’atteggiamento psicologico
del privato, pertanto, può essere considerato
come fattore escludente del risarcimento solo in tali ipotesi e non
ogniqualvolta vi sia un contributo del privato nell’emanazione dell’atto. In
sostanza non ogni apporto del privato all’emanazione dell’atto può
condurre a configurare, automaticamente, una colpa in grado di escludere
un affidamento tutelabile sulla sua legittimità; si giungerebbe altrimenti a
negare sempre la tutela risarcitoria, tenuto conto che i provvedimenti
amministrativi favorevoli, ampliativi della sfera giuridica del
destinatario,
sono sempre emessi a iniziativa di quest’ultimo;
d7) il privato, sebbene possa
attivare il procedimento amministrativo e fornire
ogni apporto utile alla sua conclusione in senso per sé favorevole, persegue
il proprio esclusivo interesse di realizzare il proprio utile; è, invece,
sempre
l’amministrazione che rimane titolare della cura dell’interesse pubblico e
che è dunque tenuta a darvi piena attuazione, se del caso sacrificando
l’interesse privato;
d8) “con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non
possono nemmeno
essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo
rispetto al diritto
comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di
annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal
fatto che il
beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo
giudizio.
Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto
nelle
condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé
favorevole,
per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza
entro cui,
ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di
difenderlo.
La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un
affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per
effetto
dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui
il
destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata
allorché deve
resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un
affidamento
tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio”;
d9) non ha carattere esimente il fatto che l’amministrazione abbia tutelato
la
posizione del beneficiario dell’atto nei confronti delle iniziative del
ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento. Ciò che ha rilievo per
configurare un affidamento incolpevole sulla legittimità dell’atto
favorevole, la cui frustrazione può essere fonte di responsabilità per
l’amministrazione nei confronti del destinatario, è la riconducibilità
dell’illegittimità a quest’ultimo;
d10) allo stesso modo non può ritenersi che dal principio di non
contraddizione
possa pervenirsi alla conseguenza per cui non vi potrebbe essere un
affidamento tutelabile del destinatario dell’atto, nella sua qualità di
controinteressato soccombente.
“L’assunto sovrappone i piani, che invece in
precedenza si è precisato essere distinti, della legittimità dell’atto e
delle regole di
validità ad esso relative, da un lato, e dall’altro lato della correttezza e
buona fede
del comportamento nell’esercizio del potere pubblico, con le connesse
responsabilità dell’amministrazione. Per converso, va escluso l’opposto
estremismo per cui ogni
atto illegittimo e annullato in sede giurisdizionale è per l’amministrazione
fonte di
responsabilità nei confronti sia del soggetto originariamente beneficiario,
sia del
ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento, con la conseguenza che
l’amministrazione si troverebbe in tal caso sempre e comunque esposta alle
azioni
di entrambi i soggetti coinvolti nell’esercizio del potere pubblico”;
d11) non costituisce elemento costitutivo dell’affidamento il fattore
temporale,
che in astratto è configurabile già al momento in cui è presentata l’istanza
per il rilascio del provvedimento favorevole. Il tempo trascorso può
costituire fattore che fonda l’interesse oppositivo all’esercizio del potere
di
annullamento d’ufficio e che con le modifiche apportate all’art. 21-nonies
della l. n. 241 del 1990, da originaria regola di comportamento
dell’amministrazione, espressa con carattere generale dal principio di
ragionevolezza del tempo in cui viene esercitato il potere di autotutela, è
stato incorporato nell’ambito delle regole di validità dell’atto, attraverso
la
previsione di un termine massimo;
e) nel caso di specie, la domanda risarcitoria
per lesione dell’affidamento sulla
legittimità del provvedimento è stata proposta non dal destinatario di
quest’ultimo, ma dalla sua avente causa, la quale non ha partecipato al
procedimento di adozione della variante urbanistica che ha reso edificabile
l’area
poi da essa acquistata e quindi, al momento dell’acquisto del terreno,
poteva
confidare sulla destinazione impressa da tale variante, salvo che in punto
di fatto
non risulti accertato che la stessa potesse essere a conoscenza dei profili
di
illegittimità della variante che hanno portato poi al suo annullamento.
Sembrerebbero dunque profilarsi tutti gli elementi idonei a ritenere che,
attraverso l’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica da parte
del
Comune, possa essersi ingenerata nella ricorrente la ragionevole convinzione
sulla destinazione edificatoria dell’area e che perciò fosse equo il prezzo
di
acquisto come area edificabile anziché come terreno agricolo.
Della
differenza tra
i due valori l’amministrazione comunale può dunque essere ritenuta
responsabile,
al pari del venditore, secondo gli ordinari strumenti di tutela civilistica;
f) l’eventuale responsabilità
dell’amministrazione non può essere esclusa dalla
eventualmente concorrente responsabilità del venditore, in quanto diversi
sono i
titoli di responsabilità:
f1) la responsabilità dell’amministrazione si fonda sull’apparenza
ingenerata
al di fuori di ogni rapporto con l’acquirente, e dunque sul piano
extracontrattuale;
f2) la responsabilità del venditore per il difettoso risultato traslativo si
fonda su
un titolo contrattuale;
f3) la possibilità di ravvisare un concorso di diversi soggetti nel medesimo
fatto
illecito per diversi titoli di responsabilità è affermata da consolidata
giurisprudenza di legittimità;
f4) il concorso di cause è a sua volta fonte di responsabilità solidale ai
sensi
dell’art. 2055 c.c., fermo il diritto di regresso di ciascun condebitore
solidale
nei confronti dell’altro;
g) nel restituire gli atti alla sezione
rimettente ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., il
collegio osserva che, con riferimento alla posta risarcitoria relativa
all’inutile
attività edificatoria intrapresa dalla ricorrente e dagli oneri da questa
sostenuti per
la demolizione, costituisce profilo rilevante verificare quando la stessa
abbia avuto
conoscenza del contenzioso che ha poi portato all’annullamento della
variante
urbanistica e in via derivata dei titoli ad edificare rilasciati sulla base
di
quest’ultima.
III. – Per completezza, si osserva quanto segue:
h) le questioni sono state sottoposte
all’attenzione dell’Adunanza plenaria da Cons.
Stato, sez. IV,
11.05.2021, n. 3701 (oggetto della
News US, n. 50 del 28.05.2021).
Alla citata News si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni
sviluppate dal collegio: al § l), per precedenti sul tema della
giurisdizione del
giudice ordinario in materia di domanda di risarcimento del danno derivante
da
atto favorevole al destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia
nella
repressione di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di
provvedimenti repressivi (sul tema si veda anche infra § j); al § m), sul
diritto al
risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da
inerzia
della pubblica amministrazione, come fattispecie lesive dell’affidamento
privato;
i) per i principi di ordine sostanziale elaborati
dalla Plenaria in rassegna –e, quindi,
per l’analisi di perimetro, presupposti e limiti della responsabilità della
p.a.
discendente dal ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo
esercizio del potere pubblico e all’operato della pubblica amministrazione
conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche nell’ipotesi di
provvedimento favorevole successivamente annullato– si veda Cons. Stato,
Ad.
plen.,
29.11.2021, n. 21, (oggetto della
News US, n. 3 del 12.01.2022,
cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), nonché nel senso che la parte
risultata
vittoriosa di fronte al Tribunale amministrativo regionale sul capo della
domanda
relativo alla giurisdizione non sia legittimata a contestare in appello la
giurisdizione del giudice amministrativo vedi Cons. Stato, Ad. plen.,
29.11.2021, n. 19 (oggetto della
News US, n. 2 del 12.01.2022, cui
si rinvia per
ulteriori approfondimenti).
j) nel senso della giurisdizione del giudice
ordinario sulla domanda di risarcimento
del danno proposta dal beneficiario del provvedimento favorevole poi
riconosciuto illegittimo si vedano:
j1) Cass. civ., sez. un., 25.05.2021, n. 14324, secondo cui “La
controversia
avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un privato, che abbia
fatto
incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo
della
propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella
giurisdizione del
giudice ordinario, in quanto non è relativa alla lesione di un interesse
legittimo
pretensivo, bensì di diritto soggettivo, rappresentato dalla conservazione
dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando
sulla
originaria legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
j2) Cass. civ., sez. un., 11.05.2021, n. 12428 (in Foro it., 2021, I,
2770
con nota di MACARIO), secondo cui “Affinché si perfezioni la fattispecie di
lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento
amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si
assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa
controversia in
quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante
arbitrato rituale
di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della
pubblica
amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di
atti
formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia
cagionato al
privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto
pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti
previsti
per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole
affidamento
riposto nell'emanazione del provvedimento non adottato (nella specie, la
controversia relativa alla mancata approvazione di una variante al programma
di
recupero urbano e di progetti per le opere di urbanizzazione è stata
ritenuta
devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto
concernente interessi legittimi e pertanto non assoggettabile ad arbitrato
rituale di
diritto)”.
La sentenza va in contrasto frontale con i principi espressi dalla
Plenaria in commento, allorquando afferma l’esistenza di un diritto
soggettivo all’affidamento capace di radicare una controversia di diritto
comune (che esclude in concreto nel caso di specie perché ritiene che la
controversia avendo ad oggetto interessi legittimi, rientri nella
giurisdizione del giudice amministrativo e quindi non sia compromettibile
in arbitri).
In particolare, a giudizio della Corte, il procedimento
amministrativo costituisce un'interlocuzione fra l'amministrazione ed il
privato retta da norme per l'esercizio della funzione amministrativa.
Rispetto a tale agere che si dispiega mediante atti formali e si colloca sul
piano del diritto pubblico, deve essere individuato quale sia lo spazio del
comportamento in violazione dei canoni di correttezza e buona fede perché
lesivo dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento
amministrativo.
La buona fede che qui rileva non è quella che l'art. 1 della
legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del
rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla
collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un
principio generale dell'ordinamento che ha la funzione, al pari della
collaborazione, di modellare l'esercizio del potere fronteggiato
dall'interesse legittimo. La correttezza che emerge con la lesione
dell'affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto
soggettivo.
La Corte richiama quindi i suoi precedenti secondo cui spetta al giudice
ordinario, per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa
ad
una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato
nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una
condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni
di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della pubblica
amministrazione per il danno prodotto al privato quale conseguenza della
violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza
dell'azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale
danno derivi dall'emanazione e dal successivo annullamento di un atto
ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento
amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il
proprio
affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione (Cass. civ.,
sez. un., 15.01.2021, n. 615, secondo cui “In materia di cassa
integrazione
guadagni, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione del giudice
ordinario
la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell'imprenditore,
fondata sulla
lesione dell'affidamento riposto nella condotta della pubblica
amministrazione che
si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede; ciò in quanto la
responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza
della
violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza
dell'azione
amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica
amministrazione ed
il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella
responsabilità
di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o
da
"contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre
obbligazioni ex
art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla
emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo,
ma anche nel caso in cui
nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato
abbia
riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”);
j3) Cass. civ., sez. un., 17.12.2020, n. 28979, secondo cui “la
controversia
avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dal privato
aggiudicatario di
una gara per l'assegnazione di un pubblico servizio, successivamente
annullata o
revocata, il quale deduca la lesione dell'affidamento riposto sull'apparente
legittimità del provvedimento amministrativo, è devoluta alla giurisdizione
ordinaria, invocandosi l'accertamento, non della legittimità
dell'aggiudicazione,
ma della responsabilità civile della P.A. (avente natura contrattuale,
secondo lo
schema della responsabilità da "contatto sociale", o eventualmente
ricondotta alla
responsabilità extracontrattuale) per i danni derivanti dalle spese
effettuate in
funzione della partecipazione alla gara poi revocata, dalla rinuncia ad un
utile di
impresa e dalla perdita di altre "chances" economico-commerciali nell'ambito
del
mercato imprenditoriale”;
j4) Cass. civ., sez. un., 08.07.2020, n. 14231, secondo cui “La "causa petendi"
della domanda con cui il beneficiario di un permesso di costruire,
successivamente
annullato in autotutela in quanto illegittimo, abbia invocato la risoluzione
del
contratto di compravendita del terreno, nonché la condanna della P.A. al
risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell'incolpevole affidamento
sulla
legittimità del predetto atto ampliativo, risiede, non già nella lesione di
un interesse
legittimo pretensivo (giacché non è in discussione la legittimità del
disposto
annullamento) ma nella lesione del diritto soggettivo all'integrità del
patrimonio;
pertanto la controversia è devoluta alla giurisdizione ordinaria, atteso
che, avuto
riguardo al detto "petitum sostanziale", il provvedimento amministrativo non
rileva in sé (quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria,
della cui
illegittimità il giudice è chiamato a conoscere "principaliter") ma come
fatto
(rilevabile "incidenter tantum") che ha dato causa all'evento dannoso subìto
dal
patrimonio del privato”;
j5) Cass. civ., sez. un., 28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530,
con nota
di COMPORTI; Corriere giur., 2020, 1025, con nota di
SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020,
1181,
con nota di PATRITO; Nuova giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA,
SCOGNAMIGLIO; Giornale dir. amm., 2020, 805, con nota di
BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota di MANFREDONIA);
j6) Cass. civ., sez. un., 08.03.2019, n. 6885, secondo cui “Qualora il
privato
abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo
ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, in via
di
autotutela od "opeiudicis", senza che si discuta della legittimità
dell'annullamento,
la controversia relativa ai danni subiti dal privato rientra nella
giurisdizione del
giudice ordinario perché ha ad oggetto non già la lesione di un interesse
legittimo
pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla
conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte
compiute
confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
j7) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I,
4066, con
nota di richiami di BORGIANI, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti
giurisprudenziali);
j8) Cass. civ., sez. un.,
ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto
della
News US, in data
08.10.2018, cui si rinvia per ulteriori
approfondimenti);
j9) Cass. civ., sez. un.,
ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della
News
US, in data 04.07.2017, cui si rinvia per ulteriori
approfondimenti), secondo cui “è devoluta alla giurisdizione del giudice
ordinario l’azione di risarcimento del danno proposta dal privato che abbia
fatto
incolpevole affidamento su di un provvedimento ampliativo successivamente
dichiarato illegittimo”;
j10) Cass. civ., sez. un.,
16.12.2016, n. 25978 (oggetto della
News
US, in
data 09.01.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti);
j11) Cass. civ., sez. un., 04.09.2015, n. 17586 (in Riv. neldiritto,
2016, 467; in
Riv. giur. edilizia, 2015, I, 1044, con nota di SINISI, e in Dir. proc. amm.,
2016,
547, con nota di GALLO);
j12) sulla questione di giurisdizione in esame si sono funditus pronunciate
le tre
ordinanze Cass., sez. un., 03.03.2011 n. 6596 (in Foro it., 2011, I, 2387,
con
nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 933, con nota di DI MAJO; Urbanistica e
appalti, 2011, 915, con nota di MASERA; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota
di
LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1749 (m), con nota di
SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2315 (m), con nota di D'ANGELO;
Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI), 03.03.2011, n. 6595 (in Foro
it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 934, con nota
di DI
MAJO; Resp. civ. e prev., 2011, 1748 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv.
giur. edilizia, 2011, I, 406, con nota di CAPONIGRO; Giust. civ., 2011, I,
2315,
con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI); 03.03.2011, n. 6594 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Giust.
civ.,
2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1743, con
nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2316 (m), con nota di
D'ANGELO; Giur. it., 2012, 192, con nota di COMPORTI; Giust. civ., 2012, I,
2769 (m), con nota di. SALVAGO) che hanno concluso per la giurisdizione del
giudice ordinario su tre fattispecie differenti ma riconducibili alla stessa
regola;
j13) in dottrina, per una nitida ricostruzione del tema e per ulteriori
approfondimenti: CIRILLO, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma
a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e
l’interesse alla
stabilità dell’atto amministrativo, in Foro amm., 2016, 7-8, 1991 ss.; NERI,
La
tutela dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice
ordinario, in
www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne Ufficio studi della G.A.,
2021;
k) si segnala che la Plenaria, con la pronuncia in commento:
k1) consapevole dell’indirizzo contrario consolidato delle sezioni unite
della
Corte di cassazione, afferma la possibilità che si impugnino le sentenze
delle
sezioni del Consiglio di Stato che applicheranno il principio elaborato
dalla
Plenaria. Sulla impossibilità di configurare l’interesse all’impugnazione ex
art. 111 Cost. nei confronti delle decisioni della Plenaria che non
definiscono
il merito della controversia si veda Cass. civ., sez. un.,
30.10.2019,
n.
27482 (in Foro it., 2020, I, 246 con nota CONDORELLI; oggetto della
News
US, n. 124 del 15.11.2019), secondo cui “È inammissibile il ricorso
per
motivi inerenti alla giurisdizione proposto avverso la sentenza
dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato che, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a.,
si sia
limitata a enunciare uno o più principi di diritto”.
Alla citata News US si rinvia,
oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio: al § h),
sulla natura delle sentenze (e del vincolo) rese dalla Plenaria ai sensi
dell’art. 99, comma 4, c.p.a. quanto non definiscono in tutto o in parte la
lite
(anche con riferimenti dottrinali); al § i), nel senso della non
impugnabilità ex art. 111, u.c., Cost., delle pronunce del Consiglio di
Stato
prive del carattere della definitività e decisorietà; al § k), nel senso che
la
violazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a. –il quale impone ad una sezione
del
Consiglio di Stato di rimettere la questione alla Plenaria se non ritenga di
condividere il principio da essa fissato– non costituisce un motivo
attinente
alla giurisdizione ex art. 111, u.c., Cost.;
k2) richiama le sezioni del Consiglio di Stato, ex art. 99 c.p.a., al
rispetto del
principio formulato in materia di giurisdizione sebbene, ai sensi dell’art.
111
Cost., siano le sezioni unite il giudice della giurisdizione, per tale via
assumendo un indirizzo divergente rispetto a quanto affermato
dalla Plenaria sulla non vincolatività del proprio precedente in contrasto
col diritto europeo come interpretato dalla Corte di giustizia UE.
Si veda,
oltre alla citata News US, n. 124 del 15.11.2019, anche:
News US, n.
99 del 15.09.2020, a Cons. Stato, Ad. plen.,
09.07.2020, n. 14,
cui si
rinvia per ulteriori approfondimenti, specie al § g), in tema di
restituzione
degli atti, da parte della Plenaria, alla sezione rimettente ai sensi
dell’art. 99
c.p.a.; Cons. Stato, Ad. plen., 17.12.2019, n. 14, in tema di
restituzione degli atti alla sezione deferente in seguito a intervento della
Corte di giustizia UE che soddisfi l’esigenza di pronuncia del principio di
diritto formulato nella ordinanza di rimessione;
News US, in data
01.08.2016, a Cons. Stato, Ad. plen.,
27.07.2016, n. 19 (in Foro it. 2017, III,
309),
cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie ai §§ I) e II), ove si
esamina il rapporto tra la funzione nomofilattica della Plenaria e il dovere
di sollevare la questione pregiudiziale di legittimità comunitaria
(Consiglio di Stato, Adunanza
plenaria,
sentenza 29.11.2021 n. 20 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Al
vaglio dell’Adunanza plenaria la questione di giurisdizione sul risarcimento
del danno da provvedimento favorevole annullato e lesione dell’affidamento.
La quarta sezione del Consiglio di Stato sottopone ancora una volta al
vaglio dell’Adunanza plenaria distinte questioni involgenti la potestas
iudicandi sulla domanda di risarcimento del danno da provvedimento
favorevole annullato in sede giurisdizionale oltre che relative alla
configurabilità di un affidamento incolpevole e ai margini di
rimproverabilità della condotta dell’Amministrazione idonea a suscitare
detto affidamento.
L’ordinanza ha compiutamente ricostruito l’assetto degli orientamenti
giurisprudenziali (sia delle Sezioni unite della Corte di cassazione, sia
del Consiglio di Stato) e, non senza aver ribadito alcuni principi in punto
di esercizio del potere e interesse legittimo, ha concluso per la non
condivisibilità della tesi secondo cui, in presenza di una pretesa
risarcitoria del beneficiario di una provvedimento favorevole poi annullato,
possa affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario.
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Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da
provvedimento amministrativo favorevole annullato – Deferimento all’Adunanza
plenaria
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un
provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del beneficiario –
Tutela risarcitoria – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato le seguenti questioni:
a) se sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta
ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del
destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati
soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito
del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano
stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di
costruire e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione
amministrativa quando –su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del
controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale
condizionato o un ricorso autonomo)– si debba verificare se il vizio di un
provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia
conseguenze sul piano risarcitorio;
b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda
sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente
configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di
una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo;
c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche
si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato
soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità
dell’Amministrazione (1).
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(1) I. – Con l’ordinanza in rassegna, la quarta sezione del
Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria le questioni involgenti
la responsabilità della pubblica amministrazione e le connesse questioni di
giurisdizione discendenti dalla caducazione, in sede giurisdizionale, di un
provvedimento ampliativo rilasciato al privato.
Analoghi quesiti hanno costituito oggetto di deferimento alla Plenaria da
parte di
Cons. Stato, sez. II, 06.04.2021, n. 2753 (oggetto della
News US in
data 04.05.2021) e
Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021 n. 2013 (quest’ultima
citata a più riprese nell’ordinanza in rassegna e oggetto della
News US in
data 26.03.2021 alla quale si rinvia per ogni ulteriore approfondimento).
II. – Più precisamente, sul versante fattuale della vicenda
procedimentale e contenziosa, è
accaduto che:
a) il dante causa della ricorrente in primo grado
ha chiesto ed ottenuto, nel 2006, una variante al p.r.g. che ha attribuito
destinazione edificatoria all’area di sua proprietà in conseguenza della
quale è stato rilasciato il permesso di costruire, poi volturato a seguito
di compravendita stipulata tra le parti;
b) successivamente, sono stati avviati i lavori
di costruzione di due unità immobiliari;
c) nel frattempo, la vicina di casa –che aveva
impugnato l’atto di pianificazione, il primo titolo edilizio e il permesso
di costruire in variante– ha ottenuto l’annullamento giurisdizionale (con la
sentenza Tar per le Marche, sez. I, 01.08.2011, n. 630 confermata con
sentenza Cons. Stato, sez. IV, 19.06.2014, n. 3114) della variante
urbanistica per vizi propri e dei permessi di costruire per illegittimità
derivata;
d) nel corso del 2015, il Comune –al dichiarato
fine di ottemperare alle suddette sentenze e ritenendo che nella specie
potesse trovare applicazione l’art. 38 del testo unico sull’edilizia n. 380
del 2001– ha emanato un atto di sanatoria delle opere edilizie in questione,
contestato a sua volta dalla medesima vicina di casa, che nuovamente ha
adito il Tar per le Marche con ricorso di esecuzione per violazione del
giudicato;
e) il Tar, con la sentenza 08.10.2015, n. 698, ha
accolto anche questo secondo ricorso e ha ingiunto la demolizione di quanto
già realizzato;
f) a seguito di tale pronuncia, la proprietaria
dell’area originariamente edificabile per effetto della originaria variante
al p.r.g. ha proposto il ricorso di primo grado, ritenendosi ingiustamente
lesa dalla ‘condotta’ tenuta dal Comune;
g) il ricorso è stato accolto con sentenza Tar
per le Marche, sez. I, 06.06.2020, n. 268;
h) avverso la predetta sentenza il Comune,
condannato, tra l’altro, al risarcimento dei danni, ha interposto appello in
seno al quale –previa reiezione di alcune questioni in rito con contestuale
sentenza parziale– si è innestato l’odierno deferimento all’Adunanza
plenaria.
III. – Con l’ordinanza in commento il Collegio ha osservato che
sussistono tre interrogativi da dirimere, sia sul versante della
giurisdizione, sia sul versante della lesione del legittimo affidamento:
i) un primo quesito attiene all’individuazione
del giudice (civile o amministrativo) fornito di giurisdizione sulla domanda
di risarcimento del danno proposta dal destinatario di una favorevole
variante urbanistica e dei conseguenti ‘provvedimenti ampliativi’, per i
pregiudizi conseguenti all’annullamento dei medesimi provvedimenti, disposto
dal giudice amministrativo in accoglimento di un altrui ricorso;
j) la questione di principio riguarda non solo i
casi in cui in una materia sussista la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo (nella specie, la controversia riguarda le conseguenze
dell’annullamento di atti di pianificazione e di permessi di costruire,
dunque di atti emanati nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia), ma
anche i casi in cui sussista la giurisdizione amministrativa di legittimità,
quando il soggetto controinteressato nel processo amministrativo –una volta
che si sia determinata la soccombenza ‘sua e dell’Amministrazione’
con l’annullamento di un favorevole atto impugnato– intenda ottenere
dall’Amministrazione medesima un risarcimento del danno, proprio perché è
stato emanato il provvedimento per lui favorevole, ma che poi è stato
annullato, in quanto illegittimo;
j1) sulla questione di
giurisdizione in esame si sono funditus pronunciate le tre ordinanze
Cass., sez. un., 03.03.2011 n. 6596 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di
TRAVI; Corriere giur., 2011, 933, con nota di DI MAJO; Urbanistica e
appalti, 2011, 915, con nota di MASERA; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota
di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1749 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO;
Giust. civ., 2011, I, 2315 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193,
con nota di COMPORTI), 3 marzo 2011, n. 6595 (in Foro it., 2011, I, 2387,
con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 934, con nota di DI MAJO; Resp.
civ. e prev., 2011, 1748 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia,
2011, I, 406, con nota di CAPONIGRO; Giust. civ., 2011, I, 2315, con nota di
D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI); 03.03.2011, n. 6594
(in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Giust. civ., 2011, I, 1209,
con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1743, con nota di
SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2316 (m), con nota di D'ANGELO; Giur.
it., 2012, 192, con nota di COMPORTI; Giust. civ., 2012, I, 2769 (m), con
nota di. SALVAGO) che hanno concluso per la giurisdizione del giudice
ordinario su tre fattispecie differenti ma riconducibili alla stessa regola;
j2) con altre pronunce, nel
tempo, le Sezioni unite hanno affermato principi non sempre in linea con
quelli posti a base delle stesse citate ordinanze, giungendo anche ad
affermare la giurisdizione del giudice amministrativo;
j3) il contrasto si è, invero,
verificato anche nella giurisprudenza amministrativa, come evidenziato
nell’ordinanza
Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021 n. 2013, cit.;
j4) in linea di principio, in
fattispecie quale quella oggetto di giudizio, si dovrebbe affermare la
sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi degli articoli 7 e
133 cod. proc. amm., poiché:
I) sul piano sostanziale, non può essere sottovalutata la natura
tipicamente relazionale dell’interesse legittimo pretensivo, e cioè della
posizione (che come l’interesse legittimo oppositivo o difensivo) correlata
all’esercizio pur illegittimo del pubblico potere;
II) l’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse
sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’,
sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato
seguendo il procedimento previsto dalla legge;
III) non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’
(adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia
amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della
legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata,
diretta, concreta e personale del privato;
IV) può risultare, dunque, artificioso il sovrapporre a una tale posizione
giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il
richiedente e l’Amministrazione– una diversa situazione sostanziale (da
richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul
principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde
dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato)
o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria incongruamente richiamata
quando si tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere,
come ha chiaramente evidenziato anche la sentenza Cons. Stato, Ad. plen.,
23.04.2021 n. 7, oggetto della News US in data 13.05.2021);
V) deve, dunque, ritenersi che l’interesse pretensivo risulta di per sé
leso quando l’Amministrazione emana il diniego avente natura autoritativa,
ovvero resta inerte (risultando illogico e in contrasto con la legge n. 241
del 1990 l’affermare che nel corso del procedimento l’inerzia dell’attività
amministrativa –disciplinata dalle leggi amministrative sostanziali e
processuali– sia definibile come un comportamento sottoposto al diritto
privato);
VI) l’interesse pretensivo costituisce il presupposto logico-giuridico del
diritto che poi vanta il richiedente, qualora in accoglimento dell’istanza
vi sia il rilascio di un atto abilitativo e ridiventa configurabile quando
l’Amministrazione in sede di autotutela o il giudice in sede giurisdizionale
abbia annullato l’atto abilitativo, estinguendo di conseguenza quel diritto
di per sé configurabile solo quando l’atto abilitativo favorevole risulti
ancora efficace;
VII) ciò che rileva, sul piano sostanziale, è il fatto che –con
l’annullamento dell’atto abilitativo– non sussiste più il diritto in
precedenza sorto e torna ad esservi un interesse pretensivo che però non può
più essere soddisfatto, quando un tale esito sia desumibile dalla sentenza
del giudice amministrativo (di cui può anche prendere atto un ulteriore
provvedimento, questa volta negativo, conseguente all’annullamento dell’atto
abilitativo precedente);
VIII) il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale
dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi
legittimi nel corso del procedimento, sicché –una volta che la sentenza
amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo– il controinteressato
non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai
annullato;
IX) qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità
intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti
dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi
riguarda proprio il quomodo del precedente esercizio del potere
amministrativo; conseguentemente si deve verificare se il vizio dell’atto
–oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul
piano risarcitorio;
X) per un principio di simmetria, la lesione arrecata all’interesse
legittimo è configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un
diniego poi annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia
accolta e il titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia
interesse: in entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a
seguito dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi e
rileva l’art. 7, comma 1, cod. proc. amm.;
XI) ragionando diversamente, si produrrebbe un ingiustificato e
irragionevole scollamento tra fatto e diritto, tra procedimento e processo,
sottraendo al giudice amministrativo una parte fondamentale dell’agire
amministrativo, e cioè quello autoritativo manifestatosi attraverso
provvedimenti favorevoli al richiedente, ma giuridicamente non rispettosi
del paradigma legale;
XII) in altre parole, la pretesa risarcitoria –quando si basa su quanto è
accaduto in sede di esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’
o nel corso del procedimento amministrativo– non è riconducibile ad un
comportamento o a una condotta di rilievo privatistico ovvero svolta ‘in
via di mero fatto’ e che potrebbe essere serbata da un quisque de
populo in spregio al principio del neminem laedere, ma consiste sempre
nella affermazione della illegittimità dell’esercizio (o del mancato
esercizio) del potere amministrativo, disciplinato dal diritto pubblico;
XIII) sotto l’aspetto normativo, la domanda risarcitoria si basa –nella
vicenda oggetto di trattazione– non sulla illiceità di un ‘comportamento’
(comunque riconducibile all’esercizio del potere), bensì sull’emanazione sia
pure illegittima del provvedimento autoritativo, con la conseguente
applicazione dell’art. 7, comma 1, e dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod.
proc. amm., per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva sulla medesima
domanda risarcitoria: è ben difficile sostenere che la domanda risarcitoria
non abbia per ‘oggetto’ il ‘come’ sia stato esercitato il potere
amministrativo con il provvedimento annullato (e nella materia urbanistica,
nel caso in esame), per i chiari enunciati dell’art. 7 e dell’art. 133 sopra
richiamati;
XIV) ragioni di coerenza sistematica impongono di ritenere che –una volta
annullato un atto abilitativo– il giudice amministrativo abbia giurisdizione
su ogni domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione
(quella formulata da quel vicino che impugni il permesso di costruire e
quella formulata dal titolare del permesso di costruire, che sia la parte
controinteressata nel giudizio di cognizione proposto contro tale
provvedimento);
XV) affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice civile sembra
dunque contrastare anche con la consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale, per la quale il giudice amministrativo è il ‘giudice
naturale dell’esercizio della funzione pubblica’: tale funzione si deve
necessariamente sindacare quando si esamina la domanda risarcitoria,
formulata dal controinteressato risultato soccombente nel giudizio
amministrativo di legittimità;
k) per l’ipotesi di sussistenza della
giurisdizione amministrativa, devono essere approfonditi –ciò che è oggetto
degli altri due quesiti posti alla Plenaria– il rilievo da attribuire, nei
singoli casi, all’affidamento, nonché la determinazione dei presupposti in
base ai quali si possa effettivamente ritenere che esso sia ‘incolpevole’
ovvero che possa escludersi la rimproverabilità della condotta
dell’amministrazione, dovendosi sempre tenere conto delle peculiarità della
fattispecie concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce degli
accadimenti effettivamente svoltisi nel corso del procedimento
amministrativo e considerando le modalità con cui è stata presentata
l’istanza poi accolta dall’Amministrazione con l’atto poi annullato.
IV. – Per completezza si segnala:
l) sulla giurisdizione del giudice ordinario in
materia di domanda di risarcimento del danno derivante da atto favorevole al
destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia nella repressione
di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di
provvedimenti repressivi:
l1)
Cons. Stato, Ad. plen.,
07.09.2020, n. 17 (in Foro it., 2021, III, 33, con nota di E. TRAVI; oggetto
della
News US, n. 107 del 28.09.2020, che (al § 8.1.) riconosce
espressamente la piena operatività dell’indirizzo espresso dalla Corte di
cassazione;
l2) Cass. civ., sez. un.,
28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530, con nota di COMPORTI;
Corriere giur., 2020, 1025, con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia,
2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020, 1181, con nota di PATRITO; Nuova
giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA, SCOGNAMIGLIO; Giornale dir.
amm., 2020, 805, con nota di BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota
di MANFREDONIA), citata nell’ordinanza in rassegna;
l3) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019,
n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066, con nota di richiami di BORGIANI, alla
quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali);
l4)
Cass. civ., sez. un.,
ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto della
News US, in data 08.10.2018);
l5)
Cass. civ., sez. un.,
ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della
News US, in data 04.07.2017);
l6)
Cass. civ., sez. un.,
16.12.2016, n. 25978 (oggetto della
News US, in data 09.01.2017);
l7) in dottrina, per una nitida
ricostruzione del tema e per ulteriori approfondimenti: NERI, La tutela
dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario, in
www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne Ufficio studi della G.A.,
2021;
m) sul diritto al risarcimento del danno da
provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia della P.A., come
fattispecie lesive dell’affidamento privato, si vedano, tra le altre:
Cons.
Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17, cit. (e relativa
News US, n. 107 del
28.09.2020)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 11.05.2021 n. 3701 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: All’Adunanza
plenaria l'individuazione del giudice competente a decidere sul risarcimento
danni conseguente all’annullamento giurisdizionale di una variante e dei
conseguenti permessi di costruire - Affidamento incolpevole.
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Giurisdizione – Risarcimento danni – Conseguente ad annullamento di una
variante e dei conseguenti permessi di costruire – Rimessione All’Adunanza
plenaria.
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria le
questioni:
a) se sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta
ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del
destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati
soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito
del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano
stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di
costruire e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione
amministrativa quando –su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del
controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale
condizionato o un ricorso autonomo)– si debba verificare se il vizio di un
provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia
conseguenze sul piano risarcitorio);
b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda
sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente
configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di
una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo’;
c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche
si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato
soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità
dell’Amministrazione (1).
---------------
(1) La Sezione ha dato atto che sulla questione è insorto un
contrasto di giurisprudenza sia tra i giudici ordinari che tra quelli
amministrativi.
Le tre ordinanze
n. 6594,
n. 6595 e
n. 6596 del 2011 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
hanno affermato la giurisdizione del giudice civile nelle controversie
avente per oggetto le domande risarcitorie formulate:
- dal beneficiario di una concessione edilizia poi legittimamente
annullata in sede di autotutela, il quale lamentava la lesione di un suo
affidamento (si tratta della ordinanza n. 6594 del 2011);
- da chi aveva ottenuto dapprima una attestazione sull’edificabilità
di un’area (utile per valutare la convenienza di un acquisto, rivelatasi
insussistente) e poi una concessione edilizia legittimamente annullata in
sede giurisdizionale, il quale anche in tal caso lamentava la lesione di un
suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6595 del 2011);
- da chi aveva ottenuto una aggiudicazione di una gara d’appalto di
un pubblico servizio, annullata in sede giurisdizionale, il quale anche in
tal caso lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della
ordinanza n. 6596 del 2011).
Le Sezioni Unite hanno superato il proprio precedente orientamento (la
sentenza n. 8511 del 2009), per il quale –per la sussistenza della
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa– rileva la
riconducibilità della controversia ad una delle materie indicate dalla
legge, rientrandovi anche tutte le controversie di natura risarcitoria;
hanno evidenziato che chi aveva proposto le domande risarcitorie non poneva
in discussione la legittimità degli atti di annullamento (in via
amministrativa o giurisdizionale) di quelli ampliativi della loro sfera
giuridica (questione ovviamente esaminabile dal giudice avente giurisdizione
sugli atti autoritativi, e cioè dal giudice amministrativo, che peraltro in
almeno due dei casi sopra indicati aveva annullato gli atti impugnati), ma
lamentava la ‘lesione dell’affidamento’ riposto nella legittimità
degli atti annullati e chiedeva il risarcimento dei danni subiti per aver
orientato sulla base di questi le proprie scelte negoziali o
imprenditoriali; hanno ritenuto che sarebbe ravvisabile un ‘diritto
all’integrità del patrimonio’, la cui lesione, cagionata con la ‘lesione
dell’affidamento’, determinerebbe la sussistenza della giurisdizione del
giudice civile.
Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno poi affermato
principi anche divergenti da quelli posti a base delle citate ordinanze del
2011.
Alcune pronunce (nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017,
1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e
12635/2019) si sono poste in linea di continuità con le ordinanze del 2011
ed hanno affermato che:
a) la controversia sulla domanda risarcitoria formulata da chi
abbia fatto ‘incolpevole affidamento’ su di un provvedimento
ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato,
rientrerebbe nella giurisdizione del giudice civile, perché avrebbe ad
oggetto la lesione non già di un interesse legittimo, bensì di un diritto
soggettivo;
b) tale diritto sarebbe quello alla ‘conservazione
dell'integrità del patrimonio’, leso dalle scelte compiute confidando
nella legittimità del provvedimento amministrativo poi annullato.
Altre pronunce delle Sezioni Unite, invece, hanno affermato la sussistenza
della giurisdizione amministrativa:
- per
Sez. Un., n. 8057 del 2016, “l'azione amministrativa
illegittima -composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi- non
può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso
l'agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l'affidamento
costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”;
- per
Sez. Un., n. 13454 del 2017, “la giurisdizione esclusiva
prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle
controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia
delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di
provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione
d'interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di
esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle
aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti
e comportamenti assunti prima dell'aggiudicazione o nella successiva fase
compresa tra l'aggiudicazione e la mancata stipula del contratto”;
- per
Sez. Un., n. 13194 del 2018, i principi fissati nelle ordinanze
del 2011 non sono applicabili quando non vi sia stato un provvedimento
ampliativo della altrui sfera giuridica.
Anche la giurisprudenza del giudice amministrativo è divisa sul punto,
atteso che in alcune pronunce (cfr. Cons. St., sez. V, 27.09.2016, n. 3997;
id., sez. IV,
25.01.2017, n. 293, e
20.12.2017, n. 5980; id., sez. VI,
13.08.2020, n. 5011) si è aderito alla traiettoria argomentativa
sostenuta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con le ordinanze
del 23.03.2011, numeri 6594, 6595 e 6596, e con altre ordinanze (04.09.2015,
n. 17586, 22.05.2017, n. 12799; 22.06.2017, n. 15640, 02.08.2017, n. 19171,
23.01.2018, n. 1654, 02.03.2018, n. 4996, 24.09.2018, n. 22435, 13.12.2018,
n. 32365, 19.02.2019, n. 4889, 08.03.2019, n. 6885, 13.05.2019, n. 12635, e
28.04.2020, n. 8236) si è affermato che la domanda risarcitoria proposta nei
confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che
abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo
illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie
rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), non
trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del
danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una
lesione del diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure (più
recentemente) di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione
giuridica soggettiva autonoma, dove l’esercizio del potere amministrativo
non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento.
Per contro, in altre pronunce (Cons. St., sez. V,
23.02.2015, n. 857; Tar Pescara 20.06.2012, n. 312) si è
affermato che, nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, le
domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento
riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati
rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo; in
tal senso si sono peraltro espresse le sezioni unite della Corte di
cassazione con le ordinanze 21.04.2016, n. 8057 e 29.05.2017, n. 13454 (per
l’ipotesi di annullamento in autotutela di provvedimento di affidamento di
sevizio pubblico).
La Sezione –nel rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione di
giurisdizione– ritiene che in linea di principio si dovrebbe affermare la
sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi degli artt. 7 e 133
c.p.a., potendo non risultare convincenti le considerazioni sostanziali e
quelle processuali poste a base del ‘primo orientamento’.
L’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse
sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’,
sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato
seguendo il procedimento previsto dalla legge. Non si tratta di un mero
interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione
tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il
tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una
situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato
(per i relativi approfondimenti, v. anche la
sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).
Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione
giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il
richiedente e l’Amministrazione- una diversa situazione sostanziale (da
richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul
principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde
dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato)
o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria che può giustificare
nell’ambito della giurisdizione civile la soluzione secondo giustizia di
determinate tipologie di controversie senza alterare i criteri di riparto
della giurisdizione, ma che di per sé è incongruamente richiamata quando si
tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere, come ha
chiaramente evidenziato anche la citata
sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).
Ha aggiunto la Sezione che allorquando sia stato annullato l’atto
abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso
conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un
interesse legittimo. In fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle
posizioni giuridiche, già segnalata dalla sez. II, con l’ordinanza
n. 2013 del 2021: il ricorrente ed il controinteressato,
beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari
di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché –una
volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo–
il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con
l’atto ormai annullato. In altri termini, il controinteressato soccombente
va qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e
speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di
loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da
fare valere.
Qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda
formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione
anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il
come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve
verificare se il vizio dell’atto –oltre ad aver comportato il suo
annullamento– deve avere conseguenze sul piano risarcitorio.
Per un principio di simmetria, la lesione arrecata all’interesse legittimo è
configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un diniego poi
annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia accolta e il
titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia interesse. In
entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a seguito
dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi e rileva
l’art. 7, comma 1, c.p.a., per il quale ‘sono devolute alla giurisdizione
amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi
legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti
soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere
amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti
riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in
essere da pubbliche amministrazioni’.
La pretesa risarcitoria –quando si basa su quanto è accaduto in sede di
esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’ o nel corso del
procedimento amministrativo– non è riconducibile ad un comportamento o a una
condotta di rilievo privatistico o svolta ‘in via di mero fatto’ e
che potrebbe essere serbata da un quisque de populo in spregio al
principio del neminem laedere, ma si duole dell’esercizio (o del
mancato esercizio) del potere amministrativo, disciplinato dal diritto
pubblico:
a) sotto l’aspetto soggettivo, si tratta di provvedimenti e di
attività della pubblica Amministrazione;
b) sotto l’aspetto oggettivo, si tratta di poteri disciplinati
dalla l. n. 241 del 1990 e dalle altre leggi amministrative;
c) sotto l’aspetto funzionale, si tratta di verificare le
conseguenze dell’illegittimo esercizio del potere. Sotto l’aspetto
normativo, la domanda risarcitoria -nel caso in esame– si basa non sulla
illiceità di un ‘comportamento’ (comunque riconducibile all’esercizio
del potere), bensì sull’emanazione sia pure illegittima del provvedimento
autoritativo, con la conseguente applicazione degli artt. 7, comma 1, e 133,
comma 1, lett. f), c.p.a., per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva
sulla medesima domanda risarcitoria: è ben difficile sostenere che la
domanda risarcitoria non abbia per ‘oggetto’ il ‘come’ sia
stato esercitato il potere amministrativo con il provvedimento annullato (e
nella materia urbanistica, nel caso in esame), per i chiari enunciati degli
artt. 7 e 133 c.p.a..
A questo proposito, la menzionata
ordinanza n. 2013 del 2021 della Sez. II del Consiglio di Stato
ha già osservato che è prioritario qualificare l’illecito in senso logico ed
eziologico, anziché in senso meramente cronologico (“atteso che
l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e
pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice
amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la
posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare
l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente
cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene
soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed
eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al
provvedimento amministrativo”).
Il criterio di riparto della giurisdizione, che trascina con sé la
cognizione sull’azione risarcitoria intesa come tecnica di tutela e non come
autonoma materia a sua volta da ripartire, non si basa sulla satisfattività
o meno della situazione soggettiva, ma sulla sua natura giuridica (“In
sostanza, l’orientamento favorevole alla giurisdizione dell’autorità
giudiziaria ordinaria si basa sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse
legittimo soltanto a fronte della illegittima negazione di un bene della
vita e non dinanzi all’illegittimo ‒e, pertanto, necessariamente instabile‒
riconoscimento di siffatto bene. Quest’impostazione, tuttavia, non appare in
sintonia con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione che
non condiziona la natura delle situazioni soggettive (diritto
soggettivo/interesse legittimo), rilevante per la concreta applicazione del
criterio, al carattere satisfattivo o non satisfattivo del provvedimento
amministrativo”).
Ragioni di coerenza sistematica –di per sé rilevanti anche per ravvisare la
ragionevolezza delle soluzioni legislative (o delle loro esegesi), ponendosi
altrimenti serie questioni di legittimità costituzionale con riferimento
agli artt. 3, 97 e 103 Cost.– sembrano imporre di ritenere che –una volta
annullato un atto abilitativo– il giudice amministrativo ha giurisdizione su
ogni domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione:
- quella formulata da quel vicino che impugni il permesso di
costruire (con il medesimo ricorso introduttivo o con una domanda proposta
dopo la sentenza di annullamento);
- quella formulata dal titolare del permesso di costruire, che sia
la parte controinteressata nel giudizio di cognizione proposto contro tale
provvedimento (con un ricorso incidentale condizionato all’accoglimento
eventuale dalla domanda di annullamento o –come nel caso di specie– con un
ricorso autonomo dopo l’annullamento del permesso).
Affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice civile sembra
dunque contrastare anche con la consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale, per la quale il giudice amministrativo è il ‘giudice
naturale dell’esercizio della funzione pubblica’: tale funzione si deve
necessariamente sindacare quando si esamina la domanda risarcitoria,
formulata dal controinteressato risultato soccombente nel giudizio
amministrativo di legittimità.
D’altra parte, qualora fosse ravvisata la giurisdizione del giudice civile,
risulterebbe sottratta al giudice amministrativo la cognizione di
controversie di indubbia natura pubblicistica, anche con l’inconveniente per
il quale un altro ordine giurisdizionale –in disarmonia con gli artt. 7 e
133 c.p.c.- dovrebbe per di più esaminare la portata ed il significato anche
conformativo delle pronunce del giudice amministrativo, se non altro allo
scopo di qualificare i fatti e di ravvisare la sussistenza o meno degli
elementi costitutivi di un illecito, di cui un elemento decisivo da valutare
è proprio il decisum della sentenza di annullamento emessa dal
giudice amministrativo per verificare se in concreto vi sia una
rimproverabilità eccedente la mera illegittimità dell’atto.
Ha ancora affermato la Sezione non qualsivoglia affidamento del privato può
essere posto a base di una domanda risarcitoria, per il solo fatto
dell’annullamento di un provvedimento amministrativo favorevole. Infatti,
occorrerebbe sempre tenere conto delle peculiarità della fattispecie
concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce degli accadimenti
effettivamente svoltisi nel corso del procedimento amministrativo e tenendo
conto delle modalità con cui è stata presentata l’istanza poi accolta
dall’Amministrazione con l’atto poi annullato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 11.05.2021 n. 3701 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE
AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Art.
21-nonies, L. n. 241 del 1990 – Istruttoria nuova – Capacità
lesiva autonoma – Impugnazione.
L’esercizio dei poteri di autotutela è,
di norma, discrezionale nell’an, ovvero quanto alla fase di
avvio del procedimento. Ragion per cui, se anche instata
dalla parte privata, l’Amministrazione conserva la piena
facoltà in ordine alla decisione se avviare o meno il
procedimento di riesame, che resta, dunque, un tipico
procedimento ad avvio facoltativo d’ufficio.
Una volta che il Comune, esperita la ricognizione circa la
sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento, si
è determinato per il riesame del provvedimento
amministrativo, alla luce di una nuova istruttoria mercé la
riconsiderazione degli originari presupposti rivalutati alla
luce di acquisizioni fattuali prima ignote (articolo
21-nonies, L. n. 241 del 1990), il provvedimento che ne
consegue sostituisce l’atto di primo grado nel regolare ex
novo l’assetto di interessi ed esprime una rinnovata,
autonoma capacità lesiva in grado di legittimare il soggetto
alla impugnazione del nuovo atto.
Non si tratta, dunque, di una remissione in termini che
autorizza, in via postuma, la proposizione di un ricorso che
sarebbe altrimenti ormai tardivo bensì, di un nuovo e
diverso ricorso proposto contro un provvedimento che ha
regolato ex novo il rapporto inter partes.
...
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies, L. n. 241 del
1990 – Annullamento d’ufficio – False rappresentazioni dei
fatti – Termine di 18 mesi – Amministrazione incolpevole –
Ragionevolezza – Accertamento dell’amministrazione.
L’articolo 21-nonies, legge n. 241/1990
contempla due categorie di provvedimenti –differenziabili in
ragione dell’uso della disgiuntiva “o”– che consentono
all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento
d’ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro
adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false
rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive
false.
Quando l’erroneità dei dati è imputabile non già
all’Amministrazione, bensì esclusivamente al comportamento
della parte, non si può pretendere dalla incolpevole
Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica
nella gestione dell’iniziativa di controllo dei dati forniti
e rimotiva, dovendosi dare spazio, invece, in questi casi,
al più generale canone di ragionevolezza per apprezzare e
gestire la tempistica del caso concreto.
Il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi per
l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art.
21-nonies deve pertanto ritenersi ammissibile, a prescindere
da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale,
tutte le volte in cui il soggetto segnalante abbia
rappresentato uno stato preesistente diverso da quello
reale.
Viene in rilievo, in questi casi, una fattispecie non
corrispondente alla realtà determinata da dichiarazioni
false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta
di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente
dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni
sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in
sede penale; se induttiva, invece, di una falsa
rappresentazione dei fatti, può essere rilevante al fine di
superamento del termine di 18 mesi anche in assenza di un
accertamento giudiziario della falsità, purché questa venga
accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i
propri mezzi (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.03.2021 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it). |
maggio 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: Annullamento
regionale del permesso di costruire ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del
2001.
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Edilizia – Permesso di costruire – Annullamento regionale - Art. 39, t.u.
edilizia n. 380 del 2001 – Natura.
●
Edilizia – Permesso di costruire – Annullamento regionale - Art. 39, t.u.
edilizia n. 380 del 2001 – Motivazione – Necessità.
●
Il potere di annullamento regionale del permesso di costruire, disposto ai
sensi ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001, è una autotutela speciale,
riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241 del 1990, salva la
specialità dei termini di esercizio, che sono di perdurante vigenza (1).
●
Al fine dell’annullamento, da parte della regione, del permesso
di costruire, disposto ai sensi ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001,
non è sufficiente la sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero
interesse pubblico al ripristino della legalità violata, ma occorre invece
che sia stata commessa una grave violazione urbanistico edilizia e che vi
sia un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità
violata, da compararsi con l’affidamento dl
---------------
(1) Il Collegio ritiene che il potere di annullamento regionale sia
una autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l.
n. 241 del 1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di
perdurante vigenza.
Ad avviso del C.g.a. che si tratti di un potere di autotutela è desumibile
dai seguenti rilievi:
- l’annullamento dell’atto non è “dovuto” in presenza della
riscontrata illegittimità. L’art. 39 t.u. edilizia configura il potere di
annullamento regionale come un potere discrezionale, utilizzando
l’espressione “possono essere annullati”;
- l’annullamento non è un atto “coercibile” da parte del
privato o da altro organo dell’Amministrazione.
Si tratta dunque di un potere di amministrazione attiva, di secondo grado,
coerente con l’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990 secondo cui il potere di
annullamento dell’atto amministrativo illegittimo può essere esercitato,
oltre che dall’Amministrazione che ha autorato il provvedimento, da altro
organo previsto dalla legge.
Ma anche a voler accedere alla tesi secondo cui il potere regionale è un
potere di vigilanza e controllo, questo non giustifica senz’altro la sua
sottrazione all’ambito di applicazione dell’art. 21-novies, l. n. 241 del
1990; infatti tale norma non reca una delimitazione dell’annullamento di
ufficio all’ambito della c.d. autotutela, e fa riferimento a tutti i casi in
cui l’annullamento possa essere disposto dalla stessa Amministrazione
autrice dell’atto o da “altro organo previsto dalla legge”.
E’ da ritenere quindi che l’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990 si debba
applicare a tutti i casi in cui la legge attribuisca ad un organo di
amministrazione attiva il potere di annullamento di atti amministrativi, a
prescindere dalla qualificazione della natura del potere esercitato
(amministrazione attiva, vigilanza-controllo); la previsione non si applica
invece nei casi di controllo affidato alla Corte dei conti o
all’annullamento giurisdizionale.
Quanto, tuttavia, ai termini per l’esercizio del potere, l’art. 39 t.u. n.
380 del 2001 si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 21-novies,
l. n. 241 del 1990, ad esso sopravvenuto, e pertanto di prevalenza: non
risulta espressamente abrogato; né sussistono i presupposti esegetici per
ravvisare una abrogazione tacita, posto che la legge generale successiva non
può abrogare tacitamente la legge speciale anteriore.
(2) Il C.g.a. ha avuto modo di precisare, con il
parere numero 67 del 2017, che “Il tenore dell’art. 53 l.r. n.
71/1978, secondo cui gli atti comunali illegittimi “possono essere
annullati” dalla Regione esclude qualsiasi obbligatorietà ed automaticità
del provvedimento regionale di annullamento, che deve, invece, recare una
congrua motivazione sull’interesse pubblico a procedere.” E sempre nel
medesimo parere si è precisato che “Per giurisprudenza concorde,
espressasi prevalentemente con riferimento all’art. 21-novies l. n.
241/1990, la motivazione di un atto di annullamento d’ufficio di un titolo
edilizio non può limitarsi al mero richiamo alla legalità. Sotto questo
profilo l’annullamento regionale non si differenzia sensibilmente
dall’annullamento operato in autotutela dal Comune (cfr. C.G.A., sez. riun.,
parere 383/03 del 12.03.2004, secondo cui “l'opera di comparazione degli
interessi pubblici e privati coinvolti (la cui necessità non è, peraltro,
esplicitamente esclusa nemmeno dall'orientamento giurisprudenziale più
rigoroso, che pure intravvede un interesse pubblico in re ipsa) debba essere
espletata con perspicuo rigore, dandone conto con adeguata motivazione, ed
escludendo meccanismi presuntivi sia con riferimento alla sussistenza
dell'interesse pubblico all'annullamento, che, non da ultimo, con riguardo
all'eventuale affidamento del privati").”
Anche il
Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 4822 del 2018, ha
statuito che “Seppure la norma del t.u. edilizia che attribuisce alla
Regioni il potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi
illegittimi non presenta il grado di puntualità, con riferimento ai
presupposti che debbono sussistere per l’esercizio corretto del relativo
potere, che si riscontra nella lettura della disposizione dell’art.
21-novies l. 241/1990, che contiene i principi generali in materia di atti
amministrativi di ritiro di precedenti provvedimenti, appare inevitabile
affermare che, comunque, tali prescrizioni debbono essere osservate anche in
caso di esercizio del potere di annullamento straordinario dei titoli
edilizi, ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001, per effetto di una doverosa lettura
costituzionalmente orientata della relativa disposizione e quindi rispettosa
del principio generale di cui all’art. 97 Cost..”
Ed ancora nella stessa motivazione: “l'eccezionalità del potere in
questione non può che essere inteso, in conformità ai canoni costituzionali
di cui all'art. 97 Cost. e di ragionevolezza, sulla scorta dei medesimi
presupposti che disciplinano l'autotutela della pubblica amministrazione
titolare del potere ordinario: sia in termini di interesse pubblico
specifico, sia di doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali
affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di
fatto che si viene ad incidere in via straordinaria”.
E’ solo mediante un’articolata e completa motivazione che il provvedimento
rispetta i requisiti della legittimità.
La motivazione deve essere tanto più congrua quanto più giustificato è il
legittimo affidamento dei privati nella stabilità di provvedimenti
amministrativi anche in materia di titolo edilizi.
La stabilità dei provvedimenti amministrativi costituisce un valore che
acquista una rilevanza sempre maggiore in un sistema che vuole l’agere
della Pubblica Amministrazione ispirato al principio di correttezza e buon
andamento di matrice costituzionale.
Il principio costituzionale dell’art. 97 Cost. fissa un limite al potere
discrezionale autoritativo di ritiro.
Tale limite trova fondamento anche nell’art. 3 Cost., su cui si fonda il
principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’agire pubblico.
Non si tratta di una preclusione del potere ma di un limite all’esercizio
del medesimo, di tipo motivazionale e procedurale che si collega al
principio di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità, in quanto vieta
l’uso scorretto, irragionevole, sproporzionato, del potere pubblico.
Tanto maggiore è l’affidamento dei privati tanto più esaustiva deve essere
la motivazione da cui possa desumersi la sussistenza del pubblico interesse
che non sia il mero richiamo alla violazione delle regole urbanistiche e
l’avvenuta ponderazione e comparazione con i contrastanti interessi di cui
sono portatori gli stessi.
L’obbligo di motivazione è ancora più stringente quando le primigenie scelte
che hanno ampliato la sfera giuridica dei privati non sono frutto di
comportamenti fraudolenti da parte degli stessi ma maturano in un rapporto
con la pubblica amministrazione caratterizzato, apparentemente, dalla
reciproca buona fede
(CGARS,
sentenza 26.05.2020 n. 325 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
19.
E’ parzialmente fondato il primo motivo.
19.1. Con il primo motivo si lamenta la mancata applicazione delle
regole che governano il potere di autotutela dell’Amministrazione, contenute
nell’art. 21-novies l. n. 241/1990, con riferimento sia alla ragionevolezza
del lasso temporale entro cui deve essere esercitato, sia con riferimento
alla necessità che lo stesso sia assistito da una congrua motivazione che
dia conto del persistere di un rilevante interesse pubblico al ritiro
dell’atto viziato.
19.2. Torna all’attenzione del Collegio una tematica già in precedenza
delibata che merita di essere ulteriormente approfondita.
Il tema può così essere sintetizzato: se il potere ex art. 39 t.u. edilizia
n. 327/2001 (annullamento regionale dei permessi di costruire entro 10 anni
dal rilascio del titolo ed entro 18 mesi dalla notizia della violazione) sia
o meno riconducibile al paradigma dell’autotutela dell’art. 21-novies l. n.
241/1990 sia con riferimento ai tempi di decadenza per il suo esercizio sia
con riferimento alla congruità della motivazione.
19.3. Il potere di controllo da parte della Regione gode di un’autonoma
disciplina che ne prevede i tempi ed i necessari passaggi procedimentali.
La l.r. siciliana n. 71 del 27.12.1978, in conformità alla norma
nazionale, all’art. 53 disciplina l’annullamento dei provvedimenti comunali.
Si tratta di un procedimento di “secondo grado” sul governo del
territorio siciliano per evitare che gli enti locali adottino provvedimenti
in materia urbanistica-edilizia che violino sia le scelte amministrative di
ordine generale assunte dalla Regione sia gli atti generali degli stessi
enti locali.
Il provvedimento dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente è
emesso “su parere del consiglio regionale dell’urbanistica”. Il
parere si pone come atto propedeutico e costituente parte integrante del
provvedimento assessoriale.
19.4. Al Collegio è nota la disputa sulla natura giuridica del potere
regionale di cui all’art. 39 t.u. n. 327/2001: se si tratti di un potere di
autotutela ovvero di un potere di vigilanza-controllo, con le implicazioni
che ne seguono in ordine al coordinamento di tale potere con il paradigma
generale dell’autotutela amministrativa ex art. 21-novies l. n. 241/1990.
19.5. Il Collegio ritiene che il potere di annullamento regionale sia una
autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l. n.
241/1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di
perdurante vigenza.
Che si tratti di un potere di autotutela è desumibile dai seguenti rilievi:
- l’annullamento dell’atto non è “dovuto” in presenza della
riscontrata illegittimità. L’art. 39 t.u. edilizia configura il potere di
annullamento regionale come un potere discrezionale, utilizzando
l’espressione “possono essere annullati”;
- l’annullamento non è un atto “coercibile” da parte del
privato o da altro organo dell’Amministrazione.
Si tratta dunque di un potere di amministrazione attiva, di secondo grado,
coerente con l’art. 21-novies l. n. 241/1990 secondo cui il potere di
annullamento dell’atto amministrativo illegittimo può essere esercitato,
oltre che dall’Amministrazione che ha autorato il provvedimento, da altro
organo previsto dalla legge.
19.6. Ma anche a voler accedere alla tesi secondo cui il potere regionale è
un potere di vigilanza e controllo, questo non giustifica senz’altro la sua
sottrazione all’ambito di applicazione dell’art. 21-novies l. n. 241/1990;
infatti tale norma non reca una delimitazione dell’annullamento di ufficio
all’ambito della c.d. autotutela, e fa riferimento a tutti i casi in cui
l’annullamento possa essere disposto dalla stessa Amministrazione autrice
dell’atto o da “altro organo previsto dalla legge”.
E’ da ritenere quindi che l’art. 21-novies l. n. 241/1990 si debba applicare
a tutti i casi in cui la legge attribuisca ad un organo di amministrazione
attiva il potere di annullamento di atti amministrativi, a prescindere dalla
qualificazione della natura del potere esercitato (amministrazione attiva,
vigilanza-controllo); la previsione non si applica invece nei casi di
controllo affidato alla Corte dei conti o all’annullamento giurisdizionale.
19.7. Quanto, tuttavia, ai termini per l’esercizio del potere, l’art. 39
t.u. n. 380/2001 si pone in rapporto di specialità rispetto all’art.
21-novies l. n. 241/1990, ad esso sopravvenuto, e pertanto di prevalenza:
non risulta espressamente abrogato; né sussistono i presupposti esegetici
per ravvisare una abrogazione tacita, posto che la legge generale successiva
non può abrogare tacitamente la legge speciale anteriore.
19.8. Sicché sono da disattendere le censure di parte appellante in ordine
alla violazione del termine ragionevole per l’esercizio dell’autotutela: in
quanto l’annullamento regionale risulta disposto nel rispetto dei diversi
termini fissati dall’art. 39 t.u. n. 380/2001, la cui vigenza è
sopravvissuta allo jus superveniens costituito dall’art. 21-novies l.
n. 241/1990.
19.9. Sono invece fondate, come si va ad esporre, le censure relative al
difetto di motivazione, per mancata valutazione comparativa dell’interesse
pubblico e privato e mancata enunciazione dell’interesse pubblico concreto e
attuale all’annullamento.
Invero, il carattere discrezionale dell’annullamento regionale, in una con
la sua riconduzione al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241/1990,
inducono a ritenere che al fine dell’annullamento non sia sufficiente la
sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero interesse pubblico al
ripristino della legalità violata. Occorre invece che sia stata commessa una
grave violazione urbanistico edilizia e che vi sia un interesse pubblico
concreto e attuale al ripristino della legalità violata, da compararsi con
l’affidamento dl
19.10. Questo CGARS ha avuto modo di precisare con il parere numero 67/2017
che “Il tenore dell’art. 53 l.r. n. 71/1978, secondo cui gli atti
comunali illegittimi “possono essere annullati” dalla Regione esclude
qualsiasi obbligatorietà ed automaticità del provvedimento regionale di
annullamento, che deve, invece, recare una congrua motivazione
sull’interesse pubblico a procedere.”
E sempre nel medesimo parere si è precisato che “Per giurisprudenza
concorde, espressasi prevalentemente con riferimento all’art. 21-novies l.
n. 241/1990, la motivazione di un atto di annullamento d’ufficio di un
titolo edilizio non può limitarsi al mero richiamo alla legalità. Sotto
questo profilo l’annullamento regionale non si differenzia sensibilmente
dall’annullamento operato in autotutela dal Comune (cfr. C.G.A., sez. riun.,
parere 383/03 del 12/03/2004, secondo cui “l'opera di comparazione degli
interessi pubblici e privati coinvolti (la cui necessità non è, peraltro,
esplicitamente esclusa nemmeno dall'orientamento giurisprudenziale più
rigoroso, che pure intravvede un interesse pubblico in re ipsa) debba essere
espletata con perspicuo rigore, dandone conto con adeguata motivazione, ed
escludendo meccanismi presuntivi sia con riferimento alla sussistenza
dell'interesse pubblico all'annullamento, che, non da ultimo, con riguardo
all'eventuale affidamento del privati").”
19.11. Anche il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. n. 4822 del
2018, ha statuito che “Seppure la norma del t.u. edilizia che attribuisce
alla Regioni il potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi
illegittimi non presenta il grado di puntualità, con riferimento ai
presupposti che debbono sussistere per l’esercizio corretto del relativo
potere, che si riscontra nella lettura della disposizione dell’art.
21-novies l. 241/1990, che contiene i principi generali in materia di atti
amministrativi di ritiro di precedenti provvedimenti, appare inevitabile
affermare che, comunque, tali prescrizioni debbono essere osservate anche in
caso di esercizio del potere di annullamento straordinario dei titoli
edilizi, ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001, per effetto di una doverosa lettura
costituzionalmente orientata della relativa disposizione e quindi rispettosa
del principio generale di cui all’art. 97 Cost..”
Ed ancora nella stessa motivazione: “l'eccezionalità del potere in
questione non può che essere inteso, in conformità ai canoni costituzionali
di cui all'art. 97 Cost. e di ragionevolezza, sulla scorta dei medesimi
presupposti che disciplinano l'autotutela della pubblica amministrazione
titolare del potere ordinario: sia in termini di interesse pubblico
specifico, sia di doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali
affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di
fatto che si viene ad incidere in via straordinaria”.
19.12. E’ solo mediante un’articolata e completa motivazione che il
provvedimento rispetta i requisiti della legittimità.
La motivazione deve essere tanto più congrua quanto più giustificato è il
legittimo affidamento dei privati nella stabilità di provvedimenti
amministrativi anche in materia di titolo edilizi.
La stabilità dei provvedimenti amministrativi costituisce un valore che
acquista una rilevanza sempre maggiore in un sistema che vuole l’agere
della Pubblica Amministrazione ispirato al principio di correttezza e buon
andamento di matrice costituzionale.
Il principio costituzionale dell’art. 97 Cost. fissa un limite al potere
discrezionale autoritativo di ritiro.
Tale limite trova fondamento anche nell’art. 3 Cost., su cui si fonda il
principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’agire pubblico.
Non si tratta di una preclusione del potere ma di un limite all’esercizio
del medesimo, di tipo motivazionale e procedurale che si collega al
principio di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità, in quanto vieta
l’uso scorretto, irragionevole, sproporzionato, del potere pubblico.
Tanto maggiore è l’affidamento dei privati tanto più esaustiva deve essere
la motivazione da cui possa desumersi la sussistenza del pubblico interesse
che non sia il mero richiamo alla violazione delle regole urbanistiche e
l’avvenuta ponderazione e comparazione con i contrastanti interessi di cui
sono portatori gli stessi.
L’obbligo di motivazione è ancora più stringente quando le primigenie scelte
che hanno ampliato la sfera giuridica dei privati non sono frutto di
comportamenti fraudolenti da parte degli stessi ma maturano in un rapporto
con la pubblica amministrazione caratterizzato, apparentemente, dalla
reciproca buona fede. |
marzo 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: All’Adunanza
plenaria l’interpretazione della disciplina degli interventi edilizi
eseguiti in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale.
La quarta sezione del Consiglio di Stato deferisce all’Adunanza plenaria la
questione di diritto relativa all’interpretazione dell’art. 38 del d.P.R. n.
380 del 2001 (“Testo unico dell’edilizia”) al fine di chiarire quali
siano i vizi che consentono la sanatoria, mediante irrogazione di una
sanzione pecuniaria, di interventi edilizi realizzati sulla base di un
permesso di costruire successivamente annullato.
Essa ha evidenziato come su tale disposizione si siano formate diverse
opzioni interpretative rispetto alle quali sarebbe preferibile quella c.d. “intermedia”,
meglio rispondente alla necessità di garantire l’affidamento di chi ha
ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo
consentito dalla contrapposta tutela del terzo.
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Edilizia – Annullamento del
permesso di costruire in sede giurisdizionale – Sanzioni applicabili –
Condizioni – Deferimento all’Adunanza plenaria
Deve essere rimessa all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato la questione concernente la corretta interpretazione
dell’art. 38 del d. P.R. 06.06.2001 n. 380 (“Testo unico per l’edilizia”),
onde stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso
di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta
la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione
amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2
dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in
sanatoria (1).
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(1) I. – Con l’ordinanza in rassegna, la IV sezione del Consiglio
di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria la questione concernente la
corretta interpretazione dell’art. 38 del d. P.R. 06.06.2001 n. 380 (“Testo
unico per l’edilizia”), nel senso di stabilire, nel caso di intervento
edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede
giurisdizionale, quali tipologie di vizi consentano la sanatoria che la
norma prevede.
Tale disposizione stabilisce che:
“1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia
possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle
procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria
pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite,
valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati
tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. […]
2. L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i
medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo
36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli
interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, in caso di accertamento
dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo”.
II. – La vicenda procedimentale e contenziosa che ha condotto alla
controversia dinanzi al Giudice d’appello si è così articolata:
a) il Comune ha rilasciato un permesso di
costruire per la ristrutturazione con ricostruzione di presunte parti in
precedenza crollate di un fabbricato rurale (costituito da una tradizionale
“tea” composta, nell’assetto originario, da una costruzione di legno
con tetto a doppia falda, a due piani, di cui l’uno adibito a stalla e
l’altro superiore a fienile delle dimensioni di mt. 6,10 x 5,7 in pianta),
con rilocalizzazione del manufatto e suo ampliamento;
b) l’intervento oggetto del titolo abilitativo è
stato eseguito dal soggetto al quale è stato rilasciato il titolo
abilitativo;
c) avverso tale provvedimento è insorta, con
ricorso al Tar per la Lombardia, la c.d. “controinteressata
procedimentale” (una vicina);
d) tale ricorso è stato accolto in primo grado
con sentenza Tar per la Lombardia, sez. II, 27.04.2016, n. 813, la quale è
stata confermata con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2018,
n. 1725, cui è derivata la caducazione del titolo abilitativo impugnato;
e) a seguito dell’annullamento giurisdizionale il
Comune ha dato seguito alle seguenti ulteriori fasi procedimentali:
e1) ha comunicato alle parti,
ossia ai titolari del permesso annullato e alla vicinante che ne aveva
ottenuto l’annullamento, di avere avviato un procedimento amministrativo
volto all’applicazione delle misure di cui all’art. 38 del d. P.R. n. 380
del 2001;
e2) ha emesso un provvedimento
conclusivo del procedimento con il quale:
I) ha premesso di voler considerare come eccezionale, in base ad
un’interpretazione dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 –ritenuta corretta–
la demolizione delle opere, e di voler privilegiare la riedizione del titolo
emendato da vizi, con irrogazione della sanzione pecuniaria;
II) ha ritenuto impossibile, sulla base delle locali previsioni
urbanistiche, eliminare i vizi della procedura con il rilascio di un nuovo
titolo, non potendosi riallocare per ragioni tecniche la “tea” nel
sedime originario, avendo essa mantenuto la sua identità di edificio storico
tipico, con interesse dell’amministrazione a conservarla nella posizione
attuale;
III) ha evidenziato che il manufatto preesistente e l’interrato realizzato
al di sotto, non potrebbero demolirsi senza pregiudizio della “tea”
soprastante;
IV) ha evidenziato che sarebbe suscettibile di demolizione solo
l’ampliamento, dato che la pronuncia di annullamento ha escluso che lo si
potesse ritenere ricostruzione di una preesistenza;
V) ha applicato ai proprietari titolari del permesso di costruire annullato
la sanzione pecuniaria di cui al predetto, rinviando per liquidarla ad un
successivo atto della competente Agenzia delle entrate, quanto al manufatto
preesistente, ossia la tea originaria così come spostata di sede, e
all’interrato sottostante di nuova realizzazione;
VI) ha ordinato la demolizione della porzione oggetto di ampliamento e del
volume interrato ad essa sottostante, ossia del corpo di fabbrica a monte,
di mt. 6,90 x 5,60 in pianta, realizzato in muratura quale presunto recupero
delle parti crollate;
f) tale ultimo provvedimento e l’atto
determinativo della sanzione sono stati –anch’essi– impugnati
dall’originaria ricorrente (ovvero dalla vicina) e dai proprietari
intestatari del permesso di costruire annullato, l’una invocando l’integrale
demolizione di tutto quanto realizzato, gli altri invocando l’integrale
conservazione del bene contro il pagamento di una sanzione ulteriore;
g) con la sentenza Tar per la Lombardia, sez. II,
17.01.2019, n. 98, previa riunione dei ricorsi, la domanda volta alla
caducazione dell’ordine di demolizione è stata dichiarata improcedibile
mentre quella intesa ad ottenere l’ottemperanza della precedente sentenza è
stata accolta con conseguente declaratoria di nullità del provvedimento
emesso dal Comune e demolizione dell’intero manufatto;
h) la predetta sentenza ha inequivocabilmente
ritenuto che la sanatoria ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 non
sia possibile nel caso di vizi della procedura non emendabili, e quindi ha
aderito all’orientamento più restrittivo tra quelli tratteggiati dalla
giurisprudenza;
i) avverso tale ultima sentenza è stato
interposto appello da parte dei proprietari del bene: nell’ambito del
relativo giudizio di secondo grado è intervenuto il deferimento all’Adunanza
plenaria di cui trattasi.
III. – Con l’ordinanza in rassegna il Collegio, nel rimettere le
questioni all’esame dell’Adunanza plenaria, ha, previa conversione del rito,
osservato che sull’interpretazione dell’art. 38 in esame si sono formati in
giurisprudenza distinti orientamenti:
j) una prima opzione interpretativa, che si è
affermata nelle pronunce più recenti del Giudice d’appello, sostiene
un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso
ritenendo, in sintesi, che:
j1) la “fiscalizzazione”
dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia di invalidità, ossia a
prescindere dal tipo, formale o sostanziale, dei vizi che hanno portato
all’annullamento dell’originario titolo;
j2) l’istituto integrerebbe,
conseguentemente, un caso particolare di condono di una costruzione che
sarebbe, nella sostanza, abusiva;
j3) più nel dettaglio, anche in
presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune
prima di ordinare la rimessione in pristino
dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe
limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria;
j4) nel far ciò l’autorità
edilizia dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e
propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche eventuali ragioni
equità o, al limite, anche di opportunità (Cons. Stato, sez. VI, 19.07.2019,
n. 5089; in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, Cons. Stato, sez.
VI, 28.11.2018, n. 6753, in Merito, 2019, 2, 87; sez. IV, 12.05.2014, n.
2398, in Foro amm., 2014, 1410);
k) un secondo orientamento, definito
dall’ordinanza in rassegna “più restrittivo” postula che:
k1) la “fiscalizzazione”
dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali
non emendabili;
k2) in ogni altro caso
l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in
pristino;
k3) lo strumento in esame
consentirebbe di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e
quindi non potrebbe, in tesi, operare con gli effetti di un condono (Corte
cost., 11.06.2010, n. 209, in Giur. cost., 2010, 2417, con nota di ESPOSITO;
Cons. Stato, sez. VI, 09.05.2016, n. 1861, in Foro amm., 2016, 1203; Cons.
Stato, sez. VI, 11.02.2013, n. 753; sez. IV, 16.03.2010, n. 1535, in Foro
amm. Cons. Stato, 2010, 555, richiamata in Cons. giust. amm. sic., sez. riun.,
parere 12.12.2017, n. 999; sez. V, 22.05.2006, n. 2960, in Foro amm. Cons.
Stato, 2006, 1441; sez. V, 12.10.2001, n. 5407, in Riv. giur. edilizia,
2001, I, 1162);
l) un terzo orientamento, definito “intermedio”,
si discosta da quello restrittivo in considerazione che:
l1) ritiene possibile la “fiscalizzazione”,
oltre che nei casi di vizi formali, anche nei casi di vizi sostanziali, però
emendabili;
l2) anche in tal caso, non vi
sarebbe la sanatoria di un abuso, poiché:
I) esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del
progetto prima del rilascio della sanatoria stessa;
II) tale “sanatoria” si distinguerebbe dall’accertamento di
conformità di cui all’art. 36 dello stesso d. P.R. n. 380 del 2001 per il
fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità” nel senso
che non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche
vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria
(in tal senso, sempre fra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 10.09.2015, n.
4221; sez. VI, 08.05.2014, n. 2355; sez. IV, 17.09.2012, n. 4923, in Riv.
giur. edilizia, 2012, I, 1140, ove si fa l’esempio pratico di un vizio
sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del fabbricato
in modo da rispettare le norme tecniche di piano);
m) tutte le posizioni interpretative muoverebbero
dalle premesse teoriche comuni secondo cui:
m1) la posizione del soggetto
che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato in sede
giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato
l'opera abusivamente senza titolo alcuno;
m2) in tal senso, tale
posizione soggettiva non va ritenuta assistita da un particolare affidamento
da tutelare e questo perché: I) in primo luogo, una situazione di
affidamento si potrebbe semmai configurare solo nei confronti di un
eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto ad un
annullamento in sede giurisdizionale: consegue che, da un lato, chi ottiene
il titolo edilizio assume il rischio e il pericolo di un eventuale
annullamento di esso all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre;
dall’altro lato, si è di fronte ad un organo giudicante, che deve limitarsi
a decidere sulla domanda propostagli e non può valorizzare, diversamente
dall’amministrazione, eventuali affidamenti dei soggetti coinvolti;
II) in secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio
determina un giudicato, che, in linea di principio, tutti i soggetti
dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono rispettare;
m3) l’art. 38 in esame
rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere
nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio,
che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di
realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a
quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”;
n) dalle premesse teoriche comuni i tre
orientamenti si discosterebbero, tuttavia, quanto alle conseguenze che
ritengono di trarne:
n1) l’orientamento di maggior
favore privilegia al massimo le ragioni del privato titolare del permesso
annullato in considerazione che:
I) prevarrebbe la tutela della buona fede di chi eserciti una qualsiasi
attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione competente;
II) le ragioni di chi ha ottenuto il rilascio del titolo configurerebbero
come esito normale la sanatoria dell’abuso mediante la sua “fiscalizzazione”;
III) in tale ultimo senso deporrebbe anche un argomento letterale (Cons.
Stato, n. 5089 del 2019, cit.) individuato nel richiamo ai “vizi delle
procedure amministrative” e alla impossibilità della “rimessione in
pristino” di cui all’art. 38, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001,
trattandosi di due ipotesi di sanatoria messe su un piano di parità, la
prima relativa a vizi formali, la seconda, ossia quella in cui non sia
possibile la “rimessione in pristino”, relativa ad una problematica
tecnico ingegneristica, che, quindi, prescinderebbe dal tipo di vizio
riscontrato;
n2) l’orientamento restrittivo
e quello intermedio privilegiano le ragioni del terzo che ha impugnato il
titolo illegittimo anche con il rispetto del giudicato in considerazione
che:
I) una sanatoria senza limiti lederebbe l'affidamento (del soggetto che ha
impugnato il titolo edilizio) nella stabilità della disciplina giuridica
delle fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di
effettività il suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la
tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive;
II) l’interpretazione ampia potrebbe essere in contrasto con l’art. 102 Cost.,
perché travolgerebbe gli effetti del giudicato di annullamento con
conseguente possibilità per l’amministrazione di invadere il campo riservato
all’Autorità giudiziaria;
III) l’interpretazione più idonea sarebbe quella che consente di sanare
l’abuso solo quando esso sia tale solo sul piano formale, ma non nella
sostanza, perché si tratta appunto di soli vizi formali, o perché i vizi
sostanziali siano stati eliminati;
o) tale ultima opzione ermeneutica “intermedia”,
la quale protegge l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo
poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela
del terzo, è quella privilegiata dall’ordinanza in rassegna anche perché, in
tesi, la repressione degli abusi edilizi –intese come tali le costruzioni
che siano effettivamente in contrasto con l’assetto del territorio disegnato
dagli strumenti urbanistici– costituisce un valore che l’ordinamento
persegue con particolare rigore (in tal senso, se pure su fattispecie
diverse, Cons. Stato, Ad. plen., 17.10.2017, n. 9, in Giornale dir. amm.,
2018, 67, con nota di TRIMARCHI; Foro amm., 2018, 789, con nota di CURTO;
Riv. giur. edilizia, 2018, I, 113, con nota di DROGHINI, STRAZZA;
17.10.2017, n. 8, in Giornale dir. amm., 2018, 67, con nota di TRIMARCHI;
Urbanistica e appalti, 2018, 45, con nota di MANFREDI; Riv. giur. edilizia,
2017, I, 1089, con nota di POSTERARIO; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 92, con
nota di PAGLIAROLI; Dir. proc. amm., 2018, 717, con nota di BERTONAZZI; Riv.
giur. edilizia, 2018, I, 403, con nota di ZAMPETTI; Foro amm., 2018, 789,
con nota di CURTO).
IV. – Per completezza si segnala:
p) sulla ratio dell’art. 38 del d. P.R.
06.06.2001, n. 380:
p1) l’art. 38 del d.P.R. n. 380
del 2001, riproduttivo del previgente art. 11 della l. n. 47 del 1985,
prevede, in caso di costruzione realizzata in base ad atti annullati in sede
giurisdizionale, due alternative possibili, e cioè la rimozione dei vizi
delle procedure amministrative o l'applicazione di una sanzione pecuniaria
quando non sia tecnicamente possibile la rimozione indicata;
p2) detta disposizione “[…]
rappresenta una speciale norma di favore, che differenzia sensibilmente la
posizione di colui che ha realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo
annullato (c.d. “abusività sopravvenuta”) da quella di chi ha realizzato
un’opera abusiva sin dall’inizio senza alcun titolo abilitativo (c.d.
“abusività originaria”), per il quale ultimo l’art. 31 del t.u. edilizia
prevede sempre, senza eccezione alcuna, la sanzione della demolizione.
L’art. 38 è una speciale norma di favore che non si pone in contraddizione
con quanto stabilito dall’art. 31 dello stesso t.u., andando a prendere in
esame una fattispecie astratta di abuso edilizio (derivante
dall’annullamento del titolo edilizio) ben diversa da quella presa in esame
dall’ultima disposizione menzionata (derivante dall’assenza originaria del
titolo o dalla totale difformità dallo stesso delle opere edificate). […] Se
fosse mancata un’espressa previsione legislativa, la posizione del privato
che realizza un’opera sulla base di un titolo edilizio annullato, non si
sarebbe differenziata da quella del privato che ha realizzato un’opera priva
di titolo edilizio sin dall’origine” (A. SENATORE, L’esecuzione delle
sanzioni amministrative da illecito urbanistico-edilizio, in F. CARINGELLA,
U. DE LUCA, Manuale dell’edilizia e dell’urbanistica, a cura di, Roma, 2017,
1275 ss.);
p3) l’Adunanza plenaria, con
sentenza 23.04.2009, n. 4 (in Guida al dir., 2009, 21, 97, con nota di
PONTE; Riv. giur. edilizia, 2009, I, 751, con nota di GRAZIOSI; Giornale
dir. amm., 2010, 47, con nota di LAVITOLA), ha evidenziato che: I) […] “Il
legislatore, sulla base della considerazione che, normalmente,
l'annullamento interviene quando l'opera è stata già realizzata, ha ritenuto
opportuno conferire all'amministrazione la possibilità di non procedere
automaticamente all’applicazione delle normali sanzioni susseguenti
all'accertamento dell'abuso, quali la demolizione dell'opera, potendo essere
conveniente mantenere ferma l'opera realizzata ed introitare una sanzione
pecuniaria cospicua, quale appunto quella costituita dal valore venale delle
opere abusive realizzate”;
II) “Questo non esclude la rilevanza del fatto che nel caso di specie
l'abuso edilizio emerge solo a seguito dell'annullamento di un atto
rilasciato dalla stessa amministrazione. Tuttavia l'ambito della rilevanza è
rimessa al legislatore, che è l'unico in grado di derogare ai normali
effetti del giudicato di annullamento, ossia al fatto che la demolizione
dell’atto rende illecite quelle condotte che per non essere tali avrebbero
avuto bisogno della sua vigente efficacia”;
III) “Quindi, proprio la presenza del giudicato in senso tecnico, la cui
intangibilità vale anche nei confronti del legislatore, impone la previsione
espressa non di un’ipotesi che direttamente lo contrasti, bensì la volontà
di fondare un potere nuovo rispetto a quello esercitato nell’atto annullato,
che abbia lo scopo di amministrare gli effetti dell’avvenuta esecuzione
dell’atto medesimo orientato cioè a realizzare un assetto della fattispecie
diversificato da quello tipico scaturente dal giudicato”;
IV) “In altri termini, il venir meno del titolo sulla cui base l'opera è
stata realizzata -e quindi la circostanza che il «fatto» realizzativo
dell'opera non sia più sorretto dalla legittimità- apre la «possibilità» di
estendere anche a tali opere il beneficio del condono";
V) “il legislatore ha solamente la possibilità, e non l’obbligo, di
includere nel condono le opere realizzate nel periodo «coperto» dalla legge”;
tale “inclusione deve avvenire attraverso una previsione espressa e
chiara, proprio in quanto viene in rilievo il giudicato e la possibile
disparità di trattamento rispetto alle ipotesi di illecito mai sottoposte al
vaglio giurisdizionale e che il giudicato di annullamento riporta
all’iniziale stato di illiceità";
VI) “il sistema non consente la possibilità di dare rilievo alla
situazione soggettiva di affidamento, in cui si troverebbe colui che ha
realizzato l'opera in base ad un titolo originariamente legittimo e poi
annullato, in quanto tale situazione soggettiva si configura nei confronti
dell'amministrazione quando apre un procedimento di secondo grado il cui
possibile esito sia il provvedimento di annullamento, ma non invece nei
confronti del giudice dell'annullamento che, chiamato a giudicare della
legittimità del titolo abilitativo da parte di quei terzi, le cui posizioni
erano rimaste impregiudicate dal rilascio del titolo medesimo, deve
solamente statuire sulla domanda proposta da quei soggetti, legittimati ad
impugnare, che fanno fondatamente valere le proprie ragioni”;
p4) la giurisprudenza ha anche
fugato i dubbi di incostituzionalità dell’omologa previsione già contenuta
nell’art. 11 della l. n. 47 del 1985 (poi riprodotta nell’art. 38 di cui
trattasi) nella parte in cui prevede l'irrogazione di una sanzione
pecuniaria ove non sia possibile la rimozione dell'abuso edilizio e la
riduzione in pristino, in considerazione che “la tutela che l'ordinamento
appresta al soggetto, che abbia ottenuto in sede giurisdizionale,
l'annullamento di una concessione di costruzione illegittimamente assentita,
non si identifica necessariamente nella demolizione di quanto
illegittimamente edificato” (Tar per la Puglia, sez. II, 05.05.1995, n.
329, in Trib. amm. reg., 1995, I, 3254);
p5) in relazione
all’annullamento d’ufficio del titolo edilizio:
I) secondo l’Adunanza plenaria, come è noto, “Ai fini dell'annullamento
d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza
temporale considerevole dal provvedimento annullato, il mero decorso del
tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell'annullamento
d'ufficio e, in ogni caso, il termine «ragionevole» per la sua adozione
decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione,
dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro;
l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulta attenuato in
ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati; la
non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto
e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non
consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento
legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante
sull'amministrazione può dirsi soddisfatto attraverso il documentato
richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” (così
Cons. Stato, ad. plen., sentenza 17.10.2017, n. 8, in Foro it.,
2018, III, 6, con nota di A. TRAVI, ed in Giorn. dir. amm., 2018, 67, con
nota di TRIMARCHI, oggetto della
News US in data 23.10.2017, cui si rimanda per ogni opportuno
approfondimento);
II) ancora in tema di annullamento in autotutela in materia edilizia, cfr.,
Cons. Stato, sez. IV, sentenza 18.07.2018, n. 4374 (in Foro it., 2018, III,
492, con nota di SPUNTARELLI), secondo cui “In ossequio al principio
generale di ordinaria irretroattività della legge, il termine di diciotto
mesi per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, introdotto,
nell'art. 21-nonies l. 241/1990, dall'art. 6 l. 07.08.2015 n. 124, non si
applica ai provvedimenti di annullamento d'ufficio adottati prima
dell'entrata in vigore di tale legge (28.08.2015)” (fattispecie
riguardante l’annullamento, in autotutela, di un titolo edilizio, per
riscontrata violazione della distanza minima dal confine);
p6) in argomento, da ultimo,
cfr. anche Cons. Stato, sezione IV, sentenza 07.09.2018, n. 5277 (in Foro
it., 2019, III, 57, con nota di CORDOVA), secondo cui “L'annullamento
d'ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo,
è possibile anche ad una distanza temporale considerevole dal rilascio del
titolo medesimo, ma deve essere adeguatamente motivato in relazione alla
sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenuto anche conto
degli interessi dei privati coinvolti” (fattispecie relativa
all’annullamento d’ufficio di due permessi di costruire, sopraggiunto sette
anni dopo il rilascio dei titoli, in cui il Giudice d’appello è pervenuto
alla conclusione dell’illegittimità di tale intervento in autotutela, anche
perché, nella specie, “il Comune non ha dedicato alcun passaggio
motivazionale alla possibilità, non implausibile, di annullare soltanto
parzialmente i titoli edilizi rilasciati al fine di contemperare le
contrapposte esigenze recando il minore sacrificio possibile alla posizione
giuridica del privato”);
q) sul rapporto tra d.P.R. n. 380 del 2001 e la
legislazione edilizia previgente (anche con specifico riferimento all’art.
38): è stato affermato che “a seguito dell’abrogazione dell’art. 11 della
l. n. 47 del 1985, da parte dell’art. 136 del t.u. edilizio, la disciplina
di riferimento è quella contenuta nell’art. 38 del t.u. edilizio. […] Gli
aspetti di natura sostanziale che differenziano l’istituto dalla sua
versione preesistente consistono anzitutto nella richiesta di una «motivata
valutazione» con riguardo all’impossibilità della rimozione dei vizi
procedimentali che hanno determinato l’annullamento del titolo edilizio e/o
con riguardo all’impossibilità di eseguire la demolizione. In altri termini,
la norma impone un onere motivazionale rafforzato in capo alla p.a.
comunale, evidentemente in ragione della natura derogatoria del regime
sanzionatorio in questione. Un secondo aspetto di novità risiede
nell’assegnazione della competenza al dirigente del competente ufficio
comunale, in luogo del sindaco […]. L’ultima novità dell’istituto, rispetto
alla versione precedente, risiede nella sua applicazione […] anche
all’ipotesi dei lavori eseguiti tramite S.C.I.A. presentata in alternativa
al permesso di costruire ex art. 23 del t.u.” (A. SENATORE, L’esecuzione
delle sanzioni amministrative da illecito urbanistico-edilizio, cit., 1278):
q1) Tar per l’Emilia Romagna,
sez. II, 29.11.2017, n. 783, secondo cui il d.P.R. n. 380 del 2001 “costituisce
un testo unico compilativo della disciplina previgente: è indubbio che, con
particolare riferimento all’art. 31, detto testo unico ha dato luogo -almeno
nel testo originario- ad una mera trasposizione dell’art. 7 della l. n. 47
del 1985”;
q2) Tar per la Sicilia, sez.
III, 13.02.2015, n. 444, secondo cui “sol se si legge l’art. 7 della l.
n. 50 del 1999, si comprende come la natura e qualificazione dei testi unici
misti -qual è il d.P.R. n. 380 del 2001- abbiano voluto soddisfare, tra gli
altri criteri e princìpi direttivi: a) la puntuale individuazione del testo
vigente delle norme; b) l’esplicita indicazione delle norme abrogate, anche
implicitamente, da successive disposizioni; c) il coordinamento formale del
testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto
coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e
sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il
linguaggio normativo” (cfr. in tal senso, Cons. Stato, Ad. gen., parere
29.03.2001, n. 3/01, in Cons. Stato, 2001, I, 2554);
r) sull’annullamento in autotutela del titolo
edilizio:
r1) Cons. Stato, sez. IV,
07.09.2018, n. 5277, cit., secondo cui, tra l’altro:
I) “Ai fini dell'annullamento d'ufficio di un permesso di costruire, non
deve essere trascurato il comportamento del privato, se improntato a canoni
di lealtà e di chiarezza”;
II) “Il termine decennale per l'esercizio del potere regionale di
annullamento del permesso di costruire illegittimo non può essere invocato
rispetto all'annullamento d'ufficio da parte del Comune”;
III) “È illegittimo l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio se il
Comune non ha dedicato alcun passaggio motivazionale alla possibilità, non
implausibile, di annullare soltanto parzialmente +i titoli edilizi
rilasciati al fine di contemperare le contrapposte esigenze recando il
minore sacrificio possibile alla posizione giuridica del privato”;
IV) “L'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, successivamente
valutato come illegittimo, è possibile anche ad una distanza temporale
considerevole dal rilascio del titolo medesimo, ma deve essere adeguatamente
motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e
attuale, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti”;
V) ”I presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei
titoli edilizi (nella specie, permesso di costruire) sono costituiti
dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico
concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della
legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive
consolidate in capo ai destinatari; l'esercizio del potere di autotutela è
dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia,
l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza
dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato
dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere
conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in
materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che
possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli
contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del
privato che ha indotto in errore l'Amministrazione”;
VI) “Anche i provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti
all’alveo normativo dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 che, per effetto
delle riforme introdotte dal legislatore (da ultimo, la legge n. 124 del
2015), ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all’Amministrazione
un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione
dell’interesse pubblico in comparazione con l’affidamento del destinatario
dell’atto.
