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dossier CARTELLI STRADALI e INSEGNE
anno 2021

EDILIZIA PRIVATA: Sul diniego di autorizzazione all'installazione di insegna di esercizio lungo un raccordo autostradale.
Secondo una condivisibile giurisprudenza, la disposizione di cui al comma 7 dell’art. 23 del codice della strada (che specifica il generale divieto previsto dal comma 1 del medesimo art. 23 di collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade) è espressione della volontà del legislatore di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo.
Invero, tale disciplina è diretta a tutelare un valore di primaria importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di tale interesse generale, con la conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall'ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione; inoltre la valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione.
La funzione di evitare qualsiasi pericolo per la sicurezza della circolazione deve ritenersi massima per i percorsi autostradali, in relazione alle loro caratteristiche di percorribilità, per cui il comma 7 vieta qualsiasi forma di pubblicità “lungo e in vista degli stessi”. Se, quindi, tale disposizione consente le insegne di esercizio, è evidente che queste debbano essere tali da non avere alcun profilo di carattere pubblicitario, in relazione alla ratio del divieto, teso ad evitare qualsiasi fonte di distrazione con conseguente pericolo per la circolazione stradale.
Da altro versante, l’art. 47 del regolamento di esecuzione del codice della strada definisce “insegna di esercizio la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”.
Ora, la nozione di insegna di esercizio, comportando un’eccezione al divieto di installazione di impianti pubblicitari lungo e in vista delle autostrade, va intesa in senso restrittivo, riferendola a quei soli casi in cui essa segnali meramente il luogo ove si esercita l’attività di impresa, con esclusione di qualsivoglia funzione di carattere pubblicitario, potenziale fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione.
Per insegna di esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla sede dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica, e che non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992, quanto a dimensioni e luminosità.
L’installazione delle insegne di esercizio può essere negata quando “a giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell'autostrada, distraendone l'attenzione con conseguente pericolo per la circolazione”.
---------------

1. Da.Fi., con atto depositato il 05.06.2019, è insorta avverso gli atti in epigrafi, concernenti il diniego di autorizzazione all'installazione di insegna di esercizio lungo il “raccordo autostradale scalo Sicignano-Potenza”, al km 40+750, lato sinistro, direzione Sicignano, deducendo motivi specifici di diritto in punto di violazione e falsa applicazione di legge ed eccesso di potere.
2. L’Anas s.p.a., costituitasi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso per infondatezza.
...
4. Il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue.
4.1. L’avversato diniego, sul versante motivazionale, si impernia sulle seguenti ragioni:
   a) l'impianto cosi come ubicato riveste connotazione prettamente pubblicitaria, non essendo collocato sull'ingresso principale all'area/piazzale in cui ha sede l'attività commerciale del richiedente ma sul lato fronteggiante il R.A. n. 05 dal quale non vi è alcun accesso diretto e, quindi, in contrasto con l'art. 23, comma 7, del codice della strada, il quale vieta l'installazione di qualsiasi forma di pubblicità lungo ed in vista delle autostrade e degli itinerari internazionali;
   b) l'impianto per le sue caratteristiche costruttive è in contrasto con l'art. 49, comma 4, del regolamento per l'esecuzione del codice della strada, ovvero per dimensioni, utilizzo di caratteri e colori tali da indurre confusione con la segnaletica stradale e/o pericolo per l'utenza in circolazione sul raccordo autostradale, attesa anche l'esigua distanza del fabbricato commerciale in argomento rispetto alla sede autostradale.
4.2. La ricorrente ha premesso che i locali espositivi e commerciali della sua attività di rivendita di autoveicoli di marca Re., Da. e Ni. sono ubicati in un «fabbricato multipiano collocato parallelamente - ossia alla destra - della S.S. 407 - Basentana, direzione di marcia Salerno, nel territorio del comune di Tito». In particolare, l’unico accesso fisico a tali locali sarebbe «un ingresso parallelo al senso di marcia autostradale».
Sulla scorta di ciò, ha dedotto che parte resistente non avrebbe considerato il fatto che «lungo l’intera rete autostradale italiana non è fisicamente possibile l’accesso diretto dall’autostrada agli esercizi commerciali collocati parallelamente alle carreggiate (ossia alla destra del senso di marcia) […] la mancanza di un accesso diretto dall’autostrada ai locali commerciali e la necessità di utilizzare la viabilità secondaria non vale ad escludere la natura di insegna di esercizio in relazione all’insegna di cui si discute. Diversamente opinando si giungerebbe all’abrogazione implicita di tutte le norme del C.d.S. e del regolamento richiamate, che consentono la collocazione di insegne di esercizio parallelamente al senso di marcia autostradale e che necessariamente presuppongono un accesso ai locali non direttamente dall’autostrada ma tramite la viabilità secondaria».
Ancora, a detta della ricorrente «l’imprenditore ha diritto di identificare con un’insegna i propri locali anche se sono posti parallelamente all’autostrada. I locali della ricorrente non si trovano “sull’ingresso principale dell’area/piazzale” ma, come riconosciuto dalla stessa Anas, sono collocati sul retro del piazzale, parallelamente all’autostrada».
4.2.1. La tesi, complessivamente considerata, non ha pregio.
In base al comma 7 dell’art. 23 del codice della strada, nel testo vigente ratione temporis, in particolare, «E' vietata qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi. Su dette strade è consentita la pubblicità nelle aree di servizio o di parcheggio solo se autorizzata dall'ente proprietario e sempre che non sia visibile dalle stesse. Sono consentiti i segnali indicanti servizi o indicazioni agli utenti purché autorizzati dall'ente proprietario delle strade. Sono altresì consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall'ente proprietario della strada ed entro i limiti e alle condizioni stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Sono inoltre consentiti, purché autorizzati dall'ente proprietario della strada, nei limiti e alle condizioni stabiliti con il decreto di cui al periodo precedente, cartelli di valorizzazione e promozione del territorio indicanti siti d'interesse turistico e culturale e cartelli indicanti servizi di pubblico interesse. Con il decreto di cui al quarto periodo sono altresì individuati i servizi di pubblico interesse ai quali si applicano le disposizioni del periodo precedente».
