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71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
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79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
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81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
83-PERMESSO DI COSTRUIRE (parere commissione edilizia)
84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
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PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
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92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
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97-RUDERI
98-
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dossier ANNULLAMENTO e/o IMPUGNAZIONE P.d.C. (Permesso di Costruire)
novembre 2021

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICALa Plenaria interviene sulla giurisdizione del g.a. in caso di risarcimento da annullamento provvedimentale e sui limiti della tutela risarcitoria.
Secondo l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione sia in sede di giurisdizione generale di legittimità quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva di merito.
La Plenaria interviene inoltre sul tema della responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale, evidenziando che la relativa tutela è esclusa in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento.
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Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da provvedimento amministrativo favorevole annullato – Giurisdizione del giudice amministrativo
  
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del contraente – Tutela risarcitoria – Condizioni e limiti
L’Adunanza plenaria enuncia i seguenti principi di diritto:
   1) sussiste la giurisdizione amministrativa sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione tanto in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nella specie si verteva in materia di urbanistica e edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), del codice del processo amministrativo) (1);
   2) la responsabilità dell’amministrazione per lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un suo provvedimento favorevole, poi annullato in sede giurisdizionale, postula che sia insorto un ragionevole convincimento sulla legittimità dell’atto, il quale è escluso in caso di illegittimità evidente o quando il medesimo destinatario abbia conoscenza dell’impugnazione contro lo stesso provvedimento (2).

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  (1-2) I. – Con la sentenza in rassegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha formulato i principi di diritto di cui in massima relativi alla estensione della giurisdizione del giudice amministrativo in caso di domanda di risarcimento dei danni da annullamento di provvedimento favorevole, nonché in ordine alle condizioni e ai limiti entro i quali può riconoscersi tutela risarcitoria in caso di lesione dell’affidamento ingenerato nel destinatario di un provvedimento favorevole della stessa amministrazione.
Le questioni sono state deferite all’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701 (oggetto della News US, n. 50 del 28.05.2021).
   II. – Il Collegio, dopo aver descritto i fatti processuali e la vicenda sottesa, ha osservato quanto segue:
      a) nel riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria proposta dal controinteressato soccombente in un giudizio di annullamento di provvedimenti della pubblica amministrazione, sia in sede di giurisdizione generale di legittimità, quanto in ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo:
         a1) la giurisdizione amministrativa ha fondamento costituzionale nella dicotomia diritti soggettivi–interessi legittimi: al giudice ordinario è devoluta la giurisdizione sui diritti soggettivi e al giudice amministrativo sugli interessi legittimi salve le materie di giurisdizione esclusiva;
         a2) la Corte costituzionale (06.07.2004, n. 204 in Foro it., 2004, I, 594, con note di BENINI, TRAVI, FRACCHIA; Corriere giur., 2004, 1167; Nuove autonomie, 2004, 545, con nota di TERESI; Urbanistica e appalti, 2004, 1031, con nota di CONTI; Fisco 1, 2004, 6080; Giornale dir. amm., 2004, 969, con note di CLARICH POLICE, MATTARELLA, PAJNO; Bollettino trib., 2004, 1606, con nota di VOGLINO; Urbanistica e appalti, 2004, 1275, con nota di LOTTI; Funzione pubbl., 2004, fasc. 2, 271; Riv. giur. edilizia, 2004, I, 1211, con nota di SANDULLI; Dir. proc. amm., 2004, 799, con note di CERULLI IRELLI, VILLATA; Cons. Stato, 2004, II, 1357; Guida al dir., 2004, fasc. 29, 88, con nota di FORLENZA; Resp. civ., 2004, 1003, con nota di ANGELETTI; Giust. civ., 2004, I, 2207, con note di SANDULLI, DELLE DONNE; Mondo bancario, 2004, fasc. 4, 65, con nota di SICLARI; Dir. e giustizia, 2004, fasc. 29, 16, con note di ROSSETTI, MEDICI; Giur. it., 2004, 2255) ha al riguardo affermato che la Costituzione “ha riconosciuto al giudice amministrativo piena dignità di giudice ordinario per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, delle situazioni soggettive non contemplate dal (modo in cui era stato inteso) l’art. 2 della legge del 1865; così come di questa legge ha, con quello che sarebbe diventato l’art. 113 Cost., recepito il principio -«e fu per questo ritenuta una conquista liberale di grande importanza»– «per il quale, quando un diritto civile o politico viene leso da un atto della pubblica amministrazione, questo diritto si può far valere di fronte all’Autorità giudiziaria ordinaria, in modo chela pubblica amministrazione davanti ai giudici ordinari viene a trovarsi, in questi casi, come un qualsiasi litigante privato soggetto alla giurisdizione … principio fondamentale che è stato completato poi con l’istituzione delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato ... dell’unicità della giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione» (Calamandrei, Assemblea, seduta pomeridiana del 27.11.1947)”;
         a3) la stessa Corte –dapprima con la sentenza 11.05.2006, n. 191 (in Foro it., 2006, I, 1625, con nota di TRAVI, DE MARZO; Foro it., 2006, I, 2277, con nota di MARZANO; Corriere giur., 2006, 922, con nota di MAJO; Corriere merito, 2006, 948, con nota di MADDALENA; Giurisdiz. amm., 2006, III, 292; Urbanistica e appalti, 2006, 805, con nota di CONTI; Danno e resp., 2006, 965, con nota di FABBRIZZI; Giust. civ., 2006, I, 1107; Giornale dir. amm., 2006, 1095, con nota di BASSI; Ammin. it., 2006, 1241; Giur. it., 2006, 1729; Riv. giur. edilizia, 2006, I, 465; Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 1359, con nota di FERRERO, RISSO; Nuova rass., 2006, 2549; Riv. giur. edilizia, 2006, I, 779, con nota di IUDICA; Guida al dir., 2006, fasc. 21, 62, con nota di FORLENZA; Dir. proc. amm., 2006, 1005, con nota di MALINCONICO, ALLENA; Dir. e giustizia, 2006, fasc. 24, 97, con nota di PROIETTI; Dir. e pratica amm., 2006, fasc. 2, 58, con nota di PROIETTI) e, quindi, con la sentenza 27.04.2007, n. 140 (in Foro it., 2008, I, 435, con nota di VERDE; Foro amm.-Cons. Stato, 2007, 1109; Ammin. it., 2007, 910; Giornale dir. amm., 2007, 1167, con nota di BATTAGLIA; Giust. civ., 2007, I, 1815, con nota di FINOCCHIARO; Guida al dir., 2007, fasc. 23, 14, con nota di FINOCCHIARO; Giur. costit., 2007, 1277)– ha precisato che la giurisdizione non è devoluta al giudice ordinario per il solo fatto che la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, dal momento che il risarcimento non è oggetto di un diritto soggettivo, ma è uno dei rimedi a tutela delle posizioni giuridiche soggettive riconosciuto al singolo.
Il giudizio amministrativo assicura la tutela di ogni diritto in coerenza con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e consente di concentrare davanti a un unico giudice l’intera protezione del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica;
         a4) l’art. 7 c.p.a. è espressione a livello normativo primario del descritto assetto e devolve al giudice amministrativo la giurisdizione nelle controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni;
      b) nella dicotomia diritti soggettivi–interessi legittimi si colloca anche l’affidamento:
         b1) il quale non è una posizione giuridica autonoma distinta dalle due, ma può riferirsi alternativamente ad esse;
         b2) è un istituto che trae origine nei rapporti di diritto civile e che risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata;
         b3) del quale costituiscono espressione le seguenti disposizioni: la regola possesso vale titolo di cui all’art. 1153 c.c.; l’acquisto dell’erede apparente di cui all’art. 534 c.c.; il pagamento al creditore apparente di cui all’art. 1189 c.c.; l’acquisto dei diritti dal titolare apparente ai sensi degli artt. 1415 e 1416 c.c. in tema di simulazione;
         b4) oggi l’istituto ha assunto il ruolo di principio regolatore di ogni rapporto giuridico, anche di quelli di diritto amministrativo. Nella giurisprudenza amministrativa si osserva che opera in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività;
      c) la giurisdizione amministrativa va affermata quando l’affidamento abbia ad oggetto la stabilità del rapporto amministrativo, costituito sulla base di un atto di esercizio di un potere pubblico, specie quanto questo afferisca ad una materia di giurisdizione esclusiva:
         c1) “La giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo perché la “fiducia” su cui riposava la relazione giuridica tra amministrazione e privato, asseritamente lesa, si riferisce non già ad un comportamento privato o materiale -a un “mero comportamento”- ma al potere pubblico, nell’esercizio del quale l’amministrazione è tenuta ad osservare le regole speciali che connotano il suo agire autoritativo e al quale si contrappongono situazioni soggettive del privato aventi la consistenza di interesse legittimo”;
         c2) la giurisdizione è del giudice amministrativo perché anche quando il comportamento non si è manifestato in atti amministrativi, nondimeno l’operato dell’amministrazione costituisce comunque espressione dei poteri ad essa attribuiti per il perseguimento delle finalità di carattere pubblico devolute alla sua cura. Tale operato è riferibile all’amministrazione che agisce in veste di autorità e si iscrive pertanto nella dinamica potere autoritativo–interesse legittimo, il cui giudice naturale è, per Costituzione, il giudice amministrativo;
         c3) tale conclusione vale sia “che si verta dell’interesse del soggetto leso dal provvedimento amministrativo, e come tale titolato a domandare il risarcimento del danno alternativamente o (come più spesso accade) cumulativamente all’annullamento del provvedimento lesivo, sia che si abbia riguardo all’interesse del soggetto invece beneficiato dal medesimo provvedimento. Anche quest’ultimo, infatti, vanta nei confronti dell’amministrazione un legittimo interesse alla sua conservazione, non solo rispetto all’azione giurisdizionale del ricorrente, ma anche rispetto al potere di autotutela dell’amministrazione stessa”;
         c4) non sembra quindi condivisibile interporre nel rapporto amministrativo costituito dal provvedimento un diritto soggettivo, avente ad oggetto l’affidamento alla stabilità del provvedimento medesimo, quale presupposto sostanziale della giurisdizione amministrativa, in quanto “Attraverso la stabilità del provvedimento e del rapporto con esso costituito il privato beneficiario conserva l’utilità attribuitagli, che nella misura in cui è correlata ad un pubblico potere è e rimane oggetto di un interesse legittimo (da pretensivo a oppositivo, secondo la terminologia invalsa al riguardo)”;
         c5) non può quindi essere seguita l’impostazione secondo cui quando il potere amministrativo non si è manifestato in un provvedimento tipico, ma è rimasto a livello di comportamento la giurisdizione sarebbe devoluta al giudice ordinario, che è invece ipotizzabile solo per comportamenti “meri”, non riconducibili al pubblico potere;
         c6) una conferma normativa di tali argomentazioni si può ricavare dall’art. 1, comma 2-bis, della l. 07.08.1990, n. 241, ai sensi del quale i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede” (comma aggiunto dall’art. 12, comma 1, lettera 0a), legge 11.09.2020, n. 120; di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 16.07.2020, n. 76);
         c7) non è quindi possibile, nel definire il riparto di giurisdizione, circoscrivere la rilevanza dei doveri in esame al diritto comune, dal momento che gli stessi sono invece comuni al diritto civile e al diritto amministrativo, ossia ai rapporti paritetici di diritto soggettivo così come a quelli originati dall’esistenza e dall’esercizio in concreto del pubblico potere.
La mancata osservanza del dovere di correttezza da parte dell’amministrazione in violazione dei principi di affidamento può determinare una lesione della situazione giuridica soggettiva del privato che afferisce pur sempre all’esercizio del potere pubblico, si manifesti esso con un provvedimento tipico o con un comportamento pur sempre tenuto nell’esercizio di quel potere e la cui natura resta qualificata dall’inerenza al pubblico potere.
Si tratta, quindi, di aspettative correlate ad «interessi legittimi (…) concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo» ai sensi dell’art. 7, comma 1, cod. proc. amm. sopra citato, la cui lesione rimane devoluta al giudice amministrativo. Come infatti testualmente previsto dalla disposizione in parola, la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo non solo nel caso in cui il potere sia stato esercitato, ma anche nel caso contrario di mancato esercizio. Non è conseguentemente possibile scindere sul piano del riparto giurisdizionale le due ipotesi, che peraltro possono in astratto dare luogo a profili diversi di addebito sul piano diacronico (per il fatto ad esempio di avere esercitato il potere tardivamente e di averlo poi esercitato illegittimamente), la cui cognizione va concentrata presso un unico giudice, ovvero quello amministrativo, quale giudice naturale della funzione amministrativa”;
         c8) tali principi trovano conferma nei precedenti della giurisprudenza amministrativa in tema di responsabilità precontrattuale proposta dall’aggiudicataria di una procedura di affidamento nei confronti dell’amministrazione per revoca legittima della gara. In tali precedenti si è chiarito che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti, uno relativo alla validità degli atti amministrativi e l’altro fonte di responsabilità per l’amministrazione. “Oltre che distinti, i profili in questione sono autonomi e non in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi, anche per violazione degli connessi obblighi di protezione inerenti al procedimento”;
         c9) nell’autonomia dei due ordini di regole operanti con riguardo all’esercizio della funzione pubblica –validità degli atti e comportamento complessivo dell’amministrazione– si colloca l’affidamento del privato, il quale si proietta sulla positiva conclusione del procedimento e, dunque, sull’attuazione dell’interesse legittimo di cui il medesimo privato è portatore, ma che diventa in sé tutelabile in via risarcitoria se l’amministrazione con il proprio comportamento abbia suscitato una ragionevole aspettativa sulla conclusione positiva del procedimento, a prescindere dal fatto che il bene della vita fosse dovuto e anche se si accertasse in positivo che non era dovuto;
         c10) è devoluta quindi alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sulle controversie in cui si faccia questione di danni da lesione dell’affidamento sul provvedimento favorevole;
         c11) il possibile contrasto del principio di diritto con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità potrà essere vagliato in sede di eventuale impugnazione ai sensi dell’art. 111 Cost.;
      d) con riferimento ai limiti entro i quali è ravvisabile un affidamento incolpevole del privato sulla legittimità del provvedimento favorevole poi annullato in sede giurisdizionale:
         d1) l’affidamento tutelabile deve essere ragionevole e, quindi, incolpevole;
         d2) esso deve quindi fondarsi su una situazione di apparenza costituita dall’amministrazione con il provvedimento o con il suo comportamento correlato al pubblico potere e in cui il privato abbia senza colpa confidato.
La tutela risarcitoria non interviene quindi a compensare il bene della vita perso a causa dell’annullamento del provvedimento favorevole, che comunque si è accertato non spettante nel giudizio di annullamento, ma a ristorare il convincimento ragionevole che esso spettasse”;
         d3) in tale prospettiva, il grado della colpa dell’amministrazione –da intendersi come la misura in cui l’operato di questa è rimproverabile– rileva sotto il profilo della riconoscibilità dei vizi di legittimità da cui potrebbe essere affetto il provvedimento; “per il danno da lesione dell’affidamento da provvedimento favorevole, poi annullato, la colpa dell’amministrazione è invece un elemento che ha rilievo nella misura in cui rende manifesta l’illegittimità del provvedimento favorevole al suo destinatario, e consenta di ritenere che egli ne potesse pertanto essere consapevole”;
         d4) la tutela dell’affidamento si fonda sui principi di correttezza e buona fede che regolano l’esercizio del pubblico potere, ma anche la posizione del privato, con la conseguenza che tale tutela postula che l’aspettativa sul risultato utile o sulla conservazione dell’utilità ottenuta sia sorretta da circostanze che obiettivamente la giustifichino;
         d5) un affidamento incolpevole non è predicabile innanzitutto nel caso estremo in cui sia il privato ad avere indotto dolosamente l’amministrazione ad emanare il provvedimento o, ancora, nelle ipotesi in cui l’illegittimità del provvedimento era evidente e avrebbe pertanto potuto essere facilmente accertata dal suo beneficiario, in conformità a una regola di carattere generale, espressamente richiamata in ambito civilistico dall’art. 1147, comma 2, c.c., secondo cui la buona fede non giova se l’ignoranza dipende da colpa grave;
         d6) l’atteggiamento psicologico del privato, pertanto, può essere considerato come fattore escludente del risarcimento solo in tali ipotesi e non ogniqualvolta vi sia un contributo del privato nell’emanazione dell’atto. In sostanza non ogni apporto del privato all’emanazione dell’atto può condurre a configurare, automaticamente, una colpa in grado di escludere un affidamento tutelabile sulla sua legittimità; si giungerebbe altrimenti a negare sempre la tutela risarcitoria, tenuto conto che i provvedimenti amministrativi favorevoli, ampliativi della sfera giuridica del destinatario, sono sempre emessi a iniziativa di quest’ultimo;
         d7) il privato, sebbene possa attivare il procedimento amministrativo e fornire ogni apporto utile alla sua conclusione in senso per sé favorevole, persegue il proprio esclusivo interesse di realizzare il proprio utile; è, invece, sempre l’amministrazione che rimane titolare della cura dell’interesse pubblico e che è dunque tenuta a darvi piena attuazione, se del caso sacrificando l’interesse privato;
         d8) “con riguardo a gradi della colpa inferiore a quello «grave», non possono nemmeno essere trascurati i caratteri di specialità del diritto amministrativo rispetto al diritto comune, tra cui la centralità che nel primo assume la tutela costitutiva di annullamento degli atti amministrativi illegittimi, contraddistinta dal fatto che il beneficiario di questi assume la qualità di controinteressato nel relativo giudizio.
Con l’esercizio dell’azione di annullamento quest’ultimo è quindi posto nelle condizioni di conoscere la possibile illegittimità del provvedimento a sé favorevole, per giunta entro il ristretto arco temporale dato dal termine di decadenza entro cui, ai sensi dell’art. 29 cod. proc. amm., l’azione deve essere proposta, e di difenderlo.
La situazione che viene così a crearsi induce, per un verso, ad escludere un affidamento incolpevole, dal momento che l’annullamento dell’atto per effetto dell’accoglimento del ricorso diviene un’evenienza non imprevedibile, di cui il destinatario non può non tenere conto ed addirittura da lui avversata allorché deve resistere all’altrui ricorso; per altro verso, porta ad ipotizzare un affidamento tutelabile solo prima della notifica dell’atto introduttivo del giudizio
”;
         d9) non ha carattere esimente il fatto che l’amministrazione abbia tutelato la posizione del beneficiario dell’atto nei confronti delle iniziative del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento. Ciò che ha rilievo per configurare un affidamento incolpevole sulla legittimità dell’atto favorevole, la cui frustrazione può essere fonte di responsabilità per l’amministrazione nei confronti del destinatario, è la riconducibilità dell’illegittimità a quest’ultimo;
         d10) allo stesso modo non può ritenersi che dal principio di non contraddizione possa pervenirsi alla conseguenza per cui non vi potrebbe essere un affidamento tutelabile del destinatario dell’atto, nella sua qualità di controinteressato soccombente.
L’assunto sovrappone i piani, che invece in precedenza si è precisato essere distinti, della legittimità dell’atto e delle regole di validità ad esso relative, da un lato, e dall’altro lato della correttezza e buona fede del comportamento nell’esercizio del potere pubblico, con le connesse responsabilità dell’amministrazione. Per converso, va escluso l’opposto estremismo per cui ogni atto illegittimo e annullato in sede giurisdizionale è per l’amministrazione fonte di responsabilità nei confronti sia del soggetto originariamente beneficiario, sia del ricorrente vittorioso nel giudizio di annullamento, con la conseguenza che l’amministrazione si troverebbe in tal caso sempre e comunque esposta alle azioni di entrambi i soggetti coinvolti nell’esercizio del potere pubblico”;
         d11) non costituisce elemento costitutivo dell’affidamento il fattore temporale, che in astratto è configurabile già al momento in cui è presentata l’istanza per il rilascio del provvedimento favorevole. Il tempo trascorso può costituire fattore che fonda l’interesse oppositivo all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio e che con le modifiche apportate all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, da originaria regola di comportamento dell’amministrazione, espressa con carattere generale dal principio di ragionevolezza del tempo in cui viene esercitato il potere di autotutela, è stato incorporato nell’ambito delle regole di validità dell’atto, attraverso la previsione di un termine massimo;
      e) nel caso di specie, la domanda risarcitoria per lesione dell’affidamento sulla legittimità del provvedimento è stata proposta non dal destinatario di quest’ultimo, ma dalla sua avente causa, la quale non ha partecipato al procedimento di adozione della variante urbanistica che ha reso edificabile l’area poi da essa acquistata e quindi, al momento dell’acquisto del terreno, poteva confidare sulla destinazione impressa da tale variante, salvo che in punto di fatto non risulti accertato che la stessa potesse essere a conoscenza dei profili di illegittimità della variante che hanno portato poi al suo annullamento.
Sembrerebbero dunque profilarsi tutti gli elementi idonei a ritenere che, attraverso l’esercizio della potestà di pianificazione urbanistica da parte del Comune, possa essersi ingenerata nella ricorrente la ragionevole convinzione sulla destinazione edificatoria dell’area e che perciò fosse equo il prezzo di acquisto come area edificabile anziché come terreno agricolo.
Della differenza tra i due valori l’amministrazione comunale può dunque essere ritenuta responsabile, al pari del venditore, secondo gli ordinari strumenti di tutela civilistica;
      f) l’eventuale responsabilità dell’amministrazione non può essere esclusa dalla eventualmente concorrente responsabilità del venditore, in quanto diversi sono i titoli di responsabilità:
         f1) la responsabilità dell’amministrazione si fonda sull’apparenza ingenerata al di fuori di ogni rapporto con l’acquirente, e dunque sul piano extracontrattuale;
         f2) la responsabilità del venditore per il difettoso risultato traslativo si fonda su un titolo contrattuale;
         f3) la possibilità di ravvisare un concorso di diversi soggetti nel medesimo fatto illecito per diversi titoli di responsabilità è affermata da consolidata giurisprudenza di legittimità;
         f4) il concorso di cause è a sua volta fonte di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c., fermo il diritto di regresso di ciascun condebitore solidale nei confronti dell’altro;
      g) nel restituire gli atti alla sezione rimettente ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., il
collegio osserva che, con riferimento alla posta risarcitoria relativa all’inutile attività edificatoria intrapresa dalla ricorrente e dagli oneri da questa sostenuti per la demolizione, costituisce profilo rilevante verificare quando la stessa abbia avuto conoscenza del contenzioso che ha poi portato all’annullamento della variante urbanistica e in via derivata dei titoli ad edificare rilasciati sulla base di quest’ultima.
   III. – Per completezza, si osserva quanto segue:
      h) le questioni sono state sottoposte all’attenzione dell’Adunanza plenaria da Cons. Stato, sez. IV, 11.05.2021, n. 3701 (oggetto della News US, n. 50 del 28.05.2021).
Alla citata News si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio: al § l), per precedenti sul tema della giurisdizione del giudice ordinario in materia di domanda di risarcimento del danno derivante da atto favorevole al destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia nella repressione di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di provvedimenti repressivi (sul tema si veda anche infra § j); al § m), sul diritto al risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia della pubblica amministrazione, come fattispecie lesive dell’affidamento privato;
      i) per i principi di ordine sostanziale elaborati dalla Plenaria in rassegna –e, quindi, per l’analisi di perimetro, presupposti e limiti della responsabilità della p.a. discendente dal ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico e all’operato della pubblica amministrazione conforme ai principi di correttezza e buona fede, anche nell’ipotesi di provvedimento favorevole successivamente annullato– si veda Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 21, (oggetto della News US, n. 3 del 12.01.2022, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), nonché nel senso che la parte risultata vittoriosa di fronte al Tribunale amministrativo regionale sul capo della domanda relativo alla giurisdizione non sia legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo vedi Cons. Stato, Ad. plen., 29.11.2021, n. 19 (oggetto della News US, n. 2 del 12.01.2022, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti).
      j) nel senso della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno proposta dal beneficiario del provvedimento favorevole poi riconosciuto illegittimo si vedano:
         j1) Cass. civ., sez. un., 25.05.2021, n. 14324, secondo cui “La controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un privato, che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, legittimamente annullato, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto non è relativa alla lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì di diritto soggettivo, rappresentato dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla originaria legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
         j2) Cass. civ., sez. un., 11.05.2021, n. 12428 (in Foro it., 2021, I, 2770 con nota di MACARIO), secondo cui “Affinché si perfezioni la fattispecie di lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, e la relativa controversia in quanto concernente diritti soggettivi possa essere risolta mediante arbitrato rituale di diritto, è necessario che sia identificabile un comportamento della pubblica amministrazione, differenziabile dalla mera inerzia o dalla mera sequenza di atti formali di cui si compone il procedimento amministrativo, che abbia cagionato al privato un danno in modo indipendente da eventuali illegittimità di diritto pubblico, ovvero che abbia indotto il privato a non esperire gli strumenti previsti per la tutela dell'interesse legittimo pretensivo a causa del ragionevole affidamento riposto nell'emanazione del provvedimento non adottato (nella specie, la controversia relativa alla mancata approvazione di una variante al programma di recupero urbano e di progetti per le opere di urbanizzazione è stata ritenuta devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto concernente interessi legittimi e pertanto non assoggettabile ad arbitrato rituale di diritto)”.
La sentenza va in contrasto frontale con i principi espressi dalla Plenaria in commento, allorquando afferma l’esistenza di un diritto soggettivo all’affidamento capace di radicare una controversia di diritto comune (che esclude in concreto nel caso di specie perché ritiene che la controversia avendo ad oggetto interessi legittimi, rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo e quindi non sia compromettibile in arbitri).
In particolare, a giudizio della Corte, il procedimento amministrativo costituisce un'interlocuzione fra l'amministrazione ed il privato retta da norme per l'esercizio della funzione amministrativa. Rispetto a tale agere che si dispiega mediante atti formali e si colloca sul piano del diritto pubblico, deve essere individuato quale sia lo spazio del comportamento in violazione dei canoni di correttezza e buona fede perché lesivo dell'affidamento riposto nell'adozione di un provvedimento amministrativo.
La buona fede che qui rileva non è quella che l'art. 1 della legge sul procedimento amministrativo menziona, quale forma del rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione unitamente alla collaborazione, e che corrisponde non alla regola di diritto civile, ma a un principio generale dell'ordinamento che ha la funzione, al pari della collaborazione, di modellare l'esercizio del potere fronteggiato dall'interesse legittimo. La correttezza che emerge con la lesione dell'affidamento è quella cui si correla una posizione di diritto soggettivo.
La Corte richiama quindi i suoi precedenti secondo cui spetta al giudice ordinario, per la ricorrenza di diritti soggettivi, la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa è configurabile non solo nel caso in cui tale danno derivi dall'emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione (Cass. civ., sez. un., 15.01.2021, n. 615, secondo cui “In materia di cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell'imprenditore, fondata sulla lesione dell'affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede; ciò in quanto la responsabilità della P.A. per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione”);
         j3) Cass. civ., sez. un., 17.12.2020, n. 28979, secondo cui “la controversia avente ad oggetto la domanda risarcitoria proposta dal privato aggiudicatario di una gara per l'assegnazione di un pubblico servizio, successivamente annullata o revocata, il quale deduca la lesione dell'affidamento riposto sull'apparente legittimità del provvedimento amministrativo, è devoluta alla giurisdizione ordinaria, invocandosi l'accertamento, non della legittimità dell'aggiudicazione, ma della responsabilità civile della P.A. (avente natura contrattuale, secondo lo schema della responsabilità da "contatto sociale", o eventualmente ricondotta alla responsabilità extracontrattuale) per i danni derivanti dalle spese effettuate in funzione della partecipazione alla gara poi revocata, dalla rinuncia ad un utile di impresa e dalla perdita di altre "chances" economico-commerciali nell'ambito del mercato imprenditoriale”;
         j4) Cass. civ., sez. un., 08.07.2020, n. 14231, secondo cui “La "causa petendi" della domanda con cui il beneficiario di un permesso di costruire, successivamente annullato in autotutela in quanto illegittimo, abbia invocato la risoluzione del contratto di compravendita del terreno, nonché la condanna della P.A. al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell'incolpevole affidamento sulla legittimità del predetto atto ampliativo, risiede, non già nella lesione di un interesse legittimo pretensivo (giacché non è in discussione la legittimità del disposto annullamento) ma nella lesione del diritto soggettivo all'integrità del patrimonio; pertanto la controversia è devoluta alla giurisdizione ordinaria, atteso che, avuto riguardo al detto "petitum sostanziale", il provvedimento amministrativo non rileva in sé (quale elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, della cui illegittimità il giudice è chiamato a conoscere "principaliter") ma come fatto (rilevabile "incidenter tantum") che ha dato causa all'evento dannoso subìto dal patrimonio del privato”;
         j5) Cass. civ., sez. un., 28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2020, 1025, con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020, 1181, con nota di PATRITO; Nuova giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA, SCOGNAMIGLIO; Giornale dir. amm., 2020, 805, con nota di BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota di MANFREDONIA);
         j6) Cass. civ., sez. un., 08.03.2019, n. 6885, secondo cui “Qualora il privato abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, in via di autotutela od "opeiudicis", senza che si discuta della legittimità dell'annullamento, la controversia relativa ai danni subiti dal privato rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione dell'integrità del patrimonio, pregiudicato dalle scelte compiute confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato”;
         j7) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066, con nota di richiami di BORGIANI, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali);
         j8) Cass. civ., sez. un., ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto della News US, in data 08.10.2018, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti);
         j9) Cass. civ., sez. un., ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della News US, in data 04.07.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti), secondo cui “è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione di risarcimento del danno proposta dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento ampliativo successivamente dichiarato illegittimo”;
         j10) Cass. civ., sez. un., 16.12.2016, n. 25978 (oggetto della News US, in data 09.01.2017, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti);
         j11) Cass. civ., sez. un., 04.09.2015, n. 17586 (in Riv. neldiritto, 2016, 467; in Riv. giur. edilizia, 2015, I, 1044, con nota di SINISI, e in Dir. proc. amm., 2016, 547, con nota di GALLO);
         j12) sulla questione di giurisdizione in esame si sono funditus pronunciate le tre ordinanze Cass., sez. un., 03.03.2011 n. 6596 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 933, con nota di DI MAJO; Urbanistica e appalti, 2011, 915, con nota di MASERA; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1749 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2315 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI), 03.03.2011, n. 6595 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 934, con nota di DI MAJO; Resp. civ. e prev., 2011, 1748 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2011, I, 406, con nota di CAPONIGRO; Giust. civ., 2011, I, 2315, con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI); 03.03.2011, n. 6594 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1743, con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2316 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 192, con nota di COMPORTI; Giust. civ., 2012, I, 2769 (m), con nota di. SALVAGO) che hanno concluso per la giurisdizione del giudice ordinario su tre fattispecie differenti ma riconducibili alla stessa regola;
         j13) in dottrina, per una nitida ricostruzione del tema e per ulteriori approfondimenti: CIRILLO, La giurisdizione sull’azione risarcitoria autonoma a tutela dell’affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l’interesse alla stabilità dell’atto amministrativo, in Foro amm., 2016, 7-8, 1991 ss.; NERI, La tutela dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario, in www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne Ufficio studi della G.A., 2021;
      k) si segnala che la Plenaria, con la pronuncia in commento:
         k1) consapevole dell’indirizzo contrario consolidato delle sezioni unite della Corte di cassazione, afferma la possibilità che si impugnino le sentenze delle sezioni del Consiglio di Stato che applicheranno il principio elaborato dalla Plenaria. Sulla impossibilità di configurare l’interesse all’impugnazione ex art. 111 Cost. nei confronti delle decisioni della Plenaria che non definiscono il merito della controversia si veda Cass. civ., sez. un., 30.10.2019, n. 27482 (in Foro it., 2020, I, 246 con nota CONDORELLI; oggetto della News US, n. 124 del 15.11.2019), secondo cui “È inammissibile il ricorso per motivi inerenti alla giurisdizione proposto avverso la sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che, ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a., si sia limitata a enunciare uno o più principi di diritto”.
Alla citata News US si rinvia, oltre che per l’esame delle argomentazioni sviluppate dal collegio: al § h), sulla natura delle sentenze (e del vincolo) rese dalla Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 4, c.p.a. quanto non definiscono in tutto o in parte la lite (anche con riferimenti dottrinali); al § i), nel senso della non impugnabilità ex art. 111, u.c., Cost., delle pronunce del Consiglio di Stato prive del carattere della definitività e decisorietà; al § k), nel senso che la violazione dell’art. 99, comma 3, c.p.a. –il quale impone ad una sezione del Consiglio di Stato di rimettere la questione alla Plenaria se non ritenga di condividere il principio da essa fissato– non costituisce un motivo attinente alla giurisdizione ex art. 111, u.c., Cost.;
         k2) richiama le sezioni del Consiglio di Stato, ex art. 99 c.p.a., al rispetto del principio formulato in materia di giurisdizione sebbene, ai sensi dell’art. 111 Cost., siano le sezioni unite il giudice della giurisdizione, per tale via assumendo un indirizzo divergente rispetto a quanto affermato dalla Plenaria sulla non vincolatività del proprio precedente in contrasto col diritto europeo come interpretato dalla Corte di giustizia UE.
Si veda, oltre alla citata News US, n. 124 del 15.11.2019, anche: News US, n. 99 del 15.09.2020, a Cons. Stato, Ad. plen., 09.07.2020, n. 14, cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie al § g), in tema di restituzione degli atti, da parte della Plenaria, alla sezione rimettente ai sensi dell’art. 99 c.p.a.; Cons. Stato, Ad. plen., 17.12.2019, n. 14, in tema di restituzione degli atti alla sezione deferente in seguito a intervento della Corte di giustizia UE che soddisfi l’esigenza di pronuncia del principio di diritto formulato nella ordinanza di rimessione; News US, in data 01.08.2016, a Cons. Stato, Ad. plen., 27.07.2016, n. 19 (in Foro it. 2017, III, 309), cui si rinvia per ulteriori approfondimenti, specie ai §§ I) e II), ove si esamina il rapporto tra la funzione nomofilattica della Plenaria e il dovere di sollevare la questione pregiudiziale di legittimità comunitaria (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza 29.11.2021 n. 20 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2021

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAAl vaglio dell’Adunanza plenaria la questione di giurisdizione sul risarcimento del danno da provvedimento favorevole annullato e lesione dell’affidamento.
La quarta sezione del Consiglio di Stato sottopone ancora una volta al vaglio dell’Adunanza plenaria distinte questioni involgenti la potestas iudicandi sulla domanda di risarcimento del danno da provvedimento favorevole annullato in sede giurisdizionale oltre che relative alla configurabilità di un affidamento incolpevole e ai margini di rimproverabilità della condotta dell’Amministrazione idonea a suscitare detto affidamento.
L’ordinanza ha compiutamente ricostruito l’assetto degli orientamenti giurisprudenziali (sia delle Sezioni unite della Corte di cassazione, sia del Consiglio di Stato) e, non senza aver ribadito alcuni principi in punto di esercizio del potere e interesse legittimo, ha concluso per la non condivisibilità della tesi secondo cui, in presenza di una pretesa risarcitoria del beneficiario di una provvedimento favorevole poi annullato, possa affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario.
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Giustizia amministrativa – Giurisdizione – Risarcimento danni da provvedimento amministrativo favorevole annullato – Deferimento all’Adunanza plenaria
Responsabilità civile della P.A. – Annullamento giurisdizionale di un provvedimento favorevole – Lesione dell’affidamento del beneficiario – Tutela risarcitoria – Deferimento all’Adunanza plenaria
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
   a) se sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di costruire e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione amministrativa quando –su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale condizionato o un ricorso autonomo)– si debba verificare se il vizio di un provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia conseguenze sul piano risarcitorio;
   b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo;
   c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità dell’Amministrazione (1).

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   (1) I. – Con l’ordinanza in rassegna, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria le questioni involgenti la responsabilità della pubblica amministrazione e le connesse questioni di giurisdizione discendenti dalla caducazione, in sede giurisdizionale, di un provvedimento ampliativo rilasciato al privato.
Analoghi quesiti hanno costituito oggetto di deferimento alla Plenaria da parte di Cons. Stato, sez. II, 06.04.2021, n. 2753 (oggetto della News US in data 04.05.2021) e Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021 n. 2013 (quest’ultima citata a più riprese nell’ordinanza in rassegna e oggetto della News US in data 26.03.2021 alla quale si rinvia per ogni ulteriore approfondimento).
   II. – Più precisamente, sul versante fattuale della vicenda procedimentale e contenziosa, è
accaduto che:
      a) il dante causa della ricorrente in primo grado ha chiesto ed ottenuto, nel 2006, una variante al p.r.g. che ha attribuito destinazione edificatoria all’area di sua proprietà in conseguenza della quale è stato rilasciato il permesso di costruire, poi volturato a seguito di compravendita stipulata tra le parti;
      b) successivamente, sono stati avviati i lavori di costruzione di due unità immobiliari;
      c) nel frattempo, la vicina di casa –che aveva impugnato l’atto di pianificazione, il primo titolo edilizio e il permesso di costruire in variante– ha ottenuto l’annullamento giurisdizionale (con la sentenza Tar per le Marche, sez. I, 01.08.2011, n. 630 confermata con sentenza Cons. Stato, sez. IV, 19.06.2014, n. 3114) della variante urbanistica per vizi propri e dei permessi di costruire per illegittimità derivata;
      d) nel corso del 2015, il Comune –al dichiarato fine di ottemperare alle suddette sentenze e ritenendo che nella specie potesse trovare applicazione l’art. 38 del testo unico sull’edilizia n. 380 del 2001– ha emanato un atto di sanatoria delle opere edilizie in questione, contestato a sua volta dalla medesima vicina di casa, che nuovamente ha adito il Tar per le Marche con ricorso di esecuzione per violazione del giudicato;
      e) il Tar, con la sentenza 08.10.2015, n. 698, ha accolto anche questo secondo ricorso e ha ingiunto la demolizione di quanto già realizzato;
      f) a seguito di tale pronuncia, la proprietaria dell’area originariamente edificabile per effetto della originaria variante al p.r.g. ha proposto il ricorso di primo grado, ritenendosi ingiustamente lesa dalla ‘condotta’ tenuta dal Comune;
      g) il ricorso è stato accolto con sentenza Tar per le Marche, sez. I, 06.06.2020, n. 268;
      h) avverso la predetta sentenza il Comune, condannato, tra l’altro, al risarcimento dei danni, ha interposto appello in seno al quale –previa reiezione di alcune questioni in rito con contestuale sentenza parziale– si è innestato l’odierno deferimento all’Adunanza plenaria.
   III. – Con l’ordinanza in commento il Collegio ha osservato che sussistono tre interrogativi da dirimere, sia sul versante della giurisdizione, sia sul versante della lesione del legittimo affidamento:
      i) un primo quesito attiene all’individuazione del giudice (civile o amministrativo) fornito di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno proposta dal destinatario di una favorevole variante urbanistica e dei conseguenti ‘provvedimenti ampliativi’, per i pregiudizi conseguenti all’annullamento dei medesimi provvedimenti, disposto dal giudice amministrativo in accoglimento di un altrui ricorso;
      j) la questione di principio riguarda non solo i casi in cui in una materia sussista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (nella specie, la controversia riguarda le conseguenze dell’annullamento di atti di pianificazione e di permessi di costruire, dunque di atti emanati nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia), ma anche i casi in cui sussista la giurisdizione amministrativa di legittimità, quando il soggetto controinteressato nel processo amministrativo –una volta che si sia determinata la soccombenza ‘sua e dell’Amministrazione’ con l’annullamento di un favorevole atto impugnato– intenda ottenere dall’Amministrazione medesima un risarcimento del danno, proprio perché è stato emanato il provvedimento per lui favorevole, ma che poi è stato annullato, in quanto illegittimo;
         j1) sulla questione di giurisdizione in esame si sono funditus pronunciate le tre ordinanze Cass., sez. un., 03.03.2011 n. 6596 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 933, con nota di DI MAJO; Urbanistica e appalti, 2011, 915, con nota di MASERA; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1749 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2315 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI), 3 marzo 2011, n. 6595 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Corriere giur., 2011, 934, con nota di DI MAJO; Resp. civ. e prev., 2011, 1748 (m), con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2011, I, 406, con nota di CAPONIGRO; Giust. civ., 2011, I, 2315, con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 193, con nota di COMPORTI); 03.03.2011, n. 6594 (in Foro it., 2011, I, 2387, con nota di TRAVI; Giust. civ., 2011, I, 1209, con nota di LAMORGESE; Resp. civ. e prev., 2011, 1743, con nota di SCOGNAMIGLIO; Giust. civ., 2011, I, 2316 (m), con nota di D'ANGELO; Giur. it., 2012, 192, con nota di COMPORTI; Giust. civ., 2012, I, 2769 (m), con nota di. SALVAGO) che hanno concluso per la giurisdizione del giudice ordinario su tre fattispecie differenti ma riconducibili alla stessa regola;
         j2) con altre pronunce, nel tempo, le Sezioni unite hanno affermato principi non sempre in linea con quelli posti a base delle stesse citate ordinanze, giungendo anche ad affermare la giurisdizione del giudice amministrativo;
         j3) il contrasto si è, invero, verificato anche nella giurisprudenza amministrativa, come evidenziato nell’ordinanza Cons. Stato, sez. II, 09.03.2021 n. 2013, cit.;
         j4) in linea di principio, in fattispecie quale quella oggetto di giudizio, si dovrebbe affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi degli articoli 7 e 133 cod. proc. amm., poiché:
 I) sul piano sostanziale, non può essere sottovalutata la natura tipicamente relazionale dell’interesse legittimo pretensivo, e cioè della posizione (che come l’interesse legittimo oppositivo o difensivo) correlata all’esercizio pur illegittimo del pubblico potere;
 II) l’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge;
 III) non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato;
 IV) può risultare, dunque, artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione– una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria incongruamente richiamata quando si tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere, come ha chiaramente evidenziato anche la sentenza Cons. Stato, Ad. plen., 23.04.2021 n. 7, oggetto della News US in data 13.05.2021);
 V) deve, dunque, ritenersi che l’interesse pretensivo risulta di per sé leso quando l’Amministrazione emana il diniego avente natura autoritativa, ovvero resta inerte (risultando illogico e in contrasto con la legge n. 241 del 1990 l’affermare che nel corso del procedimento l’inerzia dell’attività amministrativa –disciplinata dalle leggi amministrative sostanziali e processuali– sia definibile come un comportamento sottoposto al diritto privato);
 VI) l’interesse pretensivo costituisce il presupposto logico-giuridico del diritto che poi vanta il richiedente, qualora in accoglimento dell’istanza vi sia il rilascio di un atto abilitativo e ridiventa configurabile quando l’Amministrazione in sede di autotutela o il giudice in sede giurisdizionale abbia annullato l’atto abilitativo, estinguendo di conseguenza quel diritto di per sé configurabile solo quando l’atto abilitativo favorevole risulti ancora efficace;
 VII) ciò che rileva, sul piano sostanziale, è il fatto che –con l’annullamento dell’atto abilitativo– non sussiste più il diritto in precedenza sorto e torna ad esservi un interesse pretensivo che però non può più essere soddisfatto, quando un tale esito sia desumibile dalla sentenza del giudice amministrativo (di cui può anche prendere atto un ulteriore provvedimento, questa volta negativo, conseguente all’annullamento dell’atto abilitativo precedente);
 VIII) il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché –una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo– il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato;
 IX) qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il quomodo del precedente esercizio del potere amministrativo; conseguentemente si deve verificare se il vizio dell’atto –oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul piano risarcitorio;
 X) per un principio di simmetria, la lesione arrecata all’interesse legittimo è configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un diniego poi annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia accolta e il titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia interesse: in entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a seguito dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi e rileva l’art. 7, comma 1, cod. proc. amm.;
 XI) ragionando diversamente, si produrrebbe un ingiustificato e irragionevole scollamento tra fatto e diritto, tra procedimento e processo, sottraendo al giudice amministrativo una parte fondamentale dell’agire amministrativo, e cioè quello autoritativo manifestatosi attraverso provvedimenti favorevoli al richiedente, ma giuridicamente non rispettosi del paradigma legale;
 XII) in altre parole, la pretesa risarcitoria –quando si basa su quanto è accaduto in sede di esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’ o nel corso del procedimento amministrativo– non è riconducibile ad un comportamento o a una condotta di rilievo privatistico ovvero svolta ‘in via di mero fatto’ e che potrebbe essere serbata da un quisque de populo in spregio al principio del neminem laedere, ma consiste sempre nella affermazione della illegittimità dell’esercizio (o del mancato esercizio) del potere amministrativo, disciplinato dal diritto pubblico;
 XIII) sotto l’aspetto normativo, la domanda risarcitoria si basa –nella vicenda oggetto di trattazione– non sulla illiceità di un ‘comportamento’ (comunque riconducibile all’esercizio del potere), bensì sull’emanazione sia pure illegittima del provvedimento autoritativo, con la conseguente applicazione dell’art. 7, comma 1, e dell’art. 133, comma 1, lett. f), cod. proc. amm., per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva sulla medesima domanda risarcitoria: è ben difficile sostenere che la domanda risarcitoria non abbia per ‘oggetto’ il ‘come’ sia stato esercitato il potere amministrativo con il provvedimento annullato (e nella materia urbanistica, nel caso in esame), per i chiari enunciati dell’art. 7 e dell’art. 133 sopra richiamati;
 XIV) ragioni di coerenza sistematica impongono di ritenere che –una volta annullato un atto abilitativo– il giudice amministrativo abbia giurisdizione su ogni domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione (quella formulata da quel vicino che impugni il permesso di costruire e quella formulata dal titolare del permesso di costruire, che sia la parte controinteressata nel giudizio di cognizione proposto contro tale provvedimento);
 XV) affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice civile sembra dunque contrastare anche con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale il giudice amministrativo è il ‘giudice naturale dell’esercizio della funzione pubblica’: tale funzione si deve necessariamente sindacare quando si esamina la domanda risarcitoria, formulata dal controinteressato risultato soccombente nel giudizio amministrativo di legittimità;
      k) per l’ipotesi di sussistenza della giurisdizione amministrativa, devono essere approfonditi –ciò che è oggetto degli altri due quesiti posti alla Plenaria– il rilievo da attribuire, nei singoli casi, all’affidamento, nonché la determinazione dei presupposti in base ai quali si possa effettivamente ritenere che esso sia ‘
incolpevole’ ovvero che possa escludersi la rimproverabilità della condotta dell’amministrazione, dovendosi sempre tenere conto delle peculiarità della fattispecie concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce degli accadimenti effettivamente svoltisi nel corso del procedimento amministrativo e considerando le modalità con cui è stata presentata l’istanza poi accolta dall’Amministrazione con l’atto poi annullato.
   IV. – Per completezza si segnala:
      l) sulla giurisdizione del giudice ordinario in materia di domanda di risarcimento del danno derivante da atto favorevole al destinatario successivamente annullato ovvero da inerzia nella repressione di abusi dovuti a omessa vigilanza ovvero a omessa esecuzione di provvedimenti repressivi:
         l1) Cons. Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17 (in Foro it., 2021, III, 33, con nota di E. TRAVI; oggetto della News US, n. 107 del 28.09.2020, che (al § 8.1.) riconosce espressamente la piena operatività dell’indirizzo espresso dalla Corte di cassazione;
         l2) Cass. civ., sez. un., 28.04.2020, n. 8236 (in Giur. it., 2020, 2530, con nota di COMPORTI; Corriere giur., 2020, 1025, con nota di SCOGNAMIGLIO; Riv. giur. edilizia, 2020, I, 461; Resp. civ. e prev., 2020, 1181, con nota di PATRITO; Nuova giur. civ., 2020, 1074, con note di ZACCARIA, SCOGNAMIGLIO; Giornale dir. amm., 2020, 805, con nota di BONTEMPI; Rass. dir. civ., 2020, 959, con nota di MANFREDONIA), citata nell’ordinanza in rassegna;
        l3) Cass. civ., sez. un., 19.02.2019, n. 4889 (in Foro it., 2019, I, 4066, con nota di richiami di BORGIANI, alla quale si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali);
         l4) Cass. civ., sez. un., ordinanza, 24.09.2018, n. 22435 (oggetto della News US, in data 08.10.2018);
         l5) Cass. civ., sez. un., ordinanza 22.06.2017, n. 15640 (oggetto della News US, in data 04.07.2017);
         l6) Cass. civ., sez. un., 16.12.2016, n. 25978 (oggetto della News US, in data 09.01.2017);
         l7) in dottrina, per una nitida ricostruzione del tema e per ulteriori approfondimenti: NERI, La tutela dell'affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario, in www.giustizia-amministrativa.it, Studi e rassegne Ufficio studi della G.A., 2021;
      m) sul diritto al risarcimento del danno da provvedimento favorevole poi annullato e da inerzia della P.A., come fattispecie lesive dell’affidamento privato, si vedano, tra le altre: Cons. Stato, Ad. plen., 07.09.2020, n. 17, cit. (e relativa News US, n. 107 del 28.09.2020) (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 11.05.2021 n. 3701 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICAAll’Adunanza plenaria l'individuazione del giudice competente a decidere sul risarcimento danni conseguente all’annullamento giurisdizionale di una variante e dei conseguenti permessi di costruire - Affidamento incolpevole.
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Giurisdizione – Risarcimento danni – Conseguente ad annullamento di una variante e dei conseguenti permessi di costruire – Rimessione All’Adunanza plenaria.
Devono essere rimesse all’Adunanza plenaria le questioni:
   a) se sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda volta ad ottenere il risarcimento del danno, formulata dall’avente causa del destinatario di una variante urbanistica, quando entrambi siano risultati soccombenti in un giudizio amministrativo, proposto dal vicino, all’esito del quale sia stata annullata per vizi propri la medesima variante e siano stati annullati per illegittimità derivata i conseguenti permessi di costruire e, più in generale, se sussista sempre la giurisdizione amministrativa quando –su domanda del ricorrente vittorioso o su domanda del controinteressato soccombente (che proponga un ricorso incidentale condizionato o un ricorso autonomo)– si debba verificare se il vizio di un provvedimento autoritativo, oltre a comportare il suo annullamento, abbia conseguenze sul piano risarcitorio);
   b) qualora sussista la giurisdizione amministrativa sulla domanda sub a) del controinteressato soccombente, quando sia giuridicamente configurabile un affidamento ‘incolpevole’ che possa essere posto a base di una domanda risarcitoria, anche in relazione al fattore ‘tempo’;
   c) qualora sussista la giurisdizione amministrativa e quand’anche si sia in presenza di un affidamento ‘incolpevole’ del controinteressato soccombente, quando si possa escludere la rimproverabilità dell’Amministrazione (1).

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   (1) La Sezione ha dato atto che sulla questione è insorto un contrasto di giurisprudenza sia tra i giudici ordinari che tra quelli amministrativi.
Le tre ordinanze n. 6594, n. 6595 e n. 6596 del 2011 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato la giurisdizione del giudice civile nelle controversie avente per oggetto le domande risarcitorie formulate:
   - dal beneficiario di una concessione edilizia poi legittimamente annullata in sede di autotutela, il quale lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6594 del 2011);
   - da chi aveva ottenuto dapprima una attestazione sull’edificabilità di un’area (utile per valutare la convenienza di un acquisto, rivelatasi insussistente) e poi una concessione edilizia legittimamente annullata in sede giurisdizionale, il quale anche in tal caso lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6595 del 2011);
   - da chi aveva ottenuto una aggiudicazione di una gara d’appalto di un pubblico servizio, annullata in sede giurisdizionale, il quale anche in tal caso lamentava la lesione di un suo affidamento (si tratta della ordinanza n. 6596 del 2011).
Le Sezioni Unite hanno superato il proprio precedente orientamento (la sentenza n. 8511 del 2009), per il quale –per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativa– rileva la riconducibilità della controversia ad una delle materie indicate dalla legge, rientrandovi anche tutte le controversie di natura risarcitoria; hanno evidenziato che chi aveva proposto le domande risarcitorie non poneva in discussione la legittimità degli atti di annullamento (in via amministrativa o giurisdizionale) di quelli ampliativi della loro sfera giuridica (questione ovviamente esaminabile dal giudice avente giurisdizione sugli atti autoritativi, e cioè dal giudice amministrativo, che peraltro in almeno due dei casi sopra indicati aveva annullato gli atti impugnati), ma lamentava la ‘lesione dell’affidamento’ riposto nella legittimità degli atti annullati e chiedeva il risarcimento dei danni subiti per aver orientato sulla base di questi le proprie scelte negoziali o imprenditoriali; hanno ritenuto che sarebbe ravvisabile un ‘diritto all’integrità del patrimonio’, la cui lesione, cagionata con la ‘lesione dell’affidamento’, determinerebbe la sussistenza della giurisdizione del giudice civile.
Le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno poi affermato principi anche divergenti da quelli posti a base delle citate ordinanze del 2011.
Alcune pronunce (nn. 17586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 19171/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019, 6885/2019 e 12635/2019) si sono poste in linea di continuità con le ordinanze del 2011 ed hanno affermato che:
   a) la controversia sulla domanda risarcitoria formulata da chi abbia fatto ‘incolpevole affidamento’ su di un provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica, successivamente annullato, rientrerebbe nella giurisdizione del giudice civile, perché avrebbe ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo, bensì di un diritto soggettivo;
   b) tale diritto sarebbe quello alla ‘conservazione dell'integrità del patrimonio’, leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi annullato.
Altre pronunce delle Sezioni Unite, invece, hanno affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa:
   - per Sez. Un., n. 8057 del 2016, “l'azione amministrativa illegittima -composta da una sequela di atti intrinsecamente connessi- non può essere scissa in differenti posizioni da tutelare, essendo controverso l'agire provvedimentale nel suo complesso, del quale l'affidamento costituisce un riflesso, privo di incidenza sulla giurisdizione”;
   - per Sez. Un., n. 13454 del 2017, “la giurisdizione esclusiva prevede la cognizione, da parte del giudice amministrativo, sia delle controversie relative ad interessi legittimi della fase pubblicistica, sia delle controversie di carattere risarcitorio originate dalla caducazione di provvedimenti della fase predetta, realizzandosi quella situazione d'interferenza tra diritti ed interessi, tra momenti di diritto comune e di esplicazione del potere che si pongono a fondamento costituzionale delle aree conferite alla cognizione del giudice amministrativo, riguardo ad atti e comportamenti assunti prima dell'aggiudicazione o nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la mancata stipula del contratto”;
   - per Sez. Un., n. 13194 del 2018, i principi fissati nelle ordinanze del 2011 non sono applicabili quando non vi sia stato un provvedimento ampliativo della altrui sfera giuridica.
Anche la giurisprudenza del giudice amministrativo è divisa sul punto, atteso che in alcune pronunce (cfr. Cons. St., sez. V, 27.09.2016, n. 3997; id., sez. IV, 25.01.2017, n. 293, e 20.12.2017, n. 5980; id., sez. VI, 13.08.2020, n. 5011) si è aderito alla traiettoria argomentativa sostenuta dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con le ordinanze del 23.03.2011, numeri 6594, 6595 e 6596, e con altre ordinanze (04.09.2015, n. 17586, 22.05.2017, n. 12799; 22.06.2017, n. 15640, 02.08.2017, n. 19171, 23.01.2018, n. 1654, 02.03.2018, n. 4996, 24.09.2018, n. 22435, 13.12.2018, n. 32365, 19.02.2019, n. 4889, 08.03.2019, n. 6885, 13.05.2019, n. 12635, e 28.04.2020, n. 8236) si è affermato che la domanda risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), non trattandosi di una lesione dell’interesse legittimo pretensivo del danneggiato (interesse soddisfatto, seppur in modo illegittimo), ma di una lesione del diritto soggettivo alla sua integrità patrimoniale oppure (più recentemente) di una lesione all’affidamento incolpevole quale situazione giuridica soggettiva autonoma, dove l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento.
Per contro, in altre pronunce (Cons. St., sez. V, 23.02.2015, n. 857; Tar Pescara 20.06.2012, n. 312) si è affermato che, nelle materie di giurisdizione amministrativa esclusiva, le domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo; in tal senso si sono peraltro espresse le sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 21.04.2016, n. 8057 e 29.05.2017, n. 13454 (per l’ipotesi di annullamento in autotutela di provvedimento di affidamento di sevizio pubblico).
La Sezione –nel rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria la questione di giurisdizione– ritiene che in linea di principio si dovrebbe affermare la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ai sensi degli artt. 7 e 133 c.p.a., potendo non risultare convincenti le considerazioni sostanziali e quelle processuali poste a base del ‘primo orientamento’.
L’interesse legittimo pretensivo esprime, ad un tempo, sia l’interesse sostanziale rappresentato dalla pretesa ad ottenere un ‘bene della vita’, sia l’interesse procedimentale per cui il provvedimento finale sia emanato seguendo il procedimento previsto dalla legge. Non si tratta di un mero interesse ‘occasionalmente protetto’ (adoperando una espressione tipica degli albori della giustizia amministrativa), cioè protetto per il tramite della tutela primaria della legalità amministrativa, bensì di una situazione giuridica immediata, diretta, concreta e personale del privato (per i relativi approfondimenti, v. anche la sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).
Può risultare dunque artificioso il sovrapporre a una tale posizione giuridica soggettiva –riferibile ad un rapporto di diritto pubblico tra il richiedente e l’Amministrazione- una diversa situazione sostanziale (da richiamare per individuare una ‘diversa’ giurisdizione), basata sul principio del neminem laedere (il cui ambito di efficacia prescinde dalla esistenza di un preesistente rapporto tra danneggiante e danneggiato) o anche su un ‘contatto sociale’ (categoria che può giustificare nell’ambito della giurisdizione civile la soluzione secondo giustizia di determinate tipologie di controversie senza alterare i criteri di riparto della giurisdizione, ma che di per sé è incongruamente richiamata quando si tratti dell’esercizio o del mancato esercizio del pubblico potere, come ha chiaramente evidenziato anche la citata sentenza n. 7 del 2021 dell’Adunanza Plenaria).
Ha aggiunto la Sezione che allorquando sia stato annullato l’atto abilitativo e dunque non sia più configurabile il diritto ad esso conseguente, l’originario richiedente torna ad essere titolare di un interesse legittimo. In fondo, si tratta del ripristino della dinamica delle posizioni giuridiche, già segnalata dalla sez. II, con l’ordinanza n. 2013 del 2021: il ricorrente ed il controinteressato, beneficiario in quanto tale dell’atto abilitativo impugnato, sono titolari di contrapposti interessi legittimi nel corso del procedimento, sicché –una volta che la sentenza amministrativa abbia annullato il titolo abilitativo– il controinteressato non risulta più titolare del diritto che era sorto con l’atto ormai annullato. In altri termini, il controinteressato soccombente va qualificato come titolare di una posizione soggettiva contrapposta e speculare a quella del ricorrente vittorioso, in un quadro nel quale tra di loro e nei confronti dell’Amministrazione non vi sono diritti soggettivi da fare valere.
Qualora il controinteressato soccombente nel giudizio di legittimità intenda formulare una domanda risarcitoria nei confronti dell’Amministrazione anch’essa soccombente, la relativa causa petendi riguarda proprio il come è stato in precedenza esercitato il potere amministrativo e si deve verificare se il vizio dell’atto –oltre ad aver comportato il suo annullamento– deve avere conseguenze sul piano risarcitorio.
Per un principio di simmetria, la lesione arrecata all’interesse legittimo è configurabile sia quando l’istanza non sia accolta e vi sia un diniego poi annullato su ricorso del richiedente, sia quando l’istanza sia accolta e il titolo abilitativo sia annullato su ricorso di chi vi abbia interesse. In entrambi i casi, non sono ravvisabili (ab origine o a seguito dell’atto o della sentenza di annullamento) diritti soggettivi e rileva l’art. 7, comma 1, c.p.a., per il quale ‘sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni’.
La pretesa risarcitoria –quando si basa su quanto è accaduto in sede di esercizio del potere amministrativo ‘autoritativo’ o nel corso del procedimento amministrativo– non è riconducibile ad un comportamento o a una condotta di rilievo privatistico o svolta ‘in via di mero fatto’ e che potrebbe essere serbata da un quisque de populo in spregio al principio del neminem laedere, ma si duole dell’esercizio (o del mancato esercizio) del potere amministrativo, disciplinato dal diritto pubblico:
   a) sotto l’aspetto soggettivo, si tratta di provvedimenti e di attività della pubblica Amministrazione;
   b) sotto l’aspetto oggettivo, si tratta di poteri disciplinati dalla l. n. 241 del 1990 e dalle altre leggi amministrative;
   c) sotto l’aspetto funzionale, si tratta di verificare le conseguenze dell’illegittimo esercizio del potere. Sotto l’aspetto normativo, la domanda risarcitoria -nel caso in esame– si basa non sulla illiceità di un ‘comportamento’ (comunque riconducibile all’esercizio del potere), bensì sull’emanazione sia pure illegittima del provvedimento autoritativo, con la conseguente applicazione degli artt. 7, comma 1, e 133, comma 1, lett. f), c.p.a., per il quale sussiste la giurisdizione esclusiva sulla medesima domanda risarcitoria: è ben difficile sostenere che la domanda risarcitoria non abbia per ‘oggetto’ il ‘come’ sia stato esercitato il potere amministrativo con il provvedimento annullato (e nella materia urbanistica, nel caso in esame), per i chiari enunciati degli artt. 7 e 133 c.p.a..
A questo proposito, la menzionata ordinanza n. 2013 del 2021 della Sez. II del Consiglio di Stato ha già osservato che è prioritario qualificare l’illecito in senso logico ed eziologico, anziché in senso meramente cronologico (“atteso che l’ordinamento attribuisce, in ossequio al principio di effettività e pienezza della tutela giurisdizionale, alla cognizione del giudice amministrativo tutti gli strumenti processuali idonei a tutelare la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri di cui è titolare l’amministrazione e che la circostanza che il danno non sia direttamente cagionato dal provvedimento, ma derivi dal suo annullamento, attiene soltanto al piano cronologico e non, per contro, a quello logico ed eziologico, stante la riconducibilità diretta del pregiudizio al provvedimento amministrativo”).
Il criterio di riparto della giurisdizione, che trascina con sé la cognizione sull’azione risarcitoria intesa come tecnica di tutela e non come autonoma materia a sua volta da ripartire, non si basa sulla satisfattività o meno della situazione soggettiva, ma sulla sua natura giuridica (“In sostanza, l’orientamento favorevole alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria si basa sul presupposto per cui vi sarebbe l’interesse legittimo soltanto a fronte della illegittima negazione di un bene della vita e non dinanzi all’illegittimo ‒e, pertanto, necessariamente instabile‒ riconoscimento di siffatto bene. Quest’impostazione, tuttavia, non appare in sintonia con il generale criterio di riparto sancito dalla Costituzione che non condiziona la natura delle situazioni soggettive (diritto soggettivo/interesse legittimo), rilevante per la concreta applicazione del criterio, al carattere satisfattivo o non satisfattivo del provvedimento amministrativo”).
Ragioni di coerenza sistematica –di per sé rilevanti anche per ravvisare la ragionevolezza delle soluzioni legislative (o delle loro esegesi), ponendosi altrimenti serie questioni di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3, 97 e 103 Cost.– sembrano imporre di ritenere che –una volta annullato un atto abilitativo– il giudice amministrativo ha giurisdizione su ogni domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione:
   - quella formulata da quel vicino che impugni il permesso di costruire (con il medesimo ricorso introduttivo o con una domanda proposta dopo la sentenza di annullamento);
   - quella formulata dal titolare del permesso di costruire, che sia la parte controinteressata nel giudizio di cognizione proposto contro tale provvedimento (con un ricorso incidentale condizionato all’accoglimento eventuale dalla domanda di annullamento o –come nel caso di specie– con un ricorso autonomo dopo l’annullamento del permesso).
Affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice civile sembra dunque contrastare anche con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, per la quale il giudice amministrativo è il ‘giudice naturale dell’esercizio della funzione pubblica’: tale funzione si deve necessariamente sindacare quando si esamina la domanda risarcitoria, formulata dal controinteressato risultato soccombente nel giudizio amministrativo di legittimità.
D’altra parte, qualora fosse ravvisata la giurisdizione del giudice civile, risulterebbe sottratta al giudice amministrativo la cognizione di controversie di indubbia natura pubblicistica, anche con l’inconveniente per il quale un altro ordine giurisdizionale –in disarmonia con gli artt. 7 e 133 c.p.c.- dovrebbe per di più esaminare la portata ed il significato anche conformativo delle pronunce del giudice amministrativo, se non altro allo scopo di qualificare i fatti e di ravvisare la sussistenza o meno degli elementi costitutivi di un illecito, di cui un elemento decisivo da valutare è proprio il decisum della sentenza di annullamento emessa dal giudice amministrativo per verificare se in concreto vi sia una rimproverabilità eccedente la mera illegittimità dell’atto.
Ha ancora affermato la Sezione non qualsivoglia affidamento del privato può essere posto a base di una domanda risarcitoria, per il solo fatto dell’annullamento di un provvedimento amministrativo favorevole. Infatti, occorrerebbe sempre tenere conto delle peculiarità della fattispecie concreta, da apprezzarsi caso per caso, alla luce degli accadimenti effettivamente svoltisi nel corso del procedimento amministrativo e tenendo conto delle modalità con cui è stata presentata l’istanza poi accolta dall’Amministrazione con l’atto poi annullato (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 11.05.2021 n. 3701 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – DIRITTO PROCESSUALE AMMINISTRATIVO – Annullamento in autotutela – Art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 – Istruttoria nuova – Capacità lesiva autonoma – Impugnazione.
L’esercizio dei poteri di autotutela è, di norma, discrezionale nell’an, ovvero quanto alla fase di avvio del procedimento. Ragion per cui, se anche instata dalla parte privata, l’Amministrazione conserva la piena facoltà in ordine alla decisione se avviare o meno il procedimento di riesame, che resta, dunque, un tipico procedimento ad avvio facoltativo d’ufficio.
Una volta che il Comune, esperita la ricognizione circa la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento, si è determinato per il riesame del provvedimento amministrativo, alla luce di una nuova istruttoria mercé la riconsiderazione degli originari presupposti rivalutati alla luce di acquisizioni fattuali prima ignote (articolo 21-nonies, L. n. 241 del 1990), il provvedimento che ne consegue sostituisce l’atto di primo grado nel regolare ex novo l’assetto di interessi ed esprime una rinnovata, autonoma capacità lesiva in grado di legittimare il soggetto alla impugnazione del nuovo atto.
Non si tratta, dunque, di una remissione in termini che autorizza, in via postuma, la proposizione di un ricorso che sarebbe altrimenti ormai tardivo bensì, di un nuovo e diverso ricorso proposto contro un provvedimento che ha regolato ex novo il rapporto inter partes.

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PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Art. 21-nonies, L. n. 241 del 1990 – Annullamento d’ufficio – False rappresentazioni dei fatti – Termine di 18 mesi – Amministrazione incolpevole – Ragionevolezza – Accertamento dell’amministrazione.
L’articolo 21-nonies, legge n. 241/1990 contempla due categorie di provvedimenti –differenziabili in ragione dell’uso della disgiuntiva “o”– che consentono all’Amministrazione di esercitare il potere di annullamento d’ufficio oltre il termine di diciotto mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.
Quando l’erroneità dei dati è imputabile non già all’Amministrazione, bensì esclusivamente al comportamento della parte, non si può pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione dell’iniziativa di controllo dei dati forniti e rimotiva, dovendosi dare spazio, invece, in questi casi, al più generale canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la tempistica del caso concreto.
Il superamento del rigido limite temporale di 18 mesi per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 21-nonies deve pertanto ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto segnalante abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale.
Viene in rilievo, in questi casi, una fattispecie non corrispondente alla realtà determinata da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l’accertamento definitivo in sede penale; se induttiva, invece, di una falsa rappresentazione dei fatti, può essere rilevante al fine di superamento del termine di 18 mesi anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa venga accertata inequivocabilmente dall’Amministrazione con i propri mezzi
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.03.2021 n. 2329 - link a www.ambientediritto.it).

maggio 2020

EDILIZIA PRIVATAAnnullamento regionale del permesso di costruire ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001.
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Edilizia – Permesso di costruire – Annullamento regionale - Art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001 – Natura.
  
Edilizia – Permesso di costruire – Annullamento regionale - Art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001 – Motivazione – Necessità.
  
Il potere di annullamento regionale del permesso di costruire, disposto ai sensi ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001, è una autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241 del 1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di perdurante vigenza (1).
  
Al fine dell’annullamento, da parte della regione, del permesso di costruire, disposto ai sensi ex art. 39, t.u. edilizia n. 380 del 2001, non è sufficiente la sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero interesse pubblico al ripristino della legalità violata, ma occorre invece che sia stata commessa una grave violazione urbanistico edilizia e che vi sia un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, da compararsi con l’affidamento dl
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   (1) Il Collegio ritiene che il potere di annullamento regionale sia una autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241 del 1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di perdurante vigenza.
Ad avviso del C.g.a. che si tratti di un potere di autotutela è desumibile dai seguenti rilievi:
   - l’annullamento dell’atto non è “dovuto” in presenza della riscontrata illegittimità. L’art. 39 t.u. edilizia configura il potere di annullamento regionale come un potere discrezionale, utilizzando l’espressione “possono essere annullati”;
   - l’annullamento non è un atto “coercibile” da parte del privato o da altro organo dell’Amministrazione.
Si tratta dunque di un potere di amministrazione attiva, di secondo grado, coerente con l’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990 secondo cui il potere di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo può essere esercitato, oltre che dall’Amministrazione che ha autorato il provvedimento, da altro organo previsto dalla legge.
Ma anche a voler accedere alla tesi secondo cui il potere regionale è un potere di vigilanza e controllo, questo non giustifica senz’altro la sua sottrazione all’ambito di applicazione dell’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990; infatti tale norma non reca una delimitazione dell’annullamento di ufficio all’ambito della c.d. autotutela, e fa riferimento a tutti i casi in cui l’annullamento possa essere disposto dalla stessa Amministrazione autrice dell’atto o da “altro organo previsto dalla legge”.
E’ da ritenere quindi che l’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990 si debba applicare a tutti i casi in cui la legge attribuisca ad un organo di amministrazione attiva il potere di annullamento di atti amministrativi, a prescindere dalla qualificazione della natura del potere esercitato (amministrazione attiva, vigilanza-controllo); la previsione non si applica invece nei casi di controllo affidato alla Corte dei conti o all’annullamento giurisdizionale.
Quanto, tuttavia, ai termini per l’esercizio del potere, l’art. 39 t.u. n. 380 del 2001 si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 21-novies, l. n. 241 del 1990, ad esso sopravvenuto, e pertanto di prevalenza: non risulta espressamente abrogato; né sussistono i presupposti esegetici per ravvisare una abrogazione tacita, posto che la legge generale successiva non può abrogare tacitamente la legge speciale anteriore.
   (2) Il C.g.a. ha avuto modo di precisare, con il parere numero 67 del 2017, che “Il tenore dell’art. 53 l.r. n. 71/1978, secondo cui gli atti comunali illegittimi “possono essere annullati” dalla Regione esclude qualsiasi obbligatorietà ed automaticità del provvedimento regionale di annullamento, che deve, invece, recare una congrua motivazione sull’interesse pubblico a procedere.” E sempre nel medesimo parere si è precisato che “Per giurisprudenza concorde, espressasi prevalentemente con riferimento all’art. 21-novies l. n. 241/1990, la motivazione di un atto di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio non può limitarsi al mero richiamo alla legalità. Sotto questo profilo l’annullamento regionale non si differenzia sensibilmente dall’annullamento operato in autotutela dal Comune (cfr. C.G.A., sez. riun., parere 383/03 del 12.03.2004, secondo cui “l'opera di comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti (la cui necessità non è, peraltro, esplicitamente esclusa nemmeno dall'orientamento giurisprudenziale più rigoroso, che pure intravvede un interesse pubblico in re ipsa) debba essere espletata con perspicuo rigore, dandone conto con adeguata motivazione, ed escludendo meccanismi presuntivi sia con riferimento alla sussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento, che, non da ultimo, con riguardo all'eventuale affidamento del privati").”
Anche il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 4822 del 2018, ha statuito che “Seppure la norma del t.u. edilizia che attribuisce alla Regioni il potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi illegittimi non presenta il grado di puntualità, con riferimento ai presupposti che debbono sussistere per l’esercizio corretto del relativo potere, che si riscontra nella lettura della disposizione dell’art. 21-novies l. 241/1990, che contiene i principi generali in materia di atti amministrativi di ritiro di precedenti provvedimenti, appare inevitabile affermare che, comunque, tali prescrizioni debbono essere osservate anche in caso di esercizio del potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi, ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001, per effetto di una doverosa lettura costituzionalmente orientata della relativa disposizione e quindi rispettosa del principio generale di cui all’art. 97 Cost..
Ed ancora nella stessa motivazione: “l'eccezionalità del potere in questione non può che essere inteso, in conformità ai canoni costituzionali di cui all'art. 97 Cost. e di ragionevolezza, sulla scorta dei medesimi presupposti che disciplinano l'autotutela della pubblica amministrazione titolare del potere ordinario: sia in termini di interesse pubblico specifico, sia di doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria”.
E’ solo mediante un’articolata e completa motivazione che il provvedimento rispetta i requisiti della legittimità.
La motivazione deve essere tanto più congrua quanto più giustificato è il legittimo affidamento dei privati nella stabilità di provvedimenti amministrativi anche in materia di titolo edilizi.
La stabilità dei provvedimenti amministrativi costituisce un valore che acquista una rilevanza sempre maggiore in un sistema che vuole l’agere della Pubblica Amministrazione ispirato al principio di correttezza e buon andamento di matrice costituzionale.
Il principio costituzionale dell’art. 97 Cost. fissa un limite al potere discrezionale autoritativo di ritiro.
Tale limite trova fondamento anche nell’art. 3 Cost., su cui si fonda il principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’agire pubblico.
Non si tratta di una preclusione del potere ma di un limite all’esercizio del medesimo, di tipo motivazionale e procedurale che si collega al principio di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità, in quanto vieta l’uso scorretto, irragionevole, sproporzionato, del potere pubblico.
Tanto maggiore è l’affidamento dei privati tanto più esaustiva deve essere la motivazione da cui possa desumersi la sussistenza del pubblico interesse che non sia il mero richiamo alla violazione delle regole urbanistiche e l’avvenuta ponderazione e comparazione con i contrastanti interessi di cui sono portatori gli stessi.
L’obbligo di motivazione è ancora più stringente quando le primigenie scelte che hanno ampliato la sfera giuridica dei privati non sono frutto di comportamenti fraudolenti da parte degli stessi ma maturano in un rapporto con la pubblica amministrazione caratterizzato, apparentemente, dalla reciproca buona fede
(CGARS, sentenza 26.05.2020 n. 325 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
19. E’ parzialmente fondato il primo motivo.
19.1. Con il primo motivo si lamenta la mancata applicazione delle regole che governano il potere di autotutela dell’Amministrazione, contenute nell’art. 21-novies l. n. 241/1990, con riferimento sia alla ragionevolezza del lasso temporale entro cui deve essere esercitato, sia con riferimento alla necessità che lo stesso sia assistito da una congrua motivazione che dia conto del persistere di un rilevante interesse pubblico al ritiro dell’atto viziato.
19.2. Torna all’attenzione del Collegio una tematica già in precedenza delibata che merita di essere ulteriormente approfondita.
Il tema può così essere sintetizzato: se il potere ex art. 39 t.u. edilizia n. 327/2001 (annullamento regionale dei permessi di costruire entro 10 anni dal rilascio del titolo ed entro 18 mesi dalla notizia della violazione) sia o meno riconducibile al paradigma dell’autotutela dell’art. 21-novies l. n. 241/1990 sia con riferimento ai tempi di decadenza per il suo esercizio sia con riferimento alla congruità della motivazione.
19.3. Il potere di controllo da parte della Regione gode di un’autonoma disciplina che ne prevede i tempi ed i necessari passaggi procedimentali.
La l.r. siciliana n. 71 del 27.12.1978, in conformità alla norma nazionale, all’art. 53 disciplina l’annullamento dei provvedimenti comunali.
Si tratta di un procedimento di “secondo grado” sul governo del territorio siciliano per evitare che gli enti locali adottino provvedimenti in materia urbanistica-edilizia che violino sia le scelte amministrative di ordine generale assunte dalla Regione sia gli atti generali degli stessi enti locali.
Il provvedimento dell’Assessore regionale per il territorio e l’ambiente è emesso “su parere del consiglio regionale dell’urbanistica”. Il parere si pone come atto propedeutico e costituente parte integrante del provvedimento assessoriale.
19.4. Al Collegio è nota la disputa sulla natura giuridica del potere regionale di cui all’art. 39 t.u. n. 327/2001: se si tratti di un potere di autotutela ovvero di un potere di vigilanza-controllo, con le implicazioni che ne seguono in ordine al coordinamento di tale potere con il paradigma generale dell’autotutela amministrativa ex art. 21-novies l. n. 241/1990.
19.5. Il Collegio ritiene che il potere di annullamento regionale sia una autotutela speciale, riconducibile al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241/1990, salva la specialità dei termini di esercizio, che sono di perdurante vigenza.
Che si tratti di un potere di autotutela è desumibile dai seguenti rilievi:
   - l’annullamento dell’atto non è “dovuto” in presenza della riscontrata illegittimità. L’art. 39 t.u. edilizia configura il potere di annullamento regionale come un potere discrezionale, utilizzando l’espressione “possono essere annullati”;
   - l’annullamento non è un atto “coercibile” da parte del privato o da altro organo dell’Amministrazione.
Si tratta dunque di un potere di amministrazione attiva, di secondo grado, coerente con l’art. 21-novies l. n. 241/1990 secondo cui il potere di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo può essere esercitato, oltre che dall’Amministrazione che ha autorato il provvedimento, da altro organo previsto dalla legge.
19.6. Ma anche a voler accedere alla tesi secondo cui il potere regionale è un potere di vigilanza e controllo, questo non giustifica senz’altro la sua sottrazione all’ambito di applicazione dell’art. 21-novies l. n. 241/1990; infatti tale norma non reca una delimitazione dell’annullamento di ufficio all’ambito della c.d. autotutela, e fa riferimento a tutti i casi in cui l’annullamento possa essere disposto dalla stessa Amministrazione autrice dell’atto o da “altro organo previsto dalla legge”.
E’ da ritenere quindi che l’art. 21-novies l. n. 241/1990 si debba applicare a tutti i casi in cui la legge attribuisca ad un organo di amministrazione attiva il potere di annullamento di atti amministrativi, a prescindere dalla qualificazione della natura del potere esercitato (amministrazione attiva, vigilanza-controllo); la previsione non si applica invece nei casi di controllo affidato alla Corte dei conti o all’annullamento giurisdizionale.
19.7. Quanto, tuttavia, ai termini per l’esercizio del potere, l’art. 39 t.u. n. 380/2001 si pone in rapporto di specialità rispetto all’art. 21-novies l. n. 241/1990, ad esso sopravvenuto, e pertanto di prevalenza: non risulta espressamente abrogato; né sussistono i presupposti esegetici per ravvisare una abrogazione tacita, posto che la legge generale successiva non può abrogare tacitamente la legge speciale anteriore.
19.8. Sicché sono da disattendere le censure di parte appellante in ordine alla violazione del termine ragionevole per l’esercizio dell’autotutela: in quanto l’annullamento regionale risulta disposto nel rispetto dei diversi termini fissati dall’art. 39 t.u. n. 380/2001, la cui vigenza è sopravvissuta allo jus superveniens costituito dall’art. 21-novies l. n. 241/1990.
19.9. Sono invece fondate, come si va ad esporre, le censure relative al difetto di motivazione, per mancata valutazione comparativa dell’interesse pubblico e privato e mancata enunciazione dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento.
Invero, il carattere discrezionale dell’annullamento regionale, in una con la sua riconduzione al paradigma dell’art. 21-novies l. n. 241/1990, inducono a ritenere che al fine dell’annullamento non sia sufficiente la sussistenza di una illegittimità dell’atto e il mero interesse pubblico al ripristino della legalità violata. Occorre invece che sia stata commessa una grave violazione urbanistico edilizia e che vi sia un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata, da compararsi con l’affidamento dl
19.10. Questo CGARS ha avuto modo di precisare con il parere numero 67/2017 che “Il tenore dell’art. 53 l.r. n. 71/1978, secondo cui gli atti comunali illegittimi “possono essere annullati” dalla Regione esclude qualsiasi obbligatorietà ed automaticità del provvedimento regionale di annullamento, che deve, invece, recare una congrua motivazione sull’interesse pubblico a procedere.”
E sempre nel medesimo parere si è precisato che “Per giurisprudenza concorde, espressasi prevalentemente con riferimento all’art. 21-novies l. n. 241/1990, la motivazione di un atto di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio non può limitarsi al mero richiamo alla legalità. Sotto questo profilo l’annullamento regionale non si differenzia sensibilmente dall’annullamento operato in autotutela dal Comune (cfr. C.G.A., sez. riun., parere 383/03 del 12/03/2004, secondo cui “l'opera di comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti (la cui necessità non è, peraltro, esplicitamente esclusa nemmeno dall'orientamento giurisprudenziale più rigoroso, che pure intravvede un interesse pubblico in re ipsa) debba essere espletata con perspicuo rigore, dandone conto con adeguata motivazione, ed escludendo meccanismi presuntivi sia con riferimento alla sussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento, che, non da ultimo, con riguardo all'eventuale affidamento del privati").”
19.11. Anche il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. n. 4822 del 2018, ha statuito che “Seppure la norma del t.u. edilizia che attribuisce alla Regioni il potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi illegittimi non presenta il grado di puntualità, con riferimento ai presupposti che debbono sussistere per l’esercizio corretto del relativo potere, che si riscontra nella lettura della disposizione dell’art. 21-novies l. 241/1990, che contiene i principi generali in materia di atti amministrativi di ritiro di precedenti provvedimenti, appare inevitabile affermare che, comunque, tali prescrizioni debbono essere osservate anche in caso di esercizio del potere di annullamento straordinario dei titoli edilizi, ex art. 39 d.P.R. n. 380/2001, per effetto di una doverosa lettura costituzionalmente orientata della relativa disposizione e quindi rispettosa del principio generale di cui all’art. 97 Cost..”
Ed ancora nella stessa motivazione: “l'eccezionalità del potere in questione non può che essere inteso, in conformità ai canoni costituzionali di cui all'art. 97 Cost. e di ragionevolezza, sulla scorta dei medesimi presupposti che disciplinano l'autotutela della pubblica amministrazione titolare del potere ordinario: sia in termini di interesse pubblico specifico, sia di doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali affidamenti, con conseguente necessaria valutazione della situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria”.
19.12. E’ solo mediante un’articolata e completa motivazione che il provvedimento rispetta i requisiti della legittimità.
La motivazione deve essere tanto più congrua quanto più giustificato è il legittimo affidamento dei privati nella stabilità di provvedimenti amministrativi anche in materia di titolo edilizi.
La stabilità dei provvedimenti amministrativi costituisce un valore che acquista una rilevanza sempre maggiore in un sistema che vuole l’agere della Pubblica Amministrazione ispirato al principio di correttezza e buon andamento di matrice costituzionale.
Il principio costituzionale dell’art. 97 Cost. fissa un limite al potere discrezionale autoritativo di ritiro.
Tale limite trova fondamento anche nell’art. 3 Cost., su cui si fonda il principio di ragionevolezza e proporzionalità dell’agire pubblico.
Non si tratta di una preclusione del potere ma di un limite all’esercizio del medesimo, di tipo motivazionale e procedurale che si collega al principio di correttezza, ragionevolezza, proporzionalità, in quanto vieta l’uso scorretto, irragionevole, sproporzionato, del potere pubblico.
Tanto maggiore è l’affidamento dei privati tanto più esaustiva deve essere la motivazione da cui possa desumersi la sussistenza del pubblico interesse che non sia il mero richiamo alla violazione delle regole urbanistiche e l’avvenuta ponderazione e comparazione con i contrastanti interessi di cui sono portatori gli stessi.
L’obbligo di motivazione è ancora più stringente quando le primigenie scelte che hanno ampliato la sfera giuridica dei privati non sono frutto di comportamenti fraudolenti da parte degli stessi ma maturano in un rapporto con la pubblica amministrazione caratterizzato, apparentemente, dalla reciproca buona fede.