Pertanto, nel fare applicazione dei principi espressi anche dall’Adunanza
plenaria (sentenza 17.10.2017 n. 8), si rivela che i presupposti
dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono
costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino
della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche
soggettive consolidate in capo ai destinatari.
L’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante
discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure
sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di
motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il
titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare
atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e
dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere
prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché
dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore
l'Amministrazione”;
s) sull’obbligo di intervento
dell’amministrazione in caso di annullamento del titolo edilizio:
s1) Cons. Stato, sez. IV,
15.06.2016, n. 2631, secondo cui ”L'annullamento giurisdizionale del
permesso di costruire rende abusive le opere edilizie realizzate in base a
quest'ultimo, di talché il Comune, stante l'efficacia conformativa di tal
giudicato, ne deve dare esecuzione, adottando i provvedimenti consequenziali”;
s2) Tar per il Piemonte, sez.
II, 08.07.2014, n. 1171, secondo cui “In sede di ottemperanza al
giudicato l'Amministrazione è tenuta, pertanto, non solo a uniformarsi alle
indicazioni rese dal giudice, e a determinarsi secondo i limiti imposti
dalla rilevanza sostanziale della posizione soggettiva azionata e
consolidata in sentenza, ma anche a prendere in esame la situazione
controversa nella sua complessiva estensione, valutando non soltanto i
profili oggetto della decisione del giudice, ma pure quelli comunque
rilevanti per provvedere definitivamente sull'oggetto della pretesa,
all'evidente scopo di evitare ogni possibile elusione del giudicato”;
s3) Cons. Stato, sez. IV,
12.05.2014, n. 2398 (in Foro amm., 2014, 1410), secondo cui “L'annullamento
giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di
abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il
comune, stante l'efficacia conformativa, oltre che costitutiva e
ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a
dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali;
questi, peraltro, non devono necessariamente avere ad oggetto la demolizione
delle opere realizzate: l'art. 38 d.p.r. 06.06.2001 n. 380 prevede invece
una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali
l'atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto”;
s4) Cons. Stato, sez. VI,
13.06.2011, n. 3571 (in Foro amm. Cons. Stato, 2011, 2051), secondo cui “L'annullamento
giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di
abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il
comune, stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice
amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare
esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali; tali
provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la
demolizione delle opere realizzate, prescindendo l'art. 38 d.p.r. 06.06.2001
n. 380, in caso di annullamento del permesso di costruire, una nuova
valutazione da parte del dirigente del competente ufficio comunale riguardo
la possibilità di restituzione in pristino; qualora la demolizione non
risulti possibile, il comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei
termini fissati dallo stesso art. 38; consegue l'inammissibilità del ricorso
per ottemperanza proposto dopo e nonostante l'adozione dell'atto, ferma la
giustiziabilità dello steso nell'ordinaria sede del giudizio di cognizione”;
s5) Cons. Stato, sez. V,
14.10.1998, n. 1475 (in Appalti urbanistica edilizia, 1999, 694), secondo
cui “Prima di procedere alla demolizione di un edificio abusivo -ancorché
disposta in esecuzione del giudicato d'annullamento della concessione
edilizia-, occorre prima attendere l'esito del procedimento di sanatoria
dell'immobile stesso, tenuto conto del carattere irreversibile di tale
sanzione demolitoria”;
s6) Cons., Stato, sez. V,
24.10.1983, n. 493 (in Cons. Stato, 1983, I, 774), secondo cui “ove una
licenza edilizia sia stata annullata in sede giurisdizionale, l’ottemperanza
al giudicato da parte dell’autorità comunale –che deve aver luogo
indipendentemente da qualsiasi istanza di parte– non comporta
necessariamente l’irrogazione della sanzione demolitoria, ben potendo il
sindaco scegliere tra questa e l’applicazione della sanzione pecuniaria”;
t) sugli abusi connotati da disvalore diverso:
Corte cost., 09.01.2019, n. 2 (in Foro it., 2019, I, 755 oggetto
della
News US in data 18.01.2019) secondo cui “È dichiarato
costituzionalmente illegittimo -per violazione del principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.- l'art. 22, comma 2, della legge reg.
Lazio n. 15 del 2008. La disposizione censurata dal TAR Lazio -ragguagliando
al valore venale dell'abuso la misura della somma da pagare, a titolo di
oblazione, nella procedura di accertamento di conformità degli interventi
edilizi eseguiti in assenza di titolo abilitativo o in difformità da esso-
assoggetta chi intenda sanare tale forma di abuso al medesimo onere
pecuniario previsto, dall'art. 20 della citata legge regionale, per la
sanatoria degli interventi edilizi eseguiti in base a titolo abilitativo
successivamente annullato, con l'irragionevole conseguenza di parificare,
sul piano dei costi, abusi connotati da disvalore diverso, atteso che
nell'ipotesi prevista dalla norma censurata trattasi di interventi conformi
alla normativa urbanistico-edilizia vigente e pregressa, regolarizzabili
sotto l'aspetto formale mediante il relativo accertamento di conformità,
mentre in quella prevista dall'art. 20 trattasi di interventi edilizi
sostanzialmente illegittimi, per i quali sarebbe necessario il ricorso
all'ordinario iter repressivo con la demolizione del manufatto, cui
l'amministrazione decide invece di soprassedere per ragioni di materiale
impossibilità”;
u) sulla stima dell’Agenzia del territorio (oggi
Agenzia delle entrate) prevista dall’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001: Tar per
la Liguria, sez. I, 02.11.2011, n. 1506 secondo cui:
I) “nel procedimento disegnato dall’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, la
stima dell’Agenzia costituisce una fase infraprocedimentale, in relazione
alla quale non è richiesta una ulteriore (ed ultronea) comunicazione di
avvio del procedimento”;
II) l’Agenzia del territorio effettua la stima “nell’esercizio di
discrezionalità tecnica” e le relative valutazioni sono sindacabili dal
giudice amministrativo soltanto “sotto il profilo della loro logicità e
ragionevolezza, nonché della congruità dell'istruttoria”;
v) sulla nozione di “impossibilità di
ripristino”: Cons. Stato, sez. II, 23.09.2019, n. 6284, secondo cui esso
è inteso “in senso più ampio non solo riferito alla oggettiva
impossibilità materiale «tecnica» , ma riferito alla comparazione
dell’interesse pubblico al recupero della situazione di legalità violata e
accertata giudizialmente con il rispetto delle posizioni giuridiche
soggettive del privato incolpevole, che aveva confidato nell'esercizio
legittimo del potere amministrativo” (cfr. in tal senso, altresì, Cons.
Stato Sez. VI, 28.11.2018, n. 6753, in Merito, 2019, 2, 87; sez. VI
09.04.2018 n. 2155, in Foro amm., 2018, 639, che fa riferimento anche alla
posizione di eventuali terzi acquirenti di buona fede);
w) sul rapporto tra la “sanatoria” ex art.
38 d.P.R. n. 380 del 2001 e l’accertamento di conformità ex art. 36 del
medesimo d.P.R.:
w1) Cons. Stato, sez. VI,
10.05.2017, n. 2160 (in Foro it., 2017, 1067), secondo cui, una volta
identificato nella tutela del legittimo affidamento l'elemento normativo che
differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato in
buona fede l'opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a quanti
abbiano realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, ne consegue
che l'art. 38 d.p.r. 380 del 2001 può trovare applicazione solo in presenza
di manufatti realizzati conformemente al titolo edilizio assentito e che
diventino abusivi solo a seguito del sopravvenuto annullamento di quest’ultimo;
per le ipotesi di abusi formali realizzati in assenza ab initio di
valido titolo abilitativo, trova infatti applicazione il diverso istituto
dell'accertamento di conformità, subordinato al riscontro delle stringenti
condizioni di cui all'art. 36 stesso d.p.r.;
w2) Tar per la Puglia, sez. st.
Lecce, sez. III, 02.07.2010, n. 1645, secondo cui “l’art. 38 disciplina
una forma di sanatoria nella quale la conformità delle opere che, per
effetto dell’annullamento del titolo edilizio, sono divenute abusive viene a
sussistere nei confronti della strumentazione urbanistica esistente nel
momento del rilascio del titolo abilitativo; questo a differenza di quanto
avviene per la sanatoria di cui all’art. 36,che presuppone la conformità
delle opere alla strumentazione urbanistica esistente alla data di
realizzazione delle opere stesse e alla data di richiesta della sanatoria”;
x) sulla nozione e limiti della regola della c.d.
“doppia conformità”:
x1) tra le tante, Corte cost.,
08.11.2017, n. 232 (in Giur. cost., 2017, 2340, connota di SAITTA), secondo
cui “In materia di abusi edilizi, va affermata l'illegittimità
costituzionale dell'art. 14, 1° e 3° comma, l.reg. Sicilia n. 16 del 2016,
nella parte in cui, ripettivamente, prevedono che «il responsabile
dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il
permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina
urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della
domanda» (1° comma), e non anche a quella vigente al momento della
realizzazione dell'intervento; e nella parte in cui si pone «un meccanismo
di silenzio-assenso che discende dal mero decorso del termine di novanta
giorni» (3° comma) dalla presentazione della istanza al fine del rilascio
del permesso in sanatoria”;
x2) Cons. giust. amm. sic.,
sez. riun., parere 28.09.2017, n. 808, secondo cui “Il principio della
doppia conformità urbanistico- edilizia non può essere esteso alle
violazioni paesaggistiche”;
x3) Tar per la Campania, sez.
VIII, 28.10.2016, n. 5010 (in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 1080), secondo
cui secondo cui, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria
ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, è necessaria la sussistenza della c.d.
doppia conformità, non rilevandosi sufficiente la sola conformità delle
opere alla strumentazione urbanistica vigente all'epoca di proposizione
dell'istanza di accertamento;
x4) Cons. giust. amm. sic.,
sez. riun., parere 03.09.2014, n. 899, secondo cui “il requisito della
doppia conformità costituisce principio consolidato in giurisprudenza e
pertanto dall’art. 13 della L. 28.02.1985, n. 47, non è ricavabile alcun
diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate
senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla
normativa urbanistica vigente al momento in cui l’Autorità Comunale provvede
sulla domanda di sanatoria” (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. V,
11.06.2013, n. 3220, in Foro amm. Cons. Stato, 2013, 1652).
“Tale orientamento ha, dunque superato quello definito «sanatoria
giurisprudenziale» che ha ammesso la sanatoria edilizia a seguito di
conformità sopraggiunta dell’intervento al momento della proposizione della
nuova istanza […]. Ciò nella considerazione che il nostro ordinamento è
caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal
carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, che non possono
essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di
separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni
riservate all’Amministrazione”;
y) sui limiti alla demolizione e corrispondente
irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 34 d. P.R. n. 380 del 2001:
y1) Tar per la Calabria, sez.
II, 26.06.2019, n. 1305 (in Foro it., 2019, III, 619, con nota di ALBE’)
secondo cui “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con
quella pecuniaria dev’essere valutata nella fase esecutiva del procedimento,
successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione”;
y2) Cons. stato, sez. IV,
31.08.2018, n. 5128, secondo cui “La possibilità di sostituire la
sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata
dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento,
successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: il dato testuale
della legge è univoco ed insuperabile, in coerenza col principio per il
quale, accertato l'abuso, l'ordine di demolizione va senz'altro emesso […].
Inoltre l’art. 34 […] disciplina gli interventi alle opere realizzate in
parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo al secondo comma
che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte
eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica
una sanzione pari al doppio del costo di produzione»; la norma presuppone
che vengano in rilievo gli stessi lavori edilizi posti in essere a seguito
del rilascio del titolo e in parziale difformità da esso e non è quindi
applicabile alle opere realizzate senza titolo per ampliare un manufatto
preesistente";
y3) Cons. giust. amm. sic.,
sez. riun., parere 14.12.2017, n. 1007, secondo cui “Il giudizio, di
natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di
sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dagli
artt. 33, comma 2, e 34, comma 2 del d.P.R. n. 380/2001) può, invero, essere
effettuato soltanto in un secondo momento, cioè allorquando il soggetto
privato non abbia ottemperato spontaneamente all’ordine di demolizione e
l’organo competente abbia emanato l’ordine (questa volta non indirizzato
all’autore dell’abuso, ma agli uffici e relativi dipendenti
dell’Amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni
edilizie) di esecuzione in danno delle opere realizzate in assenza o in
totale difformità dal permesso di costruire ovvero delle opere edili
costruite in parziale difformità dallo stesso; pertanto, soltanto nella
predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire
che sia sprovvista di qualsiasi valutazione in ordine all’entità degli abusi
commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione
pecuniaria”;
y4) Cons. Stato, sez. V,
20.03.2007, n. 1325 (in Foro it., 2008, III, 185) secondo cui “l’autorità
comunale ha giustificato la sanzione pecuniaria con la costosità della
demolizione; ma l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della
demolizione è consentita dalla legge solo quando la demolizione sia
impossibile, s’intende tecnicamente, e non quando sia costosa. Inoltre la
motivazione è illogica, sia perché essa vanifica la sanzione della
demolizione prevista dalla legge (tutte le demolizioni essendo costose), sia
perché la demolizione è a spese del contravventore e non già del comune.
Infine quella motivazione pone sullo stesso piano i due interessi, tra loro
incomparabili, di evitare al comune l’anticipazione delle spese di
demolizione e di proteggere il territorio comunale dall’abusivismo e da
scempi come quello documentato dalle fotografie prodotte dalla resistente;
le quali fanno anche ritenere che la costosità dell’intervento, non
quantificata nella motivazione del provvedimento, sia stata alquanto
sopravvalutata”;
z) sulla convertibilità del rito
dell’ottemperanza nel rito ordinario: Cons. Stato, Ad. plen., 15.01.2013, n.
2 (in Corriere merito, 2013, 464 con nota di MADDALENA; Urbanistica e
appalti, 2013, 952, con nota di FIGORILLI; Riv. neldiritto, 2013, 752, con
nota di GALATI), secondo cui “Nei confronti di atti amministrativi
adottati in seguito a una sentenza di annullamento, è consentito proporre in
un unico ricorso, diretto al giudice dell'ottemperanza, domande
tipologicamente distinte, le une proprie di un giudizio di cognizione e le
altre di un giudizio di ottemperanza” (la sentenza precisa che il
giudice dell’ottemperanza, se respinge le domande di nullità o inefficacia
degli atti, ove il ricorso sia stato proposto nel rispetto dei termini per
l'azione di annullamento, dispone la conversione dell'azione per la
riassunzione del giudizio avanti al giudice competente per la cognizione);
aa) in dottrina:
aa1) sugli effetti
dell’annullamento del provvedimento amministrativo: B. MAMELI, L’istituto
dell’annullamento tra procedimento e processo alla luce delle recenti novità
normative, Torino, 2017, 109 ss.;
aa2) sul potere di annullamento
dei titoli edilizi da parte della Regione: P. GOLINELLI, Riflessioni sul
potere di annullamento degli atti comunali in materia urbanistica, in Riv.
giur. edilizia, 1994, II, 105; P. MARZARO GAMBA, Il potere regionale di
annullamento dei provvedimenti comunali in materia urbanistico-edilizia:
profili sistematici ed esegetici, in Riv. giur. urbanistica, 1999, 513; dopo
il d.P.R. n. 380 del 2001: C. SILVESTRO, Il potere regionale di annullamento
del permesso di costruire nel testo unico edilizia, in Urbanistica e
appalti, 2003, 873; G. PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico, Milano, 2010,
533 ss.; R. MICALIZZI, Le sanzioni conseguenti all'annullamento del titolo
edilizio, tra interpretazione letterale e principi generali, in Urbanistica
e appalti, 2013, 6, 719; P.L. PORTALURI, Commento all'art. 39, in M.A.
SANDULLI (a cura di), Testo unico dell'edilizia, Milano, 2015, 925 ss.;
aa3) sui caratteri e finalità
delle sanzioni amministrative edilizie: F. DE SANTIS, A. MANDARANO, V. POLI,
Commento agli artt. 31-35 del d. P.R. n. 380 del 2001, in F. CARINGELLA, G.
DE MARZO (a cura di), L’attività edilizia nel testo unico, Milano, 2006, 425
ss. (Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 11.03.2020 n. 1735 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: All’Adunanza
plenaria l’interpretazione dell’art. 38, t.u. n. 380 del 2001 sulla
possibilità di sanatoria nel caso di intervento edilizio eseguito in base a
permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale.
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Edilizia – Sanatoria - Permesso di costruire annullato in sede
giurisdizionale – Quando è possibile la sanatoria – Art. 38, t.u. n. 380 del
2001 – Interpretazione – Remissione all’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato.
É rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato la corretta interpretazione dell’art. 38, t.u. 06.06.2001, n. 380, nel
senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a
permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi
consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una
sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del
comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di
costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si chiama “fiscalizzazione
dell’abuso” (1).
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(1) Ha chiarito la Sezione che sulla norma dell’art. 38 in esame si
sono formati, alla luce della giurisprudenza edita, tre distinti
orientamenti.
Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente giurisprudenza
della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, dell’art. 38 sostiene
un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso.
Ritiene infatti, in sintesi estrema, che la fiscalizzazione dell’abuso
sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere
dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato
all’annullamento dell’originario titolo, e quindi considera secondo logica
l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella
sostanza abusiva.
Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del
titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino
dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe
limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel far ciò dovrebbe poi
considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o
grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di
equità o al limite anche di opportunità (Cons.
St., sez. VI, 19.07.2019, n. 5089; id.,
sez. VI, 28.11.2018, n. 6753).
Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la
fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi
formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso
l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in
pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame
consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi
non può operare con gli effetti di un condono: così in primo luogo la Corte
costituzionale con la sentenza 11.06.2010 n. 209, nonché nella
giurisprudenza di questo Giudice le sentenze
sez. VI, 09.05.2016, n. 1861 e per implicito
sez. IV, 16.03.2010, n. 1535, ove si fa l’esempio pratico di un
vizio formale consistito nella mancata predisposizione dello studio
planivolumetrico previsto dalle norme tecniche di piano.
Si ricorda poi per completezza che seguiva l’orientamento più restrittivo,
se pure senza una motivazione approfondita, la costante giurisprudenza
formatasi sull’art. 11, l. n. 47 del 1985: fra le molte
Cons. St., sez. VI, 11.02.2013, n. 753; id.,
sez. V, 22.05.2006, n. 2960 e
sez. V, 12.10.2001, n. 5407.
Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello
restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di
vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche
in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe
in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del
rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe
dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U.
380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”,
ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche
vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria.
In tal senso, sempre fra le molte,
Cons. St., sez. VI, 10.09.2015, n. 4221,
sez. VI, 08.05.2014, n. 2355 e
sez. IV, 17.09.2012, n. 4923, ove si fa l’esempio pratico di un
vizio sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del
fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche di piano.
Ai fini di causa, condividere l’orientamento restrittivo, ovvero quello
intermedio, comporterebbero senz’altro la reiezione per intero sia
dell’appello 1510/2019, sia dell’appello 1708/2019 e la conferma della
sentenza di I grado. Ne deriverebbe infatti la necessità di affermare che il
Comune, nell’adottare il provvedimento di cui all’art. 38 in esame in un
caso in cui si ravvisano vizi sostanziali che non vengono superati, è andato
al di là dei poteri conferitigli dalla norma.
La Sezione ritiene di evidenziare che tutti e tre gli orientamenti
sinteticamente illustrati muovono da premesse teoriche comuni, e se ne
discostano nelle conseguenze che ritengono di trarne.
Le premesse teoriche comuni sono quelle riassunte, per tutte, da codesta
Adunanza Plenaria nella
sentenza 23.04.2009, n. 4, nonché nella citata sentenza
4355/2014. In primo luogo, la posizione dell’originario controinteressato,
che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato in sede
giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato
l'opera abusivamente senza titolo alcuno, nel senso che non va ritenuta
assistita da un particolare affidamento da tutelare e questo perché una
situazione di affidamento si potrebbe se mai configurare solo nei confronti
di un eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto ad un
annullamento in sede giurisdizionale.
In quest'ultimo caso, infatti, da un lato, chi ottiene il titolo edilizio si
assume il rischio e il pericolo di un eventuale annullamento di esso
all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre; dall’altro lato, si è
di fronte ad un organo giudicante, che deve limitarsi a decidere sulla
domanda propostagli e non può valorizzare, diversamente
dall’amministrazione, eventuali affidamenti dei soggetti coinvolti. In
secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio determina
un giudicato, che in linea di principio tutti i soggetti dell’ordinamento,
anche il legislatore ordinario, debbono rispettare.
Ciò posto, secondo l’indirizzo teorico comune in esame, l’art. 38 in esame
rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere
nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio,
che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di
realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a
quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”:
così la sentenza 4355 del 2014, da cui le citazioni.
A fronte di ciò, l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo le
ragioni del privato titolare del permesso annullato, recuperando in tal modo
la tutela della buona fede che di regola può vantare chi eserciti una
qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione
competente. Le ragioni di questo soggetto quindi, nei risultati, andrebbero
a prevalere nella maggioranza dei casi, portando come esito normale la
sanatoria dell’abuso mediante la sua fiscalizzazione.
In tal senso, deporrebbe anche un argomento letterale, individuato per tutte
dalla sentenza 5089 del 2019: i richiami ai "vizi delle procedure
amministrative" e alla impossibilità della "rimessione in pristino"
contenuti nel comma 1 dell’art. 38 sarebbero due ipotesi di sanatoria messe
su un piano di parità, la prima relativa a vizi formali, la seconda, ovvero
quella in cui non sia possibile la "rimessione in pristino", relativa
ad una problematica tecnico ingegneristica, che quindi prescinderebbe dal
tipo di vizio riscontrato.
Viceversa, l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano le
ragioni del terzo il quale ha impugnato nell’originario giudizio il titolo
illegittimo, nonché il rispetto del giudicato. In primo luogo, si sostiene
che consentire la sanatoria senza limiti andrebbe a ledere l'affidamento di
costui nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, e si
renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il suo diritto di
cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle proprie
situazioni giuridiche soggettive.
Si osserva poi che l’interpretazione ampia potrebbe essere anche in
contrasto con l’art. 102 Cost., perché andrebbe in sostanza a travolgere gli
effetti del giudicato di annullamento attribuendo all’amministrazione il
potere di invadere il campo riservato all’Autorità giudiziaria.
In tal senso sono le citate C. cost. 209 del 2010 e
Cons. St., sez. n. 2355 del 2014, con riguardo specifico al caso
concreto di una norma di legge provinciale che aveva introdotto
espressamente la possibilità di fiscalizzazione del vizio sostanziale non
sanabile, ma con argomentazioni di principio che assumono valore generale.
Secondo logica, quindi, va adottata un’interpretazione che consente di
sanare l’abuso solo quando esso è tale formalmente, ma non nella sostanza,
perché si tratta appunto di soli vizi formali, o perché i vizi sostanziali
sono stati eliminati.
In tale ultimo senso è anche orientato il Collegio, sia per le ragioni
esposte sopra, sia perché, in sintesi estrema, la repressione degli abusi
edilizi –considerando come tali le costruzioni che siano effettivamente in
contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti
urbanistici– è un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore:
in tal senso, se pure su fattispecie diverse, si è espressa anche codesta
Adunanza Plenaria nelle note sentenze 17.10.2017,
n. 8 e
n. 9.
In tali termini, appare preferibile l’orientamento che si è denominato
intermedio, che amplia la sanabilità dell’abuso, e protegge quindi
l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino
al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
ordinanza 11.03.2020 n. 1735 -
commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
22. L’appello propone, nel suo complesso, una questione di diritto, per
la cui risoluzione è necessaria, ad avviso del Collegio, la rimessione
all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.
23. Si tratta della corretta interpretazione dell’art. 38 del T.U. 06.06.2001 n. 380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio
eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale,
quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero
l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento
produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi
effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si
chiama “fiscalizzazione dell’abuso”, questione oggetto del primo motivo sia
del ricorso 1510/2019 che del ricorso 1708/2019.
24. Per chiarezza, si riportano le norme pertinenti.
24.1 Il più volte citato art. 38 del T.U. 380/2001 dispone, nella parte che
interessa: “(Interventi eseguiti in base a permesso annullato) In caso di
annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata
valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la
restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle
opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del
territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e
l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata
all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene
definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale
corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti
del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 (comma 2)”.
Quest’ultimo articolo, com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità,
ovvero la sanatoria degli interventi abusivi perché realizzati senza titolo,
ma conformi alle norme urbanistico edilizie.
24.2 Per completezza, si ricorda che le norme dell’art. 38 appena citate
trovano il loro antecedente nel previgente ed analogo art. 11 della l. 28.02.1985 n. 47, per cui
“(Annullamento della concessione) In caso di
annullamento della concessione, qualora non sia possibile la rimozione dei
vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il
sindaco applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o
loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'ufficio tecnico erariale. La
valutazione dell'ufficio tecnico è notificata alla parte dal comune e
diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale
corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti
della concessione di cui all'articolo 13 (comma 2)”.
Come si vede, la norma
è identica, a parte i riferimenti alla concessione edilizia, come è noto
precedente denominazione del titolo edilizio maggiore, ora permesso di
costruire, e all’art. 13 della stessa l. 47/1985, che disciplinava
l’accertamento di conformità in termini identici all’attuale art. 36 del
T.U. 380/2001. Di conseguenza, si farà riferimento anche alla giurisprudenza
formatasi su questa norma.
25. Tanto premesso, sulla norma dell’art. 38 in esame si sono formati, alla
luce della giurisprudenza edita, tre distinti orientamenti, che si indicano
così come segue.
25.1 Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente
giurisprudenza della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, dell’art.
38 sostiene un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore
dell’abuso. Ritiene infatti, in sintesi estrema, che la fiscalizzazione
dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a
prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato
all’annullamento dell’originario titolo, e quindi considera secondo logica
l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella
sostanza abusiva.
Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali
non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove
la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel
far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e
propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui
riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità: in tal
senso la più recente C.d.S. sez. VI 19.07.2019 n. 5089, e in senso
sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28.11.2018 n. 6753
e sez. VI 12.05.2014 n. 2398.
25.2 Ai fini di causa, condividere questo orientamento comporterebbe che i
motivi di appello indicati, primo sia del ricorso 1510/2019 che del ricorso
1708/2019 andrebbero non puramente e semplicemente respinti, ma valutati in
concreto: posto che l’amministrazione non si è mossa senz’altro al di là dei
poteri che l’art. 38, in ipotesi, le conferisce, occorrerebbe verificare se
in concreto di questi poteri abbia fatto corretta applicazione.
25.3 Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la
fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi
formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso
l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in
pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame
consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi
non può operare con gli effetti di un condono: così in primo luogo la Corte
costituzionale con la sentenza 11.06.2010 n. 209, nonché nella
giurisprudenza di questo Giudice le sentenze sez. VI 09.05.2016 n. 1861 e
per implicito sez. IV 16.03.2010 n. 1535, ove si fa l’esempio pratico di
un vizio formale consistito nella mancata predisposizione dello studio
planivolumetrico previsto dalle norme tecniche di piano. Si ricorda poi per
completezza che seguiva l’orientamento più restrittivo, se pure senza una
motivazione approfondita, la costante giurisprudenza formatasi sull’art. 11
della l. 47/1985: fra le molte C.d.S. sez. VI 11.02.2013 n. 753, sez. V
22.05.2006 n. 2960 e sez. V 12.10.2001 n. 5407.
25.4 Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello
restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di
vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche
in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe
in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del
rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe
dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U.
380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”,
ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche
vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria.
In tal senso, sempre fra le molte, C.d.S. sez. VI 10.09.2015 n. 4221,
sez. VI 08.05.2014 n. 2355 e sez. IV 17.09.2012 n. 4923, ove si fa
l’esempio pratico di un vizio sostanziale emendato, costituito dalla
riduzione di altezza del fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche
di piano.
25.5 Ai fini di causa, condividere l’orientamento restrittivo, ovvero quello
intermedio, comporterebbero senz’altro la reiezione per intero sia
dell’appello 1510/2019, sia dell’appello 1708/2019 e la conferma della
sentenza di I grado. Ne deriverebbe infatti la necessità di affermare che il
Comune, nell’adottare il provvedimento di cui all’art. 38 in esame in un
caso in cui si ravvisano vizi sostanziali che non vengono superati, è andato
al di là dei poteri conferitigli dalla norma.
26. La Sezione ritiene di evidenziare che tutti e tre gli orientamenti
sinteticamente illustrati muovono da premesse teoriche comuni, e se ne
discostano nelle conseguenze che ritengono di trarne.
26.1 Le premesse teoriche comuni sono quelle riassunte, per tutte, da
codesta Adunanza Plenaria nella sentenza 23.04.2009 n. 4, nonché nella
citata sentenza 4355/2014. In primo luogo, la posizione dell’originario controinteressato, che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato
in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse
realizzato l'opera abusivamente senza titolo alcuno, nel senso che non va
ritenuta assistita da un particolare affidamento da tutelare e questo perché
una situazione di affidamento si potrebbe se mai configurare solo nei
confronti di un eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto
ad un annullamento in sede giurisdizionale.
In quest'ultimo caso, infatti,
da un lato, chi ottiene il titolo edilizio si assume il rischio e il
pericolo di un eventuale annullamento di esso all’esito del ricorso che un
terzo potrebbe proporre; dall’altro lato, si è di fronte ad un organo
giudicante, che deve limitarsi a decidere sulla domanda propostagli e non
può valorizzare, diversamente dall’amministrazione, eventuali affidamenti
dei soggetti coinvolti. In secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del
titolo edilizio determina un giudicato, che in linea di principio tutti i
soggetti dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono
rispettare.
26.2 Ciò posto, secondo l’indirizzo teorico comune in esame, l’art. 38 in
esame rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un
“potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo
edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di
realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello
scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”:
così la sentenza 4355/2014, da cui le citazioni.
26.3 A fronte di ciò, l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo
le ragioni del privato titolare del permesso annullato, recuperando in tal
modo la tutela della buona fede che di regola può vantare chi eserciti una
qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione
competente. Le ragioni di questo soggetto quindi, nei risultati, andrebbero
a prevalere nella maggioranza dei casi, portando come esito normale la
sanatoria dell’abuso mediante la sua fiscalizzazione.
In tal senso,
deporrebbe anche un argomento letterale, individuato per tutte dalla
sentenza 5089/2019: i richiami ai "vizi delle procedure amministrative" e
alla impossibilità della "rimessione in pristino" contenuti nel comma 1
dell’art. 38 sarebbero due ipotesi di sanatoria messe su un piano di parità,
la prima relativa a vizi formali, la seconda, ovvero quella in cui non sia
possibile la "rimessione in pristino", relativa ad una problematica tecnico ingegneristica, che quindi prescinderebbe dal tipo di vizio riscontrato.
26.4 Viceversa, l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano
le ragioni del terzo il quale ha impugnato nell’originario giudizio il
titolo illegittimo, nonché il rispetto del giudicato. In primo luogo, si
sostiene che consentire la sanatoria senza limiti andrebbe a ledere
l'affidamento di costui nella stabilità della disciplina giuridica delle
fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il
suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle
proprie situazioni giuridiche soggettive.
Si osserva poi che
l’interpretazione ampia potrebbe essere anche in contrasto con l’art. 102 Cost., perché andrebbe in sostanza a travolgere gli effetti del giudicato di
annullamento attribuendo all’amministrazione il potere di invadere il campo
riservato all’Autorità giudiziaria. In tal senso sono le citate C. cost.
209/2010 e C.d.S. sez. 2355/2104, con riguardo specifico al caso concreto di
una norma di legge provinciale che aveva introdotto espressamente la
possibilità di fiscalizzazione del vizio sostanziale non sanabile, ma con
argomentazioni di principio che assumono valore generale. Secondo logica,
quindi, va adottata un’interpretazione che consente di sanare l’abuso solo
quando esso è tale formalmente, ma non nella sostanza, perché si tratta
appunto di soli vizi formali, o perché i vizi sostanziali sono stati
eliminati.
26.5 In tale ultimo senso è anche orientato il Collegio, sia per le ragioni
esposte sopra, sia perché, in sintesi estrema, la repressione degli abusi
edilizi –considerando come tali le costruzioni che siano effettivamente in
contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti urbanistici– è un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore: in tal
senso, se pure su fattispecie diverse, si è espressa anche codesta Adunanza
Plenaria nelle note sentenze 17.10.2017 nn. 8 e 9.
In tali termini,
appare preferibile l’orientamento che si è denominato intermedio, che amplia
la sanabilità dell’abuso, e protegge quindi l’affidamento di chi ha ottenuto
il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito
dalla contrapposta tutela del terzo.
27. Alla luce di siffatto contrasto giurisprudenziale la questione,
rilevante per quel che si è detto ai fini della decisione dell’appello, in
esame, va deferita all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., che
deciderà ai sensi del comma 4 dello stesso art. 99.
28. Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non
definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti
(ricorsi nn. 1510/2019 e 1708/2019), li rimette all’esame dell’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.. |
febbraio 2020 |
|
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
d'ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un'espressa
motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al
ripristino dello status quo ante, preminente su quello privato alla
conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della P.A., entro un termine ragionevole, non essendo, anche
nella materia edilizia, sufficiente l'intento di operare un mero astratto
ripristino della legalità violata.
Al riguardo, sulla base della premessa secondo cui l'interesse pubblico
specifico alla rimozione dell'atto illegittimo dev'essere integrato da
ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, è stato
chiarito “che l'apprezzamento del presupposto in questione non può neanche
risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla
disposizione normativa la cui violazione ha integrato l'illegittimità
dell'atto oggetto del procedimento di autotutela”.
Vanno, altresì, richiamati i principi che, in materia di ritiro degli atti
amministrativi illegittimi, sono stati esplicitati dall’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato con la sentenza 17.10.2017, n. 8 che ha escluso
che sussista ex se l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata
per effetto del rilascio di un titolo edilizio illegittimo, evidenziando
invece come il decorso del tempo oneri l'amministrazione del compito di
valutare, motivatamente, se l'annullamento risponda ad un, effettivo e
prevalente, interesse pubblico di carattere concreto e attuale.
---------------
6. È invece fondata e da accogliere la domanda di annullamento del
provvedimento prot. n. 45844 del 18.03.2019, di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 68/2013 con particolare riferimento
alla contestata violazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990 avendo omesso
il Comune di illustrare le ragioni di interesse pubblico sottese
all’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio del permesso di
costruire.
In applicazione della norma appena richiamata, invero, l'annullamento
d'ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un'espressa
motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al
ripristino dello status quo ante, preminente su quello privato alla
conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di
autotutela della P.A., entro un termine ragionevole, non essendo, anche
nella materia edilizia, sufficiente l'intento di operare un mero astratto
ripristino della legalità violata.
Al riguardo, sulla base della premessa secondo cui l'interesse pubblico
specifico alla rimozione dell'atto illegittimo dev'essere integrato da
ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, è stato
chiarito “che l'apprezzamento del presupposto in questione non può neanche
risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla
disposizione normativa la cui violazione ha integrato l'illegittimità
dell'atto oggetto del procedimento di autotutela” (Tar Napoli, sez. VIII,
sentenza n. 5276 del 28.08.2018).
Vanno, altresì, richiamati i principi che, in materia di ritiro degli atti
amministrativi illegittimi, sono stati esplicitati dall’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato con la sentenza 17.10.2017, n. 8 che ha escluso
che sussista ex se l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata
per effetto del rilascio di un titolo edilizio illegittimo, evidenziando
invece come il decorso del tempo oneri l'amministrazione del compito di
valutare, motivatamente, se l'annullamento risponda ad un, effettivo e
prevalente, interesse pubblico di carattere concreto e attuale (TAR Reggio
Calabria, sentenza n. 463/2018).
Nel caso in esame, il Comune resistente non ha fornito alcuna ragione, per
quanto succinta, di interesse pubblico in base alla quale giustificare
l'esercizio del potere di autotutela, né ha valutato il grado di incisione
del suddetto potere sugli interessi del ricorrente, in bilanciamento con
quelli pubblici.
Ed infatti, l'Amministrazione si è limitata a rappresentare i motivi di
illegittimità del titolo edilizio oggetto di annullamento, consistenti in
“una errata rappresentazione dei luoghi relativa alla quantificazione delle
aree destinata a zona Omogenea “C” che avrebbe “determinato una inesatta
quantificazione dei volumi ammissibili sul lotto d’intervento”.
Tale motivazione si rivela, alla luce della giurisprudenza richiamata, del
tutto insufficiente a legittimare la misura di autotutela, in mancanza di
alcun riferimento sia alle ragioni di interesse pubblico sottese
all’esigenza, attuale e concreta, di ripristinare la legalità asseritamente
violata, sia all’incisione dell’esercizio di tale potere di autotutela sugli
interessi privati, sia al bilanciamento degli interessi pubblici con quelli
privati.
Né può ritenersi che, alla luce dei principi statuiti dall’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato con sentenza n. 8/2017, l'onere motivazionale
gravante sull'amministrazione sia stato assolto dalla stessa con il mero
riferimento all’erronea rappresentazione dei luoghi da cui sarebbe scaturito
il rilascio del permesso di costruire annullato.
Non risulta, invero, dimostrata né tale erronea rappresentazione dei luoghi
(che, peraltro, attenendo alla qualificazione delle aree interessate
dall’intervento, costituisce un dato certamente a conoscenza degli uffici
tecnici del Comune e, pertanto, difficilmente “manipolabile” a proprio
vantaggio dal richiedente il permesso di costruire) né, tanto meno,
l’effettiva incidenza che essa avrebbe avuto sul permesso di costruire
rilasciato.
L’amministrazione comunale si è limitata, invero, a fare
riferimento, in modo del tutto generico, “ad una errata rappresentazione dei
luoghi relativa alla quantificazione delle aree destinata a zona Omogenea
“C” che avrebbe “determinato una inesatta quantificazione dei volumi
ammissibili sul lotto d’intervento” e a produrre in giudizio una copia della
planimetria di progetto sulla quale i tecnici comunali avrebbero
rappresentato “la linea di separazione delle diverse destinazioni
urbanistiche”.
La rilevata fondatezza del motivo in esame, che conduce all’annullamento del
provvedimento impugnato con integrale soddisfazione dell’interesse del
ricorrente, consente di disporre l’assorbimento delle ulteriori censure
sollevate in ricorso (TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 28.02.2020 n. 137 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
ottobre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La previsione di cui all’articolo 21-nonies
della l. 241/1990 segna il definitivo superamento
dell’originaria teorica dell’inconsumabilità del potere di
autotutela (o di quella che un risalente orientamento
definisce “la perennità della potestà amministrativa di
annullare in via di autotutela gli atti invalidi”), invero, già ampiamente rivisitata dall’evoluzione
dell’ordinamento pubblicistico che, come evidenziato da
Consiglio di Stato, ad. plen. 17.10.2017, n. 8, si
muove in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi
dall’esplicazione del potere di autotutela temperando il
richiamato principio di perennità e predicando, invece, la
necessità che l’annullamento e la revoca intervengano entro
un termine ragionevole.
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Con specifico riferimento ai titoli edilizi, la
giurisprudenza declina il dato normativo sopra riportato
evidenziando come i presupposti per l’esercizio del potere
di annullamento d'ufficio devono individuarsi
nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal
mero ripristino della legalità, da compararsi con i
contrapposti interessi dei privati, entro un termine
ragionevole (che l’articolo 6 della l. 07.08.2015, n. 124
fissa, da ultimo, in diciotto mesi).
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In relazione alla questione relativa al termine di 18
mesi in ultimo richiamato si pone una questione di diritto
intertemporale atteso che il provvedimento di annullamento
in autotutela –adottato nella vigenza della nuova
disposizione- si riferisce a due permessi emessi nella
vigenza della precedente disposizione.
Sul punto, si evidenzia che, secondo un primo
orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla
legge 07.08.2015, n. 124 è applicabile in ogni caso in
cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto
successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi
un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente.
Secondo un indirizzo di segno opposto, ai fini
dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art.
11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe
considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto
rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado,
con conseguente insensibilità del procedimento
amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo
sopravvenute.
A sostegno della tesi in esame si osserva che
la “modifica non ha carattere interpretativo dell’inciso che
precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così
fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre
“ragionevole” l’autoannullamento effettuato
dall’amministrazione entro 18 mesi: mentre, invece, nulla
vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in
autotutela adottato entro il predetto termine. Ma nemmeno
può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti
illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi
antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un
tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di
semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr.
il titolo del capo I della l. n. 124 del 2015).
La norma in
esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché
si applica solo ai provvedimenti adottati successivamente
alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che la
disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo
grado e che, come evidenziato, non ha valenza sanante dei
provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18
mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale
disposizione –che introduce un regime temporale rigido di
annullabilità dell’atto amministrativo– non può che
riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di
primo grado adottati successivamente alla vigenza della
legge.
Depone in favore di tale interpretazione la stessa
lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei
provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona
sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere
emanato dopo diciotto mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che
essere successivo alla sua entrata in vigore– del
provvedimento di autorizzazione (di primo grado)”.
La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato -inaugurata dalla sentenza della V sezione, del 19.01.2017, n. 250– evidenzia che il termine dei diciotto mesi
non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di
computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata
in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale
esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale
principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi),
finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole
l’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Si
arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui,
con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima
dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento
d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che,
rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado)
adottati anteriormente all’attuale versione dell’art.
21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto
mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di
entrata in vigore della nuova disposizione.
---------------
Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento secondo
cui le nuove disposizioni trovano applicazione “solo ai
provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad
oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi
all'entrata in vigore della nuova disposizione”.
Va, infatti, considerato che la nuova disposizione
àncora l’esercizio del potere al momento di emanazione del
primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale
calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo
grado rimuove.
La generalizzata applicazione del termine
dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015
muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione
imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela
–per i provvedimenti già emessi prima del 28.08.2015–
necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In
tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua
applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la
stessa in un termine generale di definizione di tutti i
provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già
adottati prima della novella.
Aderendo alla tesi pur
autorevolmente patrocinata da parte della giurisprudenza,
l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una
verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi
entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi
precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal
modo, però, per gli atti adottati prima della novella il
termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi
sulla data di emanazione del singolo atto –come
espressamente disposto dalla norma– ma, al contrario, sulla
data di entrata in vigore della legge.
Si perviene, così, al
risultato di negare la ratio della previsione che, come
detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio
del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione
che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato
letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora
le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti
emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge.
Conclusione che, del resto, appare confermata dalla
circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una
disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale
quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido
parametro temporale di riferimento ora previsto
dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
---------------
3. Venendo al merito del ricorso deve procedersi
all’esame del primo motivo con il quale i ricorrenti
ritengono che il potere amministrativo di annullamento degli
atti debba ritenersi precluso dal decorso del termine di 18
mesi di cui all’articolo 21-nonies l. 241/1990 nella
versione attuale, ritenuta vigente ratione temporis anche in
considerazione dell’impossibilità di far decorrente il dies
a quo dalla data di emanazione dell’ultimo permesso in
variante.
Replica il Comune osservando che il termine in
esame non decorre in caso di falsa rappresentazione delle
circostanze di fatto poste a fondamento del titolo, da
individuarsi nel fatto che “le domande presentate per
ottenere i titoli edilizi rilasciati […] evidenzia[no]
circostanze non coerenti con quanto effettivamente
progettato, non fosse altro per il fatto che l’altezza
dell’edificio in progetto era indicata in mt. 8 (oppure non
era neppure indicata)”.
3.1. Entrando in medias res, il Collegio osserva, in primo
luogo, come la previsione di cui all’articolo 21-nonies
della l. 241/1990 segni il definitivo superamento
dell’originaria teorica dell’inconsumabilità del potere di
autotutela (o di quella che un risalente orientamento
definisce “la perennità della potestà amministrativa di
annullare in via di autotutela gli atti invalidi” – in tal
senso: Consiglio di Stato, sez. II, 07.06.1995, n.
2917/94), invero, già ampiamente rivisitata dall’evoluzione
dell’ordinamento pubblicistico che, come evidenziato da
Consiglio di Stato, ad. plen. 17.10.2017, n. 8, si
muove in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi
dall’esplicazione del potere di autotutela temperando il
richiamato principio di perennità e predicando, invece, la
necessità che l’annullamento e la revoca intervengano entro
un termine ragionevole (cfr., ex multis, Consiglio di Stato,
sez. VI, 15.11.1999, n. 1812; id., sez. V, 20.08.1996, n. 939).
3.2. La previsione normativa che, come spiegato, recepisce
in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza,
prevede testualmente:
“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici,
inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai
sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al
mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del
provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di
interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base
di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false
o mendaci per effetto di condotte costituenti reato,
accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere
annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del
termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva
l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni
previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445”.
3.3. Con specifico riferimento ai titoli edilizi, la
giurisprudenza declina il dato normativo sopra riportato
evidenziando come i presupposti per l’esercizio del potere
di annullamento d'ufficio devono individuarsi
nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal
mero ripristino della legalità, da compararsi con i
contrapposti interessi dei privati, entro un termine
ragionevole (che l’articolo 6 della l. 07.08.2015, n. 124
fissa, da ultimo, in diciotto mesi) (TAR per la Campania
– sede di Napoli, sez. VIII, 28.08.2018, n. 5276).
3.4. In relazione alla questione relativa al termine di 18
mesi in ultimo richiamato si pone una questione di diritto
intertemporale atteso che il provvedimento di annullamento
in autotutela –adottato nella vigenza della nuova
disposizione- si riferisce a due permessi emessi nella
vigenza della precedente disposizione.
In particolare, sia
il permesso di costruire n. 143/2014 che il permesso n.
4272015 sono adottati prima dell’entrata in vigore della
modifica apportata dall’articolo 6, comma 1, lettera d),
numero 1), della legge 07.08.2015, n. 124. E’, invece,
emanato dopo l’entrata in vigore della modifica normativa in
esame il permesso di costruire n. 92/2015 del 23.09.2015, anch’esso annullato dal provvedimento in esame.
3.5. Sul punto, si evidenzia che, secondo un primo
orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla
legge 07.08.2015, n. 124 è applicabile in ogni caso in
cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto
successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi
un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente
(ex plurimis: TAR per la Puglia, sede di Bari, Sez. III,
17.03.2016, n. 351; TAR per la Campania, sede di
Napoli, Sez. III, 22.09.2016, n. 4373; TAR per la
Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 04.01.2017, n. 65;
TAR per il Lazio, sede di Roma, Sez. I-bis, 21.02.2017, n. 2670; TAR per la Sardegna, Sez. I,
07.02.2017, n. 92).
3.6. Secondo un indirizzo di segno opposto, ai fini
dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art.
11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe
considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto
rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado,
con conseguente insensibilità del procedimento
amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo
sopravvenute.
A sostegno della tesi in esame si osserva che
la “modifica non ha carattere interpretativo dell’inciso che
precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così
fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre
“ragionevole” l’autoannullamento effettuato
dall’amministrazione entro 18 mesi: mentre, invece, nulla
vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in
autotutela adottato entro il predetto termine. Ma nemmeno
può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti
illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi
antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un
tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di
semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr.
il titolo del capo I della l. n. 124 del 2015).
La norma in
esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché
si applica solo ai provvedimenti adottati successivamente
alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che la
disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo
grado e che, come evidenziato, non ha valenza sanante dei
provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18
mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale
disposizione –che introduce un regime temporale rigido di
annullabilità dell’atto amministrativo– non può che
riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di
primo grado adottati successivamente alla vigenza della
legge.
Depone in favore di tale interpretazione la stessa
lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei
provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona
sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere
emanato dopo diciotto mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che
essere successivo alla sua entrata in vigore– del
provvedimento di autorizzazione (di primo grado)” (TAR per
la Campania – sede di Napoli, sez. II, 12.09.2016, n.
4229).
3.7. La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato -inaugurata dalla sentenza della V sezione, del 19.01.2017, n. 250– evidenzia che il termine dei diciotto mesi
non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di
computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata
in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale
esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale
principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi),
finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole
l’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Si
arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui,
con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima
dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento
d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che,
rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado)
adottati anteriormente all’attuale versione dell’art.
21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto
mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di
entrata in vigore della nuova disposizione.
3.7. Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento secondo
cui le nuove disposizioni trovano applicazione “solo ai
provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad
oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi
all'entrata in vigore della nuova disposizione” (TAR per
il Lazio – sede di Roma, sez. I-bis, 02.07.2018, n.
7272).
Va, infatti, considerato che la nuova disposizione
ancora l’esercizio del potere al momento di emanazione del
primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale
calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo
grado rimuove. La generalizzata applicazione del termine
dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015
muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione
imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela
–per i provvedimenti già emessi prima del 28.08.2015–
necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In
tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua
applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la
stessa in un termine generale di definizione di tutti i
provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già
adottati prima della novella.
Aderendo alla tesi pur
autorevolmente patrocinata da parte della giurisprudenza,
l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una
verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi
entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi
precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal
modo, però, per gli atti adottati prima della novella il
termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi
sulla data di emanazione del singolo atto –come
espressamente disposto dalla norma– ma, al contrario, sulla
data di entrata in vigore della legge.
Si perviene, così, al
risultato di negare la ratio della previsione che, come
detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio
del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione
che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato
letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora
le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti
emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge.
Conclusione che, del resto, appare confermata dalla
circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una
disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale
quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido
parametro temporale di riferimento ora previsto
dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
3.8. Declinando il principio esposto al caso di specie, deve
ritenersi che l’atto di annullamento in autotutela relativo
al primo permesso di costruire non può ritenersi illegittimo
per intervenuto superamento del termine di 18 mesi, non
potendosi applicare, per le ragioni spiegate, la previsione
introdotta dalla legge 124 del 2015.
3.9. Permane, ovviamente, la necessità che l’atto di
annullamento sia adottato in un termine ragionevole.
Circostanza, invero, non contestata da parte dei ricorrenti
che fondano il primo motivo esclusivamente sulla ritenuta
violazione del termine di 18 mesi.
In ogni caso, osserva il
Collegio che il richiamo alla ragionevolezza del termine,
non comporta che, decorso un considerevole lasso di tempo
dal rilascio del titolo edilizio, sia eliso il potere di
annullamento, ma si traduce nella necessità di verificare
con peculiare attenzione se l’annullamento risponda ancora a
un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere
concreto e attuale anche in considerazione al complesso
delle circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come
autorevolmente insegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato n. 8 del 2017, la locuzione “termine ragionevole”
richiama evidentemente un concetto non parametrico ma
relazionale, riferito al complesso delle circostanze
rilevanti nel caso di specie. Si intende con ciò
rappresentare che la nozione di ragionevolezza del termine è
strettamente connessa a quella di esigibilità in capo
all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che
il termine in questione (nella sua dimensione “ragionevole”)
decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è
venuta concretamente a conoscenza dei profili di
illegittimità dell’atto.
3.9. Nel caso di specie, l’intervento dell’Amministrazione
può ritenersi esercitato in tempo ragionevole tenuto conto
dell’opacità delle richieste di permesso di costruire e
della documentazione ivi allegata che non chiariscono, in
modo inequivoco, come l’intervento consista effettivamente
nel superamento dell’altezza di 8 metri. Infatti, che
l’altezza dell’edificio esistente sia pari già ad 8 metri è
un dato indicato esclusivamente nella tavola n. 3 con
l’apposizione di un rigo di misura accanto alla sagoma
dell’edificio.
Non si espone, invece, nulla nella relazione
tecnica al progetto non chiarendo, pertanto,
all’Amministrazione che l’intervento che si intende
realizzare comporta un’altezza complessiva superiore a tale
limite. Si affida, così, ad una deduzione
dell’Amministrazione l’individuazione dell’effettiva
consistenza dell’intervento, da effettuarsi sulla base, come
detto, di un’indicazione accennata accanto al disegno della
sagoma.
Circostanze che rendono, quindi, “esigibile”
l’intervento dell’Amministrazione solo all’esito di
un’analitica verifica non agevolata dalla parte privata che,
al contrario, omette di chiarire in modo espresso (come
sarebbe imposto da quei doveri di buona fede e correttezza
che permeano i rapporti con l’Amministrazione anche dal lato
del privato) l’altezza che l’edifico complessivo raggiunge
in caso di accoglimento delle proprie istanze.
3.10. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve
rigettarsi in quanto infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.10.2018 n. 2200 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
settembre 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Il fattore tempo
preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n.
241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma
relazionale, riferita al complesso delle circostanze
rilevanti nella singola situazione di fatto.
E' sicuramente vero che il termine
ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi
funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica
privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati
anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della
legge n. 241/1990, il termine di 18 mesi va computato con
decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella
introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva,
comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già
previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit..
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento
di autotutela in questione è intervenuto (nel caso di
specie) abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi
dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il
termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile
in 10 anni con riferimento al termine ordinario di
prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di
legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità
temporali di intervento, non implica di per sé
l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone
all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento
di una motivazione rafforzata circa la persistente
concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio
in materia di autotutela in ambito edilizio, il fattore
tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della
legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non
parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle
circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un
considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo
edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di
ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal
legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di
annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto
“onera l’amministrazione del compito di valutare
motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere
concreto e attuale”.
---------------
4. Con una seconda articolata censura, la ricorrente
stigmatizza la tardività del provvedimento di autotutela,
intervenuto a distanza di 15 anni dal perfezionamento della
DIA e, quindi, oltre il termine di 18 mesi dall’entrata in
vigore della legge n. 124/2015, e comunque ben dopo il
termine ragionevole dall’adozione dell’atto, in violazione
della tempistica fissata dall’art. 21-nonies della legge n.
241/1990.
La censura, così come formulata, non convince.
L’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 così
recita (per la parte di odierno interesse): “Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell’adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici
(periodo introdotto dalla legge n. 124/2015, ndr.), inclusi
i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi
dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
Orbene, è sicuramente vero, in virtù di ormai consolidati
orientamenti, che il termine ridotto di 18 mesi si applica a
tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della
sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli
atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art.
21-nonies della legge n. 241/1990 (come quello di specie),
il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data
di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n.
124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività
del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria
versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato,
Sez. VI, 13.07.2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V,
19.01.2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.08.2016 n. 3762).
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento
di autotutela in questione è intervenuto abbondantemente
oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della
legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione
dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al
termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di
legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità
temporali di intervento, non implica di per sé
l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone
all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento
di una motivazione rafforzata circa la persistente
concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla
rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria
del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio
in materia di autotutela in ambito edilizio (sentenza n. 8
del 17.10.2017), perfettamente estensibile al caso di
specie, il fattore tempo preso in considerazione dall’art.
21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in
un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al
complesso delle circostanze rilevanti nella singola
situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia,
che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal
rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione
del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o
meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il
potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma
piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare
motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un
effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere
concreto e attuale” (nello stesso senso cfr. Consiglio di
Stato, Sez. VI, n. 3462/2017 cit.).
In definitiva, proprio facendo tesoro del superiore
insegnamento, si deve concludere che la violazione della
tempistica di intervento prevista dalla disposizione
legislativa in commento non costituisce di per sé causa di
illegittimità del provvedimento di annullamento in
autotutela (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2018 |
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
In base all’articolo 21-nonies della
legge n. 241 del 1990, l’annullamento del
provvedimento amministrativo richiede, oltre
all’illegittimità dell’atto, anche la
sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla sua rimozione.
Tale
interesse deve, poi, trovare adeguata
evidenziazione, mediante un’idonea
motivazione, che dia conto della
ponderazione degli interessi in gioco,
inclusi quelli dei destinatari dell’atto e
dei controinteressati, anche alla luce del
tempo trascorso dall’adozione del
provvedimento; l’annullamento deve, inoltre,
intervenire entro un termine ragionevole,
comunque non superiore a diciotto mesi
Invero, la potestà di
autotutela deve “(...) considerare la
legittimità del provvedimento che ne è
oggetto in base al principio “tempus regit
actum” e –una volta accertata l’effettiva
sussistenza di vizi, rapportabili
all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a
valutare discrezionalmente la sussistenza
degli ulteriori presupposti per intervenire,
previo bilanciamento degli interessi sia
pubblici che privati”.
---------------
In ogni ipotesi nella quale
un’amministrazione annulla in autotutela un
proprio atto, essa necessariamente “contraddice”
il proprio precedente operato, rimuovendone
gli esiti. Ciò, tuttavia, non toglie che l’autotutela
sia un istituto espressamente contemplato
dalla legge, il quale trova il proprio
fondamento nel principio di inesauribilità
del potere amministrativo (salvi i limiti
temporali introdotti dal legislatore).
Né potrebbe ritenersi che,
nel caso oggetto del presente giudizio, un
profilo specifico di contraddittorietà
dell’agire amministrativo sia ravvisabile
nella precedente emissione di un parere
preventivo favorevole.
Deve premettersi che i
titoli edilizi sono rilasciati in presenza
delle condizioni stabilite dalla legge,
senza alcun margine di discrezionalità in
capo all’Amministrazione. Conseguentemente,
la circostanza che –eventualmente in modo
errato– il Comune renda un parere favorevole
alla successiva emissione del permesso di
costruire non può in ogni caso vincolare
l’Ente, in contrasto con la legge, a
considerare quel titolo legittimo.
---------------
16. Può, quindi, passarsi all’esame delle
censure prospettate dalla ricorrente con il
terzo, il sesto, il settimo
e l’ottavo motivo, nonché di quelle
articolate nella seconda parte del quarto
motivo.
Tutte queste censure, che possono essere
complessivamente scrutinate, mirano infatti
a contestare sostanzialmente le ragioni di
interesse pubblico addotte dal Comune a
sostegno del provvedimento di annullamento
d’ufficio del permesso di costruire, e
quindi a contestare la sussistenza dei
presupposti –ulteriori rispetto alla mera
illegittimità del provvedimento eliminato–
cui la legge subordina l’esercizio del
potere di autotutela.
16.1 Occorre ricordare anzitutto che, in base all’articolo 21-nonies della
legge n. 241 del 1990, l’annullamento del
provvedimento amministrativo richiede, oltre
all’illegittimità dell’atto, anche la
sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla sua rimozione. Tale
interesse deve, poi, trovare adeguata
evidenziazione, mediante un’idonea
motivazione, che dia conto della
ponderazione degli interessi in gioco,
inclusi quelli dei destinatari dell’atto e
dei controinteressati, anche alla luce del
tempo trascorso dall’adozione del
provvedimento; l’annullamento deve, inoltre,
intervenire entro un termine ragionevole,
comunque non superiore a diciotto mesi
(cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez.
VI, 27.04.2015, n. 2123, ove si evidenzia
che la potestà di
autotutela deve “(...) considerare la
legittimità del provvedimento che ne è
oggetto in base al principio “tempus regit
actum” e –una volta accertata l’effettiva
sussistenza di vizi, rapportabili
all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a
valutare discrezionalmente la sussistenza
degli ulteriori presupposti per intervenire,
previo bilanciamento degli interessi sia
pubblici che privati”).
Nel caso oggetto del presente giudizio, deve
ritenersi che –contrariamente a quanto
allegato dalla ricorrente– il provvedimento
di autotutela non sia stato diretto a
ripristinare meramente la legalità violata,
ma abbia svolto una valutazione in concreto,
ponderando l’interesse pubblico alla luce
del contrapposto interesse del privato, e
pervenendo alla determinazione conclusiva
entro un termine ragionevole in rapporto
alle circostanze.
16.2 Dalla motivazione dell’atto emerge,
anzitutto, che le ragioni di interesse
pubblico ritenute prevalenti dal Comune
attengono all’impatto dell’opera sul
contesto urbano. A questo proposito,
l’Amministrazione ha acquisito un rapporto
della Polizia locale, diffusamente
richiamato nella determinazione di
autotutela, ove sono state illustrate le
ritenute criticità derivanti dalla
realizzazione del nuovo luogo di culto.
Più in dettaglio, l’Amministrazione ha
evidenziato le ricadute dell’opera sulla
situazione viabilistica dell’area e sul
fabbisogno di parcheggi, nei termini già
sopra riportati.
La ricorrente ha diffusamente contestato le
ragioni addotte dall’Amministrazione. Tali
contestazioni, tuttavia, non colgono nel
segno.
Non sono rilevanti, anzitutto, le deduzioni
che l’Associazione svolge assumendo che la
dotazione di parcheggi sia adeguata rispetto
alla destinazione “servizi alla persona”.
Come detto, infatti, il complesso è stato
adibito ad “attrezzature religiose”,
ossia a una destinazione distinta e non
sovrapponibile a quella di “servizi alla
persona”, in virtù di una precisa scelta
del legislatore regionale.
Neppure colgono nel segno le ulteriori
affermazioni della parte, la quale sostiene,
producendo anche alcune immagini
fotografiche, che nel contesto urbano vi
sarebbe addirittura un esubero di parcheggi,
e che quanto esposto nel provvedimento non
troverebbe riscontro nello stato effettivo
dei luoghi. Si tratta, infatti, di mere
allegazioni, prive di riscontri probatori
adeguati, come tali inidonee a scalfire
l’attendibilità della valutazione tecnica
svolta dalla Polizia locale in ordine alla
situazione viabilistica dell’area.
16.3 Nel provvedimento impugnato il Comune
ha, inoltre, affermato che la mancata previa
approvazione del Piano delle attrezzature
religiose comporta che il permesso di
costruire sia stato rilasciato “in
assenza di un iter procedurale atto a
garantire la trasparenza degli atti assunti
attraverso i meccanismi di partecipazione e
consultazione della cittadinanza”.
In proposito, la ricorrente allega che tale
affermazione sarebbe un fuor d’opera, tenuto
conto del fatto che la Corte costituzionale,
con la sentenza n. 63 del 2016, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 72 della legge regionale n. 12
del 2005, nella parte in cui al primo
periodo del comma 4– prevedeva che nel corso
del procedimento di formazione del Piano
delle attrezzature religiose venissero
acquisiti “i pareri di organizzazioni,
comitati di cittadini, esponenti e
rappresentanti delle forze dell’ordine oltre
agli uffici provinciali di questura e
prefettura al fine di valutare possibili
profili di sicurezza pubblica, fatta salva
l’autonomia degli organi statali”.
Occorre osservare, tuttavia, che
l’eliminazione di tale periodo non toglie
che il Piano delle attrezzature religiose
sia un “atto separato facente parte del
piano dei servizi” (ai sensi
dell’articolo 72, comma 1, della legge
regionale n. 12 del 2005) e che tale atto
sia, conseguentemente, “sottoposto alla
medesima procedura di approvazione dei piani
componenti il PGT” (articolo 72, comma
3). Deve, perciò, concordarsi con la difesa
comunale, la quale ha evidenziato che, con
la frase sopra riportata, l’Amministrazione
ha inteso fare riferimento unicamente al
mancato svolgimento dell’iter di formazione
degli atti facenti parte del Piano di
Governo del Territorio.
In questa prospettiva, il Comune ha ritenuto
di riscontrare un’ulteriore ragione a
sostegno dell’annullamento del titolo
edilizio nella circostanza che, mancando il
Piano, non sarebbero state assicurate la
trasparenza delle scelte operate
dall’Amministrazione e la partecipazione
della collettività, garantite dal
procedimento di formazione dello strumento
urbanistico.
16.4 L’Associazione sottolinea, poi, che il
Comune, annullando in autotutela il permesso
di costruire, avrebbe contraddetto il
proprio precedente operato, tenuto conto
della circostanza che il titolo edilizio era
stato chiesto e ottenuto solo dopo che la
stessa Amministrazione aveva emesso un
parere preventivo favorevole.
Inoltre, nell’esercizio dell’autotutela non
si sarebbe tenuto conto adeguatamente
dell’affidamento ingenerato nella ricorrente
dal comportamento del Comune.
16.4.1 Deve tuttavia osservarsi che, in ogni ipotesi nella quale
un’amministrazione annulla in autotutela un
proprio atto, essa necessariamente “contraddice”
il proprio precedente operato, rimuovendone
gli esiti. Ciò, tuttavia, non toglie che l’autotutela
sia un istituto espressamente contemplato
dalla legge, il quale trova il proprio
fondamento nel principio di inesauribilità
del potere amministrativo (salvi i limiti
temporali introdotti dal legislatore).
Né potrebbe ritenersi che,
nel caso oggetto del presente giudizio, un
profilo specifico di contraddittorietà
dell’agire amministrativo sia ravvisabile
nella precedente emissione di un parere
preventivo favorevole.
Deve premettersi che i
titoli edilizi sono rilasciati in presenza
delle condizioni stabilite dalla legge,
senza alcun margine di discrezionalità in
capo all’Amministrazione. Conseguentemente,
la circostanza che –eventualmente in modo
errato– il Comune renda un parere favorevole
alla successiva emissione del permesso di
costruire non può in ogni caso vincolare
l’Ente, in contrasto con la legge, a
considerare quel titolo legittimo.
Occorre poi tenere presente che il parere
preventivo aveva una valenza necessariamente
limitata al permanere della situazione di
fatto e di diritto presa in esame
dall’Amministrazione. E, sotto questo
profilo, rileva la circostanza che tale
parere risale al 22.03.2013, e quindi è
stato emesso sulla base del contesto
normativo precedente l’entrata in vigore
della legge regionale n. 2 del 2015.
Inoltre, il permesso di costruire risulta
essere stato richiesto molto tempo dopo
rispetto al parere, atteso che la relativa
istanza risale soltanto all’agosto del 2015.
Per tutte queste ragioni, non può
ipotizzarsi un profilo di contraddittorietà
nell’operato del Comune, tale da far
emergere l’illegittimità della
determinazione di autotutela.
16.4.2 D’altro canto, il provvedimento
impugnato risulta aver preso specificamente
in considerazione la posizione
dell’Associazione. Il Comune ha, tuttavia,
ritenuto motivatamente –per le ragioni sopra
riportate– che l’interesse della parte
privata fosse recessivo rispetto
all’interesse pubblico in concreto
all’eliminazione del titolo illegittimo.
L’Amministrazione ha valorizzato, tra
l’altro, il fatto che, poco dopo l’avvio, i
lavori siano stati spontaneamente sospesi
dalla stessa Associazione.
Anche sotto questo profilo, il provvedimento
risulta sorretto da una motivazione
sufficiente, e come tale insindacabile nel
merito dal giudice amministrativo.
16.5 Infine, il provvedimento di autotutela
è da ritenere tempestivamente assunto, in
rapporto alle circostanze di fatto.
Come detto, il titolo edilizio è stato
rilasciato il 15.01.2016, mentre la
determinazione di annullamento è stata
adottata il 13.03.2017. Conseguentemente,
emerge anzitutto il rispetto del termine
massimo di diciotto mesi prescritto
dall’articolo 21-nonies della legge n. 241
del 1990.
L’annullamento risulta inoltre intervenuto
in un tempo non irragionevole, in rapporto
alle circostanze, tenuto conto del fatto
che:
- i lavori erano stati avviati soltanto nel luglio del 2016 e poi
sospesi spontaneamente già nel mese di
ottobre;
- dallo stesso mese di ottobre il Comune aveva rappresentato
all’Associazione i profili di illegittimità
del permesso di costruire, avviando un
confronto con la parte in ordine alle sorti
del titolo edilizio.
Non può, invece, accedersi alla tesi della
ricorrente, secondo la quale la
ragionevolezza del termine per l’esercizio
dell’autotutela andrebbe valutata tenendo
conto del decorso di oltre diciotto mesi dal
rilascio del parere preventivo del Comune.
La legge collega, infatti, il predetto
termine massimo solo all’adozione del
provvedimento, e non alle pregresse vicende
amministrative. Tali vicende non possono
perciò rilevare neppure ai fini della
valutazione della ragionevolezza del tempo
intercorso prima di assumere la
determinazione di annullamento. Peraltro,
come già ricordato, il parere preventivo
risale al 22.03.2013, e quindi è stato
emesso molto tempo prima rispetto
all’istanza stessa di rilascio del permesso
di costruire, oltre che sulla base del
contesto normativo allora vigente.
Ne consegue il rigetto anche di questa
censura.
16.6 In definitiva, tutti i motivi fin qui
congiuntamente scrutinati vanno respinti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 03.08.2018 n. 1939 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L'annullamento in autotutela del titolo edilizio
sorretto da valutazioni logico-giuridiche, e non da
valutazioni di ordine tecnico-edilizio, non abbisogna del
previo parere della Commissione Edilizia.
Inoltre, quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende
dall’erronea rappresentazione della realtà in capo
all’amministrazione procedente causata dal comportamento del
richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse
pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell'atto può
ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò
posizioni di interesse del privato degne di particolare
tutela.
---------------
Venendo in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da
valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di
ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire
il previo parere della Commissione Edilizia (per tutte, cfr.
Tar Milano, II, n. 4493/2009).
Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza (sul punto cfr.
Tar Milano, II, n. 841/2013), quando l’illegittimità del
titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della
realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal
comportamento del richiedente (non importa se doloso o
colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale
all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in
re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse
del privato degne di particolare tutela (CGARS,
sentenza 25.07.2018 n. 448 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA -URBANISTICA:
La giurisprudenza ha già chiarito che,
nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre
distinguere tra invalidità ad effetto caducante e
invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di
vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
---------------
Nella fattispecie non si rinviene tra il piano di recupero
dell’immobile ed il successivo permesso di costruire un
rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimo
non è meramente applicativo del primo, ma costituisce
autonomo esercizio del potere attribuito
all’amministrazione.
Tale permesso, inoltre, non è meramente confermativo di atti
precedenti ed è stato rilasciato in accoglimento di
un’autonoma istanza ed all’esito di un proprio iter
istruttorio, tanto che l’amministrazione ha acquisito anche
il parere della Commissione Edilizia espresso nella seduta
del 21.07.2003.
Di talché, l’eventuale caducazione della delibera di
Consiglio Comunale n. 64 del 2003, con cui è stato approvato
il piano di recupero dell’immobile, non provocherebbe il
travolgimento del permesso di costruire n. 175 del 2003 che
avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma azione
impugnatoria.
In definitiva, essendo inoppugnabile il detto permesso di
costruire, l’appellante non potrebbe comunque conseguire il
bene della vita al quale aspira, per cui il ricorso di primo
grado è stato correttamente dichiarato improcedibile.
---------------
2.2.2. In relazione alla statuizione di improcedibilità, il
Collegio rileva che l’intervenuto permesso di costruire n.
175 del 25.11.2003, non impugnato ed inoppugnabile,
assentendo anche l’installazione dell’ascensore, ha
disciplinato il rapporto controverso facendo venire meno
ogni interesse per le sorti della d.i.a. n. 1282 del
14.08.2003.
Il Comune di Asti, nella propria memoria, ha posto in
rilievo che il permesso di costruire n. 175 del 20.11.2003
rilasciato alla In.Im. Srl, mai impugnato dal signor Ga., dà
titolo alla Società controinteressata di realizzare un
intervento di ristrutturazione edilizia del fabbricato di
Corso Alfieri 264 con trasporto di cubatura, ed in
particolare dà titolo ad installare l’ascensore di cui alla
d.i.a. 1282 del 04.08.2003. In questo senso, ha aggiunto il
Comune di Asti, la relazione tecnica del progettista ing.
Ma.Go., a cui si riferisce il permesso di costruire n. 175
del 20.11.2003, al suo quarto punto elenca tra le “opere
in oggetto” la “installazione di ascensore
oleodinamico per consentire l’eliminazione delle barriere
architettoniche”.
Il Collegio rileva che il Comune di Asti, con provvedimento
n. 175 del 20.11.2003, ha rilasciato ad In.Im. Srl il
permesso di costruire per eseguire l’intervento di
ristrutturazione edilizia di fabbricato di civile abitazione
con trasporto di cubatura facente parte del piano di
recupero approvato dal Consiglio Comunale n. 64 del
16.07.2003.
Tra gli atti depositati in primo grado dal Comune (doc. n.
16), vi è la relazione tecnica dell’ing. Ma.Go., peraltro
priva di data, in cui il professionista, a seguito
dell’incarico professionale affidatogli dalla Società “In.Im.”
srl con sede in ... n. 264, ha precisato in cosa consistono
le relative opere, specificando al quarto periodo “installazione
di ascensore oleodinamico per consentire l’eliminazione
delle barriere architettoniche all’interno di
un’intelaiatura metallica tamponata con lastre di cristallo
antisfondamento tipo ‘stopsol’ non trasparenti e non
riflettenti”.
Di talché, l’installazione dell’ascensore costituisce
oggetto del permesso di costruire n. 175 del 20.11.2003,
ormai inoppugnabile, e, di conseguenza, l’eventuale
accoglimento delle azioni di annullamento proposte con
l’atto introduttivo del giudizio e con motivi aggiunti non
potrebbe produrre alcuna utilità per l’appellante.
2.2.3. Né su tale conclusione può incidere quanto dedotto
dal signor Ga. circa il fatto che, sebbene non indicata
nell’epigrafe, la deliberazione del Consiglio Comunale n. 64
del 16.07.2003, con cui era stato approvato il piano di
recupero dell’immobile sul quale sono stati effettuati gli
interventi in discorso, è stata impugnata in primo grado con
i motivi aggiunti.
L’eventuale annullamento di tale atto, infatti, non avrebbe
comunque efficacia caducante del permesso di costruire n.
175 del 2003, con cui è stata assentita, tra l’altro,
l’installazione dell’ascensore.
In proposito, la giurisprudenza (cfr., ex multis,
Cons. Stato, IV, n. 1247 del 2018; sez., IV, n. 4404 del
2015; Cass. civ., sez. un., n. 7702 del 2016) ha già
chiarito che, nell’ambito del procedimento amministrativo,
occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante
e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma
di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
Nella fattispecie non si rinviene tra il piano di recupero
dell’immobile ed il successivo permesso di costruire un
rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimo
non è meramente applicativo del primo, ma costituisce
autonomo esercizio del potere attribuito
all’amministrazione.
Tale permesso, inoltre, non è meramente confermativo di atti
precedenti ed è stato rilasciato in accoglimento di
un’autonoma istanza ed all’esito di un proprio iter
istruttorio, tanto che l’amministrazione ha acquisito anche
il parere della Commissione Edilizia espresso nella seduta
del 21.07.2003.
Di talché, l’eventuale caducazione della delibera di
Consiglio Comunale n. 64 del 2003, con cui è stato approvato
il piano di recupero dell’immobile, non provocherebbe il
travolgimento del permesso di costruire n. 175 del 2003 che
avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma azione
impugnatoria.
In definitiva, essendo inoppugnabile il detto permesso di
costruire, l’appellante non potrebbe comunque conseguire il
bene della vita al quale aspira, per cui il ricorso di primo
grado è stato correttamente dichiarato improcedibile.
2.2.4. La statuizione di improcedibilità non trova ostacoli
neppure nella norma sancita dall’art. 34, comma 3, cod. proc.
amm., non essendo stata proposta la relativa domanda di
accertamento o comunque una pertinente istanza che manifesti
l’interesse della parte per un tale tipo di pronuncia (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, n. 2637 del 2016; Adunanza Plenaria,
n. 4 del 2015; Cons. Stato Sez. IV, n. 6703 del 2012 cui si
rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), cod. proc.
amm.) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 18.05.2018 n. 3001 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza esclude che il mero rapporto di
presupposizione tra due atti determini invalidità caducante dell’atto presupponente in
ipotesi di annullamento di quello presupposto, avendo
l’invalidità caducante una portata estremamente
circoscritta.
Si è, pertanto, affermato che, in presenza di vizi accertati
dell’atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità ad
effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante,
ammettendosi per la prima che l’annullamento dell’atto
presupposto si estenda automaticamente a quello
consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato
tempestivamente impugnato; quanto alla concreta
individuazione della predetta tipologia di effetti, è
pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di
consequenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante
solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario,
nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della
medesima sequenza procedimentale, come inevitabile
conseguenza di quello anteriore , senza necessità di nuove
ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare
riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla
precedente vicenda contenziosa.
---------------
In ogni caso, fermo restando che le ragioni sopra esposte
valgono di per sé ad escludere la fondatezza dei motivi di
appello sollevati dalla società Ac.Ch., deve,
conformemente a quanto statuito dalla decisione del
Tribunale Amministrativo, escludersi che i titoli successivi
si configurino quali atti meramente consequenziali rispetto
a quelli oggetto di annullamento da parte della sentenza n.
1363/2013 e, dunque, affetti da invalidità caducante (sempre, però, in caso di annullamento dell’atto
presupposto).
Valgano al riguardo le considerazioni in proposito
esplicitate nell’esame dell’appello n. 6091/2013, alle quali
va fatto integralmente rinvio.
Va in primo luogo evidenziato che la giurisprudenza esclude
che il mero rapporto di presupposizione tra due atti
determini invalidità caducante dell’atto presupponente in
ipotesi di annullamento di quello presupposto, avendo
l’invalidità caducante una portata estremamente
circoscritta.
Si è, pertanto, affermato che, in presenza di vizi accertati
dell’atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità ad
effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante,
ammettendosi per la prima che l’annullamento dell’atto
presupposto si estenda automaticamente a quello
consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato
tempestivamente impugnato; quanto alla concreta
individuazione della predetta tipologia di effetti, è
pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di
consequenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante
solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario,
nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della
medesima sequenza procedimentale, come inevitabile
conseguenza di quello anteriore , senza necessità di nuove
ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare
riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla
precedente vicenda contenziosa (cfr. Cons. Stato, VI,
13.10.2015, n. 4695; sez. V, 25.11.2010, n. 8243).
Orbene, si è sopra visto, che i titoli abilitativi
demaniali, rilasciati successivamente a quello originario,
configurano atti nuovi rispetto al primo, adottati all’esito
di separati ed autonomi procedimenti nei quali vi è stata
una rinnovata valutazione dei presupposti per la loro
emanazione.
Si è, invero, dato conto della circostanza che vi siano
stati nuovi procedimenti nonché nuova attività istruttoria e
valutazione dei presupposti legittimanti il rilascio dei
titoli.
E’ stata, poi, rilevata anche la modificazione soggettiva
rispetto alla concessione originaria con il coinvolgimento
di nuovi soggetti, la maggiore durata conferita al rapporto
concessorio, l’ampliamento della superficie dell’area
concessa, nonché l’irrilevanza, ai fini della esclusione
della “novità” dei provvedimenti, del diritto di insistenza.
Quanto ai titoli edilizi, si è più sopra sottolineato come
il permesso di costruire n. 120 del 2012 abbia, nella
legittimazione urbanistico-edilizia dello stabilimento,
integralmente sostituito quello originario, con la
conseguenza che, anche per tale tipologia di atti, non possa
parlarsi di invalidità ad effetto caducante; più in
generale, poi, il rilascio dei successivi titoli edilizi è
avvenuto all’esito di autonomi e diversi procedimenti
rispetto a quello da cui è originato il permesso di
costruire originario.
L’invocato carattere antecedente della concessione demaniale
n. 71/2005 e del permesso di costruire n. 70/2005 vale,
pertanto, unicamente ad evidenziare la loro valenza di atti
presupposti (carattere di per sé non sufficiente ad
integrare invalidità ad effetto caducante), ma, in relazione
agli elementi sopra evidenziati, non risulta integrata
quella peculiare intensità che configura il rapporto di
consequenzialità immediato e diretto, necessario ad
integrare tale species di invalidità.
E tanto prescindendo dalla dirimente considerazione che la
caducazione automatica degli atti successivi richiede
comunque l’annullamento giurisdizionale dell’atto
presupposto, che nella vicenda in esame, in relazione agli
esiti dell’appello, non vi è stato (risultando comunque, ove
configurabile un autonomo annullamento amministrativo
illegittimo per mancata valutazione ed esternazione degli
elementi richiesti dall’art. 21-nonies della legge n.
241/1990) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 04.05.2018 n. 2651 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Il certificato di
agibilità non assume una capacità sanante dei vizi che
affliggono un titolo edilizio, il cui annullamento all’esito
dell’impugnazione giurisdizionale si ripercuote
inevitabilmente sul primo, con effetto caducante, stante la
relazione di stretta consequenzialità.
---------------
La Società ricorrente censura il provvedimento comunale
18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in
sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto
e di un balcone.
0. Si premette che, come ha messo in evidenza la parte
ricorrente, il certificato di agibilità non assume una
capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo edilizio,
il cui annullamento all’esito dell’impugnazione
giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con
effetto caducante, stante la relazione di stretta
consequenzialità (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia –
22/04/2015 n. 188, confermata da Consiglio di Stato, sez. VI
– 09/08/2016 n. 3559).
Pertanto, non ha alcun rilievo l’omessa tempestiva
proposizione di un ricorso avverso il certificato suddetto (TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2018 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Questo Consiglio ha a più riprese chiarito che
nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre
distinguere tra invalidità ad effetto caducante e
invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di
vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
---------------
Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di costruire impugnato
ed i successivi provvedimenti e cioè:
a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38, d.P.R.
380/2001, in relazione alla porzione abitativa
dell’immobile;
b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto
l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del
certificato di agibilità del 06.06.2010;
c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con
il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie
con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni
in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del
certificato di agibilità del 07.07.2011;
d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n.
18/2012, in forza del quale è stato autorizzato
l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di
porzione rustica del fabbricato in questione,
un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimi
non eseguono il provvedimento oggi impugnato, ma
costituiscono autonomo esercizio del potere discrezionale
dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei
precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di
altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale
percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di
costruire non farebbe venire meno i plurimi titoli
autorizzatori sui quali fonda la costruzione avversata
dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo non
potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita
sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla
demolizione dell’immobile in questione con conseguente
riduzione in pristino.
---------------
7. L’odierno appello è improcedibile per sopravvenuto
difetto di interesse.
8. Preliminarmente, è necessario chiarire la portata della
sentenza n. 780/2006 di questo Consiglio, che -nel
confermare la sentenza del TAR per il Veneto di annullamento
del permesso di costruire n. 3/2005, rilasciato
dall’amministrazione appellata a favore dell’originario
controinteressato– ha respinto l’appello principale di
quest’ultimo.
8.1. Nella specie il Consiglio:
a) conveniva con le conclusioni raggiunte dal primo giudice in
relazione al fatto che la superficie relativa alla sottozona
E3, ricompresa nel fondo rustico dell’odierno appellato, su
cui insisteva l’intervento, fosse inferiore ai minimi
prescritti dalla disciplina regionale;
b) rilevava come l’annullamento del permesso di costruire n.
3/2005, non potesse non travolgere l’intero provvedimento,
stante la sua inscindibilità formale e la unitarietà
strutturale e funzionale dell’intervento edilizio;
c) aggiungeva, però, che restava: “…salva la potestà del Comune
di valutare, in diverso contesto procedimentale,
l'ammissibilità di interventi edificatori concernenti
esclusivamente annessi rustici per attività aziendale”.
8.2. Tanto evidenziato, ritiene il Collegio che la pronuncia
in questione non abbia concluso per la obbligatorietà della
demolizione di tutto quanto edificato dall’odierno
appellato.
La sopra riportata precisazione contenuta nel giudicato,
infatti, ha legittimato l’amministrazione comunale ad
adottare ulteriori provvedimenti salvaguardando gli annessi
rustici.
Dall’esame degli eventi e delle iniziative procedimentali
successivi al giudicato, risulta che all’indomani
dell’adozione del permesso di costruire n. 39/2006, avente
ad oggetto “la costruzione di un fabbricato ad uso
annessi rustici in Z.T.O. E3, ai sensi dell’art. 6 della
L.R. 24/1985”, quivi impugnato, l’amministrazione
comunale ha emanato:
a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38,
d.P.R. 380/2001, in relazione alla porzione abitativa
dell’immobile;
b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto
l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del
certificato di agibilità del 06.06.2010;
c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con
il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie
con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni
in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del
certificato di agibilità del 07.07.2011;
d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n.
18/2012, in forza del quale è stato autorizzato
l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di
porzione rustica del fabbricato in questione.
In particolare, dall’esame di quest’ultimo titolo edilizio
-che ha ad oggetto “ampliamento di casa di abitazione in
zona agricola mediante utilizzo di porzione rustica di
fabbricato esistente”- emerge che lo stesso è stato
adottato anche in forza delle ll.rr. Veneto n. 14/2009 e
13/2011, ossia in forza di una disciplina che modifica
sensibilmente la materia de qua e che spezza del
tutto ogni possibile collegamento tra l’esercizio del potere
edilizio cristallizzatosi con il provvedimento impugnato in
prime cure con quello esercitato successivamente
dall’amministrazione e culminato con il citato permesso n.
18/2012.
8.3. A questo punto occorre chiarire che l’eventuale
annullamento del permesso di costruire n. 39/2006, non
avrebbe portata caducante rispetto ai successivi
provvedimenti autorizzatori rilasciati dall’amministrazione
comunale.
Questo Consiglio (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez.
IV, 21.09.2015, n. 4404) ha a più riprese chiarito che
nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre
distinguere tra invalidità ad effetto caducante e
invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di
vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi
precisi:
a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato
direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla
medesima serie procedimentale;
b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione
del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile
conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi, con particolare riguardo al
coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia
inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della
caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le
usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
8.4. Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di
costruire impugnato ed i successivi provvedimenti sopra
elencati un rapporto di consequenzialità necessaria, in
quanto quest’ultimi non eseguono il provvedimento oggi
impugnato, ma costituiscono autonomo esercizio del potere
discrezionale dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei
precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di
altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale
percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di
costruire n. 39/2006, non farebbe venire meno i plurimi
titoli autorizzatori sui quali fonda la costruzione
avversata dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo
non potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita
sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla
demolizione dell’immobile in questione con conseguente
riduzione in pristino (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV,
n. 2637 del 2016).
8.5. La statuizione di improcedibilità non trova ostacoli
neppure nella norma sancita dall’art. 34, comma 3, cod. proc.
amm., non essendo stata proposta la relativa domanda di
accertamento o comunque una pertinente istanza che manifesti
l’interesse della parte per un tale tipo di pronuncia (cfr.
Cons. Stato, Sez. IV, 15.06.2016, n. 2637; Ad. plen., n. 4
del 2015; Sez. IV, 28.12.2012, n. 6703, 07.11.2012, n. 5674
cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), cod.
proc. amm.).
9. L’odierno appello deve, quindi, essere dichiarato
improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.02.2018 n. 1247 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
giugno 2017 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere di autotutela è un potere discrezionale attribuito
alle amministrazioni, che presuppone sia l'illegittimità
dell'atto amministrativo annullando, sia la sussistenza di
ragioni di interesse pubblico all'annullamento, entro un
termine ragionevole.
La norma di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990 prevede,
dunque, che al fine di procedere all'annullamento d'ufficio
di un atto amministrativo la P.A. necessita di un
triplice ordine di presupposti: che l'atto sia
illegittimo; che sussistano ragioni di interesse pubblico
che ne giustifichino l'annullamento e che il tutto avvenga
entro un termine ragionevole.
Nell’adozione dell’atto, inoltre, occorre tener conto degli
interessi del destinatario; l’Amministrazione è infatti
chiamata a svolgere un bilanciamento tra gli opposti
interessi prima di decretare l’annullamento di un atto in
autotutela. Di tutti questi elementi è necessario dare conto
in motivazione.
In particolare, con riguardo all’annullamento di titoli
edilizi, i presupposti per l’esercizio del potere di
annullamento d'ufficio di un titolo edilizio devono
rispondere ai requisiti di legittimità codificati
nell'articolo 21-nonies della l. 07.08.1990, n. 241,
consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e
nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della legalità,
comparato con i contrapposti interessi dei privati.
I presupposti dell'esercizio dell’autotutela dei titoli
edilizi sono quindi costituiti dall'illegittimità originaria
del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed
attuale alla loro rimozione (diverso dal mero ripristino
della legalità), tenuto conto anche delle posizioni
giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
E’ noto che l'esercizio del potere di autotutela è
espressione di rilevante discrezionalità che non esime,
tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure
sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati
presupposti.
L'ambito della motivazione esigibile è integrato
dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio,
dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare
atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del
territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente,
paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali), che
quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti
dei privati; nonché dell'eventuale negligenza o della
malafede del privato che ha indotto in errore
l'Amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es.
rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in
base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati
individuati i legittimati attivi).
---------------
Per quanto riguarda poi la disciplina dell’annullamento di
ufficio anche questa risulta illegittimamente applicata dal
Comune.
L’art. 21-nonies della legge 241/1990, nella formulazione
ratione temporis applicabile, dispone infatti che “Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il potere
di autotutela è un potere discrezionale attribuito alle
amministrazioni, che presuppone sia l'illegittimità
dell'atto amministrativo annullando, sia la sussistenza di
ragioni di interesse pubblico all'annullamento, entro un
termine ragionevole (Cons. Stato Sez. IV, 05.05.2016, n.
1808).
La norma di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990 prevede
dunque che al fine di procedere all'annullamento d'ufficio
di un atto amministrativo la P.A. necessita di un triplice
ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo; che
sussistano ragioni di interesse pubblico che ne
giustifichino l'annullamento e che il tutto avvenga entro un
termine ragionevole. Nell’adozione dell’atto, inoltre,
occorre tener conto degli interessi del destinatario;
l’Amministrazione è infatti chiamata a svolgere un
bilanciamento tra gli opposti interessi prima di decretare
l’annullamento di un atto in autotutela. Di tutti questi
elementi è necessario dare conto in motivazione (Cons. Stato
Sez. III, 10.05.2017, n. 2169).
In particolare, con riguardo all’annullamento di titoli
edilizi, i presupposti per l’esercizio del potere di
annullamento d'ufficio di un titolo edilizio devono
rispondere ai requisiti di legittimità codificati
nell'articolo 21-nonies della l. 07.08.1990, n. 241,
consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e
nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della legalità,
comparato con i contrapposti interessi dei privati
(Consiglio di Stato, sez. VI, 29/01/2016, n. 351).
I presupposti dell'esercizio dell’autotutela dei titoli
edilizi sono quindi costituiti dall'illegittimità originaria
del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed
attuale alla loro rimozione (diverso dal mero ripristino
della legalità), tenuto conto anche delle posizioni
giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. E’
noto che l'esercizio del potere di autotutela è espressione
di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia,
l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente,
della sussistenza dei summenzionati presupposti. L'ambito
della motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del
vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere
conto, per il resto, del particolare atteggiarsi
dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio
e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio,
salute, sicurezza, beni storici e culturali), che quasi
sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei
privati; nonché dell'eventuale negligenza o della malafede
del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione o ha
approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo
erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato
rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati
attivi) (TAR Napoli, sez. VIII, 04/11/2015, n. 5117, sez, VI
n. 3552/2016).
Nella fattispecie all’esame di questo giudice non emerge che
l’Amministrazione abbia posto a fondamento della sua scelta
alcuna argomentazione in merito all’interesse pubblico che
si intende tutelare e alcuna ponderazione degli interessi
coinvolti se non quella, peraltro errata, della non
intervenuta decorrenza del termine assegnato alla
Soprintendenza per pronunciarsi sulla autorizzazione
paesaggistica n. 46 del 31/12/2009 rilasciata dal Comune e
inoltrata all’Ente statale il 04.01.2010.
L’illegittimità dell’operato dell’amministrazione locale
emerge ancor di più se si tiene conto che l’Amministrazione
ha deciso di agire in autotutela dopo circa 3 anni dal
rilascio del titolo, termine troppo lungo che imponeva una
particolare istruttoria sia in merito all’affidamento
ingenerato nei ricorrenti per il decorso del tempo che con
riguardo alle ragioni di pubblico interesse.
Oltre al provvedimento assunto in autotutela n. 16014/2014,
conseguentemente deve essere annullata anche l’ordinanza di
demolizione n. 128/2014 assunta sulla base proprio del
disposto annullamento in autotutela.
L’art. 27, comma 2, del d.P.R. 380/2001, richiamato nella
detta ordinanza di demolizione prevede che “Il dirigente
o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di
opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi
statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o
adottate, a vincolo di inedificabilità, ……nonché in tutti i
casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle
prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla
demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…..”.
Tale norma non può ritenersi applicabile alla presente
fattispecie in quanto le opere contestate non risultano
realizzate abusivamente, ma in forza del permesso di
costruire n. 23/2011.