Secondo una condivisibile giurisprudenza, la disposizione (che specifica il generale divieto previsto dal comma 1 del medesimo art. 23 di collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade) è espressione della volontà del legislatore di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2012, n. 6044).
Invero, tale disciplina è diretta a tutelare un valore di primaria importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di tale interesse generale (Cass. civ., sez. II, 26.07.2017, n. 18565), con la conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall'ente proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della circolazione (Cass. civ., sez. II, 07.11.2017, n. 26346); inoltre la valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2012, n. 6044).
La funzione di evitare qualsiasi pericolo per la sicurezza della circolazione deve ritenersi massima per i percorsi autostradali, in relazione alle loro caratteristiche di percorribilità, per cui il comma 7 vieta qualsiasi forma di pubblicità “lungo e in vista degli stessi”. Se, quindi, tale disposizione consente le insegne di esercizio, è evidente che queste debbano essere tali da non avere alcun profilo di carattere pubblicitario, in relazione alla ratio del divieto, teso ad evitare qualsiasi fonte di distrazione con conseguente pericolo per la circolazione stradale.
Da altro versante, l’art. 47 del regolamento di esecuzione del codice della strada definisce “insegna di esercizio la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”.
Ora, la nozione di insegna di esercizio, comportando un’eccezione al divieto di installazione di impianti pubblicitari lungo e in vista delle autostrade, va intesa in senso restrittivo, riferendola a quei soli casi in cui essa segnali meramente il luogo ove si esercita l’attività di impresa, con esclusione di qualsivoglia funzione di carattere pubblicitario, potenziale fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione. Per insegna di esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla sede dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica, e che non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992, quanto a dimensioni e luminosità (Cons. Stato, sez. IV, 28.06.2018, n. 3974).
L’installazione delle insegne di esercizio può essere negata quando “a giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell'autostrada, distraendone l'attenzione con conseguente pericolo per la circolazione” (Cons. Stato Sez. VI, 29.11.2012, n. 6044).
4.2.2. In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, nel caso di specie il contestato diniego resta immune alle censure attoree, recando per un verso l’insegna in questione un chiaro messaggio di propaganda dei marchi automobilistici “Re.”, “Da.” e “Ni.”, ancorché inframezzato dall’aggiunta (due volte) della sigla “Me.”; per altro verso, la stessa è collocata (anziché in prossimità dell’unico ingresso fisico all’impresa situato sulla S.P. 94) sulla facciata del fabbricato fronteggiante il R.A. 05, in dimensioni e caratteri (superficie di 40 mq., in parte di colore rosso) idonei a perseguire anche lo scopo di richiamare l’attenzione di chiunque si trovi a percorrere l’autostrada sul logo e sui prodotti commercializzati dalla ricorrente, in tal modo costituendo potenziale fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione (Cons. Stato, sez. IV, 25.11.2013, n. 5586).
Ritiene dunque il Collegio che le valutazioni espresse dall’Anas s.p.a. circa la funzione pubblicitaria e la pericolosità dell’insegna non siano affette da manifesti profili di illogicità e irragionevolezza, considerato che tali qualificazioni rientrano nella discrezionalità tecnica dell’ente proprietario, coi limiti di sindacato giurisdizionale che ne derivano (Cons. Stato, sez. IV, 28.06.2018, n. 3974), come del resto in passato affermato anche da questo Tribunale (decisione 15.02.2012, n. 72).
4.2.3.A fronte di tale complesso di elementi, recessive risultano le deduzioni della ricorrente in relazione a una pluralità di requisiti (dimensioni degli impianti, loro collocazione e possibile contenuto), i quali, singolarmente considerati, non escludono che l’impianto possa definirsi quale insegna di esercizio; in senso contrario, tuttavia, è la combinazione sinergica di tutte le caratteristiche sopra evidenziate che ha correttamente indotto l’Anas s.p.a. a escludere tale qualificazione.
4.2.4. Del pari, da respingere risultano le argomentazioni tendenti a negare la pericolosità del manufatto, risolvendosi le stesse in un inammissibile tentativo di sostituire un giudizio di parte a quello espresso dall’autorità preposta.
4.2.5. Alcun rilievo può attribuirsi alla comunicazione Anas s.p.a. del 25.07.2017, recante un “parere tecnico favorevole” all’installazione dell’impianto, trattandosi di documento rivolto ad altra articolazione organizzativa dell’Ente, testualmente definita come “comunicazione interna”, al più qualificabile come atto endoprocedimentale, di per sé inidoneo a ingenerare affidamento di sorta.
4.2.6. Non sussiste il lamentato eccesso di potere per disparità di trattamento, in quanto eventuali illegittimità commesse in favore di altri soggetti non possono essere invocate per pretendere l’adozione di ulteriori provvedimenti anch’essi illegittimi (ex multis, in vicenda analoga, TAR Basilicata n. 72/2012, cit.).
5. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso (TAR Basilicata, sentenza 06.10.2021 n. 630 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATA: Pubblicità ammessa su protezioni pedonali.
Se un impianto pubblicitario non interferisce con la segnaletica stradale può essere installato anche sulle transenne pedonali che vengono normalmente utilizzate dalle amministrazioni comunali nei centri abitati per mettere in sicurezza le persone.
Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato, Sez. I, con il parere 10.01.2019 n. 144.
Un'azienda ha richiesto al comune di Pescia il rinnovo dell'autorizzazione al posizionamento di 4 impianti pubblicitari su transenne pedonali.
Contro il rigetto della domanda l'interessato ha proposto con successo ricorso straordinario al Presidente della repubblica. I giudici di palazzo Spada hanno evidenziato che non sussiste un generale divieto all'installazione di impianti pubblicitari sulle transenne pedonali del centro urbano. Anche se collocate in centro abitato in prossimità di incroci.
L'importante è che la pubblicità non arrechi interferenza con la segnaletica stradale e non rechi quindi pregiudizio alla sicurezza generale della circolazione.
Nel caso in specie inoltre si tratta di impianti già in precedenza autorizzati posizionati nello stesso punto del centro abitato da tanti anni senza particolari problemi (articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2019).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATA: Parafarmacie, insegna a bandiera.
La parafarmacia ben può installare l'insegna a bandiera all'esterno del negozio, esattamente come la farmacia, anche nel centro storico della città. Solo che la croce nel primo caso è blu e nel secondo verde.
Nessuna discriminazione è possibile nel regolamento comunale che disciplina il commercio perché anche la parafarmacia svolge un servizio di pubblica utilità vendendo le medicine disponibili senza ricetta sanitaria e dunque deve potersi segnalare agli utenti al pari di altre strutture come ospedali e ambulatori.

È quanto emerge dalla sentenza 21.03.2016 n. 520, pubblicata dalla III Sez. del TAR Toscana.
Libera concorrenza
Accolto il ricorso di un imprenditore con la croce blu. È vero: la Corte di giustizia Ue ha considerato eurocompatibile la normativa italiana che impedisce alle parafarmacie la vendita di medicinali di fascia C che implicano della prescrizione del medico ma con onere a carico dell'utente. E ciò perché potrebbe danneggiare le farmacie che non operano in provincia o in zone centrali.
Ma l'Antitrust e gli stessi giudici amministrativi hanno bocciato forme di discriminazione a danno delle parafarmacie laddove la disparità di trattamento non risulta fondata sul regime di vincoli cui sono sottoposti negozi con insegna a croce verde.
E dopo le liberalizzazioni del 2012 ogni restrizione imposta dall'amministrazione impone al giudice di controllare se il veto è adeguato allo scopo e non rischia invece di alterare il libero gioco della concorrenza e soffocare l'iniziativa economica delle imprese.
Spese di lite compensare per la novità della questione (articolo ItaliaOggi del 21.05.2016).
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MASSIMA
Il ricorso è fondato.
Occorre prendere le mosse dalla seconda censura atteso che la questione da essa posta –ossia se le parafarmacie debbano o meno incluse nel catalogo dei servizi di pubblica utilità per i quali è consentita la deroga al generale divieto di installazione di insegne a bandiera nel centro storico- potrebbe avere carattere dirimente ai fini della decisione.
Ai sensi dell’art. 8, comma 3, del regolamento comunale per la installazione delle insegne “quando le caratteristiche ambientali e l’architettura dell’immobile lo consentano potrà essere autorizzata l’installazione verticale a bandiera..di insegne con simbolo per la individuazione di ospedali di ambulatori di pronto soccorso (anche veterinario), di farmacie, di telefoni, di generi di monopolio e di parcheggio…”.
La norma, compiendo un bilanciamento di interessi, consente una (condizionata) deroga alla disciplina di protezione dei caratteri storico ambientali degli edifici inclusi nella zona A del comune di Firenze al fine di consentire l’esposizione di segnaletiche, anche a bandiera, che facilitino l’individuazione di taluni servizi ritenuti di pubblica utilità, in specie quelli correlati alla tutela della salute come gli ospedali, gli ambulatori di pronto soccorso e le farmacie.
Il catalogo non include anche gli esercizi parafarmaceutici.
Tuttavia, come osserva la ricorrente, allo stato attuale della legislazione anche i predetti esercizi erogano un servizio volto a soddisfare bisogni connessi alla salute che, per molti versi, è assimilabile a quello svolto dalle vere e proprie farmacie.
Nelle parafarmacie è, infatti, possibile reperire farmaci la cui dispensazione non necessità di ricetta medica (categoria che include oggi quasi tutti i medicinali inclusi nella fascia C del prontuario), presidi per l’automedicazione, medicinali veterinari anche sottoposti a ricetta medica ad esclusione degli stupefacenti di cui all’art. 45 del DPR 309/1990, servizi diagnostici come misurazione della pressione, esami delle urine etc.., prenotazione delle visite specialistiche presso il SSN.
Inoltre, al pari di quanto accade per le farmacie, i predetti servizi non si esauriscono in un mero scambio di natura commerciale fra venditore e cliente ma, data la loro rilevanza per la tutela del diritto alla salute, hanno un contenuto strettamente professionale, potendo essere erogati soltanto da soggetti particolarmente qualificati come i farmacisti che l’ordinamento nazionale, non a caso, considera come “persone esercenti un servizio di pubblica necessità” (art. 359 c.p.).
Occorre poi tenere in considerazione il fatto che
la vendita di prodotti medicinali e la erogazione dei connessi servizi di pubblica utilità costituiscono attività economiche di rilevanza comunitaria che godono garanzia della libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49 e seguenti del TFUE, con la conseguenza che ogni restrizione normativa che ne ostacoli o ne scoraggi l'esercizio da parte dei cittadini dell'Unione europea deve essere debitamente giustificata (Corte Giustizia UE sez. IV, 05/12/2013, n. 159).