marzo 2020

EDILIZIA PRIVATAAll’Adunanza plenaria l’interpretazione della disciplina degli interventi edilizi eseguiti in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale.
La quarta sezione del Consiglio di Stato deferisce all’Adunanza plenaria la questione di diritto relativa all’interpretazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001 (“Testo unico dell’edilizia”) al fine di chiarire quali siano i vizi che consentono la sanatoria, mediante irrogazione di una sanzione pecuniaria, di interventi edilizi realizzati sulla base di un permesso di costruire successivamente annullato.
Essa ha evidenziato come su tale disposizione si siano formate diverse opzioni interpretative rispetto alle quali sarebbe preferibile quella c.d. “intermedia”, meglio rispondente alla necessità di garantire l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo.
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Edilizia – Annullamento del permesso di costruire in sede giurisdizionale – Sanzioni applicabili – Condizioni – Deferimento all’Adunanza plenaria
Deve essere rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione concernente la corretta interpretazione dell’art. 38 del d. P.R. 06.06.2001 n. 380 (“Testo unico per l’edilizia”), onde stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria (1).
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   (1) I. – Con l’ordinanza in rassegna, la IV sezione del Consiglio di Stato ha deferito all’Adunanza plenaria la questione concernente la corretta interpretazione dell’art. 38 del d. P.R. 06.06.2001 n. 380 (“Testo unico per l’edilizia”), nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quali tipologie di vizi consentano la sanatoria che la norma prevede.
Tale disposizione stabilisce che:
1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. […]
2. L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, in caso di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo
”.
   II. – La vicenda procedimentale e contenziosa che ha condotto alla controversia dinanzi al Giudice d’appello si è così articolata:
      a) il Comune ha rilasciato un permesso di costruire per la ristrutturazione con ricostruzione di presunte parti in precedenza crollate di un fabbricato rurale (costituito da una tradizionale “tea” composta, nell’assetto originario, da una costruzione di legno con tetto a doppia falda, a due piani, di cui l’uno adibito a stalla e l’altro superiore a fienile delle dimensioni di mt. 6,10 x 5,7 in pianta), con rilocalizzazione del manufatto e suo ampliamento;
      b) l’intervento oggetto del titolo abilitativo è stato eseguito dal soggetto al quale è stato rilasciato il titolo abilitativo;
      c) avverso tale provvedimento è insorta, con ricorso al Tar per la Lombardia, la c.d. “controinteressata procedimentale” (una vicina);
      d) tale ricorso è stato accolto in primo grado con sentenza Tar per la Lombardia, sez. II, 27.04.2016, n. 813, la quale è stata confermata con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 19.03.2018, n. 1725, cui è derivata la caducazione del titolo abilitativo impugnato;
      e) a seguito dell’annullamento giurisdizionale il Comune ha dato seguito alle seguenti ulteriori fasi procedimentali:
         e1) ha comunicato alle parti, ossia ai titolari del permesso annullato e alla vicinante che ne aveva ottenuto l’annullamento, di avere avviato un procedimento amministrativo volto all’applicazione delle misure di cui all’art. 38 del d. P.R. n. 380 del 2001;
         e2) ha emesso un provvedimento conclusivo del procedimento con il quale:
I) ha premesso di voler considerare come eccezionale, in base ad un’interpretazione dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 –ritenuta corretta– la demolizione delle opere, e di voler privilegiare la riedizione del titolo emendato da vizi, con irrogazione della sanzione pecuniaria;
II) ha ritenuto impossibile, sulla base delle locali previsioni urbanistiche, eliminare i vizi della procedura con il rilascio di un nuovo titolo, non potendosi riallocare per ragioni tecniche la “tea” nel sedime originario, avendo essa mantenuto la sua identità di edificio storico tipico, con interesse dell’amministrazione a conservarla nella posizione attuale;
III) ha evidenziato che il manufatto preesistente e l’interrato realizzato al di sotto, non potrebbero demolirsi senza pregiudizio della “tea” soprastante;
IV) ha evidenziato che sarebbe suscettibile di demolizione solo l’ampliamento, dato che la pronuncia di annullamento ha escluso che lo si potesse ritenere ricostruzione di una preesistenza;
V) ha applicato ai proprietari titolari del permesso di costruire annullato la sanzione pecuniaria di cui al predetto, rinviando per liquidarla ad un successivo atto della competente Agenzia delle entrate, quanto al manufatto preesistente, ossia la tea originaria così come spostata di sede, e all’interrato sottostante di nuova realizzazione;
VI) ha ordinato la demolizione della porzione oggetto di ampliamento e del volume interrato ad essa sottostante, ossia del corpo di fabbrica a monte, di mt. 6,90 x 5,60 in pianta, realizzato in muratura quale presunto recupero delle parti crollate;
      f) tale ultimo provvedimento e l’atto determinativo della sanzione sono stati –anch’essi– impugnati dall’originaria ricorrente (ovvero dalla vicina) e dai proprietari intestatari del permesso di costruire annullato, l’una invocando l’integrale demolizione di tutto quanto realizzato, gli altri invocando l’integrale conservazione del bene contro il pagamento di una sanzione ulteriore;
      g) con la sentenza Tar per la Lombardia, sez. II, 17.01.2019, n. 98, previa riunione dei ricorsi, la domanda volta alla caducazione dell’ordine di demolizione è stata dichiarata improcedibile mentre quella intesa ad ottenere l’ottemperanza della precedente sentenza è stata accolta con conseguente declaratoria di nullità del provvedimento emesso dal Comune e demolizione dell’intero manufatto;
      h) la predetta sentenza ha inequivocabilmente ritenuto che la sanatoria ai sensi dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 non sia possibile nel caso di vizi della procedura non emendabili, e quindi ha aderito all’orientamento più restrittivo tra quelli tratteggiati dalla giurisprudenza;
      i) avverso tale ultima sentenza è stato interposto appello da parte dei proprietari del bene: nell’ambito del relativo giudizio di secondo grado è intervenuto il deferimento all’Adunanza plenaria di cui trattasi.
   III. – Con l’ordinanza in rassegna il Collegio, nel rimettere le questioni all’esame dell’Adunanza plenaria, ha, previa conversione del rito, osservato che sull’interpretazione dell’art. 38 in esame si sono formati in giurisprudenza distinti orientamenti:
      j) una prima opzione interpretativa, che si è affermata nelle pronunce più recenti del Giudice d’appello, sostiene un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso ritenendo, in sintesi, che:
         j1) la “fiscalizzazione” dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia di invalidità, ossia a prescindere dal tipo, formale o sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo;
         j2) l’istituto integrerebbe, conseguentemente, un caso particolare di condono di una costruzione che sarebbe, nella sostanza, abusiva;
         j3) più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino
dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria;
         j4) nel far ciò l’autorità edilizia dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche eventuali ragioni equità o, al limite, anche di opportunità (Cons. Stato, sez. VI, 19.07.2019, n. 5089; in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 28.11.2018, n. 6753, in Merito, 2019, 2, 87; sez. IV, 12.05.2014, n. 2398, in Foro amm., 2014, 1410);
      k) un secondo orientamento, definito dall’ordinanza in rassegna “più restrittivo” postula che:
         k1) la “fiscalizzazione” dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili;
         k2) in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino;
         k3) lo strumento in esame consentirebbe di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non potrebbe, in tesi, operare con gli effetti di un condono (Corte cost., 11.06.2010, n. 209, in Giur. cost., 2010, 2417, con nota di ESPOSITO; Cons. Stato, sez. VI, 09.05.2016, n. 1861, in Foro amm., 2016, 1203; Cons. Stato, sez. VI, 11.02.2013, n. 753; sez. IV, 16.03.2010, n. 1535, in Foro amm. Cons. Stato, 2010, 555, richiamata in Cons. giust. amm. sic., sez. riun., parere 12.12.2017, n. 999; sez. V, 22.05.2006, n. 2960, in Foro amm. Cons. Stato, 2006, 1441; sez. V, 12.10.2001, n. 5407, in Riv. giur. edilizia, 2001, I, 1162);
      l) un terzo orientamento, definito “intermedio”, si discosta da quello restrittivo in considerazione che:
         l1) ritiene possibile la “fiscalizzazione”, oltre che nei casi di vizi formali, anche nei casi di vizi sostanziali, però emendabili;
         l2) anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, poiché:
I) esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa;
II) tale “sanatoria” si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso d. P.R. n. 380 del 2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità” nel senso che non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria (in tal senso, sempre fra le molte, Cons. Stato, sez. VI, 10.09.2015, n. 4221; sez. VI, 08.05.2014, n. 2355; sez. IV, 17.09.2012, n. 4923, in Riv. giur. edilizia, 2012, I, 1140, ove si fa l’esempio pratico di un vizio sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche di piano);
      m) tutte le posizioni interpretative muoverebbero dalle premesse teoriche comuni secondo cui:
         m1) la posizione del soggetto che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato l'opera abusivamente senza titolo alcuno;
         m2) in tal senso, tale posizione soggettiva non va ritenuta assistita da un particolare affidamento da tutelare e questo perché: I) in primo luogo, una situazione di affidamento si potrebbe semmai configurare solo nei confronti di un eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto ad un annullamento in sede giurisdizionale: consegue che, da un lato, chi ottiene il titolo edilizio assume il rischio e il pericolo di un eventuale annullamento di esso all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre; dall’altro lato, si è di fronte ad un organo giudicante, che deve limitarsi a decidere sulla domanda propostagli e non può valorizzare, diversamente dall’amministrazione, eventuali affidamenti dei soggetti coinvolti;
II) in secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio determina un giudicato, che, in linea di principio, tutti i soggetti dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono rispettare;
         m3) l’art. 38 in esame rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”;
      n) dalle premesse teoriche comuni i tre orientamenti si discosterebbero, tuttavia, quanto alle conseguenze che ritengono di trarne:
         n1) l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo le ragioni del privato titolare del permesso annullato in considerazione che:
I) prevarrebbe la tutela della buona fede di chi eserciti una qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione competente;
II) le ragioni di chi ha ottenuto il rilascio del titolo configurerebbero come esito normale la sanatoria dell’abuso mediante la sua “fiscalizzazione”;
III) in tale ultimo senso deporrebbe anche un argomento letterale (Cons. Stato, n. 5089 del 2019, cit.) individuato nel richiamo ai “vizi delle procedure amministrative” e alla impossibilità della “rimessione in pristino” di cui all’art. 38, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi di due ipotesi di sanatoria messe su un piano di parità, la prima relativa a vizi formali, la seconda, ossia quella in cui non sia possibile la “rimessione in pristino”, relativa ad una problematica tecnico ingegneristica, che, quindi, prescinderebbe dal tipo di vizio riscontrato;
         n2) l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano le ragioni del terzo che ha impugnato il titolo illegittimo anche con il rispetto del giudicato in considerazione che:
I) una sanatoria senza limiti lederebbe l'affidamento (del soggetto che ha impugnato il titolo edilizio) nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive;
II) l’interpretazione ampia potrebbe essere in contrasto con l’art. 102 Cost., perché travolgerebbe gli effetti del giudicato di annullamento con conseguente possibilità per l’amministrazione di invadere il campo riservato all’Autorità giudiziaria;
III) l’interpretazione più idonea sarebbe quella che consente di sanare l’abuso solo quando esso sia tale solo sul piano formale, ma non nella sostanza, perché si tratta appunto di soli vizi formali, o perché i vizi sostanziali siano stati eliminati;
      o) tale ultima opzione ermeneutica “intermedia”, la quale protegge l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo, è quella privilegiata dall’ordinanza in rassegna anche perché, in tesi, la repressione degli abusi edilizi –intese come tali le costruzioni che siano effettivamente in contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti urbanistici– costituisce un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore (in tal senso, se pure su fattispecie diverse, Cons. Stato, Ad. plen., 17.10.2017, n. 9, in Giornale dir. amm., 2018, 67, con nota di TRIMARCHI; Foro amm., 2018, 789, con nota di CURTO; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 113, con nota di DROGHINI, STRAZZA; 17.10.2017, n. 8, in Giornale dir. amm., 2018, 67, con nota di TRIMARCHI; Urbanistica e appalti, 2018, 45, con nota di MANFREDI; Riv. giur. edilizia, 2017, I, 1089, con nota di POSTERARIO; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 92, con nota di PAGLIAROLI; Dir. proc. amm., 2018, 717, con nota di BERTONAZZI; Riv. giur. edilizia, 2018, I, 403, con nota di ZAMPETTI; Foro amm., 2018, 789, con nota di CURTO).
   IV. – Per completezza si segnala:
      p) sulla ratio dell’art. 38 del d. P.R. 06.06.2001, n. 380:
         p1) l’art. 38 del d.P.R. n. 380 del 2001, riproduttivo del previgente art. 11 della l. n. 47 del 1985, prevede, in caso di costruzione realizzata in base ad atti annullati in sede giurisdizionale, due alternative possibili, e cioè la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o l'applicazione di una sanzione pecuniaria quando non sia tecnicamente possibile la rimozione indicata;
         p2) detta disposizione “[…] rappresenta una speciale norma di favore, che differenzia sensibilmente la posizione di colui che ha realizzato l’opera abusiva sulla base di titolo annullato (c.d. “abusività sopravvenuta”) da quella di chi ha realizzato un’opera abusiva sin dall’inizio senza alcun titolo abilitativo (c.d. “abusività originaria”), per il quale ultimo l’art. 31 del t.u. edilizia prevede sempre, senza eccezione alcuna, la sanzione della demolizione. L’art. 38 è una speciale norma di favore che non si pone in contraddizione con quanto stabilito dall’art. 31 dello stesso t.u., andando a prendere in esame una fattispecie astratta di abuso edilizio (derivante dall’annullamento del titolo edilizio) ben diversa da quella presa in esame dall’ultima disposizione menzionata (derivante dall’assenza originaria del titolo o dalla totale difformità dallo stesso delle opere edificate). […] Se fosse mancata un’espressa previsione legislativa, la posizione del privato che realizza un’opera sulla base di un titolo edilizio annullato, non si sarebbe differenziata da quella del privato che ha realizzato un’opera priva di titolo edilizio sin dall’origine” (A. SENATORE, L’esecuzione delle sanzioni amministrative da illecito urbanistico-edilizio, in F. CARINGELLA, U. DE LUCA, Manuale dell’edilizia e dell’urbanistica, a cura di, Roma, 2017, 1275 ss.);
         p3) l’Adunanza plenaria, con sentenza 23.04.2009, n. 4 (in Guida al dir., 2009, 21, 97, con nota di PONTE; Riv. giur. edilizia, 2009, I, 751, con nota di GRAZIOSI; Giornale dir. amm., 2010, 47, con nota di LAVITOLA), ha evidenziato che: I) […] “Il legislatore, sulla base della considerazione che, normalmente, l'annullamento interviene quando l'opera è stata già realizzata, ha ritenuto opportuno conferire all'amministrazione la possibilità di non procedere automaticamente all’applicazione delle normali sanzioni susseguenti all'accertamento dell'abuso, quali la demolizione dell'opera, potendo essere conveniente mantenere ferma l'opera realizzata ed introitare una sanzione pecuniaria cospicua, quale appunto quella costituita dal valore venale delle opere abusive realizzate”;
II) “Questo non esclude la rilevanza del fatto che nel caso di specie l'abuso edilizio emerge solo a seguito dell'annullamento di un atto rilasciato dalla stessa amministrazione. Tuttavia l'ambito della rilevanza è rimessa al legislatore, che è l'unico in grado di derogare ai normali effetti del giudicato di annullamento, ossia al fatto che la demolizione dell’atto rende illecite quelle condotte che per non essere tali avrebbero avuto bisogno della sua vigente efficacia”;
III) “Quindi, proprio la presenza del giudicato in senso tecnico, la cui intangibilità vale anche nei confronti del legislatore, impone la previsione espressa non di un’ipotesi che direttamente lo contrasti, bensì la volontà di fondare un potere nuovo rispetto a quello esercitato nell’atto annullato, che abbia lo scopo di amministrare gli effetti dell’avvenuta esecuzione dell’atto medesimo orientato cioè a realizzare un assetto della fattispecie diversificato da quello tipico scaturente dal giudicato”;
IV) “In altri termini, il venir meno del titolo sulla cui base l'opera è stata realizzata -e quindi la circostanza che il «fatto» realizzativo dell'opera non sia più sorretto dalla legittimità- apre la «possibilità» di estendere anche a tali opere il beneficio del condono";
V) “il legislatore ha solamente la possibilità, e non l’obbligo, di includere nel condono le opere realizzate nel periodo «coperto» dalla legge”; tale “inclusione deve avvenire attraverso una previsione espressa e chiara, proprio in quanto viene in rilievo il giudicato e la possibile disparità di trattamento rispetto alle ipotesi di illecito mai sottoposte al vaglio giurisdizionale e che il giudicato di annullamento riporta all’iniziale stato di illiceità";
VI) “il sistema non consente la possibilità di dare rilievo alla situazione soggettiva di affidamento, in cui si troverebbe colui che ha realizzato l'opera in base ad un titolo originariamente legittimo e poi annullato, in quanto tale situazione soggettiva si configura nei confronti dell'amministrazione quando apre un procedimento di secondo grado il cui possibile esito sia il provvedimento di annullamento, ma non invece nei confronti del giudice dell'annullamento che, chiamato a giudicare della legittimità del titolo abilitativo da parte di quei terzi, le cui posizioni erano rimaste impregiudicate dal rilascio del titolo medesimo, deve solamente statuire sulla domanda proposta da quei soggetti, legittimati ad impugnare, che fanno fondatamente valere le proprie ragioni”;
         p4) la giurisprudenza ha anche fugato i dubbi di incostituzionalità dell’omologa previsione già contenuta nell’art. 11 della l. n. 47 del 1985 (poi riprodotta nell’art. 38 di cui trattasi) nella parte in cui prevede l'irrogazione di una sanzione pecuniaria ove non sia possibile la rimozione dell'abuso edilizio e la riduzione in pristino, in considerazione che “la tutela che l'ordinamento appresta al soggetto, che abbia ottenuto in sede giurisdizionale, l'annullamento di una concessione di costruzione illegittimamente assentita, non si identifica necessariamente nella demolizione di quanto illegittimamente edificato” (Tar per la Puglia, sez. II, 05.05.1995, n. 329, in Trib. amm. reg., 1995, I, 3254);
         p5) in relazione all’annullamento d’ufficio del titolo edilizio:
I) secondo l’Adunanza plenaria, come è noto, “Ai fini dell'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consuma il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e, in ogni caso, il termine «ragionevole» per la sua adozione decorre soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulta attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati; la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione può dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” (così Cons. Stato, ad. plen., sentenza 17.10.2017, n. 8, in Foro it., 2018, III, 6, con nota di A. TRAVI, ed in Giorn. dir. amm., 2018, 67, con nota di TRIMARCHI, oggetto della News US in data 23.10.2017, cui si rimanda per ogni opportuno approfondimento);
II) ancora in tema di annullamento in autotutela in materia edilizia, cfr., Cons. Stato, sez. IV, sentenza 18.07.2018, n. 4374 (in Foro it., 2018, III, 492, con nota di SPUNTARELLI), secondo cui “In ossequio al principio generale di ordinaria irretroattività della legge, il termine di diciotto mesi per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, introdotto, nell'art. 21-nonies l. 241/1990, dall'art. 6 l. 07.08.2015 n. 124, non si applica ai provvedimenti di annullamento d'ufficio adottati prima dell'entrata in vigore di tale legge (28.08.2015)” (fattispecie riguardante l’annullamento, in autotutela, di un titolo edilizio, per riscontrata violazione della distanza minima dal confine);
         p6) in argomento, da ultimo, cfr. anche Cons. Stato, sezione IV, sentenza 07.09.2018, n. 5277 (in Foro it., 2019, III, 57, con nota di CORDOVA), secondo cui “L'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo, è possibile anche ad una distanza temporale considerevole dal rilascio del titolo medesimo, ma deve essere adeguatamente motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti” (fattispecie relativa all’annullamento d’ufficio di due permessi di costruire, sopraggiunto sette anni dopo il rilascio dei titoli, in cui il Giudice d’appello è pervenuto alla conclusione dell’illegittimità di tale intervento in autotutela, anche perché, nella specie, “il Comune non ha dedicato alcun passaggio motivazionale alla possibilità, non implausibile, di annullare soltanto parzialmente i titoli edilizi rilasciati al fine di contemperare le contrapposte esigenze recando il minore sacrificio possibile alla posizione giuridica del privato”);
      q) sul rapporto tra d.P.R. n. 380 del 2001 e la legislazione edilizia previgente (anche con specifico riferimento all’art. 38): è stato affermato che “a seguito dell’abrogazione dell’art. 11 della l. n. 47 del 1985, da parte dell’art. 136 del t.u. edilizio, la disciplina di riferimento è quella contenuta nell’art. 38 del t.u. edilizio. […] Gli aspetti di natura sostanziale che differenziano l’istituto dalla sua versione preesistente consistono anzitutto nella richiesta di una «motivata valutazione» con riguardo all’impossibilità della rimozione dei vizi procedimentali che hanno determinato l’annullamento del titolo edilizio e/o con riguardo all’impossibilità di eseguire la demolizione. In altri termini, la norma impone un onere motivazionale rafforzato in capo alla p.a. comunale, evidentemente in ragione della natura derogatoria del regime sanzionatorio in questione. Un secondo aspetto di novità risiede nell’assegnazione della competenza al dirigente del competente ufficio comunale, in luogo del sindaco […]. L’ultima novità dell’istituto, rispetto alla versione precedente, risiede nella sua applicazione […] anche all’ipotesi dei lavori eseguiti tramite S.C.I.A. presentata in alternativa al permesso di costruire ex art. 23 del t.u.” (A. SENATORE, L’esecuzione delle sanzioni amministrative da illecito urbanistico-edilizio, cit., 1278):
         q1) Tar per l’Emilia Romagna, sez. II, 29.11.2017, n. 783, secondo cui il d.P.R. n. 380 del 2001 “costituisce un testo unico compilativo della disciplina previgente: è indubbio che, con particolare riferimento all’art. 31, detto testo unico ha dato luogo -almeno nel testo originario- ad una mera trasposizione dell’art. 7 della l. n. 47 del 1985”;
         q2) Tar per la Sicilia, sez. III, 13.02.2015, n. 444, secondo cui “sol se si legge l’art. 7 della l. n. 50 del 1999, si comprende come la natura e qualificazione dei testi unici misti -qual è il d.P.R. n. 380 del 2001- abbiano voluto soddisfare, tra gli altri criteri e princìpi direttivi: a) la puntuale individuazione del testo vigente delle norme; b) l’esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; c) il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo” (cfr. in tal senso, Cons. Stato, Ad. gen., parere 29.03.2001, n. 3/01, in Cons. Stato, 2001, I, 2554);
      r) sull’annullamento in autotutela del titolo edilizio:
         r1) Cons. Stato, sez. IV, 07.09.2018, n. 5277, cit., secondo cui, tra l’altro:
I) “Ai fini dell'annullamento d'ufficio di un permesso di costruire, non deve essere trascurato il comportamento del privato, se improntato a canoni di lealtà e di chiarezza”;
II) “Il termine decennale per l'esercizio del potere regionale di annullamento del permesso di costruire illegittimo non può essere invocato rispetto all'annullamento d'ufficio da parte del Comune”;
III) “È illegittimo l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio se il Comune non ha dedicato alcun passaggio motivazionale alla possibilità, non implausibile, di annullare soltanto parzialmente +i titoli edilizi rilasciati al fine di contemperare le contrapposte esigenze recando il minore sacrificio possibile alla posizione giuridica del privato”;
IV) “L'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo, è possibile anche ad una distanza temporale considerevole dal rilascio del titolo medesimo, ma deve essere adeguatamente motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti”;
V) ”I presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi (nella specie, permesso di costruire) sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l'esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione”;
VI) “Anche i provvedimenti di annullamento in autotutela sono attratti all’alveo normativo dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 che, per effetto delle riforme introdotte dal legislatore (da ultimo, la legge n. 124 del 2015), ha riconfigurato il relativo potere attribuendo all’Amministrazione un coefficiente di discrezionalità che si esprime attraverso la valutazione dell’interesse pubblico in comparazione con l’affidamento del destinatario dell’atto.
Pertanto, nel fare applicazione dei principi espressi anche dall’Adunanza plenaria (sentenza 17.10.2017 n. 8), si rivela che i presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
L’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione
”;
      s) sull’obbligo di intervento dell’amministrazione in caso di annullamento del titolo edilizio:
         s1) Cons. Stato, sez. IV, 15.06.2016, n. 2631, secondo cui ”L'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire rende abusive le opere edilizie realizzate in base a quest'ultimo, di talché il Comune, stante l'efficacia conformativa di tal giudicato, ne deve dare esecuzione, adottando i provvedimenti consequenziali”;
         s2) Tar per il Piemonte, sez. II, 08.07.2014, n. 1171, secondo cui “In sede di ottemperanza al giudicato l'Amministrazione è tenuta, pertanto, non solo a uniformarsi alle indicazioni rese dal giudice, e a determinarsi secondo i limiti imposti dalla rilevanza sostanziale della posizione soggettiva azionata e consolidata in sentenza, ma anche a prendere in esame la situazione controversa nella sua complessiva estensione, valutando non soltanto i profili oggetto della decisione del giudice, ma pure quelli comunque rilevanti per provvedere definitivamente sull'oggetto della pretesa, all'evidente scopo di evitare ogni possibile elusione del giudicato”;
         s3) Cons. Stato, sez. IV, 12.05.2014, n. 2398 (in Foro amm., 2014, 1410), secondo cui “L'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il comune, stante l'efficacia conformativa, oltre che costitutiva e ripristinatoria, della sentenza del giudice amministrativo, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali; questi, peraltro, non devono necessariamente avere ad oggetto la demolizione delle opere realizzate: l'art. 38 d.p.r. 06.06.2001 n. 380 prevede invece una gamma articolata di possibili soluzioni, della valutazione delle quali l'atto conclusivo del nuovo procedimento dovrà ovviamente dare conto”;
         s4) Cons. Stato, sez. VI, 13.06.2011, n. 3571 (in Foro amm. Cons. Stato, 2011, 2051), secondo cui “L'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il comune, stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare esecuzione al giudicato, adottando i provvedimenti consequenziali; tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate, prescindendo l'art. 38 d.p.r. 06.06.2001 n. 380, in caso di annullamento del permesso di costruire, una nuova valutazione da parte del dirigente del competente ufficio comunale riguardo la possibilità di restituzione in pristino; qualora la demolizione non risulti possibile, il comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini fissati dallo stesso art. 38; consegue l'inammissibilità del ricorso per ottemperanza proposto dopo e nonostante l'adozione dell'atto, ferma la giustiziabilità dello steso nell'ordinaria sede del giudizio di cognizione”;
         s5) Cons. Stato, sez. V, 14.10.1998, n. 1475 (in Appalti urbanistica edilizia, 1999, 694), secondo cui “Prima di procedere alla demolizione di un edificio abusivo -ancorché disposta in esecuzione del giudicato d'annullamento della concessione edilizia-, occorre prima attendere l'esito del procedimento di sanatoria dell'immobile stesso, tenuto conto del carattere irreversibile di tale sanzione demolitoria”;
         s6) Cons., Stato, sez. V, 24.10.1983, n. 493 (in Cons. Stato, 1983, I, 774), secondo cui “ove una licenza edilizia sia stata annullata in sede giurisdizionale, l’ottemperanza al giudicato da parte dell’autorità comunale –che deve aver luogo indipendentemente da qualsiasi istanza di parte– non comporta necessariamente l’irrogazione della sanzione demolitoria, ben potendo il sindaco scegliere tra questa e l’applicazione della sanzione pecuniaria”;
      t) sugli abusi connotati da disvalore diverso: Corte cost., 09.01.2019, n. 2 (in Foro it., 2019, I, 755 oggetto della News US in data 18.01.2019) secondo cui “È dichiarato costituzionalmente illegittimo -per violazione del principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.- l'art. 22, comma 2, della legge reg. Lazio n. 15 del 2008. La disposizione censurata dal TAR Lazio -ragguagliando al valore venale dell'abuso la misura della somma da pagare, a titolo di oblazione, nella procedura di accertamento di conformità degli interventi edilizi eseguiti in assenza di titolo abilitativo o in difformità da esso- assoggetta chi intenda sanare tale forma di abuso al medesimo onere pecuniario previsto, dall'art. 20 della citata legge regionale, per la sanatoria degli interventi edilizi eseguiti in base a titolo abilitativo successivamente annullato, con l'irragionevole conseguenza di parificare, sul piano dei costi, abusi connotati da disvalore diverso, atteso che nell'ipotesi prevista dalla norma censurata trattasi di interventi conformi alla normativa urbanistico-edilizia vigente e pregressa, regolarizzabili sotto l'aspetto formale mediante il relativo accertamento di conformità, mentre in quella prevista dall'art. 20 trattasi di interventi edilizi sostanzialmente illegittimi, per i quali sarebbe necessario il ricorso all'ordinario iter repressivo con la demolizione del manufatto, cui l'amministrazione decide invece di soprassedere per ragioni di materiale impossibilità”;
      u) sulla stima dell’Agenzia del territorio (oggi Agenzia delle entrate) prevista dall’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001: Tar per la Liguria, sez. I, 02.11.2011, n. 1506 secondo cui:
I) “nel procedimento disegnato dall’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, la stima dell’Agenzia costituisce una fase infraprocedimentale, in relazione alla quale non è richiesta una ulteriore (ed ultronea) comunicazione di avvio del procedimento”;
II) l’Agenzia del territorio effettua la stima “nell’esercizio di discrezionalità tecnica” e le relative valutazioni sono sindacabili dal giudice amministrativo soltanto “sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza, nonché della congruità dell'istruttoria”;
      v) sulla nozione di “impossibilità di ripristino”: Cons. Stato, sez. II, 23.09.2019, n. 6284, secondo cui esso è inteso “in senso più ampio non solo riferito alla oggettiva impossibilità materiale «tecnica» , ma riferito alla comparazione dell’interesse pubblico al recupero della situazione di legalità violata e accertata giudizialmente con il rispetto delle posizioni giuridiche soggettive del privato incolpevole, che aveva confidato nell'esercizio legittimo del potere amministrativo” (cfr. in tal senso, altresì, Cons. Stato Sez. VI, 28.11.2018, n. 6753, in Merito, 2019, 2, 87; sez. VI 09.04.2018 n. 2155, in Foro amm., 2018, 639, che fa riferimento anche alla posizione di eventuali terzi acquirenti di buona fede);
      w) sul rapporto tra la “sanatoria” ex art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001 e l’accertamento di conformità ex art. 36 del medesimo d.P.R.:
         w1) Cons. Stato, sez. VI, 10.05.2017, n. 2160 (in Foro it., 2017, 1067), secondo cui, una volta identificato nella tutela del legittimo affidamento l'elemento normativo che differenzia sensibilmente la posizione di colui che abbia realizzato in buona fede l'opera abusiva sulla base di titolo annullato rispetto a quanti abbiano realizzato opere parimenti abusive senza alcun titolo, ne consegue che l'art. 38 d.p.r. 380 del 2001 può trovare applicazione solo in presenza di manufatti realizzati conformemente al titolo edilizio assentito e che diventino abusivi solo a seguito del sopravvenuto annullamento di quest’ultimo; per le ipotesi di abusi formali realizzati in assenza ab initio di valido titolo abilitativo, trova infatti applicazione il diverso istituto dell'accertamento di conformità, subordinato al riscontro delle stringenti condizioni di cui all'art. 36 stesso d.p.r.;
         w2) Tar per la Puglia, sez. st. Lecce, sez. III, 02.07.2010, n. 1645, secondo cui “l’art. 38 disciplina una forma di sanatoria nella quale la conformità delle opere che, per effetto dell’annullamento del titolo edilizio, sono divenute abusive viene a sussistere nei confronti della strumentazione urbanistica esistente nel momento del rilascio del titolo abilitativo; questo a differenza di quanto avviene per la sanatoria di cui all’art. 36,che presuppone la conformità delle opere alla strumentazione urbanistica esistente alla data di realizzazione delle opere stesse e alla data di richiesta della sanatoria”;
      x) sulla nozione e limiti della regola della c.d. “doppia conformità”:
         x1) tra le tante, Corte cost., 08.11.2017, n. 232 (in Giur. cost., 2017, 2340, connota di SAITTA), secondo cui “In materia di abusi edilizi, va affermata l'illegittimità costituzionale dell'art. 14, 1° e 3° comma, l.reg. Sicilia n. 16 del 2016, nella parte in cui, ripettivamente, prevedono che «il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda» (1° comma), e non anche a quella vigente al momento della realizzazione dell'intervento; e nella parte in cui si pone «un meccanismo di silenzio-assenso che discende dal mero decorso del termine di novanta giorni» (3° comma) dalla presentazione della istanza al fine del rilascio del permesso in sanatoria”;
         x2) Cons. giust. amm. sic., sez. riun., parere 28.09.2017, n. 808, secondo cui “Il principio della doppia conformità urbanistico- edilizia non può essere esteso alle violazioni paesaggistiche”;
         x3) Tar per la Campania, sez. VIII, 28.10.2016, n. 5010 (in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 1080), secondo cui secondo cui, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001, è necessaria la sussistenza della c.d. doppia conformità, non rilevandosi sufficiente la sola conformità delle opere alla strumentazione urbanistica vigente all'epoca di proposizione dell'istanza di accertamento;
         x4) Cons. giust. amm. sic., sez. riun., parere 03.09.2014, n. 899, secondo cui “il requisito della doppia conformità costituisce principio consolidato in giurisprudenza e pertanto dall’art. 13 della L. 28.02.1985, n. 47, non è ricavabile alcun diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’Autorità Comunale provvede sulla domanda di sanatoria” (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 11.06.2013, n. 3220, in Foro amm. Cons. Stato, 2013, 1652).
Tale orientamento ha, dunque superato quello definito «sanatoria giurisprudenziale» che ha ammesso la sanatoria edilizia a seguito di conformità sopraggiunta dell’intervento al momento della proposizione della nuova istanza […]. Ciò nella considerazione che il nostro ordinamento è caratterizzato dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall’Amministrazione, che non possono essere surrogati dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e pena l’invasione nelle sfere di attribuzioni riservate all’Amministrazione”;
      y) sui limiti alla demolizione e corrispondente irrogazione della sanzione pecuniaria ex art. 34 d. P.R. n. 380 del 2001:
         y1) Tar per la Calabria, sez. II, 26.06.2019, n. 1305 (in Foro it., 2019, III, 619, con nota di ALBE’) secondo cui “la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria dev’essere valutata nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all’ordine di demolizione”;
         y2) Cons. stato, sez. IV, 31.08.2018, n. 5128, secondo cui “La possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall'Amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione: il dato testuale della legge è univoco ed insuperabile, in coerenza col principio per il quale, accertato l'abuso, l'ordine di demolizione va senz'altro emesso […].
Inoltre l’art. 34 […] disciplina gli interventi alle opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, prevedendo al secondo comma che «quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione»; la norma presuppone che vengano in rilievo gli stessi lavori edilizi posti in essere a seguito del rilascio del titolo e in parziale difformità da esso e non è quindi applicabile alle opere realizzate senza titolo per ampliare un manufatto preesistente
";
         y3) Cons. giust. amm. sic., sez. riun., parere 14.12.2017, n. 1007, secondo cui “Il giudizio, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell’abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria (disciplinato dagli artt. 33, comma 2, e 34, comma 2 del d.P.R. n. 380/2001) può, invero, essere effettuato soltanto in un secondo momento, cioè allorquando il soggetto privato non abbia ottemperato spontaneamente all’ordine di demolizione e l’organo competente abbia emanato l’ordine (questa volta non indirizzato all’autore dell’abuso, ma agli uffici e relativi dipendenti dell’Amministrazione competenti e/o preposti in materia di sanzioni edilizie) di esecuzione in danno delle opere realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire ovvero delle opere edili costruite in parziale difformità dallo stesso; pertanto, soltanto nella predetta seconda fase non può ritenersi legittima l’ingiunzione a demolire che sia sprovvista di qualsiasi valutazione in ordine all’entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria”;
         y4) Cons. Stato, sez. V, 20.03.2007, n. 1325 (in Foro it., 2008, III, 185) secondo cui “l’autorità comunale ha giustificato la sanzione pecuniaria con la costosità della demolizione; ma l’irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione è consentita dalla legge solo quando la demolizione sia impossibile, s’intende tecnicamente, e non quando sia costosa. Inoltre la motivazione è illogica, sia perché essa vanifica la sanzione della demolizione prevista dalla legge (tutte le demolizioni essendo costose), sia perché la demolizione è a spese del contravventore e non già del comune. Infine quella motivazione pone sullo stesso piano i due interessi, tra loro incomparabili, di evitare al comune l’anticipazione delle spese di demolizione e di proteggere il territorio comunale dall’abusivismo e da scempi come quello documentato dalle fotografie prodotte dalla resistente; le quali fanno anche ritenere che la costosità dell’intervento, non quantificata nella motivazione del provvedimento, sia stata alquanto sopravvalutata”;
      z) sulla convertibilità del rito dell’ottemperanza nel rito ordinario: Cons. Stato, Ad. plen., 15.01.2013, n. 2 (in Corriere merito, 2013, 464 con nota di MADDALENA; Urbanistica e appalti, 2013, 952, con nota di FIGORILLI; Riv. neldiritto, 2013, 752, con nota di GALATI), secondo cui “Nei confronti di atti amministrativi adottati in seguito a una sentenza di annullamento, è consentito proporre in un unico ricorso, diretto al giudice dell'ottemperanza, domande tipologicamente distinte, le une proprie di un giudizio di cognizione e le altre di un giudizio di ottemperanza” (la sentenza precisa che il giudice dell’ottemperanza, se respinge le domande di nullità o inefficacia degli atti, ove il ricorso sia stato proposto nel rispetto dei termini per l'azione di annullamento, dispone la conversione dell'azione per la riassunzione del giudizio avanti al giudice competente per la cognizione);
      aa) in dottrina:
         aa1) sugli effetti dell’annullamento del provvedimento amministrativo: B. MAMELI, L’istituto dell’annullamento tra procedimento e processo alla luce delle recenti novità normative, Torino, 2017, 109 ss.;
         aa2) sul potere di annullamento dei titoli edilizi da parte della Regione: P. GOLINELLI, Riflessioni sul potere di annullamento degli atti comunali in materia urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 1994, II, 105; P. MARZARO GAMBA, Il potere regionale di annullamento dei provvedimenti comunali in materia urbanistico-edilizia: profili sistematici ed esegetici, in Riv. giur. urbanistica, 1999, 513; dopo il d.P.R. n. 380 del 2001: C. SILVESTRO, Il potere regionale di annullamento del permesso di costruire nel testo unico edilizia, in Urbanistica e appalti, 2003, 873; G. PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico, Milano, 2010, 533 ss.; R. MICALIZZI, Le sanzioni conseguenti all'annullamento del titolo edilizio, tra interpretazione letterale e principi generali, in Urbanistica e appalti, 2013, 6, 719; P.L. PORTALURI, Commento all'art. 39, in M.A. SANDULLI (a cura di), Testo unico dell'edilizia, Milano, 2015, 925 ss.;
         aa3) sui caratteri e finalità delle sanzioni amministrative edilizie: F. DE SANTIS, A. MANDARANO, V. POLI, Commento agli artt. 31-35 del d. P.R. n. 380 del 2001, in F. CARINGELLA, G. DE MARZO (a cura di), L’attività edilizia nel testo unico, Milano, 2006, 425 ss.
(Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 11.03.2020 n. 1735 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAAll’Adunanza plenaria l’interpretazione dell’art. 38, t.u. n. 380 del 2001 sulla possibilità di sanatoria nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale.
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Edilizia – Sanatoria - Permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale – Quando è possibile la sanatoria – Art. 38, t.u. n. 380 del 2001 – Interpretazione – Remissione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
É rimessa all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la corretta interpretazione dell’art. 38, t.u. 06.06.2001, n. 380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si chiama “fiscalizzazione dell’abuso” (1).
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   (1) Ha chiarito la Sezione che sulla norma dell’art. 38 in esame si sono formati, alla luce della giurisprudenza edita, tre distinti orientamenti.
Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente giurisprudenza della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, dell’art. 38 sostiene un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso. Ritiene infatti, in sintesi estrema, che la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, e quindi considera secondo logica l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva.
Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità (Cons. St., sez. VI, 19.07.2019, n. 5089; id., sez. VI, 28.11.2018, n. 6753).
Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non può operare con gli effetti di un condono: così in primo luogo la Corte costituzionale con la sentenza 11.06.2010 n. 209, nonché nella giurisprudenza di questo Giudice le sentenze sez. VI, 09.05.2016, n. 1861 e per implicito sez. IV, 16.03.2010, n. 1535, ove si fa l’esempio pratico di un vizio formale consistito nella mancata predisposizione dello studio planivolumetrico previsto dalle norme tecniche di piano.
Si ricorda poi per completezza che seguiva l’orientamento più restrittivo, se pure senza una motivazione approfondita, la costante giurisprudenza formatasi sull’art. 11, l. n. 47 del 1985: fra le molte Cons. St., sez. VI, 11.02.2013, n. 753; id., sez. V, 22.05.2006, n. 2960 e sez. V, 12.10.2001, n. 5407.
Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”, ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria. In tal senso, sempre fra le molte, Cons. St., sez. VI, 10.09.2015, n. 4221, sez. VI, 08.05.2014, n. 2355 e sez. IV, 17.09.2012, n. 4923, ove si fa l’esempio pratico di un vizio sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche di piano.
Ai fini di causa, condividere l’orientamento restrittivo, ovvero quello intermedio, comporterebbero senz’altro la reiezione per intero sia dell’appello 1510/2019, sia dell’appello 1708/2019 e la conferma della sentenza di I grado. Ne deriverebbe infatti la necessità di affermare che il Comune, nell’adottare il provvedimento di cui all’art. 38 in esame in un caso in cui si ravvisano vizi sostanziali che non vengono superati, è andato al di là dei poteri conferitigli dalla norma.
La Sezione ritiene di evidenziare che tutti e tre gli orientamenti sinteticamente illustrati muovono da premesse teoriche comuni, e se ne discostano nelle conseguenze che ritengono di trarne.
Le premesse teoriche comuni sono quelle riassunte, per tutte, da codesta Adunanza Plenaria nella sentenza 23.04.2009, n. 4, nonché nella citata sentenza 4355/2014. In primo luogo, la posizione dell’originario controinteressato, che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato l'opera abusivamente senza titolo alcuno, nel senso che non va ritenuta assistita da un particolare affidamento da tutelare e questo perché una situazione di affidamento si potrebbe se mai configurare solo nei confronti di un eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto ad un annullamento in sede giurisdizionale.
In quest'ultimo caso, infatti, da un lato, chi ottiene il titolo edilizio si assume il rischio e il pericolo di un eventuale annullamento di esso all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre; dall’altro lato, si è di fronte ad un organo giudicante, che deve limitarsi a decidere sulla domanda propostagli e non può valorizzare, diversamente dall’amministrazione, eventuali affidamenti dei soggetti coinvolti. In secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio determina un giudicato, che in linea di principio tutti i soggetti dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono rispettare.
Ciò posto, secondo l’indirizzo teorico comune in esame, l’art. 38 in esame rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”: così la sentenza 4355 del 2014, da cui le citazioni.
A fronte di ciò, l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo le ragioni del privato titolare del permesso annullato, recuperando in tal modo la tutela della buona fede che di regola può vantare chi eserciti una qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione competente. Le ragioni di questo soggetto quindi, nei risultati, andrebbero a prevalere nella maggioranza dei casi, portando come esito normale la sanatoria dell’abuso mediante la sua fiscalizzazione.
In tal senso, deporrebbe anche un argomento letterale, individuato per tutte dalla sentenza 5089 del 2019: i richiami ai "vizi delle procedure amministrative" e alla impossibilità della "rimessione in pristino" contenuti nel comma 1 dell’art. 38 sarebbero due ipotesi di sanatoria messe su un piano di parità, la prima relativa a vizi formali, la seconda, ovvero quella in cui non sia possibile la "rimessione in pristino", relativa ad una problematica tecnico ingegneristica, che quindi prescinderebbe dal tipo di vizio riscontrato.
Viceversa, l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano le ragioni del terzo il quale ha impugnato nell’originario giudizio il titolo illegittimo, nonché il rispetto del giudicato. In primo luogo, si sostiene che consentire la sanatoria senza limiti andrebbe a ledere l'affidamento di costui nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
Si osserva poi che l’interpretazione ampia potrebbe essere anche in contrasto con l’art. 102 Cost., perché andrebbe in sostanza a travolgere gli effetti del giudicato di annullamento attribuendo all’amministrazione il potere di invadere il campo riservato all’Autorità giudiziaria.
In tal senso sono le citate C. cost. 209 del 2010 e Cons. St., sez. n. 2355 del 2014, con riguardo specifico al caso concreto di una norma di legge provinciale che aveva introdotto espressamente la possibilità di fiscalizzazione del vizio sostanziale non sanabile, ma con argomentazioni di principio che assumono valore generale. Secondo logica, quindi, va adottata un’interpretazione che consente di sanare l’abuso solo quando esso è tale formalmente, ma non nella sostanza, perché si tratta appunto di soli vizi formali, o perché i vizi sostanziali sono stati eliminati.
In tale ultimo senso è anche orientato il Collegio, sia per le ragioni esposte sopra, sia perché, in sintesi estrema, la repressione degli abusi edilizi –considerando come tali le costruzioni che siano effettivamente in contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti urbanistici– è un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore: in tal senso, se pure su fattispecie diverse, si è espressa anche codesta Adunanza Plenaria nelle note sentenze 17.10.2017, n. 8 e n. 9.
In tali termini, appare preferibile l’orientamento che si è denominato intermedio, che amplia la sanabilità dell’abuso, e protegge quindi l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo (Consiglio di Stato, Sez. IV, ordinanza 11.03.2020 n. 1735 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrartiva.it).
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SENTENZA
22. L’appello propone, nel suo complesso, una questione di diritto, per la cui risoluzione è necessaria, ad avviso del Collegio, la rimessione all’Adunanza plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.
23. Si tratta della corretta interpretazione dell’art. 38 del T.U. 06.06.2001 n. 380, nel senso di stabilire, nel caso di intervento edilizio eseguito in base a permesso di costruire annullato in sede giurisdizionale, quale tipo di vizi consenta la sanatoria che la norma prevede, ovvero l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria il cui pagamento produce, ai sensi del comma 2 dell’articolo in questione, “i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria”, istituto che comunemente si chiama “fiscalizzazione dell’abuso”, questione oggetto del primo motivo sia del ricorso 1510/2019 che del ricorso 1708/2019.
24. Per chiarezza, si riportano le norme pertinenti.
24.1 Il più volte citato art. 38 del T.U. 380/2001 dispone, nella parte che interessa: “(Interventi eseguiti in base a permesso annullato) In caso di annullamento del permesso, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36 (comma 2)”.
Quest’ultimo articolo, com’è noto, disciplina l’accertamento di conformità, ovvero la sanatoria degli interventi abusivi perché realizzati senza titolo, ma conformi alle norme urbanistico edilizie.
24.2 Per completezza, si ricorda che le norme dell’art. 38 appena citate trovano il loro antecedente nel previgente ed analogo art. 11 della l. 28.02.1985 n. 47, per cui “(Annullamento della concessione) In caso di annullamento della concessione, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il sindaco applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'ufficio tecnico erariale. La valutazione dell'ufficio tecnico è notificata alla parte dal comune e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa (comma 1). L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti della concessione di cui all'articolo 13 (comma 2)”.
Come si vede, la norma è identica, a parte i riferimenti alla concessione edilizia, come è noto precedente denominazione del titolo edilizio maggiore, ora permesso di costruire, e all’art. 13 della stessa l. 47/1985, che disciplinava l’accertamento di conformità in termini identici all’attuale art. 36 del T.U. 380/2001. Di conseguenza, si farà riferimento anche alla giurisprudenza formatasi su questa norma.
25. Tanto premesso, sulla norma dell’art. 38 in esame si sono formati, alla luce della giurisprudenza edita, tre distinti orientamenti, che si indicano così come segue.
25.1 Un primo orientamento, che si è affermato nella più recente giurisprudenza della Sesta Sezione di questo Consiglio di Stato, dell’art. 38 sostiene un’interpretazione ampia, di favore per il privato autore dell’abuso. Ritiene infatti, in sintesi estrema, che la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile per ogni tipologia dell’abuso stesso, ossia a prescindere dal tipo, formale ovvero sostanziale, dei vizi che hanno portato all’annullamento dell’originario titolo, e quindi considera secondo logica l’istituto come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva.
Più nel dettaglio, anche in presenza di vizi sostanziali non emendabili del titolo annullato, il Comune prima di ordinare la rimessione in pristino dovrebbe verificare l'impossibilità a demolire, e ove la ritenesse, dovrebbe limitarsi ad applicare la sanzione pecuniaria; nel far ciò dovrebbe poi considerare rilevante non solo il caso di vera e propria impossibilità o grave difficoltà tecnica, ma anche quello in cui riconoscesse ragioni di equità o al limite anche di opportunità: in tal senso la più recente C.d.S. sez. VI 19.07.2019 n. 5089, e in senso sostanzialmente conforme, fra le molte, C.d.S. sez. VI 28.11.2018 n. 6753 e sez. VI 12.05.2014 n. 2398.
25.2 Ai fini di causa, condividere questo orientamento comporterebbe che i motivi di appello indicati, primo sia del ricorso 1510/2019 che del ricorso 1708/2019 andrebbero non puramente e semplicemente respinti, ma valutati in concreto: posto che l’amministrazione non si è mossa senz’altro al di là dei poteri che l’art. 38, in ipotesi, le conferisce, occorrerebbe verificare se in concreto di questi poteri abbia fatto corretta applicazione.
25.3 Vi è poi un orientamento più restrittivo, secondo il quale la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe possibile soltanto nel caso di vizi formali o procedurali non emendabili, mentre in ogni altro caso l’amministrazione dovrebbe senz’altro procedere a ordinare la rimessione in pristino; in altre parole, secondo tale orientamento, lo strumento in esame consente di superare i soli vizi non sostanziali della costruzione, e quindi non può operare con gli effetti di un condono: così in primo luogo la Corte costituzionale con la sentenza 11.06.2010 n. 209, nonché nella giurisprudenza di questo Giudice le sentenze sez. VI 09.05.2016 n. 1861 e per implicito sez. IV 16.03.2010 n. 1535, ove si fa l’esempio pratico di un vizio formale consistito nella mancata predisposizione dello studio planivolumetrico previsto dalle norme tecniche di piano. Si ricorda poi per completezza che seguiva l’orientamento più restrittivo, se pure senza una motivazione approfondita, la costante giurisprudenza formatasi sull’art. 11 della l. 47/1985: fra le molte C.d.S. sez. VI 11.02.2013 n. 753, sez. V 22.05.2006 n. 2960 e sez. V 12.10.2001 n. 5407.
25.4 Vi è infine un orientamento intermedio, che si discosta da quello restrittivo per ritenere possibile la fiscalizzazione, oltre che nei casi di vizio formale, anche nei casi di vizio sostanziale, però emendabile: anche in tal caso, non vi sarebbe la sanatoria di un abuso, perché esso verrebbe in concreto eliminato con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa, la quale si distinguerebbe dall’accertamento di conformità di cui all’art. 36 dello stesso T.U. 380/2001 per il fatto che qui non sarebbe richiesta la “doppia conformità”, ovvero non si richiederebbe il rispetto delle norme edilizie e urbanistiche vigenti sia al momento dell’abuso sia a quello successivo della sanatoria.
In tal senso, sempre fra le molte, C.d.S. sez. VI 10.09.2015 n. 4221, sez. VI 08.05.2014 n. 2355 e sez. IV 17.09.2012 n. 4923, ove si fa l’esempio pratico di un vizio sostanziale emendato, costituito dalla riduzione di altezza del fabbricato in modo da rispettare le norme tecniche di piano.
25.5 Ai fini di causa, condividere l’orientamento restrittivo, ovvero quello intermedio, comporterebbero senz’altro la reiezione per intero sia dell’appello 1510/2019, sia dell’appello 1708/2019 e la conferma della sentenza di I grado. Ne deriverebbe infatti la necessità di affermare che il Comune, nell’adottare il provvedimento di cui all’art. 38 in esame in un caso in cui si ravvisano vizi sostanziali che non vengono superati, è andato al di là dei poteri conferitigli dalla norma.
26. La Sezione ritiene di evidenziare che tutti e tre gli orientamenti sinteticamente illustrati muovono da premesse teoriche comuni, e se ne discostano nelle conseguenze che ritengono di trarne.
26.1 Le premesse teoriche comuni sono quelle riassunte, per tutte, da codesta Adunanza Plenaria nella sentenza 23.04.2009 n. 4, nonché nella citata sentenza 4355/2014. In primo luogo, la posizione dell’originario controinteressato, che ha realizzato l'opera sulla base del titolo annullato in sede giurisdizionale, non si differenzia da quella di chi avesse realizzato l'opera abusivamente senza titolo alcuno, nel senso che non va ritenuta assistita da un particolare affidamento da tutelare e questo perché una situazione di affidamento si potrebbe se mai configurare solo nei confronti di un eventuale annullamento in sede amministrativa, non rispetto ad un annullamento in sede giurisdizionale.
In quest'ultimo caso, infatti, da un lato, chi ottiene il titolo edilizio si assume il rischio e il pericolo di un eventuale annullamento di esso all’esito del ricorso che un terzo potrebbe proporre; dall’altro lato, si è di fronte ad un organo giudicante, che deve limitarsi a decidere sulla domanda propostagli e non può valorizzare, diversamente dall’amministrazione, eventuali affidamenti dei soggetti coinvolti. In secondo luogo, l’annullamento giurisdizionale del titolo edilizio determina un giudicato, che in linea di principio tutti i soggetti dell’ordinamento, anche il legislatore ordinario, debbono rispettare.
26.2 Ciò posto, secondo l’indirizzo teorico comune in esame, l’art. 38 in esame rappresenta, dal punto di vista del legislatore, la creazione di un “potere nuovo” rispetto a quello che consente di emettere il titolo edilizio, che contempera l’esigenza di rispettare il giudicato con quella di realizzare “un assetto della fattispecie diversificato” rispetto a quello scaturente dal giudicato stesso, “ma non in contrasto con quest'ultimo”: così la sentenza 4355/2014, da cui le citazioni.
26.3 A fronte di ciò, l’orientamento di maggior favore privilegia al massimo le ragioni del privato titolare del permesso annullato, recuperando in tal modo la tutela della buona fede che di regola può vantare chi eserciti una qualsiasi attività sulla base di un titolo rilasciato dall’amministrazione competente. Le ragioni di questo soggetto quindi, nei risultati, andrebbero a prevalere nella maggioranza dei casi, portando come esito normale la sanatoria dell’abuso mediante la sua fiscalizzazione.
In tal senso, deporrebbe anche un argomento letterale, individuato per tutte dalla sentenza 5089/2019: i richiami ai "vizi delle procedure amministrative" e alla impossibilità della "rimessione in pristino" contenuti nel comma 1 dell’art. 38 sarebbero due ipotesi di sanatoria messe su un piano di parità, la prima relativa a vizi formali, la seconda, ovvero quella in cui non sia possibile la "rimessione in pristino", relativa ad una problematica tecnico ingegneristica, che quindi prescinderebbe dal tipo di vizio riscontrato.
26.4 Viceversa, l’orientamento restrittivo e quello intermedio privilegiano le ragioni del terzo il quale ha impugnato nell’originario giudizio il titolo illegittimo, nonché il rispetto del giudicato. In primo luogo, si sostiene che consentire la sanatoria senza limiti andrebbe a ledere l'affidamento di costui nella stabilità della disciplina giuridica delle fattispecie, e si renderebbe in sostanza inutile e privo di effettività il suo diritto di cittadino di adire il giudice per ottenere la tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
Si osserva poi che l’interpretazione ampia potrebbe essere anche in contrasto con l’art. 102 Cost., perché andrebbe in sostanza a travolgere gli effetti del giudicato di annullamento attribuendo all’amministrazione il potere di invadere il campo riservato all’Autorità giudiziaria. In tal senso sono le citate C. cost. 209/2010 e C.d.S. sez. 2355/2104, con riguardo specifico al caso concreto di una norma di legge provinciale che aveva introdotto espressamente la possibilità di fiscalizzazione del vizio sostanziale non sanabile, ma con argomentazioni di principio che assumono valore generale. Secondo logica, quindi, va adottata un’interpretazione che consente di sanare l’abuso solo quando esso è tale formalmente, ma non nella sostanza, perché si tratta appunto di soli vizi formali, o perché i vizi sostanziali sono stati eliminati.
26.5 In tale ultimo senso è anche orientato il Collegio, sia per le ragioni esposte sopra, sia perché, in sintesi estrema, la repressione degli abusi edilizi –considerando come tali le costruzioni che siano effettivamente in contrasto con l’assetto del territorio disegnato dagli strumenti urbanistici– è un valore che l’ordinamento persegue con particolare rigore: in tal senso, se pure su fattispecie diverse, si è espressa anche codesta Adunanza Plenaria nelle note sentenze 17.10.2017 nn. 8 e 9.
In tali termini, appare preferibile l’orientamento che si è denominato intermedio, che amplia la sanabilità dell’abuso, e protegge quindi l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo poi annullato, sino al limite massimo consentito dalla contrapposta tutela del terzo.
27. Alla luce di siffatto contrasto giurisprudenziale la questione, rilevante per quel che si è detto ai fini della decisione dell’appello, in esame, va deferita all’Adunanza plenaria ai sensi dell’art. 99 c.p.a., che deciderà ai sensi del comma 4 dello stesso art. 99.
28. Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sugli appelli come in epigrafe proposti (ricorsi nn. 1510/2019 e 1708/2019), li rimette all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 c.p.a..

febbraio 2020

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento d'ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un'espressa motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della P.A., entro un termine ragionevole, non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente l'intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata.
Al riguardo, sulla base della premessa secondo cui l'interesse pubblico specifico alla rimozione dell'atto illegittimo dev'essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, è stato chiarito “che l'apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l'illegittimità dell'atto oggetto del procedimento di autotutela”.
Vanno, altresì, richiamati i principi che, in materia di ritiro degli atti amministrativi illegittimi, sono stati esplicitati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 17.10.2017, n. 8 che ha escluso che sussista ex se l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata per effetto del rilascio di un titolo edilizio illegittimo, evidenziando invece come il decorso del tempo oneri l'amministrazione del compito di valutare, motivatamente, se l'annullamento risponda ad un, effettivo e prevalente, interesse pubblico di carattere concreto e attuale.
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6. È invece fondata e da accogliere la domanda di annullamento del provvedimento prot. n. 45844 del 18.03.2019, di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 68/2013 con particolare riferimento alla contestata violazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990 avendo omesso il Comune di illustrare le ragioni di interesse pubblico sottese all’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire.
In applicazione della norma appena richiamata, invero, l'annullamento d'ufficio del permesso di costruire richiede necessariamente un'espressa motivazione in ordine all'interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino dello status quo ante, preminente su quello privato alla conservazione del provvedimento, che giustifichi il ricorso al potere di autotutela della P.A., entro un termine ragionevole, non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente l'intento di operare un mero astratto ripristino della legalità violata.
Al riguardo, sulla base della premessa secondo cui l'interesse pubblico specifico alla rimozione dell'atto illegittimo dev'essere integrato da ragioni differenti dalla mera esigenza di ripristino della legalità, è stato chiarito “che l'apprezzamento del presupposto in questione non può neanche risolversi nella tautologica ripetizione degli interessi sottesi alla disposizione normativa la cui violazione ha integrato l'illegittimità dell'atto oggetto del procedimento di autotutela” (Tar Napoli, sez. VIII, sentenza n. 5276 del 28.08.2018).
Vanno, altresì, richiamati i principi che, in materia di ritiro degli atti amministrativi illegittimi, sono stati esplicitati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 17.10.2017, n. 8 che ha escluso che sussista ex se l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata per effetto del rilascio di un titolo edilizio illegittimo, evidenziando invece come il decorso del tempo oneri l'amministrazione del compito di valutare, motivatamente, se l'annullamento risponda ad un, effettivo e prevalente, interesse pubblico di carattere concreto e attuale (TAR Reggio Calabria, sentenza n. 463/2018).
Nel caso in esame, il Comune resistente non ha fornito alcuna ragione, per quanto succinta, di interesse pubblico in base alla quale giustificare l'esercizio del potere di autotutela, né ha valutato il grado di incisione del suddetto potere sugli interessi del ricorrente, in bilanciamento con quelli pubblici.
Ed infatti, l'Amministrazione si è limitata a rappresentare i motivi di illegittimità del titolo edilizio oggetto di annullamento, consistenti in “una errata rappresentazione dei luoghi relativa alla quantificazione delle aree destinata a zona Omogenea “C” che avrebbe “determinato una inesatta quantificazione dei volumi ammissibili sul lotto d’intervento”.
Tale motivazione si rivela, alla luce della giurisprudenza richiamata, del tutto insufficiente a legittimare la misura di autotutela, in mancanza di alcun riferimento sia alle ragioni di interesse pubblico sottese all’esigenza, attuale e concreta, di ripristinare la legalità asseritamente violata, sia all’incisione dell’esercizio di tale potere di autotutela sugli interessi privati, sia al bilanciamento degli interessi pubblici con quelli privati.
Né può ritenersi che, alla luce dei principi statuiti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con sentenza n. 8/2017, l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione sia stato assolto dalla stessa con il mero riferimento all’erronea rappresentazione dei luoghi da cui sarebbe scaturito il rilascio del permesso di costruire annullato.
Non risulta, invero, dimostrata né tale erronea rappresentazione dei luoghi (che, peraltro, attenendo alla qualificazione delle aree interessate dall’intervento, costituisce un dato certamente a conoscenza degli uffici tecnici del Comune e, pertanto, difficilmente “manipolabile” a proprio vantaggio dal richiedente il permesso di costruire) né, tanto meno, l’effettiva incidenza che essa avrebbe avuto sul permesso di costruire rilasciato.
L’amministrazione comunale si è limitata, invero, a fare riferimento, in modo del tutto generico, “ad una errata rappresentazione dei luoghi relativa alla quantificazione delle aree destinata a zona Omogenea “C” che avrebbe “determinato una inesatta quantificazione dei volumi ammissibili sul lotto d’intervento” e a produrre in giudizio una copia della planimetria di progetto sulla quale i tecnici comunali avrebbero rappresentato “la linea di separazione delle diverse destinazioni urbanistiche”.
La rilevata fondatezza del motivo in esame, che conduce all’annullamento del provvedimento impugnato con integrale soddisfazione dell’interesse del ricorrente, consente di disporre l’assorbimento delle ulteriori censure sollevate in ricorso (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 28.02.2020 n. 137 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

ottobre 2018

EDILIZIA PRIVATA: La previsione di cui all’articolo 21-nonies della l. 241/1990 segna il definitivo superamento dell’originaria teorica dell’inconsumabilità del potere di autotutela (o di quella che un risalente orientamento definisce “la perennità della potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti invalidi”), invero, già ampiamente rivisitata dall’evoluzione dell’ordinamento pubblicistico che, come evidenziato da Consiglio di Stato, ad. plen. 17.10.2017, n. 8, si muove in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi dall’esplicazione del potere di autotutela temperando il richiamato principio di perennità e predicando, invece, la necessità che l’annullamento e la revoca intervengano entro un termine ragionevole.
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Con specifico riferimento ai titoli edilizi, la giurisprudenza declina il dato normativo sopra riportato evidenziando come i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d'ufficio devono individuarsi nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità, da compararsi con i contrapposti interessi dei privati, entro un termine ragionevole (che l’articolo 6 della l. 07.08.2015, n. 124 fissa, da ultimo, in diciotto mesi).
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In relazione alla questione relativa al termine di 18 mesi in ultimo richiamato si pone una questione di diritto intertemporale atteso che il provvedimento di annullamento in autotutela –adottato nella vigenza della nuova disposizione- si riferisce a due permessi emessi nella vigenza della precedente disposizione.
Sul punto, si evidenzia che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla legge 07.08.2015, n. 124 è applicabile in ogni caso in cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente.
Secondo un indirizzo di segno opposto, ai fini dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art. 11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado, con conseguente insensibilità del procedimento amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo sopravvenute.
A sostegno della tesi in esame si osserva che la “modifica non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’amministrazione entro 18 mesi: mentre, invece, nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine. Ma nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della l. n. 124 del 2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica solo ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che la disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come evidenziato, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo– non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Depone in favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo diciotto mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento di autorizzazione (di primo grado)”.
La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato -inaugurata dalla sentenza della V sezione, del 19.01.2017, n. 250– evidenzia che il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Si arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
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Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione “solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione”.
Va, infatti, considerato che la nuova disposizione àncora l’esercizio del potere al momento di emanazione del primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo grado rimuove.
La generalizzata applicazione del termine dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela –per i provvedimenti già emessi prima del 28.08.2015– necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la stessa in un termine generale di definizione di tutti i provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già adottati prima della novella.
Aderendo alla tesi pur autorevolmente patrocinata da parte della giurisprudenza, l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal modo, però, per gli atti adottati prima della novella il termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi sulla data di emanazione del singolo atto –come espressamente disposto dalla norma– ma, al contrario, sulla data di entrata in vigore della legge.
Si perviene, così, al risultato di negare la ratio della previsione che, come detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge.
Conclusione che, del resto, appare confermata dalla circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido parametro temporale di riferimento ora previsto dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
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3. Venendo al merito del ricorso deve procedersi all’esame del primo motivo con il quale i ricorrenti ritengono che il potere amministrativo di annullamento degli atti debba ritenersi precluso dal decorso del termine di 18 mesi di cui all’articolo 21-nonies l. 241/1990 nella versione attuale, ritenuta vigente ratione temporis anche in considerazione dell’impossibilità di far decorrente il dies a quo dalla data di emanazione dell’ultimo permesso in variante.
Replica il Comune osservando che il termine in esame non decorre in caso di falsa rappresentazione delle circostanze di fatto poste a fondamento del titolo, da individuarsi nel fatto che “le domande presentate per ottenere i titoli edilizi rilasciati […] evidenzia[no] circostanze non coerenti con quanto effettivamente progettato, non fosse altro per il fatto che l’altezza dell’edificio in progetto era indicata in mt. 8 (oppure non era neppure indicata)”.
3.1. Entrando in medias res, il Collegio osserva, in primo luogo, come la previsione di cui all’articolo 21-nonies della l. 241/1990 segni il definitivo superamento dell’originaria teorica dell’inconsumabilità del potere di autotutela (o di quella che un risalente orientamento definisce “la perennità della potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti invalidi” – in tal senso: Consiglio di Stato, sez. II, 07.06.1995, n. 2917/94), invero, già ampiamente rivisitata dall’evoluzione dell’ordinamento pubblicistico che, come evidenziato da Consiglio di Stato, ad. plen. 17.10.2017, n. 8, si muove in chiave di maggiore protezione per i soggetti incisi dall’esplicazione del potere di autotutela temperando il richiamato principio di perennità e predicando, invece, la necessità che l’annullamento e la revoca intervengano entro un termine ragionevole (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 15.11.1999, n. 1812; id., sez. V, 20.08.1996, n. 939).
3.2. La previsione normativa che, come spiegato, recepisce in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza, prevede testualmente: “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28.12.2000, n. 445
”.
3.3. Con specifico riferimento ai titoli edilizi, la giurisprudenza declina il dato normativo sopra riportato evidenziando come i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d'ufficio devono individuarsi nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità, da compararsi con i contrapposti interessi dei privati, entro un termine ragionevole (che l’articolo 6 della l. 07.08.2015, n. 124 fissa, da ultimo, in diciotto mesi) (TAR per la Campania – sede di Napoli, sez. VIII, 28.08.2018, n. 5276).
3.4. In relazione alla questione relativa al termine di 18 mesi in ultimo richiamato si pone una questione di diritto intertemporale atteso che il provvedimento di annullamento in autotutela –adottato nella vigenza della nuova disposizione- si riferisce a due permessi emessi nella vigenza della precedente disposizione.
In particolare, sia il permesso di costruire n. 143/2014 che il permesso n. 4272015 sono adottati prima dell’entrata in vigore della modifica apportata dall’articolo 6, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 07.08.2015, n. 124. E’, invece, emanato dopo l’entrata in vigore della modifica normativa in esame il permesso di costruire n. 92/2015 del 23.09.2015, anch’esso annullato dal provvedimento in esame.
3.5. Sul punto, si evidenzia che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, la norma introdotta dalla legge 07.08.2015, n. 124 è applicabile in ogni caso in cui il provvedimento di autotutela sia intervenuto successivamente alla novella legislativa, ancorché riguardi un titolo abilitativo rilasciato sotto il regime precedente (ex plurimis: TAR per la Puglia, sede di Bari, Sez. III, 17.03.2016, n. 351; TAR per la Campania, sede di Napoli, Sez. III, 22.09.2016, n. 4373; TAR per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 04.01.2017, n. 65; TAR per il Lazio, sede di Roma, Sez. I-bis, 21.02.2017, n. 2670; TAR per la Sardegna, Sez. I, 07.02.2017, n. 92).
3.6. Secondo un indirizzo di segno opposto, ai fini dell’applicazione della regola del tempus regit actum (art. 11 delle preleggi), l’atto di autotutela dovrebbe considerarsi non un provvedimento autonomo bensì un atto rientrante nel procedimento aperto dall’atto di primo grado, con conseguente insensibilità del procedimento amministrativo alle norme giuridiche nel frattempo sopravvenute.
A sostegno della tesi in esame si osserva che la “modifica non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’amministrazione entro 18 mesi: mentre, invece, nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine. Ma nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della l. n. 124 del 2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica solo ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che la disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come evidenziato, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo– non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Depone in favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo diciotto mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento di autorizzazione (di primo grado)
” (TAR per la Campania – sede di Napoli, sez. II, 12.09.2016, n. 4229).
3.7. La prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato -inaugurata dalla sentenza della V sezione, del 19.01.2017, n. 250– evidenzia che il termine dei diciotto mesi non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi), finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l’esercizio del potere di autotutela amministrativa.
Si arriverebbe infatti all’irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell’entrata in vigore della nuova norma, l’annullamento d’ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi (di primo grado) adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione.
3.7. Il Collegio ritiene di aderire all’orientamento secondo cui le nuove disposizioni trovano applicazione “solo ai provvedimenti di annullamento in autotutela che abbiano ad oggetto provvedimenti che siano, anch'essi, successivi all'entrata in vigore della nuova disposizione” (TAR per il Lazio – sede di Roma, sez. I-bis, 02.07.2018, n. 7272).
Va, infatti, considerato che la nuova disposizione ancora l’esercizio del potere al momento di emanazione del primo atto ponendo, quindi, una limitazione temporale calibrata proprio sul provvedimento che l’atto di secondo grado rimuove. La generalizzata applicazione del termine dalla data di entrata in vigore della legge 124 del 2015 muta il presupposto fondante su cui poggia la previsione imponendo, in ogni caso, l’adozione dell’atto di autotutela –per i provvedimenti già emessi prima del 28.08.2015– necessariamente entro i 18 mesi decorrenti da tale data. In tal modo, però, si altera la ratio della norma nella sua applicazione nella dinamica intertemporale, trasformando la stessa in un termine generale di definizione di tutti i provvedimenti di secondo grado, relativi ad atti già adottati prima della novella.
Aderendo alla tesi pur autorevolmente patrocinata da parte della giurisprudenza, l’Amministrazione risulterebbe, in sostanza, onerata di una verifica di tutti i provvedimenti già adottati da consumarsi entro un generale termine di 18 mesi onde non vedersi precludere la possibilità di successiva rimozione. In tal modo, però, per gli atti adottati prima della novella il termine di decorrenza dei 18 mesi non risulta più fondarsi sulla data di emanazione del singolo atto –come espressamente disposto dalla norma– ma, al contrario, sulla data di entrata in vigore della legge.
Si perviene, così, al risultato di negare la ratio della previsione che, come detto, intende calibrare temporalmente l’atto di esercizio del potere sul provvedimento da rimuovere. L’interpretazione che appare, pertanto, maggiormente acconcia al dato letterale e alla specifica ratio legis è quella che ancora le nuove disposizioni all’esercizio del potere su atti emanati dopo l’entrata in vigore della nuova legge.
Conclusione che, del resto, appare confermata dalla circostanza che il legislatore non ha voluto approntare una disciplina di diritto transitorio, l’unica che in tale quadro avrebbe potuto medio tempore derogare al rigido parametro temporale di riferimento ora previsto dall’ordinamento (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).
3.8. Declinando il principio esposto al caso di specie, deve ritenersi che l’atto di annullamento in autotutela relativo al primo permesso di costruire non può ritenersi illegittimo per intervenuto superamento del termine di 18 mesi, non potendosi applicare, per le ragioni spiegate, la previsione introdotta dalla legge 124 del 2015.
3.9. Permane, ovviamente, la necessità che l’atto di annullamento sia adottato in un termine ragionevole. Circostanza, invero, non contestata da parte dei ricorrenti che fondano il primo motivo esclusivamente sulla ritenuta violazione del termine di 18 mesi.
In ogni caso, osserva il Collegio che il richiamo alla ragionevolezza del termine, non comporta che, decorso un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, sia eliso il potere di annullamento, ma si traduce nella necessità di verificare con peculiare attenzione se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale anche in considerazione al complesso delle circostanze e degli interessi rilevanti.
Inoltre, come autorevolmente insegna l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 8 del 2017, la locuzione “termine ragionevole” richiama evidentemente un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie. Si intende con ciò rappresentare che la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione “ragionevole”) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto.
3.9. Nel caso di specie, l’intervento dell’Amministrazione può ritenersi esercitato in tempo ragionevole tenuto conto dell’opacità delle richieste di permesso di costruire e della documentazione ivi allegata che non chiariscono, in modo inequivoco, come l’intervento consista effettivamente nel superamento dell’altezza di 8 metri. Infatti, che l’altezza dell’edificio esistente sia pari già ad 8 metri è un dato indicato esclusivamente nella tavola n. 3 con l’apposizione di un rigo di misura accanto alla sagoma dell’edificio.
Non si espone, invece, nulla nella relazione tecnica al progetto non chiarendo, pertanto, all’Amministrazione che l’intervento che si intende realizzare comporta un’altezza complessiva superiore a tale limite. Si affida, così, ad una deduzione dell’Amministrazione l’individuazione dell’effettiva consistenza dell’intervento, da effettuarsi sulla base, come detto, di un’indicazione accennata accanto al disegno della sagoma.
Circostanze che rendono, quindi, “esigibile” l’intervento dell’Amministrazione solo all’esito di un’analitica verifica non agevolata dalla parte privata che, al contrario, omette di chiarire in modo espresso (come sarebbe imposto da quei doveri di buona fede e correttezza che permeano i rapporti con l’Amministrazione anche dal lato del privato) l’altezza che l’edifico complessivo raggiunge in caso di accoglimento delle proprie istanze.
3.10. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve rigettarsi in quanto infondato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.10.2018 n. 2200 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

settembre 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
E' sicuramente vero che il termine ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit..
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento di autotutela in questione è intervenuto (nel caso di specie) abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio in materia di autotutela in ambito edilizio, il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale”.

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4. Con una seconda articolata censura, la ricorrente stigmatizza la tardività del provvedimento di autotutela, intervenuto a distanza di 15 anni dal perfezionamento della DIA e, quindi, oltre il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015, e comunque ben dopo il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, in violazione della tempistica fissata dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.
La censura, così come formulata, non convince.
L’art. 21-nonies, comma 1, della legge n. 241/1990 così recita (per la parte di odierno interesse): “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici (periodo introdotto dalla legge n. 124/2015, ndr.), inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.”.
Orbene, è sicuramente vero, in virtù di ormai consolidati orientamenti, che il termine ridotto di 18 mesi si applica a tutti gli atti aventi funzione ampliativo/abilitativa della sfera giuridica privata, inclusa la DIA, e che rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (come quello di specie), il termine di 18 mesi va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28.08.2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13.07.2017 n. 3462; Consiglio di Stato, Sez. V, 19.01.2017 n. 250; Consiglio di Stato, Sez. VI, 31.08.2016 n. 3762).
E’ parimenti vero ed incontrovertibile che il provvedimento di autotutela in questione è intervenuto abbondantemente oltre sia il termine di 18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2015 sia il termine ragionevole dall’adozione dell’atto, individuabile in 10 anni con riferimento al termine ordinario di prescrizione.
Tuttavia, lo sforamento di entrambi i suddetti termini di legge, con conseguente irragionevolezza delle modalità temporali di intervento, non implica di per sé l’illegittimità del provvedimento di autotutela, ma impone all’amministrazione procedente di munire tale provvedimento di una motivazione rafforzata circa la persistente concretezza e attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto di primo grado.
Invero, come ha avuto modo di chiarire l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato in una recente pronuncia resa proprio in materia di autotutela in ambito edilizio (sentenza n. 8 del 17.10.2017), perfettamente estensibile al caso di specie, il fattore tempo preso in considerazione dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 è da intendere in un’ottica non parametrica ma relazionale, riferita al complesso delle circostanze rilevanti nella singola situazione di fatto.
Ne discende, secondo tale pronuncia, che il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio, laddove comporti la violazione del criterio di ragionevolezza del termine (prefissato o meno dal legislatore nella sua misura), non esaurisce il potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma piuttosto “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale” (nello stesso senso cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3462/2017 cit.).
In definitiva, proprio facendo tesoro del superiore insegnamento, si deve concludere che la violazione della tempistica di intervento prevista dalla disposizione legislativa in commento non costituisce di per sé causa di illegittimità del provvedimento di annullamento in autotutela (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 24.09.2018 n. 5574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2018

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: In base all’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990, l’annullamento del provvedimento amministrativo richiede, oltre all’illegittimità dell’atto, anche la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione.
Tale interesse deve, poi, trovare adeguata evidenziazione, mediante un’idonea motivazione, che dia conto della ponderazione degli interessi in gioco, inclusi quelli dei destinatari dell’atto e dei controinteressati, anche alla luce del tempo trascorso dall’adozione del provvedimento; l’annullamento deve, inoltre, intervenire entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi

Invero,
la potestà di autotutela deve “(...) considerare la legittimità del provvedimento che ne è oggetto in base al principio “tempus regit actum” e –una volta accertata l’effettiva sussistenza di vizi, rapportabili all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a valutare discrezionalmente la sussistenza degli ulteriori presupposti per intervenire, previo bilanciamento degli interessi sia pubblici che privati”.

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In ogni ipotesi nella quale un’amministrazione annulla in autotutela un proprio atto, essa necessariamente “contraddice” il proprio precedente operato, rimuovendone gli esiti. Ciò, tuttavia, non toglie che l’autotutela sia un istituto espressamente contemplato dalla legge, il quale trova il proprio fondamento nel principio di inesauribilità del potere amministrativo (salvi i limiti temporali introdotti dal legislatore).
Né potrebbe ritenersi che, nel caso oggetto del presente giudizio, un profilo specifico di contraddittorietà dell’agire amministrativo sia ravvisabile nella precedente emissione di un parere preventivo favorevole.
Deve premettersi che
i titoli edilizi sono rilasciati in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, senza alcun margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione. Conseguentemente, la circostanza che –eventualmente in modo errato– il Comune renda un parere favorevole alla successiva emissione del permesso di costruire non può in ogni caso vincolare l’Ente, in contrasto con la legge, a considerare quel titolo legittimo.

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16. Può, quindi, passarsi all’esame delle censure prospettate dalla ricorrente con il terzo, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, nonché di quelle articolate nella seconda parte del quarto motivo.
Tutte queste censure, che possono essere complessivamente scrutinate, mirano infatti a contestare sostanzialmente le ragioni di interesse pubblico addotte dal Comune a sostegno del provvedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire, e quindi a contestare la sussistenza dei presupposti –ulteriori rispetto alla mera illegittimità del provvedimento eliminato– cui la legge subordina l’esercizio del potere di autotutela.
16.1 Occorre ricordare anzitutto che, in base all’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990, l’annullamento del provvedimento amministrativo richiede, oltre all’illegittimità dell’atto, anche la sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione. Tale interesse deve, poi, trovare adeguata evidenziazione, mediante un’idonea motivazione, che dia conto della ponderazione degli interessi in gioco, inclusi quelli dei destinatari dell’atto e dei controinteressati, anche alla luce del tempo trascorso dall’adozione del provvedimento; l’annullamento deve, inoltre, intervenire entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 27.04.2015, n. 2123, ove si evidenzia che la potestà di autotutela deve “(...) considerare la legittimità del provvedimento che ne è oggetto in base al principio “tempus regit actum” e –una volta accertata l’effettiva sussistenza di vizi, rapportabili all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a valutare discrezionalmente la sussistenza degli ulteriori presupposti per intervenire, previo bilanciamento degli interessi sia pubblici che privati”).
Nel caso oggetto del presente giudizio, deve ritenersi che –contrariamente a quanto allegato dalla ricorrente– il provvedimento di autotutela non sia stato diretto a ripristinare meramente la legalità violata, ma abbia svolto una valutazione in concreto, ponderando l’interesse pubblico alla luce del contrapposto interesse del privato, e pervenendo alla determinazione conclusiva entro un termine ragionevole in rapporto alle circostanze.
16.2 Dalla motivazione dell’atto emerge, anzitutto, che le ragioni di interesse pubblico ritenute prevalenti dal Comune attengono all’impatto dell’opera sul contesto urbano. A questo proposito, l’Amministrazione ha acquisito un rapporto della Polizia locale, diffusamente richiamato nella determinazione di autotutela, ove sono state illustrate le ritenute criticità derivanti dalla realizzazione del nuovo luogo di culto.
Più in dettaglio, l’Amministrazione ha evidenziato le ricadute dell’opera sulla situazione viabilistica dell’area e sul fabbisogno di parcheggi, nei termini già sopra riportati.
La ricorrente ha diffusamente contestato le ragioni addotte dall’Amministrazione. Tali contestazioni, tuttavia, non colgono nel segno.
Non sono rilevanti, anzitutto, le deduzioni che l’Associazione svolge assumendo che la dotazione di parcheggi sia adeguata rispetto alla destinazione “servizi alla persona”. Come detto, infatti, il complesso è stato adibito ad “attrezzature religiose”, ossia a una destinazione distinta e non sovrapponibile a quella di “servizi alla persona”, in virtù di una precisa scelta del legislatore regionale.
Neppure colgono nel segno le ulteriori affermazioni della parte, la quale sostiene, producendo anche alcune immagini fotografiche, che nel contesto urbano vi sarebbe addirittura un esubero di parcheggi, e che quanto esposto nel provvedimento non troverebbe riscontro nello stato effettivo dei luoghi. Si tratta, infatti, di mere allegazioni, prive di riscontri probatori adeguati, come tali inidonee a scalfire l’attendibilità della valutazione tecnica svolta dalla Polizia locale in ordine alla situazione viabilistica dell’area.
16.3 Nel provvedimento impugnato il Comune ha, inoltre, affermato che la mancata previa approvazione del Piano delle attrezzature religiose comporta che il permesso di costruire sia stato rilasciato “in assenza di un iter procedurale atto a garantire la trasparenza degli atti assunti attraverso i meccanismi di partecipazione e consultazione della cittadinanza”.
In proposito, la ricorrente allega che tale affermazione sarebbe un fuor d’opera, tenuto conto del fatto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 63 del 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 72 della legge regionale n. 12 del 2005, nella parte in cui  al primo periodo del comma 4– prevedeva che nel corso del procedimento di formazione del Piano delle attrezzature religiose venissero acquisiti “i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica, fatta salva l’autonomia degli organi statali”.
Occorre osservare, tuttavia, che l’eliminazione di tale periodo non toglie che il Piano delle attrezzature religiose sia un “atto separato facente parte del piano dei servizi” (ai sensi dell’articolo 72, comma 1, della legge regionale n. 12 del 2005) e che tale atto sia, conseguentemente, “sottoposto alla medesima procedura di approvazione dei piani componenti il PGT” (articolo 72, comma 3). Deve, perciò, concordarsi con la difesa comunale, la quale ha evidenziato che, con la frase sopra riportata, l’Amministrazione ha inteso fare riferimento unicamente al mancato svolgimento dell’iter di formazione degli atti facenti parte del Piano di Governo del Territorio.
In questa prospettiva, il Comune ha ritenuto di riscontrare un’ulteriore ragione a sostegno dell’annullamento del titolo edilizio nella circostanza che, mancando il Piano, non sarebbero state assicurate la trasparenza delle scelte operate dall’Amministrazione e la partecipazione della collettività, garantite dal procedimento di formazione dello strumento urbanistico.
16.4 L’Associazione sottolinea, poi, che il Comune, annullando in autotutela il permesso di costruire, avrebbe contraddetto il proprio precedente operato, tenuto conto della circostanza che il titolo edilizio era stato chiesto e ottenuto solo dopo che la stessa Amministrazione aveva emesso un parere preventivo favorevole.
Inoltre, nell’esercizio dell’autotutela non si sarebbe tenuto conto adeguatamente dell’affidamento ingenerato nella ricorrente dal comportamento del Comune.
16.4.1 Deve tuttavia osservarsi che, in ogni ipotesi nella quale un’amministrazione annulla in autotutela un proprio atto, essa necessariamente “contraddice” il proprio precedente operato, rimuovendone gli esiti. Ciò, tuttavia, non toglie che l’autotutela sia un istituto espressamente contemplato dalla legge, il quale trova il proprio fondamento nel principio di inesauribilità del potere amministrativo (salvi i limiti temporali introdotti dal legislatore).
Né potrebbe ritenersi che, nel caso oggetto del presente giudizio, un profilo specifico di contraddittorietà dell’agire amministrativo sia ravvisabile nella precedente emissione di un parere preventivo favorevole.
Deve premettersi che i titoli edilizi sono rilasciati in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, senza alcun margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione. Conseguentemente, la circostanza che –eventualmente in modo errato– il Comune renda un parere favorevole alla successiva emissione del permesso di costruire non può in ogni caso vincolare l’Ente, in contrasto con la legge, a considerare quel titolo legittimo.
Occorre poi tenere presente che il parere preventivo aveva una valenza necessariamente limitata al permanere della situazione di fatto e di diritto presa in esame dall’Amministrazione. E, sotto questo profilo, rileva la circostanza che tale parere risale al 22.03.2013, e quindi è stato emesso sulla base del contesto normativo precedente l’entrata in vigore della legge regionale n. 2 del 2015. Inoltre, il permesso di costruire risulta essere stato richiesto molto tempo dopo rispetto al parere, atteso che la relativa istanza risale soltanto all’agosto del 2015.
Per tutte queste ragioni, non può ipotizzarsi un profilo di contraddittorietà nell’operato del Comune, tale da far emergere l’illegittimità della determinazione di autotutela.
16.4.2 D’altro canto, il provvedimento impugnato risulta aver preso specificamente in considerazione la posizione dell’Associazione. Il Comune ha, tuttavia, ritenuto motivatamente –per le ragioni sopra riportate– che l’interesse della parte privata fosse recessivo rispetto all’interesse pubblico in concreto all’eliminazione del titolo illegittimo. L’Amministrazione ha valorizzato, tra l’altro, il fatto che, poco dopo l’avvio, i lavori siano stati spontaneamente sospesi dalla stessa Associazione.
Anche sotto questo profilo, il provvedimento risulta sorretto da una motivazione sufficiente, e come tale insindacabile nel merito dal giudice amministrativo.
16.5 Infine, il provvedimento di autotutela è da ritenere tempestivamente assunto, in rapporto alle circostanze di fatto.
Come detto, il titolo edilizio è stato rilasciato il 15.01.2016, mentre la determinazione di annullamento è stata adottata il 13.03.2017. Conseguentemente, emerge anzitutto il rispetto del termine massimo di diciotto mesi prescritto dall’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
L’annullamento risulta inoltre intervenuto in un tempo non irragionevole, in rapporto alle circostanze, tenuto conto del fatto che:
   - i lavori erano stati avviati soltanto nel luglio del 2016 e poi sospesi spontaneamente già nel mese di ottobre;
   - dallo stesso mese di ottobre il Comune aveva rappresentato all’Associazione i profili di illegittimità del permesso di costruire, avviando un confronto con la parte in ordine alle sorti del titolo edilizio.
Non può, invece, accedersi alla tesi della ricorrente, secondo la quale la ragionevolezza del termine per l’esercizio dell’autotutela andrebbe valutata tenendo conto del decorso di oltre diciotto mesi dal rilascio del parere preventivo del Comune.
La legge collega, infatti, il predetto termine massimo solo all’adozione del provvedimento, e non alle pregresse vicende amministrative. Tali vicende non possono perciò rilevare neppure ai fini della valutazione della ragionevolezza del tempo intercorso prima di assumere la determinazione di annullamento. Peraltro, come già ricordato, il parere preventivo risale al 22.03.2013, e quindi è stato emesso molto tempo prima rispetto all’istanza stessa di rilascio del permesso di costruire, oltre che sulla base del contesto normativo allora vigente.
Ne consegue il rigetto anche di questa censura.
16.6 In definitiva, tutti i motivi fin qui congiuntamente scrutinati vanno respinti
(TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 03.08.2018 n. 1939 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2018

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento in autotutela del titolo edilizio sorretto da valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di ordine tecnico-edilizio, non abbisogna del previo parere della Commissione Edilizia.
Inoltre, quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela.
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Venendo in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire il previo parere della Commissione Edilizia (per tutte, cfr. Tar Milano, II, n. 4493/2009).
Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza (sul punto cfr. Tar Milano, II, n. 841/2013), quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela (CGARS, sentenza 25.07.2018 n. 448 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2018

EDILIZIA PRIVATA -URBANISTICA: La giurisprudenza ha già chiarito che, nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi:
   a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale;
   b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
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Nella fattispecie non si rinviene tra il piano di recupero dell’immobile ed il successivo permesso di costruire un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimo non è meramente applicativo del primo, ma costituisce autonomo esercizio del potere attribuito all’amministrazione.
Tale permesso, inoltre, non è meramente confermativo di atti precedenti ed è stato rilasciato in accoglimento di un’autonoma istanza ed all’esito di un proprio iter istruttorio, tanto che l’amministrazione ha acquisito anche il parere della Commissione Edilizia espresso nella seduta del 21.07.2003.
Di talché, l’eventuale caducazione della delibera di Consiglio Comunale n. 64 del 2003, con cui è stato approvato il piano di recupero dell’immobile, non provocherebbe il travolgimento del permesso di costruire n. 175 del 2003 che avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma azione impugnatoria.
In definitiva, essendo inoppugnabile il detto permesso di costruire, l’appellante non potrebbe comunque conseguire il bene della vita al quale aspira, per cui il ricorso di primo grado è stato correttamente dichiarato improcedibile.
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2.2.2. In relazione alla statuizione di improcedibilità, il Collegio rileva che l’intervenuto permesso di costruire n. 175 del 25.11.2003, non impugnato ed inoppugnabile, assentendo anche l’installazione dell’ascensore, ha disciplinato il rapporto controverso facendo venire meno ogni interesse per le sorti della d.i.a. n. 1282 del 14.08.2003.
Il Comune di Asti, nella propria memoria, ha posto in rilievo che il permesso di costruire n. 175 del 20.11.2003 rilasciato alla In.Im. Srl, mai impugnato dal signor Ga., dà titolo alla Società controinteressata di realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia del fabbricato di Corso Alfieri 264 con trasporto di cubatura, ed in particolare dà titolo ad installare l’ascensore di cui alla d.i.a. 1282 del 04.08.2003. In questo senso, ha aggiunto il Comune di Asti, la relazione tecnica del progettista ing. Ma.Go., a cui si riferisce il permesso di costruire n. 175 del 20.11.2003, al suo quarto punto elenca tra le “opere in oggetto” la “installazione di ascensore oleodinamico per consentire l’eliminazione delle barriere architettoniche”.
Il Collegio rileva che il Comune di Asti, con provvedimento n. 175 del 20.11.2003, ha rilasciato ad In.Im. Srl il permesso di costruire per eseguire l’intervento di ristrutturazione edilizia di fabbricato di civile abitazione con trasporto di cubatura facente parte del piano di recupero approvato dal Consiglio Comunale n. 64 del 16.07.2003.
Tra gli atti depositati in primo grado dal Comune (doc. n. 16), vi è la relazione tecnica dell’ing. Ma.Go., peraltro priva di data, in cui il professionista, a seguito dell’incarico professionale affidatogli dalla Società “In.Im.” srl con sede in ... n. 264, ha precisato in cosa consistono le relative opere, specificando al quarto periodo “installazione di ascensore oleodinamico per consentire l’eliminazione delle barriere architettoniche all’interno di un’intelaiatura metallica tamponata con lastre di cristallo antisfondamento tipo ‘stopsol’ non trasparenti e non riflettenti”.
Di talché, l’installazione dell’ascensore costituisce oggetto del permesso di costruire n. 175 del 20.11.2003, ormai inoppugnabile, e, di conseguenza, l’eventuale accoglimento delle azioni di annullamento proposte con l’atto introduttivo del giudizio e con motivi aggiunti non potrebbe produrre alcuna utilità per l’appellante.
2.2.3. Né su tale conclusione può incidere quanto dedotto dal signor Ga. circa il fatto che, sebbene non indicata nell’epigrafe, la deliberazione del Consiglio Comunale n. 64 del 16.07.2003, con cui era stato approvato il piano di recupero dell’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi in discorso, è stata impugnata in primo grado con i motivi aggiunti.
L’eventuale annullamento di tale atto, infatti, non avrebbe comunque efficacia caducante del permesso di costruire n. 175 del 2003, con cui è stata assentita, tra l’altro, l’installazione dell’ascensore.
In proposito, la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, IV, n. 1247 del 2018; sez., IV, n. 4404 del 2015; Cass. civ., sez. un., n. 7702 del 2016) ha già chiarito che, nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi:
   a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale;
   b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
Nella fattispecie non si rinviene tra il piano di recupero dell’immobile ed il successivo permesso di costruire un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimo non è meramente applicativo del primo, ma costituisce autonomo esercizio del potere attribuito all’amministrazione.
Tale permesso, inoltre, non è meramente confermativo di atti precedenti ed è stato rilasciato in accoglimento di un’autonoma istanza ed all’esito di un proprio iter istruttorio, tanto che l’amministrazione ha acquisito anche il parere della Commissione Edilizia espresso nella seduta del 21.07.2003.
Di talché, l’eventuale caducazione della delibera di Consiglio Comunale n. 64 del 2003, con cui è stato approvato il piano di recupero dell’immobile, non provocherebbe il travolgimento del permesso di costruire n. 175 del 2003 che avrebbe dovuto essere oggetto di autonoma azione impugnatoria.
In definitiva, essendo inoppugnabile il detto permesso di costruire, l’appellante non potrebbe comunque conseguire il bene della vita al quale aspira, per cui il ricorso di primo grado è stato correttamente dichiarato improcedibile.
2.2.4. La statuizione di improcedibilità non trova ostacoli neppure nella norma sancita dall’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., non essendo stata proposta la relativa domanda di accertamento o comunque una pertinente istanza che manifesti l’interesse della parte per un tale tipo di pronuncia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 2637 del 2016; Adunanza Plenaria, n. 4 del 2015; Cons. Stato Sez. IV, n. 6703 del 2012 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), cod. proc. amm.) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 18.05.2018 n. 3001 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza esclude che il mero rapporto di presupposizione tra due atti determini invalidità caducante dell’atto presupponente in ipotesi di annullamento di quello presupposto, avendo l’invalidità caducante una portata estremamente circoscritta.
Si è, pertanto, affermato che, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, ammettendosi per la prima che l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato tempestivamente impugnato; quanto alla concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, è pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore , senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla precedente vicenda contenziosa.