Conclusivamente il ricorso va accolto con il conseguente
assorbimento delle ulteriori censure formulate e per
l’effetto vanno annullati gli atti impugnati (TAR
Campania-Napoli, Sez. VI,
sentenza 21.06.2017 n. 3378 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Al
fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato.
---------------
Il
nostro ordinamento vede con
particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da
dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non
possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
---------------
In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19
della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge
per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione
(60 giorni dal ricevimento della dichiarazione),
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti
previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni
previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti
per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza
passata in giudicato.
---------------
Laddove una concessione edilizia sia
stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello
stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al
Comune è consentito di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio).
---------------
Secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel
verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso
edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non
deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti
private in ordine all’assetto proprietario, ma deve
accertare soltanto il requisito della legittimazione
soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio.
---------------
Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un
appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle
Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al
foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con
l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta
identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub.
5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei
controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura
in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta
non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di
costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in
sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con
gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo
TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo
edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio
identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio
16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del
04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo
aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento
identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della
dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di
Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore
l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo
abilitativo in relazione ad un edificio di cui il
richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig.
Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso
di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del
Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli
immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale
consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto,
per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati
esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il
divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della
disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al
dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era
indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas
conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe
in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere
sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016,
con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata,
sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di
adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in
autotutela del permesso di costruire, rilasciato al
controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta
inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia
dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31,
comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza
della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34,
comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad
adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia
acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto
formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di
perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario
ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il
ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso
dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che
quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle
disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al
contenuto della dichiarazione del 2011 invocata
dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per
poter compiere l’intervento, dando conto della
legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario
dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il
sopralzo, essendosi privato di una sola porzione
dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10
(autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio,
avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario
dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a
prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse
violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare
negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la
proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il
proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe
palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini
del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto
sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non
sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere
espressamente, trattandosi di richiesta avente natura
meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento
dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice
presupposto dell’omessa conclusione del procedimento
amministrativo entro il termine astrattamente previsto per
il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e
dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere
sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie
non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al
Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di
permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando
falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha
ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe
conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e
rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile,
senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente,
né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali
calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore
l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di
veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal
controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità
del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai
benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V –
15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n.
404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità
della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la
decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che
tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde
dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla
quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni
addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle
Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede
alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del
dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto
responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni
mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che
l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non
veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare
applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui
disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di
autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR
Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la
giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla
qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti
rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze
della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza
automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei
suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di
automaticità, per cui risulta evidente la non operatività
dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio
di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art.
19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di
legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di
conformazione (60 giorni dal ricevimento della
dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque
i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza
delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies
(riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n.
2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato,
in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività
economiche, dalla disamina congiunta della disciplina
racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che
l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque,
interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni
documentali), ai sensi del comma 3, in relazione
all’attività commerciale comunicata con segnalazione
certificata di attività entro il termine di sessanta giorni
dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al
decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4,
residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo
potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto
la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il
termine di sessanta giorni e non si trasforma in
provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe
ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere
di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di
poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i
quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente
eliminato la definizione di “autotutela”, operando un
richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata
originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella
casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il
legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici
ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015,
statuisce che l’amministrazione conserva il potere di
intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per
l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i
provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti
sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di
dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci per effetto di condotte
costituenti reato”, seppur previo accertamento con
sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta
in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo
dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è
consentito di esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare
alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR
Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta
appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia
di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI –
12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di
annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato
dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o
falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica
ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va
individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi
al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato
(cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che
qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez.
III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo
il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli
edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in
sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione
in capo all’autore di un affidamento meritevole di
protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in
senso favorevole all’amministrazione) anche sulla
valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale
dovesse intervenire il provvedimento di autotutela
(riferimento temporale cui parametrare normativamente la
tempestività dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n.
411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L.
241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai
fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per
l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV
– 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel
senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o
una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare
la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei
limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune
esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune,
nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un
permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento
sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di
interesse tra le parti private in ordine all’assetto
proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della
legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere
un livello minimo di istruttoria che comprende
l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a
dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento
soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico
oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di
godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima
intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato
soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle
attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR
Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha
trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o
comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di
fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa
all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con
conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in
particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit
istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare
la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili
per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse,
sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi
tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale,
non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo
dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita
ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità
amministrativa e riguardanti:
a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque
il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto
dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato
conto;
b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della
pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e
sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto
per l’accoglimento della domanda formulata in via
subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del
Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere
sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
• entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di
verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione
di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
• entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività
istruttoria;
• entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con
trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a
questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si
nomina sin da ora quale Commissario ad acta il
dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area
Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con
facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la
scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi
tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non
oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo
TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario,
questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad
assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia
alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la
valutazione degli eventuali e concorrenti profili di
responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita
accoglimento nei limiti sopra esposti
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
aprile 2017 |
|
EDILIZIA PRIVATA: I
presupposti per l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità
originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto
ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino
della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo
ai destinatari e non ultima una più puntuale e convincente
motivazione allorché la caducazione intervenga ad una
notevole distanza di tempo.
---------------
L’infedele prospettazione dello stato dei luoghi incide
certamente sull’onere motivazionale dell’Amministrazione
relativo alla comparazione tra interesse pubblico e privato
e all’affidamento riposto dal richiedente sul mantenimento
del manufatto, non potendo l’interessato medesimo vantare il
proprio legittimo affidamento nella persistenza di un
beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’Amministrazione procedente, (errore) determinato dallo
stesso soggetto richiedente, ma pur sempre a condizione che
l’Amministrazione descriva puntualmente l’infedele
rappresentazione dei luoghi e motivi adeguatamente in ordine
all’incidenza sostanziale della difformità tra quanto
dichiarato e quanto esistente in ordine alla legittimità del
titolo edilizio.
---------------
7.2 - Il ricorso si palesa, invece, fondato in relazione al
contestuale annullamento del pdc in variante.
Ed invero, secondo i principi giurisprudenziali enucleati
dal Consiglio di Stato, poi sostanzialmente confluiti
nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (nel testo
ratione temporis applicabile ovvero quello antecedente
alle novelle del 2014 e 2015), “i presupposti per
l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti
ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento,
l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione
diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di
posizioni consolidate in capo ai destinatari e non ultima
una più puntuale e convincente motivazione allorché la
caducazione intervenga ad una notevole distanza di tempo
(cfr. fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 27/11/2010 n.
8291; Sez. IV, n. 2885 del 2016; Sez. IV, n. 2908 del 2016)”
- così, da ultimo, Consiglio di stato, sez. IV, sent.
25/01/2017 n. 293.
Dunque, l’illegittimità originaria del provvedimento (che,
in disparte il caso di vizi meramente procedurali, in
materia urbanistica si traduce nel contrasto del titolo con
gli strumenti urbanistici e la normativa edilizia vigenti) è
pur sempre un indefettibile presupposto per l’annullamento
in autotutela, che –nel caso di specie– difetta o del quale,
comunque, il Comune ha omesso di dare conto nell’atto
gravato.
L’infedele prospettazione dello stato dei luoghi, in altri
termini, incide certamente sull’onere motivazionale
dell’Amministrazione relativo alla comparazione tra
interesse pubblico e privato e all’affidamento riposto dal
richiedente sul mantenimento del manufatto, non potendo
l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo
affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto
attraverso l’induzione in errore dell’Amministrazione
procedente (ex multis, Consiglio di Stato, IV,
24.12.2008, n. 6554; Consiglio di Stato, V, 08.11.2012, n.
5691; TAR Puglia, Lecce, III, 21.02.2005, n. 686, TAR
Campania, Napoli, VIII, 19.05.2015, n. 2791), (errore)
determinato dallo stesso soggetto richiedente, ma pur sempre
a condizione che l’Amministrazione descriva puntualmente
l’infedele rappresentazione dei luoghi e motivi
adeguatamente in ordine all’incidenza sostanziale della
difformità tra quanto dichiarato e quanto esistente in
ordine alla legittimità del titolo edilizio.
Per quanto innanzi detto, l’atto gravato –limitatamente al
disposto annullamento del pdc in variante n. 167/2008- va
annullato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti
dell’Amministrazione
(TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 10.04.2017 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
marzo 2017 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
pronuncia del giudice amministrativo, investito della
domanda di annullamento della licenza, concessione o
permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti
dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità
dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero
concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al
rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia
di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di
fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto
di proprietà determinata dalla violazione della normativa in
tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di
interessi generali ma anche della posizione soggettiva del
privato.
Invero, trattasi di una piana
applicazione del generale principio affermato da tempo per
il quale le controversie tra proprietari di fabbricati
vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono
distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini
appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza
che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo
all'attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere
valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario
attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del
provvedimento amministrativo, salvo che la domanda
risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A.
(nella specie, il Comune) per far valere
l'illegittimità dell'attività provvedimentale, sussistendo
in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo.
L'eventuale accertamento della legittimità
del titolo abilitativo della costruzione da parte del
giudice amministrativo non preclude una diversa valutazione
dell'illegittimità della condotta del privato nella
controversia intentata da altro privato a tutela del diritto
di proprietà, sicché la decisione gravata, avendo fatto
puntuale applicazione dei suesposti principi non appare
meritevole di censura.
---------------
Quanto invece alla
dedotta erronea applicazione delle previsioni di legge e
regolamentari in materia di distanza, il tenore delle norme
di cui allo strumento urbanistico locale non consente sulla
base della loro formulazione letterale di ritenere che il
loro ambito applicativo sia limitato alle sole costruzioni
aventi carattere principale.
Il richiamo alla nozione di edifici di
nuova costruzione ovvero di fabbricati, in assenza di una
puntuale e specifica disciplina dettata per gli edifici
aventi carattere cd. accessorio,
come riconosciuto da parte degli stessi ricorrenti,
non consente di optare per un'interpretazione che ne
limiti l'applicazione ai soli edifici aventi carattere
principale, posto che anche i manufatti di più contenute
dimensioni, quali quelli per i quali si vorrebbe escludere
la valutazione ai fini del rispetto delle distanze, appaiono
evidentemente riconducibili alla nozione di costruzione di
cui all'art. 873 c.c., trattandosi di manufatti stabilmente
infissi al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza
dal terreno, possono creare quelle intercapedini dannose che
la legge, stabilendo la distanza minima tra le costruzioni,
intende evitare, rispondendo alla tradizionale nozione di
costruzione quale recepita dalla giurisprudenza di questa
Corte.
D'altronde, proprio la carenza di una
specifica disciplina impone di ritenere
come già affermato in passato che
la nozione di costruzione, agli effetti
dell'art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe da
parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del
computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi
contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola
facoltà di stabilire una "distanza maggiore".
Ne discende che, una volta ricondotti gli
edifici accessori al novero delle costruzioni in senso
civilistico e nell'accezione propria della disciplina in
materia di distanze, le previsioni regolamentari che
prevedono un distacco tra costruzioni risultano
evidentemente applicabili anche a tali manufatti, e che,
anche laddove lo strumento urbanistico locale avesse dettato
una disciplina difforme, tale deroga dovrebbe reputarsi
illegittima, non rientrando nel potere degli enti locali
quello di dettare deroghe alla disciplina codicistica in
materia di distanze, eccezione fatta per la previsione sopra
richiamata, di porre delle distanze maggiori rispetto a
quelle di legge.
---------------
La previsione di un'area di distacco mira essenzialmente ad
assicurare il rispetto delle distanze tra fabbricati
edificati su fondi finitimi ed appartenenti a diversi
proprietari, non potendosi ravvisare l'illegittimità dal
punto di vista privatistico, per costruzioni realizzate
eventualmente a distanza inferiore a quella legale o
regolamentare sul fondo di un unico proprietario
(per un riferimento a tale regola si veda Cass. n.
1918/1973, a mente della quale il principio
della prevenzione -in base al quale, fra due proprietari di
fondi finitimi, colui che costruisce per primo può o
edificare sul confine o a distanza dal confine non inferiore
a quella legale oppure a distanza inferiore, costringendo il
vicino, che costruisce per secondo, a ristabilire la
distanza legale edificando dal confine a distanza maggiore
della meta di quella prescritta, a meno che non voglia
avanzare la propria fabbrica fino all'altrui costruzione,
giovandosi dei rimedi offertigli dall'art. 875 cod. civ.-
presuppone un rapporto intersoggettivo, opera tra
proprietari di fondi finitimi e non è ipotizzabile come
attributo della costruzione con caratteri di realità).
D'altronde essendo la proprietà di entrambi i fabbricati,
principale ed accessorio, in capo all'attore, i ricorrenti
non sono legittimati a dolersi della violazione delle
distanze tra le due opere.
Quanto invece alla pretesa
violazione della previsione regolamentare che nega la
possibilità di costruire nelle zone di distacco, la stessa
si riverbera nei soli rapporti con la PA, e determina quindi
l'illegittimità dell'opus dal punto di vista amministrativo,
ma non incide sulla diversa disciplina in tema di distanze,
e sulla possibilità anche per il titolare della costruzione
illegittima dal punto di vista amministrativo di pretendere
il rispetto delle distanze legali,
essendo tale conclusione una piana applicazione del
su riferito principio dell'autonomia tra profili
pubblicistici dell'attività edificatoria e rapporti
interprivatistici.
Ne consegue che anche laddove una parte del
manufatto a carattere accessorio sia collocato nell'area di
distacco prevista per il fabbricato principale, la
violazione della norma regolamentare legittima se del caso
la reazione della PA, ma non esclude che si tratti sempre di
costruzione preveniente, rispetto alla quale l'edificio dei
ricorrenti doveva porsi a distanza legale.
---------------
2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la
violazione di legge e precisamente la violazione e falsa
applicazione degli artt. 15 e ss. delle NTA del PRG del
Comune di Cassino, nonché la violazione e falsa applicazione
della voce 17 dell'art. 23 del regolamento edilizio, e la
violazione e falsa applicazione dell'art. 41-quinquies della
legge n. 1150 del 1942 e dell'art. 9 del DM n. 1444 del 1968
e dell'art. 873 c.c., nonché l'insufficiente e
contraddittoria motivazione della sentenza.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte territoriale abbia
ritenuto sussistente la violazione delle distanze tra
fabbricati anche in relazione al fabbricato cd. accessorio
di parte attrice, sebbene gli artt. 15 e ss. citati
stabiliscano il rispetto delle distanze solo per gli edifici
a carattere principale.
In assenza di una specifica disciplina contenuta negli
strumenti urbanistici locali avrebbe dovuto quindi trovare
applicazione la previsione di cui all'art. 9 del menzionato
DM che, prevedendo una distanza di metri 10 tra pareti
finestrate, avrebbe comportato la legittimità della
costruzione dei ricorrenti, in quanto posta a distanza
maggiore.
Lo stesso Tar del Lazio nella sentenza pronunziata in merito
all'impugnativa della concessione avanzata da parte del Co.,
aveva manifestato il convincimento circa l'inapplicabilità
del regime delle distanze previste dallo strumento
urbanistico locale in relazione all'edificio avente
carattere accessorio, sicché la Corte d'Appello non avrebbe
potuto decidere trascurando la rilevanza di giudicato
esterno di tale provvedimento giurisdizionale.
Il motivo è infondato.
Ed, invero, partendo dall'ultima affermazione di parte
ricorrente relativa all'efficacia vincolante della pronuncia
del giudice amministrativo, e ricordato che si tratta di
statuizione emessa in relazione all'impugnativa della
concessione edilizia rilasciata in favore dei ricorrenti e
concernente il fabbricato oggetto di causa, giova richiamare
la giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (cfr.
Cass. n. 9869/2015) la pronuncia del
giudice amministrativo, investito della domanda di
annullamento della licenza, concessione o permesso di
costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi),
ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del
potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il
profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e
la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle
controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini,
aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà
determinata dalla violazione della normativa in tema di
distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi
generali ma anche della posizione soggettiva del privato.
Ed, invero, trattasi di una piana
applicazione del generale principio affermato da tempo per
il quale (cfr.
Cass. S.U. n. 13673/2014) le controversie
tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza
di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o
rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del
giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del
titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui
legittimità potrà essere valutata "incidenter tantum"
dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di
disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che
la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti
della P.A. (nella
specie, il Comune) per far valere
l'illegittimità dell'attività provvedimentale, sussistendo
in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo
(in termini ex multis Cass. n. 13170/2001; Cass. S.U.
n. 333/1999).
L'eventuale accertamento della legittimità
del titolo abilitativo della costruzione da parte del
giudice amministrativo non preclude una diversa valutazione
dell'illegittimità della condotta del privato nella
controversia intentata da altro privato a tutela del diritto
di proprietà, sicché la decisione gravata, avendo fatto
puntuale applicazione dei suesposti principi non appare
meritevole di censura.
Quanto invece alla dedotta erronea applicazione delle
previsioni di legge e regolamentari in materia di distanza,
il tenore delle norme di cui allo strumento urbanistico
locale non consente sulla base della loro formulazione
letterale di ritenere che il loro ambito applicativo sia
limitato alle sole costruzioni aventi carattere principale.
Il richiamo alla nozione di edifici di
nuova costruzione ovvero di fabbricati, in assenza di una
puntuale e specifica disciplina dettata per gli edifici
aventi carattere cd. accessorio,
come riconosciuto da parte degli stessi ricorrenti,
non consente di optare per un'interpretazione che ne
limiti l'applicazione ai soli edifici aventi carattere
principale, posto che anche i manufatti di più contenute
dimensioni, quali quelli per i quali si vorrebbe escludere
la valutazione ai fini del rispetto delle distanze, appaiono
evidentemente riconducibili alla nozione di costruzione di
cui all'art. 873 c.c., trattandosi di manufatti stabilmente
infissi al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza
dal terreno, possono creare quelle intercapedini dannose che
la legge, stabilendo la distanza minima tra le costruzioni,
intende evitare, rispondendo alla tradizionale nozione di
costruzione quale recepita dalla giurisprudenza di questa
Corte (cfr. Cass.
n. 5753/2014).
D'altronde, proprio la carenza di una
specifica disciplina impone di ritenere
come già affermato in passato che
(cfr. da ultimo Cass. n. 144/2016) la
nozione di costruzione, agli effetti dell'art. 873 c.c., è
unica e non può subire deroghe da parte delle norme
secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle
distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai
regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di
stabilire una "distanza maggiore".
Ne discende che, una volta ricondotti gli
edifici accessori al novero delle costruzioni in senso
civilistico e nell'accezione propria della disciplina in
materia di distanze, le previsioni regolamentari che
prevedono un distacco tra costruzioni risultano
evidentemente applicabili anche a tali manufatti, e che,
anche laddove lo strumento urbanistico locale avesse dettato
una disciplina difforme, tale deroga dovrebbe reputarsi
illegittima, non rientrando nel potere degli enti locali
quello di dettare deroghe alla disciplina codicistica in
materia di distanze, eccezione fatta per la previsione sopra
richiamata, di porre delle distanze maggiori rispetto a
quelle di legge.
Il motivo deve quindi essere disatteso.
3. Con il secondo motivo si denunzia l'insufficiente
e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata,
nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e
29 del regolamento edilizio del Comune di Cassino.
Assume parte ricorrente che la Corte d'Appello ha omesso di
rilevare l'illegittimità del manufatto cd. accessorio
dell'attore, in quanto situato nell'area di distacco che
occorreva rispettare in relazione al fabbricato principale,
area nella quale gli strumenti urbanistici vietano
qualsivoglia costruzione (art. 29 regolamento edilizio che
prevede solo la realizzazione di giardini, parcheggi e rampe
di accesso).
La motivazione della sentenza sarebbe altresì insufficiente,
in quanto per giustificare la legittimità del manufatto
rispetto al quale sono state valutate le distanze del
fabbricato dei ricorrenti, si è affermato che lo stesso si
trovava "per larga parte" al di fuori dell'area che
costituisce il distacco ideale, riconoscendosi quindi che
parte di esso si colloca all'interno della detta area di
distacco, risultando pertanto illegittimo.
Anche tale motivo è ad avviso del Collegio privo di
fondamento.
La Corte d'appello ha in primo luogo ribadito che fabbricato
preveniente era quello di parte attrice, il quale all'epoca
della sua realizzazione doveva solo attenersi alla distanza
dal confine (distanza che non risulta del tutto rispettata,
ma la questione esula dal presente giudizio, non avendo i
convenuti lamentato la violazione delle distanze ad opera
della costruzione di parte attrice).
Quanto al fabbricato cd. accessorio del Co., di cui non si
denunzia la violazione delle norme dal confine, la sentenza
ha ritenuto che lo stesso fosse posto in una zona del fondo
per la quale le distanze dal confine dell'edificio
principale erano ampiamente rispettate e che risultava
pertanto in massima parte al di fuori dell'area di distacco
quale imposta dallo strumento urbanistico.
Ritiene però la Corte che anche l'eventuale realizzazione in
parte del manufatto in oggetto all'interno dell'area di
distacco non possa determinare un esito diverso della
controversia.
Ed, infatti, la previsione di un'area di
distacco mira essenzialmente ad assicurare il rispetto delle
distanze tra fabbricati edificati su fondi finitimi ed
appartenenti a diversi proprietari, non potendosi ravvisare
l'illegittimità dal punto di vista privatistico, per
costruzioni realizzate eventualmente a distanza inferiore a
quella legale o regolamentare sul fondo di un unico
proprietario (per
un riferimento a tale regola si veda Cass. n. 1918/1973, a
mente della quale il principio della
prevenzione -in base al quale, fra due proprietari di fondi
finitimi, colui che costruisce per primo può o edificare sul
confine o a distanza dal confine non inferiore a quella
legale oppure a distanza inferiore, costringendo il vicino,
che costruisce per secondo, a ristabilire la distanza legale
edificando dal confine a distanza maggiore della meta di
quella prescritta, a meno che non voglia avanzare la propria
fabbrica fino all'altrui costruzione, giovandosi dei rimedi
offertigli dall'art. 875 cod. civ.- presuppone un rapporto
intersoggettivo, opera tra proprietari di fondi finitimi e
non è ipotizzabile come attributo della costruzione con
caratteri di realità).
D'altronde essendo la proprietà di entrambi i fabbricati,
principale ed accessorio, in capo all'attore, i ricorrenti
non sono legittimati a dolersi della violazione delle
distanze tra le due opere.
Quanto invece alla pretesa violazione della
previsione regolamentare che nega la possibilità di
costruire nelle zone di distacco, la stessa si riverbera nei
soli rapporti con la PA, e determina quindi l'illegittimità
dell'opus dal punto di vista amministrativo, ma non
incide sulla diversa disciplina in tema di distanze, e sulla
possibilità anche per il titolare della costruzione
illegittima dal punto di vista amministrativo di pretendere
il rispetto delle distanze legali
(cfr. Cass. n. 17339/2003; Cass. n. 10850/1998),
essendo tale conclusione una piana applicazione del
su riferito principio dell'autonomia tra profili
pubblicistici dell'attività edificatoria e rapporti
interprivatistici.
Ne consegue che anche laddove una parte del
manufatto a carattere accessorio sia collocato nell'area di
distacco prevista per il fabbricato principale, la
violazione della norma regolamentare legittima se del caso
la reazione della PA, ma non esclude che si tratti sempre di
costruzione preveniente, rispetto alla quale l'edificio dei
ricorrenti doveva porsi a distanza legale
come appunto disposto dalla Corte distrettuale
(Corte di Cassazione, Sez. II civile,
sentenza 16.03.2017 n. 6855). |
febbraio 2017 |
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Annullamento d'ufficio: il termine dei 18 mesi si riferisce
ai provvedimenti emanati dopo l'entrata in vigore della
novella.
Il TAR Campania-Napoli ha nuovamente affrontato il tema
dell'ambito temporale di applicazione della legge n.
124/2015, che ha modificato il testo dell’art. 21-nonies
della legge n. 241/1990 introducendo il limite temporale di
18 mesi per procedere all’annullamento d’ufficio di alcune
tipologie di provvedimenti (tra cui gli atti autorizzativi).
Oggetto della decisione è il provvedimento di annullamento
d'ufficio emesso da un Comune nei confronti di un permesso
di costruire rilasciato prima dell'entrata in vigore della
novella di cui alla Legge n. 124/2015 sull'assunto
dell'emissione del titolo all’esito della falsa
rappresentazione della realtà fattuale, indotta dalla parte
privata richiedente.
In primo luogo, il Collegio affronta il tema dei presupposti
per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
In termini generali viene affermato che
anche in materia edilizia i presupposti del potere di
annullamento d’ufficio sono costituiti dall’illegittimità
originaria del provvedimento e dall’interesse pubblico
concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero
ripristino della legalità), tenuto conto anche delle
contrapposte posizioni giuridiche soggettive consolidate in
capo ai privati.
Principio che,
ricorda il Tribunale, soffre un’eccezione
nel caso -quale è
quello di specie- in cui l’operato
dell’amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o
falsa rappresentazione dello stato di fatto posta in essere
dal privato al momento della richiesta del titolo edilizio.
In tale ipotesi non occorre una particolare motivazione
sull’interesse pubblico perseguito in sede di autotutela, di
per sé coincidente con l’implicita esigenza di ripristinare
la legalità urbanistico-edilizia fraudolentemente
compromessa, così come perde meritevolezza l’affidamento
(non incolpevole) del privato circa il mantenimento della
situazione abusiva. Affidamento da considerare di per sé
recessivo di fronte all’interesse pubblico alla
ricostituzione della cornice di rispetto della disciplina
urbanistica violata.
Accertata sotto questo profilo la legittimità del
provvedimento impugnato, il Collegio passa a vagliarne la
tenuta nei confronti della novella legislativa di cui alla
Legge n. 124/2015.
Richiamando un proprio precedente di qualche mese prima (TAR
Campania Napoli, Sez. II, 17.10.2016 n. 4737), il Tribunale
amministrativo campano conferma il carattere innovativo
della novella in esame, dal quale consegue la sua
applicazione soltanto ai provvedimenti di primo grado
adottati successivamente alla sua entrata in vigore.
Con la pronuncia in commento il TAR Campania conferma dunque
il proprio orientamento secondo cui il
discrimen per l'applicazione del termine dei 18 mesi
come contenuto nel nuovo art. 21-nonies è la data di
emissione del provvedimento di primo grado oggetto di
annullamento: se essa è precedente all'entrata in vigore
della Legge 214/2015 (28.05.2015), questa non troverà
applicazione, se invece è successiva, l'eventuale
provvedimento di annullamento dovrà rispettare il termine
dei 18 mesi.
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●
TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 17.10.2016 n. 4737.
●
Sul punto si veda anche la
sentenza 31.08.2016 n. 3762
-Sez. VI- del Consiglio di Stato con la quale è stato
affermato che il termine dei 18 mesi rileva ai fini
interpretativi anche se non applicabile retroattivamente
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 20.02.2017 n. 1033
- tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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MASSIMA
1. La presente controversia si incentra sulla
contestazione dell’ordinanza dirigenziale del Comune di
Quarto n. 7/2015 del 12.11.2015, con cui è stato annullato
in autotutela il permesso di costruire n. 4/2014 del
28.01.2014, ottenuto dal ricorrente per l’intervento di
ristrutturazione edilizia di cui in narrativa, nonché è
stato ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi.
2. Si premette, in punto di fatto, che l’atto di autotutela,
nell’assumere che il permesso di costruire era stato
rilasciato sulla base di una falsa rappresentazione dello
stato dei luoghi contenuta nella domanda di parte e nei
relativi allegati tecnici, ritiene tale permesso illegittimo
per le seguenti due ragioni ostative, ciascuna di per sé
idonea ad impedire il rilascio dell’atto ampliativo:
i) “Negli atti presentati si dichiara che il manufatto da
abbattere e ricostruire risale ad una data precedente al
1967. A supporto della dichiarazione di esistenza del
manufatto allegano un rilievo fotografico. L’esame
documentale e comparativo, tra gli atti presentati e la
cartografia di P.R.G. nonché con le varie aerofotogrammetrie
regionali, hanno rilevato che il manufatto non è presente
nella aerofotogrammetria del 1981. Nella documentazione
presentata a supporto della domanda per P.d.C. in oggetto
non è riportata nessuna altra prova documentale a sostegno
di quanto affermato circa la sua data di realizzazione. Per
quanto concerne il rilievo fotografico del 02/10/2013 n. di
prot. 26557, si rileva che non inquadra il manufatto
inserito nel suo contesto ma lo riprende a distanze
ravvicinate rendendo impossibile, a posteriori e ad avvenuta
demolizione, il suo posizionamento all’interno del lotto. Il
rilievo fotografico, inoltre, riporta solo inquadrature
esterne e parziali.”;
ii) “La parte ha espressamente dichiarato, con nota n. 31865 del
13/11/2013, che la zona oggetto dell’intervento non rientra
nel vincolo di P.R.G. denominato H2 – area soggetta a
vincolo non aedificandi per rispetto archeologico. I tecnici
comunali, mediante sovrapposizione della cartografia
catastale con i grafici del P.R.G. hanno constatato che
l’area oggetto dell’intervento ricade nella zona omogenea di
P.R.G. denominata H2. La presente circostanza inficia
l’applicazione dell’art. 5 della L.R. 19/2009,
impropriamente applicato stante la dichiarazione resa dalla
parte.”.
Inoltre, giova aggiungere, quanto all’interesse pubblico
perseguito nello specifico, che l’ordinanza in questione si
sofferma sui seguenti argomenti: “Ritenuto: Che è in capo
alla Pubblica Amministrazione la difesa del territorio che
si esplica attraverso una corretta pianificazione
urbanistica; Che il controllo della pianificazione
urbanistica rappresenta un interesse pubblico da tutelare;
Che la falsa rappresentazione di luoghi ha profilo di
violazione di legge e nella presente fattispecie, è
violazione sostanziale in quanto momento determinante per il
rilascio del P.d.C. n. 4/2014; Che vi è obbligo da parte
della P.A. di procedere al ripristino dello stato dei luoghi
che avviene mediante annullamento ex tunc del titolo
giuridico, P.d.C. n. 4/2014, che si poggia, per i motivi
sopra riportati, su falsa ed errata rappresentazione; Che è
preminente l’interesse pubblico da tutelare e che le opere
sono poco più che allo stadio di mera configurazione del
cantiere;”.
3. Ciò premesso, le censure complessivamente articolate
avverso il provvedimento impugnato sono così compendiabili:
a) quanto alla ritenuta illegittimità del permesso di costruire, va
evidenziato, da un lato, “che è stata depositata presso
il Comune fotogramma dell’I.G.M. (Istituto Geografico
Militare, ndr.) risalente addirittura al 1974 dalla quale si
evince che il fabbricato esisteva a quella data e pertanto,
è falso affermare che il fabbricato non esisteva alla data
del 1981” e, dall’altro, che, in forza della
documentazione più volte depositata presso la sede comunale,
è stato dimostrato che “l’immobile non ricade in zona H2
e pertanto nessun vincolo esiste”;
b) il “provvedimento impugnato è certamente carente dei
presupposti di fatto e di diritto in quanto si fonda su
motivi superati dalla medesima amministrazione nel corso di
una istruttoria lunga (durata circa due anni!) conclusasi
con il rilascio del permesso di costruire originariamente
legittimo”;
c) nella fattispecie “non è rinvenibile alcuna falsa
rappresentazione della realtà fattuale, svolta da parte
ricorrente ed idonea a trarre in inganno l’amministrazione
nello svolgimento della propria attività di controllo e di
valutazione”;
d) “nel provvedimento finale di annullamento del titolo edilizio
de quo, l’amministrazione comunale non ha provveduto alla
analitica confutazione delle osservazioni presentate dal
ricorrente”;
e) in violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 e del
dovere di motivazione, l’amministrazione comunale non ha
dato conto, nel corredo motivazionale dell’atto di
autotutela, dell’interesse pubblico specifico alla rimozione
del titolo edificatorio, ritenuto prevalente sul
contrapposto interesse privato consolidatosi nel tempo.
In particolare, nella specie “il provvedimento di
autotutela emanato, in primo luogo, ha omesso di specificare
in quale modo la trasformazione edilizia avrebbe inciso
negativamente sull’ambiente e sull’assetto urbanistico del
territorio, effettuando unicamente un generico richiamo agli
interessi pubblici prevalenti, senza svolgere un’attenta
disamina della situazione di fatto concernente l’area in
questione. In ogni caso, l’Amministrazione non ha in alcun
modo valutato, nel processo comparativo delle situazioni
giuridiche coinvolte nel procedimento, l’affidamento
ingenerato nel ricorrente, con il rilascio del permesso de
quo, che ha comportato la completa demolizione (nell’anno e
mezzo intercorso dal rilascio), del manufatto oggetto di
intervento”;
f) l’annullamento d’ufficio è stato disposto dopo circa due anni
dal rilascio del permesso di costruire, ossia oltre il
termine massimo di intervento, pari a 18 mesi, previsto
dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, come
recentemente modificato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n.
1), della legge n. 124/2015.
Tutte le prefate censure non meritano condivisione per le
ragioni di seguito esplicitate.
4. A differenza di quanto dedotto dal ricorrente, non è
seriamente controvertibile che il permesso di costruire
fosse stato rilasciato sul falso ed erroneo presupposto
della preesistenza del fabbricato da demolire al 1967, cioè
all’epoca a partire dalla quale sarebbe stato necessario in
ogni caso che l’attività edificatoria in ambito comunale
fosse assistita dal corrispondente titolo edilizio.
Né convince in senso opposto l’invocato fotogramma
dell’I.G.M. risalente al 1974. Al riguardo, è sufficiente
richiamare gli esiti degli accertamenti compiuti dal CTU,
come illustrati nella sua relazione tecnica, che il Collegio
condivide e fa propri ritenendoli frutto di approfondita e
scrupolosa attività valutativa: “Per l’anno 1981,
l’indagine presso i suddetti Enti deputati al controllo del
territorio ha accertato a tale data l’esistenza della sola
aerofotogrammetria anno 1981, che è stata acquisita dallo
scrivente presso l’U.T.C. del Comune di Quarto nel corso
dell’accesso del 06/06/2016.
Da tale cartografia (All. n. 3) non si evince l’esistenza
dell’immobile oggetto di ricorso (vedi area cerchiata in
rosso). Al fine di facilitare la comprensione del corretto
inquadramento spaziale degli edifici presenti
nell’aerofotogrammetria anno 1981, si è ritenuto utile
allegare lo stralcio aerofotogrammetrico anno 1994 (All. n.
4.1) ed il relativo fotogramma levata aerea 30/11/1994 (All.
n. 4.2) –acquisiti presso il Comune di Quarto– dove risulta
particolarmente evidente la posizione dell’immobile oggetto
di ricorso ed il posizionamento degli edifici limitrofi allo
stesso. Su tali documenti gli immobili seguono la medesima
numerazione precedentemente assegnata.
Inoltre, poiché l’aerofotogrammetria del 1981 è stata
contestata dalla parte ricorrente, lo scrivente ha ricercato
altra documentazione con date prossime a quella del 1981. In
conseguenza di tale indagine il CTU ha acquisito, con
protocollo n. 0387097 del 07/06/2016 presso il SIT della
Regione Campania, il fotogramma n. 0182 relativo al volo
anno 1985 (All. n. 5). Da quest’ultimo risulta, in modo
chiaro (vedi area cerchiata in rosso), l’inesistenza
dell’immobile oggetto di ricorso alla data del 1985.
Per l’anno 1974, accertata l’assenza di altra documentazione
presso gli Enti deputati al controllo del territorio, lo
scrivente ha richiesto all’I.G.M. (Istituto geografico
militare) un ingrandimento del fotogramma volo 1974 relativo
all’area oggetto di ricorso (All. n. 6).
Da un’approfondita analisi del fotogramma, raffrontandola
anche con il fotogramma levata aerea 30/11/1994 (All. n.
4.2) e con gli aerofotogrammetrici del 1981 (All. n. 3) e
del 1994 (All. n. 4.1), l’immobile oggetto di ricorso non
risulta presente. Infatti, l’immobile che il ricorrente
cerchia nel medesimo fotogramma I.G.M. 1974, allegato agli
atti di causa, non può essere l’edificio oggetto di
demolizione sia per le dimensioni (molto più piccole), che
per la collocazione quasi in asse con la linea di
riferimento, costruita dallo scrivente, che parte dal lato
sinistro dell’immobile individuato con il n. 2.
L’immobile indicato dal ricorrente sembrerebbe corrispondere
al più esterno dei piccoli manufatti contraddistinti con i
numeri 4/5 nell’All. n. 3. Invece, come si evince sia dal
fotogramma levata aerea 30/11/1994 che dallo stralcio
aerofotogrammetrico anno 1994, acquisiti presso il Comune di
Quarto, l’immobile oggetto di ricorso risulta tutto spostato
sulla sinistra rispetto all’edificio inquadrato con il n. 2
(vedi linea di riferimento – Allegati nn. 4.1 e 4.2) e molto
più grande.”.
4.1 Discende dalle superiori osservazioni che resiste alle
critiche attoree il primo motivo di illegittimità del
permesso di costruire individuato nell’atto di autotutela,
atteso che si palesa assolutamente plausibile la riscontrata
inesistenza del fabbricato oggetto di demolizione al 1981
(ed addirittura al 1985) nonché, a maggior ragione, al 1967,
a fronte, peraltro, della sostanziale convergenza in senso
negativo degli stralci aerofotogrammetrici detenuti dagli
enti territoriali con il fotogramma dell’I.G.M. del 1974.
4.2 Quanto sopra esposto riveste carattere assorbente ed
esime il Collegio dall’esaminare la rimanente censura, con
cui parte ricorrente intende contestare l’ordinanza
impugnata in ordine al profilo motivazionale
dell’illegittimità del permesso di costruire per mancato
rispetto del vincolo di inedificabilità di cui alla zona H2,
dal momento che comunque l’impianto complessivo
dell’ordinanza risulta validamente sorretto, quanto al
presupposto dell’illegittimità dell’atto da rimuovere,
dall’inesistenza del fabbricato da demolire in epoca
precedente al 1967.
Soccorre, al riguardo, il condiviso principio secondo il
quale,
laddove una determinazione amministrativa di segno
negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna
delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo
autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi
indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il
provvedimento nel suo complesso resti esente
dall’annullamento
(cfr. Consiglio di Stato, A.P., 29.02.2016
n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 06.03.2013 n. 1373 e
27.09.2004 n. 6301; Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.07.2010
n. 4243).
5.
La pur lunga istruttoria che ha condotto al rilascio del
permesso di costruire ha tenuto conto solo del materiale
documentale e tecnico fornito dalla parte privata
richiedente, come pacificamente emerge dalle evidenze
processuali.
Ebbene,
non è sicuramente illogico, né attiene a situazioni
ormai superate dalla pregressa istruttoria, che
l’amministrazione abbia rivisto le proprie precedenti
determinazioni alla luce di una nuova istruttoria frutto di
più approfondite verifiche, che abbiano fatto tesoro di
rilievi e cartografie dotati di maggiore ufficialità.
6.
Certamente il permesso di costruire annullato è stato
emesso all’esito della falsa rappresentazione della realtà
fattuale, indotta dalla parte privata richiedente, circa
l’epoca di costruzione del fabbricato da demolire, dal
momento che è incontestato che la collocazione temporale del
manufatto a data antecedente al 1967 discende da apposita
dichiarazione contenuta nella documentazione a corredo
dell’istanza.
7.
L’obbligo, ex art. 10-bis della legge n. 241/1990, di esame
delle memorie e dei documenti difensivi presentati dagli
interessati nel corso dell’iter procedimentale, non impone
all’amministrazione una formale ed analitica confutazione di
ogni argomento utilizzato dagli stessi, essendo sufficiente,
alla luce dell’art. 3 della legge medesima, un’esternazione
motivazionale che renda nella sostanza percepibile la
ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa
alle deduzioni partecipative dei privati, come puntualmente
avvenuto nella fattispecie (cfr. ex multis Consiglio
di Stato, Sez. VI, 29.05.2012 n. 3210; Consiglio di Stato,
Sez. V, 13.10.2010 n. 7472; TAR Campania Napoli, Sez. III,
08.06.2016 n. 2885; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 15.09.2011
n. 4402).
8. Inoltre,
se è vero, secondo un diffuso e condivisibile
orientamento
(cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV,
24.12.2015 n. 5830; Consiglio di Stato, Sez. VI, 30.09.2015
n. 4552),
che anche in materia edilizia i presupposti del
potere di annullamento d’ufficio sono costituiti
dall’illegittimità originaria del provvedimento e
dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità),
tenuto conto anche delle contrapposte posizioni giuridiche
soggettive consolidate in capo ai privati, è altrettanto
vero che tale principio soffre un’eccezione nel caso in cui
l’operato dell’amministrazione sia stato fuorviato
dall’erronea o falsa rappresentazione dello stato di fatto
posta in essere dal privato al momento della richiesta del
titolo edilizio; invero, in tale ipotesi non occorre una
particolare motivazione sull’interesse pubblico specifico
perseguito in sede di autotutela, di per sé coincidente con
l’implicita esigenza di ripristinare la legalità urbanistico-edilizia fraudolentemente compromessa, così come
perde meritevolezza l’affidamento (non incolpevole) del
privato circa il mantenimento della situazione abusiva,
affidamento da considerare di per sé recessivo di fronte
all’interesse pubblico alla ricostituzione della cornice di
rispetto della disciplina urbanistica violata
(cfr.
Consiglio di Stato, Sez. V, 08.11.2012 n. 5691 e 03.08.2012
n. 4440; TAR Toscana, Sez. III, 27.05.2015 n. 825).
8.1 Ebbene,
il caso concreto rientra senza dubbio
nell’esposta ipotesi eccettuativa, se solo si pone mente
alla pacifica circostanza, già illustrata al precedente
paragrafo 6,
che l’annullato permesso di costruire era stato
rilasciato sulla base di una non fedele dichiarazione della
parte richiedente in ordine all’epoca di costruzione del
fabbricato da demolire.
Ne discende che, non essendo individuabile in capo al
ricorrente alcun affidamento giuridicamente apprezzabile,
deve ritenersi correttamente giustificato l’intervento in
autotutela posto in essere dall’amministrazione comunale, la
quale comunque appare aver tenuto in debita considerazione,
pur ritenendole soccombenti atteso lo stato di avanzamento
del cantiere, le contrapposte esigenze private al
mantenimento del titolo edilizio.
9. Infine,
il permesso di costruire annullato è stato emesso
il 28.01.2014, ossia prima dell’entrata in vigore della
legge n. 124/2015, che ha modificato il testo dell’art.
21-nonies della legge n. 241/1990 introducendo il limite
temporale di 18 mesi per procedere all’annullamento
d’ufficio di alcune tipologie di provvedimenti (tra cui gli
atti autorizzativi): ciò depone per l’inapplicabilità al
caso di specie della novella legislativa, che propriamente
si attaglia a tutti i provvedimenti di primo grado emanati
dopo la sua entrata in vigore.
Soccorre, al riguardo, una recente pronuncia in termini
della Sezione, che il Collegio recepisce integralmente
ritenendola preferibile, atteso il persuasivo percorso
argomentativo utilizzato, a qualche orientamento contrario
nel frattempo intervenuto: “È infondata anche la censura
con cui si denuncia la violazione dell’art. 6 della Legge n.
124/2015.
La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma
1, lett. d), n. 1 della predetta legge (“comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento
si sia formato ai sensi dell'articolo 20”), infatti, non ha
carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un
termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe
considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento
effettuato dall’Amministrazione entro 18 mesi, laddove nulla
vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in
autotutela adottato entro il predetto termine.
D’altra parte
nemmeno può attribuirsi ad esso carattere
sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati
precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore
della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con
la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale
della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della
Legge n. 124/2015).
La norma in esame
ha, dunque, sicuramente carattere
innovativo, sicché
si applica soltanto ai provvedimenti
adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora,
tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto
provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non
ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi
antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in
vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale
rigido di annullabilità dell’atto amministrativo– non può
che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di
provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla
vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera
della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela
deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di
secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal
momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività
della norma, non può che essere successivo alla sua entrata
in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado)
(cfr. sul punto questa Sezione, 12.09.2016 n. 4229).”
(Così TAR Campania Napoli, Sez. II, 17.10.2016 n. 4737).
10. In conclusione, resistendo il provvedimento impugnato a
tutte le censure prospettate, il ricorso deve essere
respinto siccome infondato. |
novembre 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
L’atto di rimozione delle D.I.A. si configura
quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato
(revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono
evocabili i principi a presidio dell’esercizio
dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali
postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico,
inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha
verificato la carenza ab origine dei presupposti per
concludere favorevolmente il procedimento di formazione del
titolo edilizio silenzioso.
---------------
In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato, non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
Peraltro le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante
l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune,
dovuta proprio a fatto del privato.
---------------
9a - Anche la denunziata violazione delle regole e dei
principi che governano l’esercizio del potere di autotutela,
ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non
appare meritevole di positiva delibazione.
Si lamenta,
infatti, con dovizia di argomentazioni, che gli atti di
annullamento delle D.I.A. non avrebbero rispettato i dettami
previsti per l’esercizio del potere di autotutela; infatti,
non si sarebbe tenuto conto del tempo trascorso né si
sarebbe effettuato un corretto bilanciamento tra gli
interessi del privato e l’interesse pubblico sotteso al
provvedimento anche in relazione all’avvenuta demolizione
dell’opera in epoca successiva al perfezionamento della
fattispecie tacita di cui alla D.I.A.
Le considerazioni esposte in precedenza dimostrano che la
fattispecie tacita di autorizzazione all’intervento non può
ritenersi formata correttamente perché l’intervento non
poteva essere assentito con mera D.I.A. essendo intervenuta
una vera e propria nuova costruzione.
In definitiva, una volta stabilito che la tipologia di
interventi richiedesse il permesso di costruire, ne deriva,
quale logico corollario, che il procedimento per
silentium non può ritenersi mai perfezionato, avendo un
oggetto del tutto incongruente ed incompatibile con tale
semplificato modulo di formazione del titolo edilizio.
Ne discende che il Comune ben poteva esercitare i propri
poteri sanzionatori sull’opera senza considerare la D.I.A.
che, difettandone i relativi presupposti, non poteva
ritenersi perfezionata (TAR Napoli Campania sez. VI,
10.01.2011, n. 35; Consiglio Stato sez. VI, 05.04.2007, n.
1550; Cassazione penale sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
9b - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione
della norma, frutto di recenti interventi nel senso della
liberalizzazione, consentirebbe al Comune di esercitare i
propri poteri sanzionatori (v. l’art. 19, co. 6-bis, L.
241/1990 secondo cui «restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull’attività
urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni
previste dal decreto del Presidente della Repubblica
06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali»).
9c - Ciò posto, l’atto in esame, pur qualificato quale atto
di autotutela, va inteso correttamente quale atto avente un
sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento
della D.I.A. che resta, pertanto, inefficace.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione
rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti
argomentazioni di parte ricorrente che espressamente fanno
riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
In questa ipotesi dunque l’atto di rimozione delle D.I.A. si
configura quale esito doveroso del procedimento di controllo
attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che
non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio
dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali
postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico,
inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha
verificato la carenza ab origine dei presupposti per
concludere favorevolmente il procedimento di formazione del
titolo edilizio silenzioso.
9d - In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita di
un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse,
consistendo questo nell'interesse della collettività al
rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio
di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato,
sez. IV, 30.07.2012 n. 4300); peraltro le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012
n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante
l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune,
dovuta proprio a fatto del privato.
10 - La reiezione delle censure articolate nei ricorsi
principali rende infondata anche la doglianza di cui ai
motivi aggiunti presentati nel ricorso numero 289/2012.
L’intervento di manutenzione ivi previsto (ed astrattamente
ben assentibile con D.I.A.) è, infatti, strettamente
collegato ai lavori precedenti, correttamente ritenuti
abusivi e, come si è detto in precedenza, è necessario
considerare unitariamente l’insieme di opere poste in essere
al fine di trasformare il cd. Palazzo Lauro in un albergo (TAR Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 14.11.2016 n. 5248 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In relazione alla natura del potere di riesame
straordinario regionale contemplato dall’art. 27 della L.
1150/1942 e oggi dall’art. 39 del d.P.R. 380/2001 è sorto un
obiettivo contrasto giurisprudenziale.
La tesi avallata dalla ricorrente è indubbiamente sostenuta
in giurisprudenza, riconducendo il potere in esame ad
espressione di mera funzione di vigilanza e controllo da
parte dell’autorità sovraordinata. Anche a voler seguire tale
tesi, occorrerebbe giocoforza affermare il carattere
eminentemente officioso del potere, escludendosi l’obbligo
giuridico di provvedere a fronte di istanze volte a
sollecitarlo, a pena di una evidente surrettizia elusione
del termine decadenziale per l’azione di annullamento.
Secondo però altra opzione interpretativa, il potere
di annullamento in questione, pur indubbiamente distinto da
quello esercitabile dal Comune in sede di riesame, deve
essere esercitato alla luce dell’art. 97 Cost. e del
principio di ragionevolezza sulla scorta degli stessi
presupposti ovvero con doverosa valutazione degli interessi
e degli eventuali affidamenti nonché della situazione di
fatto che si viene ad incidere in via straordinaria.
Ritiene il Collegio preferibile tale seconda lettura, specie
alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” all’art. 21-nonies della legge
241 del 1990 (pur “ratione temporis” non direttamente
applicabile) secondo cui seppur limitatamente ai
provvedimenti di “autorizzazione ed attribuzione di vantaggi
economici” è stato rigorosamente delimitato il termine di
esercizio del potere d’annullamento d’ufficio in 18 mesi
dalla emanazione dell’atto.
Tale “ius superveniens” rende sicuramente più stabile la
posizione del soggetto destinatario dell’autorizzazione,
quindi del permesso di costruire quale tipico atto
autorizzatorio il quale può
confidare nella stabilità del rapporto una volta decorso il
suddetto termine perentorio, a differenza del regime
previgente la novella legge 124/2015, laddove la
“ragionevolezza” del termine dava inevitabilmente adito -per l’indeterminatezza ed elasticità del parametro- ad
interpretazioni del tutto difformi, in danno della stessa
certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Tanto che in materia edilizia una parte della giurisprudenza
individuava tale termine ragionevole, per analogia, proprio
nel decennio stabilito dal citato art. 39 o addirittura
opinava nel senso della inesauribilità del potere di
annullamento comunale dei titoli abilitativi in
considerazione della natura di illecito permanente.
A fronte di tale innovativa disciplina non ritiene a maggior
ragione il Collegio plausibile opinare nel senso voluto
dalla ricorrente.
Infatti, proprio l’esaminata maggior esigenza di stabilità e
di tutela dell’affidamento del destinatario del
provvedimento di autorizzazione non può dirsi compatibile
con un potere di riesame regionale di stretta legalità, del
tutto avulso dalla situazione di fatto che si viene ad
incidere in via straordinaria.
E’ vero che l’art. 39 del
Testo Unico prevede un termine temporale assai più ampio
(dieci anni), tuttavia tale maggior estensione, a fortiori,
deve contemperarsi con i criteri conformativi delineati
dall’art. 21-nonies, non essendo più predicabile -o
quantomeno essendo assai dubbia- la permanenza nel nostro
ordinamento di ipotesi di interesse pubblico “in re ipsa” in
grado di giustificare in via del tutto autonoma il potere di
riesame.
E’ poi irrilevante la non applicabilità “ratione temporis”
della legge 124 del 2015 dal momento che essa, in ogni caso,
rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema
degli interessi rilevanti.
Si impone inoltre una interpretazione comunitariamente
orientata del potere di annullamento straordinario, poiché
la eccezionale maggior ampiezza del termine deve
contemperarsi con il principio di derivazione comunitaria di
tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.
---------------
6. - Venendo al secondo ricorso (RG 106/2014), ad avviso
della difesa della ricorrente l’annullamento straordinario
previsto dall’art. 39 del Testo Unico in materia edilizia
risulterebbe unicamente finalizzato ad assicurare il
rigoroso rispetto della legalità nel campo
urbanistico-edilizio, senza effettuare alcuna comparazione
tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità
violata con l’affidamento del privato, tipica del potere di
autotutela con funzione di riesame come oggi codificato
dall’art. 21-nonies della legge 241 del 1990 e s.m..
Sarebbe
per tanto del tutto improprio il riferimento operato nel
diniego impugnato a tale ultima norma e del tutto non dovuto
il bilanciamento dei contrapposti interessi ed in primis di
quello vantato dalla Ba.Co. s.r.l. in merito
alla apparente legittimità della ristrutturazione
effettuata.
7. - Non ritiene il Collegio di poter aderire alle pur
suggestive considerazioni articolate dalla difesa della
ricorrente.
8. - In relazione alla natura del potere di riesame
straordinario regionale contemplato dall’art. 27 della L.
1150/1942 e oggi dall’art. 39 del d.P.R. 380/2001 (nonché
dall’omologo art. 11 della L.R. 21/2004) è sorto un
obiettivo contrasto giurisprudenziale.
La tesi avallata dalla ricorrente è indubbiamente sostenuta
in giurisprudenza, riconducendo il potere in esame ad
espressione di mera funzione di vigilanza e controllo da
parte dell’autorità sovraordinata (Consiglio di Stato sez.
IV, 20.02.1998, n. 315; id. sez. IV, 09.09.2009,
n. 5409; id. sez. IV, 08.11.2013, n. 32; TAR Lazio
sez. I, 23.05.2014, n. 5521). Anche a voler seguire tale
tesi, occorrerebbe giocoforza affermare il carattere
eminentemente officioso del potere, escludendosi l’obbligo
giuridico di provvedere a fronte di istanze volte a
sollecitarlo, a pena di una evidente surrettizia elusione
del termine decadenziale per l’azione di annullamento (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 27.04.2005, n. 1947).
Secondo però altra opzione interpretativa, il potere di
annullamento in questione, pur indubbiamente distinto da
quello esercitabile dal Comune in sede di riesame, deve
essere esercitato alla luce dell’art. 97 Cost. e del
principio di ragionevolezza sulla scorta degli stessi
presupposti ovvero con doverosa valutazione degli interessi
e degli eventuali affidamenti nonché della situazione di
fatto che si viene ad incidere in via straordinaria (ex multis TAR Liguria sez. I, 13.01.2015, n. 79;
Consiglio di Stato sez. VI, 02.09.2013, n. 4352).
Ritiene il Collegio preferibile tale seconda lettura, specie
alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” all’art. 21-nonies della legge
241 del 1990 (pur “ratione temporis” non direttamente
applicabile) secondo cui seppur limitatamente ai
provvedimenti di “autorizzazione ed attribuzione di vantaggi
economici” è stato rigorosamente delimitato il termine di
esercizio del potere d’annullamento d’ufficio in 18 mesi
dalla emanazione dell’atto.
Tale “ius superveniens” rende sicuramente più stabile la
posizione del soggetto destinatario dell’autorizzazione,
quindi del permesso di costruire quale tipico atto
autorizzatorio (Corte Cost. sent. n. 5/1980) il quale può
confidare nella stabilità del rapporto una volta decorso il
suddetto termine perentorio, a differenza del regime
previgente la novella legge 124/2015, laddove la
“ragionevolezza” del termine dava inevitabilmente adito -per l’indeterminatezza ed elasticità del parametro- ad
interpretazioni del tutto difformi, in danno della stessa
certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Tanto che in materia edilizia una parte della giurisprudenza
individuava tale termine ragionevole, per analogia, proprio
nel decennio stabilito dal citato art. 39 (TAR Lombardia
Brescia sez. I, 05.04.2013, n. 34) o addirittura opinava
nel senso della inesauribilità del potere di annullamento
comunale dei titoli abilitativi in considerazione della
natura di illecito permanente (Consiglio di Stato sez. VI,
23.02.2012, n. 1041).
A fronte di tale innovativa disciplina non ritiene a maggior
ragione il Collegio plausibile opinare nel senso voluto
dalla ricorrente.
Infatti, proprio l’esaminata maggior esigenza di stabilità e
di tutela dell’affidamento del destinatario del
provvedimento di autorizzazione non può dirsi compatibile
con un potere di riesame regionale di stretta legalità, del
tutto avulso dalla situazione di fatto che si viene ad
incidere in via straordinaria.
E’ vero che l’art. 39 del
Testo Unico prevede un termine temporale assai più ampio
(dieci anni), tuttavia tale maggior estensione, a fortiori,
deve contemperarsi con i criteri conformativi delineati
dall’art. 21-nonies, non essendo più predicabile -o
quantomeno essendo assai dubbia- la permanenza nel nostro
ordinamento di ipotesi di interesse pubblico “in re ipsa” in
grado di giustificare in via del tutto autonoma il potere di
riesame.
E’ poi irrilevante la non applicabilità “ratione temporis”
della legge 124 del 2015 dal momento che essa, in ogni caso,
rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema
degli interessi rilevanti (così Consiglio di Stato sez. VI,
10.12.2015 n. 5625).
Si impone inoltre una interpretazione comunitariamente
orientata del potere di annullamento straordinario, poiché
la eccezionale maggior ampiezza del termine deve
contemperarsi con il principio di derivazione comunitaria di
tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto
(TAR Umbria,
sentenza 07.11.2016 n. 691 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ottobre 2016 |
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ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Salvi
i casi espressamente previsti dalla legge (in cui è previsto
che il silenzio dell'Amministrazione comporta l'accoglimento
ovvero la reiezione di una istanza), il superamento del
termine massimo di durata di un procedimento comporta le
conseguenze previste dagli artt. 2 e 2-bis della Legge n.
241/1990 (tra le altre, costituisce "elemento di valutazione
della performance individuale" e consente di proporre
innanzi al giudice amministrativo il ricorso avverso il
silenzio dell'Amministrazione), ma di per sé non incide
sulla legittimità del provvedimento conclusivo del
procedimento.
---------------
La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma
1, lett. d), n. 1 della legge 124/2015 (“comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento
si sia formato ai sensi dell'articolo 20”) non ha carattere
interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine
ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare
comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento
effettuato dall’Amministrazione entro 18 mesi, laddove nulla
vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in
autotutela adottato entro il predetto termine.
D’altra parte nemmeno può attribuirsi ad esso carattere
sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati
precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore
della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con
la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale
della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della
Legge n. 124/2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere
innovativo, sicché si applica soltanto ai provvedimenti
adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora,
tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto
provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non
ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi
antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in
vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale
rigido di annullabilità dell’atto amministrativo- non può
che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di
provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla
vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera
della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela
deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di
secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal
momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività
della norma, non può che essere successivo alla sua entrata
in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado).
---------------
L’errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella
domanda di permesso a costruire costituisce ragione
determinante e sufficiente a giustificare un provvedimento
di annullamento del rilasciato titolo edilizio, in
considerazione del fatto che ogni provvedimento
amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione
di fatto e di diritto realmente esistente al momento della
sua adozione.
In sostanza, nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica, atteso che «in sede di adozione di
un atto in autotutela, la comparazione tra interesse
pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui
l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di
valutazione dovuti all'amministrazione, non già quando lo
stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che
hanno indotto in errore l'autorità amministrativa».
Invero, il Collegio ritiene di condividere quel prevalente
orientamento giurisprudenziale secondo il quale, quando
l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea
rappresentazione della realtà in capo all’Amministrazione
procedente per come causata dal comportamento del
richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse
pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell’atto può
ritenersi sussistente in re ipsa, non opponendosi a ciò
posizioni di interesse del privato degne di particolare
tutela.
D’altronde, avendo parte ricorrente omesso nell’istanza di
sanatoria di dichiarare l’esistenza dell’atto unilaterale
d’obbligo –anzi si era affermata la “piena disponibilità”
dei portici in questione- nel caso concreto si è
materializzato un errore sulla rappresentazione della realtà
causato dalla parte privata; ora è pacifico che
l'Amministrazione ha sempre la piena facoltà di verificare
la veridicità del dichiarato ai sensi dell’art. 71 del DPR
n. 445/2000, in quanto, in ragione della finalità
semplificatoria che l'istituto persegue, il contenuto
dell'autocertificazione resta sempre necessariamente esposto
alla prova contraria; una volta che l'Amministrazione abbia
acquisito la certezza della non veridicità del dichiarato,
ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, nella
corretta e doverosa applicazione del principio generale di
buona amministrazione.
La peculiarità del presupposto a base della contestata
determinazione, siccome riconnesso alla accertata falsità
delle dichiarazioni sulle quali si fonda il rilascio dei
titoli edilizi oggetto di autotutela, fa sì che la sua
natura vada riguardata in termini di doverosità che non
offre quindi spazi alla discrezionalità naturalmente
riflessa nell’adozione di atti di secondo grado; da tanto
consegue sia il ridimensionamento dell’onere motivazionale,
sia la riespansione del principio di dequotazione dei vizi
formali attesa la sostanziale inutilità dell’obliterato
apporto partecipativo.
---------------
3.2 Ora non ha pregio il motivo con cui si lamenta la
violazione dell'art. 2 della Legge n. 241/1990 per
superamento del termine massimo di durata del procedimento:
salvi i casi espressamente previsti dalla legge (in cui è
previsto che il silenzio dell'Amministrazione comporta
l'accoglimento ovvero la reiezione di una istanza), il
superamento del termine massimo di durata di un procedimento
comporta le conseguenze previste dagli artt. 2 e 2-bis della
Legge n. 241/1990 (tra le altre, costituisce "elemento di
valutazione della performance individuale" e consente di
proporre innanzi al giudice amministrativo il ricorso
avverso il silenzio dell'Amministrazione), ma di per sé non
incide sulla legittimità del provvedimento conclusivo del
procedimento (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 18.05.2016
n. 2019).
3.3 È infondata anche la censura con cui si denuncia la
violazione dell’art. 6 della Legge n. 124/2015.
La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma
1, lett. d), n. 1 della predetta legge (“comunque non
superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di
vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento
si sia formato ai sensi dell'articolo 20”), infatti, non
ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro
un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si
dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole”
l’autoannullamento effettuato dall’Amministrazione entro 18
mesi, laddove nulla vieta di ritenere irragionevole anche un
provvedimento in autotutela adottato entro il predetto
termine.
D’altra parte nemmeno può attribuirsi ad esso carattere
sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati
precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore
della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con
la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale
della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della
Legge n. 124/2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere
innovativo, sicché si applica soltanto ai provvedimenti
adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora,
tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto
provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non
ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi
antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in
vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale
rigido di annullabilità dell’atto amministrativo- non può
che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di
provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla
vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera
della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela
deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto
di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal
momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività
della norma, non può che essere successivo alla sua entrata
in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado)
(cfr. sul punto
questa Sezione, 12.09.2016 n. 4229).
3.4 Quanto, poi, all’asserita, incongrua motivazione
dell’interesse pubblico sotteso all’annullamento degli atti
di condono ed all’omessa ponderazione degli opposti
interessi, è appena il caso di osservare che l’errata o
insufficiente (non importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella
domanda di permesso a costruire costituisce ragione
determinante e sufficiente a giustificare un provvedimento
di annullamento del rilasciato titolo edilizio, in
considerazione del fatto che ogni provvedimento
amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione
di fatto e di diritto realmente esistente al momento della
sua adozione (cfr., ex multis, TAR Firenze, III,
05.05.2015 n. 825; TAR Milano, III, 12.02.2013 n. 843; TAR
Salerno, II, 29.11.2012 n. 171): ebbene, nel caso di specie,
in sede di richiesta degli atti di condono il Comune è stato
fuorviato -rilasciando le sanatorie- dalla errata
rappresentazione della realtà effettuata dalla società
istante la quale, anziché esplicitare l’esistenza del
vincolo di destinazione d’uso pubblico a cui il porticato
era assoggettato (in virtù di un atto unilaterale d’obbligo
che costituiva, fra l’altro, condicio sine qua non
per il rilascio dei permessi di costruire del 2002), aveva
invece affermato espressamente (e mendacemente) la “piena
disponibilità” del porticato di cui è causa, inducendo
in errore l’Amministrazione che, proprio in funzione di tali
omissioni, rilasciava i titoli edilizi in sanatoria.
In sostanza, nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione
sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione
dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa
motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato
nell’interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (Tar Basilicata, n. 238 del 2006;
Cons. Stato, V, n. 5691 del 2012), atteso che «in sede di
adozione di un atto in autotutela, la comparazione tra
interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in
cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di
valutazione dovuti all'amministrazione, non già quando lo
stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che
hanno indotto in errore l'autorità amministrativa».
Nella fattispecie è pacifica –per come anche relazionato dal
CTU- la mancata indicazione nella istanza di concessione
edilizia in sanatoria dell'esistenza di un atto di vincolo a
destinazione d'uso pubblico del portico rogato dal dott.
Vi.Pu. in data 23/10/2001 e con il quale la “Di.Ca.”
ed il sig. Am.Gi. sottoponevano i porticati al piano terra a
vincolo di destinazione d’uso pubblico, ragion per cui per
il rilascio della sanatoria sarebbe stato necessario
rinegoziare l'atto –avente evidente carattere contrattuale-
di vincolo a destinazione d'uso pubblico precedentemente
sottoscritto dalle parti.
Ora il Collegio ritiene di condividere quel prevalente
orientamento giurisprudenziale (ex multis, TAR
Lombardia, Milano, n. 841 del 2013) secondo il quale, quando
l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea
rappresentazione della realtà in capo all’Amministrazione
procedente per come causata dal comportamento del
richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse
pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell’atto può
ritenersi sussistente in re ipsa, non opponendosi a
ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare
tutela (cfr. Cons. Stato, IV, 28.05.2012 n. 3150;
24.12.2008, n. 6554).
D’altronde, avendo parte ricorrente omesso nell’istanza di
sanatoria di dichiarare l’esistenza dell’atto unilaterale
d’obbligo –anzi si era affermata la “piena disponibilità”
dei portici in questione- nel caso concreto si è
materializzato un errore sulla rappresentazione della realtà
causato dalla parte privata; ora è pacifico (TAR Campania,
Salerno, n. 171 del 2013) che l'Amministrazione ha sempre la
piena facoltà di verificare la veridicità del dichiarato ai
sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000, in quanto, in
ragione della finalità semplificatoria che l'istituto
persegue, il contenuto dell'autocertificazione resta sempre
necessariamente esposto alla prova contraria; una volta che
l'Amministrazione abbia acquisito la certezza della non
veridicità del dichiarato, ha il dovere di trarne le
necessarie conseguenze, nella corretta e doverosa
applicazione del principio generale di buona amministrazione
(ex multis, Cons. Stato, VI, 11.05.2011, n. 2781; IV,
06.11.2009, n. 6948).
La peculiarità del presupposto a base della contestata
determinazione, siccome riconnesso alla accertata falsità
delle dichiarazioni sulle quali si fonda il rilascio dei
titoli edilizi oggetto di autotutela, fa sì che la sua
natura vada riguardata in termini di doverosità che non
offre quindi spazi alla discrezionalità naturalmente
riflessa nell’adozione di atti di secondo grado; da tanto
consegue sia il ridimensionamento dell’onere motivazionale,
sia la riespansione del principio di dequotazione dei vizi
formali attesa la sostanziale inutilità dell’obliterato
apporto partecipativo
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 17.10.2016 n. 4737 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Secondo
il prevalente indirizzo giurisprudenziale,
si giustifica l’annullamento di titoli
edilizi quando questi siano stati rilasciati
in base ad un’errata rappresentazione della
realtà da parte del richiedente (non importa
se dolosa o colposa): fattispecie in cui la
potestà sanzionatoria può esplicarsi senza
che sia necessaria una specifica motivazione
circa la prevalenza dell’interesse pubblico,
dal momento che ogni provvedimento
amministrativo è legittimo solo se fondato
sulla situazione di fatto e di diritto
effettivamente esistente al momento della
sua adozione.
---------------
La (mera) erroneità della progettazione
comporta, ai fini dell’annullamento del
titolo edilizio formatosi sulla DIA:
a) l’esplicitazione dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche “che hanno determinato la
decisione dell’Amministrazione, in relazione
alle risultanze dell’istruttoria”, come
previsto dall’art. 3 della legge 241/1990;
b) la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel
procedimento, vale a dire le ragioni di
interesse pubblico e gli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, che
l’art. 21-nonies della legge 241/1990 pone
come parametro di valutazione della
legittimità dell’esercizio del potere di
autotutela.
---------------
Nella specie vi è stata una violazione dei
principi che regolano l’esercizio
dell’autotutela amministrativa, ma anche del
principio di proporzionalità, la quale “non
deve essere considerata come un canone
rigido ed immodificabile, ma si configura
quale regola che implica la flessibilità
dell’azione amministrativa ed, in ultima
analisi, la rispondenza della stessa alla
razionalità ed alla legalità”.
---------------
Le ragioni opposte dal comune contrastano
con il prevalente orientamento della
giurisprudenza, secondo cui “l’esercizio del
potere di annullamento d’ufficio di un
titolo edilizio deve rispondere ai requisiti
di legittimità codificati nell’art.
21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241
ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità
originaria del titolo e nell’interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della
legalità, comparato con i contrapposti
interessi dei privati”.
---------------
Il ricorso è fondato e va, pertanto,
accolto, nei termini che seguono.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto
che pur avendo commesso un errore
progettuale (“quello di ritenere che
l’area esterna ceduta fosse in diritto di
superficie anziché ceduta in proprietà”,
cfr. nota del 13.2.2012), nondimeno non
sarebbe ravvisabile una difforme
rappresentazione nelle tavole di progetto,
né l’Amministrazione avrebbe tempestivamente
contestato tale lacuna, così riuscendo a
impedire che, a causa della persistenza di
tale errore, il corsello di manovra del
parcheggio venisse realizzato –come in
effetto è accaduto– in corrispondenza di
un’area ceduta al Comune di Seregno.
Tale motivo può essere esaminato
congiuntamente al secondo, con cui si è
dedotto che “il provvedimento impugnato
(…) è palesemente stato assunto in difetto
dei presupposti stabiliti dalla legge per
l’annullamento di ufficio” (cfr. pag.
18).
Reputa il Collegio che tali censure siano
fondate, e ciò, anzitutto, alla luce
dell’esplicita ammissione del dirigente del
servizio (costituente circostanza
incontestata tra le parti ai sensi dell’art.
64, comma 2, del codice del processo
amministrativo), il quale nell’impugnato
provvedimento ha chiarito come “il
corsello sia stato rappresentato come poi
realizzato e cioè proprio sotto una parte
dell'area comunale”.
È, in sostanza, provato che la progettazione
elaborata dalla società ricorrente, pur
essendo deficitaria, non abbia, però, dato
luogo ad “alcun problema di opere
realizzate difformemente rispetto a quanto
autorizzato, né di falsa o errata
rappresentazione negli atti” (cfr. pag.
10 del ricorso).
Il che prefigura una valutazione tecnica
erronea, situazione non assimilabile a
quella che, secondo il prevalente indirizzo
giurisprudenziale, giustifica l’annullamento
di titoli edilizi quando questi siano stati
rilasciati in base ad un’errata
rappresentazione della realtà da parte del
richiedente (non importa se dolosa o
colposa): fattispecie in cui la potestà
sanzionatoria può esplicarsi senza che sia
necessaria una specifica motivazione circa
la prevalenza dell’interesse pubblico, dal
momento che ogni provvedimento
amministrativo è legittimo solo se fondato
sulla situazione di fatto e di diritto
effettivamente esistente al momento della
sua adozione (cfr. Consiglio di Stato, sez.
IV, 27.08.2012, n. 4619; id., sez. IV,
24.12.2008, n. 6554).
Nella motivazione dell’impugnato
provvedimento, invece, l’Amministrazione ha
precisato, da un lato, che la società
ricorrente avrebbe elaborato una “non
esauriente rappresentazione dell’area di
proprietà”, salvo, dall’altro,
contestualmente ammettere che il corsello
sia stato progettato (oltre che realizzato)
al di sotto dell’area ceduta in proprietà al
Comune.
Come ha recentemente chiarito il Consiglio
di Stato, “l’errore tecnico (…),
inficiando la validità della d.i.a., avrebbe
consentito all’Amministrazione di
intervenire sul titolo, adottando un
provvedimento inibitorio/ripristinatorio o
entro il termine di decadenza previsto
dall’art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001, n.
380, oppure, scaduto infruttuosamente tale
termine, soltanto ricorrendo le condizioni
alle quali l’art. 21-nonies della legge
07.08.1990, n. 241, subordina l’esercizio
del potere di autotutela” (cfr.
Consiglio di Stato, sez. VI, 31.08.2016, n.
3762).
Nel caso di specie, l’impugnato
provvedimento è stato unicamente motivato
sulla “falsa attestazione di conformità
delle opere”: profilo inidoneo a
sostanziare l’esercizio del potere di
autotutela, potendo, invece, risultare
esiziale ai sensi dell’art. 23, comma 6, del
DPR 380/2001 per il deferimento del
professionista all’autorità giudiziaria e al
consiglio dell'ordine di appartenenza.
Invero, la (mera) erroneità della
progettazione avrebbe dovuto imporre, ai
fini dell’annullamento del titolo edilizio
formatosi sulla DIA n. 506/2008:
a) l’esplicitazione dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche “che hanno determinato la
decisione dell’Amministrazione, in relazione
alle risultanze dell’istruttoria”, come
previsto dall’art. 3 della legge 241/1990;
b) la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel
procedimento, vale a dire le ragioni di
interesse pubblico e gli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, che
l’art. 21-nonies della legge 241/1990 pone
come parametro di valutazione della
legittimità dell’esercizio del potere di
autotutela.
Nulla di tutto ciò è, però, ravvisabile
nell’impugnato provvedimento.
Né in contrario può rilevare la sussistenza,
eccepita dal Comune di Seregno, di un “interesse
pubblico, concreto ed ancora attuale alla
conservazione del patrimonio comunale,
comprensivo delle aree destinate a verde
pubblico e parcheggi pubblici” (cfr.
pag. 11 della memoria del 29.07.2016).
Si tratta di un pregiudizio potenziale e
indimostrato, mentre è stato provato in
corso di causa che la paventata lesione
sarebbe circoscritta all’occupazione
dell’area interrata (per l’estensione di
circa 100 mq.).
Va, inoltre, osservato che mentre nella
comunicazione di avvio del procedimento
(25.01.2012) si è fatto espresso riferimento
all’adozione di “successivi provvedimenti
atti a ripristinare lo stato dei luoghi”,
tale comminatoria non è stata, poi, trasfusa
nel provvedimento finale: il che non
consente neppure di comprendere quale sia,
ad oggi, la posizione dell’Amministrazione
circa la possibilità di prendere in esame la
cessione a titolo oneroso dell’area
illegittimamente occupata dalla società
ricorrente, soluzione proposta a fini
transattivi per la salvaguardia delle opere
nel frattempo ultimate.
Alla luce delle concrete circostanze emerse
in giudizio e della possibilità di rimediare
all’errore progettuale, si può, pertanto,
affermare che nella specie vi sia stata una
violazione dei principi che regolano
l’esercizio dell’autotutela amministrativa,
ma anche del principio di proporzionalità,
la quale “non deve essere considerata
come un canone rigido ed immodificabile, ma
si configura quale regola che implica la
flessibilità dell’azione amministrativa ed,
in ultima analisi, la rispondenza della
stessa alla razionalità ed alla legalità”
(cfr. Consiglio di Stato, sez. IV,
26.02.2015, n. 964).
È, conseguentemente, fondato anche il terzo
motivo del ricorso principale (riproposto
nei motivi aggiunti), con cui la ricorrente
ha dedotto il concorso colposo
dell’Amministrazione comunale per non aver
quest’ultima efficacemente esaminato le
tavole progettuali, essendosi appurato che
l’errore progettuale fosse palese e quindi
tempestivamente riparabile, mentre la prima
misura adottata dall’Amministrazione è
consistita nell’emissione dell’ordinanza n.
217 del 21.10.2011, con cui si è disposta la
sospensione dei lavori.
Il provvedimento impugnato con il ricorso
per motivi aggiunti è, poi, riconducibile a
un profilo connesso, nel senso che, come
esposto dalla difesa dell’Amministrazione
comunale, “il locale tecnico previsto fin
dalla DIA del 2008 risultava (…) ampliato
nelle sue dimensioni al fine di “ospitare”
l’impianto di teleriscaldamento, il tutto
realizzato sempre al di sotto dell’area
pubblica” (cfr. pag. 3 della memoria del
29.07.2016).
Dall’esame degli atti è pacificamente emerso
che l’impianto di teleriscaldamento non è
stato previsto nel piano di lottizzazione,
trattandosi di un’opera programmata a
servizio dei residenti delle unità abitative
realizzate dalla società ricorrente.
È, però, accaduto che la stessa ricorrente
in data 09.05.2012 e il Comune di Seregno in
data 05.06.2012 hanno richiesto alla Ge.
s.r.l. (società partecipata
dall’Amministrazione per la gestione del
servizio energetico) dei chiarimenti in
ordine alla situazione determinatasi in
conseguenza dell’installazione del sopra
citato impianto in un’area di proprietà
comunale.
In riscontro a tali richieste la partecipata
del Comune, con nota dell’11.06.2012, ha
comunicato:
a) che “l’eventuale rimozione del citato locale tecnico e il
conseguente spostamento della rete di
teleriscaldamento in questione
determinerebbe inevitabilmente
l’interruzione -per tutta la durata dei
lavori a ciò necessari- di un servizio di
pubblica utilità, la cui prestazione deve
essere svolta senza soluzione di continuità,
pena la produzione di evidenti disservizi e
disagi nei confronti della collettività
servita da tale attività tesa a soddisfare
primarie esigenze sociali”;
b) di aver in precedenza concluso degli specifici accordi con la
società ricorrente “in merito alla
collocazione delle due centrali termiche a
servizio del territorio, (…) assunti al fine
di minimizzare i costi di allacciamento
praticabili nei confronti dell'utenza
finale. In tale prospettiva, va rilevato che
i due locali tecnici, uno a servizio del
corpo principale di fabbrica e l'altro a
servizio della palazzina costruita per
essere successivamente ceduta
all'amministrazione comunale, risultano
praticamente prospicienti. Al contrario,
qualora la centrale fosse stata posizionata
sul lato ovest anziché sul lato est del
fabbricato, ci sarebbe stato un aggravio di
costi dovuto a maggiore estensione della
rete”;
c) che lo spostamento della stazione di teleriscaldamento non
potrebbe che essere subordinato al
preventivo assenso dall’Amministrazione, “trattandosi
(…) di attività e oneri non riconducibili
alla competenza e alla responsabilità”
della stessa Ge.;
d) che in occasione della realizzazione della rete di
teleriscaldamento sono state fornite alla
società ricorrente delle “indicazioni
allo scopo di consigliare la possibilità di
accedere al locale da pubblica via per
evitare, in caso di emergenza, di dover
intervenire in proprietà privata”;
e) che, ancora, “le dimensioni del locale tecnico ubicato nel
sottosuolo sono quelle indicate dai
progettisti di Ge. s.r.l., risultando
peraltro le stesse più ampie rispetto a
quelle indicate in origine alla scrivente
società. A tal ultimo proposito, si segnala
che la richiesta di incrementare le
dimensioni del predetto locale è legata a
valutazioni relative alla necessità di
collocare in loco n° 2 sottostazioni di
scambio termico, oltre all'esigenza di
assicurare la possibilità di effettuare in
sicurezza future attività manutentive”.
Nell’impugnato provvedimento si è, però,
sostenuto che le precisazioni espresse dalla
società Ge. “non paiono pertinenti né
valgono a superare la rilevata difformità
del progetto al P.L. approvato”, tenuto
conto che “le opere difformi sono state
eseguite su proprietà comunale e ne
impediscono il pieno godimento”.
Ad avviso del Collegio, neppure la
motivazione del provvedimento di parziale
annullamento del permesso di costruire n.
14/2009 –similmente a quanto rilevato con
riguardo al provvedimento impugnato con il
ricorso principale– è espressiva di una
congrua ponderazione degli interessi
coinvolti, soprattutto in ragione delle
puntuali osservazioni tecniche contenute
nella sopra citata comunicazione della Ge.,
nella quale, all’opposto, è stata
prospettata la tutela di rilevanti interessi
pubblici (sicurezza degli impianti, garanzia
del pubblico servizio di riscaldamento).
Va, quindi, ritenuto che le ragioni opposte
dal Comune di Seregno contrastino con il
prevalente orientamento della
giurisprudenza, secondo cui “l’esercizio
del potere di annullamento d’ufficio di un
titolo edilizio deve rispondere ai requisiti
di legittimità codificati nell’art.
21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241
ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità
originaria del titolo e nell’interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della
legalità, comparato con i contrapposti
interessi dei privati” (cfr. Consiglio
di Stato, sez. III, 09.05.2012, n. 2683)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 11.10.2016 n. 1833 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
agosto 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ancora
di recente qualificata giurisprudenza di
primo grado ha confermato che "in materia di
annullamento d’ufficio di titoli edilizi
(nella specie, un’attestazione di conformità
in sanatoria), nei casi in cui l’operato
dell’Amministrazione sia stato fuorviato
dalla erronea o falsa rappresentazione dei
luoghi, non occorre una specifica ed
espressa motivazione sull’interesse
pubblico, che va individuato nell’interesse
della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
Invero, come è noto, la
giurisprudenza ha tracciato uno spartiacque
–proprio in materia di titoli edilizi– in
punto di esercizio dell’autotutela, ed ha
condivisibilmente ritenuto che laddove
l’errore in cui è incorsa l’amministrazione
procedente fosse stato indotto dalla
condotta dell’istante (e non rileva se tale
condotta fosse dolosa o semplicemente
colposa, preordinata ovvero incolpevole) le
complesse valutazioni di interesse pubblico,
sottese in via di regola all’esercizio dei
poteri di autotutela, non fossero necessarie
(anche perché non vi sarebbe nessun
affidamento qualificato da tutelare).
Il principio, è stato esposto con chiarezza
in una recente decisione che nell’affermare
il principio di diritto secondo cui se il
permesso di costruire è stato ottenuto
dall’interessato in base ad una falsa
rappresentazione della realtà materiale, la
p.a. è doverosamente tenuta ad esercitare il
proprio potere di autotutela, ritirando
l’atto stesso ha chiarito che l’insegnamento
giurisprudenziale prevalente ha individuato
dei casi in cui la discrezionalità della
p.a. in subiecta materia si azzera
vanificando sia l’interesse del destinatario
del provvedimento ampliativo da annullare
sia il tempo trascorso, e ciò si verifica
quando il privato istante abbia ottenuto il
permesso di costruire inducendo in errore
l’Amministrazione attraverso una falsa
rappresentazione della realtà, sicché -anche
tenuto conto dell'’art. 21-octies, comma 2,
della legge 07.08.1990, n. 241 e ss.mm.
(statuente che “…Non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”)- vanno disattese le doglianze di
carattere formale/procedimentale
prospettate.
Questa Sezione, ancor prima, aveva espresso
il convincimento a tenore del quale
“allorquando una concessione edilizia in
sanatoria sia stata ottenuta
dall’interessato in base ad una falsa o
comunque erronea rappresentazione della
realtà materiale, è consentito alla p.a.
esercitare il proprio potere di autotutela
ritirando l’atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di
pubblico interesse, che, in tale ipotesi,
deve ritenersi sussistente in re ipsa”.
---------------
4.1. Invero, muovendo per le già chiarite
ragioni dall’esame del ricorso in appello n.
4785/2012, in ordine logico appare
prioritaria la disamina delle censure
esaminabili.
4.2. A tale proposito si evidenzia che parte
appellata:
a) non ha proposto appello incidentale avverso i capi di sentenza a
sé sfavorevoli;
b) costituendosi in data 31.07.2012 ha dichiarato genericamente di
volere riproporre i motivi non esaminati dal
Tar, non riproponendone il contenuto, né
indicando quali essi fossero;
c) per costante giurisprudenza (tra le tante, Cons. Stato, sez. V,
02.10.2014, n. 4897) nel processo
amministrativo l’esame dei motivi di primo
grado assorbiti è consentito al giudice
d’appello solo se è vi è stata la loro
riproposizione dalla parte interessata, con
la specifica indicazione delle censure che
intende siano devolute alla cognizione del
giudice di secondo grado, all’evidente fine
di consentire a quest’ultimo una compiuta
conoscenza delle relative questioni e, alle
controparti, di contraddire consapevolmente
sulle stesse; di conseguenza un rinvio, ove
indeterminato, alle censure assorbite ed
agli atti di primo grado che le contenevano,
senza precisazione del loro contenuto,
sarebbe inidoneo ad introdurre nel giudizio
d’appello i motivi in tal modo evocati,
trattandosi di formula insufficiente a
soddisfare l’onere di espressa
riproposizione;
d) non ravvisando il Collegio motivi per discostarsi da tale
orientamento, è evidente che l’atto di
costituzione del 31.07.2012 è inidoneo a
riproporre dette censure assorbite e che
pertanto l’unico profilo devoluto alla
cognizione del Collegio è rappresentato
dall’atto di appello proposto dal Comune.
5. Esso è fondato in quanto:
a) si deve muovere dal giudicato formatosi proprio sui capi rimasti
inoppugnati della detta sentenza, laddove il
Tar ha stabilito che è rimasta accertata
l’esistenza di un falso presupposto di fatto
posto a base della concessione
originariamente rilasciata annullata in
autotutela dal Comune con il provvedimento
impugnato;
b) l’esistenza di tale falso presupposto, aveva ingenerato l’errore
del Comune che aveva rilasciato l’atto
ampliativo, e l’errore era stato indotto
dalla parte originaria istante;
c) la sentenza è contraddittoria ed errata, in quanto:
- muoveva dal convincimento, a più riprese
affermato, che l’atto di autotutela
dell’Amministrazione si fondasse su un
caposaldo fattuale e giuridico corretto, in
quanto la concessione ottenuta si fondava su
un presupposto insussistente, e, quindi, su
un dato falsamente rappresentato al Comune
(il termine “falsamente” è qui
utilizzato in termini oggettivi, non
rilevando se ciò sia avvenuto per errore,
superficialità, dolo etc.);
- tanto ciò è vero che ha respinto tutte le
censure proposte dalla originaria parte
ricorrente di primo grado tese ad “aggredire”
tale profilo motivazionale (e, si ripete,
non essendo state articolate censure
incidentali avverso detti capi della
sentenza essi integrano giudicato);
- sennonché, pur muovendo da tali presupposti (e,
per incidens, pur non costituendo
tali profili oggetto di esame diretto, il
Collegio non può fare a meno di rilevare la
persuasività, in parte qua, del
ragionamento del Tar), ha poi del tutto
obliato il condivisibile principio, ancora
di recente affermato da qualificata
giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana,
sez. III, 27.05.2015, n. 825), secondo il
quale “in materia di annullamento
d’ufficio di titoli edilizi (nella specie,
un’attestazione di conformità in sanatoria),
nei casi in cui l’operato
dell’Amministrazione sia stato fuorviato
dalla erronea o falsa rappresentazione dei
luoghi, non occorre una specifica ed
espressa motivazione sull’interesse
pubblico, che va individuato nell’interesse
della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica”.
5.1. Invero, come è noto, la giurisprudenza
ha tracciato uno spartiacque –proprio in
materia di titoli edilizi– in punto di
esercizio dell’autotutela, ed ha
condivisibilmente ritenuto che laddove
l’errore in cui è incorsa l’amministrazione
procedente fosse stato indotto dalla
condotta dell’istante (e non rileva se tale
condotta fosse dolosa o semplicemente
colposa, preordinata ovvero incolpevole) le
complesse valutazioni di interesse pubblico,
sottese in via di regola all’esercizio dei
poteri di autotutela, non fossero necessarie
(anche perché non vi sarebbe nessun
affidamento qualificato da tutelare).
Il principio, è stato esposto con chiarezza
in una recente decisione (TAR Puglia, Lecce,
sez. III, 01.12.2014, n. 2969) che
nell’affermare il principio di diritto
secondo cui se il permesso di costruire è
stato ottenuto dall’interessato in base ad
una falsa rappresentazione della realtà
materiale, la p.a. è doverosamente tenuta ad
esercitare il proprio potere di autotutela,
ritirando l’atto stesso ha chiarito che
(cfr. ex plurimis anche TAR Puglia,
Lecce, sez. I, 04.04.2006, n. 1831)
l’insegnamento giurisprudenziale prevalente
ha individuato dei casi in cui la
discrezionalità della p.a. in subiecta
materia si azzera vanificando sia
l’interesse del destinatario del
provvedimento ampliativo da annullare sia il
tempo trascorso, e ciò si verifica quando il
privato istante abbia ottenuto il permesso
di costruire inducendo in errore
l’Amministrazione attraverso una falsa
rappresentazione della realtà, sicché -anche
tenuto conto dell'’art. 21-octies, comma 2,
della legge 07.08.1990, n. 241 e ss.mm.
(statuente che “…Non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli
atti qualora, per la natura vincolata del
provvedimento, sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto
adottato”)- vanno disattese le doglianze
di carattere formale/procedimentale
prospettate.
Questa Sezione, ancor prima, (Cons. Stato,
sez. IV, 08.01.2013, n. 39) aveva espresso
il convincimento a tenore del quale “allorquando
una concessione edilizia in sanatoria sia
stata ottenuta dall’interessato in base ad
una falsa o comunque erronea
rappresentazione della realtà materiale, è
consentito alla p.a. esercitare il proprio
potere di autotutela ritirando l’atto
stesso, senza necessità di esternare alcuna
particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi
sussistente in re ipsa” (v. capi da 2.1.
a 3 da intendersi richiamati nel presente
elaborato)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 31.08.2016 n. 3735 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
luglio 2016 |
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ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Annullamento in autotutela: il "criterio dei 18 mesi" introdotto dalla legge n. 124/2015 e il principio del "tempus regit actum”.
Nel
caso di rilascio di un permesso a costruire
fondato su una rappresentazione non veritiera
dello stato di fatto da parte del richiedente,
appare evidente la sussistenza di una
situazione permanente “contra ius”, nella quale la preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non occorre una specifica ed esplicita motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare con l’interesse privato, all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione
dell’atto illegittimo va individuato
nell'interesse della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica.
Invero, l'interesse pubblico all'eliminazione
dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re
ipsa” “nelle ipotesi di intervento in
autotutela a fronte di una falsa, infedele,
erronea o comunque inesatta rappresentazione,
dolosa o colposa, della realtà da parte
dell'interessato, risultata rilevante o
decisiva ai fini dell'adozione del
provvedimento ampliativo inciso, essendo il
vizio infirmante quest'ultimo imputabile non
già all'autorità promanante, bensì al privato,
il quale non può, quindi, vantare il proprio
legittimo affidamento nella persistenza di un
beneficio ottenuto attraverso l'induzione in
errore dell'amministrazione.
---------------
Il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione
sulla base del principio "tempus regit actum", che riguarda un provvedimento adottato nel 2012. Semmai, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la
Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012. In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado.
Il profilo di censura attinente alla omessa
analisi della possibilità di adottare atti
diversi dall’annullamento in via di autotutela
(ad esempio, la convalida), sembra poi
travalicare i limiti del controllo giudiziale
di legittimità demandato a questo giudice
amministrativo sconfinando nel merito delle
opzioni riservate all’autorità amministrativa. --------------- 6.4. Anche i motivi di appello sub V) e VI) sono infondati e vanno respinti. 6.4.1. Quanto al motivo dedotto sub V), imperniato essenzialmente su eccesso di potere per carenza di motivazione, omessa ponderazione degli interessi in gioco, esorbitanza del provvedimento di annullamento rispetto alle finalità sue proprie e tardività del disposto annullamento d’ufficio, anzitutto, come si è accennato sopra al p. 6.3., nel caso di rilascio di un permesso a costruire fondato su una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto da parte del richiedente, appare evidente la sussistenza di una situazione permanente “contra ius”, nella quale la preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non occorre una specifica ed esplicita motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare con l’interesse privato, all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione dell’atto illegittimo va individuato nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica: conf., su fattispecie analoghe, riguardanti proprio annullamenti d’ufficio di concessioni edilizie, le sentenze Cons. Stato n. 3150 del 2012 e n. 6554 del 2004, alle quali si rinvia anche ai sensi degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc. amm. . Bene quindi la sentenza impugnata: - ha richiamato la giurisprudenza per la quale l'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l'induzione in errore dell'amministrazione…” (cfr. sent. appellata, p. 4.2.); e - ha rilevato che il Comune, “nel disporre l'avversato annullamento d'ufficio, ha espressamente evidenziato che il De Iu., con la richiesta di realizzazione del parcheggio pertinenziale pervenuta in data
06.06.2007, prot. n. 6367, che ha prodotto il rilascio del permesso di costruire commissariale del
02.10.2008, ha, tra l'altro, dichiarato 'libera' l'area interessata, producendo un'erronea rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio dell'atto autorizzativo edilizio"; stato dei luoghi contrassegnato, come si è detto, da ingenti opere di sbancamento e di fondazione già eseguite. A fronte di (dette opere), ha proseguito il Tar, “il ricorrente, nella domanda di permesso di costruire prot. n. 6367 del
06.06.2007, ha infedelmente o erroneamente rappresentato l'area di sedime come 'libera', così inducendo in errore l'amministrazione procedente circa la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 ai fini dell'applicabilità del regime derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali…”. Inoltre, il contestato annullamento in autotutela, intervenuto circa tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto rilascio del permesso a costruire (anche se pare corretto ricordare che l’avviso di avvio del procedimento è stato comunicato al De Iu. alla fine del mese di marzo del 2012), a differenza di quanto ritiene l’appellante non può considerarsi tardivo. In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, richiamato dal signor De Iu. nella memoria conclusiva, sulla base del principio “tempus regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012. Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la
Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012. In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado (cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni –gennaio 2009/marzo 2005- entro il quale è stato disposto l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012).