In recepimento dei predetti principi anche il legislatore nazionale attraverso gli artt. 1 della L. 24.03.2012 n. 27 e 34, l. 22.12.2011 n. 214 ha sancito che
le disposizioni imponenti divieti, restrizioni oneri o condizioni all'accesso e all'esercizio delle attività economiche sono da interpretarsi in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, affidando, quindi, al giudice un rigoroso controllo di proporzionalità nei confronti dei provvedimenti amministrativi e dei regolamenti che prevedano restrizioni alla libera iniziativa o che, comunque, siano suscettibili di alterare il libero gioco della concorrenza.
In applicazione delle predette disposizioni comunitarie e nazionali
deve ritenersi che anche un regolamento comunale che ponga limiti alla ordinaria facoltà dell’imprenditore che si rivolge ad un’utenza indifferenziata di segnalare alla clientela l’ubicazione dell’esercizio costituisce una potenziale restrizione della libertà economica che deve essere adeguatamente giustificata da motivi di interesse generale sulla base di un bilanciamento operato secondo i criteri di proporzionalità e non discriminazione.
Sotto quest’ultimo profilo, nel caso di specie, assume rilevanza la circostanza che in relazione ad un’ampia fascia di servizi sanitari le parafarmacie svolgono la propria attività in regime di concorrenza con le farmacie, con la conseguenza che ogni trattamento differenziato suscettibile di favorire queste ultime deve trovare adeguata giustificazione negli “obblighi di servizio pubblico” (limitazioni territoriali alla apertura delle sedi in relazione alla cd. “pianta organica”, obblighi di apertura in orari predeterminati, turni, etc.) a cui esse, a differenza delle parafarmacie, sono soggette. Obblighi che impongono, è vero, forme di compensazione ma non giustificano qualsiasi tipo di trattamento differenziato.
Così se, da un lato la Corte di giustizia UE ha considerato legittima la normativa nazionale che impedisce alle parafarmacie la vendita di medicinali di fascia C necessitanti di prescrizione medica (ma con onere a carico dell’utente), in relazione agli effetti che ciò potrebbe comportare sulla sostenibilità economica degli esercizi farmaceutici costretti ad operare in sedi economicamente poco appetibili (sentenza 159/2013 cit.), dall’altro, la giurisprudenza del g.a. e la Autorità garante per la concorrenza hanno censurato forme di discriminazione fra le due categorie di imprese che non trovavano giustificazione nel particolare regime vincolistico che connota gli esercizi farmaceutici (ad es. sono stati considerati contrari alla normativa pro concorrenziale il divieto di svolgere attività di tecnico audioprotesista nei locali adibiti a parafarmacia - TAR Umbria, sez. I, 25/07/2014, n. 421 -l’affidamento in esclusiva alle farmacie della vendita di prodotti alimentari per celiaci - Agcm, 17/01/2013, n. 1603-; l’affidamento alle sole farmacie del servizio di prenotazione delle visite specialistiche presso il SSNN - Agcm, 18/06/2014-).
Per quanto concerne la specifica questione delle insegne la giurisprudenza, restando nel solco dell’orientamento di cui sopra, ha chiarito che
l’installazione all’esterno dell’esercizio di una croce con impianto neon non costituisce affatto una prerogativa commerciale di pertinenza delle sole farmacie in quanto la legge riserva a tali esercizi soltanto il tratto connotativo del colore verde della croce (TAR, Roma, sez. II, 12/09/2012, n. 7697).
Alla luce delle suddette considerazioni
l’art. 8 del regolamento delle insegne del comune di Firenze deve considerarsi illegittimo nella parte in cui consente alle sole farmacie la facoltà di esporre insegne a bandiera con la croce conformi alle tipologie tipiche ammesse nella zona A del centro storico laddove le caratteristiche ambientali e l’architettura dell’immobile lo consentano.
Invero,
sebbene non possa essere negato che la tutela dei caratteri del centro storico costituisca un motivo imperativo di interesse generale che può comportare restrizioni alla libertà di impresa, tale esigenza, nella specie, risulta essere stata declinata in modo non conforme ai principi di non discriminazione e proporzionalità. E ciò in quanto:
1)
il simbolo della croce non si correla in modo specifico alle sole categorie di medicinali che le farmacie sono abilitate a commercializzare ma designa più comprensivamente l’offerta al pubblico di prodotti e servizi di pubblica utilità inerenti la cura della salute umana che la legge non riserva alle farmacie ma, casomai, ai farmacisti (non per nulla è proprio la croce a contraddistinguere il relativo ordine), attribuendo solo al colore verde valenza distintiva.
2) Pertanto,
nel momento in cui la p.a. assuma che l’offerta al pubblico di servizi sanitari può giustificare una deroga al divieto di installazione di insegne a bandiera nel centro storico tale deroga deve essere estesa a tutti gli esercizi che svolgano tali attività, specie se in concorrenza fra loro.
3)
L’interesse pubblico a salvaguardare (anche in modo capillare e diffuso) elementi architettonici di particolare pregio non può essere presidiato attraverso distinzioni astratte e discriminatorie fra “categorie di imprese” che offrono analoghi prodotti e servizi nel medesimo settore ma va tutelato a monte attraverso l’individuazione delle “tipologie di servizi” che per la loro utilità pubblica possono giustificare una deroga e a valle attraverso il giudizio discrezionale relativo alla compatibilità dell’insegna (della farmacia o parafarmacia poco importa) con le caratteristiche ambientali ed architettoniche, così come appunto prevede lo stesso art. 8 del censurato regolamento.