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In ogni caso, fermo restando che le ragioni sopra esposte valgono di per sé ad escludere la fondatezza dei motivi di appello sollevati dalla società Ac.Ch., deve, conformemente a quanto statuito dalla decisione del Tribunale Amministrativo, escludersi che i titoli successivi si configurino quali atti meramente consequenziali rispetto a quelli oggetto di annullamento da parte della sentenza n. 1363/2013 e, dunque, affetti da invalidità caducante (sempre, però, in caso di annullamento dell’atto presupposto).
Valgano al riguardo le considerazioni in proposito esplicitate nell’esame dell’appello n. 6091/2013, alle quali va fatto integralmente rinvio.
Va in primo luogo evidenziato che la giurisprudenza esclude che il mero rapporto di presupposizione tra due atti determini invalidità caducante dell’atto presupponente in ipotesi di annullamento di quello presupposto, avendo l’invalidità caducante una portata estremamente circoscritta.
Si è, pertanto, affermato che, in presenza di vizi accertati dell’atto presupposto, deve distinguersi tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, ammettendosi per la prima che l’annullamento dell’atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest’ultimo non sia stato tempestivamente impugnato; quanto alla concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, è pacifico che si debba valutare l’intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento dell’effetto caducante solo ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l’atto successivo si ponga, nell’ambito della medesima sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore , senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi, estranei alla precedente vicenda contenziosa (cfr. Cons. Stato, VI, 13.10.2015, n. 4695; sez. V, 25.11.2010, n. 8243).
Orbene, si è sopra visto, che i titoli abilitativi demaniali, rilasciati successivamente a quello originario, configurano atti nuovi rispetto al primo, adottati all’esito di separati ed autonomi procedimenti nei quali vi è stata una rinnovata valutazione dei presupposti per la loro emanazione.
Si è, invero, dato conto della circostanza che vi siano stati nuovi procedimenti nonché nuova attività istruttoria e valutazione dei presupposti legittimanti il rilascio dei titoli.
E’ stata, poi, rilevata anche la modificazione soggettiva rispetto alla concessione originaria con il coinvolgimento di nuovi soggetti, la maggiore durata conferita al rapporto concessorio, l’ampliamento della superficie dell’area concessa, nonché l’irrilevanza, ai fini della esclusione della “novità” dei provvedimenti, del diritto di insistenza.
Quanto ai titoli edilizi, si è più sopra sottolineato come il permesso di costruire n. 120 del 2012 abbia, nella legittimazione urbanistico-edilizia dello stabilimento, integralmente sostituito quello originario, con la conseguenza che, anche per tale tipologia di atti, non possa parlarsi di invalidità ad effetto caducante; più in generale, poi, il rilascio dei successivi titoli edilizi è avvenuto all’esito di autonomi e diversi procedimenti rispetto a quello da cui è originato il permesso di costruire originario.
L’invocato carattere antecedente della concessione demaniale n. 71/2005 e del permesso di costruire n. 70/2005 vale, pertanto, unicamente ad evidenziare la loro valenza di atti presupposti (carattere di per sé non sufficiente ad integrare invalidità ad effetto caducante), ma, in relazione agli elementi sopra evidenziati, non risulta integrata quella peculiare intensità che configura il rapporto di consequenzialità immediato e diretto, necessario ad integrare tale species di invalidità.
E tanto prescindendo dalla dirimente considerazione che la caducazione automatica degli atti successivi richiede comunque l’annullamento giurisdizionale dell’atto presupposto, che nella vicenda in esame, in relazione agli esiti dell’appello, non vi è stato (risultando comunque, ove configurabile un autonomo annullamento amministrativo illegittimo per mancata valutazione ed esternazione degli elementi richiesti dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 04.05.2018 n. 2651 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2018

EDILIZIA PRIVATA: Il certificato di agibilità non assume una capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo edilizio, il cui annullamento all’esito dell’impugnazione giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con effetto caducante, stante la relazione di stretta consequenzialità.
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La Società ricorrente censura il provvedimento comunale 18/03/2015, di rilascio del permesso di costruire in sanatoria per la realizzazione del sopralzo di un sottotetto e di un balcone.
0. Si premette che, come ha messo in evidenza la parte ricorrente, il certificato di agibilità non assume una capacità sanante dei vizi che affliggono un titolo edilizio, il cui annullamento all’esito dell’impugnazione giurisdizionale si ripercuote inevitabilmente sul primo, con effetto caducante, stante la relazione di stretta consequenzialità (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia – 22/04/2015 n. 188, confermata da Consiglio di Stato, sez. VI – 09/08/2016 n. 3559).
Pertanto, non ha alcun rilievo l’omessa tempestiva proposizione di un ricorso avverso il certificato suddetto (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 26.03.2018 n. 341 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2018

EDILIZIA PRIVATA: Questo Consiglio ha a più riprese chiarito che nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi:
   a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale;
   b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
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 Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di costruire impugnato ed i successivi provvedimenti e cioè:
  a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38, d.P.R. 380/2001, in relazione alla porzione abitativa dell’immobile;
   b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del certificato di agibilità del 06.06.2010;
   c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del certificato di agibilità del 07.07.2011;
   d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n. 18/2012, in forza del quale è stato autorizzato l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di porzione rustica del fabbricato in questione,
un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimi non eseguono il provvedimento oggi impugnato, ma costituiscono autonomo esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di costruire non farebbe venire meno i plurimi titoli autorizzatori sui quali fonda la costruzione avversata dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo non potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla demolizione dell’immobile in questione con conseguente riduzione in pristino.
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7. L’odierno appello è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
8. Preliminarmente, è necessario chiarire la portata della sentenza n. 780/2006 di questo Consiglio, che -nel confermare la sentenza del TAR per il Veneto di annullamento del permesso di costruire n. 3/2005, rilasciato dall’amministrazione appellata a favore dell’originario controinteressato– ha respinto l’appello principale di quest’ultimo.
8.1. Nella specie il Consiglio:
   a) conveniva con le conclusioni raggiunte dal primo giudice in relazione al fatto che la superficie relativa alla sottozona E3, ricompresa nel fondo rustico dell’odierno appellato, su cui insisteva l’intervento, fosse inferiore ai minimi prescritti dalla disciplina regionale;
   b) rilevava come l’annullamento del permesso di costruire n. 3/2005, non potesse non travolgere l’intero provvedimento, stante la sua inscindibilità formale e la unitarietà strutturale e funzionale dell’intervento edilizio;
   c) aggiungeva, però, che restava: “…salva la potestà del Comune di valutare, in diverso contesto procedimentale, l'ammissibilità di interventi edificatori concernenti esclusivamente annessi rustici per attività aziendale”.
8.2. Tanto evidenziato, ritiene il Collegio che la pronuncia in questione non abbia concluso per la obbligatorietà della demolizione di tutto quanto edificato dall’odierno appellato.
La sopra riportata precisazione contenuta nel giudicato, infatti, ha legittimato l’amministrazione comunale ad adottare ulteriori provvedimenti salvaguardando gli annessi rustici.
Dall’esame degli eventi e delle iniziative procedimentali successivi al giudicato, risulta che all’indomani dell’adozione del permesso di costruire n. 39/2006, avente ad oggetto “la costruzione di un fabbricato ad uso annessi rustici in Z.T.O. E3, ai sensi dell’art. 6 della L.R. 24/1985”, quivi impugnato, l’amministrazione comunale ha emanato:
   a) in data 26.09.2009 un provvedimento sanzionatorio ex art. 38, d.P.R. 380/2001, in relazione alla porzione abitativa dell’immobile;
   b) in data 17.11.2009 un permesso di costruire avente ad oggetto l’annesso rustico ed il suo ampliamento con rilascio del certificato di agibilità del 06.06.2010;
   c) in data 26.12.2010 è stato rilasciato permesso di costruire con il quale è stato autorizzato l’ampliamento della superficie con destinazione agricolo-produttiva, utilizzando porzioni in precedenza previste ad uso residenziale, con rilascio del certificato di agibilità del 07.07.2011;
   d) in data 24.05.2012 è stato rilasciato permesso di costruire n. 18/2012, in forza del quale è stato autorizzato l’ampliamento della casa di abitazione con utilizzo di porzione rustica del fabbricato in questione.
In particolare, dall’esame di quest’ultimo titolo edilizio -che ha ad oggetto “ampliamento di casa di abitazione in zona agricola mediante utilizzo di porzione rustica di fabbricato esistente”- emerge che lo stesso è stato adottato anche in forza delle ll.rr. Veneto n. 14/2009 e 13/2011, ossia in forza di una disciplina che modifica sensibilmente la materia de qua e che spezza del tutto ogni possibile collegamento tra l’esercizio del potere edilizio cristallizzatosi con il provvedimento impugnato in prime cure con quello esercitato successivamente dall’amministrazione e culminato con il citato permesso n. 18/2012.
8.3. A questo punto occorre chiarire che l’eventuale annullamento del permesso di costruire n. 39/2006, non avrebbe portata caducante rispetto ai successivi provvedimenti autorizzatori rilasciati dall’amministrazione comunale.
Questo Consiglio (cfr. ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 21.09.2015, n. 4404) ha a più riprese chiarito che nell’ambito del procedimento amministrativo, occorre distinguere tra invalidità ad effetto caducante e invalidità ad effetto viziante; per la prima forma di vizio, di natura più dirompente, occorrono due elementi precisi:
   a) il primo dato dall’appartenenza, sia dell’atto annullato direttamente come di quello caducato per conseguenza, alla medesima serie procedimentale;
   b) il secondo individuato nel rapporto di necessaria derivazione del secondo dal primo, come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, con particolare riguardo al coinvolgimento di soggetti terzi.
Pertanto, qualora almeno uno dei due detti presupposti sia inesistente, è inapplicabile lo schema concettuale della caducazione e debbono ritenersi utilizzabili unicamente le usuali impugnative tipiche del diritto amministrativo.
8.4. Nella fattispecie non si rinviene tra il permesso di costruire impugnato ed i successivi provvedimenti sopra elencati un rapporto di consequenzialità necessaria, in quanto quest’ultimi non eseguono il provvedimento oggi impugnato, ma costituiscono autonomo esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione.
Tali permessi, inoltre, non sono meramente confermativi dei precedenti e sono stati rilasciati in accoglimento di altrettanto autonome istanze, ed all’esito di un originale percorso istruttorio fondato su diverse basi normative.
Da ciò deriva che l’eventuale caducazione del permesso di costruire n. 39/2006, non farebbe venire meno i plurimi titoli autorizzatori sui quali fonda la costruzione avversata dall’odierno appellante. Conseguentemente, quest’ultimo non potrebbe ottenere il soddisfacimento del bene della vita sotteso al suo interesse legittimo e rappresentato dalla demolizione dell’immobile in questione con conseguente riduzione in pristino (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 2637 del 2016).
8.5. La statuizione di improcedibilità non trova ostacoli neppure nella norma sancita dall’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., non essendo stata proposta la relativa domanda di accertamento o comunque una pertinente istanza che manifesti l’interesse della parte per un tale tipo di pronuncia (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 15.06.2016, n. 2637; Ad. plen., n. 4 del 2015; Sez. IV, 28.12.2012, n. 6703, 07.11.2012, n. 5674 cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), cod. proc. amm.).
9. L’odierno appello deve, quindi, essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.02.2018 n. 1247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

giugno 2017

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIl potere di autotutela è un potere discrezionale attribuito alle amministrazioni, che presuppone sia l'illegittimità dell'atto amministrativo annullando, sia la sussistenza di ragioni di interesse pubblico all'annullamento, entro un termine ragionevole.
La norma di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990 prevede, dunque, che al fine di procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo la P.A. necessita di un triplice ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo; che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino l'annullamento e che il tutto avvenga entro un termine ragionevole.
Nell’adozione dell’atto, inoltre, occorre tener conto degli interessi del destinatario; l’Amministrazione è infatti chiamata a svolgere un bilanciamento tra gli opposti interessi prima di decretare l’annullamento di un atto in autotutela. Di tutti questi elementi è necessario dare conto in motivazione.
In particolare, con riguardo all’annullamento di titoli edilizi, i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d'ufficio di un titolo edilizio devono rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'articolo 21-nonies della l. 07.08.1990, n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati.
I presupposti dell'esercizio dell’autotutela dei titoli edilizi sono quindi costituiti dall'illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla loro rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
E’ noto che l'esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati presupposti.
L'ambito della motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali), che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati; nonché dell'eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi).
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Per quanto riguarda poi la disciplina dell’annullamento di ufficio anche questa risulta illegittimamente applicata dal Comune.
L’art. 21-nonies della legge 241/1990, nella formulazione ratione temporis applicabile, dispone infatti che “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il potere di autotutela è un potere discrezionale attribuito alle amministrazioni, che presuppone sia l'illegittimità dell'atto amministrativo annullando, sia la sussistenza di ragioni di interesse pubblico all'annullamento, entro un termine ragionevole (Cons. Stato Sez. IV, 05.05.2016, n. 1808).
La norma di cui all'art. 21-nonies L. n. 241/1990 prevede dunque che al fine di procedere all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo la P.A. necessita di un triplice ordine di presupposti: che l'atto sia illegittimo; che sussistano ragioni di interesse pubblico che ne giustifichino l'annullamento e che il tutto avvenga entro un termine ragionevole. Nell’adozione dell’atto, inoltre, occorre tener conto degli interessi del destinatario; l’Amministrazione è infatti chiamata a svolgere un bilanciamento tra gli opposti interessi prima di decretare l’annullamento di un atto in autotutela. Di tutti questi elementi è necessario dare conto in motivazione (Cons. Stato Sez. III, 10.05.2017, n. 2169).
In particolare, con riguardo all’annullamento di titoli edilizi, i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d'ufficio di un titolo edilizio devono rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'articolo 21-nonies della l. 07.08.1990, n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati (Consiglio di Stato, sez. VI, 29/01/2016, n. 351).
I presupposti dell'esercizio dell’autotutela dei titoli edilizi sono quindi costituiti dall'illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla loro rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. E’ noto che l'esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati presupposti. L'ambito della motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali), che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati; nonché dell'eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi) (TAR Napoli, sez. VIII, 04/11/2015, n. 5117, sez, VI n. 3552/2016).
Nella fattispecie all’esame di questo giudice non emerge che l’Amministrazione abbia posto a fondamento della sua scelta alcuna argomentazione in merito all’interesse pubblico che si intende tutelare e alcuna ponderazione degli interessi coinvolti se non quella, peraltro errata, della non intervenuta decorrenza del termine assegnato alla Soprintendenza per pronunciarsi sulla autorizzazione paesaggistica n. 46 del 31/12/2009 rilasciata dal Comune e inoltrata all’Ente statale il 04.01.2010.
L’illegittimità dell’operato dell’amministrazione locale emerge ancor di più se si tiene conto che l’Amministrazione ha deciso di agire in autotutela dopo circa 3 anni dal rilascio del titolo, termine troppo lungo che imponeva una particolare istruttoria sia in merito all’affidamento ingenerato nei ricorrenti per il decorso del tempo che con riguardo alle ragioni di pubblico interesse.
Oltre al provvedimento assunto in autotutela n. 16014/2014, conseguentemente deve essere annullata anche l’ordinanza di demolizione n. 128/2014 assunta sulla base proprio del disposto annullamento in autotutela.
L’art. 27, comma 2, del d.P.R. 380/2001, richiamato nella detta ordinanza di demolizione prevede che “Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, ……nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi…..”. Tale norma non può ritenersi applicabile alla presente fattispecie in quanto le opere contestate non risultano realizzate abusivamente, ma in forza del permesso di costruire n. 23/2011.
Conclusivamente il ricorso va accolto con il conseguente assorbimento delle ulteriori censure formulate e per l’effetto vanno annullati gli atti impugnati (TAR Campania-Napoli, Sez. VI, sentenza 21.06.2017 n. 3378 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAl fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato.
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Il
nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false.
L'’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
In base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”.
In materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale.
Anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 .
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In materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio).
Tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
In effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
IL comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato.
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L
addove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato).
In argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”.
Sicché, la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio).

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S
econdo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza.
Ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso.
In tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio.

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Evidenziato:
- che il ricorrente riferisce di essere proprietario di un appartamento ubicato nel Comune di Castiglione delle Stiviere in Via ... n. 9, catastalmente identificato al foglio 16, mappale n. 220, sub. 7, 11 e 17, e confinante con l’immobile di proprietà dei Sigg.ri Bo., a sua volta identificato in catasto al foglio 16, mappale n. 220, sub. 5, 8 e 13;
- che, a seguito dell’istanza depositata da uno dei controinteressati per realizzare un sopralzo della copertura in legno dell’appartamento (in modo da creare una soffitta non abitabile), il Comune rilasciava nel 2011 il permesso di costruire n. 603, e nel 2015 il titolo abilitativo in sanatoria n. 940, ritualmente impugnato dal ricorrente con gravame r.g. 1233/2016, ad oggi pendente innanzi a questo TAR;
- che il controinteressato, in sede di richiesta del titolo edilizio, ha affermato di essere proprietario dell’edificio identificato –al NCEU del Comune di Castiglione– al foglio 16, mappali 220 e 206 (cfr. dichiarazione sostitutiva del 04/04/2011 - doc. 1), quando, nell’anno 2010, il medesimo aveva alienato all’odierno ricorrente l’appartamento identificato al mappale 220, sub 7, 17 e 11 (cfr. doc. 2);
- che risulterebbe evidente la non rispondenza al vero della dichiarazione rilasciata dal controinteressato al Comune di Castiglione delle Stiviere;
- che la circostanza avrebbe tratto in errore l’amministrazione intimata, la quale ha emesso un titolo abilitativo in relazione ad un edificio di cui il richiedente non aveva la piena disponibilità;
- che, in base all’attestazione non veritiera del Sig. Gi.Bo., il Comune avrebbe indebitamente emanato un permesso di costruire, atteso che gli artt. 10 e 17 delle NTA del Piano delle regole del PGT vigente prevedono, per gli immobili ricadenti in zona B3 (“Ambito residenziale consolidato di salvaguardia ambientale”) il rispetto, per qualsiasi edificazione o ampliamento di fabbricati esistenti, della distanza di 5 metri dai confini e il divieto di recupero a fini abitativi dei sottotetti;
- che la dichiarazione infedele, nell’ambito della disciplina dettata dal D.P.R. 445/2000, precluderebbe al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata, e provocherebbe la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio;
- che, alla luce della situazione sottostante, sussisterebbe in capo al Comune intimato l’obbligo di provvedere sull’istanza presentata dal ricorrente in data 02/11/2016, con la conseguente illegittimità del silenzio serbato;
- che, in aggiunta, trattandosi di attività vincolata, sussisterebbe anche il dovere per l’amministrazione di adottare il provvedimento di decadenza e/o annullamento in autotutela del permesso di costruire, rilasciato al controinteressato sulla base di una dichiarazione falsa;
- che, pertanto, essendo l’amministrazione comunale rimasta inerte, con l’introdotto ricorso l’esponente chiede che sia dichiarato l’obbligo di provvedere ai sensi dell’art. 31, comma 1, del Cpa, nonché l’accertamento della fondatezza della pretesa avanzata ai sensi dell’art. 31 comma 3 e 34, comma 1, lett. c) Cpa, con la conseguente condanna ad adottare il provvedimento richiesto;
- che, in subordine, il Sig. Pi. insiste affinché sia acclarato comunque il dovere del Comune di assumere un atto formale a riscontro dell’istanza del privato;
- che, in ogni caso, chiede di nominare, in caso di perdurante inerzia dell’amministrazione, un Commissario ad acta che provveda in via sostitutiva;
Considerato:
- che, ad avviso del controinteressato costituito, il ricorrente non contesta la proprietà dell’immobile inciso dall’intervento di sopralzo, ma solo il fatto che quest’ultimo sia stato realizzato in violazione delle disposizioni comunali in tema di distanze/distacchi;
- che detta questione sarebbe del tutto estranea al contenuto della dichiarazione del 2011 invocata dall’esponente, mentre risulterebbe del tutto veritiera per poter compiere l’intervento, dando conto della legittimazione richiesta;
- che il controinteressato sarebbe ancor oggi proprietario dell’edificio rispetto al quale è stato realizzato il sopralzo, essendosi privato di una sola porzione dell’immobile, ossia dei mappali sub 6 (appartamento) e 10 (autorimessa), oggetto della compravendita;
- che il ricorrente, al fine di ottenere il titolo edilizio, avrebbe affermato al Comune la sua posizione di proprietario dell’immobile ove è stato edificato il sopralzo, a prescindere dalla circostanza che l’intervento potesse violare i diritti dei terzi (problematica da affrontare negli ulteriori giudizi già instaurati);
- che, siccome il controinteressato non ha invaso la proprietà altrui (riguardando le opere esclusivamente il proprio perimetro di proprietà) il Sig. Pi. avrebbe palesemente travisato la dichiarazione resa nel 2011 ai fini del rilascio del permesso di costruire;
- che, in diritto, in presenza di un silenzio-rifiuto sull’istanza di esercizio dei poteri in autotutela, non sarebbe configurabile alcun obbligo giuridico di provvedere espressamente, trattandosi di richiesta avente natura meramente sollecitatoria;
Rilevato, sotto il profilo giuridico:
- che, al fine di ravvisare il silenzio-inadempimento dell'amministrazione, deve essere riscontrato il duplice presupposto dell’omessa conclusione del procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del tipo evocato con l'istanza, e dell’inottemperanza a un preciso obbligo di provvedere sull’istanza del privato (cfr. sentenza di questo TAR, sez. II – 23/03/2016 n. 442);
- che, ad avviso della parte ricorrente, nella fattispecie non si controverte circa la sussistenza o meno in capo al Sig. Bo. della legittimazione a presentare la domanda di permesso di costruire, ma sul fatto che costui, dichiarando falsamente di essere proprietario dell’intero edificio, ha ottenuto un’utilità che, diversamente, non avrebbe conseguito;
- che controparte, infatti, avrebbe attestato e rappresentato di essere proprietaria unica dell’immobile, senza indicare l’avvenuta cessione parziale al ricorrente, né (conseguentemente) i limiti di proprietà dai quali calcolare la distanza dai confini;
- che detto ordine di idee merita condivisione;
- che il nostro ordinamento vede con particolare disfavore l’ottenimento di benefici originato da dichiarazioni false;
- che l’art. 75 del D.P.R. 445/2000, in tema di controllo di veridicità delle dichiarazioni sostitutive, prevede che “Fermo restando quanto previsto dall'articolo 76, qualora dal controllo di cui all'articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”;
- che, secondo l’indirizzo del Consiglio di Stato, sez. V – 15/03/2017 n. 1172 (che richiama sez. V – 03/02/2016 n. 404), in base all'art. 75 predetto “la non veridicità della dichiarazione sostitutiva presentata comporta la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti, senza che tale disposizione (per la cui applicazione si prescinde dalla condizione soggettiva del dichiarante, rispetto alla quale sono irrilevanti il complesso delle giustificazioni addotte) lasci alcun margine di discrezionalità alle Amministrazioni; pertanto la norma in parola non richiede alcuna valutazione circa il dolo o la grave colpa del dichiarante, facendo invece leva sul principio di auto responsabilità”;
- che, in materia di gare d’appalto, le dichiarazioni mendaci non possono essere regolarizzate e, una volta che l’amministrazione abbia conseguito la certezza della non veridicità di quanto dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, senza alcuna possibilità di fare applicazione dell’art. 21-nonies della L. 241/1990, le cui disposizioni riguardano esclusivamente i procedimenti di autotutela aventi natura tipicamente discrezionale (cfr. TAR Lazio Roma, sez. II – 14/11/2016 n. 11286 e la giurisprudenza ivi citata);
- che, anche in materia di benefici ottenuti grazie alla qualificazione di IAFR (impianti alimentati da fonti rinnovabili), la previsione ex lege delle conseguenze della dichiarazione non veritiera in termini di decadenza automatica rende la determinazione del GSE vincolata nei suoi contenuti, con connotazione della stessa in termini di automaticità, per cui risulta evidente la non operatività dell’art. 21-nonies, comma 1, della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, sez. IV – 21/12/2015 n. 5799);
- che, in materia di segnalazione di inizio attività, l’art. 19 della L. 241/1990 statuisce che, decorso il termine di legge per adottare provvedimenti inibitori ovvero di conformazione (60 giorni dal ricevimento della dichiarazione), l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma 3 in presenza delle condizioni previste dall'articolo 21-nonies (riguardante i presupposti per l’annullamento d’ufficio);
- che, secondo TAR Campania Napoli, sez. III – 26/04/2017 n. 2235, tale essendo la disciplina posta dell’art. 19 citato, in tema di liberalizzazione (in senso lato) della attività economiche, dalla disamina congiunta della disciplina racchiusa nei commi 3 e 4, <<si evince agevolmente che l’Amministrazione procedente può vietare (o, comunque, interdire, conformare ovvero chiedere integrazioni documentali), ai sensi del comma 3, in relazione all’attività commerciale comunicata con segnalazione certificata di attività entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione della stessa, mentre, successivamente al decorso di tale termine, ai sensi del successivo comma 4, residua in capo alla predetta Amministrazione, un analogo potere che non può configurarsi quale autotutela in quanto la dichiarazione del privato resta tale anche dopo il termine di sessanta giorni e non si trasforma in provvedimento amministrativo nei confronti del quale sarebbe ipotizzabile un’attività di autotutela; sul punto il potere di intervento successivo della P.A. si sostanzia nell’uso di poteri inibitori soggetti a limiti imposti per legge, per i quali, non a caso, la legge n. 124/1915 ha correttamente eliminato la definizione di “autotutela”, operando un richiamo all’art. 21-nonies, co. 1, L. n. 241/1990>>;
- che, in effetti, la vicenda di cui si discorre non è stata originata da una SCIA, e tuttavia potrebbe rientrare nella casistica delle dichiarazioni mendaci, per la quale il legislatore prevede tassativamente la decadenza dei benefici ritratti dal loro autore;
- che il comma 2-bis all’art. 21-nonies, introdotto dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 2, della L. 124/2015, statuisce che l’amministrazione conserva il potere di intervenire dopo la scadenza del richiamato termine per l’annullamento d’ufficio (18 mesi) proprio nel caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato”, seppur previo accertamento con sentenza passata in giudicato;
Rilevato:
- che, laddove una concessione edilizia sia stata ottenuta in base ad una falsa rappresentazione dello stato effettivo dei luoghi negli elaborati progettuali, al Comune è consentito di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto concessorio senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse (cfr. TAR Campania Napoli, sez. III – 07/11/2016 n. 5141 –che risulta appellata– e la giurisprudenza citata, tra cui la pronuncia di questo TAR 20/11/2002 e TAR Campania Napoli, sez. VI – 12/05/2016 n. 2416, ad avviso del quale in materia di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi, quando l'operato dell'amministrazione sia stato fuorviato dall'erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull'interesse pubblico, che va individuato nell’aspirazione della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, e in questi casi, si è quindi al cospetto di un atto vincolato);
- che, in argomento, si è pronunciato il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 31/08/2016 n. 3735), rilevando che qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez. III – 27/05/2015 n. 825), ha affermato il principio secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”;
- che la falsità dichiarativa impedisce anche la maturazione in capo all’autore di un affidamento meritevole di protezione, e siffatta carenza non può non incidere (in senso favorevole all’amministrazione) anche sulla valutazione della ragionevolezza del termine entro il quale dovesse intervenire il provvedimento di autotutela (riferimento temporale cui parametrare normativamente la tempestività dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio – TAR Campania Salerno, sez. I – 02/03/2017 n. 411);
Tenuto conto:
- che, secondo l’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 241/1990, spetta al responsabile del procedimento valutare “ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione di provvedimento”;
- che la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sez. IV – 05/06/2017 n. 2648 e i precedenti citati) è attestata nel senso che, prima di accordare un permesso di costruire (o una sanatoria edilizia) l’amministrazione debba verificare la situazione di diritto e di fatto, anche se solo nei limiti richiesti dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza;
- che, ai sensi dell’art. 11 del D.P.R. 380/2001 il Comune, nel verificare l’esistenza in capo al richiedente un permesso edilizio di un idoneo titolo di godimento sull’immobile, non deve risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all’assetto proprietario, ma deve accertare soltanto il requisito della legittimazione soggettiva di colui che richiede il permesso;
- che, in tal senso, l’amministrazione è tenuta a svolgere un livello minimo di istruttoria che comprende l’acquisizione di tutti gli elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi propone l’istanza e il bene giuridico oggetto dell’autorizzazione, senza che l’esame del titolo di godimento operato dalla p.a. costituisca un’illegittima intrusione in ambito privatistico, essendo finalizzato soltanto ad assicurare un ordinato svolgimento delle attività sottoposte al controllo autorizzatorio (TAR Lombardia Milano, sez. II – 31/01/2017 n. 235);
- che, nel caso di specie, si denuncia che il Comune ha trascurato di valutare (per la dichiarazione mendace o comunque fuorviante dell’istante) la reale situazione di fatto, ossia che la proprietà del fabbricato non era estesa all’intero mappale 220 ma solo a una frazione di esso, con conseguente omessa verifica delle condizioni correlate (in particolare, il rispetto delle distanze);
- che detta omissione formale ha provocato un grave deficit istruttorio, che ha indotto l’amministrazione a non indagare la sussistenza di determinati presupposti, indispensabili per il rilascio del titolo;
Ritenuto:
- che, alla luce delle considerazioni diffusamente espresse, sussiste l’obbligo del Comune intimato di pronunciarsi tempestivamente sulla domanda del privato ricorrente;
- che, diversamente da quanto richiesto in via principale, non si ritiene di poter adottare il provvedimento in luogo dell’amministrazione competente, in quanto la vicenda merita ulteriori approfondimenti spettanti all’autorità amministrativa e riguardanti:
   a) l’effettività e la rilevanza della “falsità” o comunque il carattere fuorviante della dichiarazione, tenuto conto dell’avvenuta suddivisione del mappale di cui si è dato conto;
   b) l’individuazione delle norme di legge e delle regole della pianificazione urbanistica comunale pertinenti;
   c) le valutazioni sulla sussistenza di una potestà di autotutela e sulla ricorrenza delle condizioni per esercitarla;
- che, alla luce di ciò, sussiste unicamente il presupposto per l’accoglimento della domanda formulata in via subordinata;
- che, in definitiva, deve essere dichiarato l’obbligo del Comune di Castiglione delle Stiviere di provvedere sull’istanza, secondo le seguenti scansioni temporali:
   • entro il 20.06.2017, il Comune dovrà attivare il procedimento di verifica sollecitato dal ricorrente, dando la comunicazione di avvio al medesimo e al soggetto controinteressato;
   • entro il 15.07.2017, il Comune dovrà aver completato l’attività istruttoria;
   • entro il 31.07.2017 dovrà essere emesso l’atto finale (con trasmissione di copia di esso a questo all’interessato e a questo TAR);
- che, in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente, si nomina sin da ora quale Commissario ad acta il dirigente del Settore Sportello dell’Edilizia (Area Pianificazione Urbana e Mobilità) del Comune di Brescia, con facoltà di delega;
- che quest’ultimo (ove il Comune non provveda entro la scadenza indicata del 31.07.2017) dovrà insediarsi tempestivamente, e compiere la propria attività entro e non oltre 60 (sessanta) giorni, per poi relazionare a questo TAR;
- che, in caso di ulteriori ritardi anche del Commissario, questo Tribunale, previa istanza di parte, provvederà ad assumere i provvedimenti necessari e a segnalare l’inerzia alle competenti autorità, anche giurisdizionali, per la valutazione degli eventuali e concorrenti profili di responsabilità;
- che, in conclusione, il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti sopra esposti (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.06.2017 n. 765 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

aprile 2017

EDILIZIA PRIVATAI presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari e non ultima una più puntuale e convincente motivazione allorché la caducazione intervenga ad una notevole distanza di tempo.
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L’infedele prospettazione dello stato dei luoghi incide certamente sull’onere motivazionale dell’Amministrazione relativo alla comparazione tra interesse pubblico e privato e all’affidamento riposto dal richiedente sul mantenimento del manufatto, non potendo l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’Amministrazione procedente, (errore) determinato dallo stesso soggetto richiedente, ma pur sempre a condizione che l’Amministrazione descriva puntualmente l’infedele rappresentazione dei luoghi e motivi adeguatamente in ordine all’incidenza sostanziale della difformità tra quanto dichiarato e quanto esistente in ordine alla legittimità del titolo edilizio.
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7.2 - Il ricorso si palesa, invece, fondato in relazione al contestuale annullamento del pdc in variante.
Ed invero, secondo i principi giurisprudenziali enucleati dal Consiglio di Stato, poi sostanzialmente confluiti nell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 (nel testo ratione temporis applicabile ovvero quello antecedente alle novelle del 2014 e 2015), “i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari e non ultima una più puntuale e convincente motivazione allorché la caducazione intervenga ad una notevole distanza di tempo (cfr. fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, 27/11/2010 n. 8291; Sez. IV, n. 2885 del 2016; Sez. IV, n. 2908 del 2016)” - così, da ultimo, Consiglio di stato, sez. IV, sent. 25/01/2017 n. 293.
Dunque, l’illegittimità originaria del provvedimento (che, in disparte il caso di vizi meramente procedurali, in materia urbanistica si traduce nel contrasto del titolo con gli strumenti urbanistici e la normativa edilizia vigenti) è pur sempre un indefettibile presupposto per l’annullamento in autotutela, che –nel caso di specie– difetta o del quale, comunque, il Comune ha omesso di dare conto nell’atto gravato.
L’infedele prospettazione dello stato dei luoghi, in altri termini, incide certamente sull’onere motivazionale dell’Amministrazione relativo alla comparazione tra interesse pubblico e privato e all’affidamento riposto dal richiedente sul mantenimento del manufatto, non potendo l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’Amministrazione procedente (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 24.12.2008, n. 6554; Consiglio di Stato, V, 08.11.2012, n. 5691; TAR Puglia, Lecce, III, 21.02.2005, n. 686, TAR Campania, Napoli, VIII, 19.05.2015, n. 2791), (errore) determinato dallo stesso soggetto richiedente, ma pur sempre a condizione che l’Amministrazione descriva puntualmente l’infedele rappresentazione dei luoghi e motivi adeguatamente in ordine all’incidenza sostanziale della difformità tra quanto dichiarato e quanto esistente in ordine alla legittimità del titolo edilizio.
Per quanto innanzi detto, l’atto gravato –limitatamente al disposto annullamento del pdc in variante n. 167/2008- va annullato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione (TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 10.04.2017 n. 380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

marzo 2017

EDILIZIA PRIVATALa pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato.
Invero,
trattasi di una piana applicazione del generale principio affermato da tempo per il quale le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A. (nella specie, il Comune) per far valere l'illegittimità dell'attività provvedimentale, sussistendo in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo.
L'eventuale accertamento della legittimità del titolo abilitativo della costruzione da parte del giudice amministrativo non preclude una diversa valutazione dell'illegittimità della condotta del privato nella controversia intentata da altro privato a tutela del diritto di proprietà, sicché la decisione gravata, avendo fatto puntuale applicazione dei suesposti principi non appare meritevole di censura.
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Quanto invece alla dedotta erronea applicazione delle previsioni di legge e regolamentari in materia di distanza, il tenore delle norme di cui allo strumento urbanistico locale non consente sulla base della loro formulazione letterale di ritenere che il loro ambito applicativo sia limitato alle sole costruzioni aventi carattere principale.
Il richiamo alla nozione di edifici di nuova costruzione ovvero di fabbricati, in assenza di una puntuale e specifica disciplina dettata per gli edifici aventi carattere cd. accessorio, come riconosciuto da parte degli stessi ricorrenti, non consente di optare per un'interpretazione che ne limiti l'applicazione ai soli edifici aventi carattere principale, posto che anche i manufatti di più contenute dimensioni, quali quelli per i quali si vorrebbe escludere la valutazione ai fini del rispetto delle distanze, appaiono evidentemente riconducibili alla nozione di costruzione di cui all'art. 873 c.c., trattandosi di manufatti stabilmente infissi al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possono creare quelle intercapedini dannose che la legge, stabilendo la distanza minima tra le costruzioni, intende evitare, rispondendo alla tradizionale nozione di costruzione quale recepita dalla giurisprudenza di questa Corte.
D'altronde,
proprio la carenza di una specifica disciplina impone di ritenere come già affermato in passato che
la nozione di costruzione, agli effetti dell'art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una "distanza maggiore".
Ne discende che,
una volta ricondotti gli edifici accessori al novero delle costruzioni in senso civilistico e nell'accezione propria della disciplina in materia di distanze, le previsioni regolamentari che prevedono un distacco tra costruzioni risultano evidentemente applicabili anche a tali manufatti, e che, anche laddove lo strumento urbanistico locale avesse dettato una disciplina difforme, tale deroga dovrebbe reputarsi illegittima, non rientrando nel potere degli enti locali quello di dettare deroghe alla disciplina codicistica in materia di distanze, eccezione fatta per la previsione sopra richiamata, di porre delle distanze maggiori rispetto a quelle di legge.
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La previsione di un'area di distacco mira essenzialmente ad assicurare il rispetto delle distanze tra fabbricati edificati su fondi finitimi ed appartenenti a diversi proprietari, non potendosi ravvisare l'illegittimità dal punto di vista privatistico, per costruzioni realizzate eventualmente a distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario
(per un riferimento a tale regola si veda Cass. n. 1918/1973, a mente della quale il principio della prevenzione -in base al quale, fra due proprietari di fondi finitimi, colui che costruisce per primo può o edificare sul confine o a distanza dal confine non inferiore a quella legale oppure a distanza inferiore, costringendo il vicino, che costruisce per secondo, a ristabilire la distanza legale edificando dal confine a distanza maggiore della meta di quella prescritta, a meno che non voglia avanzare la propria fabbrica fino all'altrui costruzione, giovandosi dei rimedi offertigli dall'art. 875 cod. civ.- presuppone un rapporto intersoggettivo, opera tra proprietari di fondi finitimi e non è ipotizzabile come attributo della costruzione con caratteri di realità).
D'altronde essendo la proprietà di entrambi i fabbricati, principale ed accessorio, in capo all'attore, i ricorrenti non sono legittimati a dolersi della violazione delle distanze tra le due opere.
Quanto invece alla pretesa violazione della previsione regolamentare che nega la possibilità di costruire nelle zone di distacco, la stessa si riverbera nei soli rapporti con la PA, e determina quindi l'illegittimità dell'opus dal punto di vista amministrativo, ma non incide sulla diversa disciplina in tema di distanze, e sulla possibilità anche per il titolare della costruzione illegittima dal punto di vista amministrativo di pretendere il rispetto delle distanze legali, essendo tale conclusione una piana applicazione del su riferito principio dell'autonomia tra profili pubblicistici dell'attività edificatoria e rapporti interprivatistici.
Ne consegue che
anche laddove una parte del manufatto a carattere accessorio sia collocato nell'area di distacco prevista per il fabbricato principale, la violazione della norma regolamentare legittima se del caso la reazione della PA, ma non esclude che si tratti sempre di costruzione preveniente, rispetto alla quale l'edificio dei ricorrenti doveva porsi a distanza legale.
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2. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione di legge e precisamente la violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e ss. delle NTA del PRG del Comune di Cassino, nonché la violazione e falsa applicazione della voce 17 dell'art. 23 del regolamento edilizio, e la violazione e falsa applicazione dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 e dell'art. 9 del DM n. 1444 del 1968 e dell'art. 873 c.c., nonché l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza.
Si dolgono i ricorrenti che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente la violazione delle distanze tra fabbricati anche in relazione al fabbricato cd. accessorio di parte attrice, sebbene gli artt. 15 e ss. citati stabiliscano il rispetto delle distanze solo per gli edifici a carattere principale.
In assenza di una specifica disciplina contenuta negli strumenti urbanistici locali avrebbe dovuto quindi trovare applicazione la previsione di cui all'art. 9 del menzionato DM che, prevedendo una distanza di metri 10 tra pareti finestrate, avrebbe comportato la legittimità della costruzione dei ricorrenti, in quanto posta a distanza maggiore.
Lo stesso Tar del Lazio nella sentenza pronunziata in merito all'impugnativa della concessione avanzata da parte del Co., aveva manifestato il convincimento circa l'inapplicabilità del regime delle distanze previste dallo strumento urbanistico locale in relazione all'edificio avente carattere accessorio, sicché la Corte d'Appello non avrebbe potuto decidere trascurando la rilevanza di giudicato esterno di tale provvedimento giurisdizionale.
Il motivo è infondato.
Ed, invero, partendo dall'ultima affermazione di parte ricorrente relativa all'efficacia vincolante della pronuncia del giudice amministrativo, e ricordato che si tratta di statuizione emessa in relazione all'impugnativa della concessione edilizia rilasciata in favore dei ricorrenti e concernente il fabbricato oggetto di causa, giova richiamare la giurisprudenza di questa Corte a mente della quale (cfr. Cass. n. 9869/2015)
la pronuncia del giudice amministrativo, investito della domanda di annullamento della licenza, concessione o permesso di costruire (rilasciati con salvezza dei diritti dei terzi), ha ad oggetto il controllo di legittimità dell'esercizio del potere da parte della P.A. ovvero concerne esclusivamente il profilo pubblicistico relativo al rapporto fra il privato e la P.A., sicché non ha efficacia di giudicato nelle controversie tra privati, proprietari di fabbricati vicini, aventi ad oggetto la lesione del diritto di proprietà determinata dalla violazione della normativa in tema di distanze legali, che è posta a tutela non solo di interessi generali ma anche della posizione soggettiva del privato.
Ed, invero,
trattasi di una piana applicazione del generale principio affermato da tempo per il quale (cfr. Cass. S.U. n. 13673/2014) le controversie tra proprietari di fabbricati vicini relative all'osservanza di norme che prescrivono distanze tra le costruzioni o rispetto ai confini appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, senza che rilevi l'avvenuto rilascio del titolo abilitativo all'attività costruttiva, la cui legittimità potrà essere valutata "incidenter tantum" dal giudice ordinario attraverso l'esercizio del potere di disapplicazione del provvedimento amministrativo, salvo che la domanda risarcitoria non sia diretta anche nei confronti della P.A. (nella specie, il Comune) per far valere l'illegittimità dell'attività provvedimentale, sussistendo in questo caso la giurisdizione del giudice amministrativo (in termini ex multis Cass. n. 13170/2001; Cass. S.U. n. 333/1999).
L'eventuale accertamento della legittimità del titolo abilitativo della costruzione da parte del giudice amministrativo non preclude una diversa valutazione dell'illegittimità della condotta del privato nella controversia intentata da altro privato a tutela del diritto di proprietà, sicché la decisione gravata, avendo fatto puntuale applicazione dei suesposti principi non appare meritevole di censura.
Quanto invece alla dedotta erronea applicazione delle previsioni di legge e regolamentari in materia di distanza, il tenore delle norme di cui allo strumento urbanistico locale non consente sulla base della loro formulazione letterale di ritenere che il loro ambito applicativo sia limitato alle sole costruzioni aventi carattere principale.
Il richiamo alla nozione di edifici di nuova costruzione ovvero di fabbricati, in assenza di una puntuale e specifica disciplina dettata per gli edifici aventi carattere cd. accessorio, come riconosciuto da parte degli stessi ricorrenti, non consente di optare per un'interpretazione che ne limiti l'applicazione ai soli edifici aventi carattere principale, posto che anche i manufatti di più contenute dimensioni, quali quelli per i quali si vorrebbe escludere la valutazione ai fini del rispetto delle distanze, appaiono evidentemente riconducibili alla nozione di costruzione di cui all'art. 873 c.c., trattandosi di manufatti stabilmente infissi al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possono creare quelle intercapedini dannose che la legge, stabilendo la distanza minima tra le costruzioni, intende evitare, rispondendo alla tradizionale nozione di costruzione quale recepita dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 5753/2014).
D'altronde,
proprio la carenza di una specifica disciplina impone di ritenere come già affermato in passato che (cfr. da ultimo Cass. n. 144/2016) la nozione di costruzione, agli effetti dell'art. 873 c.c., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio ivi contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una "distanza maggiore".
Ne discende che,
una volta ricondotti gli edifici accessori al novero delle costruzioni in senso civilistico e nell'accezione propria della disciplina in materia di distanze, le previsioni regolamentari che prevedono un distacco tra costruzioni risultano evidentemente applicabili anche a tali manufatti, e che, anche laddove lo strumento urbanistico locale avesse dettato una disciplina difforme, tale deroga dovrebbe reputarsi illegittima, non rientrando nel potere degli enti locali quello di dettare deroghe alla disciplina codicistica in materia di distanze, eccezione fatta per la previsione sopra richiamata, di porre delle distanze maggiori rispetto a quelle di legge.
Il motivo deve quindi essere disatteso.
3. Con il secondo motivo si denunzia l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 29 del regolamento edilizio del Comune di Cassino.
Assume parte ricorrente che la Corte d'Appello ha omesso di rilevare l'illegittimità del manufatto cd. accessorio dell'attore, in quanto situato nell'area di distacco che occorreva rispettare in relazione al fabbricato principale, area nella quale gli strumenti urbanistici vietano qualsivoglia costruzione (art. 29 regolamento edilizio che prevede solo la realizzazione di giardini, parcheggi e rampe di accesso).
La motivazione della sentenza sarebbe altresì insufficiente, in quanto per giustificare la legittimità del manufatto rispetto al quale sono state valutate le distanze del fabbricato dei ricorrenti, si è affermato che lo stesso si trovava "per larga parte" al di fuori dell'area che costituisce il distacco ideale, riconoscendosi quindi che parte di esso si colloca all'interno della detta area di distacco, risultando pertanto illegittimo.
Anche tale motivo è ad avviso del Collegio privo di fondamento.
La Corte d'appello ha in primo luogo ribadito che fabbricato preveniente era quello di parte attrice, il quale all'epoca della sua realizzazione doveva solo attenersi alla distanza dal confine (distanza che non risulta del tutto rispettata, ma la questione esula dal presente giudizio, non avendo i convenuti lamentato la violazione delle distanze ad opera della costruzione di parte attrice).
Quanto al fabbricato cd. accessorio del Co., di cui non si denunzia la violazione delle norme dal confine, la sentenza ha ritenuto che lo stesso fosse posto in una zona del fondo per la quale le distanze dal confine dell'edificio principale erano ampiamente rispettate e che risultava pertanto in massima parte al di fuori dell'area di distacco quale imposta dallo strumento urbanistico.
Ritiene però la Corte che anche l'eventuale realizzazione in parte del manufatto in oggetto all'interno dell'area di distacco non possa determinare un esito diverso della controversia.
Ed, infatti,
la previsione di un'area di distacco mira essenzialmente ad assicurare il rispetto delle distanze tra fabbricati edificati su fondi finitimi ed appartenenti a diversi proprietari, non potendosi ravvisare l'illegittimità dal punto di vista privatistico, per costruzioni realizzate eventualmente a distanza inferiore a quella legale o regolamentare sul fondo di un unico proprietario (per un riferimento a tale regola si veda Cass. n. 1918/1973, a mente della quale il principio della prevenzione -in base al quale, fra due proprietari di fondi finitimi, colui che costruisce per primo può o edificare sul confine o a distanza dal confine non inferiore a quella legale oppure a distanza inferiore, costringendo il vicino, che costruisce per secondo, a ristabilire la distanza legale edificando dal confine a distanza maggiore della meta di quella prescritta, a meno che non voglia avanzare la propria fabbrica fino all'altrui costruzione, giovandosi dei rimedi offertigli dall'art. 875 cod. civ.- presuppone un rapporto intersoggettivo, opera tra proprietari di fondi finitimi e non è ipotizzabile come attributo della costruzione con caratteri di realità).
D'altronde essendo la proprietà di entrambi i fabbricati, principale ed accessorio, in capo all'attore, i ricorrenti non sono legittimati a dolersi della violazione delle distanze tra le due opere.
Quanto invece alla pretesa violazione della previsione regolamentare che nega la possibilità di costruire nelle zone di distacco, la stessa si riverbera nei soli rapporti con la PA, e determina quindi l'illegittimità dell'opus dal punto di vista amministrativo, ma non incide sulla diversa disciplina in tema di distanze, e sulla possibilità anche per il titolare della costruzione illegittima dal punto di vista amministrativo di pretendere il rispetto delle distanze legali (cfr. Cass. n. 17339/2003; Cass. n. 10850/1998), essendo tale conclusione una piana applicazione del su riferito principio dell'autonomia tra profili pubblicistici dell'attività edificatoria e rapporti interprivatistici.
Ne consegue che
anche laddove una parte del manufatto a carattere accessorio sia collocato nell'area di distacco prevista per il fabbricato principale, la violazione della norma regolamentare legittima se del caso la reazione della PA, ma non esclude che si tratti sempre di costruzione preveniente, rispetto alla quale l'edificio dei ricorrenti doveva porsi a distanza legale come appunto disposto dalla Corte distrettuale (Corte di Cassazione, Sez. II civile, sentenza 16.03.2017 n. 6855).

febbraio 2017

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Annullamento d'ufficio: il termine dei 18 mesi si riferisce ai provvedimenti emanati dopo l'entrata in vigore della novella.
Il TAR Campania-Napoli ha nuovamente affrontato il tema dell'ambito temporale di applicazione della legge n. 124/2015, che ha modificato il testo dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 introducendo il limite temporale di 18 mesi per procedere all’annullamento d’ufficio di alcune tipologie di provvedimenti (tra cui gli atti autorizzativi).
Oggetto della decisione è il provvedimento di annullamento d'ufficio emesso da un Comune nei confronti di un permesso di costruire rilasciato prima dell'entrata in vigore della novella di cui alla Legge n. 124/2015 sull'assunto dell'emissione del titolo all’esito della falsa rappresentazione della realtà fattuale, indotta dalla parte privata richiedente.
In primo luogo, il Collegio affronta il tema dei presupposti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
In termini generali viene affermato che
anche in materia edilizia i presupposti del potere di annullamento d’ufficio sono costituiti dall’illegittimità originaria del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle contrapposte posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai privati.
Principio che, ricorda il Tribunale, soffre un’eccezione nel caso -quale è quello di specie- in cui l’operato dell’amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dello stato di fatto posta in essere dal privato al momento della richiesta del titolo edilizio.
In tale ipotesi non occorre una particolare motivazione sull’interesse pubblico perseguito in sede di autotutela, di per sé coincidente con l’implicita esigenza di ripristinare la legalità urbanistico-edilizia fraudolentemente compromessa, così come perde meritevolezza l’affidamento (non incolpevole) del privato circa il mantenimento della situazione abusiva. Affidamento da considerare di per sé recessivo di fronte all’interesse pubblico alla ricostituzione della cornice di rispetto della disciplina urbanistica violata.

Accertata sotto questo profilo la legittimità del provvedimento impugnato, il Collegio passa a vagliarne la tenuta nei confronti della novella legislativa di cui alla Legge n. 124/2015.
Richiamando un proprio precedente di qualche mese prima (TAR Campania Napoli, Sez. II, 17.10.2016 n. 4737), il Tribunale amministrativo campano conferma il carattere innovativo della novella in esame, dal quale consegue la sua applicazione soltanto ai provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla sua entrata in vigore.
Con la pronuncia in commento il TAR Campania conferma dunque il proprio orientamento secondo cui
il discrimen per l'applicazione del termine dei 18 mesi come contenuto nel nuovo art. 21-nonies è la data di emissione del provvedimento di primo grado oggetto di annullamento: se essa è precedente all'entrata in vigore della Legge 214/2015 (28.05.2015), questa non troverà applicazione, se invece è successiva, l'eventuale provvedimento di annullamento dovrà rispettare il termine dei 18 mesi.
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TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 17.10.2016 n. 4737.
Sul punto si veda anche la
sentenza 31.08.2016 n. 3762 -Sez. VI- del Consiglio di Stato con la quale è stato affermato che il termine dei 18 mesi rileva ai fini interpretativi anche se non applicabile retroattivamente (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 20.02.2017 n. 1033 - tratto da e link a http://studiospallino.blogspot.it).
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MASSIMA
1. La presente controversia si incentra sulla contestazione dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Quarto n. 7/2015 del 12.11.2015, con cui è stato annullato in autotutela il permesso di costruire n. 4/2014 del 28.01.2014, ottenuto dal ricorrente per l’intervento di ristrutturazione edilizia di cui in narrativa, nonché è stato ingiunto il ripristino dello stato dei luoghi.
2. Si premette, in punto di fatto, che l’atto di autotutela, nell’assumere che il permesso di costruire era stato rilasciato sulla base di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi contenuta nella domanda di parte e nei relativi allegati tecnici, ritiene tale permesso illegittimo per le seguenti due ragioni ostative, ciascuna di per sé idonea ad impedire il rilascio dell’atto ampliativo:
   i) “Negli atti presentati si dichiara che il manufatto da abbattere e ricostruire risale ad una data precedente al 1967. A supporto della dichiarazione di esistenza del manufatto allegano un rilievo fotografico. L’esame documentale e comparativo, tra gli atti presentati e la cartografia di P.R.G. nonché con le varie aerofotogrammetrie regionali, hanno rilevato che il manufatto non è presente nella aerofotogrammetria del 1981. Nella documentazione presentata a supporto della domanda per P.d.C. in oggetto non è riportata nessuna altra prova documentale a sostegno di quanto affermato circa la sua data di realizzazione. Per quanto concerne il rilievo fotografico del 02/10/2013 n. di prot. 26557, si rileva che non inquadra il manufatto inserito nel suo contesto ma lo riprende a distanze ravvicinate rendendo impossibile, a posteriori e ad avvenuta demolizione, il suo posizionamento all’interno del lotto. Il rilievo fotografico, inoltre, riporta solo inquadrature esterne e parziali.”;
   ii) “La parte ha espressamente dichiarato, con nota n. 31865 del 13/11/2013, che la zona oggetto dell’intervento non rientra nel vincolo di P.R.G. denominato H2 – area soggetta a vincolo non aedificandi per rispetto archeologico. I tecnici comunali, mediante sovrapposizione della cartografia catastale con i grafici del P.R.G. hanno constatato che l’area oggetto dell’intervento ricade nella zona omogenea di P.R.G. denominata H2. La presente circostanza inficia l’applicazione dell’art. 5 della L.R. 19/2009, impropriamente applicato stante la dichiarazione resa dalla parte.”.
Inoltre, giova aggiungere, quanto all’interesse pubblico perseguito nello specifico, che l’ordinanza in questione si sofferma sui seguenti argomenti: “Ritenuto: Che è in capo alla Pubblica Amministrazione la difesa del territorio che si esplica attraverso una corretta pianificazione urbanistica; Che il controllo della pianificazione urbanistica rappresenta un interesse pubblico da tutelare; Che la falsa rappresentazione di luoghi ha profilo di violazione di legge e nella presente fattispecie, è violazione sostanziale in quanto momento determinante per il rilascio del P.d.C. n. 4/2014; Che vi è obbligo da parte della P.A. di procedere al ripristino dello stato dei luoghi che avviene mediante annullamento ex tunc del titolo giuridico, P.d.C. n. 4/2014, che si poggia, per i motivi sopra riportati, su falsa ed errata rappresentazione; Che è preminente l’interesse pubblico da tutelare e che le opere sono poco più che allo stadio di mera configurazione del cantiere;”.
3. Ciò premesso, le censure complessivamente articolate avverso il provvedimento impugnato sono così compendiabili:
   a) quanto alla ritenuta illegittimità del permesso di costruire, va evidenziato, da un lato, “che è stata depositata presso il Comune fotogramma dell’I.G.M. (Istituto Geografico Militare, ndr.) risalente addirittura al 1974 dalla quale si evince che il fabbricato esisteva a quella data e pertanto, è falso affermare che il fabbricato non esisteva alla data del 1981” e, dall’altro, che, in forza della documentazione più volte depositata presso la sede comunale, è stato dimostrato che “l’immobile non ricade in zona H2 e pertanto nessun vincolo esiste”;
   b) il “provvedimento impugnato è certamente carente dei presupposti di fatto e di diritto in quanto si fonda su motivi superati dalla medesima amministrazione nel corso di una istruttoria lunga (durata circa due anni!) conclusasi con il rilascio del permesso di costruire originariamente legittimo”;
   c) nella fattispecie “non è rinvenibile alcuna falsa rappresentazione della realtà fattuale, svolta da parte ricorrente ed idonea a trarre in inganno l’amministrazione nello svolgimento della propria attività di controllo e di valutazione”;
   d) “nel provvedimento finale di annullamento del titolo edilizio de quo, l’amministrazione comunale non ha provveduto alla analitica confutazione delle osservazioni presentate dal ricorrente”;
   e) in violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 e del dovere di motivazione, l’amministrazione comunale non ha dato conto, nel corredo motivazionale dell’atto di autotutela, dell’interesse pubblico specifico alla rimozione del titolo edificatorio, ritenuto prevalente sul contrapposto interesse privato consolidatosi nel tempo.
In particolare, nella specie “il provvedimento di autotutela emanato, in primo luogo, ha omesso di specificare in quale modo la trasformazione edilizia avrebbe inciso negativamente sull’ambiente e sull’assetto urbanistico del territorio, effettuando unicamente un generico richiamo agli interessi pubblici prevalenti, senza svolgere un’attenta disamina della situazione di fatto concernente l’area in questione. In ogni caso, l’Amministrazione non ha in alcun modo valutato, nel processo comparativo delle situazioni giuridiche coinvolte nel procedimento, l’affidamento ingenerato nel ricorrente, con il rilascio del permesso de quo, che ha comportato la completa demolizione (nell’anno e mezzo intercorso dal rilascio), del manufatto oggetto di intervento”;
   f) l’annullamento d’ufficio è stato disposto dopo circa due anni dal rilascio del permesso di costruire, ossia oltre il termine massimo di intervento, pari a 18 mesi, previsto dall’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, come recentemente modificato dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della legge n. 124/2015.
Tutte le prefate censure non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate.
4. A differenza di quanto dedotto dal ricorrente, non è seriamente controvertibile che il permesso di costruire fosse stato rilasciato sul falso ed erroneo presupposto della preesistenza del fabbricato da demolire al 1967, cioè all’epoca a partire dalla quale sarebbe stato necessario in ogni caso che l’attività edificatoria in ambito comunale fosse assistita dal corrispondente titolo edilizio.
Né convince in senso opposto l’invocato fotogramma dell’I.G.M. risalente al 1974. Al riguardo, è sufficiente richiamare gli esiti degli accertamenti compiuti dal CTU, come illustrati nella sua relazione tecnica, che il Collegio condivide e fa propri ritenendoli frutto di approfondita e scrupolosa attività valutativa: “Per l’anno 1981, l’indagine presso i suddetti Enti deputati al controllo del territorio ha accertato a tale data l’esistenza della sola aerofotogrammetria anno 1981, che è stata acquisita dallo scrivente presso l’U.T.C. del Comune di Quarto nel corso dell’accesso del 06/06/2016.
Da tale cartografia (All. n. 3) non si evince l’esistenza dell’immobile oggetto di ricorso (vedi area cerchiata in rosso). Al fine di facilitare la comprensione del corretto inquadramento spaziale degli edifici presenti nell’aerofotogrammetria anno 1981, si è ritenuto utile allegare lo stralcio aerofotogrammetrico anno 1994 (All. n. 4.1) ed il relativo fotogramma levata aerea 30/11/1994 (All. n. 4.2) –acquisiti presso il Comune di Quarto– dove risulta particolarmente evidente la posizione dell’immobile oggetto di ricorso ed il posizionamento degli edifici limitrofi allo stesso. Su tali documenti gli immobili seguono la medesima numerazione precedentemente assegnata.
Inoltre, poiché l’aerofotogrammetria del 1981 è stata contestata dalla parte ricorrente, lo scrivente ha ricercato altra documentazione con date prossime a quella del 1981. In conseguenza di tale indagine il CTU ha acquisito, con protocollo n. 0387097 del 07/06/2016 presso il SIT della Regione Campania, il fotogramma n. 0182 relativo al volo anno 1985 (All. n. 5). Da quest’ultimo risulta, in modo chiaro (vedi area cerchiata in rosso), l’inesistenza dell’immobile oggetto di ricorso alla data del 1985.
Per l’anno 1974, accertata l’assenza di altra documentazione presso gli Enti deputati al controllo del territorio, lo scrivente ha richiesto all’I.G.M. (Istituto geografico militare) un ingrandimento del fotogramma volo 1974 relativo all’area oggetto di ricorso (All. n. 6).
Da un’approfondita analisi del fotogramma, raffrontandola anche con il fotogramma levata aerea 30/11/1994 (All. n. 4.2) e con gli aerofotogrammetrici del 1981 (All. n. 3) e del 1994 (All. n. 4.1), l’immobile oggetto di ricorso non risulta presente. Infatti, l’immobile che il ricorrente cerchia nel medesimo fotogramma I.G.M. 1974, allegato agli atti di causa, non può essere l’edificio oggetto di demolizione sia per le dimensioni (molto più piccole), che per la collocazione quasi in asse con la linea di riferimento, costruita dallo scrivente, che parte dal lato sinistro dell’immobile individuato con il n. 2.
L’immobile indicato dal ricorrente sembrerebbe corrispondere al più esterno dei piccoli manufatti contraddistinti con i numeri 4/5 nell’All. n. 3. Invece, come si evince sia dal fotogramma levata aerea 30/11/1994 che dallo stralcio aerofotogrammetrico anno 1994, acquisiti presso il Comune di Quarto, l’immobile oggetto di ricorso risulta tutto spostato sulla sinistra rispetto all’edificio inquadrato con il n. 2 (vedi linea di riferimento – Allegati nn. 4.1 e 4.2) e molto più grande
.”.
4.1 Discende dalle superiori osservazioni che resiste alle critiche attoree il primo motivo di illegittimità del permesso di costruire individuato nell’atto di autotutela, atteso che si palesa assolutamente plausibile la riscontrata inesistenza del fabbricato oggetto di demolizione al 1981 (ed addirittura al 1985) nonché, a maggior ragione, al 1967, a fronte, peraltro, della sostanziale convergenza in senso negativo degli stralci aerofotogrammetrici detenuti dagli enti territoriali con il fotogramma dell’I.G.M. del 1974.
4.2 Quanto sopra esposto riveste carattere assorbente ed esime il Collegio dall’esaminare la rimanente censura, con cui parte ricorrente intende contestare l’ordinanza impugnata in ordine al profilo motivazionale dell’illegittimità del permesso di costruire per mancato rispetto del vincolo di inedificabilità di cui alla zona H2, dal momento che comunque l’impianto complessivo dell’ordinanza risulta validamente sorretto, quanto al presupposto dell’illegittimità dell’atto da rimuovere, dall’inesistenza del fabbricato da demolire in epoca precedente al 1967.
Soccorre, al riguardo, il condiviso principio secondo il quale,
laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 29.02.2016 n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 06.03.2013 n. 1373 e 27.09.2004 n. 6301; Consiglio di Stato, Sez. VI, 05.07.2010 n. 4243).
5.
La pur lunga istruttoria che ha condotto al rilascio del permesso di costruire ha tenuto conto solo del materiale documentale e tecnico fornito dalla parte privata richiedente, come pacificamente emerge dalle evidenze processuali.
Ebbene,
non è sicuramente illogico, né attiene a situazioni ormai superate dalla pregressa istruttoria, che l’amministrazione abbia rivisto le proprie precedenti determinazioni alla luce di una nuova istruttoria frutto di più approfondite verifiche, che abbiano fatto tesoro di rilievi e cartografie dotati di maggiore ufficialità.
6.
Certamente il permesso di costruire annullato è stato emesso all’esito della falsa rappresentazione della realtà fattuale, indotta dalla parte privata richiedente, circa l’epoca di costruzione del fabbricato da demolire, dal momento che è incontestato che la collocazione temporale del manufatto a data antecedente al 1967 discende da apposita dichiarazione contenuta nella documentazione a corredo dell’istanza.
7.
L’obbligo, ex art. 10-bis della legge n. 241/1990, di esame delle memorie e dei documenti difensivi presentati dagli interessati nel corso dell’iter procedimentale, non impone all’amministrazione una formale ed analitica confutazione di ogni argomento utilizzato dagli stessi, essendo sufficiente, alla luce dell’art. 3 della legge medesima, un’esternazione motivazionale che renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni partecipative dei privati, come puntualmente avvenuto nella fattispecie (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez. VI, 29.05.2012 n. 3210; Consiglio di Stato, Sez. V, 13.10.2010 n. 7472; TAR Campania Napoli, Sez. III, 08.06.2016 n. 2885; TAR Campania Napoli, Sez. IV, 15.09.2011 n. 4402).
8. Inoltre,
se è vero, secondo un diffuso e condivisibile orientamento (cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 24.12.2015 n. 5830; Consiglio di Stato, Sez. VI, 30.09.2015 n. 4552), che anche in materia edilizia i presupposti del potere di annullamento d’ufficio sono costituiti dall’illegittimità originaria del provvedimento e dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle contrapposte posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai privati, è altrettanto vero che tale principio soffre un’eccezione nel caso in cui l’operato dell’amministrazione sia stato fuorviato dall’erronea o falsa rappresentazione dello stato di fatto posta in essere dal privato al momento della richiesta del titolo edilizio; invero, in tale ipotesi non occorre una particolare motivazione sull’interesse pubblico specifico perseguito in sede di autotutela, di per sé coincidente con l’implicita esigenza di ripristinare la legalità urbanistico-edilizia fraudolentemente compromessa, così come perde meritevolezza l’affidamento (non incolpevole) del privato circa il mantenimento della situazione abusiva, affidamento da considerare di per sé recessivo di fronte all’interesse pubblico alla ricostituzione della cornice di rispetto della disciplina urbanistica violata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 08.11.2012 n. 5691 e 03.08.2012 n. 4440; TAR Toscana, Sez. III, 27.05.2015 n. 825).
8.1 Ebbene,
il caso concreto rientra senza dubbio nell’esposta ipotesi eccettuativa, se solo si pone mente alla pacifica circostanza, già illustrata al precedente paragrafo 6, che l’annullato permesso di costruire era stato rilasciato sulla base di una non fedele dichiarazione della parte richiedente in ordine all’epoca di costruzione del fabbricato da demolire.
Ne discende che, non essendo individuabile in capo al ricorrente alcun affidamento giuridicamente apprezzabile, deve ritenersi correttamente giustificato l’intervento in autotutela posto in essere dall’amministrazione comunale, la quale comunque appare aver tenuto in debita considerazione, pur ritenendole soccombenti atteso lo stato di avanzamento del cantiere, le contrapposte esigenze private al mantenimento del titolo edilizio.
9. Infine,
il permesso di costruire annullato è stato emesso il 28.01.2014, ossia prima dell’entrata in vigore della legge n. 124/2015, che ha modificato il testo dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 introducendo il limite temporale di 18 mesi per procedere all’annullamento d’ufficio di alcune tipologie di provvedimenti (tra cui gli atti autorizzativi): ciò depone per l’inapplicabilità al caso di specie della novella legislativa, che propriamente si attaglia a tutti i provvedimenti di primo grado emanati dopo la sua entrata in vigore.
Soccorre, al riguardo, una recente pronuncia in termini della Sezione, che il Collegio recepisce integralmente ritenendola preferibile, atteso il persuasivo percorso argomentativo utilizzato, a qualche orientamento contrario nel frattempo intervenuto: “È infondata anche la censura con cui si denuncia la violazione dell’art. 6 della Legge n. 124/2015.
La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1 della predetta legge (“comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20”), infatti, non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’Amministrazione entro 18 mesi, laddove nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine.
D’altra parte
nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della Legge n. 124/2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica soltanto ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo– non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado) (cfr. sul punto questa Sezione, 12.09.2016 n. 4229)
.” (Così TAR Campania Napoli, Sez. II, 17.10.2016 n. 4737).
10. In conclusione, resistendo il provvedimento impugnato a tutte le censure prospettate, il ricorso deve essere respinto siccome infondato.

novembre 2016

EDILIZIA PRIVATA: L’atto di rimozione delle D.I.A. si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
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In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato, non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Peraltro le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.
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9a - Anche la denunziata violazione delle regole e dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela, ed il connesso principio dell’affidamento del privato, non appare meritevole di positiva delibazione.
Si lamenta, infatti, con dovizia di argomentazioni, che gli atti di annullamento delle D.I.A. non avrebbero rispettato i dettami previsti per l’esercizio del potere di autotutela; infatti, non si sarebbe tenuto conto del tempo trascorso né si sarebbe effettuato un corretto bilanciamento tra gli interessi del privato e l’interesse pubblico sotteso al provvedimento anche in relazione all’avvenuta demolizione dell’opera in epoca successiva al perfezionamento della fattispecie tacita di cui alla D.I.A.
Le considerazioni esposte in precedenza dimostrano che la fattispecie tacita di autorizzazione all’intervento non può ritenersi formata correttamente perché l’intervento non poteva essere assentito con mera D.I.A. essendo intervenuta una vera e propria nuova costruzione.
In definitiva, una volta stabilito che la tipologia di interventi richiedesse il permesso di costruire, ne deriva, quale logico corollario, che il procedimento per silentium non può ritenersi mai perfezionato, avendo un oggetto del tutto incongruente ed incompatibile con tale semplificato modulo di formazione del titolo edilizio.
Ne discende che il Comune ben poteva esercitare i propri poteri sanzionatori sull’opera senza considerare la D.I.A. che, difettandone i relativi presupposti, non poteva ritenersi perfezionata (TAR Napoli Campania sez. VI, 10.01.2011, n. 35; Consiglio Stato sez. VI, 05.04.2007, n. 1550; Cassazione penale sez. III, 08.04.2010, n. 17973).
9b - In simili casi, del resto, anche l’attuale formulazione della norma, frutto di recenti interventi nel senso della liberalizzazione, consentirebbe al Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori (v. l’art. 19, co. 6-bis, L. 241/1990 secondo cui «restano altresì ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380, e dalle leggi regionali»).
9c - Ciò posto, l’atto in esame, pur qualificato quale atto di autotutela, va inteso correttamente quale atto avente un sostanziale valore dichiarativo del mancato perfezionamento della D.I.A. che resta, pertanto, inefficace.
Il sostanziale valore accertativo dell’atto in questione rende, evidentemente, inconferenti tutte le restanti argomentazioni di parte ricorrente che espressamente fanno riferimento all’esercizio del potere di autotutela.
In questa ipotesi dunque l’atto di rimozione delle D.I.A. si configura quale esito doveroso del procedimento di controllo attivato (revoca in senso stretto), con la conseguenza che non sono evocabili i principi a presidio dell’esercizio dell’ordinario potere di autotutela decisoria, i quali postulano una riconsiderazione dell’interesse pubblico, inesistente nel caso di specie, in cui l’amministrazione ha verificato la carenza ab origine dei presupposti per concludere favorevolmente il procedimento di formazione del titolo edilizio silenzioso.
9d - In ogni caso vale rammentare che l'eliminazione d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame), non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300); peraltro le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuta proprio a fatto del privato.
10 - La reiezione delle censure articolate nei ricorsi principali rende infondata anche la doglianza di cui ai motivi aggiunti presentati nel ricorso numero 289/2012.
L’intervento di manutenzione ivi previsto (ed astrattamente ben assentibile con D.I.A.) è, infatti, strettamente collegato ai lavori precedenti, correttamente ritenuti abusivi e, come si è detto in precedenza, è necessario considerare unitariamente l’insieme di opere poste in essere al fine di trasformare il cd. Palazzo Lauro in un albergo (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 14.11.2016 n. 5248 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In relazione alla natura del potere di riesame straordinario regionale contemplato dall’art. 27 della L. 1150/1942 e oggi dall’art. 39 del d.P.R. 380/2001 è sorto un obiettivo contrasto giurisprudenziale.
La tesi avallata dalla ricorrente è indubbiamente sostenuta in giurisprudenza, riconducendo il potere in esame ad espressione di mera funzione di vigilanza e controllo da parte dell’autorità sovraordinata. Anche a voler seguire tale tesi, occorrerebbe giocoforza affermare il carattere eminentemente officioso del potere, escludendosi l’obbligo giuridico di provvedere a fronte di istanze volte a sollecitarlo, a pena di una evidente surrettizia elusione del termine decadenziale per l’azione di annullamento.
Secondo però altra opzione interpretativa, il potere di annullamento in questione, pur indubbiamente distinto da quello esercitabile dal Comune in sede di riesame, deve essere esercitato alla luce dell’art. 97 Cost. e del principio di ragionevolezza sulla scorta degli stessi presupposti ovvero con doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali affidamenti nonché della situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria.
Ritiene il Collegio preferibile tale seconda lettura, specie alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” all’art. 21-nonies della legge 241 del 1990 (pur “ratione temporis” non direttamente applicabile) secondo cui seppur limitatamente ai provvedimenti di “autorizzazione ed attribuzione di vantaggi economici” è stato rigorosamente delimitato il termine di esercizio del potere d’annullamento d’ufficio in 18 mesi dalla emanazione dell’atto.
Tale “ius superveniens” rende sicuramente più stabile la posizione del soggetto destinatario dell’autorizzazione, quindi del permesso di costruire quale tipico atto autorizzatorio il quale può confidare nella stabilità del rapporto una volta decorso il suddetto termine perentorio, a differenza del regime previgente la novella legge 124/2015, laddove la “ragionevolezza” del termine dava inevitabilmente adito -per l’indeterminatezza ed elasticità del parametro- ad interpretazioni del tutto difformi, in danno della stessa certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Tanto che in materia edilizia una parte della giurisprudenza individuava tale termine ragionevole, per analogia, proprio nel decennio stabilito dal citato art. 39 o addirittura opinava nel senso della inesauribilità del potere di annullamento comunale dei titoli abilitativi in considerazione della natura di illecito permanente.
A fronte di tale innovativa disciplina non ritiene a maggior ragione il Collegio plausibile opinare nel senso voluto dalla ricorrente.
Infatti, proprio l’esaminata maggior esigenza di stabilità e di tutela dell’affidamento del destinatario del provvedimento di autorizzazione non può dirsi compatibile con un potere di riesame regionale di stretta legalità, del tutto avulso dalla situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria.
E’ vero che l’art. 39 del Testo Unico prevede un termine temporale assai più ampio (dieci anni), tuttavia tale maggior estensione, a fortiori, deve contemperarsi con i criteri conformativi delineati dall’art. 21-nonies, non essendo più predicabile -o quantomeno essendo assai dubbia- la permanenza nel nostro ordinamento di ipotesi di interesse pubblico “in re ipsa” in grado di giustificare in via del tutto autonoma il potere di riesame.
E’ poi irrilevante la non applicabilità “ratione temporis” della legge 124 del 2015 dal momento che essa, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti.
Si impone inoltre una interpretazione comunitariamente orientata del potere di annullamento straordinario, poiché la eccezionale maggior ampiezza del termine deve contemperarsi con il principio di derivazione comunitaria di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto.
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6. - Venendo al secondo ricorso (RG 106/2014), ad avviso della difesa della ricorrente l’annullamento straordinario previsto dall’art. 39 del Testo Unico in materia edilizia risulterebbe unicamente finalizzato ad assicurare il rigoroso rispetto della legalità nel campo urbanistico-edilizio, senza effettuare alcuna comparazione tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata con l’affidamento del privato, tipica del potere di autotutela con funzione di riesame come oggi codificato dall’art. 21-nonies della legge 241 del 1990 e s.m..
Sarebbe per tanto del tutto improprio il riferimento operato nel diniego impugnato a tale ultima norma e del tutto non dovuto il bilanciamento dei contrapposti interessi ed in primis di quello vantato dalla Ba.Co. s.r.l. in merito alla apparente legittimità della ristrutturazione effettuata.
7. - Non ritiene il Collegio di poter aderire alle pur suggestive considerazioni articolate dalla difesa della ricorrente.
8. - In relazione alla natura del potere di riesame straordinario regionale contemplato dall’art. 27 della L. 1150/1942 e oggi dall’art. 39 del d.P.R. 380/2001 (nonché dall’omologo art. 11 della L.R. 21/2004) è sorto un obiettivo contrasto giurisprudenziale.
La tesi avallata dalla ricorrente è indubbiamente sostenuta in giurisprudenza, riconducendo il potere in esame ad espressione di mera funzione di vigilanza e controllo da parte dell’autorità sovraordinata (Consiglio di Stato sez. IV, 20.02.1998, n. 315; id. sez. IV, 09.09.2009, n. 5409; id. sez. IV, 08.11.2013, n. 32; TAR Lazio sez. I, 23.05.2014, n. 5521). Anche a voler seguire tale tesi, occorrerebbe giocoforza affermare il carattere eminentemente officioso del potere, escludendosi l’obbligo giuridico di provvedere a fronte di istanze volte a sollecitarlo, a pena di una evidente surrettizia elusione del termine decadenziale per l’azione di annullamento (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 27.04.2005, n. 1947).
Secondo però altra opzione interpretativa, il potere di annullamento in questione, pur indubbiamente distinto da quello esercitabile dal Comune in sede di riesame, deve essere esercitato alla luce dell’art. 97 Cost. e del principio di ragionevolezza sulla scorta degli stessi presupposti ovvero con doverosa valutazione degli interessi e degli eventuali affidamenti nonché della situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria (ex multis TAR Liguria sez. I, 13.01.2015, n. 79; Consiglio di Stato sez. VI, 02.09.2013, n. 4352).
Ritiene il Collegio preferibile tale seconda lettura, specie alla luce delle recenti modifiche apportate dalla legge 07.08.2015 n. 124 “Madia” all’art. 21-nonies della legge 241 del 1990 (pur “ratione temporis” non direttamente applicabile) secondo cui seppur limitatamente ai provvedimenti di “autorizzazione ed attribuzione di vantaggi economici” è stato rigorosamente delimitato il termine di esercizio del potere d’annullamento d’ufficio in 18 mesi dalla emanazione dell’atto.
Tale “ius superveniens” rende sicuramente più stabile la posizione del soggetto destinatario dell’autorizzazione, quindi del permesso di costruire quale tipico atto autorizzatorio (Corte Cost. sent. n. 5/1980) il quale può confidare nella stabilità del rapporto una volta decorso il suddetto termine perentorio, a differenza del regime previgente la novella legge 124/2015, laddove la “ragionevolezza” del termine dava inevitabilmente adito -per l’indeterminatezza ed elasticità del parametro- ad interpretazioni del tutto difformi, in danno della stessa certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Tanto che in materia edilizia una parte della giurisprudenza individuava tale termine ragionevole, per analogia, proprio nel decennio stabilito dal citato art. 39 (TAR Lombardia Brescia sez. I, 05.04.2013, n. 34) o addirittura opinava nel senso della inesauribilità del potere di annullamento comunale dei titoli abilitativi in considerazione della natura di illecito permanente (Consiglio di Stato sez. VI, 23.02.2012, n. 1041).
A fronte di tale innovativa disciplina non ritiene a maggior ragione il Collegio plausibile opinare nel senso voluto dalla ricorrente.
Infatti, proprio l’esaminata maggior esigenza di stabilità e di tutela dell’affidamento del destinatario del provvedimento di autorizzazione non può dirsi compatibile con un potere di riesame regionale di stretta legalità, del tutto avulso dalla situazione di fatto che si viene ad incidere in via straordinaria.
E’ vero che l’art. 39 del Testo Unico prevede un termine temporale assai più ampio (dieci anni), tuttavia tale maggior estensione, a fortiori, deve contemperarsi con i criteri conformativi delineati dall’art. 21-nonies, non essendo più predicabile -o quantomeno essendo assai dubbia- la permanenza nel nostro ordinamento di ipotesi di interesse pubblico “in re ipsa” in grado di giustificare in via del tutto autonoma il potere di riesame.
E’ poi irrilevante la non applicabilità “ratione temporis” della legge 124 del 2015 dal momento che essa, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti (così Consiglio di Stato sez. VI, 10.12.2015 n. 5625).
Si impone inoltre una interpretazione comunitariamente orientata del potere di annullamento straordinario, poiché la eccezionale maggior ampiezza del termine deve contemperarsi con il principio di derivazione comunitaria di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto (TAR Umbria, sentenza 07.11.2016 n. 691 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ottobre 2016