Il profilo di censura attinente alla omessa
analisi della possibilità di adottare atti
diversi dall’annullamento in via di autotutela
(ad esempio, la convalida), sembra poi
travalicare i limiti del controllo giudiziale
di legittimità demandato a questo giudice
amministrativo sconfinando nel merito delle
opzioni riservate all’autorità amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.07.2016 n. 3403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'interesse
pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da
considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in
autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o
comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della
realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o
decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo
inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile
non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale
non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento
nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso
l'induzione in errore dell'amministrazione…”.
---------------
Il contestato annullamento in autotutela, intervenuto circa
tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto rilascio del permesso a
costruire, a differenza di quanto ritiene l’appellante non
può considerarsi tardivo.
In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6
della l. n. 124 del 2015, sulla base del principio “tempus
regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie
in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel
2012.
Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere
utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del
d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine
-ragionevole- entro il quale la Regione può annullare
provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi
non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la
normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro
adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso,
quale “parametro temporale” di legittimità e congruità
dell’azione amministrativa di annullamento in via di
autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito
all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in
relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e
annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei
18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al
fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del
termine, la legittimità di un atto di annullamento in
autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il
fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non
veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato
richiedente, la circostanza che tra il rilascio del
“permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento
comunale di annullamento in via di autotutela siano
trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare
il provvedimento impugnato in primo grado.
---------------
... per la riforma della
sentenza 23.05.2013 n. 2724
del TAR CAMPANIA–NAPOLI - SEZ. VIII, resa tra le
parti, concernente annullamento d’ufficio di permesso di
costruire e ordine di ripristino dello stato dei luoghi;
...
6.4.1. Quanto al motivo dedotto sub V), imperniato
essenzialmente su eccesso di potere per carenza di
motivazione, omessa ponderazione degli interessi in gioco,
esorbitanza del provvedimento di annullamento rispetto alle
finalità sue proprie e tardività del disposto annullamento
d’ufficio, anzitutto, come si è accennato sopra al p. 6.3.,
nel caso di rilascio di un permesso a costruire fondato su
una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto da
parte del richiedente, appare evidente la sussistenza di una
situazione permanente “contra ius”, nella quale la
preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non
occorre una specifica ed esplicita motivazione
sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare
con l’interesse privato, all’esercizio del potere di
annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione dell’atto illegittimo
va individuato nell'interesse della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica: conf., su fattispecie
analoghe, riguardanti proprio annullamenti d’ufficio di
concessioni edilizie, le sentenze Cons. Stato n. 3150 del
2012 e n. 6554 del 2004, alle quali si rinvia anche ai sensi
degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc.
amm..
Bene quindi la sentenza impugnata:
- ha richiamato la giurisprudenza per la quale l'interesse
pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da
considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di
intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele,
erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o
colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata
rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento
ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo
imputabile non già all'autorità promanante, bensì al
privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio
legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio
ottenuto attraverso l'induzione in errore
dell'amministrazione…” (cfr. sent. appellata, p. 4.2.);
e
- ha rilevato che il Comune, “nel disporre l'avversato
annullamento d'ufficio, ha espressamente evidenziato che il
De Iu., con la richiesta di realizzazione del parcheggio
pertinenziale pervenuta in data 06.06.2007, prot. n. 6367,
che ha prodotto il rilascio del permesso di costruire
commissariale del 02.10.2008, ha, tra l'altro, dichiarato
'libera' l'area interessata, producendo un'erronea
rappresentazione dello stato di fatto preesistente al
rilascio dell'atto autorizzativo edilizio"; stato dei
luoghi contrassegnato, come si è detto, da ingenti opere di
sbancamento e di fondazione già eseguite.
A fronte di (dette opere), ha proseguito il Tar, “il
ricorrente, nella domanda di permesso di costruire prot. n.
6367 del 06.06.2007, ha infedelmente o erroneamente
rappresentato l'area di sedime come 'libera', così inducendo
in errore l'amministrazione procedente circa la sussistenza
delle condizioni previste dall'art. 6, comma 2, della l.r.
Campania n. 19/2001 ai fini dell'applicabilità del regime
derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali…”.
Inoltre, il contestato annullamento in autotutela,
intervenuto circa tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto
rilascio del permesso a costruire (anche se pare corretto
ricordare che l’avviso di avvio del procedimento è stato
comunicato al De Iu. alla fine del mese di marzo del 2012),
a differenza di quanto ritiene l’appellante non può
considerarsi tardivo.
In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui
all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, richiamato dal signor
De Iu. nella memoria conclusiva, sulla base del principio “tempus
regit actum”, non può trovare applicazione nella
fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento
adottato nel 2012.
Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere
utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del
d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine
-ragionevole- entro il quale la Regione può annullare
provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi
non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o
dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la
normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro
adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso,
quale “parametro temporale” di legittimità e
congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via
di autotutela in materia, il “criterio decennale”,
riferito all’esercizio del potere comunale di
autoannullamento in relazione a un permesso assentito
nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio
dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento
orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della
ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di
annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina
previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla
rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da
parte del privato richiedente, la circostanza che tra il
rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione
del provvedimento comunale di annullamento in via di
autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in
grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado
(cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni
–gennaio 2009/marzo 2005- entro il quale è stato disposto
l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire
assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons.
Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012).
Il profilo di censura attinente alla omessa analisi della
possibilità di adottare atti diversi dall’annullamento in
via di autotutela (ad esempio, la convalida), sembra poi
travalicare i limiti del controllo giudiziale di legittimità
demandato a questo giudice amministrativo sconfinando nel
merito delle opzioni riservate all’autorità amministrativa.
6.4.2. Con riguardo ai profili di censura sviluppati con il
VI motivo di appello:
- sulla omessa segnalazione, nella nota comunale del
28.03.2012 recante avviso di avvio del procedimento di
annullamento, del profilo (di motivazione del provvedimento
finale) relativo alla rappresentazione non veritiera dello
stato dei luoghi, con la conseguente affermata violazione
degli articoli 7 e 10-bis della l. n. 241 del 1990, va
condiviso il rilievo svolto nella sentenza di primo grado,
al p. 5.1., laddove viene rilevato che “in sede di
comunicazione di avvio del procedimento di annullamento
d'ufficio, l'interessato era stato… reso adeguatamente
avveduto della ipotizzata inconfigurabilità dell'area di
intervento come 'libera' e delle logiche implicazioni della
eventuale comprova di un simile assunto rispetto alla
contrastante rappresentazione dello stato dei luoghi fornita
con la domanda di permesso di costruire, prot. n. 6367, del
06.06.2007…il contenuto ellittico e fuorviante di
quest'ultima è emerso, in maniera chiara e oggettiva, nel
corso dell'analitica interlocuzione procedimentale col De Iu.,
la quale, siccome riguardata in funzione non solo delle
prerogative difensive dell'interessato, ma anche
dell'apporto collaborativo di quest'ultimo a favore
dell'amministrazione, e in quanto ancorata ai canoni di
celerità ed efficacia dell'azione amministrativa, ostativi
ad una sua degenerazione in un interminabile e sterile
confronto dialettico tra privato e autorità, è
legittimamente approdata al definitivo e irreversibile
convincimento di insussistenza del requisito di 'area
libera' ex art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001
e, quindi, di infedeltà, erroneità o insufficienza della
difforme prospettazione offerta dal ricorrente”;
- quanto infine all’omesso coinvolgimento del commissario “ad
acta” nel procedimento conclusosi con l’annullamento in
via di autotutela del “permesso commissariale”
dell’ottobre del 2008, è il caso di ribadire, con il Tar,
che "il commissario “ad acta”, “nominato con decreto del
presidente della Provincia di Caserta, prot. n. 41/pres.,
dell'08.07.2008 ha agito, ai sensi degli artt. 21, comma 2,
del d.p.r. n. 380/2001 e 39 della l.r. Campania n. 16/2004,
in qualità di organo sostitutivo del competente organo
comunale…in virtù (della) disciplina (di cui al menzionato
art. 39 della l.r. n. 16 del 2004, nella formulazione
applicabile, “ratione temporis”, alla fattispecie in esame),
il menzionato commissario ad acta non ha esercitato poteri
diversi, concorrenti o supplementari (ad es., consultivi o
di controllo), ma si è surrogato in quelli spettanti alla
competente (e inadempiente) amministrazione comunale.
Di conseguenza, è da ritenersi che quest'ultima, nel
riappropriarsi integralmente e nel riesercitare a pieno
titolo i predetti poteri in sede di autotutela, abbia
prescisso legittimamente -e cioè senza ledere il principio
del 'contrarius actus'- dalla partecipazione procedimentale
dell'organo sostitutivo promanante il provvedimento
abilitativo posto in annullamento” (così, in modo
testuale, la sentenza impugnata, al p. 5.2.).
In conclusione, l’appello va respinto, con le rettifiche e
le precisazioni motivazionale svolte sopra, e l’impugnata
sentenza di rigetto del ricorso di primo grado va confermata
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 28.07.2016 n. 3403 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La
Sezione osserva come il principio di buon andamento impegni
la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai
fini da conseguire ed autorizzi quindi anche il riesame
degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze
sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della
situazione preesistente.
In particolare, mentre l’annullamento
“guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio
volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio
della funzione di primo grado e quindi opera in una logica
essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca
assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in
termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento
dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la
costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti
hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione
di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui
coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si
ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico:
esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di
annullamento si caratterizza come momento valutativo
ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità
del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca
discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro
scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile
eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
----------------
Il potere di autotutela decisoria in capo
all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il
mero ripristino della legalità, costituendo una potestà
discrezionale che deve contemplare la verifica di
determinate condizioni, previste dall'ordinamento e
concernenti l'opportunità di correggere l'azione
amministrativa svoltasi illegittimamente.
L'annullamento è stato, pertanto, connotato dall’art.
21-nonies, come modificato da ultimo dalla Legge 07/08/2015,
n. 124, in termini di rinnovata manifestazione, entro un
termine ragionevole, della funzione amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità di un interesse
pubblico distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino
della legalità violata, anche gli interessi di tutte le
parti coinvolte e il tempo trascorso dalla determinazione
viziata.
Per effetto dell'art. 21-nonies, l'esercizio della potestà
di autotutela decisoria richiede non solo l'esistenza di un
vizio dell'atto da rimuovere, ma anche la sussistenza di un
interesse pubblico e la sua comparazione con gli interessi
dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto
del provvedimento reputato illegittimo, siano sorte
posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo.
---------------
Circa la asserita “non ragionevolezza del termine" per
l'annullamento della DIA (8 anni), la Sezione è dell’avviso
che, nel caso di annullamento in autotutela di provvedimenti
autorizzativi come i permessi di costruire, deve ritenersi
sicuramente ragionevole un termine di intervento che non
superi, come nella fattispecie, il termine decennale
assegnato in generale all’Amministrazione regionale -ex art.
39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre l’annullamento dei
titoli edilizi comunali contrastanti con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
---------------
Il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza probatoria,
perché non costituisce prova né dei diritti reali in esso
riportati, né della posizione né della regolarità edilizia.
---------------
...
per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento n. 16578 del 27/07/2015 di annullamento in
autotutela della DIA n. 16065 del 19/09/2007 per l’immobile in Arzano di cui al fl. 5, p.lla 488; dell’ordinanza di
demolizione n. 17455 del 06/08/2015; del provvedimento n. 1830
del 19/08/2015 di improcedibilità della SCIA n. 3897 del
20/02/2015.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce la
violazione degli artt. 3, 7, 8, 10, 21-quinquies e 21-nonies
della Legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 9 NTA,
degli artt. 9 e 27-ter del DPR n. 380/2001, dell’art. 2 della L.R. n. 19/2001, nonché il difetto di istruttoria.
2. La Sezione in via preliminare osserva come il principio
di buon andamento impegni la P.A. ad adottare gli atti il
più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizzi
quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso
opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso
apprezzamento della situazione preesistente (TAR
Calabria, Reggio Calabria, 24.10.2007, n. 1077; Cons. Stato,
V, n. 508/1999; n. 1263/1996; VI, 29.03.1996, n. 518;
30.04.1994, n. 652).
In particolare, mentre l’annullamento
“guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio
volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio
della funzione di primo grado e quindi opera in una logica
essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca
assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in
termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento
dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la
costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti
hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione
di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui
coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si
ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico:
esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di
annullamento si caratterizza come momento valutativo
ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità
del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca
discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro
scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile
eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
2.1 Con riguardo a quanto reclamato da parte ricorrente, il
potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione
non ha in verità come unica finalità il mero ripristino
della legalità, costituendo una potestà discrezionale che
deve contemplare la verifica di determinate condizioni,
previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di
correggere l'azione amministrativa svoltasi
illegittimamente. L'annullamento è stato, pertanto,
connotato dall’art. 21-nonies, come modificato da ultimo
dalla Legge 07/08/2015, n. 124, in termini di rinnovata
manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione
amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità
di un interesse pubblico distinto ed ulteriore rispetto al
mero ripristino della legalità violata, anche gli interessi
di tutte le parti coinvolte e il tempo trascorso dalla
determinazione viziata. Per effetto dell'art. 21-nonies,
l'esercizio della potestà di autotutela decisoria richiede
non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma
anche la sussistenza di un interesse pubblico e la sua
comparazione con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto del provvedimento
reputato illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche
qualificate e consolidate nel tempo.
3. Ora, con riguardo alla fattispecie in esame, si ritiene
di rimarcare che -come evidenziato in sede di consulenza
tecnica dalle cui conclusioni non sussistono motivi per
discostarsi– il fabbricato di cui fa parte l'immobile in
contestazione è stato realizzato con licenza edilizia n.
654/1968 che prevedeva la realizzazione di un fabbricato di
sette piani fuori terra oltre il piano cantinato; con
successiva variante n. 11/1969 si richiedeva la riduzione
del fabbricato nei limiti di altezza e volume con
realizzazione di un piano terra destinato all'industria del
proprietario e n. 4 piani superiori ad uso residenziale.
Premesso che l’ausiliario non ha potuto visionare le piante
allegate alla variante n. 11/1969 che sarebbero state di
fondamentale importanza per verificare la corrispondenza con
l'attuale stato dei luoghi, si è appurato che non sono
state, poi, realizzate altre opere finché il 19/09/2007 con prot. 16065 è stata presentata una D.I.A. per il "cambio di
destinazione d'uso del piano ammezzato adibito ad uffici in
locali da adibire a scuola media secondaria, il tutto senza
opere".
3.1 Dall’esame della documentazione è stato accertato che il
piano dove ha sede la scuola –e dunque interessato dalla
DIA per cambio di destinazione d’uso- risulta essere il
primo del fabbricato, e non l’ammezzato; dalle sezioni della
richiamata variante risulta che il piano ammezzato è parte
integrante del piano terra in quanto sono visibili il solaio
e le scale che consentono l'accesso al detto piano
ammezzato, mentre il piano primo, che come risulta
dall'autorizzazione di abitabilità presentava solo tre vani
destinati a deposito, dalle sezioni sembrerebbe avere una
parte destinata ad abitazione con la stessa distribuzione
interna dei piani superiori ad uso residenziale.
Quanto a strumentazione urbanistica, nel Comune di Arzano è
ancora vigente il Programma di Fabbricazione approvato con
D.P.G.R.C. n. 361 del 04/02/1977, ai sensi del quale il suolo
su cui ricade l'immobile in oggetto, identificato in Catasto
al fl.5 p.lla 448, ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona
industriale esistente"; in realtà in sede di consulenza
tecnica si è accertato che l'immobile per cui è controversia
è inserito in un contesto vario e non prettamente
industriale, ove sono ubicati numerosi immobili con diversa
destinazione a prevalenza residenziale oltre che commerciale
e terziaria (es. negozi, bar e alimentari).
4. Ciò premesso, con riguardo ai quesiti posti dal Tribunale
il consulente tecnico ha concluso che l'immobile in oggetto
ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona industriale
esistente" del vigente Programma di Fabbricazione; il cambio
di destinazione d'uso ha poi determinato una variazione dei
carichi urbanistici e, quindi, la necessità di adeguamento
degli standard urbanistici previsti dal decreto ministeriale
n. 1444/1968, perché lo stesso è avvenuto tra categorie
funzionali tra loro non compatibili (da uso
deposito/abitazioni a scuola), ragion per cui detto cambio
di destinazione d'uso poteva essere rilasciato solo con un
Permesso di costruire ma non con una semplice DIA.
4.1 Il Collegio ritiene in definitiva che, contrariamente a
quanto pure asserito diffusamente da parte ricorrente
nell’ultima memoria in previsione dell’odierna udienza
pubblica, sia stato del tutto legittimo l’operato
dell’Amministrazione che -accertata fra l’altro la mancanza
agli atti del certificato di agibilità rilasciato al sig.
Bi., ritenendo che il silenzio-assenso del Comune non si
era perfezionato in maniera amministrativamente corretta e
presumendo che alla data della presentazione della DIA i
locali in questione erano stati già destinati a scuola- si
determinava con il provvedimento impugnato all’annullamento
in autotutela della DIA del 19/09/2007.
Effettivamente un
cambio di destinazione per un’attività funzionale, peraltro
incompatibile con la strumentazione urbanistica e le NTA
vigenti all’epoca dei fatti, avrebbe richiesto un apposito
Permesso di costruire; ai sensi delle citate NTA, infatti,
in zona I2 non sarebbe stato possibile realizzare alcuna
scuola privata, né mutare la destinazione d’uso di un
opificio industriale in una scuola secondaria, cioè in una
attività commerciale, che peraltro richiede la realizzazione
di parcheggi privati.
Sotto altro profilo, circa la asserita “non ragionevolezza
del termine" per l'annullamento della DIA (8 anni), la
Sezione è dell’avviso che, nel caso di annullamento in
autotutela di provvedimenti autorizzativi come i permessi di
costruire, deve ritenersi sicuramente ragionevole un termine
di intervento che non superi, come nella fattispecie, il
termine decennale assegnato in generale all’Amministrazione
regionale -ex art. 39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre
l’annullamento dei titoli edilizi comunali contrastanti con
la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della
loro adozione (cfr. Cons. Stato, IV, 03.08.2010, n. 5170; TAR
Campania, Napoli, I, 16.09.2015, n. 4553; VIII, 02.07.2014,
n. 3608).
4.2 Con riguardo ai rilievi mossi da parte ricorrente alla
relazione del CTU, il Collegio evidenzia –se necessario-
che il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza
probatoria, perché non costituisce prova né dei diritti
reali in esso riportati, né della posizione né della
regolarità edilizia.
Ora parte ricorrente nella fattispecie
allega le planimetrie catastali del piano terra e
dell’ammezzato come presentate dopo le variazioni del 1994,
nonché quella attuale del piano primo presentata nel 2014,
ma non anche le planimetrie originarie con la consistenza
del piano primo che consentirebbero un raffronto con lo
stato attuale.
Non possono ritenersi smentite le circostanze
che parte del piano primo era destinata ad abitazione con la
stessa distribuzione interna dei piani superiori ad uso
residenziale e che, pur volendo considerare solo le
destinazioni d'uso assentite con l'Abitabilità n. 39/1973, al
primo piano sede della scuola risultavano solo n. 3 vani per
deposito e dunque, per adibire detti 3 vani a scuola,
occorrevano delle opere anche rilevanti che necessitavano di
Permesso di costruire.
In ogni caso, ove fossero stati
presenti solo vani deposito, è indubbio che la nuova
destinazione d'uso impressa all'immobile -ovvero di una
scuola con la presenza di ben 160 studenti e 32 dipendenti–
ha comportato una variazione del carico urbanistico rispetto
alla precedente destinazione d'uso, con aggravio in termini
di viabilità, trasporto pubblico e fognature, con necessità
di presentare una richiesta di Permesso di costruire.
In
definitiva, la carenza della specifica destinazione
urbanistica del fabbricato -carenza derivante dalla
riscontrata correttezza del provvedimento di annullamento
della DIA- è, appunto, ostativa allo svolgimento della
predetta attività per come estranea alla sua destinazione.
Quanto, poi, all’obiezione della difesa del Comune circa la
tipologia del Permesso di costruire che si sarebbe dovuto
richiedere, va ricordato che costituiva oggetto del mandato
il quesito circa la compatibilità dell’opera con una DIA
ovvero con un Permesso di costruire, senza specificarsi se
quest’ultimo dovesse essere ordinario, in deroga o in
sanatoria; in ogni caso il Collegio ritiene che, anche per
le lacune presenti nella documentazione tecnica reperita,
sono state sicuramente realizzate opere non autorizzate
precedentemente e, pertanto, non è possibile avvalorare
l'ipotesi di un Permesso di costruire in deroga ai sensi
dell'art. 14 DPR n. 380/2001.
5. In conclusione, per le ragioni esposte il ricorso deve
essere rigettato per come infondato
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 05.07.2016 n. 3335 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
maggio 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA: Autotutela
ok senza fronzoli. Pochi i
presupposti per l'attivazione.
In considerazione del breve lasso di tempo intercorso tra il
rilascio del permesso di costruire e la comunicazione di
avvio del procedimento di annullamento, è da ritenersi
sufficiente, quale presupposto per l'esercizio del potere di
autotutela, l'esigenza di ripristino della legalità e una
motivazione che faccia unicamente riferimento alla
disposizione violata.
È quanto ribadito dai giudici della I Sez. del TAR Campania-Salerno con la
sentenza 25.05.2016 n. 1304.
Inoltre, l'orientamento giurisprudenziale (Tar Lecce
(Puglia), Sez. III, 06/06/2008, n. 1680) richiamato dai
giudici campani, continua affermando che: «Allorché non si è
ingenerato alcun legittimo affidamento nel destinatario del
provvedimento poiché l'annullamento d'ufficio interviene a
breve distanza di tempo dall'adozione del provvedimento
illegittimo, infatti, non è necessaria una penetrante
motivazione sull'interesse pubblico all'annullamento, né una
comparazione di tale interesse con l'interesse privato
sacrificato».
È stato, altresì rimarcato che in presenza di un remoto
avviso dell'inizio del procedimento, finalizzato
all'annullamento della sola concessione edilizia in
sanatoria, s'era evidentemente consolidato un affidamento,
da parte del soggetto, circa l'implicita archiviazione del
procedimento medesimo perché «un lasso temporale così
abnormemente dilatato, rispetto alla prefigurata scadenza
mensile del medesimo, finisce per aggirare, di fatto, e
frustrare completamente la funzione, cui l'atto dovrebbe
essere vocato, vale a dire quella di porre il destinatario
in condizione di interloquire con l'amministrazione, circa i
concreti contenuti del provvedimento conclusivo da
adottarsi».
Pertanto l'amministrazione comunale, prima di riattivare il
procedimento deve inviare un nuovo avviso d'avvio del
relativo procedimento, senza il quale la determina finale si
palesa come illegittima
(articolo ItaliaOggi Sette del 06.06.2016).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato.
Sviluppando talune delle argomentazioni, già fondanti
l’accoglimento della domanda cautelare di parte ricorrente,
il Collegio ritiene come carattere dirimente, con
assorbimento d’ogni altra doglianza, rivesta, nel caso in
esame, la considerazione della censura d’omessa
comunicazione d’avvio del procedimento, omissione alla quale
deve essere equiparata, ad avviso del Tribunale, una
comunicazione d’avvio del procedimento inviata, come nella
specie, con un intervallo di tempo, rispetto all’adozione
dell’atto conclusivo del procedimento, talmente ampio (si
tratta, nella specie, di ben sei anni), da risultare, ormai,
la stessa, come “inutiliter data”.
La comunicazione in questione veniva trasmessa dal Comune di
Eboli al ricorrente, specificamente, con nota, prot. 39581
del 29.10.2008.
Pienamente condivisibili si palesano, in particolare, le
deduzioni difensive contenute in ricorso, in cui s’è
giustamente osservato come, a fronte di
siffatto, remoto, avviso dell’inizio del procedimento,
finalizzato all’annullamento (tra l’altro) della sola
concessione edilizia in sanatoria n. 724/22897/94 del
12.12.1997
(laddove il provvedimento, odiernamente gravato, ha
decretato l’annullamento anche degli “atti successivi
alla concessione de quo e, nello specifico, il permesso di
costruire n. 54/2003 del 23.12.2003”),
s’era evidentemente consolidato un affidamento, da parte del
ricorrente, circa l’implicita archiviazione del procedimento
medesimo (tanto più che, nel testo della citata
comunicazione, prot. 39581/2008, si asseriva che lo stesso
si sarebbe concluso, “entro trenta giorni dalla data di
ricezione della presente”).
Orbene, non è chi non veda come tale
termine di giorni trenta non potesse, evidentemente, essere
considerato perentorio; ma al contempo è altrettanto
intuitivo che un lasso temporale così abnormemente dilatato,
rispetto alla prefigurata scadenza mensile del medesimo,
finisce per aggirare, di fatto, e frustrare completamente la
funzione, cui l’atto dovrebbe essere vocato, vale a dire
quella di porre il destinatario in condizione di
interloquire con l’Amministrazione, circa i concreti
contenuti del provvedimento conclusivo da adottarsi.
Sicché va sottoscritta l’ulteriore considerazione difensiva
del ricorrente, secondo la quale –posto che la suddetta,
risalente, comunicazione ex art. 7 l. 241/1990 era ormai,
per le ragioni dianzi espresse, divenuta inefficace–
l’Amministrazione Comunale, prima di riattivare il
procedimento (tra l’altro con oggetto più ampio, rispetto a
quello previsto nel 2008), avrebbe dovuto inviargli un nuovo
avviso d’avvio del relativo procedimento, senza il quale la
determina finale si palesa come illegittima.
Né, tampoco, l’Amministrazione Comunale, nella propria
memoria difensiva, ha contrastato tali pregnanti deduzioni
di parte ricorrente, ovvero ha ritenuto d’invocare
l’efficacia sanante delle violazioni formali, ex art.
21-octies della l. 214/1990, onde nessuna particolare
motivazione deve spendersi sul punto.
L’abnormità del lasso temporale trascorso
(tra avviso previsto dalla legge e atto conclusivo del
procedimento) rende, poi, addirittura impensabile che
l’Amministrazione potesse appellarsi a ragioni d’urgenza,
onde giustificare l’omissione dell’adempimento partecipativo
de quo.
In giurisprudenza, a conferma di quanto sopra considerato,
si tenga presente, a contrario, la massima seguente: “In
considerazione del breve lasso di tempo intercorso tra il
rilascio del premesso di costruire e la comunicazione di
avvio del procedimento di annullamento, è da ritenersi
sufficiente, quale presupposto per l’esercizio del potere di
autotutela, l’esigenza di ripristino della legalità ed una
motivazione che faccia unicamente riferimento alla
disposizione violata. Allorché non si è ingenerato alcun
legittimo affidamento nel destinatario del provvedimento
poiché l’annullamento d’ufficio interviene a breve distanza
di tempo dall’adozione del provvedimento illegittimo,
infatti, non è necessaria una penetrante motivazione
sull’interesse pubblico all’annullamento, né una
comparazione di tale interesse con l’interesse privato
sacrificato”
(TAR Lecce (Puglia), Sez. III, 06/06/2008, n. 1680).
Quanto, poi, alla necessità d’inviare la comunicazione, ex
art. 7 l. 241/1990, al destinatario dell’atto (adempimento
nella specie, giusta quanto rilevato in precedenza,
sostanzialmente omesso), si consideri l’ulteriore decisione
che segue: “Il principio della previa
comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7 l.
07.08.1990 n. 241), che è di portata generale, opera a
maggiore ragione quando la p.a. adotta un provvedimento
all’esito di un procedimento c.d. di secondo grado,
annullando o revocando un precedente atto amministrativo
favorevole al ricorrente specie a distanza di 4 anni durante
i quali si è creato un legittimo affidamento per
l’interessato”
(TAR Toscana, Sez. III, 06/12/2005, n. 8234). |
marzo 2016 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Titoli edilizi, primi stop all’autotutela. I giudici
dichiarano illegittimo l’intervento correttivo della
Pa arrivato oltre i 18 mesi.
Procedimento amministrativo. Il nuovo limite
introdotto dalla riforma Madia fissa il periodo
entro cui si possono annullare gli atti.
Limite d’intervento
per la pubblica amministrazione. Con la
sentenza 17.03.2016 n. 351, il TAR
Puglia-Bari -Sez. III- ha dichiarato illegittimo il
provvedimento di autotutela (previsto dall’articolo
21-nonies della legge 241/1990 sul
procedimento amministrativo) adottato oltre il
termine di 18 mesi, con il quale un Comune aveva
annullato il permesso di costruire rilasciato in
precedenza ad una società immobiliare.
La sentenza rappresenta una delle prime applicazioni
giurisprudenziali delle novità introdotte dalla
legge Madia (124/2015) sulla riorganizzazione della
Pa. E la nuova normativa assume particolare rilievo
in materia edilizia, dove sussiste la necessità di
trovare un equilibrio tra l’esigenza di assicurare
il rispetto della legalità e quella di garantire la
stabilità dei rapporti e degli investimenti.
Soprattutto negli interventi avviati in seguito alla
presentazione di una Scia, l’operatore si trova
spesso in una situazione di incertezza, perché la Pa
ha il potere di annullare la segnalazione
certificata (o la Dia nei residui casi in cui è
ancora prevista), d’ufficio o su richiesta dei
terzi, anche a distanza di anni dal completamento
dei lavori.
In virtù della legge Madia, dopo la scadenza del
termine di 30 giorni stabilito per l’esercizio
ordinario dei poteri inibitori e/o repressivi sugli
interventi eseguiti tramite Scia (articolo 19, comma
6-bis, della legge 241/1990), la Pa può annullare
questo titolo soltanto entro 18 mesi dalla sua
formazione. Il medesimo termine, come ovvio, deve
essere rispettato anche nel caso in cui la Pa
intervenga su un titolo edilizio rilasciato (ad
esempio, un permesso di costruire).
Questi 18 mesi previsti per l’esercizio dei poteri
di autotutela rappresentano il periodo massimo entro
il quale la Pa può intervenire per annullare
d’ufficio un provvedimento illegittimo: non si può
quindi escludere che, sulla base delle singole
circostanze, il termine “ragionevole” possa
essere ritenuto ancora più breve (sul punto si veda
la
sentenza 14.01.2016 n. 47 del TAR
Puglia-Bari, Sez. III).
Il nuovo sbarramento temporale, che trova certamente
applicazione per i provvedimenti adottati
successivamente all’entrata in vigore della riforma
Madia, è comunque rilevante per valutare -sotto il
profilo della ragionevolezza del termine- la
legittimità dei provvedimenti di autotutela adottati
sotto la previgente disciplina (TAR Campania-Napoli,
Sez. III,
sentenza 24.02.2016 n. 984; TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 03.03.2016 n. 430).
Gli ulteriori presupposti che legittimano
l’esercizio del potere di autotutela non sono stati
invece modificati dalla legge. Quindi, per poter
procedere all’annullamento di un provvedimento
illegittimo (ossia adottato in violazione di legge o
viziato da eccesso di potere o da incompetenza) è
necessaria:
- la sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
- la circostanza che l’autotutela intervenga entro
un termine comunque “ragionevole” (ora
appunto fissato al massimo in 18 mesi);
- la necessaria considerazione degli interessi dei
destinatari e dei contro-interessati.
Nell’ambito dei provvedimenti adottati in violazione
di legge, è opportuno anche segnalare che con l’ordinanza
22.03.2016 n. 185 il TAR Marche ha
rimesso alla Corte di giustizia europea la questione
relativa alla compatibilità con il diritto
comunitario dei provvedimenti di Via (valutazione
impatto ambientale) adottati successivamente alla
realizzazione dell’impianto soggetto alla
valutazione stessa (cd. Via postuma).
La soluzione del quesito è di sicuro interesse per
tutti i progetti che, realizzati senza esser stati
preventivamente sottoposti alla procedura
ambientale, siano oggetto di provvedimenti di
demolizione.
---------------
Se si dichiara il falso il potere di
controllo non ha scadenza. Casi particolari. Sono
fatte salve le sanzioni penali.
Il potere di
autotutela della pubblica amministrazione può essere
esercitato oltre il termine dei 18 mesi solo in
alcuni casi particolari. Quando cioè il titolo da
annullare sia stato ottenuto sulla base di false
rappresentazioni dei fatti oppure di dichiarazioni
sostitutive di certificazione e dell’atto di
notorietà false o mendaci, per effetto di condotte
costituenti reato e accertate con sentenza passata
in giudicato. La deroga è stata inserita dalla
riforma Madia al comma 2-bis dell’articolo 21-nonies
della legge 241/1990.
In questo comma il legislatore ha letteralmente
chiarito che le amministrazioni “possono” e
non “devono” annullare i provvedimenti
ottenuti in modo illecito: ciò porta a ritenere che
anche in tale ipotesi l’autotutela non sia un atto
dovuto, ma preveda comunque la sussistenza degli
ulteriori presupposti indicati dall’articolo
21-nonies.
Nella parte finale del comma 2-bis, si fa comunque
salva l’applicazione delle sanzioni penali e delle
ulteriori sanzioni contemplate dal capo VI del Dpr
445/2000 (Testo unico in materia di documentazione
amministrativa) tra le quali è espressamente
previsto che, nel caso di false dichiarazioni rese
alla Pa, il dichiarante decada dai benefici
eventualmente conseguenti al provvedimento emanato
sulla base delle stesse dichiarazioni (articolo 75).
Il legislatore sembra così aver voluto evitare che
la novità normativa, finalizzata a tutelare chi
abbia fatto legittimo affidamento su un titolo
edilizio rilasciato (nel caso di permesso di
costruire) o non contestato entro 30 giorni (nel
caso di Scia) dall’autorità competente, possa essere
utilizzata da coloro che, confidando nell’inerzia o
nel mancato controllo della Pa, ottengano
l’abilitazione sulla base di irregolari
dichiarazioni o rappresentazioni dei fatti.
La medesima finalità è perseguita anche all’articolo
21, comma 1, della legge 241/1990, dove è
espressamente previsto che la Scia, o il titolo
edilizio ottenuto con il silenzio-assenso, non
produce gli effetti previsti dalla legge se è stato
formato sulla base di dichiarazioni false o mendaci.
In questo caso, il titolo non produce alcun effetto
giuridicamente rilevante (e infatti la norma
stabilisce che «non è ammessa la conformazione
dell’attività e dei suoi effetti a legge»):
quindi la pubblica amministrazione potrà adottare
tutti i provvedimenti necessari per ripristinare la
legalità violata, anche al di fuori del limite
temporale e dei presupposti indicati dall’articolo
21-nonies.
Resta infine da evidenziare il mancato coordinamento
della riforma con quanto stabilito dall’art. 39 del
Testo unico edilizia, Dpr 380/2001 (“Annullamento
del permesso di costruire da parte della regione”),
che continua a prevedere il potere regionale di
eliminare, entro 10 anni dalla loro adozione, i
provvedimenti comunali che autorizzano interventi
non conformi a prescrizioni degli strumenti
urbanistici o dei regolamenti edilizi, o comunque in
contrasto con la normativa urbanistico-edilizia (articolo
Il Sole 24 Ore del 09.05.2016 - tratto da
www.centrostudicni.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Attesa la perentorietà del temine ex art.
21-nonies l. n. 241/1990, è illegittimo il
provvedimento di autotutela (di annullamento del
permesso di costruire) intervenuto oltre i 18 mesi
di legge.
--------------
... per l'annullamento, previa sospensiva, della nota prot.
n. 63548 del 19.11.2015 del Dirigente del Settore Edilizia
Pubblica e Privata e Servizi Catastali del Comune di
Barletta, notificata il 20 successivo, recante annullamento,
in autotutela, del permesso di costruire n. 133 del
01.04.2014, rettificato il 14.04.2014, rilasciato alla
società ricorrente Immobiliare MV srl.
...
La società odierna ricorrente impugna la rimozione in
autotutela del permesso di costruire (PdC) n. 133 del
01.04.2014, rettificato il 14.04.2014.
Deduce vari profili di censura, tra cui quello di tardività
dell’esercizio del potere di autotutela, essendo questo
intervenuto il 19.11.2015, ovverosia, oltre il termine di 18
mesi contemplati dall’art. 21-nonies, novellato dalla L. n.
124/2015 (entrata in vigore il 28.08.2015), dunque, già in
vigore -ratione temporis- al momento dell’adozione
dell’atto di secondo grado.
Resiste al ricorso il Comune intimato, sostenendo, quanto al
profilo di censura appena evidenziato, che il termine di cui
all’art. 21-nonies cit. sarebbe stato, comunque, rispettato,
attesa la tempestiva adozione della nota n. 52811 del
01.10.2015.
All’udienza del 10.03.2016, dopo ampia discussione delle
parti che hanno invocato la definizione con sentenza breve
della controversia, il ricorso è stato trattenuto in
decisione.
E’ fondato il profilo di doglianza appena evidenziato.
La nota n. 52811 del 01.10.2015 consiste pacificamente nella
comunicazione di avvio del relativo procedimento di
autotutela.
Essa non può valere a ritenere rispettato il termine
indicato dalla disposizione novellata, in quanto il tenore
letterale della stessa rinvia chiaramente, a tal fine,
all’adozione effettiva del provvedimento di autotutela (“Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato
d'ufficio….”).
Nel medesimo senso depone l’interpretazione
logico-sistematica, in quanto, ritenere sufficiente
l’adozione della comunicazione di avvio del procedimento,
per il rispetto del termine normativamente imposto, conduce
a ritenerlo, di fatto, non perentorio ai fini dell’adozione
dell’atto definitivo di autotutela.
Una siffatta conclusione esegetica si sostanzierebbe in una
interpretazione sostanzialmente abrogativa della novella.
Ritenuta, dunque, la insufficienza della comunicazione di
avvio del procedimento, non può che rilevarsi che il
provvedimento di autotutela è intervenuto oltre il termine
dei 18 mesi (il PdC rettificato è del 14.04.2014, mentre il
provvedimento di annullamento è datato 19.11.2015).
Esso, dunque, attesa la perentorietà del suddetto temine (v.
sentenza di questa Sezione n. 47/2016), è illegittimo in
quanto tardivo e va, pertanto, annullato (TAR
Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 17.03.2016 n. 351
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L’art
21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha codificato il
risalente principio giurisprudenziale per cui un
provvedimento amministrativo illegittimo può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Si tratta, quindi, dell’esercizio di un potere ampiamente
discrezionale, rispetto al quale l’amministrazione è tenuta
a motivare sulle ragioni di interesse pubblico alla
rimozione dell’atto, ciò in particolare quando sia trascorso
un lungo lasso temporale dalla sua adozione, come nel caso
di specie.
---------------
Il provvedimento impugnato ha considerato quale unico
presupposto la illegittimità del provvedimento annullato,
senza alcuna valutazione né del tempo particolarmente lungo
trascorso (quasi quindici anni dal rilascio della
concessione edilizia), né dell’interesse pubblico attuale
all’esercizio dell’autotutela e all’affidamento del privato,
considerato anche che nel frattempo gli immobili sono stati
alienati a terzi sulla base della concessione edilizia
rilasciata dal Comune.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che il
provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente
motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse
pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché alla
valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al
mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in
capo ai medesimi.
In materia edilizia, l’annullamento in autotutela di titoli
edilizi illegittimamente rilasciati è considerato in maniera
più rigorosa; infatti, in base ad un diffuso orientamento
giurisprudenziale, l’annullamento di una concessione
edilizia non necessita di una espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
---------------
... per l'annullamento della determinazione dirigenziale di
Roma Capitale n. 1465/2014 prot. 151777, avente ad oggetto
il procedimento di annullamento in autotutela della
concessione edilizia n. 80 del 26/01/2000;
...
1. Con il presente ricorso è stato impugnato il provvedimento
dell’08.10.2014 con il quale il dirigente dell’Ufficio
Permessi di Costruire del Dipartimento Programmazione ed
Attuazione Urbanistica di Roma Capitale ha annullato in
autotutela la concessione edilizia rilasciata il 26.01.2000
al sig. Pa.Pe. e successivamente trasferita, a
seguito della permuta del terreno con edificio da costruire,
alla Ga.Do. s.r.l., per la realizzazione di un
fabbricato di civile abitazione composto da quattro unità
immobiliari a schiera in via Gravedona, località
Mazzalupetto.
Il provvedimento di autotutela è basato sulla
ritenuta erroneità del calcolo della superficie fondiaria
utile per definire la volumetria da realizzare, dovuta alla
non conformità della rappresentazione grafica del lotto
interessato, rappresentata dal progettista, alle tavole del
piano particolareggiato Palmarola Selva Nera adottato il
26.04.1999 e al perimetro delle zone O riportato nella
delibera di giunta regionale n. 4777 del 1983.
Ciò ha
comportato, secondo la ricostruzione degli uffici comunali,
un aumento della cubatura oggetto della concessione edilizia
pari a complessivi metri cubi 120,20, di cui con il
provvedimento di autotutela si è anche ordinata la
demolizione.
Il provvedimento in questione dà atto che la comunicazione
di avvio del relativo procedimento era stata inviata con
nota n. 49325 del 2008; che successivamente sia il Pe.
che la società costruttrice Ga.Do., avevano prodotto
documentazione contestando la circostanza relativa
all’erroneo calcolo della superficie fondiaria e quindi
della volumetria consentita e comunque avevano proposto la
cessione a Roma Capitale della sede stradale di via Gravedona e della cubatura proveniente da altro lotto del
medesimo piano particolareggiato; che il responsabile del
procedimento con nota del 16.05.2013 si era espresso nel
senso della chiusura del procedimento con la conferma della
validità della concessione edilizia n. 80 del 2000; che con
nota del 23.07.014, era stata richiesta documentazione
relativa alla stipula dell’atto di cessione e
all’acquisizione dei diritti edificatori a cui era
subordinata la conferma di validità della concessione
edilizia; fa inoltre riferimento ad una nota del 31.07.2014
del Tribunale civile di Roma.
Sostanzialmente il provvedimento di autotutela è basato
sulla richiesta di documentazione inviata il 23.07.2014
relativa alla acquisizione di ulteriori diritti edificatori
e cessione della strada a cui non è dato riscontro e alla
nota del Tribunale civile (che riguarda il giudizio civile
proposto dalla attuale proprietaria di un appartamento del
complesso immobiliare nei confronti del ricorrente e della
società Ga.Do.).
Avverso il provvedimento di autotutela, la società Ga.Do., avente causa dell’originario titolare del titolo
edilizio e costruttrice dell’immobile, ha proposto i motivi
in diritto così rubricati:
1) violazione dei principi sottesi alla legge 07.08.1990,
n. 241, in particolare degli artt. 2, 7 e 21-nonies, in
materia di esercizio del potere amministrativo per difetto
di istruttoria; eccesso di potere ed eccessiva durata del
procedimento di autotutela;
2) violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del
1990 in materia di legittimo affidamento indotto da Roma
Capitale, eccesso di potere per carenza di motivazione,
difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;
3) violazione dell’art. 38 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380;
eccesso di potere per difetto di motivazione e di
istruttoria.
2. Si è costituita in giudizio Roma Capitale, resistendo al
ricorso.
3. Il ricorso è stato chiamato per la discussione
all’udienza pubblica del giorno 11.12.2015 e quindi
trattenuto in decisione.
4. Il ricorso è fondato.
L’art 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha codificato il
risalente principio giurisprudenziale per cui un
provvedimento amministrativo illegittimo può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Si tratta, quindi, dell’esercizio di un potere ampiamente
discrezionale, rispetto al quale l’amministrazione è tenuta
a motivare sulle ragioni di interesse pubblico alla
rimozione dell’atto, ciò in particolare quando sia trascorso
un lungo lasso temporale dalla sua adozione, come nel caso
di specie.
Il provvedimento impugnato ha considerato quale unico
presupposto la illegittimità del provvedimento annullato,
senza alcuna valutazione né del tempo particolarmente lungo
trascorso (quasi quindici anni dal rilascio della
concessione edilizia), né dell’interesse pubblico attuale
all’esercizio dell’autotutela e all’affidamento del privato,
considerato anche che nel frattempo gli immobili sono stati
alienati a terzi sulla base della concessione edilizia
rilasciata dal Comune.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che il
provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente
motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse
pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché alla
valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al
mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in
capo ai medesimi (Consiglio di Stato n. 2468 del 2014; n.
2567 del 2012).
In materia edilizia, l’annullamento in autotutela di titoli
edilizi illegittimamente rilasciati è considerato in maniera
più rigorosa; infatti, in base ad un diffuso orientamento
giurisprudenziale, l’annullamento di una concessione
edilizia non necessita di una espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (Consiglio di Stato n. 562 del 2015;
n. 4982 del 2011; n. 7342 del 2010).
Nel caso di specie, peraltro, si tratta dell’annullamento in
via di autotutela di una concessione edilizia rilasciata nel
2000 (sulla valutazione motivata della posizione dei
soggetti destinatari del provvedimento, nel caso del lungo
tempo trascorso dall’adozione delle concessioni annullate
cfr. di recente Consiglio di Stato n. 5625 del 2015).
Inoltre, il procedimento di verifica della concessione
edilizia è stato avviato dal Comune nel 2008 e fino al 2014
è stato portato avanti con la partecipazione delle parti
private, compresi, oltre al ricorrente e alla società
costruttrice, gli attuali proprietari degli immobili, per
giungere ad una soluzione della questione, come risulta
anche dalle riunioni tenutesi nel 2011 (cfr. verbali del
20.05.2011 e del 10.06.2011) presso gli uffici comunali.
Nello stesso provvedimento impugnato si dà espressamente
atto della nota del 06.05.2013 con cui il responsabile del
procedimento ha proposto la chiusura del procedimento con la
conferma della validità della concessione edilizia n. 80 del
2000; e della nota del 23.07.2014, quindi di pochi mesi
precedente al provvedimento impugnato, nella quale il Comune
si esprime nel senso della validità della concessione
edilizia n. 80, condizionandola alla cessione delle aree e
alla acquisizione dei diritti edificatori. Della ricezione
di tale ultima nota -a cui, secondo il Comune, non sarebbe
stato dato riscontro- da parte dell’odierna ricorrente il
Comune non ha dato alcuna prova agli atti del presente
giudizio.
Il provvedimento di annullamento, oltre che privo di
motivazione circa l’interesse pubblico ed attuale anche in
relazione al tempo trascorso e all’affidamento dei privati,
appare quindi anche in contrasto con i principi di
correttezza e buona fede a cui deve essere improntata
l’azione amministrativa, tenuto conto dei precedenti atti
degli stessi uffici comunali e dell’affidamento ingenerato
circa l’esito del procedimento avviato nel 2008.
La illegittimità del provvedimento di autotutela comporta la
illegittimità derivata anche dell’ordine di demolizione (TAR
Lazio-Roma, Sez. II-quater,
sentenza 14.03.2016 n. 3177 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Il lungo lasso di tempo trascorso dai
provvedimenti autorizzatori, il numero degli stessi
e la natura economico-imprenditoriale dell’attività
esercitata dalla ricorrente depongono per
l’applicazione del principio dell’affidamento, il
quale appunto, in questa materia, “tutela la
certezza e la stabilità dei rapporti giuridici,
ammettendo la rimozione di una situazione di
vantaggio, attribuita ad un privato da un atto
amministrativo specifico, soltanto al ricorrere di
determinate condizioni: fra queste ultime, rientra
un intervallo di tempo tale da non ingenerare nel
privato la convinzione circa la stabilità del
rapporto”.
---------------
L’A.C. trascurava di considerare come ormai, a
distanza di più di dieci anni dal proprio, reiterato
errore e in presenza di un’attività economica
consolidata e dal 2010 significativamente ampliata,
il riferimento al tema del corretto rapporto tra
l’attività ricettiva e quella agricola, in origine
certamente decisivo, non era più sufficiente a
giustificare la rimozione dell’atto, la quale doveva
rispondere “a un interesse pubblico non solo attuale
e concreto ma anche prevalente rispetto ad altri
interessi a favore della sua conservazione e, tra
questi, in particolare, rispetto all’interesse del
privato che ha riposto affidamento nella legittimità
e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un
simile affidamento si sia consolidato per effetto
del decorso di un rilevante arco temporale”.
----------------
...
per l’annullamento:
- della nota prot. n. 10080 del 25.05.2015, successivamente
ricevuta, con la quale si comunica l’avvio del procedimento
di annullamento dell’autorizzazione n. 17/04 e si invita la
ricorrente a limitare l’ospitalità agrituristica a n. 40
posti letto;
- del provvedimento prot. n. 12653 del 29.06.2015,
successivamente conosciuto, avente a oggetto <<Difformità
numerica della capacità ricettiva in attività agrituristica
‘Bo.Ma.’ con sede in Melendugno alla Strada Comunale
Bosco Coppola, frazione Borgagne. Comunicazioni di rilascio
di nuova autorizzazione>>;
- di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
...
3.- Considerato che:
- l’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, nella formulazione
vigente all’epoca della d.d. impugnata, prevedeva che “1.
Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’
articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo
articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”;
- alla “stregua di tale previsione normativa [l’art.
21-nonies, ndr], che ha peraltro codificato il consolidato
orientamento già precedentemente espresso dalla
giurisprudenza, l’annullamento del provvedimento
amministrativo richiede, oltre all’illegittimità dell’atto,
anche la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua
rimozione. Quest’ultimo deve, poi, trovare adeguata
evidenziazione, mediante un’idonea motivazione, che dia
conto della ponderazione degli interessi in gioco, inclusi
quelli dei destinatari dell’atto e dei controinteressati,
anche alla luce del tempo trascorso dall’adozione del
provvedimento […]".
E invero, la regola di cui all’articolo 21-nonies della
legge n. 241 del 1990 non soffre eccezioni -in linea di
principio- neppure nel caso in cui vengano in considerazione
interessi di particolare rilievo, quale quello attinente
alla tutela del paesaggio (cfr. in questo senso Cons. Stato,
Sez. VI, 20.09.2012, n. 4997).
La posizione di preminenza che l’interesse assume
nell’ambito dell’ordinamento giuridico, in considerazione
della sua consistenza di valore costituzionalmente primario
(C. cost. n. 367 del 2007, Id. n. 182 del 2006, Id. n. 151
del 1986), può invero attenuare l’onere motivatorio
incombente sull’Amministrazione in sede di annullamento in
autotutela dell’atto ampliativo, fino a rendere tale onere
minimo in certe ipotesi (specialmente in presenza di opere
di rilevante impatto o di interventi eseguiti in aree di
pregio particolarmente importante).
Tuttavia, <<tale preminenza non può elidere del tutto la
necessità che sia data evidenza del compimento di una
ponderazione idonea a mettere in luce la preminenza
dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento
dell’atto autorizzatorio illegittimamente rilasciato
rispetto agli altri contrapposti interessi>> (TAR Lombardia
Milano, II, 13.08.2015, n. 1896).
- l’art. 6, comma 1, lettera d), numero 1), della legge
07.08.2015, n. 124, inoltre, apportava all’art. 21-nonies le
seguenti modificazioni: “al comma 1, dopo le parole:
<<entro un termine ragionevole>> sono inserite le seguenti:
<<, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento
dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di
attribuzione di vantaggi economici […]>>; e se è vero che la
novella non era ratione temporis applicabile alle
determinazioni impugnate, deve però ritenersi, in conformità
alla preferibile giurisprudenza, che il previsto sbarramento
temporale all’esercizio del potere di autotutela sia
comunque rilevante “ai fini interpretativi e ricostruttivi
del sistema degli interessi rilevanti” (così Consiglio
di Stato, VI, 10.12.2015, n. 5625).
4.- Ritenuto che, nel caso in esame:
- il lungo lasso di tempo trascorso dai provvedimenti
autorizzatori, il numero degli stessi e la natura
economico-imprenditoriale dell’attività esercitata dalla
ricorrente depongono per l’applicazione del principio
dell’affidamento, il quale appunto, in questa materia, “tutela
la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici,
ammettendo la rimozione di una situazione di vantaggio,
attribuita ad un privato da un atto amministrativo
specifico, soltanto al ricorrere di determinate condizioni:
fra queste ultime, rientra un intervallo di tempo tale da
non ingenerare nel privato la convinzione circa la stabilità
del rapporto” (Consiglio di Stato, IV, 16.04.2015, n.
1953).
- a fronte di una serie di atti con i quali l’A.C.
autorizzava la società per 74 posti letto neppure può
ritenersi che tale legittimo affidamento fosse escluso dal
diverso, e più limitato, disposto del certificato regionale,
ben potendo il privato non aver colto tutte le implicazioni
che, sul piano amministrativo, siffatto contrasto
comportava.
- l’A.C., peraltro, pur avendo evidenziato la portata per
essa vincolante della certificazione regionale, trascurava
di considerare come ormai, a distanza di più di dieci anni
dal proprio, reiterato errore e in presenza di un’attività
economica consolidata e dal 2010 significativamente
ampliata, il riferimento al tema del corretto rapporto tra
l’attività ricettiva e quella agricola, in origine
certamente decisivo, non era più sufficiente a giustificare
la rimozione dell’atto, la quale doveva rispondere “a un
interesse pubblico non solo attuale e concreto ma anche
prevalente rispetto ad altri interessi a favore della sua
conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto
all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella
legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando
un simile affidamento si sia consolidato per effetto del
decorso di un rilevante arco temporale” (TAR Calabria
Catanzaro, II, 08.04.2015, n. 609).
5.- Ritenuto che il ricorso deve dunque essere accolto,
ferma restando, ovviamente, la necessità che, salvo il
profilo fin qui delineato, l’attività della società Ma.
sia in linea con tutta la normativa di settore applicabile
alle sue effettive dimensioni (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 03.03.2016 n. 430
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
febbraio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sotto l’ulteriore profilo considerato
(relativo all’interesse pubblico all’annullamento),
va detto che l’art. 21-nonies della legge
07.08.1990, n. 241 (nel testo vigente all’epoca di
adozione del provvedimento) disponeva che: <<Il
provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies può essere annullato
d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo
conto degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati, dall'organo che lo ha emanato,
ovvero da altro organo previsto dalla legge>>.
La norma è espressione di un principio volto alla
composizione di tutti gli interessi che vengono in
rilievo, esigendo che la P.A. dia adeguata contezza
delle ragioni sottostanti all’annullamento
d’ufficio, in termini di interesse pubblico attuale
e prevalente, nei casi in cui il tempo trascorso
abbia ingenerato nel destinatario un concreto
affidamento nel consolidamento della situazione che
la stessa P.A. ha assentito.
A rafforzare il principio già contenuto dall’origine
nell’art. 21-nonies, dandovi concretezza, non può
essere trascurato che l’attuale formulazione della
norma (quale derivante dalla novella introdotta
dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della legge
07.08.2015, n. 124, ancorché non applicabile alla
fattispecie in esame) pone il termine per
l’annullamento d’ufficio “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione dei
provvedimenti di autorizzazione”.
Nella specie, l’annullamento è stato disposto a
distanza di due anni dal rilascio del permesso di
costruire e non è enunciato quale interesse pubblico
prevalente determini la necessità di procedere
all’annullamento del titolo con cui il ricorrente ha
eseguito la manutenzione e il consolidamento
dell’edificio, in relazione alle quali non è addotto
(come sopra precisato) che i lavori abbiano arrecato
nocumento a preminenti valori necessitanti di
tutela.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento del Coordinatore
della 4^ Area - Ambiente Territorio e Infrastrutture prot.
n. 56310 del 07/09/2010, con il quale è stato annullato il
permesso di costruire in sanatoria n. 151 del 09/08/2008,
rilasciato ai sensi dell'art. 36 del DPR n. 380/2001 per la
manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile sito
alla via S. ... nn. 37/39; della nota prot.
n. 32984 del 19/05/2010, recante la comunicazione dei motivi
ostativi; di tutti gli atti anteriori, preordinati e
connessi.
...
Il ricorso è fondato.
Sono meritevoli di favorevole apprezzamento le censure con
cui si fa valere che non occorreva acquisire
l’autorizzazione paesaggistica e che, in ogni caso, non sono
esternate le ragioni in ordine alla sussistenza di un
concreto ed attuale interesse pubblico all’annullamento del
permesso di costruire.
L’art. 149, primo comma, lett. a), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42 dispone infatti che:
<<Fatta salva l'applicazione dell'articolo 143, comma 4,
lettera a), non è comunque richiesta l'autorizzazione
prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e
dall'articolo 159:
a) per gli interventi di manutenzione ordinaria,
straordinaria, di consolidamento statico e di restauro
conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e
l'aspetto esteriore degli edifici>>.
Emerge dallo stesso provvedimento impugnato che l’intervento
è consistito nella “Manutenzione ordinaria e straordinaria,
con sostituzione parziale dei solai, e consolidamento delle
murature, con ripristino abitativo dell’immobile”.
Il ricorrente ha prodotto in data 08/01/2016 l’istanza di
permesso di costruire con l’allegata relazione tecnica, da
cui risulta che –nell’immobile abbandonato da decenni e in
precarie condizioni statiche, oggetto di una non meglio
precisata ordinanza sindacale n. 268 del 06/03/2008– è stata
realizzata la sostituzione dei solai pericolanti con
interventi di cuci e scuci alle pareti anch’esse
pericolanti, oltre al completamento con intonaci,
pavimentazione, pitturazione, impianto idrico ed elettrico
ed infissi interni ed esterni, “con criteri e tipologie
idonee e consone al territorio ed all’ambiente circostante”
ed utilizzo di “prodotti e materiali in muratura di tufo e
solai in latero-cemento piano”, nonché “rifiniture in
assonanza della zona” (cfr. l’esibita relazione
descrittiva).
Con riferimento a tali elementi, può convenirsi sulla
deduzione del ricorrente secondo cui l’intervento non
necessitava di autorizzazione paesaggistica (non risultando
modifiche alla sagoma o ai prospetti e all’aspetto esteriore
dell’edificio), tenuto conto che nel provvedimento neppure
si dà conto delle asserite modifiche allo stato preesistente
dei luoghi.
Invero, la tutela paesaggistica è approntata per la
salvaguardia dei “valori paesaggistici oggetti di
protezione” (art. 146, primo comma, d.lgs. cit.), con
riguardo alla forma esterna dell’edificio posto in zona
tutelata (tale essendo l’ambito della tutela paesaggistica,
a partire dal riferimento, nell’art. 7 della legge 29.06.1939, n. 1497, agli immobili il cui “esteriore aspetto […] è
protetto dalla presente legge”).
Come detto, il provvedimento impugnato si limita ad
affermare che l’intervento ha modificato lo stato dei
luoghi, senza tuttavia concretamente addurre in quali
termini i lavori, in relazione alla loro tipologia
manutentiva e di consolidamento, abbiano concretamente
arrecato una compromissione ai valori tutelati.
Quanto al richiamo, operato nello stesso provvedimento, alla
norma che dispone la necessità dell’accertamento della
compatibilità paesaggistica <<per i lavori comunque
configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o
straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del
Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380>> (quarto
comma, lett. c), dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004), va
osservato che in ogni caso occorre una verifica concreta,
non potendosi negare in mancanza la compatibilità
paesaggistica dell’intervento.
Sotto l’ulteriore profilo considerato (relativo
all’interesse pubblico all’annullamento), va detto che
l’art. 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241 (nel
testo vigente all’epoca di adozione del provvedimento)
disponeva che:
<<Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge>>.
La norma è espressione di un principio volto alla
composizione di tutti gli interessi che vengono in rilievo,
esigendo che la P.A. dia adeguata contezza delle ragioni
sottostanti all’annullamento d’ufficio, in termini di
interesse pubblico attuale e prevalente, nei casi in cui il
tempo trascorso abbia ingenerato nel destinatario un
concreto affidamento nel consolidamento della situazione che
la stessa P.A. ha assentito.
A rafforzare il principio già contenuto dall’origine
nell’art. 21-nonies, dandovi concretezza, non può essere
trascurato che l’attuale formulazione della norma (quale
derivante dalla novella introdotta dall’art. 6, comma 1,
lett. d), n. 1), della legge 07.08.2015, n. 124, ancorché
non applicabile alla fattispecie in esame) pone il termine
per l’annullamento d’ufficio “comunque non superiore a
diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione”.
Nella specie, l’annullamento è stato disposto a distanza di
due anni dal rilascio del permesso di costruire e non è
enunciato quale interesse pubblico prevalente determini la
necessità di procedere all’annullamento del titolo con cui
il ricorrente ha eseguito la manutenzione e il
consolidamento dell’edificio, in relazione alle quali non è
addotto (come sopra precisato) che i lavori abbiano arrecato
nocumento a preminenti valori necessitanti di tutela.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso
va dunque accolto e va conseguentemente annullato il
provvedimento impugnato, con condanna del Comune resistente
al pagamento delle spese processuali in favore del
ricorrente, secondo la regola della soccombenza, nella
misura indicata nel dispositivo (TAR
Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 24.02.2016 n. 984
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
gennaio 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
noto che anche in materia di edilizia il
potere di autotutela debba essere esercitato
dall'Amministrazione competente entro un
termine ragionevole e supportato
dall'esternazione di un interesse pubblico,
attuale e concreto, alla rimozione del
titolo edilizio tanto più quando il privato,
in ragione del tempo trascorso, ha riposto,
con la realizzazione del progetto, un
ragionevole affidamento sulla regolarità
dell'autorizzazione edilizia.
Di conseguenza, nell'esternazione
dell'interesse pubblico l'Amministrazione
deve indicare non solo gli eventuali profili
di illegittimità ma anche le concrete
ragioni di pubblico interesse, diverse dal
mero ripristino della legalità in ipotesi
violata, che inducono a porre nel nulla
provvedimenti che, pur se illegittimi,
abbiano prodotto i loro effetti.
Neppure è invocabile l’eccezionale
ampliamento che in materia edilizia la
giurisprudenza riconosce alle
amministrazioni, laddove reputa adeguata la
dimostrazione dell’interesse pubblico
ulteriore in caso di erronea
rappresentazione dei fatti da parte
dell’istante.
---------------
In linea di diritto, è noto che anche in
materia di edilizia il potere di autotutela
debba essere esercitato dall'Amministrazione
competente entro un termine ragionevole e
supportato dall'esternazione di un interesse
pubblico, attuale e concreto, alla rimozione
del titolo edilizio tanto più quando il
privato, in ragione del tempo trascorso, ha
riposto, con la realizzazione del progetto,
un ragionevole affidamento sulla regolarità
dell'autorizzazione edilizia.
Di conseguenza, nell'esternazione
dell'interesse pubblico l'Amministrazione
deve indicare non solo gli eventuali profili
di illegittimità ma anche le concrete
ragioni di pubblico interesse, diverse dal
mero ripristino della legalità in ipotesi
violata, che inducono a porre nel nulla
provvedimenti che, pur se illegittimi,
abbiano prodotto i loro effetti (cfr. ex
multis Tar Liguria n. 292/2015, Tar
Lecce 2153/2013 e Tar Latina 215/2014).
Neppure è invocabile l’eccezionale
ampliamento che in materia edilizia la
giurisprudenza riconosce alle
amministrazioni, laddove reputa adeguata la
dimostrazione dell’interesse pubblico
ulteriore in caso di erronea
rappresentazione dei fatti da parte
dell’istante (cfr. ancora di recente Tar
Lazio n. 11660/2015).
Nella specie, al contrario, l’erronea
(eventuale) valutazione è imputabile
direttamente ad atti della stessa
amministrazione, a partire dai certificati
di destinazione urbanistica, mentre nessuna
erronea rappresentazione dei luoghi e dei
fatti è contestata a parte ricorrente
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 29.01.2016 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il comma 1 dell’art. 21-nonies oggi
dispone: “Il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può
essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni
di interesse pubblico, entro un termine ragionevole,
comunque non superiore a diciotto mesi dal momento
dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o
di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i
casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi
dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo
che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto
dalla legge”.
Il fatto che il legislatore non abbia sostituito le
parole “termine ragionevole” con le parole “comunque
non superiore a 18 mesi”, che in vece ad esse si
aggiungono, induce a ritenere che si tratti di
un’operazione meramente interpretativa con la quale
si è inteso specificare che il termine ragionevole
non può superare i 18 mesi, dovendosi invece
riconoscere portata innovativa agli interventi di
modifica che sostituiscono una disposizione o parte
di essa, così risultandone una norma diversa dalla
precedente.
----------------
E’ noto che l’espressione “entro un termine
ragionevole”, contenuta nella versione originaria
dell’art. 21-nonies, ha occupato non poco la
dottrina e la giurisprudenza nell’opera di
elaborazione, in assenza di parametri costituzionali
di riferimento, di criteri uniformi di misurazione
del tempo entro il quale la p.a. può esercitare lo
ius poenitendi ed intervenire su posizioni
giuridiche acquisite, valorizzandosi talora il tempo
in sé, quando l’amministrazione ha chiari gli
elementi fondamentali dai quali si deduce
l’illegittimità del provvedimento, grazie
all’attività istruttoria espletata in precedenza,
altre volte gli effetti che medio tempore sono stati
prodotti dal provvedimento.
Con la disposizione in esame il legislatore ha
inteso quindi dare certezza e stabilità ai rapporti
che hanno titolo in atti amministrativi,
individuando nel termine massimo di diciotto mesi il
limite per l’annullamento d’ufficio, il quale
sarebbe senz’altro illegittimo se sopravvenuto dopo
il decorso di detto termine.
Pertanto, avuto riguardo ai provvedimenti per i
quali, alla data di entrata in vigore della novella,
il “termine ragionevole” per l’annullamento è ancora
in corso, il Collegio ritiene di escludere che il
termine di diciotto mesi possa nuovamente decorrere
da detta data, sia perché ciò sarebbe in contrasto
con la natura interpretativa delle disposizione in
rassegna sia perché, diversamente opinando, si
ammetterebbe un’irragionevole rimessione in termini
per la p.a., in palese contraddizione con
l’intendimento del legislatore di stabilire un
termine certo oltre il quale il provvedimento
amministrativo non può essere annullato se non in
sede giurisdizionale.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 36502 del
10.09.2015, con cui il Comune di Trani ha annullato il
permesso di costruire tacito formatosi sull’istanza delle
ricorrenti (pratica n. 111/2009) e comunque ha negato
espressamente la realizzazione dell’intervento edilizio ivi
proposto.
...
E’ fondato il primo motivo di ricorso con il quale le
ricorrenti sostengono che il provvedimento gravato d’ufficio
sarebbe stato adottato quando era ormai decorso il termine
di 18 mesi dalla formazione del titolo edilizio, entro il
quale è consentito l’esercizio del potere di annullamento,
ai sensi della l. 124/2015, che ha modificato l’art.
21-nonies l. 241/1990.
In particolare il comma 1 dell’art. 21-nonies oggi dispone:
“Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi
dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio,
sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un
termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi
dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici,
inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai
sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha
emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
Il fatto che il legislatore non abbia sostituito le parole “termine
ragionevole” con le parole “comunque non superiore a
18 mesi”, che in vece ad esse si aggiungono, induce a
ritenere che si tratti di un’operazione meramente
interpretativa con la quale si è inteso specificare che il
termine ragionevole non può superare i 18 mesi, dovendosi
invece riconoscere portata innovativa agli interventi di
modifica che sostituiscono una disposizione o parte di essa,
così risultandone una norma diversa dalla precedente.
Secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, infatti,
il carattere interpretativo di una novella si desume dal
rapporto che ne risulta fra norme –e non tra disposizioni–
di guisa che il sopravvenire della norma interpretante non
fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si
saldano tra loro dando luogo ad un precetto normativo
unitario (sentenza n. 397 del 1994).
Tipico tratto interpretativo hanno le disposizioni che
esprimono uno fra i possibili significati che la norma
interpretata, per il modo -generico o elastico- in cui è
formulata, può assumere nel contesto normativo di
riferimento, tanto da dar luogo a contrasti interpretativi o
incertezze applicative che inducono il legislatore a meglio
precisarne il precetto.
E’ noto che l’espressione “entro un termine ragionevole”,
contenuta nella versione originaria dell’art. 21-nonies, ha
occupato non poco la dottrina e la giurisprudenza nell’opera
di elaborazione, in assenza di parametri costituzionali di
riferimento, di criteri uniformi di misurazione del tempo
entro il quale la p.a. può esercitare lo ius poenitendi
ed intervenire su posizioni giuridiche acquisite,
valorizzandosi talora il tempo in sé, quando
l’amministrazione ha chiari gli elementi fondamentali dai
quali si deduce l’illegittimità del provvedimento, grazie
all’attività istruttoria espletata in precedenza (Tar
Firenze 11.06.2015 n. 904), altre volte gli effetti che
medio tempore sono stati prodotti dal provvedimento (Tar
L’Aquila Sez. I, 29.07.2008, n. 967).
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso quindi
dare certezza e stabilità ai rapporti che hanno titolo in
atti amministrativi, individuando nel termine massimo di
diciotto mesi il limite per l’annullamento d’ufficio, il
quale sarebbe senz’altro illegittimo se sopravvenuto dopo il
decorso di detto termine.
Pertanto, avuto riguardo ai provvedimenti per i quali, alla
data di entrata in vigore della novella, il “termine
ragionevole” per l’annullamento è ancora in corso, il
Collegio ritiene di escludere che il termine di diciotto
mesi possa nuovamente decorrere da detta data, sia perché
ciò sarebbe in contrasto con la natura interpretativa delle
disposizione in rassegna sia perché, diversamente opinando,
si ammetterebbe un’irragionevole rimessione in termini per
la p.a., in palese contraddizione con l’intendimento del
legislatore di stabilire un termine certo oltre il quale il
provvedimento amministrativo non può essere annullato se non
in sede giurisdizionale.
Venendo al caso in decisione è evidente che il provvedimento
di annullamento del 10.09.2015 -adottato dopo l’entrata in
vigore della novella (28.08.2015)- è sopravvenuto dopo più
di quattro anni dalla formazione del silenzio assenso,
maturato il 02.06.2011 come accertato da questo TAR con
sentenza 610/2013.
Non solo allora è evidente che fosse decorso il termine di
18 mesi previsto dalla l. 124/2015, ma appare comunque
irragionevole che il Comune, che aveva suscitato affidamento
delle ricorrenti rilasciando il parere favorevole del
28.07.2010, abbia invece atteso rebus sic stantibus
circa quattro anni per rimuovere il titolo edilizio.
Naturalmente resta fermo il potere del Comune di Trani di
eventualmente reiterare l’annullamento senza limiti di tempo
ove sussistano le condizioni previste dal comma 2-bis
dell’art. 21-nonies l. 241/1990 parimenti introdotto dalla
l. 124/2015.
Pertanto il ricorso deve essere accolto con assorbimento
degli altri motivi (TAR
Puglia-Bari, Sez. III, la
sentenza 14.01.2016 n. 47
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Va
richiamato il prevalente insegnamento giurisprudenziale
secondo cui, in sèguito all’annullamento giurisdizionale di
un titolo abilitativo (o di un diniego di esso),
l’Amministrazione deve riesaminare la relativa istanza non
già “ora per allora”, ma tenendo conto della normativa
sopravvenuta medio tempore, con il solo limite –che qui non
viene in rilievo- dell’inopponibilità delle modifiche
legislative intervenute dopo la notifica della sentenza da
parte del ricorrente vittorioso.
---------------
... avverso e per l’annullamento e/o la riforma, previa
sospensione dei suoi effetti, della sentenza del TAR della
Campania, Sezione di Salerno, Sezione Seconda, nr. 1838/11
del 16.11.2011, non notificata, che ha respinto il ricorso (nr.
1772/2008) proposto avverso la delibera del Consiglio
Comunale di Montecorvino Rovella nr. 17 del 16.06.2008 (che
ha approvato una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R.
20.10.1998, nr. 447, per l’insediamento di una media
struttura commerciale di vendita), nonché i successivi
motivi aggiunti proposti, tra l’altro, avverso il
provvedimento unico conclusivo del Responsabile del Settore
Tecnico del S.U.A.P. Associato della Comunità Montana “Monti
Piacentini” nr. 2/2010 del 04.03.2010 (che ha rilasciato
il titolo edilizio per la costruzione dell’opificio
commerciale e, nello stesso tempo, l’autorizzazione per
l’apertura della struttura di vendita che dovrà esservi
allocata).
...
4. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato, e va dunque accolto nei
sensi che saranno di sèguito precisati.
5. In ordine logico, anche per la sua connessione con
l’appello incidentale proposto dagli appellati, signori
Co. e Ca. e società Se. S.r.l., conviene
principiare dal primo motivo di appello, col quale si
lamenta in modo veemente l’erroneità della declaratoria di
improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, cui
il primo giudice è pervenuto in ordine alla doglianza
afferente alla mancata sottoposizione della variante
urbanistica alle procedure previste dal decreto legislativo
03.04.2006, nr. 152, in materia di valutazione ambientale
strategica (V.A.S.).
In particolare il TAR, se per un verso ha ritenuto che,
all’epoca in cui la variante fu posta in essere, essa
avrebbe dovuto certamente essere sottoposta a V.A.S. sulla
scorta del tenore dell’art. 6 del citato d.lgs. nr. 152 del
2006, ha però poi evidenziato doversi fare i conti con le
modifiche a tale norma medio tempore intervenute per effetto
del decreto legislativo 29.06.2010, nr. 128, che, con
previsione certamente riferibile anche a interventi del tipo
che qui interessa, ha inserito al comma 12 del medesimo art.
6 la seguente disposizione: “…Per le modifiche dei piani e
dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o
della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di
autorizzazione di opere singole che hanno per legge
l’effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma
restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA,
la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la
localizzazione delle singole opere”.
Pertanto, secondo il giudice di prime cure, in ogni caso in
sede di rinnovazione dell’attività amministrativa all’esito
di un eventuale annullamento della delibera approvativa
della variante sicuramente non sarebbe stato più necessario
attivare la procedura di V.A.S.: donde il difetto di
interesse delle istanti alla decisione sul punto.
Orbene, la Sezione non concorda con le odierne appellanti,
che definiscono il ragionamento così sintetizzato affetto da
un “clamoroso” o “inaudito” errore di diritto, che sarebbe
costituito dall’avere il primo giudice applicato alla
fattispecie al suo esame una norma non in vigore all’epoca
in cui la stessa si era verificata, con violazione del
principio tempus regit actum.
Al riguardo, va infatti richiamato il prevalente
insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in sèguito
all’annullamento giurisdizionale di un titolo abilitativo (o
di un diniego di esso), l’Amministrazione deve riesaminare
la relativa istanza non già “ora per allora”, ma tenendo
conto della normativa sopravvenuta medio tempore, con il
solo limite –che qui non viene in rilievo-
dell’inopponibilità delle modifiche legislative intervenute
dopo la notifica della sentenza da parte del ricorrente
vittorioso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 10.01.2012, nr. 36; id., 22.02.2002, nr. 1079).
Di conseguenza, non è vero che nel caso che qui occupa il
primo giudice abbia assunto a parametro della legittimità
dei provvedimenti impugnati una norma non ancora in vigore
al momento della loro venuta ad esistenza; molto più
semplicemente, nella sentenza impugnata si è preso atto di
un sopravvenuto mutamento della situazione di diritto, tale
da privare di ogni utilità per la parte ricorrente un
ipotetico accoglimento della censura de qua (atteso che,
come già evidenziato, in sede di riavvio della procedura di
variante l’Amministrazione non avrebbe potuto che concludere
nel senso della non necessità di V.A.S.).
Ed è appena il caso di aggiungere, ancorché le società
istanti non ne abbiano fatto espressa richiesta, che neanche
astrattamente può dirsi sussistente un interesse
all’accertamento incidentale della divisata illegittimità a
fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc.
amm., dal momento che la sopravvenuta modifica normativa ha
privato le ricorrenti medesime anche di ogni chance di
ottenere un risultato diverso in relazione alla doglianza de
qua.
6. Le conclusioni che precedono comportano anche
l’improcedibilità dell’appello incidentale, con il quale gli
originari controinteressati hanno censurato il capo di
sentenza relativo alla ritenuta necessità di V.A.S. nel
regime normativo anteriore alla novella del 2010, assumendo
che neanche in tale assetto la valutazione ambientale
sarebbe stata necessaria: è del tutto evidente che
l’approfondimento di tale questione diventa superfluo alla
luce dell’accertata correttezza della conclusione in rito
raggiunta dal primo giudice sul punto (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2016 n. 27 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA: I
presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di
ufficio della concessione di costruzione con effetti ex tunc
sono:
●
l’illegittimità originaria del provvedimento,
●
l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione
diverso dal mero ripristino della legalità,
●
l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari
e/o l’eventuale negligenza o della malafede del privato che
ha indotto in errore l’Amministrazione o ha approfittato di
un errore della medesima.
Orbene, l’Amministrazione deve, sia pure sinteticamente,
dare conto della sussistenza di tali presupposti con
l’avvertenza che pur non riscontrandosi un termine di
decadenza del potere de quo, la caducazione che intervenga
ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono
state completate esige una più puntuale e convincente
motivazione a tutela del legittimo affidamento.
---------------
... per la riforma della sentenza del TAR ABRUZZO - SEZ.
STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 501/2014, resa tra le
parti, concernente annullamento d'ufficio del permesso di
costruire
...
Ritiene la Sezione che il gravame debba essere respinto e
che quindi il dispositivo della sentenza impugnata debba
essere confermato, non senza precisare a tale esito deve
pervenirsi, ancorché in accoglimento di censura dedotta in
promo grado da parte appellata, sulla base di una
motivazione diversa da quella esposta nella sentenza
gravata.
In tale ottica va anzitutto ritenuto che non appare
condivisibile l’affermazione del primo giudice secondo cui
alla fattispecie attiene un vincolo espropriativo
preordinato alla realizzazione della strada graficizzata
nella tavola n. 7b del Piano Regolatore Esecutivo.
In quest’ultimo è invero contenuta la disciplina di
interventi edilizi di tipo residenziale per la quale, anche
con riguardo alle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria , è ammessa la possibilità della loro
realizzazione non soltanto da parte del Comune, previo
esproprio delle aree occorrenti, ma anche da parte dei
privati proprietari delle aree ricomprese nel Piano,
mediante lo strumento della convenzione di lottizzazione.
In presenza di siffatta alternativa, è noto e pacifico, che
il vincolo attinente alle opere di urbanizzazione non è un
vincolo di natura espropriativa. di durata quinquennale,
bensì, contenendo detto piano già la dichiarazione di p.u.
delle dette opere, un vincolo che ha validità decennale ex
art. 16-17 della L.U..
E’ altresì condivisibile l’affermazione della difesa del
Comune appellante secondo cui in nessun caso un atto privato
di compravendita qual è quello stipulato tra la parte
appellata e la sig.ra Ga.Sc. può mutare la destinazione di
zona nella quale un’area originariamente è collocata. come
del resto è previsto dallo stesso P.R.E. in esame, né
potendo un contratto tra privati avere l’effetto di una
variante.
Va aggiunto che la validità del vincolo decennale della
distanza delle costruzione dalla strada è stato ritualmente
rinnovato dal Comune con la deliberazione consiliare n. 4
del marzo 2010, non potendosi opporre al riguardo l’omessa
comunicazione preventiva a parte appellata di tale rinnovo
non essendo essa proprietaria di una volumetria residenziale
all’interno della zona d’espansione.
Alla stregua delle considerazione che precedono ne deriva
che gran parte dell’impianto motivazionale della sentenza
impugnata non può essere confermato in questa sede.
Non può non essere rilevato, tuttavia, che il provvedimento
impugnato è stato adottato al solo scopo di affermare il
ripristino della legalità violata avendo natura di
annullamento d’ufficio volta ad invalidare precedenti tutoli
edilizi rilasciati a parte appellata nonostante sin
dall’origine non ne esistessero le condizioni.
In tale ambito è d’uopo richiamare il costante orientamento
di questo giudice in tema di annullamento d’ufficio.
In tale ottica va ricordato che “in materia edilizia, i
presupposti per l'esercizio del potere di annullamento
d'ufficio della concessione di costruzione con effetti ex
tunc sono l'illegittimità originaria del provvedimento,
l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione
diverso dal mero ripristino della legalità (i.e. tutela del
territorio), l'assenza di posizioni consolidate in capo ai
destinatari e/o l'eventuale negligenza o della malafede del
privato che ha indotto in errore l'Amministrazione o ha
approfittato di un errore della medesima, tenendo presente
che all'uopo quest'ultima deve dare conto, sia pure
sinteticamente, della sussistenza di tali presupposti con
l'avvertenza che pur non riscontrandosi un termine di
decadenza del potere de quo, la caducazione che intervenga a
una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono
state completate esige una più puntuale e convincente
motivazione a tutela del legittimo affidamento" (Cons.
Stato Sez. IV 27.11.2010 - n. 8291).
Rileva di conseguenza nella fattispecie che l’autotutela è
stata esercita nel 2013 in relazione a permessi di costruire
volti ad eseguire lavori di ristrutturazione ed ampliamento
del 2006 e del 2012
Né può essere omesso di osservare che il Comune, affatto
ingannato da parte appellata, confrontando la documentazione
progettuale allegata ai detti permessi di costruire con
quella già in suo possesso descrittiva dei confini
preesistenti, ben avrebbe potuto accorgersi del mutamento
dei confini sulla base del quale quest’ultima intendeva
eseguire gli interventi.
Tanto meno il Comune appellante ha posto a confronto, sul
piano motivazionale, la realizzazione della piscina con la
possibilità che la stessa non fosse incompatibile con il
vincolo della distanza dalla strada, avuto riguardo alla
prevista possibilità di apportare “lievi modifiche”
al P.R.E. che ben potrebbero riguardare anche una strada di
piano ad oggi soltanto graficizzata.
L’appello va in conclusione respinto (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 24.12.2015 n. 5830
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E’
ben nota al Collegio la costante affermazione della
giurisprudenza amministrativa secondo la quale “i due titoli,
permesso di
costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti
differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e
l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata
richiede il rilascio di ambedue i titoli.
La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non
eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso
di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e
sanzionatorio–ripristinatori, quale un’ordinanza di
riduzione in pristino.
Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che
la concessione edilizia può essere rilasciata anche in
mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che
è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché
non interviene il nulla osta paesaggistico. La
giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio
dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i
provvedimenti.
La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso
da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi
di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità
giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione
del necessario nulla osta paesaggistico. L’assoggettamento a
vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della
presenza di un’autorizzazione non è stata messa in dubbio,
nel caso di specie, nemmeno da parte ricorrente che non li
ha sollevati come motivi di censura”.
Alla base di tale orientamento, riposa il convincimento per
cui: “l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non
consente di considerare la procedura per il rilascio del
nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento
per il rilascio della concessione edilizia, neppure
nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come
bellezze di insieme".
Sennonché, occorre osservare che:
a) da un canto, tale costruzione è stata riduttivamente
interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione che
ha avuto modo
di precisare che “ove l'area per la quale si è conseguito il
titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da
altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra
questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico,
che, in via generale, non conferisce al bene una condizione
di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento
abilitativo che dipende dall'accertamento di non-
incompatibilità della prospettata attività di
trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Si
suole argomentare, correttamente, che in presenza del
vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività
costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di
competenza dell'autorità preposta al controllo delle
costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso,
nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela
dei valori culturali e ambientali, alla valutazione
dell'autorità statale, e successivamente, in via di delega
o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di
funzioni, dall'autorità regionale, e infine alla stessa
autorità comunale per delega della regione.
La necessità di un doppio titolo abilitativo osta alla
qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita
per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove
difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa, ove si
sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo, il diritto all'attività costruttiva
non può dirsi consolidato a favore del proprietario.
L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il Giudice
amministrativo può affermare che il mancato rilascio del
nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della
concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in
zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di
ambedue i titoli”;
a1) la giurisprudenza penale, poi, è stata da tempo
stabilmente orientata nel ritenere che per costruire in area vincolata non è
sufficiente l’autorizzazione paesaggistica, ma occorre anche
la concessione edilizia e che laddove l’autorizzazione
manchi la concessione edilizia sia del tutto inefficace, e
sia integrato il reato di cui all’art. 20, lett. c), legge n.
47/1985 ed 1-sexies legge n. 431/1985 [di recente: Cassazione
penale sez. III 07/10/2014 n. 952: “i
climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti
tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei
fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi
definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, sicché la loro
realizzazione o installazione, seppure non necessitante del
permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione
certificata di inizio di attività (s.c.i.a.) ai sensi
dell'art. 22 d.P.R. cit., non rientrando tra gli interventi
eseguibili senza alcun titolo abilitativo. In ogni caso,
poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere
attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi
incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in
particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative
all'efficienza energetica nonché delle disposizioni
contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di
cui al d.lgs. n. 42 del 2004, ne consegue che ove
l'installazione di condizionatore (già soggetta a s.c.i.a.)
abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa
è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando
dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art.
181 d.lgs. n. 42 del 2004)"];
b) secondariamente, la giurisprudenza amministrativa più
recente tende ad attenuare il regime di “separatezza”
pervenendo all’affermazione secondo la quale "è legittimo il provvedimento di
annullamento in autotutela del titolo a costruire un locale
servizio conseguito su denunzia di inizio attività
edificatoria, in ragione del mancato preventivo intervento
dell'autorizzazione paesaggistica necessaria per le
costruzioni in zone soggette a vincoli ambientali” (così
configurando, quindi un vizio di invalidità del titolo concessorio).
In realtà, osserva il Collegio, il contrasto è più apparente
che reale. L’autonomia dei due procedimenti sussiste
certamente.
Ciò implica che la concessione edilizia rilasciata in
carenza dell’autorizzazione paesaggistica non sia invalida,
ma inefficace, in quanto la predetta autorizzazione potrebbe
sopravvenire.
---------------
4.4.4. E’ ben nota al Collegio la costante affermazione
della giurisprudenza amministrativa secondo la quale (ex aliis, ancora di recente TAR Campania Napoli, sez. VIII,
05.06.2012 sent. 2652) “i due titoli, permesso di
costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti
differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e
l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata
richiede il rilascio di ambedue i titoli.
La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non
eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso
di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e
sanzionatorio–ripristinatori, quale un’ordinanza di
riduzione in pristino.
Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che
la concessione edilizia può essere rilasciata anche in
mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che
è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché
non interviene il nulla osta paesaggistico. La
giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio
dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i
provvedimenti (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 02.05.2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11.03.1995, n. 376;
Cons. Stato, sez. V, 01.02.1990, n. 61; Cons. Stato,
sez. II, 10.09.1997, n. 468; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 547 del 10.02.2006).
La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso
da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi
di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità
giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione
del necessario nulla osta paesaggistico. L’assoggettamento a
vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della
presenza di un’autorizzazione non è stata messa in dubbio,
nel caso di specie, nemmeno da parte ricorrente che non li
ha sollevati come motivi di censura”.
Alla base di tale orientamento, riposa il convincimento per
cui: “l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non
consente di considerare la procedura per il rilascio del
nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento
per il rilascio della concessione edilizia, neppure
nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come
bellezze di insieme" (C.d.S., sez. V, 11.03.1995, n. 376;
C.d.S. Sez. VI, 19.06.2001, n. 3242).
4.4.5. Sennonché, occorre osservare che:
a) da un canto, tale costruzione è stata riduttivamente
interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione che
(Cassazione civile sez. I 07/04/2006 n. 8244) ha avuto modo
di precisare che “ove l'area per la quale si è conseguito il
titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da
altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra
questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico,
che, in via generale, non conferisce al bene una condizione
di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento
abilitativo che dipende dall'accertamento di non-
incompatibilità della prospettata attività di
trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Si
suole argomentare, correttamente, che in presenza del
vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività
costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di
competenza dell'autorità preposta al controllo delle
costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso,
nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela
dei valori culturali e ambientali, alla valutazione
dell'autorità statale, e successivamente, in via di delega
o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di
funzioni, dall'autorità regionale, e infine alla stessa
autorità comunale per delega della regione.
La necessità di un doppio titolo abilitativo osta alla
qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita
per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove
difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa, ove si
sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta
alla tutela del vincolo, il diritto all'attività costruttiva
non può dirsi consolidato a favore del proprietario.
L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il Giudice
amministrativo può affermare che il mancato rilascio del
nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della
concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in
zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di
ambedue i titoli”;
a1) la giurisprudenza penale, poi, è stata da tempo
stabilmente orientata nel ritenere che (Cass. Pen. Sez. III
23.11.1999) per costruire in area vincolata non è
sufficiente l’autorizzazione paesaggistica, ma occorre anche
la concessione edilizia e che laddove l’autorizzazione
manchi la concessione edilizia sia del tutto inefficace, e
sia integrato il reato di cui all’art. 20, lett. c), legge n.
47/1985 ed 1-sexies legge n. 431/1985 [Cass. Pen. n.
10502/1999, 1093/1998, 6681/1998; di recente: Cassazione
penale sez. III 07/10/2014 n. 952: “i
climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti
tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei
fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi
definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, sicché la loro
realizzazione o installazione, seppure non necessitante del
permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione
certificata di inizio di attività (s.c.i.a.) ai sensi
dell'art. 22 d.P.R. cit., non rientrando tra gli interventi
eseguibili senza alcun titolo abilitativo. In ogni caso,
poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere
attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi
incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in
particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative
all'efficienza energetica nonché delle disposizioni
contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di
cui al d.lgs. n. 42 del 2004, ne consegue che ove
l'installazione di condizionatore (già soggetta a s.c.i.a.)
abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa
è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando
dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art.
181 d.lgs. n. 42 del 2004)"];
b) secondariamente, la giurisprudenza amministrativa più
recente tende ad attenuare il regime di “separatezza”
pervenendo all’affermazione secondo la quale (TAR Roma
(Lazio) sez. II
02/12/2014 n. 12140 “è legittimo il provvedimento di
annullamento in autotutela del titolo a costruire un locale
servizio conseguito su denunzia di inizio attività
edificatoria, in ragione del mancato preventivo intervento
dell'autorizzazione paesaggistica necessaria per le
costruzioni in zone soggette a vincoli ambientali” (così
configurando, quindi un vizio di invalidità del titolo concessorio).
4.4.6. In realtà, osserva il Collegio, il contrasto è più
apparente che reale.
L’autonomia dei due procedimenti sussiste certamente.
Ciò implica che la concessione edilizia rilasciata in
carenza dell’autorizzazione paesaggistica non sia invalida,
ma inefficace, in quanto la predetta autorizzazione potrebbe
sopravvenire.
Ove però –per venire alla fattispecie verificatasi nella
presente causa- la concessione edilizia sia stata rilasciata
sulla base di un presupposto (id est: avvenuto rilascio
dell’autorizzazione paesaggistica) in realtà non sussistente
se non nominatim (in quanto l’autorizzazione paesaggistica
venne rilasciata su un progetto diverso) si è in presenza di
una doppia situazione patologica.
La concessione edilizia è inefficace, in quanto la
autorizzazione paesaggistica è carente; ed è anche invalida,
in quanto fondata su un errato presupposto.
Trattasi in entrambi i casi di vizi (in teoria) sanabili,
ove l’autorizzazione sia rilasciata (su quel medesimo
progetto posto a supporto della domanda di rilascio del
permesso di costruire, è ovvio) e sopravvenga prima
dell’inizio dei lavori.
Ma ove ciò non accada –e ciò non è accaduto nella vicenda
in esame, al momento della presentazione del mezzo e durante
il giudizio di primo grado, quantomeno- ci si trova al
cospetto (non solo di lavori illegittimamente eseguiti in
quanto non assistiti, a monte, dal nulla osta ambientale: -
TAR Torino –Piemonte- sez. I 07/11/2012 n. 1166 “la
concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza
di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che la
stessa è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati,
finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La
mancanza di un'autorizzazione paesaggistica, quindi, rende
non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in
caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio-ripristinatori” ma anche) di una concessione
edilizia viziata ed annullabile in quanto fondata sul falso
presupposto dell’avvenuto rilascio –su progetto conferme- di
una autorizzazione paesaggistica (si vedano, le recenti,
perentorie, affermazioni, di cui a TAR Napoli –Campania-
sez. VI 26.03.2015 n. 1815)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 14.12.2015 n. 5663 - link a www.giustizia-amministratva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Come già altre volte affermato dalla
Sezione, l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela
dei permessi edilizi non può considerarsi in re ipsa tutte
le volte in cui vi sia stata una violazione dei parametri
urbanistici previsti dal PRG, dovendo l’amministrazione di
volta in volta specificare quale concreto pregiudizio abbia
subito per effetto dell’opera realizzata l’assetto del
territorio astrattamente prefigurato dallo strumento
generale.