EDILIZIA PRIVATA: L'istallazione di cartelli pubblicitari e l'omessa rimozione su suolo pubblico, ai sensi dell'art. 23, comma 13-bis, sono due cose distinte e separate.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il comma 13-bis dell'art. 23 del codice della strada non dispone una sanzione accessoria, ma è un'espressione del potere di autotutela riconosciuto all'ente proprietario onde assicurare il rispetto delle disposizioni contenute nello stesso art. 23, che variamente limitano e disciplinano la pubblicità sulle strade per armonizzarla con le esigenze di sicurezza e di ordine del traffico: ciò in considerazione del tenore delle disposizioni stesse che attribuiscono direttamente ed immediatamente all'amministrazione proprietaria della strada (senza necessità di una pronuncia giudiziale che accerti la commissione dell'illecito) il potere di imporre la rimozione dell'impianto pubblicitario abusivo o irregolare.
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Anche la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in tal senso affermando che "in tema di violazioni previste dal codice della strada, ai fini dell'applicazione, a carico del proprietario (o del possessore) del suolo su cui è avvenuta l'abusiva installazione di cartelli pubblicitari, della sanzione prevista dall'art. 23, comma 13-bis, per l'omessa rimozione di detti cartelli nel termine di legge nonostante la previa diffida dell'ente titolare della strada, non occorre che al proprietario (o possessore) venga, altresì, contestata o notificata, ai sensi dell'art. 14 della legge 24.11.1981, n. 689, la violazione amministrativa di abusiva installazione di detti cartelli, essendo questa prevista a carico di soggetti diversi da una autonoma fattispecie sanzionatoria (commi 7 e 13-bis del citato art. 23), ferma restando la possibilità per il proprietario (o il possessore) del suolo di dedurre, in sede di ricorso amministrativo o giurisdizionale, l'illegittimità derivata del verbale a lui rivolto per l'insussistenza della violazione presupposta, ossia per la mancata installazione dei cartelli pubblicitari o per la non abusività dei medesimi".
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3.2) I motivi meritano accoglimento sotto il profilo delle asserite violazioni di legge.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il comma 13-bis dell'art. 23 del codice della strada non dispone una sanzione accessoria, ma è un'espressione del potere di autotutela riconosciuto all'ente proprietario onde assicurare il rispetto delle disposizioni contenute nello stesso art. 23, che variamente limitano e disciplinano la pubblicità sulle strade per armonizzarla con le esigenze di sicurezza e di ordine del traffico: ciò in considerazione del tenore delle disposizioni stesse che attribuiscono direttamente ed immediatamente all'amministrazione proprietaria della strada (senza necessità di una pronuncia giudiziale che accerti la commissione dell'illecito) il potere di imporre la rimozione dell'impianto pubblicitario abusivo o irregolare (Tar Marche, Ancona, 12.08.2005, n. 957).
3.2.1) Anche la giurisprudenza di legittimità, in un caso non dissimile da quello di specie, si è pronunciata in tal senso, affermando che "in tema di violazioni previste dal codice della strada, ai fini dell'applicazione, a carico del proprietario (o del possessore) del suolo su cui è avvenuta l'abusiva installazione di cartelli pubblicitari, della sanzione prevista dall'art. 23, comma 13-bis, per l'omessa rimozione di detti cartelli nel termine di legge nonostante la previa diffida dell'ente titolare della strada, non occorre che al proprietario (o possessore) venga, altresì, contestata o notificata, ai sensi dell'art. 14 della legge 24.11.1981, n. 689, la violazione amministrativa di abusiva installazione di detti cartelli, essendo questa prevista a carico di soggetti diversi da una autonoma fattispecie sanzionatoria (commi 7 e 13-bis del citato art. 23), ferma restando la possibilità per il proprietario (o il possessore) del suolo di dedurre, in sede di ricorso amministrativo o giurisdizionale, l'illegittimità derivata del verbale a lui rivolto per l'insussistenza della violazione presupposta, ossia per la mancata installazione dei cartelli pubblicitari o per la non abusività dei medesimi" (Cass. 21606/2011).
Ciò che rileva di questa pronuncia ai fini del presente ricorso è la riconosciuta autonomia sanzionatoria della fattispecie prevista dal comma 13-bis. Pertanto la sanzione conseguente alla omessa rimozione dei cartelli dopo la diffida può essere irrogata senza necessità di contestare preventivamente la violazione di apposizione abusiva di cartelli pubblicitari.
Il comma 11 dell'art. 23 c.d.s. stabilisce la sanzione applicabile a chi pone in essere la condotta di abusiva collocazione di insegne pubblicitarie; il comma 13-bis invece concerne l'inosservanza di un autonomo obbligo di rimozione nel termine di dieci giorni dalla comunicazione della preventiva diffida.
Pertanto i motivi vanno accolti, essendo errata la sentenza del tribunale di Bari nella parte in cui ha ritenuto che la violazione di cui al comma 13-bis dell'art. 23 (inottemperanza alla diffida di rimozione) possa essere contestata, in via accessoria, soltanto al responsabile della omessa collocazione degli impianti pubblicitari.
Va inoltre riaffermato che la previsione sanzionatoria secondo la quale: "chiunque viola le prescrizioni indicate al presente comma e al comma 7 è soggetto alla sanzione amministrativa [...1" prevista dal comma 13-bis è riconducibile, per quanto qui interessa, alla violazione commessa da chi sia inadempiente all'obbligo di rimozione di cui alla diffida preventivamente comunicatagli. Questa è la condotta che era stata addebitata alla Sp. srl, la quale, essendo subentrata alla In. spa, come si legge nella sentenza impugnata, "in virtù della cessione del ramo d'azienda", era il soggetto che, come contestatole, aveva "mantenuto in esercizio l'impianto pubblicitario ritenuto abusivo".
Ad essa correttamente era stata quindi inviata la diffida a rimuovere i mezzi pubblicitari.
Nessuna delle parti è comparsa all'adunanza fissata con il rito camerale.