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATASalvi i casi espressamente previsti dalla legge (in cui è previsto che il silenzio dell'Amministrazione comporta l'accoglimento ovvero la reiezione di una istanza), il superamento del termine massimo di durata di un procedimento comporta le conseguenze previste dagli artt. 2 e 2-bis della Legge n. 241/1990 (tra le altre, costituisce "elemento di valutazione della performance individuale" e consente di proporre innanzi al giudice amministrativo il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione), ma di per sé non incide sulla legittimità del provvedimento conclusivo del procedimento.
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La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1 della legge 124/2015 (“comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20”) non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’Amministrazione entro 18 mesi, laddove nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine.
D’altra parte nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della Legge n. 124/2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica soltanto ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo- non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado).
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L’errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda di permesso a costruire costituisce ragione determinante e sufficiente a giustificare un provvedimento di annullamento del rilasciato titolo edilizio, in considerazione del fatto che ogni provvedimento amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto realmente esistente al momento della sua adozione.
In sostanza, nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica, atteso che «in sede di adozione di un atto in autotutela, la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'amministrazione, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'autorità amministrativa».
Invero, il Collegio ritiene di condividere quel prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’Amministrazione procedente per come causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell’atto può ritenersi sussistente in re ipsa, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela.
D’altronde, avendo parte ricorrente omesso nell’istanza di sanatoria di dichiarare l’esistenza dell’atto unilaterale d’obbligo –anzi si era affermata la “piena disponibilità” dei portici in questione- nel caso concreto si è materializzato un errore sulla rappresentazione della realtà causato dalla parte privata; ora è pacifico che l'Amministrazione ha sempre la piena facoltà di verificare la veridicità del dichiarato ai sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000, in quanto, in ragione della finalità semplificatoria che l'istituto persegue, il contenuto dell'autocertificazione resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria; una volta che l'Amministrazione abbia acquisito la certezza della non veridicità del dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, nella corretta e doverosa applicazione del principio generale di buona amministrazione.
La peculiarità del presupposto a base della contestata determinazione, siccome riconnesso alla accertata falsità delle dichiarazioni sulle quali si fonda il rilascio dei titoli edilizi oggetto di autotutela, fa sì che la sua natura vada riguardata in termini di doverosità che non offre quindi spazi alla discrezionalità naturalmente riflessa nell’adozione di atti di secondo grado; da tanto consegue sia il ridimensionamento dell’onere motivazionale, sia la riespansione del principio di dequotazione dei vizi formali attesa la sostanziale inutilità dell’obliterato apporto partecipativo.
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3.2 Ora non ha pregio il motivo con cui si lamenta la violazione dell'art. 2 della Legge n. 241/1990 per superamento del termine massimo di durata del procedimento: salvi i casi espressamente previsti dalla legge (in cui è previsto che il silenzio dell'Amministrazione comporta l'accoglimento ovvero la reiezione di una istanza), il superamento del termine massimo di durata di un procedimento comporta le conseguenze previste dagli artt. 2 e 2-bis della Legge n. 241/1990 (tra le altre, costituisce "elemento di valutazione della performance individuale" e consente di proporre innanzi al giudice amministrativo il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione), ma di per sé non incide sulla legittimità del provvedimento conclusivo del procedimento (cfr., da ultimo, Cons. Stato, III, 18.05.2016 n. 2019).
3.3 È infondata anche la censura con cui si denuncia la violazione dell’art. 6 della Legge n. 124/2015.
La modifica all’art. 21-nonies introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1 della predetta legge (“comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20”), infatti, non ha carattere interpretativo dell’inciso che precede (“entro un termine ragionevole”) perché, se così fosse, si dovrebbe considerare comunque e sempre “ragionevole” l’autoannullamento effettuato dall’Amministrazione entro 18 mesi, laddove nulla vieta di ritenere irragionevole anche un provvedimento in autotutela adottato entro il predetto termine.
D’altra parte nemmeno può attribuirsi ad esso carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, giacché un tale obiettivo mal si concilia con la dichiarata finalità di semplificazione procedimentale della norma in questione (cfr. il titolo del capo I della Legge n. 124/2015).
La norma in esame ha, dunque, sicuramente carattere innovativo, sicché si applica soltanto ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore: ora, tenendo conto che tale disposizione riguarda soltanto provvedimenti di secondo grado e che, come si è detto, non ha valenza sanante dei provvedimenti (di primo grado) emessi antecedentemente ai 18 mesi precedenti alla sua entrata in vigore, tale disposizione –che introduce un regime temporale rigido di annullabilità dell’atto amministrativo- non può che riferirsi ai provvedimenti in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Depone a favore di tale interpretazione la stessa lettera della norma che, assumendo che l’annullamento in autotutela deve disporsi entro un termine “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”, afferma, in buona sostanza, che l’atto di secondo grado non potrà essere emanato dopo 18 mesi dal momento dell’adozione –momento che, attesa l’innovatività della norma, non può che essere successivo alla sua entrata in vigore– del provvedimento autorizzativo (di primo grado) (cfr. sul punto questa Sezione, 12.09.2016 n. 4229).
3.4 Quanto, poi, all’asserita, incongrua motivazione dell’interesse pubblico sotteso all’annullamento degli atti di condono ed all’omessa ponderazione degli opposti interessi, è appena il caso di osservare che l’errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda di permesso a costruire costituisce ragione determinante e sufficiente a giustificare un provvedimento di annullamento del rilasciato titolo edilizio, in considerazione del fatto che ogni provvedimento amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto realmente esistente al momento della sua adozione (cfr., ex multis, TAR Firenze, III, 05.05.2015 n. 825; TAR Milano, III, 12.02.2013 n. 843; TAR Salerno, II, 29.11.2012 n. 171): ebbene, nel caso di specie, in sede di richiesta degli atti di condono il Comune è stato fuorviato -rilasciando le sanatorie- dalla errata rappresentazione della realtà effettuata dalla società istante la quale, anziché esplicitare l’esistenza del vincolo di destinazione d’uso pubblico a cui il porticato era assoggettato (in virtù di un atto unilaterale d’obbligo che costituiva, fra l’altro, condicio sine qua non per il rilascio dei permessi di costruire del 2002), aveva invece affermato espressamente (e mendacemente) la “piena disponibilità” del porticato di cui è causa, inducendo in errore l’Amministrazione che, proprio in funzione di tali omissioni, rilasciava i titoli edilizi in sanatoria.
In sostanza, nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (Tar Basilicata, n. 238 del 2006; Cons. Stato, V, n. 5691 del 2012), atteso che «in sede di adozione di un atto in autotutela, la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'amministrazione, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'autorità amministrativa».
Nella fattispecie è pacifica –per come anche relazionato dal CTU- la mancata indicazione nella istanza di concessione edilizia in sanatoria dell'esistenza di un atto di vincolo a destinazione d'uso pubblico del portico rogato dal dott. Vi.Pu. in data 23/10/2001 e con il quale la “Di.Ca.” ed il sig. Am.Gi. sottoponevano i porticati al piano terra a vincolo di destinazione d’uso pubblico, ragion per cui per il rilascio della sanatoria sarebbe stato necessario rinegoziare l'atto –avente evidente carattere contrattuale- di vincolo a destinazione d'uso pubblico precedentemente sottoscritto dalle parti.
Ora il Collegio ritiene di condividere quel prevalente orientamento giurisprudenziale (ex multis, TAR Lombardia, Milano, n. 841 del 2013) secondo il quale, quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’Amministrazione procedente per come causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell’atto può ritenersi sussistente in re ipsa, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela (cfr. Cons. Stato, IV, 28.05.2012 n. 3150; 24.12.2008, n. 6554).
D’altronde, avendo parte ricorrente omesso nell’istanza di sanatoria di dichiarare l’esistenza dell’atto unilaterale d’obbligo –anzi si era affermata la “piena disponibilità” dei portici in questione- nel caso concreto si è materializzato un errore sulla rappresentazione della realtà causato dalla parte privata; ora è pacifico (TAR Campania, Salerno, n. 171 del 2013) che l'Amministrazione ha sempre la piena facoltà di verificare la veridicità del dichiarato ai sensi dell’art. 71 del DPR n. 445/2000, in quanto, in ragione della finalità semplificatoria che l'istituto persegue, il contenuto dell'autocertificazione resta sempre necessariamente esposto alla prova contraria; una volta che l'Amministrazione abbia acquisito la certezza della non veridicità del dichiarato, ha il dovere di trarne le necessarie conseguenze, nella corretta e doverosa applicazione del principio generale di buona amministrazione (ex multis, Cons. Stato, VI, 11.05.2011, n. 2781; IV, 06.11.2009, n. 6948).
La peculiarità del presupposto a base della contestata determinazione, siccome riconnesso alla accertata falsità delle dichiarazioni sulle quali si fonda il rilascio dei titoli edilizi oggetto di autotutela, fa sì che la sua natura vada riguardata in termini di doverosità che non offre quindi spazi alla discrezionalità naturalmente riflessa nell’adozione di atti di secondo grado; da tanto consegue sia il ridimensionamento dell’onere motivazionale, sia la riespansione del principio di dequotazione dei vizi formali attesa la sostanziale inutilità dell’obliterato apporto partecipativo (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 17.10.2016 n. 4737 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASecondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, si giustifica l’annullamento di titoli edilizi quando questi siano stati rilasciati in base ad un’errata rappresentazione della realtà da parte del richiedente (non importa se dolosa o colposa): fattispecie in cui la potestà sanzionatoria può esplicarsi senza che sia necessaria una specifica motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico, dal momento che ogni provvedimento amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto effettivamente esistente al momento della sua adozione.
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La (mera) erroneità della progettazione comporta, ai fini dell’annullamento del titolo edilizio formatosi sulla DIA:
   a) l’esplicitazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche “che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, come previsto dall’art. 3 della legge 241/1990;
   b) la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel procedimento, vale a dire le ragioni di interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, che l’art. 21-nonies della legge 241/1990 pone come parametro di valutazione della legittimità dell’esercizio del potere di autotutela.
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Nella specie vi è stata una violazione dei principi che regolano l’esercizio dell’autotutela amministrativa, ma anche del principio di proporzionalità, la quale “non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità”.
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Le ragioni opposte dal comune contrastano con il prevalente orientamento della giurisprudenza, secondo cui “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati”.
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Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto, nei termini che seguono.
Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto che pur avendo commesso un errore progettuale (“quello di ritenere che l’area esterna ceduta fosse in diritto di superficie anziché ceduta in proprietà”, cfr. nota del 13.2.2012), nondimeno non sarebbe ravvisabile una difforme rappresentazione nelle tavole di progetto, né l’Amministrazione avrebbe tempestivamente contestato tale lacuna, così riuscendo a impedire che, a causa della persistenza di tale errore, il corsello di manovra del parcheggio venisse realizzato –come in effetto è accaduto– in corrispondenza di un’area ceduta al Comune di Seregno.
Tale motivo può essere esaminato congiuntamente al secondo, con cui si è dedotto che “il provvedimento impugnato (…) è palesemente stato assunto in difetto dei presupposti stabiliti dalla legge per l’annullamento di ufficio” (cfr. pag. 18).
Reputa il Collegio che tali censure siano fondate, e ciò, anzitutto, alla luce dell’esplicita ammissione del dirigente del servizio (costituente circostanza incontestata tra le parti ai sensi dell’art. 64, comma 2, del codice del processo amministrativo), il quale nell’impugnato provvedimento ha chiarito come “il corsello sia stato rappresentato come poi realizzato e cioè proprio sotto una parte dell'area comunale”.
È, in sostanza, provato che la progettazione elaborata dalla società ricorrente, pur essendo deficitaria, non abbia, però, dato luogo ad “alcun problema di opere realizzate difformemente rispetto a quanto autorizzato, né di falsa o errata rappresentazione negli atti” (cfr. pag. 10 del ricorso).
Il che prefigura una valutazione tecnica erronea, situazione non assimilabile a quella che, secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale, giustifica l’annullamento di titoli edilizi quando questi siano stati rilasciati in base ad un’errata rappresentazione della realtà da parte del richiedente (non importa se dolosa o colposa): fattispecie in cui la potestà sanzionatoria può esplicarsi senza che sia necessaria una specifica motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico, dal momento che ogni provvedimento amministrativo è legittimo solo se fondato sulla situazione di fatto e di diritto effettivamente esistente al momento della sua adozione (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27.08.2012, n. 4619; id., sez. IV, 24.12.2008, n. 6554).
Nella motivazione dell’impugnato provvedimento, invece, l’Amministrazione ha precisato, da un lato, che la società ricorrente avrebbe elaborato una “non esauriente rappresentazione dell’area di proprietà”, salvo, dall’altro, contestualmente ammettere che il corsello sia stato progettato (oltre che realizzato) al di sotto dell’area ceduta in proprietà al Comune.
Come ha recentemente chiarito il Consiglio di Stato, “l’errore tecnico (…), inficiando la validità della d.i.a., avrebbe consentito all’Amministrazione di intervenire sul titolo, adottando un provvedimento inibitorio/ripristinatorio o entro il termine di decadenza previsto dall’art. 23, comma 6, d.P.R. 06.06.2001, n. 380, oppure, scaduto infruttuosamente tale termine, soltanto ricorrendo le condizioni alle quali l’art. 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241, subordina l’esercizio del potere di autotutela” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 31.08.2016, n. 3762).
Nel caso di specie, l’impugnato provvedimento è stato unicamente motivato sulla “falsa attestazione di conformità delle opere”: profilo inidoneo a sostanziare l’esercizio del potere di autotutela, potendo, invece, risultare esiziale ai sensi dell’art. 23, comma 6, del DPR 380/2001 per il deferimento del professionista all’autorità giudiziaria e al consiglio dell'ordine di appartenenza.
Invero, la (mera) erroneità della progettazione avrebbe dovuto imporre, ai fini dell’annullamento del titolo edilizio formatosi sulla DIA n. 506/2008:
   a) l’esplicitazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche “che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”, come previsto dall’art. 3 della legge 241/1990;
   b) la ponderazione di tutti gli interessi coinvolti nel procedimento, vale a dire le ragioni di interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, che l’art. 21-nonies della legge 241/1990 pone come parametro di valutazione della legittimità dell’esercizio del potere di autotutela.
Nulla di tutto ciò è, però, ravvisabile nell’impugnato provvedimento.
Né in contrario può rilevare la sussistenza, eccepita dal Comune di Seregno, di un “interesse pubblico, concreto ed ancora attuale alla conservazione del patrimonio comunale, comprensivo delle aree destinate a verde pubblico e parcheggi pubblici” (cfr. pag. 11 della memoria del 29.07.2016).
Si tratta di un pregiudizio potenziale e indimostrato, mentre è stato provato in corso di causa che la paventata lesione sarebbe circoscritta all’occupazione dell’area interrata (per l’estensione di circa 100 mq.).
Va, inoltre, osservato che mentre nella comunicazione di avvio del procedimento (25.01.2012) si è fatto espresso riferimento all’adozione di “successivi provvedimenti atti a ripristinare lo stato dei luoghi”, tale comminatoria non è stata, poi, trasfusa nel provvedimento finale: il che non consente neppure di comprendere quale sia, ad oggi, la posizione dell’Amministrazione circa la possibilità di prendere in esame la cessione a titolo oneroso dell’area illegittimamente occupata dalla società ricorrente, soluzione proposta a fini transattivi per la salvaguardia delle opere nel frattempo ultimate.
Alla luce delle concrete circostanze emerse in giudizio e della possibilità di rimediare all’errore progettuale, si può, pertanto, affermare che nella specie vi sia stata una violazione dei principi che regolano l’esercizio dell’autotutela amministrativa, ma anche del principio di proporzionalità, la quale “non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa ed, in ultima analisi, la rispondenza della stessa alla razionalità ed alla legalità” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26.02.2015, n. 964).
È, conseguentemente, fondato anche il terzo motivo del ricorso principale (riproposto nei motivi aggiunti), con cui la ricorrente ha dedotto il concorso colposo dell’Amministrazione comunale per non aver quest’ultima efficacemente esaminato le tavole progettuali, essendosi appurato che l’errore progettuale fosse palese e quindi tempestivamente riparabile, mentre la prima misura adottata dall’Amministrazione è consistita nell’emissione dell’ordinanza n. 217 del 21.10.2011, con cui si è disposta la sospensione dei lavori.
Il provvedimento impugnato con il ricorso per motivi aggiunti è, poi, riconducibile a un profilo connesso, nel senso che, come esposto dalla difesa dell’Amministrazione comunale, “il locale tecnico previsto fin dalla DIA del 2008 risultava (…) ampliato nelle sue dimensioni al fine di “ospitare” l’impianto di teleriscaldamento, il tutto realizzato sempre al di sotto dell’area pubblica” (cfr. pag. 3 della memoria del 29.07.2016).
Dall’esame degli atti è pacificamente emerso che l’impianto di teleriscaldamento non è stato previsto nel piano di lottizzazione, trattandosi di un’opera programmata a servizio dei residenti delle unità abitative realizzate dalla società ricorrente.
È, però, accaduto che la stessa ricorrente in data 09.05.2012 e il Comune di Seregno in data 05.06.2012 hanno richiesto alla Ge. s.r.l. (società partecipata dall’Amministrazione per la gestione del servizio energetico) dei chiarimenti in ordine alla situazione determinatasi in conseguenza dell’installazione del sopra citato impianto in un’area di proprietà comunale.
In riscontro a tali richieste la partecipata del Comune, con nota dell’11.06.2012, ha comunicato:
   a) che “l’eventuale rimozione del citato locale tecnico e il conseguente spostamento della rete di teleriscaldamento in questione determinerebbe inevitabilmente l’interruzione -per tutta la durata dei lavori a ciò necessari- di un servizio di pubblica utilità, la cui prestazione deve essere svolta senza soluzione di continuità, pena la produzione di evidenti disservizi e disagi nei confronti della collettività servita da tale attività tesa a soddisfare primarie esigenze sociali”;
   b) di aver in precedenza concluso degli specifici accordi con la società ricorrente “in merito alla collocazione delle due centrali termiche a servizio del territorio, (…) assunti al fine di minimizzare i costi di allacciamento praticabili nei confronti dell'utenza finale. In tale prospettiva, va rilevato che i due locali tecnici, uno a servizio del corpo principale di fabbrica e l'altro a servizio della palazzina costruita per essere successivamente ceduta all'amministrazione comunale, risultano praticamente prospicienti. Al contrario, qualora la centrale fosse stata posizionata sul lato ovest anziché sul lato est del fabbricato, ci sarebbe stato un aggravio di costi dovuto a maggiore estensione della rete”;
   c) che lo spostamento della stazione di teleriscaldamento non potrebbe che essere subordinato al preventivo assenso dall’Amministrazione, “trattandosi (…) di attività e oneri non riconducibili alla competenza e alla responsabilità” della stessa Ge.;
   d) che in occasione della realizzazione della rete di teleriscaldamento sono state fornite alla società ricorrente delle “indicazioni allo scopo di consigliare la possibilità di accedere al locale da pubblica via per evitare, in caso di emergenza, di dover intervenire in proprietà privata”;
   e) che, ancora, “le dimensioni del locale tecnico ubicato nel sottosuolo sono quelle indicate dai progettisti di Ge. s.r.l., risultando peraltro le stesse più ampie rispetto a quelle indicate in origine alla scrivente società. A tal ultimo proposito, si segnala che la richiesta di incrementare le dimensioni del predetto locale è legata a valutazioni relative alla necessità di collocare in loco n° 2 sottostazioni di scambio termico, oltre all'esigenza di assicurare la possibilità di effettuare in sicurezza future attività manutentive”.
Nell’impugnato provvedimento si è, però, sostenuto che le precisazioni espresse dalla società Ge. “non paiono pertinenti né valgono a superare la rilevata difformità del progetto al P.L. approvato”, tenuto conto che “le opere difformi sono state eseguite su proprietà comunale e ne impediscono il pieno godimento”.
Ad avviso del Collegio, neppure la motivazione del provvedimento di parziale annullamento del permesso di costruire n. 14/2009 –similmente a quanto rilevato con riguardo al provvedimento impugnato con il ricorso principale– è espressiva di una congrua ponderazione degli interessi coinvolti, soprattutto in ragione delle puntuali osservazioni tecniche contenute nella sopra citata comunicazione della Ge., nella quale, all’opposto, è stata prospettata la tutela di rilevanti interessi pubblici (sicurezza degli impianti, garanzia del pubblico servizio di riscaldamento).
Va, quindi, ritenuto che le ragioni opposte dal Comune di Seregno contrastino con il prevalente orientamento della giurisprudenza, secondo cui “l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 09.05.2012, n. 2683) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 11.10.2016 n. 1833 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

agosto 2016

EDILIZIA PRIVATAAncora di recente qualificata giurisprudenza di primo grado ha confermato che "in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”.
Invero, come è noto, la giurisprudenza ha tracciato uno spartiacque –proprio in materia di titoli edilizi– in punto di esercizio dell’autotutela, ed ha condivisibilmente ritenuto che laddove l’errore in cui è incorsa l’amministrazione procedente fosse stato indotto dalla condotta dell’istante (e non rileva se tale condotta fosse dolosa o semplicemente colposa, preordinata ovvero incolpevole) le complesse valutazioni di interesse pubblico, sottese in via di regola all’esercizio dei poteri di autotutela, non fossero necessarie (anche perché non vi sarebbe nessun affidamento qualificato da tutelare).
Il principio, è stato esposto con chiarezza in una recente decisione che nell’affermare il principio di diritto secondo cui se il permesso di costruire è stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, la p.a. è doverosamente tenuta ad esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso ha chiarito che l’insegnamento giurisprudenziale prevalente ha individuato dei casi in cui la discrezionalità della p.a. in subiecta materia si azzera vanificando sia l’interesse del destinatario del provvedimento ampliativo da annullare sia il tempo trascorso, e ciò si verifica quando il privato istante abbia ottenuto il permesso di costruire inducendo in errore l’Amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà, sicché -anche tenuto conto dell'’art. 21-octies, comma 2, della legge 07.08.1990, n. 241 e ss.mm. (statuente che “…Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”)- vanno disattese le doglianze di carattere formale/procedimentale prospettate.
Questa Sezione, ancor prima, aveva espresso il convincimento a tenore del quale “allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa”.
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4.1. Invero, muovendo per le già chiarite ragioni dall’esame del ricorso in appello n. 4785/2012, in ordine logico appare prioritaria la disamina delle censure esaminabili.
4.2. A tale proposito si evidenzia che parte appellata:
   a) non ha proposto appello incidentale avverso i capi di sentenza a sé sfavorevoli;
   b) costituendosi in data 31.07.2012 ha dichiarato genericamente di volere riproporre i motivi non esaminati dal Tar, non riproponendone il contenuto, né indicando quali essi fossero;
   c) per costante giurisprudenza (tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 02.10.2014, n. 4897) nel processo amministrativo l’esame dei motivi di primo grado assorbiti è consentito al giudice d’appello solo se è vi è stata la loro riproposizione dalla parte interessata, con la specifica indicazione delle censure che intende siano devolute alla cognizione del giudice di secondo grado, all’evidente fine di consentire a quest’ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni e, alle controparti, di contraddire consapevolmente sulle stesse; di conseguenza un rinvio, ove indeterminato, alle censure assorbite ed agli atti di primo grado che le contenevano, senza precisazione del loro contenuto, sarebbe inidoneo ad introdurre nel giudizio d’appello i motivi in tal modo evocati, trattandosi di formula insufficiente a soddisfare l’onere di espressa riproposizione;
   d) non ravvisando il Collegio motivi per discostarsi da tale orientamento, è evidente che l’atto di costituzione del 31.07.2012 è inidoneo a riproporre dette censure assorbite e che pertanto l’unico profilo devoluto alla cognizione del Collegio è rappresentato dall’atto di appello proposto dal Comune.
5. Esso è fondato in quanto:
   a) si deve muovere dal giudicato formatosi proprio sui capi rimasti inoppugnati della detta sentenza, laddove il Tar ha stabilito che è rimasta accertata l’esistenza di un falso presupposto di fatto posto a base della concessione originariamente rilasciata annullata in autotutela dal Comune con il provvedimento impugnato;
   b) l’esistenza di tale falso presupposto, aveva ingenerato l’errore del Comune che aveva rilasciato l’atto ampliativo, e l’errore era stato indotto dalla parte originaria istante;
   c) la sentenza è contraddittoria ed errata, in quanto:
      - muoveva dal convincimento, a più riprese affermato, che l’atto di autotutela dell’Amministrazione si fondasse su un caposaldo fattuale e giuridico corretto, in quanto la concessione ottenuta si fondava su un presupposto insussistente, e, quindi, su un dato falsamente rappresentato al Comune (il termine “falsamente” è qui utilizzato in termini oggettivi, non rilevando se ciò sia avvenuto per errore, superficialità, dolo etc.);
      - tanto ciò è vero che ha respinto tutte le censure proposte dalla originaria parte ricorrente di primo grado tese ad “aggredire” tale profilo motivazionale (e, si ripete, non essendo state articolate censure incidentali avverso detti capi della sentenza essi integrano giudicato);
      - sennonché, pur muovendo da tali presupposti (e, per incidens, pur non costituendo tali profili oggetto di esame diretto, il Collegio non può fare a meno di rilevare la persuasività, in parte qua, del ragionamento del Tar), ha poi del tutto obliato il condivisibile principio, ancora di recente affermato da qualificata giurisprudenza di primo grado (TAR Toscana, sez. III, 27.05.2015, n. 825), secondo il quale “in materia di annullamento d’ufficio di titoli edilizi (nella specie, un’attestazione di conformità in sanatoria), nei casi in cui l’operato dell’Amministrazione sia stato fuorviato dalla erronea o falsa rappresentazione dei luoghi, non occorre una specifica ed espressa motivazione sull’interesse pubblico, che va individuato nell’interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica”.
5.1. Invero, come è noto, la giurisprudenza ha tracciato uno spartiacque –proprio in materia di titoli edilizi– in punto di esercizio dell’autotutela, ed ha condivisibilmente ritenuto che laddove l’errore in cui è incorsa l’amministrazione procedente fosse stato indotto dalla condotta dell’istante (e non rileva se tale condotta fosse dolosa o semplicemente colposa, preordinata ovvero incolpevole) le complesse valutazioni di interesse pubblico, sottese in via di regola all’esercizio dei poteri di autotutela, non fossero necessarie (anche perché non vi sarebbe nessun affidamento qualificato da tutelare).
Il principio, è stato esposto con chiarezza in una recente decisione (TAR Puglia, Lecce, sez. III, 01.12.2014, n. 2969) che nell’affermare il principio di diritto secondo cui se il permesso di costruire è stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, la p.a. è doverosamente tenuta ad esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto stesso ha chiarito che (cfr. ex plurimis anche TAR Puglia, Lecce, sez. I, 04.04.2006, n. 1831) l’insegnamento giurisprudenziale prevalente ha individuato dei casi in cui la discrezionalità della p.a. in subiecta materia si azzera vanificando sia l’interesse del destinatario del provvedimento ampliativo da annullare sia il tempo trascorso, e ciò si verifica quando il privato istante abbia ottenuto il permesso di costruire inducendo in errore l’Amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà, sicché -anche tenuto conto dell'’art. 21-octies, comma 2, della legge 07.08.1990, n. 241 e ss.mm. (statuente che “…Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”)- vanno disattese le doglianze di carattere formale/procedimentale prospettate.
Questa Sezione, ancor prima, (Cons. Stato, sez. IV, 08.01.2013, n. 39) aveva espresso il convincimento a tenore del quale “allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta dall’interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa” (v. capi da 2.1. a 3 da intendersi richiamati nel presente elaborato) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 31.08.2016 n. 3735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

luglio 2016

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Annullamento in autotutela: il "criterio dei 18 mesi" introdotto dalla legge n. 124/2015 e il principio del "tempus regit actum”.
Nel caso di rilascio di un permesso a costruire fondato su una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto da parte del richiedente, appare evidente la sussistenza di una situazione permanente “contra ius”, nella quale la preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non occorre una specifica ed esplicita motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare con l’interesse privato, all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione dell’atto illegittimo va individuato nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Invero, l'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l'induzione in errore dell'amministrazione.
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Il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione sulla base del principio "tempus regit actum", che riguarda un provvedimento adottato nel 2012.
Semmai, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado.
Il profilo di censura attinente alla omessa analisi della possibilità di adottare atti diversi dall’annullamento in via di autotutela (ad esempio, la convalida), sembra poi travalicare i limiti del controllo giudiziale di legittimità demandato a questo giudice amministrativo sconfinando nel merito delle opzioni riservate all’autorità amministrativa.
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6.4. Anche i motivi di appello sub V) e VI) sono infondati e vanno respinti.
6.4.1. Quanto al motivo dedotto sub V), imperniato essenzialmente su eccesso di potere per carenza di motivazione, omessa ponderazione degli interessi in gioco, esorbitanza del provvedimento di annullamento rispetto alle finalità sue proprie e tardività del disposto annullamento d’ufficio, anzitutto, come si è accennato sopra al p. 6.3., nel caso di rilascio di un permesso a costruire fondato su una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto da parte del richiedente, appare evidente la sussistenza di una situazione permanente “contra ius”, nella quale la preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non occorre una specifica ed esplicita motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare con l’interesse privato, all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione dell’atto illegittimo va individuato nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica: conf., su fattispecie analoghe, riguardanti proprio annullamenti d’ufficio di concessioni edilizie, le sentenze Cons. Stato n. 3150 del 2012 e n. 6554 del 2004, alle quali si rinvia anche ai sensi degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc. amm. .
Bene quindi la sentenza impugnata:
   - ha richiamato la giurisprudenza per la quale l'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l'induzione in errore dell'amministrazione…” (cfr. sent. appellata, p. 4.2.); e
   - ha rilevato che il Comune, “nel disporre l'avversato annullamento d'ufficio, ha espressamente evidenziato che il De Iu., con la richiesta di realizzazione del parcheggio pertinenziale pervenuta in data 06.06.2007, prot. n. 6367, che ha prodotto il rilascio del permesso di costruire commissariale del 02.10.2008, ha, tra l'altro, dichiarato 'libera' l'area interessata, producendo un'erronea rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio dell'atto autorizzativo edilizio"; stato dei luoghi contrassegnato, come si è detto, da ingenti opere di sbancamento e di fondazione già eseguite.
A fronte di (dette opere), ha proseguito il Tar, “il ricorrente, nella domanda di permesso di costruire prot. n. 6367 del 06.06.2007, ha infedelmente o erroneamente rappresentato l'area di sedime come 'libera', così inducendo in errore l'amministrazione procedente circa la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 ai fini dell'applicabilità del regime derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali…”.
Inoltre, il contestato annullamento in autotutela, intervenuto circa tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto rilascio del permesso a costruire (anche se pare corretto ricordare che l’avviso di avvio del procedimento è stato comunicato al De Iu. alla fine del mese di marzo del 2012), a differenza di quanto ritiene l’appellante non può considerarsi tardivo.
In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, richiamato dal signor De Iu. nella memoria conclusiva, sulla base del principio “tempus regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012.
Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado (cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni –gennaio 2009/marzo 2005- entro il quale è stato disposto l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012).
Il profilo di censura attinente alla omessa analisi della possibilità di adottare atti diversi dall’annullamento in via di autotutela (ad esempio, la convalida), sembra poi travalicare i limiti del controllo giudiziale di legittimità demandato a questo giudice amministrativo sconfinando nel merito delle opzioni riservate all’autorità amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.07.2016 n. 3403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l'induzione in errore dell'amministrazione…”.
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Il contestato annullamento in autotutela, intervenuto circa tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto rilascio del permesso a costruire, a differenza di quanto ritiene l’appellante non può considerarsi tardivo.
In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, sulla base del principio “tempus regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012.
Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado.
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... per la riforma della sentenza 23.05.2013 n. 2724 del TAR CAMPANIA–NAPOLI - SEZ. VIII,  resa tra le parti, concernente annullamento d’ufficio di permesso di costruire e ordine di ripristino dello stato dei luoghi;
...
6.4.1. Quanto al motivo dedotto sub V), imperniato essenzialmente su eccesso di potere per carenza di motivazione, omessa ponderazione degli interessi in gioco, esorbitanza del provvedimento di annullamento rispetto alle finalità sue proprie e tardività del disposto annullamento d’ufficio, anzitutto, come si è accennato sopra al p. 6.3., nel caso di rilascio di un permesso a costruire fondato su una rappresentazione non veritiera dello stato di fatto da parte del richiedente, appare evidente la sussistenza di una situazione permanente “contra ius”, nella quale la preminenza dell’interesse pubblico è tale per cui non occorre una specifica ed esplicita motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto, da contemperare con l’interesse privato, all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio del titolo edilizio.
L’interesse pubblico alla eliminazione dell’atto illegittimo va individuato nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica: conf., su fattispecie analoghe, riguardanti proprio annullamenti d’ufficio di concessioni edilizie, le sentenze Cons. Stato n. 3150 del 2012 e n. 6554 del 2004, alle quali si rinvia anche ai sensi degli articoli 74 e 88, comma 2, lett. d), del cod. proc. amm..
Bene quindi la sentenza impugnata:
- ha richiamato la giurisprudenza per la quale l'interesse pubblico all'eliminazione dell'atto illegittimo è da considerarsi “in re ipsa” “nelle ipotesi di intervento in autotutela a fronte di una falsa, infedele, erronea o comunque inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell'interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell'adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest'ultimo imputabile non già all'autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l'induzione in errore dell'amministrazione…” (cfr. sent. appellata, p. 4.2.); e
- ha rilevato che il Comune, “nel disporre l'avversato annullamento d'ufficio, ha espressamente evidenziato che il De Iu., con la richiesta di realizzazione del parcheggio pertinenziale pervenuta in data 06.06.2007, prot. n. 6367, che ha prodotto il rilascio del permesso di costruire commissariale del 02.10.2008, ha, tra l'altro, dichiarato 'libera' l'area interessata, producendo un'erronea rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio dell'atto autorizzativo edilizio"; stato dei luoghi contrassegnato, come si è detto, da ingenti opere di sbancamento e di fondazione già eseguite.
A fronte di (dette opere), ha proseguito il Tar, “il ricorrente, nella domanda di permesso di costruire prot. n. 6367 del 06.06.2007, ha infedelmente o erroneamente rappresentato l'area di sedime come 'libera', così inducendo in errore l'amministrazione procedente circa la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 ai fini dell'applicabilità del regime derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali…”.
Inoltre, il contestato annullamento in autotutela, intervenuto circa tre anni e otto mesi dopo l’avvenuto rilascio del permesso a costruire (anche se pare corretto ricordare che l’avviso di avvio del procedimento è stato comunicato al De Iu. alla fine del mese di marzo del 2012), a differenza di quanto ritiene l’appellante non può considerarsi tardivo.
In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, richiamato dal signor De Iu. nella memoria conclusiva, sulla base del principio “tempus regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012.
Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine -ragionevole- entro il quale la Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.
In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado (cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni –gennaio 2009/marzo 2005- entro il quale è stato disposto l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012).
Il profilo di censura attinente alla omessa analisi della possibilità di adottare atti diversi dall’annullamento in via di autotutela (ad esempio, la convalida), sembra poi travalicare i limiti del controllo giudiziale di legittimità demandato a questo giudice amministrativo sconfinando nel merito delle opzioni riservate all’autorità amministrativa.
6.4.2. Con riguardo ai profili di censura sviluppati con il VI motivo di appello:
- sulla omessa segnalazione, nella nota comunale del 28.03.2012 recante avviso di avvio del procedimento di annullamento, del profilo (di motivazione del provvedimento finale) relativo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi, con la conseguente affermata violazione degli articoli 7 e 10-bis della l. n. 241 del 1990, va condiviso il rilievo svolto nella sentenza di primo grado, al p. 5.1., laddove viene rilevato che “in sede di comunicazione di avvio del procedimento di annullamento d'ufficio, l'interessato era stato… reso adeguatamente avveduto della ipotizzata inconfigurabilità dell'area di intervento come 'libera' e delle logiche implicazioni della eventuale comprova di un simile assunto rispetto alla contrastante rappresentazione dello stato dei luoghi fornita con la domanda di permesso di costruire, prot. n. 6367, del 06.06.2007…il contenuto ellittico e fuorviante di quest'ultima è emerso, in maniera chiara e oggettiva, nel corso dell'analitica interlocuzione procedimentale col De Iu., la quale, siccome riguardata in funzione non solo delle prerogative difensive dell'interessato, ma anche dell'apporto collaborativo di quest'ultimo a favore dell'amministrazione, e in quanto ancorata ai canoni di celerità ed efficacia dell'azione amministrativa, ostativi ad una sua degenerazione in un interminabile e sterile confronto dialettico tra privato e autorità, è legittimamente approdata al definitivo e irreversibile convincimento di insussistenza del requisito di 'area libera' ex art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 e, quindi, di infedeltà, erroneità o insufficienza della difforme prospettazione offerta dal ricorrente”;
- quanto infine all’omesso coinvolgimento del commissario “ad acta” nel procedimento conclusosi con l’annullamento in via di autotutela del “permesso commissariale” dell’ottobre del 2008, è il caso di ribadire, con il Tar, che "il commissario “ad acta”, “nominato con decreto del presidente della Provincia di Caserta, prot. n. 41/pres., dell'08.07.2008 ha agito, ai sensi degli artt. 21, comma 2, del d.p.r. n. 380/2001 e 39 della l.r. Campania n. 16/2004, in qualità di organo sostitutivo del competente organo comunale…in virtù (della) disciplina (di cui al menzionato art. 39 della l.r. n. 16 del 2004, nella formulazione applicabile, “ratione temporis”, alla fattispecie in esame), il menzionato commissario ad acta non ha esercitato poteri diversi, concorrenti o supplementari (ad es., consultivi o di controllo), ma si è surrogato in quelli spettanti alla competente (e inadempiente) amministrazione comunale.
Di conseguenza, è da ritenersi che quest'ultima, nel riappropriarsi integralmente e nel riesercitare a pieno titolo i predetti poteri in sede di autotutela, abbia prescisso legittimamente -e cioè senza ledere il principio del 'contrarius actus'- dalla partecipazione procedimentale dell'organo sostitutivo promanante il provvedimento abilitativo posto in annullamento
” (così, in modo testuale, la sentenza impugnata, al p. 5.2.).
In conclusione, l’appello va respinto, con le rettifiche e le precisazioni motivazionale svolte sopra, e l’impugnata sentenza di rigetto del ricorso di primo grado va confermata (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 28.07.2016 n. 3403 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATALa Sezione osserva come il principio di buon andamento impegni la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizzi quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente.
In particolare, mentre l’annullamento “guarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e quindi opera in una logica essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico: esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di annullamento si caratterizza come momento valutativo ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
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Il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente.
L'annullamento è stato, pertanto, connotato dall’art. 21-nonies, come modificato da ultimo dalla Legge 07/08/2015, n. 124, in termini di rinnovata manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità di un interesse pubblico distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata, anche gli interessi di tutte le parti coinvolte e il tempo trascorso dalla determinazione viziata.
Per effetto dell'art. 21-nonies, l'esercizio della potestà di autotutela decisoria richiede non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma anche la sussistenza di un interesse pubblico e la sua comparazione con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto del provvedimento reputato illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo.
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Circa la asserita “non ragionevolezza del termine" per l'annullamento della DIA (8 anni), la Sezione è dell’avviso che, nel caso di annullamento in autotutela di provvedimenti autorizzativi come i permessi di costruire, deve ritenersi sicuramente ragionevole un termine di intervento che non superi, come nella fattispecie, il termine decennale assegnato in generale all’Amministrazione regionale -ex art. 39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre l’annullamento dei titoli edilizi comunali contrastanti con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione.
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Il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza probatoria, perché non costituisce prova né dei diritti reali in esso riportati, né della posizione né della regolarità edilizia.
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... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, del provvedimento n. 16578 del 27/07/2015 di annullamento in autotutela della DIA n. 16065 del 19/09/2007 per l’immobile in Arzano di cui al fl. 5, p.lla 488; dell’ordinanza di demolizione n. 17455 del 06/08/2015; del provvedimento n. 1830 del 19/08/2015 di improcedibilità della SCIA n. 3897 del 20/02/2015.
...
1. Con il ricorso in esame parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 3, 7, 8, 10, 21-quinquies e 21-nonies della Legge n. 241/1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 9 NTA, degli artt. 9 e 27-ter del DPR n. 380/2001, dell’art. 2 della L.R. n. 19/2001, nonché il difetto di istruttoria.
2. La Sezione in via preliminare osserva come il principio di buon andamento impegni la P.A. ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire ed autorizzi quindi anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente (TAR Calabria, Reggio Calabria, 24.10.2007, n. 1077; Cons. Stato, V, n. 508/1999; n. 1263/1996; VI, 29.03.1996, n. 518; 30.04.1994, n. 652).
In particolare, mentre l’annullamentoguarda al passato”, nel senso che costituisce un rimedio volto alla rimozione di un errore commesso nell’esercizio della funzione di primo grado e quindi opera in una logica essenzialmente correttiva dell’azione pubblica, la revoca assume una funzione più propriamente adeguatrice, intesa in termini di attualizzazione delle modalità di perseguimento dell’interesse pubblico specifico di cui occorre seguire la costante dinamica evolutiva.
Pertanto entrambi gli istituti hanno come oggetto immediato del provvedere l’eliminazione di un precedente atto o provvedimento di primo grado cui coniugare l’esigenza di un’azione amministrativa che si ponga pur sempre come cura attuale dell’interesse pubblico: esigenza che, in termini funzionali, nelle ipotesi di annullamento si caratterizza come momento valutativo ulteriore rispetto al mero accertamento dell’illegittimità del provvedimento di primo grado, mentre nei casi di revoca discende proprio dalla necessità di adeguare per il futuro scelte ormai non più idonee ed efficaci, con inevitabile eliminazione dei provvedimenti formali che le contenevano.
2.1 Con riguardo a quanto reclamato da parte ricorrente, il potere di autotutela decisoria in capo all'Amministrazione non ha in verità come unica finalità il mero ripristino della legalità, costituendo una potestà discrezionale che deve contemplare la verifica di determinate condizioni, previste dall'ordinamento e concernenti l'opportunità di correggere l'azione amministrativa svoltasi illegittimamente. L'annullamento è stato, pertanto, connotato dall’art. 21-nonies, come modificato da ultimo dalla Legge 07/08/2015, n. 124, in termini di rinnovata manifestazione, entro un termine ragionevole, della funzione amministrativa.
In tale ambito rilevano, oltre all'attualità di un interesse pubblico distinto ed ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata, anche gli interessi di tutte le parti coinvolte e il tempo trascorso dalla determinazione viziata. Per effetto dell'art. 21-nonies, l'esercizio della potestà di autotutela decisoria richiede non solo l'esistenza di un vizio dell'atto da rimuovere, ma anche la sussistenza di un interesse pubblico e la sua comparazione con gli interessi dei destinatari e dei controinteressati, quando, per effetto del provvedimento reputato illegittimo, siano sorte posizioni giuridiche qualificate e consolidate nel tempo.
3. Ora, con riguardo alla fattispecie in esame, si ritiene di rimarcare che -come evidenziato in sede di consulenza tecnica dalle cui conclusioni non sussistono motivi per discostarsi– il fabbricato di cui fa parte l'immobile in contestazione è stato realizzato con licenza edilizia n. 654/1968 che prevedeva la realizzazione di un fabbricato di sette piani fuori terra oltre il piano cantinato; con successiva variante n. 11/1969 si richiedeva la riduzione del fabbricato nei limiti di altezza e volume con realizzazione di un piano terra destinato all'industria del proprietario e n. 4 piani superiori ad uso residenziale.
Premesso che l’ausiliario non ha potuto visionare le piante allegate alla variante n. 11/1969 che sarebbero state di fondamentale importanza per verificare la corrispondenza con l'attuale stato dei luoghi, si è appurato che non sono state, poi, realizzate altre opere finché il 19/09/2007 con prot. 16065 è stata presentata una D.I.A. per il "cambio di destinazione d'uso del piano ammezzato adibito ad uffici in locali da adibire a scuola media secondaria, il tutto senza opere".
3.1 Dall’esame della documentazione è stato accertato che il piano dove ha sede la scuola –e dunque interessato dalla DIA per cambio di destinazione d’uso- risulta essere il primo del fabbricato, e non l’ammezzato; dalle sezioni della richiamata variante risulta che il piano ammezzato è parte integrante del piano terra in quanto sono visibili il solaio e le scale che consentono l'accesso al detto piano ammezzato, mentre il piano primo, che come risulta dall'autorizzazione di abitabilità presentava solo tre vani destinati a deposito, dalle sezioni sembrerebbe avere una parte destinata ad abitazione con la stessa distribuzione interna dei piani superiori ad uso residenziale.
Quanto a strumentazione urbanistica, nel Comune di Arzano è ancora vigente il Programma di Fabbricazione approvato con D.P.G.R.C. n. 361 del 04/02/1977, ai sensi del quale il suolo su cui ricade l'immobile in oggetto, identificato in Catasto al fl.5 p.lla 448, ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona industriale esistente"; in realtà in sede di consulenza tecnica si è accertato che l'immobile per cui è controversia è inserito in un contesto vario e non prettamente industriale, ove sono ubicati numerosi immobili con diversa destinazione a prevalenza residenziale oltre che commerciale e terziaria (es. negozi, bar e alimentari).
4. Ciò premesso, con riguardo ai quesiti posti dal Tribunale il consulente tecnico ha concluso che l'immobile in oggetto ha la destinazione d'uso "zona I2 - zona industriale esistente" del vigente Programma di Fabbricazione; il cambio di destinazione d'uso ha poi determinato una variazione dei carichi urbanistici e, quindi, la necessità di adeguamento degli standard urbanistici previsti dal decreto ministeriale n. 1444/1968, perché lo stesso è avvenuto tra categorie funzionali tra loro non compatibili (da uso deposito/abitazioni a scuola), ragion per cui detto cambio di destinazione d'uso poteva essere rilasciato solo con un Permesso di costruire ma non con una semplice DIA.
4.1 Il Collegio ritiene in definitiva che, contrariamente a quanto pure asserito diffusamente da parte ricorrente nell’ultima memoria in previsione dell’odierna udienza pubblica, sia stato del tutto legittimo l’operato dell’Amministrazione che -accertata fra l’altro la mancanza agli atti del certificato di agibilità rilasciato al sig. Bi., ritenendo che il silenzio-assenso del Comune non si era perfezionato in maniera amministrativamente corretta e presumendo che alla data della presentazione della DIA i locali in questione erano stati già destinati a scuola- si determinava con il provvedimento impugnato all’annullamento in autotutela della DIA del 19/09/2007.
Effettivamente un cambio di destinazione per un’attività funzionale, peraltro incompatibile con la strumentazione urbanistica e le NTA vigenti all’epoca dei fatti, avrebbe richiesto un apposito Permesso di costruire; ai sensi delle citate NTA, infatti, in zona I2 non sarebbe stato possibile realizzare alcuna scuola privata, né mutare la destinazione d’uso di un opificio industriale in una scuola secondaria, cioè in una attività commerciale, che peraltro richiede la realizzazione di parcheggi privati.
Sotto altro profilo, circa la asserita “non ragionevolezza del termine" per l'annullamento della DIA (8 anni), la Sezione è dell’avviso che, nel caso di annullamento in autotutela di provvedimenti autorizzativi come i permessi di costruire, deve ritenersi sicuramente ragionevole un termine di intervento che non superi, come nella fattispecie, il termine decennale assegnato in generale all’Amministrazione regionale -ex art. 39 del D.P.R. n. 380/2001- per disporre l’annullamento dei titoli edilizi comunali contrastanti con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione (cfr. Cons. Stato, IV, 03.08.2010, n. 5170; TAR Campania, Napoli, I, 16.09.2015, n. 4553; VIII, 02.07.2014, n. 3608).
4.2 Con riguardo ai rilievi mossi da parte ricorrente alla relazione del CTU, il Collegio evidenzia –se necessario- che il Catasto nel nostro ordinamento non ha valenza probatoria, perché non costituisce prova né dei diritti reali in esso riportati, né della posizione né della regolarità edilizia.
Ora parte ricorrente nella fattispecie allega le planimetrie catastali del piano terra e dell’ammezzato come presentate dopo le variazioni del 1994, nonché quella attuale del piano primo presentata nel 2014, ma non anche le planimetrie originarie con la consistenza del piano primo che consentirebbero un raffronto con lo stato attuale.
Non possono ritenersi smentite le circostanze che parte del piano primo era destinata ad abitazione con la stessa distribuzione interna dei piani superiori ad uso residenziale e che, pur volendo considerare solo le destinazioni d'uso assentite con l'Abitabilità n. 39/1973, al primo piano sede della scuola risultavano solo n. 3 vani per deposito e dunque, per adibire detti 3 vani a scuola, occorrevano delle opere anche rilevanti che necessitavano di Permesso di costruire.
In ogni caso, ove fossero stati presenti solo vani deposito, è indubbio che la nuova destinazione d'uso impressa all'immobile -ovvero di una scuola con la presenza di ben 160 studenti e 32 dipendenti– ha comportato una variazione del carico urbanistico rispetto alla precedente destinazione d'uso, con aggravio in termini di viabilità, trasporto pubblico e fognature, con necessità di presentare una richiesta di Permesso di costruire.
In definitiva, la carenza della specifica destinazione urbanistica del fabbricato -carenza derivante dalla riscontrata correttezza del provvedimento di annullamento della DIA- è, appunto, ostativa allo svolgimento della predetta attività per come estranea alla sua destinazione.
Quanto, poi, all’obiezione della difesa del Comune circa la tipologia del Permesso di costruire che si sarebbe dovuto richiedere, va ricordato che costituiva oggetto del mandato il quesito circa la compatibilità dell’opera con una DIA ovvero con un Permesso di costruire, senza specificarsi se quest’ultimo dovesse essere ordinario, in deroga o in sanatoria; in ogni caso il Collegio ritiene che, anche per le lacune presenti nella documentazione tecnica reperita, sono state sicuramente realizzate opere non autorizzate precedentemente e, pertanto, non è possibile avvalorare l'ipotesi di un Permesso di costruire in deroga ai sensi dell'art. 14 DPR n. 380/2001.
5. In conclusione, per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato per come infondato (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 05.07.2016 n. 3335 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

maggio 2016

EDILIZIA PRIVATAAutotutela ok senza fronzoli. Pochi i presupposti per l'attivazione.
In considerazione del breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio del permesso di costruire e la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento, è da ritenersi sufficiente, quale presupposto per l'esercizio del potere di autotutela, l'esigenza di ripristino della legalità e una motivazione che faccia unicamente riferimento alla disposizione violata.

È quanto ribadito dai giudici della I Sez. del TAR Campania-Salerno con la sentenza 25.05.2016 n. 1304.
Inoltre, l'orientamento giurisprudenziale (Tar Lecce (Puglia), Sez. III, 06/06/2008, n. 1680) richiamato dai giudici campani, continua affermando che: «Allorché non si è ingenerato alcun legittimo affidamento nel destinatario del provvedimento poiché l'annullamento d'ufficio interviene a breve distanza di tempo dall'adozione del provvedimento illegittimo, infatti, non è necessaria una penetrante motivazione sull'interesse pubblico all'annullamento, né una comparazione di tale interesse con l'interesse privato sacrificato».
È stato, altresì rimarcato che in presenza di un remoto avviso dell'inizio del procedimento, finalizzato all'annullamento della sola concessione edilizia in sanatoria, s'era evidentemente consolidato un affidamento, da parte del soggetto, circa l'implicita archiviazione del procedimento medesimo perché «un lasso temporale così abnormemente dilatato, rispetto alla prefigurata scadenza mensile del medesimo, finisce per aggirare, di fatto, e frustrare completamente la funzione, cui l'atto dovrebbe essere vocato, vale a dire quella di porre il destinatario in condizione di interloquire con l'amministrazione, circa i concreti contenuti del provvedimento conclusivo da adottarsi».
Pertanto l'amministrazione comunale, prima di riattivare il procedimento deve inviare un nuovo avviso d'avvio del relativo procedimento, senza il quale la determina finale si palesa come illegittima (articolo ItaliaOggi Sette del 06.06.2016).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato.
Sviluppando talune delle argomentazioni, già fondanti l’accoglimento della domanda cautelare di parte ricorrente, il Collegio ritiene come carattere dirimente, con assorbimento d’ogni altra doglianza, rivesta, nel caso in esame, la considerazione della censura d’omessa comunicazione d’avvio del procedimento, omissione alla quale deve essere equiparata, ad avviso del Tribunale, una comunicazione d’avvio del procedimento inviata, come nella specie, con un intervallo di tempo, rispetto all’adozione dell’atto conclusivo del procedimento, talmente ampio (si tratta, nella specie, di ben sei anni), da risultare, ormai, la stessa, come “inutiliter data”.
La comunicazione in questione veniva trasmessa dal Comune di Eboli al ricorrente, specificamente, con nota, prot. 39581 del 29.10.2008.
Pienamente condivisibili si palesano, in particolare, le deduzioni difensive contenute in ricorso, in cui s’è giustamente osservato come,
a fronte di siffatto, remoto, avviso dell’inizio del procedimento, finalizzato all’annullamento (tra l’altro) della sola concessione edilizia in sanatoria n. 724/22897/94 del 12.12.1997 (laddove il provvedimento, odiernamente gravato, ha decretato l’annullamento anche degli “atti successivi alla concessione de quo e, nello specifico, il permesso di costruire n. 54/2003 del 23.12.2003”), s’era evidentemente consolidato un affidamento, da parte del ricorrente, circa l’implicita archiviazione del procedimento medesimo (tanto più che, nel testo della citata comunicazione, prot. 39581/2008, si asseriva che lo stesso si sarebbe concluso, “entro trenta giorni dalla data di ricezione della presente”).
Orbene,
non è chi non veda come tale termine di giorni trenta non potesse, evidentemente, essere considerato perentorio; ma al contempo è altrettanto intuitivo che un lasso temporale così abnormemente dilatato, rispetto alla prefigurata scadenza mensile del medesimo, finisce per aggirare, di fatto, e frustrare completamente la funzione, cui l’atto dovrebbe essere vocato, vale a dire quella di porre il destinatario in condizione di interloquire con l’Amministrazione, circa i concreti contenuti del provvedimento conclusivo da adottarsi.
Sicché va sottoscritta l’ulteriore considerazione difensiva del ricorrente, secondo la quale –posto che la suddetta, risalente, comunicazione ex art. 7 l. 241/1990 era ormai, per le ragioni dianzi espresse, divenuta inefficace–
l’Amministrazione Comunale, prima di riattivare il procedimento (tra l’altro con oggetto più ampio, rispetto a quello previsto nel 2008), avrebbe dovuto inviargli un nuovo avviso d’avvio del relativo procedimento, senza il quale la determina finale si palesa come illegittima.
Né, tampoco, l’Amministrazione Comunale, nella propria memoria difensiva, ha contrastato tali pregnanti deduzioni di parte ricorrente, ovvero ha ritenuto d’invocare l’efficacia sanante delle violazioni formali, ex art. 21-octies della l. 214/1990, onde nessuna particolare motivazione deve spendersi sul punto.
L’abnormità del lasso temporale trascorso (tra avviso previsto dalla legge e atto conclusivo del procedimento) rende, poi, addirittura impensabile che l’Amministrazione potesse appellarsi a ragioni d’urgenza, onde giustificare l’omissione dell’adempimento partecipativo de quo.
In giurisprudenza, a conferma di quanto sopra considerato, si tenga presente, a contrario, la massima seguente: “
In considerazione del breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio del premesso di costruire e la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento, è da ritenersi sufficiente, quale presupposto per l’esercizio del potere di autotutela, l’esigenza di ripristino della legalità ed una motivazione che faccia unicamente riferimento alla disposizione violata. Allorché non si è ingenerato alcun legittimo affidamento nel destinatario del provvedimento poiché l’annullamento d’ufficio interviene a breve distanza di tempo dall’adozione del provvedimento illegittimo, infatti, non è necessaria una penetrante motivazione sull’interesse pubblico all’annullamento, né una comparazione di tale interesse con l’interesse privato sacrificato” (TAR Lecce (Puglia), Sez. III, 06/06/2008, n. 1680).
Quanto, poi, alla necessità d’inviare la comunicazione, ex art. 7 l. 241/1990, al destinatario dell’atto (adempimento nella specie, giusta quanto rilevato in precedenza, sostanzialmente omesso), si consideri l’ulteriore decisione che segue: “
Il principio della previa comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7 l. 07.08.1990 n. 241), che è di portata generale, opera a maggiore ragione quando la p.a. adotta un provvedimento all’esito di un procedimento c.d. di secondo grado, annullando o revocando un precedente atto amministrativo favorevole al ricorrente specie a distanza di 4 anni durante i quali si è creato un legittimo affidamento per l’interessato” (TAR Toscana, Sez. III, 06/12/2005, n. 8234).

marzo 2016

EDILIZIA PRIVATA: Titoli edilizi, primi stop all’autotutela. I giudici dichiarano illegittimo l’intervento correttivo della Pa arrivato oltre i 18 mesi.
Procedimento amministrativo. Il nuovo limite introdotto dalla riforma Madia fissa il periodo entro cui si possono annullare gli atti.
Limite d’intervento per la pubblica amministrazione. Con la sentenza 17.03.2016 n. 351, il TAR Puglia-Bari -Sez. III- ha dichiarato illegittimo il provvedimento di autotutela (previsto dall’articolo 21-nonies della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo) adottato oltre il termine di 18 mesi, con il quale un Comune aveva annullato il permesso di costruire rilasciato in precedenza ad una società immobiliare.
La sentenza rappresenta una delle prime applicazioni giurisprudenziali delle novità introdotte dalla legge Madia (124/2015) sulla riorganizzazione della Pa. E la nuova normativa assume particolare rilievo in materia edilizia, dove sussiste la necessità di trovare un equilibrio tra l’esigenza di assicurare il rispetto della legalità e quella di garantire la stabilità dei rapporti e degli investimenti.
Soprattutto negli interventi avviati in seguito alla presentazione di una Scia, l’operatore si trova spesso in una situazione di incertezza, perché la Pa ha il potere di annullare la segnalazione certificata (o la Dia nei residui casi in cui è ancora prevista), d’ufficio o su richiesta dei terzi, anche a distanza di anni dal completamento dei lavori.
In virtù della legge Madia, dopo la scadenza del termine di 30 giorni stabilito per l’esercizio ordinario dei poteri inibitori e/o repressivi sugli interventi eseguiti tramite Scia (articolo 19, comma 6-bis, della legge 241/1990), la Pa può annullare questo titolo soltanto entro 18 mesi dalla sua formazione. Il medesimo termine, come ovvio, deve essere rispettato anche nel caso in cui la Pa intervenga su un titolo edilizio rilasciato (ad esempio, un permesso di costruire).
Questi 18 mesi previsti per l’esercizio dei poteri di autotutela rappresentano il periodo massimo entro il quale la Pa può intervenire per annullare d’ufficio un provvedimento illegittimo: non si può quindi escludere che, sulla base delle singole circostanze, il termine “ragionevole” possa essere ritenuto ancora più breve (sul punto si veda la sentenza 14.01.2016 n. 47 del TAR Puglia-Bari, Sez. III).
Il nuovo sbarramento temporale, che trova certamente applicazione per i provvedimenti adottati successivamente all’entrata in vigore della riforma Madia, è comunque rilevante per valutare -sotto il profilo della ragionevolezza del termine- la legittimità dei provvedimenti di autotutela adottati sotto la previgente disciplina (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 24.02.2016 n. 984; TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 03.03.2016 n. 430).
Gli ulteriori presupposti che legittimano l’esercizio del potere di autotutela non sono stati invece modificati dalla legge. Quindi, per poter procedere all’annullamento di un provvedimento illegittimo (ossia adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza) è necessaria:
- la sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
- la circostanza che l’autotutela intervenga entro un termine comunque “ragionevole” (ora appunto fissato al massimo in 18 mesi);
- la necessaria considerazione degli interessi dei destinatari e dei contro-interessati.
Nell’ambito dei provvedimenti adottati in violazione di legge, è opportuno anche segnalare che con l’ordinanza 22.03.2016 n. 185 il TAR Marche ha rimesso alla Corte di giustizia europea la questione relativa alla compatibilità con il diritto comunitario dei provvedimenti di Via (valutazione impatto ambientale) adottati successivamente alla realizzazione dell’impianto soggetto alla valutazione stessa (cd. Via postuma).
La soluzione del quesito è di sicuro interesse per tutti i progetti che, realizzati senza esser stati preventivamente sottoposti alla procedura ambientale, siano oggetto di provvedimenti di demolizione.
 
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Se si dichiara il falso il potere di controllo non ha scadenza. Casi particolari. Sono fatte salve le sanzioni penali.
Il potere di autotutela della pubblica amministrazione può essere esercitato oltre il termine dei 18 mesi solo in alcuni casi particolari. Quando cioè il titolo da annullare sia stato ottenuto sulla base di false rappresentazioni dei fatti oppure di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci, per effetto di condotte costituenti reato e accertate con sentenza passata in giudicato. La deroga è stata inserita dalla riforma Madia al comma 2-bis dell’articolo 21-nonies della legge 241/1990.
In questo comma il legislatore ha letteralmente chiarito che le amministrazioni “possono” e non “devono” annullare i provvedimenti ottenuti in modo illecito: ciò porta a ritenere che anche in tale ipotesi l’autotutela non sia un atto dovuto, ma preveda comunque la sussistenza degli ulteriori presupposti indicati dall’articolo 21-nonies.
Nella parte finale del comma 2-bis, si fa comunque salva l’applicazione delle sanzioni penali e delle ulteriori sanzioni contemplate dal capo VI del Dpr 445/2000 (Testo unico in materia di documentazione amministrativa) tra le quali è espressamente previsto che, nel caso di false dichiarazioni rese alla Pa, il dichiarante decada dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base delle stesse dichiarazioni (articolo 75).
Il legislatore sembra così aver voluto evitare che la novità normativa, finalizzata a tutelare chi abbia fatto legittimo affidamento su un titolo edilizio rilasciato (nel caso di permesso di costruire) o non contestato entro 30 giorni (nel caso di Scia) dall’autorità competente, possa essere utilizzata da coloro che, confidando nell’inerzia o nel mancato controllo della Pa, ottengano l’abilitazione sulla base di irregolari dichiarazioni o rappresentazioni dei fatti.
La medesima finalità è perseguita anche all’articolo 21, comma 1, della legge 241/1990, dove è espressamente previsto che la Scia, o il titolo edilizio ottenuto con il silenzio-assenso, non produce gli effetti previsti dalla legge se è stato formato sulla base di dichiarazioni false o mendaci. In questo caso, il titolo non produce alcun effetto giuridicamente rilevante (e infatti la norma stabilisce che «non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge»): quindi la pubblica amministrazione potrà adottare tutti i provvedimenti necessari per ripristinare la legalità violata, anche al di fuori del limite temporale e dei presupposti indicati dall’articolo 21-nonies.
Resta infine da evidenziare il mancato coordinamento della riforma con quanto stabilito dall’art. 39 del Testo unico edilizia, Dpr 380/2001 (“Annullamento del permesso di costruire da parte della regione”), che continua a prevedere il potere regionale di eliminare, entro 10 anni dalla loro adozione, i provvedimenti comunali che autorizzano interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi, o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia (articolo Il Sole 24 Ore del 09.05.2016 - tratto da www.centrostudicni.it).

EDILIZIA PRIVATA: Attesa la perentorietà del temine ex art. 21-nonies l. n. 241/1990, è illegittimo il provvedimento di autotutela (di annullamento del permesso di costruire) intervenuto oltre i 18 mesi di legge.
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... per l'annullamento, previa sospensiva, della nota prot. n. 63548 del 19.11.2015 del Dirigente del Settore Edilizia Pubblica e Privata e Servizi Catastali del Comune di Barletta, notificata il 20 successivo, recante annullamento, in autotutela, del permesso di costruire n. 133 del 01.04.2014, rettificato il 14.04.2014, rilasciato alla società ricorrente Immobiliare MV srl.
...
La società odierna ricorrente impugna la rimozione in autotutela del permesso di costruire (PdC) n. 133 del 01.04.2014, rettificato il 14.04.2014.
Deduce vari profili di censura, tra cui quello di tardività dell’esercizio del potere di autotutela, essendo questo intervenuto il 19.11.2015, ovverosia, oltre il termine di 18 mesi contemplati dall’art. 21-nonies, novellato dalla L. n. 124/2015 (entrata in vigore il 28.08.2015), dunque, già in vigore -ratione temporis- al momento dell’adozione dell’atto di secondo grado.
Resiste al ricorso il Comune intimato, sostenendo, quanto al profilo di censura appena evidenziato, che il termine di cui all’art. 21-nonies cit. sarebbe stato, comunque, rispettato, attesa la tempestiva adozione della nota n. 52811 del 01.10.2015.
All’udienza del 10.03.2016, dopo ampia discussione delle parti che hanno invocato la definizione con sentenza breve della controversia, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
E’ fondato il profilo di doglianza appena evidenziato.
La nota n. 52811 del 01.10.2015 consiste pacificamente nella comunicazione di avvio del relativo procedimento di autotutela.
Essa non può valere a ritenere rispettato il termine indicato dalla disposizione novellata, in quanto il tenore letterale della stessa rinvia chiaramente, a tal fine, all’adozione effettiva del provvedimento di autotutela (“Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio….”).
Nel medesimo senso depone l’interpretazione logico-sistematica, in quanto, ritenere sufficiente l’adozione della comunicazione di avvio del procedimento, per il rispetto del termine normativamente imposto, conduce a ritenerlo, di fatto, non perentorio ai fini dell’adozione dell’atto definitivo di autotutela.
Una siffatta conclusione esegetica si sostanzierebbe in una interpretazione sostanzialmente abrogativa della novella.
Ritenuta, dunque, la insufficienza della comunicazione di avvio del procedimento, non può che rilevarsi che il provvedimento di autotutela è intervenuto oltre il termine dei 18 mesi (il PdC rettificato è del 14.04.2014, mentre il provvedimento di annullamento è datato 19.11.2015).
Esso, dunque, attesa la perentorietà del suddetto temine (v. sentenza di questa Sezione n. 47/2016), è illegittimo in quanto tardivo e va, pertanto, annullato (
TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 17.03.2016 n. 351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’art 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha codificato il risalente principio giurisprudenziale per cui un provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Si tratta, quindi, dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, rispetto al quale l’amministrazione è tenuta a motivare sulle ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, ciò in particolare quando sia trascorso un lungo lasso temporale dalla sua adozione, come nel caso di specie.
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Il provvedimento impugnato ha considerato quale unico presupposto la illegittimità del provvedimento annullato, senza alcuna valutazione né del tempo particolarmente lungo trascorso (quasi quindici anni dal rilascio della concessione edilizia), né dell’interesse pubblico attuale all’esercizio dell’autotutela e all’affidamento del privato, considerato anche che nel frattempo gli immobili sono stati alienati a terzi sulla base della concessione edilizia rilasciata dal Comune.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che il provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in capo ai medesimi.
In materia edilizia, l’annullamento in autotutela di titoli edilizi illegittimamente rilasciati è considerato in maniera più rigorosa; infatti, in base ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, l’annullamento di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.

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... per l'annullamento della determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1465/2014 prot. 151777, avente ad oggetto il procedimento di annullamento in autotutela della concessione edilizia n. 80 del 26/01/2000;
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1. Con il presente ricorso è stato impugnato il provvedimento dell’08.10.2014 con il quale il dirigente dell’Ufficio Permessi di Costruire del Dipartimento Programmazione ed Attuazione Urbanistica di Roma Capitale ha annullato in autotutela la concessione edilizia rilasciata il 26.01.2000 al sig. Pa.Pe. e successivamente trasferita, a seguito della permuta del terreno con edificio da costruire, alla Ga.Do. s.r.l., per la realizzazione di un fabbricato di civile abitazione composto da quattro unità immobiliari a schiera in via Gravedona, località Mazzalupetto.
Il provvedimento di autotutela è basato sulla ritenuta erroneità del calcolo della superficie fondiaria utile per definire la volumetria da realizzare, dovuta alla non conformità della rappresentazione grafica del lotto interessato, rappresentata dal progettista, alle tavole del piano particolareggiato Palmarola Selva Nera adottato il 26.04.1999 e al perimetro delle zone O riportato nella delibera di giunta regionale n. 4777 del 1983.
Ciò ha comportato, secondo la ricostruzione degli uffici comunali, un aumento della cubatura oggetto della concessione edilizia pari a complessivi metri cubi 120,20, di cui con il provvedimento di autotutela si è anche ordinata la demolizione.
Il provvedimento in questione dà atto che la comunicazione di avvio del relativo procedimento era stata inviata con nota n. 49325 del 2008; che successivamente sia il Pe. che la società costruttrice Ga.Do., avevano prodotto documentazione contestando la circostanza relativa all’erroneo calcolo della superficie fondiaria e quindi della volumetria consentita e comunque avevano proposto la cessione a Roma Capitale della sede stradale di via Gravedona e della cubatura proveniente da altro lotto del medesimo piano particolareggiato; che il responsabile del procedimento con nota del 16.05.2013 si era espresso nel senso della chiusura del procedimento con la conferma della validità della concessione edilizia n. 80 del 2000; che con nota del 23.07.014, era stata richiesta documentazione relativa alla stipula dell’atto di cessione e all’acquisizione dei diritti edificatori a cui era subordinata la conferma di validità della concessione edilizia; fa inoltre riferimento ad una nota del 31.07.2014 del Tribunale civile di Roma.
Sostanzialmente il provvedimento di autotutela è basato sulla richiesta di documentazione inviata il 23.07.2014 relativa alla acquisizione di ulteriori diritti edificatori e cessione della strada a cui non è dato riscontro e alla nota del Tribunale civile (che riguarda il giudizio civile proposto dalla attuale proprietaria di un appartamento del complesso immobiliare nei confronti del ricorrente e della società Ga.Do.).
Avverso il provvedimento di autotutela, la società Ga.Do., avente causa dell’originario titolare del titolo edilizio e costruttrice dell’immobile, ha proposto i motivi in diritto così rubricati:
1) violazione dei principi sottesi alla legge 07.08.1990, n. 241, in particolare degli artt. 2, 7 e 21-nonies, in materia di esercizio del potere amministrativo per difetto di istruttoria; eccesso di potere ed eccessiva durata del procedimento di autotutela;
2) violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 in materia di legittimo affidamento indotto da Roma Capitale, eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria e travisamento dei fatti;
3) violazione dell’art. 38 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380; eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria.
2. Si è costituita in giudizio Roma Capitale, resistendo al ricorso.
3. Il ricorso è stato chiamato per la discussione all’udienza pubblica del giorno 11.12.2015 e quindi trattenuto in decisione.
4. Il ricorso è fondato.
L’art 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha codificato il risalente principio giurisprudenziale per cui un provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Si tratta, quindi, dell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, rispetto al quale l’amministrazione è tenuta a motivare sulle ragioni di interesse pubblico alla rimozione dell’atto, ciò in particolare quando sia trascorso un lungo lasso temporale dalla sua adozione, come nel caso di specie.
Il provvedimento impugnato ha considerato quale unico presupposto la illegittimità del provvedimento annullato, senza alcuna valutazione né del tempo particolarmente lungo trascorso (quasi quindici anni dal rilascio della concessione edilizia), né dell’interesse pubblico attuale all’esercizio dell’autotutela e all’affidamento del privato, considerato anche che nel frattempo gli immobili sono stati alienati a terzi sulla base della concessione edilizia rilasciata dal Comune.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che il provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all'annullamento nonché alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell'affidamento insorto in capo ai medesimi (Consiglio di Stato n. 2468 del 2014; n. 2567 del 2012).
In materia edilizia, l’annullamento in autotutela di titoli edilizi illegittimamente rilasciati è considerato in maniera più rigorosa; infatti, in base ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, l’annullamento di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (Consiglio di Stato n. 562 del 2015; n. 4982 del 2011; n. 7342 del 2010).
Nel caso di specie, peraltro, si tratta dell’annullamento in via di autotutela di una concessione edilizia rilasciata nel 2000 (sulla valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del provvedimento, nel caso del lungo tempo trascorso dall’adozione delle concessioni annullate cfr. di recente Consiglio di Stato n. 5625 del 2015).
Inoltre, il procedimento di verifica della concessione edilizia è stato avviato dal Comune nel 2008 e fino al 2014 è stato portato avanti con la partecipazione delle parti private, compresi, oltre al ricorrente e alla società costruttrice, gli attuali proprietari degli immobili, per giungere ad una soluzione della questione, come risulta anche dalle riunioni tenutesi nel 2011 (cfr. verbali del 20.05.2011 e del 10.06.2011) presso gli uffici comunali.
Nello stesso provvedimento impugnato si dà espressamente atto della nota del 06.05.2013 con cui il responsabile del procedimento ha proposto la chiusura del procedimento con la conferma della validità della concessione edilizia n. 80 del 2000; e della nota del 23.07.2014, quindi di pochi mesi precedente al provvedimento impugnato, nella quale il Comune si esprime nel senso della validità della concessione edilizia n. 80, condizionandola alla cessione delle aree e alla acquisizione dei diritti edificatori. Della ricezione di tale ultima nota -a cui, secondo il Comune, non sarebbe stato dato riscontro- da parte dell’odierna ricorrente il Comune non ha dato alcuna prova agli atti del presente giudizio.
Il provvedimento di annullamento, oltre che privo di motivazione circa l’interesse pubblico ed attuale anche in relazione al tempo trascorso e all’affidamento dei privati, appare quindi anche in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa, tenuto conto dei precedenti atti degli stessi uffici comunali e dell’affidamento ingenerato circa l’esito del procedimento avviato nel 2008.
La illegittimità del provvedimento di autotutela comporta la illegittimità derivata anche dell’ordine di demolizione (TAR Lazio-Roma, Sez. II-quater, sentenza 14.03.2016 n. 3177 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il lungo lasso di tempo trascorso dai provvedimenti autorizzatori, il numero degli stessi e la natura economico-imprenditoriale dell’attività esercitata dalla ricorrente depongono per l’applicazione del principio dell’affidamento, il quale appunto, in questa materia, “tutela la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, ammettendo la rimozione di una situazione di vantaggio, attribuita ad un privato da un atto amministrativo specifico, soltanto al ricorrere di determinate condizioni: fra queste ultime, rientra un intervallo di tempo tale da non ingenerare nel privato la convinzione circa la stabilità del rapporto”.
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L’A.C. trascurava di considerare come ormai, a distanza di più di dieci anni dal proprio, reiterato errore e in presenza di un’attività economica consolidata e dal 2010 significativamente ampliata, il riferimento al tema del corretto rapporto tra l’attività ricettiva e quella agricola, in origine certamente decisivo, non era più sufficiente a giustificare la rimozione dell’atto, la quale doveva rispondere “a un interesse pubblico non solo attuale e concreto ma anche prevalente rispetto ad altri interessi a favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale”.

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... per l’annullamento:
- della nota prot. n. 10080 del 25.05.2015, successivamente ricevuta, con la quale si comunica l’avvio del procedimento di annullamento dell’autorizzazione n. 17/04 e si invita la ricorrente a limitare l’ospitalità agrituristica a n. 40 posti letto;
- del provvedimento prot. n. 12653 del 29.06.2015, successivamente conosciuto, avente a oggetto <<Difformità numerica della capacità ricettiva in attività agrituristica ‘Bo.Ma.’ con sede in Melendugno alla Strada Comunale Bosco Coppola, frazione Borgagne. Comunicazioni di rilascio di nuova autorizzazione>>;
- di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
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3.- Considerato che:
- l’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, nella formulazione vigente all’epoca della d.d. impugnata, prevedeva che “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’ articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”;
- alla “stregua di tale previsione normativa [l’art. 21-nonies, ndr], che ha peraltro codificato il consolidato orientamento già precedentemente espresso dalla giurisprudenza, l’annullamento del provvedimento amministrativo richiede, oltre all’illegittimità dell’atto, anche la sussistenza dell’interesse pubblico alla sua rimozione. Quest’ultimo deve, poi, trovare adeguata evidenziazione, mediante un’idonea motivazione, che dia conto della ponderazione degli interessi in gioco, inclusi quelli dei destinatari dell’atto e dei controinteressati, anche alla luce del tempo trascorso dall’adozione del provvedimento […]".
E invero, la regola di cui all’articolo 21-nonies della legge n. 241 del 1990 non soffre eccezioni -in linea di principio- neppure nel caso in cui vengano in considerazione interessi di particolare rilievo, quale quello attinente alla tutela del paesaggio (cfr. in questo senso Cons. Stato, Sez. VI, 20.09.2012, n. 4997).
La posizione di preminenza che l’interesse assume nell’ambito dell’ordinamento giuridico, in considerazione della sua consistenza di valore costituzionalmente primario (C. cost. n. 367 del 2007, Id. n. 182 del 2006, Id. n. 151 del 1986), può invero attenuare l’onere motivatorio incombente sull’Amministrazione in sede di annullamento in autotutela dell’atto ampliativo, fino a rendere tale onere minimo in certe ipotesi (specialmente in presenza di opere di rilevante impatto o di interventi eseguiti in aree di pregio particolarmente importante).
Tuttavia, <<tale preminenza non può elidere del tutto la necessità che sia data evidenza del compimento di una ponderazione idonea a mettere in luce la preminenza dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento dell’atto autorizzatorio illegittimamente rilasciato rispetto agli altri contrapposti interessi>> (TAR Lombardia Milano, II, 13.08.2015, n. 1896).
- l’art. 6, comma 1, lettera d), numero 1), della legge 07.08.2015, n. 124, inoltre, apportava all’art. 21-nonies le seguenti modificazioni: “al comma 1, dopo le parole: <<entro un termine ragionevole>> sono inserite le seguenti: <<, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici […]>>; e se è vero che la novella non era ratione temporis applicabile alle determinazioni impugnate, deve però ritenersi, in conformità alla preferibile giurisprudenza, che il previsto sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela sia comunque rilevante “ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti” (così Consiglio di Stato, VI, 10.12.2015, n. 5625).
4.- Ritenuto che, nel caso in esame:
- il lungo lasso di tempo trascorso dai provvedimenti autorizzatori, il numero degli stessi e la natura economico-imprenditoriale dell’attività esercitata dalla ricorrente depongono per l’applicazione del principio dell’affidamento, il quale appunto, in questa materia, “tutela la certezza e la stabilità dei rapporti giuridici, ammettendo la rimozione di una situazione di vantaggio, attribuita ad un privato da un atto amministrativo specifico, soltanto al ricorrere di determinate condizioni: fra queste ultime, rientra un intervallo di tempo tale da non ingenerare nel privato la convinzione circa la stabilità del rapporto” (Consiglio di Stato, IV, 16.04.2015, n. 1953).
- a fronte di una serie di atti con i quali l’A.C. autorizzava la società per 74 posti letto neppure può ritenersi che tale legittimo affidamento fosse escluso dal diverso, e più limitato, disposto del certificato regionale, ben potendo il privato non aver colto tutte le implicazioni che, sul piano amministrativo, siffatto contrasto comportava.
- l’A.C., peraltro, pur avendo evidenziato la portata per essa vincolante della certificazione regionale, trascurava di considerare come ormai, a distanza di più di dieci anni dal proprio, reiterato errore e in presenza di un’attività economica consolidata e dal 2010 significativamente ampliata, il riferimento al tema del corretto rapporto tra l’attività ricettiva e quella agricola, in origine certamente decisivo, non era più sufficiente a giustificare la rimozione dell’atto, la quale doveva rispondere “a un interesse pubblico non solo attuale e concreto ma anche prevalente rispetto ad altri interessi a favore della sua conservazione e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale” (TAR Calabria Catanzaro, II, 08.04.2015, n. 609).
5.- Ritenuto che il ricorso deve dunque essere accolto, ferma restando, ovviamente, la necessità che, salvo il profilo fin qui delineato, l’attività della società Ma. sia in linea con tutta la normativa di settore applicabile alle sue effettive dimensioni (
TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 03.03.2016 n. 430 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

febbraio 2016

EDILIZIA PRIVATA: Sotto l’ulteriore profilo considerato (relativo all’interesse pubblico all’annullamento), va detto che l’art. 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241 (nel testo vigente all’epoca di adozione del provvedimento) disponeva che: <<Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge>>.
La norma è espressione di un principio volto alla composizione di tutti gli interessi che vengono in rilievo, esigendo che la P.A. dia adeguata contezza delle ragioni sottostanti all’annullamento d’ufficio, in termini di interesse pubblico attuale e prevalente, nei casi in cui il tempo trascorso abbia ingenerato nel destinatario un concreto affidamento nel consolidamento della situazione che la stessa P.A. ha assentito.
A rafforzare il principio già contenuto dall’origine nell’art. 21-nonies, dandovi concretezza, non può essere trascurato che l’attuale formulazione della norma (quale derivante dalla novella introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della legge 07.08.2015, n. 124, ancorché non applicabile alla fattispecie in esame) pone il termine per l’annullamento d’ufficio “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”.
Nella specie, l’annullamento è stato disposto a distanza di due anni dal rilascio del permesso di costruire e non è enunciato quale interesse pubblico prevalente determini la necessità di procedere all’annullamento del titolo con cui il ricorrente ha eseguito la manutenzione e il consolidamento dell’edificio, in relazione alle quali non è addotto (come sopra precisato) che i lavori abbiano arrecato nocumento a preminenti valori necessitanti di tutela.

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... per l'annullamento del provvedimento del Coordinatore della 4^ Area - Ambiente Territorio e Infrastrutture prot. n. 56310 del 07/09/2010, con il quale è stato annullato il permesso di costruire in sanatoria n. 151 del 09/08/2008, rilasciato ai sensi dell'art. 36 del DPR n. 380/2001 per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'immobile sito alla via S. ... nn. 37/39; della nota prot. n. 32984 del 19/05/2010, recante la comunicazione dei motivi ostativi; di tutti gli atti anteriori, preordinati e connessi.
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Il ricorso è fondato.
Sono meritevoli di favorevole apprezzamento le censure con cui si fa valere che non occorreva acquisire l’autorizzazione paesaggistica e che, in ogni caso, non sono esternate le ragioni in ordine alla sussistenza di un concreto ed attuale interesse pubblico all’annullamento del permesso di costruire.
L’art. 149, primo comma, lett. a), del d.lgs. 22.01.2004, n. 42 dispone infatti che: <<Fatta salva l'applicazione dell'articolo 143, comma 4, lettera a), non è comunque richiesta l'autorizzazione prescritta dall'articolo 146, dall'articolo 147 e dall'articolo 159:
a) per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici
>>.
Emerge dallo stesso provvedimento impugnato che l’intervento è consistito nella “Manutenzione ordinaria e straordinaria, con sostituzione parziale dei solai, e consolidamento delle murature, con ripristino abitativo dell’immobile”.
Il ricorrente ha prodotto in data 08/01/2016 l’istanza di permesso di costruire con l’allegata relazione tecnica, da cui risulta che –nell’immobile abbandonato da decenni e in precarie condizioni statiche, oggetto di una non meglio precisata ordinanza sindacale n. 268 del 06/03/2008– è stata realizzata la sostituzione dei solai pericolanti con interventi di cuci e scuci alle pareti anch’esse pericolanti, oltre al completamento con intonaci, pavimentazione, pitturazione, impianto idrico ed elettrico ed infissi interni ed esterni, “con criteri e tipologie idonee e consone al territorio ed all’ambiente circostante” ed utilizzo di “prodotti e materiali in muratura di tufo e solai in latero-cemento piano”, nonché “rifiniture in assonanza della zona” (cfr. l’esibita relazione descrittiva).
Con riferimento a tali elementi, può convenirsi sulla deduzione del ricorrente secondo cui l’intervento non necessitava di autorizzazione paesaggistica (non risultando modifiche alla sagoma o ai prospetti e all’aspetto esteriore dell’edificio), tenuto conto che nel provvedimento neppure si dà conto delle asserite modifiche allo stato preesistente dei luoghi.
Invero, la tutela paesaggistica è approntata per la salvaguardia dei “valori paesaggistici oggetti di protezione” (art. 146, primo comma, d.lgs. cit.), con riguardo alla forma esterna dell’edificio posto in zona tutelata (tale essendo l’ambito della tutela paesaggistica, a partire dal riferimento, nell’art. 7 della legge 29.06.1939, n. 1497, agli immobili il cui “esteriore aspetto […] è protetto dalla presente legge”).
Come detto, il provvedimento impugnato si limita ad affermare che l’intervento ha modificato lo stato dei luoghi, senza tuttavia concretamente addurre in quali termini i lavori, in relazione alla loro tipologia manutentiva e di consolidamento, abbiano concretamente arrecato una compromissione ai valori tutelati.
Quanto al richiamo, operato nello stesso provvedimento, alla norma che dispone la necessità dell’accertamento della compatibilità paesaggistica <<per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380>> (quarto comma, lett. c), dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/2004), va osservato che in ogni caso occorre una verifica concreta, non potendosi negare in mancanza la compatibilità paesaggistica dell’intervento.
Sotto l’ulteriore profilo considerato (relativo all’interesse pubblico all’annullamento), va detto che l’art. 21-nonies della legge 07.08.1990, n. 241 (nel testo vigente all’epoca di adozione del provvedimento) disponeva che: <<Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge>>.
La norma è espressione di un principio volto alla composizione di tutti gli interessi che vengono in rilievo, esigendo che la P.A. dia adeguata contezza delle ragioni sottostanti all’annullamento d’ufficio, in termini di interesse pubblico attuale e prevalente, nei casi in cui il tempo trascorso abbia ingenerato nel destinatario un concreto affidamento nel consolidamento della situazione che la stessa P.A. ha assentito.
A rafforzare il principio già contenuto dall’origine nell’art. 21-nonies, dandovi concretezza, non può essere trascurato che l’attuale formulazione della norma (quale derivante dalla novella introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), della legge 07.08.2015, n. 124, ancorché non applicabile alla fattispecie in esame) pone il termine per l’annullamento d’ufficio “comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione”.
Nella specie, l’annullamento è stato disposto a distanza di due anni dal rilascio del permesso di costruire e non è enunciato quale interesse pubblico prevalente determini la necessità di procedere all’annullamento del titolo con cui il ricorrente ha eseguito la manutenzione e il consolidamento dell’edificio, in relazione alle quali non è addotto (come sopra precisato) che i lavori abbiano arrecato nocumento a preminenti valori necessitanti di tutela.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va dunque accolto e va conseguentemente annullato il provvedimento impugnato, con condanna del Comune resistente al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, secondo la regola della soccombenza, nella misura indicata nel dispositivo (
TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 24.02.2016 n. 984 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

gennaio 2016

EDILIZIA PRIVATAE' noto che anche in materia di edilizia il potere di autotutela debba essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia.
Di conseguenza, nell'esternazione dell'interesse pubblico l'Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti.
Neppure è invocabile l’eccezionale ampliamento che in materia edilizia la giurisprudenza riconosce alle amministrazioni, laddove reputa adeguata la dimostrazione dell’interesse pubblico ulteriore in caso di erronea rappresentazione dei fatti da parte dell’istante.

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In linea di diritto, è noto che anche in materia di edilizia il potere di autotutela debba essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia.
Di conseguenza, nell'esternazione dell'interesse pubblico l'Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti (cfr. ex multis Tar Liguria n. 292/2015, Tar Lecce 2153/2013 e Tar Latina 215/2014).
Neppure è invocabile l’eccezionale ampliamento che in materia edilizia la giurisprudenza riconosce alle amministrazioni, laddove reputa adeguata la dimostrazione dell’interesse pubblico ulteriore in caso di erronea rappresentazione dei fatti da parte dell’istante (cfr. ancora di recente Tar Lazio n. 11660/2015).
Nella specie, al contrario, l’erronea (eventuale) valutazione è imputabile direttamente ad atti della stessa amministrazione, a partire dai certificati di destinazione urbanistica, mentre nessuna erronea rappresentazione dei luoghi e dei fatti è contestata a parte ricorrente (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 29.01.2016 n. 99 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il comma 1 dell’art. 21-nonies oggi dispone: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
Il fatto che il legislatore non abbia sostituito le parole “termine ragionevole” con le parole “comunque non superiore a 18 mesi”, che in vece ad esse si aggiungono, induce a ritenere che si tratti di un’operazione meramente interpretativa con la quale si è inteso specificare che il termine ragionevole non può superare i 18 mesi, dovendosi invece riconoscere portata innovativa agli interventi di modifica che sostituiscono una disposizione o parte di essa, così risultandone una norma diversa dalla precedente.

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E’ noto che l’espressione “entro un termine ragionevole”, contenuta nella versione originaria dell’art. 21-nonies, ha occupato non poco la dottrina e la giurisprudenza nell’opera di elaborazione, in assenza di parametri costituzionali di riferimento, di criteri uniformi di misurazione del tempo entro il quale la p.a. può esercitare lo ius poenitendi ed intervenire su posizioni giuridiche acquisite, valorizzandosi talora il tempo in sé, quando l’amministrazione ha chiari gli elementi fondamentali dai quali si deduce l’illegittimità del provvedimento, grazie all’attività istruttoria espletata in precedenza, altre volte gli effetti che medio tempore sono stati prodotti dal provvedimento.
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso quindi dare certezza e stabilità ai rapporti che hanno titolo in atti amministrativi, individuando nel termine massimo di diciotto mesi il limite per l’annullamento d’ufficio, il quale sarebbe senz’altro illegittimo se sopravvenuto dopo il decorso di detto termine.
Pertanto, avuto riguardo ai provvedimenti per i quali, alla data di entrata in vigore della novella, il “termine ragionevole” per l’annullamento è ancora in corso, il Collegio ritiene di escludere che il termine di diciotto mesi possa nuovamente decorrere da detta data, sia perché ciò sarebbe in contrasto con la natura interpretativa delle disposizione in rassegna sia perché, diversamente opinando, si ammetterebbe un’irragionevole rimessione in termini per la p.a., in palese contraddizione con l’intendimento del legislatore di stabilire un termine certo oltre il quale il provvedimento amministrativo non può essere annullato se non in sede giurisdizionale.
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... per l'annullamento del provvedimento prot. n. 36502 del 10.09.2015, con cui il Comune di Trani ha annullato il permesso di costruire tacito formatosi sull’istanza delle ricorrenti (pratica n. 111/2009) e comunque ha negato espressamente la realizzazione dell’intervento edilizio ivi proposto.
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E’ fondato il primo motivo di ricorso con il quale le ricorrenti sostengono che il provvedimento gravato d’ufficio sarebbe stato adottato quando era ormai decorso il termine di 18 mesi dalla formazione del titolo edilizio, entro il quale è consentito l’esercizio del potere di annullamento, ai sensi della l. 124/2015, che ha modificato l’art. 21-nonies l. 241/1990.
In particolare il comma 1 dell’art. 21-nonies oggi dispone: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
Il fatto che il legislatore non abbia sostituito le parole “termine ragionevole” con le parole “comunque non superiore a 18 mesi”, che in vece ad esse si aggiungono, induce a ritenere che si tratti di un’operazione meramente interpretativa con la quale si è inteso specificare che il termine ragionevole non può superare i 18 mesi, dovendosi invece riconoscere portata innovativa agli interventi di modifica che sostituiscono una disposizione o parte di essa, così risultandone una norma diversa dalla precedente.
Secondo l’insegnamento della Corte costituzionale, infatti, il carattere interpretativo di una novella si desume dal rapporto che ne risulta fra norme –e non tra disposizioni– di guisa che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l’una e l’altra si saldano tra loro dando luogo ad un precetto normativo unitario (sentenza n. 397 del 1994).
Tipico tratto interpretativo hanno le disposizioni che esprimono uno fra i possibili significati che la norma interpretata, per il modo -generico o elastico- in cui è formulata, può assumere nel contesto normativo di riferimento, tanto da dar luogo a contrasti interpretativi o incertezze applicative che inducono il legislatore a meglio precisarne il precetto.
E’ noto che l’espressione “entro un termine ragionevole”, contenuta nella versione originaria dell’art. 21-nonies, ha occupato non poco la dottrina e la giurisprudenza nell’opera di elaborazione, in assenza di parametri costituzionali di riferimento, di criteri uniformi di misurazione del tempo entro il quale la p.a. può esercitare lo ius poenitendi ed intervenire su posizioni giuridiche acquisite, valorizzandosi talora il tempo in sé, quando l’amministrazione ha chiari gli elementi fondamentali dai quali si deduce l’illegittimità del provvedimento, grazie all’attività istruttoria espletata in precedenza (Tar Firenze 11.06.2015 n. 904), altre volte gli effetti che medio tempore sono stati prodotti dal provvedimento (Tar L’Aquila Sez. I, 29.07.2008, n. 967).
Con la disposizione in esame il legislatore ha inteso quindi dare certezza e stabilità ai rapporti che hanno titolo in atti amministrativi, individuando nel termine massimo di diciotto mesi il limite per l’annullamento d’ufficio, il quale sarebbe senz’altro illegittimo se sopravvenuto dopo il decorso di detto termine.
Pertanto, avuto riguardo ai provvedimenti per i quali, alla data di entrata in vigore della novella, il “termine ragionevole” per l’annullamento è ancora in corso, il Collegio ritiene di escludere che il termine di diciotto mesi possa nuovamente decorrere da detta data, sia perché ciò sarebbe in contrasto con la natura interpretativa delle disposizione in rassegna sia perché, diversamente opinando, si ammetterebbe un’irragionevole rimessione in termini per la p.a., in palese contraddizione con l’intendimento del legislatore di stabilire un termine certo oltre il quale il provvedimento amministrativo non può essere annullato se non in sede giurisdizionale.
Venendo al caso in decisione è evidente che il provvedimento di annullamento del 10.09.2015 -adottato dopo l’entrata in vigore della novella (28.08.2015)- è sopravvenuto dopo più di quattro anni dalla formazione del silenzio assenso, maturato il 02.06.2011 come accertato da questo TAR con sentenza 610/2013.
Non solo allora è evidente che fosse decorso il termine di 18 mesi previsto dalla l. 124/2015, ma appare comunque irragionevole che il Comune, che aveva suscitato affidamento delle ricorrenti rilasciando il parere favorevole del 28.07.2010, abbia invece atteso rebus sic stantibus circa quattro anni per rimuovere il titolo edilizio.
Naturalmente resta fermo il potere del Comune di Trani di eventualmente reiterare l’annullamento senza limiti di tempo ove sussistano le condizioni previste dal comma 2-bis dell’art. 21-nonies l. 241/1990 parimenti introdotto dalla l. 124/2015.
Pertanto il ricorso deve essere accolto con assorbimento degli altri motivi (
TAR Puglia-Bari, Sez. III, la sentenza 14.01.2016 n. 47 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVa richiamato il prevalente insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in sèguito all’annullamento giurisdizionale di un titolo abilitativo (o di un diniego di esso), l’Amministrazione deve riesaminare la relativa istanza non già “ora per allora”, ma tenendo conto della normativa sopravvenuta medio tempore, con il solo limite –che qui non viene in rilievo- dell’inopponibilità delle modifiche legislative intervenute dopo la notifica della sentenza da parte del ricorrente vittorioso.
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... avverso e per l’annullamento e/o la riforma, previa sospensione dei suoi effetti, della sentenza del TAR della Campania, Sezione di Salerno, Sezione Seconda, nr. 1838/11 del 16.11.2011, non notificata, che ha respinto il ricorso (nr. 1772/2008) proposto avverso la delibera del Consiglio Comunale di Montecorvino Rovella nr. 17 del 16.06.2008 (che ha approvato una variante urbanistica ex art. 5 del d.P.R. 20.10.1998, nr. 447, per l’insediamento di una media struttura commerciale di vendita), nonché i successivi motivi aggiunti proposti, tra l’altro, avverso il provvedimento unico conclusivo del Responsabile del Settore Tecnico del S.U.A.P. Associato della Comunità Montana “Monti Piacentini” nr. 2/2010 del 04.03.2010 (che ha rilasciato il titolo edilizio per la costruzione dell’opificio commerciale e, nello stesso tempo, l’autorizzazione per l’apertura della struttura di vendita che dovrà esservi allocata).
...
4. Tutto ciò premesso, l’appello è fondato, e va dunque accolto nei sensi che saranno di sèguito precisati.
5. In ordine logico, anche per la sua connessione con l’appello incidentale proposto dagli appellati, signori Co. e Ca. e società Se. S.r.l., conviene principiare dal primo motivo di appello, col quale si lamenta in modo veemente l’erroneità della declaratoria di improcedibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, cui il primo giudice è pervenuto in ordine alla doglianza afferente alla mancata sottoposizione della variante urbanistica alle procedure previste dal decreto legislativo 03.04.2006, nr. 152, in materia di valutazione ambientale strategica (V.A.S.).
In particolare il TAR, se per un verso ha ritenuto che, all’epoca in cui la variante fu posta in essere, essa avrebbe dovuto certamente essere sottoposta a V.A.S. sulla scorta del tenore dell’art. 6 del citato d.lgs. nr. 152 del 2006, ha però poi evidenziato doversi fare i conti con le modifiche a tale norma medio tempore intervenute per effetto del decreto legislativo 29.06.2010, nr. 128, che, con previsione certamente riferibile anche a interventi del tipo che qui interessa, ha inserito al comma 12 del medesimo art. 6 la seguente disposizione: “…Per le modifiche dei piani e dei programmi elaborati per la pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante ai suddetti piani e programmi, ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA, la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere”.
Pertanto, secondo il giudice di prime cure, in ogni caso in sede di rinnovazione dell’attività amministrativa all’esito di un eventuale annullamento della delibera approvativa della variante sicuramente non sarebbe stato più necessario attivare la procedura di V.A.S.: donde il difetto di interesse delle istanti alla decisione sul punto.
Orbene, la Sezione non concorda con le odierne appellanti, che definiscono il ragionamento così sintetizzato affetto da un “clamoroso” o “inaudito” errore di diritto, che sarebbe costituito dall’avere il primo giudice applicato alla fattispecie al suo esame una norma non in vigore all’epoca in cui la stessa si era verificata, con violazione del principio tempus regit actum.
Al riguardo, va infatti richiamato il prevalente insegnamento giurisprudenziale secondo cui, in sèguito all’annullamento giurisdizionale di un titolo abilitativo (o di un diniego di esso), l’Amministrazione deve riesaminare la relativa istanza non già “ora per allora”, ma tenendo conto della normativa sopravvenuta medio tempore, con il solo limite –che qui non viene in rilievo- dell’inopponibilità delle modifiche legislative intervenute dopo la notifica della sentenza da parte del ricorrente vittorioso (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. V, 10.01.2012, nr. 36; id., 22.02.2002, nr. 1079).
Di conseguenza, non è vero che nel caso che qui occupa il primo giudice abbia assunto a parametro della legittimità dei provvedimenti impugnati una norma non ancora in vigore al momento della loro venuta ad esistenza; molto più semplicemente, nella sentenza impugnata si è preso atto di un sopravvenuto mutamento della situazione di diritto, tale da privare di ogni utilità per la parte ricorrente un ipotetico accoglimento della censura de qua (atteso che, come già evidenziato, in sede di riavvio della procedura di variante l’Amministrazione non avrebbe potuto che concludere nel senso della non necessità di V.A.S.).
Ed è appena il caso di aggiungere, ancorché le società istanti non ne abbiano fatto espressa richiesta, che neanche astrattamente può dirsi sussistente un interesse all’accertamento incidentale della divisata illegittimità a fini risarcitori, ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., dal momento che la sopravvenuta modifica normativa ha privato le ricorrenti medesime anche di ogni chance di ottenere un risultato diverso in relazione alla doglianza de qua.
6. Le conclusioni che precedono comportano anche l’improcedibilità dell’appello incidentale, con il quale gli originari controinteressati hanno censurato il capo di sentenza relativo alla ritenuta necessità di V.A.S. nel regime normativo anteriore alla novella del 2010, assumendo che neanche in tale assetto la valutazione ambientale sarebbe stata necessaria: è del tutto evidente che l’approfondimento di tale questione diventa superfluo alla luce dell’accertata correttezza della conclusione in rito raggiunta dal primo giudice sul punto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.01.2016 n. 27 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATAI presupposti per l’esercizio del potere di annullamento di ufficio della concessione di costruzione con effetti ex tunc sono:
l’illegittimità originaria del provvedimento,
l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità,
l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari e/o l’eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione o ha approfittato di un errore della medesima.
Orbene, l’Amministrazione deve, sia pure sinteticamente, dare conto della sussistenza di tali presupposti con l’avvertenza che pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere de quo, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento.