Né l’annullamento della variante al permesso di costruire
può basarsi sulla asserita falsità della asseverazione
allegata all’istanza presentata.
Invero, l’erroneità della asseverazione allegata alla
istanza tesa ad ottenere un titolo edilizio può divenire
presupposto per l’annullamento d’ufficio dello stesso solo
nel caso in cui la rappresentazione di determinati stati di
fatto sia obiettivamente idonea ad indurre in errore
l’amministrazione.
Ciò non accade tutte le volte in cui dal contenuto del
progetto, della relazione tecnica, o anche da precedenti
atti riferibili al medesimo procedimento appaia chiara la
ragione che ha indotto il professionista ad adottare una
certa impostazione tecnica o giuridica che a posteriori può
anche rivelarsi errata. In tali ipotesi, infatti, l’errore
giuridico o tecnico è sempre evincibile dall’esame del
progetto o degli atti ad esso correlati; esame che
l’amministrazione è sempre tenuta a compiere nonostante
l’asseverazione non avendo questa l’effetto di attenuare i
controlli che la legge pone a sua carico.
---------------
Anche il ricorso per
motivi aggiunti risulta essere fondato.
L’impugnato annullamento d’ufficio della variante al
permesso di costruire che ha assentito l’ampliamento del
fabbricato non risulta supportato da una motivazione
relativa all’interesse pubblico concreto avuto di mira
dall’amministrazione, tale non potendo considerarsi il
generico riferimento all’esigenza di impedire trasformazioni
urbanistiche non consentite dal vigente piano regolatore.
Invero, come già altre volte affermato dalla Sezione,
l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela dei
permessi edilizi non può considerarsi in re ipsa
tutte le volte in cui vi sia stata una violazione dei
parametri urbanistici previsti dal PRG, dovendo
l’amministrazione di volta in volta specificare quale
concreto pregiudizio abbia subito per effetto dell’opera
realizzata l’assetto del territorio astrattamente
prefigurato dallo strumento generale.
Né l’annullamento della variante al permesso di costruire
può basarsi sulla asserita falsità della asseverazione
allegata all’istanza presentata dalla To..
Invero, l’erroneità della asseverazione allegata alla
istanza tesa ad ottenere un titolo edilizio può divenire
presupposto per l’annullamento d’ufficio dello stesso solo
nel caso in cui la rappresentazione di determinati stati di
fatto sia obiettivamente idonea ad indurre in errore
l’amministrazione.
Ciò non accade tutte le volte in cui dal contenuto del
progetto, della relazione tecnica, o anche da precedenti
atti riferibili al medesimo procedimento appaia chiara la
ragione che ha indotto il professionista ad adottare una
certa impostazione tecnica o giuridica che a posteriori può
anche rivelarsi errata. In tali ipotesi, infatti, l’errore
giuridico o tecnico è sempre evincibile dall’esame del
progetto o degli atti ad esso correlati; esame che
l’amministrazione è sempre tenuta a compiere nonostante
l’asseverazione non avendo questa l’effetto di attenuare i
controlli che la legge pone a sua carico.
Nel caso di specie la To. con l’istanza del 20/11/2011 aveva
fatto presente al comune di Capannori di considerare il
disallineamento fra i confini delle zone urbanistiche e
quelli catastali della sua proprietà come un mero errore
della cartografia del piano regolatore. Sulla base del
medesimo assunto è stata successivamente presentata
l’istanza del 04/02/2013 con cui è stato chiesto l’assenso
del Comune per realizzare un ampliamento del fabbricato
esistente in variante al relativo permesso di costruire.
Il comune di Capannori al momento del rilascio della
predetta variante aveva, quindi, a disposizione tutti i dati
per comprendere l’impostazione tecnica seguita dal
progettista e per rilevare la sua erroneità alla luce
dell’esatto rilievo dei confini fra le diverse zone
urbanistiche.
Non avendolo fatto, esso non può lamentarsi di essere stato
tratto in errore dalle rappresentazioni progettuali
contenute nella istanza di variante atteso che l’errore non
è imputabile alla Società istante (che aveva dichiarato da
quali presupposti muoveva la sua impostazione progettuale)
ma ad un difetto dell’istruttoria compiuta sulla domanda.
Per le suddette ragioni il ricorso ed i motivi aggiunti
devono essere accolti
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 14.12.2015 n. 1703 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L’art.
21-nonies della legge 17.08.1990, n. 241 prevede che il
provvedimento amministrativo illegittimo può essere
annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo
previsto dalla legge.
E’ bene aggiungere che il decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge
11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale
all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da
«diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti
di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
---------------
4.– L’appello, a prescindere dalla questione
relativa all’eccepito difetto di interesse, è infondato.
L’art. 21-nonies della legge 17.08.1990, n. 241 prevede
che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere
annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo
previsto dalla legge.
Nella specie, pur volendo prescindere dalla questione
relativa alla sussistenza del vizio di legittimità dell’atto
di primo grado, manca il requisito rappresentato dalla
valutazione motivata della posizione dei soggetti
destinatari del provvedimento.
Nel caso in esame tale
affidamento era particolarmente qualificato, come messo
correttamente in rilievo dal primo giudice, in ragione del
lungo tempo trascorso dall’adozione delle concessioni
annullate. In particolare, risultano trascorsi tredici anni
dal rilascio del condono e ventinove anni dalla
presentazione della relativa domanda.
Né varrebbe rilevare che tale affidamento non potrebbe
venire in rilievo trattandosi di un provvedimento nullo.
L’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 indica, in
modo tassativo, quali sono i casi di nullità del
provvedimento: mancanza degli elementi essenziale dell’atto;
difetto assoluto di attribuzione; violazione o elusione del
giudicato; casi previsti dalla legge.
Nella fattispecie in esame non è dato riscontrare nessuno
dei casi sopra indicati: il Comune, infatti, nella
prospettiva dell’appellante, ha adottato un atto difforme
dal modello legale per mancanza del parere che, in quanto
tale, potrebbe ritenersi annullabile e non nullo.
E’ bene aggiungere che il decreto-legge 12.09.2014,
n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del
Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del
dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività
produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale
all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da
«diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti
di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in
ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del
sistema degli interessi rilevanti.
5.– Gli altri motivi di appello sono anch’essi infondati, in
ragione dell’assorbente valenza invalidante sopra riportata.
In particolare, l’appellante, con tali motivi, fa valere
ulteriori ragioni di invalidità delle rilasciate concessioni
edilizie in sanatoria in ragione dell’esistenza di vincoli
paesaggistici e per il contrasto con gli strumenti
urbanistici.
Quelli indicati sono, però, eventuali vizi di
legittimità che, da soli, in assenza degli altri elementi
costitutivi del provvedimento di secondo grado, non
sarebbero comunque sufficienti a giustificare il disposto
annullamento
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 10.12.2015 n.
5625 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Se è stata rappresentata una situazione dei
luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale
difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo
edilizio determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale
circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente
per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio
del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può
prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento
con un interesse pubblico attuale e concreto.
Proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici,
rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte
dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di
annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato.
Al riguardo il
Collegio ritiene che principio per certo rilevante per il
caso in esame è quello ben consolidato nella condivisibile
giurisprudenza e in forza del quale se è stata rappresentata
una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà
esistente e tale difformità costituisce un vizio di
legittimità del titolo edilizio determinato dallo stesso
soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se
ragione idonea e sufficiente per l’adozione del
provvedimento di annullamento di ufficio del titolo
medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere,
ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un
interesse pubblico attuale e concreto (cfr. in tal senso, ad
es., Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554, nonché Sez.
V, 12.10.2004 n. 6554).
Proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici,
rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte
dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di
annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27.08.2012, n. 4619).
Concludendo sul punto, il Collegio rileva che il
provvedimento di annullamento è stato adottato a seguito di
un accertamento tecnico completo e approfondito, la cui
forza fidefaciente non è scalfita dalle contestazioni
prospettate da parte ricorrente, le cui doglianze appaiono,
pertanto, infondate
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 19.05.2015 n. 2791 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento
d’ufficio di provvedimenti amministrativi (come, nel caso di
specie, quelli abilitativi all’edificazione) è disciplinato
dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 07.08.1990, nel
testo introdotto dall’art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15,
come successivamente modificato ed integrato, in termini che
confermano (richiedendo la sussistenza di ragioni di
interesse pubblico, da far valere entro un “termine
ragionevole”, nonché “tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati”) il pacifico indirizzo
giurisprudenziale, secondo cui l’autotutela costituisce
espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione,
sindacabile (per quanto riguarda la ragionevolezza del
termine, l’avvenuto bilanciamento di interessi e la
motivazione fornita) nei noti limiti, che circoscrivono al
riguardo il giudizio di legittimità.
Non appaiono condivisibili, pertanto, alcune delle
argomentazioni difensive del comune resistente, secondo cui
l’annullamento in via di autotutela di titoli abilitativi,
come quelli di cui si discute, non richiederebbe “una
motivazione dell’interesse pubblico, diversa dalla necessità
di ripristinare la legalità violata, stante la natura di
illecito permanente dell’abuso”, così come non potrebbe
ammettersi “alcun affidamento tutelabile alla conservazione
di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può
avere legittimato”.
Così argomentando, in effetti, l’Amministrazione comunale
esclude qualsiasi differenza fra repressione degli abusi
edilizi (per i quali valgono le regole sopra enunciate) ed
intervento in via di autotutela su titoli abilitativi che,
anche se illegittimi, sono assistiti da autoritarietà ed
efficacia fino al relativo annullamento, con conseguente
carattere non abusivo dell’edificazione, realizzata in
conformità.
Non sembra inutile ricordare, al riguardo, le pronunce della
Corte Costituzionale che –prima assicurando la congruità
dell’indennizzo rispetto al valore del bene espropriato, poi
escludendo la reiterabilità “sine die” dei vincoli
preordinati all’esproprio– hanno in pratica ribadito la
concezione dello “ius aedificandi” come facoltà insita nel
diritto di proprietà, attribuendo alla concessione edilizia
–al di là del “nomen iuris”, poi modificato dal T.U.
approvato con D.P.R. n. 380/2001– natura sostanzialmente
autorizzativa.
Premesso quanto sopra, sembra opportuno ricordare che
l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi
(come, nel caso di specie, quelli abilitativi
all’edificazione) è disciplinato dall’art. 21-nonies della
legge n. 241 del 07.08.1990, nel testo introdotto dall’art.
14 della legge 11.02.2005, n. 15, come successivamente
modificato ed integrato, in termini che confermano
(richiedendo la sussistenza di ragioni di interesse
pubblico, da far valere entro un “termine ragionevole”,
nonché “tenendo conto degli interessi dei destinatari e
dei controinteressati”) il pacifico indirizzo
giurisprudenziale, secondo cui l’autotutela costituisce
espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione,
sindacabile (per quanto riguarda la ragionevolezza del
termine, l’avvenuto bilanciamento di interessi e la
motivazione fornita) nei noti limiti, che circoscrivono al
riguardo il giudizio di legittimità (cfr. in tal senso, fra
le tante, Cons. St., sez. VI, 02.09.2013, n. 4352; Cons.
St., sez. V, 22.01.2014, n. 322 e 25.07.2014, n. 3964; Cons.
St., sez. IV, 07.07.2014, n. 3426).
Non appaiono condivisibili, pertanto, alcune delle
argomentazioni difensive del comune resistente, secondo cui
l’annullamento in via di autotutela di titoli abilitativi,
come quelli di cui si discute, non richiederebbe “una
motivazione dell’interesse pubblico, diversa dalla necessità
di ripristinare la legalità violata, stante la natura di
illecito permanente dell’abuso”, così come non potrebbe
ammettersi “alcun affidamento tutelabile alla
conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il
tempo non può avere legittimato”.
Così argomentando, in effetti, l’Amministrazione comunale
esclude qualsiasi differenza fra repressione degli abusi
edilizi (per i quali valgono le regole sopra enunciate) ed
intervento in via di autotutela su titoli abilitativi che,
anche se illegittimi, sono assistiti da autoritarietà ed
efficacia fino al relativo annullamento, con conseguente
carattere non abusivo dell’edificazione, realizzata in
conformità.
Non sembra inutile ricordare, al riguardo, le pronunce della
Corte Costituzionale che –prima assicurando la congruità
dell’indennizzo rispetto al valore del bene espropriato, poi
escludendo la reiterabilità “sine die” dei vincoli
preordinati all’esproprio– hanno in pratica ribadito la
concezione dello “ius aedificandi” come facoltà
insita nel diritto di proprietà, attribuendo alla
concessione edilizia –al di là del “nomen iuris”, poi
modificato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 380/2001– natura
sostanzialmente autorizzativa (cfr. in tal senso Corte Cost.
30.01.1980, n. 5, 21.04.1983, n. 127 e 20.05.1999, n. 179
cit.).
La medesima confusione, fra opere abusive e opere realizzate
in attuazione di ius aedificandi debitamente
autorizzato, si rinviene nel richiamo –operato ancora dalla
difesa comunale– al principio della “doppia conformità”,
prescritto in materia di sanatoria (essendo le opere abusive
regolarizzabili “ex post”, ma solo se conformi alla
disciplina vigente sia alla data di realizzazione delle
stesse, sia a quella dell’istanza di sanatoria): tale
principio, tuttavia, può riguardare la fase successiva
all’atto di annullamento in via di autotutela, ma non può
anche giustificare l’emanazione di tale atto.
Nella situazione in esame, infatti, l’Amministrazione
giustifica l’autoannullamento anche con l’attuale non
sanabilità delle opere, in quanto non potrebbe esservi
autorizzazione paesaggistica successiva e non rileverebbe la
nuova disciplina urbanistica della ristrutturazione –ora
consentita dal Comune anche con dislocazione dell’area di
sedime– poiché quest’ultima disciplina non era ancora
vigente alla data di realizzazione delle opere di cui
trattasi.
Tali considerazioni non possono ritenersi attinenti al
legittimo esercizio della potestà di autotutela, che deve
considerare la legittimità del provvedimento che ne è
oggetto in base al principio “tempus regit actum” e
–una volta accertata l’effettiva sussistenza di vizi,
rapportabili all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a
valutare discrezionalmente la sussistenza degli ulteriori
presupposti per intervenire, previo bilanciamento degli
interessi sia pubblici che privati.
Sulla base delle predette argomentazioni, il Collegio
ritiene che l’appello meriti parziale accoglimento
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 27.04.2015 n. 2123 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato,
l’annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non
necessita di espressa e specifica motivazione sul pubblico
interesse, perché di interesse generale al rispetto della
disciplina urbanistica.
In modo corretto quindi è fatto richiamo all’esigenza di un
corretto ripristino del governo del territorio.
Inoltre la preminenza dell'interesse generale sull'interesse
del privato, in situazioni come quella in esame,
caratterizzate dalla collocazione del manufatto nella fascia
costiera dei 300 m. dal mare, in zona H dal PUC, di
particolare pregio naturalistico–ambientale e di
conservazione integrale, è in re ipsa: anche in
considerazione del principio fondamentale della tutela del
paesaggio di cui all’art. 9, secondo comma, Cost..
E’ infine infondato e va respinto anche il IV motivo, di
violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 e di
insufficiente motivazione sull’interesse pubblico, a base
dell’annullamento in autotutela della concessione edilizia
del 2006.
L’appello deduce che, tenuto conto del lungo periodo di
tempo trascorso dall’avvenuto rilascio del titolo edilizio,
e del ragionevole e incolpevole affidamento del privato
sulla regolarità della situazione, non si comprende perché
l’affidamento del privato doveva considerarsi recessivo
rispetto all’interesse pubblico.
Anche la statuizione del giudice di primo di cui alle pagine
da 13 a 15 della sentenza resiste alle critiche che le sono
state rivolte.
Occorre piuttosto considerare in primo luogo che, per
pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (es.
Cons. Stato, IV, 30.07.2012, n. 4300), l’annullamento
d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di
espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse,
perché di interesse generale al rispetto della disciplina
urbanistica.
In modo corretto quindi è fatto richiamo all’esigenza di un
corretto ripristino del governo del territorio. Inoltre la
preminenza dell'interesse generale sull'interesse del
privato, in situazioni come quella in esame, caratterizzate
dalla collocazione del manufatto nella fascia costiera dei
300 m. dal mare, in zona H dal PUC, di particolare pregio
naturalistico–ambientale e di conservazione integrale, è in
re ipsa: anche in considerazione del principio fondamentale
della tutela del paesaggio di cui all’art. 9, secondo comma,
Cost.
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 14.04.2015 n. 1915 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'abuso realizzato, senza preventiva
autorizzazione paesaggistica, consta –per il piano sottotetto–
nella trasformazione da sottotetto
senza permanenza di persone (s.p.p.) con altezza media di
metri 2,32 in un sottotetto abitabile con cucina (di altezza
2,42 metri) e lavanderia, con apertura di finestre verso
l’esterno per garantire il rapporto aeroilluminante dei
nuovi locali abitabili e con aumento dell’altezza massima
del locale da metri 2,65 a metri 2,75.
Vi è stata, inoltre, la formazione di un nuovo tetto con
differente inclinazione e di un terrazzino c.d. a vasca.
L’abuso di cui è causa, pertanto, non è consistito
semplicemente nell’apertura di una serie di nuove finestre
su una parete che ne era priva, ma nella realizzazione di
nuova volumetria e nuova superficie utile –con aumento
dell’altezza massima- in luogo del precedente sottotetto
non abitabile.
Si tratta, di conseguenza, di opere per le quali, ai sensi
del combinato disposto degli articoli 167 e 181 del D.Lgs.
42/2004 non è possibile l’accertamento di compatibilità
paesaggistica.
---------------
E' legittimo l'annullamento in
autotutela della rilasciata compatibilità paesaggistica
laddove il comune si è avveduto che le opere assentite erano le stesse per le quali era stato ordinato
-anni addietro- il ripristino ex art. 167 d.lgs. 42/2004.
Invero,
l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela del
titolo abilitativo paesistico del 2007 si fonda –quindi– non
sulla mera necessità di ripristino della legalità violata,
bensì su quella di tutelare il valore del paesaggio (bene
avente rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 9 della
Costituzione), a fronte di un abuso paesistico non certo
trascurabile, quale la creazione di un sottotetto abitabile,
implicante la realizzazione di nuovo volume e l’incremento
di superficie.
Il sacrificio imposto al privato –a fronte della necessità
di tutela di un bene di primario rango costituzionale
(l’art. 9 –come noto– rientra fra i principi fondamentali
della Costituzione)– non appare eccessivo, in quanto si
tratta di ripristinare l’originaria e legittima destinazione
d’uso del sottotetto, nell’ambito di una unità immobiliare
ampia, per la quale permane comunque il pieno godimento del
terzo piano.
---------------
Sull’annullamento d’ufficio di titoli ad edificare a fronte
della necessità di tutela dell’interesse paesistico, la
giurisprudenza ha affermato che: <<L'interesse del privato
al mantenimento del titolo edilizio, anche se incolpevole e
consolidato, perde, tuttavia, di rilevanza e diviene
irrimediabilmente recessivo rispetto all'interesse pubblico,
laddove il potere di autotutela incida su una concessione
edilizia relativa ad un'area soggetta a vincolo
paesaggistico, che comporti penetranti limitazioni alle
possibilità di edificazione>>.
---------------
I ricorrenti non possono neppure invocare, a loro favore, la
tutela dell’affidamento, in quanto gli stessi erano
consapevoli del carattere abusivo delle opere realizzate sul
loro immobile, tanto è vero che –a fronte della rilevata
falsità della concessione edilizia del 2000 richiamata nel
loro atto di acquisto dello stesso anno– proponevano causa
civile davanti al Tribunale di Milano contro il loro
venditore.
... per l'annullamento, quanto al ricorso principale, del
provvedimento di annullamento autorizzazione paesaggistica
n. 500/2007 del 04/10/2007, adottato in data 07.02.2012;
...
Gli esponenti acquistavano, in data 13.11.2000 un’unità
abitativa in Milano, Alzaia Naviglio Grande n. ..., posta su
due livelli (piano terzo e quarto mansardato).
Nell’atto di vendita l’alienante, sig.ra E.A.Z.,
attestava di avere eseguito lavori di recupero abitativo del
sottotetto ai sensi della legge regionale 15/1996 in forza
di concessione edilizia del 30.05.2000.
Tuttavia, nel corso dell’anno 2006, allorché gli esponenti
avviavano trattative per la vendita dell’immobile, si
scopriva che la concessione edilizia di cui sopra era falsa
e che, di conseguenza, il recupero abitativo del sottotetto
era avvenuto senza alcun titolo, quindi abusivamente.
Il sig. T., a questo punto, presentava due domande per
l’ottenimento, a sanatoria, sia del permesso di costruire
sia dell’autorizzazione paesaggistica, essendo l’immobile
soggetto a vincolo paesaggistico ai sensi del D.Lgs.
42/2004.
Il Comune, però, con nota del 22.02.2007, evidenziava al sig.
T. che non sarebbe stato possibile l’accertamento di
compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 –in quanto era stata realizzata nuova
superficie utile– sicché sarebbe stato avviato il
procedimento di riduzione in pristino di cui al menzionato
art. 167.
A tale avviso di avvio del procedimento, faceva seguito
l’ordinanza del 04.08.2007, con la quale il Comune ingiungeva
al sig. T. il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi
del succitato art. 167 del D.Lgs. 42/2004.
Intanto la signora R. –divenuta nel frattempo
proprietaria dell’intera unità immobiliare, dopo che il sig.
T. in data 18.12.2006 le aveva ceduto la propria quota
del 50%- presentava due domande in data 27.07.2007, per il
rilascio rispettivamente dell’autorizzazione paesaggistica e
del connesso permesso di costruire per interventi di
“creazione di aperture in facciata interna al cortile”.
Il Comune accoglieva dapprima le due domande, rilasciando di
conseguenza l’autorizzazione paesaggistica n. 500/2007 e il
relativo permesso di costruire n. 12/2008.
Successivamente, però, l’Amministrazione comunale,
avvedutasi che le opere assentite a favore della signora
R. erano le stesse per le quali era stato ordinato al
sig. T. il ripristino, avviava il procedimento per
l’annullamento in autotutela sia dell’autorizzazione n.
500/2007 sia del permesso di costruire n. 12/2008.
Con provvedimento del 07.02.2012, era annullata in autotutela
l’autorizzazione paesaggistica n. 500/2007.
...
1.1 Ciò premesso, nel primo e nel secondo mezzo del gravame
principale (che possono essere trattati unitariamente), i
ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 21-nonies della
legge 241/1990 e in genere dei principi che presiedono
all’esercizio del potere di autotutela amministrativa, in
quanto il Comune di Milano non avrebbe fornito alcuna
adeguata motivazione sul pubblico interesse all’annullamento
del titolo –interesse diverso da quello al mero ripristino
della legalità violata– e non avrebbe tenuto adeguatamente
conto né del lasso di tempo trascorso né del sacrificio
imposto all’interesse dei ricorrenti, con conseguente
lesione del principio di proporzionalità dell’azione
amministrativa e di tutela dell’affidamento.
La tesi degli esponenti, per quanto ben argomentata, non
convince il Collegio.
Innanzitutto, occorre premettere che appaiono provate le
circostanze in fatto sopra riportate, vale a dire che le
opere -oggetto dell’autorizzazione paesaggistica n.
500/2007- sono in realtà già state realizzate abusivamente
e sono state altresì oggetto di un ordine di ripristino
notificato l’08.08.2008 e divenuto definitivo, in quanto mai
ritualmente impugnato dal sig. T..
L’identità è provata per tabulas: nella relazione tecnica
alla domanda del sig. T. del 2006 (cfr. i documenti 4 e 5
del resistente), si parla di “intervento già realizzato”, di
“avvenuta formazione del nuovo tetto con inclinazione
diversa” e di “apertura di serramento con formazione di
terrazzino a vasca”; in pratica lo stesso intervento che un
anno dopo (2007) la signora R. chiede di poter
realizzare ex novo attraverso asserite “demolizioni e
ricostruzioni” in realtà già avvenute (del resto le
fotografie allegate alla domanda del 2006 mostrano con
chiarezza l’esistenza delle aperture, si veda la tavola doc.
5 del resistente).
Risulta inoltre, dall’esame degli atti di causa, che
l’intervento realizzato senza titolo ha determinato la
creazione di nuovo volume e di nuova superficie utile
dell’unità abitativa in questione.
Sul punto, si richiamano le planimetrie allegate alla
domanda di autorizzazione paesaggistica della sig.ra
R. del 27.07.2007 (docc. 1-a e 1-b del resistente),
domanda accolta con l’autorizzazione n. 500/2007 poi
annullata in autotutela.
La planimetria 1-b (stato di fatto e di progetto), mostra –per il piano sottotetto– la trasformazione da sottotetto
senza permanenza di persone (s.p.p.) con altezza media di
metri 2,32 in un sottotetto abitabile con cucina (di altezza
2,42 metri) e lavanderia, con apertura di finestre verso
l’esterno per garantire il rapporto aeroilluminante dei
nuovi locali abitabili e con aumento dell’altezza massima
del locale da metri 2,65 a metri 2,75 (per l’individuazione
delle finestre e della loro collocazione, si veda anche la
planimetria 1-a).
Vi è stata, inoltre, la formazione di un nuovo tetto con
differente inclinazione e di un terrazzino c.d. a vasca
(cfr. ancora la succitata documentazione tecnica).
Analoga rappresentazione dell’opera realizzata nel
sottotetto è contenuta nelle planimetrie depositate dal
Comune quali suoi documenti 17 e 19.
L’abuso di cui è causa, pertanto, non è consistito
semplicemente nell’apertura di una serie di nuove finestre
su una parete che ne era priva, ma nella realizzazione di
nuova volumetria e nuova superficie utile –con aumento
dell’altezza massima- in luogo del precedente sottotetto
non abitabile.
Si tratta, di conseguenza, di opere per le quali, ai sensi
del combinato disposto degli articoli 167 e 181 del D.Lgs.
42/2004 non è possibile l’accertamento di compatibilità
paesaggistica, come del resto messo in luce nel
provvedimento impugnato e nella pregressa ordinanza di
ripristino del 2008 (cfr. ancora i documenti 1 e 17 dei
ricorrenti).
L’interesse pubblico all’annullamento in autotutela del
titolo abilitativo paesistico del 2007 si fonda –quindi–
non sulla mera necessità di ripristino della legalità
violata, bensì su quella di tutelare il valore del paesaggio
(bene avente rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 9
della Costituzione), a fronte di un abuso paesistico non
certo trascurabile, quale la creazione di un sottotetto
abitabile, implicante la realizzazione di nuovo volume e
l’incremento di superficie.
Il sacrificio imposto al privato –a fronte della necessità
di tutela di un bene di primario rango costituzionale
(l’art. 9 –come noto– rientra fra i principi fondamentali
della Costituzione)– non appare eccessivo, in quanto si
tratta di ripristinare l’originaria e legittima destinazione
d’uso del sottotetto, nell’ambito di una unità immobiliare
ampia, per la quale permane comunque il pieno godimento del
terzo piano (sulle caratteristiche dell’unità abitativa in
oggetto, si veda l’atto di acquisto, doc. 2 dei ricorrenti).
Quanto al tempo trascorso dall’emissione del provvedimento
di autorizzazione (2007) alla comunicazione di avvio del
procedimento di annullamento (2011), non può sottacersi la
complessità dell’istruttoria, determinata anche dalla
condotta dei signori T. e R., i quali hanno
presentato negli anni 2006 e 2007 sostanzialmente la stessa
domanda però con i loro distinti nominativi (nel 2006
soltanto a nome T. e nel 2007 soltanto a nome R.),
e ciò benché nel 2006 il sig. T. fosse comproprietario
dell’immobile con la signora R..
Sull’annullamento d’ufficio di titoli ad edificare a fronte
della necessità di tutela dell’interesse paesistico, la
giurisprudenza ha affermato che: <<L'interesse del privato
al mantenimento del titolo edilizio, anche se incolpevole e
consolidato, perde, tuttavia, di rilevanza e diviene
irrimediabilmente recessivo rispetto all'interesse pubblico,
laddove il potere di autotutela incida su una concessione
edilizia relativa ad un'area soggetta a vincolo
paesaggistico, che comporti penetranti limitazioni alle
possibilità di edificazione>> (così TAR Sardegna, sez. II,
03.07.2014, n. 549, oltre a Consiglio di Stato, sez. IV,
27.11.2010, n. 8291; TAR Basilicata, 20.12.2014, n. 871 e
TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 06.06.2012, n. 2668).
I ricorrenti non possono neppure invocare, a loro favore, la
tutela dell’affidamento, in quanto gli stessi erano
consapevoli del carattere abusivo delle opere realizzate sul
loro immobile, tanto è vero che –a fronte della rilevata
falsità della concessione edilizia del 2000 richiamata nel
loro atto di acquisto dello stesso anno– proponevano causa
civile davanti al Tribunale di Milano contro il loro
venditore, vale a dire la signora E.A.Z.,
presentando anche una denuncia alla Procura della Repubblica
contro quest’ultima (cfr. i documenti 4 e 5 dei ricorrenti;
si veda in particolare la sentenza del Tribunale di Milano,
sez. IV civile, n. 11469/2005, dalla quale risulta che gli
esponenti hanno ottenuto la condanna della signora Z. al
risarcimento dei danni a loro favore, doc. 5 dei
ricorrenti).
Proprio a fronte dell’illecito edilizio posto in essere
sulla loro unità abitativa, i ricorrenti (o meglio il sig.
T., allora comproprietario al 50%), presentavano rituale
domanda di sanatoria sia ai fini edilizi sia a quelli
paesaggistici, che era però respinta dal Comune, per
impossibilità di pervenire alla compatibilità paesaggistica
di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 (cfr. ancora i
documenti 9 e 17 dei ricorrenti).
Orbene, anziché gravare ritualmente in sede giurisdizionale
l’ordinanza comunale del 2008 di rimessione in pristino, gli
esponenti –attraverso la signora R. divenuta nel
frattempo proprietaria dell’intero immobile– presentavano
domanda di nuova autorizzazione paesaggistica e di connesso
permesso di costruire per opere in realtà già eseguite.
Non vi è chi non veda come tale condotta si ponga in
contrasto con l’invocata buona fede, sicché nessun
affidamento poteva ragionevolmente essere maturato in capo
agli esponenti.
Il provvedimento impugnato si sottrae, pertanto, alle
doglianze esposte nel primo e nel secondo mezzo di gravame
che deve quindi interamente rigettarsi
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 20.03.2015 n. 770 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Permesso di costruire: i limiti all’annullamento con
autotutela (13.10.2014 - link a
www.laleggepertutti.it).
---------------
Guida sulle sentenze del Consiglio di Stato e dei TAR. |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Manfredi,
L’autotutela in edilizia (Urbanistica e
appalti n. 10/2014).
---------------
Il TAR Sardegna riprende un orientamento abbastanza
diffuso nella giurisprudenza amministrativa recente,
affermando che l’interesse che giustifica l’annullamento
d’ufficio dei permessi di costruire corrisponde
all’interesse al rispetto della disciplina urbanistica.
Questo orientamento è però da respingere, perché non è
coerente con il disposto dell’art. 21-nonies della L. n. 241
del 1990. |
EDILIZIA PRIVATA:
L'annullamento giurisdizionale del permesso di
costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere
edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune,
stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice
amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è
obbligato a dare esecuzione al giudicato adottando i
provvedimenti consequenziali.
Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto
necessariamente la demolizione delle opere realizzate,
l'art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, prescrivendo, in caso
di annullamento del permesso di costruire, una nuova
valutazione da parte del dirigente del competente ufficio
comunale riguardo la possibilità di restituzione in
pristino; qualora la demolizione non risulti possibile, il
Comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini
fissati dallo stesso art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Dalla previsione di cui all'art. 38 del DPR 380/2001, che
prevede, come sopra rilevato, la rimozione dei vizi delle
procedure amministrative in caso di permesso di costruire
annullato in via giurisdizionale, non deriva un generale
divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati
in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
La norma non implica, invero, alcun generale divieto di
rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede
giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
Non può ritenersi, pertanto, che la concessione edilizia in
sanatoria sarebbe ammissibile solo in caso di annullamento
della prima per motivi procedurali o formali, rimanendone,
conseguentemente, esclusa la legittimità in ordine
all'annullamento dell'originaria concessione per motivi
sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico.
A ciò va aggiunto che l'affidamento del privato a poter
conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo
edilizio successivamente annullato non é tutelato in via
generale, ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore,
al quale compete emanare norme speciali di tutela come la
potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in
quella pecuniaria (da cui la disciplina dell’art. 38 d.P.R.
n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di
condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del
1994.
Il D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia) all’art. 38 disciplina gli interventi eseguiti in
base a permesso annullato disponendo che “1. In caso di
annullamento del permesso di costruire, qualora non sia
possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei
vizi delle procedure amministrative o la restituzione in
pristino, il dirigente o il responsabile del competente
ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al
valore venale delle opere o loro parti abusivamente
eseguite, valutato dall'Agenzia del territorio, anche sulla
base di accordi stipulati tra quest'ultima e
l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è
notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile
dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di
impugnativa.
2. L'integrale corresponsione della sanzione
pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso
di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36.
2-bis. Le
disposizioni del presente articolo si applicano anche agli
interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3, in caso
di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la
formazione del titolo”.
In applicazione di detta disposizione la giurisprudenza
(Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 3571 del 13.06.2011) ha affermato il principio che l'annullamento
giurisdizionale del permesso di costruire provoca la
qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate
in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo,
oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare
esecuzione al giudicato adottando i provvedimenti
consequenziali.
Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto
necessariamente la demolizione delle opere realizzate,
l'art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, prescrivendo, in
caso di annullamento del permesso di costruire, una nuova
valutazione da parte del dirigente del competente ufficio
comunale riguardo la possibilità di restituzione in
pristino; qualora la demolizione non risulti possibile, il
Comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini
fissati dallo stesso art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Dalla previsione di cui all'art. 38 del DPR 380/2001, che
prevede, come sopra rilevato, la rimozione dei vizi delle
procedure amministrative in caso di permesso di costruire
annullato in via giurisdizionale, non deriva un generale
divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati
in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
La norma non implica, invero, alcun generale divieto di
rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede
giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
Non può ritenersi, pertanto, che la concessione edilizia in
sanatoria sarebbe ammissibile solo in caso di annullamento
della prima per motivi procedurali o formali, rimanendone,
conseguentemente, esclusa la legittimità in ordine
all'annullamento dell'originaria concessione per motivi
sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico
(Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 7731 del 02.11.2010).
A ciò va aggiunto che l'affidamento del privato a poter
conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo
edilizio successivamente annullato non é tutelato in via
generale, ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore,
al quale compete emanare norme speciali di tutela come la
potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in
quella pecuniaria (da cui la disciplina dell’art. 38 d.P.R.
n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di
condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del
1994 (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 4770 del
10.08.2011)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 08.07.2014 n. 1171 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L'adozione
del provvedimento di annullamento d'ufficio presuppone,
unitamente al riscontro dell'originaria illegittimità
dell'atto, la valutazione della rispondenza della sua
rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all'interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell'atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l'amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l'arco temporale trascorso
dall'adozione dell'atto da annullare e solido appaia,
pertanto, l'affidamento ingenerato nel privato.
Ed infatti, costituisce ormai “ius receptum” che "il
provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione
edilizia, quale atto discrezionale, deve essere
adeguatamente motivato in ordine all'esistenza
dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato".
--------------
Anche nell'ipotesi di annullamento di una concessione
edilizia va quindi riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell'amministrazione e che, nell'adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della
legalità violata. In omaggio all'orientamento tradizionale
che trova il suo fondamento nei valori di rango
costituzionale di buon andamento e dell'imparzialità
dell'azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere
la verifica di legittimità dell'atto di autotutela ad un
apprezzamento concreto, condotto sulla base dell'effettiva e
specifica situazione creatasi a seguito del rilascio
dell'atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso
aggancio normativo nell'art. 21-nonies, comma 1, della l. n.
241/1990, in base al quale "il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge".
Nell’interpretazione della predetta normativa la
giurisprudenza ha sistematicamente rimarcato, quanto al
metro di valutazione del tempo, che il termine entro cui
l’amministrazione può intervenire per rimuovere
legittimamente una situazione di illegittimità originaria o
derivata deve essere valutato secondo un criterio di
“ragionevolezza”, nel senso che la valutazione tipicamente
discrezionale dell'atto di autotutela deve essere
espressione di una congrua valutazione comparativa degli
interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di
tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale.
Per quanto concerne l’annullamento delle concessioni
edilizie la ragionevolezza del termine in argomento deve
essere altresì rapportata a quanto prescritto dall'articolo
39 del d.p.r. n. 380/2001 che, nel disciplinare il potere
regionale di annullamento dei provvedimenti comunali che
autorizzano interventi edilizi, fissa in dieci anni dalla
loro adozione il termine massimo entro cui la potestà può
essere esercitata.
----------------
A fronte del considerevole lasso di tempo decorso dal
rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati d'ufficio
(oltre 10 anni), il canone di ragionevolezza del termine
massimo per l'esercizio del potere di autotutela (cfr. art.
21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) deve suggerire una
scelta più attenta e rispettosa verso la consolidata
posizione di affidamento ingenerato nel privato ricorrente
circa la legittimità dell’atto di concessione rilasciatogli.
... per l'annullamento dell’ordinanza UTC del 29.12.2008
recante annullamento della concessione edilizia n. 8 del
16.01.1989 per la realizzazione di un edificio costituito da
un piano terra ed un primo piano
...
Il ricorso è fondato e merita accoglimento nella parte in
cui censura la motivazione dell’annullamento in quanto priva
di qualsivoglia valutazione comparativa fra l’interesse
pubblico alla rimozione della concessione edilizia
rivelatasi illegittima e l’interesse del destinatario
dell’atto al mantenimento in vita del titolo, specie tenuto
conto del lungo tempo decorso a far data dal suo rilascio
superiore a diciotto anni.
Nella materia de qua questo
Collegio ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. Sez. VIII
4976/2013 in precedente analogo contro il medesimo Comune
intimato) che l'adozione del provvedimento di annullamento
d'ufficio presuppone, unitamente al riscontro
dell'originaria illegittimità dell'atto, la valutazione
della rispondenza della sua rimozione a un interesse
pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente
rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua
conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto
all'interesse del privato che ha riposto affidamento nella
legittimità e stabilità dell'atto medesimo, tanto più quando
un simile affidamento si sia consolidato per effetto del
decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità
che l'amministrazione espliciti in sede motivazionale la
compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti;
impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia
l'arco temporale trascorso dall'adozione dell'atto da
annullare e solido appaia, pertanto, l'affidamento
ingenerato nel privato. Ed infatti, costituisce ormai “ius receptum” che "il provvedimento di annullamento di ufficio
di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve
essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza
dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato" (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR
Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008,
n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; 07.12.2009, n.
8597; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n.
170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I,
11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15).
Anche nell'ipotesi di annullamento di
una concessione edilizia va quindi riconosciuta piena
operatività ai principi generali che condizionano il
legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è
espressione della discrezionalità dell'amministrazione e
che, nell'adozione di un provvedimento espresso, postula la
valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero
ripristino della legalità violata. In omaggio
all'orientamento tradizionale che trova il suo fondamento
nei valori di rango costituzionale di buon andamento e
dell'imparzialità dell'azione amministrativa, è, infatti,
doveroso rimettere la verifica di legittimità dell'atto di
autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base
dell'effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del
rilascio dell'atto autorizzativo.
Siffatto approdo
giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo
nell'art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, in base
al quale "il provvedimento amministrativo illegittimo ai
sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato
d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico,
entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi
dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo
ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Nell’interpretazione della predetta normativa la
giurisprudenza ha sistematicamente rimarcato, quanto al
metro di valutazione del tempo, che il termine entro cui
l’amministrazione può intervenire per rimuovere
legittimamente una situazione di illegittimità originaria o
derivata deve essere valutato secondo un criterio di
“ragionevolezza”, nel senso che la valutazione tipicamente
discrezionale dell'atto di autotutela deve essere
espressione di una congrua valutazione comparativa degli
interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di
tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale.
Per quanto concerne l’annullamento delle concessioni
edilizie la ragionevolezza del termine in argomento deve
essere altresì rapportata a quanto prescritto dall'articolo
39 del d.p.r. n. 380/2001 che, nel disciplinare il potere
regionale di annullamento dei provvedimenti comunali che
autorizzano interventi edilizi, fissa in dieci anni dalla
loro adozione il termine massimo entro cui la potestà può
essere esercitata (cfr. Cons. St sez. IV 03.08.2010 n. 5170).
Applicando tali principi al caso in esame, il Collegio
rileva che un provvedimento in autotutela adottato ad oltre
10 anni dall'emissione della concessione edilizia con esso
annullata sarebbe stato giustificabile solo se adeguatamente
motivato in ordine all'interesse pubblico specifico,
concreto e attuale, al divisato annullamento d'ufficio, agli
eventuali contrasti dei titoli abilitativi in parola con gli
interessi urbanistici della zona, nonché in rapporto
all'affidamento nella conservazione del medesimo titolo
abilitativo, consolidatosi nell'arco temporale trascorso tra
il suo rilascio e la relativa rimozione.
Nella specie, nessuna ponderazione tra interesse pubblico e
privato risulta, in sostanza, effettuata ed esplicitata
dall'amministrazione resistente, la quale si è limitata a
rilevare la violazione della fascia di rispetto autostradale
sancita in 25 metri all’epoca del rilascio della concessione
edilizia ai sensi dell’art. 8 della legge n. 729/1961.
Viceversa, a fronte del considerevole lasso di tempo decorso
dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati
d'ufficio (oltre 10 anni), il canone di ragionevolezza del
termine massimo per l'esercizio del potere di autotutela
(cfr. art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) avrebbe
dovuto suggerire -come detto- una scelta più attenta e
rispettosa verso la consolidata posizione di affidamento
ingenerato nel privato ricorrente circa la legittimità
dell’atto di concessione rilasciatogli (cfr. Cons. Stato,
sez. VI, 02.10.2007, n. 5074).
Una siffatta comparazione non risulta ricavabile
“aliunde” nemmeno sulla base della riscontrata analogia con
l’immobile costituente oggetto della decisione del Consiglio
di Stato sez. IV n. 4719/1008 posta a base dell’annullamento
impugnato che ha qualificato il vincolo come di natura
assoluta.
A ben vedere nel giudizio svoltosi innanzi al Consiglio di
Stato si discuteva della legittimità di un diniego di
condono opposto dal Comune intimato rispetto ad un immobile
edificato in assenza di concessione edilizia nella stessa
fascia di rispetto autostradale. Rispetto al provvedimento
di diniego di condono non poteva pertanto porsi alcuna
problematica di affidamento da parte del destinatario
dell’atto sulla legittimità della costruzione eseguita che,
nella specie, invece, è radicata dall’intervenuta emissione
del titolo da parte del Comune e dal lungo lasso di tempo
decorso a far data dal suo rilascio. Deve quindi escludersi
la prospettata identità di fattispecie sulla cui base il
Comune si sarebbe ritenuto esonerato dall’obbligo di
sostenere il provvedimento con una motivazione rafforzata
nei termini sopra ampiamente esposti.
Esclusa quindi l’identità del caso in oggetto con la
fattispecie venuta all’esame del Consiglio di Stato, non può
sostenersi che il Comune fosse onerato a disporre
l’annullamento dei titoli illegittimi rilasciati, senza
tuttavia procedere alla dovuta comparazione con le posizioni
soggettive consolidate dei titolari solo per effetto
dell’ordinanza istruttoria con cui il Consiglio di Stato
aveva chiesto, nel predetto giudizio, al Comune intimato di
produrre una relazione di chiarimenti per verificare quali e
quante altre unità immobiliari erano state realizzate
all’interno della zona soggetta ad inedificabilità assoluta
e quali e quanti provvedimenti erano stati adottati
dall’amministrazione comunale nei confronti delle situazioni
di riscontrata violazione della normativa urbanistica ed
edilizia della zona in questione.
Se tale provvedimento di
natura istruttoria poteva legittimamente costituire
sollecitazione all’esercizio del potere di vigilanza sul
rispetto delle prescrizioni urbanistiche di zona, ciò non
esimeva tuttavia il Comune dall’osservanza, nel procedimento
di autotutela instaurato, dalle prerogative e garanzie
previste dalla legge a protezione delle posizioni soggettive
di affidamento medio tempore create. Né, per le stesse
ragioni, una siffatta valutazione poteva ritenersi in certo
modo assorbita dalla constatazione della illegittimità “in
re ipsa” della concessione edilizia per effetto del
sopravvenuto accertamento giurisdizionale della natura
assoluta del vincolo di rispetto autostradale.
In conclusione il ricorso merita accoglimento con
conseguente annullamento dei provvedimenti medesimi
impugnati (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 02.07.2014 n. 3608 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di
un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa
motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi
questo nell’interesse della collettività nel rispetto
dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina
urbanistica, mentre, in base ad un
altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento
d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe
un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico
concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela,
non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente
l’intento di operare un astratto ripristino della legalità
violata.
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più
corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del
1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un
permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su
un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello
status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura
“discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di
opportunità che deve essere congruamente giustificata.
Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale
consolidato principio prevedendo, in considerazione della
preminenza che egli vuole assicurare a determinati
interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba
assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i
provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo
esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311
del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di
una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio
al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla
salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art.
19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è
consentito configurare in via giurisprudenziale nuove
ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe
sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore
che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad
una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un
procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un
proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità
degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per
effetto di atti autorizzativi non conformi alla
pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine
extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente
ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di
autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti,
apparire talmente evidente da non richiedere alcuna
specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora
interventi edilizi di notevole consistenza siano stati
assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche
sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta
o che prevedono limitazioni volumetriche.
---------------
Se è vero, infatti, che i provvedimenti tipici e nominati
specificamente previsti dalla normazione sulla tutela dei
beni ambientali sono riservati all'autorità attributaria del
relativo interesse primario, è vero altresì che ai fini
dell'annullamento d'ufficio di una licenza edilizia le
ragioni di interesse pubblico che giustificano il
provvedimento non sono limitate a quelle di natura
urbanistica, ma si estendono anche a tutti gli interessi
pubblici secondari ed ulteriori.
Nella disamina delle diverse censure proposte
dalla Società ricorrente il Collegio ritiene che abbia
priorità logica quella di difetto di motivazione in ordine
all’interesse pubblico concreto proposta avverso il
provvedimento di annullamento in via di autotutela del
permesso di costruire.
Sul punto occorre dare atto che la giurisprudenza di primo e
secondo grado appare divisa.
Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di
un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa
motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi
questo nell’interesse della collettività nel rispetto
dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina
urbanistica (Cons. Stato, IV, 4300/2012; Cons. Stato, V,
3037/2013; TAR Sardegna 651/2013), mentre, in base ad un
altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento
d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe
un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico
concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela,
non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente
l’intento di operare un astratto ripristino della legalità
violata (Cons. Stato, IV, 19/03/2013 n. 1605; Cons. Stato,
IV, 4770/2011 che riforma sul punto TAR Toscana, III,
6648/2010; Cons. Stato, V, n. 6252/2007, TAR Marche, Ancona,
I, 593/2013).
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più
corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del
1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un
permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su
un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello
status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura
“discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di
opportunità che deve essere congruamente giustificata.
Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale
consolidato principio prevedendo, in considerazione della
preminenza che egli vuole assicurare a determinati
interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba
assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i
provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo
esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311
del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di
una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio
al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla
salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art.
19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è
consentito configurare in via giurisprudenziale nuove
ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe
sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore
che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad
una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un
procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un
proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità
degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per
effetto di atti autorizzativi non conformi alla
pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine
extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente
ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di
autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti,
apparire talmente evidente da non richiedere alcuna
specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora
interventi edilizi di notevole consistenza siano stati
assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche
sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta
o che prevedono limitazioni volumetriche.
Nel caso di specie, tuttavia, non è dato riscontrare un
palese e grave contrasto fra l’intervento autorizzato con il
permesso di costruire annullato dal Comune di Aulla e la
disciplina urbanistica sostanziale dettata dal p.r.g.,
pacifica essendo la circostanza che il progetto (originario)
rispetta limiti volumetrici e tipologici previsti dalle
n.t.a della zona (R.U. 3 che consente la ristrutturazione
urbanistica con destinazioni non residenziali con un
incremento massimo di mc. 2000).
La difformità dell’atto di assenso rispetto alle
prescrizioni del piano regolatore generale riguarda, invece,
il vincolo di rinvio che sottopone gli interventi
edificatori alla previa approvazione di un piano attuativo
(particolareggiato o di recupero).
Il pregiudizio risentito dagli interessi protetti dallo
strumento urbanistico in conseguenza di siffatta violazione
non appare, tuttavia, così evidente da non richiedere alcuna
motivazione sul punto; sarebbe stato, invece, necessario un
attento esame dell’impatto del progetto di ampliamento
dell’edificio sull’impianto urbanistico preesistente onde
verificare se le modifiche edilizie illegittimamente
assentite richiedessero effettivamente una complessiva
operazione di ristrutturazione urbanistica mediante il
ridisegno dei lotti, degli isolati e della relativa rete
stradale e se tale necessità fosse così stringente da
giustificare il sacrificio dell’affidamento del privato che,
in forza del permesso rilasciato, aveva effettuato
investimenti e realizzato i lavori.
Anche la mancanza dei pareri della Autorità di Bacino e
della Autorità preposta alla tutela del vincolo
paesaggistico non può considerarsi tale da superare
l’esigenza di giustificare con apposita motivazione il
provvedimento di autotutela.
Non è qui in discussione la preminenza degli interessi
paesaggistici e di tutela idraulica, ma, anche in questa
volta, i vincoli che nel caso di specie gravavano sull’area
di proprietà della ricorrente non avevano carattere assoluto
ma imponevano una concreta verifica di compatibilità
dell’intervento edilizio con i valori protetti.
Di tale verifica l’Amministrazione avrebbe dovuto farsi
carico in sede di esercizio del potere di autotutela,
eventualmente con l’apporto istruttorio delle
amministrazioni competenti. Se è vero, infatti, che i
provvedimenti tipici e nominati specificamente previsti
dalla normazione sulla tutela dei beni ambientali sono
riservati all'autorità attributaria del relativo interesse
primario, è vero altresì che ai fini dell'annullamento
d'ufficio di una licenza edilizia le ragioni di interesse
pubblico che giustificano il provvedimento non sono limitate
a quelle di natura urbanistica, ma si estendono anche a
tutti gli interessi pubblici secondari ed ulteriori (Cons.
Stato sez. V, 11.05.1989 n. 272; Cons. Stato sez. V 07.10.1985 n. 308).
L’assenza di ogni valutazione in ordine al concreto
pregiudizio derivante dalla mancata approvazione di un piano
attuativo e la carenza di istruttoria in ordine
all’effettivo contrasto dell’opera assentita con i valori
tutelati dal vincoli idrogeologico e da quello paesaggistico
rendono, perciò, illegittimo l’impugnato provvedimento di
annullamento d’ufficio del permesso di costruire a
prescindere dalla fondatezza dei rilievi in ordine alla
legittimità o meno di tale atto
(TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 02.05.2014 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’adozione
del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone,
unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità
dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua
rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso
dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia,
pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Invero, il provvedimento di annullamento di ufficio di un
permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere
adeguatamente motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di
costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della
legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale
che trova il suo fondamento nei valori di rango
costituzionale di buon andamento e di imparzialità
dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere
la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un
apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e
specifica situazione creatasi a seguito del rilascio
dell’atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso
aggancio normativo nell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n.
241/1990, in base al quale “il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge”.
Si conferma, quindi, la natura tipicamente discrezionale
dell'atto di ritiro, il quale deve essere espressione di una
congrua valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole
e da riportare nel corredo motivazionale.
Del pari fondato è il profilo di censura a
tenore del quale il Comune di Santa Maria Capua Vetere non
avrebbe fornito un’adeguata motivazione circa la prevalenza
dell’interesse pubblico al ritiro dell’emesso titolo
abilitativo edilizio rispetto all’affidamento privato nella
sua conservazione, consolidatosi nell’arco temporale
trascorso tra il suo rilascio e la sua rimozione in
autotutela.
In proposito, occorre premettere che l’adozione del
provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone,
unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità
dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua
rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale. Di qui la necessità che l’amministrazione
espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione
comparativa tra interessi confliggenti; impegno
motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco
temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e
solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel
privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, secondo un
costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez.
V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n.
6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n.
6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586;
01.10.2008, n. 12321; 07.12.2009, n. 8597; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II,
08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria,
sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I,
19.01.2008, n. 15), il provvedimento di annullamento di
ufficio di un permesso di costruire, quale atto
discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine
all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto,
che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine
alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento
di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena
operatività ai principi generali che condizionano il
legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è
espressione della discrezionalità dell’amministrazione e
che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la
valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero
ripristino della legalità violata. In omaggio
all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento
nei valori di rango costituzionale di buon andamento e di
imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti,
doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di
autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base
dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del
rilascio dell’atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso
aggancio normativo nell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n.
241/1990, in base al quale “il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge”.
Si conferma, quindi, la natura tipicamente discrezionale
dell'atto di ritiro, il quale deve essere espressione di una
congrua valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole
e da riportare nel corredo motivazionale
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 31.03.2014 n. 1880 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i
principi che governano l'esercizio del potere di
auto-annullamento dei titoli edilizi confluiti nell'art.
21-nonies della L. 241/1990.
In particolare, si è osservato che:
- i presupposti di tale potere sono costituiti dalla
illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal
mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle
posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai
destinatari;
- l'esercizio del potere di autotutela è espressione di
rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia,
l'amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente,
della sussistenza dei summenzionati presupposti;
- l'ambito della motivazione esigibile è integrato dalla
allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio
dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare
atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del
territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente,
paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che
quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti
dei privati e della eventuale negligenza o della malafede
del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha
approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo
erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato
rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati
attivi);
- pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere
di auto-annullamento del titolo edilizio, la caducazione che
intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le
opere sono state completate, esige una più puntuale e
convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento.
Quanto poi alla ritenuta insussistenza dei
presupposti per procedere all’annullamento d’ufficio della
pregressa delibera consiliare valgano le seguenti
considerazioni.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che
governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei
titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L.
241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.11.2010 n.
8291, 21.12.2009 n. 8529, Sez. V, 06.12.2007 n.
6252; 12.11.2003 n. 7218; 24.09.2003 n. 5445).
In particolare, si è osservato che:
- i presupposti di tale potere sono costituiti dalla
illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse
pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal
mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle
posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai
destinatari;
- l'esercizio del potere di autotutela è espressione di
rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia,
l'amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente,
della sussistenza dei summenzionati presupposti;
- l'ambito della motivazione esigibile è integrato dalla
allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio
dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare
atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del
territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente,
paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che
quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti
dei privati e della eventuale negligenza o della malafede
del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha
approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo
erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato
rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati
attivi);
- pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere
di auto-annullamento del titolo edilizio, la caducazione che
intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le
opere sono state completate, esige una più puntuale e
convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 25.02.2014 n.
1197 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese
l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile
oggetto dei lavori) non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica e in considerazione che le
affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso
del tempo sono tutte imperniate sulla tutela
dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non
sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti
proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato.
In relazione,
poi, all’esistenza di un obbligo di particolare motivazione,
derivante dalla circostanza che fossero trascorsi oltre due
anni dal momento della presentazione della D.I.A., occorre
ricordare come sia del tutto pacifico nella giurisprudenza
di questo Consiglio l’affermazione che l'annullamento
d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto
dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese
l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile
oggetto dei lavori) non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez.
V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni
miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono
tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato
(si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente,
stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al
Comune, dovuto proprio a fatto del privato (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 17.02.2014 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Nell’ipotesi di annullamento di un permesso di
costruire va riconosciuta piena operatività ai principi
generali che condizionano il legittimo esercizio del potere
di autotutela; detto potere è espressione della
discrezionalità amministrativa, di guisa che costituisce
adempimento indefettibile l'adozione di un provvedimento
espresso che richiede la valutazione di elementi ulteriori
rispetto alla mera illegittimità dell'atto da eliminare.
Il provvedimento di annullamento di ufficio di un atto di
assenso edilizio, in quanto scelta discrezionale, deve
essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza
dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifichi il ricorso all'autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
Nel caso di specie, tale motivazione sul pubblico interesse
è mancata, non potendo ritenersi che, in un’area urbana e in
un edificio privato immune da vincoli architettonici o
diversamente qualificati d’interesse culturale, possa
rilevare e assurgere a interesse pubblico l’estetica
architettonica del prospetto di edificio privato
condominiale.
Il Comune, nella specie, si è interposto in una contesa
privata tra condomini e l’ha risolta in via di autorità,
senza che vi fosse l’interesse pubblico all’autotutela
amministrativa, ovvero senza motivare affatto sulla
sussistenza di detto interesse.
---------------
Quando –anche per il decorso del tempo- la posizione del
destinatario del provvedimento ampliativo si consolida e può
dirsi generato un affidamento sulla legittimità del titolo
stesso, l'esercizio del potere di autotutela è senz’altro
condizionato alla sussistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale, diverso da quello al mero ripristino
della legalità violata e prevalente sull'interesse del
privato alla conservazione del titolo illegittimo.
Viceversa, la motivazione in relazione all'interesse
pubblico all'annullamento può essere tralasciata in quei
casi in cui, per il brevissimo lasso di tempo trascorso dal
rilascio del provvedimento favorevole, possa ritenersi
assente l'affidamento del destinatario nella legittimità
dell'atto.
E’ evidente che i tre anni dal permesso di costruire non
consentano di ritenere giustificato l’annullamento d’ufficio
sul semplice presupposto dell’illegittimità del permesso di
costruire.
---------------
Dal combinato disposto delle norme di cui all'art. 21-nonies
della legge n. 241/1990 ed all'art. 38 del T.U. n. 380/2001,
emerge che, a seguito della riscontrata illegittimità del
titolo edilizio, l’Amministrazione procedente deve operare
due distinte e progressive ponderazioni comparate dei
contrapposti interessi in gioco: una, di primo livello
afferente alla normativa generale sul procedimento, in
ordine alla caducazione dell'atto illegittimo; nel caso di
scelta affermativa, una seconda e definitiva fase di
valutazione, riguardante le concrete modulazioni di ricaduta
del deliberato annullamento sulla sfera giuridica del
destinatario, in attuazione del citato articolo 38 del T.U.
sull'edilizia.
In buona sostanza, l'annullamento del permesso di costruire
non postula di per sé in via automatica il ripristino di
quanto medio tempore costruito, visto che una volta
determinatasi a ravvisare gli estremi dell'autotutela
decisoria, l'Amministrazione sarebbe poi chiamata a modulare
(con lo stesso o con altro distinto provvedimento) le misure
operative che ne conseguono, senza un sistematico ricorso
all'integrale autotutela esecutiva.
Il ricorso è fondato.
Il Comune di Termoli (Cb), su segnalazione-esposto del
controinteressato condominio Crema di viale XXIV Maggio n.
6, avvia nel 2011 un procedimento di annullamento d’ufficio
di un permesso di costruire rilasciato tre anni prima, per
trasformare una finestra in un accesso carrabile (n.
132/2008), sul presupposto della scarsa esteticità del
prospetto dell’edificio e del mancato assenso del condominio
a modifiche che avrebbero dovuto essere concordate con esso.
Il procedimento mette capo all’impugnato provvedimento prot.
n. 1744 datato 20.01.2011, con il quale il Comune annulla in
autotutela il permesso di costruire n. 132 del 20.10.2008,
rilasciato in favore della ricorrente.
Si tratta di un annullamento che giunge alquanto in ritardo
ed è vistosamente difettoso nella motivazione.
Nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va
riconosciuta piena operatività ai principi generali che
condizionano il legittimo esercizio del potere di
autotutela; detto potere è espressione della discrezionalità
amministrativa, di guisa che costituisce adempimento
indefettibile l'adozione di un provvedimento espresso che
richiede la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla
mera illegittimità dell'atto da eliminare (cfr.: Tar
Campania Napoli VIII 30.07.2008 n. 9586).
Il provvedimento di
annullamento di ufficio di un atto di assenso edilizio, in
quanto scelta discrezionale, deve essere adeguatamente
motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico,
specifico e concreto, che giustifichi il ricorso
all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto
interesse pubblico su quello antagonista del privato (cfr.: Tar Campania Napoli VIII 23.05.2013 n. 2724).
Nel caso di
specie, tale motivazione sul pubblico interesse è mancata,
non potendo ritenersi che, in un’area urbana e in un
edificio privato immune da vincoli architettonici o
diversamente qualificati d’interesse culturale, possa
rilevare e assurgere a interesse pubblico l’estetica
architettonica del prospetto di edificio privato
condominiale. Il Comune, nella specie, si è interposto in
una contesa privata tra condomini e l’ha risolta in via di
autorità, senza che vi fosse l’interesse pubblico
all’autotutela amministrativa, ovvero senza motivare affatto
sulla sussistenza di detto interesse.
Quanto alla dedotta possibile difformità tra stato di fatto
e progetto assentito –menzionata nel penultimo accapo della
motivazione del provvedimento impugnato– si tratta non già
di un vizio di legittimità del permesso di costruire ma,
semmai, di un rilievo utile ai fini del procedimento di
contestazione di abuso edilizio che, allo stato, non
risulterebbe avviato.
Occorre poi considerare che, quando –anche per il decorso
del tempo- la posizione del destinatario del provvedimento ampliativo si consolida e può dirsi generato un affidamento
sulla legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere
di autotutela è senz’altro condizionato alla sussistenza di
un interesse pubblico concreto e attuale, diverso da quello
al mero ripristino della legalità violata e prevalente
sull'interesse del privato alla conservazione del titolo
illegittimo. Viceversa, la motivazione in relazione
all'interesse pubblico all'annullamento può essere
tralasciata in quei casi in cui, per il brevissimo lasso di
tempo trascorso dal rilascio del provvedimento favorevole,
possa ritenersi assente l'affidamento del destinatario nella
legittimità dell'atto (cfr.: Tar Puglia Bari II,
17.04.2009 n. 894; Tar Campania Napoli VII, 07.05.2008, n. 3511; idem IV, 27.03.2006, n. 3197). E’ evidente
che i tre anni dal permesso di costruire non consentano di
ritenere giustificato l’annullamento d’ufficio sul semplice
presupposto dell’illegittimità del permesso di costruire.
Vi è di più. L’annullamento d’ufficio non potrebbe
modificare la situazione di fatto (vale a dire, l’avvenuta
trasformazione della finestra in accesso carrabile), senza
l’ulteriore provvedimento di ripristino dello stato dei
luoghi che, allo stato, risulta non adottato, né tampoco
adottabile, trattandosi di opera che non ha comportato
alcuna trasformazione edilizia e urbanistica.
Dal combinato
disposto delle norme di cui all'art. 21-nonies della legge
n. 241/1990 ed all'art. 38 del T.U. n. 380/2001, emerge che, a
seguito della riscontrata illegittimità del titolo edilizio,
l’Amministrazione procedente deve operare due distinte e
progressive ponderazioni comparate dei contrapposti
interessi in gioco: una, di primo livello afferente alla
normativa generale sul procedimento, in ordine alla caducazione dell'atto illegittimo; nel caso di scelta
affermativa, una seconda e definitiva fase di valutazione,
riguardante le concrete modulazioni di ricaduta del
deliberato annullamento sulla sfera giuridica del
destinatario, in attuazione del citato articolo 38 del T.U.
sull'edilizia.
In buona sostanza, l'annullamento del
permesso di costruire non postula di per sé in via
automatica il ripristino di quanto medio tempore costruito,
visto che una volta determinatasi a ravvisare gli estremi
dell'autotutela decisoria, l'Amministrazione sarebbe poi
chiamata a modulare (con lo stesso o con altro distinto
provvedimento) le misure operative che ne conseguono, senza
un sistematico ricorso all'integrale autotutela esecutiva
(cfr.: Tar Abruzzo L’Aquila I, 18.01.2011 n. 21).
Tale
considerazione pone in evidenza un profilo di inutilità del
provvedimento impugnato, che non soltanto rende –se
possibile- meno valida e plausibile la motivazione riferita
al mero ripristino della legalità, ma –in aggiunta, sul
piano processuale– priva il condominio controinteressato
dell’interesse a resistere
(TAR Molise,
sentenza 17.02.2014 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Allorquando una
concessione sia stata ottenuta dall'interessato in base ad
una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà,
l’autotutela può essere esercitata senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa".
... per l'annullamento:
- dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Sant'Orsola Terme
n. 14/2012 dd. 06.06.2012 prot. n. 2860 ad oggetto "annullamento
in autotutela delle concessioni di edificare n. 1448 di data
08.03.2000 e n. 1456 di data 04.05.2000", rilasciate ai
signori P.L. e R.S. per i lavori di costruzione
dell’edificio sulla p.f. 203/02 in c.c. S. Orsola località “Palaori";
...
Quanto all’altra censura, secondo cui l’autotutela sarebbe
stata esercitata, a distanza di anni dal rilascio della
concessione edilizia, senza alcuna specifica motivazione
sull’attualità del pubblico interesse, il Collegio si
richiama, condividendola, alla giurisprudenza secondo cui,
allorquando una concessione sia stata ottenuta
dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea
rappresentazione della realtà, l’autotutela può essere
esercitata senza necessità di esternare alcuna particolare
ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve
ritenersi sussistente "in re ipsa" (cfr., ad es.:
Consiglio di Stato, sez. IV, 08/01/2013, n. 39).
In ogni caso, la situazione derivante dal rilascio della
concessione edilizia nel lontano 2000 non si era affatto
consolidata, se si considera che i relativi lavori sono
stati ultimati (peraltro solo “al grezzo”, senza le
necessarie finiture atte a rendere l’edificio abitabile)
soltanto in data 29.10.2010 e, quindi, anche l’onere di
motivazione in punto di pubblico interesse all’esercizio
dell’autotutela si configurava come meno pregnante (TRGA
Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 30.01.2014 n. 24 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Al di là del nomen iuris contenuto nel
provvedimento, si controverte di un annullamento d’ufficio
ex art. 21-nonies della L. 241/1990 (e non di una revoca
disposta ai sensi dell’art. 21-quinquies) giacché, come si è
visto, esso si fonda sulla erronea rappresentazione grafica
del locale deposito e sul conseguente vizio di legittimità
procedimentale che ne è derivato.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che
governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei
titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L.
241/1990.
Con specifico riferimento all’interesse pubblico, si è
osservato che l'ambito della motivazione esigibile va
calibrato in rapporto al vizio che inficia il titolo
abilitativo dovendosi tenere conto, tra l’altro, del
particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia
di tutela del territorio e dei valori che su di esso
insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni
storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti
rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale
negligenza o della malafede del privato che ha indotto in
errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore,
ad esempio rappresentando in modo erroneo la situazione di
fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono
stati individuati i legittimati attivi.
Con la terza ed ultima censura parte
ricorrente svolge due articolate doglianze che attengono,
rispettivamente, all’omessa specificazione dell’interesse
pubblico dell’atto di autotutela e all’eccesso di potere per
irragionevolezza dell’azione amministrativa.
Quanto al primo rilievo occorre previamente precisare che,
al di là del nomen iuris contenuto nel provvedimento, si
controverte di un annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies
della L. 241/1990 (e non di una revoca disposta ai sensi
dell’art. 21-quinquies) giacché, come si è visto, esso si
fonda sulla erronea rappresentazione grafica del locale
deposito e sul conseguente vizio di legittimità
procedimentale che ne è derivato.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che
governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei
titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L.
241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.11.2010 n.
8291, 21.12.2009 n. 8529, Sez. V, 06.12.2007 n.
6252; 12.11.2003 n. 7218; 24.09.2003 n. 5445;
TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 06.06.2012 n. 2668).
Con specifico riferimento all’interesse pubblico, si è
osservato che l'ambito della motivazione esigibile va
calibrato in rapporto al vizio che inficia il titolo
abilitativo dovendosi tenere conto, tra l’altro, del
particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia
di tutela del territorio e dei valori che su di esso
insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni
storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti
rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale
negligenza o della malafede del privato che ha indotto in
errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore,
ad esempio rappresentando in modo erroneo la situazione di
fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono
stati individuati i legittimati attivi.
Nel caso in esame tali principi consentono di derubricare il
vizio che attiene all’omessa specificazione dell’interesse
pubblico atteso che, come si è visto, l’amministrazione è
stata indotta in errore circa la precisa collocazione del
manufatto ed in ordine alla posizione legittimante del
richiedente.
E’ viceversa fondata la censura di eccesso di potere per
irragionevolezza.
Invero, si è visto che il profilo di illegittimità
procedimentale che ha condotto all’adozione dell’atto di
autotutela attiene esclusivamente alla errata
rappresentazione grafica del locale deposito posto a quota
arenile.
Trattandosi di un vizio che riguardava un singolo manufatto
erroneamente sanato, l’atto di autotutela avrebbe dovuto
riguardare esclusivamente quest’ultimo, tanto più che -nella fattispecie in scrutinio- si controverte di un
permesso di costruire in sanatoria che ha oggetto diverse
opere (chiosco con locale bar, infermeria, foresteria,
servizi, area coperta esterna destinata in parte a pic-nic e
giochi, zona destinata a parcheggi e muro frangivento) sui
quali il Comune di Castel Volturno non ha avanzato alcun
rilievo.
Tale soluzione si impone in base ai principi di economicità
dell’azione amministrativa e dell’“utile per inutile non vitiatur”
giacché non appare ragionevole l’annullamento in autotutela
in toto di un titolo edilizio per un motivo di illegittimità
che riguarda solo uno degli interventi edilizi sanati
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 24.01.2014 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Venendo
in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da
valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di
ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire
il previo parere della Commissione Edilizia.
---------------
Come affermato dalla giurisprudenza, quando l’illegittimità
del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione
della realtà in capo all’amministrazione procedente causata
dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o
colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale
all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re
ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del
privato degne di particolare tutela.
Il ricorso è infondato.
Con il provvedimento impugnato il Sindaco di Portopalo ha
annullato la concessione edilizia sulla base di plurime
motivazioni, fra cui quella secondo cui il titolo edilizio
era stato richiesto in data 18.04.1991 dai coniugi Roccasalva sebbene gli stessi non fossero esclusivi
proprietari dell’area interessata dall’intervento, avendo
trasferito la particella n. 457 del foglio di mappa n. 36 a
Paolino Greco e Gioacchino Greco con atto di compravendita
in data 19.12.1990.
La ricorrente afferma che l’ingegnere Paolino Greco aveva
implicitamente assentito la richiesta di concessione
edilizia nella sua qualità di progettista dell’opera, ma
tale conclusione non può comunque valere per l’altro
comproprietario della citata particella n. 457.
Avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 36 legge
regionale n. 71/1978, secondo cui la concessione edilizia
deve essere richiesta dal proprietario o da chiunque ne
abbia titolo, il Sindaco ha quindi correttamente provveduto
all’annullamento in autotutela del titolo previamente
assentito.
Venendo in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da
valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di
ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire
il previo parere della Commissione Edilizia (per tutte, cfr.
Tar Milano, II, n. 4493/2009).
Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza (sul punto cfr.
Tar Milano, II, n. 841/2013), quando l’illegittimità del
titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della
realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal
comportamento del richiedente (non importa se doloso o
colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale
all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re ipsa”,
non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato
degne di particolare tutela
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 14.01.2014 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
G. Milizia,
Il comune nega legittimamente il permesso di edificare una
cantina, ma dovrà ugualmente risarcire il vignaiolo (07.01.2014
- link a www.diritto.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241,
l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo
non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della
legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e
concrete ragioni di interesse pubblico.
--------------
Nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della
concessione edilizia fino al sopralluogo comunale, la
ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere
sanzionate con il provvedimento impugnato, e anche di tale
circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel
bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere
(peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato)
e quello del privato alla loro conservazione.
Il ricorso è fondato e va accolto.
Il provvedimento impugnato si è fondato esclusivamente sulla
ritenuta “necessità di ripristinare la legalità violata”,
individuata dall’amministrazione comunale nell’assenza del
consenso dei proprietari confinanti all’edificazione
dell’autorimessa interrata n. 3 entro la fascia di rispetto
di cui all’art. 29 delle NdA del PRGC, con conseguente
violazione di quest’ultima norma.
L’interesse pubblico è stato fatto coincidere
dall’amministrazione con il mero ripristino della legalità
violata ed è stato ritenuto prevalente sull’interesse
privato dell’odierna ricorrente soltanto in ragione del
breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della
concessione edilizia, ritenuto dall’amministrazione inidoneo
a consolidare una posizione di affidamento tutelabile in
capo al privato.
Osserva il collegio che la prima di tali valutazioni è
illegittima, dal momento che ai sensi dell’art. 21-nonies L.
07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un
provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera
esigenza di ripristino della legalità violata, ma è
necessario che sussistano precise e concrete ragioni di
interesse pubblico (TAR Piemonte, sez. I, 23.07.2013, n.
905; Cons. Stato, sez. III, 30.07.2013 n. 4026), che nel
caso di specie non sono state evidenziate nella motivazione
dell’atto impugnato.
E’ illegittima anche la seconda di tali valutazioni, dal
momento che nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio
della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale del
17.07.2003, la ricorrente aveva già realizzato buona parte
delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato (cfr.
cod. 8), e anche di tale circostanza l’amministrazione
avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse
pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non
individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del
privato alla loro conservazione
(TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 13.12.2013 n. 1351 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
Sull’inapplicabilità dell’art. 21-nonies della legge n.
241/1990 alla disciplina urbanistica (commento critico a TAR
Toscana, sentenza n. 1481/2013) (26.11.2013 -
link a www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Annullamento parziale titolo edilizio.
Secondo l’opinione espressa dalla
giurisprudenza maggioritaria, non è possibile procedere
all’annullamento parziale dei titoli edilizi giacché,
ammettendo il contrario, si consentirebbe
all’amministrazione (o al giudice qualora l’annullamento sia
effettuato da quest’ultimo) di disporre modificazioni al
progetto di costruzione predisposto dal privato, e di
sostituirsi, in sostanza, alla volontà di quest’ultimo.
Invero, secondo l’opinione espressa dalla giurisprudenza
maggioritaria, cui si intende in questa sede aderire, non è
possibile procedere all’annullamento parziale dei titoli
edilizi giacché, ammettendo il contrario, si consentirebbe
all’amministrazione (o al giudice qualora l’annullamento sia
effettuato da quest’ultimo) di disporre modificazioni al
progetto di costruzione predisposto dal privato, e di
sostituirsi, in sostanza, alla volontà di quest’ultimo (cfr.
ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 30.03.2012 n.
3065). La giurisprudenza citata dalla parte (Consiglio di
Stato, sez. IV, 14.04.2011 n. 2326; TAR Sicilia Catania,
sez. I, 25.03.2010 n. 937) sembra peraltro inconferente, in
quanto non riguardante l’ipotesi dell’annullamento in
autotutela di titoli edilizi (la sentenza del Consiglio di
Stato ha ad oggetto un provvedimento di rigetto di istanza
di rilascio di permesso di costruire ed una ordinanza di
demolizione di opere ritenute abusive; mentre quella del TAR
Catania riguarda una deliberazione di acquisizione al
patrimonio comunale di opera ritenuta abusiva).
Va comunque osservato che l’interesse del privato volto a
mantenere in essere quella parte di progetto e di opere non
in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia è
adeguatamente salvaguardato dalla possibilità di presentare
istanza di permesso di costruire in sanatoria, previa
modifica delle parti progettuali che sono invece in
contrasto con la normativa stessa (massima tratta da
www.lexambiente.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 22.11.2013 n. 2605 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il permesso di costruire derivante da reato è nullo o
annullabile?
E' affetto da annullabilità -e non da
nullità- il provvedimento che sia stato rilasciato sulla
base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla
commissione di un reato.
Il Consiglio di Stato si pronuncia sul tipo di invalidità
del permesso di costruire adottato in seguito ad una
condotta costituente un reato, concludendo che in tal caso
il titolo edilizio è annullabile e non nullo.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto che il reato
commesso in sede di adozione del permesso di costruire
avesse determinato l’interruzione del nesso di riferibilità
soggettiva degli atti del funzionario all’Ente con
conseguente radicale nullità dell’atto per carenza di un
elemento essenziale, ai sensi dell’articolo 21-septies della
l. 241 del 1990.
Il giudice d’appello è di contrario avviso e, richiamando
una risalente decisione dell’Adunanza Plenaria (n. 3 del
1976), afferma il principio secondo cui è affetto da
annullabilità (e non da nullità) il provvedimento
amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato
rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia
comportato alla commissione di un reato.
Rileva in proposito che la cosiddetta frattura del nesso di
immedesimazione organica (per il caso di commissione di un
reato doloso) riguarda la diversa tematica della
responsabilità dell’amministrazione di cui risulti
dipendente l’autore del reato, che è esclusa quando il
dipendente abbia posto in essere una condotta materiale “per
scopi egoistici”.
Ipotizzare la nullità del titolo edilizio in siffatti casi
comporterebbe gravi turbamenti all’esigenza di certezza dei
rapporti di diritto pubblico.
Anche i subacquirenti sarebbero infatti esposti in ogni
tempo ad una declaratoria di nullità per atti divenuti
inoppugnabili e richiamati negli atti notarili di
alienazione. Tale grave conseguenza della nullità, che la
legge pur potrebbe astrattamente prevedere a maggiore tutela
del territorio, non è stata però in concreto prevista dal
legislatore.
Inoltre, la sanzione dell’annullabilità consente comunque
l’adeguata tutela del territorio e degli interessi pubblici
coinvolti.
A seguito dell’accertamento dei fatti in sede penale,
d’ufficio o su istanza di chi vi abbia interesse, il Comune
deve valutare se e sotto quale profilo l’immobile realizzato
si sia posto in contrasto con la disciplina urbanistica.
Ove tale contrasto risulti, l’Amministrazione, previo
contraddittorio con i proprietari attuali, può rilevare il
vizio dell’atto e, sussistendo inevitabilmente l’attuale
interesse pubblico per il contrasto con la disciplina
urbanistica e l’esigenza di ripristinare la legalità, può
disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente
previste dall’art. 38 del D.P.R. n. 280/2001 Testo unico
sull’edilizia (ovverosia l’ordine di demolizione o la
sanzione amministrativa pecuniaria).
---------------
Esito
Riforma parzialmente TAR Calabria, Sezione staccata di
Reggio Calabria, n. 536 del 2012
Precedenti giurisprudenziali conformi
Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3/1976
Precedenti giurisprudenziali difformi
Cons. Stato Sez. V Sent., 04.03.2008, n. 890
Riferimenti normativi
Art. 21-septies della l. 241 del 1990; art. 38 del D.P.R. n.
280/2001 (commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di
Stato, Sez. VI,
sentenza 31.10.2013 n. 5266 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI: L'autore
di un esposto, anche se proprietario confinante del
destinatario di un provvedimento di annullamento d'ufficio
del titolo ad aedificandum, non assume la veste giuridica di
controinteressato perché il potere di autotutela è
esercitato per il conseguimento dell'interesse pubblico al
quale è estraneo il privato che, se vanta un interesse di
mero fatto, ricorrendone i presupposti, può svolgere, come
nella specie, l'intervento ad opponendum a norma dell'art.
28, comma 2, c.p.a..
In via preliminare, vale comunque
respingere la spiegata eccezione di inammissibilità, sul
rilievo per cui l'autore di un esposto, anche se
proprietario confinante del destinatario di un provvedimento
di annullamento d'ufficio del titolo ad aedificandum, non
assume la veste giuridica di controinteressato perché il
potere di autotutela è esercitato per il conseguimento
dell'interesse pubblico al quale è estraneo il privato che,
se vanta un interesse di mero fatto, ricorrendone i
presupposti, può svolgere, come nella specie, l'intervento
ad opponendum a norma dell'art. 28, comma 2, c.p.a. (in
termini, da ultimo, TAR Salerno, sez. II, 04.10.2012, n.
1794 e Cons. Stato, sez. V, 11.11.2011, n. 6074) (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 27.09.2013 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La concessione edilizia, poi denominata
<<permesso di costruire>>, a seguito degli interventi della
Corte Costituzionale sulla l. n. 10 del 1977 (c.d. legge
Bucalossi), non è revocabile per sopravvenienza o per una
successiva valutazione di opportunità dell'Amministrazione,
ma è suscettibile esclusivamente di annullamento per motivi
di legittimità.
L’azione impugnatoria è fondata.
L’art. 11, secondo comma, del T.U. edilizia, approvato con
il DPR 08.06.2001, n. 380, sancisce l’irrevocabilità del
permesso di costruire, che può essere annullato d’ufficio
(qualora illegittimamente emesso, e ricorrendo gli altri
presupposti di legge), ma non può formare oggetto di revoca
per ragioni di opportunità (cfr. TAR Campania – Sez. III,
07.06.2013 n. 3053: “La concessione edilizia, poi
denominata <<permesso di costruire>>, a seguito degli
interventi della Corte Costituzionale sulla l. n. 10 del
1977 (c.d. legge Bucalossi), non è revocabile per
sopravvenienza o per una successiva valutazione di
opportunità dell'Amministrazione, ma è suscettibile
esclusivamente di annullamento per motivi di legittimità”).
Le censure della Società ricorrente, rivolte avverso i
provvedimenti che hanno sospeso gli effetti del titolo
edilizio, non già per la sussistenza di vizi di legittimità,
bensì adducendo la necessità di rinnovare l’esame della
compatibilità dell’intervento, sono pertanto fondate e vanno
accolte, con conseguente annullamento dei provvedimenti
impugnati (TAR
Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 18.09.2013 n. 1951 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Non
sussiste in capo all'Amministrazione alcun obbligo giuridico
di pronunciarsi in maniera esplicita su una diffida-messa in
mora diretta essenzialmente a ottenere provvedimenti in
autotutela, essendo l'attività connessa all'esercizio
dell'autotutela espressione di ampia discrezionalità e, come
tale, incoercibile dall'esterno.
---------------
Non sussiste la possibilità di fare ricorso alla procedura
del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare il ricorso
dell'Amministrazione all'autotutela; tale divieto trova il
proprio fondamento nell'esigenza di evitare il superamento
della regola della necessaria impugnazione dell'atto
amministrativo nel termine di decadenza.
Siffatto éscamotage presuppone, in definitiva, una sequenza
procedimentale in cui sussista un provvedimento non
impugnato, e l'intrapresa della procedura del
silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l'adozione di un
secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non
tempestivamente impugnato; la richiesta dei privati, rivolta
all'Amministrazione, di esercizio dell'autotutela, è una
mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa
sorgere in capo all'Amministrazione stessa alcun obbligo di
provvedere.
Va perciò ricordato che, stante la sua
natura ampiamente discrezionale, il potere di autotutela non
è suscettibile di essere forzato da istanze delle parti che
avrebbero potuto adeguatamente tutelarsi con la tempestiva
impugnazione dei provvedimenti ritenuti lesivi dei propri
interessi.
In tal senso, tra le molte, Cons. St., sez. V, 03.10.2012 n. 5199 (“non sussiste in capo
all'Amministrazione alcun obbligo giuridico di pronunciarsi
in maniera esplicita su una diffida-messa in mora diretta
essenzialmente a ottenere provvedimenti in autotutela,
essendo l'attività connessa all'esercizio dell'autotutela
espressione di ampia discrezionalità e, come tale,
incoercibile dall'esterno”); Cons. St. sez. V, 03.05.2012
n. 2549 (“non sussiste la possibilità di fare ricorso alla
procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare il
ricorso dell'Amministrazione all'autotutela; tale divieto
trova il proprio fondamento nell'esigenza di evitare il
superamento della regola della necessaria impugnazione
dell'atto amministrativo nel termine di decadenza. Siffatto
éscamotage presuppone, in definitiva, una sequenza
procedimentale in cui sussista un provvedimento non
impugnato, e l'intrapresa della procedura del
silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l'adozione di un
secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non
tempestivamente impugnato; la richiesta dei privati, rivolta
all'Amministrazione, di esercizio dell'autotutela, è una
mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa
sorgere in capo all'Amministrazione stessa alcun obbligo di
provvedere”
(TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 12.09.2013 n. 742 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
M. Grisanti,
SULL’OBBLIGO DELL’ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEI TITOLI
ABILITATIVI IN EDILIZIA (03.08.2013 - link a
www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La scelta operata
dall’Amministrazione resistente di adottare in autotutela il
provvedimento di annullamento del permesso di costruire in
sanatoria costituisce espressione di potere discrezionale, a
fronte del quale sussisteva l’obbligo dell’Amministrazione
di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento.
Sul punto è infatti principio consolidato che “la preventiva
comunicazione di avvio del procedimento, prescritta
dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 sul procedimento
amministrativo, costituisce una regola generale dell'azione
amministrativa, soprattutto quando l'amministrazione
eserciti il potere d'annullamento d'ufficio (nella specie,
di un permesso di costruire) per il quale occorre dare
adeguatamente conto della sussistenza di un interesse
pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto o alla
cessazione dei suoi effetti”.
Pertanto, la scelta
operata dall’Amministrazione resistente di adottare in
autotutela il provvedimento di annullamento del permesso di
costruire in sanatoria costituisce espressione di potere
discrezionale, a fronte del quale sussisteva l’obbligo
dell’Amministrazione di comunicare agli interessati l’avvio
del procedimento.
Sul punto è infatti principio consolidato che “la
preventiva comunicazione di avvio del procedimento,
prescritta dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 sul
procedimento amministrativo, costituisce una regola generale
dell'azione amministrativa, soprattutto quando
l'amministrazione eserciti il potere d'annullamento
d'ufficio (nella specie, di un permesso di costruire) per il
quale occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di
un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione
dell'atto o alla cessazione dei suoi effetti” (Consiglio
di Stato 25.05.2012 n. 3060)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 17.07.2013 n. 646 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed
invalidità ad effetto viziante. Intensità del rapporto di
consequenzialità tra atti presupposti e atti presupponenti
nel caso di strumenti urbanistici di diverso livello.
---------------
1. Distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed
invalidità ad effetto viziante.
1.1. In termini generali, in base al
noto schema fatto proprio dal giudice amministrativo, in
presenza di vizi accertati dell'atto presupposto, deve
distingursi fra invalidità ad effetto caducante ed
invalidità ad effetto viziante, ammettendo per la prima che
l'annullamento dell'atto presupposto si estenda
automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest'ultimo non venga impugnato, mentre la seconda
renderebbe l'atto consequenziale annullabile, purché
impugnato nei termini.
1.2. Ai fini della concreta individuazione della tipologia
di effetti tra atti presupposti e atti presupponenti, è
pacifico che si debba valutare l'intensità del rapporto di
consequenzialità, con riconoscimento dell'effetto caducante
ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel
senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito della
stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza
di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori
valutazioni di interessi.
2. (segue): sull'intensità del rapporto di consequenzialità
tra atti presupposti e atti presupponenti nel caso di
strumenti urbanistici di diverso livello.
2.1. In base alla legislazione regionale
toscana (dapprima la L.R. Toscana n. 5/1995 e ora la L.R.
Toscana n. 1/2005), il governo del territorio si attua con
una serie di strumenti che partono dal piano di indirizzo
territoriale e, passando per snodi intermedi, si concludono
con il rilascio dei permessi di costruire.
Il sistema che ne deriva si sviluppa per passaggi
successivi, ciascuno dei quali comporta l’adozione di uno
specifico atto, sulla base di una ponderazione degli
interessi implicati, apprezzati anche alla luce della
corrispondenza con l’atto di livello superiore.
Così stando le cose, è evidente che -quasi per definizione-
ciascuno dei successivi atti implica una ulteriore
valutazione di interessi, seppur circoscritta nei limiti
determinati dall’atto presupposto. E questo vale per
ciascuno dei successivi passaggi della catena.
2.2. La relazione che intercorre tra regolamento urbanistico
e piano attuativo non è di natura diversa da quella che
passa tra piano attuativo e permesso di costruire.
In entrambi i casi, gli atti presupponenti (piano attuativo
e permesso di costruire) hanno alle loro spalle un atto
presupposto (regolamento urbanistico e piano attuativo), che
limitano -ma non certo eliminano- il potere di apprezzamento
discrezionale dell’Amministrazione.
2.3. L’effetto che si produce tra le coppie di atti (quelli
presupponenti: piano attuativo e permesso di costruire; e
quelli presupposti: regolamento urbanistico e piano attuativo), in caso di invalidità dell’atto presupposto, è
dunque l’invalidità derivata, destinata a essere fatta
valere nelle forme, nei modi e nei termini previsti
dall’ordinamento, e dunque, necessariamente, anche mediante
la tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, nel
rispetto del termine di decadenza.
D’altronde, se il Comune, nell’approvare il piano attuativo,
non fosse chiamato a compiere una valutazione di interessi
nuova e diversa (seppure circoscritta, nel senso di cui
prima si è detto), l’approvazione del piano medesimo
degraderebbe al ruolo di atto meramente esecutivo se non
addirittura dovuto: conseguenza questa palesemente incongrua
e contrastante con la realtà effettuale, e comunque
incompatibile con la complessa procedura prescritta per
l’approvazione del piano medesimo.
2.4. Il privato, che si ritenga leso da un piano attuativo,
ha solo l’onere di impugnarlo tempestivamente, dimostrando
ovviamente la legittimazione e l’interesse ad agire, a nulla
rilevando la pregressa e tempestiva impugnazione dello
strumento urbanistico presupposto (nella specie il R.U.C. ex
L.R. Toscana n. 5/1995).
2.5. Il termine per impugnare gli strumenti di
pianificazione urbanistica (ivi compresi i piani attuativi),
da parte di soggetti da essi non direttamente incisi,
decorre, a pena di decadenza, dalla data di pubblicazione
della delibera di approvazione
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it).
---------------
... per la riforma della
sentenza 16.11.2008 n. 2962 del TAR
TOSCANA-FIRENZE: SEZ. I, resa tra le parti, concernente
permesso di costruire per realizzazione di opere di
urbanizzazione e approvazione di piano particolareggiato
...
1. L’appello, in linea di principio, non sembra contestare
il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il termine per impugnare gli strumenti di
pianificazione urbanistica, da parte di soggetti da essi non
direttamente incisi, decorre, a pena di decadenza, dalla
data di pubblicazione della delibera di approvazione
(cfr. per tutte Cons. Stato, sez. VI, 19.10.2007, n. 5457).
Tale giurisprudenza, però, non varrebbe nel caso di specie,
in ragione dello strettissimo legame che intercorrerebbe tra
il regolamento urbanistico e il piano di attuazione, tale
che la caduta dell’uno travolgerebbe inevitabilmente con sé
l’altro (si tratterebbe di un vizio caducante).
Diversamente, i permessi di costruire sarebbero legati agli
strumenti urbanistici da una relazione meno intensa e, pur
potendo essere affetti da invalidità derivata per
l’illegittimità di questi ultimi, andrebbero comunque
tempestivamente impugnati (come nella vicenda l’appellante
ha fatto).
2. Sebbene esposta brillantemente e con dovizia di
argomentazioni, la tesi non può essere condivisa.
Tale tesi fa capo a una noto schema, fatto proprio dal
giudice amministrativo, che, in presenza di vizi accertati
dell'atto presupposto, distingue fra invalidità ad effetto
caducante ed invalidità ad effetto viziante, ammettendo per
la prima che l'annullamento dell'atto presupposto si estenda
automaticamente a quello consequenziale, anche ove
quest'ultimo non venga impugnato, mentre la seconda
renderebbe l'atto consequenziale annullabile, purché
impugnato nei termini.
Ai fini della concreta individuazione della predetta
tipologia di effetti, è pacifico che si debba valutare
l'intensità del rapporto di consequenzialità, con
riconoscimento dell'effetto caducante ove tale rapporto sia
immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto
successivo si ponga, nell'ambito della stessa sequenza
procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello
anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni
di interessi (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 23.02.2011, n. 1114; sez. VI; 27.04.2011, n. 2482).
3. Nel caso di specie, secondo la scansione delineata dalla
legge della Regione Toscana 16.01.1995, n. 5, sotto la
vigenza della quale ha avuto origine la vicenda controversa,
il governo del territorio si attua con una serie di
strumenti che partono dal piano di indirizzo territoriale e,
passando per snodi intermedi, si concludono con il rilascio
dei permessi di costruire. Il sistema che ne deriva si
sviluppa per passaggi successivi, ciascuno dei quali
comporta l’adozione di uno specifico atto, sulla base di una
ponderazione degli interessi implicati, apprezzati anche
alla luce della corrispondenza con l’atto di livello
superiore.