Il Collegio condivide pienamente la relazione e ritiene quindi che il ricorso sia da accogliere. Ne discende la cassazione della sentenza impugnata
(Corte di Cassazione, Sez. VI civile, ordinanza 11.02.2016 n. 2712).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Impianti pubblicitari, fuorilegge il divieto totale.
La giunta municipale non può deliberare un generico divieto di installazione assoluta di cartelli pubblicitari sul suolo demaniale. In questo modo infatti il comune inibisce arbitrariamente qualsiasi attività imprenditoriale lecita.

Lo ha chiarito il TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, con la sentenza 15.12.2015 n. 556.
Il comune di Tavagnacco ha rigettato la domanda di rinnovo di un impianto pubblicitario per contrasto della richiesta con una sopravvenuta deliberazione della giunta che nel fissare le linee guida per l'installazione degli impianti pubblicitari ne vieta la posa su tutto il territorio, al di fuori degli impianti specificamente adibiti alle pubbliche affissioni.
Contro questa determinazione di rifiuto l'interessato ha proposto con successo ricorso ai giudici amministrativi.
La giunta comunale non può arbitrariamente fissare un divieto generico e assoluto di installazione di impianti pubblicitari. L'amministrazione locale deve infatti comparare i diversi interessi coinvolti e valutare caso per caso le determinazioni più opportune. Le linee guida della giunta non possono sostituirsi ai regolamenti e non possono impedire in maniera totale le installazioni pubblicitarie (articolo ItaliaOggi del 05.01.2016).
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MASSIMA
6.1. Il primo motivo di impugnazione è infondato.
Il rinnovo dell’autorizzazione è stato correttamente assoggettato alle linee guida assunte dalla deliberazione di Giunta medio tempore approvata.
Invero,
il rinnovo è pur sempre un nuovo provvedimento autorizzatorio e non un atto meramente conformativo, conseguentemente esso è adottato all’esito di una aggiornata ponderazione degli interessi coinvolti e di un nuovo apprezzamento della situazione fattuale, nonché sulla scorta della normativa vigente in quel momento, secondo il principio del tempus regit actum (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 2356/2015).
Diversamente, infatti, si finirebbe, da un lato, per attribuire ultravigenza a una disciplina oramai abrogata, e, dall’altro lato, per limitare fortemente la potestà normativa del Comune, consentendogli di incidere esclusivamente sugli impianti pubblicitari di nuova installazione, e non anche su quelli in passato già autorizzati.

6.2.1. Conformemente al criterio ermeneutico di conservazione, le linee guida contenute nella richiamata deliberazione giuntale devono intendersi come applicabili alle sole ipotesi in cui la competenza al rilascio dell’autorizzazione sia comunale, con esclusione, quindi, delle ipotesi in cui tale competenza spetti ad altra Autorità.
6.2.2. Di contro, come già osservato da questo Tribunale in sede cautelare,
la deliberazione giuntale impugnata è illegittima per aver fissato un divieto generico e assoluto di installazione di cartelli pubblicitari su suolo demaniale (cfr., TAR Veneto, Sez. III, sentenza n. 339/2006; TAR Toscana, Sez. I, sentenza n. 404/1998): è pertanto fondato, in parte qua, il secondo motivo di impugnazione.
Invero,
a fronte di un’attività imprenditoriale lecita, quale quella in esame, l’Amministrazione deve valutare caso per caso, nella comparazione dei diversi interessi coinvolti, ivi compreso quello alla sicurezza e fluidità della circolazione stradale, e quello al decoro urbano e all’armonico utilizzo del territorio, se rilasciare o meno il richiesto provvedimento ampliativo .
Ben può l’organo di governo dell’Ente fornire delle linee guida alla struttura burocratica, purché si tratti di indirizzi di massima e che comunque non impediscano totalmente il rilascio delle autorizzazioni in questione.

EDILIZIA PRIVATATar Lombardia. Farmacia, sì alle insegne agli incroci.
L'insegna di una farmacia assume una valenza informativa in favore dell'utenza e ciò giustifica la collocazione dell'insegna, nel punto di congiunzione di due strade, con la finalità di consentire a coloro che ignorino l'esatta collocazione della farmacia, di individuarne la sede.

È quanto sostiene il TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, con la sentenza 09.12.2015 n. 2600.
Il fatto in sintesi: una società presentava ricorso al Tar per la concessione di un'autorizzazione rilasciata dal comune ad una farmacia per l'esposizione di un'insegna verde bifacciale luminosa su palo di m 0,80 x 0,80, avente forma di croce, da posizionarsi nell'intersezione tra due vie, in adiacenza all'edificio di proprietà della ricorrente.
Secondo la difesa comunale e della società, l'insegna non avrebbe le caratteristiche di cui all'art. 47, dpr n. 495/1992, non essendo finalizzata a contraddistinguere la sede della farmacia, né collocata in prossimità della stessa, quanto invece ad una distanza di circa 100 m, avendo pertanto una finalità pubblicitaria, come peraltro dimostrato dalla presenza di un'ulteriore insegna, invece posta sulla facciata della farmacia (articolo ItaliaOggi del 17.12.2015).
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MASSIMA
II) Quanto al merito, secondo la difesa comunale e della Società Cl., l’insegna di che trattasi non avrebbe le caratteristiche di cui all’art 47 D.P.R. n. 495/1992, non essendo finalizzata a contraddistinguere la sede della farmacia, né collocata in prossimità della stessa, quanto invece ad una distanza di circa 100 m, avendo pertanto una finalità pubblicitaria, come peraltro dimostrato dalla presenza di un’ulteriore insegna, invece posta sulla facciata della Farmacia, la quale, effettivamente, sarebbe un’insegna di esercizio di cui al citato art. 47, diversamente da quella di cui al presente giudizio, come detto, invece riconducibile ad un impianto pubblicitario.