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... per la riforma della sentenza del TAR ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 501/2014, resa tra le parti, concernente annullamento d'ufficio del permesso di costruire
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Ritiene la Sezione che il gravame debba essere respinto e che quindi il dispositivo della sentenza impugnata debba essere confermato, non senza precisare a tale esito deve pervenirsi, ancorché in accoglimento di censura dedotta in promo grado da parte appellata, sulla base di una motivazione diversa da quella esposta nella sentenza gravata.
In tale ottica va anzitutto ritenuto che non appare condivisibile l’affermazione del primo giudice secondo cui alla fattispecie attiene un vincolo espropriativo preordinato alla realizzazione della strada graficizzata nella tavola n. 7b del Piano Regolatore Esecutivo.
In quest’ultimo è invero contenuta la disciplina di interventi edilizi di tipo residenziale per la quale, anche con riguardo alle opere di urbanizzazione primaria e secondaria , è ammessa la possibilità della loro realizzazione non soltanto da parte del Comune, previo esproprio delle aree occorrenti, ma anche da parte dei privati proprietari delle aree ricomprese nel Piano, mediante lo strumento della convenzione di lottizzazione.
In presenza di siffatta alternativa, è noto e pacifico, che il vincolo attinente alle opere di urbanizzazione non è un vincolo di natura espropriativa. di durata quinquennale, bensì, contenendo detto piano già la dichiarazione di p.u. delle dette opere, un vincolo che ha validità decennale ex art. 16-17 della L.U..
E’ altresì condivisibile l’affermazione della difesa del Comune appellante secondo cui in nessun caso un atto privato di compravendita qual è quello stipulato tra la parte appellata e la sig.ra Ga.Sc. può mutare la destinazione di zona nella quale un’area originariamente è collocata. come del resto è previsto dallo stesso P.R.E. in esame, né potendo un contratto tra privati avere l’effetto di una variante.
Va aggiunto che la validità del vincolo decennale della distanza delle costruzione dalla strada è stato ritualmente rinnovato dal Comune con la deliberazione consiliare n. 4 del marzo 2010, non potendosi opporre al riguardo l’omessa comunicazione preventiva a parte appellata di tale rinnovo non essendo essa proprietaria di una volumetria residenziale all’interno della zona d’espansione.
Alla stregua delle considerazione che precedono ne deriva che gran parte dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata non può essere confermato in questa sede.
Non può non essere rilevato, tuttavia, che il provvedimento impugnato è stato adottato al solo scopo di affermare il ripristino della legalità violata avendo natura di annullamento d’ufficio volta ad invalidare precedenti tutoli edilizi rilasciati a parte appellata nonostante sin dall’origine non ne esistessero le condizioni.
In tale ambito è d’uopo richiamare il costante orientamento di questo giudice in tema di annullamento d’ufficio.
In tale ottica va ricordato che “in materia edilizia, i presupposti per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio della concessione di costruzione con effetti ex tunc sono l'illegittimità originaria del provvedimento, l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità (i.e. tutela del territorio), l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari e/o l'eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione o ha approfittato di un errore della medesima, tenendo presente che all'uopo quest'ultima deve dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza di tali presupposti con l'avvertenza che pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere de quo, la caducazione che intervenga a una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento" (Cons. Stato Sez. IV 27.11.2010 - n. 8291).
Rileva di conseguenza nella fattispecie che l’autotutela è stata esercita nel 2013 in relazione a permessi di costruire volti ad eseguire lavori di ristrutturazione ed ampliamento del 2006 e del 2012
Né può essere omesso di osservare che il Comune, affatto ingannato da parte appellata, confrontando la documentazione progettuale allegata ai detti permessi di costruire con quella già in suo possesso descrittiva dei confini preesistenti, ben avrebbe potuto accorgersi del mutamento dei confini sulla base del quale quest’ultima intendeva eseguire gli interventi.
Tanto meno il Comune appellante ha posto a confronto, sul piano motivazionale, la realizzazione della piscina con la possibilità che la stessa non fosse incompatibile con il vincolo della distanza dalla strada, avuto riguardo alla prevista possibilità di apportare “lievi modifiche” al P.R.E. che ben potrebbero riguardare anche una strada di piano ad oggi soltanto graficizzata.
L’appello va in conclusione respinto (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 24.12.2015 n. 5830 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE’ ben nota al Collegio la costante affermazione della giurisprudenza amministrativa secondo la quale “i due titoli, permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli.
La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio–ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino.
Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti.
La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico. L’assoggettamento a vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della presenza di un’autorizzazione non è stata messa in dubbio, nel caso di specie, nemmeno da parte ricorrente che non li ha sollevati come motivi di censura”.
Alla base di tale orientamento, riposa il convincimento per cui: “l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come bellezze di insieme".
Sennonché, occorre osservare che:
   a) da un canto, tale costruzione è stata riduttivamente interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione che ha avuto modo di precisare che “ove l'area per la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico, che, in via generale, non conferisce al bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento abilitativo che dipende dall'accertamento di non- incompatibilità della prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Si suole argomentare, correttamente, che in presenza del vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via di delega o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dall'autorità regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione.
La necessità di un doppio titolo abilitativo osta alla qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa, ove si sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, il diritto all'attività costruttiva non può dirsi consolidato a favore del proprietario.
L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il Giudice amministrativo può affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli”;
   a1) la giurisprudenza penale, poi, è stata da tempo stabilmente orientata nel ritenere che per costruire in area vincolata non è sufficiente l’autorizzazione paesaggistica, ma occorre anche la concessione edilizia e che laddove l’autorizzazione manchi la concessione edilizia sia del tutto inefficace, e sia integrato il reato di cui all’art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 ed 1-sexies legge n. 431/1985 [di recente: Cassazione penale sez. III 07/10/2014 n. 952: “i climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, sicché la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (s.c.i.a.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. cit., non rientrando tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. In ogni caso, poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, ne consegue che ove l'installazione di condizionatore (già soggetta a s.c.i.a.) abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004)"];
   b) secondariamente, la giurisprudenza amministrativa più recente tende ad attenuare il regime di “separatezza” pervenendo all’affermazione secondo la quale "è legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo a costruire un locale servizio conseguito su denunzia di inizio attività edificatoria, in ragione del mancato preventivo intervento dell'autorizzazione paesaggistica necessaria per le costruzioni in zone soggette a vincoli ambientali” (così configurando, quindi un vizio di invalidità del titolo concessorio).
In realtà, osserva il Collegio, il contrasto è più apparente che reale. L’autonomia dei due procedimenti sussiste certamente.
Ciò implica che la concessione edilizia rilasciata in carenza dell’autorizzazione paesaggistica non sia invalida, ma inefficace, in quanto la predetta autorizzazione potrebbe sopravvenire.
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4.4.4. E’ ben nota al Collegio la costante affermazione della giurisprudenza amministrativa secondo la quale (ex aliis, ancora di recente TAR Campania Napoli, sez. VIII, 05.06.2012 sent. 2652) “i due titoli, permesso di costruire e nulla osta paesaggistico, hanno contenuti differenti, seppure ambedue relazionati al territorio, e l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli.
La mancanza di un’autorizzazione paesaggistica rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio–ripristinatori, quale un’ordinanza di riduzione in pristino.
Più volte la giurisprudenza amministrativa ha affermato che la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La giurisprudenza è inoltre costante nel ritenere che l'inizio dei lavori è subordinato all'adozione di entrambi i provvedimenti (in termini v. Cons. Stato, sez. VI, 02.05.2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11.03.1995, n. 376; Cons. Stato, sez. V, 01.02.1990, n. 61; Cons. Stato, sez. II, 10.09.1997, n. 468; Consiglio di Stato, sez. VI, n. 547 del 10.02.2006).
La garanzia, quindi, che il territorio non venga compromesso da interventi assentiti con permesso di costruire ma privi di nulla osta paesaggistico, è data dall'impossibilità giuridica di intraprendere i lavori prima dell'acquisizione del necessario nulla osta paesaggistico. L’assoggettamento a vincolo paesaggistico delle opere e la necessità della presenza di un’autorizzazione non è stata messa in dubbio, nel caso di specie, nemmeno da parte ricorrente che non li ha sollevati come motivi di censura
”.
Alla base di tale orientamento, riposa il convincimento per cui: “l'autonomia strutturale dei due procedimenti, non consente di considerare la procedura per il rilascio del nulla osta quale "presupposto necessario" del procedimento per il rilascio della concessione edilizia, neppure nell'ipotesi di opere da realizzarsi su aree vincolate come bellezze di insieme" (C.d.S., sez. V, 11.03.1995, n. 376; C.d.S. Sez. VI, 19.06.2001, n. 3242).
4.4.5. Sennonché, occorre osservare che:
   a) da un canto, tale costruzione è stata riduttivamente interpretata dalla Suprema Corte di Cassazione che (Cassazione civile sez. I 07/04/2006 n. 8244) ha avuto modo di precisare che “ove l'area per la quale si è conseguito il titolo alla trasformazione edilizia, sia interessata da altri tipi di vincoli, a tutela di diversi interessi, e tra questi viene in considerazione il vincolo paesaggistico, che, in via generale, non conferisce al bene una condizione di intangibilità, ma richiede, a sua volta, un provvedimento abilitativo che dipende dall'accertamento di non- incompatibilità della prospettata attività di trasformazione, rispetto all'interesse pubblico tutelato. Si suole argomentare, correttamente, che in presenza del vincolo estetico-culturale, l'esercizio dell'attività costruttiva presuppone non solo la concessione edilizia, di competenza dell'autorità preposta al controllo delle costruzioni, ma anche il nulla-osta paesaggistico, rimesso, nel corso del tempo e dell'evoluzione del concetto di tutela dei valori culturali e ambientali, alla valutazione dell'autorità statale, e successivamente, in via di delega o, da ultimo, in virtù di vero e proprio conferimento di funzioni, dall'autorità regionale, e infine alla stessa autorità comunale per delega della regione.
La necessità di un doppio titolo abilitativo osta alla qualificazione dello ius aedificandi come facoltà acquisita per effetto del rilascio della concessione edilizia, ove difetti l'autorizzazione paesaggistica: e viceversa, ove si sia conseguito il nullaosta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, il diritto all'attività costruttiva non può dirsi consolidato a favore del proprietario.
L'autonomia dei due titoli, in nome della quale il Giudice amministrativo può affermare che il mancato rilascio del nullaosta non legittima il Sindaco al ritiro della concessione edilizia, non toglie che l'inizio dei lavori in zona paesaggisticamente vincolata richiede il rilascio di ambedue i titoli
”;
   a1) la giurisprudenza penale, poi, è stata da tempo stabilmente orientata nel ritenere che (Cass. Pen. Sez. III 23.11.1999) per costruire in area vincolata non è sufficiente l’autorizzazione paesaggistica, ma occorre anche la concessione edilizia e che laddove l’autorizzazione manchi la concessione edilizia sia del tutto inefficace, e sia integrato il reato di cui all’art. 20, lett. c), legge n. 47/1985 ed 1-sexies legge n. 431/1985 [Cass. Pen. n. 10502/1999, 1093/1998, 6681/1998; di recente: Cassazione penale sez. III 07/10/2014 n. 952: “i climatizzatori/condizionatori d'aria costituiscono impianti tecnologici e, pertanto, se collocati all'esterno dei fabbricati, rientrano nel novero degli interventi edilizi definiti dall'art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001, sicché la loro realizzazione o installazione, seppure non necessitante del permesso di costruire, è tuttavia soggetta a segnalazione certificata di inizio di attività (s.c.i.a.) ai sensi dell'art. 22 d.P.R. cit., non rientrando tra gli interventi eseguibili senza alcun titolo abilitativo. In ogni caso, poiché anche l'attività edilizia c.d. libera deve essere attuata nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al d.lgs. n. 42 del 2004, ne consegue che ove l'installazione di condizionatore (già soggetta a s.c.i.a.) abbia luogo in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, essa è da ritenersi condizionata anche a nulla-osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, derivando dal mancato rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'integrazione della fattispecie di reato prevista dall'art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004)"];
   b) secondariamente, la giurisprudenza amministrativa più recente tende ad attenuare il regime di “separatezza” pervenendo all’affermazione secondo la quale (TAR Roma (Lazio) sez. II 02/12/2014 n. 12140 “è legittimo il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo a costruire un locale servizio conseguito su denunzia di inizio attività edificatoria, in ragione del mancato preventivo intervento dell'autorizzazione paesaggistica necessaria per le costruzioni in zone soggette a vincoli ambientali” (così configurando, quindi un vizio di invalidità del titolo concessorio).
4.4.6. In realtà, osserva il Collegio, il contrasto è più apparente che reale.
L’autonomia dei due procedimenti sussiste certamente.
Ciò implica che la concessione edilizia rilasciata in carenza dell’autorizzazione paesaggistica non sia invalida, ma inefficace, in quanto la predetta autorizzazione potrebbe sopravvenire.
Ove però –per venire alla fattispecie verificatasi nella presente causa- la concessione edilizia sia stata rilasciata sulla base di un presupposto (id est: avvenuto rilascio dell’autorizzazione paesaggistica) in realtà non sussistente se non nominatim (in quanto l’autorizzazione paesaggistica venne rilasciata su un progetto diverso) si è in presenza di una doppia situazione patologica.
La concessione edilizia è inefficace, in quanto la autorizzazione paesaggistica è carente; ed è anche invalida, in quanto fondata su un errato presupposto.
Trattasi in entrambi i casi di vizi (in teoria) sanabili, ove l’autorizzazione sia rilasciata (su quel medesimo progetto posto a supporto della domanda di rilascio del permesso di costruire, è ovvio) e sopravvenga prima dell’inizio dei lavori.
Ma ove ciò non accada –e ciò non è accaduto nella vicenda in esame, al momento della presentazione del mezzo e durante il giudizio di primo grado, quantomeno- ci si trova al cospetto (non solo di lavori illegittimamente eseguiti in quanto non assistiti, a monte, dal nulla osta ambientale: - TAR Torino –Piemonte- sez. I 07/11/2012 n. 1166 “la concessione edilizia può essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, fermo restando che la stessa è inefficace, e i lavori non possono essere iniziati, finché non interviene il nulla osta paesaggistico. La mancanza di un'autorizzazione paesaggistica, quindi, rende non eseguibile le opere in questione e ben giustifica, in caso di loro realizzazione, provvedimenti inibitori, e sanzionatorio-ripristinatori” ma anche) di una concessione edilizia viziata ed annullabile in quanto fondata sul falso presupposto dell’avvenuto rilascio –su progetto conferme- di una autorizzazione paesaggistica (si vedano, le recenti, perentorie, affermazioni, di cui a TAR Napoli –Campania- sez. VI 26.03.2015 n. 1815) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 14.12.2015 n. 5663 - link a www.giustizia-amministratva.it).

EDILIZIA PRIVATA: Come già altre volte affermato dalla Sezione, l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela dei permessi edilizi non può considerarsi in re ipsa tutte le volte in cui vi sia stata una violazione dei parametri urbanistici previsti dal PRG, dovendo l’amministrazione di volta in volta specificare quale concreto pregiudizio abbia subito per effetto dell’opera realizzata l’assetto del territorio astrattamente prefigurato dallo strumento generale.
Né l’annullamento della variante al permesso di costruire può basarsi sulla asserita falsità della asseverazione allegata all’istanza presentata.
Invero, l’erroneità della asseverazione allegata alla istanza tesa ad ottenere un titolo edilizio può divenire presupposto per l’annullamento d’ufficio dello stesso solo nel caso in cui la rappresentazione di determinati stati di fatto sia obiettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione.
Ciò non accade tutte le volte in cui dal contenuto del progetto, della relazione tecnica, o anche da precedenti atti riferibili al medesimo procedimento appaia chiara la ragione che ha indotto il professionista ad adottare una certa impostazione tecnica o giuridica che a posteriori può anche rivelarsi errata. In tali ipotesi, infatti, l’errore giuridico o tecnico è sempre evincibile dall’esame del progetto o degli atti ad esso correlati; esame che l’amministrazione è sempre tenuta a compiere nonostante l’asseverazione non avendo questa l’effetto di attenuare i controlli che la legge pone a sua carico.

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Anche il ricorso per motivi aggiunti risulta essere fondato.
L’impugnato annullamento d’ufficio della variante al permesso di costruire che ha assentito l’ampliamento del fabbricato non risulta supportato da una motivazione relativa all’interesse pubblico concreto avuto di mira dall’amministrazione, tale non potendo considerarsi il generico riferimento all’esigenza di impedire trasformazioni urbanistiche non consentite dal vigente piano regolatore.
Invero, come già altre volte affermato dalla Sezione, l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela dei permessi edilizi non può considerarsi in re ipsa tutte le volte in cui vi sia stata una violazione dei parametri urbanistici previsti dal PRG, dovendo l’amministrazione di volta in volta specificare quale concreto pregiudizio abbia subito per effetto dell’opera realizzata l’assetto del territorio astrattamente prefigurato dallo strumento generale.
Né l’annullamento della variante al permesso di costruire può basarsi sulla asserita falsità della asseverazione allegata all’istanza presentata dalla To..
Invero, l’erroneità della asseverazione allegata alla istanza tesa ad ottenere un titolo edilizio può divenire presupposto per l’annullamento d’ufficio dello stesso solo nel caso in cui la rappresentazione di determinati stati di fatto sia obiettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione.
Ciò non accade tutte le volte in cui dal contenuto del progetto, della relazione tecnica, o anche da precedenti atti riferibili al medesimo procedimento appaia chiara la ragione che ha indotto il professionista ad adottare una certa impostazione tecnica o giuridica che a posteriori può anche rivelarsi errata. In tali ipotesi, infatti, l’errore giuridico o tecnico è sempre evincibile dall’esame del progetto o degli atti ad esso correlati; esame che l’amministrazione è sempre tenuta a compiere nonostante l’asseverazione non avendo questa l’effetto di attenuare i controlli che la legge pone a sua carico.
Nel caso di specie la To. con l’istanza del 20/11/2011 aveva fatto presente al comune di Capannori di considerare il disallineamento fra i confini delle zone urbanistiche e quelli catastali della sua proprietà come un mero errore della cartografia del piano regolatore. Sulla base del medesimo assunto è stata successivamente presentata l’istanza del 04/02/2013 con cui è stato chiesto l’assenso del Comune per realizzare un ampliamento del fabbricato esistente in variante al relativo permesso di costruire.
Il comune di Capannori al momento del rilascio della predetta variante aveva, quindi, a disposizione tutti i dati per comprendere l’impostazione tecnica seguita dal progettista e per rilevare la sua erroneità alla luce dell’esatto rilievo dei confini fra le diverse zone urbanistiche.
Non avendolo fatto, esso non può lamentarsi di essere stato tratto in errore dalle rappresentazioni progettuali contenute nella istanza di variante atteso che l’errore non è imputabile alla Società istante (che aveva dichiarato da quali presupposti muoveva la sua impostazione progettuale) ma ad un difetto dell’istruttoria compiuta sulla domanda.
Per le suddette ragioni il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere accolti
(TAR Toscana, Sez. III, sentenza 14.12.2015 n. 1703 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’art. 21-nonies della legge 17.08.1990, n. 241 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
E’ bene aggiungere che il decreto-legge 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
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4.– L’appello, a prescindere dalla questione relativa all’eccepito difetto di interesse, è infondato.
L’art. 21-nonies della legge 17.08.1990, n. 241 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Nella specie, pur volendo prescindere dalla questione relativa alla sussistenza del vizio di legittimità dell’atto di primo grado, manca il requisito rappresentato dalla valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del provvedimento.
Nel caso in esame tale affidamento era particolarmente qualificato, come messo correttamente in rilievo dal primo giudice, in ragione del lungo tempo trascorso dall’adozione delle concessioni annullate. In particolare, risultano trascorsi tredici anni dal rilascio del condono e ventinove anni dalla presentazione della relativa domanda.
Né varrebbe rilevare che tale affidamento non potrebbe venire in rilievo trattandosi di un provvedimento nullo. L’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 indica, in modo tassativo, quali sono i casi di nullità del provvedimento: mancanza degli elementi essenziale dell’atto; difetto assoluto di attribuzione; violazione o elusione del giudicato; casi previsti dalla legge.
Nella fattispecie in esame non è dato riscontrare nessuno dei casi sopra indicati: il Comune, infatti, nella prospettiva dell’appellante, ha adottato un atto difforme dal modello legale per mancanza del parere che, in quanto tale, potrebbe ritenersi annullabile e non nullo.
E’ bene aggiungere che il decreto-legge 12.09.2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11.11.2014, n. 164, ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici».
Pur se tale norma non è applicabile ratione temporis, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti.
5.– Gli altri motivi di appello sono anch’essi infondati, in ragione dell’assorbente valenza invalidante sopra riportata. In particolare, l’appellante, con tali motivi, fa valere ulteriori ragioni di invalidità delle rilasciate concessioni edilizie in sanatoria in ragione dell’esistenza di vincoli paesaggistici e per il contrasto con gli strumenti urbanistici.
Quelli indicati sono, però, eventuali vizi di legittimità che, da soli, in assenza degli altri elementi costitutivi del provvedimento di secondo grado, non sarebbero comunque sufficienti a giustificare il disposto annullamento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 10.12.2015 n. 5625 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.
Proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Al riguardo il Collegio ritiene che principio per certo rilevante per il caso in esame è quello ben consolidato nella condivisibile giurisprudenza e in forza del quale se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554, nonché Sez. V, 12.10.2004 n. 6554).
Proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva necessitata e vincolante l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27.08.2012, n. 4619).
Concludendo sul punto, il Collegio rileva che il provvedimento di annullamento è stato adottato a seguito di un accertamento tecnico completo e approfondito, la cui forza fidefaciente non è scalfita dalle contestazioni prospettate da parte ricorrente, le cui doglianze appaiono, pertanto, infondate
(TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 19.05.2015 n. 2791 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi (come, nel caso di specie, quelli abilitativi all’edificazione) è disciplinato dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 07.08.1990, nel testo introdotto dall’art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15, come successivamente modificato ed integrato, in termini che confermano (richiedendo la sussistenza di ragioni di interesse pubblico, da far valere entro un “termine ragionevole”, nonché “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”) il pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’autotutela costituisce espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, sindacabile (per quanto riguarda la ragionevolezza del termine, l’avvenuto bilanciamento di interessi e la motivazione fornita) nei noti limiti, che circoscrivono al riguardo il giudizio di legittimità.
Non appaiono condivisibili, pertanto, alcune delle argomentazioni difensive del comune resistente, secondo cui l’annullamento in via di autotutela di titoli abilitativi, come quelli di cui si discute, non richiederebbe “una motivazione dell’interesse pubblico, diversa dalla necessità di ripristinare la legalità violata, stante la natura di illecito permanente dell’abuso”, così come non potrebbe ammettersi “alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può avere legittimato”.
Così argomentando, in effetti, l’Amministrazione comunale esclude qualsiasi differenza fra repressione degli abusi edilizi (per i quali valgono le regole sopra enunciate) ed intervento in via di autotutela su titoli abilitativi che, anche se illegittimi, sono assistiti da autoritarietà ed efficacia fino al relativo annullamento, con conseguente carattere non abusivo dell’edificazione, realizzata in conformità.
Non sembra inutile ricordare, al riguardo, le pronunce della Corte Costituzionale che –prima assicurando la congruità dell’indennizzo rispetto al valore del bene espropriato, poi escludendo la reiterabilità “sine die” dei vincoli preordinati all’esproprio– hanno in pratica ribadito la concezione dello “ius aedificandi” come facoltà insita nel diritto di proprietà, attribuendo alla concessione edilizia –al di là del “nomen iuris”, poi modificato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 380/2001– natura sostanzialmente autorizzativa.

Premesso quanto sopra, sembra opportuno ricordare che l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi (come, nel caso di specie, quelli abilitativi all’edificazione) è disciplinato dall’art. 21-nonies della legge n. 241 del 07.08.1990, nel testo introdotto dall’art. 14 della legge 11.02.2005, n. 15, come successivamente modificato ed integrato, in termini che confermano (richiedendo la sussistenza di ragioni di interesse pubblico, da far valere entro un “termine ragionevole”, nonché “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”) il pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l’autotutela costituisce espressione di un potere discrezionale dell’Amministrazione, sindacabile (per quanto riguarda la ragionevolezza del termine, l’avvenuto bilanciamento di interessi e la motivazione fornita) nei noti limiti, che circoscrivono al riguardo il giudizio di legittimità (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. VI, 02.09.2013, n. 4352; Cons. St., sez. V, 22.01.2014, n. 322 e 25.07.2014, n. 3964; Cons. St., sez. IV, 07.07.2014, n. 3426).
Non appaiono condivisibili, pertanto, alcune delle argomentazioni difensive del comune resistente, secondo cui l’annullamento in via di autotutela di titoli abilitativi, come quelli di cui si discute, non richiederebbe “una motivazione dell’interesse pubblico, diversa dalla necessità di ripristinare la legalità violata, stante la natura di illecito permanente dell’abuso”, così come non potrebbe ammettersi “alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può avere legittimato”.
Così argomentando, in effetti, l’Amministrazione comunale esclude qualsiasi differenza fra repressione degli abusi edilizi (per i quali valgono le regole sopra enunciate) ed intervento in via di autotutela su titoli abilitativi che, anche se illegittimi, sono assistiti da autoritarietà ed efficacia fino al relativo annullamento, con conseguente carattere non abusivo dell’edificazione, realizzata in conformità.
Non sembra inutile ricordare, al riguardo, le pronunce della Corte Costituzionale che –prima assicurando la congruità dell’indennizzo rispetto al valore del bene espropriato, poi escludendo la reiterabilità “sine die” dei vincoli preordinati all’esproprio– hanno in pratica ribadito la concezione dello “ius aedificandi” come facoltà insita nel diritto di proprietà, attribuendo alla concessione edilizia –al di là del “nomen iuris”, poi modificato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 380/2001– natura sostanzialmente autorizzativa (cfr. in tal senso Corte Cost. 30.01.1980, n. 5, 21.04.1983, n. 127 e 20.05.1999, n. 179 cit.).
La medesima confusione, fra opere abusive e opere realizzate in attuazione di ius aedificandi debitamente autorizzato, si rinviene nel richiamo –operato ancora dalla difesa comunale– al principio della “doppia conformità”, prescritto in materia di sanatoria (essendo le opere abusive regolarizzabili “ex post”, ma solo se conformi alla disciplina vigente sia alla data di realizzazione delle stesse, sia a quella dell’istanza di sanatoria): tale principio, tuttavia, può riguardare la fase successiva all’atto di annullamento in via di autotutela, ma non può anche giustificare l’emanazione di tale atto.
Nella situazione in esame, infatti, l’Amministrazione giustifica l’autoannullamento anche con l’attuale non sanabilità delle opere, in quanto non potrebbe esservi autorizzazione paesaggistica successiva e non rileverebbe la nuova disciplina urbanistica della ristrutturazione –ora consentita dal Comune anche con dislocazione dell’area di sedime– poiché quest’ultima disciplina non era ancora vigente alla data di realizzazione delle opere di cui trattasi.
Tali considerazioni non possono ritenersi attinenti al legittimo esercizio della potestà di autotutela, che deve considerare la legittimità del provvedimento che ne è oggetto in base al principio “tempus regit actum” e –una volta accertata l’effettiva sussistenza di vizi, rapportabili all’emanazione dell’atto– è poi chiamata a valutare discrezionalmente la sussistenza degli ulteriori presupposti per intervenire, previo bilanciamento degli interessi sia pubblici che privati.
Sulla base delle predette argomentazioni, il Collegio ritiene che l’appello meriti parziale accoglimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 27.04.2015 n. 2123 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, l’annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, perché di interesse generale al rispetto della disciplina urbanistica.
In modo corretto quindi è fatto richiamo all’esigenza di un corretto ripristino del governo del territorio.
Inoltre la preminenza dell'interesse generale sull'interesse del privato, in situazioni come quella in esame, caratterizzate dalla collocazione del manufatto nella fascia costiera dei 300 m. dal mare, in zona H dal PUC, di particolare pregio naturalistico–ambientale e di conservazione integrale, è in re ipsa: anche in considerazione del principio fondamentale della tutela del paesaggio di cui all’art. 9, secondo comma, Cost..

E’ infine infondato e va respinto anche il IV motivo, di violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990 e di insufficiente motivazione sull’interesse pubblico, a base dell’annullamento in autotutela della concessione edilizia del 2006.
L’appello deduce che, tenuto conto del lungo periodo di tempo trascorso dall’avvenuto rilascio del titolo edilizio, e del ragionevole e incolpevole affidamento del privato sulla regolarità della situazione, non si comprende perché l’affidamento del privato doveva considerarsi recessivo rispetto all’interesse pubblico.
Anche la statuizione del giudice di primo di cui alle pagine da 13 a 15 della sentenza resiste alle critiche che le sono state rivolte.
Occorre piuttosto considerare in primo luogo che, per pacifica giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (es. Cons. Stato, IV, 30.07.2012, n. 4300), l’annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, perché di interesse generale al rispetto della disciplina urbanistica.
In modo corretto quindi è fatto richiamo all’esigenza di un corretto ripristino del governo del territorio. Inoltre la preminenza dell'interesse generale sull'interesse del privato, in situazioni come quella in esame, caratterizzate dalla collocazione del manufatto nella fascia costiera dei 300 m. dal mare, in zona H dal PUC, di particolare pregio naturalistico–ambientale e di conservazione integrale, è in re ipsa: anche in considerazione del principio fondamentale della tutela del paesaggio di cui all’art. 9, secondo comma, Cost. (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 14.04.2015 n. 1915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'abuso realizzato, senza preventiva autorizzazione paesaggistica, consta –per il piano sottotetto– nella trasformazione da sottotetto senza permanenza di persone (s.p.p.) con altezza media di metri 2,32 in un sottotetto abitabile con cucina (di altezza 2,42 metri) e lavanderia, con apertura di finestre verso l’esterno per garantire il rapporto aeroilluminante dei nuovi locali abitabili e con aumento dell’altezza massima del locale da metri 2,65 a metri 2,75.
Vi è stata, inoltre, la formazione di un nuovo tetto con differente inclinazione e di un terrazzino c.d. a vasca.
L’abuso di cui è causa, pertanto, non è consistito semplicemente nell’apertura di una serie di nuove finestre su una parete che ne era priva, ma nella realizzazione di nuova volumetria e nuova superficie utile –con aumento dell’altezza massima- in luogo del precedente sottotetto non abitabile.
Si tratta, di conseguenza, di opere per le quali, ai sensi del combinato disposto degli articoli 167 e 181 del D.Lgs. 42/2004 non è possibile l’accertamento di compatibilità paesaggistica.
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E' legittimo l'annullamento in autotutela della rilasciata compatibilità paesaggistica laddove il comune si è avveduto che le opere assentite erano le stesse per le quali era stato ordinato -anni addietro- il ripristino ex art. 167 d.lgs. 42/2004.
Invero, l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela del titolo abilitativo paesistico del 2007 si fonda –quindi– non sulla mera necessità di ripristino della legalità violata, bensì su quella di tutelare il valore del paesaggio (bene avente rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 9 della Costituzione), a fronte di un abuso paesistico non certo trascurabile, quale la creazione di un sottotetto abitabile, implicante la realizzazione di nuovo volume e l’incremento di superficie.
Il sacrificio imposto al privato –a fronte della necessità di tutela di un bene di primario rango costituzionale (l’art. 9 –come noto– rientra fra i principi fondamentali della Costituzione)– non appare eccessivo, in quanto si tratta di ripristinare l’originaria e legittima destinazione d’uso del sottotetto, nell’ambito di una unità immobiliare ampia, per la quale permane comunque il pieno godimento del terzo piano.
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Sull’annullamento d’ufficio di titoli ad edificare a fronte della necessità di tutela dell’interesse paesistico, la giurisprudenza ha affermato che: <<L'interesse del privato al mantenimento del titolo edilizio, anche se incolpevole e consolidato, perde, tuttavia, di rilevanza e diviene irrimediabilmente recessivo rispetto all'interesse pubblico, laddove il potere di autotutela incida su una concessione edilizia relativa ad un'area soggetta a vincolo paesaggistico, che comporti penetranti limitazioni alle possibilità di edificazione>>.
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I ricorrenti non possono neppure invocare, a loro favore, la tutela dell’affidamento, in quanto gli stessi erano consapevoli del carattere abusivo delle opere realizzate sul loro immobile, tanto è vero che –a fronte della rilevata falsità della concessione edilizia del 2000 richiamata nel loro atto di acquisto dello stesso anno– proponevano causa civile davanti al Tribunale di Milano contro il loro venditore.

... per l'annullamento, quanto al ricorso principale, del provvedimento di annullamento autorizzazione paesaggistica n. 500/2007 del 04/10/2007, adottato in data 07.02.2012;
...
Gli esponenti acquistavano, in data 13.11.2000 un’unità abitativa in Milano, Alzaia Naviglio Grande n. ..., posta su due livelli (piano terzo e quarto mansardato).
Nell’atto di vendita l’alienante, sig.ra E.A.Z., attestava di avere eseguito lavori di recupero abitativo del sottotetto ai sensi della legge regionale 15/1996 in forza di concessione edilizia del 30.05.2000.
Tuttavia, nel corso dell’anno 2006, allorché gli esponenti avviavano trattative per la vendita dell’immobile, si scopriva che la concessione edilizia di cui sopra era falsa e che, di conseguenza, il recupero abitativo del sottotetto era avvenuto senza alcun titolo, quindi abusivamente.
Il sig. T., a questo punto, presentava due domande per l’ottenimento, a sanatoria, sia del permesso di costruire sia dell’autorizzazione paesaggistica, essendo l’immobile soggetto a vincolo paesaggistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004.
Il Comune, però, con nota del 22.02.2007, evidenziava al sig. T. che non sarebbe stato possibile l’accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 –in quanto era stata realizzata nuova superficie utile– sicché sarebbe stato avviato il procedimento di riduzione in pristino di cui al menzionato art. 167.
A tale avviso di avvio del procedimento, faceva seguito l’ordinanza del 04.08.2007, con la quale il Comune ingiungeva al sig. T. il ripristino dello stato dei luoghi ai sensi del succitato art. 167 del D.Lgs. 42/2004.
Intanto la signora R. –divenuta nel frattempo proprietaria dell’intera unità immobiliare, dopo che il sig. T. in data 18.12.2006 le aveva ceduto la propria quota del 50%- presentava due domande in data 27.07.2007, per il rilascio rispettivamente dell’autorizzazione paesaggistica e del connesso permesso di costruire per interventi di “creazione di aperture in facciata interna al cortile”.
Il Comune accoglieva dapprima le due domande, rilasciando di conseguenza l’autorizzazione paesaggistica n. 500/2007 e il relativo permesso di costruire n. 12/2008.
Successivamente, però, l’Amministrazione comunale, avvedutasi che le opere assentite a favore della signora R. erano le stesse per le quali era stato ordinato al sig. T. il ripristino, avviava il procedimento per l’annullamento in autotutela sia dell’autorizzazione n. 500/2007 sia del permesso di costruire n. 12/2008.
Con provvedimento del 07.02.2012, era annullata in autotutela l’autorizzazione paesaggistica n. 500/2007.
...
1.1 Ciò premesso, nel primo e nel secondo mezzo del gravame principale (che possono essere trattati unitariamente), i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 21-nonies della legge 241/1990 e in genere dei principi che presiedono all’esercizio del potere di autotutela amministrativa, in quanto il Comune di Milano non avrebbe fornito alcuna adeguata motivazione sul pubblico interesse all’annullamento del titolo –interesse diverso da quello al mero ripristino della legalità violata– e non avrebbe tenuto adeguatamente conto né del lasso di tempo trascorso né del sacrificio imposto all’interesse dei ricorrenti, con conseguente lesione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa e di tutela dell’affidamento.
La tesi degli esponenti, per quanto ben argomentata, non convince il Collegio.
Innanzitutto, occorre premettere che appaiono provate le circostanze in fatto sopra riportate, vale a dire che le opere -oggetto dell’autorizzazione paesaggistica n. 500/2007- sono in realtà già state realizzate abusivamente e sono state altresì oggetto di un ordine di ripristino notificato l’08.08.2008 e divenuto definitivo, in quanto mai ritualmente impugnato dal sig. T..
L’identità è provata per tabulas: nella relazione tecnica alla domanda del sig. T. del 2006 (cfr. i documenti 4 e 5 del resistente), si parla di “intervento già realizzato”, di “avvenuta formazione del nuovo tetto con inclinazione diversa” e di “apertura di serramento con formazione di terrazzino a vasca”; in pratica lo stesso intervento che un anno dopo (2007) la signora R. chiede di poter realizzare ex novo attraverso asserite “demolizioni e ricostruzioni” in realtà già avvenute (del resto le fotografie allegate alla domanda del 2006 mostrano con chiarezza l’esistenza delle aperture, si veda la tavola doc. 5 del resistente).
Risulta inoltre, dall’esame degli atti di causa, che l’intervento realizzato senza titolo ha determinato la creazione di nuovo volume e di nuova superficie utile dell’unità abitativa in questione.
Sul punto, si richiamano le planimetrie allegate alla domanda di autorizzazione paesaggistica della sig.ra R. del 27.07.2007 (docc. 1-a e 1-b del resistente), domanda accolta con l’autorizzazione n. 500/2007 poi annullata in autotutela.
La planimetria 1-b (stato di fatto e di progetto), mostra –per il piano sottotetto– la trasformazione da sottotetto senza permanenza di persone (s.p.p.) con altezza media di metri 2,32 in un sottotetto abitabile con cucina (di altezza 2,42 metri) e lavanderia, con apertura di finestre verso l’esterno per garantire il rapporto aeroilluminante dei nuovi locali abitabili e con aumento dell’altezza massima del locale da metri 2,65 a metri 2,75 (per l’individuazione delle finestre e della loro collocazione, si veda anche la planimetria 1-a).
Vi è stata, inoltre, la formazione di un nuovo tetto con differente inclinazione e di un terrazzino c.d. a vasca (cfr. ancora la succitata documentazione tecnica).
Analoga rappresentazione dell’opera realizzata nel sottotetto è contenuta nelle planimetrie depositate dal Comune quali suoi documenti 17 e 19.
L’abuso di cui è causa, pertanto, non è consistito semplicemente nell’apertura di una serie di nuove finestre su una parete che ne era priva, ma nella realizzazione di nuova volumetria e nuova superficie utile –con aumento dell’altezza massima- in luogo del precedente sottotetto non abitabile.
Si tratta, di conseguenza, di opere per le quali, ai sensi del combinato disposto degli articoli 167 e 181 del D.Lgs. 42/2004 non è possibile l’accertamento di compatibilità paesaggistica, come del resto messo in luce nel provvedimento impugnato e nella pregressa ordinanza di ripristino del 2008 (cfr. ancora i documenti 1 e 17 dei ricorrenti).
L’interesse pubblico all’annullamento in autotutela del titolo abilitativo paesistico del 2007 si fonda –quindi– non sulla mera necessità di ripristino della legalità violata, bensì su quella di tutelare il valore del paesaggio (bene avente rilevanza costituzionale ai sensi dell’art. 9 della Costituzione), a fronte di un abuso paesistico non certo trascurabile, quale la creazione di un sottotetto abitabile, implicante la realizzazione di nuovo volume e l’incremento di superficie.
Il sacrificio imposto al privato –a fronte della necessità di tutela di un bene di primario rango costituzionale (l’art. 9 –come noto– rientra fra i principi fondamentali della Costituzione)– non appare eccessivo, in quanto si tratta di ripristinare l’originaria e legittima destinazione d’uso del sottotetto, nell’ambito di una unità immobiliare ampia, per la quale permane comunque il pieno godimento del terzo piano (sulle caratteristiche dell’unità abitativa in oggetto, si veda l’atto di acquisto, doc. 2 dei ricorrenti).
Quanto al tempo trascorso dall’emissione del provvedimento di autorizzazione (2007) alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento (2011), non può sottacersi la complessità dell’istruttoria, determinata anche dalla condotta dei signori T. e R., i quali hanno presentato negli anni 2006 e 2007 sostanzialmente la stessa domanda però con i loro distinti nominativi (nel 2006 soltanto a nome T. e nel 2007 soltanto a nome R.), e ciò benché nel 2006 il sig. T. fosse comproprietario dell’immobile con la signora R..
Sull’annullamento d’ufficio di titoli ad edificare a fronte della necessità di tutela dell’interesse paesistico, la giurisprudenza ha affermato che: <<L'interesse del privato al mantenimento del titolo edilizio, anche se incolpevole e consolidato, perde, tuttavia, di rilevanza e diviene irrimediabilmente recessivo rispetto all'interesse pubblico, laddove il potere di autotutela incida su una concessione edilizia relativa ad un'area soggetta a vincolo paesaggistico, che comporti penetranti limitazioni alle possibilità di edificazione>> (così TAR Sardegna, sez. II, 03.07.2014, n. 549, oltre a Consiglio di Stato, sez. IV, 27.11.2010, n. 8291; TAR Basilicata, 20.12.2014, n. 871 e TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 06.06.2012, n. 2668).
I ricorrenti non possono neppure invocare, a loro favore, la tutela dell’affidamento, in quanto gli stessi erano consapevoli del carattere abusivo delle opere realizzate sul loro immobile, tanto è vero che –a fronte della rilevata falsità della concessione edilizia del 2000 richiamata nel loro atto di acquisto dello stesso anno– proponevano causa civile davanti al Tribunale di Milano contro il loro venditore, vale a dire la signora E.A.Z., presentando anche una denuncia alla Procura della Repubblica contro quest’ultima (cfr. i documenti 4 e 5 dei ricorrenti; si veda in particolare la sentenza del Tribunale di Milano, sez. IV civile, n. 11469/2005, dalla quale risulta che gli esponenti hanno ottenuto la condanna della signora Z. al risarcimento dei danni a loro favore, doc. 5 dei ricorrenti).
Proprio a fronte dell’illecito edilizio posto in essere sulla loro unità abitativa, i ricorrenti (o meglio il sig. T., allora comproprietario al 50%), presentavano rituale domanda di sanatoria sia ai fini edilizi sia a quelli paesaggistici, che era però respinta dal Comune, per impossibilità di pervenire alla compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 (cfr. ancora i documenti 9 e 17 dei ricorrenti).
Orbene, anziché gravare ritualmente in sede giurisdizionale l’ordinanza comunale del 2008 di rimessione in pristino, gli esponenti –attraverso la signora R. divenuta nel frattempo proprietaria dell’intero immobile– presentavano domanda di nuova autorizzazione paesaggistica e di connesso permesso di costruire per opere in realtà già eseguite.
Non vi è chi non veda come tale condotta si ponga in contrasto con l’invocata buona fede, sicché nessun affidamento poteva ragionevolmente essere maturato in capo agli esponenti.
Il provvedimento impugnato si sottrae, pertanto, alle doglianze esposte nel primo e nel secondo mezzo di gravame che deve quindi interamente rigettarsi (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 20.03.2015 n. 770 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire: i limiti all’annullamento con autotutela (13.10.2014 - link a www.laleggepertutti.it).
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Guida sulle sentenze del Consiglio di Stato e dei TAR.

EDILIZIA PRIVATA: G. Manfredi, L’autotutela in edilizia (Urbanistica e appalti n. 10/2014).
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Il TAR Sardegna riprende un orientamento abbastanza diffuso nella giurisprudenza amministrativa recente, affermando che l’interesse che giustifica l’annullamento d’ufficio dei permessi di costruire corrisponde all’interesse al rispetto della disciplina urbanistica.
Questo orientamento è però da respingere, perché non è coerente con il disposto dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990.

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare esecuzione al giudicato adottando i provvedimenti consequenziali.
Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate, l'art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, prescrivendo, in caso di annullamento del permesso di costruire, una nuova valutazione da parte del dirigente del competente ufficio comunale riguardo la possibilità di restituzione in pristino; qualora la demolizione non risulti possibile, il Comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini fissati dallo stesso art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Dalla previsione di cui all'art. 38 del DPR 380/2001, che prevede, come sopra rilevato, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative in caso di permesso di costruire annullato in via giurisdizionale, non deriva un generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
La norma non implica, invero, alcun generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
Non può ritenersi, pertanto, che la concessione edilizia in sanatoria sarebbe ammissibile solo in caso di annullamento della prima per motivi procedurali o formali, rimanendone, conseguentemente, esclusa la legittimità in ordine all'annullamento dell'originaria concessione per motivi sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico.
A ciò va aggiunto che l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale, ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (da cui la disciplina dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994.

Il D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) all’art. 38 disciplina gli interventi eseguiti in base a permesso annullato disponendo che “1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall'Agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest'ultima e l'amministrazione comunale. La valutazione dell'agenzia è notificata all'interessato dal dirigente o dal responsabile dell'ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa.
2. L'integrale corresponsione della sanzione pecuniaria irrogata produce i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all'articolo 36.
2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 22, comma 3, in caso di accertamento dell'inesistenza dei presupposti per la formazione del titolo
”.
In applicazione di detta disposizione la giurisprudenza (Consiglio di Stato Sez. VI, sent. n. 3571 del 13.06.2011) ha affermato il principio che l'annullamento giurisdizionale del permesso di costruire provoca la qualificazione di abusività delle opere edilizie realizzate in base ad esso, per cui il Comune, stante l'efficacia conformativa della sentenza del giudice amministrativo, oltre che costitutiva e ripristinatoria, è obbligato a dare esecuzione al giudicato adottando i provvedimenti consequenziali.
Tali provvedimenti non devono, peraltro, avere ad oggetto necessariamente la demolizione delle opere realizzate, l'art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380, prescrivendo, in caso di annullamento del permesso di costruire, una nuova valutazione da parte del dirigente del competente ufficio comunale riguardo la possibilità di restituzione in pristino; qualora la demolizione non risulti possibile, il Comune dovrà irrogare una sanzione pecuniaria, nei termini fissati dallo stesso art. 38, D.P.R. 06.06.2001, n. 380.
Dalla previsione di cui all'art. 38 del DPR 380/2001, che prevede, come sopra rilevato, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative in caso di permesso di costruire annullato in via giurisdizionale, non deriva un generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
La norma non implica, invero, alcun generale divieto di rinnovazione dei permessi di costruire annullati in sede giurisdizionale per vizi di carattere sostanziale.
Non può ritenersi, pertanto, che la concessione edilizia in sanatoria sarebbe ammissibile solo in caso di annullamento della prima per motivi procedurali o formali, rimanendone, conseguentemente, esclusa la legittimità in ordine all'annullamento dell'originaria concessione per motivi sostanziali di contrarietà allo strumento urbanistico (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 7731 del 02.11.2010).
A ciò va aggiunto che l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale, ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (da cui la disciplina dell’art. 38 d.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994 (Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 4770 del 10.08.2011) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 08.07.2014 n. 1171 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell'originaria illegittimità dell'atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all'interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell'atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l'amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l'arco temporale trascorso dall'adozione dell'atto da annullare e solido appaia, pertanto, l'affidamento ingenerato nel privato.
Ed infatti, costituisce ormai “ius receptum” che "il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato".
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Anche nell'ipotesi di annullamento di una concessione edilizia va quindi riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell'amministrazione e che, nell'adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata. In omaggio all'orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell'atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell'effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell'atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo nell'art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, in base al quale "il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Nell’interpretazione della predetta normativa la giurisprudenza ha sistematicamente rimarcato, quanto al metro di valutazione del tempo, che il termine entro cui l’amministrazione può intervenire per rimuovere legittimamente una situazione di illegittimità originaria o derivata deve essere valutato secondo un criterio di “ragionevolezza”, nel senso che la valutazione tipicamente discrezionale dell'atto di autotutela deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale.
Per quanto concerne l’annullamento delle concessioni edilizie la ragionevolezza del termine in argomento deve essere altresì rapportata a quanto prescritto dall'articolo 39 del d.p.r. n. 380/2001 che, nel disciplinare il potere regionale di annullamento dei provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi, fissa in dieci anni dalla loro adozione il termine massimo entro cui la potestà può essere esercitata.
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A fronte del considerevole lasso di tempo decorso dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati d'ufficio (oltre 10 anni), il canone di ragionevolezza del termine massimo per l'esercizio del potere di autotutela (cfr. art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) deve suggerire una scelta più attenta e rispettosa verso la consolidata posizione di affidamento ingenerato nel privato ricorrente circa la legittimità dell’atto di concessione rilasciatogli.

... per l'annullamento dell’ordinanza UTC del 29.12.2008 recante annullamento della concessione edilizia n. 8 del 16.01.1989 per la realizzazione di un edificio costituito da un piano terra ed un primo piano
...
Il ricorso è fondato e merita accoglimento nella parte in cui censura la motivazione dell’annullamento in quanto priva di qualsivoglia valutazione comparativa fra l’interesse pubblico alla rimozione della concessione edilizia rivelatasi illegittima e l’interesse del destinatario dell’atto al mantenimento in vita del titolo, specie tenuto conto del lungo tempo decorso a far data dal suo rilascio superiore a diciotto anni.
Nella materia de qua questo Collegio ha già avuto modo di rilevare (cfr. sent. Sez. VIII 4976/2013 in precedente analogo contro il medesimo Comune intimato) che l'adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell'originaria illegittimità dell'atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all'interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell'atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l'amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l'arco temporale trascorso dall'adozione dell'atto da annullare e solido appaia, pertanto, l'affidamento ingenerato nel privato. Ed infatti, costituisce ormai “ius receptum” che "il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato" (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; 07.12.2009, n. 8597; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15).
Anche nell'ipotesi di annullamento di una concessione edilizia va quindi riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell'amministrazione e che, nell'adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata. In omaggio all'orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell'atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell'effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell'atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo nell'art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, in base al quale "il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge".
Nell’interpretazione della predetta normativa la giurisprudenza ha sistematicamente rimarcato, quanto al metro di valutazione del tempo, che il termine entro cui l’amministrazione può intervenire per rimuovere legittimamente una situazione di illegittimità originaria o derivata deve essere valutato secondo un criterio di “ragionevolezza”, nel senso che la valutazione tipicamente discrezionale dell'atto di autotutela deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale.
Per quanto concerne l’annullamento delle concessioni edilizie la ragionevolezza del termine in argomento deve essere altresì rapportata a quanto prescritto dall'articolo 39 del d.p.r. n. 380/2001 che, nel disciplinare il potere regionale di annullamento dei provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi, fissa in dieci anni dalla loro adozione il termine massimo entro cui la potestà può essere esercitata (cfr. Cons. St sez. IV 03.08.2010 n. 5170).
Applicando tali principi al caso in esame, il Collegio rileva che un provvedimento in autotutela adottato ad oltre 10 anni dall'emissione della concessione edilizia con esso annullata sarebbe stato giustificabile solo se adeguatamente motivato in ordine all'interesse pubblico specifico, concreto e attuale, al divisato annullamento d'ufficio, agli eventuali contrasti dei titoli abilitativi in parola con gli interessi urbanistici della zona, nonché in rapporto all'affidamento nella conservazione del medesimo titolo abilitativo, consolidatosi nell'arco temporale trascorso tra il suo rilascio e la relativa rimozione.
Nella specie, nessuna ponderazione tra interesse pubblico e privato risulta, in sostanza, effettuata ed esplicitata dall'amministrazione resistente, la quale si è limitata a rilevare la violazione della fascia di rispetto autostradale sancita in 25 metri all’epoca del rilascio della concessione edilizia ai sensi dell’art. 8 della legge n. 729/1961.
Viceversa, a fronte del considerevole lasso di tempo decorso dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati d'ufficio (oltre 10 anni), il canone di ragionevolezza del termine massimo per l'esercizio del potere di autotutela (cfr. art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) avrebbe dovuto suggerire -come detto- una scelta più attenta e rispettosa verso la consolidata posizione di affidamento ingenerato nel privato ricorrente circa la legittimità dell’atto di concessione rilasciatogli (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 02.10.2007, n. 5074).
Una siffatta comparazione non risulta ricavabile “aliunde” nemmeno sulla base della riscontrata analogia con l’immobile costituente oggetto della decisione del Consiglio di Stato sez. IV n. 4719/1008 posta a base dell’annullamento impugnato che ha qualificato il vincolo come di natura assoluta.
A ben vedere nel giudizio svoltosi innanzi al Consiglio di Stato si discuteva della legittimità di un diniego di condono opposto dal Comune intimato rispetto ad un immobile edificato in assenza di concessione edilizia nella stessa fascia di rispetto autostradale. Rispetto al provvedimento di diniego di condono non poteva pertanto porsi alcuna problematica di affidamento da parte del destinatario dell’atto sulla legittimità della costruzione eseguita che, nella specie, invece, è radicata dall’intervenuta emissione del titolo da parte del Comune e dal lungo lasso di tempo decorso a far data dal suo rilascio. Deve quindi escludersi la prospettata identità di fattispecie sulla cui base il Comune si sarebbe ritenuto esonerato dall’obbligo di sostenere il provvedimento con una motivazione rafforzata nei termini sopra ampiamente esposti.
Esclusa quindi l’identità del caso in oggetto con la fattispecie venuta all’esame del Consiglio di Stato, non può sostenersi che il Comune fosse onerato a disporre l’annullamento dei titoli illegittimi rilasciati, senza tuttavia procedere alla dovuta comparazione con le posizioni soggettive consolidate dei titolari solo per effetto dell’ordinanza istruttoria con cui il Consiglio di Stato aveva chiesto, nel predetto giudizio, al Comune intimato di produrre una relazione di chiarimenti per verificare quali e quante altre unità immobiliari erano state realizzate all’interno della zona soggetta ad inedificabilità assoluta e quali e quanti provvedimenti erano stati adottati dall’amministrazione comunale nei confronti delle situazioni di riscontrata violazione della normativa urbanistica ed edilizia della zona in questione.
Se tale provvedimento di natura istruttoria poteva legittimamente costituire sollecitazione all’esercizio del potere di vigilanza sul rispetto delle prescrizioni urbanistiche di zona, ciò non esimeva tuttavia il Comune dall’osservanza, nel procedimento di autotutela instaurato, dalle prerogative e garanzie previste dalla legge a protezione delle posizioni soggettive di affidamento medio tempore create. Né, per le stesse ragioni, una siffatta valutazione poteva ritenersi in certo modo assorbita dalla constatazione della illegittimità “in re ipsa” della concessione edilizia per effetto del sopravvenuto accertamento giurisdizionale della natura assoluta del vincolo di rispetto autostradale.
In conclusione il ricorso merita accoglimento con conseguente annullamento dei provvedimenti medesimi impugnati (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 02.07.2014 n. 3608 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nell’interesse della collettività nel rispetto dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina urbanistica, mentre, in base ad un altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela, non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente l’intento di operare un astratto ripristino della legalità violata.
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del 1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura “discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di opportunità che deve essere congruamente giustificata. Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale consolidato principio prevedendo, in considerazione della preminenza che egli vuole assicurare a determinati interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311 del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art. 19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è consentito configurare in via giurisprudenziale nuove ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per effetto di atti autorizzativi non conformi alla pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti, apparire talmente evidente da non richiedere alcuna specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora interventi edilizi di notevole consistenza siano stati assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta o che prevedono limitazioni volumetriche.
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Se è vero, infatti, che i provvedimenti tipici e nominati specificamente previsti dalla normazione sulla tutela dei beni ambientali sono riservati all'autorità attributaria del relativo interesse primario, è vero altresì che ai fini dell'annullamento d'ufficio di una licenza edilizia le ragioni di interesse pubblico che giustificano il provvedimento non sono limitate a quelle di natura urbanistica, ma si estendono anche a tutti gli interessi pubblici secondari ed ulteriori.

Nella disamina delle diverse censure proposte dalla Società ricorrente il Collegio ritiene che abbia priorità logica quella di difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto proposta avverso il provvedimento di annullamento in via di autotutela del permesso di costruire.
Sul punto occorre dare atto che la giurisprudenza di primo e secondo grado appare divisa.
Secondo un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di un permesso edilizio non necessiterebbe di una espressa motivazione sul pubblico interesse al ritiro, configurandosi questo nell’interesse della collettività nel rispetto dell’ordinato assetto del territorio dato dalla disciplina urbanistica (Cons. Stato, IV, 4300/2012; Cons. Stato, V, 3037/2013; TAR Sardegna 651/2013), mentre, in base ad un altro orientamento giurisprudenziale, l’annullamento d’ufficio del permesso di costruire richiederebbe un’espressa motivazione in ordine all’interesse pubblico concreto che giustifica il ricorso al potere di autotutela, non essendo, anche nella materia edilizia, sufficiente l’intento di operare un astratto ripristino della legalità violata (Cons. Stato, IV, 19/03/2013 n. 1605; Cons. Stato, IV, 4770/2011 che riforma sul punto TAR Toscana, III, 6648/2010; Cons. Stato, V, n. 6252/2007, TAR Marche, Ancona, I, 593/2013).
A giudizio del Collegio l’opzione ermeneuticamente più corretta del disposto dell’art. 21-nonies della L. 241 del 1990 è quella per cui anche l’annullamento d’ufficio di un permesso edilizio debba necessariamente risultare fondato su un interesse pubblico attuale e concreto al ripristino dello status quo ante.
Il potere di autotutela è, infatti, per sua natura “discrezionale” e, quindi, frutto di una scelta di opportunità che deve essere congruamente giustificata. Soltanto in casi eccezionali il legislatore deroga a tale consolidato principio prevedendo, in considerazione della preminenza che egli vuole assicurare a determinati interessi, che l’esercizio del potere di ritiro debba assumere natura “doverosa”. Ciò, ad esempio, accade per i provvedimenti amministrativi che determinino un illegittimo esborso di denaro pubblico (1, comma 136, della L. n. 311 del 2004) o per le attività poste in essere sulla base di una s.c.i.a. non conforme a legge che arrechino pregiudizio al patrimonio artistico e culturale, all’ambiente, alla salute, alla sicurezza pubblica o la difesa nazionale (art. 19 comma 4 della L. 241/1990).
Al di fuori delle fattispecie normativamente tipizzate non è consentito configurare in via giurisprudenziale nuove ipotesi di autotutela doverosa poiché ciò significherebbe sovrapporsi alla scelta di valore compiuta dal legislatore che ha, invece, preferito rimettere alla p.a., in base ad una valutazione da operarsi caso per caso nell’ambito di un procedimento di riesame, la scelta se rimuovere o meno un proprio provvedimento illegittimo.
Ciò, peraltro, non significa disconoscere la peculiarità degli interessi afferenti la tutela del territorio che, per effetto di atti autorizzativi non conformi alla pianificazione urbanistica o a vincoli di ordine extraurbanistico, possono subire un pregiudizio permanente ed irreversibile.
In particolari fattispecie la necessità di agire in via di autotutela per proteggere tali interessi può, in effetti, apparire talmente evidente da non richiedere alcuna specifica motivazione come, ad esempio, accade qualora interventi edilizi di notevole consistenza siano stati assentiti in totale spregio alle prescrizioni urbanistiche sostanziali che pongono vincoli di inedificabilità assoluta o che prevedono limitazioni volumetriche.
Nel caso di specie, tuttavia, non è dato riscontrare un palese e grave contrasto fra l’intervento autorizzato con il permesso di costruire annullato dal Comune di Aulla e la disciplina urbanistica sostanziale dettata dal p.r.g., pacifica essendo la circostanza che il progetto (originario) rispetta limiti volumetrici e tipologici previsti dalle n.t.a della zona (R.U. 3 che consente la ristrutturazione urbanistica con destinazioni non residenziali con un incremento massimo di mc. 2000).
La difformità dell’atto di assenso rispetto alle prescrizioni del piano regolatore generale riguarda, invece, il vincolo di rinvio che sottopone gli interventi edificatori alla previa approvazione di un piano attuativo (particolareggiato o di recupero).
Il pregiudizio risentito dagli interessi protetti dallo strumento urbanistico in conseguenza di siffatta violazione non appare, tuttavia, così evidente da non richiedere alcuna motivazione sul punto; sarebbe stato, invece, necessario un attento esame dell’impatto del progetto di ampliamento dell’edificio sull’impianto urbanistico preesistente onde verificare se le modifiche edilizie illegittimamente assentite richiedessero effettivamente una complessiva operazione di ristrutturazione urbanistica mediante il ridisegno dei lotti, degli isolati e della relativa rete stradale e se tale necessità fosse così stringente da giustificare il sacrificio dell’affidamento del privato che, in forza del permesso rilasciato, aveva effettuato investimenti e realizzato i lavori.
Anche la mancanza dei pareri della Autorità di Bacino e della Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico non può considerarsi tale da superare l’esigenza di giustificare con apposita motivazione il provvedimento di autotutela.
Non è qui in discussione la preminenza degli interessi paesaggistici e di tutela idraulica, ma, anche in questa volta, i vincoli che nel caso di specie gravavano sull’area di proprietà della ricorrente non avevano carattere assoluto ma imponevano una concreta verifica di compatibilità dell’intervento edilizio con i valori protetti.
Di tale verifica l’Amministrazione avrebbe dovuto farsi carico in sede di esercizio del potere di autotutela, eventualmente con l’apporto istruttorio delle amministrazioni competenti. Se è vero, infatti, che i provvedimenti tipici e nominati specificamente previsti dalla normazione sulla tutela dei beni ambientali sono riservati all'autorità attributaria del relativo interesse primario, è vero altresì che ai fini dell'annullamento d'ufficio di una licenza edilizia le ragioni di interesse pubblico che giustificano il provvedimento non sono limitate a quelle di natura urbanistica, ma si estendono anche a tutti gli interessi pubblici secondari ed ulteriori (Cons. Stato sez. V, 11.05.1989 n. 272; Cons. Stato sez. V 07.10.1985 n. 308).
L’assenza di ogni valutazione in ordine al concreto pregiudizio derivante dalla mancata approvazione di un piano attuativo e la carenza di istruttoria in ordine all’effettivo contrasto dell’opera assentita con i valori tutelati dal vincoli idrogeologico e da quello paesaggistico rendono, perciò, illegittimo l’impugnato provvedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire a prescindere dalla fondatezza dei rilievi in ordine alla legittimità o meno di tale atto (TAR Toscana, Sez. III, sentenza 02.05.2014 n. 688 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Invero, il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo nell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, in base al quale “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
Si conferma, quindi, la natura tipicamente discrezionale dell'atto di ritiro, il quale deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale.

Del pari fondato è il profilo di censura a tenore del quale il Comune di Santa Maria Capua Vetere non avrebbe fornito un’adeguata motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico al ritiro dell’emesso titolo abilitativo edilizio rispetto all’affidamento privato nella sua conservazione, consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il suo rilascio e la sua rimozione in autotutela.
In proposito, occorre premettere che l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale. Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, secondo un costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; 07.12.2009, n. 8597; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Siffatto approdo giurisprudenziale rinviene un espresso aggancio normativo nell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, in base al quale “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
Si conferma, quindi, la natura tipicamente discrezionale dell'atto di ritiro, il quale deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, da effettuare entro un lasso di tempo ragionevole e da riportare nel corredo motivazionale (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 31.03.2014 n. 1880 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L. 241/1990.
In particolare, si è osservato che:
- i presupposti di tale potere sono costituiti dalla illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari;
- l'esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati presupposti;
- l'ambito della motivazione esigibile è integrato dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi);
- pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere di auto-annullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate, esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento.

Quanto poi alla ritenuta insussistenza dei presupposti per procedere all’annullamento d’ufficio della pregressa delibera consiliare valgano le seguenti considerazioni.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.11.2010 n. 8291, 21.12.2009 n. 8529, Sez. V, 06.12.2007 n. 6252; 12.11.2003 n. 7218; 24.09.2003 n. 5445).
In particolare, si è osservato che:
- i presupposti di tale potere sono costituiti dalla illegittimità originaria del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari;
- l'esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l'amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei summenzionati presupposti;
- l'ambito della motivazione esigibile è integrato dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi);
- pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere di auto-annullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate, esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 25.02.2014 n. 1197 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile oggetto dei lavori) non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato, ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato.
In relazione, poi, all’esistenza di un obbligo di particolare motivazione, derivante dalla circostanza che fossero trascorsi oltre due anni dal momento della presentazione della D.I.A., occorre ricordare come sia del tutto pacifico nella giurisprudenza di questo Consiglio l’affermazione che l'annullamento d'ufficio di un titolo abilitativo edilizio, dovuto a fatto dell'interessato (come nel caso in esame, dove è palese l’erronea allegazione dell’effettiva natura dell’immobile oggetto dei lavori) non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 08.11.2012 n. 5691; Consiglio di Stato, sez. IV, 30.07.2012 n. 4300) e in considerazione che le affermazioni miranti a considerare il rilievo del decorso del tempo sono tutte imperniate sulla tutela dell’affidamento del privato (si veda, ad esempio, Consiglio di Stato, sez. I, 25.05.2012 n. 3060), ossia una situazione qui non sussistente, stante l’erronea rappresentazione dei fatti proposta al Comune, dovuto proprio a fatto del privato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.02.2014 n. 735 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela; detto potere è espressione della discrezionalità amministrativa, di guisa che costituisce adempimento indefettibile l'adozione di un provvedimento espresso che richiede la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell'atto da eliminare.
Il provvedimento di annullamento di ufficio di un atto di assenso edilizio, in quanto scelta discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifichi il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Nel caso di specie, tale motivazione sul pubblico interesse è mancata, non potendo ritenersi che, in un’area urbana e in un edificio privato immune da vincoli architettonici o diversamente qualificati d’interesse culturale, possa rilevare e assurgere a interesse pubblico l’estetica architettonica del prospetto di edificio privato condominiale.
Il Comune, nella specie, si è interposto in una contesa privata tra condomini e l’ha risolta in via di autorità, senza che vi fosse l’interesse pubblico all’autotutela amministrativa, ovvero senza motivare affatto sulla sussistenza di detto interesse.
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Quando –anche per il decorso del tempo- la posizione del destinatario del provvedimento ampliativo si consolida e può dirsi generato un affidamento sulla legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere di autotutela è senz’altro condizionato alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata e prevalente sull'interesse del privato alla conservazione del titolo illegittimo.
Viceversa, la motivazione in relazione all'interesse pubblico all'annullamento può essere tralasciata in quei casi in cui, per il brevissimo lasso di tempo trascorso dal rilascio del provvedimento favorevole, possa ritenersi assente l'affidamento del destinatario nella legittimità dell'atto.
E’ evidente che i tre anni dal permesso di costruire non consentano di ritenere giustificato l’annullamento d’ufficio sul semplice presupposto dell’illegittimità del permesso di costruire.
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Dal combinato disposto delle norme di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241/1990 ed all'art. 38 del T.U. n. 380/2001, emerge che, a seguito della riscontrata illegittimità del titolo edilizio, l’Amministrazione procedente deve operare due distinte e progressive ponderazioni comparate dei contrapposti interessi in gioco: una, di primo livello afferente alla normativa generale sul procedimento, in ordine alla caducazione dell'atto illegittimo; nel caso di scelta affermativa, una seconda e definitiva fase di valutazione, riguardante le concrete modulazioni di ricaduta del deliberato annullamento sulla sfera giuridica del destinatario, in attuazione del citato articolo 38 del T.U. sull'edilizia.
In buona sostanza, l'annullamento del permesso di costruire non postula di per sé in via automatica il ripristino di quanto medio tempore costruito, visto che una volta determinatasi a ravvisare gli estremi dell'autotutela decisoria, l'Amministrazione sarebbe poi chiamata a modulare (con lo stesso o con altro distinto provvedimento) le misure operative che ne conseguono, senza un sistematico ricorso all'integrale autotutela esecutiva.

Il ricorso è fondato.
Il Comune di Termoli (Cb), su segnalazione-esposto del controinteressato condominio Crema di viale XXIV Maggio n. 6, avvia nel 2011 un procedimento di annullamento d’ufficio di un permesso di costruire rilasciato tre anni prima, per trasformare una finestra in un accesso carrabile (n. 132/2008), sul presupposto della scarsa esteticità del prospetto dell’edificio e del mancato assenso del condominio a modifiche che avrebbero dovuto essere concordate con esso. Il procedimento mette capo all’impugnato provvedimento prot. n. 1744 datato 20.01.2011, con il quale il Comune annulla in autotutela il permesso di costruire n. 132 del 20.10.2008, rilasciato in favore della ricorrente.
Si tratta di un annullamento che giunge alquanto in ritardo ed è vistosamente difettoso nella motivazione.
Nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela; detto potere è espressione della discrezionalità amministrativa, di guisa che costituisce adempimento indefettibile l'adozione di un provvedimento espresso che richiede la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell'atto da eliminare (cfr.: Tar Campania Napoli VIII 30.07.2008 n. 9586).
Il provvedimento di annullamento di ufficio di un atto di assenso edilizio, in quanto scelta discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all'esistenza dell'interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifichi il ricorso all'autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato (cfr.: Tar Campania Napoli VIII 23.05.2013 n. 2724).
Nel caso di specie, tale motivazione sul pubblico interesse è mancata, non potendo ritenersi che, in un’area urbana e in un edificio privato immune da vincoli architettonici o diversamente qualificati d’interesse culturale, possa rilevare e assurgere a interesse pubblico l’estetica architettonica del prospetto di edificio privato condominiale. Il Comune, nella specie, si è interposto in una contesa privata tra condomini e l’ha risolta in via di autorità, senza che vi fosse l’interesse pubblico all’autotutela amministrativa, ovvero senza motivare affatto sulla sussistenza di detto interesse.
Quanto alla dedotta possibile difformità tra stato di fatto e progetto assentito –menzionata nel penultimo accapo della motivazione del provvedimento impugnato– si tratta non già di un vizio di legittimità del permesso di costruire ma, semmai, di un rilievo utile ai fini del procedimento di contestazione di abuso edilizio che, allo stato, non risulterebbe avviato.
Occorre poi considerare che, quando –anche per il decorso del tempo- la posizione del destinatario del provvedimento ampliativo si consolida e può dirsi generato un affidamento sulla legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere di autotutela è senz’altro condizionato alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata e prevalente sull'interesse del privato alla conservazione del titolo illegittimo. Viceversa, la motivazione in relazione all'interesse pubblico all'annullamento può essere tralasciata in quei casi in cui, per il brevissimo lasso di tempo trascorso dal rilascio del provvedimento favorevole, possa ritenersi assente l'affidamento del destinatario nella legittimità dell'atto (cfr.: Tar Puglia Bari II, 17.04.2009 n. 894; Tar Campania Napoli VII, 07.05.2008, n. 3511; idem IV, 27.03.2006, n. 3197). E’ evidente che i tre anni dal permesso di costruire non consentano di ritenere giustificato l’annullamento d’ufficio sul semplice presupposto dell’illegittimità del permesso di costruire.
Vi è di più. L’annullamento d’ufficio non potrebbe modificare la situazione di fatto (vale a dire, l’avvenuta trasformazione della finestra in accesso carrabile), senza l’ulteriore provvedimento di ripristino dello stato dei luoghi che, allo stato, risulta non adottato, né tampoco adottabile, trattandosi di opera che non ha comportato alcuna trasformazione edilizia e urbanistica.
Dal combinato disposto delle norme di cui all'art. 21-nonies della legge n. 241/1990 ed all'art. 38 del T.U. n. 380/2001, emerge che, a seguito della riscontrata illegittimità del titolo edilizio, l’Amministrazione procedente deve operare due distinte e progressive ponderazioni comparate dei contrapposti interessi in gioco: una, di primo livello afferente alla normativa generale sul procedimento, in ordine alla caducazione dell'atto illegittimo; nel caso di scelta affermativa, una seconda e definitiva fase di valutazione, riguardante le concrete modulazioni di ricaduta del deliberato annullamento sulla sfera giuridica del destinatario, in attuazione del citato articolo 38 del T.U. sull'edilizia.
In buona sostanza, l'annullamento del permesso di costruire non postula di per sé in via automatica il ripristino di quanto medio tempore costruito, visto che una volta determinatasi a ravvisare gli estremi dell'autotutela decisoria, l'Amministrazione sarebbe poi chiamata a modulare (con lo stesso o con altro distinto provvedimento) le misure operative che ne conseguono, senza un sistematico ricorso all'integrale autotutela esecutiva (cfr.: Tar Abruzzo L’Aquila I, 18.01.2011 n. 21).
Tale considerazione pone in evidenza un profilo di inutilità del provvedimento impugnato, che non soltanto rende –se possibile- meno valida e plausibile la motivazione riferita al mero ripristino della legalità, ma –in aggiunta, sul piano processuale– priva il condominio controinteressato dell’interesse a resistere (TAR Molise, sentenza 17.02.2014 n. 100 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Allorquando una concessione sia stata ottenuta dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, l’autotutela può essere esercitata senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa".
... per l'annullamento:
- dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Sant'Orsola Terme n. 14/2012 dd. 06.06.2012 prot. n. 2860 ad oggetto "annullamento in autotutela delle concessioni di edificare n. 1448 di data 08.03.2000 e n. 1456 di data 04.05.2000", rilasciate ai signori P.L. e R.S. per i lavori di costruzione dell’edificio sulla p.f. 203/02 in c.c. S. Orsola località “Palaori";
...
Quanto all’altra censura, secondo cui l’autotutela sarebbe stata esercitata, a distanza di anni dal rilascio della concessione edilizia, senza alcuna specifica motivazione sull’attualità del pubblico interesse, il Collegio si richiama, condividendola, alla giurisprudenza secondo cui, allorquando una concessione sia stata ottenuta dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà, l’autotutela può essere esercitata senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa" (cfr., ad es.: Consiglio di Stato, sez. IV, 08/01/2013, n. 39).
In ogni caso, la situazione derivante dal rilascio della concessione edilizia nel lontano 2000 non si era affatto consolidata, se si considera che i relativi lavori sono stati ultimati (peraltro solo “al grezzo”, senza le necessarie finiture atte a rendere l’edificio abitabile) soltanto in data 29.10.2010 e, quindi, anche l’onere di motivazione in punto di pubblico interesse all’esercizio dell’autotutela si configurava come meno pregnante (TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 30.01.2014 n. 24 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Al di là del nomen iuris contenuto nel provvedimento, si controverte di un annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies della L. 241/1990 (e non di una revoca disposta ai sensi dell’art. 21-quinquies) giacché, come si è visto, esso si fonda sulla erronea rappresentazione grafica del locale deposito e sul conseguente vizio di legittimità procedimentale che ne è derivato.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L. 241/1990.
Con specifico riferimento all’interesse pubblico, si è osservato che l'ambito della motivazione esigibile va calibrato in rapporto al vizio che inficia il titolo abilitativo dovendosi tenere conto, tra l’altro, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore, ad esempio rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi.

Con la terza ed ultima censura parte ricorrente svolge due articolate doglianze che attengono, rispettivamente, all’omessa specificazione dell’interesse pubblico dell’atto di autotutela e all’eccesso di potere per irragionevolezza dell’azione amministrativa.
Quanto al primo rilievo occorre previamente precisare che, al di là del nomen iuris contenuto nel provvedimento, si controverte di un annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies della L. 241/1990 (e non di una revoca disposta ai sensi dell’art. 21-quinquies) giacché, come si è visto, esso si fonda sulla erronea rappresentazione grafica del locale deposito e sul conseguente vizio di legittimità procedimentale che ne è derivato.
La giurisprudenza amministrativa ha enucleato i principi che governano l'esercizio del potere di auto-annullamento dei titoli edilizi confluiti nell'art. 21-nonies della L. 241/1990 (Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.11.2010 n. 8291, 21.12.2009 n. 8529, Sez. V, 06.12.2007 n. 6252; 12.11.2003 n. 7218; 24.09.2003 n. 5445; TAR Campania, Napoli, Sez. VIII, 06.06.2012 n. 2668).
Con specifico riferimento all’interesse pubblico, si è osservato che l'ambito della motivazione esigibile va calibrato in rapporto al vizio che inficia il titolo abilitativo dovendosi tenere conto, tra l’altro, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati e della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l'amministrazione o ha approfittato di un suo errore, ad esempio rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi.
Nel caso in esame tali principi consentono di derubricare il vizio che attiene all’omessa specificazione dell’interesse pubblico atteso che, come si è visto, l’amministrazione è stata indotta in errore circa la precisa collocazione del manufatto ed in ordine alla posizione legittimante del richiedente.
E’ viceversa fondata la censura di eccesso di potere per irragionevolezza.
Invero, si è visto che il profilo di illegittimità procedimentale che ha condotto all’adozione dell’atto di autotutela attiene esclusivamente alla errata rappresentazione grafica del locale deposito posto a quota arenile.
Trattandosi di un vizio che riguardava un singolo manufatto erroneamente sanato, l’atto di autotutela avrebbe dovuto riguardare esclusivamente quest’ultimo, tanto più che -nella fattispecie in scrutinio- si controverte di un permesso di costruire in sanatoria che ha oggetto diverse opere (chiosco con locale bar, infermeria, foresteria, servizi, area coperta esterna destinata in parte a pic-nic e giochi, zona destinata a parcheggi e muro frangivento) sui quali il Comune di Castel Volturno non ha avanzato alcun rilievo.
Tale soluzione si impone in base ai principi di economicità dell’azione amministrativa e dell’“utile per inutile non vitiatur” giacché non appare ragionevole l’annullamento in autotutela in toto di un titolo edilizio per un motivo di illegittimità che riguarda solo uno degli interventi edilizi sanati (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 24.01.2014 n. 595 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAVenendo in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire il previo parere della Commissione Edilizia.
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Come affermato dalla giurisprudenza, quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela.

Il ricorso è infondato.
Con il provvedimento impugnato il Sindaco di Portopalo ha annullato la concessione edilizia sulla base di plurime motivazioni, fra cui quella secondo cui il titolo edilizio era stato richiesto in data 18.04.1991 dai coniugi Roccasalva sebbene gli stessi non fossero esclusivi proprietari dell’area interessata dall’intervento, avendo trasferito la particella n. 457 del foglio di mappa n. 36 a Paolino Greco e Gioacchino Greco con atto di compravendita in data 19.12.1990.
La ricorrente afferma che l’ingegnere Paolino Greco aveva implicitamente assentito la richiesta di concessione edilizia nella sua qualità di progettista dell’opera, ma tale conclusione non può comunque valere per l’altro comproprietario della citata particella n. 457.
Avuto riguardo alla previsione di cui all’art. 36 legge regionale n. 71/1978, secondo cui la concessione edilizia deve essere richiesta dal proprietario o da chiunque ne abbia titolo, il Sindaco ha quindi correttamente provveduto all’annullamento in autotutela del titolo previamente assentito.
Venendo in rilievo un annullamento in autotutela sorretto da valutazioni logico-giuridiche, e non da valutazioni di ordine tecnico-edilizio, non risultava necessario acquisire il previo parere della Commissione Edilizia (per tutte, cfr. Tar Milano, II, n. 4493/2009).
Inoltre, come affermato dalla giurisprudenza (sul punto cfr. Tar Milano, II, n. 841/2013), quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’amministrazione procedente causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell'atto può ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni di interesse del privato degne di particolare tutela (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 14.01.2014 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: G. Milizia, Il comune nega legittimamente il permesso di edificare una cantina, ma dovrà ugualmente risarcire il vignaiolo (07.01.2014 - link a www.diritto.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e concrete ragioni di interesse pubblico.
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Nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale, la ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato, e anche di tale circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del privato alla loro conservazione.

Il ricorso è fondato e va accolto.
Il provvedimento impugnato si è fondato esclusivamente sulla ritenuta “necessità di ripristinare la legalità violata”, individuata dall’amministrazione comunale nell’assenza del consenso dei proprietari confinanti all’edificazione dell’autorimessa interrata n. 3 entro la fascia di rispetto di cui all’art. 29 delle NdA del PRGC, con conseguente violazione di quest’ultima norma.
L’interesse pubblico è stato fatto coincidere dall’amministrazione con il mero ripristino della legalità violata ed è stato ritenuto prevalente sull’interesse privato dell’odierna ricorrente soltanto in ragione del breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia, ritenuto dall’amministrazione inidoneo a consolidare una posizione di affidamento tutelabile in capo al privato.
Osserva il collegio che la prima di tali valutazioni è illegittima, dal momento che ai sensi dell’art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità violata, ma è necessario che sussistano precise e concrete ragioni di interesse pubblico (TAR Piemonte, sez. I, 23.07.2013, n. 905; Cons. Stato, sez. III, 30.07.2013 n. 4026), che nel caso di specie non sono state evidenziate nella motivazione dell’atto impugnato.
E’ illegittima anche la seconda di tali valutazioni, dal momento che nel breve lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia fino al sopralluogo comunale del 17.07.2003, la ricorrente aveva già realizzato buona parte delle opere sanzionate con il provvedimento impugnato (cfr. cod. 8), e anche di tale circostanza l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nel bilanciare l’interesse pubblico alla demolizione delle opere (peraltro non individuato, in concreto, nell’atto impugnato) e quello del privato alla loro conservazione (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 13.12.2013 n. 1351 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, Sull’inapplicabilità dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 alla disciplina urbanistica (commento critico a TAR Toscana, sentenza n. 1481/2013) (26.11.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Annullamento parziale titolo edilizio.
Secondo l’opinione espressa dalla giurisprudenza maggioritaria, non è possibile procedere all’annullamento parziale dei titoli edilizi giacché, ammettendo il contrario, si consentirebbe all’amministrazione (o al giudice qualora l’annullamento sia effettuato da quest’ultimo) di disporre modificazioni al progetto di costruzione predisposto dal privato, e di sostituirsi, in sostanza, alla volontà di quest’ultimo.
Invero, secondo l’opinione espressa dalla giurisprudenza maggioritaria, cui si intende in questa sede aderire, non è possibile procedere all’annullamento parziale dei titoli edilizi giacché, ammettendo il contrario, si consentirebbe all’amministrazione (o al giudice qualora l’annullamento sia effettuato da quest’ultimo) di disporre modificazioni al progetto di costruzione predisposto dal privato, e di sostituirsi, in sostanza, alla volontà di quest’ultimo (cfr. ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 30.03.2012 n. 3065). La giurisprudenza citata dalla parte (Consiglio di Stato, sez. IV, 14.04.2011 n. 2326; TAR Sicilia Catania, sez. I, 25.03.2010 n. 937) sembra peraltro inconferente, in quanto non riguardante l’ipotesi dell’annullamento in autotutela di titoli edilizi (la sentenza del Consiglio di Stato ha ad oggetto un provvedimento di rigetto di istanza di rilascio di permesso di costruire ed una ordinanza di demolizione di opere ritenute abusive; mentre quella del TAR Catania riguarda una deliberazione di acquisizione al patrimonio comunale di opera ritenuta abusiva).
Va comunque osservato che l’interesse del privato volto a mantenere in essere quella parte di progetto e di opere non in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia è adeguatamente salvaguardato dalla possibilità di presentare istanza di permesso di costruire in sanatoria, previa modifica delle parti progettuali che sono invece in contrasto con la normativa stessa (massima tratta da www.lexambiente.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 22.11.2013 n. 2605 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Il permesso di costruire derivante da reato è nullo o annullabile?
E' affetto da annullabilità -e non da nullità- il provvedimento che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato.
Il Consiglio di Stato si pronuncia sul tipo di invalidità del permesso di costruire adottato in seguito ad una condotta costituente un reato, concludendo che in tal caso il titolo edilizio è annullabile e non nullo.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto che il reato commesso in sede di adozione del permesso di costruire avesse determinato l’interruzione del nesso di riferibilità soggettiva degli atti del funzionario all’Ente con conseguente radicale nullità dell’atto per carenza di un elemento essenziale, ai sensi dell’articolo 21-septies della l. 241 del 1990.
Il giudice d’appello è di contrario avviso e, richiamando una risalente decisione dell’Adunanza Plenaria (n. 3 del 1976), afferma il principio secondo cui è affetto da annullabilità (e non da nullità) il provvedimento amministrativo (per sua natura autoritativo) che sia stato rilasciato sulla base di un atto la cui emanazione abbia comportato alla commissione di un reato.
Rileva in proposito che la cosiddetta frattura del nesso di immedesimazione organica (per il caso di commissione di un reato doloso) riguarda la diversa tematica della responsabilità dell’amministrazione di cui risulti dipendente l’autore del reato, che è esclusa quando il dipendente abbia posto in essere una condotta materiale “per scopi egoistici”.
Ipotizzare la nullità del titolo edilizio in siffatti casi comporterebbe gravi turbamenti all’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico.
Anche i subacquirenti sarebbero infatti esposti in ogni tempo ad una declaratoria di nullità per atti divenuti inoppugnabili e richiamati negli atti notarili di alienazione. Tale grave conseguenza della nullità, che la legge pur potrebbe astrattamente prevedere a maggiore tutela del territorio, non è stata però in concreto prevista dal legislatore.
Inoltre, la sanzione dell’annullabilità consente comunque l’adeguata tutela del territorio e degli interessi pubblici coinvolti.
A seguito dell’accertamento dei fatti in sede penale, d’ufficio o su istanza di chi vi abbia interesse, il Comune deve valutare se e sotto quale profilo l’immobile realizzato si sia posto in contrasto con la disciplina urbanistica.
Ove tale contrasto risulti, l’Amministrazione, previo contraddittorio con i proprietari attuali, può rilevare il vizio dell’atto e, sussistendo inevitabilmente l’attuale interesse pubblico per il contrasto con la disciplina urbanistica e l’esigenza di ripristinare la legalità, può disporne l’annullamento, con le conseguenze specificamente previste dall’art. 38 del D.P.R. n. 280/2001 Testo unico sull’edilizia (ovverosia l’ordine di demolizione o la sanzione amministrativa pecuniaria).
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Esito
Riforma parzialmente TAR Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 536 del 2012
Precedenti giurisprudenziali conformi
Cons. Stato, Ad. Plen., n. 3/1976
Precedenti giurisprudenziali difformi
Cons. Stato Sez. V Sent., 04.03.2008, n. 890
Riferimenti normativi

Art. 21-septies della l. 241 del 1990; art. 38 del D.P.R. n. 280/2001
(commento tratto da www.ispoa.it - Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 31.10.2013 n. 5266 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVIL'autore di un esposto, anche se proprietario confinante del destinatario di un provvedimento di annullamento d'ufficio del titolo ad aedificandum, non assume la veste giuridica di controinteressato perché il potere di autotutela è esercitato per il conseguimento dell'interesse pubblico al quale è estraneo il privato che, se vanta un interesse di mero fatto, ricorrendone i presupposti, può svolgere, come nella specie, l'intervento ad opponendum a norma dell'art. 28, comma 2, c.p.a..
In via preliminare, vale comunque respingere la spiegata eccezione di inammissibilità, sul rilievo per cui l'autore di un esposto, anche se proprietario confinante del destinatario di un provvedimento di annullamento d'ufficio del titolo ad aedificandum, non assume la veste giuridica di controinteressato perché il potere di autotutela è esercitato per il conseguimento dell'interesse pubblico al quale è estraneo il privato che, se vanta un interesse di mero fatto, ricorrendone i presupposti, può svolgere, come nella specie, l'intervento ad opponendum a norma dell'art. 28, comma 2, c.p.a. (in termini, da ultimo, TAR Salerno, sez. II, 04.10.2012, n. 1794 e Cons. Stato, sez. V, 11.11.2011, n. 6074)
(TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 27.09.2013 n. 1981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La concessione edilizia, poi denominata <<permesso di costruire>>, a seguito degli interventi della Corte Costituzionale sulla l. n. 10 del 1977 (c.d. legge Bucalossi), non è revocabile per sopravvenienza o per una successiva valutazione di opportunità dell'Amministrazione, ma è suscettibile esclusivamente di annullamento per motivi di legittimità.
L’azione impugnatoria è fondata.
L’art. 11, secondo comma, del T.U. edilizia, approvato con il DPR 08.06.2001, n. 380, sancisce l’irrevocabilità del permesso di costruire, che può essere annullato d’ufficio (qualora illegittimamente emesso, e ricorrendo gli altri presupposti di legge), ma non può formare oggetto di revoca per ragioni di opportunità (cfr. TAR Campania – Sez. III, 07.06.2013 n. 3053: “La concessione edilizia, poi denominata <<permesso di costruire>>, a seguito degli interventi della Corte Costituzionale sulla l. n. 10 del 1977 (c.d. legge Bucalossi), non è revocabile per sopravvenienza o per una successiva valutazione di opportunità dell'Amministrazione, ma è suscettibile esclusivamente di annullamento per motivi di legittimità”).
Le censure della Società ricorrente, rivolte avverso i provvedimenti che hanno sospeso gli effetti del titolo edilizio, non già per la sussistenza di vizi di legittimità, bensì adducendo la necessità di rinnovare l’esame della compatibilità dell’intervento, sono pertanto fondate e vanno accolte, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 18.09.2013 n. 1951 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATANon sussiste in capo all'Amministrazione alcun obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su una diffida-messa in mora diretta essenzialmente a ottenere provvedimenti in autotutela, essendo l'attività connessa all'esercizio dell'autotutela espressione di ampia discrezionalità e, come tale, incoercibile dall'esterno.
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Non sussiste la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell'Amministrazione all'autotutela; tale divieto trova il proprio fondamento nell'esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo nel termine di decadenza.
Siffatto éscamotage presuppone, in definitiva, una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, e l'intrapresa della procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l'adozione di un secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato; la richiesta dei privati, rivolta all'Amministrazione, di esercizio dell'autotutela, è una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all'Amministrazione stessa alcun obbligo di provvedere.