Così stando le cose, è evidente che -quasi per definizione-
ciascuno dei successivi atti implica una ulteriore
valutazione di interessi, seppur circoscritta nei limiti
determinati dall’atto presupposto. E questo vale per
ciascuno dei successivi passaggi della catena.
In altri termini, la relazione che intercorre tra
regolamento urbanistico e piano attuativo non è di natura
diversa da quella che passa tra piano attuativo e permesso
di costruire. In entrambi i casi, gli atti presupponenti
(piano attuativo e permesso di costruire) hanno alle loro
spalle un atto presupposto (regolamento urbanistico e piano
attuativo), che limitano -ma non certo eliminano- il potere
di apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione.
L’effetto che in entrambi i casi si produce tra le coppie di
atti, in caso di invalidità dell’atto presupposto, è dunque
l’invalidità derivata, destinata a essere fatta valere nelle
forme, nei modi e nei termini previsti dall’ordinamento, e
dunque, necessariamente, anche mediante la tempestiva
impugnazione dell’atto presupposto, nel rispetto del termine
di decadenza.
D’altronde, se il Comune, nell’approvare il piano attuativo,
non fosse chiamato a compiere una valutazione di interessi
nuova e diversa (seppure circoscritta, nel senso di cui
prima si è detto), l’approvazione del piano medesimo
degraderebbe al ruolo di atto meramente esecutivo se non
addirittura dovuto: conseguenza questa palesemente incongrua
e contrastante con la realtà effettuale, e comunque
incompatibile con la complessa procedura prescritta per
l’approvazione del piano medesimo.
4. Così intesa la normativa, non vi è ragione per
riconoscere in concreto esistente quella violazione
dell’art. 113 Cost. che l’appellante invece lamenta. Certo,
come l’appello osserva, sarebbe paradossale se il privato
non potesse impugnare immediatamente il piano, in quanto non
lesivo; e nemmeno successivamente, per essere il piano
divenuto inoppugnabile a seguito della scadenza dei termini.
La contraddizione è solo apparente: in realtà il privato,
che si ritenga leso da un piano attuativo, ha solo l’onere
di impugnarlo tempestivamente, dimostrando ovviamente la
legittimazione e l’interesse ad agire.
Qui, a dire il vero, sembra stare –in punto di fatto– il
nocciolo concreto della questione: nell’avere cioè il TAR
escluso legittimazione e interesse a impugnare il
regolamento urbanistico nel diverso giudizio ricordato in
narrativa, mentre la signora Ch. avrebbe omesso di impugnare
il piano confidando nell’accoglimento del ricorso contro il
regolamento urbanistico.
A questo proposito, però, non può nemmeno dirsi che sia
stato l’orientamento del Tribunale a determinare un qualche
affidamento nell’appellante, inducendola a ritenere non
ammissibile una immediata impugnativa contro uno strumento
urbanistico quale il piano attuativo.
Infatti, come appare dai fascicoli, la sentenza di primo
grado, che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il
regolamento urbanistico, è stata depositata il 03.07.2007,
dunque quasi quattro anni dopo la pubblicazione del piano
particolareggiato (affissione all’albo pretorio dal 30.07.
al 14.08.2003; pubblicazione sul B.U.R. del 03.09.2003), a
sua volta impugnato con ricorso notificato il 20.07.2006 e
con motivi aggiunti notificati il 15.06.2007.
Non sussiste dunque, per la signora Ch., alcun affidamento
che possa averne determinato le iniziative processuali e
forse le avrebbe potuto consentire il beneficio dell’errore
scusabile, ai fini della rimessione in termini per
impugnare.
In definitiva, il piano attuativo avrebbe dovuto essere
impugnato tempestivamente, nel termine decorrente dal
deposito presso la casa comunale, eventualmente introducendo
motivi aggiunti nel giudizio promosso contro il regolamento
urbanistico.
Non avendo l’appellante così fatto, correttamente il
Tribunale territoriale ha ritenuto irricevibile per
tardività il ricorso relativo.
5. L’appello sostiene poi che, diversamente da quanto ha
deciso il TAR, la declaratoria di inammissibilità non
potrebbe travolgere quei motivi che riguardano vizi autonomi
dei permessi di costruire impugnati e che, in particolare,
attengono al rischio idrogeologico e all’esistenza di
diritti di terzi sull’area (v. pag. 21 e segg. del ricorso).
Con riguardo alla ritenuta omessa valutazione del rischio
idraulico, la tesi non è convincente. Come appare
chiaramente dal ricorso introduttivo (pag. 18), tale motivo
contesta la legittimità del piano attuativo prima ancora di
quella dei permessi di costruire. Lo stesso parere ostativo
geologico-tecnico del geologo dottor Pellegrini, su cui
l’appello insiste, è testualmente formulato in relazione al
piano attuativo medesimo.
In disparte le controdeduzioni formulate sul punto dal
Comune e dai privati controinteressati, la sentenza va
dunque confermata anche nella parte che afferma
l’inammissibilità di questo motivo, al pari degli altri
proposti avverso i permessi di costruire con il ricorso
introduttivo (salvo quanto si dirà subito appresso), come
conseguenza dell’irricevibilità dell’impugnazione dello
strumento urbanistico.
6. La censura dedotta in primo grado con i motivi aggiunti,
circa la mancata piena disponibilità dell’area, ha invece
carattere autonomo e sopravvive dunque alla pronunzia di
irricevibilità.
Un provvedimento del Tribunale di Pisa avrebbe dichiarato
l’esistenza di diritti di terzi sull’area contestata. Essa
pertanto non sarebbe nella piena disponibilità dei titolari
dei permessi di costruire; ne seguirebbe il mancato rispetto
dei parametri urbanistico-edilizi.
Impregiudicata ogni altra valutazione (nel fascicolo non si
trova copia del provvedimento), basti osservare a questo
riguardo che -per affermazione della stessa appellante-
quella che viene evocata è un’ordinanza d’urgenza, mentre
nulla è dato sapere degli sviluppi del giudizio di merito.
Manca, in definitiva, un accertamento con efficacia di
giudicato, che possa essere addotto a solido fondamento
della pretesa indisponibilità parziale dell’area.
La censura, pertanto, è infondata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 13.06.2013 n. 3272 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
L'esercizio dei poteri amministrativi di
annullamento in autotutela di precedenti statuizioni
illegittime non ha affatto natura eccezionale ma quando -al
contrario- sussistono precise esigenze di tutela della
civile convivenza e dell’ordinato sviluppo dell’attività
edilizia, e della salvaguardia degli insediamenti abitativi,
la p.a. ha il potere-dovere di emanare l'atto di
annullamento.
E’ dunque legittimo il comportamento dell’Amministrazione
che, come qui, emenda la propria precedente condotta
conformando seppure tardivamente, la propria azione al
rispetto concreto della legge..
Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 07.08.1990
n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale
l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima,
lasciando all’Amministrazione la valutazione della
ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda.
Pertanto, i lavori eseguiti nell’arco dei tre mesi e mezzo
precedenti l’avviso di avvio del procedimento di autotutela
non possono certo determinare alcun consolidamento ed alcuna
aspettativa giuridicamente tutelata in capo all’appellante.
Tutta l’eventuale attività edilizia svolta, successiva
all’avvio del procedimento, risulta essere stata
incautamente realizzata in base ad un relativo titolo
abilitativo in corso di verifica e revisione procedimentale.
Sotto il
profilo sostanziale poi, tenendo conto dei valori espressi
dall'art. 97 Cost., si deve ricordare che l'esercizio dei
poteri amministrativi di annullamento in autotutela di
precedenti statuizioni illegittime non ha affatto natura
eccezionale ma quando -al contrario- sussistono precise
esigenze di tutela della civile convivenza e dell’ordinato
sviluppo dell’attività edilizia, e della salvaguardia degli
insediamenti abitativi, la p.a. ha il potere-dovere di
emanare l'atto di annullamento.
E’ dunque legittimo il comportamento dell’Amministrazione
che, come qui, emenda la propria precedente condotta
conformando seppure tardivamente, la propria azione al
rispetto concreto della legge (arg. ex Consiglio Stato sez.
IV, 12.02.2013 n. 834; Consiglio Stato sez. V 24.02.1996 n. 232).
Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale
l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima,
lasciando all’Amministrazione la valutazione della
ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr.
Consiglio di Stato sez. VI 27.02.2012 n. 1081).
Nel caso concreto, si rileva anche che:
- i lavori erano
iniziati soltanto il 21.03.2000 (v. comunicazione al
Comune in atti);
- la voltura della concessione edilizia al
Tasselli era datata 24.03.2000;
- il successivo 09.07.2000 il Comune aveva inviato all’appellante la comunicazione
di avvio del procedimento relativo agli accertamenti sulla
legittimità del titolo rilasciato;
- il 06.03.2001 era
stato emesso il provvedimento impugnato in prime cure.
Pertanto, i lavori eseguiti nell’arco dei tre mesi e mezzo
precedenti l’avviso di avvio del procedimento di autotutela
non potevano certo determinare alcun consolidamento ed
alcuna aspettativa giuridicamente tutelata in capo
all’appellante. Tutta l’eventuale attività edilizia
successiva all’avvio del procedimento svolta era stata
incautamente svolta in base ad un relativo titolo
abilitativo in corso di verifica e revisione procedimentale.
Sotto il profilo sintomatico, non si ravvisa poi alcuno
sviamento di potere nel caso del Comune che, a seguito di un
esposto di un controinteressato che fondatamente assume di
subire un nocumento alla sua proprietà da un atto
illegittimo, annulla in autotutela il provvedimento
abilitativo.
Devono perciò condividersi pienamente le conclusioni del TAR
circa la sussistenza dei requisiti procedimentali,
codificati nell'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, per
l’esercizio del potere di annullamento dei titoli edilizi in
questione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 04.06.2013 n. 3056 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: R.
Micalizzi,
Le sanzioni conseguenti all’annullamento del titolo
edilizio, tra interpretazione
letterale e principi generali
(Urbanistica e appalti n. 6/2013). |
EDILIZIA PRIVATA:
In via di principio, l’adozione del provvedimento
di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al
riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la
valutazione della rispondenza della sua rimozione a un
interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche
prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore
della sua conservazione, e, tra questi, in particolare,
rispetto all’interesse del privato che ha riposto
affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso
dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia,
pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
---------------
Il Collegio non ignora il costante orientamento
giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di
annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale
atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in
ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e
concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in
ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su
quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di
costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della
legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo
fondamento nei valori di rango costituzionale di buon
andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è,
infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto,
condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione
creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno
ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al
quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in
autotutela a fronte della falsa, infedele, erronea o
inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da
parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai
fini dell’adozione del provvedimento ampliativo inciso,
essendo il vizio infirmante quest’ultimo imputabile non già
all’autorità promanante, bensì al privato, il quale non può,
quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella
persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione
in errore dell’amministrazione.
---------------
... per l'annullamento DISPOSITIVO N. 26 del 25/05/2012:
ANNULLAMENTO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE DEL 02.10.2008.
...
4. Dall’accertata infondatezza del primo motivo di
impugnazione, così come dianzi scrutinato, discende
logicamente l’infondatezza anche del quarto, a tenore del
quale l’amministrazione resistente non avrebbe effettuato
un’adeguata ponderazione né fornito un’adeguata motivazione
circa la prevalenza dell’interesse pubblico al ritiro del
titolo abilitativo edilizio annullato rispetto
all’affidamento privato nella sua conservazione,
consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il rilascio
del predetto titolo e la sua rimozione in autotutela.
4.1. In proposito, occorre premettere, in via di principio,
che l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio
presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria
illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza
della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale
e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso
dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia,
pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, il Collegio
non ignora il costante orientamento giurisprudenziale
(Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV,
31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII,
22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez.
VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II,
08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n.
2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo
cui il provvedimento di annullamento di ufficio di un
permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere
adeguatamente motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di
costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della
legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo
fondamento nei valori di rango costituzionale di buon
andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è,
infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto,
condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione
creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
4.2. Ciò premesso in via di principio, il Collegio
nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in
base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi
in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in
autotutela a fronte della falsa, infedele, erronea o
inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da
parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai
fini dell’adozione del provvedimento ampliativo inciso,
essendo il vizio infirmante quest’ultimo imputabile non già
all’autorità promanante, bensì al privato, il quale non può,
quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella
persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione
in errore dell’amministrazione (cfr., ex multis,
Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV,
24.12.2008, n. 6554; 28.05.2012, n. 3150; TAR Sicilia,
Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce,
sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria, Genova, sez. I,
07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; 02.11.2011, n.
1509; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026;
Salerno, sez. II, 24.01.2013, n. 171; TAR Calabria,
Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata,
Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299;
10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643).
Ebbene, sotto tale profilo, rileva che il Comune di Caiazzo,
nel disporre l’avversato annullamento d’ufficio, ha
espressamente evidenziato che il De Iu., “con la
richiesta di realizzazione del parcheggio pertinenziale
pervenuta in data 06.06.2007, prot. n. 6367, che ha prodotto
il rilascio del permesso di costruire commissariale del
02.10.2008, ha, tra l’altro, dichiarato ‘libera’ l’area
interessata, producendo un’erronea rappresentazione dello
stato di fatto preesistente al rilascio dell’atto
autorizzativo edilizio”.
Ed invero, –come acclarato retro, sub n. 3– a fronte di
ingenti opere di sbancamento e di fondazione già eseguite,
il ricorrente, nella domanda di permesso di costruire, prot.
n. 6367, del 06.06.2007 ha infedelmente o erroneamente
rappresentato l’area di sedime come ‘libera’, così
inducendo in errore l’amministrazione procedente circa la
sussistenza delle condizioni previste dall’art. 6, comma 2,
della l.r. Campania n. 19/2001 ai fini dell’applicabilità
del regime derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali.
4.3. A quanto sopra è appena il caso di soggiungere che il
preteso legittimo affidamento privato nella conservazione
del titolo abilitativo edilizio conseguito è escluso,
altresì, dalla circostanza che il De Iu. abbia ritardato
l’ultimazione dei lavori assentiti, al punto da richiederne
la proroga triennale con istanza del 30.01.2012, prot. n.
1117, evidentemente in attesa dell’esito del giudizio
definito con sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di
Stato n. 1986 del 04.04.2012 (cfr. retro, in narrativa, sub
n. 2.4); esito processuale che, ove favorevole, gli avrebbe
procurato la reviviscenza delle concessioni edilizie n.
188/1999, n. 78/2001 e n. 3/2003, abilitative alla
costruzione di un edificio commerciale ed annullate
d’ufficio con provvedimento del 20.07.2005, n. 77 (cfr.
retro, in narrativa, sub n. 2.2 e 2.3), in luogo della meno
mabita ‘soluzione di ripiego’, costituita dalla
riconversione delle strutture realizzate in parcheggio
pertinenziale (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 23.05.2013 n. 2724 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’intervento in autotutela presuppone, unitamente
al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto inciso,
la valutazione della rispondenza della sua rimozione o
modificazione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso
dall’adozione dell’atto da rimuovere o modificare e solido
appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
-----------------
Tuttavia, in determinate ipotesi l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in
autotutela:
a) a fronte dell’assenza del necessario requisito di
legittimazione ad ottenere il provvedimento ampliativo
inciso e, quindi, della connessa situazione permanente
contra ius;
b) a fronte della falsa, infedele, erronea o inesatta
rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte
dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del
predetto provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato
medesimo vantare il proprio legittimo affidamento nella
persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione
in errore dell’amministrazione procedente;
c) a fronte della insussistenza di una specifica istanza di
parte, prescritta ex lege, ai fini dell’adozione del
provvedimento ampliativo.
---------------
Laddove non vi sia spazio per complesse valutazioni di
natura tecnico-discrezionale o, comunque, non sia necessario
procedervi, l’organo decidente può legittimamente rinunciare
all’apporto dell’organo consultivo nel caso di annullamento
del provvedimento amministrativo rilasciato.
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale soluzione,
stabilmente invalsa, oltre che con riferimento all’attività
vincolata di repressione degli abusi edilizi, per la quale è
stata esclusa l’obbligatorietà dell’acquisizione del parere
della commissione edilizia, anche con riferimento
all’applicazione del principio del ‘contrarius actus’ alla
preventiva acquisizione del parere della commissione
edilizia in sede di annullamento di un titolo abilitativo,
facendo eccezione al principio in parola l'ipotesi in cui
l'amministrazione non debba compiere particolari valutazioni
di ordine tecnico.
Al riguardo,
occorre premettere, in via di principio, che l’intervento in
autotutela presuppone, unitamente al riscontro
dell’originaria illegittimità dell’atto inciso, la
valutazione della rispondenza della sua rimozione o
modificazione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione
espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione
comparativa tra interessi confliggenti; impegno
motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco
temporale trascorso dall’adozione dell’atto da rimuovere o
modificare e solido appaia, pertanto, l’affidamento
ingenerato nel privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238;
sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586;
01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia,
Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007,
n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15).
Ciò premesso in via di principio, occorre, però,
rammentare che, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in
autotutela:
a) a fronte dell’assenza del necessario
requisito di legittimazione ad ottenere il provvedimento ampliativo inciso e, quindi, della connessa situazione
permanente contra ius (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23.02.2012, n. 1041; TAR Puglia, Lecce, sez. III,
08.04.2005, n. 1983);
b) a fronte della falsa, infedele,
erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della
realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o
decisiva ai fini del predetto provvedimento ampliativo, non
potendo l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo
affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto
attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione
procedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n.
6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia,
Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria.
Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n.
1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n.
2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n.
129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115;
10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte della insussistenza di una
specifica istanza di parte, prescritta ex lege, ai fini
dell’adozione del provvedimento ampliativo.
Ebbene, sotto tali profili, rileva che, nella specie, i
ricorrenti:
- da un lato, non si sono dimostrati in possesso
di un idoneo titolo di godimento sulla superficie coperta
dal muro di recinzione controverso (cfr. retro, sub n. 1.1),
avendo, quindi, infedelmente o erroneamente rappresentato
quest’ultima, nel progetto assentito col permesso di
costruire in sanatoria n. 46 del 18.04.2011, come di
esclusiva proprietà di Coppola Alba;
- d’altro lato, non
risultano aver richiesto alla competente Provincia di
Caserta, con precipuo riguardo al medesimo muro di
recinzione, la prescritta autorizzazione ex artt. 7 del r.d.
n. 3267/1923 e 23 della l.r. Campania n. 11/1996.
---------------
Non è, infine,
ravvisabile una violazione del principio del ‘contrarius acuts’ nella circostanza che, a differenza del permesso di
costruire n. 46 del 18.04.2011, il relativo
provvedimento di “revoca” sia stato adottato senza il
preventivo parere della Ripartizione tecnica Urbanistica del
Comune di Mondragone.
Ed invero, non può escludersi il coinvolgimento
procedimentale di tale struttura organizzativa, trattandosi
dello stesso ufficio cui è preposto il titolare dell’organo
promanante il provvedimento in autotutela impugnato (capo
della Ripartizione tecnica Urbanistica del Comune di
Mondragone).
Fermo restando quanto sopra osservato, è appena il caso di
soggiungere, a definitiva confutazione del profilo di
censura in scrutinio, che il riesame compiuto da entrambe le
amministrazioni locali intimate non includeva specifici
apprezzamenti di ordine tecnico, propri del menzionato
ufficio comunale, ma atteneva unicamente alla cennata
insussistenza di un idoneo requisito di legittimazione al
rilascio del titolo abilitativo edilizio e di una specifica
richiesta di autorizzazione rivolta, con riguardo al muro di
recinzione de quo, all’autorità preposta alla tutela del
vincolo idrogeologico.
Ebbene, una simile attività di verifica costituiva un
presupposto la cui mancanza precludeva il segmento
istruttorio di consultazione della Ripartizione tecnica
Urbanistica del Comune di Mondragone.
In questo senso, valga richiamare la soluzione
interpretativa, largamente condivisa, secondo cui, laddove
non vi sia spazio per complesse valutazioni di natura
tecnico-discrezionale o, comunque, non sia necessario
procedervi, l’organo decidente possa legittimamente
rinunciare all’apporto dell’organo consultivo (Cons. Stato,
sez. V, 03.07.2003, n. 3974; TAR Piemonte, sez. I, 13.03.2002, n. 635; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 14.11.2002, n. 2931; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.06.2003, n. 7557; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 18.10.2006, n. 4967).
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale soluzione,
stabilmente invalsa, oltre che con riferimento all’attività
vincolata di repressione degli abusi edilizi, per la quale è
stata esclusa l’obbligatorietà dell’acquisizione del parere
della commissione edilizia (cfr. TAR Basilicata, 20.02.2004, n. 103; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 16.07.2003,
n. 8434; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 09.06.2004, n. 3540;
TAR Lazio, Roma, sez. II, 25.05.2005, n. 4128), anche
con riferimento all’applicazione del principio del
‘contrarius actus’ alla preventiva acquisizione del parere
della commissione edilizia in sede di annullamento di un
titolo abilitativo, facendo eccezione al principio in parola
l'ipotesi in cui l'amministrazione non debba compiere
particolari valutazioni di ordine tecnico (Cons. giust. amm.
sic., sez. cons., 03.06.1999, n. 235; TAR Lazio, Latina,
27.03.2003, n. 300; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 18.04.2005, n. 672; Palermo, sez. II, 11.09.2007, n.
2008; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n.
3193; sez. II, 11.04.2008, n. 2073; sez. VIII, 11.06.2009,
n. 3203) (TAR Campania-Napoli, Sez. I,
sentenza 11.04.2013 n. 1923 - link a
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EDILIZIA PRIVATA: L’illegittimità
del provvedimento di cui si tratta è evidente laddove si
consideri quei costanti orientamenti giurisprudenziali che,
da un lato, ritengono indispensabile che il potere di
autotutela sia esercitato entro un termine ragionevole, come
prescritto dall'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e,
dall’altro, hanno sancito la “inidoneità”, a
giustificare l’annullamento d’ufficio di una concessione
edilizia, della sola finalità di ripristinare la legalità
violata.
Detto ultimo orientamento ha, infatti, ritenuto
indispensabile che sia data prova di un interesse pubblico
attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio “tanto
più quando il titolare della concessione, in ragione del
tempo decorso, ha fatto un ragionevole affidamento sulla
regolarità della concessione ottenuta quando una
significativa parte delle opere assentite sono state già
realizzate.
Pur considerando dirimente ai fini della decisione del
ricorso l’accoglimento del motivo sopra evidenziato, va
altresì rilevato come risulti fondato anche il quarto motivo
del ricorso, mediante il quale parte ricorrente evidenzia
che il provvedimento impugnato, pur intendendo disporre
espressamente “l’annullamento in autotutela ai sensi
dell’art. 14 della L. n. 15/2005 di riforma della L. n.
241/1990”, sia del tutto privo dell’indispensabile
comparazione tra interesse pubblico e privato, così come
sancita dall’art. 21-nonies introdotto dalla disciplina
sopra ricordata.
Non solo nel provvedimento non vi è traccia del percorso
logico deduttivo correlato all’interesse pubblico, ma
ancora, non è presente alcuna considerazione circa il
considerevole lasso di tempo trascorso e, ciò, con
riferimento ad un provvedimento di concessione edilizia
adottato nel corso del 1985.
L’illegittimità del provvedimento di cui si tratta è,
altresì, evidente laddove si consideri quei costanti
orientamenti giurisprudenziali che, da un lato, ritengono
indispensabile che il potere di autotutela sia esercitato
entro un termine ragionevole, come prescritto dall'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 (Consiglio di Stato Sez. V,
Sent. n. 816 del 04.03.2008) e, dall’altro, hanno sancito la
“inidoneità”, a giustificare l’annullamento d’ufficio di una
concessione edilizia, della sola finalità di ripristinare la
legalità violata.
Detto ultimo orientamento ha, infatti, ritenuto
indispensabile che sia data prova di un interesse pubblico
attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio “tanto
più quando il titolare della concessione, in ragione del
tempo decorso, ha fatto un ragionevole affidamento sulla
regolarità della concessione ottenuta quando una
significativa parte delle opere assentite sono state già
realizzate (Tar Basilicata, Sez. I, 19/01/1998 n. 15)”.
L’accoglimento delle censure sopra precisate consente di
assorbire gli ulteriori motivi proposti da parte ricorrente.
Il ricorso è pertanto fondato e va disposto
l’annullamento della determinazione n. 116 in data
10/12/2008 a firma del Sindaco Responsabile dell’area
Manutentiva del Comune di Fardella, con la quale è stata
annullata la concessione edilizia n. 02 del 18/01/1985 ed è
stata ordinata la demolizione del fabbricato costruito a
seguito della ripetuta concessione edilizia ed il ripristino
dello stato dei luoghi (TAR Basilicata,
sentenza 08.04.2013 n. 158 - link a
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ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Un auto annullamento
dell’atto è legittimo solo ove supportato da un interesse
pubblico specifico, distinto dal mero interesse al
ripristino della legalità, che ad un giudizio di
comparazione prevalga sull’interesse del privato al
mantenimento dell’atto stesso.
La comparazione dell’interesse privato con quello pubblico è
regola assoluta, la quale “non tollera eccezioni di sorta,
per quanto rilevante possa essere l'interesse pubblico a
salvaguardia del quale l'autotutela viene in concreto
esercitata”.
---------------
Si è poi concordi nell’affermare che, ove si tratti di atti
i quali non comportino esborso continuativo di danaro, la
motivazione debba essere tanto più rigorosa quanto più
risalente nel tempo è l’atto che si va ad annullare.
Nella specifica materia edilizia, è poi degno di nota
l’orientamento condiviso da C.d.S., che considera in linea
di principio ragionevole l’annullamento in autotutela di una
concessione edilizia nel termine massimo di 10 anni dal suo
rilascio, argomentando dall’identica estensione nel tempo
del potere di annullamento regionale ai sensi dell’art. 39
T.U. 06.06.2001 n. 380.
Dispone al primo comma l’art. 21-novies
della l. 241/1990: “Il provvedimento amministrativo
illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere
annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati,
dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo
previsto dalla legge”.
La norma, come è noto, è stata introdotta con l. 11.02.2005 n. 15 e recepisce regole pacifiche emerse dalla
precedente elaborazione giurisprudenziale, per la quale si
cita per tutte ad esempio C.d.S. sez. IV 17.07.2002
n. 3997; va quindi interpretata in conformità a tale
elaborazione: un auto annullamento dell’atto è legittimo
solo ove supportato da un interesse pubblico specifico,
distinto dal mero interesse al ripristino della legalità,
che ad un giudizio di comparazione prevalga sull’interesse
del privato al mantenimento dell’atto stesso. Si veda, come
particolarmente significativa, la recente C.d.S. sez. VI 20.09.2012 n. 4997, per cui la comparazione
dell’interesse privato con quello pubblico è regola
assoluta, la quale “non tollera eccezioni di sorta, per
quanto rilevante possa essere l'interesse pubblico a
salvaguardia del quale l'autotutela viene in concreto
esercitata”.
Si è poi concordi nell’affermare che, ove si tratti, come
evidente nella specie, di atti i quali non comportino
esborso continuativo di danaro, la motivazione debba essere
tanto più rigorosa quanto più risalente nel tempo è l’atto
che si va ad annullare. Nella specifica materia edilizia, è
poi degno di nota l’orientamento condiviso da C.d.S. sez. IV
03.08.2010 n. 5170, che considera in linea di principio
ragionevole l’annullamento in autotutela di una concessione
edilizia nel termine massimo di dieci anni dal suo rilascio,
argomentando dall’identica estensione nel tempo del potere
di annullamento regionale ai sensi dell’art. 39 T.U. 06.06.2001 n. 380. Si noti poi che il caso di specie
riguardava un intervento di rilievo, ovvero una
lottizzazione abusiva di diciotto fabbricati su un’area di
circa 28.000 mq..
Applicando i suddetti principi al caso di specie, occorre
dire che nel provvedimento di annullamento impugnato, e
nella consequenziale ordinanza di demolizione, il Comune si
è limitato ad enunciare un prevalente interesse pubblico,
del quale non ha dato conto con riguardo alle circostanze,
invero specifiche. Va infatti ricordato che le opere di cui
si ragiona sono un accessorio –portico e terrazza- di un
immobile abitativo già esistente, che secondo logica ricade
anch’esso nella fascia del presunto vincolo: non è stato
spiegato per qual ragione il fabbricato principale possa
rimanere al suo posto, ma non con le opere in questione, e
quale specifico pregiudizio da esse sia cagionato. Nemmeno è
stato considerato che una di tali opere, il portico,
pacificamente realizzato in abuso, esiste dal 1983 (doc. ti
ricorrente da 2 a 9, cit.) e non pare avere sino ad ora
cagionato pregiudizio alcuno. Infine, non è stato dato
adeguato conto della preesistenza del vincolo all’opera, su
cui non sono stati acquisiti elementi definitivi.
Anche sotto il profilo temporale, l’intervento in
autotutela appare privo di motivazione, considerando non
solo che interviene al di là del termine tendenziale di cui
si è detto, ovvero nel novembre 2011 su una concessione del
maggio 2001, concessione relativa all’opera su cui poggiano
le altre, ma anche che tale sanatoria intervenne su una
domanda addirittura del 1986 (sempre doc. ti ricorrente da 2
a 9, cit.), sì che all’amministrazione il tempo per
attivarsi non era mancato.
Per tali ragioni, di carattere assorbente, in quanto
riguardano la possibilità stessa di colpire l’abuso, gli
atti impugnati vanno annullati, rimanendo appunto assorbiti
i residui motivi
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 05.04.2013 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
Non sussiste alcun
obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza
volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non
essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del
procedimento di riesame della legittimità dell'atto
amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo
strumento di tutela offerto (oggi dall'art. 117 c. p. a.):
infatti, il potere di autotutela si esercita
discrezionalmente d'ufficio, essendo rimesso alla più ampia
valutazione di merito dell'Amministrazione, e non su istanza
di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte,
aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo
giuridico di provvedere.
Lo stesso art. 21-nonies della legge n. 241/1990,
nell'affermare che il provvedimento amministrativo
illegittimo può essere annullato d'ufficio sussistendone le
ragioni di interesse pubblico rimette la scelta
sull'annullamento a un apprezzamento di natura preventiva
affidato alla P.A. e, pertanto, opinare diversamente, ossia
seguire la tesi secondo la quale, in presenza di un’istanza
diretta a sollecitare l'esercizio della potestà di
autotutela, l'Amministrazione sia obbligata a una pronuncia
esplicita vorrebbe dire neutralizzare la condizione di
inoppugnabilità del provvedimento amministrativo che non sia
stato contestato nei modi ed entro i termini di legge,
vanificando la garanzia di certezza dei rapporti giuridici e
avvilendo lo stesso principio di economicità dell'azione
amministrativa, che verrebbe posto nel nulla ove si
imponesse, a semplice richiesta dell'interessato, l'obbligo
di riesame di provvedimenti restati inoppugnati.
- il Collegio ritiene di dover ribadire
l’insussistenza, in capo all’amministrazione resistente, di
un obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su
un’istanza diretta essenzialmente a ottenere un
provvedimento in autotutela;
- il Collegio, in particolare, ritiene che non vi siano, nel
caso di specie, valide ragioni per discostarsi dal
consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "non
sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi
su un' istanza volta a ottenere un provvedimento in via di
autotutela, non essendo coercibile dall'esterno
l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità
dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall'art.
117 c. p. a.): infatti, il potere di autotutela si esercita
discrezionalmente d'ufficio, essendo rimesso alla più ampia
valutazione di merito dell'Amministrazione, e non su istanza
di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte,
aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo
giuridico di provvedere” (cfr. Consiglio Stato, VI, n.
4308/2010; Consiglio Stato, V, n. 6995/2011);
- che secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato in una
recentissima sentenza, lo stesso art. 21-nonies della legge
n. 241/1990, nell'affermare che il provvedimento
amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio
sussistendone le ragioni di interesse pubblico rimette la
scelta sull'annullamento a un apprezzamento di natura
preventiva affidato alla P.A. e, pertanto, opinare
diversamente, ossia seguire la tesi secondo la quale, in
presenza di un’istanza diretta a sollecitare l'esercizio
della potestà di autotutela, l'Amministrazione sia obbligata
a una pronuncia esplicita vorrebbe dire neutralizzare la
condizione di inoppugnabilità del provvedimento
amministrativo che non sia stato contestato nei modi ed
entro i termini di legge, vanificando la garanzia di
certezza dei rapporti giuridici e avvilendo lo stesso
principio di economicità dell'azione amministrativa, che
verrebbe posto nel nulla ove si imponesse, a semplice
richiesta dell'interessato, l'obbligo di riesame di
provvedimenti restati inoppugnati (cfr. in termini Consiglio
Stato, IV, n. 355/2013)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.03.2013 n. 1638 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
In tutti i casi in cui l'Amministrazione intende
emanare un atto di secondo grado (annullamento, revoca,
decadenza) incidente su posizioni giuridiche originate da un
precedente atto, è necessario l'avviso dell'avvio del
procedimento, sempre che non sussistano ragioni di urgenza
da esplicitare adeguatamente nella motivazione del
provvedimento, ovvero quando all'interessato sia stato
comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a
suo favore.
... e ciò sulla considerazione che la giurisprudenza è
univoca nell’affermare che “In tutti i casi in cui
l'Amministrazione intende emanare un atto di secondo grado
(annullamento, revoca, decadenza) incidente su posizioni
giuridiche originate da un precedente atto, è necessario
l'avviso dell'avvio del procedimento, sempre che non
sussistano ragioni di urgenza da esplicitare adeguatamente
nella motivazione del provvedimento, ovvero quando
all'interessato sia stato comunque consentito di evidenziare
i fatti e gli argomenti a suo favore” (così Cons. di Stato
sez. VI, n. 6413 del 26.10.2006; Cons. di Stato sez. V, n.
7553 del 18.11.2004; TAR Palermo n. 1716 del 02.11.2009;
TAR Puglia-Bari n. 61 del 15.01.2009; TAR Sardegna n.
2117 del 26.11.2007; TAR Lazio-Roma n. 10123 del 09.10.2006)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VII,
sentenza 25.03.2013 n. 1618 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Sui presupposti per l’annullamento d’ufficio di un
provvedimento amministrativo.
L’annullamento d’ufficio è il risultato
di un’attività discrezionale dell’Amministrazione e non
deriva in via automatica dall’accertata originaria
illegittimità dell’atto essendo altresì necessaria una
congrua motivazione in ordine alla sussistenza
dell’interesse pubblico alla reintegrazione del preesistente
stato di legalità.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa è
assolutamente granitica nel precisare che l’interesse alla
reintegrazione dell’ordine pubblico deve essere specificato
e dimensionato in relazione alle esigenze concrete ed
attuali, avuto riguardo anche gli interessi privati che
militano in senso opposto , senza peraltro ricorrere in sede
di motivazione a clausole di stile.
Fondato, invece si appalesa il secondo mezzo di
gravame con cui riprendendo il motivo già dedotto in primo
grado e qui riprodotto, parte appellante deduce la
sussistenza a carico dell’atto impugnato del vizio di
violazione dei principi che regolano l’esercizio del potere
di autotutela con riferimento alla insufficiente motivazione
resa in ordine alla sussistenza dell’ interesse pubblico
all’annullamento
Per costante orientamento giurisprudenziale, l’annullamento
d’ufficio è il risultato di un’attività discrezionale
dell’Amministrazione e non deriva in via automatica
dall’accertata originaria illegittimità dell’atto essendo
altresì necessaria una congrua motivazione in ordine alla
sussistenza dell’interesse pubblico alla reintegrazione del
preesistente stato di legalità.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa è
assolutamente granitica nel precisare che l’interesse alla
reintegrazione dell’ordine pubblico deve essere specificato
e dimensionato in relazione alle esigenze concrete ed
attuali, avuto riguardo anche gli interessi privati che
militano in senso opposto , senza peraltro ricorrere in sede
di motivazione a clausole di stile (ex multis, Cons.
Stato VI 17.02.2006 n. 671 ).
Ebbene, non pare che il provvedimento di autotutela qui in
discussione sia rispettoso dei parametri giurisprudenziali
sopra ricordati, se è vero che nella parte narrativa
dell’atto si fa lapidariamente accenno alla necessaria
prevalenza, nella valutazione comparativa, dell’interesse
pubblico alla conservazione dello stato dei luoghi, nel che
è ravvisabile una semplicistica formula stereotipa.
Ora che nella specie a carico dell’amministrazione vi fosse
un ben più pregnante onere di motivazione, non adeguatamente
assolto dall’utilizzo di una clausola di stile apposta a
sostegno della determinazione assunta, è un dato agevolmente
rilevabile dalla circostanza per cui l’annullamento viene
adottato a distanza di oltre otto anni dal rilascio
dell’autorizzazione al restauro rilasciata in favore del
sig. Viola senza che sia stata presa in considerazione la
posizione del beneficiario del titolo ad aedificandum
in questione.
L’assenza di una idonea motivazione conforme ai principi
ripetutamente sanciti dalla giurisprudenza rende invalido
l’atto di annullamento d’ufficio qui in contestazione fatta
salva, s’intende, l’adozione da parte dell’intimato Comune
di ogni ulteriore provvedimento
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.03.2013 n. 1605 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA: Circa
le condizioni per l'esercizio in
autotutela da parte dell'Amministrazione del potere di
annullamento d'ufficio, le stesse, come pacifico, sono:
a) l'illegittimità dell'atto amministrativo;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico concreto
ed attuale ulteriore rispetto la mera esigenza di ripristino
della legittimità violata;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
---------------
Ai sensi dell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241 (che ha
codificato un principio giurisprudenziale assolutamente
pacifico e costante), l'esercizio del potere di autotutela,
e quindi il concreto provvedimento di ufficio adottato
dall'Amministrazione, richiede che quest'ultima, oltre ad
accertare entro un termine ragionevole l'illegittimità
dell'atto, deve altresì valutare la sussistenza di un
interesse pubblico all'annullamento, attuale e prevalente
sulle posizioni giuridiche private costituitesi e
consolidatesi medio tempore, dovendosi in particolare
escludere che tale interesse pubblico possa consistere nel
mero ripristino della legalità violata; si conferma, quindi,
la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento
d'ufficio che, rifuggendo da ogni automatismo, deve essere
espressione di una congrua valutazione comparativa degli
interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente
conto nella motivazione del provvedimento di ritiro,
soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di
un provvedimento amministrativo si sia consolidata,
suscitando un affidamento sulla legittimità del titolo
stesso.
---------------
Per procedere all'annullamento in via di autotutela deve
sussistere un interesse pubblico concreto, specifico ed
attuale alla rimozione dell'atto e dei relativi effetti,
comunque diverso da quello generico al reintegro dell'ordine
giuridico violato e l'indagine relativa all'individuazione
di tale interesse deve consistere in una comparazione tra
l'interesse pubblico e quello dei privati destinatari,
potendosi procedere all'annullamento allorché sia
espressamente giustificato dalla sussistenza di un interesse
pubblico prevalente su quello alla conservazione dello
status quo che si è venuto a consolidare in capo al privato
interessato a seguito del rilascio della concessione, per
l'affidamento che ne è derivato.
--------------
Con specifico riferimento alla materia dell’edilizia, la
Giurisprudenza ha affermato che con l'introduzione del Capo
IV-bis della legge n. 241/1990 ad opera della legge n.
15/2005, nella specie con l'art. 21-nonies, il legislatore
ha, per la prima volta, dettato norme in tema di autotutela
amministrativa, recependo i principi giurisprudenziali e la
prassi amministrativa formatisi in assenza di una disciplina
normativa.
Tra questi, la regola secondo la quale il provvedimento di
annullamento in autotutela costituisce manifestazione della
discrezionalità dell'Amministrazione, nel senso che essa non
è obbligata a ritirare gli atti illegittimi o inopportuni in
quanto tali, ma deve valutare, di volta in volta, se esista
un interesse pubblico alla loro eliminazione diverso dal
semplice ristabilimento della legalità violata.
Siffatto interesse pubblico non viene esplicitato a priori
dalla norma, ma deve essere ricavato dalla stessa
Amministrazione, caso per caso, attraverso un'attività di
"comparazione tra l'interesse pubblico al ripristino della
legalità e gli interessi dei destinatari del provvedimento e
dei controinteressati"; il tutto, tenendo nella debita
considerazione anche la circostanza che il provvedimento da
annullare possa avere prodotto effetti favorevoli,
valutandone la rilevanza, e che sia trascorso un
apprezzabile lasso di tempo (fattore di stabilizzazione) dal
momento della sua emissione. Tali elementi, infatti,
integrano la nozione di "stabilità della situazione venutasi
a creare per effetto del provvedimento favorevole" e
rappresentano, in quanto tali, un limite all'esercizio del
potere di autoannullamento.
Pertanto, nella comparazione tra le esigenze sottese a un
intempestivo e pregiudizievole annullamento in autotutela
dell'atto e quelle sottese alla conservazione di
quest'ultimo, l'Amministrazione, in forza del citato art.
21-nonies, è tenuta a optare per la soluzione che meglio
contemperi la necessità del ripristino della legittimità e
la salvezza degli altri interessi concorrenti. Inoltre, il
vigente art. 21-nonies esclude che si possa procedere
all'annullamento d'ufficio in difetto di tutti requisiti ivi
individuati.
---------------
In un provvedimento di annullamento in autotutela di una
concessione edilizia, non è sufficiente affermare che
l'interesse pubblico sotteso consista essenzialmente
nell'ovviare alla falsa rappresentazione della realtà che il
privato avrebbe, a suo tempo, fornito al Comune sulle
caratteristiche dell'edificio. Ciò in quanto il presupposto
per un legittimo esercizio del potere di annullamento di
ufficio di una sanatoria edilizia non può ricondursi al mero
ripristino della legalità, occorrendo dar conto della
sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla
rimozione del titolo edilizio.
Occorre, infine, una comparazione tra detto interesse
pubblico e l'entità del sacrificio imposto all'interesse
privato, tanto più quando è trascorso molto tempo e il
titolare dell'interesse privato non sia più il responsabile
dei fatti che hanno dato luogo all'avvio dell'autotutela,
ovvero quando, in ragione del tempo trascorso, l'interessato
abbia maturato un legittimo affidamento alla conservazione
del bene della vita.
Venendo alle condizioni
per l'esercizio in autotutela da parte dell'Amministrazione
del potere di annullamento d'ufficio, le stesse, come
pacifico, sono:
a) l'illegittimità dell'atto amministrativo;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico concreto
ed attuale ulteriore rispetto la mera esigenza di ripristino
della legittimità violata;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
Questa Sezione, con decisione dell’08.10.2012 n. 2327,
ha affermato che ai sensi dell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241 (che ha codificato un principio
giurisprudenziale assolutamente pacifico e costante),
l'esercizio del potere di autotutela, e quindi il concreto
provvedimento di ufficio adottato dall'Amministrazione,
richiede che quest'ultima, oltre ad accertare entro un
termine ragionevole l'illegittimità dell'atto, debba altresì
valutare la sussistenza di un interesse pubblico
all'annullamento, attuale e prevalente sulle posizioni
giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio
tempore, dovendosi in particolare escludere che tale
interesse pubblico possa consistere nel mero ripristino
della legalità violata; si conferma, quindi, la dimensione
tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio che,
rifuggendo da ogni automatismo, deve essere espressione di
una congrua valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella
motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni
qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento
amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento
sulla legittimità del titolo stesso.
Sulla stessa linea, tra le altre, TAR Torino Piemonte
sez. I, 19.12.2012 n. 1361, secondo il quale per
procedere all'annullamento in via di autotutela deve
sussistere un interesse pubblico concreto, specifico ed
attuale alla rimozione dell'atto e dei relativi effetti,
comunque diverso da quello generico al reintegro dell'ordine
giuridico violato e l'indagine relativa all'individuazione
di tale interesse deve consistere in una comparazione tra
l'interesse pubblico e quello dei privati destinatari,
potendosi procedere all'annullamento allorché sia
espressamente giustificato dalla sussistenza di un interesse
pubblico prevalente su quello alla conservazione dello
status quo che si è venuto a consolidare in capo al privato
interessato a seguito del rilascio della concessione, per
l'affidamento che ne è derivato.
Con specifico riferimento alla materia dell’edilizia, la
Giurisprudenza ha affermato che con l'introduzione del Capo
IV-bis della legge n. 241/1990 ad opera della legge n.
15/2005, nella specie con l'art. 21-nonies, il legislatore
ha, per la prima volta, dettato norme in tema di autotutela
amministrativa, recependo i principi giurisprudenziali e la
prassi amministrativa formatisi in assenza di una disciplina
normativa. Tra questi, la regola secondo la quale il
provvedimento di annullamento in autotutela costituisce
manifestazione della discrezionalità dell'Amministrazione,
nel senso che essa non è obbligata a ritirare gli atti
illegittimi o inopportuni in quanto tali, ma deve valutare,
di volta in volta, se esista un interesse pubblico alla loro
eliminazione diverso dal semplice ristabilimento della
legalità violata. Siffatto interesse pubblico non viene
esplicitato a priori dalla norma, ma deve essere ricavato
dalla stessa Amministrazione, caso per caso, attraverso
un'attività di "comparazione tra l'interesse pubblico al
ripristino della legalità e gli interessi dei destinatari
del provvedimento e dei controinteressati"; il tutto,
tenendo nella debita considerazione anche la circostanza che
il provvedimento da annullare possa avere prodotto effetti
favorevoli, valutandone la rilevanza, e che sia trascorso un
apprezzabile lasso di tempo (fattore di stabilizzazione) dal
momento della sua emissione. Tali elementi, infatti,
integrano la nozione di "stabilità della situazione venutasi
a creare per effetto del provvedimento favorevole" e
rappresentano, in quanto tali, un limite all'esercizio del
potere di autoannullamento. Pertanto, nella comparazione tra
le esigenze sottese a un intempestivo e pregiudizievole
annullamento in autotutela dell'atto e quelle sottese alla
conservazione di quest'ultimo, l'Amministrazione, in forza
del citato art. 21-nonies, è tenuta a optare per la
soluzione che meglio contemperi la necessità del ripristino
della legittimità e la salvezza degli altri interessi
concorrenti. Inoltre, il vigente art. 21-nonies esclude che
si possa procedere all'annullamento d'ufficio in difetto di
tutti requisiti ivi individuati (in termini, TAR Veneto
Venezia, sez. II, 30.09.2010 n. 5242).
In fattispecie analoga al caso in esame, la Giurisprudenza (TAR Molise Campobasso, sez. I, 28.05.2012 n. 219) ha
affermato che in un provvedimento di annullamento in
autotutela di una concessione edilizia, non è sufficiente
affermare che l'interesse pubblico sotteso consista
essenzialmente nell'ovviare alla falsa rappresentazione
della realtà che il privato avrebbe, a suo tempo, fornito al
Comune sulle caratteristiche dell'edificio. Ciò in quanto il
presupposto per un legittimo esercizio del potere di
annullamento di ufficio di una sanatoria edilizia non può
ricondursi al mero ripristino della legalità, occorrendo dar
conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e
concreto alla rimozione del titolo edilizio. Occorre,
infine, una comparazione tra detto interesse pubblico e
l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto
più quando è trascorso molto tempo e il titolare
dell'interesse privato non sia più il responsabile dei fatti
che hanno dato luogo all'avvio dell'autotutela, ovvero
quando, in ragione del tempo trascorso, l'interessato abbia
maturato un legittimo affidamento alla conservazione del
bene della vita (cfr.: Cons. Stato IV, 27.11.2010 n. 8291;
idem IV, 31.10.2006 n. 6465)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 07.03.2013 n. 777 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Con riguardo alla
questione della disciplina urbanistica da far valere in
occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente
all’annullamento del diniego di concessione o alla
declaratoria del silenzio-rifiuto serbato
dall’Amministrazione, nella ricerca di un punto di giusto
equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato,
effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale
discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono
al momento della proposizione della domanda; dall’altro,
preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati,
seppur meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha
ritenuto che:
● restano inopponibili all’interessato le modificazioni
della normativa di piano intervenute successivamente alla
notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;
● quando la nuova normativa sia opponibile, deve
riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato
favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione
valuti la possibilità di introdurre una variante che
recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del
piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di
concessione.
---------------
Lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di
proprietà dei suoli, rappresenta un interesse sottoposto a
conformazione da parte della legge e della Pubblica
amministrazione, in funzione dei molteplici interessi
-pubblici e privati- diversi da quelli del proprietario del
suolo, che sono coinvolti dall'edificazione privata, e che
tale conformazione discende non solo dalla normativa di
carattere urbanistico-edilizio, ma anche da altre normative
settoriali.
Di conseguenza l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del
proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e
limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina
urbanistica in senso stretto che, in quanto siano
applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di
massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli
a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse
storico e artistico), debbano essere valutati al momento in
cui la domanda viene esaminata.
La sentenza impugnata, l’appello e la contrapposta difesa ruotano tutti
attorno al tema della concreta applicazione dei principi
enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con
la sentenza 08.01.1986, n. 1, con riguardo alla
questione della disciplina urbanistica da far valere in
occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente
all’annullamento del diniego di concessione o alla
declaratoria del silenzio-rifiuto serbato
dall’Amministrazione.
Nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due
principi di eguale valore (da un lato, effettività della
tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che
gli effetti della sentenza risalgono al momento della
proposizione della domanda; dall’altro, preminenza
dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur
meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha ritenuto che:
●
restano inopponibili all’interessato le modificazioni della
normativa di piano intervenute successivamente alla
notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;
●
quando la nuova normativa sia opponibile, deve riconoscersi
al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un
interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la
possibilità di introdurre una variante che recuperi, in
tutto o in parte, l’originaria previsione del piano
abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di
concessione.
L’insegnamento dell’Adunanza generale ha trovato, da allora
in poi, puntuale applicazione (si vedano ad es. Cons. Stato,
30.06.2004, n. 4804; Id., sez. IV, 24.12.2008, n.
6535).
Nel caso di specie, la sentenza n. 3 del 1992 ha annullato
il diniego per essere questo fondato su una disciplina
urbanistica non ancora in vigore.
Il successivo provvedimento di diniego, impugnato in questa
sede, rinvia al P.R.G. del 1994-1995, dunque a uno strumento
di programmazione urbanistica entrato in vigore
successivamente alla sentenza prima ricordata (il dato di
fatto non è in discussione).
Su queste premesse, la circostanza su cui si fonda la difesa
del Comune (cioè la mancata presentazione di un’istanza di
variante) non è conclusiva, posto che, nel quadro
concettuale elaborato dall’Adunanza plenaria, il nuovo Piano
non era comunque opponibile al privato.
---------------
Per completezza, va
ricordato che lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel
diritto di proprietà dei suoli, rappresenta un interesse
sottoposto a conformazione da parte della legge e della
Pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici
interessi -pubblici e privati- diversi da quelli del
proprietario del suolo, che sono coinvolti dall'edificazione
privata, e che tale conformazione discende non solo dalla
normativa di carattere urbanistico-edilizio, ma anche da
altre normative settoriali.
Di conseguenza –come già chiariva la più volte citata
decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 1986–
l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere,
dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi
e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso
stretto che, in quanto siano applicabili anche se
sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni
sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze
naturali e di beni di interesse storico e artistico),
debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene
esaminata
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 19.02.2013 n. 1007 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
L'esercizio del potere di annullamento d'ufficio
di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di
legittimità codificati nell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n.
241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e
nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della legalità,
comparato con i contrapposti interessi dei privati.
L'esercizio del potere di
annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, che
paradossalmente la parte appellante invoca contro i suoi
interessi, deve rispondere ai requisiti di legittimità
codificati nell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241,
consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e
nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua
rimozione diverso dal mero ripristino della legalità,
comparato con i contrapposti interessi dei privati (così,
Consiglio di Stato sez. III, 09.05.2012, n. 2683) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 15.02.2013 n. 915 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Lottizzazione abusiva e annullamento d'ufficio
di una concessione in sanatoria.
Dato che la lottizzazione, a differenza dall’abuso singolo,
è infatti tale da implicare ex sé un negativo impatto
urbanistico, l'annullamento d'ufficio di una concessione in
sanatoria illegittima non necessita di un'espressa e
specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo
questo nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
L’insuscettibilità legale di una lottizzazione materiale
spontanea di essere oggetto della sanatoria è dunque una
delle tipiche ipotesi nelle quali il richiamo all’interesse
pubblico alla tutela della pianificazione ed al ripristino
della legalità, è di per sé sufficiente per rendere
legittimo l'esercizio del potere di autotutela.
In linea generale, tenendo conto dei valori espressi
dall'art. 97 cost., l'esercizio dei poteri amministrativi di
annullamento in autotutela di precedenti statuizioni
illegittime non ha affatto natura eccezionale, in quanto la
p.a. ha il potere - dovere di emanare l'atto di
annullamento, anche al solo fine di evitare che si
consolidino situazioni di fatto illegalmente costituitesi,
qualora siano veri e propri esempi di diseducazione civile
(arg. ex Consiglio Stato sez. V 24.02.1996 n. 232).
Quindi se non sussiste alcun obbligo assoluto per l'Autorità
emanante di procedere in via di autotutela all'annullamento
d'ufficio di un provvedimento da essa adottato, ciò non
toglie che l’esercizio di tale facoltà sia rimessa alla
discrezionale considerazione del merito degli interessi
pubblici in gioco (arg. ex Consiglio Stato Sez. IV
04.03.2011 n. 1414; Consiglio di Stato sez. IV 10.08.2011 n.
4770).
Proprio in relazione all'ampiezza delle valutazioni
discrezionali affidate all'organo è stato osservato che è
legittimo il comportamento dell’Amministrazione che, seppure
tardivamente, emendi la propria precedente condotta,
conformando la propria azione al rispetto concreto della
legge. Ciò perché l'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241 non
fissa un termine ultimo oltre il quale l'esercizio
dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando
all’Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in
ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di
Stato sez. VI 27.02.2012 n. 1081). Ciò a maggior ragione
qualora (come nel caso in esame) il tempo trascorso dalla
prima concessione di sanatoria sia stato utilizzato per
ampliare e consolidare la lottizzazione abusiva.
L’art. 30 del D.P.R. 380/2001 (e in precedenza all’art. 18
L. 47/1985) costruisce la lottizzazione abusiva come un
illecito permanente ed insanabile, al fine manifesto:
- di garantire un’ordinata pianificazione urbanistica,
- di salvaguardare il corretto sviluppo degli insediamenti
abitativi e dei correlativi standard compatibili con la
finanza pubblica e con il vivere civile;
- di assicurare un effettivo controllo da parte del Comune
titolare della funzione di pianificazione al fine di (cfr.
Consiglio di Stato sez. IV 07.06.2012 n. 3381).
Ciò premesso, alla luce di tutti gli atti di causa e della
stessa cartografia versata in atti dal Comune, devono
condividersi pienamente le conclusioni del TAR circa la
sussistenza dei requisiti procedimentali, codificati
nell'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, per l’esercizio
del potere di annullamento dei titoli edilizi in questione
Le concessione in sanatoria appaiono infatti il frutto di
indebite influenze estranee sull’attività amministrativa del
Comune: come emerge dai rapporti della Polizia Municipale la
quale aveva rilevato come il tecnico cui era stata affidata
dal Comune l’istruttoria delle pratiche di sanatoria era lo
stesso che, in precedenza, era stato incaricato della
redazione dei collaudi, delle perizie giurate, degli
accatastamenti ecc…; il quale aveva addirittura firmato
alcune concessioni in sanatoria, quale responsabile dell’U.T.C.
(cfr. pag. 5 rapporto n. 94 del 24.06.2002).
Non vi sono pertanto dubbi sulla nell'insanabile
illegittimità originaria dei titoli in questione per la
sussistenza di una lottizzazione abusiva (dettagliatamente
documentata nelle relazioni della Polizia Municipale del
24.06.2002 e del 6.07.2004).
Gli abusi progressivamente realizzati sui suoli di proprietà
concernevamo infatti: “1) corpo di fabbrica E realizzato
nel 1978 in difformità alla CE con una maggiore superficie
di mq. 109,21;
2) corpi di fabbrica A-B-C-D-F, realizzati tra dicembre 1985
e marzo 1986, per cui sono state rilasciate le impugnate
concessioni in sanatoria rispettivamente: n. 327 del
06.08.1992 per condono edilizio relativo ai capannoni D e F;
n. 1755 per i capannoni A-B-C ;
3) il capannone G realizzato senza concessione appena
ricevuto il parere, peraltro sottoposto a condizione, della
CEC;
4) i capannoni R ed il capannone S, per i quali fu
rilasciata concessione in sanatoria n. 208 del 24.01.2000;
5) i fabbricati e le strutture indicate con le lettere T, H,
I, L, M, N edificati nel 1995.".
In conseguenza della precedente condotta illecita del loro
dante causa, protrattasi lungamente nel tempo, non può
pertanto configurarsi alcuna legittima aspettativa a favore
dei relativi responsabili e dei loro aventi causa.
Le costruzioni abusive -o come qui sanate in virtù di titoli
non conformi alla vigente normativa urbanistico-edilizia-
costituiscono un illecito di tipo permanente a fronte del
quale non vale la buona fede del privato dovendosi ritenersi
che sia "in re ipsa" la sussistenza del pubblico
interesse al ripristino dello stato della legalità violata
(cfr. Consiglio di Stato sez. IV 23.02.2012 n. 1041).
Dato che la lottizzazione, a differenza dall’abuso singolo,
è infatti tale da implicare ex sé un negativo impatto
urbanistico, l'annullamento d'ufficio di una concessione in
sanatoria illegittima non necessita di un'espressa e
specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo
questo nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica (Consiglio di Stato sez. IV
30.07.2012 n. 4300).
Nel caso in esame quindi le motivazioni degli atti di
auto-annullamento dei provvedimenti in sanatoria erano state
fondatamente affidate al rilievo per cui l’intervento
abusivo, complessivamente considerato, costituiva una
fattispecie dichiaratamente qualificata come insanabile
dalla normativa statale ed era stata oggetto di una
specifiche condanne penali.
L'esercizio del potere di autotutela da parte
dell'Amministrazione era dunque assistito da un interesse
pubblico ed attuale direttamente connesso alla necessità
eliminare l’incidenza negativa sulla zona circostante, della
illegittima trasformazione del territorio derivante da una
lottizzazione abusiva composta da ben 15 edificazioni
artigianali, oltre al piazzale pavimentato di oltre 8000 mt.,
ai reti ed ai muri di cinta, alla strada ecc..
L’insuscettibilità legale di una lottizzazione materiale
spontanea di essere oggetto della sanatoria è dunque una
delle tipiche ipotesi nelle quali il richiamo all’ interesse
pubblico alla tutela della pianificazione ed al ripristino
della legalità, è di per sé sufficiente per rendere
legittimo l'esercizio del potere di autotutela (arg. ex
Consiglio Stato sez. VI 30.07.2003 n. 4391);
Anche perché contrariamente a quanto vorrebbero i
ricorrenti, il legislatore dell'art. 21-nonies, L.
07.08.1990 n. 241, non ha ritenuto di dover recepire il
paradigma di creazione giurisprudenziale relativo
all’insufficienza del solo richiamo al ripristino della
legalità violata per l’esercizio del potere di
autoannullamento. Si deve perciò escludere che il principio
che, nelle situazioni ordinarie, pure costituisce
espressione di civiltà giuridica, possa essere applicarsi in
aree caratterizzati da situazioni di generalizzato e diffuso
disprezzo della legalità, e che per tale via possano essere
considerati prevalenti gli “interessi illegittimi”
dei privati, interessati al mantenimento di consistenti
situazioni di vasto abusivismo, rispetto all’interesse
pubblico generale dello Stato e dei suoi cittadini al
corretto sviluppo del territorio.
In definitiva, correttamente la sentenza impugnata ha
concluso per la legittimità della rimozione dei
provvedimenti di sanatoria illegittimamente concessi
(massima tratta da www.lexambiente.it
- Consiglio di
Stato, Sez. IV,
sentenza 12.02.2013 n. 834
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'annullamento parziale
di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è
ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia
scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti
progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui
il comune può respingere o accogliere una domanda di
concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non
potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal
progetto sul quale ha chiesto la concessione.
Come osservato in giurisprudenza, l'annullamento parziale di una
concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile
soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo
tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la
ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può
respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia,
ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al
richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha
chiesto la concessione (cfr. Cons. di St., V, 11.10.2005, n.
5495; TAR Genova Liguria sez. I, 20.07.2011, n. 1148;
TAR Roma Lazio sez. II, 30.03.2012, n. 3065)
(TAR Basilicata,
sentenza 07.02.2013 n. 54 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: L’annullamento
d’ufficio è un atto discrezionale da assumere entro un
termine ragionevole e solo dopo un attento bilanciamento di
tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti. Occorre
tuttavia precisare che in giurisprudenza sono stati
individuate anche delle fattispecie nelle quali la
discrezionalità si azzera e l’annullamento diventa doveroso.
In particolare questo avviene in due casi:
(1) quando il destinatario abbia ottenuto il titolo edilizio
inducendo in errore l’amministrazione attraverso una falsa
rappresentazione della realtà, non necessariamente operando
con dolo (v. CS Sez. IV 12.03.2007 n. 1189, giudizio
riguardante un annullamento d’ufficio sopraggiunto a 10 anni
dal provvedimento illegittimo);
(2) quando la conservazione del provvedimento illegittimo
sia “semplicemente insopportabile” per l’evidente
insufficienza dell’affidamento del destinatario rispetto al
danno subito dall’amministrazione o da altri soggetti.
Sulle questioni sollevate dalle parti si possono
svolgere le seguenti considerazioni:
(a) per quanto riguarda la tempestività dell’ordinanza di
inibizione, in effetti risultano agli atti due copie della
DIA, entrambe con il timbro degli uffici comunali: una
riporta la data di ricezione del 21.09.2002 e l’altra
la data del 24.09.2002. Il motivo del doppio deposito
non è chiaro, tuttavia sembra necessario fare riferimento
alla prima data, in quanto il Comune non ha evidenziato
modifiche sostanziali nel progetto;
(b) peraltro, anche considerando fuori termine l’ordinanza
di inibizione adottata il 12.10.2002, non è possibile
considerare acquisiti i diritti edificatori in capo ai
ricorrenti. In realtà occorre distinguere tra vizi formali e
vizi sostanziali della DIA. Se il decorso del termine rende
inattaccabili i primi, e consolida quindi sotto questo
profilo la posizione dei soggetti proponenti, la presenza di
vizi sostanziali non cancella il potere di autotutela, sia a
favore dell’interesse pubblico (destinazione urbanistica,
indici edilizi, distanze), sia a garanzia dei privati
(diritti dei terzi incompatibili con l’edificazione);
(c) l’autotutela deve essere esercitata nel rispetto dei
principi posti dall’art. 21-nonies della legge 07.08.1990
n. 241, ossia valutando adeguatamente l’ampiezza del tempo
trascorso, l’attualità dell’interesse pubblico, e il
contenuto degli interessi privati dei destinatari e dei controinteressati;
(d) in sintesi l’annullamento d’ufficio è un atto
discrezionale da assumere entro un termine ragionevole e
solo dopo un attento bilanciamento di tutti gli interessi
pubblici e privati coinvolti. Occorre tuttavia precisare che
in giurisprudenza sono stati individuate anche delle
fattispecie nelle quali la discrezionalità si azzera e
l’annullamento diventa doveroso (v. TAR Brescia Sez. I 14.05.2010 n. 1733).
In particolare questo avviene in due
casi: (1) quando il destinatario abbia ottenuto il titolo
edilizio inducendo in errore l’amministrazione attraverso
una falsa rappresentazione della realtà, non necessariamente
operando con dolo (v. CS Sez. IV 12.03.2007 n. 1189,
giudizio riguardante un annullamento d’ufficio sopraggiunto
a 10 anni dal provvedimento illegittimo); (2) quando la
conservazione del provvedimento illegittimo sia
“semplicemente insopportabile” per l’evidente insufficienza
dell’affidamento del destinatario rispetto al danno subito
dall’amministrazione o da altri soggetti (v. TRGA Trento 16.12.2009 n. 305, giudizio che si pone specificamente
nella prospettiva della tutela del terzo);
(e) tornando alla vicenda in esame e applicando i parametri
sopra esposti si può osservare che: (1) il tempo trascorso
oltre i venti giorni previsti dall’art. 4, commi 11 e 15, del DL 398/1993 è minimo; (2) i vicini hanno dettagliatamente
evidenziato al Comune i pregiudizi derivanti dalla
recinzione della proprietà dei ricorrenti e dallo
spostamento del percorso delle servitù di passo pedonale;
(3) l’esistenza di diritti di terzi incompatibili con
l’edificazione appare quindi sufficientemente dimostrata,
almeno sul piano amministrativo, e permette di ritenere che
dall’emissione o dalla conservazione di un titolo edilizio
avrebbe origine una situazione intollerabile per i vicini;
(4) a questo punto la contrapposizione tra i soggetti
privati può essere superata soltanto con un accordo delle
parti sulla larghezza e sull’esatta collocazione del
percorso delle servitù di passo pedonale, o in alternativa
con una pronuncia del giudice ordinario (in eventuali
giudizi di usucapione, vindicatio servitutis, oppure
negatoria servitutis);
(f) risulta pertanto corretta la decisione del Comune di
impedire gli interventi edilizi in grado di interferire nei
rapporti privatistici finché la situazione non venga
chiarita come sopra indicato. Non vi sono invece ostacoli
all’autorizzazione delle opere che non possono arrecare
pregiudizio ai diritti dei terzi, ma al riguardo è
necessaria una preventiva riformulazione del progetto da
parte dei ricorrenti.
In conclusione il ricorso deve essere respinto. La
particolarità di alcune questioni consente l’integrale
compensazione delle spese di giudizio
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 15.01.2013 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il Collegio condivide l’orientamento della
giurisprudenza di merito secondo il quale, specie allorché
il provvedimento ampliativo illegittimamente ottenuto leda
gli interessi di terzi, l’autotutela non necessita di
particolare motivazione (“allorquando un provvedimento
amministrativo ampliativo sia stato ottenuto
dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea
rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla
p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando
l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna
particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale
ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa”).
Ciò perché, in punto di diritto, la giurisprudenza ha
giustamente affermato che in ipotesi di ritiro in autotutela
di un'autorizzazione precedentemente rilasciata, nessun
affidamento può essere invocato laddove sia stata posta a
base dell'istanza che abbia condotto al rilascio
dell'autorizzazione stessa una falsa dichiarazione.
Per altro verso, il
Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza di
merito secondo il quale, specie allorché il provvedimento
ampliativo illegittimamente ottenuto leda gli interessi di
terzi, l’autotutela non necessita di particolare motivazione
(“allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo
sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o
comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è
consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa”
TAR Lombardia Milano Sez. II, 04.04.2012, n. 1002).
Ciò perché, in punto di diritto, la giurisprudenza ha
giustamente affermato che in ipotesi di ritiro in autotutela
di un'autorizzazione precedentemente rilasciata, nessun
affidamento può essere invocato laddove sia stata posta a
base dell'istanza che abbia condotto al rilascio
dell'autorizzazione stessa una falsa dichiarazione (cfr.
Consiglio Stato, sez. VI, 20.04.2009, n. 2373, ma anche TAR
Sicilia Catania Sez. III, 26.01.2010, n. 92)
(Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2013 n. 39 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In materia edilizia, la
differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
---------------
Sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione
edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti
dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R.
06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza
temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed
urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo,
certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla
parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso
nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte
rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle
condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di
fine dei lavori.
-------------
E' illegittima la proroga del permesso di costruire ex art.
15 D.P.R. n. 380/2001 senza che ne sussistano i presupposti
e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul
punto, laddove il comune acriticamente ha aderito alla
qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua-
dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai
lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto
già prorogato una prima volta.
Tanto più che, nella fattispecie, non sono sopravvenuti
fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del
permesso, e che non si tratta né di un’opera pubblica, né di
un’opera di grandi dimensioni o di particolari
caratteristiche tecnico-costruttive.
---------------
L'annullamento dell’originario permesso di costruire
sortisce l'effetto della caducazione della successiva
variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così
detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché
priva di una propria autonomia dispositiva.
E’ noto che, in materia edilizia, la differente
qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della
concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione
dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo
della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia
dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti
gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto
sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria
concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti
del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ciò posto, dirimente ai fini della corretta qualificazione
del titolo edilizio impugnato appare –a parere del collegio– la circostanza che entrambe le istanze di rinnovo
dell’originario permesso di costruire 31.08.2006 (depositate
–rispettivamente- in data 25.08.2007 e 29.08.2008, docc. 3 e
4 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata)
siano state presentate allorché il titolo da rinnovare era
ancora efficace (essendo stato rilasciato il primo permesso
in data 31.08.2006 ed il primo rinnovo in data 06.09.2007), in
prossimità della scadenza del termine di inizio dei lavori
ed in mancanza dell’avvio degli stessi (iniziati soltanto in
data 16.10.2009, doc. 1 delle produzioni 08.11.2012 di parte
comunale).
Se a ciò si aggiunge che esse riguardavano il medesimo
intervento edilizio, risulta evidente come le istanze stesse
mirassero in realtà a scongiurare la decadenza del titolo
per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, cioè a
conseguire –propriamente– una proroga dello stesso ex art.
15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.
Né vale eccepire che nulla impedisce a chi abbia un titolo
edilizio di chiederne un altro, sostitutivo del primo, pur
in costanza di efficacia dello stesso.
Al contrario, infatti, la volontà dell’interessato trova un
limite invalicabile nel principio di tipicità e di legalità
dei poteri amministrativi, nonché nelle norme regolatrici
dell'azione amministrativa.
Orbene, sia l'apposizione dei termini di efficacia della
concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei
casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui
all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la
certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia
ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un
efficiente controllo sulla conformità dell'intervento
edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo
(così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414), certezza che
verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di
dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen
juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte
rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle
condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di
fine dei lavori.
Dunque, il permesso di costruire impugnato (17.10.2008, prot.
19551/08) integra -propriamente- una proroga ex art. 15,
comma 2, D.P.R. n. 380/2001 del termine di inizio dei lavori.
Sennonché, come correttamente eccepito dalle ricorrenti con
il secondo motivo di ricorso, tale proroga è stata
rilasciata in violazione dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001,
senza che ne sussistessero i presupposti e –in ogni caso–
senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, avendo il
comune acriticamente aderito alla qualificazione in termini
di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte
interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori
nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già
prorogato una prima volta.
E’ infatti pacifico che non siano sopravvenuti fatti
impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso,
e che non si tratti né di un’opera pubblica, né di un’opera
di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche
tecnico-costruttive (circostanze, del resto, neppure
dedotte).
Donde la fondatezza della domanda impugnatoria, con
assorbimento degli altri motivi di gravame.
L’annullamento del titolo edilizio principale determina
l’accoglimento dei motivi aggiunti, nella parte relativa
all’impugnazione del silenzio (avente valore di
provvedimento implicito di diniego dell’adozione del
provvedimento inibitorio, cfr. Cons. di St., Ad. Plen.,
29.07.2011, n. 15; Cons. di St., IV, 26.07.2012, n. 4255)
serbato dal comune sulla dichiarazione di inizio di attività
presentata in data 02.11.2010 dalla controinteressata Lenzi
Gabriella Maria (doc. 8 delle produzioni 15.10.2011 di parte
controinteressata), in variante al permesso di costruire
17.10.2008.
Difatti, l'annullamento dell’originario permesso di
costruire sortisce l'effetto della caducazione della
successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo
della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”,
poiché priva di una propria autonomia dispositiva (TAR
Lombardia, II, 02.09.2011, n. 2149)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 08.01.2013 n. 34 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Il Cons. Stato ha rimarcato la differenza
dell’istituto di annullamento regionale rispetto al potere
di annullamento d’ufficio delle concessioni di costruzione
illegittime viceversa conferito al Sindaco dall’art. 10
della L. 06.08.1967 n. 765 e dall’art. 1 della L. 28.01.1977
n. 10, posto che l’Amministrazione Regionale è soltanto
titolare di poteri di vigilanza e di controllo ma è priva
della facoltà di sostituirsi al Comune nell’adottare
determinate scelte ed è tenuta a valutare l’interesse
pubblico con riferimento esclusivo alla conservazione della
situazione esistente; viceversa il Sindaco deve valutare
l’interesse pubblico alla rimozione dell’ atto invalido alla
stregua delle altre possibilità di eliminare, in via
alternativa, il vizio riscontrato, ossia mediante la
modifica agli strumenti urbanistici, l’offerta di
integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc..
L’annullamento disposto dall’Amministrazione Regionale è
configurato dal legislatore quale adattamento del generale
potere di annullamento d’ufficio contemplato dall’allora
vigente art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383 (ora riferibile
all’art. 2, comma 3, lett. p), della L. 23.08.1988 n. 400,
nonché all’art. 138 del T.U. approvato con D.L.vo 18.08.2000
n. 267).
Quindi, l’esercizio del potere sostitutivo da parte
dell’Amministrazione Regionale, a differenza del potere di
autotutela riconosciuto sempre in via generale al Comune,
non comporta un riesame del precedente operato da parte del
soggetto titolare del potere di annullamento, ma è
essenzialmente finalizzato ad assicurare da parte delle
Amministrazioni comunali il rigoroso rispetto della
normativa in materia edilizia.
---------------
Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste
nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua
funzione tipica, ovvero –detto altrimenti– allorquando il
potere è stato esercitato per finalità diverse da quelle
enunciate dal legislatore con la norma attributiva del
potere medesimo e, in particolare, allorquando l’atto posto
in essere sia stato determinato da un interesse diverso da
quello pubblico.
Tuttavia, la censura di eccesso di potere per sviamento deve
essere supportata da precisi e concordanti elementi di
prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla
sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine
sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si
traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità
perseguita in concreto dall’organo amministrativo; né il
vizio in questione è ravvisabile allorquando l’atto
asseritamene viziato risulta comunque adottato nel rispetto
delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto e
risulta in piena aderenza al fine pubblico al quale è
istituzionalmente preordinato, anche se, attraverso la sua
emanazione, l’amministrazione ha indirettamente consentito
il perseguimento da parte di terzi di ulteriori finalità
secondarie, lecite e non in contrasto con quella principale.
Giova quindi evidenziare,
innanzitutto, che l’art. 27, primo comma, della L.
17.08.1942 n. 1150, intitolato “annullamento di
autorizzazione comunali”, nel testo sostituito dall’art.
7 della L. 06.08.1967 n. 765 dispone al primo comma che “entro
dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i
provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a
prescrizioni del piano regolatore o del programma di
fabbricazione od a norme del regolamento edilizio, ovvero in
qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni o
delle norme stesse possono essere annullati, ai sensi
dell’art. 6 del testo unico della legge comunale e
provinciale, approvato con R.D. 03.03.1934, n. 383, con
decreto del Presidente della Repubblica su proposta del
Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per
l’interno”.
Tale potere è stato trasferito alle Regioni a’ sensi
dell’art. 1, lett. o), del D.P.R. 15.01.1972 n. 8, laddove
segnatamente si prevede, nell’effettuare il trasferimento
alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni
amministrative statali in materia di urbanistica, la
clausola d’ordine generale che ricomprende nel trasferimento
medesimo “ogni ulteriore funzione amministrativa
esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato …”
(cfr. in tal senso la dianzi citata decisione di Cons. Stato
Sez. V, 30.09.1980 n. 801).
Il terzo comma dello stesso art. 27 dispone quindi che il
provvedimento di annullamento “è preceduto dalla
contestazione delle violazioni stesse al titolare della
licenza, al proprietario della costruzione e al progettista,
nonché alla Amministrazione comunale con l’invito a
presentare controdeduzioni entro un termine all’uopo
prefissato”.
Inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 20.02.1998 n. 315 ha rimarcato
la differenza dell’istituto in esame rispetto al potere di
annullamento d’ufficio delle concessioni di costruzione
illegittime viceversa conferito al Sindaco dall’art. 10
della L. 06.08.1967 n. 765 e dall’art. 1 della L. 28.01.1977
n. 10, posto che l’Amministrazione Regionale è soltanto
titolare di poteri di vigilanza e di controllo ma è priva
della facoltà di sostituirsi al Comune nell’adottare
determinate scelte ed è tenuta a valutare l’interesse
pubblico con riferimento esclusivo alla conservazione della
situazione esistente; viceversa il Sindaco deve valutare
l’interesse pubblico alla rimozione dell’ atto invalido alla
stregua delle altre possibilità di eliminare, in via
alternativa, il vizio riscontrato, ossia mediante la
modifica agli strumenti urbanistici, l’offerta di
integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc..
L’annullamento disposto dall’Amministrazione Regionale è
configurato dal legislatore quale adattamento del generale
potere di annullamento d’ufficio contemplato dall’allora
vigente art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383 (ora riferibile
all’art. 2, comma 3, lett. p), della L. 23.08.1988 n. 400,
nonché all’art. 138 del T.U. approvato con D.L.vo 18.08.2000
n. 267).
A ragione il giudice di primo grado ha rimarcato in tal
senso che l’esercizio del potere sostitutivo da parte
dell’Amministrazione Regionale, a differenza del potere di
autotutela riconosciuto sempre in via generale al Comune,
non comporta un riesame del precedente operato da parte del
soggetto titolare del potere di annullamento, ma è
essenzialmente finalizzato ad assicurare da parte delle
Amministrazioni comunali il rigoroso rispetto della
normativa in materia edilizia.
---------------
Né può condividersi la tesi de L’Alco secondo la quale la
finalità perseguita dalla Giunta Regionale mediante
l’annullamento da essa disposto non sarebbe in realtà
deputata alla tutela dell’interesse alla legittimità dei
provvedimenti urbanistico-edilizi, ma alla surrettizia
protezione degli interessi strettamente commerciali che sono
stati posti alla base della segnalazione pervenuta alla
Giunta medesima da parte di Sermark.
Come a ragione ha affermato il giudice di primo grado, il
vizio di eccesso di potere per sviamento consiste
nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua
funzione tipica, ovvero –detto altrimenti– allorquando il
potere è stato esercitato per finalità diverse da quelle
enunciate dal legislatore con la norma attributiva del
potere medesimo e, in particolare, allorquando l’atto posto
in essere sia stato determinato da un interesse diverso da
quello pubblico (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le
più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 25.05.2010 n. 3321).
Tuttavia, la censura di eccesso di potere per sviamento deve
essere supportata da precisi e concordanti elementi di
prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla
sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine
sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si
traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità
perseguita in concreto dall’organo amministrativo (cfr., ad
es., Cons. Stato, Sez. V, 11.03.2010 n. 1418 e 15.10.2009 n.
6332); né il vizio in questione è ravvisabile allorquando
l’atto asseritamene viziato risulta comunque adottato nel
rispetto delle norme che ne disciplinano la forma e il
contenuto e risulta in piena aderenza al fine pubblico al
quale è istituzionalmente preordinato, anche se, attraverso
la sua emanazione, l’amministrazione ha indirettamente
consentito il perseguimento da parte di terzi di ulteriori
finalità secondarie, lecite e non in contrasto con quella
principale (così Cons. Stato, Sez. IV, 17.12.2003 n. 8306).
Nel caso di specie, se è ben vero che Sermark mediante la
presentazione del suo esposto ha inteso tutelare propri
interessi di carattere eminentemente commerciale e non già
di ordine urbanistico-edilizio, risulta altrettanto assodato
che la Giunta Regionale non poteva che disporre
l’annullamento del piano di lottizzazione e del titolo
edilizio conseguentemente rilasciato proprio in dipendenza
dell’oggettiva loro illegittimità rappresentata
dall’esponente, e ciò -quindi- anche a prescindere
dall’interesse individuale di quest’ultima
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 08.01.2013 n. 32 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La revoca, come anche
l’annullamento, d’ufficio di un titolo edilizio richiede la
comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7
della Legge 241/1990, essendo essa un atto discrezionale
suscettibile di ledere posizioni soggettive consolidate.
Considerato:
- che con il provvedimento impugnato il Dirigente del
Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune
resistente ha revocato la concessione edilizia n. 471
rilasciata al condominio ricorrente il 22.07.1987;
- che, per giurisprudenza pacifica, la revoca, come anche
l’annullamento, d’ufficio di un titolo edilizio richiede la
comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7
della Legge 241/1990, essendo essa un atto discrezionale
suscettibile di ledere posizioni soggettive consolidate (in
senso conforme, TAR Salerno, sez. I, 27.02.2012, n. 391;
Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 12.11.2008, n.
930);
- che, nel caso di specie, non può trovare applicazione
l’art. 21-octies, comma 2, Legge 241/1990, stante la natura
discrezionale del potere esercitato dall’amministrazione
comunale;
- che pertanto il ricorso va accolto, attesa l’illegittimità
dell’impugnato provvedimento di revoca per non essere stato
preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
L’autore di un esposto-denuncia non assume per
ciò solo le vesti di controinteressato processuale nel
giudizio amministrativo instaurato avverso l’annullamento
d’ufficio dell’atto, anche ove il suo ritiro sia stato
sollecitato nella denuncia.
L’autotutela decisoria, per quanto sollecitata da terzi
portatori di interessi di mero fatto al suo esercizio, resta
prerogativa dell’Amministrazione non soltanto nel suo
concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma
valutazione delle condizioni, in fatto ed in diritto, per il
suo esplicarsi.
Per tal ragione, l’impugnazione diretta avverso l’atto di
annullamento di ufficio di un pregresso provvedimento
abilitativo non va notificata necessariamente all’autore
dell’esposto-denuncia che aveva sollecitato l’esercizio
dell’atto di autotutela, ferma comunque la facoltà di
quest’ultimo di intervenire ad opponendum nel relativo
giudizio.
Il Collegio ritiene che tali considerazioni siano da condividere.
L’autore di un esposto-denuncia non assume per ciò solo le
vesti di controinteressato processuale nel giudizio
amministrativo instaurato avverso l’annullamento d’ufficio
dell’atto, anche ove –come nella specie- il suo ritiro sia
stato sollecitato nella denuncia.
L’autotutela decisoria, per quanto sollecitata da terzi
portatori di interessi di mero fatto al suo esercizio, resta
prerogativa dell’Amministrazione non soltanto nel suo
concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma
valutazione delle condizioni, in fatto ed in diritto, per il
suo esplicarsi. Per tal ragione, l’impugnazione diretta
avverso l’atto di annullamento di ufficio di un pregresso
provvedimento abilitativo non va notificata necessariamente
all’autore dell’esposto-denuncia che aveva sollecitato
l’esercizio dell’atto di autotutela, ferma comunque la
facoltà di quest’ultimo di intervenire ad opponendum
nel relativo giudizio
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 21.12.2012 n. 6639 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il
Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato
orientamento giurisprudenziale secondo cui, in linea di
principio, il provvedimento di annullamento d’ufficio
presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse
pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata
ponderazione comparativa, che tenga anche conto
dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al
mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono
consolidate e del conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito dall'Amministrazione.
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto
consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale
disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l.
11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio
del potere di annullamento d’ufficio di un atto
discrezionale, in via di principio, postula che esso sia
realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione
dell’atto oggetto di autotutela.
---------------
In sede di vaglio circa la legittimità del provvedimento di
annullamento di titoli edilizi, deve riconoscersi adeguato
rilievo al comportamento (negligente o in malafede) del
privato il quale abbia indotto in errore l’amministrazione
attraverso una rappresentazione falsa o incompleta dello
stato dei luoghi, tale da alterare la corretta formazione
del convincimento degli organi decisionali.
---------------
Non viola il principio del contrarius actus l’annullamento
d’ufficio di una concessione edilizia illegittima, emanato
senza la previa acquisizione del parere dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo cui è soggetta l'area di
intervento, qualora tale rimozione avvenga esclusivamente o
essenzialmente per ragioni urbanistico-edilizie,
indipendenti da altre questioni connesse al predetto
vincolo.
Al riguardo il
Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato
orientamento giurisprudenziale (puntualmente richiamato
dall’appellante) secondo cui, in linea di principio, il
provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una
congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei
poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione
comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei
destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito
dall'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -:
Cons. Stato, III, 20.06.2012, n. 3628; id., IV, 28.05.2012,
n. 3154; id., VI, 15.05.2012, n. 2774).
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto
consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale
disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l.
11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio
del potere di annullamento d’ufficio di un atto
discrezionale, in via di principio, postula che esso sia
realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione
dell’atto oggetto di autotutela (in tale senso –ex
plurimis -: Cons. Stato, V, 07.04.2010, n. 1946; id., IV,
14.02.2006, n. 564).
---------------
Al riguardo si
ritiene che nel caso in esame debba trovare puntuale
conferma l’orientamento secondo cui, in sede di vaglio circa
la legittimità del provvedimento di annullamento di titoli
edilizi, deve riconoscersi adeguato rilievo al comportamento
(negligente o in malafede) del privato il quale abbia
indotto in errore l’amministrazione attraverso una
rappresentazione falsa o incompleta dello stato dei luoghi,
tale da alterare la corretta formazione del convincimento
degli organi decisionali (in tal senso: Cons. Stato, IV, 27.11.2010, n. 8291).
---------------
In terzo luogo il
Collegio ritiene infondato il motivo di appello con cui si è
chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte
in cui non ha rilevato l’illegittimità del provvedimento di
annullamento d’ufficio in considerazione della mancata,
previa acquisizione del parere della Commissione edilizia
comunale (parere che, invece, è richiesto nella fase –per
così dire:- ‘fisiologica’ di rilascio del titolo).
Al riguardo il Collegio osserva che, anche a voler
riguardare gli aspetti procedimentali connessi all’adozione
dei provvedimenti di autotutela sulla base del principio del
c.d. ‘contrarius actus’, la carenza formale di uno
degli atti che avevano caratterizzato l’adozione dell’atto
oggetto di annullamento può rilevare ai fini di rendere
illegittimo l’esercizio del potere di autotutela solo
laddove l’atto omesso incida sul medesimo tratto
procedimentale –e sul medesimo valore tutelato– sul quale
risulta fondato l’esercizio di autotutela.
Questo Giudice di appello ha, ad esempio, affermato che non
viola il principio del contrarius actus
l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia
illegittima, emanato senza la previa acquisizione del parere
dell'autorità preposta alla tutela del vincolo cui è
soggetta l'area di intervento, qualora tale rimozione
avvenga esclusivamente o essenzialmente per ragioni
urbanistico-edilizie, indipendenti da altre questioni
connesse al predetto vincolo (Cons. Stato, V, 07.09.2000, n.
4741).
Ebbene, riconducendo il principio appena richiamato alle
peculiarità del caso di specie, si osserva che la mancata
acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale
nel corso del procedimento finalizzato all’annullamento
d’ufficio del titolo edilizio non sortisce valenza viziante
dal momento che:
- il provvedimento di annullamento si fondava sul dato
oggettivo e non suscettibile di apprezzamento discrezionale
alcuno relativo al mancato rispetto della pertinente
normativa (nazionale e locale) in tema di distanze;
- l’acquisizione del parere della Commissione edilizia
comunale è prodromico e strumentale all’acquisizione di
elementi di valutazione d carattere tecnico-discrezionale
circa le caratteristiche delle opere progettate
(Cons. Stato Sez. VI,
sentenza 18.12.2012 n. 6489 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA
PRIVATA:
Il provvedimento
di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione
in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a
sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di
autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto
discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di
esso si sono consolidate e del conseguente affidamento
derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione.
La legittimità dell’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio,
postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole
dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela.
Al riguardo il
Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato
orientamento giurisprudenziale (puntualmente richiamato
dall’appellante) secondo cui, in linea di principio, il
provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una
congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei
poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione
comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei
destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito
dall'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons.
Stato, III, 20.06.2012, n. 3628; id., IV, 28.05.2012, n. 3154; id., VI, 15.05.2012, n. 2774).
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto
consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale
disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l. 11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità
dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un
atto discrezionale, in via di principio, postula che esso
sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione
dell’atto oggetto di autotutela (in tale senso –ex plurimis-: Cons. Stato, V, 07.04.2010, n. 1946; id., IV, 14.02.2006,
n. 564)
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 18.12.2012 n. 6489 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Annullamento del permesso di costruire per
difetto di volumetria.
Il TAR Campania-Napoli, Sez. II, con la recente
sentenza 14.12.2012 n. 5209, ha
afferma un significativo principio in materia di interventi
in autotutela, aventi ad oggetto l’annullamento di un
permesso di costruire viziato da un originario difetto di
volumetria.
Secondo la decisione che qui si annota, un Comune può -a
seguito delle espresse valutazioni effettuate dalla
commissione edilizia e, in particolare, in forza della
mancanza di un chiaro conteggio delle superfici utilizzate
nelle precedenti concessioni edilizie rilasciate-, annullare
in autotutela una concessione edilizia, per difetto della
volumetria prevista dallo strumento urbanistico generale.
Il tutto, si badi bene, senza dover dare all’interessato
alcuna comunicazione di avvio del procedimento.
In questi casi, infatti, il provvedimento di secondo grado
(autotutela) è fondato sull’assenza di un presupposto
essenziale per l’ammissibilità dell’intervento edilizio,
costituito dal rispetto dei limiti di densità di
edificazione stabiliti dallo strumento urbanistico generale,
di fondamentale rilevo al fine di assicurare un ordinato
sviluppo del territorio.
Di conseguenza, l’Amministrazione non ha alternative; ragion
per cui la partecipazione dell’interessato al procedimento
non può determinare alcuna incidenza sul potere in concreto
esercitato e sul contenuto del provvedimento.
Detto in altre parole, la partecipazione dell’interessato,
in questi casi (concreti) nei quali la pubblica
amministrazione non può che procedere in un determinato
modo, sarebbe inutile.
Più in dettaglio, il ricorrente aveva appunto eccepito
l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, in
quanto l’amministrazione aveva adottato il provvedimento di
annullamento d’ufficio a seguito di una riscontrata
erosione, in base agli indici di fabbricabilità previsti dal
P.R.G., della volumetria stabilita per il lotto interessato
dall’intervento.
Ma il Tar Napoli osserva che il provvedimento gravato,
adottato a meno di un anno dal rilascio del titolo edilizio
annullato, poneva a proprio fondamento l’assenza di un
presupposto essenziale per l’ammissibilità dell’intervento,
ovvero il rispetto dei limiti di densità di edificazione
stabiliti dallo strumento urbanistico generale, di
fondamentale rilevo al fine di assicurare un ordinato
sviluppo del territorio.
Del resto, il diritto di edificare inerisce alla proprietà
dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti
urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la
densità di edificazione ed espressi negli indici di
fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato
anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad
esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla
legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente,
qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto
titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico
indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per
realizzare la volumetria sviluppata.
In questo quadro, sebbene l’annullamento in autotutela
costituisca esercizio di un potere discrezionale
dell’amministrazione, nel caso specifico la gravità
dell’illegittimità del titolo edilizio è stata doverosamente
apprezzata ai fini dell’adozione del provvedimento in
autotutela.
Per tali ragioni non residuava all’amministrazione nessuna
diversa alternativa.
Corollario di quanto detto è che la partecipazione
dell’interessato al procedimento amministrativo non avrebbe
potuto determinare alcuna incidenza sul potere in concreto
esercitato dal Comune e sul contenuto del suo provvedimento
(commento tratto da
www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Ove
una concessione edilizia o permesso di costruire sia stato
legittimante assentito, ma in fase di realizzazione del
relativo progetto il privato destinatario ponga in essere
delle difformità dal medesimo,… siffatti abusi devono essere
sanzionati attivando il procedimento sanzionatorio definito
dal T.U di cui al D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (artt. 31 ss.),
ma giammai possono legittimante costituire motivo di
annullamento in autotutela della concessione edilizia
legittimamente assentita.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere
di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di
provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti
provvedimenti, è, infatti, ai sensi dell’art. 21-nonies
della L. n. 241/1990 ricettivo di un radicato costrutto
pretorio di origine giurisprudenziale, l’esistenza e l’acclaramento
di un vizio di legittimità originario che affligga il
provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria. Laddove,
invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del
tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che
sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto
delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare
unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie
repressive, non potendo, invece, infirmare ex post la
legittimità del provvedimento e correlativamente legittimare
il ricorso dal potere di annullamento in autotutela.
Come evidenziato dalla costante giurisprudenza
anche di questo Tribunale “ove una concessione edilizia o
permesso di costruire sia stato legittimante assentito, ma
in fase di realizzazione del relativo progetto il privato
destinatario ponga in essere delle difformità dal medesimo,…
siffatti abusi” devono “essere sanzionati attivando il
procedimento sanzionatorio definito dal T.U di cui al D.P.R.
06.06.2001 n. 380 (artt. 31 ss.), ma giammai possono
legittimante costituire motivo di annullamento in autotutela
della concessione edilizia legittimamente assentita.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere
di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di
provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti
provvedimenti, è, infatti, ai sensi dell’art. 21-nonies
della L. n. 241/1990 ricettivo di un radicato costrutto
pretorio di origine giurisprudenziale, l’esistenza e l’acclaramento
di un vizio di legittimità originario che affligga il
provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria. Laddove,
invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del
tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che
sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto
delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare
unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie
repressive, non potendo, invece, infirmare ex post la
legittimità del provvedimento e correlativamente legittimare
il ricorso dal potere di annullamento in autotutela” (TAR
Piemonte, Sez. I, 7.05.2010 n. 2356).