III) In via preliminare, il Collegio da atto che l’art. 51, c. 4, del Regolamento attuativo del Codice della Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495) prevede che, nei centri abitati, il posizionamento di cartelli pubblicitari ed insegne debba avvenire ad almeno 30 metri dalle intersezioni, salvo che le stesse non rientrino nella nozione di “insegna di esercizio” di cui all’art. 47, c. 1, del medesimo D.P.R., la quale, a sua volta, consiste in una “scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce, o nelle pertinenza accessorie della stessa”.
La questione posta a fondamento di entrambi i giudizi, sostanzialmente, verte quindi sulla qualificazione dell’impianto di che trattasi in termini di “insegna di esercizio”, atteso che, in caso positivo, la stessa non violerebbe la vista distanza minima dall’intersezione prevista dalla norma precitata e dalla disciplina del Piano Comunale richiamato nella revoca impugnata, che sarebbe al contrario superata, ove non si ritenesse possibile seguire tale interpretazione.
IV)
Ritiene il Collegio che la lettura congiunta del citato art. 47 con la normativa dettata in materia di servizio farmaceutico imponga un’interpretazione estensiva della citata nozione di “pertinenza accessoria” del luogo in cui l’insegna viene collocata rispetto alla sede dell’attività, dovendosi pertanto ritenere che l’insegna della Farmacia sia effettivamente ricompresa in tale ambito spaziale.
Infatti, in base all’art. 9, c. 2, L.R. 03.04.2000 n. 21, “le farmacie di turno hanno l'obbligo, nelle ore serali e notturne, di tenere accesa un’insegna luminosa, della misura fino ad un metro quadrato per facciata, preferibilmente a forma di croce di colore verde che ne faciliti l'individuazione”, da cui si desume l’esistenza di un obbligo di legge di rendere visibili detti esercizi, ciò che giustifica la collocazione dell’insegna di che trattasi, come detto, nel punto di congiunzione di due strade, con la finalità di consentire a coloro che ignorino l’esatta collocazione della farmacia, di individuarne la sede.
Quanto precede evidenzia altresì l’insussistenza della natura pubblicitaria di tale insegna, che assume invece una valenza informativa in favore dell’utenza, così come dimostra l’irrilevanza, ai fini del presente giudizio, della collocazione di un’ulteriore insegna in prossimità dell’entrata della farmacia, atteso che la stessa è evidentemente visibile solo da coloro che vi transitano di fronte, e non invece dagli utenti che percorrono le vie adiacenti.
Né, in contrario, depone il precedente giurisprudenziale invocato dalla Società Cl., peraltro condiviso dal Collegio, in base al quale “
non costituisce insegna di esercizio, necessaria soltanto ai fini della normale attività aziendale, ma vero e proprio impianto pubblicitario, in grado di svolgere funzione promozionale dell'attività imprenditoriale e conseguentemente soggetto all'autorizzazione all'esposizione dei mezzi pubblicitari, il cartello che non sia collocato in prossimità dell'accesso all'impresa ma in altro luogo” (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 12.2.2008 n. 316), atteso che in tale fattispecie l'insegna, oltre a non essere soggetta alle peculiarità che connotano l’individuazione di un esercizio farmaceutico, era inoltre collocata “ad alcuni chilometri dalla sede della società pubblicizzata, trattandosi pertanto di fattispecie non comparabile a quella per cui è causa.

EDILIZIA PRIVATA: No alla doppia pubblicità per il medesimo impianto.
Non si possono autorizzare due insegne di esercizio per lo stesso complesso produttivo. Specialmente se la seconda installazione viene realizzata sul retro dello stabile in perfetta aderenza al traffico autostradale, con evidenti finalità commerciali.

Lo ha chiarito il TAR Veneto, Sez. III, con la sentenza 09.12.2015 n. 1315.
Il titolare di una impresa ha richiesto all'Anas nulla osta alla collocazione di una insegna di esercizio anche nel retro dello stabile, nella parte che si affaccia sul tratto autostradale. Contro il conseguente diniego l'interessato ha proposto ricorso al Tar ma senza successo.
A parere dell'Anas il posizionamento di una seconda insegna di esercizio, oltre a quella affissa in prossimità dell'ingresso allo stabile, denota un evidente interesse pubblicitario del richiedente, specificamente vietato dall'art. 23 del codice stradale.
Anche se nessuna disposizione limita numericamente le insegne di esercizio, prosegue la sentenza, è evidente che il manufatto per poter essere qualificato come tale, impone che sia strettamente attiguo all'esercizio cui si riferisce e che la stessa insegna sia, nel contempo, «funzionale e diretta a identificare l'ubicazione della sede della stessa impresa».
In pratica quindi siccome una insegna di esercizio visibile dall'autostrada è consentita solo ove non presenti alcun contenuto pubblicitario, se l'ingresso non è rivolto al fronte autostradale meglio desistere con le richieste di autorizzazione (articolo ItaliaOggi Sette del 04.04.2016).
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MASSIMA
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 Sul punto è dirimente constatare che
l'art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi forma di pubblicità lungo le autostrade e le strade extraurbane principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata nell’intento di introdurre un divieto all’installazione lungo le strade, o in vista di esse, di impianti pubblicitari che possano confondersi con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo visivo a chi circola su di esse, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
1.2 Va, altresì, rilevato come
l'articolo 47, primo comma, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada) qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
1.3 Ne consegue che
sebbene nessuna delle disposizioni sopra riportate preveda che l’insegna di un esercizio commerciale debba essere unica, è parimenti evidente che quest’ultima, per poter essere qualificata come tale, impone che sia strettamente contigua all’esercizio commerciale cui inerisce e sia, nel contempo, funzionale e diretta a identificare l’ubicazione della sede della stessa impresa.