Va perciò ricordato che, stante la sua natura ampiamente discrezionale, il potere di autotutela non è suscettibile di essere forzato da istanze delle parti che avrebbero potuto adeguatamente tutelarsi con la tempestiva impugnazione dei provvedimenti ritenuti lesivi dei propri interessi.
In tal senso, tra le molte, Cons. St., sez. V, 03.10.2012 n. 5199 (“non sussiste in capo all'Amministrazione alcun obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su una diffida-messa in mora diretta essenzialmente a ottenere provvedimenti in autotutela, essendo l'attività connessa all'esercizio dell'autotutela espressione di ampia discrezionalità e, come tale, incoercibile dall'esterno”); Cons. St. sez. V, 03.05.2012 n. 2549 (“non sussiste la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell'Amministrazione all'autotutela; tale divieto trova il proprio fondamento nell'esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell'atto amministrativo nel termine di decadenza. Siffatto éscamotage presuppone, in definitiva, una sequenza procedimentale in cui sussista un provvedimento non impugnato, e l'intrapresa della procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare l'adozione di un secondo provvedimento, volto a mettere nel nulla quello non tempestivamente impugnato; la richiesta dei privati, rivolta all'Amministrazione, di esercizio dell'autotutela, è una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all'Amministrazione stessa alcun obbligo di provvedere” (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 12.09.2013 n. 742 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: M. Grisanti, SULL’OBBLIGO DELL’ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DEI TITOLI ABILITATIVI IN EDILIZIA (03.08.2013 - link a www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: La scelta operata dall’Amministrazione resistente di adottare in autotutela il provvedimento di annullamento del permesso di costruire in sanatoria costituisce espressione di potere discrezionale, a fronte del quale sussisteva l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento.
Sul punto è infatti principio consolidato che “la preventiva comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, costituisce una regola generale dell'azione amministrativa, soprattutto quando l'amministrazione eserciti il potere d'annullamento d'ufficio (nella specie, di un permesso di costruire) per il quale occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto o alla cessazione dei suoi effetti”.

Pertanto, la scelta operata dall’Amministrazione resistente di adottare in autotutela il provvedimento di annullamento del permesso di costruire in sanatoria costituisce espressione di potere discrezionale, a fronte del quale sussisteva l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare agli interessati l’avvio del procedimento.
Sul punto è infatti principio consolidato che “la preventiva comunicazione di avvio del procedimento, prescritta dall'art. 7 della legge 07.08.1990 n. 241 sul procedimento amministrativo, costituisce una regola generale dell'azione amministrativa, soprattutto quando l'amministrazione eserciti il potere d'annullamento d'ufficio (nella specie, di un permesso di costruire) per il quale occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto o alla cessazione dei suoi effetti” (Consiglio di Stato 25.05.2012 n. 3060)
(TAR Lazio-Latina, sentenza 17.07.2013 n. 646 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante. Intensità del rapporto di consequenzialità tra atti presupposti e atti presupponenti nel caso di strumenti urbanistici di diverso livello.
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1. Distinzione tra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante.
  
1.1. In termini generali, in base al noto schema fatto proprio dal giudice amministrativo, in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto, deve distingursi fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, ammettendo per la prima che l'annullamento dell'atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest'ultimo non venga impugnato, mentre la seconda renderebbe l'atto consequenziale annullabile, purché impugnato nei termini.
   1.2. Ai fini della concreta individuazione della tipologia di effetti tra atti presupposti e atti presupponenti, è pacifico che si debba valutare l'intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento dell'effetto caducante ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi.

2. (segue): sull'intensità del rapporto di consequenzialità tra atti presupposti e atti presupponenti nel caso di strumenti urbanistici di diverso livello.
  
2.1. In base alla legislazione regionale toscana (dapprima la L.R. Toscana n. 5/1995 e ora la L.R. Toscana n. 1/2005), il governo del territorio si attua con una serie di strumenti che partono dal piano di indirizzo territoriale e, passando per snodi intermedi, si concludono con il rilascio dei permessi di costruire.
Il sistema che ne deriva si sviluppa per passaggi successivi, ciascuno dei quali comporta l’adozione di uno specifico atto, sulla base di una ponderazione degli interessi implicati, apprezzati anche alla luce della corrispondenza con l’atto di livello superiore.
Così stando le cose, è evidente che -quasi per definizione- ciascuno dei successivi atti implica una ulteriore valutazione di interessi, seppur circoscritta nei limiti determinati dall’atto presupposto. E questo vale per ciascuno dei successivi passaggi della catena.
   2.2. La relazione che intercorre tra regolamento urbanistico e piano attuativo non è di natura diversa da quella che passa tra piano attuativo e permesso di costruire.
In entrambi i casi, gli atti presupponenti (piano attuativo e permesso di costruire) hanno alle loro spalle un atto presupposto (regolamento urbanistico e piano attuativo), che limitano -ma non certo eliminano- il potere di apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione.
   2.3. L’effetto che si produce tra le coppie di atti (quelli presupponenti: piano attuativo e permesso di costruire; e quelli presupposti: regolamento urbanistico e piano attuativo), in caso di invalidità dell’atto presupposto, è dunque l’invalidità derivata, destinata a essere fatta valere nelle forme, nei modi e nei termini previsti dall’ordinamento, e dunque, necessariamente, anche mediante la tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, nel rispetto del termine di decadenza.
D’altronde, se il Comune, nell’approvare il piano attuativo, non fosse chiamato a compiere una valutazione di interessi nuova e diversa (seppure circoscritta, nel senso di cui prima si è detto), l’approvazione del piano medesimo degraderebbe al ruolo di atto meramente esecutivo se non addirittura dovuto: conseguenza questa palesemente incongrua e contrastante con la realtà effettuale, e comunque incompatibile con la complessa procedura prescritta per l’approvazione del piano medesimo.
   2.4. Il privato, che si ritenga leso da un piano attuativo, ha solo l’onere di impugnarlo tempestivamente, dimostrando ovviamente la legittimazione e l’interesse ad agire, a nulla rilevando la pregressa e tempestiva impugnazione dello strumento urbanistico presupposto (nella specie il R.U.C. ex L.R. Toscana n. 5/1995).
   2.5. Il termine per impugnare gli strumenti di pianificazione urbanistica (ivi compresi i piani attuativi), da parte di soggetti da essi non direttamente incisi, decorre, a pena di decadenza, dalla data di pubblicazione della delibera di approvazione
(massima tratta da www.ricerca-amministrativa.it).
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... per la riforma della sentenza 16.11.2008 n. 2962 del TAR TOSCANA-FIRENZE: SEZ. I, resa tra le parti, concernente permesso di costruire per realizzazione di opere di urbanizzazione e approvazione di piano particolareggiato
...
1. L’appello, in linea di principio, non sembra contestare il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il termine per impugnare gli strumenti di pianificazione urbanistica, da parte di soggetti da essi non direttamente incisi, decorre, a pena di decadenza, dalla data di pubblicazione della delibera di approvazione (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. VI, 19.10.2007, n. 5457).
Tale giurisprudenza, però, non varrebbe nel caso di specie, in ragione dello strettissimo legame che intercorrerebbe tra il regolamento urbanistico e il piano di attuazione, tale che la caduta dell’uno travolgerebbe inevitabilmente con sé l’altro (si tratterebbe di un vizio caducante).
Diversamente, i permessi di costruire sarebbero legati agli strumenti urbanistici da una relazione meno intensa e, pur potendo essere affetti da invalidità derivata per l’illegittimità di questi ultimi, andrebbero comunque tempestivamente impugnati (come nella vicenda l’appellante ha fatto).
2. Sebbene esposta brillantemente e con dovizia di argomentazioni, la tesi non può essere condivisa.
Tale tesi fa capo a una noto schema, fatto proprio dal giudice amministrativo, che, in presenza di vizi accertati dell'atto presupposto, distingue fra invalidità ad effetto caducante ed invalidità ad effetto viziante, ammettendo per la prima che l'annullamento dell'atto presupposto si estenda automaticamente a quello consequenziale, anche ove quest'ultimo non venga impugnato, mentre la seconda renderebbe l'atto consequenziale annullabile, purché impugnato nei termini.
Ai fini della concreta individuazione della predetta tipologia di effetti, è pacifico che si debba valutare l'intensità del rapporto di consequenzialità, con riconoscimento dell'effetto caducante ove tale rapporto sia immediato, diretto e necessario, nel senso che l'atto successivo si ponga, nell'ambito della stessa sequenza procedimentale, come inevitabile conseguenza di quello anteriore, senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 23.02.2011, n. 1114; sez. VI; 27.04.2011, n. 2482).
3. Nel caso di specie, secondo la scansione delineata dalla legge della Regione Toscana 16.01.1995, n. 5, sotto la vigenza della quale ha avuto origine la vicenda controversa, il governo del territorio si attua con una serie di strumenti che partono dal piano di indirizzo territoriale e, passando per snodi intermedi, si concludono con il rilascio dei permessi di costruire. Il sistema che ne deriva si sviluppa per passaggi successivi, ciascuno dei quali comporta l’adozione di uno specifico atto, sulla base di una ponderazione degli interessi implicati, apprezzati anche alla luce della corrispondenza con l’atto di livello superiore.
Così stando le cose, è evidente che -quasi per definizione- ciascuno dei successivi atti implica una ulteriore valutazione di interessi, seppur circoscritta nei limiti determinati dall’atto presupposto. E questo vale per ciascuno dei successivi passaggi della catena.
In altri termini, la relazione che intercorre tra regolamento urbanistico e piano attuativo non è di natura diversa da quella che passa tra piano attuativo e permesso di costruire. In entrambi i casi, gli atti presupponenti (piano attuativo e permesso di costruire) hanno alle loro spalle un atto presupposto (regolamento urbanistico e piano attuativo), che limitano -ma non certo eliminano- il potere di apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione.
L’effetto che in entrambi i casi si produce tra le coppie di atti, in caso di invalidità dell’atto presupposto, è dunque l’invalidità derivata, destinata a essere fatta valere nelle forme, nei modi e nei termini previsti dall’ordinamento, e dunque, necessariamente, anche mediante la tempestiva impugnazione dell’atto presupposto, nel rispetto del termine di decadenza.
D’altronde, se il Comune, nell’approvare il piano attuativo, non fosse chiamato a compiere una valutazione di interessi nuova e diversa (seppure circoscritta, nel senso di cui prima si è detto), l’approvazione del piano medesimo degraderebbe al ruolo di atto meramente esecutivo se non addirittura dovuto: conseguenza questa palesemente incongrua e contrastante con la realtà effettuale, e comunque incompatibile con la complessa procedura prescritta per l’approvazione del piano medesimo.
4. Così intesa la normativa, non vi è ragione per riconoscere in concreto esistente quella violazione dell’art. 113 Cost. che l’appellante invece lamenta. Certo, come l’appello osserva, sarebbe paradossale se il privato non potesse impugnare immediatamente il piano, in quanto non lesivo; e nemmeno successivamente, per essere il piano divenuto inoppugnabile a seguito della scadenza dei termini. La contraddizione è solo apparente: in realtà il privato, che si ritenga leso da un piano attuativo, ha solo l’onere di impugnarlo tempestivamente, dimostrando ovviamente la legittimazione e l’interesse ad agire.
Qui, a dire il vero, sembra stare –in punto di fatto– il nocciolo concreto della questione: nell’avere cioè il TAR escluso legittimazione e interesse a impugnare il regolamento urbanistico nel diverso giudizio ricordato in narrativa, mentre la signora Ch. avrebbe omesso di impugnare il piano confidando nell’accoglimento del ricorso contro il regolamento urbanistico.
A questo proposito, però, non può nemmeno dirsi che sia stato l’orientamento del Tribunale a determinare un qualche affidamento nell’appellante, inducendola a ritenere non ammissibile una immediata impugnativa contro uno strumento urbanistico quale il piano attuativo.
Infatti, come appare dai fascicoli, la sentenza di primo grado, che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro il regolamento urbanistico, è stata depositata il 03.07.2007, dunque quasi quattro anni dopo la pubblicazione del piano particolareggiato (affissione all’albo pretorio dal 30.07. al 14.08.2003; pubblicazione sul B.U.R. del 03.09.2003), a sua volta impugnato con ricorso notificato il 20.07.2006 e con motivi aggiunti notificati il 15.06.2007.
Non sussiste dunque, per la signora Ch., alcun affidamento che possa averne determinato le iniziative processuali e forse le avrebbe potuto consentire il beneficio dell’errore scusabile, ai fini della rimessione in termini per impugnare.
In definitiva, il piano attuativo avrebbe dovuto essere impugnato tempestivamente, nel termine decorrente dal deposito presso la casa comunale, eventualmente introducendo motivi aggiunti nel giudizio promosso contro il regolamento urbanistico.
Non avendo l’appellante così fatto, correttamente il Tribunale territoriale ha ritenuto irricevibile per tardività il ricorso relativo.
5. L’appello sostiene poi che, diversamente da quanto ha deciso il TAR, la declaratoria di inammissibilità non potrebbe travolgere quei motivi che riguardano vizi autonomi dei permessi di costruire impugnati e che, in particolare, attengono al rischio idrogeologico e all’esistenza di diritti di terzi sull’area (v. pag. 21 e segg. del ricorso).
Con riguardo alla ritenuta omessa valutazione del rischio idraulico, la tesi non è convincente. Come appare chiaramente dal ricorso introduttivo (pag. 18), tale motivo contesta la legittimità del piano attuativo prima ancora di quella dei permessi di costruire. Lo stesso parere ostativo geologico-tecnico del geologo dottor Pellegrini, su cui l’appello insiste, è testualmente formulato in relazione al piano attuativo medesimo.
In disparte le controdeduzioni formulate sul punto dal Comune e dai privati controinteressati, la sentenza va dunque confermata anche nella parte che afferma l’inammissibilità di questo motivo, al pari degli altri proposti avverso i permessi di costruire con il ricorso introduttivo (salvo quanto si dirà subito appresso), come conseguenza dell’irricevibilità dell’impugnazione dello strumento urbanistico.
6. La censura dedotta in primo grado con i motivi aggiunti, circa la mancata piena disponibilità dell’area, ha invece carattere autonomo e sopravvive dunque alla pronunzia di irricevibilità.
Un provvedimento del Tribunale di Pisa avrebbe dichiarato l’esistenza di diritti di terzi sull’area contestata. Essa pertanto non sarebbe nella piena disponibilità dei titolari dei permessi di costruire; ne seguirebbe il mancato rispetto dei parametri urbanistico-edilizi.
Impregiudicata ogni altra valutazione (nel fascicolo non si trova copia del provvedimento), basti osservare a questo riguardo che -per affermazione della stessa appellante- quella che viene evocata è un’ordinanza d’urgenza, mentre nulla è dato sapere degli sviluppi del giudizio di merito.
Manca, in definitiva, un accertamento con efficacia di giudicato, che possa essere addotto a solido fondamento della pretesa indisponibilità parziale dell’area.
La censura, pertanto, è infondata
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 13.06.2013 n. 3272 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime non ha affatto natura eccezionale ma quando -al contrario- sussistono precise esigenze di tutela della civile convivenza e dell’ordinato sviluppo dell’attività edilizia, e della salvaguardia degli insediamenti abitativi, la p.a. ha il potere-dovere di emanare l'atto di annullamento.
E’ dunque legittimo il comportamento dell’Amministrazione che, come qui, emenda la propria precedente condotta conformando seppure tardivamente, la propria azione al rispetto concreto della legge..
Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all’Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda.
Pertanto, i lavori eseguiti nell’arco dei tre mesi e mezzo precedenti l’avviso di avvio del procedimento di autotutela non possono certo determinare alcun consolidamento ed alcuna aspettativa giuridicamente tutelata in capo all’appellante. Tutta l’eventuale attività edilizia svolta, successiva all’avvio del procedimento, risulta essere stata incautamente realizzata in base ad un relativo titolo abilitativo in corso di verifica e revisione procedimentale.

Sotto il profilo sostanziale poi, tenendo conto dei valori espressi dall'art. 97 Cost., si deve ricordare che l'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime non ha affatto natura eccezionale ma quando -al contrario- sussistono precise esigenze di tutela della civile convivenza e dell’ordinato sviluppo dell’attività edilizia, e della salvaguardia degli insediamenti abitativi, la p.a. ha il potere-dovere di emanare l'atto di annullamento.
E’ dunque legittimo il comportamento dell’Amministrazione che, come qui, emenda la propria precedente condotta conformando seppure tardivamente, la propria azione al rispetto concreto della legge (arg. ex Consiglio Stato sez. IV, 12.02.2013 n. 834; Consiglio Stato sez. V 24.02.1996 n. 232).
Quanto al profilo temporale, l'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241 non fissa alcun termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all’Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27.02.2012 n. 1081).
Nel caso concreto, si rileva anche che:
- i lavori erano iniziati soltanto il 21.03.2000 (v. comunicazione al Comune in atti);
- la voltura della concessione edilizia al Tasselli era datata 24.03.2000;
- il successivo 09.07.2000 il Comune aveva inviato all’appellante la comunicazione di avvio del procedimento relativo agli accertamenti sulla legittimità del titolo rilasciato;
- il 06.03.2001 era stato emesso il provvedimento impugnato in prime cure.
Pertanto, i lavori eseguiti nell’arco dei tre mesi e mezzo precedenti l’avviso di avvio del procedimento di autotutela non potevano certo determinare alcun consolidamento ed alcuna aspettativa giuridicamente tutelata in capo all’appellante. Tutta l’eventuale attività edilizia successiva all’avvio del procedimento svolta era stata incautamente svolta in base ad un relativo titolo abilitativo in corso di verifica e revisione procedimentale.
Sotto il profilo sintomatico, non si ravvisa poi alcuno sviamento di potere nel caso del Comune che, a seguito di un esposto di un controinteressato che fondatamente assume di subire un nocumento alla sua proprietà da un atto illegittimo, annulla in autotutela il provvedimento abilitativo.
Devono perciò condividersi pienamente le conclusioni del TAR circa la sussistenza dei requisiti procedimentali, codificati nell'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, per l’esercizio del potere di annullamento dei titoli edilizi in questione
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 04.06.2013 n. 3056 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: R. Micalizzi, Le sanzioni conseguenti all’annullamento del titolo edilizio, tra interpretazione letterale e principi generali (Urbanistica e appalti n. 6/2013).

EDILIZIA PRIVATA: In via di principio, l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.

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Il Collegio non ignora il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in autotutela a fronte della falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell’adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest’ultimo imputabile non già all’autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione.
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... per l'annullamento DISPOSITIVO N. 26 del 25/05/2012: ANNULLAMENTO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE DEL 02.10.2008.
...
4. Dall’accertata infondatezza del primo motivo di impugnazione, così come dianzi scrutinato, discende logicamente l’infondatezza anche del quarto, a tenore del quale l’amministrazione resistente non avrebbe effettuato un’adeguata ponderazione né fornito un’adeguata motivazione circa la prevalenza dell’interesse pubblico al ritiro del titolo abilitativo edilizio annullato rispetto all’affidamento privato nella sua conservazione, consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il rilascio del predetto titolo e la sua rimozione in autotutela.
4.1. In proposito, occorre premettere, in via di principio, che l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, il Collegio non ignora il costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui il provvedimento di annullamento di ufficio di un permesso di costruire, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
4.2. Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in autotutela a fronte della falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini dell’adozione del provvedimento ampliativo inciso, essendo il vizio infirmante quest’ultimo imputabile non già all’autorità promanante, bensì al privato, il quale non può, quindi, vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; 28.05.2012, n. 3150; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria, Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; 02.11.2011, n. 1509; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; Salerno, sez. II, 24.01.2013, n. 171; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643).
Ebbene, sotto tale profilo, rileva che il Comune di Caiazzo, nel disporre l’avversato annullamento d’ufficio, ha espressamente evidenziato che il De Iu., “con la richiesta di realizzazione del parcheggio pertinenziale pervenuta in data 06.06.2007, prot. n. 6367, che ha prodotto il rilascio del permesso di costruire commissariale del 02.10.2008, ha, tra l’altro, dichiarato ‘libera’ l’area interessata, producendo un’erronea rappresentazione dello stato di fatto preesistente al rilascio dell’atto autorizzativo edilizio”.
Ed invero, –come acclarato retro, sub n. 3– a fronte di ingenti opere di sbancamento e di fondazione già eseguite, il ricorrente, nella domanda di permesso di costruire, prot. n. 6367, del 06.06.2007 ha infedelmente o erroneamente rappresentato l’area di sedime come ‘libera’, così inducendo in errore l’amministrazione procedente circa la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 ai fini dell’applicabilità del regime derogatorio in materia di parcheggi pertinenziali.
4.3. A quanto sopra è appena il caso di soggiungere che il preteso legittimo affidamento privato nella conservazione del titolo abilitativo edilizio conseguito è escluso, altresì, dalla circostanza che il De Iu. abbia ritardato l’ultimazione dei lavori assentiti, al punto da richiederne la proroga triennale con istanza del 30.01.2012, prot. n. 1117, evidentemente in attesa dell’esito del giudizio definito con sentenza della Quarta Sezione del Consiglio di Stato n. 1986 del 04.04.2012 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.4); esito processuale che, ove favorevole, gli avrebbe procurato la reviviscenza delle concessioni edilizie n. 188/1999, n. 78/2001 e n. 3/2003, abilitative alla costruzione di un edificio commerciale ed annullate d’ufficio con provvedimento del 20.07.2005, n. 77 (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.2 e 2.3), in luogo della meno mabita ‘soluzione di ripiego’, costituita dalla riconversione delle strutture realizzate in parcheggio pertinenziale (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 23.05.2013 n. 2724 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’intervento in autotutela presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto inciso, la valutazione della rispondenza della sua rimozione o modificazione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da rimuovere o modificare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
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Tuttavia, in determinate ipotesi l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in autotutela:
a) a fronte dell’assenza del necessario requisito di legittimazione ad ottenere il provvedimento ampliativo inciso e, quindi, della connessa situazione permanente contra ius;
b) a fronte della falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del predetto provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente;
c) a fronte della insussistenza di una specifica istanza di parte, prescritta ex lege, ai fini dell’adozione del provvedimento ampliativo.
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Laddove non vi sia spazio per complesse valutazioni di natura tecnico-discrezionale o, comunque, non sia necessario procedervi, l’organo decidente può legittimamente rinunciare all’apporto dell’organo consultivo nel caso di annullamento del provvedimento amministrativo rilasciato.
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale soluzione, stabilmente invalsa, oltre che con riferimento all’attività vincolata di repressione degli abusi edilizi, per la quale è stata esclusa l’obbligatorietà dell’acquisizione del parere della commissione edilizia, anche con riferimento all’applicazione del principio del ‘contrarius actus’ alla preventiva acquisizione del parere della commissione edilizia in sede di annullamento di un titolo abilitativo, facendo eccezione al principio in parola l'ipotesi in cui l'amministrazione non debba compiere particolari valutazioni di ordine tecnico.

Al riguardo, occorre premettere, in via di principio, che l’intervento in autotutela presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto inciso, la valutazione della rispondenza della sua rimozione o modificazione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da rimuovere o modificare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15).
Ciò premesso in via di principio, occorre, però, rammentare che, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di intervento in autotutela:
a) a fronte dell’assenza del necessario requisito di legittimazione ad ottenere il provvedimento ampliativo inciso e, quindi, della connessa situazione permanente contra ius (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23.02.2012, n. 1041; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 08.04.2005, n. 1983);
b) a fronte della falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del predetto provvedimento ampliativo, non potendo l’interessato medesimo vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un beneficio ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria. Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte della insussistenza di una specifica istanza di parte, prescritta ex lege, ai fini dell’adozione del provvedimento ampliativo.
Ebbene, sotto tali profili, rileva che, nella specie, i ricorrenti:
- da un lato, non si sono dimostrati in possesso di un idoneo titolo di godimento sulla superficie coperta dal muro di recinzione controverso (cfr. retro, sub n. 1.1), avendo, quindi, infedelmente o erroneamente rappresentato quest’ultima, nel progetto assentito col permesso di costruire in sanatoria n. 46 del 18.04.2011, come di esclusiva proprietà di Coppola Alba;
- d’altro lato, non risultano aver richiesto alla competente Provincia di Caserta, con precipuo riguardo al medesimo muro di recinzione, la prescritta autorizzazione ex artt. 7 del r.d. n. 3267/1923 e 23 della l.r. Campania n. 11/1996.
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Non è, infine, ravvisabile una violazione del principio del ‘contrarius acuts’ nella circostanza che, a differenza del permesso di costruire n. 46 del 18.04.2011, il relativo provvedimento di “revoca” sia stato adottato senza il preventivo parere della Ripartizione tecnica Urbanistica del Comune di Mondragone.
Ed invero, non può escludersi il coinvolgimento procedimentale di tale struttura organizzativa, trattandosi dello stesso ufficio cui è preposto il titolare dell’organo promanante il provvedimento in autotutela impugnato (capo della Ripartizione tecnica Urbanistica del Comune di Mondragone).
Fermo restando quanto sopra osservato, è appena il caso di soggiungere, a definitiva confutazione del profilo di censura in scrutinio, che il riesame compiuto da entrambe le amministrazioni locali intimate non includeva specifici apprezzamenti di ordine tecnico, propri del menzionato ufficio comunale, ma atteneva unicamente alla cennata insussistenza di un idoneo requisito di legittimazione al rilascio del titolo abilitativo edilizio e di una specifica richiesta di autorizzazione rivolta, con riguardo al muro di recinzione de quo, all’autorità preposta alla tutela del vincolo idrogeologico.
Ebbene, una simile attività di verifica costituiva un presupposto la cui mancanza precludeva il segmento istruttorio di consultazione della Ripartizione tecnica Urbanistica del Comune di Mondragone.
In questo senso, valga richiamare la soluzione interpretativa, largamente condivisa, secondo cui, laddove non vi sia spazio per complesse valutazioni di natura tecnico-discrezionale o, comunque, non sia necessario procedervi, l’organo decidente possa legittimamente rinunciare all’apporto dell’organo consultivo (Cons. Stato, sez. V, 03.07.2003, n. 3974; TAR Piemonte, sez. I, 13.03.2002, n. 635; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 14.11.2002, n. 2931; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.06.2003, n. 7557; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 18.10.2006, n. 4967).
Il Collegio ritiene di dover aderire a tale soluzione, stabilmente invalsa, oltre che con riferimento all’attività vincolata di repressione degli abusi edilizi, per la quale è stata esclusa l’obbligatorietà dell’acquisizione del parere della commissione edilizia (cfr. TAR Basilicata, 20.02.2004, n. 103; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 16.07.2003, n. 8434; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 09.06.2004, n. 3540; TAR Lazio, Roma, sez. II, 25.05.2005, n. 4128), anche con riferimento all’applicazione del principio del ‘contrarius actus’ alla preventiva acquisizione del parere della commissione edilizia in sede di annullamento di un titolo abilitativo, facendo eccezione al principio in parola l'ipotesi in cui l'amministrazione non debba compiere particolari valutazioni di ordine tecnico (Cons. giust. amm. sic., sez. cons., 03.06.1999, n. 235; TAR Lazio, Latina, 27.03.2003, n. 300; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 18.04.2005, n. 672; Palermo, sez. II, 11.09.2007, n. 2008; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193; sez. II, 11.04.2008, n. 2073; sez. VIII, 11.06.2009, n. 3203)
(TAR Campania-Napoli, Sez. I, sentenza 11.04.2013 n. 1923 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’illegittimità del provvedimento di cui si tratta è evidente laddove si consideri quei costanti orientamenti giurisprudenziali che, da un lato, ritengono indispensabile che il potere di autotutela sia esercitato entro un termine ragionevole, come prescritto dall'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e, dall’altro, hanno sancito la “inidoneità”, a giustificare l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia, della sola finalità di ripristinare la legalità violata.
Detto ultimo orientamento ha, infatti, ritenuto indispensabile che sia data prova di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio “tanto più quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, ha fatto un ragionevole affidamento sulla regolarità della concessione ottenuta quando una significativa parte delle opere assentite sono state già realizzate.

Pur considerando dirimente ai fini della decisione del ricorso l’accoglimento del motivo sopra evidenziato, va altresì rilevato come risulti fondato anche il quarto motivo del ricorso, mediante il quale parte ricorrente evidenzia che il provvedimento impugnato, pur intendendo disporre espressamente “l’annullamento in autotutela ai sensi dell’art. 14 della L. n. 15/2005 di riforma della L. n. 241/1990”, sia del tutto privo dell’indispensabile comparazione tra interesse pubblico e privato, così come sancita dall’art. 21-nonies introdotto dalla disciplina sopra ricordata.
Non solo nel provvedimento non vi è traccia del percorso logico deduttivo correlato all’interesse pubblico, ma ancora, non è presente alcuna considerazione circa il considerevole lasso di tempo trascorso e, ciò, con riferimento ad un provvedimento di concessione edilizia adottato nel corso del 1985.
L’illegittimità del provvedimento di cui si tratta è, altresì, evidente laddove si consideri quei costanti orientamenti giurisprudenziali che, da un lato, ritengono indispensabile che il potere di autotutela sia esercitato entro un termine ragionevole, come prescritto dall'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 (Consiglio di Stato Sez. V, Sent. n. 816 del 04.03.2008) e, dall’altro, hanno sancito la “inidoneità”, a giustificare l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia, della sola finalità di ripristinare la legalità violata.
Detto ultimo orientamento ha, infatti, ritenuto indispensabile che sia data prova di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio “tanto più quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso, ha fatto un ragionevole affidamento sulla regolarità della concessione ottenuta quando una significativa parte delle opere assentite sono state già realizzate (Tar Basilicata, Sez. I, 19/01/1998 n. 15)”.
L’accoglimento delle censure sopra precisate consente di assorbire gli ulteriori motivi proposti da parte ricorrente.
Il ricorso è pertanto fondato e va disposto l’annullamento della determinazione n. 116 in data 10/12/2008 a firma del Sindaco Responsabile dell’area Manutentiva del Comune di Fardella, con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 02 del 18/01/1985 ed è stata ordinata la demolizione del fabbricato costruito a seguito della ripetuta concessione edilizia ed il ripristino dello stato dei luoghi (TAR Basilicata, sentenza 08.04.2013 n. 158 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Un auto annullamento dell’atto è legittimo solo ove supportato da un interesse pubblico specifico, distinto dal mero interesse al ripristino della legalità, che ad un giudizio di comparazione prevalga sull’interesse del privato al mantenimento dell’atto stesso.
La comparazione dell’interesse privato con quello pubblico è regola assoluta, la quale “non tollera eccezioni di sorta, per quanto rilevante possa essere l'interesse pubblico a salvaguardia del quale l'autotutela viene in concreto esercitata”.
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Si è poi concordi nell’affermare che, ove si tratti di atti i quali non comportino esborso continuativo di danaro, la motivazione debba essere tanto più rigorosa quanto più risalente nel tempo è l’atto che si va ad annullare.
Nella specifica materia edilizia, è poi degno di nota l’orientamento condiviso da C.d.S., che considera in linea di principio ragionevole l’annullamento in autotutela di una concessione edilizia nel termine massimo di 10 anni dal suo rilascio, argomentando dall’identica estensione nel tempo del potere di annullamento regionale ai sensi dell’art. 39 T.U. 06.06.2001 n. 380.

Dispone al primo comma l’art. 21-novies della l. 241/1990: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.
La norma, come è noto, è stata introdotta con l. 11.02.2005 n. 15 e recepisce regole pacifiche emerse dalla precedente elaborazione giurisprudenziale, per la quale si cita per tutte ad esempio C.d.S. sez. IV 17.07.2002 n. 3997; va quindi interpretata in conformità a tale elaborazione: un auto annullamento dell’atto è legittimo solo ove supportato da un interesse pubblico specifico, distinto dal mero interesse al ripristino della legalità, che ad un giudizio di comparazione prevalga sull’interesse del privato al mantenimento dell’atto stesso. Si veda, come particolarmente significativa, la recente C.d.S. sez. VI 20.09.2012 n. 4997, per cui la comparazione dell’interesse privato con quello pubblico è regola assoluta, la quale “non tollera eccezioni di sorta, per quanto rilevante possa essere l'interesse pubblico a salvaguardia del quale l'autotutela viene in concreto esercitata”.
Si è poi concordi nell’affermare che, ove si tratti, come evidente nella specie, di atti i quali non comportino esborso continuativo di danaro, la motivazione debba essere tanto più rigorosa quanto più risalente nel tempo è l’atto che si va ad annullare. Nella specifica materia edilizia, è poi degno di nota l’orientamento condiviso da C.d.S. sez. IV 03.08.2010 n. 5170, che considera in linea di principio ragionevole l’annullamento in autotutela di una concessione edilizia nel termine massimo di dieci anni dal suo rilascio, argomentando dall’identica estensione nel tempo del potere di annullamento regionale ai sensi dell’art. 39 T.U. 06.06.2001 n. 380. Si noti poi che il caso di specie riguardava un intervento di rilievo, ovvero una lottizzazione abusiva di diciotto fabbricati su un’area di circa 28.000 mq..
Applicando i suddetti principi al caso di specie, occorre dire che nel provvedimento di annullamento impugnato, e nella consequenziale ordinanza di demolizione, il Comune si è limitato ad enunciare un prevalente interesse pubblico, del quale non ha dato conto con riguardo alle circostanze, invero specifiche. Va infatti ricordato che le opere di cui si ragiona sono un accessorio –portico e terrazza- di un immobile abitativo già esistente, che secondo logica ricade anch’esso nella fascia del presunto vincolo: non è stato spiegato per qual ragione il fabbricato principale possa rimanere al suo posto, ma non con le opere in questione, e quale specifico pregiudizio da esse sia cagionato. Nemmeno è stato considerato che una di tali opere, il portico, pacificamente realizzato in abuso, esiste dal 1983 (doc. ti ricorrente da 2 a 9, cit.) e non pare avere sino ad ora cagionato pregiudizio alcuno. Infine, non è stato dato adeguato conto della preesistenza del vincolo all’opera, su cui non sono stati acquisiti elementi definitivi.
Anche sotto il profilo temporale, l’intervento in autotutela appare privo di motivazione, considerando non solo che interviene al di là del termine tendenziale di cui si è detto, ovvero nel novembre 2011 su una concessione del maggio 2001, concessione relativa all’opera su cui poggiano le altre, ma anche che tale sanatoria intervenne su una domanda addirittura del 1986 (sempre doc. ti ricorrente da 2 a 9, cit.), sì che all’amministrazione il tempo per attivarsi non era mancato.
Per tali ragioni, di carattere assorbente, in quanto riguardano la possibilità stessa di colpire l’abuso, gli atti impugnati vanno annullati, rimanendo appunto assorbiti i residui motivi (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 05.04.2013 n. 340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Non sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un'istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall'art. 117 c. p. a.): infatti, il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d'ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell'Amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere.
Lo stesso art. 21-nonies della legge n. 241/1990, nell'affermare che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio sussistendone le ragioni di interesse pubblico rimette la scelta sull'annullamento a un apprezzamento di natura preventiva affidato alla P.A. e, pertanto, opinare diversamente, ossia seguire la tesi secondo la quale, in presenza di un’istanza diretta a sollecitare l'esercizio della potestà di autotutela, l'Amministrazione sia obbligata a una pronuncia esplicita vorrebbe dire neutralizzare la condizione di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge, vanificando la garanzia di certezza dei rapporti giuridici e avvilendo lo stesso principio di economicità dell'azione amministrativa, che verrebbe posto nel nulla ove si imponesse, a semplice richiesta dell'interessato, l'obbligo di riesame di provvedimenti restati inoppugnati.

- il Collegio ritiene di dover ribadire l’insussistenza, in capo all’amministrazione resistente, di un obbligo giuridico di pronunciarsi in maniera esplicita su un’istanza diretta essenzialmente a ottenere un provvedimento in autotutela;
- il Collegio, in particolare, ritiene che non vi siano, nel caso di specie, valide ragioni per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui "non sussiste alcun obbligo per l'Amministrazione di pronunciarsi su un' istanza volta a ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile dall'esterno l'attivazione del procedimento di riesame della legittimità dell'atto amministrativo mediante l'istituto del silenzio-rifiuto e lo strumento di tutela offerto (oggi dall'art. 117 c. p. a.): infatti, il potere di autotutela si esercita discrezionalmente d'ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell'Amministrazione, e non su istanza di parte e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere” (cfr. Consiglio Stato, VI, n. 4308/2010; Consiglio Stato, V, n. 6995/2011);
- che secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato in una recentissima sentenza, lo stesso art. 21-nonies della legge n. 241/1990, nell'affermare che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio sussistendone le ragioni di interesse pubblico rimette la scelta sull'annullamento a un apprezzamento di natura preventiva affidato alla P.A. e, pertanto, opinare diversamente, ossia seguire la tesi secondo la quale, in presenza di un’istanza diretta a sollecitare l'esercizio della potestà di autotutela, l'Amministrazione sia obbligata a una pronuncia esplicita vorrebbe dire neutralizzare la condizione di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge, vanificando la garanzia di certezza dei rapporti giuridici e avvilendo lo stesso principio di economicità dell'azione amministrativa, che verrebbe posto nel nulla ove si imponesse, a semplice richiesta dell'interessato, l'obbligo di riesame di provvedimenti restati inoppugnati (cfr. in termini Consiglio Stato, IV, n. 355/2013) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.03.2013 n. 1638 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: In tutti i casi in cui l'Amministrazione intende emanare un atto di secondo grado (annullamento, revoca, decadenza) incidente su posizioni giuridiche originate da un precedente atto, è necessario l'avviso dell'avvio del procedimento, sempre che non sussistano ragioni di urgenza da esplicitare adeguatamente nella motivazione del provvedimento, ovvero quando all'interessato sia stato comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a suo favore.
... e ciò sulla considerazione che la giurisprudenza è univoca nell’affermare che “In tutti i casi in cui l'Amministrazione intende emanare un atto di secondo grado (annullamento, revoca, decadenza) incidente su posizioni giuridiche originate da un precedente atto, è necessario l'avviso dell'avvio del procedimento, sempre che non sussistano ragioni di urgenza da esplicitare adeguatamente nella motivazione del provvedimento, ovvero quando all'interessato sia stato comunque consentito di evidenziare i fatti e gli argomenti a suo favore” (così Cons. di Stato sez. VI, n. 6413 del 26.10.2006; Cons. di Stato sez. V, n. 7553 del 18.11.2004; TAR Palermo n. 1716 del 02.11.2009; TAR Puglia-Bari n. 61 del 15.01.2009; TAR Sardegna n. 2117 del 26.11.2007; TAR Lazio-Roma n. 10123 del 09.10.2006) (TAR Campania-Napoli, Sez. VII, sentenza 25.03.2013 n. 1618 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sui presupposti per l’annullamento d’ufficio di un provvedimento amministrativo.
L’annullamento d’ufficio è il risultato di un’attività discrezionale dell’Amministrazione e non deriva in via automatica dall’accertata originaria illegittimità dell’atto essendo altresì necessaria una congrua motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla reintegrazione del preesistente stato di legalità.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa è assolutamente granitica nel precisare che l’interesse alla reintegrazione dell’ordine pubblico deve essere specificato e dimensionato in relazione alle esigenze concrete ed attuali, avuto riguardo anche gli interessi privati che militano in senso opposto , senza peraltro ricorrere in sede di motivazione a clausole di stile.
Fondato, invece si appalesa il secondo mezzo di gravame con cui riprendendo il motivo già dedotto in primo grado e qui riprodotto, parte appellante deduce la sussistenza a carico dell’atto impugnato del vizio di violazione dei principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela con riferimento alla insufficiente motivazione resa in ordine alla sussistenza dell’ interesse pubblico all’annullamento
Per costante orientamento giurisprudenziale, l’annullamento d’ufficio è il risultato di un’attività discrezionale dell’Amministrazione e non deriva in via automatica dall’accertata originaria illegittimità dell’atto essendo altresì necessaria una congrua motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico alla reintegrazione del preesistente stato di legalità.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa è assolutamente granitica nel precisare che l’interesse alla reintegrazione dell’ordine pubblico deve essere specificato e dimensionato in relazione alle esigenze concrete ed attuali, avuto riguardo anche gli interessi privati che militano in senso opposto , senza peraltro ricorrere in sede di motivazione a clausole di stile (ex multis, Cons. Stato VI 17.02.2006 n. 671 ).
Ebbene, non pare che il provvedimento di autotutela qui in discussione sia rispettoso dei parametri giurisprudenziali sopra ricordati, se è vero che nella parte narrativa dell’atto si fa lapidariamente accenno alla necessaria prevalenza, nella valutazione comparativa, dell’interesse pubblico alla conservazione dello stato dei luoghi, nel che è ravvisabile una semplicistica formula stereotipa.
Ora che nella specie a carico dell’amministrazione vi fosse un ben più pregnante onere di motivazione, non adeguatamente assolto dall’utilizzo di una clausola di stile apposta a sostegno della determinazione assunta, è un dato agevolmente rilevabile dalla circostanza per cui l’annullamento viene adottato a distanza di oltre otto anni dal rilascio dell’autorizzazione al restauro rilasciata in favore del sig. Viola senza che sia stata presa in considerazione la posizione del beneficiario del titolo ad aedificandum in questione.
L’assenza di una idonea motivazione conforme ai principi ripetutamente sanciti dalla giurisprudenza rende invalido l’atto di annullamento d’ufficio qui in contestazione fatta salva, s’intende, l’adozione da parte dell’intimato Comune di ogni ulteriore provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.03.2013 n. 1605 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATACirca le condizioni per l'esercizio in autotutela da parte dell'Amministrazione del potere di annullamento d'ufficio, le stesse, come pacifico, sono:
a) l'illegittimità dell'atto amministrativo;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale ulteriore rispetto la mera esigenza di ripristino della legittimità violata;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
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Ai sensi dell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241 (che ha codificato un principio giurisprudenziale assolutamente pacifico e costante), l'esercizio del potere di autotutela, e quindi il concreto provvedimento di ufficio adottato dall'Amministrazione, richiede che quest'ultima, oltre ad accertare entro un termine ragionevole l'illegittimità dell'atto, deve altresì valutare la sussistenza di un interesse pubblico all'annullamento, attuale e prevalente sulle posizioni giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio tempore, dovendosi in particolare escludere che tale interesse pubblico possa consistere nel mero ripristino della legalità violata; si conferma, quindi, la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio che, rifuggendo da ogni automatismo, deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla legittimità del titolo stesso.
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Per procedere all'annullamento in via di autotutela deve sussistere un interesse pubblico concreto, specifico ed attuale alla rimozione dell'atto e dei relativi effetti, comunque diverso da quello generico al reintegro dell'ordine giuridico violato e l'indagine relativa all'individuazione di tale interesse deve consistere in una comparazione tra l'interesse pubblico e quello dei privati destinatari, potendosi procedere all'annullamento allorché sia espressamente giustificato dalla sussistenza di un interesse pubblico prevalente su quello alla conservazione dello status quo che si è venuto a consolidare in capo al privato interessato a seguito del rilascio della concessione, per l'affidamento che ne è derivato.
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Con specifico riferimento alla materia dell’edilizia, la Giurisprudenza ha affermato che con l'introduzione del Capo IV-bis della legge n. 241/1990 ad opera della legge n. 15/2005, nella specie con l'art. 21-nonies, il legislatore ha, per la prima volta, dettato norme in tema di autotutela amministrativa, recependo i principi giurisprudenziali e la prassi amministrativa formatisi in assenza di una disciplina normativa.
Tra questi, la regola secondo la quale il provvedimento di annullamento in autotutela costituisce manifestazione della discrezionalità dell'Amministrazione, nel senso che essa non è obbligata a ritirare gli atti illegittimi o inopportuni in quanto tali, ma deve valutare, di volta in volta, se esista un interesse pubblico alla loro eliminazione diverso dal semplice ristabilimento della legalità violata.
Siffatto interesse pubblico non viene esplicitato a priori dalla norma, ma deve essere ricavato dalla stessa Amministrazione, caso per caso, attraverso un'attività di "comparazione tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità e gli interessi dei destinatari del provvedimento e dei controinteressati"; il tutto, tenendo nella debita considerazione anche la circostanza che il provvedimento da annullare possa avere prodotto effetti favorevoli, valutandone la rilevanza, e che sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo (fattore di stabilizzazione) dal momento della sua emissione. Tali elementi, infatti, integrano la nozione di "stabilità della situazione venutasi a creare per effetto del provvedimento favorevole" e rappresentano, in quanto tali, un limite all'esercizio del potere di autoannullamento.
Pertanto, nella comparazione tra le esigenze sottese a un intempestivo e pregiudizievole annullamento in autotutela dell'atto e quelle sottese alla conservazione di quest'ultimo, l'Amministrazione, in forza del citato art. 21-nonies, è tenuta a optare per la soluzione che meglio contemperi la necessità del ripristino della legittimità e la salvezza degli altri interessi concorrenti. Inoltre, il vigente art. 21-nonies esclude che si possa procedere all'annullamento d'ufficio in difetto di tutti requisiti ivi individuati.
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In un provvedimento di annullamento in autotutela di una concessione edilizia, non è sufficiente affermare che l'interesse pubblico sotteso consista essenzialmente nell'ovviare alla falsa rappresentazione della realtà che il privato avrebbe, a suo tempo, fornito al Comune sulle caratteristiche dell'edificio. Ciò in quanto il presupposto per un legittimo esercizio del potere di annullamento di ufficio di una sanatoria edilizia non può ricondursi al mero ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio.
Occorre, infine, una comparazione tra detto interesse pubblico e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando è trascorso molto tempo e il titolare dell'interesse privato non sia più il responsabile dei fatti che hanno dato luogo all'avvio dell'autotutela, ovvero quando, in ragione del tempo trascorso, l'interessato abbia maturato un legittimo affidamento alla conservazione del bene della vita.

Venendo alle condizioni per l'esercizio in autotutela da parte dell'Amministrazione del potere di annullamento d'ufficio, le stesse, come pacifico, sono:
a) l'illegittimità dell'atto amministrativo;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico concreto ed attuale ulteriore rispetto la mera esigenza di ripristino della legittimità violata;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
Questa Sezione, con decisione dell’08.10.2012 n. 2327, ha affermato che ai sensi dell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241 (che ha codificato un principio giurisprudenziale assolutamente pacifico e costante), l'esercizio del potere di autotutela, e quindi il concreto provvedimento di ufficio adottato dall'Amministrazione, richiede che quest'ultima, oltre ad accertare entro un termine ragionevole l'illegittimità dell'atto, debba altresì valutare la sussistenza di un interesse pubblico all'annullamento, attuale e prevalente sulle posizioni giuridiche private costituitesi e consolidatesi medio tempore, dovendosi in particolare escludere che tale interesse pubblico possa consistere nel mero ripristino della legalità violata; si conferma, quindi, la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio che, rifuggendo da ogni automatismo, deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro, soprattutto ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla legittimità del titolo stesso.
Sulla stessa linea, tra le altre, TAR Torino Piemonte sez. I, 19.12.2012 n. 1361, secondo il quale per procedere all'annullamento in via di autotutela deve sussistere un interesse pubblico concreto, specifico ed attuale alla rimozione dell'atto e dei relativi effetti, comunque diverso da quello generico al reintegro dell'ordine giuridico violato e l'indagine relativa all'individuazione di tale interesse deve consistere in una comparazione tra l'interesse pubblico e quello dei privati destinatari, potendosi procedere all'annullamento allorché sia espressamente giustificato dalla sussistenza di un interesse pubblico prevalente su quello alla conservazione dello status quo che si è venuto a consolidare in capo al privato interessato a seguito del rilascio della concessione, per l'affidamento che ne è derivato.
Con specifico riferimento alla materia dell’edilizia, la Giurisprudenza ha affermato che con l'introduzione del Capo IV-bis della legge n. 241/1990 ad opera della legge n. 15/2005, nella specie con l'art. 21-nonies, il legislatore ha, per la prima volta, dettato norme in tema di autotutela amministrativa, recependo i principi giurisprudenziali e la prassi amministrativa formatisi in assenza di una disciplina normativa. Tra questi, la regola secondo la quale il provvedimento di annullamento in autotutela costituisce manifestazione della discrezionalità dell'Amministrazione, nel senso che essa non è obbligata a ritirare gli atti illegittimi o inopportuni in quanto tali, ma deve valutare, di volta in volta, se esista un interesse pubblico alla loro eliminazione diverso dal semplice ristabilimento della legalità violata. Siffatto interesse pubblico non viene esplicitato a priori dalla norma, ma deve essere ricavato dalla stessa Amministrazione, caso per caso, attraverso un'attività di "comparazione tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità e gli interessi dei destinatari del provvedimento e dei controinteressati"; il tutto, tenendo nella debita considerazione anche la circostanza che il provvedimento da annullare possa avere prodotto effetti favorevoli, valutandone la rilevanza, e che sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo (fattore di stabilizzazione) dal momento della sua emissione. Tali elementi, infatti, integrano la nozione di "stabilità della situazione venutasi a creare per effetto del provvedimento favorevole" e rappresentano, in quanto tali, un limite all'esercizio del potere di autoannullamento. Pertanto, nella comparazione tra le esigenze sottese a un intempestivo e pregiudizievole annullamento in autotutela dell'atto e quelle sottese alla conservazione di quest'ultimo, l'Amministrazione, in forza del citato art. 21-nonies, è tenuta a optare per la soluzione che meglio contemperi la necessità del ripristino della legittimità e la salvezza degli altri interessi concorrenti. Inoltre, il vigente art. 21-nonies esclude che si possa procedere all'annullamento d'ufficio in difetto di tutti requisiti ivi individuati (in termini, TAR Veneto Venezia, sez. II, 30.09.2010 n. 5242).
In fattispecie analoga al caso in esame, la Giurisprudenza (TAR Molise Campobasso, sez. I, 28.05.2012 n. 219) ha affermato che in un provvedimento di annullamento in autotutela di una concessione edilizia, non è sufficiente affermare che l'interesse pubblico sotteso consista essenzialmente nell'ovviare alla falsa rappresentazione della realtà che il privato avrebbe, a suo tempo, fornito al Comune sulle caratteristiche dell'edificio. Ciò in quanto il presupposto per un legittimo esercizio del potere di annullamento di ufficio di una sanatoria edilizia non può ricondursi al mero ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio. Occorre, infine, una comparazione tra detto interesse pubblico e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando è trascorso molto tempo e il titolare dell'interesse privato non sia più il responsabile dei fatti che hanno dato luogo all'avvio dell'autotutela, ovvero quando, in ragione del tempo trascorso, l'interessato abbia maturato un legittimo affidamento alla conservazione del bene della vita (cfr.: Cons. Stato IV, 27.11.2010 n. 8291; idem IV, 31.10.2006 n. 6465)
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 07.03.2013 n. 777 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Con riguardo alla questione della disciplina urbanistica da far valere in occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente all’annullamento del diniego di concessione o alla declaratoria del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione, nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato, effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono al momento della proposizione della domanda; dall’altro, preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha ritenuto che:
● restano inopponibili all’interessato le modificazioni della normativa di piano intervenute successivamente alla notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;
● quando la nuova normativa sia opponibile, deve riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la possibilità di introdurre una variante che recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di concessione.
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Lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, rappresenta un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della Pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi -pubblici e privati- diversi da quelli del proprietario del suolo, che sono coinvolti dall'edificazione privata, e che tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio, ma anche da altre normative settoriali.
Di conseguenza l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene esaminata.

La sentenza impugnata, l’appello e la contrapposta difesa ruotano tutti attorno al tema della concreta applicazione dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 08.01.1986, n. 1, con riguardo alla questione della disciplina urbanistica da far valere in occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente all’annullamento del diniego di concessione o alla declaratoria del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione.
Nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato, effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono al momento della proposizione della domanda; dall’altro, preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur meritevoli di tutela), l’Adunanza plenaria ha ritenuto che:
● restano inopponibili all’interessato le modificazioni della normativa di piano intervenute successivamente alla notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso;
● quando la nuova normativa sia opponibile, deve riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la possibilità di introdurre una variante che recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di concessione.
L’insegnamento dell’Adunanza generale ha trovato, da allora in poi, puntuale applicazione (si vedano ad es. Cons. Stato, 30.06.2004, n. 4804; Id., sez. IV, 24.12.2008, n. 6535).
Nel caso di specie, la sentenza n. 3 del 1992 ha annullato il diniego per essere questo fondato su una disciplina urbanistica non ancora in vigore.
Il successivo provvedimento di diniego, impugnato in questa sede, rinvia al P.R.G. del 1994-1995, dunque a uno strumento di programmazione urbanistica entrato in vigore successivamente alla sentenza prima ricordata (il dato di fatto non è in discussione).
Su queste premesse, la circostanza su cui si fonda la difesa del Comune (cioè la mancata presentazione di un’istanza di variante) non è conclusiva, posto che, nel quadro concettuale elaborato dall’Adunanza plenaria, il nuovo Piano non era comunque opponibile al privato.
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Per completezza, va ricordato che lo jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, rappresenta un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della Pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi -pubblici e privati- diversi da quelli del proprietario del suolo, che sono coinvolti dall'edificazione privata, e che tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio, ma anche da altre normative settoriali.
Di conseguenza –come già chiariva la più volte citata decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 1986– l’Amministrazione, nel nuovo esercizio del proprio potere, dovrà tenere conto degli eventuali vincoli e limiti diversi e ulteriori rispetto alla disciplina urbanistica in senso stretto che, in quanto siano applicabili anche se sopravvenuti (quali, in linea di massima, le prescrizioni sanitarie, anti-sismiche, i vincoli a tutela delle bellezze naturali e di beni di interesse storico e artistico), debbano essere valutati al momento in cui la domanda viene esaminata
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 19.02.2013 n. 1007 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'esercizio del potere di annullamento d'ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati.
L'esercizio del potere di annullamento d'ufficio di un titolo edilizio, che paradossalmente la parte appellante invoca contro i suoi interessi, deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell'art. 21-nonies, l. 07.08.1990 n. 241, consistenti nell'illegittimità originaria del titolo e nell'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati (così, Consiglio di Stato sez. III, 09.05.2012, n. 2683) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 15.02.2013 n. 915 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Lottizzazione abusiva e annullamento d'ufficio di una concessione in sanatoria.
Dato che la lottizzazione, a differenza dall’abuso singolo, è infatti tale da implicare ex sé un negativo impatto urbanistico, l'annullamento d'ufficio di una concessione in sanatoria illegittima non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
L’insuscettibilità legale di una lottizzazione materiale spontanea di essere oggetto della sanatoria è dunque una delle tipiche ipotesi nelle quali il richiamo all’interesse pubblico alla tutela della pianificazione ed al ripristino della legalità, è di per sé sufficiente per rendere legittimo l'esercizio del potere di autotutela.

In linea generale, tenendo conto dei valori espressi dall'art. 97 cost., l'esercizio dei poteri amministrativi di annullamento in autotutela di precedenti statuizioni illegittime non ha affatto natura eccezionale, in quanto la p.a. ha il potere - dovere di emanare l'atto di annullamento, anche al solo fine di evitare che si consolidino situazioni di fatto illegalmente costituitesi, qualora siano veri e propri esempi di diseducazione civile (arg. ex Consiglio Stato sez. V 24.02.1996 n. 232).
Quindi se non sussiste alcun obbligo assoluto per l'Autorità emanante di procedere in via di autotutela all'annullamento d'ufficio di un provvedimento da essa adottato, ciò non toglie che l’esercizio di tale facoltà sia rimessa alla discrezionale considerazione del merito degli interessi pubblici in gioco (arg. ex Consiglio Stato Sez. IV 04.03.2011 n. 1414; Consiglio di Stato sez. IV 10.08.2011 n. 4770).
Proprio in relazione all'ampiezza delle valutazioni discrezionali affidate all'organo è stato osservato che è legittimo il comportamento dell’Amministrazione che, seppure tardivamente, emendi la propria precedente condotta, conformando la propria azione al rispetto concreto della legge. Ciò perché l'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241 non fissa un termine ultimo oltre il quale l'esercizio dell'attività di autotutela risulti illegittima, lasciando all’Amministrazione la valutazione della ragionevolezza in ordine alla tempistica della vicenda (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 27.02.2012 n. 1081). Ciò a maggior ragione qualora (come nel caso in esame) il tempo trascorso dalla prima concessione di sanatoria sia stato utilizzato per ampliare e consolidare la lottizzazione abusiva.
L’art. 30 del D.P.R. 380/2001 (e in precedenza all’art. 18 L. 47/1985) costruisce la lottizzazione abusiva come un illecito permanente ed insanabile, al fine manifesto:
- di garantire un’ordinata pianificazione urbanistica,
- di salvaguardare il corretto sviluppo degli insediamenti abitativi e dei correlativi standard compatibili con la finanza pubblica e con il vivere civile;
- di assicurare un effettivo controllo da parte del Comune titolare della funzione di pianificazione al fine di (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 07.06.2012 n. 3381).
Ciò premesso, alla luce di tutti gli atti di causa e della stessa cartografia versata in atti dal Comune, devono condividersi pienamente le conclusioni del TAR circa la sussistenza dei requisiti procedimentali, codificati nell'art. 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, per l’esercizio del potere di annullamento dei titoli edilizi in questione
Le concessione in sanatoria appaiono infatti il frutto di indebite influenze estranee sull’attività amministrativa del Comune: come emerge dai rapporti della Polizia Municipale la quale aveva rilevato come il tecnico cui era stata affidata dal Comune l’istruttoria delle pratiche di sanatoria era lo stesso che, in precedenza, era stato incaricato della redazione dei collaudi, delle perizie giurate, degli accatastamenti ecc…; il quale aveva addirittura firmato alcune concessioni in sanatoria, quale responsabile dell’U.T.C. (cfr. pag. 5 rapporto n. 94 del 24.06.2002).
Non vi sono pertanto dubbi sulla nell'insanabile illegittimità originaria dei titoli in questione per la sussistenza di una lottizzazione abusiva (dettagliatamente documentata nelle relazioni della Polizia Municipale del 24.06.2002 e del 6.07.2004).
Gli abusi progressivamente realizzati sui suoli di proprietà concernevamo infatti: “1) corpo di fabbrica E realizzato nel 1978 in difformità alla CE con una maggiore superficie di mq. 109,21;
2) corpi di fabbrica A-B-C-D-F, realizzati tra dicembre 1985 e marzo 1986, per cui sono state rilasciate le impugnate concessioni in sanatoria rispettivamente: n. 327 del 06.08.1992 per condono edilizio relativo ai capannoni D e F; n. 1755 per i capannoni A-B-C ;
3) il capannone G realizzato senza concessione appena ricevuto il parere, peraltro sottoposto a condizione, della CEC;
4) i capannoni R ed il capannone S, per i quali fu rilasciata concessione in sanatoria n. 208 del 24.01.2000;
5) i fabbricati e le strutture indicate con le lettere T, H, I, L, M, N edificati nel 1995.
".
In conseguenza della precedente condotta illecita del loro dante causa, protrattasi lungamente nel tempo, non può pertanto configurarsi alcuna legittima aspettativa a favore dei relativi responsabili e dei loro aventi causa.
Le costruzioni abusive -o come qui sanate in virtù di titoli non conformi alla vigente normativa urbanistico-edilizia- costituiscono un illecito di tipo permanente a fronte del quale non vale la buona fede del privato dovendosi ritenersi che sia "in re ipsa" la sussistenza del pubblico interesse al ripristino dello stato della legalità violata (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 23.02.2012 n. 1041).
Dato che la lottizzazione, a differenza dall’abuso singolo, è infatti tale da implicare ex sé un negativo impatto urbanistico, l'annullamento d'ufficio di una concessione in sanatoria illegittima non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (Consiglio di Stato sez. IV 30.07.2012 n. 4300).
Nel caso in esame quindi le motivazioni degli atti di auto-annullamento dei provvedimenti in sanatoria erano state fondatamente affidate al rilievo per cui l’intervento abusivo, complessivamente considerato, costituiva una fattispecie dichiaratamente qualificata come insanabile dalla normativa statale ed era stata oggetto di una specifiche condanne penali.
L'esercizio del potere di autotutela da parte dell'Amministrazione era dunque assistito da un interesse pubblico ed attuale direttamente connesso alla necessità eliminare l’incidenza negativa sulla zona circostante, della illegittima trasformazione del territorio derivante da una lottizzazione abusiva composta da ben 15 edificazioni artigianali, oltre al piazzale pavimentato di oltre 8000 mt., ai reti ed ai muri di cinta, alla strada ecc..
L’insuscettibilità legale di una lottizzazione materiale spontanea di essere oggetto della sanatoria è dunque una delle tipiche ipotesi nelle quali il richiamo all’ interesse pubblico alla tutela della pianificazione ed al ripristino della legalità, è di per sé sufficiente per rendere legittimo l'esercizio del potere di autotutela (arg. ex Consiglio Stato sez. VI 30.07.2003 n. 4391);
Anche perché contrariamente a quanto vorrebbero i ricorrenti, il legislatore dell'art. 21-nonies, L. 07.08.1990 n. 241, non ha ritenuto di dover recepire il paradigma di creazione giurisprudenziale relativo all’insufficienza del solo richiamo al ripristino della legalità violata per l’esercizio del potere di autoannullamento. Si deve perciò escludere che il principio che, nelle situazioni ordinarie, pure costituisce espressione di civiltà giuridica, possa essere applicarsi in aree caratterizzati da situazioni di generalizzato e diffuso disprezzo della legalità, e che per tale via possano essere considerati prevalenti gli “interessi illegittimi” dei privati, interessati al mantenimento di consistenti situazioni di vasto abusivismo, rispetto all’interesse pubblico generale dello Stato e dei suoi cittadini al corretto sviluppo del territorio.
In definitiva, correttamente la sentenza impugnata ha concluso per la legittimità della rimozione dei provvedimenti di sanatoria illegittimamente concessi
(massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 12.02.2013 n. 834 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
Come osservato in giurisprudenza, l'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione (cfr. Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495; TAR Genova Liguria sez. I, 20.07.2011, n. 1148; TAR Roma Lazio sez. II, 30.03.2012, n. 3065) (TAR Basilicata, sentenza 07.02.2013 n. 54 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’annullamento d’ufficio è un atto discrezionale da assumere entro un termine ragionevole e solo dopo un attento bilanciamento di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti. Occorre tuttavia precisare che in giurisprudenza sono stati individuate anche delle fattispecie nelle quali la discrezionalità si azzera e l’annullamento diventa doveroso.
In particolare questo avviene in due casi:
(1) quando il destinatario abbia ottenuto il titolo edilizio inducendo in errore l’amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà, non necessariamente operando con dolo (v. CS Sez. IV 12.03.2007 n. 1189, giudizio riguardante un annullamento d’ufficio sopraggiunto a 10 anni dal provvedimento illegittimo);
(2) quando la conservazione del provvedimento illegittimo sia “semplicemente insopportabile” per l’evidente insufficienza dell’affidamento del destinatario rispetto al danno subito dall’amministrazione o da altri soggetti.

Sulle questioni sollevate dalle parti si possono svolgere le seguenti considerazioni:
(a) per quanto riguarda la tempestività dell’ordinanza di inibizione, in effetti risultano agli atti due copie della DIA, entrambe con il timbro degli uffici comunali: una riporta la data di ricezione del 21.09.2002 e l’altra la data del 24.09.2002. Il motivo del doppio deposito non è chiaro, tuttavia sembra necessario fare riferimento alla prima data, in quanto il Comune non ha evidenziato modifiche sostanziali nel progetto;
(b) peraltro, anche considerando fuori termine l’ordinanza di inibizione adottata il 12.10.2002, non è possibile considerare acquisiti i diritti edificatori in capo ai ricorrenti. In realtà occorre distinguere tra vizi formali e vizi sostanziali della DIA. Se il decorso del termine rende inattaccabili i primi, e consolida quindi sotto questo profilo la posizione dei soggetti proponenti, la presenza di vizi sostanziali non cancella il potere di autotutela, sia a favore dell’interesse pubblico (destinazione urbanistica, indici edilizi, distanze), sia a garanzia dei privati (diritti dei terzi incompatibili con l’edificazione);
(c) l’autotutela deve essere esercitata nel rispetto dei principi posti dall’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241, ossia valutando adeguatamente l’ampiezza del tempo trascorso, l’attualità dell’interesse pubblico, e il contenuto degli interessi privati dei destinatari e dei controinteressati;
(d) in sintesi l’annullamento d’ufficio è un atto discrezionale da assumere entro un termine ragionevole e solo dopo un attento bilanciamento di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti. Occorre tuttavia precisare che in giurisprudenza sono stati individuate anche delle fattispecie nelle quali la discrezionalità si azzera e l’annullamento diventa doveroso (v. TAR Brescia Sez. I 14.05.2010 n. 1733).
In particolare questo avviene in due casi: (1) quando il destinatario abbia ottenuto il titolo edilizio inducendo in errore l’amministrazione attraverso una falsa rappresentazione della realtà, non necessariamente operando con dolo (v. CS Sez. IV 12.03.2007 n. 1189, giudizio riguardante un annullamento d’ufficio sopraggiunto a 10 anni dal provvedimento illegittimo); (2) quando la conservazione del provvedimento illegittimo sia “semplicemente insopportabile” per l’evidente insufficienza dell’affidamento del destinatario rispetto al danno subito dall’amministrazione o da altri soggetti (v. TRGA Trento 16.12.2009 n. 305, giudizio che si pone specificamente nella prospettiva della tutela del terzo);
(e) tornando alla vicenda in esame e applicando i parametri sopra esposti si può osservare che: (1) il tempo trascorso oltre i venti giorni previsti dall’art. 4, commi 11 e 15, del DL 398/1993 è minimo; (2) i vicini hanno dettagliatamente evidenziato al Comune i pregiudizi derivanti dalla recinzione della proprietà dei ricorrenti e dallo spostamento del percorso delle servitù di passo pedonale; (3) l’esistenza di diritti di terzi incompatibili con l’edificazione appare quindi sufficientemente dimostrata, almeno sul piano amministrativo, e permette di ritenere che dall’emissione o dalla conservazione di un titolo edilizio avrebbe origine una situazione intollerabile per i vicini; (4) a questo punto la contrapposizione tra i soggetti privati può essere superata soltanto con un accordo delle parti sulla larghezza e sull’esatta collocazione del percorso delle servitù di passo pedonale, o in alternativa con una pronuncia del giudice ordinario (in eventuali giudizi di usucapione, vindicatio servitutis, oppure negatoria servitutis);
(f) risulta pertanto corretta la decisione del Comune di impedire gli interventi edilizi in grado di interferire nei rapporti privatistici finché la situazione non venga chiarita come sopra indicato. Non vi sono invece ostacoli all’autorizzazione delle opere che non possono arrecare pregiudizio ai diritti dei terzi, ma al riguardo è necessaria una preventiva riformulazione del progetto da parte dei ricorrenti.
In conclusione il ricorso deve essere respinto. La particolarità di alcune questioni consente l’integrale compensazione delle spese di giudizio (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.01.2013 n. 18 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale, specie allorché il provvedimento ampliativo illegittimamente ottenuto leda gli interessi di terzi, l’autotutela non necessita di particolare motivazione (“allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa”).
Ciò perché, in punto di diritto, la giurisprudenza ha giustamente affermato che in ipotesi di ritiro in autotutela di un'autorizzazione precedentemente rilasciata, nessun affidamento può essere invocato laddove sia stata posta a base dell'istanza che abbia condotto al rilascio dell'autorizzazione stessa una falsa dichiarazione.

Per altro verso, il Collegio condivide l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo il quale, specie allorché il provvedimento ampliativo illegittimamente ottenuto leda gli interessi di terzi, l’autotutela non necessita di particolare motivazione (“allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa” TAR Lombardia Milano Sez. II, 04.04.2012, n. 1002).
Ciò perché, in punto di diritto, la giurisprudenza ha giustamente affermato che in ipotesi di ritiro in autotutela di un'autorizzazione precedentemente rilasciata, nessun affidamento può essere invocato laddove sia stata posta a base dell'istanza che abbia condotto al rilascio dell'autorizzazione stessa una falsa dichiarazione (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 20.04.2009, n. 2373, ma anche TAR Sicilia Catania Sez. III, 26.01.2010, n. 92)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.01.2013 n. 39 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
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Sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo, certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di fine dei lavori.
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E' illegittima la proroga del permesso di costruire ex art. 15 D.P.R. n. 380/2001 senza che ne sussistano i presupposti e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, laddove il comune acriticamente ha aderito alla qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già prorogato una prima volta.
Tanto più che, nella fattispecie, non sono sopravvenuti fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso, e che non si tratta né di un’opera pubblica, né di un’opera di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche tecnico-costruttive.
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L'annullamento dell’originario permesso di costruire sortisce l'effetto della caducazione della successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché priva di una propria autonomia dispositiva.
E’ noto che, in materia edilizia, la differente qualificazione tra provvedimenti di rinnovo della concessione edilizia e di proroga dei termini di ultimazione dei lavori è riscontrabile nel senso che mentre il rinnovo della concessione presuppone la sopravvenuta inefficacia dell'originario titolo concessorio e costituisce, a tutti gli effetti, una nuova concessione, la proroga è atto sfornito di propria autonomia, che accede all'originaria concessione ed opera semplicemente uno spostamento in avanti del suo termine (iniziale o finale) di efficacia.
Ciò posto, dirimente ai fini della corretta qualificazione del titolo edilizio impugnato appare –a parere del collegio– la circostanza che entrambe le istanze di rinnovo dell’originario permesso di costruire 31.08.2006 (depositate –rispettivamente- in data 25.08.2007 e 29.08.2008, docc. 3 e 4 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata) siano state presentate allorché il titolo da rinnovare era ancora efficace (essendo stato rilasciato il primo permesso in data 31.08.2006 ed il primo rinnovo in data 06.09.2007), in prossimità della scadenza del termine di inizio dei lavori ed in mancanza dell’avvio degli stessi (iniziati soltanto in data 16.10.2009, doc. 1 delle produzioni 08.11.2012 di parte comunale).
Se a ciò si aggiunge che esse riguardavano il medesimo intervento edilizio, risulta evidente come le istanze stesse mirassero in realtà a scongiurare la decadenza del titolo per mancato inizio dei lavori nel termine annuale, cioè a conseguire –propriamente– una proroga dello stesso ex art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001.
Né vale eccepire che nulla impedisce a chi abbia un titolo edilizio di chiederne un altro, sostitutivo del primo, pur in costanza di efficacia dello stesso.
Al contrario, infatti, la volontà dell’interessato trova un limite invalicabile nel principio di tipicità e di legalità dei poteri amministrativi, nonché nelle norme regolatrici dell'azione amministrativa.
Orbene, sia l'apposizione dei termini di efficacia della concessione edilizia che gli istituti della proroga (nei casi consentiti dalla legge) e della decadenza di cui all’art. 15 D.P.R. 06.06.2001, n. 380 servono ad assicurare la certezza temporale dell'attività di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, anche al fine di garantire un efficiente controllo sulla conformità dell'intervento edilizio a suo tempo autorizzato con il relativo titolo (così Cons. di St., V, 23.11.1996, n. 1414), certezza che verrebbe frustrata se fosse consentito alla parte di dissimulare una richiesta di proroga sotto il falso nomen juris del “rinnovo”, con ciò potendo anche più volte rinviare –a proprio piacimento e senza soggiacere alle condizioni previste dalla legge– il termine di inizio e di fine dei lavori.
Dunque, il permesso di costruire impugnato (17.10.2008, prot. 19551/08) integra -propriamente- una proroga ex art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 del termine di inizio dei lavori.
Sennonché, come correttamente eccepito dalle ricorrenti con il secondo motivo di ricorso, tale proroga è stata rilasciata in violazione dell’art. 15 D.P.R. n. 380/2001, senza che ne sussistessero i presupposti e –in ogni caso– senza alcuna istruttoria o motivazione sul punto, avendo il comune acriticamente aderito alla qualificazione in termini di rinnovo proposta -pro domo sua- dalla parte interessata, che non aveva ancora dato inizio ai lavori nell’imminenza del termine di scadenza, oltretutto già prorogato una prima volta.
E’ infatti pacifico che non siano sopravvenuti fatti impeditivi estranei alla volontà del titolare del permesso, e che non si tratti né di un’opera pubblica, né di un’opera di grandi dimensioni o di particolari caratteristiche tecnico-costruttive (circostanze, del resto, neppure dedotte).
Donde la fondatezza della domanda impugnatoria, con assorbimento degli altri motivi di gravame.
L’annullamento del titolo edilizio principale determina l’accoglimento dei motivi aggiunti, nella parte relativa all’impugnazione del silenzio (avente valore di provvedimento implicito di diniego dell’adozione del provvedimento inibitorio, cfr. Cons. di St., Ad. Plen., 29.07.2011, n. 15; Cons. di St., IV, 26.07.2012, n. 4255) serbato dal comune sulla dichiarazione di inizio di attività presentata in data 02.11.2010 dalla controinteressata Lenzi Gabriella Maria (doc. 8 delle produzioni 15.10.2011 di parte controinteressata), in variante al permesso di costruire 17.10.2008.
Difatti, l'annullamento dell’originario permesso di costruire sortisce l'effetto della caducazione della successiva variante in corso d’opera, secondo il meccanismo della così detta “invalidità derivata ad effetto caducante”, poiché priva di una propria autonomia dispositiva (TAR Lombardia, II, 02.09.2011, n. 2149) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 08.01.2013 n. 34 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il Cons. Stato ha rimarcato la differenza dell’istituto di annullamento regionale rispetto al potere di annullamento d’ufficio delle concessioni di costruzione illegittime viceversa conferito al Sindaco dall’art. 10 della L. 06.08.1967 n. 765 e dall’art. 1 della L. 28.01.1977 n. 10, posto che l’Amministrazione Regionale è soltanto titolare di poteri di vigilanza e di controllo ma è priva della facoltà di sostituirsi al Comune nell’adottare determinate scelte ed è tenuta a valutare l’interesse pubblico con riferimento esclusivo alla conservazione della situazione esistente; viceversa il Sindaco deve valutare l’interesse pubblico alla rimozione dell’ atto invalido alla stregua delle altre possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio riscontrato, ossia mediante la modifica agli strumenti urbanistici, l’offerta di integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc..
L’annullamento disposto dall’Amministrazione Regionale è configurato dal legislatore quale adattamento del generale potere di annullamento d’ufficio contemplato dall’allora vigente art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383 (ora riferibile all’art. 2, comma 3, lett. p), della L. 23.08.1988 n. 400, nonché all’art. 138 del T.U. approvato con D.L.vo 18.08.2000 n. 267).
Quindi, l’esercizio del potere sostitutivo da parte dell’Amministrazione Regionale, a differenza del potere di autotutela riconosciuto sempre in via generale al Comune, non comporta un riesame del precedente operato da parte del soggetto titolare del potere di annullamento, ma è essenzialmente finalizzato ad assicurare da parte delle Amministrazioni comunali il rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
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Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero –detto altrimenti– allorquando il potere è stato esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva del potere medesimo e, in particolare, allorquando l’atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico.
Tuttavia, la censura di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo; né il vizio in questione è ravvisabile allorquando l’atto asseritamene viziato risulta comunque adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto e risulta in piena aderenza al fine pubblico al quale è istituzionalmente preordinato, anche se, attraverso la sua emanazione, l’amministrazione ha indirettamente consentito il perseguimento da parte di terzi di ulteriori finalità secondarie, lecite e non in contrasto con quella principale.

Giova quindi evidenziare, innanzitutto, che l’art. 27, primo comma, della L. 17.08.1942 n. 1150, intitolato “annullamento di autorizzazione comunali”, nel testo sostituito dall’art. 7 della L. 06.08.1967 n. 765 dispone al primo comma che “entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a prescrizioni del piano regolatore o del programma di fabbricazione od a norme del regolamento edilizio, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni o delle norme stesse possono essere annullati, ai sensi dell’art. 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 03.03.1934, n. 383, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l’interno”.
Tale potere è stato trasferito alle Regioni a’ sensi dell’art. 1, lett. o), del D.P.R. 15.01.1972 n. 8, laddove segnatamente si prevede, nell’effettuare il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica, la clausola d’ordine generale che ricomprende nel trasferimento medesimo “ogni ulteriore funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato …” (cfr. in tal senso la dianzi citata decisione di Cons. Stato Sez. V, 30.09.1980 n. 801).
Il terzo comma dello stesso art. 27 dispone quindi che il provvedimento di annullamento “è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare della licenza, al proprietario della costruzione e al progettista, nonché alla Amministrazione comunale con l’invito a presentare controdeduzioni entro un termine all’uopo prefissato”.
Inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 20.02.1998 n. 315 ha rimarcato la differenza dell’istituto in esame rispetto al potere di annullamento d’ufficio delle concessioni di costruzione illegittime viceversa conferito al Sindaco dall’art. 10 della L. 06.08.1967 n. 765 e dall’art. 1 della L. 28.01.1977 n. 10, posto che l’Amministrazione Regionale è soltanto titolare di poteri di vigilanza e di controllo ma è priva della facoltà di sostituirsi al Comune nell’adottare determinate scelte ed è tenuta a valutare l’interesse pubblico con riferimento esclusivo alla conservazione della situazione esistente; viceversa il Sindaco deve valutare l’interesse pubblico alla rimozione dell’ atto invalido alla stregua delle altre possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio riscontrato, ossia mediante la modifica agli strumenti urbanistici, l’offerta di integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc..
L’annullamento disposto dall’Amministrazione Regionale è configurato dal legislatore quale adattamento del generale potere di annullamento d’ufficio contemplato dall’allora vigente art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383 (ora riferibile all’art. 2, comma 3, lett. p), della L. 23.08.1988 n. 400, nonché all’art. 138 del T.U. approvato con D.L.vo 18.08.2000 n. 267).
A ragione il giudice di primo grado ha rimarcato in tal senso che l’esercizio del potere sostitutivo da parte dell’Amministrazione Regionale, a differenza del potere di autotutela riconosciuto sempre in via generale al Comune, non comporta un riesame del precedente operato da parte del soggetto titolare del potere di annullamento, ma è essenzialmente finalizzato ad assicurare da parte delle Amministrazioni comunali il rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
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Né può condividersi la tesi de L’Alco secondo la quale la finalità perseguita dalla Giunta Regionale mediante l’annullamento da essa disposto non sarebbe in realtà deputata alla tutela dell’interesse alla legittimità dei provvedimenti urbanistico-edilizi, ma alla surrettizia protezione degli interessi strettamente commerciali che sono stati posti alla base della segnalazione pervenuta alla Giunta medesima da parte di Sermark.
Come a ragione ha affermato il giudice di primo grado, il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero –detto altrimenti– allorquando il potere è stato esercitato per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva del potere medesimo e, in particolare, allorquando l’atto posto in essere sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico (cfr. sul punto, ex plurimis e tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. V, 25.05.2010 n. 3321).
Tuttavia, la censura di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 11.03.2010 n. 1418 e 15.10.2009 n. 6332); né il vizio in questione è ravvisabile allorquando l’atto asseritamene viziato risulta comunque adottato nel rispetto delle norme che ne disciplinano la forma e il contenuto e risulta in piena aderenza al fine pubblico al quale è istituzionalmente preordinato, anche se, attraverso la sua emanazione, l’amministrazione ha indirettamente consentito il perseguimento da parte di terzi di ulteriori finalità secondarie, lecite e non in contrasto con quella principale (così Cons. Stato, Sez. IV, 17.12.2003 n. 8306).
Nel caso di specie, se è ben vero che Sermark mediante la presentazione del suo esposto ha inteso tutelare propri interessi di carattere eminentemente commerciale e non già di ordine urbanistico-edilizio, risulta altrettanto assodato che la Giunta Regionale non poteva che disporre l’annullamento del piano di lottizzazione e del titolo edilizio conseguentemente rilasciato proprio in dipendenza dell’oggettiva loro illegittimità rappresentata dall’esponente, e ciò -quindi- anche a prescindere dall’interesse individuale di quest’ultima
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 08.01.2013 n. 32 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La revoca, come anche l’annullamento, d’ufficio di un titolo edilizio richiede la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della Legge 241/1990, essendo essa un atto discrezionale suscettibile di ledere posizioni soggettive consolidate.
Considerato:
- che con il provvedimento impugnato il Dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune resistente ha revocato la concessione edilizia n. 471 rilasciata al condominio ricorrente il 22.07.1987;
- che, per giurisprudenza pacifica, la revoca, come anche l’annullamento, d’ufficio di un titolo edilizio richiede la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 7 della Legge 241/1990, essendo essa un atto discrezionale suscettibile di ledere posizioni soggettive consolidate (in senso conforme, TAR Salerno, sez. I, 27.02.2012, n. 391; Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 12.11.2008, n. 930);
- che, nel caso di specie, non può trovare applicazione l’art. 21-octies, comma 2, Legge 241/1990, stante la natura discrezionale del potere esercitato dall’amministrazione comunale;
- che pertanto il ricorso va accolto, attesa l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di revoca per non essere stato preceduto dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 04.01.2013 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA: L’autore di un esposto-denuncia non assume per ciò solo le vesti di controinteressato processuale nel giudizio amministrativo instaurato avverso l’annullamento d’ufficio dell’atto, anche ove il suo ritiro sia stato sollecitato nella denuncia.
L’autotutela decisoria, per quanto sollecitata da terzi portatori di interessi di mero fatto al suo esercizio, resta prerogativa dell’Amministrazione non soltanto nel suo concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma valutazione delle condizioni, in fatto ed in diritto, per il suo esplicarsi.
Per tal ragione, l’impugnazione diretta avverso l’atto di annullamento di ufficio di un pregresso provvedimento abilitativo non va notificata necessariamente all’autore dell’esposto-denuncia che aveva sollecitato l’esercizio dell’atto di autotutela, ferma comunque la facoltà di quest’ultimo di intervenire ad opponendum nel relativo giudizio.

Il Collegio ritiene che tali considerazioni siano da condividere. L’autore di un esposto-denuncia non assume per ciò solo le vesti di controinteressato processuale nel giudizio amministrativo instaurato avverso l’annullamento d’ufficio dell’atto, anche ove –come nella specie- il suo ritiro sia stato sollecitato nella denuncia.
L’autotutela decisoria, per quanto sollecitata da terzi portatori di interessi di mero fatto al suo esercizio, resta prerogativa dell’Amministrazione non soltanto nel suo concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma valutazione delle condizioni, in fatto ed in diritto, per il suo esplicarsi. Per tal ragione, l’impugnazione diretta avverso l’atto di annullamento di ufficio di un pregresso provvedimento abilitativo non va notificata necessariamente all’autore dell’esposto-denuncia che aveva sollecitato l’esercizio dell’atto di autotutela, ferma comunque la facoltà di quest’ultimo di intervenire ad opponendum nel relativo giudizio
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 21.12.2012 n. 6639 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAIl Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in linea di principio, il provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione.
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l. 11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio, postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela.
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In sede di vaglio circa la legittimità del provvedimento di annullamento di titoli edilizi, deve riconoscersi adeguato rilievo al comportamento (negligente o in malafede) del privato il quale abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso una rappresentazione falsa o incompleta dello stato dei luoghi, tale da alterare la corretta formazione del convincimento degli organi decisionali.
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Non viola il principio del contrarius actus l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia illegittima, emanato senza la previa acquisizione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo cui è soggetta l'area di intervento, qualora tale rimozione avvenga esclusivamente o essenzialmente per ragioni urbanistico-edilizie, indipendenti da altre questioni connesse al predetto vincolo.