Nel caso in questione proprio dalla realizzazione di opere
in difformità dal permesso rilasciato l’Amministrazione ha
fatto scaturire la revoca del titolo stesso.
Né può essere condivisa la tesi della difesa del Comune
relativa al fatto che il provvedimento impugnato, (pur
disponendo la “revoca” del permesso di costruire) avrebbe,
in realtà, inteso “esprimere il concetto
dell’inutilizzabilità del titolo edilizio -ottenuto per la
demolizione e ricostruzione solo parziale dell’immobile- al
fine di operare un intervento interamente sostitutivo”.
Come già ricordato e come osservato anche dalla ricorrente,
la successiva realizzazione di opere in difformità da quanto
autorizzato non può, in verità incidere sulla legittimità
del titolo originario, ma solo comportare l’eventuale
applicazione delle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 13.12.2012 n. 1340 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Per espresso disposto
normativo (art. 4, comma 6, della L. 28.01.1977 n. 10, poi
confluito nell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380), la
concessione edilizia (ed ora il permesso di costruire) è
irrevocabile.
Invero, come lamentato con il primo
motivo, per espresso disposto normativo (art. 4, comma 6,
della L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito nell’art. 11 del d.P.R.
06.06.2001 n. 380), la concessione edilizia (ed ora
il permesso di costruire) è irrevocabile (cfr. Consiglio di
Stato, Sezione VI, 27.06.2005 n. 3414; TAR Lombardia,
Milano, Sezione II, 27.10.2009 n. 4929 e 19.10.2011 n. 2478).
Va aggiunto che, nel caso di specie, il provvedimento va
qualificato come revoca in senso proprio, poiché
l’amministrazione non ha inteso avvalersi della potestà di autoannullamento, consentita anche per i titoli edilizi, non
avendo posto a base dell’azione un vizio di legittimità tale
da invalidare l’atto di primo grado sin dalla sua origine
(cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 27.11.1981 n. 609), ma
sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero un
mutamento della situazione di fatto (secondo la definizione
recepita dall’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990,
introdotto dalla L. n. 15/2005)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza
23.11.2012 n. 4785 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: In
caso di diniego di concessione edilizia, richiesta dal
proprietario ma respinta dal Comune per errori di
rappresentazione progettuale, non sussiste l’interesse
all’impugnazione in capo al professionista progettista
dell’opera, in quanto “il diniego incide sullo ius
aedificandi e non sull'esercizio della professione del
progettista, né sulle sue qualità e il suo prestigio”.
---------------
Nel caso di specie trattasi di un annullamento parziale di
una concessione edilizia fondato su di un unico rilievo:
l’errata individuazione della superficie dell’area
edificabile compiuta dal progettista.
L’arch. F. è colui che ha catastalmente frazionato e quindi
individuato la parte di terreno edificabile e,
successivamente, progettato il nuovo immobile ivi eretto:
egli, pertanto, essendo corresponsabile della conformità
delle opere, ha una pretesa qualificata al legittimo
esercizio dell’azione amministrativa sub iudice e,
conseguentemente, la legittimazione a chiedere
l’annullamento di un provvedimento amministrativo che reputa
configgere con l’interpretazione che egli ha dato della
disciplina urbanistica comunale e, più in generale, con il
suo operato.
Pregiudizialmente occorre esaminare l’eccezione di difetto
di legittimazione attiva in capo al ricorrente, sollevata
dalla difesa del Comune di Trento in dipendenza della
circostanza che l’arch. Fracchetti non è il proprietario del
neo edificato immobile di causa, ma il progettista dello
stesso, legato alla titolare del diritto reale e delle
correlate facoltà edilizie, sig.ra Furlani, solo da un
rapporto professionale.
Su questo punto il Collegio condivide l’indirizzo
giurisprudenziale secondo il quale, in caso di diniego di
concessione edilizia, richiesta dal proprietario ma respinta
dal Comune per errori di rappresentazione progettuale, non
sussiste l’interesse all’impugnazione in capo al
professionista progettista dell’opera, in quanto “il diniego
incide sullo ius aedificandi e non sull'esercizio della
professione del progettista, né sulle sue qualità e il suo
prestigio” (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. IV, 17.09.2012, n.
4924; 18.04.2012, n. 2275).
Il caso di specie, peraltro, è diverso: il titolo edilizio è
stato rilasciato nel dicembre 2009 e l’immobile, nella sua
struttura complessiva, è stato ultimato. Trattasi, infatti,
di un annullamento parziale di una concessione edilizia
fondato su di un unico rilievo: l’errata individuazione
della superficie dell’area edificabile compiuta dal
progettista. Il provvedimento in esame è stato quindi
notificato, ai sensi dell’art. 127 della l.p. urbanistica
04.03.2008, n. 1, anche al costruttore nonché al direttore dei
lavori/progettista, tutti responsabili, anche penalmente,
secondo quanto previsto dall’art. 29 del D.P.R. 06.06.2001, n.
380 (cfr., ex multis, Cass. Pen., sez. III, 09.09.2009, n.
34879).
L’arch. Fracchetti è colui che ha catastalmente frazionato e
quindi individuato la parte di terreno edificabile e,
successivamente, progettato il nuovo immobile ivi eretto:
egli, pertanto, essendo corresponsabile della conformità
delle opere, ha una pretesa qualificata al legittimo
esercizio dell’azione amministrativa sub iudice e,
conseguentemente, la legittimazione a chiedere
l’annullamento di un provvedimento amministrativo che reputa
configgere con l’interpretazione che egli ha dato della
disciplina urbanistica comunale e, più in generale, con il
suo operato (cfr., in termini, TRGA Trento, 11.05.2011,
n. 135; 08.07.2010, n. 170; TAR Veneto, sez. II; 14.06.2004,
n. 2043)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 22.11.2012 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
In base al principio del
contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una
concessione edilizia sia stato acquisito il parere della
Commissione edilizia, tale parere va acquisito anche
all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo
abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento
di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali o
di tipo giuridico.
Il pronunciamento dell'organo tecnico consultivo non è
infatti necessario allorché l'annullamento della concessione
edilizia sia un atto dovuto e non discrezionale, come nel
caso che qui occupa, ove il provvedimento di annullamento
parziale della concessione edilizia è stato motivato con
richiami a ragioni sia tecniche che giuridiche, essendo
stato fatto esclusivo riferimento all’errata
rappresentazione nella planimetria di progetto del lotto
edificabile che ha comportato l’attribuzione di una maggiore
ampiezza allo stesso in un’area di pregio non edificabile.
Il terzo motivo, con il quale è
stata denunciata la mancata acquisizione del parere della
Commissione edilizia, è infondato in punto di diritto.
Da un lato il parere dell’organo consultivo comunale di
Trento nel procedimento di annullamento di un titolo
edilizio non è previsto da alcuna norma (cfr., art. 28 del
regolamento edilizio comunale).
Da altro profilo, è assodato in giurisprudenza che, in base
al principio del contrarius actus, qualora in sede di
rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il
parere della Commissione edilizia, tale parere vada
acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del
suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui
il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti
ragioni formali o di tipo giuridico (cfr., C.d.S., sez. V,
12.05.2011, n. 2821; sez. IV, 31.03.2009, n. 1909).
Il pronunciamento dell'organo tecnico consultivo non è
infatti necessario allorché l'annullamento della concessione
edilizia sia un atto dovuto e non discrezionale, come nel
caso che qui occupa, ove il provvedimento di annullamento
parziale della concessione edilizia è stato motivato con
richiami a ragioni sia tecniche che giuridiche, essendo
stato fatto esclusivo riferimento all’errata
rappresentazione nella planimetria di progetto del lotto
edificabile che ha comportato l’attribuzione di una maggiore
ampiezza allo stesso in un’area di pregio non edificabile
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento,
sentenza 22.11.2012 n. 343 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: La
potestà dell'Amministrazione di assumere determinazioni in
via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e
21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, deve ritenersi espressione
di un principio generale dell'ordinamento che non ne
assoggetta l'esercizio a precisi vincoli temporali, purché
la potestà stessa si manifesti conforme a criteri di
ragionevolezza e di certezza dei rapporti giuridici. E
comunque, come afferma condivisibile giurisprudenza,
l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non
necessita di una espressa e specifica motivazione sul
pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse
della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Per l'autoannullamento della concessione edilizia o del
permesso di costruire, è di norma irrilevante —salvi casi di
spazi temporali esagerati— il tempo trascorso dall'attività
edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli
abusi edilizi è un preciso obbligo dell'Amministrazione
pubblica la quale, a fronte dell'accertamento della
violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna
discrezionalità al riguardo.
A fronte di un accertamento penale che accerti che una
concessione edilizia sia il risultato di comportamenti
illeciti, ancorché prescritti, l'interesse pubblico alla
rimozione dell'atto legittimamente coincide con l'esigenza
di ripristino della legalità violata.
Occorre innanzitutto inquadrare
correttamente la reale portata del provvedimento impugnato.
Si è in presenza dell’esercizio del potere di autotutela,
segnatamente di annullamento di ufficio, da parte della
resistente amministrazione, di propria precedente
determinazione favorevole alla ricorrente. In tal senso
depone non già il richiamo alla circostanza per cui la
ricorrente avrebbe realizzato un fabbricato con
caratteristiche di villa signorile in luogo del consentito
fabbricato rurale, venendo in rilievo in tal caso un’ipotesi
di non conformità di quanto realizzato con quanto
autorizzato (ed altra avrebbe dovuto essere, in tal caso, la
misura repressiva dell’abuso da adottarsi da parte
dell’amministrazione), quanto il richiamo al rilevato
contrasto dei permessi di costruire rilasciati (e quindi
oggetto del contestato annullamento) con la legge
urbanistica Regione Calabra n. 19 del 16.04.2002 nonché
con il P.R.G. ed il regolamento edilizio dello stesso Comune
di Joppolo.
In altri termini, l’amministrazione rileva un
vizio negli atti oggetto di annullamento che segna gli
stessi ab origine, donde la necessità di intervenire con lo
strumento dell’annullamento di ufficio. E coerentemente con
questa impostazione l’amministrazione da puntualmente conto,
nell’atto avversato, della ritenuta prevalenza
dell’interesse pubblico al ripristino della legalità
rispetto a quello della ricorrente non avendo il decorso del
tempo potuto ingenerare alcun legittimo e incolpevole
affidamento. Deve peraltro il Collegio rilevare come lo
stesso proposto ricorso, che pur si diffonde sulla qualificabilità dell’immobile comunque come rurale (che,
ripetesi, non è il punto centrale della controversia), nulla
deduce sul vero presupposto dell’annullamento disposto e
cioè la contrarietà del permessi di costruire (rilasciati ed
annullati) alla superiori disposizioni di legge regionale ed
a quelle di natura programmatoria del Comune di Joppolo.
Di qui la legittimità del disposto annullamento.
Del resto, la potestà dell'Amministrazione di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies L.
07.08.1990 n. 241, deve
ritenersi espressione di un principio generale
dell'ordinamento che non ne assoggetta l'esercizio a precisi
vincoli temporali, purché la potestà stessa si manifesti
conforme a criteri di ragionevolezza e di certezza dei
rapporti giuridici (cfr. TAR Umbria, 22.12.2011 n.
400). E comunque, come afferma condivisibile giurisprudenza,
l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non
necessita di una espressa e specifica motivazione sul
pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse
della collettività al rispetto della disciplina urbanistica
(cfr., in tal senso, Cons. Stato, V Sezione, 05.09.2011 n. 4982).
Osserva inoltre il Collegio che per l'autoannullamento
della concessione edilizia o del permesso di costruire, è di
norma irrilevante —salvi casi di spazi temporali esagerati— il tempo trascorso dall'attività edilizia posta in essere,
in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso
obbligo dell'Amministrazione pubblica la quale, a fronte
dell'accertamento della violazione delle norme edilizie, non
gode di alcuna discrezionalità al riguardo (cfr. TAR
Trento, 11.05.2011, n. 135).
Giova ancora ricordare che,
nella specie, con ordinanza del 02.04.2010 il Tribunale
di Vibo Valentia ha rigettato la richiesta di riesame
presentata, tra gli altri, dalla odierna ricorrente, avverso
ordinanza del GIP che convalidava la misura cautelare del
sequestro preventivo disposto dal P.M. dell’area di cui alla
presente controversia da cui emerge la ritenuta
illegittimità dei permessi a costruire rilasciati. Sul punto
la giurisprudenza amministrativa ha specificamente rilevato
che “a fronte di un accertamento penale che accerti che una
concessione edilizia sia il risultato di comportamenti
illeciti, ancorché prescritti, l'interesse pubblico alla
rimozione dell'atto legittimamente coincide con l'esigenza
di ripristino della legalità violata” (cfr. TAR Milano, II Sezione, 17.01.2011 n. 89).
Quanta alla asserita violazione delle disposizioni di legge
in tema di partecipazione procedimentale, è agevole
osservare in fatto che la resistente amministrazione ha
correttamente proceduto a comunicare alla odierna
ricorrente, per come in atti del presente giudizio, l’avvio
del procedimento amministrativo conducente in ipotesi
all’annullamento in autotutela delle autorizzazioni in
precedenza rilasciate
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 10.11.2012 n. 1083 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In sede di adozione di un atto in autotutela, la
comparazione tra interesse pubblico e quello privato è
necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela
discenda da errori di valutazione dovuti
all'Amministrazione, non già quando lo stesso è dovuto a
comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in
errore l'Autorità amministrativa.
La falsa rappresentazione dello stato di fatto all’atto
della richiesta della edilizia rende, invero, l'affidamento
del privato circa il mantenimento del manufatto non
meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte
all'interesse pubblico al ripristino della situazione
edilizia regolarmente assentita.
Peraltro l'annullamento d'ufficio di una concessione
edilizia non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
Peraltro la difformità tra lo stato di fatto e quanto
rappresentato sugli elaborati di cui trattasi non poteva che
comportare l’annullamento della concessione e non sanzioni
alternative, considerato che, in presenza di una concessione
edilizia, ritenuta illegittima per vizio sostanziale,
l'Amministrazione non può ricorrere all'art. 38 del d.P.R.
380/2001, norma che consente di rimediare ai soli vizi
formali o procedurali.
Va al riguardo innanzitutto
evidenziato da parte del Collegio che, in sede di adozione
di un atto in autotutela, la comparazione tra interesse
pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui
l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di
valutazione dovuti all'Amministrazione, non già quando lo
stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che
hanno indotto in errore l'Autorità amministrativa.
La falsa rappresentazione dello stato di fatto all’atto
della richiesta della edilizia rende, invero, l'affidamento
del privato circa il mantenimento del manufatto non
meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte
all'interesse pubblico al ripristino della situazione
edilizia regolarmente assentita.
Peraltro l'annullamento d'ufficio di una concessione
edilizia non necessita di un'espressa e specifica
motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo
nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
Peraltro la difformità tra lo stato di fatto e quanto
rappresentato sugli elaborati di cui trattasi non poteva che
comportare l’annullamento della concessione e non sanzioni
alternative, considerato che, in presenza di una concessione
edilizia, ritenuta illegittima per vizio sostanziale,
l'Amministrazione non può ricorrere all'art. 38 del d.P.R.
380/2001, norma che consente di rimediare ai soli vizi
formali o procedurali
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 08.11.2012 n. 5691 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
COMPETENZE
GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA:
L’attribuzione
al Presidente della Provincia (nella regione Veneto), da
parte dell’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, del
potere di annullamento per motivi di legittimità dei
permessi di costruire, è compatibile con i principi
fondamentali dell’ordinamento ed in particolare con il
modello organizzativo fondato sulla separazione di
competenze fra la struttura politica e la struttura
gestionale e amministrativa.
Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l’art. 39 del
D.P.R. n. 380/2001 ha attribuito genericamente alla regione
il potere di annullamento dei titoli abilitativi rilasciati
dal Comune. La Regione Veneto, in base all’art. 119 2°
comma, con l’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, ha poi
delegato tale potere alla Provincia, individuando l’organo
in concreto competente. In particolare, il legislatore
regionale ha scelto di attribuire tale potere all’organo
politico di vertice della Provincia.
Non si ravvedono ragioni d’incostituzionalità in tale scelta
legislativa. Infatti, va considerato, in primo luogo, che il
potere conferito al Presidente della Provincia è un potere
straordinario di annullamento per soli motivi di
legittimità. Va poi osservato che il modello di
organizzazione fondato sulla separazione tra politica e
amministrazione non è così rigido da non tollerare
contiguità, al contrario, vi possono sempre essere dei
momenti di contatto fra le due sfere.
In particolare, nella sfera delle funzioni politiche rimesse
agli organi di governo, accanto alle funzioni d’indirizzo
politico-amministrativo, possono coesistere, in quanto
compatibili con esse e con il modello direzionale, anche dei
poteri eccezionali di annullamento degli atti dirigenziali
per motivi di legittimità. Si tratta, infatti, di funzioni
sostitutive o di controllo poste a salvaguardia del
principio di legalità, necessarie a preservare l’unità
dell’ordinamento, che non comportano l’adozione diretta di
scelte di amministrazione attiva. Si pensi al potere
ministeriale di annullamento degli atti dei dirigenti per
motivi di legittimità, previsto dall’art. 14, comma 3, del
D.lgs. n. 165/2001; ovvero, proprio in materia di
legislazione sugli enti locali, al potere governativo di
annullamento degli atti illegittimi emessi dagli enti
locali. Potere, quest’ultimo, che costituisce il
corrispettivo, in ambito statale, del potere di annullamento
dei permessi di costruire attribuito dall’art. 39 del D.P.R.
n. 380/2001 alla Regione.
In conclusione, si deve allora ritenere che l’attribuzione
al Presidente della Provincia, da parte dell’art. 30, comma
2, della L.R. n. 11/2004, del potere di annullamento per
motivi di legittimità dei permessi di costruire, sia
compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento ed
in particolare con il modello organizzativo fondato sulla
separazione di competenze fra la struttura politica e la
struttura gestionale e amministrativa (TAR
Veneto, Sez. II,
sentenza 07.11.2012 n. 1347 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
L’adozione del
provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone,
unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità
dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua
rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e
concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede
motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra
interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più
intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso
dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia,
pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
---------------
Il provvedimento di annullamento di ufficio di una
concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere
adeguatamente motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di una concessione
edilizia va, cioè, riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della
legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo
fondamento nei valori di rango costituzionale di buon
andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è,
infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto,
condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione
creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Tuttavia, in determinate ipotesi l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa. Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento
d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare
l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della
vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera
da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta
rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte
dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato
vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza
di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i
pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli
interventi assentiti.
---------------
L’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in
contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona
non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse
pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il
confliggente interesse privato alla conservazione degli
stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di
rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela
dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro
interesse pubblico o privato.
---------------
Non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di
autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la
legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di
un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del
titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e
l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto
più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in
ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo
affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero
quando sia riscontrabile la realizzazione di una
significativa parte delle opere assentite.
Infondato si rivela anche il profilo di doglianza in base
al quale il Comune di Cusano Mutri non avrebbe adeguatamente
ponderato e motivato circa la prevalenza dell’interesse
pubblico al ritiro del titolo abilitativo edilizio annullato
rispetto all’affidamento privato nella sua conservazione,
consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il rilascio
del predetto titolo e la sua rimozione in autotutela.
Al riguardo, occorre premettere, in via di principio,
che l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio
presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria
illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza
della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale
e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi
militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi,
in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha
riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto
medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia
consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco
temporale. Di qui la necessità che l’amministrazione
espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione
comparativa tra interessi confliggenti; impegno
motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco
temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e
solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel
privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, il Collegio non
ignora il costante orientamento giurisprudenziale (Cons.
Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483;
sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n.
12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n.
170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I,
11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui “il provvedimento di
annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale
atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in
ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e
concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in
ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su
quello antagonista del privato”. Anche nell’ipotesi di
annullamento di una concessione edilizia va, cioè,
riconosciuta piena operatività ai principi generali che
condizionano il legittimo esercizio del potere di
autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità
dell’amministrazione e che, nell’adozione di un
provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi
ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità
violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova
il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon
andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è,
infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità
dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto,
condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione
creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno
ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al
quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento
d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte
dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo
del territorio e l’osservanza della vigente disciplina
urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si
ponga in aperto e permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V,
28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n.
5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n.
1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta
rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte
dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato
vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza
di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554;
TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR
Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR
Liguria-Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I,
05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004,
n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di
salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e
paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
a) Sotto il primo profilo, rileva la circostanza oggettiva e
dirimente non solo dell’insussistenza della superficie
minima edificabile (cfr. retro, sub n. 8), ma, soprattutto,
dell’accertata violazione delle distanze legali (cfr. retro,
sub n. 3-7), ossia di una violazione di norme inderogabili,
che, in quanto tale, implicava una iniziativa in autotutela
sostanzialmente vincolata dell’amministrazione comunale, e
non imponeva, quindi, una specifica motivazione né una
espressa comparazione tra l'interesse pubblico alla
rimozione e quello del privato alla conservazione dell'atto
illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n.
3929; 26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che –come acclarato retro, sub n. 3-7– il progetto assentito col
permesso di costruire n. 619 del 29.02.2008 non ha
correttamente riportato le distanze dell’erigendo manufatto
previsto dal fabbricato e dalle strade pubbliche confinanti,
così inducendo in errore l’amministrazione resistente circa
l’osservanza delle stesse (“la rappresentazione non conforme
dello stato dei luoghi sui grafici del progetto presentato è
approvato –recita, appunto, il provvedimento del 10.06.2011, prot. n. 4295– ha indotto in errore questo ente nel
rilasciare il citato permesso di costruire”).
c) Sotto il terzo profilo, giova rammentare che
l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in
contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona
non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse
pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli
stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di
rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela
dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro
interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II,
04.01.2005, n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007,
n. 3193).
Nel caso in esame, l’annullato permesso di costruire n. 619
del 29.02.2008, ancorché non in immediato contrasto
con norme di tutela paesaggistica, ha, comunque,
illegittimamente assentito opere ricadenti in area
assoggettata a vincolo ambientale (cfr. retro, in narrativa,
sub n. 2.1) ed è risultato, così, suscettibile di inficiare,
sia pure indirettamente, i valori da quest’ultimo tutelati.
La motivazione allestita dall’amministrazione resistente
risulta, peraltro, proporzionata al tempo decorso tra il
momento di emissione del titolo abilitativo e quello del suo
successivo annullamento, che si appalesa non irragionevole.
Ebbene, –come evidenziato retro, sub n. 11.1– il Collegio
ha presente l’incontrastato indirizzo giurisprudenziale,
accreditato dall’art. 21-nonies, comma 1, della l. n.
241/1990, secondo cui non è sufficiente a giustificare
l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice
finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar
conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e
concreto alla rimozione del titolo edilizio e della
comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio
imposto all'interesse privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più quando il beneficiario
dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia
maturato un legittimo affidamento in merito alla
realizzazione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.01.2003, n. 899), ovvero quando sia riscontrabile la
realizzazione di una significativa parte delle opere
assentite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n.
7218).
Ma, nel caso di specie, il tempo non eccessivo di reazione
in autotutela rende concretamente insuscettibile di
accoglimento la doglianza in esame.
In particolare:
- il permesso di costruire annullato risale al 29.02.2008;
- le misure inibitorie della prosecuzione dei lavori
iniziati risalgono al 13.02.2009 (prot. n. 1205) ed al
23.02.2009 (prot. n. 1454);
- l’annullamento d’ufficio è stato disposto con
provvedimenti del 04.02.2011 (prot. n. 872) e del 102011 (prot. n. 4295).
Fino all’adozione delle cennate misure inibitorie del 13.02.2009 (prot. n. 1205) e del 23.02.2009 (prot.
n. 1454) (dovendosi già a queste ultime ricollegare il dies
ad quem: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26.10.2007, n.
5601), risulta, dunque, trascorso circa un anno dal rilascio
del permesso di costruire n. 619 del 29.02.2008.
Un periodo da ritenersi –come detto– non irragionevole
(cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 07.07.2004, n.
1469, che ritiene congruo un periodo di circa un anno),
tenuto conto anche degli svariati precedenti
giurisprudenziali che, in genere, attribuiscono rilevanza a
intervalli temporali più consistenti (cfr. TAR Campania,
Napoli, sez. IV, 09.02.2004, n. 1968: circa 16 mesi;
TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422:
oltre 2 anni; 24.07.2007, n. 1023: 6 anni; TAR Lazio,
Roma, sez. II, 31.10.2007, n. 10834: oltre 2 anni; TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 21.02.2006, n. 426; 04.01.2008, n. 1: 14 anni).
A ciò si aggiunga che non risulta compiutamente dimostrato
dai ricorrenti –ed è, anzi, smentito dalla documentazione
fotografica allegata alla relazione tecnica dai medesimi
depositata in giudizio il 22.03.2011– lo stato avanzato
di esecuzione dei lavori assentiti col titolo abilitativo
edilizio annullato (in genere, la giurisprudenza postula un
più intenso impegno motivazionale, allorquando le opere
assentite con atto poi annullato d’ufficio siano state
ultimate o abbiano raggiunto uno stato significativo e/o
avanzato: cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.02.2003, n.
899; 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 26.10.2007, n.
5601; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 07.02.2002, n. 359;
sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007,
n. 1652; TAR Lazio, Roma, sez. II, 31.10.2007, n.
10834; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 19.01.2008, n. 15) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 30.10.2012 n. 4328 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'art.
21-nonies della l. n. 241/1990 ha codificato le seguenti
condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di
ufficio da parte della P.A.:
a) l'illegittimità dell'atto;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei
controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
---------------
I provvedimenti di autotutela sono espressione
dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale
dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo.
Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi dell'art.
21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare
puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che
giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del
corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non
può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita
con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato
escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in
autotutela su un proprio provvedimento divenuto
inoppugnabile.
---------------
L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990
ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le forme
dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la natura
del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in
obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei
privati all'autotutela amministrativa. Il potere di
autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa
valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione
riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di
annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti
sopra ricordati, non può essere sindacato in sede
giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione
ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento,
degli interessi dei privati concorrenti e del loro
affidamento.
Come insegna sia la dottrina che la Giurisprudenza,
l'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 ha codificato le
seguenti condizioni per l'esercizio del potere di
annullamento di ufficio da parte della P.A.:
a)
l'illegittimità dell'atto;
b) la sussistenza di ragioni di
interesse pubblico;
c) l'esercizio del potere entro un
termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei
destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da
rimuovere (Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 1946 del
07.04.2010).
---------------
Va, infatti, ricordato
che secondo i principi pacificamente affermati dalla
Giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato Sez. IV, sent.
n. 984 del 23-02-2012) .. ”i provvedimenti di autotutela
sono espressione dell'esercizio di un potere tipicamente
discrezionale dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo
di attivarlo. Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi
dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare
puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che
giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del
corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non
può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita
con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato
escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in
autotutela su un proprio provvedimento divenuto
inoppugnabile (conferma della sentenza del Tar Lazio-Latina, sez. I, n. 187/2011)”.
L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del
1990 ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le
forme dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la
natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale
in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei
privati all'autotutela amministrativa. Il potere di
autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa
valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione
riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di
annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti
sopra ricordati, non può essere sindacato in sede
giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione
ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento,
degli interessi dei privati concorrenti e del loro
affidamento
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 25.10.2012 n. 1291 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Correttamente,
nel motivare l’atto di annullamento impugnato, la P.A. non
ha compiuto un approfondito accertamento della sussistenza
di una situazione di interesse pubblico attuale e concreto
idoneo a giustificare il ricorso all’autotutela, in quanto
il rilascio dello stesso è derivato da un’erronea
rappresentazione dei fatti -non importa se dolosa o colposa-
da parte del privato richiedente.
Va infine soggiunto che correttamente, nel motivare l’atto
di annullamento impugnato, la P.A. non ha compiuto un
approfondito accertamento della sussistenza di una
situazione di interesse pubblico attuale e concreto idoneo a
giustificare il ricorso all’autotutela, in quanto il
rilascio dello stesso è derivato da un’erronea
rappresentazione dei fatti -non importa se dolosa o colposa-
da parte del privato richiedente (cfr. Cons. Stato, Sez. V,
12.10.2004 n. 6554) (TAR
Umbria,
sentenza
22.10.2012 n. 440 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L’interesse
pubblico all’annullamento del provvedimento autorizzatorio
va rinvenuto nell’esigenza di salvaguardia dell’assetto
territoriale così come disciplinato dalle norme edilizie e
di piano, mentre non si configura alcuna posizione di
legittimo affidamento in capo alla ricorrente, anche in
considerazione del breve arco temporale intercorso tra la
data del rilascio del permesso di costruire successivamente
annullato (05.07.2000) e l’attivazione delle garanzie
partecipative di cui al procedimento di autotutela
(comunicazione di avvio del procedimento contenuta
nell’ordinanza n. 44 del 21.11.2000), circostanza che impone
di qualificare tale periodo come "termine ragionevole" per
un valido esercizio della potestà di annullamento ai sensi
dell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241.
Nella comparazione dell’interesse pubblico con l’interesse
privato sacrificato, infatti, quest’ultimo è più debole ove
l’atto di autotutela non incida su posizioni soggettive
consolidatesi nel tempo.
Ed invero, nel caso in esame, l’interesse
pubblico all’annullamento del provvedimento autorizzatorio
va rinvenuto nell’esigenza di salvaguardia dell’assetto
territoriale così come disciplinato dalle norme edilizie e
di piano, mentre non si configura alcuna posizione di
legittimo affidamento in capo alla ricorrente, anche in
considerazione del breve arco temporale intercorso tra la
data del rilascio del permesso di costruire successivamente
annullato (05.07.2000) e l’attivazione delle garanzie
partecipative di cui al procedimento di autotutela
(comunicazione di avvio del procedimento contenuta
nell’ordinanza n. 44 del 21.11.2000), circostanza che
impone di qualificare tale periodo come "termine
ragionevole" per un valido esercizio della potestà di
annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 (TAR Puglia Lecce, sez. II, 23.06.2012, n. 1136; TAR Campania Napoli, sez. II, 26.10.2011, n. 4923).
Nella comparazione dell’interesse pubblico con l’interesse
privato sacrificato, infatti, quest’ultimo è più debole ove
l’atto di autotutela non incida su posizioni soggettive
consolidatesi nel tempo (TAR
Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza
16.10.2012 n. 1676 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La giurisprudenza ha sottolineato la necessità,
in sede di adozione di un atto in autotutela, della
comparazione tra interesse pubblico e quello privato, nel
caso in cui l’esercizio dell’autotutela discenda da errori
di valutazione dovuti alla P.A., cosicché, anche ad accedere alla
tesi per la quale il Comune avrebbe errato, in sede di
rilascio del permesso di costruire, a non tener conto della
data di scadenza dell’autorizzazione paesaggistica,
l’annullamento in autotutela del permesso stesso avrebbe
comunque dovuto essere subordinato ad un’attenta
comparazione dell’interesse pubblico e di quello privato:
comparazione che, nel caso di specie, non risulta
adeguatamente effettuata, poiché il provvedimento gravato si
limita a dar conto delle ragioni di interesse pubblico ad
esso sottese, ma non dà alcun conto delle ragioni del
privato e, soprattutto, dell’affidamento ingenerato in
questi dal contenuto del permesso di costruire (in specie,
dalla data di inizio dei lavori ivi specificata).
Ed invero, la giurisprudenza ha sottolineato la necessità, in sede di
adozione di un atto in autotutela, della comparazione tra
interesse pubblico e quello privato, nel caso in cui
l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di
valutazione dovuti alla P.A. (TAR Liguria, Sez. I, 02.11.2011, n. 1509), cosicché, anche ad accedere alla
tesi per la quale il Comune avrebbe errato, in sede di
rilascio del permesso di costruire, a non tener conto della
data di scadenza dell’autorizzazione paesaggistica,
l’annullamento in autotutela del permesso stesso avrebbe
comunque dovuto essere subordinato ad un’attenta
comparazione dell’interesse pubblico e di quello privato:
comparazione che, nel caso di specie, non risulta
adeguatamente effettuata, poiché il provvedimento gravato si
limita a dar conto delle ragioni di interesse pubblico ad
esso sottese, ma non dà alcun conto delle ragioni del
privato e, soprattutto, dell’affidamento ingenerato in
questi dal contenuto del permesso di costruire (in specie,
dalla data di inizio dei lavori ivi specificata)
(TAR Lazio-Latina,
sentenza 14.09.2012 n. 649 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Rappresentazione dei luoghi difforme.
La rappresentazione di una
situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente
e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del
titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto
richiedente, costituisce ex se ragione idonea e sufficiente
per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio
del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può
prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento
con un interesse pubblico attuale e concreto.
In dipendenza di ciò, risulta del tutto in conferente, il
richiamo alla disciplina contenuta negli artt. 21-octies e
21-nonies della L. 241 del 1990, semmai, proprio la falsa
rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva
necessaria e vincolante l’adozione, da parte
dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di
annullamento in autotutela, il cui contenuto non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Va osservato che il giudice di primo grado ha comunque fatto
buon governo nella specie di un principio per certo
rilevante per il caso in esame, ben consolidato nella
giurisprudenza e in forza del quale, se è stata
rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto
in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio
di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso
soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se
ragione idonea e sufficiente per l’adozione del
provvedimento di annullamento di ufficio del titolo
medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere,
ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un
interesse pubblico attuale e concreto (cfr. in tal senso, ad
es., Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554, nonché Sez.
V, 12.10.2004 n. 6554) (Consiglio
di Stato,
Sez. IV,
sentenza 27.08.2012 n. 4619 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Nel
caso in cui l’Autorità Giudiziaria penale
accerti, con valore di giudicato, la falsità
di titoli edilizi formati da funzionari comunali, responsabili del
relativo reato, sul piano amministrativo-urbanistico le opere realizzate in forza di
tali atti sono da considerare, a tutti gli
effetti, “sine titulo” e sussiste l’obbligo
per il Comune di esercitare il proprio
potere di controllo urbanistico, adottando
gli appropriati provvedimenti sanzionatori
(in base alla qualità dell’abuso), entro i
termini di legge decorrenti dal passaggio in
giudicato della sentenza che accerta la
falsità degli stessi titoli edilizi o,
comunque, a richiesta del privato portatore
di un interesse qualificato al corretto
assetto dei luoghi, il quale, in difetto,
può ricorrere avverso il silenzio della PA
di fronte al giudice amministrativo.
---------------
La giurisprudenza più qualificata ritiene
che la formazione del provvedimento
amministrativo in un ambiente collusivo
penalmente rilevante (e, quindi, a maggior
ragione, l’accertamento in sede penale della
falsità di un titolo edilizio) produce, sul
piano amministrativo, una causa di nullità
del provvedimento ex art. 21-septies della
l. 241/1990 (cfr. Consiglio di Stato, V,
04.03.2008 n. 890, che ha affermato
l’esposto principio in relazione ad una
fattispecie nella quale il Sindaco che aveva
rilasciato le concessioni edilizie, poi
dichiarate nulle d'ufficio dal suo
successore, era stato condannato in sede
penale per abuso di ufficio ex art. 323
c.p., con sentenza di applicazione della
pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p.).
Più precisamente, la nullità di un atto
amministrativo non si riscontra solo nel
caso di carenza di potere
dell’Amministrazione, ma anche in quello
della mancanza degli elementi essenziali,
come accade al venir meno dell’imputabilità
dell’atto alla P.A. per interruzione del
rapporto organico.
In tali fattispecie, va ritenuto che se la
volontà di adottare un determinato
provvedimento amministrativo si è formata in
violazione dei principi cogenti sanciti
dall’art. 97 della Costituzione, tanto da
integrare gli estremi di un comportamento
penalmente rilevante per violazione di
quegli specifici beni giuridici che i
principi appena richiamati sono posti a
presidiare, non può dubitarsi che il
procedimento formativo della volontà
dell’organo è abnorme, al limite
dell’inesistenza, e dunque non ha titolo ad
impegnare l’Ente, difettando
l’immedesimazione organica ex art. 28 della
Costituzione.
---------------
Il giudicato penale non ha effetti
caducatori dell’atto amministrativo ed esso
impedisce di considerare invalido, in
assenza di specifica ed autonoma valutazione
dell’autorità amministrativa o di giudizio
del giudice amministrativo, il provvedimento
che è stato ritenuto illegittimo dal giudice
penale incidenter tantum; ma tale principio
presuppone che l’illegittimità così
accertata dal giudice penale rientri pur
sempre nell’ambito degli ordinarie patologie
che determinano l’annullabilità del
provvedimento amministrativo, mentre quando
il reato incide sulla qualificazione del
comportamento stesso dei funzionari pubblici
ed è tale da impedire la riferibilità della
volontà dei soggetti titolari dell'organo a
quella dell’Ente, quest’ultimo resta del
tutto estraneo alla fattispecie, con la
conseguenza che l’assetto d’interessi che
avrebbe dovuto essere regolato dal
provvedimento rimane senza fondamento
normativo e gli atti così prodotti non
rientrano nella “categoria” dei
provvedimenti amministrativi.
A stretto rigore, poiché il comportamento
penalmente rilevante dell’agente dipendente
pubblico è tale da interrompere la
riferibilità della volontà di quest’ultimo
alla PA (tant’è vero che egli risponde in
proprio della condotta penalmente rilevante,
che non si imputa all’Ente pubblico), gli
atti formati in occasione dell’esercizio
dell’attività illecita dovrebbero essere
ascritti, sul piano amministrativo, alla
categoria dogmatica dell’inesistenza; ma è
comunque certo che, nulli o inesistenti,
tali atti non possono in alcun modo
impegnare la volontà pubblica e regolare i
relativi assetti degli interessi sostanziali
che dipendono dall’azione della PA, siano
essi di natura pubblica che privata,
sussistendo degli atti amministrativi solo
una mera apparenza.
---------------
Quando è accertata in sede penale, con
sentenza passata in giudicato, la falsità di
un titolo edilizio per fatto dei dipendenti
dell’ufficio comunale responsabile, in
accordo o comunque a favore del privato
richiedente, ai relativi documenti non può
essere in alcun modo riconosciuta natura di
atti amministrativi, neppure in via mediata,
essendo essi solo apparentemente
riconducibili alla volontà dell’Ente, che
non può essere impegnata mediante
comportamenti di dipendenti pubblici
costituenti reato, dal momento che viene
interrotto il nesso di immedesimazione
organica dell’agente rispetto all’Ente del
quale è stato speso illecitamente il nome.
---------------
Anche a voler accedere all’orientamento
secondo cui l’accertamento da parte del
giudice penale dell’illegittimità di un
provvedimento amministrativo non implica
automaticamente la sua caducazione neppure
nelle ipotesi di nullità, rendendosi sempre
necessaria una corrispondente decisione
dell’Autorità amministrativa, l’esercizio
dell’autotutela va considerato in questi
casi come doveroso e, a richiesta del
privato interessato, atto obbligato, da
esercitarsi anche a distanza di tempo
dall’abuso e senza che possano venire in
rilievo eventuali aspettative di terzi
(come, nella specie, dell'odierno
controinteressato) o degli stessi titolari
del titolo edilizio, perché l'accertata
rilevanza penale non può in alcun modo
giustificare la permanenza dell'efficacia e
la presunzione di legittimità di un
provvedimento amministrativo "contra legem",
a pena di intuibili contraddizioni nella
coerenza dell’Ordinamento, dal momento che
così opinando si consentirebbe sul piano
amministrativo e civile il mantenimento di
quelle utilità illecite che costituiscono il
frutto del reato e che la prevenzione penale
mira invece ad impedire.
L’obbligo a provvedere discende, in questo
caso, dal principio -di immediata cogenza-
dell'imparzialità dell’azione amministrativa
sancito dall’art. 97 della Costituzione.
Nell’odierno giudizio, parte ricorrente si
duole dell’inerzia che il Comune di Palmi ha
mantenuto sulla propria istanza volta ad
ottenere da parte dell’Ente l’annullamento
in autotutela di titoli edilizi illegittimi,
per falsità penalmente accertata, e
l’attivazione dei poteri repressivi in
materia edilizia.
Disattendendo le numerose eccezioni
processuali della difesa comunale e del
controinteressato, acquirente di una unità
immobiliare nel fabbricato di cui si
discute, e gli argomenti che questi ultimi
hanno spiegato nel merito, il ricorso è
fondato e deve essere accolto, con le
precisazioni che seguono.
I) Nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria
penale accerti, con valore di giudicato, la
falsità di titoli edilizi formati da
funzionari comunali, responsabili del
relativo reato, sul piano amministrativo-urbanistico le opere realizzate in forza di
tali atti sono da considerare, a tutti gli
effetti, “sine titulo” e sussiste l’obbligo
per il Comune di esercitare il proprio
potere di controllo urbanistico, adottando
gli appropriati provvedimenti sanzionatori
(in base alla qualità dell’abuso), entro i
termini di legge decorrenti dal passaggio in
giudicato della sentenza che accerta la
falsità degli stessi titoli edilizi o,
comunque, a richiesta del privato portatore
di un interesse qualificato al corretto
assetto dei luoghi, il quale, in difetto,
può ricorrere avverso il silenzio della PA
di fronte al giudice amministrativo.
Per la migliore comprensione di tale
principio di diritto, è opportuno anteporre
alla trattazione dei motivi di gravame ed
alle preliminari eccezioni difensive del
Comune un sintetico inquadramento della
fattispecie nella sua corretta
qualificazione giuridica.
In linea di principio, la giurisprudenza più
qualificata (che il Collegio condivide)
ritiene che la formazione del provvedimento
amministrativo in un ambiente collusivo
penalmente rilevante (e, quindi, a maggior
ragione, l’accertamento in sede penale della
falsità di un titolo edilizio) produce, sul
piano amministrativo, una causa di nullità
del provvedimento ex art. 21-septies della
l. 241/1990 (cfr. Consiglio di Stato, V, 04.03.2008 n. 890, che ha affermato
l’esposto principio in relazione ad una
fattispecie nella quale il Sindaco che aveva
rilasciato le concessioni edilizie, poi
dichiarate nulle d'ufficio dal suo
successore, era stato condannato in sede
penale per abuso di ufficio ex art. 323
c.p., con sentenza di applicazione della
pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p.).
Più precisamente, secondo tale
giurisprudenza la nullità di un atto
amministrativo non si riscontra solo nel
caso di carenza di potere
dell’Amministrazione, ma anche in quello
della mancanza degli elementi essenziali,
come accade al venir meno dell’imputabilità
dell’atto alla P.A. per interruzione del
rapporto organico (Cfr. Cons. Stato, nr.
890/2008 cit.).
In tali fattispecie, a giudizio del
Collegio, va ritenuto che se la volontà di
adottare un determinato provvedimento
amministrativo si è formata in violazione
dei principi cogenti sanciti dall’art. 97
della Costituzione, tanto da integrare gli
estremi di un comportamento penalmente
rilevante per violazione di quegli specifici
beni giuridici che i principi appena
richiamati sono posti a presidiare, non può
dubitarsi che il procedimento formativo
della volontà dell’organo è abnorme, al
limite dell’inesistenza, e dunque non ha
titolo ad impegnare l’Ente, difettando
l’immedesimazione organica ex art. 28 della
Costituzione.
Non possono dunque trovare applicazione
nella odierna fattispecie le pronunce che
affermano il diverso principio, secondo cui
“non sono nulle le concessioni edilizie
assentite sulla base di una riscontrata
falsità degli elaborati progettuali, in
quanto in base all'art. 21-septies la
nullità del provvedimento è determinata
dalla mancanza di uno degli "elementi
essenziali" dell'atto amministrativo, quale
é la "volontà decidente"; ma tale nullità si
produce quando detta volontà è del tutto
inesistente e non quando la volontà,
ancorché viziata, esiste“ (TAR Pescara
Abruzzo sez. I, 04.05.2012, n. 178).
Infatti tale principio è stato enunciato in
relazione ad una fattispecie nella quale la
falsità accertata dal giudice penale era
inerente agli elaborati tecnici di
provenienza dei privati, che avevano tratto
in inganno l’Amministrazione comunale,
mentre nel caso odierno è il comportamento
degli stessi funzionari dell’Ente ad essere
penalmente rilevante.
Né può essere condivisa l’impostazione
seguita da altre pronunce secondo cui,
premesso che “la valutazione che il giudice
penale compie in ordine alla validità di un
atto amministrativo, al fine di accertare o
di escludere l'esistenza del reato della cui
cognizione è investito, è eseguita -ai
sensi dell'art. 5 l. 20.03.1865 n. 2248
all. E- "incidenter tantum" ed ha
efficacia circoscritta all'oggetto dedotto
in giudizio” con la conseguenza che “il
giudicato sul caso deciso, …non può
travolgere gli effetti di un provvedimento
amministrativo divenuto inoppugnabile”, si
nega che “i citati titoli possono ritenersi
"nulli", atteso che le nullità dei
provvedimenti amministrativi sono tassative
e vanno ricondotte, ex art. 21-septies, l.
n. 241 del 1990, esclusivamente alla
mancanza di elementi essenziali dell'atto,
ad ipotesi di incompetenza assoluta
dell'organo che adotta il provvedimento o
alla violazione di giudicato” (TAR Napoli
Campania sez. III, 01.03.2011, n. 1248).
Ad avviso di questo Tribunale, tale ultima
affermazione, meramente assertiva, non
spiega come possa salvaguardarsi la
riferibilità del comportamento penalmente
rilevante dell’agente all’amministrazione
pubblica, secondo il principio
dell'immedesimazione organica, e come
quest’aspetto non debba essere ricondotto
nel novero di quegli elementi essenziali
dell’atto, la cui mancanza comporta nullità.
Peraltro, è incontestabile il principio
secondo cui il giudicato penale non ha
effetti caducatori dell’atto amministrativo
ed esso impedisce di considerare invalido,
in assenza di specifica ed autonoma
valutazione dell’autorità amministrativa o
di giudizio del giudice amministrativo, il
provvedimento che è stato ritenuto
illegittimo dal giudice penale incidenter
tantum; ma tale principio presuppone che
l’illegittimità così accertata dal giudice
penale rientri pur sempre nell’ambito degli
ordinarie patologie che determinano
l’annullabilità del provvedimento
amministrativo, mentre quando il reato
incide sulla qualificazione del
comportamento stesso dei funzionari pubblici
ed è tale da impedire la riferibilità della
volontà dei soggetti titolari dell'organo a
quella dell’Ente, quest’ultimo resta del
tutto estraneo alla fattispecie, con la
conseguenza che l’assetto d’interessi che
avrebbe dovuto essere regolato dal
provvedimento rimane senza fondamento
normativo e gli atti così prodotti non
rientrano nella “categoria” dei
provvedimenti amministrativi.
A stretto rigore, poiché il comportamento
penalmente rilevante dell’agente dipendente
pubblico è tale da interrompere la
riferibilità della volontà di quest’ultimo
alla PA (tant’è vero che egli risponde in
proprio della condotta penalmente rilevante,
che non si imputa all’Ente pubblico), gli
atti formati in occasione dell’esercizio
dell’attività illecita dovrebbero essere
ascritti, sul piano amministrativo, alla
categoria dogmatica dell’inesistenza; ma è
comunque certo che, nulli o inesistenti,
tali atti non possono in alcun modo
impegnare la volontà pubblica e regolare i
relativi assetti degli interessi sostanziali
che dipendono dall’azione della PA, siano
essi di natura pubblica che privata,
sussistendo degli atti amministrativi solo
una mera apparenza.
Va dunque ritenuto che quando è accertata in
sede penale, con sentenza passata in
giudicato, la falsità di un titolo edilizio
per fatto dei dipendenti dell’ufficio
comunale responsabile, in accordo o comunque
a favore del privato richiedente, ai
relativi documenti non può essere in alcun
modo riconosciuta natura di atti
amministrativi, neppure in via mediata,
essendo essi solo apparentemente
riconducibili alla volontà dell’Ente, che
non può essere impegnata mediante
comportamenti di dipendenti pubblici
costituenti reato, dal momento che viene
interrotto il nesso di immedesimazione
organica dell’agente rispetto all’Ente del
quale è stato speso illecitamente il nome.
Sotto diversa prospettiva, anche a voler
accedere all’orientamento secondo cui
l’accertamento da parte del giudice penale
dell’illegittimità di un provvedimento
amministrativo non implica automaticamente
la sua caducazione neppure nelle ipotesi di
nullità, rendendosi sempre necessaria una
corrispondente decisione dell’Autorità
amministrativa, l’esercizio dell’autotutela
va considerato in questi casi come doveroso
e, a richiesta del privato interessato, atto
obbligato, da esercitarsi anche a distanza
di tempo dall’abuso e senza che possano
venire in rilievo eventuali aspettative di
terzi (come, nella specie, dell'odierno
controinteressato) o degli stessi titolari
del titolo edilizio, perché l'accertata
rilevanza penale non può in alcun modo
giustificare la permanenza dell'efficacia e
la presunzione di legittimità di un
provvedimento amministrativo "contra legem",
a pena di intuibili contraddizioni nella
coerenza dell’Ordinamento, dal momento che
così opinando si consentirebbe sul piano
amministrativo e civile il mantenimento di
quelle utilità illecite che costituiscono il
frutto del reato e che la prevenzione penale
mira invece ad impedire.
L’obbligo a provvedere discende, in questo
caso, dal principio -di immediata cogenza-
dell'imparzialità dell’azione amministrativa
sancito dall’art. 97 della Costituzione.
La posizione del terzo che, in buona fede,
si sia reso cessionario di diritti
sull’immobile, pur essendo ovviamente
estraneo all’abuso, ne sarà comunque
travolta, dovendo trovare tutela sul piano
contrattuale delle garanzie della
compravendita (o del diverso negozio
stipulato; sul punto si tornerà meglio
oltre)
(TAR Calabria-Reggio Calabria,
sentenza 11.08.2012 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Posizioni giuridiche cedevoli dinanzi
all'annullamento.
L'esercizio del potere di annullamento
in autotutela è espressione di una facoltà ampiamente
discrezionale dell'amministrazione, a fronte della quale non
sussistono posizioni giuridiche qualificate dell'interessato:
così argomentando, il Consiglio di Stato (Sez. V,
sentenza
06.07.2012 n. 3958) ha
respinto il ricorso mosso da una donna avverso il
provvedimento di concessione edilizia rilasciata dal Comune
per «l'insediamento in prossimità della sua abitazione di
un impianto meccanico di autolavaggio».
Confermando il dictat del Tar adito, la V Sezione ha,
infatti, chiarito che «allorché si richiede
all'amministrazione l'annullamento in autotutela di
provvedimenti asseritamente illegittimi, l'amministrazione
non ha alcun obbligo di procedere»: ergo «il mancato
esercizio del potere di annullamento d'ufficio non può
essere sindacato in sede giurisdizionale», dal momento
che soltanto l'ente può valutare il singolo provvedimento
emanato, gli interessi dei privati concorrenti ed il loro
affidamento.
A nulla sono valse, quindi, le doglianze della ricorrente,
la quale –affermando di agire per la tutela di un interesse
pubblico– lamentava in particolare non solo che la
realizzazione e il funzionamento dell'impianto avevano
arrecato alla sua abitazione «immediatamente frontistante»
gravissimi danni derivanti dai rumori e dalle vibrazioni «costanti
e insopportabili» prodotte dalle macchine di lavaggio,
ma anche che il Comune, al quale si era rivolta
inizialmente, non aveva dato seguito alla sua richiesta, «malgrado
i rappresentati profili di illegittimità che in detta
istanza di annullamento in autotutela aveva evidenziato».
Secondo il Collegio giudicante, invece, l'interesse pubblico
utilizzato come «porta bandiera» delle proprie ragioni non
poteva trovare alcun sostegno: «Tale interesse»,
spiegano, infatti, i giudici, «non è azionabile direttamente
dal privato», il quale, a contrario, potrebbe agire solo a
tutela del proprio utile; né tanto meno poteva avere «pregio
alcuno dissertare sul rigetto dell'istanza di annullamento
in autotutela e sulla sufficienza ed adeguatezza delle
motivazioni rappresentate dall'amministrazione».
Infine, relativamente alle emissioni rumorose ed alle
vibrazioni che avrebbero arrecato fastidio all'abitazione,
osservano che «compete al giudice ordinario la cognizione
in materia di emissioni di qualunque tipo, comprese quelle
acustiche» (articolo ItaliaOggi
del 23.08.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
a) il termine per impugnare i titoli edilizi
decorre, per i terzi, dalla data di piena
conoscenza del provvedimento che si intende
avvenuta alternativamente al momento del
rilascio della copia degli stessi (inclusi i
documenti di progetto), ovvero al
completamento delle opere (salvo che non sia
data la prova rigorosa di una conoscenza
anteriore o che non si deducano censure di
inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti,
rivela in modo certo e univoco le
caratteristiche essenziali dell’opera,
l’eventuale non conformità della stessa
rispetto alla disciplina urbanistica,
l’incidenza effettiva sulla posizione
giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei
titoli edilizi non fa decorrere i termini
per l’impugnazione da parte del terzo, tale
principio costituisce il punto di equilibrio
fra due contrapposte esigenze: da un lato,
garantire la tutela dei terzi lesi
dall’iniziativa edificatoria, dall’altro,
evitare abusi da parte di questi ultimi che
potrebbero differire sine die il
consolidamento del titolo edilizio
postergando la richiesta di indicazione dei
suoi estremi o di rilascio di copia completa
del medesimo.
Sul punto di diritto controverso il collegio non intende decampare
da consolidati principi, di recente recepiti
dall’adunanza plenaria di questo Consiglio
(cfr. 29.07.2011, n. 15; successivamente
sez. VI, 16.09.2011, n. 5170),
secondo i quali:
a) il termine per impugnare i titoli edilizi
decorre, per i terzi, dalla data di piena
conoscenza del provvedimento che si intende
avvenuta alternativamente al momento del
rilascio della copia degli stessi (inclusi i
documenti di progetto), ovvero al
completamento delle opere (salvo che non sia
data la prova rigorosa di una conoscenza
anteriore o che non si deducano censure di
inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti,
rivela in modo certo e univoco le
caratteristiche essenziali dell’opera,
l’eventuale non conformità della stessa
rispetto alla disciplina urbanistica,
l’incidenza effettiva sulla posizione
giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei
titoli edilizi non fa decorrere i termini
per l’impugnazione da parte del terzo, tale
principio costituisce il punto di equilibrio
fra due contrapposte esigenze: da un lato,
garantire la tutela dei terzi lesi
dall’iniziativa edificatoria, dall’altro,
evitare abusi da parte di questi ultimi che
potrebbero differire sine die il
consolidamento del titolo edilizio
postergando la richiesta di indicazione dei
suoi estremi o di rilascio di copia completa
del medesimo (Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 27.06.2012 n. 3777 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA:
L'Amministrazione non ha
l'obbligo, ma il potere discrezionale, di
agire in autotutela, con la conseguenza che
istanze volte a sollecitare l'esercizio di
tale potere hanno una funzione di mera
denuncia o sollecitazione, ma non creano in
capo alla p.a. alcun obbligo di provvedere e
non danno luogo a formazione di
silenzio-inadempimento in caso di mancata
definizione dell'istanza.
Ulteriore autonomo caso in cui non si
ravvisa alcun obbligo di provvedere sulla
istanza del privato, si ravvisa laddove
l'istanza volta all'esercizio del potere di
autotutela abbia ad oggetto un provvedimento
già impugnato in sede giurisdizionale e "sub
judice" al momento dell'istanza stessa: e
ciò all'evidente scopo di evitare la
proliferazione di inutili e dispendiose
iniziative giurisdizionali in relazione ad
un'unica vicenda sostanziale.
Le doglianze dell’appellante si fondano
su una non corretta esegesi dell’art. 27 del dPR n. 380/2001, a torto invocato nel caso
in esame.
Stabilisce infatti la richiamata
disposizione che: “Il dirigente o il
responsabile del competente ufficio comunale
esercita, anche secondo le modalità
stabilite dallo statuto o dai regolamenti
dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale
per assicurarne la rispondenza alle norme di
legge e di regolamento, alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici ed alle modalità
esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il dirigente o il responsabile, quando
accerti l'inizio o l'esecuzione di opere
eseguite senza titolo su aree assoggettate,
da leggi statali, regionali o da altre norme
urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo
di inedificabilità, o destinate ad opere e
spazi pubblici ovvero ad interventi di
edilizia residenziale pubblica di cui alla
legge 18.04.1962, n. 167, e successive
modificazioni ed integrazioni, nonché in
tutti i casi di difformità dalle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici, provvede alla
demolizione e al ripristino dello stato dei
luoghi. Qualora si tratti di aree
assoggettate alla tutela di cui al regio
decreto 30.12.1923, n. 3267, o
appartenenti ai beni disciplinati dalla
legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle
aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede
alla demolizione ed al ripristino dello
stato dei luoghi, previa comunicazione alle
amministrazioni competenti le quali possono
eventualmente intervenire, ai fini della
demolizione, anche di propria iniziativa.
Per le opere abusivamente realizzate su
immobili dichiarati monumento nazionale con
provvedimenti aventi forza di legge o
dichiarati di interesse particolarmente
importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del
decreto legislativo 29.10.1999, n.490,
o su beni di interesse archeologico, nonché
per le opere abusivamente realizzate su
immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione
delle disposizioni del titolo II del decreto
legislativo 29.10.1999, n. 490, il
Soprintendente, su richiesta della regione,
del comune o delle altre autorità preposte
alla tutela, ovvero decorso il termine di
180 giorni dall'accertamento dell'illecito,
procede alla demolizione, anche avvalendosi
delle modalità operative di cui ai commi 55
e 56 dell'articolo 2 della legge 23.12.1996, n. 662 .
Ferma rimanendo l'ipotesi prevista dal
precedente comma 2, qualora sia constatata,
dai competenti uffici comunali d'ufficio o
su denuncia dei cittadini, l'inosservanza
delle norme, prescrizioni e modalità di cui
al comma 1, il dirigente o il responsabile
dell'ufficio, ordina l'immediata sospensione
dei lavori, che ha effetto fino all'adozione
dei provvedimenti definitivi di cui ai
successivi articoli, da adottare e
notificare entro quarantacinque giorni
dall'ordine di sospensione dei lavori. Entro
i successivi quindici giorni dalla notifica
il dirigente o il responsabile dell'ufficio,
su ordinanza del sindaco, può procedere al
sequestro del cantiere.
Gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono
realizzate le opere non sia esibito il
permesso di costruire, ovvero non sia
apposto il prescritto cartello, ovvero in
tutti gli altri casi di presunta violazione
urbanistico-edilizia, ne danno immediata
comunicazione all'autorità giudiziaria, al
competente organo regionale e al dirigente
del competente ufficio comunale, il quale
verifica entro trenta giorni la regolarità
delle opere e dispone gli atti conseguenti”.
Secondo parte appellante detto potere-dovere
di vigilanza integra un preciso dovere
dell’Amministrazione, cui la stessa deve
ottemperare sia ex officio, che ove (come
del caso di specie) sollecitata da una
diffida di privati: l’eventuale diniego
all’adozione dei richiesti provvedimenti
repressivi sfocia in una manifestazione
(seppure negativa) di potere avente
contenuto provvedimentale, autonomamente
impugnabile.
Il Collegio, seppur il linea di
principio concordi con talune affermazioni
contenute nei richiamati motivi di appello,
ritiene che la pur abilmente formulata prospettazione dell’appellante non abbia
alcuna possibilità di accoglimento.
Invero, ciò che l’appellante trascura di
rilevare è che la sollecitazione
all’esercizio del detto potere di vigilanza
e repressivo, si innestava in una pendente
vicenda contenziosa, già devoluta al vaglio
giurisdizionale e, soprattutto, non trattavasi di iniziativa sollecitatoria
volta a stimolare l’amministrazione a
reprimere condotte di edificazione abusiva
sine titulo (vedasi il comma 2 della citata
disposizione), ma di diffida all’esercizio
di poteri di autotutela in quanto volti al
ritiro od autoannullamento di atti
ampliativi precedentemente resi (e per di
più già impugnati in sede giurisdizionale).
Appare al Collegio evidente, pertanto, che
se l’oggetto dell’attività “sollecitata”
all’amministrazione riposava nella
repressione di asserite violazioni edilizie,
avuto riguardo alla non secondaria
circostanza che erano già stati emessi
provvedimenti ampliativi, in realtà ciò che
si pretendeva da parte dell’appellante
riposava nell’esercizio di attività di
autotutela da parte del comune.
Rammenta il Collegio che, per condivisa
quanto pacifica giurisprudenza
“l'Amministrazione non ha l'obbligo, ma il
potere discrezionale, di agire in
autotutela, con la conseguenza che istanze
volte a sollecitare l'esercizio di tale
potere hanno una funzione di mera denuncia o
sollecitazione, ma non creano in capo alla
p.a. alcun obbligo di provvedere e non danno
luogo a formazione di silenzio-inadempimento
in caso di mancata definizione
dell'istanza” (Consiglio Stato, sez. VI, 11.02.2011, n. 919).
In particolare, poi, si è condivisibilmente rimarcato da parte della
giurisprudenza di merito che, ulteriore
autonomo caso in cui non si ravvisa alcun
obbligo di provvedere sulla istanza del
privato, si ravvisa laddove l'istanza volta
all'esercizio del potere di autotutela abbia
ad oggetto un provvedimento già impugnato in
sede giurisdizionale e "sub judice" al
momento dell'istanza stessa: e ciò
all'evidente scopo di evitare la
proliferazione di inutili e dispendiose
iniziative giurisdizionali in relazione ad
un'unica vicenda sostanziale (TAR
Liguria, sez. II, 10.05.2007; cfr.
altresì TAR Campania Napoli, sez. III, 19.03.2008, n. 1410 e ancor più di recente,
TAR Lazio Roma, sez. II, 22.09.2010, n.
32400)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 05.06.2012 n. 3300 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’errata
o insufficiente rappresentazione delle
circostanze di fatto e di diritto poste alla
base del rilascio della concessione
edilizia, che diversamente non sarebbe stata
rilasciata, costituisce da sola ragione
sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima.
In una tale situazione, può prescindersi dal contemperamento
dell’interesse privato con un interesse
pubblico attuale e concreto. Ciò perché,
ai fini dell'annullamento d'ufficio di una
concessione edilizia, è ben vero necessario,
in linea di principio, l'accertamento della
sussistenza di una situazione di interesse
pubblico attuale e concreto che giustifichi
il ricorso all'autotutela, ma da tale
valutazione si può prescindere quando
risulti che il rilascio della concessione è
derivato da un'erronea rappresentazione (non
importa se dolosa o colposa) dei fatti da
parte del privato richiedente.
Tale avviso, peraltro, si è da tempo
pacificamente radicato nella giurisprudenza
anche di altre sezioni di questo Consiglio, che
hanno parimenti escluso la necessità di una
comparata ponderazione dell'interesse
pubblico all'annullamento d'ufficio di un
atto amministrativo e dell'interesse
oppositivo del privato, quando si sia in
presenza di sostanziale negligenza del
privato stesso, il quale, per insufficiente
rappresentazione di circostanze di fatto,
non importa se per colpa o per dolo, abbia
contribuito all'errore dell'Amministrazione
inducendola, sostanzialmente, ad adottare
atti poi rivelatisi palesemente illegittimi.
---------------
Se è vero che è ius receptum che
l'annullamento di ufficio di un
provvedimento debba essere sorretto anche da
autonome ed attuali ragioni di pubblico
interesse, laddove incida su posizioni
giuridiche che risultino ormai consolidate
in ragione del tempo trascorso
dall'emanazione del provvedimento annullato
ed in ragione dell'affidamento sulla sua
legittimità ingenerato nei suoi destinatari,
siccome atto proveniente
dall'amministrazione pubblica, è, però,
corollario di tale principio, che non
occorre la presenza di preminenti ragioni di
interesse pubblico quando il soggetto nei
cui confronti si esercita il potere di
annullamento non sia in buona fede.
Questa Sezione ha già avuto modo di
chiarire, con avviso del tutto
condivisibile, che l’errata o insufficiente
rappresentazione delle circostanze di fatto
e di diritto poste alla base del rilascio
della concessione edilizia, che diversamente
non sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un
provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima ed ha, altresì,
precisato che, in una tale situazione, può
prescindersi dal contemperamento
dell’interesse privato con un interesse
pubblico attuale e concreto (cfr. sez. IV,
n. 6554 del 24.12.2008). Ciò perché,
ai fini dell'annullamento d'ufficio di una
concessione edilizia, è ben vero necessario,
in linea di principio, l'accertamento della
sussistenza di una situazione di interesse
pubblico attuale e concreto che giustifichi
il ricorso all'autotutela, ma da tale
valutazione si può prescindere quando
risulti che il rilascio della concessione è
derivato da un'erronea rappresentazione (non
importa se dolosa o colposa) dei fatti da
parte del privato richiedente.
Tale avviso, peraltro, si è da tempo
pacificamente radicato nella giurisprudenza
anche di altre sezioni di questo Consiglio
(cfr. C.G.A.R.S. n. 552 del 13.09.2011; CdS, Sez. V, n. 592 dell'08.02.2010 e n. 6554 del 12.10.2004), che
hanno parimenti escluso la necessità di una
comparata ponderazione dell'interesse
pubblico all'annullamento d'ufficio di un
atto amministrativo e dell'interesse
oppositivo del privato, quando si sia in
presenza di sostanziale negligenza del
privato stesso, il quale, per insufficiente
rappresentazione di circostanze di fatto,
non importa se per colpa o per dolo, abbia
contribuito all'errore dell'Amministrazione
inducendola, sostanzialmente, ad adottare
atti poi rivelatisi palesemente illegittimi.
Orbene, se è vero, come affermato
dall’appellante nella memoria depositata il
09.02.2012, che è ius receptum che
l'annullamento di ufficio di un
provvedimento debba essere sorretto anche da
autonome ed attuali ragioni di pubblico
interesse, laddove incida su posizioni
giuridiche che risultino ormai consolidate
in ragione del tempo trascorso
dall'emanazione del provvedimento annullato
ed in ragione dell'affidamento sulla sua
legittimità ingenerato nei suoi destinatari,
siccome atto proveniente
dall'amministrazione pubblica, è, però,
corollario di tale principio, alla stregua
della citata giurisprudenza di questo
Consiglio di Stato, che il Collegio
condivide, che non occorre la presenza di
preminenti ragioni di interesse pubblico
quando il soggetto nei cui confronti si
esercita il potere di annullamento non sia
in buona fede.
Nel caso in esame, ben può ritenersi che
siano sussistenti le condizioni evidenziate
dalla richiamata giurisprudenza, cioè
l’erronea rappresentazione (non importa se
dolosa o colposa) dei fatti da parte del
privato e la conseguente negligenza da
questi manifestata, al fine di prendere atto
della carenza di buona fede in capo al
privato stesso nel richiedere i due permessi
di costruire annullati di ufficio, nella
specie, con il provvedimento impugnato
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 28.05.2012 n. 3150 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’esercizio del potere di
annullamento d’ufficio di un titolo edilizio
deve rispondere ai requisiti di legittimità
codificati nell’art. 21-nonies della legge
07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti
nell’illegittimità originaria del titolo e
nell’interesse pubblico concreto ed attuale
alla sua rimozione diverso dal mero
ripristino della legalità, comparato con i
contrapposti interessi dei privati.
Va ricordato che, com’è noto, anche
l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio di un titolo edilizio deve
rispondere ai requisiti di legittimità
codificati nell’art. 21-nonies della legge
07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti
nell’illegittimità originaria del titolo e
nell’interesse pubblico concreto ed attuale
alla sua rimozione diverso dal mero
ripristino della legalità, comparato con i
contrapposti interessi dei privati
(Consiglio di Stato, Sez. III,
sentenza 09.05.2012 n. 2683 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’annullamento d’ufficio (ndr: della
concessione edilizia) presuppone una congrua motivazione
sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno
dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con
un’adeguata ponderazione comparativa la quale tenga anche
conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al
mantenimento delle posizioni che su di esso si sono
consolidate, e del conseguente affidamento derivante dal
comportamento seguito dall’amministrazione.
Per costante giurisprudenza, l’annullamento d’ufficio (ndr:
della concessione edilizia) presuppone una congrua
motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a
sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di
autotutela, con un’adeguata ponderazione comparativa la
quale tenga anche conto dell’interesse dei destinatari
dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si
sono consolidate, e del conseguente affidamento derivante
dal comportamento seguito dall’amministrazione (cfr. ex
plurimis, TAR Campania Salerno, sez. I – 03/01/2012 n.
3; Consiglio di Stato, sez. IV – 16/04/2010 n. 2178) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 03.05.2012 n. 740 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Ai fini della decorrenza del termine per
l'impugnazione, da parte di terzi, di provvedimenti di
concessione in sanatoria di manufatti abusivi, deve aversi
esclusivo riguardo alla data di scadenza della pubblicazione
del provvedimento a sanatoria, essendo già compiutamente
nota la lesione materiale subita.
Nel caso di concessione edilizia in sanatoria, infatti, si
pone la necessità della individuazione del dies a quo
dell'impugnativa al fine di assicurare stabilità e certezza
agli atti amministrativi, non potendo gli stessi rimanere
sine die soggetti ad una eventuale impugnativa contestazione
giurisdizionale, né potendosi consentire che il privato
confinante -attraverso l'utilizzo ad libitum dello strumento
dell'accesso- possa decidere di impugnare i relativi atti in
qualsiasi momento.
Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, da
parte di terzi, di provvedimenti di concessione in sanatoria
di manufatti abusivi, deve aversi esclusivo riguardo alla
data di scadenza della pubblicazione del provvedimento a
sanatoria, essendo già compiutamente nota la lesione
materiale subita; nel caso di concessione edilizia in
sanatoria, infatti, si pone la necessità della
individuazione del dies a quo dell'impugnativa al
fine di assicurare stabilità e certezza agli atti
amministrativi, non potendo gli stessi rimanere sine die
soggetti ad una eventuale impugnativa contestazione
giurisdizionale, né potendosi consentire che il privato
confinante -attraverso l'utilizzo ad libitum dello
strumento dell'accesso- possa decidere di impugnare i
relativi atti in qualsiasi momento (TAR Puglia-Lecce, sez.
III, 21.05.2009, n. 1200) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I,
sentenza 20.04.2012 n. 885 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Nel caso di titoli edilizi, il dies a
quo assume una particolare conformazione, essendo pacifico
che, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione
da parte di terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si
verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo
certo e univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e
l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina
urbanistico-edilizia, onde, in mancanza di altri ed
inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il
mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento.
Al riguardo va richiamato l’orientamento giurisprudenziale
secondo cui, nel caso di titoli edilizi, il dies a quo
assume una particolare conformazione, essendo pacifico che,
al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione da
parte di terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si verifica
quando la costruzione realizzata rivela in modo certo e
univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e
l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina
urbanistico-edilizia, onde, in mancanza di altri ed
inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il
mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.02.2007 n. 599) (TAR Marche,
sentenza 14.04.2012 n. 274 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Allorquando
un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato
ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque
erronea rappresentazione della realtà materiale, è
consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa".
E' sufficiente richiamare l'orientamento giurisprudenziale,
che il Collegio condivide, secondo cui, allorquando un
provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto
dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea
rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla
p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando
l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna
particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale
ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa" (TAR
Lecce Puglia sez. I, 04.04.2006, n. 1831) (TAR
Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 04.04.2012 n. 1002 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Annullamento in autotutela adottato a
distanza di lungo tempo dal rilascio del permesso di
costruire.
E’ illegittimo il provvedimento con il quale è stato
annullato in autotutela un permesso di costruire, motivato
con riferimento alla accertata violazione -tramite apposita
verificazione- della distanza minima tra fabbricati
confinanti, sancita dall’art. 25 del regolamento edilizio
comunale, nel caso in cui il provvedimento in autotutela, da
una parte, sia stato adottato a distanza di lunghissimo
tempo (nella specie, si trattava, rispettivamente, di dieci
e sei anni) dal rilascio delle due concessioni edilizie con
esso annullate e, dall’altra, sia privo di puntuale e/o
adeguata motivazione in ordine all'interesse pubblico
specifico, concreto e attuale, al divisato annullamento
d’ufficio; in tal caso, infatti, in ragione del lungo tempo
decorso dal rilascio dei titoli edilizi, l’annullamento
avrebbe dovuto essere puntualmente motivato con riferimento
agli eventuali contrasti dei titoli abilitativi con gli
interessi urbanistici della zona, nonché in rapporto
all’affidamento privato nella conservazione dei medesimi
titoli abilitativi, consolidatosi nell’arco temporale
trascorso tra il loro rilascio e la loro rimozione (1).
---------------
(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella
specie, nessuna ponderazione tra interesse pubblico e
privato risultava, in sostanza, effettuata ed esplicitata
dall'amministrazione resistente, la quale si era limitata a
rilevare la violazione della distanza minima tra fabbricati
confinanti, sancita dall’art. 25 del regolamento edilizio
comunale, e ad evocare genericamente ed ellitticamente
"esigenze generali, tra cui bisogni di salute pubblica,
sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del
territorio".
Viceversa, a fronte del considerevole lasso di tempo decorso
dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati
d’ufficio (circa 10-6 anni), il canone di ragionevolezza del
termine massimo per l’esercizio del potere di autotutela
(cfr. art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) avrebbe
dovuto suggerire una scelta più attenta e rispettosa verso
la consolidata posizione di affidamento ingenerato nel
privato ricorrente circa la legittimità degli atti di
concessione rilasciatigli (cfr. Cons. Stato, sez. VI,
02.10.2007, n. 5074) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 07.03.2012 n. 1130 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Non e' configurabile in sede di
autotutela un annullamento parziale delle concessioni
edilizie.
L’annullamento
del provvedimento autorizzatorio edilizio non può che essere
totale, posto che non è configurabile, in sede di
autotutela, un annullamento parziale delle concessioni
edilizie, trattandosi di provvedimenti non frazionabili,
tenuto conto che l'annullamento d'ufficio esclude qualsiasi
valutazione di carattere discrezionale sulle possibilità
tecniche di modificazione del progetto di costruzione.
Infatti in sede di autotutela, l'Amministrazione non ha la
possibilità di disporre l'annullamento parziale di un
permesso di costruire volto alla realizzazione di un
complesso immobiliare comprendente più corpi di fabbrica
diversi e funzionalmente collegati, non avendo alcun potere
di rielaborare il progetto, trattandosi di valutazioni e di
scelte rimesse in via esclusiva all'autonomia privata (cfr.
Cons. Stato, sez. IV, 05.02.1998, n. 198; idem, 31.07.2007,
n. 4256) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis,
sentenza 30.03.2012 n. 3065 - massima tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
L'annullamento parziale di una
concessione edilizia riconosciuta illegittima (e dunque,
mutatis mutandis, il diniego parziale di sanatoria) è
ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia
scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti
progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui
il comune può respingere o accogliere una domanda di
concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non
potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal
progetto sul quale ha chiesto la concessione.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che l'annullamento
parziale di una concessione edilizia riconosciuta
illegittima (e dunque, mutatis mutandis, il diniego
parziale di sanatoria) è ammissibile soltanto quando l'opera
autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere
oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è
la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una
domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il
progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera
diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione
(così Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495; nello stesso
senso cfr. anche Cons. di St., V, 22.05.2006, n. 2960) (TAR
Liguria. Sez. I,
sentenza 23.03.2012 n. 423 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La
ristrutturazione edilizia consiste in interventi di
trasformazione di un immobile nel suo complesso, il che non
si configura per un immobile che prima sia crollato o sia
stato demolito, quando ci sia soluzione di continuità
temporale (in questo caso di diversi anni) tra il crollo e
la presentazione del progetto.
---------------
La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella
domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta
alla base dell’atto della concessione edilizia, che
diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento
di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto
che in tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico attuale e
concreto.
Da un lato, come affermato
dall’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene
di aderire, “la ristrutturazione edilizia … consiste in
interventi di trasformazione di un immobile nel suo
complesso, il che non si configura per un immobile che prima
sia crollato o sia stato demolito” (cfr. Cons. St., sez.
IV, 05.07.2000, n. 3735), quando ci sia soluzione di
continuità temporale (in questo caso di diversi anni) tra il
crollo e la presentazione del progetto (cfr. TAR Veneto,
sez. II, 31.10.2007 n. 3493), dall’altro “la errata o
insufficiente (non importa se dolosa o colposa)
rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella
domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta
alla base dell’atto della concessione edilizia, che
diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da
sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento
di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto
che in tale situazione si può prescindere dal
contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto”
(Cons. St., sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; cfr. anche TAR
Lombardia, Brescia, 20.11.2002 n. 1881; TAR Puglia, Lecce,
sez. I, 04.04.2006 n. 1831)
(TAR Piemonte, Sez. II,
sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
Sebbene qualora
in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato
acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere
va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del
suddetto titolo abilitativo, vanno fatte salve le ipotesi in
cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni
formali o di tipo esclusivamente giuridico; quindi, non
occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia
Comunale, nel caso in cui la decisione di annullamento
discenda direttamente dall'applicazione della disciplina
edilizia: in tale ipotesi, infatti, l’atto di annullamento
si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di
carattere formale e giuridico, svincolata da valutazioni
implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili
alla Commissione Edilizia.
... RITENUTO, allora, che:
- in deroga alla regola generale, che richiede, soprattutto
per i procedimenti di secondo grado, l'invio dell'avviso di
inizio del procedimento, l'esigenza di intervenire
tempestivamente sull'anzidetto provvedimento giustifica,
conformemente a quanto previsto dallo stesso art. 8 della
l.r. n. 10 del 1991, per il caso di particolari esigenze di
celerità del procedimento, l'omessa previa comunicazione di
avvio, oggetto della censura contenuta nel terzo motivo di
ricorso (cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.05.2011,
n. 485);
- in ogni caso, la destinazione urbanistica dell'area sulla
quale doveva essere effettuato l’ampliamento non avrebbe
consentito un esito diverso del procedimento in questione,
atteggiandosi l’annullamento quale atto di natura vincolata:
in altre parole, nel caso in esame, in cui è emersa con
certezza l’impossibilità del rilascio di una concessione
diretta per mancanza dello strumento attuativo, la
comunicazione di avvio non avrebbe avuto ragione di essere
(e ciò nonostante, seppure verbalmente, è stata effettuata),
così come una diffusa motivazione circa l’interesse pubblico
all’annullamento d’ufficio, sussistente in re ipsa
(cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.06.2005, n. 941; TAR
Lazio, Roma 13.02.2006, n. 1052);
- infine, seppure in base al principio del contrarius
actus, qualora in sede di rilascio della concessione
edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione
Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto
dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo,
vanno fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di
autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo
esclusivamente giuridico (Cons. Stato, sez. V, 12.05.2011 ,
n. 2821; sez. IV, 31.03.2009, n. 1909); quindi, non occorre
acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, nel
caso in cui la decisione di annullamento discenda
direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia: in
tale ipotesi, riscontrata nel caso di specie, infatti,
l’atto di annullamento si qualifica come atto dovuto in
virtù di una valutazione di carattere formale e giuridico,
svincolata da valutazioni implicanti esercizio di
discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione
Edilizia (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 20.04.2011, n.
2245; 14.04.2010, n. 1975, 03.12.2010, n. 26797) (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’annullamento di ufficio del titolo
edilizio presuppone una congrua motivazione sull’interesse
pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata
ponderazione comparativa, che tenga anche conto
dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento
delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito
dall’Amministrazione.
La ricorrente lamenta, con il ricorso in esame, che
l’amministrazione comunale intimata, dopo averla autorizzata
a ristrutturare il fabbricato di sua proprietà e dopo che i
lavori assentiti si trovavano in un avanzato stato di
esecuzione (essendo stati realizzati il consolidamento
strutturale dell’immobile, i muri di contenimento, il
completamento del piano terra e del corpo centrale del
fabbricato), ha disposto, mediante i provvedimenti
impugnati, l’annullamento dei relativi titoli edilizi e la
conseguente demolizione delle opere realizzate.
La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame
è meritevole di accoglimento.
Per costante giurisprudenza, infatti, “l’annullamento di
ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse
pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata
ponderazione comparativa, che tenga anche conto
dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento
delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del
conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito
dall’Amministrazione” (cfr., ex multis, Consiglio
di Stato, Sez. IV, 16.04.2010, n. 2178);
Ebbene, deve rilevarsi che nell’impugnato provvedimento di
autotutela non vi è traccia della richiesta motivazione,
tesa a comparare l’interesse pubblico all’annullamento
dell’atto ampliativo con l’affidamento maturato dal
destinatario in ordine all’esercizio (già peraltro, nella
specie, ampiamente avvenuto) delle facoltà con lo stesso
attribuite (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 03.01.2012 n. 3 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
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EDILIZIA
PRIVATA:
La
regola immanente all'art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del
2001 (ndr: annullamento titolo edilizio) è rappresentata
dall'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto
primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso
di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non
richiede all'amministrazione un particolare impegno
motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua
giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa
pecuniaria, ex art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 deve
intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni
assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per
vizi formali, e non anche sostanziali.
L'affidamento del privato a poter
conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo
edilizio successivamente annullato non é tutelato in via
generale ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore,
al quale compete emanare norme speciali di tutela come la
potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in
quella pecuniaria (art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001), ovvero
un regime di favore in sede di condono edilizio, come
avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994; in difetto di
una espressa previsione legislativa, la posizione di colui
che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo
annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno
invece realizzato l'opera abusiva senza titolo.
Conformemente alla consolidata
giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la regola immanente
all'art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 (ndr:
annullamento titolo edilizio) è rappresentata
dall'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto
primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso
di costruire (così come della sua mancanza ab origine)
non richiede all'amministrazione un particolare impegno
motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua
giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa
pecuniaria, ex art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 deve
intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni
assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per
vizi formali, e non anche sostanziali.
Come
affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del
23.04.2009, l'affidamento del privato a poter conservare
l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio
successivamente annullato non é tutelato in via generale ma
é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale
compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale
commutabilità della sanzione demolitoria in quella
pecuniaria (art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un
regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto
con l'art. 39, l. n. 724 del 1994; in difetto di una
espressa previsione legislativa, la posizione di colui che
abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato
non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece
realizzato l'opera abusiva senza titolo (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 28.11.2011 n. 1772 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire - Impugnazione -
Decorrenza del termine dalla data di inizio lavori - Non
sussiste - Decorrenza del termine dalla piena conoscenza
della lesività dell'opera - Sussiste.
Poiché il
dies a quo del ricorso per l'annullamento prende a
decorrere solo dal momento della piena conoscenza
dell'adozione dell'atto lesivo, in materia edilizia la
decorrenza del termine non può essere fatta coincidere con
la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto il
termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata
rivela in modo certo ed univoco le essenziali
caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità
della stessa al titolo e alla disciplina urbanistica
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
II,
sentenza 08.11.2011 n. 2660 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La errata o insufficiente (non importa
se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di
fatto esposte nella domanda e relativi allegati di
concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto
della concessione edilizia che diversamente non sarebbe
stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente
per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in tale situazione si
può prescindere dal contemperamento con un interesse
pubblico attuale e concreto.
In materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va
richiamato il principio che ritiene vincolato il potere
dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante. In
una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha
sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto
legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non
condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento
conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere
che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del
Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare
in assoluto la possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo
affermare che, a pena di assoggettamento della medesima
sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò
deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge.
Da quanto evidenziato in precedenza, appare corretto il
procedimento seguito dall’Amministrazione comunale che ha
posto alla base dell’atto di annullamento l’infedele o
inesatta dichiarazione –il cui eventuale carattere doloso
non rileva in questa sede– essendo illegittimo un condono
richiesto in relazione ad interventi effettuati su un’opera
già in origine (parzialmente) abusiva.
Difatti, “la errata o insufficiente (non importa se
dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto
esposte nella domanda e relativi allegati di concessione
edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della
concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata
rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per
giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio
della concessione medesima, tanto che in tale situazione si
può prescindere dal contemperamento con un interesse
pubblico attuale e concreto” (Consiglio di Stato, IV,
24.12.2008, n. 6554).
Del resto, in materia di autotutela riferibile ad immobili
abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il
potere dell’Amministrazione al ripristino dello status
quo ante.
In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha
sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto
legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non
condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure
riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della
manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento
conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di
opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le
caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla
quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi
la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere
che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono
ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del
Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare
in assoluto la possibilità di intervenire su immobili
rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo
affermare che, a pena di assoggettamento della medesima
sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò
deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge”
(TAR Campania, Napoli, VII, 08.04.2011, n. 1999)
(TAR Lombardia-Milano, Sez.
IV,
sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il provvedimento di annullamento di
ufficio di una concessione edilizia, quale atto
discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine
all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto,
che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine
alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato.
In determinate ipotesi, l’interesse pubblico
all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in
re ipsa. Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento
d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare
l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della
vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera
da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta
rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte
dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato
vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza
di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i
pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli
interventi assentiti.
Non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di
autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la
legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di
un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del
titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e
l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto
più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in
ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo
affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero
quando sia riscontrabile la realizzazione di una
significativa parte delle opere assentite.
Il Collegio non ignora il costante orientamento
giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218;
sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII,
22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez.
VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR
Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II,
08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n.
2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo
cui “il provvedimento di annullamento di ufficio di una
concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere
adeguatamente motivato in ordine all’esistenza
dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico su quello
antagonista del privato”.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di
costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai
principi generali che condizionano il legittimo esercizio
del potere di autotutela. Potere che è espressione della
discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di
un provvedimento espresso, postula la valutazione di
elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della
legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale
che trova il suo fondamento nei valori di rango
costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità
dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere
la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un
apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e
specifica situazione creatasi a seguito del rilascio
dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora
l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in
determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione
dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento
d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare
l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della
vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera
da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto
(Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005, n. 6630; sez. IV,
26.10.2007, n. 5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
15.06.2005, n. 1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta
rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte
dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del
provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato
vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza
di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore
dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. V,
12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR
Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia,
Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria. Genova,
sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR
Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR
Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR
Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005,
n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i
pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli
interventi assentiti.
a) Sotto il primo profilo, rileva la circostanza
oggettiva e dirimente dell’accertata violazione delle
distanze legali, ossia di una violazione di norme
inderogabili, che, in quanto tale, implicava una iniziativa
in autotutela sostanzialmente vincolata dell’amministrazione
comunale, e non imponeva, quindi, una specifica motivazione
né una espressa comparazione tra l'interesse pubblico alla
rimozione e quello del privato alla conservazione dell'atto
illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929;
26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che il
progetto assentito col permesso di costruire n. 10 del
23.07.2004 non ha correttamente riportato le distanze del
manufatto previsto dai fondi e dai fabbricati confinanti,
così inducendo in errore l’amministrazione resistente circa
l’osservanza dell’art. 23 delle n.a. del p.r.g. di Ailano.
c) Sotto il terzo profilo, giova rammentare che
l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in
contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona
non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse
pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il
confliggente interesse privato alla conservazione degli
stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di
rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela
dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro
interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI,
20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005, n.
48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193).
Ebbene, nel caso in esame, l’annullato permesso di costruire
n. 10 del 23.07.2004, ancorché non in immediato contrasto
con norme di tutela paesaggistica (sul punto, cfr. retro,
sub n. 4), ha, comunque, illegittimamente assentito opere
ricadenti in area assoggettata a vincolo paesaggistico ed è
risultato, così, suscettibile di inficiare, sia pure
indirettamente, i valori da quest’ultimo tutelati.
La motivazione dianzi riportata risulta, peraltro,
proporzionata al tempo decorso tra il momento di emissione
del titolo abilitativo e quello del suo successivo
annullamento, che si appalesa non irragionevole.
Al riguardo, il Collegio ha presente l’incontrastato
indirizzo giurisprudenziale, accreditato dall’art.
21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, secondo cui non è
sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di
autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la
legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di
un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del
titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e
l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più quando
il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del
tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in
merito alla realizzazione delle opere (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 19.01.2003, n. 899), ovvero quando sia riscontrabile
la realizzazione di una significativa parte delle opere
assentite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218)
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII,
sentenza 26.10.2011 n. 4945 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA:
Rapporto di presupposizione necessaria tra gli atti
amministrativi.
I vizi idonei a caducare il Piano esecutivo convenzionato
hanno un effetto caducante nei confronti dei successivi
titoli edilizi o deve ritenersi che non sussista alcun
rapporto di presupposizione necessaria tra il Piano ed i
titoli stessi?
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1. Atto amministrativo - Vizi - Caducanti -
Presupposti necessari - Individuazione
2. Urbanistica - Piani urbanistici - Piano Esecutivo Convenzionato
- Titoli edilizi autorizzatori - Rapporto di presupposizione
necessaria - Insussistenza - Ragioni - Conseguenze
1. In termini generali, i vizi caducanti
presuppongono che tra gli atti interessati vi sia un
rapporto di presupposizione necessaria, sicché all'atto
successivo non residui alcun margine ulteriore di
ponderazione che non si traduca nel mero completamento
dell'iter procedimentale iniziato con il primo atto
impugnato.
La prudenza nell'individuazione dei vizi caducanti si
giustifica in considerazione della peculiarità dei loro
effetti; la caducazione automatica ed a catena di atti non
impugnati, infatti, comporta una propagazione dei vizi che
vulnera il generale principio di stabilità degli atti
consolidati, e il sottostante assetto di interessi, oltre a
poter potenzialmente pregiudicare terzi controinteressati
mai evocati in alcun giudizio.
Conseguentemente, si ravvisa la fattispecie di vizi
caducanti solo ove l'atto successivo si ponga come
conseguenza immediata, diretta e necessaria, ossia ove
l'atto successivo sia inevitabile conseguenza di quello
anteriore.
2. Non sussiste un rapporto di presupposizione necessaria tra
P.E.C. e successivi titoli autorizzatori edilizi: i titoli
edilizi emanati successivamente al P.E.C., infatti, seppure
in questo trovano un fondamento, non ne sono conseguenza
immediata e necessaria; neppure è escluso qualsivoglia
margine di apprezzamento nella successiva fase
procedimentale.
Pertanto, l'annullamento del P.E.C. non può travolgere i
successivi titoli edilizi, anche in considerazione del fatto
che l'effetto caducante non travolgerebbe atti limitativi
della sfera giuridica del destinatario bensì atti ampliativi
della medesima, rispetto ai quali si è nel frattempo
consolidato un ragionevole affidamento e un nuovo assetto di
interessi (massma
tratta da www.mondolegale.it).
---------------
E’ pacifico che parte ricorrente non ha provveduto ad
impugnare i titoli edilizi rilasciati successivamente
all’approvazione del PEC contestato, i quali si sono nelle
more consolidati. E’ ugualmente evidente che l’interesse
della ricorrente non è contestare la mera regolarità formale
delle opere ma eventualmente inibirne la realizzazione.
Sostiene parte ricorrente che i vizi dedotti, idonei a
caducare il PEC, avrebbero un effetto caducante nei
confronti dei successivi titoli edilizi, sì da renderne
superflua l’autonoma impugnativa. La difesa di parte
ricorrente cita al riguardo la decisione del Consiglio di
Stato sez. V n. 3255 del 2008.
La fattispecie ivi trattata appare tuttavia differente
poiché, nel caso di specie, era stata innanzitutto rigettata
un’eccezione di improcedibilità dell’appello per mancata
impugnazione del sopravvenuto permesso di costruire,
rilasciato in esecuzione della sentenza di primo grado. Il
giudice d’appello puntualizzava che, essendosi trattato di
mera attività di esecuzione della statuizione del primo
giudice, il travolgimento di quest’ultima avrebbe comportato
l’automatica caducazione di atti che non potevano definirsi
espressione di acquiescenza costituendo mera ottemperanza.
Nel corpo della decisione si rinviene poi una massima che
puntualizza che il permesso di costruire che trovi
fondamento in un PEC impugnato risulta travolto da
illegittimità derivata in caso di annullamento della
variante di PEC medesima; la massima, riportata solo come
tale, non consente tuttavia di evincere la tesi della
caducazione automatica propugnata da parte ricorrente. La
sussistenza di una possibile invalidità derivata del titolo
edilizio rispetto ai presupposti vizi del PEC non è infatti
di per sé risolutiva circa la natura caducante o viziante
dell’annullamento del primo atto rispetto al secondo;
l’invalidità derivata, come tale potenzialmente sussistente,
ben infatti può essere oggetto di idonea ed apposita
censura, appunto formulata in via derivata.