Al riguardo il Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato orientamento giurisprudenziale (puntualmente richiamato dall’appellante) secondo cui, in linea di principio, il provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, III, 20.06.2012, n. 3628; id., IV, 28.05.2012, n. 3154; id., VI, 15.05.2012, n. 2774).
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l. 11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio, postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela (in tale senso –ex plurimis -: Cons. Stato, V, 07.04.2010, n. 1946; id., IV, 14.02.2006, n. 564).
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Al riguardo si ritiene che nel caso in esame debba trovare puntuale conferma l’orientamento secondo cui, in sede di vaglio circa la legittimità del provvedimento di annullamento di titoli edilizi, deve riconoscersi adeguato rilievo al comportamento (negligente o in malafede) del privato il quale abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso una rappresentazione falsa o incompleta dello stato dei luoghi, tale da alterare la corretta formazione del convincimento degli organi decisionali (in tal senso: Cons. Stato, IV, 27.11.2010, n. 8291).
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In terzo luogo il Collegio ritiene infondato il motivo di appello con cui si è chiesta la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui non ha rilevato l’illegittimità del provvedimento di annullamento d’ufficio in considerazione della mancata, previa acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale (parere che, invece, è richiesto nella fase –per così dire:- ‘fisiologica’ di rilascio del titolo).
Al riguardo il Collegio osserva che, anche a voler riguardare gli aspetti procedimentali connessi all’adozione dei provvedimenti di autotutela sulla base del principio del c.d. ‘contrarius actus’, la carenza formale di uno degli atti che avevano caratterizzato l’adozione dell’atto oggetto di annullamento può rilevare ai fini di rendere illegittimo l’esercizio del potere di autotutela solo laddove l’atto omesso incida sul medesimo tratto procedimentale –e sul medesimo valore tutelato– sul quale risulta fondato l’esercizio di autotutela.
Questo Giudice di appello ha, ad esempio, affermato che non viola il principio del contrarius actus l’annullamento d’ufficio di una concessione edilizia illegittima, emanato senza la previa acquisizione del parere dell'autorità preposta alla tutela del vincolo cui è soggetta l'area di intervento, qualora tale rimozione avvenga esclusivamente o essenzialmente per ragioni urbanistico-edilizie, indipendenti da altre questioni connesse al predetto vincolo (Cons. Stato, V, 07.09.2000, n. 4741).
Ebbene, riconducendo il principio appena richiamato alle peculiarità del caso di specie, si osserva che la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale nel corso del procedimento finalizzato all’annullamento d’ufficio del titolo edilizio non sortisce valenza viziante dal momento che:
- il provvedimento di annullamento si fondava sul dato oggettivo e non suscettibile di apprezzamento discrezionale alcuno relativo al mancato rispetto della pertinente normativa (nazionale e locale) in tema di distanze;
- l’acquisizione del parere della Commissione edilizia comunale è prodromico e strumentale all’acquisizione di elementi di valutazione d carattere tecnico-discrezionale circa le caratteristiche delle opere progettate
(Cons. Stato Sez. VI, sentenza 18.12.2012 n. 6489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione.
La legittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio, postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela.

Al riguardo il Collegio non ritiene di revocare in dubbio il consolidato orientamento giurisprudenziale (puntualmente richiamato dall’appellante) secondo cui, in linea di principio, il provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un'adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari di un atto discrezionale al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'Amministrazione (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, III, 20.06.2012, n. 3628; id., IV, 28.05.2012, n. 3154; id., VI, 15.05.2012, n. 2774).
Neppure si ritiene di revocare in dubbio l’altrettanto consolidato orientamento (peraltro trasfuso in puntuale disposizione normativa ad opera dell’articolo 14 della l. 11.02.2005, n. 11) secondo cui la legittimità dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un atto discrezionale, in via di principio, postula che esso sia realizzato entro un termine ragionevole dall’adozione dell’atto oggetto di autotutela (in tale senso –ex plurimis-: Cons. Stato, V, 07.04.2010, n. 1946; id., IV, 14.02.2006, n. 564)
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 18.12.2012 n. 6489 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Annullamento del permesso di costruire per difetto di volumetria.
Il TAR Campania-Napoli, Sez. II, con la recente sentenza 14.12.2012 n. 5209, ha afferma un significativo principio in materia di interventi in autotutela, aventi ad oggetto l’annullamento di un permesso di costruire viziato da un originario difetto di volumetria.
Secondo la decisione che qui si annota, un Comune può -a seguito delle espresse valutazioni effettuate dalla commissione edilizia e, in particolare, in forza della mancanza di un chiaro conteggio delle superfici utilizzate nelle precedenti concessioni edilizie rilasciate-, annullare in autotutela una concessione edilizia, per difetto della volumetria prevista dallo strumento urbanistico generale.
Il tutto, si badi bene, senza dover dare all’interessato alcuna comunicazione di avvio del procedimento.
In questi casi, infatti, il provvedimento di secondo grado (autotutela) è fondato sull’assenza di un presupposto essenziale per l’ammissibilità dell’intervento edilizio, costituito dal rispetto dei limiti di densità di edificazione stabiliti dallo strumento urbanistico generale, di fondamentale rilevo al fine di assicurare un ordinato sviluppo del territorio.
Di conseguenza, l’Amministrazione non ha alternative; ragion per cui la partecipazione dell’interessato al procedimento non può determinare alcuna incidenza sul potere in concreto esercitato e sul contenuto del provvedimento.
Detto in altre parole, la partecipazione dell’interessato, in questi casi (concreti) nei quali la pubblica amministrazione non può che procedere in un determinato modo, sarebbe inutile.
Più in dettaglio, il ricorrente aveva appunto eccepito l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, in quanto l’amministrazione aveva adottato il provvedimento di annullamento d’ufficio a seguito di una riscontrata erosione, in base agli indici di fabbricabilità previsti dal P.R.G., della volumetria stabilita per il lotto interessato dall’intervento.
Ma il Tar Napoli osserva che il provvedimento gravato, adottato a meno di un anno dal rilascio del titolo edilizio annullato, poneva a proprio fondamento l’assenza di un presupposto essenziale per l’ammissibilità dell’intervento, ovvero il rispetto dei limiti di densità di edificazione stabiliti dallo strumento urbanistico generale, di fondamentale rilevo al fine di assicurare un ordinato sviluppo del territorio.
Del resto, il diritto di edificare inerisce alla proprietà dei suoli nei limiti stabiliti dalla legge e dagli strumenti urbanistici, tra i quali quelli diretti a regolare la densità di edificazione ed espressi negli indici di fabbricabilità, con la conseguenza che esso è conformato anche da tali indici, di modo che ogni area non è idonea ad esprimere una cubatura maggiore di quella consentita dalla legge e dallo strumento urbanistico e, corrispondentemente, qualsiasi costruzione, anche se eseguita senza il prescritto titolo, impegna la superficie che, in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile, è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
In questo quadro, sebbene l’annullamento in autotutela costituisca esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione, nel caso specifico la gravità dell’illegittimità del titolo edilizio è stata doverosamente apprezzata ai fini dell’adozione del provvedimento in autotutela.
Per tali ragioni non residuava all’amministrazione nessuna diversa alternativa.
Corollario di quanto detto è che la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo non avrebbe potuto determinare alcuna incidenza sul potere in concreto esercitato dal Comune e sul contenuto del suo provvedimento (commento tratto da www.professioni-imprese24.ilsole24ore.com - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAOve una concessione edilizia o permesso di costruire sia stato legittimante assentito, ma in fase di realizzazione del relativo progetto il privato destinatario ponga in essere delle difformità dal medesimo,… siffatti abusi devono essere sanzionati attivando il procedimento sanzionatorio definito dal T.U di cui al D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (artt. 31 ss.), ma giammai possono legittimante costituire motivo di annullamento in autotutela della concessione edilizia legittimamente assentita.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti provvedimenti, è, infatti, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 ricettivo di un radicato costrutto pretorio di origine giurisprudenziale, l’esistenza e l’acclaramento di un vizio di legittimità originario che affligga il provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria. Laddove, invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie repressive, non potendo, invece, infirmare ex post la legittimità del provvedimento e correlativamente legittimare il ricorso dal potere di annullamento in autotutela.

Come evidenziato dalla costante giurisprudenza anche di questo Tribunale “ove una concessione edilizia o permesso di costruire sia stato legittimante assentito, ma in fase di realizzazione del relativo progetto il privato destinatario ponga in essere delle difformità dal medesimo,… siffatti abusi” devono “essere sanzionati attivando il procedimento sanzionatorio definito dal T.U di cui al D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (artt. 31 ss.), ma giammai possono legittimante costituire motivo di annullamento in autotutela della concessione edilizia legittimamente assentita.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti provvedimenti, è, infatti, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 ricettivo di un radicato costrutto pretorio di origine giurisprudenziale, l’esistenza e l’acclaramento di un vizio di legittimità originario che affligga il provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria. Laddove, invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie repressive, non potendo, invece, infirmare ex post la legittimità del provvedimento e correlativamente legittimare il ricorso dal potere di annullamento in autotutela
” (TAR Piemonte, Sez. I, 7.05.2010 n. 2356).
Nel caso in questione proprio dalla realizzazione di opere in difformità dal permesso rilasciato l’Amministrazione ha fatto scaturire la revoca del titolo stesso.
Né può essere condivisa la tesi della difesa del Comune relativa al fatto che il provvedimento impugnato, (pur disponendo la “revoca” del permesso di costruire) avrebbe, in realtà, inteso “esprimere il concetto dell’inutilizzabilità del titolo edilizio -ottenuto per la demolizione e ricostruzione solo parziale dell’immobile- al fine di operare un intervento interamente sostitutivo”.
Come già ricordato e come osservato anche dalla ricorrente, la successiva realizzazione di opere in difformità da quanto autorizzato non può, in verità incidere sulla legittimità del titolo originario, ma solo comportare l’eventuale applicazione delle sanzioni previste dal DPR n. 380/2001 (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 13.12.2012 n. 1340 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Per espresso disposto normativo (art. 4, comma 6, della L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito nell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380), la concessione edilizia (ed ora il permesso di costruire) è irrevocabile.
Invero, come lamentato con il primo motivo, per espresso disposto normativo (art. 4, comma 6, della L. 28.01.1977 n. 10, poi confluito nell’art. 11 del d.P.R. 06.06.2001 n. 380), la concessione edilizia (ed ora il permesso di costruire) è irrevocabile (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 27.06.2005 n. 3414; TAR Lombardia, Milano, Sezione II, 27.10.2009 n. 4929 e 19.10.2011 n. 2478).
Va aggiunto che, nel caso di specie, il provvedimento va qualificato come revoca in senso proprio, poiché l’amministrazione non ha inteso avvalersi della potestà di autoannullamento, consentita anche per i titoli edilizi, non avendo posto a base dell’azione un vizio di legittimità tale da invalidare l’atto di primo grado sin dalla sua origine (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 27.11.1981 n. 609), ma sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero un mutamento della situazione di fatto (secondo la definizione recepita dall’art. 21-quinquies della L. n. 241/1990, introdotto dalla L. n. 15/2005) (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 23.11.2012 n. 4785 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di diniego di concessione edilizia, richiesta dal proprietario ma respinta dal Comune per errori di rappresentazione progettuale, non sussiste l’interesse all’impugnazione in capo al professionista progettista dell’opera, in quanto “il diniego incide sullo ius aedificandi e non sull'esercizio della professione del progettista, né sulle sue qualità e il suo prestigio”.
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Nel caso di specie trattasi di un annullamento parziale di una concessione edilizia fondato su di un unico rilievo: l’errata individuazione della superficie dell’area edificabile compiuta dal progettista.
L’arch. F. è colui che ha catastalmente frazionato e quindi individuato la parte di terreno edificabile e, successivamente, progettato il nuovo immobile ivi eretto: egli, pertanto, essendo corresponsabile della conformità delle opere, ha una pretesa qualificata al legittimo esercizio dell’azione amministrativa sub iudice e, conseguentemente, la legittimazione a chiedere l’annullamento di un provvedimento amministrativo che reputa configgere con l’interpretazione che egli ha dato della disciplina urbanistica comunale e, più in generale, con il suo operato.

Pregiudizialmente occorre esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente, sollevata dalla difesa del Comune di Trento in dipendenza della circostanza che l’arch. Fracchetti non è il proprietario del neo edificato immobile di causa, ma il progettista dello stesso, legato alla titolare del diritto reale e delle correlate facoltà edilizie, sig.ra Furlani, solo da un rapporto professionale.
Su questo punto il Collegio condivide l’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in caso di diniego di concessione edilizia, richiesta dal proprietario ma respinta dal Comune per errori di rappresentazione progettuale, non sussiste l’interesse all’impugnazione in capo al professionista progettista dell’opera, in quanto “il diniego incide sullo ius aedificandi e non sull'esercizio della professione del progettista, né sulle sue qualità e il suo prestigio” (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. IV, 17.09.2012, n. 4924; 18.04.2012, n. 2275).
Il caso di specie, peraltro, è diverso: il titolo edilizio è stato rilasciato nel dicembre 2009 e l’immobile, nella sua struttura complessiva, è stato ultimato. Trattasi, infatti, di un annullamento parziale di una concessione edilizia fondato su di un unico rilievo: l’errata individuazione della superficie dell’area edificabile compiuta dal progettista. Il provvedimento in esame è stato quindi notificato, ai sensi dell’art. 127 della l.p. urbanistica 04.03.2008, n. 1, anche al costruttore nonché al direttore dei lavori/progettista, tutti responsabili, anche penalmente, secondo quanto previsto dall’art. 29 del D.P.R. 06.06.2001, n. 380 (cfr., ex multis, Cass. Pen., sez. III, 09.09.2009, n. 34879).
L’arch. Fracchetti è colui che ha catastalmente frazionato e quindi individuato la parte di terreno edificabile e, successivamente, progettato il nuovo immobile ivi eretto: egli, pertanto, essendo corresponsabile della conformità delle opere, ha una pretesa qualificata al legittimo esercizio dell’azione amministrativa sub iudice e, conseguentemente, la legittimazione a chiedere l’annullamento di un provvedimento amministrativo che reputa configgere con l’interpretazione che egli ha dato della disciplina urbanistica comunale e, più in generale, con il suo operato (cfr., in termini, TRGA Trento, 11.05.2011, n. 135; 08.07.2010, n. 170; TAR Veneto, sez. II; 14.06.2004, n. 2043)
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 22.11.2012 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali o di tipo giuridico.
Il pronunciamento dell'organo tecnico consultivo non è infatti necessario allorché l'annullamento della concessione edilizia sia un atto dovuto e non discrezionale, come nel caso che qui occupa, ove il provvedimento di annullamento parziale della concessione edilizia è stato motivato con richiami a ragioni sia tecniche che giuridiche, essendo stato fatto esclusivo riferimento all’errata rappresentazione nella planimetria di progetto del lotto edificabile che ha comportato l’attribuzione di una maggiore ampiezza allo stesso in un’area di pregio non edificabile.

Il terzo motivo, con il quale è stata denunciata la mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia, è infondato in punto di diritto.
Da un lato il parere dell’organo consultivo comunale di Trento nel procedimento di annullamento di un titolo edilizio non è previsto da alcuna norma (cfr., art. 28 del regolamento edilizio comunale).
Da altro profilo, è assodato in giurisprudenza che, in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio di una concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione edilizia, tale parere vada acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da evidenti ragioni formali o di tipo giuridico (cfr., C.d.S., sez. V, 12.05.2011, n. 2821; sez. IV, 31.03.2009, n. 1909).
Il pronunciamento dell'organo tecnico consultivo non è infatti necessario allorché l'annullamento della concessione edilizia sia un atto dovuto e non discrezionale, come nel caso che qui occupa, ove il provvedimento di annullamento parziale della concessione edilizia è stato motivato con richiami a ragioni sia tecniche che giuridiche, essendo stato fatto esclusivo riferimento all’errata rappresentazione nella planimetria di progetto del lotto edificabile che ha comportato l’attribuzione di una maggiore ampiezza allo stesso in un’area di pregio non edificabile
(TRGA Trentino Alto Adige-Trento, sentenza 22.11.2012 n. 343 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa potestà dell'Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, deve ritenersi espressione di un principio generale dell'ordinamento che non ne assoggetta l'esercizio a precisi vincoli temporali, purché la potestà stessa si manifesti conforme a criteri di ragionevolezza e di certezza dei rapporti giuridici. E comunque, come afferma condivisibile giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Per l'autoannullamento della concessione edilizia o del permesso di costruire, è di norma irrilevante —salvi casi di spazi temporali esagerati— il tempo trascorso dall'attività edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell'Amministrazione pubblica la quale, a fronte dell'accertamento della violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo.
A fronte di un accertamento penale che accerti che una concessione edilizia sia il risultato di comportamenti illeciti, ancorché prescritti, l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto legittimamente coincide con l'esigenza di ripristino della legalità violata.

Occorre innanzitutto inquadrare correttamente la reale portata del provvedimento impugnato.
Si è in presenza dell’esercizio del potere di autotutela, segnatamente di annullamento di ufficio, da parte della resistente amministrazione, di propria precedente determinazione favorevole alla ricorrente. In tal senso depone non già il richiamo alla circostanza per cui la ricorrente avrebbe realizzato un fabbricato con caratteristiche di villa signorile in luogo del consentito fabbricato rurale, venendo in rilievo in tal caso un’ipotesi di non conformità di quanto realizzato con quanto autorizzato (ed altra avrebbe dovuto essere, in tal caso, la misura repressiva dell’abuso da adottarsi da parte dell’amministrazione), quanto il richiamo al rilevato contrasto dei permessi di costruire rilasciati (e quindi oggetto del contestato annullamento) con la legge urbanistica Regione Calabra n. 19 del 16.04.2002 nonché con il P.R.G. ed il regolamento edilizio dello stesso Comune di Joppolo.
In altri termini, l’amministrazione rileva un vizio negli atti oggetto di annullamento che segna gli stessi ab origine, donde la necessità di intervenire con lo strumento dell’annullamento di ufficio. E coerentemente con questa impostazione l’amministrazione da puntualmente conto, nell’atto avversato, della ritenuta prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità rispetto a quello della ricorrente non avendo il decorso del tempo potuto ingenerare alcun legittimo e incolpevole affidamento. Deve peraltro il Collegio rilevare come lo stesso proposto ricorso, che pur si diffonde sulla qualificabilità dell’immobile comunque come rurale (che, ripetesi, non è il punto centrale della controversia), nulla deduce sul vero presupposto dell’annullamento disposto e cioè la contrarietà del permessi di costruire (rilasciati ed annullati) alla superiori disposizioni di legge regionale ed a quelle di natura programmatoria del Comune di Joppolo.
Di qui la legittimità del disposto annullamento.
Del resto, la potestà dell'Amministrazione di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies L. 07.08.1990 n. 241, deve ritenersi espressione di un principio generale dell'ordinamento che non ne assoggetta l'esercizio a precisi vincoli temporali, purché la potestà stessa si manifesti conforme a criteri di ragionevolezza e di certezza dei rapporti giuridici (cfr. TAR Umbria, 22.12.2011 n. 400). E comunque, come afferma condivisibile giurisprudenza, l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica (cfr., in tal senso, Cons. Stato, V Sezione, 05.09.2011 n. 4982).
Osserva inoltre il Collegio che per l'autoannullamento della concessione edilizia o del permesso di costruire, è di norma irrilevante —salvi casi di spazi temporali esagerati— il tempo trascorso dall'attività edilizia posta in essere, in quanto la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell'Amministrazione pubblica la quale, a fronte dell'accertamento della violazione delle norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo (cfr. TAR Trento, 11.05.2011, n. 135).
Giova ancora ricordare che, nella specie, con ordinanza del 02.04.2010 il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato la richiesta di riesame presentata, tra gli altri, dalla odierna ricorrente, avverso ordinanza del GIP che convalidava la misura cautelare del sequestro preventivo disposto dal P.M. dell’area di cui alla presente controversia da cui emerge la ritenuta illegittimità dei permessi a costruire rilasciati. Sul punto la giurisprudenza amministrativa ha specificamente rilevato che “a fronte di un accertamento penale che accerti che una concessione edilizia sia il risultato di comportamenti illeciti, ancorché prescritti, l'interesse pubblico alla rimozione dell'atto legittimamente coincide con l'esigenza di ripristino della legalità violata” (cfr. TAR Milano, II Sezione, 17.01.2011 n. 89).
Quanta alla asserita violazione delle disposizioni di legge in tema di partecipazione procedimentale, è agevole osservare in fatto che la resistente amministrazione ha correttamente proceduto a comunicare alla odierna ricorrente, per come in atti del presente giudizio, l’avvio del procedimento amministrativo conducente in ipotesi all’annullamento in autotutela delle autorizzazioni in precedenza rilasciate (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 10.11.2012 n. 1083 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In sede di adozione di un atto in autotutela, la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'Amministrazione, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'Autorità amministrativa.
La falsa rappresentazione dello stato di fatto all’atto della richiesta della edilizia rende, invero, l'affidamento del privato circa il mantenimento del manufatto non meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte all'interesse pubblico al ripristino della situazione edilizia regolarmente assentita.
Peraltro l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Peraltro la difformità tra lo stato di fatto e quanto rappresentato sugli elaborati di cui trattasi non poteva che comportare l’annullamento della concessione e non sanzioni alternative, considerato che, in presenza di una concessione edilizia, ritenuta illegittima per vizio sostanziale, l'Amministrazione non può ricorrere all'art. 38 del d.P.R. 380/2001, norma che consente di rimediare ai soli vizi formali o procedurali.

Va al riguardo innanzitutto evidenziato da parte del Collegio che, in sede di adozione di un atto in autotutela, la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l'esercizio dell'autotutela discenda da errori di valutazione dovuti all'Amministrazione, non già quando lo stesso è dovuto a comportamenti del soggetto privato che hanno indotto in errore l'Autorità amministrativa.
La falsa rappresentazione dello stato di fatto all’atto della richiesta della edilizia rende, invero, l'affidamento del privato circa il mantenimento del manufatto non meritevole di tutela e sicuramente recessivo di fronte all'interesse pubblico al ripristino della situazione edilizia regolarmente assentita.
Peraltro l'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non necessita di un'espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse, consistendo questo nell'interesse della collettività al rispetto della disciplina urbanistica.
Peraltro la difformità tra lo stato di fatto e quanto rappresentato sugli elaborati di cui trattasi non poteva che comportare l’annullamento della concessione e non sanzioni alternative, considerato che, in presenza di una concessione edilizia, ritenuta illegittima per vizio sostanziale, l'Amministrazione non può ricorrere all'art. 38 del d.P.R. 380/2001, norma che consente di rimediare ai soli vizi formali o procedurali
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 08.11.2012 n. 5691 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

COMPETENZE GESTIONALI - EDILIZIA PRIVATA: L’attribuzione al Presidente della Provincia (nella regione Veneto), da parte dell’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, del potere di annullamento per motivi di legittimità dei permessi di costruire, è compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento ed in particolare con il modello organizzativo fondato sulla separazione di competenze fra la struttura politica e la struttura gestionale e amministrativa.
Al riguardo si osserva, in primo luogo, che l’art. 39 del D.P.R. n. 380/2001 ha attribuito genericamente alla regione il potere di annullamento dei titoli abilitativi rilasciati dal Comune. La Regione Veneto, in base all’art. 119 2° comma, con l’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, ha poi delegato tale potere alla Provincia, individuando l’organo in concreto competente. In particolare, il legislatore regionale ha scelto di attribuire tale potere all’organo politico di vertice della Provincia.
Non si ravvedono ragioni d’incostituzionalità in tale scelta legislativa. Infatti, va considerato, in primo luogo, che il potere conferito al Presidente della Provincia è un potere straordinario di annullamento per soli motivi di legittimità. Va poi osservato che il modello di organizzazione fondato sulla separazione tra politica e amministrazione non è così rigido da non tollerare contiguità, al contrario, vi possono sempre essere dei momenti di contatto fra le due sfere.
In particolare, nella sfera delle funzioni politiche rimesse agli organi di governo, accanto alle funzioni d’indirizzo politico-amministrativo, possono coesistere, in quanto compatibili con esse e con il modello direzionale, anche dei poteri eccezionali di annullamento degli atti dirigenziali per motivi di legittimità. Si tratta, infatti, di funzioni sostitutive o di controllo poste a salvaguardia del principio di legalità, necessarie a preservare l’unità dell’ordinamento, che non comportano l’adozione diretta di scelte di amministrazione attiva. Si pensi al potere ministeriale di annullamento degli atti dei dirigenti per motivi di legittimità, previsto dall’art. 14, comma 3, del D.lgs. n. 165/2001; ovvero, proprio in materia di legislazione sugli enti locali, al potere governativo di annullamento degli atti illegittimi emessi dagli enti locali. Potere, quest’ultimo, che costituisce il corrispettivo, in ambito statale, del potere di annullamento dei permessi di costruire attribuito dall’art. 39 del D.P.R. n. 380/2001 alla Regione.
In conclusione, si deve allora ritenere che l’attribuzione al Presidente della Provincia, da parte dell’art. 30, comma 2, della L.R. n. 11/2004, del potere di annullamento per motivi di legittimità dei permessi di costruire, sia compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento ed in particolare con il modello organizzativo fondato sulla separazione di competenze fra la struttura politica e la struttura gestionale e amministrativa (
TAR Veneto, Sez. II, sentenza 07.11.2012 n. 1347 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale.
Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
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Il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Anche nell’ipotesi di annullamento di una concessione edilizia va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata.
In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Tuttavia, in determinate ipotesi l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa. Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
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L’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato.
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Non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite.

Infondato si rivela anche il profilo di doglianza in base al quale il Comune di Cusano Mutri non avrebbe adeguatamente ponderato e motivato circa la prevalenza dell’interesse pubblico al ritiro del titolo abilitativo edilizio annullato rispetto all’affidamento privato nella sua conservazione, consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il rilascio del predetto titolo e la sua rimozione in autotutela.

Al riguardo, occorre premettere, in via di principio, che l’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio presuppone, unitamente al riscontro dell’originaria illegittimità dell’atto, la valutazione della rispondenza della sua rimozione a un interesse pubblico non solo attuale e concreto, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della sua conservazione, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato che ha riposto affidamento nella legittimità e stabilità dell’atto medesimo, tanto più quando un simile affidamento si sia consolidato per effetto del decorso di un rilevante arco temporale. Di qui la necessità che l’amministrazione espliciti in sede motivazionale la compiuta valutazione comparativa tra interessi confliggenti; impegno motivazionale tanto più intenso, quanto maggiore sia l’arco temporale trascorso dall’adozione dell’atto da annullare e solido appaia, pertanto, l’affidamento ingenerato nel privato.
Venendo, dunque, alla fattispecie in esame, il Collegio non ignora il costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui “il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”. Anche nell’ipotesi di annullamento di una concessione edilizia va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto al mero ripristino della legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n. 1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria-Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.

a) Sotto il primo profilo, rileva la circostanza oggettiva e dirimente non solo dell’insussistenza della superficie minima edificabile (cfr. retro, sub n. 8), ma, soprattutto, dell’accertata violazione delle distanze legali (cfr. retro, sub n. 3-7), ossia di una violazione di norme inderogabili, che, in quanto tale, implicava una iniziativa in autotutela sostanzialmente vincolata dell’amministrazione comunale, e non imponeva, quindi, una specifica motivazione né una espressa comparazione tra l'interesse pubblico alla rimozione e quello del privato alla conservazione dell'atto illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929; 26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che –come acclarato retro, sub n. 3-7– il progetto assentito col permesso di costruire n. 619 del 29.02.2008 non ha correttamente riportato le distanze dell’erigendo manufatto previsto dal fabbricato e dalle strade pubbliche confinanti, così inducendo in errore l’amministrazione resistente circa l’osservanza delle stesse (“la rappresentazione non conforme dello stato dei luoghi sui grafici del progetto presentato è approvato –recita, appunto, il provvedimento del 10.06.2011, prot. n. 4295– ha indotto in errore questo ente nel rilasciare il citato permesso di costruire”).
c) Sotto il terzo profilo, giova rammentare che l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005, n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193).
Nel caso in esame, l’annullato permesso di costruire n. 619 del 29.02.2008, ancorché non in immediato contrasto con norme di tutela paesaggistica, ha, comunque, illegittimamente assentito opere ricadenti in area assoggettata a vincolo ambientale (cfr. retro, in narrativa, sub n. 2.1) ed è risultato, così, suscettibile di inficiare, sia pure indirettamente, i valori da quest’ultimo tutelati.
La motivazione allestita dall’amministrazione resistente risulta, peraltro, proporzionata al tempo decorso tra il momento di emissione del titolo abilitativo e quello del suo successivo annullamento, che si appalesa non irragionevole.
Ebbene, –come evidenziato retro, sub n. 11.1– il Collegio ha presente l’incontrastato indirizzo giurisprudenziale, accreditato dall’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, secondo cui non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.01.2003, n. 899), ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218).
Ma, nel caso di specie, il tempo non eccessivo di reazione in autotutela rende concretamente insuscettibile di accoglimento la doglianza in esame.
In particolare:
- il permesso di costruire annullato risale al 29.02.2008;
- le misure inibitorie della prosecuzione dei lavori iniziati risalgono al 13.02.2009 (prot. n. 1205) ed al 23.02.2009 (prot. n. 1454);
- l’annullamento d’ufficio è stato disposto con provvedimenti del 04.02.2011 (prot. n. 872) e del 102011 (prot. n. 4295).
Fino all’adozione delle cennate misure inibitorie del 13.02.2009 (prot. n. 1205) e del 23.02.2009 (prot. n. 1454) (dovendosi già a queste ultime ricollegare il dies ad quem: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26.10.2007, n. 5601), risulta, dunque, trascorso circa un anno dal rilascio del permesso di costruire n. 619 del 29.02.2008.
Un periodo da ritenersi –come detto– non irragionevole (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 07.07.2004, n. 1469, che ritiene congruo un periodo di circa un anno), tenuto conto anche degli svariati precedenti giurisprudenziali che, in genere, attribuiscono rilevanza a intervalli temporali più consistenti (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 09.02.2004, n. 1968: circa 16 mesi; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422: oltre 2 anni; 24.07.2007, n. 1023: 6 anni; TAR Lazio, Roma, sez. II, 31.10.2007, n. 10834: oltre 2 anni; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 21.02.2006, n. 426; 04.01.2008, n. 1: 14 anni).
A ciò si aggiunga che non risulta compiutamente dimostrato dai ricorrenti –ed è, anzi, smentito dalla documentazione fotografica allegata alla relazione tecnica dai medesimi depositata in giudizio il 22.03.2011– lo stato avanzato di esecuzione dei lavori assentiti col titolo abilitativo edilizio annullato (in genere, la giurisprudenza postula un più intenso impegno motivazionale, allorquando le opere assentite con atto poi annullato d’ufficio siano state ultimate o abbiano raggiunto uno stato significativo e/o avanzato: cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.02.2003, n. 899; 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 07.02.2002, n. 359; sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Lazio, Roma, sez. II, 31.10.2007, n. 10834; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 19.01.2008, n. 15) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 30.10.2012 n. 4328 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 ha codificato le seguenti condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A.:
a) l'illegittimità dell'atto;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere.
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I provvedimenti di autotutela sono espressione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo. Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in autotutela su un proprio provvedimento divenuto inoppugnabile.
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L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le forme dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all'autotutela amministrativa. Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti sopra ricordati, non può essere sindacato in sede giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento, degli interessi dei privati concorrenti e del loro affidamento.

Come insegna sia la dottrina che la Giurisprudenza, l'art. 21-nonies della l. n. 241/1990 ha codificato le seguenti condizioni per l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte della P.A.:
a) l'illegittimità dell'atto;
b) la sussistenza di ragioni di interesse pubblico;
c) l'esercizio del potere entro un termine ragionevole;
d) la valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati rispetto all'atto da rimuovere (Consiglio di Stato Sez. V, sent. n. 1946 del 07.04.2010).
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Va, infatti, ricordato che secondo i principi pacificamente affermati dalla Giurisprudenza (da ultimo Consiglio di Stato Sez. IV, sent. n. 984 del 23-02-2012) .. ”i provvedimenti di autotutela sono espressione dell'esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell'Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo. Qualora la P.A. intenda farlo deve, ai sensi dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e s.m.i., valutare puntualmente la sussistenza, o meno, di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto a fronte del corrispondente sacrificio del privato. Tale valutazione non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, per cui è sempre stato escluso l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere in autotutela su un proprio provvedimento divenuto inoppugnabile (conferma della sentenza del Tar Lazio-Latina, sez. I, n. 187/2011)”.
L'introduzione dell’art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990 ha avuto l’effetto di disciplinare i presupposti e le forme dell'annullamento d'ufficio, ma non ha modificato la natura del potere, e non lo ha trasformato da discrezionale in obbligatorio, né ha previsto un interesse legittimo dei privati all'autotutela amministrativa. Il potere di autotutela resta un potere di merito, che si esercita previa valutazione delle ragioni di pubblico interesse, valutazione riservata alla p.a. e insindacabile da parte del giudice.
Ne consegue che il mancato esercizio del potere di annullamento d'ufficio, al di là dell’esame dei presupposti sopra ricordati, non può essere sindacato in sede giurisdizionale, spettando solamente all'amministrazione ogni valutazione e considerazione del proprio provvedimento, degli interessi dei privati concorrenti e del loro affidamento
(TAR Veneto, Sez. II, sentenza 25.10.2012 n. 1291 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACorrettamente, nel motivare l’atto di annullamento impugnato, la P.A. non ha compiuto un approfondito accertamento della sussistenza di una situazione di interesse pubblico attuale e concreto idoneo a giustificare il ricorso all’autotutela, in quanto il rilascio dello stesso è derivato da un’erronea rappresentazione dei fatti -non importa se dolosa o colposa- da parte del privato richiedente.
Va infine soggiunto che correttamente, nel motivare l’atto di annullamento impugnato, la P.A. non ha compiuto un approfondito accertamento della sussistenza di una situazione di interesse pubblico attuale e concreto idoneo a giustificare il ricorso all’autotutela, in quanto il rilascio dello stesso è derivato da un’erronea rappresentazione dei fatti -non importa se dolosa o colposa- da parte del privato richiedente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12.10.2004 n. 6554) (TAR Umbria, sentenza 22.10.2012 n. 440 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’interesse pubblico all’annullamento del provvedimento autorizzatorio va rinvenuto nell’esigenza di salvaguardia dell’assetto territoriale così come disciplinato dalle norme edilizie e di piano, mentre non si configura alcuna posizione di legittimo affidamento in capo alla ricorrente, anche in considerazione del breve arco temporale intercorso tra la data del rilascio del permesso di costruire successivamente annullato (05.07.2000) e l’attivazione delle garanzie partecipative di cui al procedimento di autotutela (comunicazione di avvio del procedimento contenuta nell’ordinanza n. 44 del 21.11.2000), circostanza che impone di qualificare tale periodo come "termine ragionevole" per un valido esercizio della potestà di annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241.
Nella comparazione dell’interesse pubblico con l’interesse privato sacrificato, infatti, quest’ultimo è più debole ove l’atto di autotutela non incida su posizioni soggettive consolidatesi nel tempo.

Ed invero, nel caso in esame, l’interesse pubblico all’annullamento del provvedimento autorizzatorio va rinvenuto nell’esigenza di salvaguardia dell’assetto territoriale così come disciplinato dalle norme edilizie e di piano, mentre non si configura alcuna posizione di legittimo affidamento in capo alla ricorrente, anche in considerazione del breve arco temporale intercorso tra la data del rilascio del permesso di costruire successivamente annullato (05.07.2000) e l’attivazione delle garanzie partecipative di cui al procedimento di autotutela (comunicazione di avvio del procedimento contenuta nell’ordinanza n. 44 del 21.11.2000), circostanza che impone di qualificare tale periodo come "termine ragionevole" per un valido esercizio della potestà di annullamento ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 (TAR Puglia Lecce, sez. II, 23.06.2012, n. 1136; TAR Campania Napoli, sez. II, 26.10.2011, n. 4923).
Nella comparazione dell’interesse pubblico con l’interesse privato sacrificato, infatti, quest’ultimo è più debole ove l’atto di autotutela non incida su posizioni soggettive consolidatesi nel tempo (TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 16.10.2012 n. 1676 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La giurisprudenza ha sottolineato la necessità, in sede di adozione di un atto in autotutela, della comparazione tra interesse pubblico e quello privato, nel caso in cui l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione dovuti alla P.A., cosicché, anche ad accedere alla tesi per la quale il Comune avrebbe errato, in sede di rilascio del permesso di costruire, a non tener conto della data di scadenza dell’autorizzazione paesaggistica, l’annullamento in autotutela del permesso stesso avrebbe comunque dovuto essere subordinato ad un’attenta comparazione dell’interesse pubblico e di quello privato: comparazione che, nel caso di specie, non risulta adeguatamente effettuata, poiché il provvedimento gravato si limita a dar conto delle ragioni di interesse pubblico ad esso sottese, ma non dà alcun conto delle ragioni del privato e, soprattutto, dell’affidamento ingenerato in questi dal contenuto del permesso di costruire (in specie, dalla data di inizio dei lavori ivi specificata).
Ed invero, la giurisprudenza ha sottolineato la necessità, in sede di adozione di un atto in autotutela, della comparazione tra interesse pubblico e quello privato, nel caso in cui l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione dovuti alla P.A. (TAR Liguria, Sez. I, 02.11.2011, n. 1509), cosicché, anche ad accedere alla tesi per la quale il Comune avrebbe errato, in sede di rilascio del permesso di costruire, a non tener conto della data di scadenza dell’autorizzazione paesaggistica, l’annullamento in autotutela del permesso stesso avrebbe comunque dovuto essere subordinato ad un’attenta comparazione dell’interesse pubblico e di quello privato: comparazione che, nel caso di specie, non risulta adeguatamente effettuata, poiché il provvedimento gravato si limita a dar conto delle ragioni di interesse pubblico ad esso sottese, ma non dà alcun conto delle ragioni del privato e, soprattutto, dell’affidamento ingenerato in questi dal contenuto del permesso di costruire (in specie, dalla data di inizio dei lavori ivi specificata) (TAR Lazio-Latina, sentenza 14.09.2012 n. 649 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Rappresentazione dei luoghi difforme.
La rappresentazione di una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.
In dipendenza di ciò, risulta del tutto in conferente, il richiamo alla disciplina contenuta negli artt. 21-octies e 21-nonies della L. 241 del 1990, semmai, proprio la falsa rappresentazione della realtà dei grafici, rendeva necessaria e vincolante l’adozione, da parte dell’Amministrazione comunale, del provvedimento di annullamento in autotutela, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Va osservato che il giudice di primo grado ha comunque fatto buon governo nella specie di un principio per certo rilevante per il caso in esame, ben consolidato nella giurisprudenza e in forza del quale, se è stata rappresentata una situazione dei luoghi difforme da quanto in realtà esistente e tale difformità costituisce un vizio di legittimità del titolo edilizio, determinato dallo stesso soggetto richiedente, tale circostanza costituisce ex se ragione idonea e sufficiente per l’adozione del provvedimento di annullamento di ufficio del titolo medesimo, tanto che in tale situazione si può prescindere, ai fini dell’autotutela, dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 24.12.2008 n. 6554, nonché Sez. V, 12.10.2004 n. 6554) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.08.2012 n. 4619 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANel caso in cui l’Autorità Giudiziaria penale accerti, con valore di giudicato, la falsità di titoli edilizi formati da funzionari comunali, responsabili del relativo reato, sul piano amministrativo-urbanistico le opere realizzate in forza di tali atti sono da considerare, a tutti gli effetti, “sine titulo” e sussiste l’obbligo per il Comune di esercitare il proprio potere di controllo urbanistico, adottando gli appropriati provvedimenti sanzionatori (in base alla qualità dell’abuso), entro i termini di legge decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la falsità degli stessi titoli edilizi o, comunque, a richiesta del privato portatore di un interesse qualificato al corretto assetto dei luoghi, il quale, in difetto, può ricorrere avverso il silenzio della PA di fronte al giudice amministrativo.
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La giurisprudenza più qualificata ritiene che la formazione del provvedimento amministrativo in un ambiente collusivo penalmente rilevante (e, quindi, a maggior ragione, l’accertamento in sede penale della falsità di un titolo edilizio) produce, sul piano amministrativo, una causa di nullità del provvedimento ex art. 21-septies della l. 241/1990 (cfr. Consiglio di Stato, V, 04.03.2008 n. 890, che ha affermato l’esposto principio in relazione ad una fattispecie nella quale il Sindaco che aveva rilasciato le concessioni edilizie, poi dichiarate nulle d'ufficio dal suo successore, era stato condannato in sede penale per abuso di ufficio ex art. 323 c.p., con sentenza di applicazione della pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p.).
Più precisamente, la nullità di un atto amministrativo non si riscontra solo nel caso di carenza di potere dell’Amministrazione, ma anche in quello della mancanza degli elementi essenziali, come accade al venir meno dell’imputabilità dell’atto alla P.A. per interruzione del rapporto organico.
In tali fattispecie, va ritenuto che se la volontà di adottare un determinato provvedimento amministrativo si è formata in violazione dei principi cogenti sanciti dall’art. 97 della Costituzione, tanto da integrare gli estremi di un comportamento penalmente rilevante per violazione di quegli specifici beni giuridici che i principi appena richiamati sono posti a presidiare, non può dubitarsi che il procedimento formativo della volontà dell’organo è abnorme, al limite dell’inesistenza, e dunque non ha titolo ad impegnare l’Ente, difettando l’immedesimazione organica ex art. 28 della Costituzione.
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Il giudicato penale non ha effetti caducatori dell’atto amministrativo ed esso impedisce di considerare invalido, in assenza di specifica ed autonoma valutazione dell’autorità amministrativa o di giudizio del giudice amministrativo, il provvedimento che è stato ritenuto illegittimo dal giudice penale incidenter tantum; ma tale principio presuppone che l’illegittimità così accertata dal giudice penale rientri pur sempre nell’ambito degli ordinarie patologie che determinano l’annullabilità del provvedimento amministrativo, mentre quando il reato incide sulla qualificazione del comportamento stesso dei funzionari pubblici ed è tale da impedire la riferibilità della volontà dei soggetti titolari dell'organo a quella dell’Ente, quest’ultimo resta del tutto estraneo alla fattispecie, con la conseguenza che l’assetto d’interessi che avrebbe dovuto essere regolato dal provvedimento rimane senza fondamento normativo e gli atti così prodotti non rientrano nella “categoria” dei provvedimenti amministrativi.
A stretto rigore, poiché il comportamento penalmente rilevante dell’agente dipendente pubblico è tale da interrompere la riferibilità della volontà di quest’ultimo alla PA (tant’è vero che egli risponde in proprio della condotta penalmente rilevante, che non si imputa all’Ente pubblico), gli atti formati in occasione dell’esercizio dell’attività illecita dovrebbero essere ascritti, sul piano amministrativo, alla categoria dogmatica dell’inesistenza; ma è comunque certo che, nulli o inesistenti, tali atti non possono in alcun modo impegnare la volontà pubblica e regolare i relativi assetti degli interessi sostanziali che dipendono dall’azione della PA, siano essi di natura pubblica che privata, sussistendo degli atti amministrativi solo una mera apparenza.
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Quando è accertata in sede penale, con sentenza passata in giudicato, la falsità di un titolo edilizio per fatto dei dipendenti dell’ufficio comunale responsabile, in accordo o comunque a favore del privato richiedente, ai relativi documenti non può essere in alcun modo riconosciuta natura di atti amministrativi, neppure in via mediata, essendo essi solo apparentemente riconducibili alla volontà dell’Ente, che non può essere impegnata mediante comportamenti di dipendenti pubblici costituenti reato, dal momento che viene interrotto il nesso di immedesimazione organica dell’agente rispetto all’Ente del quale è stato speso illecitamente il nome.
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Anche a voler accedere all’orientamento secondo cui l’accertamento da parte del giudice penale dell’illegittimità di un provvedimento amministrativo non implica automaticamente la sua caducazione neppure nelle ipotesi di nullità, rendendosi sempre necessaria una corrispondente decisione dell’Autorità amministrativa, l’esercizio dell’autotutela va considerato in questi casi come doveroso e, a richiesta del privato interessato, atto obbligato, da esercitarsi anche a distanza di tempo dall’abuso e senza che possano venire in rilievo eventuali aspettative di terzi (come, nella specie, dell'odierno controinteressato) o degli stessi titolari del titolo edilizio, perché l'accertata rilevanza penale non può in alcun modo giustificare la permanenza dell'efficacia e la presunzione di legittimità di un provvedimento amministrativo "contra legem", a pena di intuibili contraddizioni nella coerenza dell’Ordinamento, dal momento che così opinando si consentirebbe sul piano amministrativo e civile il mantenimento di quelle utilità illecite che costituiscono il frutto del reato e che la prevenzione penale mira invece ad impedire.
L’obbligo a provvedere discende, in questo caso, dal principio -di immediata cogenza- dell'imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Costituzione.

Nell’odierno giudizio, parte ricorrente si duole dell’inerzia che il Comune di Palmi ha mantenuto sulla propria istanza volta ad ottenere da parte dell’Ente l’annullamento in autotutela di titoli edilizi illegittimi, per falsità penalmente accertata, e l’attivazione dei poteri repressivi in materia edilizia.
Disattendendo le numerose eccezioni processuali della difesa comunale e del controinteressato, acquirente di una unità immobiliare nel fabbricato di cui si discute, e gli argomenti che questi ultimi hanno spiegato nel merito, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con le precisazioni che seguono.
I) Nel caso in cui l’Autorità Giudiziaria penale accerti, con valore di giudicato, la falsità di titoli edilizi formati da funzionari comunali, responsabili del relativo reato, sul piano amministrativo-urbanistico le opere realizzate in forza di tali atti sono da considerare, a tutti gli effetti, “sine titulo” e sussiste l’obbligo per il Comune di esercitare il proprio potere di controllo urbanistico, adottando gli appropriati provvedimenti sanzionatori (in base alla qualità dell’abuso), entro i termini di legge decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la falsità degli stessi titoli edilizi o, comunque, a richiesta del privato portatore di un interesse qualificato al corretto assetto dei luoghi, il quale, in difetto, può ricorrere avverso il silenzio della PA di fronte al giudice amministrativo.
Per la migliore comprensione di tale principio di diritto, è opportuno anteporre alla trattazione dei motivi di gravame ed alle preliminari eccezioni difensive del Comune un sintetico inquadramento della fattispecie nella sua corretta qualificazione giuridica.
In linea di principio, la giurisprudenza più qualificata (che il Collegio condivide) ritiene che la formazione del provvedimento amministrativo in un ambiente collusivo penalmente rilevante (e, quindi, a maggior ragione, l’accertamento in sede penale della falsità di un titolo edilizio) produce, sul piano amministrativo, una causa di nullità del provvedimento ex art. 21-septies della l. 241/1990 (cfr. Consiglio di Stato, V, 04.03.2008 n. 890, che ha affermato l’esposto principio in relazione ad una fattispecie nella quale il Sindaco che aveva rilasciato le concessioni edilizie, poi dichiarate nulle d'ufficio dal suo successore, era stato condannato in sede penale per abuso di ufficio ex art. 323 c.p., con sentenza di applicazione della pena su richiesta, ex art. 444 c.p.p.).
Più precisamente, secondo tale giurisprudenza la nullità di un atto amministrativo non si riscontra solo nel caso di carenza di potere dell’Amministrazione, ma anche in quello della mancanza degli elementi essenziali, come accade al venir meno dell’imputabilità dell’atto alla P.A. per interruzione del rapporto organico (Cfr. Cons. Stato, nr. 890/2008 cit.).
In tali fattispecie, a giudizio del Collegio, va ritenuto che se la volontà di adottare un determinato provvedimento amministrativo si è formata in violazione dei principi cogenti sanciti dall’art. 97 della Costituzione, tanto da integrare gli estremi di un comportamento penalmente rilevante per violazione di quegli specifici beni giuridici che i principi appena richiamati sono posti a presidiare, non può dubitarsi che il procedimento formativo della volontà dell’organo è abnorme, al limite dell’inesistenza, e dunque non ha titolo ad impegnare l’Ente, difettando l’immedesimazione organica ex art. 28 della Costituzione.
Non possono dunque trovare applicazione nella odierna fattispecie le pronunce che affermano il diverso principio, secondo cui “non sono nulle le concessioni edilizie assentite sulla base di una riscontrata falsità degli elaborati progettuali, in quanto in base all'art. 21-septies la nullità del provvedimento è determinata dalla mancanza di uno degli "elementi essenziali" dell'atto amministrativo, quale é la "volontà decidente"; ma tale nullità si produce quando detta volontà è del tutto inesistente e non quando la volontà, ancorché viziata, esiste“ (TAR Pescara Abruzzo sez. I, 04.05.2012, n. 178). Infatti tale principio è stato enunciato in relazione ad una fattispecie nella quale la falsità accertata dal giudice penale era inerente agli elaborati tecnici di provenienza dei privati, che avevano tratto in inganno l’Amministrazione comunale, mentre nel caso odierno è il comportamento degli stessi funzionari dell’Ente ad essere penalmente rilevante.
Né può essere condivisa l’impostazione seguita da altre pronunce secondo cui, premesso che “la valutazione che il giudice penale compie in ordine alla validità di un atto amministrativo, al fine di accertare o di escludere l'esistenza del reato della cui cognizione è investito, è eseguita -ai sensi dell'art. 5 l. 20.03.1865 n. 2248 all. E- "incidenter tantum" ed ha efficacia circoscritta all'oggetto dedotto in giudizio” con la conseguenza che “il giudicato sul caso deciso, …non può travolgere gli effetti di un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile”, si nega che “i citati titoli possono ritenersi "nulli", atteso che le nullità dei provvedimenti amministrativi sono tassative e vanno ricondotte, ex art. 21-septies, l. n. 241 del 1990, esclusivamente alla mancanza di elementi essenziali dell'atto, ad ipotesi di incompetenza assoluta dell'organo che adotta il provvedimento o alla violazione di giudicato” (TAR Napoli Campania sez. III, 01.03.2011, n. 1248). Ad avviso di questo Tribunale, tale ultima affermazione, meramente assertiva, non spiega come possa salvaguardarsi la riferibilità del comportamento penalmente rilevante dell’agente all’amministrazione pubblica, secondo il principio dell'immedesimazione organica, e come quest’aspetto non debba essere ricondotto nel novero di quegli elementi essenziali dell’atto, la cui mancanza comporta nullità.
Peraltro, è incontestabile il principio secondo cui il giudicato penale non ha effetti caducatori dell’atto amministrativo ed esso impedisce di considerare invalido, in assenza di specifica ed autonoma valutazione dell’autorità amministrativa o di giudizio del giudice amministrativo, il provvedimento che è stato ritenuto illegittimo dal giudice penale incidenter tantum; ma tale principio presuppone che l’illegittimità così accertata dal giudice penale rientri pur sempre nell’ambito degli ordinarie patologie che determinano l’annullabilità del provvedimento amministrativo, mentre quando il reato incide sulla qualificazione del comportamento stesso dei funzionari pubblici ed è tale da impedire la riferibilità della volontà dei soggetti titolari dell'organo a quella dell’Ente, quest’ultimo resta del tutto estraneo alla fattispecie, con la conseguenza che l’assetto d’interessi che avrebbe dovuto essere regolato dal provvedimento rimane senza fondamento normativo e gli atti così prodotti non rientrano nella “categoria” dei provvedimenti amministrativi.
A stretto rigore, poiché il comportamento penalmente rilevante dell’agente dipendente pubblico è tale da interrompere la riferibilità della volontà di quest’ultimo alla PA (tant’è vero che egli risponde in proprio della condotta penalmente rilevante, che non si imputa all’Ente pubblico), gli atti formati in occasione dell’esercizio dell’attività illecita dovrebbero essere ascritti, sul piano amministrativo, alla categoria dogmatica dell’inesistenza; ma è comunque certo che, nulli o inesistenti, tali atti non possono in alcun modo impegnare la volontà pubblica e regolare i relativi assetti degli interessi sostanziali che dipendono dall’azione della PA, siano essi di natura pubblica che privata, sussistendo degli atti amministrativi solo una mera apparenza.
Va dunque ritenuto che quando è accertata in sede penale, con sentenza passata in giudicato, la falsità di un titolo edilizio per fatto dei dipendenti dell’ufficio comunale responsabile, in accordo o comunque a favore del privato richiedente, ai relativi documenti non può essere in alcun modo riconosciuta natura di atti amministrativi, neppure in via mediata, essendo essi solo apparentemente riconducibili alla volontà dell’Ente, che non può essere impegnata mediante comportamenti di dipendenti pubblici costituenti reato, dal momento che viene interrotto il nesso di immedesimazione organica dell’agente rispetto all’Ente del quale è stato speso illecitamente il nome.
Sotto diversa prospettiva, anche a voler accedere all’orientamento secondo cui l’accertamento da parte del giudice penale dell’illegittimità di un provvedimento amministrativo non implica automaticamente la sua caducazione neppure nelle ipotesi di nullità, rendendosi sempre necessaria una corrispondente decisione dell’Autorità amministrativa, l’esercizio dell’autotutela va considerato in questi casi come doveroso e, a richiesta del privato interessato, atto obbligato, da esercitarsi anche a distanza di tempo dall’abuso e senza che possano venire in rilievo eventuali aspettative di terzi (come, nella specie, dell'odierno controinteressato) o degli stessi titolari del titolo edilizio, perché l'accertata rilevanza penale non può in alcun modo giustificare la permanenza dell'efficacia e la presunzione di legittimità di un provvedimento amministrativo "contra legem", a pena di intuibili contraddizioni nella coerenza dell’Ordinamento, dal momento che così opinando si consentirebbe sul piano amministrativo e civile il mantenimento di quelle utilità illecite che costituiscono il frutto del reato e che la prevenzione penale mira invece ad impedire.
L’obbligo a provvedere discende, in questo caso, dal principio -di immediata cogenza- dell'imparzialità dell’azione amministrativa sancito dall’art. 97 della Costituzione.
La posizione del terzo che, in buona fede, si sia reso cessionario di diritti sull’immobile, pur essendo ovviamente estraneo all’abuso, ne sarà comunque travolta, dovendo trovare tutela sul piano contrattuale delle garanzie della compravendita (o del diverso negozio stipulato; sul punto si tornerà meglio oltre) (TAR Calabria-Reggio Calabria, sentenza 11.08.2012 n. 536 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Posizioni giuridiche cedevoli dinanzi all'annullamento.
L'esercizio del potere di annullamento in autotutela è espressione di una facoltà ampiamente discrezionale dell'amministrazione, a fronte della quale non sussistono posizioni giuridiche qualificate dell'interessato: così argomentando, il Consiglio di Stato (Sez. V, sentenza 06.07.2012 n. 3958) ha respinto il ricorso mosso da una donna avverso il provvedimento di concessione edilizia rilasciata dal Comune per «l'insediamento in prossimità della sua abitazione di un impianto meccanico di autolavaggio».
Confermando il dictat del Tar adito, la V Sezione ha, infatti, chiarito che «allorché si richiede all'amministrazione l'annullamento in autotutela di provvedimenti asseritamente illegittimi, l'amministrazione non ha alcun obbligo di procedere»: ergo «il mancato esercizio del potere di annullamento d'ufficio non può essere sindacato in sede giurisdizionale», dal momento che soltanto l'ente può valutare il singolo provvedimento emanato, gli interessi dei privati concorrenti ed il loro affidamento.
A nulla sono valse, quindi, le doglianze della ricorrente, la quale –affermando di agire per la tutela di un interesse pubblico– lamentava in particolare non solo che la realizzazione e il funzionamento dell'impianto avevano arrecato alla sua abitazione «immediatamente frontistante» gravissimi danni derivanti dai rumori e dalle vibrazioni «costanti e insopportabili» prodotte dalle macchine di lavaggio, ma anche che il Comune, al quale si era rivolta inizialmente, non aveva dato seguito alla sua richiesta, «malgrado i rappresentati profili di illegittimità che in detta istanza di annullamento in autotutela aveva evidenziato».
Secondo il Collegio giudicante, invece, l'interesse pubblico utilizzato come «porta bandiera» delle proprie ragioni non poteva trovare alcun sostegno: «Tale interesse», spiegano, infatti, i giudici, «non è azionabile direttamente dal privato», il quale, a contrario, potrebbe agire solo a tutela del proprio utile; né tanto meno poteva avere «pregio alcuno dissertare sul rigetto dell'istanza di annullamento in autotutela e sulla sufficienza ed adeguatezza delle motivazioni rappresentate dall'amministrazione».
Infine, relativamente alle emissioni rumorose ed alle vibrazioni che avrebbero arrecato fastidio all'abitazione, osservano che «compete al giudice ordinario la cognizione in materia di emissioni di qualunque tipo, comprese quelle acustiche» (articolo ItaliaOggi del 23.08.2012).

EDILIZIA PRIVATA: a) il termine per impugnare i titoli edilizi decorre, per i terzi, dalla data di piena conoscenza del provvedimento che si intende avvenuta alternativamente al momento del rilascio della copia degli stessi (inclusi i documenti di progetto), ovvero al completamento delle opere (salvo che non sia data la prova rigorosa di una conoscenza anteriore o che non si deducano censure di inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti, rivela in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei titoli edilizi non fa decorrere i termini per l’impugnazione da parte del terzo, tale principio costituisce il punto di equilibrio fra due contrapposte esigenze: da un lato, garantire la tutela dei terzi lesi dall’iniziativa edificatoria, dall’altro, evitare abusi da parte di questi ultimi che potrebbero differire sine die il consolidamento del titolo edilizio postergando la richiesta di indicazione dei suoi estremi o di rilascio di copia completa del medesimo.

Sul punto di diritto controverso il collegio non intende decampare da consolidati principi, di recente recepiti dall’adunanza plenaria di questo Consiglio (cfr. 29.07.2011, n. 15; successivamente sez. VI, 16.09.2011, n. 5170), secondo i quali:
a) il termine per impugnare i titoli edilizi decorre, per i terzi, dalla data di piena conoscenza del provvedimento che si intende avvenuta alternativamente al momento del rilascio della copia degli stessi (inclusi i documenti di progetto), ovvero al completamento delle opere (salvo che non sia data la prova rigorosa di una conoscenza anteriore o che non si deducano censure di inedificabilità assoluta);
b) il completamento dei lavori, infatti, rivela in modo certo e univoco le caratteristiche essenziali dell’opera, l’eventuale non conformità della stessa rispetto alla disciplina urbanistica, l’incidenza effettiva sulla posizione giuridica del terzo;
c) considerato che la pubblicazione dei titoli edilizi non fa decorrere i termini per l’impugnazione da parte del terzo, tale principio costituisce il punto di equilibrio fra due contrapposte esigenze: da un lato, garantire la tutela dei terzi lesi dall’iniziativa edificatoria, dall’altro, evitare abusi da parte di questi ultimi che potrebbero differire sine die il consolidamento del titolo edilizio postergando la richiesta di indicazione dei suoi estremi o di rilascio di copia completa del medesimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.06.2012 n. 3777 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: L'Amministrazione non ha l'obbligo, ma il potere discrezionale, di agire in autotutela, con la conseguenza che istanze volte a sollecitare l'esercizio di tale potere hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione, ma non creano in capo alla p.a. alcun obbligo di provvedere e non danno luogo a formazione di silenzio-inadempimento in caso di mancata definizione dell'istanza.
Ulteriore autonomo caso in cui non si ravvisa alcun obbligo di provvedere sulla istanza del privato, si ravvisa laddove l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e "sub judice" al momento dell'istanza stessa: e ciò all'evidente scopo di evitare la proliferazione di inutili e dispendiose iniziative giurisdizionali in relazione ad un'unica vicenda sostanziale.

Le doglianze dell’appellante si fondano su una non corretta esegesi dell’art. 27 del dPR n. 380/2001, a torto invocato nel caso in esame.
Stabilisce infatti la richiamata disposizione che: “Il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente, la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18.04.1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30.12.1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16.06.1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa.
Per le opere abusivamente realizzate su immobili dichiarati monumento nazionale con provvedimenti aventi forza di legge o dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi degli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 29.10.1999, n.490, o su beni di interesse archeologico, nonché per le opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincolo o di inedificabilità assoluta in applicazione delle disposizioni del titolo II del decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, il Soprintendente, su richiesta della regione, del comune o delle altre autorità preposte alla tutela, ovvero decorso il termine di 180 giorni dall'accertamento dell'illecito, procede alla demolizione, anche avvalendosi delle modalità operative di cui ai commi 55 e 56 dell'articolo 2 della legge 23.12.1996, n. 662 .
Ferma rimanendo l'ipotesi prevista dal precedente comma 2, qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d'ufficio o su denuncia dei cittadini, l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell'ufficio, ordina l'immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all'adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall'ordine di sospensione dei lavori. Entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell'ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere.
Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all'autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti
”.
Secondo parte appellante detto potere-dovere di vigilanza integra un preciso dovere dell’Amministrazione, cui la stessa deve ottemperare sia ex officio, che ove (come del caso di specie) sollecitata da una diffida di privati: l’eventuale diniego all’adozione dei richiesti provvedimenti repressivi sfocia in una manifestazione (seppure negativa) di potere avente contenuto provvedimentale, autonomamente impugnabile.
Il Collegio, seppur il linea di principio concordi con talune affermazioni contenute nei richiamati motivi di appello, ritiene che la pur abilmente formulata prospettazione dell’appellante non abbia alcuna possibilità di accoglimento.
Invero, ciò che l’appellante trascura di rilevare è che la sollecitazione all’esercizio del detto potere di vigilanza e repressivo, si innestava in una pendente vicenda contenziosa, già devoluta al vaglio giurisdizionale e, soprattutto, non trattavasi di iniziativa sollecitatoria volta a stimolare l’amministrazione a reprimere condotte di edificazione abusiva sine titulo (vedasi il comma 2 della citata disposizione), ma di diffida all’esercizio di poteri di autotutela in quanto volti al ritiro od autoannullamento di atti ampliativi precedentemente resi (e per di più già impugnati in sede giurisdizionale).
Appare al Collegio evidente, pertanto, che se l’oggetto dell’attività “sollecitata” all’amministrazione riposava nella repressione di asserite violazioni edilizie, avuto riguardo alla non secondaria circostanza che erano già stati emessi provvedimenti ampliativi, in realtà ciò che si pretendeva da parte dell’appellante riposava nell’esercizio di attività di autotutela da parte del comune.
Rammenta il Collegio che, per condivisa quanto pacifica giurisprudenza “l'Amministrazione non ha l'obbligo, ma il potere discrezionale, di agire in autotutela, con la conseguenza che istanze volte a sollecitare l'esercizio di tale potere hanno una funzione di mera denuncia o sollecitazione, ma non creano in capo alla p.a. alcun obbligo di provvedere e non danno luogo a formazione di silenzio-inadempimento in caso di mancata definizione dell'istanza” (Consiglio Stato, sez. VI, 11.02.2011, n. 919).
In particolare, poi, si è condivisibilmente rimarcato da parte della giurisprudenza di merito che, ulteriore autonomo caso in cui non si ravvisa alcun obbligo di provvedere sulla istanza del privato, si ravvisa laddove l'istanza volta all'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto un provvedimento già impugnato in sede giurisdizionale e "sub judice" al momento dell'istanza stessa: e ciò all'evidente scopo di evitare la proliferazione di inutili e dispendiose iniziative giurisdizionali in relazione ad un'unica vicenda sostanziale (TAR Liguria, sez. II, 10.05.2007; cfr. altresì TAR Campania Napoli, sez. III, 19.03.2008, n. 1410 e ancor più di recente, TAR Lazio Roma, sez. II, 22.09.2010, n. 32400)
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 05.06.2012 n. 3300 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’errata o insufficiente rappresentazione delle circostanze di fatto e di diritto poste alla base del rilascio della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima.
In una tale situazione, può prescindersi dal contemperamento dell’interesse privato con un interesse pubblico attuale e concreto. Ciò perché, ai fini dell'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia, è ben vero necessario, in linea di principio, l'accertamento della sussistenza di una situazione di interesse pubblico attuale e concreto che giustifichi il ricorso all'autotutela, ma da tale valutazione si può prescindere quando risulti che il rilascio della concessione è derivato da un'erronea rappresentazione (non importa se dolosa o colposa) dei fatti da parte del privato richiedente.
Tale avviso, peraltro, si è da tempo pacificamente radicato nella giurisprudenza anche di altre sezioni di questo Consiglio, che hanno parimenti escluso la necessità di una comparata ponderazione dell'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo e dell'interesse oppositivo del privato, quando si sia in presenza di sostanziale negligenza del privato stesso, il quale, per insufficiente rappresentazione di circostanze di fatto, non importa se per colpa o per dolo, abbia contribuito all'errore dell'Amministrazione inducendola, sostanzialmente, ad adottare atti poi rivelatisi palesemente illegittimi.
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Se è vero che è ius receptum che l'annullamento di ufficio di un provvedimento debba essere sorretto anche da autonome ed attuali ragioni di pubblico interesse, laddove incida su posizioni giuridiche che risultino ormai consolidate in ragione del tempo trascorso dall'emanazione del provvedimento annullato ed in ragione dell'affidamento sulla sua legittimità ingenerato nei suoi destinatari, siccome atto proveniente dall'amministrazione pubblica, è, però, corollario di tale principio, che non occorre la presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico quando il soggetto nei cui confronti si esercita il potere di annullamento non sia in buona fede.

Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire, con avviso del tutto condivisibile, che l’errata o insufficiente rappresentazione delle circostanze di fatto e di diritto poste alla base del rilascio della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima ed ha, altresì, precisato che, in una tale situazione, può prescindersi dal contemperamento dell’interesse privato con un interesse pubblico attuale e concreto (cfr. sez. IV, n. 6554 del 24.12.2008). Ciò perché, ai fini dell'annullamento d'ufficio di una concessione edilizia, è ben vero necessario, in linea di principio, l'accertamento della sussistenza di una situazione di interesse pubblico attuale e concreto che giustifichi il ricorso all'autotutela, ma da tale valutazione si può prescindere quando risulti che il rilascio della concessione è derivato da un'erronea rappresentazione (non importa se dolosa o colposa) dei fatti da parte del privato richiedente.
Tale avviso, peraltro, si è da tempo pacificamente radicato nella giurisprudenza anche di altre sezioni di questo Consiglio (cfr. C.G.A.R.S. n. 552 del 13.09.2011; CdS, Sez. V, n. 592 dell'08.02.2010 e n. 6554 del 12.10.2004), che hanno parimenti escluso la necessità di una comparata ponderazione dell'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio di un atto amministrativo e dell'interesse oppositivo del privato, quando si sia in presenza di sostanziale negligenza del privato stesso, il quale, per insufficiente rappresentazione di circostanze di fatto, non importa se per colpa o per dolo, abbia contribuito all'errore dell'Amministrazione inducendola, sostanzialmente, ad adottare atti poi rivelatisi palesemente illegittimi.
Orbene, se è vero, come affermato dall’appellante nella memoria depositata il 09.02.2012, che è ius receptum che l'annullamento di ufficio di un provvedimento debba essere sorretto anche da autonome ed attuali ragioni di pubblico interesse, laddove incida su posizioni giuridiche che risultino ormai consolidate in ragione del tempo trascorso dall'emanazione del provvedimento annullato ed in ragione dell'affidamento sulla sua legittimità ingenerato nei suoi destinatari, siccome atto proveniente dall'amministrazione pubblica, è, però, corollario di tale principio, alla stregua della citata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, che il Collegio condivide, che non occorre la presenza di preminenti ragioni di interesse pubblico quando il soggetto nei cui confronti si esercita il potere di annullamento non sia in buona fede.
Nel caso in esame, ben può ritenersi che siano sussistenti le condizioni evidenziate dalla richiamata giurisprudenza, cioè l’erronea rappresentazione (non importa se dolosa o colposa) dei fatti da parte del privato e la conseguente negligenza da questi manifestata, al fine di prendere atto della carenza di buona fede in capo al privato stesso nel richiedere i due permessi di costruire annullati di ufficio, nella specie, con il provvedimento impugnato (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 28.05.2012 n. 3150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati.
Va ricordato che, com’è noto, anche l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio di un titolo edilizio deve rispondere ai requisiti di legittimità codificati nell’art. 21-nonies della legge 07.08.1990 n. 241 ss.mm.ii., consistenti nell’illegittimità originaria del titolo e nell’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, comparato con i contrapposti interessi dei privati (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 09.05.2012 n. 2683 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento d’ufficio (ndr: della concessione edilizia) presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un’adeguata ponderazione comparativa la quale tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate, e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’amministrazione.
Per costante giurisprudenza, l’annullamento d’ufficio (ndr: della concessione edilizia) presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con un’adeguata ponderazione comparativa la quale tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate, e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’amministrazione (cfr. ex plurimis, TAR Campania Salerno, sez. I – 03/01/2012 n. 3; Consiglio di Stato, sez. IV – 16/04/2010 n. 2178) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 03.05.2012 n. 740 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, da parte di terzi, di provvedimenti di concessione in sanatoria di manufatti abusivi, deve aversi esclusivo riguardo alla data di scadenza della pubblicazione del provvedimento a sanatoria, essendo già compiutamente nota la lesione materiale subita.
Nel caso di concessione edilizia in sanatoria, infatti, si pone la necessità della individuazione del dies a quo dell'impugnativa al fine di assicurare stabilità e certezza agli atti amministrativi, non potendo gli stessi rimanere sine die soggetti ad una eventuale impugnativa contestazione giurisdizionale, né potendosi consentire che il privato confinante -attraverso l'utilizzo ad libitum dello strumento dell'accesso- possa decidere di impugnare i relativi atti in qualsiasi momento.

Ai fini della decorrenza del termine per l'impugnazione, da parte di terzi, di provvedimenti di concessione in sanatoria di manufatti abusivi, deve aversi esclusivo riguardo alla data di scadenza della pubblicazione del provvedimento a sanatoria, essendo già compiutamente nota la lesione materiale subita; nel caso di concessione edilizia in sanatoria, infatti, si pone la necessità della individuazione del dies a quo dell'impugnativa al fine di assicurare stabilità e certezza agli atti amministrativi, non potendo gli stessi rimanere sine die soggetti ad una eventuale impugnativa contestazione giurisdizionale, né potendosi consentire che il privato confinante -attraverso l'utilizzo ad libitum dello strumento dell'accesso- possa decidere di impugnare i relativi atti in qualsiasi momento (TAR Puglia-Lecce, sez. III, 21.05.2009, n. 1200) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. I, sentenza 20.04.2012 n. 885 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Nel caso di titoli edilizi, il dies a quo assume una particolare conformazione, essendo pacifico che, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione da parte di terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo certo e univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistico-edilizia, onde, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento.
Al riguardo va richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di titoli edilizi, il dies a quo assume una particolare conformazione, essendo pacifico che, al fine della decorrenza del termine per l'impugnazione da parte di terzi, l'effettiva conoscenza dell'atto si verifica quando la costruzione realizzata rivela in modo certo e univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistico-edilizia, onde, in mancanza di altri ed inequivoci elementi probatori il termine decorre non con il mero inizio dei lavori, bensì con il loro completamento (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.02.2007 n. 599) (TAR Marche, sentenza 14.04.2012 n. 274 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAllorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa".
E' sufficiente richiamare l'orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui, allorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall'interessato in base ad una falsa o comunque erronea rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla p.a. esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l'atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente "in re ipsa" (TAR Lecce Puglia sez. I, 04.04.2006, n. 1831) (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 04.04.2012 n. 1002 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Annullamento in autotutela adottato a distanza di lungo tempo dal rilascio del permesso di costruire.
E’ illegittimo il provvedimento con il quale è stato annullato in autotutela un permesso di costruire, motivato con riferimento alla accertata violazione -tramite apposita verificazione- della distanza minima tra fabbricati confinanti, sancita dall’art. 25 del regolamento edilizio comunale, nel caso in cui il provvedimento in autotutela, da una parte, sia stato adottato a distanza di lunghissimo tempo (nella specie, si trattava, rispettivamente, di dieci e sei anni) dal rilascio delle due concessioni edilizie con esso annullate e, dall’altra, sia privo di puntuale e/o adeguata motivazione in ordine all'interesse pubblico specifico, concreto e attuale, al divisato annullamento d’ufficio; in tal caso, infatti, in ragione del lungo tempo decorso dal rilascio dei titoli edilizi, l’annullamento avrebbe dovuto essere puntualmente motivato con riferimento agli eventuali contrasti dei titoli abilitativi con gli interessi urbanistici della zona, nonché in rapporto all’affidamento privato nella conservazione dei medesimi titoli abilitativi, consolidatosi nell’arco temporale trascorso tra il loro rilascio e la loro rimozione (1).
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(1) Ha osservato la sentenza in rassegna che, nella specie, nessuna ponderazione tra interesse pubblico e privato risultava, in sostanza, effettuata ed esplicitata dall'amministrazione resistente, la quale si era limitata a rilevare la violazione della distanza minima tra fabbricati confinanti, sancita dall’art. 25 del regolamento edilizio comunale, e ad evocare genericamente ed ellitticamente "esigenze generali, tra cui bisogni di salute pubblica, sicurezza, vie di comunicazione e buona gestione del territorio".
Viceversa, a fronte del considerevole lasso di tempo decorso dal rilascio dei titoli abilitativi edilizi annullati d’ufficio (circa 10-6 anni), il canone di ragionevolezza del termine massimo per l’esercizio del potere di autotutela (cfr. art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990) avrebbe dovuto suggerire una scelta più attenta e rispettosa verso la consolidata posizione di affidamento ingenerato nel privato ricorrente circa la legittimità degli atti di concessione rilasciatigli (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 02.10.2007, n. 5074)
(massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 07.03.2012 n. 1130 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non e' configurabile in sede di autotutela un annullamento parziale delle concessioni edilizie.
L’annullamento del provvedimento autorizzatorio edilizio non può che essere totale, posto che non è configurabile, in sede di autotutela, un annullamento parziale delle concessioni edilizie, trattandosi di provvedimenti non frazionabili, tenuto conto che l'annullamento d'ufficio esclude qualsiasi valutazione di carattere discrezionale sulle possibilità tecniche di modificazione del progetto di costruzione.
Infatti in sede di autotutela, l'Amministrazione non ha la possibilità di disporre l'annullamento parziale di un permesso di costruire volto alla realizzazione di un complesso immobiliare comprendente più corpi di fabbrica diversi e funzionalmente collegati, non avendo alcun potere di rielaborare il progetto, trattandosi di valutazioni e di scelte rimesse in via esclusiva all'autonomia privata (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 05.02.1998, n. 198; idem, 31.07.2007, n. 4256) (TAR Lazio-Roma, Sez. II-bis, sentenza 30.03.2012 n. 3065 - massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima (e dunque, mutatis mutandis, il diniego parziale di sanatoria) è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
La giurisprudenza ha più volte chiarito che l'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima (e dunque, mutatis mutandis, il diniego parziale di sanatoria) è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione (così Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495; nello stesso senso cfr. anche Cons. di St., V, 22.05.2006, n. 2960) (TAR Liguria. Sez. I, sentenza 23.03.2012 n. 423 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La ristrutturazione edilizia consiste in interventi di trasformazione di un immobile nel suo complesso, il che non si configura per un immobile che prima sia crollato o sia stato demolito, quando ci sia soluzione di continuità temporale (in questo caso di diversi anni) tra il crollo e la presentazione del progetto.
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La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base dell’atto della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.

Da un lato, come affermato dall’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire, “la ristrutturazione edilizia … consiste in interventi di trasformazione di un immobile nel suo complesso, il che non si configura per un immobile che prima sia crollato o sia stato demolito” (cfr. Cons. St., sez. IV, 05.07.2000, n. 3735), quando ci sia soluzione di continuità temporale (in questo caso di diversi anni) tra il crollo e la presentazione del progetto (cfr. TAR Veneto, sez. II, 31.10.2007 n. 3493), dall’altro “la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base dell’atto della concessione edilizia, che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto” (Cons. St., sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; cfr. anche TAR Lombardia, Brescia, 20.11.2002 n. 1881; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 04.04.2006 n. 1831) (TAR Piemonte, Sez. II, sentenza 12.01.2012 n. 51 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sebbene qualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, vanno fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico; quindi, non occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, nel caso in cui la decisione di annullamento discenda direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia: in tale ipotesi, infatti, l’atto di annullamento si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere formale e giuridico, svincolata da valutazioni implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione Edilizia.
... RITENUTO, allora, che:
- in deroga alla regola generale, che richiede, soprattutto per i procedimenti di secondo grado, l'invio dell'avviso di inizio del procedimento, l'esigenza di intervenire tempestivamente sull'anzidetto provvedimento giustifica, conformemente a quanto previsto dallo stesso art. 8 della l.r. n. 10 del 1991, per il caso di particolari esigenze di celerità del procedimento, l'omessa previa comunicazione di avvio, oggetto della censura contenuta nel terzo motivo di ricorso (cfr. TAR Sardegna, Cagliari, sez. II, 12.05.2011, n. 485);
- in ogni caso, la destinazione urbanistica dell'area sulla quale doveva essere effettuato l’ampliamento non avrebbe consentito un esito diverso del procedimento in questione, atteggiandosi l’annullamento quale atto di natura vincolata: in altre parole, nel caso in esame, in cui è emersa con certezza l’impossibilità del rilascio di una concessione diretta per mancanza dello strumento attuativo, la comunicazione di avvio non avrebbe avuto ragione di essere (e ciò nonostante, seppure verbalmente, è stata effettuata), così come una diffusa motivazione circa l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio, sussistente in re ipsa (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.06.2005, n. 941; TAR Lazio, Roma 13.02.2006, n. 1052);
- infine, seppure in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, vanno fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico (Cons. Stato, sez. V, 12.05.2011 , n. 2821; sez. IV, 31.03.2009, n. 1909); quindi, non occorre acquisire il parere della Commissione Edilizia Comunale, nel caso in cui la decisione di annullamento discenda direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia: in tale ipotesi, riscontrata nel caso di specie, infatti, l’atto di annullamento si qualifica come atto dovuto in virtù di una valutazione di carattere formale e giuridico, svincolata da valutazioni implicanti esercizio di discrezionalità tecnica ascrivibili alla Commissione Edilizia (cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 20.04.2011, n. 2245; 14.04.2010, n. 1975, 03.12.2010, n. 26797) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 04.01.2012 n. 5 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento di ufficio del titolo edilizio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’Amministrazione.
La ricorrente lamenta, con il ricorso in esame, che l’amministrazione comunale intimata, dopo averla autorizzata a ristrutturare il fabbricato di sua proprietà e dopo che i lavori assentiti si trovavano in un avanzato stato di esecuzione (essendo stati realizzati il consolidamento strutturale dell’immobile, i muri di contenimento, il completamento del piano terra e del corpo centrale del fabbricato), ha disposto, mediante i provvedimenti impugnati, l’annullamento dei relativi titoli edilizi e la conseguente demolizione delle opere realizzate.
La domanda di annullamento proposta con il ricorso in esame è meritevole di accoglimento.
Per costante giurisprudenza, infatti, “l’annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’Amministrazione” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 16.04.2010, n. 2178);
Ebbene, deve rilevarsi che nell’impugnato provvedimento di autotutela non vi è traccia della richiesta motivazione, tesa a comparare l’interesse pubblico all’annullamento dell’atto ampliativo con l’affidamento maturato dal destinatario in ordine all’esercizio (già peraltro, nella specie, ampiamente avvenuto) delle facoltà con lo stesso attribuite (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 03.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: La regola immanente all'art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 (ndr: annullamento titolo edilizio) è rappresentata dall'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non richiede all'amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa pecuniaria, ex art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 deve intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per vizi formali, e non anche sostanziali.
L'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994; in difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo.
Conformemente alla consolidata giurisprudenza, condivisa dal Collegio, la regola immanente all'art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 (ndr: annullamento titolo edilizio) è rappresentata dall'operatività della sanzione reale che, in quanto effetto primario e naturale derivante dall'annullamento del permesso di costruire (così come della sua mancanza ab origine) non richiede all'amministrazione un particolare impegno motivazionale, ma rinviene nella legalità violata la sua giustificazione in re ipsa. La sanzione alternativa pecuniaria, ex art. 38, comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001 deve intendersi, infatti, riferita alle sole costruzioni assentite mediante titoli abilitativi edilizi annullati per vizi formali, e non anche sostanziali.
C
ome affermato dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 4 del 23.04.2009, l'affidamento del privato a poter conservare l'opera realizzata sulla base di un titolo edilizio successivamente annullato non é tutelato in via generale ma é rimesso alla discrezionalità del legislatore, al quale compete emanare norme speciali di tutela come la potenziale commutabilità della sanzione demolitoria in quella pecuniaria (art. 38 D.P.R. n. 380 del 2001), ovvero un regime di favore in sede di condono edilizio, come avvenuto con l'art. 39, l. n. 724 del 1994; in difetto di una espressa previsione legislativa, la posizione di colui che abbia realizzato l'opera sulla base di un titolo annullato non si differenzia dagli altri soggetti che hanno invece realizzato l'opera abusiva senza titolo (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 28.11.2011 n. 1772 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Impugnazione - Decorrenza del termine dalla data di inizio lavori - Non sussiste - Decorrenza del termine dalla piena conoscenza della lesività dell'opera - Sussiste.
Poiché il dies a quo del ricorso per l'annullamento prende a decorrere solo dal momento della piena conoscenza dell'adozione dell'atto lesivo, in materia edilizia la decorrenza del termine non può essere fatta coincidere con la data in cui i lavori hanno avuto inizio, in quanto il termine inizia a decorrere quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell'opera e l'eventuale non conformità della stessa al titolo e alla disciplina urbanistica (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 08.11.2011 n. 2660 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto.
In materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il potere dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante. In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge.

Da quanto evidenziato in precedenza, appare corretto il procedimento seguito dall’Amministrazione comunale che ha posto alla base dell’atto di annullamento l’infedele o inesatta dichiarazione –il cui eventuale carattere doloso non rileva in questa sede– essendo illegittimo un condono richiesto in relazione ad interventi effettuati su un’opera già in origine (parzialmente) abusiva.
Difatti, “la errata o insufficiente (non importa se dolosa o colposa) rappresentazione di circostanze di fatto esposte nella domanda e relativi allegati di concessione edilizia posta alla base del rilascio dell’atto della concessione edilizia che diversamente non sarebbe stata rilasciata, costituisce da sola ragione sufficiente per giustificare un provvedimento di annullamento di ufficio della concessione medesima, tanto che in tale situazione si può prescindere dal contemperamento con un interesse pubblico attuale e concreto” (Consiglio di Stato, IV, 24.12.2008, n. 6554).
Del resto, in materia di autotutela riferibile ad immobili abusivi, va richiamato il principio che ritiene vincolato il potere dell’Amministrazione al ripristino dello status quo ante.
In una fattispecie similare, difatti, la giurisprudenza ha sostenuto che “l’ingiunzione di demolizione è del tutto legittima atteso che in presenza di manufatti abusivi non condonati né sanati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione. Ciò non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire nel rispetto delle procedure di legge” (TAR Campania, Napoli, VII, 08.04.2011, n. 1999)
(TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 27.10.2011 n. 2592 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
In determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa. Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto;
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente;
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
Non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite.

Il Collegio non ignora il costante orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218; sez. IV, 31.10.2006, n. 6465; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 22.06.2007, n. 6238; sez. III, 11.09.2007, n. 7483; sez. VIII, 30.07.2008, n. 9586; 01.10.2008, n. 12321; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, 19.01.2007, n. 170; sez. II, 08.06.2007, n. 1652; TAR Liguria, sez. I, 11.12.2007, n. 2050; TAR Basilicata, sez. I, 19.01.2008, n. 15), secondo cui “il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia, quale atto discrezionale, deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato”.
Anche nell’ipotesi di annullamento di un permesso di costruire va, cioè, riconosciuta piena operatività ai principi generali che condizionano il legittimo esercizio del potere di autotutela. Potere che è espressione della discrezionalità dell’amministrazione e che, nell’adozione di un provvedimento espresso, postula la valutazione di elementi ulteriori rispetto alla mero ripristino della legalità violata. In omaggio all’orientamento tradizionale che trova il suo fondamento nei valori di rango costituzionale di buon andamento e dell’imparzialità dell’azione amministrativa, è, infatti, doveroso rimettere la verifica di legittimità dell’atto di autotutela ad un apprezzamento concreto, condotto sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto autorizzativo.
Ciò premesso in via di principio, il Collegio nemmeno ignora l’indirizzo, altrettanto consolidato, in base al quale, in determinate ipotesi, l’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo è da considerarsi in re ipsa.
Tra queste è annoverabile l’ipotesi di annullamento d’ufficio di titolo edilizio illegittimo:
a) a fronte dell’esigenza di garantire e tutelare l’equilibrato sviluppo del territorio e l’osservanza della vigente disciplina urbanistica, rispetto alla quale l’opera da realizzare si ponga in aperto e permanente contrasto (Cons. Stato, sez. V, 28.11.2005, n. 6630; sez. IV, 26.10.2007, n. 5601; TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 15.06.2005, n. 1110);
b) a fronte di falsa, infedele, erronea o inesatta rappresentazione, dolosa o colposa, della realtà da parte dell’interessato, risultata rilevante o decisiva ai fini del provvedimento autorizzativo, non potendo l’interessato vantare il proprio legittimo affidamento nella persistenza di un titolo ottenuto attraverso l’induzione in errore dell’amministrazione procedente (Cons. Stato, sez. V, 12.10.2004, n. 6554; sez. IV, 24.12.2008, n. 6554; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 03.11.2003, n. 2366; TAR Puglia, Lecce, sez. III, 21.02.2005, n. 686; TAR Liguria. Genova, sez. I, 07.07.2005, n. 1027; 17.11.2006, n. 1550; TAR Campania, Napoli, sez. IV, 13.02.2006, n. 2026; TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 05.02.2008, n. 129; TAR Basilicata, Potenza, sez. I, 04.03.2004, n. 115; 10.05.2005, n. 299; 10.04.2006, n. 238; 18.10.2008, n. 643);
c) a fronte dell’esigenza di salvaguardare i caratteri e i pregi ambientali e paesaggistici dei luoghi attinti dagli interventi assentiti.
a) Sotto il primo profilo, rileva la circostanza oggettiva e dirimente dell’accertata violazione delle distanze legali, ossia di una violazione di norme inderogabili, che, in quanto tale, implicava una iniziativa in autotutela sostanzialmente vincolata dell’amministrazione comunale, e non imponeva, quindi, una specifica motivazione né una espressa comparazione tra l'interesse pubblico alla rimozione e quello del privato alla conservazione dell'atto illegittimo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12.07.2002, n. 3929; 26.05.2006, n. 3201).
b) Sotto il secondo profilo, occorre rimarcare che il progetto assentito col permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004 non ha correttamente riportato le distanze del manufatto previsto dai fondi e dai fabbricati confinanti, così inducendo in errore l’amministrazione resistente circa l’osservanza dell’art. 23 delle n.a. del p.r.g. di Ailano.
c) Sotto il terzo profilo, giova rammentare che l’annullamento d’ufficio di un permesso di costruire in contrasto con i vincoli paesaggistici gravanti sulla zona non presuppone una peculiare comparazione tra l’interesse pubblico all’eliminazione degli atti viziati e il confliggente interesse privato alla conservazione degli stessi, stante l’evidente sussistenza dell’interesse di rango costituzionale (art. 9 Cost.) alla tutela dell’ambiente e la sua preminenza su qualunque altro interesse pubblico o privato (cfr. Cons. stato, sez. VI, 20.01.2000, n. 278; TAR Lazio, Roma, sez. II, 04.01.2005, n. 48; TAR Campania, Napoli, sez. III, 10.04.2007, n. 3193).
Ebbene, nel caso in esame, l’annullato permesso di costruire n. 10 del 23.07.2004, ancorché non in immediato contrasto con norme di tutela paesaggistica (sul punto, cfr. retro, sub n. 4), ha, comunque, illegittimamente assentito opere ricadenti in area assoggettata a vincolo paesaggistico ed è risultato, così, suscettibile di inficiare, sia pure indirettamente, i valori da quest’ultimo tutelati.
La motivazione dianzi riportata risulta, peraltro, proporzionata al tempo decorso tra il momento di emissione del titolo abilitativo e quello del suo successivo annullamento, che si appalesa non irragionevole.
Al riguardo, il Collegio ha presente l’incontrastato indirizzo giurisprudenziale, accreditato dall’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241/1990, secondo cui non è sufficiente a giustificare l'esercizio del potere di autotutela la pura e semplice finalità di ripristinare la legalità violata, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150), tanto più quando il beneficiario dell’atto autorizzativo, in ragione del tempo decorso, abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19.01.2003, n. 899), ovvero quando sia riscontrabile la realizzazione di una significativa parte delle opere assentite (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.11.2003, n. 7218) (TAR Campania-Napoli, Sez. VIII, sentenza 26.10.2011 n. 4945 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - URBANISTICA: Rapporto di presupposizione necessaria tra gli atti amministrativi.
I vizi idonei a caducare il Piano esecutivo convenzionato hanno un effetto caducante nei confronti dei successivi titoli edilizi o deve ritenersi che non sussista alcun rapporto di presupposizione necessaria tra il Piano ed i titoli stessi?
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   1. Atto amministrativo - Vizi - Caducanti - Presupposti necessari - Individuazione
   2. Urbanistica - Piani urbanistici - Piano Esecutivo Convenzionato - Titoli edilizi autorizzatori - Rapporto di presupposizione necessaria - Insussistenza - Ragioni - Conseguenze
  
1. In termini generali, i vizi caducanti presuppongono che tra gli atti interessati vi sia un rapporto di presupposizione necessaria, sicché all'atto successivo non residui alcun margine ulteriore di ponderazione che non si traduca nel mero completamento dell'iter procedimentale iniziato con il primo atto impugnato.
La prudenza nell'individuazione dei vizi caducanti si giustifica in considerazione della peculiarità dei loro effetti; la caducazione automatica ed a catena di atti non impugnati, infatti, comporta una propagazione dei vizi che vulnera il generale principio di stabilità degli atti consolidati, e il sottostante assetto di interessi, oltre a poter potenzialmente pregiudicare terzi controinteressati mai evocati in alcun giudizio.
Conseguentemente, si ravvisa la fattispecie di vizi caducanti solo ove l'atto successivo si ponga come conseguenza immediata, diretta e necessaria, ossia ove l'atto successivo sia inevitabile conseguenza di quello anteriore.
   2. Non sussiste un rapporto di presupposizione necessaria tra P.E.C. e successivi titoli autorizzatori edilizi: i titoli edilizi emanati successivamente al P.E.C., infatti, seppure in questo trovano un fondamento, non ne sono conseguenza immediata e necessaria; neppure è escluso qualsivoglia margine di apprezzamento nella successiva fase procedimentale.
Pertanto, l'annullamento del P.E.C. non può travolgere i successivi titoli edilizi, anche in considerazione del fatto che l'effetto caducante non travolgerebbe atti limitativi della sfera giuridica del destinatario bensì atti ampliativi della medesima, rispetto ai quali si è nel frattempo consolidato un ragionevole affidamento e un nuovo assetto di interessi
(massma tratta da www.mondolegale.it).
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E’ pacifico che parte ricorrente non ha provveduto ad impugnare i titoli edilizi rilasciati successivamente all’approvazione del PEC contestato, i quali si sono nelle more consolidati. E’ ugualmente evidente che l’interesse della ricorrente non è contestare la mera regolarità formale delle opere ma eventualmente inibirne la realizzazione.
Sostiene parte ricorrente che i vizi dedotti, idonei a caducare il PEC, avrebbero un effetto caducante nei confronti dei successivi titoli edilizi, sì da renderne superflua l’autonoma impugnativa. La difesa di parte ricorrente cita al riguardo la decisione del Consiglio di Stato sez. V n. 3255 del 2008.
La fattispecie ivi trattata appare tuttavia differente poiché, nel caso di specie, era stata innanzitutto rigettata un’eccezione di improcedibilità dell’appello per mancata impugnazione del sopravvenuto permesso di costruire, rilasciato in esecuzione della sentenza di primo grado. Il giudice d’appello puntualizzava che, essendosi trattato di mera attività di esecuzione della statuizione del primo giudice, il travolgimento di quest’ultima avrebbe comportato l’automatica caducazione di atti che non potevano definirsi espressione di acquiescenza costituendo mera ottemperanza.
Nel corpo della decisione si rinviene poi una massima che puntualizza che il permesso di costruire che trovi fondamento in un PEC impugnato risulta travolto da illegittimità derivata in caso di annullamento della variante di PEC medesima; la massima, riportata solo come tale, non consente tuttavia di evincere la tesi della caducazione automatica propugnata da parte ricorrente. La sussistenza di una possibile invalidità derivata del titolo edilizio rispetto ai presupposti vizi del PEC non è infatti di per sé risolutiva circa la natura caducante o viziante dell’annullamento del primo atto rispetto al secondo; l’invalidità derivata, come tale potenzialmente sussistente, ben infatti può essere oggetto di idonea ed apposita censura, appunto formulata in via derivata.
In termini generali i vizi caducanti presuppongono che tra gli atti interessati vi sia un rapporto di presupposizione necessaria, sicché all’atto successivo non residui alcun margine ulteriore di ponderazione che non si traduca nel mero completamento dell’iter procedimentale iniziato con il primo atto impugnato. La prudenza nell’individuazione dei vizi caducanti si giustifica in considerazione della peculiarità dei loro effetti; la caducazione automatica ed a catena di atti non impugnati, infatti, comporta una propagazione dei vizi che vulnera il generale principio di stabilità degli atti consolidati, e il sottostante assetto di interessi, oltre a poter potenzialmente pregiudicare terzi controinteressati mai evocati in alcun giudizio. Conseguentemente la giurisprudenza ravvisa fattispecie di vizi caducanti solo ove l’atto successivo si ponga come conseguenza immediata, diretta e necessaria, ossia ove l’atto successivo sia inevitabile conseguenza di quello anteriore.
Tanto non pare potersi predicare nel rapporto tra P.E.C. e successivi titoli autorizzatori edilizi, tanto più là dove il P.E.C. ha lasciato ulteriori margini da definirsi nelle successive sequenze procedimentali. Solo apparentemente si attaglia al caso di specie la decisione, citata da parte ricorrente, del Consiglio di Stato sez. VI n. 114/2011 che ha ritenuto che il diniego di autorizzazione paesaggistica unicamente fondato sul contrasto con uno strumento urbanistico poi annullato restasse automaticamente travolto dall’annullamento dello strumento urbanistico presupposto. Effettivamente in tale caso l’unica e necessaria ragione del travolto diniego risiedeva, appunto, nello strumento urbanistico. Neppure deve essere trascurato il fatto che la fattispecie di invalidità derivata caducante, come ricostruita nell’ultimo caso citato, incideva automaticamente su un atto restrittivo per il destinatario, con effetto quindi ampliativo della sua sfera giuridica.
Il caso di specie si presenta simmetrico ma inverso: i titoli edilizi emanati successivamente al P.E.C., seppure in questo trovano un fondamento, non ne sono conseguenza immediata e necessaria; neppure è escluso qualsivoglia margine di apprezzamento nella successiva fase procedimentale. Infine l’effetto caducante non travolgerebbe atti limitativi della sfera giuridica del destinatario bensì atti ampliativi della medesima, rispetto ai quali si è nel frattempo consolidato un ragionevole affidamento e un nuovo assetto di interessi.
Più consono al caso di specie pare quindi ad esempio quello di cui alla sentenza C. stato sez. IV 14.12.2002 n. 7001. Il supremo consesso amministrativo ha ivi analizzato il caso in cui, annullati il piano urbanistico generale e quello attuativo, in separato giudizio si è accertata altresì l’invalidità derivata delle successive concessioni edilizie, che in detti piani avevano trovato fondamento. Nel caso specifico vi erano quindi state separate e specifiche impugnative.
In sede di ottemperanza, là dove il ricorrente chiedeva che venisse disposta la demolizione dei manufatti, si evidenziava che le uniche sanzioni applicabili per le opere nelle more realizzate e divenute prive di titolo sarebbero state quelle pecuniarie di cui all’attuale art. 38 d.p.r. 380/2001, poiché l’annullamento dei titoli non era stato dovuto ad un contrasto originario con le previsioni di piano, legge o regolamento ma ad un sopravvenuto vizio formale per caducazione del piano. Per di più si evidenziava come i titoli ben potessero sopravvivere all’esito di un emendamento della pianificazione ab origine annullata.
Sebbene evidentemente la fattispecie differisca da quella per cui è causa resta ben evidente la molteplicità di soluzioni e valutazioni amministrative che intervengono nelle diverse fasi di un iter procedimentale quale quello per cui è causa e che non consentono di ravvisarvi atti avvinti tutti e necessariamente da stretto ed ineludibile vincolo di presupposizione necessaria.
Né infine può darsi spazio all’interesse risarcitorio, neppure per altro rappresentato dalla ricorrente; è infatti evidente come l’eventuale interesse risarcibile connesso alla mancata realizzazione di un piano similare proposto dalla ricorrente discenderebbe dal diverso e parallelo procedimento instaurato dalla ricorrente medesima avverso il diniego di approvazione di quel diverso PEC di suo interesse; non è infatti dall’approvazione dell’altrui PEC che la ricorrente vede derivare un danno immediato e diretto bensì eventualmente dall’illegittima mancata approvazione del proprio, che non viene qui in questione essendo stata oggetto di separato giudizio.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato improcedibile (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 21.10.2011 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Permesso di costruire - Annullamento o revoca - Perdita di una posizione di vantaggio acquisita - Pregiudizio al proprietario dell'immobile - Necessità dell'avvio del procedimento - Non rilevanza dell'illegittimità dell'opere da eseguire.
Risulta innanzitutto fondato il primo motivo in quanto effettivamente l'annullamento o la revoca del permesso di costruire, determinando la perdita di una posizione di vantaggio acquisita, reca un pregiudizio al proprietario dell'immobile e pertanto quest'ultimo deve essere posto, attraverso la comunicazione dell'avvio del procedimento di cui all’art. 7 L. 07.08.1990 n. 241, nella condizione di poter partecipare al previo contraddittorio; né può validamente supplire alla mancata comunicazione la conoscenza che il proprietario in ipotesi possa aver avuto della ravvisata illegittimità delle opere da eseguire, perché tanto non implica affatto, sotto il profilo consequenziale, anche l'annullamento della concessione edilizia già rilasciata.
Anche gli altri motivi appaiono fondati in quanto:
a)- l'amministrazione non ha in alcun modo motivato in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale nonché prevalente sull'affidamento ingenerato nel ricorrente mediante il rilascio del permesso di costruire;
b)- l'amministrazione col provvedimento impugnato si è sostanzialmente intromessa in una lite tra condomini arrogandosi prerogative in ordine all'accertamento delle facoltà connesse al diritto di proprietà di ciascuna di esse e del regime d'uso del solaio che non le competevano e che avrebbero dovuto trovare soluzione nella competente sede giurisdizionale civile, anche perché ogni provvedimento amministrativo è rilasciato con la clausola "fatti salvi i diritti dei terzi" e, quindi, non pregiudica la possibilità per eventuali privati controinteressati di far valere le proprie ragioni nelle sedi competenti (Consiglio di Stato, sez. V 07.09.2009, n. 5223; Consiglio di Stato, sez. V, 07.09.2007, n. 4703; TAR Trentino Alto Adige, sez. Trento, 14.05.2008, n. 111; TAR Piemonte, sez. I, 13.06.2005, n. 2039 (TAR Campania-Salerno, Sez. I, sentenza 16.09.2011 n. 1559 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il parere della commissione edilizia può essere omesso in sede di autotutela (annullamento concessione edilizia), senza violazione alcuna del principio del contrarius actus, qualora l’annullamento si fondi su ragioni di esclusiva valenza giuridica e non anche su valutazioni tecnico-edilizie.
Quanto al mancato coinvolgimento della commissione edilizia nell'annullare una concessione edilizia rilasciata, per giurisprudenza costante tale parere può essere omesso in sede di autotutela, senza violazione alcuna del principio del contrarius actus, qualora l’annullamento si fondi su ragioni di esclusiva valenza giuridica e non anche su valutazioni tecnico-edilizie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12.05.2011, n. 2821; TAR Campania Napoli, sez. VIII, 10.11.2010, n. 23756; TAR Lombardia Milano, sez. IV, 03.03.2010, n. 532; TAR Emilia Romagna Parma, 20.10.2009, n. 686)
(TAR Puglia-Lecce, Sez. II, sentenza 09.09.2011 n. 1586 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Ricorso giurisdizionale - Ricorso avverso atti abilitativi dell'edificazione - Termine per l'impugnazione - Decorrenza dalla data di palesamento ed oggettiva apprezzabilità della lesione del bene della vita protetto - Fattispecie.
2. Atto amministrativo - Atti presupposti - Vizi - Invalidità del titolo edilizio originario - Effetto caducante delle varianti leggere - Sussiste - Effetto caducante delle varianti essenziali - Non sussiste.

1. La decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell'edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli a favore dei quali l'atto è rilasciato, dalla data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto: ciò si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 18/2011).
Nel caso di specie, è da escludere che possano avere rilievo determinante gli elementi forniti dalla controinteressata in ordine all'esposizione del cartello di cantiere con l'indicazione dell'intervento di recupero autorizzato, in quanto gli stessi non consentivano alla ricorrente di rendersi conto dell'entità dell'opera, né, quindi, della sua incidenza sui suoi interessi protetti.
2. Non sempre all'annullamento del titolo edilizio originario consegue necessariamente l'insanabile invalidità derivata del secondo titolo edilizio: difatti, mentre l'annullamento di una concessione sortisce sicuramente l'effetto della caducazione delle "varianti leggere", ossia, quelle non essenziali e quelle in corso d'opera, poiché prive di una loro autonomia dispositiva, non altrettanto si verifica, invece, nel caso della cd. "variante essenziale", poiché in quest'ultima l'entità qualitativa e quantitativa delle modifiche apportate al primitivo assenso segna indubbiamente una cesura nel rapporto di continuità fra i titoli edilizi succedutisi nel tempo (cfr. Cons. di Stato, sent. n. 1023/2005) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 02.09.2011 n. 2149 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile soltanto quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di distinti progetti: la ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non può modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione (così Cons. di St., V, 11.10.2005, n. 5495, in un caso in cui si trattava dell'altezza eccessiva dell'edificio; nello stesso senso cfr. anche Cons. di St., V, 22.05.2006, n. 2960) (TAR Liguria, Sez. I, sentenza 20.07.2011 n. 1148 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale.
Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare.

Non può che farsi applicazione del prevalente orientamento giurisprudenziale in forza del quale “la legittimazione a impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, la quale non postula necessariamente l'adiacenza fra gli immobili, essendo sufficiente la semplice prossimità, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale” (da ultimo Consiglio Stato, sez. IV, 16.03.2010, n. 1535; Consiglio Stato, sez. VI, 15.06.2010, n. 3744; in senso analogo Consiglio Stato, sez. IV, 12.05.2009, n. 2908 secondo cui “Il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l'annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione atteso che l'esistenza della suddetta posizione legittimante abilita il soggetto ad agire per il rispetto delle norme urbanistiche, che assuma violate, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione, che i lavori in concreto gli potrebbero arrecare”; TAR Campania Napoli, sez. IV, 09.04.2010, n. 1885 secondo cui “l'articolo 31, comma 9, legge 1150/1942, modificato dalla legge 765/1967, che consente a "chiunque" di impugnare le concessioni edilizie ritenute illegittime, va interpretato nel senso che, ai fini della legittimazione al ricorso, occorre una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall'attività edilizia, collegamento che ben può derivare dalla proprietà di un immobile nella medesima, poiché il diritto reale differenzia e qualifica adeguatamente la posizione soggettiva della parte”.
Il vicino controinteressato non è un soggetto contemplato tra quelli a cui va inviata la comunicazione di avvio del procedimento per il rilascio di un titolo edilizio, ai sensi dell'art. 7 della l. 07.08.1990, n. 241, pur se lo stesso già risulti essersi opposto in precedenti occasioni all'attività edilizia dell'altro soggetto confinante (da ultimo TAR Liguria, sez. I, 10.07.2009, n. 1736; in senso analogo TRGA Trento, 14.10.2010, n. 194).
Non vi è infatti identità tra le posizioni di coloro che siano legittimati ad impugnare il provvedimento finale di concessione e coloro che possono intervenire o hanno titolo a ricevere l’avviso di avvio del procedimento; infatti ove sia stata proposta una domanda di concessione edilizia il vicino del richiedente o il soggetto legittimato possono intervenire nel procedimento ed impugnare il provvedimento che accoglie l’istanza, ma non hanno titolo a ricevere l’avviso di avvio predetto (Consiglio di Stato, sez. VI, 14.03.2002, n. 1533
”; Tar Liguria, sez. I, 05.07.2010 n. 5570; in senso analogo Consiglio di Stato, sez. VI 10.02.2006, n. 547, secondo cui “L'aver partecipato al procedimento di formazione di uno strumento urbanistico non rende automaticamente il soggetto medesimo controinteressato al quale effettuare le comunicazioni ex art. 7 l. 07.08.1990 n. 241, relativamente ai procedimenti relativi all'emanazione dei permessi di costituire o dei richiesti nulla osta”)
(TAR Valle d'Aosta, sentenza 16.06.2011 n. 43 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il termine per l'impugnazione della concessione edilizia rilasciata al controinteressato non decorre dal momento della pubblicazione all'albo pretorio ma da quello in cui il ricorrente abbia avuto piena ed effettiva conoscenza del provvedimento lesivo. Quest'ultimo effetto si riconnette di solito (e salvo le rare ipotesi in cui si possa provare l'effettiva conoscenza del "documento") al momento in cui la parte abbia riscontrato in rerum natura l'avvio di un’attività edificatoria ritenuta contrastante con le norme urbanistiche.
In altri termini, l'onere di impugnazione del titolo edilizio scatta di solito al momento in cui si palesi evidente l'illegittimo esercizio dello ius aedificandi. Tale regola "di massima" va precisata e adattata ai singoli casi di volta in volta vagliati dal giudice amministrativo, ed è idonea a condurre a soluzioni anche diversificate, a seconda delle peculiarità dell'attività edificatoria in corso e dei vizi denunciati: ad esempio, la conoscenza compiuta -ed il conseguente onere di impugnazione- scatta immediatamente col semplice avvio della costruzione, nell'ipotesi in cui il ricorrente intenda far valere l'assoluta inedificabilità del suolo oggetto di attività edilizia. In tal caso, infatti, l'inizio dell'attività costruttiva è immediatamente idoneo a palesarne l'illegittimità e la lesività.
Ove, invece, si volesse contestare la violazione delle distanze regolamentari da edifici vicini, è necessario che siano almeno realizzate le fondamenta della costruzione, che costituiscono l'impronta dell'edificio; in tal caso, allora, il dies a quo del termine per ricorrere coincide col momento in cui si percepisce la realizzazione delle fondamenta.
In altri casi ancora la percezione della lesività e dell'illegittimità postulano il completamento della struttura essenziale del fabbricato, ed è solo da tale momento che scatta l'onere processuale di impugnazione. Tanto si verifica, ad esempio, allorquando si contestino l'altezza e la volumetria dell'erigendo edificio.

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Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi, l'effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l'illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l'inedificabilità assoluta dell'area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito, che, per esempio, non rispetta le distanze dalle costruzioni: in questo secondo caso, la mera esposizione del cartello di cantiere recante gli estremi del titolo edilizio non è sufficiente -da sola- a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l'effetto concretamente lesivo per i terzi interessati.
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La piena conoscenza è legata alla cognizione degli elementi essenziali del provvedimento impugnato. Ne discende, quindi, che la piena conoscenza dell'atto censurato si concretizza con la cognizione degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, essendo tali elementi sufficienti a rendere il legittimato all'impugnativa consapevole dell'incidenza dell'atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi aggiunti.

Va rammentato che, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza, il termine per l'impugnazione della concessione edilizia rilasciata al controinteressato non decorre dal momento della pubblicazione all'albo pretorio (cfr. TAR Toscana, n. 4451/2008; Consiglio Stato, V, n. 5312/2002; Consiglio Stato, V, n. 779/1998), ma da quello in cui il ricorrente abbia avuto piena ed effettiva conoscenza del provvedimento lesivo. Quest'ultimo effetto si riconnette di solito (e salvo le rare ipotesi in cui si possa provare l'effettiva conoscenza del "documento") al momento in cui la parte abbia riscontrato in rerum natura l'avvio di un’attività edificatoria ritenuta contrastante con le norme urbanistiche.
In altri termini, l'onere di impugnazione del titolo edilizio scatta di solito al momento in cui si palesi evidente l'illegittimo esercizio dello ius aedificandi. Tale regola "di massima" va precisata e adattata ai singoli casi di volta in volta vagliati dal giudice amministrativo, ed è idonea a condurre a soluzioni anche diversificate, a seconda delle peculiarità dell'attività edificatoria in corso e dei vizi denunciati: ad esempio, la conoscenza compiuta -ed il conseguente onere di impugnazione- scatta immediatamente col semplice avvio della costruzione, nell'ipotesi in cui il ricorrente intenda far valere l'assoluta inedificabilità del suolo oggetto di attività edilizia. In tal caso, infatti, l'inizio dell'attività costruttiva è immediatamente idoneo a palesarne l'illegittimità e la lesività.
Ove, invece, si volesse contestare la violazione delle distanze regolamentari da edifici vicini, è necessario che siano almeno realizzate le fondamenta della costruzione, che costituiscono l'impronta dell'edificio; in tal caso, allora, il dies a quo del termine per ricorrere coincide col momento in cui si percepisce la realizzazione delle fondamenta.
In altri casi ancora la percezione della lesività e dell'illegittimità postulano il completamento della struttura essenziale del fabbricato, ed è solo da tale momento che scatta l'onere processuale di impugnazione. Tanto si verifica, ad esempio, allorquando si contestino l'altezza e la volumetria dell'erigendo edificio (cfr. TAR Sicilia, Catania, n. 3835/2010).
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La ricostruzione, appena effettuata, dei diversi momenti di decorrenza del termine per impugnare il titolo edilizio rilasciato a terzi trova ampia conferma nella giurisprudenza che ha affermato che “ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi, l'effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l'illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l'inedificabilità assoluta dell'area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito, che, per esempio, non rispetta le distanze dalle costruzioni: in questo secondo caso, la mera esposizione del cartello di cantiere recante gli estremi del titolo edilizio non è sufficiente -da sola- a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l'effetto concretamente lesivo per i terzi interessati." (cfr, in termini TAR Liguria, n. 192/2010; TAR Sardegna n. 432/2009; TAR Piemonte, n. 795/2009).
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Il Collegio, inoltre, condivide l'orientamento prevalente nella giurisprudenza secondo il quale la piena conoscenza è legata alla cognizione degli elementi essenziali del provvedimento impugnato.
Ne discende, quindi, che la piena conoscenza dell'atto censurato si concretizza con la cognizione degli elementi essenziali quali l'autorità emanante, l'oggetto, il contenuto dispositivo ed il suo effetto lesivo, essendo tali elementi sufficienti a rendere il legittimato all'impugnativa consapevole dell'incidenza dell'atto nella sua sfera giuridica, avendo egli la concreta possibilità di rendersi conto della lesività del provvedimento, senza che sia necessaria la compiuta conoscenza della motivazione e degli atti del procedimento, che può rilevare solo ai fini della proposizione dei motivi aggiunti (cfr. Consiglio Stato, VI, n. 3649/2010; Consiglio Stato, IV, n. 292/2010; Consiglio Stato, VI, n. 2540/2008).
Se ne può allora concludere che nel caso di specie i termini per la proposizione del ricorso giurisdizionale per la ricorrente iniziavano a decorrere dalla conoscenza del provvedimento lesivo e dalla consequenziale lesione della sfera dei suoi personali interessi, ovverosia dal 24.07.2001, data di completamento dei lavori per la realizzazione dell’abbaino e dell’altana e di percezione della limitazione della luce e dell’aria per il proprio edificio, e non dalla puntuale conoscenza e/o consapevolezza soggettiva dei vizi che inficiavano il provvedimento autorizzatorio (cfr. Consiglio Stato,VI, n. 1853/2008) con la conseguenza della tardività del ricorso, proposto solo nel mese di novembre 2003 (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 19.05.2011 n. 845 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo edilizio - Annullamento - Art. 38, D.P.R. n. 380/2001 - Applicabilità solo nel caso di annullamento per ragioni meramente formali - Sussiste.
L'art. 38, D.P.R. n. 380/2001 può trovare applicazione nel solo caso di annullamento di titoli edilizi per ragioni meramente formali e non sostanziali, giacché l'annullamento del titolo, al parti del resto della sua mancanza originaria, non può che determinare, quale ordinaria conseguenza, la sanzione reale del ripristino dello stato dei luoghi, quale strumento per garantire il rispetto della legalità in materia edilizia e urbanistica (tratto da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 18.05.2011 n. 1279 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAQualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico
In secondo luogo considera che in base al principio del contrarius actus, qualora in sede di rilascio della concessione edilizia sia stato acquisito il parere della Commissione Edilizia, tale parere va acquisito anche all'atto dell'annullamento d'ufficio del suddetto titolo abilitativo, fatte salve le ipotesi in cui il provvedimento di autotutela sia supportato da ragioni formali o di tipo esclusivamente giuridico (Consiglio Stato, sez. IV, 31.03.2009, n. 1909).
Nel caso che occupa il provvedimento di autoannullamento della concessione edilizia di cui trattasi è stato motivato con richiamo a ragioni non formali e non di tipo esclusivamente giuridico, essendo stato fatto riferimento ad incoerenze formali e dimensionali delle tavole di elaborati di progetto (risultanti da una relazione del consulente tecnico della Procura della Repubblica presso la Pretura di Lecco), quindi a regioni esclusivamente tecniche
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.05.2011 n. 2821 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Concessione di costruzione - Annullamento e revoca - Annullamento parziale - Scindibilità dell'opera - Sussiste.
2. Concessione di costruzione - Annullamento e revoca - Annullamento d'ufficio - A distanza di tempo - Contemperazione tra interesse pubblico e privato - Necessità.

1. L'annullamento parziale di una concessione edilizia riconosciuta illegittima è ammissibile solo quando l'opera autorizzata sia scindibile in modo tale da poter essere oggetto di più distinti progetti e concessioni.
La ragione di tale principio è la stessa per cui il comune può respingere o accogliere una domanda di concessione edilizia, ma non modificare il progetto, non potendosi imporre al richiedente un'opera diversa dal progetto sul quale ha chiesto la concessione.
2. Il presupposto per un legittimo esercizio del potere di annullamento d'ufficio di una concessione edilizia non può ridursi al ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo edilizio e della comparazione tra tale interesse e l'entità del sacrificio imposto all'interesse privato, tanto più quando il titolare della concessione, in ragione del tempo decorso abbia maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzazione delle opere, ovvero si sia in presenza della realizzazione di una significativa parte delle opere assentite (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 24.02.2011 n. 538 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: La figura dell’«invalidità caducante» (o «travolgimento» o «effetto travolgente») si delinea allorquando il provvedimento annullato in sede giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e specificamente collegati al provvedimento presupposto.
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Per quanto sopra, sotto tale profilo, il permesso di costruire conseguente l’accertamento di conformità ex art. 36 d. P.R. n. 380 del 2001 va annullato: ciò che –va rilevato incidentalmente– si riflette sul successivo provvedimento attestante l’agibilità dei locali n. 856 del 14.10.2008 (depositato in atti dalla difesa del Comune di Licata in prossimità dell’udienza pubblica).
La figura dell’«invalidità caducante» (o «travolgimento» o «effetto travolgente»), infatti, si delinea allorquando il provvedimento annullato in sede giurisdizionale, nel caso di specie il permesso di costruire in sanatoria, costituisce il presupposto unico ed imprescindibile dei successivi atti consequenziali (quali il certificato di agibilità), sicché il suo venir meno travolge automaticamente –e cioè senza che occorra una ulteriore specifica impugnativa– tali atti successivi strettamente e specificamente collegati al provvedimento presupposto (TAR Sicilia-Palermo, Sez. III, sentenza 05.08.2010 n. 9199 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Titolo abilitativo edilizio - Annullamento in autotutela - Per la realizzazione di difformità rispetto al titolo assentito - Illegittimità - Presupposti dell’esercizio del potere di autotutela - Esistenza di un vizio di legittimità originario.
Presupposto indefettibile del legittimo esercizio del potere di autotutela c.d. decisoria culminante nell’adozione di provvedimenti di secondo grado di annullamento di precedenti provvedimenti, è, ai sensi dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, l’esistenza e l’acclaramento di un vizio di legittimità originario che affligga il provvedimento oggetto dell’autotutela decisoria.
Laddove, invece, il provvedimento sia e rimanga all’attualità del tutto legittimo, l’eventuale contegno del privato che sostanzi una difformità esecutiva rispetto al contenuto delle facoltà concesse con il provvedimento, può rilevare unicamente ai fini del’adozione di misure sanzionatorie repressive (nella specie, procedimento sanzionatorio ex artt. 31 e ss. d.P.R. n. 380/2001, per la realizzazione di difformità rispetto al titolo abilitativo edilizio legittimamente assentito) (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 07.05.2010 n. 2356 - link a www.
ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'amministrazione.
Tale principio ha trovato da ultimo esplicito riscontro normativo nell'art. 14 della legge n. 15 del 2005, con il quale è stato introdotto l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
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Il tempo successivo alla comunicazione di avvio del procedimento di riesame della validità della concessione edilizia deve ritenersi utile alla formazione di un legittimo affidamento in capo al privato titolare della medesima [nella fattispecie, la stessa sua abnormità ossia circa 14 mesi a fronte del termine legislativamente fissato in 30 giorni dall’art. 2 della legge n. 241/1990 nella versione ratione temporis applicabile alla fattispecie) rispetto al brevissimo termine (15 giorni) dato al privato stesso con detta comunicazione per la presentazione di memorie scritte, è indubbiamente valsa a rafforzare man mano, col trascorrere del tempo successivo alla scadenza del termine assegnato al privato per la utile partecipazione al procedimento, tale affidamento circa il consolidamento della propria posizione giuridica e dunque circa il mantenimento di validità ed efficacia del provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica].
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L'emanazione di un provvedimento di carattere autoritativo, ovverosia in caso di esercizio del potere di autotutela, è potere tipicamente discrezionale della Pubblica amministrazione, che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile.
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Sull'argomento v’è, invero, da osservare che questo Collegio si è già pronunciato su fattispecie del tutto analoghe relative a provvedimenti di annullamento d’ufficio di concessioni edilizie posti in essere dallo stesso Comune di Marino per gli stessi motivi ed in epoca coeva a quella dell’atto oggetto del presente giudizio, statuendo, con motivazioni e conclusioni del tutto pertinenti al caso di specie (v, per tutte, Cons. St., IV, 21.12.2009, n. 8526), che l'annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull'interesse pubblico attuale e concreto a sostegno dell'esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell'interesse dei destinatari dell'atto al mantenimento delle posizioni, che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall'amministrazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 14/10/2004, n. 6656).
È appena il caso di soggiungere che tale principio, già enunciato dalla giurisprudenza amministrativa (invero già la risalente sentenza del Cons. St., VI, 24.12.1982, n. 721 affermava il principio, secondo cui la rimozione degli atti amministrativi illegittimi non deve pregiudicare l’interesse, cedevole solo a fronte di un più grave interesse pubblico, di chi sugli effetti di quell’atto abbia fatto affidamento), ha trovato da ultimo esplicito riscontro normativo nell'art. 14 della legge n. 15 del 2005, con il quale è stato introdotto l'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990.
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Quanto, poi, al legittimo affidamento maturato nel destinatario del titolo abilitativo in relazione al tempo intercorso dal rilascio del titolo illegittimo (e che occorra a tal fine far riferimento, quale momento iniziale di tale periodo giuridicamente rilevante, alla data di rilascio dello stesso e non invece, come pretende l’appellante senza peraltro nemmeno individuarla, a quella di inizio lavori, non v’è, a parere del Collegio, alcun dubbio, dal momento che è la concessione edilizia in quanto tale –e non certo l’inizio lavori, ch’è in facoltà del concessionario individuare in assoluta autonomia nel termine assegnatogli dalle condizioni apposte alla concessione stessa– a rappresentare il bene della vita, che, entrato al momento stesso del rilascio nella sfera patrimoniale e, trattandosi qui di soggetto imprenditoriale, economico-organizzativa dell’impresa, ne viene poi espunto con l’atto di annullamento), un chiaro difetto di motivazione si rileva nel provvedimento oggetto del presente giudizio, siccome adottato dall’Amministrazione nell’esercizio del potere di annullamento, laddove la frustrazione dell’affidamento ingenerato in capo al destinatario non risulta in alcun modo presa in considerazione dall’Amministrazione, nemmeno per affermare in ipotesi che nessuna situazione di affidamento fosse da ponderarsi ai fini della necessaria comparazione dell’incisione delle posizioni in rilievo (v. Cons. St., VI, 04.12.2006, n. 7102 ).
Sotto questo profilo, l’affermazione della difesa dell’appellante, secondo cui “il lasso di tempo intercorso tra la comunicazione di inizio lavori e la comunicazione di avvio del procedimento” dovrebbe ritenersi “non sufficiente a ritenere maturato in capo al concessionario un legittimo affidamento della validità della concessione tale da rendere non più possibile l’annullamento”, deve considerarsi, ancor prima che infondata, inammissibile, giacché indebitamente integra in sede giurisdizionale, con motivazione postuma e dunque nuova, il decisivo profilo motivazionale del provvedimento impugnato, per rimediare ad indubitabili carenze dello stesso.
Vero è, comunque, che l’affidamento dell’interessato non è stato affatto valutato dal Comune nell’esercizio del potere di autotutela e che, pur consapevole dell’esigenza dell’individuazione del giusto punto di equilibrio tra il diritto del cittadino alla tutela dell’affidamento in lui ingenerato dal rilascio del titolo e dal successivo trascorrere del tempo in assenza di provvedimenti inibitori dell’attività edilizia assentita e la necessità per il potere pubblico di esercitare la propria discrezionalità tecnica nel procedimento di riesame mediante un adeguato iter istruttorio, il Collegio non può non considerare abnorme, anche in considerazione della non particolare complessità quali-quantitativa dell’istruttoria risultante dagli atti, il provvedimento di annullamento di cui si discute, nella misura in cui è intervenuto, come sopra rilevato, circa 29 mesi dopo il rilascio dell’atto annullato (quando i relativi lavori erano terminati da quasi quattro mesi) e 14 mesi dopo la relativa comunicazione di avvio del procedimento di riesame.
Né può condividersi l’assunto dell’Amministrazione, secondo cui non rileverebbe, ai fini della valutazione dell’affidamento del privato, “il tempo decorso successivamente alla comunicazione dell’avvio del procedimento” (ch’è proprio quello, peraltro, che risulta invece determinante, ad avviso del Collegio, ai fini della veduta qualificazione di abnormità), atteso che, in assenza dell’esercizio da parte dell’Amministrazione, in un momento contestuale o successivo a detta comunicazione, di qualsivoglia potere cautelare (riconosciuto in via generale dalla giurisprudenza ancor prima del riconoscimento normativo poi operatone dal comma 2 dell’art. 21-quater della legge n. 241/1990, previsto inoltre nella specifica materia del governo del territorio dagli artt. 27 e 39 del D.P.R. n. 327/2001 sub specie “sospensione lavori” e del tutto incongruamente qui esercitato dal Comune solo contestualmente al provvedimento di annullamento, quando i lavori erano da tempo terminati), alla comunicazione stessa non può che riconoscersi la sola funzione sua propria di assicurare all’interessato la partecipazione al procedimento amministrativo e non certo quella ulteriore, che incongruamente il Comune pretende di attribuirle, di affievolire il suo affidamento sulla legittimità della concessione, assistita da presunzione di validità fino al suo annullamento, una volta che nemmeno l’Amministrazione abbia ritenuto di sospenderne tempestivamente, con gli strumenti datile dall’ordinamento, l’efficacia.
Non solo, dunque, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, il tempo successivo alla comunicazione di avvio del procedimento di riesame della validità della concessione edilizia deve ritenersi utile alla formazione di un legittimo affidamento in capo al privato titolare della medesima, ma la stessa sua abnormità (nella fattispecie circa 14 mesi a fronte del termine legislativamente fissato in 30 giorni dall’art. 2 della legge n. 241/1990 nella versione ratione temporis applicabile alla fattispecie) rispetto al brevissimo termine (15 giorni) dato al privato stesso con detta comunicazione per la presentazione di memorie scritte, è indubbiamente valsa a rafforzare man mano, col trascorrere del tempo successivo alla scadenza del termine assegnato al privato per la utile partecipazione al procedimento, tale affidamento circa il consolidamento della propria posizione giuridica e dunque circa il mantenimento di validità ed efficacia del provvedimento ampliativo della sua sfera giuridica.
Né il privato medesimo, come pure erroneamente sostiene l’Amministrazione, in quanto “avvisato del rischio di un eventuale annullamento”, per “avere certezza della sua situazione giuridica soggettiva”, avrebbe dovuto “mettere in mora l’amministrazione per una conclusione tempestiva del procedimento” ( pag. 7 app. ).
Se, infatti, da un lato la pubblica amministrazione ha l’obbligo di portare a compimento i procedimenti amministrativi con un’azione definita tanto nei modi dalle varie disposizioni che regolano il procedimento amministrativo in generale e le singole fattispecie di procedimento (in relazione a quello ch’è al tempo stesso il suo atto conclusivo ed il fine espresso per il quale il procedimento stesso è stato instaurato) quanto nei tempi concessi per la sua definizione (art. 2 della legge n. 241/1990) e dall’altro al soggetto, che a tale definizione sia interessato, è concesso di attivare la procedura per la rimozione dell’inerzia amministrativa con il nuovo rito previsto dall’art. 2 della legge n. 205/2000, comunque le procedure e gli strumenti di tutela previsti dall'ordinamento contro l'inerzia dell'amministrazione si riferiscono invero ai casi, nei quali sia riscontrabile l'inadempimento da parte dell'autorità ad un obbligo di provvedere sulla istanza del privato tendente a sollecitare l'esercizio di un pubblico potere e, quindi, l'emanazione di un provvedimento di carattere autoritativo; per cui si palesa evidente la insussistenza di tali presupposti in caso di esercizio del potere di autotutela, ch’è potere tipicamente discrezionale della Pubblica amministrazione, che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell'atto, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile.
Dato, peraltro, che la certezza delle situazioni giuridiche definite è essa stessa un bene irrinunciabile, posto a tutela dei cittadini (Cons. St., VI, 01.04.1992, n. 201), la stessa non può certo considerarsi attenuata, come già detto, da una mera comunicazione di avvio del procedimento inteso all’adozione di provvedimenti di annullamento o di modifica di precedenti determinazioni, una volta che dal concreto svolgersi del procedimento stesso il privato abbia buoni motivi di evincere l’abbandono, da parte della P.A., della volontà di provvedere nuovamente, sacrificando il suo interesse al mantenimento dell’efficacia del provvedimento, sul rapporto come delineato dal provvedimento stesso; e ciò in ragione dell’evidente irragionevolezza di un intervento di tal fatta in relazione al tempo che va trascorrendo rispetto al momento in cui, in forza proprio di quel provvedimento, la sua sfera giuridico-patrimoniale s’è arricchita di un bene nuovo, come pure in ragione del palese contrasto con i principi di ragionevolezza, proporzionalità e correttezza dell’azione amministrativa di un atto di ritiro, che sopraggiunga 14 mesi dopo l’inizio del relativo procedimento, senza, peraltro, recare né i “segni” di una istruttoria particolarmente laboriosa e ponderosa, né, come s’è visto, la puntuale esternazione (con adeguata motivazione della scelta effettuata) delle ragioni, per le quali si ritiene prevalente l’interesse pubblico e recessivo quello privato.
Ne deriva che l’affidamento maturato in capo all’odierna appellata in relazione al rilascio della concessione edilizia poi annullata non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili, rilevando semmai il mancato utilizzo, da parte dell’interessato, della facoltà di sollecitare l’Amministrazione alla conclusione del procedimento di riesame, più che sulla legittimità del provvedimento alfine adottato all’ésito del procedimento stesso, in un’eventuale sede risarcitoria, estranea all’oggetto del presente giudizio come risultante dalla devoluzione operatane con l’atto di appello.
Quanto, poi, alla verifica, richiesta al Giudice di legittimità, della correttezza della valutazione effettuata dall’Amministrazione circa la sussistenza di elementi ulteriori rispetto a quello della mera illegittimità dell’atto da eliminare, essa va in ogni caso compiuta sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a séguito del rilascio dell’atto abilitativo e della situazione, che si determina a séguito del suo ritiro.
Una simile valutazione risulta nel caso di specie viziata, come correttamente rilevato dal TAR, in ordine alla omessa considerazione, da parte dell’Amministrazione, in sede di adozione dell’atto di ritiro, della “incidenza specifica dell’immobile in questione sulla vivibilità e funzionalità dell’intero insediamento abitativo, anche in considerazione dell’imminente approvazione, da parte dell’Autorità regionale, della nuova Variante Generale al P.R.G. adottata dal Comune di Marino con deliberazione consiliare n. 62 del 24.11.2000, in base alla quale l’intervento realizzato dalla ricorrente doveva ritenersi pienamente rispondente agli indici di fabbricabilità ivi contemplati” (pag. 7 sent.).
Ciò non significa, si badi, che il tecnico chiamato a verificare la conformità urbanistica dell’intervento già assentito e la sussistenza delle condizioni per l’annullamento dell’atto abilitativo avrebbe dovuto (illegittimamente, come ha buon gioco ad affermare l’odierno appellante) “anticipare gli effetti del nuovo e non ancora approvato P.R.G.” (pag. 8 app.).
Ciò significa invece, piuttosto, che l’intervenuta adozione di una variante al P.R.G., nella quale incontestatamente le nuove norme prevedono il solo intervento diretto per la sottozona in questione, all’uopo riprendendo l’indice fondiario da quello della Tabella “A” delle norme tecniche del vigente P.R.G. (e quindi proprio l’indice, di cui è stata fatta applicazione in sede di rilascio della concessione edilizia oggetto del qui controverso atto di annullamento), doveva portare logicamente l’organo agente in autotutela ad escludere la intervenuta menomazione, per effetto dell’effettuato rilascio della concessione edilizia pur pacificamente illegittima, di interessi (nella fattispecie quello ad “un adeguato apporto di standard urbanistici”, che l’illegittimo “incremento volumetrico verrebbe inevitabilmente a compromettere in modo irreparabile”: così, come s’è visto, la motivazione del provvedimento oggetto del giudizio), che lo stesso Comune, con lo strumento di una Variante al piano in corso di approvazione (che sarebbe poi intervenuta circa un mese dopo l’adozione dell’atto di ritiro di cui si tratta e che deve ritenersi assistita, in virtù del regime di pubblicità che la contraddistingue, dal carattere della notorietà), laddove, al secondo comma dell’art. 30 delle nuove NN.TT.A., stabilisce che “la variante generale conferma i caratteri edilizi consolidati con l’attuazione del vigente P.R.G.” e laddove conseguentemente (come s’è già detto) prevede il solo intervento diretto per le sottozone “B4” e “B5” con un indice fondiario pari a quello applicato per il rilascio della concessione edilizia annullata, ha ritenuto invece recessivi o comunque adeguatamente soddisfatti dagli standards urbanistici esistenti.
Ne risulta, in definitiva, una valutazione della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’adozione dell’atto di ritiro (che, si ricorda, dev’essere diverso dal mero ripristino della legalità), illogica e contraddittoria rispetto alla valutazione dello stesso interesse pubblico compiuta in sede di nuove scelte di pianificazione urbanistica; e se ciò non vale certo a rendere dette scelte applicabili alla fattispecie relativa alla pratica edilizia de qua (che si sottrae ratione temporis alla loro operatività, sì che esse rilevano, come correttamente deduce il Comune, per un eventuale accertamento di conformità ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001), siffatta incongruità rende l’atto di ritiro stesso, anche in relazione al già veduto lasso di tempo trascorso dal rilascio della concessione edilizia oggetto di annullamento ed alla intervenuta pacifica esecuzione dei relativi lavori, inidoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
Detto sacrificio, peraltro, non risulta nemmeno legittimato da una adeguata attività istruttoria quanto all’affermata mancanza, posta nell’atto di ritiro a supporto della ritenuta compromissione ad opera dell’illegittima concessione edilizia di “un sufficiente grado di funzionalità e vivibilità dell’attuale insediamento abitativo” (così, sempre, la veduta motivazione), di “un adeguato supporto di standard urbanistici”.
Per escludere, invero, l’applicazione delle direttive impartite con la propria precedente deliberazione n. 50 in data 29.10.2001, lo stesso Consiglio Comunale, con la successiva deliberazione n. 45/2003, riteneva necessarie “puntuali verifiche in mérito alla esistenza delle opere di urbanizzazione nella qualità e nella quantità previste dalle N.T.A. del vigente P.R.G. per le zone B”.
Se è vero, dunque, che il P.R.G. stabilisce un diverso indice fondiario a seconda dell’intervenuta adozione o meno di Piani Particolareggiati ovvero di Piani di Lottizzazione Convenzionati e se è altrettanto vero che la valutazione del grado di urbanizzazione dell’area va effettuata in relazione alla adeguatezza e fruibilità delle opere di urbanizzazione medesime tenuto conto sia della consistenza dell’intervento di cui si tratti sia della situazione esistente dell’intera zona (il che vale ad escludere che il dovuto accertamento possa ritenersi, come pretende in questa sede l’appellante peraltro in contrasto con le precedenti vedute sue determinazioni, contenuto nelle stesse norme tecniche di attuazione del P.R.G. allora vigente), la prova rigorosa della non esistenza e non sufficienza delle opere di urbanizzazione, quale elemento imprescindibile dell’istruttoria del procedimento di cui si tratta, spetta indubbiamente all’Amministrazione.
Orbene, proprio in relazione a tale valutazione in concreto (come s’è visto) ritenuta necessaria dallo stesso organo di indirizzo politico-amministrativo deve notarsi come né il provvedimento oggetto del giudizio, né gli atti della relativa istruttoria  ed in particolare la relazione del Responsabile del Procedimento), non illustrino per nulla l’accertamento effettuato in ordine alla esistenza o meno di dette opere con particolare riferimento alla loro consistenza ed eventuale insufficienza a sopportare l’incremento del carico urbanistico discendente dall’intervento illegittimamente assentito; e ciò a maggior ragione, in presenza di una pregressa valutazione, da parte del Consiglio Comunale, in sede di adozione delle predette nuove scelte pianificatòrie (pur non direttamente rilevanti, come già detto, nel procedimento di cui si tratta), di sostanziale sufficienza degli standards urbanistici nella sottozona de qua.
Né è condivisibile il ribaltamento dell’onere della prova, che l’Amministrazione tenta in proposito di operare nell’atto di appello.
Occorre invero notare che il fatto, di cui deve dare in tal caso prova la pubblica amministrazione, è un fatto negativo (ossia la mancanza di un determinato elemento, assunta a presupposto della valutazione dell’interesse pubblico posto a base dell’atto impugnato); e la relativa prova non può che essere riportata all’interno dell’obbligo generale incombente sull’Amministrazione di acquisizione completa dei fatti (con correlato onere di trasparenza ed accessibilità) nella sede procedimentale, la cui funzione ordinatrice (essendo il procedimento strumento di affermazione del principio di conformità dell'azione, attribuendo significato all'attività amministrativa, in seno alla quale la fattispecie legale è destinata a realizzarsi: Cons. St., IV, 21.10.2008, n. 5154) rende rilevanti, sotto il profilo della produzione degli effetti definitivi che il provvedimento conclusivo è destinato a produrre, tutti quegli atti ("materiale amministrativo"), che sono stati utilizzati a tal fine e che comunque incidono sul risultato finale.
Una volta, sulla base delle considerazioni di cui sopra, accertata l’illegittimità del provvedimento di ritiro di cui si tratta per la mancanza di idonea specifica motivazione atta a dimostrare le ragioni che lo sostengono, non può trovare infine nemmeno adesione l’invocato richiamo, effettuato dall’Amministrazione nell’atto di appello, al disposto dell’art. 21-octies della legge n. 241/1990.
Avendo, invero, il provvedimento, di cui all’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, carattere tipicamente discrezionale (Cons. St., V, 07.01.2009, n. 17), l’Amministrazione, al fine di escludere l’effetto invalidante del vizio procedimentale ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della stessa legge, ha l’onere di dimostrare che, anche alla luce della comparazione con gli affidamenti ingenerati e di una completa valutazione delle posizioni antagoniste, la determinazione di ritiro sia l’unico sbocco decisionale possibile a séguito del riscontro della illegittimità dell’atto oggetto di ritiro.
Orbene, una tale dimostrazione manca del tutto nelle deduzioni dell’appellante, che pone a base della affermata “evidenza” circa un non possibile diverso ésito del procedimento:
- il “palese ed accertato contrasto della concessione annullata con le norme di piano regolatore indicate nel provvedimento”, dimenticando che non è qui in discussione la sussistenza o meno di siffatto “contrasto”, quanto, piuttosto, la necessità che, nell’ipotesi in cui la legittimità dell'opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, il potere di autotutela risulti opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa (Cons. St., IV, 25.01.2008, n. 5811);
- “il parere del tecnico comunale del 17.10.2003, in cui vengono evidenziate in maniera dettagliata le necessità urbanistiche dell’area”: parere, questo, che, come s’è visto, si configura invero come atto infraprocedimentale privo di qualsivoglia riferimento alla necessaria e ponderata valutazione comparativa degli interessi contrapposti in considerazione e privo altresì di una accettabile, concreta e compiuta verifica quanto a quella asserita mancanza di “adeguato supporto di standard urbanistici”, che il provvedimento conclusivo assume come presupposto dell’interesse pubblico, posto a base del provvedimento stesso, alla non compromissione del “già precario assetto urbanistico-edilizio della zona B4 interessata”;
- il “fatto che lo stesso TAR Lazio, in altre vicende similari, riguardanti sempre il Comune di Marino ed ambiti omogenei di P.R.G. equivalenti a quelli in esame, ha ritenuto invece di non annullare i provvedimenti di annullamento in autotutela proprio perché è stata riconosciuta l’insufficienza degli standard per cui è causa”: assunto, questo, che pretende indebitamente di porre a supporto del procedimento di cui si tratta pronunce giurisprudenziali ad esso estranee e successive, peraltro nemmeno passate in giudicato e comunque facenti stato, com’è noto, solo tra le parti, che risultano diverse da quelle del procedimento di autotutela, di cui si tratta.
L’Amministrazione, insomma, neanche nella sede giudiziaria è stata in grado di dimostrare l’ineluttabilità del contrastato provvedimento mediante la puntuale esplicitazione o di ragioni già emergenti dall’istruttoria e rimaste inespresse, o di accertamenti nel corso della stessa effettuati e suscettibili di caratterizzare il provvedimento stesso come necessitato, o di richiami normativi prima non risultanti dal provvedimento, ovvero di nuove, adeguate, giustificazioni sottese alla scelta discrezionale compiuta con l’atto; il che vale, in definitiva, ad escludere l’applicabilità, nella fattispecie, dell’art. 21-octies, comma 2, seconda parte, della legge n. 241 del 1990.
L’appello, in definitiva, è da respingere
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 16.04.2010 n. 2178 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATAPermesso di costruire. Conformità al vigente P.R.G..
E’ chiesto parere in merito ai possibili rimedi esperibili da un Comune che abbia rilasciato un permesso di costruire sulla base di un erroneo presupposto, consistente in un elaborato progettuale risultato non conforme al vigente P.R.G. (Regione Piemonte, parere 44/2009 - tratto da www.regione.piemonte.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato.
Detto orientamento ha trovato, tra l’altro, conferma nelle recenti disposizioni della Legge n. 15 del 2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica annullamento di ufficio: ogni procedimento deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, di cui si deve dare atto nel proprio corredo motivazionale.

Per contro, anche il provvedimento di annullamento di ufficio di una concessione edilizia deve essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza dell’interesse pubblico, specifico e concreto, che giustifica il ricorso all’autotutela anche in ordine alla prevalenza del predetto interesse pubblico su quello antagonista del privato (cfr. ex multis, Tar Sicilia, Catania, sez. I, 03.10.2005, n.1529; Tar Basilicata, 10.05.2005, n. 299; Tar Calabria, Catanzaro, sez. II, 24.04.2006, n. 422; Tar Trentino Alto Adige, Trento, 02.01.2007, n. 4; Cons. Stato, sez. V, 01.03.2003, n. 1150; idem, sez. V, 12.10.2004, n. 6554).
Detto orientamento ha trovato, tra l’altro, conferma nelle recenti disposizioni della Legge n. 15 del 2005, che ha introdotto l’art. 21-nonies alla Legge n. 241 del 1990, sotto la rubrica annullamento di ufficio: ogni procedimento deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, di cui si deve dare atto nel proprio corredo motivazionale (cfr. Tar Campania, Napoli, sez. II, 12.02.2007, n. 1003; Tar Marche, sez. I, 14.02.2007, n. 34; Cons. Stato, sez. IV, 31.10.2006, n. 6465)
(TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 13.02.2009 n. 799 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATA: L’annullamento d’ufficio di concessione edilizia non necessita di specifica motivazione sul pubblico interesse, specie se sia disposto in considerazione della natura permanente del contrasto con lo strumento urbanistico e soprattutto se interviene dopo un breve lasso di tempo dal rilascio dei titoli senza che l’edificazione sia stata ultimata.
Invero, secondo consolidata giurisprudenza, l’annullamento d’ufficio di concessione edilizia non necessita di specifica motivazione sul pubblico interesse, specie se sia disposto in considerazione della natura permanente del contrasto con lo strumento urbanistico e soprattutto se interviene dopo un breve lasso di tempo dal rilascio dei titoli senza che l’edificazione sia stata ultimata (cfr. Cons. Stato, V Sez., n. 211/1997; n. 1567/1995 e n. 187/1995) (Nel caso de quo, l’intervallo temporale fra rilascio della concessione ed intervento di autotutela va letto tenendo della sospensione temporale operata dal provvedimento di sequestro dell’area) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.10.2007 n. 5601 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAllorquando l’annullamento in autotutela della concessione edilizia da parte del Comune viene disposto non per ragioni prettamente urbanistiche, ma, doverosamente, in conseguenza di un provvedimento di annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico, l’interesse pubblico all’annullamento è in re ipsa per l’assoluta preminenza dei valori di rango costituzionale (Cfr. art. 9 Cost.) sottesi ad entrambi gli atti di autotutela posti in essere.
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L'annullamento, in autotutela, di una concessione edilizia non deve essere preceduto dal parere della Commissione edilizia nel caso in cui il provvedimento sia sorretto unicamente da valutazioni logico-giuridiche (come quando si renda necessario adeguarsi all’annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico) e non anche e solo da valutazioni di ordine tecnico-edilizio.
Secondo la giurisprudenza il parere della commissione comunale edilizia non è necessario per la revoca di una licenza edilizia laddove non venga richiesto alcun apprezzamento tecnico di competenza dell'organo consultivo ed il provvedimento di autotutela venga adottato per ragioni strettamente giuridiche.

Q
uanto all’ulteriore argomento secondo cui a distanza di sette anni dalla realizzazione delle opere occorrerebbe un adeguata motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale ad operare l’annullamento in sede di autotutela, considerando anche il consolidamento delle situazioni giuridiche degli interessati, basterà rilevare che, allorquando l’annullamento in autotutela della concessione edilizia da parte del Comune viene disposto non per ragioni prettamente urbanistiche, ma, doverosamente, in conseguenza di un provvedimento di annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico, l’interesse pubblico all’annullamento è in re ipsa per l’assoluta preminenza dei valori di rango costituzionale (Cfr. art. 9 Cost.) sottesi ad entrambi gli atti di autotutela posti in essere.
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Infondata, quindi, è anche l’ultima censura atteso che l'annullamento, in autotutela, di una concessione edilizia non deve essere preceduto dal parere della Commissione edilizia nel caso in cui il provvedimento sia sorretto unicamente da valutazioni logico-giuridiche (come quando si renda necessario adeguarsi all’annullamento ministeriale del nulla-osta paesaggistico) e non anche e solo da valutazioni di ordine tecnico-edilizio.
Secondo la giurisprudenza il parere della commissione comunale edilizia non è necessario per la revoca di una licenza edilizia laddove non venga richiesto alcun apprezzamento tecnico di competenza dell'organo consultivo ed il provvedimento di autotutela venga adottato per ragioni strettamente giuridiche (TAR Sicilia Catania, 29.12.1981, n. 639)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 10.04.2007 n. 3193 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2006

EDILIZIA PRIVATA: Il provvedimento di annullamento o di revoca di una concessione edilizia, costituendo attività discrezionale della pubblica amministrazione, deve essere congruamente motivato in ordine alla specifica esigenza dell’eliminazione di un pregiudizio attuale ad un pubblico bene.
Il mero richiamo a norme secondarie, che si assumono violate e all’interesse pubblico che si assume sacrificato, non costituiscono sufficiente motivazione a fronte dell’interesse del privato.

Il Collegio procede quindi ad esaminare la seconda parte del secondo motivo di ricorso, con la quale il ricorrente lamenta che il Comune non abbia in alcun modo motivato circa l’interesse pubblico ulteriore rispetto l’interesse del ricorrente, previa comparazione tra le due situazioni, e ravvisa fondata la doglianza.
Basta leggere l’atto di ritiro impugnato per avvedersi che manca del tutto la motivazione circa l’interesse pubblico concreto ed attuale ulteriore rispetto al mero ripristino della legalità violata.
Con sentenza n. 1103 del 01.07.2003 questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che “il provvedimento di annullamento o di revoca di una concessione edilizia, costituendo attività discrezionale della pubblica amministrazione, deve essere congruamente motivato in ordine alla  specifica esigenza dell’eliminazione di un  pregiudizio attuale ad un pubblico bene…. Il mero richiamo a norme secondarie, che si assumono violate e all’interesse pubblico che si assume sacrificato, non costituiscono sufficiente motivazione a fronte dell’interesse del privato…..”.
Il principio posto dalla Sezione va riaffermato: anche nel caso in questione è mancata la valutazione dell’interesse privato che si andava a sacrificare con l’atto di ritiro impugnato, ed è del pari mancata la necessaria motivazione specifica circa l’interesse pubblico concreto ed attuale ulteriore rispetto a quello al mero ripristino della legalità (che si assume violata).
Ne consegue l’illegittimità anche sotto tale profilo dell’atto di annullamento impugnato, che viene quindi annullato
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 25.10.2006 n. 1960 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL'annullamento della concessione risulta giustificato dalla necessità di applicazione di norme volte a tutelare interessi pubblici, quali quelle relative alla distanza tra fabbricati, che essendo inderogabili rendono sostanzialmente vincolata l’iniziativa assunta dal Comune.
Il quarto motivo è volto a riproporre le doglianze in ordine alla asserita inesistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla eliminazione dell'atto concessorio, prevalente sul contrapposto interesse del privato.
A tali argomentazioni è agevole replicare che, nel caso di specie, come espressamente indicato nel provvedimento impugnato, l'annullamento della concessione risultava giustificato dalla necessità di applicazione di norme volte a tutelare interessi pubblici, quali quelle relative alla distanza tra fabbricati, che essendo inderogabili rendevano sostanzialmente vincolata l’iniziativa assunta dal Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.07.2002, n. 3929) (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 26.05.2006 n. 3201 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAllorquando un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla Pubblica Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente “in re ipsa”.
Ove si consideri, poi, che –al fine precipuo di conseguire l’autorizzazione commerciale n. 786 del 1987– il legale rappresentante della S.r.l. .... ha falsamente dichiarato e documentato che il predetto locale disponeva, invece, di una superficie di vendita di 500 mq., si rivela manifestamente priva di pregio giuridico la principale censura prospettata in ricorso incentrata sulla dedotta carente individuazione, nella motivazione del provvedimento di annullamento, dell’esistenza di un interesse pubblico specifico e concreto (diverso da quello al mero ripristino della legalità violata) idoneo a giustificare l’esercizio della potestà di autotutela.
E’ noto, infatti, che –secondo l’insegnamento giurisprudenziale prevalente e condiviso dal Tribunale– allorquando (come nella fattispecie concreta de qua) un provvedimento amministrativo ampliativo sia stato ottenuto dall’interessato in base ad una falsa rappresentazione della realtà materiale, è consentito alla Pubblica Amministrazione di esercitare il proprio potere di autotutela ritirando l’atto stesso, senza necessità di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse, che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente “in re ipsa” (ex multis: TAR Emilia Romagna, Bologna, II Sezione, 10.06.2002 n. 854) (TAR Puglia-Lecce, Sez. I, sentenza 04.04.2006 n. 1831 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2005

EDILIZIA PRIVATANon appare neppure condivisibile l’ultima censura dedotta in ricorso e cioè la mancanza dell’interesse pubblico all’annullamento della rilasciata concessione in variante, dal momento che, oramai per giurisprudenza costante, va ritenuto che quando il provvedimento di autotutela si basa sul contrasto dell’opera da realizzare con gli strumenti urbanistici l’interesse pubblico all’annullamento è in re ipsa e non è necessaria una specifica motivazione al riguardo.
Oltre tutto il breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio della concessione e il suo annullamento (circa sei mesi), peraltro rilevato dalla motivazione del provvedimento stesso laddove si specifica che non sono neppure iniziati i lavori di costruzione, essendo limitati ad un parziale sbancamento, impedisce che si siano consolidate posizioni soggettive anche di affidamento sì da rendere necessaria una precisa e puntuale motivazione in ordine al detto interesse pubblico.

Non appare neppure condivisibile l’ultima censura dedotta in ricorso e cioè la mancanza dell’interesse pubblico all’annullamento della rilasciata concessione in variante, dal momento che, oramai per giurisprudenza costante, va ritenuto che quando il provvedimento di autotutela si basa sul contrasto dell’opera da realizzare con gli strumenti urbanistici l’interesse pubblico all’annullamento è in re ipsa e non è necessaria una specifica motivazione al riguardo (TAR Veneto, sez. II, 09.10.2003, n. 5227).
Oltre tutto il breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio della concessione e il suo annullamento (circa sei mesi), peraltro rilevato dalla motivazione del provvedimento stesso laddove si specifica che non sono neppure iniziati i lavori di costruzione, essendo limitati ad un parziale sbancamento, impedisce che si siano consolidate posizioni soggettive anche di affidamento sì da rendere necessaria una precisa e puntuale motivazione in ordine al detto interesse pubblico (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 17.06.2003, n. 965) (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 15.06.2005 n. 1110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2003

EDILIZIA PRIVATAIn presenza della realizzazione di una significativa parte delle opere assentite, non può l’Amministrazione, tornando, dopo oltre un anno, sul titolo concessorio rilasciato, disporne l’annullamento per semplici ragioni di ripristino della legalità.
E, invero, correttamente il TAR ha escluso che il provvedimento di annullamento di concessione edilizia fosse correttamente motivato sotto il profilo dell’interesse pubblico e della comparazione con quello privato.
In presenza, infatti, come nella specie, della realizzazione di una significativa parte delle opere assentite, non può l’Amministrazione, tornando, dopo oltre un anno, sul titolo concessorio rilasciato, disporne l’annullamento per semplici ragioni di ripristino della legalità; e ciò tanto più dopo avere assunto, nel tempo (e, precisamente, a partire dal 1988), a favore della Cooperativa, una serie di determinazioni, mai rimosse dal mondo giuridico (sebbene pure esse adottate nell’asserita assenza di validità del P. di Z.), tali da avere determinato un più che valido e legittimo affidamento, da parte della Cooperativa stessa, in merito alla realizzabilità dell’intervento, concretizzatasi, poi, con il rilascio del contestato titolo edificatorio (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 12.11.2003 n. 7218 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl potere di annullamento di una concessione edilizia prescinde dalla valutazione del pubblico interesse, che è in re ipsa.
... considerato che il potere di annullamento ex art. 98 L.R. 61/1985 (ndr: annullamento dei provvedimenti comunali, da parte del consiglio provinciale) prescinde dalla valutazione del pubblico interesse, che è in re ipsa (cfr. Cons. St., IV, 16.03.1998 n. 443) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 09.10.2003 n. 5227 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sull'annullamento del provvedimento abilitativo circa la costruzione di un box in deroga ex lege n. 122/1989.
La circostanza che sul problema della interpretazione dell'art. 9 l. 122/1989 sussista giurisprudenza diversa, nonché profili di ampio contenuto e di diverse possibili tesi ricostruttive, implica che avendo dapprima autorizzato il manufatto sulla base dell'art. 9 della legge Tognoli, l'Amministrazione avrebbe dovuto ancora più ampiamente dare conto delle ragioni di interesse pubblico che l'hanno consigliata sia alla diversa interpretazione e sia alla rimozione del precedente provvedimento.
Non è sufficiente, infatti, addurre presunte false rappresentazioni o inesatte indicazioni tecniche inerenti una pretesa esistenza (o assenza) del terzo muro interrato o assenza di quote grafiche nel progetto per dare conto di quale interesse pubblico preminente giustifichi la rinuncia alla realizzazione di un manufatto che, per condizioni e per localizzazione, assicura il rispetto di quelle (inderogabili) finalità di legge già viste sopra.
Né appare sufficiente richiamare il “rispetto della legalità violata” per motivare l'annullamento del titolo abilitativo a manufatto realizzato, dopo aver consacrato una valutazione positiva della istanza in un provvedimento assistito dalla presunzione di legittimità e quindi come tale pienamente suscettibile di fondare l'affidamento dell'istante non solo per l'efficacia sua propria, ma anche in virtù della rilevanza generale che ad esso si riconduce per effetto del più volte citato art. 9.
Si tratta all'evidenza di un comportamento contrastante con i canoni della buona fede esecutiva che deve assistere le parti di un rapporto pubblico amministrativo al pari delle parti di un contratto, sorgendo dal procedimento amministrativo un vero e proprio obbligo di tutela dell'affidamento.
Affidamento che, nella specie, andava ancora maggiormente garantito in presenza delle precipue finalità di incentivazione della norma alla realizzazione di parcheggi privati, nonché delle differenti possibilità interpretative che la stessa norma, per come visto sopra, consente e quindi, al contempo, per il maggiore affidamento che da tutto questo deriva in capo al privato sulle funzioni certificative proprie dell'Ente nell'esercizio del potere ampliativo ad esso affidato.
Inoltre, il provvedimento avrebbe dovuto essere congruamente motivato sul punto dell'interesse pubblico attuale alla rimozione anche per il deficit di comprensione e prevedibilità del comportamento dovuto che deriva dalla possibile diversa possibile interpretazione della norma in punto di fatto.

II) Circa l'aspetto appena indicato, si deve rilevare che il ricorso è fondato per le seguenti considerazioni.
La circostanza che sul problema della interpretazione della norma su esposta sussista giurisprudenza diversa, nonché profili di ampio contenuto e di diverse possibili tesi ricostruttive, implica che avendo dapprima autorizzato il manufatto sulla base dell'art. 9 della legge Tognoli, l'Amministrazione avrebbe dovuto ancora più ampiamente dare conto delle ragioni di interesse pubblico che l'hanno consigliata sia alla diversa interpretazione e sia alla rimozione del precedente provvedimento.
Non è sufficiente, infatti, addurre presunte false rappresentazioni o inesatte indicazioni tecniche inerenti una pretesa esistenza (o assenza) del terzo muro interrato o assenza di quote grafiche nel progetto per dare conto di quale interesse pubblico preminente giustifichi la rinuncia alla realizzazione di un manufatto che, per condizioni e per localizzazione, assicura il rispetto di quelle (inderogabili) finalità di legge già viste sopra.
Né appare sufficiente richiamare il “rispetto della legalità violata” per motivare l'annullamento del titolo abilitativo a manufatto realizzato, dopo aver consacrato una valutazione positiva della istanza in un provvedimento assistito dalla presunzione di legittimità e quindi come tale pienamente suscettibile di fondare l'affidamento dell'istante non solo per l'efficacia sua propria, ma anche in virtù della rilevanza generale che ad esso si riconduce per effetto del più volte citato art. 9.
Si tratta all'evidenza di un comportamento contrastante con i canoni della buona fede esecutiva che deve assistere le parti di un rapporto pubblico amministrativo al pari delle parti di un contratto, sorgendo dal procedimento amministrativo un vero e proprio obbligo di tutela dell'affidamento. Affidamento che, nella specie, andava ancora maggiormente garantito in presenza delle precipue finalità di incentivazione della norma alla realizzazione di parcheggi privati, nonché delle differenti possibilità interpretative che la stessa norma, per come visto sopra, consente e quindi, al contempo, per il maggiore affidamento che da tutto questo deriva in capo al privato sulle funzioni certificative proprie dell'Ente nell'esercizio del potere ampliativo ad esso affidato.
Inoltre, il provvedimento avrebbe dovuto essere congruamente motivato sul punto dell'interesse pubblico attuale alla rimozione anche per il deficit di comprensione e prevedibilità del comportamento dovuto che deriva dalla possibile diversa possibile interpretazione della norma in punto di fatto.
Ne consegue, dunque che il ricorso è fondato in relazione ad entrambi i profili esposti
(TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 03.10.2005 n. 1531 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl potere di annullamento d'ufficio delle concessioni di costruzione illegittime, conferito al Sindaco dagli artt. 10 della l. 06.08.1967 n. 765 e 1 della l. 28.01.1977 n. 10, diverge da quello conferito alla Regione dagli artt. 7 della legge n. 765 cit. e 1 D.P.R. 15.01.1972 n. 8.
Infatti, mentre il primo deve valutare l'interesse pubblico alla rimozione dell' atto invalido alla stregua delle altre possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio riscontrato (modifica agli strumenti urbanistici, offerta di integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc.), la seconda -che è titolare solo di poteri di vigilanza e di controllo ma priva della facoltà di sostituirsi all' Ente locale nell' adottare determinate scelte- è tenuta a valutare l'interesse pubblico con riferimento esclusivo all' interesse alla conservazione della situazione esistente.
L’annullamento regionale si configura, anche per espresso richiamo normativo, come esercizio particolare del generale potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383, caratterizzato nella specifica previsione normativa dall’attribuzione non ad un autorità che si trova in posizione di sovraordinazione rispetto al Comune, ma all’ente che divide con esso (la Regione) le competenze in materia urbanistica, secondo un modello di ripartizione concorrente delle funzioni, che si articola su un piano sostanzialmente paritario, dove la prevalenza della scelta regionale è limitata a quei momenti nei quali essa si presenta come inevitabile per la funzionalità stessa del sistema.
In entrambi i casi si è in presenza di poteri discrezionali, ciò che è differente è lo spettro degli interessi che entrano nella valutazione comparativa che l’ente deve effettuare e la prospettiva –dinamica per il Comune e statica per la Regione– nella quale devono essere esaminati.
Deve soggiungersi che l'esercizio del potere sostitutivo previsto dall'art. 27 legge n. 1150 del 1942 e succ. mod., a differenza dei poteri di autotutela del Comune, non comporta un riesame del proprio precedente operato, ma è finalizzato allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
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Il provvedimento regionale di annullamento ai sensi dell’art. 27 della l. 17.08.1942 n. 1150 –come s’è detto- si caratterizza per la natura discrezionale.
Come è noto, là dove esercita una funzione discrezionale, la P.A. procedente ha l'obbligo di spiegare congruamente le ragioni per cui ha effettuato una determinata scelta, onde consentire la valutazione dell'avvenuto rispetto di tutte la regole che presiedono a detta funzione.
Invero, il difetto di motivazione -in violazione dell'art. 3 della l. 07.08.1990 n. 241, che richiede di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione alle risultanze dell'istruttoria- si configura ove l’atto amministrativo non consenta di comprendere in base a quali dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione, permettendo quindi al giudice di verificare il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso concreto.
Peraltro, va soggiunto che, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di motivazione (e coerentemente con i principi di trasparenza e lealtà desumibili dall'art. 97 Cost.), la funzione della motivazione si può dir soddisfatta anche quando nell'atto impugnato non siano esplicitamente e compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla statuizione, ma queste possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento.
...
Va ricordato, che parte della giurisprudenza, muovendo dalla considerazione che l'esercizio del potere sostitutivo previsto dall'art. 27 della l. n. 1150 del 1942 è finalizzato allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia, ha ritenuto che non sia necessario motivare in ordine alla sussistenza di uno specifico ed ulteriore interesse pubblico all’annullamento, ritenendo che questo inest in re ipsa.

Il thema decidendum all’esame del Collegio attiene all’identificazione dei presupposti, nonché alla determinazione delle modalità procedimentali, del potere regionale di annullamento di deliberazioni comunali non conformi agli strumenti urbanistici.
L’art. 27, primo comma, della l. 17.08.1942 n. 1150 (recante la rubrica “annullamento di autorizzazione comunali”), così come sostituito dall’art. 7 della legge 06.08.1967, n. 765, prevede che “Entro dieci anni dalla loro adozione le deliberazioni ed i provvedimenti comunali che autorizzano opere non conformi a prescrizioni del piano regolatore o del programma di fabbricazione od a norme del regolamento edilizio, ovvero in qualsiasi modo costituiscano violazione delle prescrizioni o delle norme stesse possono essere annullati, ai sensi dell'articolo 6 del testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con regio decreto 03.03.1934, n. 383, con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per i lavori pubblici di concerto con quello per l'interno”.
Siffatto potere è stato, quindi, trasferito alle Regioni ai sensi dell’art. 1, lett. o), del D.P.R. 15.01.1972 n. 8, là dove si prevede, nell’effettuare il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di urbanistica la clausola d’ordine generale “ogni ulteriore funzione amministrativa esercitata dagli organi centrali e periferici dello Stato …” (cfr. in tal senso: Cons. Stato sez. V 30.9.1980 n. 801, la quale evidenzia che l’elencazione di cui all’art. lett. da a) ad n) ha carattere esemplificativo, stante la disposizione di chiusura contenuta nella successiva lett. o).
Il terzo comma dell’art. 27 cit. prevede che il provvedimento di accertamento …è preceduto dalla contestazione delle violazioni stesse al titolare della licenza, al proprietario della costruzione e al progettista, nonché alla Amministrazione comunale con l'invito a presentare controdeduzioni entro un termine all'uopo prefissato.
Sotto il profilo sistematico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 20.02.1998, n. 315, TAR Brescia 06.05.1988 n. 365 e la giurisprudenza antecedente ivi richiamata) va rilevato che il potere di annullamento d'ufficio delle concessioni di costruzione illegittime, conferito al Sindaco dagli artt. 10 della l. 06.08.1967 n. 765 e 1 della l. 28.01.1977 n. 10, diverge da quello conferito alla Regione dagli artt. 7 della legge n. 765 cit. e 1 D.P.R. 15.01.1972 n. 8.
Infatti, mentre il primo deve valutare l'interesse pubblico alla rimozione dell' atto invalido alla stregua delle altre possibilità di eliminare, in via alternativa, il vizio riscontrato (modifica agli strumenti urbanistici, offerta di integrazione delle opere di urbanizzazione, ecc.), la seconda -che è titolare solo di poteri di vigilanza e di controllo ma priva della facoltà di sostituirsi all' Ente locale nell' adottare determinate scelte- è tenuta a valutare l'interesse pubblico con riferimento esclusivo all' interesse alla conservazione della situazione esistente.
L’annullamento regionale si configura, anche per espresso richiamo normativo, come esercizio particolare del generale potere di annullamento d’ufficio di cui all’art. 6 del R.D. 03.03.1934 n. 383, caratterizzato nella specifica previsione normativa dall’attribuzione non ad un autorità che si trova in posizione di sovraordinazione rispetto al Comune, ma all’ente che divide con esso (la Regione) le competenze in materia urbanistica, secondo un modello di ripartizione concorrente delle funzioni, che si articola su un piano sostanzialmente paritario, dove la prevalenza della scelta regionale è limitata a quei momenti nei quali essa si presenta come inevitabile per la funzionalità stessa del sistema.
In entrambi i casi si è in presenza di poteri discrezionali, ciò che è differente è lo spettro degli interessi che entrano nella valutazione comparativa che l’ente deve effettuare e la prospettiva –dinamica per il Comune e statica per la Regione– nella quale devono essere esaminati.
Deve soggiungersi che l'esercizio del potere sostitutivo previsto dall'art. 27 legge n. 1150 del 1942 e succ. mod., a differenza dei poteri di autotutela del Comune, non comporta un riesame del proprio precedente operato, ma è finalizzato allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia.
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Il provvedimento regionale di annullamento ai sensi dell’art. 27 della l. 17.08.1942 n. 1150 –come s’è detto- si caratterizza per la natura discrezionale.
Come è noto, là dove esercita una funzione discrezionale, la P.A. procedente ha l'obbligo di spiegare congruamente le ragioni per cui ha effettuato una determinata scelta, onde consentire la valutazione dell'avvenuto rispetto di tutte la regole che presiedono a detta funzione.
Invero, il difetto di motivazione -in violazione dell'art. 3 della l. 07.08.1990 n. 241, che richiede di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione alle risultanze dell'istruttoria- si configura ove l’atto amministrativo non consenta di comprendere in base a quali dati specifici sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione, permettendo quindi al giudice di verificare il percorso logico seguito nell'applicare i criteri generali nel caso concreto.
Peraltro, va soggiunto che, secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, in omaggio ad una visione non meramente formale dell'obbligo di motivazione (e coerentemente con i principi di trasparenza e lealtà desumibili dall'art. 97 Cost.), la funzione della motivazione si può dir soddisfatta anche quando nell'atto impugnato non siano esplicitamente e compiutamente esplicitate le ragioni sottese alla statuizione, ma queste possano essere agevolmente colte dalla lettura degli atti afferenti alle varie fasi in cui si articola il procedimento (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 27.12.2001 n. 6417, idem 29/04/2002, n. 2281).
...
Va, sotto altro profilo, ricordato, che parte della giurisprudenza (cfr. Consiglio Stato sez. IV 16.03.1998 n. 443), muovendo dalla considerazione che l'esercizio del potere sostitutivo previsto dall'art. 27 della l. n. 1150 del 1942 è finalizzato allo scopo di ricondurre le Amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia, ha ritenuto che non sia necessario motivare in ordine alla sussistenza di uno specifico ed ulteriore interesse pubblico all’annullamento, ritenendo che questo inest in re ipsa
(TAR Lombardia-Brescia, sentenza 23.06.2003 n. 870).

EDILIZIA PRIVATAAl momento dell’adozione del provvedimento di annullamento, della concessione edilizia, erano già stati da tempo realizzati i lavori di costruzione della rimessa e si era già innescata, tra interessati e Comune, una precedente vicenda contenziosa in quanto gli odierni appellanti, nel realizzare l’opera, non si sarebbero conformati al titolo edificatorio del 1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione, che gli interessati abbiano maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzabilità delle opere in questione (e alla loro piena conformità alle disposizioni contenute nello strumento pianificatorio), quanto meno se e in quanto rispettosa dei limiti fissati in concessione; anzi, il fatto che la contestazione del 1994 avesse rilevato solo una eccedenza di altezza non consentita e non avesse, per contro, nulla dedotto in merito alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto preordinati al rilascio del titolo edificatorio, va rivisto come elemento capace di radicare ulteriormente, nel privato, il convincimento in merito alla legittimità, sotto tali profili, del titolo stesso.
Con la conseguenza che gli ulteriori provvedimenti del 2002 appaiono adottati ad una distanza di tempo tale da richiedere l’idonea motivazione di cui si è detto; motivazione (tanto più necessaria allorché, come nella specie, siano passati altri sette anni prima dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, delle iniziative demolitorie di cui si tratta) che, per ciò stesso, non può essere legata al puro e semplice ripristino della legalità, ma deve dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo in questione (ad esempio, per significative ragioni legate alla tutela della igiene e sanità, della sicurezza, dell’ambiente etc.) e della comparazione tra tale interesse e l’entità del sacrificio imposto all’interesse del privato.

Osserva, però, il Collegio che, al momento dell’adozione del provvedimento di annullamento del 1995, erano già stati da tempo realizzati i lavori di costruzione della rimessa e che, inoltre, si era innescata, tra interessati e Comune, una precedente vicenda contenziosa (definita con la citata sentenza di improcedibilità n. 349/2001) in quanto gli odierni appellanti, nel realizzare l’opera, non si sarebbero conformati al titolo edificatorio del 1992.
Ebbene, è da ritenere, in questa situazione, che gli interessati abbiano maturato un legittimo affidamento in merito alla realizzabilità delle opere in questione (e alla loro piena conformità alle disposizioni contenute nello strumento pianificatorio), quanto meno se e in quanto rispettosa dei limiti fissati in concessione; anzi, il fatto che la contestazione del 1994 avesse rilevato solo una eccedenza di altezza non consentita e non avesse, per contro, nulla dedotto in merito alla sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto preordinati al rilascio del titolo edificatorio, va rivisto come elemento capace di radicare ulteriormente, nel privato, il convincimento in merito alla legittimità, sotto tali profili, del titolo stesso (salve restando, naturalmente, le problematiche relative agli eventuali abusi in sede di realizzazione delle opere, che non possono, però, indurre a ritenere l’illegittimità del titolo, al contrario, confermato nei suoi contenuti).
Con la conseguenza che gli ulteriori provvedimenti del 2002 appaiono adottati ad una distanza di tempo tale da richiedere l’idonea motivazione di cui si è detto; motivazione (tanto più necessaria allorché, come nella specie, siano passati altri sette anni prima dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, delle iniziative demolitorie di cui si tratta) che, per ciò stesso, non può essere legata al puro e semplice ripristino della legalità, ma deve dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione del titolo in questione (ad esempio, per significative ragioni legate alla tutela della igiene e sanità, della sicurezza, dell’ambiente etc.) e della comparazione tra tale interesse e l’entità del sacrificio imposto all’interesse del privato (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 01.03.2003 n. 1150 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAE' illegittimo il provvedimento di revoca dell'autorizzazione edilizia rilasciata dal quale non solo non emergono neppure in via indiretta o implicita motivazioni o ragioni di particolare interesse pubblico alla sua emanazione, ma anzi è dato ragionevolmente desumere ragioni di puro interesse privatistico a difesa di diritti di terzi che la legge fa comunque salvi e che ben possono essere tutelati in altra e più opportuna sede senza coinvolgere l’amministrazione comunale in beghe di condominio.
Sotto il profilo del c.d. “ripristino della legalità”, non possono essere legittimamente addotte solo motivazioni correlate alla mera tutela dell’interesse privatistico dei terzi; tale interesse è fatto normalmente salvo da tutti i provvedimenti autorizzatori o concessori in ambito edilizio, mentre non spetta all’Amministrazione prendere posizione su di esso allorché non sia denegata la legittimazione dell’interessato (quanto meno nella veste di comproprietario) al rilascio del titolo richiesto e non si faccia questione in merito alla eventuale lesione di norme poste a tutela di interessi primari curati dall’Amministrazione (ad esempio, norme igienico-sanitarie) che, indirettamente, tutelano anche la posizione dei terzi.
Inoltre, trattandosi di provvedimento teso a rimuovere una precedente determinazione ampliativa della sfera giuridica dell’interessato, non può esso non recare (e a maggior ragione, nel caso di specie, in quanto emanato ad oltre tre anni dal rilascio del titolo autorizzatorio e ad opere ormai eseguite) puntuali precisazioni in merito all’interesse pubblico in concreto tutelato che vadano al di là del mero ripristino della legalità e, correlativamente, in ordine al pregiudizio che lo stesso, in quanto incidente sull’affidamento ingenerato nel privato, è in grado di produrre nella sfera di quest’ultimo.

Con la sentenza appellata il TAR ha rigettato il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento del provvedimento 14.02.1995 con il quale il Sindaco di Trento ha revocato l’autorizzazione edilizia 21.09.1992, n. 20329.
...
Esattamente deduce l’interessato, con il terzo motivo del ricorso di primo grado, che dal provvedimento impugnato “non solo non emergono neppure in via indiretta o implicita motivazioni o ragioni di particolare interesse pubblico alla sua emanazione, ma anzi è dato ragionevolmente desumere ragioni di puro interesse privatistico a difesa di diritti di terzi che la legge faceva e fa comunque salvi e che ben potevano essere tutelati in altra e più opportuna sede senza coinvolgere l’amministrazione comunale in beghe di condominio”.
E, in effetti, sotto il profilo del c.d. “ripristino della legalità”, non potevano essere legittimamente addotte solo motivazioni correlate alla mera tutela dell’interesse privatistico dei terzi; tale interesse è fatto normalmente salvo –come, nella specie, è stato fatto espressamente salvo- da tutti i provvedimenti autorizzatori o concessori in ambito edilizio, mentre non spetta all’Amministrazione prendere posizione su di esso allorché non sia denegata –come nel caso in esame, non è stata denegata- la legittimazione dell’interessato (quanto meno nella veste di comproprietario) al rilascio del titolo richiesto e non si faccia questione in merito alla eventuale lesione di norme poste a tutela di interessi primari curati dall’Amministrazione (ad esempio, norme igienico-sanitarie) che, indirettamente, tutelano anche la posizione dei terzi.
Che la titolarità del sottotetto debba fare capo al richiedente il titolo concessorio o al condominio è, del resto, questione che involge esclusivamente i rapporti interprivati ed eventuali controversie in materia possono essere definite solo dal giudice competente; mentre non può sposare l’Amministrazione la posizione di uno dei contendenti, né addurre a supporto delle proprie determinazioni sopravvenienze giuridiche (nella specie, decreto tavolare del 26.01.1994), potenzialmente controverse nei loro contenuti e che incidono, a loro volta, su rapporti interprivati.
Inoltre, trattandosi di provvedimento teso a rimuovere una precedente determinazione ampliativa della sfera giuridica dell’interessato, non poteva esso non recare, anche in quanto emanato ad oltre tre anni dal rilascio del titolo autorizzatorio e ad opere ormai eseguite, puntuali precisazioni in merito all’interesse pubblico in concreto tutelato che andassero al di là del mero ripristino della legalità e, correlativamente, in ordine al pregiudizio che lo stesso, in quanto incidente sull’affidamento ingenerato nel privato, era in grado di produrre nella sfera di quest’ultimo (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.02.2003 n. 899 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2002

EDILIZIA PRIVATAIn caso di annullamento d'ufficio del provvedimento, non occorre una specifica motivazione in ordine al c.d. interesse pubblico attuale quando il provvedimento, oltre ad attuare il ripristino della legalità violata, comporta in re ipsa la soddisfazione di un interesse pubblico di natura indisponibile. L'atto di annullamento d'ufficio di una concessione edilizia illegittima, che abbia consentito la realizzazione di un edificio in contrasto con lo strumento urbanistico generale, non necessita di altra motivazione che il riferimento al vizio di cui è affetta la concessione.
Nel caso di annullamento d'ufficio di una concessione che ha consentito la realizzazione di un edificio non prevista dal piano regolatore, l'Autorità mira a superare una situazione permanentemente antigiuridica, e cioè l'attuale contrasto tra le previsioni urbanistiche e la materiale sussistenza dell'edificio realizzato malgrado l'inedificabilità dell'area; pertanto, il relativo provvedimento non deve motivare in ordine alle ragioni che abbiano indotta l'Amministrazione a ritenere prevalenti gli interessi pubblici di cui costituisce espressione lo strumento urbanistico.

D’altra parte, come si evince dall’orientamento della costante giurisprudenza, "In caso di annullamento d'ufficio del provvedimento, non occorre una specifica motivazione in ordine al c.d. interesse pubblico attuale quando il provvedimento, oltre ad attuare il ripristino della legalità violata, comporta in re ipsa la soddisfazione di un interesse pubblico di natura indisponibile. L'atto di annullamento d'ufficio di una concessione edilizia illegittima, che abbia consentito la realizzazione di un edificio in contrasto con lo strumento urbanistico generale, non necessita di altra motivazione che il riferimento al vizio di cui è affetta la concessione.
Nel caso di annullamento d'ufficio di una concessione che ha consentito la realizzazione di un edificio non prevista dal piano regolatore, l'Autorità mira a superare una situazione permanentemente antigiuridica, e cioè l'attuale contrasto tra le previsioni urbanistiche e la materiale sussistenza dell'edificio realizzato malgrado l'inedificabilità dell'area; pertanto, il relativo provvedimento non deve motivare in ordine alle ragioni che abbiano indotta l'Amministrazione a ritenere prevalenti gli interessi pubblici di cui costituisce espressione lo strumento urbanistico
" (Cons. di Stato, sez. V, 26.11.1994, n. 1382) (TAR Lombardia-Brescia, sentenza 30.10.2002 n. 1696 - link a www.giustizia-amministrativa).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA: 1 - Concessione - Distanze legali tra edifici - Ratio della norma.
2 - Concessione - Distanze legali tra edifici - Violazione del D.M. 1444/1968 - Annullamento in via di autotutela - Legittimità - Irrilevanza della destinazione dello spazio tra edifici e dell'unicità del fabbricato.

1 - La disciplina legale delle distanze è preordinata alla tutela di interessi generali sussumibili nell'esigenza di evitare la creazione di intercapedini tra fabbricati dannose dal punto di vista igienico ma anche alla tutela di privati diritti soggettivi da individuarsi nella pretesa per ciascun proprietario o possessore di un edificio di godere di sufficiente veduta e di luce.
2 - E' legittimo l'annullamento in via di autotutela della concessione edilizia rilasciata in violazione dell'art. 9 del D.M. 1444/1968 in quanto, ai fini dell'osservanza delle distanze legali, la realizzazione di una sopraelevazione (e più precisamente il piano rialzato di un edificio) costituisce una nuova costruzione (o nuovo edificio, i due termini devono considerarsi sinonimi) che va ad occupare nuovi spazi a fronte dei quali sorge l'indefettibile esigenza, affermata dal legislatore, di assicurare al proprietario frontista un "minimum" di distacco commisurato appunto nei 10 metri di cui all'art. 9 del D.M. 1444/1968.
A tal fine, non rileva né l'eventuale circostanza che trattasi di un unico edificio, né la funzione riservata dai proprietari agli spazi esistenti tra edifici vicini, ma solo la loro oggettiva idoneità a costruire intercapedini vietate dalla legge, cosicché la distanza tra costruzioni imposta ex lege deve essere osservata anche nell'ipotesi in cui lo spazio tra detti edifici abbia funzione di cortile, costituendo questo, se largo meno della distanza minima prescritta, una intercapedine vietata.
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1. - Sulla rilevanza pubblicistica degli standard imposti dal D.M. 1444/1968 con riguardo ai distacchi tra fabbricati e i confini, si veda Tar Toscana, sez. III, 02.12.1999 n. 676 in Rass. TAR 2000 pag. 773 (massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 19.05.2000 n. 922 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 1981

EDILIZIA PRIVATA: La variante alla licenza edilizia ha carattere di accessione e di non autonomia, con la conseguenza che l'illegittimità della licenza originaria opera nei confronti della variante come invalidità caducante, e non meramente viziante; pertanto, l'annullamento della prima determina l'automatica rimozione della seconda (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 29.05.1981 n. 219).