In termini generali i vizi caducanti presuppongono che tra
gli atti interessati vi sia un rapporto di presupposizione
necessaria, sicché all’atto successivo non residui alcun
margine ulteriore di ponderazione che non si traduca nel
mero completamento dell’iter procedimentale iniziato con il
primo atto impugnato. La prudenza nell’individuazione dei
vizi caducanti si giustifica in considerazione della
peculiarità dei loro effetti; la caducazione automatica ed a
catena di atti non impugnati, infatti, comporta una
propagazione dei vizi che vulnera il generale principio di
stabilità degli atti consolidati, e il sottostante assetto
di interessi, oltre a poter potenzialmente pregiudicare
terzi controinteressati mai evocati in alcun giudizio.
Conseguentemente la giurisprudenza ravvisa fattispecie di
vizi caducanti solo ove l’atto successivo si ponga come
conseguenza immediata, diretta e necessaria, ossia ove
l’atto successivo sia inevitabile conseguenza di quello
anteriore.
Tanto non pare potersi predicare nel rapporto tra P.E.C. e
successivi titoli autorizzatori edilizi, tanto più là dove
il P.E.C. ha lasciato ulteriori margini da definirsi nelle
successive sequenze procedimentali. Solo apparentemente si
attaglia al caso di specie la decisione, citata da parte
ricorrente, del Consiglio di Stato sez. VI n. 114/2011 che
ha ritenuto che il diniego di autorizzazione paesaggistica
unicamente fondato sul contrasto con uno strumento
urbanistico poi annullato restasse automaticamente travolto
dall’annullamento dello strumento urbanistico presupposto.
Effettivamente in tale caso l’unica e necessaria ragione del
travolto diniego risiedeva, appunto, nello strumento
urbanistico. Neppure deve essere trascurato il fatto che la
fattispecie di invalidità derivata caducante, come
ricostruita nell’ultimo caso citato, incideva
automaticamente su un atto restrittivo per il destinatario,
con effetto quindi ampliativo della sua sfera giuridica.
Il caso di specie si presenta simmetrico ma inverso: i
titoli edilizi emanati successivamente al P.E.C., seppure in
questo trovano un fondamento, non ne sono conseguenza
immediata e necessaria; neppure è escluso qualsivoglia
margine di apprezzamento nella successiva fase
procedimentale. Infine l’effetto caducante non travolgerebbe
atti limitativi della sfera giuridica del destinatario bensì
atti ampliativi della medesima, rispetto ai quali si è nel
frattempo consolidato un ragionevole affidamento e un nuovo
assetto di interessi.
Più consono al caso di specie pare quindi ad esempio quello
di cui alla sentenza C. stato sez. IV 14.12.2002 n. 7001. Il
supremo consesso amministrativo ha ivi analizzato il caso in
cui, annullati il piano urbanistico generale e quello
attuativo, in separato giudizio si è accertata altresì
l’invalidità derivata delle successive concessioni edilizie,
che in detti piani avevano trovato fondamento. Nel caso
specifico vi erano quindi state separate e specifiche
impugnative.
In sede di ottemperanza, là dove il ricorrente chiedeva che
venisse disposta la demolizione dei manufatti, si
evidenziava che le uniche sanzioni applicabili per le opere
nelle more realizzate e divenute prive di titolo sarebbero
state quelle pecuniarie di cui all’attuale art. 38 d.p.r.
380/2001, poiché l’annullamento dei titoli non era stato
dovuto ad un contrasto originario con le previsioni di
piano, legge o regolamento ma ad un sopravvenuto vizio
formale per caducazione del piano. Per di più si evidenziava
come i titoli ben potessero sopravvivere all’esito di un
emendamento della pianificazione ab origine
annullata.
Sebbene evidentemente la fattispecie differisca da quella
per cui è causa resta ben evidente la molteplicità di
soluzioni e valutazioni amministrative che intervengono
nelle diverse fasi di un iter procedimentale quale quello
per cui è causa e che non consentono di ravvisarvi atti
avvinti tutti e necessariamente da stretto ed ineludibile
vincolo di presupposizione necessaria.
Né infine può darsi spazio all’interesse risarcitorio,
neppure per altro rappresentato dalla ricorrente; è infatti
evidente come l’eventuale interesse risarcibile connesso
alla mancata realizzazione di un piano similare proposto
dalla ricorrente discenderebbe dal diverso e parallelo
procedimento instaurato dalla ricorrente medesima avverso il
diniego di approvazione di quel diverso PEC di suo
interesse; non è infatti dall’approvazione dell’altrui PEC
che la ricorrente vede derivare un danno immediato e diretto
bensì eventualmente dall’illegittima mancata approvazione
del proprio, che non viene qui in questione essendo stata
oggetto di separato giudizio.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato improcedibile (TAR
Piemonte, Sez. I,
sentenza 21.10.2011 n. 1116 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Permesso di costruire - Annullamento o
revoca - Perdita di una posizione di vantaggio acquisita -
Pregiudizio al proprietario dell'immobile - Necessità
dell'avvio del procedimento - Non rilevanza
dell'illegittimità dell'opere da eseguire.
Risulta innanzitutto fondato il primo motivo in quanto
effettivamente l'annullamento o la revoca del permesso di
costruire, determinando la perdita di una posizione di
vantaggio acquisita, reca un pregiudizio al proprietario
dell'immobile e pertanto quest'ultimo deve essere posto,
attraverso la comunicazione dell'avvio del procedimento di
cui all’art. 7 L. 07.08.1990 n. 241, nella condizione di
poter partecipare al previo contraddittorio; né può
validamente supplire alla mancata comunicazione la
conoscenza che il proprietario in ipotesi possa aver avuto
della ravvisata illegittimità delle opere da eseguire,
perché tanto non implica affatto, sotto il profilo
consequenziale, anche l'annullamento della concessione
edilizia già rilasciata.
Anche gli altri motivi appaiono fondati in quanto:
a)- l'amministrazione non ha in alcun modo motivato in
ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed
attuale nonché prevalente sull'affidamento ingenerato nel
ricorrente mediante il rilascio del permesso di costruire;
b)- l'amministrazione col provvedimento impugnato si è
sostanzialmente intromessa in una lite tra condomini
arrogandosi prerogative in ordine all'accertamento delle
facoltà connesse al diritto di proprietà di ciascuna di esse
e del regime d'uso del solaio che non le competevano e che
avrebbero dovuto trovare soluzione nella competente sede
giurisdizionale civile, anche perché ogni provvedimento
amministrativo è rilasciato con la clausola "fatti salvi
i diritti dei terzi" e, quindi, non pregiudica la
possibilità per eventuali privati controinteressati di far
valere le proprie ragioni nelle sedi competenti (Consiglio
di Stato, sez. V 07.09.2009, n. 5223; Consiglio di Stato,
sez. V, 07.09.2007, n. 4703; TAR Trentino Alto Adige, sez.
Trento, 14.05.2008, n. 111; TAR Piemonte, sez. I,
13.06.2005, n. 2039 (TAR Campania-Salerno, Sez. I,
sentenza 16.09.2011 n. 1559 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il parere della commissione edilizia può
essere omesso in sede di autotutela (annullamento
concessione edilizia), senza violazione alcuna del principio
del contrarius actus, qualora l’annullamento si fondi su
ragioni di esclusiva valenza giuridica e non anche su
valutazioni tecnico-edilizie.
Quanto al mancato coinvolgimento della commissione edilizia
nell'annullare una concessione edilizia rilasciata, per
giurisprudenza costante tale parere può essere omesso in
sede di autotutela, senza violazione alcuna del principio
del contrarius actus, qualora l’annullamento si fondi
su ragioni di esclusiva valenza giuridica e non anche su
valutazioni tecnico-edilizie (cfr. Cons. Stato, sez. V,
12.05.2011, n. 2821; TAR Campania Napoli, sez. VIII,
10.11.2010, n. 23756; TAR Lombardia Milano, sez. IV,
03.03.2010, n. 532; TAR Emilia Romagna Parma, 20.10.2009, n.
686)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II,
sentenza 09.09.2011 n. 1586 - link a
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EDILIZIA
PRIVATA:
1. Ricorso giurisdizionale - Ricorso
avverso atti abilitativi dell'edificazione - Termine per
l'impugnazione - Decorrenza dalla data di palesamento ed
oggettiva apprezzabilità della lesione del bene della vita
protetto - Fattispecie.
2. Atto amministrativo - Atti presupposti - Vizi -
Invalidità del titolo edilizio originario - Effetto
caducante delle varianti leggere - Sussiste - Effetto
caducante delle varianti essenziali - Non sussiste.
1. La decorrenza del termine per ricorrere in sede
giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione
si ha, per i soggetti diversi da quelli a favore dei quali
l'atto è rilasciato, dalla data in cui si renda palese ed
oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita
protetto: ciò si verifica quando sia percepibile dal
controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua
incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 18/2011).
Nel caso di specie, è da escludere che possano avere rilievo
determinante gli elementi forniti dalla controinteressata in
ordine all'esposizione del cartello di cantiere con
l'indicazione dell'intervento di recupero autorizzato, in
quanto gli stessi non consentivano alla ricorrente di
rendersi conto dell'entità dell'opera, né, quindi, della sua
incidenza sui suoi interessi protetti.
2. Non sempre all'annullamento del titolo edilizio
originario consegue necessariamente l'insanabile invalidità
derivata del secondo titolo edilizio: difatti, mentre
l'annullamento di una concessione sortisce sicuramente
l'effetto della caducazione delle "varianti leggere",
ossia, quelle non essenziali e quelle in corso d'opera,
poiché prive di una loro autonomia dispositiva, non
altrettanto si verifica, invece, nel caso della cd. "variante
essenziale", poiché in quest'ultima l'entità qualitativa
e quantitativa delle modifiche apportate al primitivo
assenso segna indubbiamente una cesura nel rapporto di
continuità fra i titoli edilizi succedutisi nel tempo (cfr.
Cons. di Stato, sent. n. 1023/2005) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 02.09.2011 n. 2149 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L'annullamento parziale di una
concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile
soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo
tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la
ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può
respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia,
ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al
richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha
chiesto la concessione.
L'annullamento parziale di una
concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile
soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo
tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la
ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può
respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia,
ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al
richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha
chiesto la concessione (così Cons. di St., V, 11.10.2005, n.
5495, in un caso in cui si trattava dell'altezza eccessiva
dell'edificio; nello stesso senso cfr. anche Cons. di St.,
V, 22.05.2006, n. 2960)
(TAR Liguria, Sez. I,
sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
La legittimazione a impugnare una
concessione edilizia deve essere riconosciuta al
proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla
costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di
stabile collegamento con la zona stessa, la quale non
postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili,
essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia
necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un
interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione
del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia,
che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di
stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto
dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi
indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori
assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione
atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante
abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme
urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi
esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli
potrebbero arrecare.
Non può che farsi applicazione del prevalente orientamento
giurisprudenziale in forza del quale “la legittimazione a
impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta
al proprietario di un immobile sito nella zona interessata
alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una
situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la
quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli
immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza
che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza
di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale”
(da ultimo Consiglio Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535;
Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; in senso
analogo Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908
secondo cui “Il possesso del titolo di legittimazione
alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una
concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas,
cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con
il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato,
esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in
concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato
comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto
che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della
suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire
per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma
violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di
lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare”;
TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885 secondo
cui “l'articolo 31, comma 9, legge 1150/1942, modificato
dalla legge 765/1967, che consente a "chiunque" di impugnare
le concessioni edilizie ritenute illegittime, va
interpretato nel senso che, ai fini della legittimazione al
ricorso, occorre una situazione di stabile collegamento con
la zona interessata dall'attività edilizia, collegamento che
ben può derivare dalla proprietà di un immobile nella
medesima, poiché il diritto reale differenzia e qualifica
adeguatamente la posizione soggettiva della parte”.
“Il vicino controinteressato non è un soggetto
contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di
avvio del procedimento per il rilascio di un titolo
edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n. 241,
pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti
occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto
confinante (da ultimo TAR Liguria, sez. I, 10.07.2009, n.
1736; in senso analogo TRGA Trento, 14.10.2010, n. 194).
Non vi è infatti identità tra le posizioni di coloro che
siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di
concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo
a ricevere l’avviso di avvio del procedimento; infatti ove
sia stata proposta una domanda di concessione edilizia il
vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono
intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento
che accoglie l’istanza, ma non hanno titolo a ricevere
l’avviso di avvio predetto (Consiglio di Stato, sez. VI,
14.03.2002, n. 1533”; Tar Liguria, sez. I, 05.07.2010 n.
5570; in senso analogo Consiglio di Stato, sez. VI
10.02.2006, n. 547, secondo cui “L'aver partecipato al
procedimento di formazione di uno strumento urbanistico non
rende automaticamente il soggetto medesimo controinteressato
al quale effettuare le comunicazioni ex art. 7 l. 07.08.1990
n. 241, relativamente ai procedimenti relativi
all'emanazione dei permessi di costituire o dei richiesti
nulla osta”)
(TAR Valle d'Aosta,
sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Il termine per l'impugnazione della
concessione edilizia rilasciata al controinteressato non
decorre dal momento della pubblicazione all'albo pretorio ma
da quello in cui il ricorrente abbia avuto piena ed
effettiva conoscenza del provvedimento lesivo. Quest'ultimo
effetto si riconnette di solito (e salvo le rare ipotesi in
cui si possa provare l'effettiva conoscenza del "documento")
al momento in cui la parte abbia riscontrato in rerum natura
l'avvio di un’attività edificatoria ritenuta contrastante
con le norme urbanistiche.
In altri termini, l'onere di impugnazione del titolo
edilizio scatta di solito al momento in cui si palesi
evidente l'illegittimo esercizio dello ius aedificandi. Tale
regola "di massima" va precisata e adattata ai singoli casi
di volta in volta vagliati dal giudice amministrativo, ed è
idonea a condurre a soluzioni anche diversificate, a seconda
delle peculiarità dell'attività edificatoria in corso e dei
vizi denunciati: ad esempio, la conoscenza compiuta -ed il
conseguente onere di impugnazione- scatta immediatamente col
semplice avvio della costruzione, nell'ipotesi in cui il
ricorrente intenda far valere l'assoluta inedificabilità del
suolo oggetto di attività edilizia. In tal caso, infatti,
l'inizio dell'attività costruttiva è immediatamente idoneo a
palesarne l'illegittimità e la lesività.
Ove, invece, si volesse contestare la violazione delle
distanze regolamentari da edifici vicini, è necessario che
siano almeno realizzate le fondamenta della costruzione, che
costituiscono l'impronta dell'edificio; in tal caso, allora,
il dies a quo del termine per ricorrere coincide col momento
in cui si percepisce la realizzazione delle fondamenta.
In altri casi ancora la percezione della lesività e
dell'illegittimità postulano il completamento della
struttura essenziale del fabbricato, ed è solo da tale
momento che scatta l'onere processuale di impugnazione.
Tanto si verifica, ad esempio, allorquando si contestino
l'altezza e la volumetria dell'erigendo edificio.
---------------
Ai fini della decorrenza del termine di
impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi,
l'effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si
contesti l'illegittimità del permesso di costruire per il
solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per
contrasto con l'inedificabilità assoluta dell'area) ovvero
per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito,
che, per esempio, non rispetta le distanze dalle
costruzioni: in questo secondo caso, la mera esposizione del
cartello di cantiere recante gli estremi del titolo edilizio
non è sufficiente -da sola- a far decorrere il termine di
impugnazione, in quanto esso non contiene informazioni
sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio
assentito, atte a farne immediatamente percepire l'effetto
concretamente lesivo per i terzi interessati.
---------------
La piena conoscenza è legata alla cognizione degli elementi
essenziali del provvedimento impugnato. Ne discende, quindi,
che la piena conoscenza dell'atto censurato si concretizza
con la cognizione degli elementi essenziali quali l'autorità
emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo
effetto lesivo, essendo tali elementi sufficienti a rendere
il legittimato all'impugnativa consapevole dell'incidenza
dell'atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta
possibilità di rendersi conto della lesività del
provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta
conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento,
che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi
aggiunti.
Va rammentato che, secondo l’orientamento prevalente della
giurisprudenza, il termine per l'impugnazione della
concessione edilizia rilasciata al controinteressato non
decorre dal momento della pubblicazione all'albo pretorio
(cfr. TAR Toscana, n. 4451/2008; Consiglio Stato, V, n.
5312/2002; Consiglio Stato, V, n. 779/1998), ma da quello in
cui il ricorrente abbia avuto piena ed effettiva conoscenza
del provvedimento lesivo. Quest'ultimo effetto si riconnette
di solito (e salvo le rare ipotesi in cui si possa provare
l'effettiva conoscenza del "documento") al momento in
cui la parte abbia riscontrato in rerum natura l'avvio di
un’attività edificatoria ritenuta contrastante con le norme
urbanistiche.
In altri termini, l'onere di impugnazione del titolo
edilizio scatta di solito al momento in cui si palesi
evidente l'illegittimo esercizio dello ius aedificandi.
Tale regola "di massima" va precisata e adattata ai
singoli casi di volta in volta vagliati dal giudice
amministrativo, ed è idonea a condurre a soluzioni anche
diversificate, a seconda delle peculiarità dell'attività
edificatoria in corso e dei vizi denunciati: ad esempio, la
conoscenza compiuta -ed il conseguente onere di
impugnazione- scatta immediatamente col semplice avvio della
costruzione, nell'ipotesi in cui il ricorrente intenda far
valere l'assoluta inedificabilità del suolo oggetto di
attività edilizia. In tal caso, infatti, l'inizio
dell'attività costruttiva è immediatamente idoneo a
palesarne l'illegittimità e la lesività.
Ove, invece, si volesse contestare la violazione delle
distanze regolamentari da edifici vicini, è necessario che
siano almeno realizzate le fondamenta della costruzione, che
costituiscono l'impronta dell'edificio; in tal caso, allora,
il dies a quo del termine per ricorrere coincide col
momento in cui si percepisce la realizzazione delle
fondamenta.
In altri casi ancora la percezione della lesività e
dell'illegittimità postulano il completamento della
struttura essenziale del fabbricato, ed è solo da tale
momento che scatta l'onere processuale di impugnazione.
Tanto si verifica, ad esempio, allorquando si contestino
l'altezza e la volumetria dell'erigendo edificio (cfr. TAR
Sicilia, Catania, n. 3835/2010).
---------------
La ricostruzione, appena effettuata, dei diversi momenti di
decorrenza del termine per impugnare il titolo edilizio
rilasciato a terzi trova ampia conferma nella giurisprudenza
che ha affermato che “ai fini della decorrenza del
termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte
di terzi, l'effetto lesivo si atteggia diversamente a
seconda che si contesti l'illegittimità del permesso di
costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato
(ad esempio, per contrasto con l'inedificabilità assoluta
dell'area) ovvero per il contenuto specifico del progetto
edilizio assentito, che, per esempio, non rispetta le
distanze dalle costruzioni: in questo secondo caso, la mera
esposizione del cartello di cantiere recante gli estremi del
titolo edilizio non è sufficiente -da sola- a far decorrere
il termine di impugnazione, in quanto esso non contiene
informazioni sufficienti sul contenuto specifico del
progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente
percepire l'effetto concretamente lesivo per i terzi
interessati." (cfr, in termini TAR Liguria, n. 192/2010;
TAR Sardegna n. 432/2009; TAR Piemonte, n. 795/2009).
---------------
Il Collegio, inoltre, condivide l'orientamento prevalente
nella giurisprudenza secondo il quale la piena conoscenza è
legata alla cognizione degli elementi essenziali del
provvedimento impugnato.
Ne discende, quindi, che la piena conoscenza dell'atto
censurato si concretizza con la cognizione degli elementi
essenziali quali l'autorità emanante, l'oggetto, il
contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, essendo tali
elementi sufficienti a rendere il legittimato
all'impugnativa consapevole dell'incidenza dell'atto nella
sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di
rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che
sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e
degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini
della proposizione dei motivi aggiunti (cfr. Consiglio
Stato, VI, n. 3649/2010; Consiglio Stato, IV, n. 292/2010;
Consiglio Stato, VI, n. 2540/2008).
Se ne può allora concludere che nel caso di specie i termini
per la proposizione del ricorso giurisdizionale per la
ricorrente iniziavano a decorrere dalla conoscenza del
provvedimento lesivo e dalla consequenziale lesione della
sfera dei suoi personali interessi, ovverosia dal
24.07.2001, data di completamento dei lavori per la
realizzazione dell’abbaino e dell’altana e di percezione
della limitazione della luce e dell’aria per il proprio
edificio, e non dalla puntuale conoscenza e/o consapevolezza
soggettiva dei vizi che inficiavano il provvedimento
autorizzatorio (cfr. Consiglio Stato,VI, n. 1853/2008) con
la conseguenza della tardività del ricorso, proposto solo
nel mese di novembre 2003 (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 19.05.2011 n. 845 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Titolo edilizio - Annullamento - Art.
38, D.P.R. n. 380/2001 - Applicabilità solo nel caso di
annullamento per ragioni meramente formali - Sussiste.
L'art. 38, D.P.R. n. 380/2001 può trovare applicazione nel
solo caso di annullamento di titoli edilizi per ragioni
meramente formali e non sostanziali, giacché l'annullamento
del titolo, al parti del resto della sua mancanza
originaria, non può che determinare, quale ordinaria
conseguenza, la sanzione reale del ripristino dello stato
dei luoghi, quale strumento per garantire il rispetto della
legalità in materia edilizia e urbanistica (tratto da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 18.05.2011 n. 1279 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Qualora
in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato
acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere
va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del
suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui
il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni
formali o di tipo esclusivamente giuridico
In secondo luogo considera che
in base al principio del contrarius actus, qualora in
sede di rilascio della concessione edilizia sia stato
acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere
va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del
suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui
il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni
formali o di tipo esclusivamente giuridico (Consiglio Stato,
sez. IV, 31.03.2009, n. 1909).
Nel caso che occupa il provvedimento di autoannullamento
della concessione edilizia di cui trattasi è stato motivato
con richiamo a ragioni non formali e non di tipo
esclusivamente giuridico, essendo stato fatto riferimento ad
incoerenze formali e dimensionali delle tavole di elaborati
di progetto (risultanti da una relazione del consulente
tecnico della Procura della Repubblica presso la Pretura di
Lecco), quindi a regioni esclusivamente tecniche
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 12.05.2011 n. 2821 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Concessione di costruzione -
Annullamento e revoca - Annullamento parziale - Scindibilità
dell'opera - Sussiste.
2. Concessione di costruzione - Annullamento e revoca -
Annullamento d'ufficio - A distanza di tempo -
Contemperazione tra interesse pubblico e privato -
Necessità.
1.
L'annullamento parziale di una concessione edilizia
riconosciuta illegittima è ammissibile solo quando l'opera
autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere
oggetto di più distinti progetti e concessioni.
La ragione di tale principio è la stessa per cui il comune
può respingere o accogliere una domanda di concessione
edilizia, ma non modificare il progetto, non potendosi
imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul
quale ha chiesto la concessione.
2.
Il presupposto per un legittimo esercizio del potere di
annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non può
ridursi al ripristino della legalità, occorrendo dar conto
della sussistenza di un interesse pubblico attuale e
concreto alla rimozione del titolo edilizio e della
comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio
imposto all'interesse privato, tanto più quando il titolare
della concessione, in ragione del tempo decorso abbia
maturato un legittimo affidamento in merito alla
realizzazione delle opere, ovvero si sia in presenza della
realizzazione di una significativa parte delle opere
assentite (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 24.02.2011 n. 538 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
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ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
La figura dell’«invalidità caducante» (o
«travolgimento» o «effetto travolgente») si delinea
allorquando il provvedimento annullato in sede
giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire
in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed
imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il
certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge
automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore
specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e
specificamente collegati al provvedimento presupposto.
---------------
Per quanto sopra, sotto tale profilo, il permesso di
costruire conseguente l’accertamento di conformità ex art.
36 d. P.R. n. 380 del 2001 va annullato: ciò che –va
rilevato incidentalmente– si riflette sul successivo
provvedimento attestante l’agibilità dei locali n. 856 del
14.10.2008 (depositato in atti dalla difesa del Comune di
Licata in prossimità dell’udienza pubblica).
La figura dell’«invalidità caducante» (o «travolgimento»
o «effetto travolgente»), infatti, si delinea
allorquando il provvedimento annullato in sede
giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire
in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed
imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il
certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge
automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore
specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e
specificamente collegati al provvedimento presupposto (TAR
Sicilia-Palermo, Sez. III,
sentenza 05.08.2010 n. 9199 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Titolo abilitativo edilizio -
Annullamento in autotutela - Per la realizzazione di
difformità rispetto al titolo assentito - Illegittimità -
Presupposti dell’esercizio del potere di autotutela -
Esistenza di un vizio di legittimità originario.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere
di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di
provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti
provvedimenti, è, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n.
241/1990, l’esistenza e l’acclaramento di un vizio di
legittimità originario che affligga il provvedimento oggetto
dell’autotutela decisoria.
Laddove, invece, il provvedimento sia e rimanga
all’attualità del tutto legittimo, l’eventuale contegno del
privato che sostanzi una difformità esecutiva rispetto al
contenuto delle facoltà concesse con il provvedimento, può
rilevare unicamente ai fini del’adozione di misure
sanzionatorie repressive (nella specie, procedimento
sanzionatorio ex artt. 31 e ss. d.P.R. n. 380/2001, per la
realizzazione di difformità rispetto al titolo abilitativo
edilizio legittimamente assentito) (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 07.05.2010 n. 2356 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
di ufficio presuppone una congrua
motivazione sull'interesse pubblico attuale
e concreto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
una adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell'interesse dei
destinatari dell'atto al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono
consolidate e del conseguente affidamento
derivante dal comportamento seguito
dall'amministrazione.
Tale principio ha trovato da ultimo
esplicito riscontro normativo nell'art. 14
della legge n. 15 del 2005, con il quale è
stato introdotto l'art. 21-nonies della
legge n. 241 del 1990.
---------------
Il tempo successivo alla comunicazione di
avvio del procedimento di riesame della
validità della concessione edilizia deve
ritenersi utile alla formazione di un
legittimo affidamento in capo al privato
titolare della medesima [nella fattispecie,
la stessa sua abnormità ossia circa 14 mesi
a fronte del termine legislativamente
fissato in 30 giorni dall’art. 2 della legge
n. 241/1990 nella versione ratione temporis
applicabile alla fattispecie) rispetto al
brevissimo termine (15 giorni) dato al
privato stesso con detta comunicazione per
la presentazione di memorie scritte, è
indubbiamente valsa a rafforzare man mano,
col trascorrere del tempo successivo alla
scadenza del termine assegnato al privato
per la utile partecipazione al procedimento,
tale affidamento circa il consolidamento
della propria posizione giuridica e dunque
circa il mantenimento di validità ed
efficacia del provvedimento ampliativo della
sua sfera giuridica].
---------------
L'emanazione di un provvedimento di
carattere autoritativo, ovverosia in caso di
esercizio del potere di autotutela, è potere
tipicamente discrezionale della Pubblica
amministrazione, che non ha alcun obbligo di
attivarlo e, qualora intenda farlo, deve
valutare la sussistenza o meno di un
interesse che giustifichi la rimozione
dell'atto, valutazione della quale essa sola
è titolare e che non può ritenersi dovuta
nel caso di una situazione già definita con
provvedimento inoppugnabile.
---------------
Sull'argomento v’è, invero, da osservare che
questo Collegio si è già pronunciato su
fattispecie del tutto analoghe relative a
provvedimenti di annullamento d’ufficio di
concessioni edilizie posti in essere dallo
stesso Comune di Marino per gli stessi
motivi ed in epoca coeva a quella dell’atto
oggetto del presente giudizio, statuendo,
con motivazioni e conclusioni del tutto
pertinenti al caso di specie (v, per tutte,
Cons. St., IV, 21.12.2009, n. 8526),
che l'annullamento di ufficio presuppone una
congrua motivazione sull'interesse pubblico
attuale e concreto a sostegno dell'esercizio
discrezionale dei poteri di autotutela, con
una adeguata ponderazione comparativa, che
tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle
posizioni, che su di esso si sono
consolidate e del conseguente affidamento
derivante dal comportamento seguito
dall'amministrazione (cfr. Cons. St., sez.
VI, 14/10/2004, n. 6656).
È appena il caso di soggiungere che tale
principio, già enunciato dalla
giurisprudenza amministrativa (invero già
la risalente sentenza del Cons. St., VI, 24.12.1982, n. 721 affermava il
principio, secondo cui la rimozione degli
atti amministrativi illegittimi non deve
pregiudicare l’interesse, cedevole solo a
fronte di un più grave interesse pubblico,
di chi sugli effetti di quell’atto abbia
fatto affidamento), ha trovato da ultimo
esplicito riscontro normativo nell'art. 14
della legge n. 15 del 2005, con il quale è
stato introdotto l'art. 21-nonies della
legge n. 241 del 1990.
---------------
Quanto,
poi, al legittimo affidamento maturato nel
destinatario del titolo abilitativo in
relazione al tempo intercorso dal rilascio
del titolo illegittimo (e che occorra a tal
fine far riferimento, quale momento iniziale
di tale periodo giuridicamente rilevante,
alla data di rilascio dello stesso e non
invece, come pretende l’appellante senza
peraltro nemmeno individuarla, a quella di
inizio lavori, non v’è, a parere del
Collegio, alcun dubbio, dal momento che è la
concessione edilizia in quanto tale –e non
certo l’inizio lavori, ch’è in facoltà del
concessionario individuare in assoluta
autonomia nel termine assegnatogli dalle
condizioni apposte alla concessione stessa–
a rappresentare il bene della vita, che,
entrato al momento stesso del rilascio nella
sfera patrimoniale e, trattandosi qui di
soggetto imprenditoriale,
economico-organizzativa dell’impresa, ne
viene poi espunto con l’atto di annullamento), un chiaro difetto di motivazione si
rileva nel provvedimento oggetto del
presente giudizio, siccome adottato
dall’Amministrazione nell’esercizio del
potere di annullamento, laddove la
frustrazione dell’affidamento ingenerato in
capo al destinatario non risulta in alcun
modo presa in considerazione
dall’Amministrazione, nemmeno per affermare
in ipotesi che nessuna situazione di
affidamento fosse da ponderarsi ai fini
della necessaria comparazione dell’incisione
delle posizioni in rilievo (v. Cons. St., VI,
04.12.2006, n. 7102 ).
Sotto questo profilo, l’affermazione della
difesa dell’appellante, secondo cui “il
lasso di tempo intercorso tra la
comunicazione di inizio lavori e la
comunicazione di avvio del procedimento”
dovrebbe ritenersi “non sufficiente a
ritenere maturato in capo al concessionario
un legittimo affidamento della validità
della concessione tale da rendere non più
possibile l’annullamento”, deve
considerarsi, ancor prima che infondata,
inammissibile, giacché indebitamente integra
in sede giurisdizionale, con motivazione
postuma e dunque nuova, il decisivo profilo
motivazionale del provvedimento impugnato,
per rimediare ad indubitabili carenze dello
stesso.
Vero è, comunque, che l’affidamento
dell’interessato non è stato affatto
valutato dal Comune nell’esercizio del
potere di autotutela e che, pur consapevole
dell’esigenza dell’individuazione del giusto
punto di equilibrio tra il diritto del
cittadino alla tutela dell’affidamento in
lui ingenerato dal rilascio del titolo e dal
successivo trascorrere del tempo in assenza
di provvedimenti inibitori dell’attività
edilizia assentita e la necessità per il
potere pubblico di esercitare la propria
discrezionalità tecnica nel procedimento di
riesame mediante un adeguato iter
istruttorio, il Collegio non può non
considerare abnorme, anche in considerazione
della non particolare complessità
quali-quantitativa dell’istruttoria
risultante dagli atti, il provvedimento di
annullamento di cui si discute, nella misura
in cui è intervenuto, come sopra rilevato,
circa 29 mesi dopo il rilascio dell’atto
annullato (quando i relativi lavori erano
terminati da quasi quattro mesi) e 14 mesi
dopo la relativa comunicazione di avvio del
procedimento di riesame.
Né può condividersi l’assunto
dell’Amministrazione, secondo cui non
rileverebbe, ai fini della valutazione
dell’affidamento del privato, “il tempo
decorso successivamente alla comunicazione
dell’avvio del procedimento” (ch’è proprio
quello, peraltro, che risulta invece
determinante, ad avviso del Collegio, ai
fini della veduta qualificazione di
abnormità), atteso che, in assenza
dell’esercizio da parte
dell’Amministrazione, in un momento
contestuale o successivo a detta
comunicazione, di qualsivoglia potere
cautelare (riconosciuto in via generale
dalla giurisprudenza ancor prima del
riconoscimento normativo poi operatone dal
comma 2 dell’art. 21-quater della legge n.
241/1990, previsto inoltre nella specifica
materia del governo del territorio dagli
artt. 27 e 39 del D.P.R. n. 327/2001 sub
specie “sospensione lavori” e del tutto incongruamente qui esercitato dal Comune
solo contestualmente al provvedimento di
annullamento, quando i lavori erano da tempo
terminati), alla comunicazione stessa non
può che riconoscersi la sola funzione sua
propria di assicurare all’interessato la
partecipazione al procedimento
amministrativo e non certo quella ulteriore,
che incongruamente il Comune pretende di
attribuirle, di affievolire il suo
affidamento sulla legittimità della
concessione, assistita da presunzione di
validità fino al suo annullamento, una volta
che nemmeno l’Amministrazione abbia ritenuto
di sospenderne tempestivamente, con gli
strumenti datile dall’ordinamento,
l’efficacia.
Non solo, dunque, a differenza di quanto
sostenuto dall’appellante, il tempo
successivo alla comunicazione di avvio del
procedimento di riesame della validità della
concessione edilizia deve ritenersi utile
alla formazione di un legittimo affidamento
in capo al privato titolare della medesima,
ma la stessa sua abnormità (nella
fattispecie circa 14 mesi a fronte del
termine legislativamente fissato in 30
giorni dall’art. 2 della legge n. 241/1990
nella versione ratione temporis applicabile
alla fattispecie) rispetto al brevissimo
termine (15 giorni) dato al privato stesso
con detta comunicazione per la presentazione
di memorie scritte, è indubbiamente valsa a
rafforzare man mano, col trascorrere del
tempo successivo alla scadenza del termine
assegnato al privato per la utile
partecipazione al procedimento, tale
affidamento circa il consolidamento della
propria posizione giuridica e dunque circa
il mantenimento di validità ed efficacia del
provvedimento ampliativo della sua sfera
giuridica.
Né il privato medesimo, come pure
erroneamente sostiene l’Amministrazione, in
quanto “avvisato del rischio di un eventuale
annullamento”, per “avere certezza della sua
situazione giuridica soggettiva”, avrebbe
dovuto “mettere in mora l’amministrazione
per una conclusione tempestiva del
procedimento” ( pag. 7 app. ).
Se, infatti, da un lato la pubblica
amministrazione ha l’obbligo di portare a
compimento i procedimenti amministrativi con
un’azione definita tanto nei modi dalle
varie disposizioni che regolano il
procedimento amministrativo in generale e le
singole fattispecie di procedimento (in
relazione a quello ch’è al tempo stesso il
suo atto conclusivo ed il fine espresso per
il quale il procedimento stesso è stato
instaurato) quanto nei tempi concessi per
la sua definizione (art. 2 della legge n.
241/1990) e dall’altro al soggetto, che a
tale definizione sia interessato, è concesso
di attivare la procedura per la rimozione
dell’inerzia amministrativa con il nuovo
rito previsto dall’art. 2 della legge n.
205/2000, comunque le procedure e gli
strumenti di tutela previsti
dall'ordinamento contro l'inerzia
dell'amministrazione si riferiscono invero
ai casi, nei quali sia riscontrabile
l'inadempimento da parte dell'autorità ad un
obbligo di provvedere sulla istanza del
privato tendente a sollecitare l'esercizio
di un pubblico potere e, quindi,
l'emanazione di un provvedimento di
carattere autoritativo; per cui si palesa
evidente la insussistenza di tali
presupposti in caso di esercizio del potere
di autotutela, ch’è potere tipicamente
discrezionale della Pubblica
amministrazione, che non ha alcun obbligo di
attivarlo e, qualora intenda farlo, deve
valutare la sussistenza o meno di un
interesse che giustifichi la rimozione
dell'atto, valutazione della quale essa sola
è titolare e che non può ritenersi dovuta
nel caso di una situazione già definita con
provvedimento inoppugnabile.
Dato, peraltro, che la certezza delle
situazioni giuridiche definite è essa stessa
un bene irrinunciabile, posto a tutela dei
cittadini (Cons. St., VI, 01.04.1992, n.
201), la stessa non può certo considerarsi
attenuata, come già detto, da una mera
comunicazione di avvio del procedimento
inteso all’adozione di provvedimenti di
annullamento o di modifica di precedenti
determinazioni, una volta che dal concreto
svolgersi del procedimento stesso il privato
abbia buoni motivi di evincere l’abbandono,
da parte della P.A., della volontà di
provvedere nuovamente, sacrificando il suo
interesse al mantenimento dell’efficacia del
provvedimento, sul rapporto come delineato
dal provvedimento stesso; e ciò in ragione
dell’evidente irragionevolezza di un
intervento di tal fatta in relazione al
tempo che va trascorrendo rispetto al
momento in cui, in forza proprio di quel
provvedimento, la sua sfera giuridico-patrimoniale s’è arricchita di un
bene nuovo, come pure in ragione del palese
contrasto con i principi di ragionevolezza,
proporzionalità e correttezza dell’azione
amministrativa di un atto di ritiro, che
sopraggiunga 14 mesi dopo l’inizio del
relativo procedimento, senza, peraltro,
recare né i “segni” di una istruttoria
particolarmente laboriosa e ponderosa, né,
come s’è visto, la puntuale esternazione (con adeguata motivazione della scelta
effettuata) delle ragioni, per le quali si
ritiene prevalente l’interesse pubblico e
recessivo quello privato.
Ne deriva che l’affidamento maturato in capo
all’odierna appellata in relazione al
rilascio della concessione edilizia poi
annullata non presenta margini di incertezza
sufficientemente apprezzabili, rilevando
semmai il mancato utilizzo, da parte
dell’interessato, della facoltà di
sollecitare l’Amministrazione alla
conclusione del procedimento di riesame, più
che sulla legittimità del provvedimento
alfine adottato all’ésito del procedimento
stesso, in un’eventuale sede risarcitoria,
estranea all’oggetto del presente giudizio
come risultante dalla devoluzione operatane
con l’atto di appello.
Quanto, poi, alla verifica, richiesta al
Giudice di legittimità, della correttezza
della valutazione effettuata
dall’Amministrazione circa la sussistenza di
elementi ulteriori rispetto a quello della
mera illegittimità dell’atto da eliminare,
essa va in ogni caso compiuta sulla base
dell’effettiva e specifica situazione
creatasi a séguito del rilascio dell’atto
abilitativo e della situazione, che si
determina a séguito del suo ritiro.
Una simile valutazione risulta nel caso di
specie viziata, come correttamente rilevato
dal TAR, in ordine alla omessa
considerazione, da parte
dell’Amministrazione, in sede di adozione
dell’atto di ritiro, della “incidenza
specifica dell’immobile in questione sulla
vivibilità e funzionalità dell’intero
insediamento abitativo, anche in
considerazione dell’imminente approvazione,
da parte dell’Autorità regionale, della
nuova Variante Generale al P.R.G. adottata
dal Comune di Marino con deliberazione
consiliare n. 62 del 24.11.2000, in
base alla quale l’intervento realizzato
dalla ricorrente doveva ritenersi pienamente
rispondente agli indici di fabbricabilità
ivi contemplati” (pag. 7 sent.).
Ciò non significa, si badi, che il tecnico
chiamato a verificare la conformità
urbanistica dell’intervento già assentito e
la sussistenza delle condizioni per
l’annullamento dell’atto abilitativo avrebbe
dovuto (illegittimamente, come ha buon
gioco ad affermare l’odierno appellante)
“anticipare gli effetti del nuovo e non
ancora approvato P.R.G.” (pag. 8 app.).
Ciò significa invece, piuttosto, che
l’intervenuta adozione di una variante al
P.R.G., nella quale incontestatamente le
nuove norme prevedono il solo intervento
diretto per la sottozona in questione,
all’uopo riprendendo l’indice fondiario da
quello della Tabella “A” delle norme
tecniche del vigente P.R.G. (e quindi
proprio l’indice, di cui è stata fatta
applicazione in sede di rilascio della
concessione edilizia oggetto del qui
controverso atto di annullamento), doveva
portare logicamente l’organo agente in
autotutela ad escludere la intervenuta
menomazione, per effetto dell’effettuato
rilascio della concessione edilizia pur
pacificamente illegittima, di interessi
(nella fattispecie quello ad “un adeguato
apporto di standard urbanistici”, che
l’illegittimo “incremento volumetrico
verrebbe inevitabilmente a compromettere in
modo irreparabile”: così, come s’è visto, la
motivazione del provvedimento oggetto del
giudizio), che lo stesso Comune, con lo
strumento di una Variante al piano in corso
di approvazione (che sarebbe poi
intervenuta circa un mese dopo l’adozione
dell’atto di ritiro di cui si tratta e che
deve ritenersi assistita, in virtù del
regime di pubblicità che la
contraddistingue, dal carattere della
notorietà), laddove, al secondo comma
dell’art. 30 delle nuove NN.TT.A.,
stabilisce che “la variante generale
conferma i caratteri edilizi consolidati con
l’attuazione del vigente P.R.G.” e laddove
conseguentemente (come s’è già detto)
prevede il solo intervento diretto per le
sottozone “B4” e “B5” con un indice
fondiario pari a quello applicato per il
rilascio della concessione edilizia
annullata, ha ritenuto invece recessivi o
comunque adeguatamente soddisfatti dagli standards urbanistici esistenti.
Ne risulta, in definitiva, una valutazione
della sussistenza di un interesse pubblico
concreto ed attuale all’adozione dell’atto
di ritiro (che, si ricorda, dev’essere
diverso dal mero ripristino della legalità),
illogica e contraddittoria rispetto alla
valutazione dello stesso interesse pubblico
compiuta in sede di nuove scelte di
pianificazione urbanistica; e se ciò non
vale certo a rendere dette scelte
applicabili alla fattispecie relativa alla
pratica edilizia de qua (che si sottrae
ratione temporis alla loro operatività, sì
che esse rilevano, come correttamente deduce
il Comune, per un eventuale accertamento di
conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001), siffatta incongruità rende l’atto di
ritiro stesso, anche in relazione al già
veduto lasso di tempo trascorso dal rilascio
della concessione edilizia oggetto di
annullamento ed alla intervenuta pacifica
esecuzione dei relativi lavori, inidoneo a
giustificare il sacrificio del contrapposto
interesse privato.
Detto sacrificio, peraltro, non risulta
nemmeno legittimato da una adeguata attività
istruttoria quanto all’affermata mancanza,
posta nell’atto di ritiro a supporto della
ritenuta compromissione ad opera
dell’illegittima concessione edilizia di “un
sufficiente grado di funzionalità e
vivibilità dell’attuale insediamento
abitativo” (così, sempre, la veduta
motivazione), di “un adeguato supporto di
standard urbanistici”.
Per escludere, invero, l’applicazione delle
direttive impartite con la propria
precedente deliberazione n. 50 in data 29.10.2001, lo stesso Consiglio Comunale,
con la successiva deliberazione n. 45/2003,
riteneva necessarie “puntuali verifiche in
mérito alla esistenza delle opere di
urbanizzazione nella qualità e nella
quantità previste dalle N.T.A. del vigente
P.R.G. per le zone B”.
Se è vero, dunque, che il P.R.G. stabilisce
un diverso indice fondiario a seconda
dell’intervenuta adozione o meno di Piani
Particolareggiati ovvero di Piani di
Lottizzazione Convenzionati e se è
altrettanto vero che la valutazione del
grado di urbanizzazione dell’area va
effettuata in relazione alla adeguatezza e
fruibilità delle opere di urbanizzazione
medesime tenuto conto sia della consistenza
dell’intervento di cui si tratti sia della
situazione esistente dell’intera zona (il
che vale ad escludere che il dovuto
accertamento possa ritenersi, come pretende
in questa sede l’appellante peraltro in
contrasto con le precedenti vedute sue
determinazioni, contenuto nelle stesse
norme tecniche di attuazione del P.R.G.
allora vigente), la prova rigorosa della
non esistenza e non sufficienza delle opere
di urbanizzazione, quale elemento
imprescindibile dell’istruttoria del
procedimento di cui si tratta, spetta
indubbiamente all’Amministrazione.
Orbene, proprio in relazione a tale
valutazione in concreto (come s’è visto)
ritenuta necessaria dallo stesso organo di
indirizzo politico-amministrativo deve
notarsi come né il provvedimento oggetto del
giudizio, né gli atti della relativa
istruttoria ed in particolare la relazione
del Responsabile del Procedimento), non
illustrino per nulla l’accertamento
effettuato in ordine alla esistenza o meno
di dette opere con particolare riferimento
alla loro consistenza ed eventuale
insufficienza a sopportare l’incremento del
carico urbanistico discendente
dall’intervento illegittimamente assentito;
e ciò a maggior ragione, in presenza di una
pregressa valutazione, da parte del
Consiglio Comunale, in sede di adozione
delle predette nuove scelte pianificatòrie (pur non direttamente rilevanti, come già
detto, nel procedimento di cui si tratta),
di sostanziale sufficienza degli standards
urbanistici nella sottozona de qua.
Né è condivisibile il ribaltamento dell’onere
della prova, che l’Amministrazione tenta in
proposito di operare nell’atto di appello.
Occorre invero notare che il fatto, di cui
deve dare in tal caso prova la pubblica
amministrazione, è un fatto negativo (ossia
la mancanza di un determinato elemento,
assunta a presupposto della valutazione
dell’interesse pubblico posto a base
dell’atto impugnato); e la relativa prova
non può che essere riportata all’interno
dell’obbligo generale incombente
sull’Amministrazione di acquisizione
completa dei fatti (con correlato onere di
trasparenza ed accessibilità) nella sede
procedimentale, la cui funzione ordinatrice
(essendo il procedimento strumento di
affermazione del principio di conformità
dell'azione, attribuendo significato
all'attività amministrativa, in seno alla
quale la fattispecie legale è destinata a
realizzarsi: Cons. St., IV, 21.10.2008,
n. 5154) rende rilevanti, sotto il profilo
della produzione degli effetti definitivi
che il provvedimento conclusivo è destinato
a produrre, tutti quegli atti ("materiale
amministrativo"), che sono stati utilizzati
a tal fine e che comunque incidono sul
risultato finale.
Una volta, sulla base delle considerazioni
di cui sopra, accertata l’illegittimità del
provvedimento di ritiro di cui si tratta per
la mancanza di idonea specifica motivazione
atta a dimostrare le ragioni che lo
sostengono, non può trovare infine nemmeno
adesione l’invocato richiamo, effettuato
dall’Amministrazione nell’atto di appello,
al disposto dell’art. 21-octies della legge
n. 241/1990.
Avendo, invero, il provvedimento, di cui
all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990,
carattere tipicamente discrezionale (Cons.
St., V, 07.01.2009, n. 17),
l’Amministrazione, al fine di escludere
l’effetto invalidante del vizio
procedimentale ai sensi dell’art. 21-octies,
comma 2, della stessa legge, ha l’onere di
dimostrare che, anche alla luce della
comparazione con gli affidamenti ingenerati
e di una completa valutazione delle
posizioni antagoniste, la determinazione di
ritiro sia l’unico sbocco decisionale
possibile a séguito del riscontro della
illegittimità dell’atto oggetto di ritiro.
Orbene, una tale dimostrazione manca del
tutto nelle deduzioni dell’appellante, che
pone a base della affermata “evidenza” circa
un non possibile diverso ésito del
procedimento:
- il “palese ed accertato contrasto della
concessione annullata con le norme di piano
regolatore indicate nel provvedimento”,
dimenticando che non è qui in discussione la
sussistenza o meno di siffatto “contrasto”,
quanto, piuttosto, la necessità che,
nell’ipotesi in cui la legittimità
dell'opera edilizia dipenda da valutazioni
discrezionali e di merito tecnico che
possono mutare nel tempo, il potere di
autotutela risulti opportunamente coordinato
con il principio di certezza dei rapporti
giuridici e di salvaguardia del legittimo
affidamento del privato nei confronti
dell'attività amministrativa (Cons. St., IV,
25.01.2008, n. 5811);
- “il parere del tecnico comunale del 17.10.2003, in cui vengono evidenziate in
maniera dettagliata le necessità
urbanistiche dell’area”: parere, questo,
che, come s’è visto, si configura invero
come atto infraprocedimentale privo di
qualsivoglia riferimento alla necessaria e
ponderata valutazione comparativa degli
interessi contrapposti in considerazione e
privo altresì di una accettabile, concreta e
compiuta verifica quanto a quella asserita
mancanza di “adeguato supporto di standard
urbanistici”, che il provvedimento
conclusivo assume come presupposto
dell’interesse pubblico, posto a base del
provvedimento stesso, alla non
compromissione del “già precario assetto urbanistico-edilizio della zona B4
interessata”;
- il “fatto che lo stesso TAR Lazio, in
altre vicende similari, riguardanti sempre
il Comune di Marino ed ambiti omogenei di
P.R.G. equivalenti a quelli in esame, ha
ritenuto invece di non annullare i
provvedimenti di annullamento in autotutela
proprio perché è stata riconosciuta
l’insufficienza degli standard per cui è
causa”: assunto, questo, che pretende
indebitamente di porre a supporto del
procedimento di cui si tratta pronunce
giurisprudenziali ad esso estranee e
successive, peraltro nemmeno passate in
giudicato e comunque facenti stato, com’è
noto, solo tra le parti, che risultano
diverse da quelle del procedimento di
autotutela, di cui si tratta.
L’Amministrazione, insomma, neanche nella
sede giudiziaria è stata in grado di
dimostrare l’ineluttabilità del contrastato
provvedimento mediante la puntuale
esplicitazione o di ragioni già emergenti
dall’istruttoria e rimaste inespresse, o di
accertamenti nel corso della stessa
effettuati e suscettibili di caratterizzare
il provvedimento stesso come necessitato, o
di richiami normativi prima non risultanti
dal provvedimento, ovvero di nuove,
adeguate, giustificazioni sottese alla
scelta discrezionale compiuta con l’atto; il
che vale, in definitiva, ad escludere
l’applicabilità, nella fattispecie,
dell’art. 21-octies, comma 2, seconda parte,
della legge n. 241 del 1990.
L’appello, in definitiva, è da
respingere (Consiglio
di Stato, Sez. IV,
sentenza 16.04.2010 n. 2178 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Permesso
di costruire. Conformità al vigente P.R.G..
E’ chiesto parere in merito ai possibili
rimedi esperibili da un Comune che abbia
rilasciato un permesso di costruire sulla
base di un erroneo presupposto, consistente
in un elaborato progettuale risultato non
conforme al vigente P.R.G.
(Regione Piemonte,
parere 44/2009 -
tratto da www.regione.piemonte.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il
provvedimento di annullamento di ufficio di
una concessione edilizia deve essere
adeguatamente motivato in ordine
all’esistenza dell’interesse pubblico,
specifico e concreto, che giustifica il
ricorso all’autotutela anche in ordine alla
prevalenza del predetto interesse pubblico
su quello antagonista del privato.
Detto orientamento
ha trovato, tra l’altro, conferma nelle
recenti disposizioni della Legge n. 15 del
2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla
Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica
annullamento di ufficio: ogni procedimento
deve essere espressione di una congrua
valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, di cui si deve dare atto nel
proprio corredo motivazionale.
Per contro, anche il provvedimento di
annullamento di ufficio di una concessione
edilizia deve essere adeguatamente motivato
in ordine all’esistenza dell’interesse
pubblico, specifico e concreto, che
giustifica il ricorso all’autotutela anche
in ordine alla prevalenza del predetto
interesse pubblico su quello antagonista del
privato (cfr. ex multis, Tar Sicilia,
Catania, sez. I, 03.10.2005, n.1529; Tar
Basilicata, 10.05.2005, n. 299; Tar
Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar Trentino Alto Adige,
Trento, 02.01.2007, n. 4; Cons. Stato,
sez. V, 01.03.2003, n. 1150; idem, sez. V,
12.10.2004, n. 6554).
Detto orientamento
ha trovato, tra l’altro, conferma nelle
recenti disposizioni della Legge n. 15 del
2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla
Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica
annullamento di ufficio: ogni procedimento
deve essere espressione di una congrua
valutazione comparativa degli interessi in
conflitto, di cui si deve dare atto nel
proprio corredo motivazionale (cfr. Tar
Campania, Napoli, sez. II, 12.02.2007,
n. 1003; Tar Marche, sez. I, 14.02.2007, n. 34; Cons. Stato, sez. IV,
31.10.2006, n. 6465) (TAR Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 13.02.2009 n. 799 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
L’annullamento d’ufficio di
concessione edilizia non necessita di
specifica motivazione sul pubblico
interesse, specie se sia disposto in
considerazione della natura permanente del
contrasto con lo strumento urbanistico e
soprattutto se interviene dopo un breve
lasso di tempo dal rilascio dei titoli senza
che l’edificazione sia stata ultimata.
Invero, secondo consolidata giurisprudenza,
l’annullamento d’ufficio di concessione
edilizia non necessita di specifica
motivazione sul pubblico interesse, specie
se sia disposto in considerazione della
natura permanente del contrasto con lo
strumento urbanistico e soprattutto se
interviene dopo un breve lasso di tempo dal
rilascio dei titoli senza che l’edificazione
sia stata ultimata (cfr. Cons. Stato, V
Sez., n. 211/1997; n. 1567/1995 e n.
187/1995) (Nel caso de quo, l’intervallo
temporale fra rilascio della concessione ed
intervento di autotutela va letto tenendo
della sospensione temporale operata dal
provvedimento di sequestro dell’area)
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.10.2007 n. 5601 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Allorquando
l’annullamento in autotutela della
concessione edilizia da parte del Comune
viene disposto non per ragioni prettamente
urbanistiche, ma, doverosamente, in
conseguenza di un provvedimento di
annullamento ministeriale del nulla-osta
paesaggistico, l’interesse pubblico
all’annullamento è in re ipsa per l’assoluta
preminenza dei valori di rango
costituzionale (Cfr. art. 9 Cost.) sottesi
ad entrambi gli atti di autotutela posti in
essere.
---------------
L'annullamento, in autotutela, di una
concessione edilizia non deve essere
preceduto dal parere della Commissione
edilizia nel caso in cui il provvedimento
sia sorretto unicamente da valutazioni
logico-giuridiche (come quando si renda
necessario adeguarsi all’annullamento
ministeriale del nulla-osta paesaggistico) e
non anche e solo da valutazioni di ordine
tecnico-edilizio.
Secondo la giurisprudenza il parere della
commissione comunale edilizia non è
necessario per la revoca di una licenza
edilizia laddove non venga richiesto alcun
apprezzamento tecnico di competenza
dell'organo consultivo ed il provvedimento
di autotutela venga adottato per ragioni
strettamente giuridiche.
Quanto
all’ulteriore argomento secondo cui a
distanza di sette anni dalla realizzazione
delle opere occorrerebbe un adeguata
motivazione circa la sussistenza di un
interesse pubblico attuale ad operare
l’annullamento in sede di autotutela,
considerando anche il consolidamento delle
situazioni giuridiche degli interessati,
basterà rilevare che, allorquando
l’annullamento in autotutela della
concessione edilizia da parte del Comune
viene disposto non per ragioni prettamente
urbanistiche, ma, doverosamente, in
conseguenza di un provvedimento di
annullamento ministeriale del nulla-osta
paesaggistico, l’interesse pubblico
all’annullamento è in re ipsa per l’assoluta
preminenza dei valori di rango
costituzionale (Cfr. art. 9 Cost.) sottesi
ad entrambi gli atti di autotutela posti in
essere.
---------------
Infondata,
quindi, è anche l’ultima censura atteso che
l'annullamento, in autotutela, di una
concessione edilizia non deve essere
preceduto dal parere della Commissione
edilizia nel caso in cui il provvedimento
sia sorretto unicamente da valutazioni
logico-giuridiche (come quando si renda
necessario adeguarsi all’annullamento
ministeriale del nulla-osta paesaggistico) e
non anche e solo da valutazioni di ordine
tecnico-edilizio.
Secondo la giurisprudenza il parere della
commissione comunale edilizia non è
necessario per la revoca di una licenza
edilizia laddove non venga richiesto alcun
apprezzamento tecnico di competenza
dell'organo consultivo ed il provvedimento
di autotutela venga adottato per ragioni
strettamente giuridiche (TAR Sicilia
Catania, 29.12.1981, n. 639) (TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 10.04.2007 n. 3193 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2006 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
Il provvedimento di
annullamento o di revoca di una concessione edilizia,
costituendo attività discrezionale della pubblica
amministrazione, deve essere congruamente motivato in ordine
alla specifica esigenza dell’eliminazione di un pregiudizio
attuale ad un pubblico bene.
Il mero richiamo a norme secondarie, che si assumono violate
e all’interesse pubblico che si assume sacrificato, non
costituiscono sufficiente motivazione a fronte
dell’interesse del privato.
Il Collegio procede quindi ad
esaminare la seconda parte del secondo motivo di ricorso,
con la quale il ricorrente lamenta che il Comune non abbia
in alcun modo motivato circa l’interesse pubblico ulteriore
rispetto l’interesse del ricorrente, previa comparazione tra
le due situazioni, e ravvisa fondata la doglianza.
Basta leggere l’atto di ritiro impugnato per avvedersi che
manca del tutto la motivazione circa l’interesse pubblico
concreto ed attuale ulteriore rispetto al mero ripristino
della legalità violata.
Con sentenza n. 1103 del 01.07.2003 questa stessa Sezione ha
avuto modo di affermare che “il provvedimento di
annullamento o di revoca di una concessione edilizia,
costituendo attività discrezionale della pubblica
amministrazione, deve essere congruamente motivato in ordine
alla specifica esigenza dell’eliminazione di un
pregiudizio attuale ad un pubblico bene…. Il mero richiamo a
norme secondarie, che si assumono violate e all’interesse
pubblico che si assume sacrificato, non costituiscono
sufficiente motivazione a fronte dell’interesse del
privato…..”.
Il principio posto dalla Sezione va riaffermato: anche nel
caso in questione è mancata la valutazione dell’interesse
privato che si andava a sacrificare con l’atto di ritiro
impugnato, ed è del pari mancata la necessaria motivazione
specifica circa l’interesse pubblico concreto ed attuale
ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della
legalità (che si assume violata).
Ne consegue l’illegittimità anche sotto tale profilo
dell’atto di annullamento impugnato, che viene quindi
annullato (TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 25.10.2006 n. 1960 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
della concessione risulta giustificato
dalla necessità di applicazione di norme
volte a tutelare interessi pubblici, quali
quelle relative alla distanza tra
fabbricati, che essendo inderogabili
rendono sostanzialmente vincolata
l’iniziativa assunta dal Comune.
Il quarto motivo è volto a riproporre le
doglianze in ordine alla asserita
inesistenza di un interesse pubblico
concreto e attuale alla eliminazione
dell'atto concessorio, prevalente sul
contrapposto interesse del privato.
A tali argomentazioni è agevole replicare
che, nel caso di specie, come espressamente
indicato nel provvedimento impugnato,
l'annullamento della concessione risultava
giustificato dalla necessità di applicazione
di norme volte a tutelare interessi
pubblici, quali quelle relative alla
distanza tra fabbricati, che essendo
inderogabili rendevano sostanzialmente
vincolata l’iniziativa assunta dal Comune
(cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.07.2002, n.
3929) (Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 26.05.2006 n. 3201 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: Allorquando
un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato
ottenuto dall’interessato in base ad una falsa
rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla
Pubblica Amministrazione di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente “in re ipsa”.
Ove si consideri, poi, che –al fine precipuo di conseguire
l’autorizzazione commerciale n. 786 del 1987– il legale
rappresentante della S.r.l. .... ha falsamente dichiarato e
documentato che il predetto locale disponeva, invece, di una
superficie di vendita di 500 mq., si rivela manifestamente
priva di pregio giuridico la principale censura prospettata
in ricorso incentrata sulla dedotta carente individuazione,
nella motivazione del provvedimento di annullamento,
dell’esistenza di un interesse pubblico specifico e concreto
(diverso da quello al mero ripristino della legalità
violata) idoneo a giustificare l’esercizio della potestà di
autotutela.
E’ noto, infatti, che –secondo l’insegnamento
giurisprudenziale prevalente e condiviso dal Tribunale–
allorquando (come nella fattispecie concreta de qua)
un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato
ottenuto dall’interessato in base ad una falsa
rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla
Pubblica Amministrazione di esercitare il proprio potere di
autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di
esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse,
che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente “in re
ipsa” (ex multis: TAR Emilia Romagna, Bologna, II
Sezione, 10.06.2002 n. 854)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. I,
sentenza 04.04.2006 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2005 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Non
appare neppure condivisibile l’ultima
censura dedotta in ricorso e cioè la
mancanza dell’interesse pubblico
all’annullamento della rilasciata
concessione in variante, dal momento che,
oramai per giurisprudenza costante, va
ritenuto che quando il provvedimento di
autotutela si basa sul contrasto dell’opera
da realizzare con gli strumenti urbanistici
l’interesse pubblico all’annullamento è in
re ipsa e non è necessaria una specifica
motivazione al riguardo.
Oltre tutto il breve lasso di tempo
intercorso tra il rilascio della concessione
e il suo annullamento (circa sei mesi),
peraltro rilevato dalla motivazione del
provvedimento stesso laddove si specifica
che non sono neppure iniziati i lavori di
costruzione, essendo limitati ad un parziale
sbancamento, impedisce che si siano
consolidate posizioni soggettive anche di
affidamento sì da rendere necessaria una
precisa e puntuale motivazione in ordine al
detto interesse pubblico.
Non appare neppure condivisibile l’ultima
censura dedotta in ricorso e cioè la
mancanza dell’interesse pubblico
all’annullamento della rilasciata
concessione in variante, dal momento che,
oramai per giurisprudenza costante, va
ritenuto che quando il provvedimento di
autotutela si basa sul contrasto dell’opera
da realizzare con gli strumenti urbanistici
l’interesse pubblico all’annullamento è
in re ipsa e non è necessaria una
specifica motivazione al riguardo (TAR
Veneto, sez. II, 09.10.2003, n. 5227).
Oltre tutto il breve lasso di tempo
intercorso tra il rilascio della concessione
e il suo annullamento (circa sei mesi),
peraltro rilevato dalla motivazione del
provvedimento stesso laddove si specifica
che non sono neppure iniziati i lavori di
costruzione, essendo limitati ad un parziale
sbancamento, impedisce che si siano
consolidate posizioni soggettive anche di
affidamento sì da rendere necessaria una
precisa e puntuale motivazione in ordine al
detto interesse pubblico (TAR Sicilia,
Catania, sez. I, 17.06.2003, n. 965)
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II,
sentenza 15.06.2005 n. 1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2003 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
presenza della realizzazione di una
significativa parte delle opere assentite,
non può l’Amministrazione, tornando, dopo
oltre un anno, sul titolo concessorio
rilasciato, disporne l’annullamento per
semplici ragioni di ripristino della
legalità.
E, invero, correttamente il TAR ha escluso
che il provvedimento di annullamento di
concessione edilizia fosse correttamente
motivato sotto il profilo dell’interesse
pubblico e della comparazione con quello
privato.
In presenza, infatti, come nella specie,
della realizzazione di una significativa
parte delle opere assentite, non può
l’Amministrazione, tornando, dopo oltre un
anno, sul titolo concessorio rilasciato,
disporne l’annullamento per semplici ragioni
di ripristino della legalità; e ciò tanto
più dopo avere assunto, nel tempo (e,
precisamente, a partire dal 1988), a favore
della Cooperativa, una serie di
determinazioni, mai rimosse dal mondo
giuridico (sebbene pure esse adottate
nell’asserita assenza di validità del P. di
Z.), tali da avere determinato un più che
valido e legittimo affidamento, da parte
della Cooperativa stessa, in merito alla
realizzabilità dell’intervento,
concretizzatasi, poi, con il rilascio del
contestato titolo edificatorio (Consiglio di
Stato, Sez. V,
sentenza 12.11.2003 n. 7218 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
potere di annullamento di una concessione
edilizia prescinde dalla valutazione del
pubblico interesse, che è in re ipsa.
... considerato che il potere di
annullamento ex art. 98 L.R. 61/1985 (ndr:
annullamento dei provvedimenti comunali, da
parte del consiglio provinciale)
prescinde dalla valutazione del pubblico
interesse, che è in re ipsa (cfr.
Cons. St., IV, 16.03.1998 n. 443)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 09.10.2003 n. 5227 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sull'annullamento del provvedimento abilitativo circa la
costruzione di un box in deroga ex lege n. 122/1989.
La circostanza che sul problema della
interpretazione dell'art. 9 l. 122/1989 sussista
giurisprudenza diversa, nonché profili di ampio contenuto e
di diverse possibili tesi ricostruttive, implica che avendo
dapprima autorizzato il manufatto sulla base dell'art. 9
della legge Tognoli, l'Amministrazione avrebbe dovuto ancora
più ampiamente dare conto delle ragioni di interesse
pubblico che l'hanno consigliata sia alla diversa
interpretazione e sia alla rimozione del precedente
provvedimento.
Non è sufficiente, infatti, addurre presunte false
rappresentazioni o inesatte indicazioni tecniche inerenti
una pretesa esistenza (o assenza) del terzo muro interrato o
assenza di quote grafiche nel progetto per dare conto di
quale interesse pubblico preminente giustifichi la rinuncia
alla realizzazione di un manufatto che, per condizioni e per
localizzazione, assicura il rispetto di quelle
(inderogabili) finalità di legge già viste sopra.
Né appare sufficiente richiamare il “rispetto della legalità
violata” per motivare l'annullamento del titolo abilitativo
a manufatto realizzato, dopo aver consacrato una valutazione
positiva della istanza in un provvedimento assistito dalla
presunzione di legittimità e quindi come tale pienamente
suscettibile di fondare l'affidamento dell'istante non solo
per l'efficacia sua propria, ma anche in virtù della
rilevanza generale che ad esso si riconduce per effetto del
più volte citato art. 9.
Si tratta all'evidenza di un comportamento contrastante con
i canoni della buona fede esecutiva che deve assistere le
parti di un rapporto pubblico amministrativo al pari delle
parti di un contratto, sorgendo dal procedimento
amministrativo un vero e proprio obbligo di tutela
dell'affidamento.
Affidamento che, nella specie, andava ancora maggiormente
garantito in presenza delle precipue finalità di
incentivazione della norma alla realizzazione di parcheggi
privati, nonché delle differenti possibilità interpretative
che la stessa norma, per come visto sopra, consente e
quindi, al contempo, per il maggiore affidamento che da
tutto questo deriva in capo al privato sulle funzioni
certificative proprie dell'Ente nell'esercizio del potere
ampliativo ad esso affidato.
Inoltre, il provvedimento avrebbe dovuto essere congruamente
motivato sul punto dell'interesse pubblico attuale alla
rimozione anche per il deficit di comprensione e
prevedibilità del comportamento dovuto che deriva dalla
possibile diversa possibile interpretazione della norma in
punto di fatto.
II) Circa l'aspetto
appena indicato, si deve rilevare che il ricorso è fondato
per le seguenti considerazioni.
La circostanza che sul problema della interpretazione della
norma su esposta sussista giurisprudenza diversa, nonché
profili di ampio contenuto e di diverse possibili tesi
ricostruttive, implica che avendo dapprima autorizzato il
manufatto sulla base dell'art. 9 della legge Tognoli,
l'Amministrazione avrebbe dovuto ancora più ampiamente dare
conto delle ragioni di interesse pubblico che l'hanno
consigliata sia alla diversa interpretazione e sia alla
rimozione del precedente provvedimento.
Non è sufficiente, infatti, addurre presunte false
rappresentazioni o inesatte indicazioni tecniche inerenti
una pretesa esistenza (o assenza) del terzo muro interrato o
assenza di quote grafiche nel progetto per dare conto di
quale interesse pubblico preminente giustifichi la rinuncia
alla realizzazione di un manufatto che, per condizioni e per
localizzazione, assicura il rispetto di quelle
(inderogabili) finalità di legge già viste sopra.
Né appare sufficiente richiamare il “rispetto della
legalità violata” per motivare l'annullamento del titolo
abilitativo a manufatto realizzato, dopo aver consacrato una
valutazione positiva della istanza in un provvedimento
assistito dalla presunzione di legittimità e quindi come
tale pienamente suscettibile di fondare l'affidamento
dell'istante non solo per l'efficacia sua propria, ma anche
in virtù della rilevanza generale che ad esso si riconduce
per effetto del più volte citato art. 9.
Si tratta all'evidenza di un comportamento contrastante con
i canoni della buona fede esecutiva che deve assistere le
parti di un rapporto pubblico amministrativo al pari delle
parti di un contratto, sorgendo dal procedimento
amministrativo un vero e proprio obbligo di tutela
dell'affidamento. Affidamento che, nella specie, andava
ancora maggiormente garantito in presenza delle precipue
finalità di incentivazione della norma alla realizzazione di
parcheggi privati, nonché delle differenti possibilità
interpretative che la stessa norma, per come visto sopra,
consente e quindi, al contempo, per il maggiore affidamento
che da tutto questo deriva in capo al privato sulle funzioni
certificative proprie dell'Ente nell'esercizio del potere
ampliativo ad esso affidato.
Inoltre, il provvedimento avrebbe dovuto essere congruamente
motivato sul punto dell'interesse pubblico attuale alla
rimozione anche per il deficit di comprensione e
prevedibilità del comportamento dovuto che deriva dalla
possibile diversa possibile interpretazione della norma in
punto di fatto.
Ne consegue, dunque che il ricorso è fondato in relazione ad
entrambi i profili esposti
(TAR
Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 03.10.2005 n. 1531 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Il
potere di annullamento d'ufficio delle concessioni di
costruzione illegittime, conferito al Sindaco dagli artt. 10
della l. 06.08.1967 n. 765 e 1 della l. 28.01.1977 n. 10,
diverge da quello conferito alla Regione dagli artt. 7 della
legge n. 765 cit. e 1 D.P.R. 15.01.1972 n. 8.
Infatti, mentre il primo deve valutare l'interesse pubblico
alla rimozione dell' atto invalido alla stregua delle altre
possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio
riscontrato (modifica agli strumenti urbanistici, offerta di
integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc.), la
seconda -che è titolare solo di poteri di vigilanza e di
controllo ma priva della facoltà di sostituirsi all' Ente
locale nell' adottare determinate scelte- è tenuta a
valutare l'interesse pubblico con riferimento esclusivo all'
interesse alla conservazione della situazione esistente.
L’annullamento regionale si configura, anche per espresso
richiamo normativo, come esercizio particolare del generale
potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 6 del R.D.
03.03.1934 n. 383, caratterizzato nella specifica previsione
normativa dall’attribuzione non ad un autorità che si trova
in posizione di sovraordinazione rispetto al Comune, ma
all’ente che divide con esso (la Regione) le competenze in
materia urbanistica, secondo un modello di ripartizione
concorrente delle funzioni, che si articola su un piano
sostanzialmente paritario, dove la prevalenza della scelta
regionale è limitata a quei momenti nei quali essa si
presenta come inevitabile per la funzionalità stessa del
sistema.
In entrambi i casi si è in presenza di poteri discrezionali,
ciò che è differente è lo spettro degli interessi che
entrano nella valutazione comparativa che l’ente deve
effettuare e la prospettiva –dinamica per il Comune e
statica per la Regione– nella quale devono essere esaminati.
Deve soggiungersi che l'esercizio del potere sostitutivo
previsto dall'art. 27 legge n. 1150 del 1942 e succ. mod., a
differenza dei poteri di autotutela del Comune, non comporta
un riesame del proprio precedente operato, ma è finalizzato
allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al
rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
---------------
Il provvedimento regionale di annullamento ai sensi
dell’art. 27 della l. 17.08.1942 n. 1150 –come s’è detto- si
caratterizza per la natura discrezionale.
Come è noto, là dove esercita una funzione discrezionale, la
P.A. procedente ha l'obbligo di spiegare congruamente le
ragioni per cui ha effettuato una determinata scelta, onde
consentire la valutazione dell'avvenuto rispetto di tutte la
regole che presiedono a detta funzione.
Invero, il difetto di motivazione -in violazione dell'art. 3
della l. 07.08.1990 n. 241, che richiede di indicare i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione
alle risultanze dell'istruttoria- si configura ove l’atto
amministrativo non consenta di comprendere in base a quali
dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica
amministrazione, permettendo quindi al giudice di verificare
il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali
nel caso concreto.
Peraltro, va soggiunto che, secondo il più recente indirizzo
giurisprudenziale, in omaggio ad una visione non meramente
formale dell'obbligo di motivazione (e coerentemente con i
principi di trasparenza e lealtà desumibili dall'art. 97
Cost.), la funzione della motivazione si può dir soddisfatta
anche quando nell'atto impugnato non siano esplicitamente e
compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla
statuizione, ma queste possano essere agevolmente colte
dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si
articola il procedimento.
...
Va ricordato, che parte della giurisprudenza, muovendo dalla
considerazione che l'esercizio del potere sostitutivo
previsto dall'art. 27 della l. n. 1150 del 1942 è
finalizzato allo scopo di ricondurre le Amministrazioni
comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia
edilizia, ha ritenuto che non sia necessario motivare in
ordine alla sussistenza di uno specifico ed ulteriore
interesse pubblico all’annullamento, ritenendo che questo
inest in re ipsa.
Il thema decidendum all’esame del Collegio attiene
all’identificazione dei presupposti, nonché alla
determinazione delle modalità procedimentali, del potere
regionale di annullamento di deliberazioni comunali non
conformi agli strumenti urbanistici.
L’art. 27, primo comma, della l. 17.08.1942 n. 1150 (recante
la rubrica “annullamento di autorizzazione comunali”),
così come sostituito dall’art. 7 della legge 06.08.1967, n.
765, prevede che “Entro dieci anni dalla loro adozione le
deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano
opere non conformi a prescrizioni del piano regolatore o del
programma di fabbricazione od a norme del regolamento
edilizio, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione
delle prescrizioni o delle norme stesse possono essere
annullati, ai sensi dell'articolo 6 del testo unico della
legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto
03.03.1934, n. 383, con decreto del Presidente della
Repubblica su proposta del Ministro per i lavori pubblici di
concerto con quello per l'interno”.
Siffatto potere è stato, quindi, trasferito alle Regioni ai
sensi dell’art. 1, lett. o), del D.P.R. 15.01.1972 n. 8, là
dove si prevede, nell’effettuare il trasferimento alle
Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative
statali in materia di urbanistica la clausola d’ordine
generale “ogni ulteriore funzione amministrativa
esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato …”
(cfr. in tal senso: Cons. Stato sez. V 30.9.1980 n. 801, la
quale evidenzia che l’elencazione di cui all’art. lett. da
a) ad n) ha carattere esemplificativo, stante la
disposizione di chiusura contenuta nella successiva lett.
o).
Il terzo comma dell’art. 27 cit. prevede che il
provvedimento di accertamento …è preceduto dalla
contestazione delle violazioni stesse al titolare della
licenza, al proprietario della costruzione e al progettista,
nonché alla Amministrazione comunale con l'invito a
presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo
prefissato.
Sotto il profilo sistematico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV,
20.02.1998, n. 315, TAR Brescia 06.05.1988 n. 365 e la
giurisprudenza antecedente ivi richiamata) va rilevato che
il potere di annullamento d'ufficio delle concessioni di
costruzione illegittime, conferito al Sindaco dagli artt. 10
della l. 06.08.1967 n. 765 e 1 della l. 28.01.1977 n. 10,
diverge da quello conferito alla Regione dagli artt. 7 della
legge n. 765 cit. e 1 D.P.R. 15.01.1972 n. 8.
Infatti, mentre il primo deve valutare l'interesse pubblico
alla rimozione dell' atto invalido alla stregua delle altre
possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio
riscontrato (modifica agli strumenti urbanistici, offerta di
integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc.), la
seconda -che è titolare solo di poteri di vigilanza e di
controllo ma priva della facoltà di sostituirsi all' Ente
locale nell' adottare determinate scelte- è tenuta a
valutare l'interesse pubblico con riferimento esclusivo all'
interesse alla conservazione della situazione esistente.
L’annullamento regionale si configura, anche per espresso
richiamo normativo, come esercizio particolare del generale
potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 6 del R.D.
03.03.1934 n. 383, caratterizzato nella specifica previsione
normativa dall’attribuzione non ad un autorità che si trova
in posizione di sovraordinazione rispetto al Comune, ma
all’ente che divide con esso (la Regione) le competenze in
materia urbanistica, secondo un modello di ripartizione
concorrente delle funzioni, che si articola su un piano
sostanzialmente paritario, dove la prevalenza della scelta
regionale è limitata a quei momenti nei quali essa si
presenta come inevitabile per la funzionalità stessa del
sistema.
In entrambi i casi si è in presenza di poteri discrezionali,
ciò che è differente è lo spettro degli interessi che
entrano nella valutazione comparativa che l’ente deve
effettuare e la prospettiva –dinamica per il Comune e
statica per la Regione– nella quale devono essere esaminati.
Deve soggiungersi che l'esercizio del potere sostitutivo
previsto dall'art. 27 legge n. 1150 del 1942 e succ. mod., a
differenza dei poteri di autotutela del Comune, non comporta
un riesame del proprio precedente operato, ma è finalizzato
allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al
rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
--------------
Il provvedimento regionale di
annullamento ai sensi dell’art. 27 della l. 17.08.1942 n.
1150 –come s’è detto- si caratterizza per la natura
discrezionale.
Come è noto, là dove esercita una funzione discrezionale, la
P.A. procedente ha l'obbligo di spiegare congruamente le
ragioni per cui ha effettuato una determinata scelta, onde
consentire la valutazione dell'avvenuto rispetto di tutte la
regole che presiedono a detta funzione.
Invero, il difetto di motivazione -in violazione dell'art. 3
della l. 07.08.1990 n. 241, che richiede di indicare i
presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione
alle risultanze dell'istruttoria- si configura ove l’atto
amministrativo non consenta di comprendere in base a quali
dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica
amministrazione, permettendo quindi al giudice di verificare
il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali
nel caso concreto.
Peraltro, va soggiunto che, secondo il più recente indirizzo
giurisprudenziale, in omaggio ad una visione non meramente
formale dell'obbligo di motivazione (e coerentemente con i
principi di trasparenza e lealtà desumibili dall'art. 97
Cost.), la funzione della motivazione si può dir soddisfatta
anche quando nell'atto impugnato non siano esplicitamente e
compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla
statuizione, ma queste possano essere agevolmente colte
dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si
articola il procedimento (cfr. Consiglio Stato, sez. IV,
27.12.2001 n. 6417, idem 29/04/2002, n. 2281).
...
Va, sotto altro profilo, ricordato, che parte della
giurisprudenza (cfr. Consiglio Stato sez. IV 16.03.1998 n.
443), muovendo dalla considerazione che l'esercizio del
potere sostitutivo previsto dall'art. 27 della l. n. 1150
del 1942 è finalizzato allo scopo di ricondurre le
Amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della
normativa in materia edilizia, ha ritenuto che non sia
necessario motivare in ordine alla sussistenza di uno
specifico ed ulteriore interesse pubblico all’annullamento,
ritenendo che questo inest in re ipsa
(TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 23.06.2003 n. 870). |
EDILIZIA PRIVATA: Al
momento dell’adozione del provvedimento di
annullamento, della concessione edilizia,
erano già stati da tempo realizzati i lavori
di costruzione della rimessa e si era già
innescata, tra interessati e Comune, una
precedente vicenda contenziosa in quanto gli
odierni appellanti, nel realizzare l’opera,
non si sarebbero conformati al titolo
edificatorio del 1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione,
che gli interessati abbiano maturato un
legittimo affidamento in merito alla
realizzabilità delle opere in questione (e
alla loro piena conformità alle disposizioni
contenute nello strumento pianificatorio),
quanto meno se e in quanto rispettosa dei
limiti fissati in concessione; anzi, il
fatto che la contestazione del 1994 avesse
rilevato solo una eccedenza di altezza non
consentita e non avesse, per contro, nulla
dedotto in merito alla sussistenza dei
presupposti di fatto e di diritto
preordinati al rilascio del titolo
edificatorio, va rivisto come elemento
capace di radicare ulteriormente, nel
privato, il convincimento in merito alla
legittimità, sotto tali profili, del titolo
stesso.
Con la conseguenza che gli ulteriori
provvedimenti del 2002 appaiono adottati ad
una distanza di tempo tale da richiedere
l’idonea motivazione di cui si è detto;
motivazione (tanto più necessaria allorché,
come nella specie, siano passati altri sette
anni prima dell’adozione, da parte
dell’Amministrazione, delle iniziative
demolitorie di cui si tratta) che, per ciò
stesso, non può essere legata al puro e
semplice ripristino della legalità, ma deve
dar conto della sussistenza di un interesse
pubblico attuale e concreto alla rimozione
del titolo in questione (ad esempio, per
significative ragioni legate alla tutela
della igiene e sanità, della sicurezza,
dell’ambiente etc.) e della comparazione tra
tale interesse e l’entità del sacrificio
imposto all’interesse del privato.
Osserva, però, il Collegio che, al momento
dell’adozione del provvedimento di
annullamento del 1995, erano già stati da
tempo realizzati i lavori di costruzione
della rimessa e che, inoltre, si era
innescata, tra interessati e Comune, una
precedente vicenda contenziosa (definita con
la citata sentenza di improcedibilità n.
349/2001) in quanto gli odierni appellanti,
nel realizzare l’opera, non si sarebbero
conformati al titolo edificatorio del 1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione,
che gli interessati abbiano maturato un
legittimo affidamento in merito alla
realizzabilità delle opere in questione (e
alla loro piena conformità alle disposizioni
contenute nello strumento pianificatorio),
quanto meno se e in quanto rispettosa dei
limiti fissati in concessione; anzi, il
fatto che la contestazione del 1994 avesse
rilevato solo una eccedenza di altezza non
consentita e non avesse, per contro, nulla
dedotto in merito alla sussistenza dei
presupposti di fatto e di diritto
preordinati al rilascio del titolo
edificatorio, va rivisto come elemento
capace di radicare ulteriormente, nel
privato, il convincimento in merito alla
legittimità, sotto tali profili, del titolo
stesso (salve restando, naturalmente, le
problematiche relative agli eventuali abusi
in sede di realizzazione delle opere, che
non possono, però, indurre a ritenere
l’illegittimità del titolo, al contrario,
confermato nei suoi contenuti).
Con la conseguenza che gli ulteriori
provvedimenti del 2002 appaiono adottati ad
una distanza di tempo tale da richiedere
l’idonea motivazione di cui si è detto;
motivazione (tanto più necessaria allorché,
come nella specie, siano passati altri sette
anni prima dell’adozione, da parte
dell’Amministrazione, delle iniziative
demolitorie di cui si tratta) che, per ciò
stesso, non può essere legata al puro e
semplice ripristino della legalità, ma deve
dar conto della sussistenza di un interesse
pubblico attuale e concreto alla rimozione
del titolo in questione (ad esempio, per
significative ragioni legate alla tutela
della igiene e sanità, della sicurezza,
dell’ambiente etc.) e della comparazione tra
tale interesse e l’entità del sacrificio
imposto all’interesse del privato (Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 01.03.2003 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: E'
illegittimo il provvedimento di revoca
dell'autorizzazione edilizia rilasciata dal
quale non solo non
emergono neppure in via indiretta o
implicita motivazioni o ragioni di
particolare interesse pubblico alla sua
emanazione, ma anzi è dato ragionevolmente
desumere ragioni di puro interesse
privatistico a difesa di diritti di terzi
che la legge fa comunque salvi e
che ben possono essere tutelati in altra e
più opportuna sede senza coinvolgere
l’amministrazione comunale in beghe di
condominio.
Sotto il profilo del c.d. “ripristino della
legalità”, non possono essere legittimamente
addotte solo motivazioni correlate alla mera
tutela dell’interesse privatistico dei
terzi; tale interesse è fatto normalmente
salvo da tutti i provvedimenti autorizzatori
o concessori in ambito edilizio, mentre non
spetta all’Amministrazione prendere
posizione su di esso allorché non sia
denegata la legittimazione dell’interessato
(quanto meno nella veste di comproprietario)
al rilascio del titolo richiesto e non si
faccia questione in merito alla eventuale
lesione di norme poste a tutela di interessi
primari curati dall’Amministrazione (ad
esempio, norme igienico-sanitarie) che,
indirettamente, tutelano anche la posizione
dei terzi.
Inoltre, trattandosi di provvedimento teso a
rimuovere una precedente determinazione
ampliativa della sfera giuridica
dell’interessato, non può esso non recare (e
a maggior ragione, nel caso di specie, in
quanto emanato ad oltre tre anni dal
rilascio del titolo autorizzatorio e ad
opere ormai eseguite) puntuali precisazioni
in merito all’interesse pubblico in concreto
tutelato che vadano al di là del mero
ripristino della legalità e,
correlativamente, in ordine al pregiudizio
che lo stesso, in quanto incidente
sull’affidamento ingenerato nel privato, è
in grado di produrre nella sfera di
quest’ultimo.
Con la sentenza appellata il TAR ha
rigettato il ricorso proposto dall’odierno
appellante per l’annullamento del
provvedimento 14.02.1995 con il quale il
Sindaco di Trento ha revocato
l’autorizzazione edilizia 21.09.1992, n.
20329.
...
Esattamente deduce l’interessato, con il
terzo motivo del ricorso di primo grado, che
dal provvedimento impugnato “non solo non
emergono neppure in via indiretta o
implicita motivazioni o ragioni di
particolare interesse pubblico alla sua
emanazione, ma anzi è dato ragionevolmente
desumere ragioni di puro interesse
privatistico a difesa di diritti di terzi
che la legge faceva e fa comunque salvi e
che ben potevano essere tutelati in altra e
più opportuna sede senza coinvolgere
l’amministrazione comunale in beghe di
condominio”.
E, in effetti, sotto il profilo del c.d. “ripristino
della legalità”, non potevano essere
legittimamente addotte solo motivazioni
correlate alla mera tutela dell’interesse
privatistico dei terzi; tale interesse è
fatto normalmente salvo –come, nella specie,
è stato fatto espressamente salvo- da tutti
i provvedimenti autorizzatori o concessori
in ambito edilizio, mentre non spetta
all’Amministrazione prendere posizione su di
esso allorché non sia denegata –come nel
caso in esame, non è stata denegata- la
legittimazione dell’interessato (quanto meno
nella veste di comproprietario) al rilascio
del titolo richiesto e non si faccia
questione in merito alla eventuale lesione
di norme poste a tutela di interessi primari
curati dall’Amministrazione (ad esempio,
norme igienico-sanitarie) che,
indirettamente, tutelano anche la posizione
dei terzi.
Che la titolarità del sottotetto debba fare
capo al richiedente il titolo concessorio o
al condominio è, del resto, questione che
involge esclusivamente i rapporti
interprivati ed eventuali controversie in
materia possono essere definite solo dal
giudice competente; mentre non può sposare
l’Amministrazione la posizione di uno dei
contendenti, né addurre a supporto delle
proprie determinazioni sopravvenienze
giuridiche (nella specie, decreto tavolare
del 26.01.1994), potenzialmente controverse
nei loro contenuti e che incidono, a loro
volta, su rapporti interprivati.
Inoltre, trattandosi di provvedimento teso a
rimuovere una precedente determinazione
ampliativa della sfera giuridica
dell’interessato, non poteva esso non
recare, anche in quanto emanato ad oltre tre
anni dal rilascio del titolo autorizzatorio
e ad opere ormai eseguite, puntuali
precisazioni in merito all’interesse
pubblico in concreto tutelato che andassero
al di là del mero ripristino della legalità
e, correlativamente, in ordine al
pregiudizio che lo stesso, in quanto
incidente sull’affidamento ingenerato nel
privato, era in grado di produrre nella
sfera di quest’ultimo (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 19.02.2003 n. 899 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2002 |
|
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di annullamento d'ufficio del provvedimento, non
occorre una specifica motivazione in ordine al c.d.
interesse pubblico attuale quando il provvedimento, oltre ad
attuare il ripristino della legalità violata, comporta in re
ipsa la soddisfazione di un interesse pubblico di natura
indisponibile. L'atto di annullamento d'ufficio di una
concessione edilizia illegittima, che abbia consentito la
realizzazione di un edificio in contrasto con lo strumento
urbanistico generale, non necessita di altra motivazione che
il riferimento al vizio di cui è affetta la concessione.
Nel caso di annullamento d'ufficio di una concessione che ha
consentito la realizzazione di un edificio non prevista dal
piano regolatore, l'Autorità mira a superare una situazione
permanentemente antigiuridica, e cioè l'attuale contrasto
tra le previsioni urbanistiche e la materiale sussistenza
dell'edificio realizzato malgrado l'inedificabilità
dell'area; pertanto, il relativo provvedimento non deve
motivare in ordine alle ragioni che abbiano indotta
l'Amministrazione a ritenere prevalenti gli interessi
pubblici di cui costituisce espressione lo strumento
urbanistico.
D’altra parte, come si evince dall’orientamento della
costante giurisprudenza, "In caso di annullamento
d'ufficio del provvedimento, non occorre una specifica
motivazione in ordine al c.d. interesse pubblico attuale
quando il provvedimento, oltre ad attuare il ripristino
della legalità violata, comporta in re ipsa la soddisfazione
di un interesse pubblico di natura indisponibile. L'atto di
annullamento d'ufficio di una concessione edilizia
illegittima, che abbia consentito la realizzazione di un
edificio in contrasto con lo strumento urbanistico generale,
non necessita di altra motivazione che il riferimento al
vizio di cui è affetta la concessione.
Nel caso di annullamento d'ufficio di una concessione che ha
consentito la realizzazione di un edificio non prevista dal
piano regolatore, l'Autorità mira a superare una situazione
permanentemente antigiuridica, e cioè l'attuale contrasto
tra le previsioni urbanistiche e la materiale sussistenza
dell'edificio realizzato malgrado l'inedificabilità
dell'area; pertanto, il relativo provvedimento non deve
motivare in ordine alle ragioni che abbiano indotta
l'Amministrazione a ritenere prevalenti gli interessi
pubblici di cui costituisce espressione lo strumento
urbanistico" (Cons. di Stato, sez. V, 26.11.1994, n.
1382) (TAR Lombardia-Brescia,
sentenza 30.10.2002 n. 1696 - link a www.giustizia-amministrativa). |
anno 2000 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
1 - Concessione - Distanze legali tra
edifici - Ratio della norma.
2 - Concessione - Distanze legali tra edifici - Violazione
del D.M. 1444/1968 - Annullamento in via di autotutela -
Legittimità - Irrilevanza della destinazione dello spazio
tra edifici e dell'unicità del fabbricato.
1 - La disciplina legale delle distanze è preordinata alla
tutela di interessi generali sussumibili nell'esigenza di
evitare la creazione di intercapedini tra fabbricati dannose
dal punto di vista igienico ma anche alla tutela di privati
diritti soggettivi da individuarsi nella pretesa per ciascun
proprietario o possessore di un edificio di godere di
sufficiente veduta e di luce.
2 - E' legittimo l'annullamento in via di autotutela della
concessione edilizia rilasciata in violazione dell'art. 9
del D.M. 1444/1968 in quanto, ai fini dell'osservanza delle
distanze legali, la realizzazione di una sopraelevazione (e
più precisamente il piano rialzato di un edificio)
costituisce una nuova costruzione (o nuovo edificio, i due
termini devono considerarsi sinonimi) che va ad occupare
nuovi spazi a fronte dei quali sorge l'indefettibile
esigenza, affermata dal legislatore, di assicurare al
proprietario frontista un "minimum" di distacco
commisurato appunto nei 10 metri di cui all'art. 9 del D.M.
1444/1968.
A tal fine, non rileva né l'eventuale circostanza che
trattasi di un unico edificio, né la funzione riservata dai
proprietari agli spazi esistenti tra edifici vicini, ma solo
la loro oggettiva idoneità a costruire intercapedini vietate
dalla legge, cosicché la distanza tra costruzioni imposta
ex lege deve essere osservata anche nell'ipotesi in cui
lo spazio tra detti edifici abbia funzione di cortile,
costituendo questo, se largo meno della distanza minima
prescritta, una intercapedine vietata.
__________________
1. - Sulla rilevanza pubblicistica degli standard imposti
dal D.M. 1444/1968 con riguardo ai distacchi tra fabbricati
e i confini, si veda Tar Toscana, sez. III, 02.12.1999 n.
676 in Rass. TAR 2000 pag. 773 (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 19.05.2000 n. 922 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 1981 |
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EDILIZIA PRIVATA:
La variante alla licenza edilizia ha carattere di
accessione e di non autonomia, con la conseguenza che
l'illegittimità della licenza originaria opera nei confronti
della variante come invalidità caducante, e non meramente
viziante; pertanto, l'annullamento della prima determina
l'automatica rimozione della seconda (Consiglio
di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.1981 n. 219). |
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