1.4 Anche recenti pronunce (Cons. Stato Sez. IV, 25.11.2013, n. 5586) hanno avuto modo di precisare che
la nozione di insegna di esercizio deve essere intesa in senso rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei soli casi in cui l'insegna -con le modalità prescritte dall'art. 47, comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito (Cons. Stato Sez. IV, 27.04.2012, n. 2480) che
un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è consentita solo ove non presenti alcun contenuto riconducibile a finalità pubblicitarie.
1.5 E’ allora evidente che
verificare se una determinata insegna integri il divieto di pubblicità di cui all’art. 23 sopra citato impone un esame in concreto sulle caratteristiche della singola insegna e, ciò, al fine di individuare quale sia la funzione che si intenda perseguire con l’installazione del singolo manufatto e, quindi, se quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un intento meramente pubblicitario.
1.6 Nel caso di specie è dirimente constatare come sia stata la stessa parte ricorrente a rilevare che l’insegna in questione è collocata sulla facciata dell'esercizio, rivolta verso la strada, senza che sulla stessa facciata sia presente un’entrata dell’esercizio.
1.7 E’ allora evidente che, seppur l’insegna in questione abbia le caratteristiche proprie di un’insegna di esercizio, ai sensi dell’art. 47 del DPR 16.12.1992 n. 495, la sua installazione è stata posta in essere per realizzare un intento pubblicitario, diretto nei confronti degli utilizzatori della strada prospiciente.
Dette conclusioni sono confermate dal fatto che l’insegna in questione, non solo duplica l’insegna di esercizio già esistente, ma in quanto posizionata su un lato in cui non vi è l’entrata dell’impresa, non aggiunge alcuna informazione ulteriore circa l’identificazione della stessa impresa che, in quanto tale, è già resa dall'altra insegna d'esercizio.
1.8 Ne consegue che risulta integrato il divieto di installazione di strumenti pubblicitari in prossimità delle strade, circostanza che consente di ritenere infondate le argomentazioni di parte ricorrente.
In definitiva il ricorso è, pertanto, infondato e va respinto.

EDILIZIA PRIVATA: E' legittimo il diniego per l'installazione di un'insegna di esercizio, lungo un'autostrada, che abbia valenza di pubblicità della ditta.
L'art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi forma di pubblicità lungo le autostrade e le strade extraurbane principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata nell’intento di introdurre un divieto all’installazione lungo le strade, o in vista di esse, di impianti pubblicitari che possano confondersi con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo visivo a chi circola su di esse, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
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L'articolo 47, primo comma, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada) qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
Ne consegue che sebbene nessuna delle disposizioni sopra riportate preveda che l’insegna di un esercizio commerciale debba essere unica, è parimenti evidente che quest’ultima, per poter essere qualificata come tale, impone che sia strettamente contigua all’esercizio commerciale cui inerisce e sia, nel contempo, funzionale e diretta a identificare l’ubicazione della sede della stessa impresa.
Anche recenti pronunce hanno avuto modo di precisare che la nozione di insegna di esercizio deve essere intesa in senso rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei soli casi in cui l'insegna -con le modalità prescritte dall' art. 47, comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito che un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è consentita solo ove non presenti alcun contenuto riconducibile a finalità pubblicitarie.
E’ allora evidente che verificare se una determinata insegna integri il divieto di pubblicità di cui all’art. 23 sopra citato impone un esame in concreto sulle caratteristiche della singola insegna e, ciò, al fine di individuare quale sia la funzione che si intenda perseguire con l’installazione del singolo manufatto e, quindi, se quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un intento meramente pubblicitario.

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... per l'annullamento del provvedimento (prot. CVE-0022778-P) del 17/07/2015 con il quale Anas Spa ha comunicato alla ricorrente l’esito negativo della fase istruttoria relativa all’istanza di ottenimento dell’autorizzazione/nulla osta all’installazione di un mezzo pubblicitario;
...
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 Sul punto è dirimente constatare che l'art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi forma di pubblicità lungo le autostrade e le strade extraurbane principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata nell’intento di introdurre un divieto all’installazione lungo le strade, o in vista di esse, di impianti pubblicitari che possano confondersi con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo visivo a chi circola su di esse, con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione.
1.2 Va, altresì, rilevato come l'articolo 47, primo comma, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada) qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
1.3 Ne consegue che sebbene nessuna delle disposizioni sopra riportate preveda che l’insegna di un esercizio commerciale debba essere unica, è parimenti evidente che quest’ultima, per poter essere qualificata come tale, impone che sia strettamente contigua all’esercizio commerciale cui inerisce e sia, nel contempo, funzionale e diretta a identificare l’ubicazione della sede della stessa impresa.
1.4 Anche recenti pronunce (Cons. Stato Sez. IV, 25.11.2013, n. 5586) hanno avuto modo di precisare che la nozione di insegna di esercizio deve essere intesa in senso rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei soli casi in cui l'insegna -con le modalità prescritte dall' art. 47, comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito (Cons. Stato Sez. IV, 27.04.2012, n. 2480) che un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è consentita solo ove non presenti alcun contenuto riconducibile a finalità pubblicitarie.
1.5 E’ allora evidente che verificare se una determinata insegna integri il divieto di pubblicità di cui all’art. 23 sopra citato impone un esame in concreto sulle caratteristiche della singola insegna e, ciò, al fine di individuare quale sia la funzione che si intenda perseguire con l’installazione del singolo manufatto e, quindi, se quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un intento meramente pubblicitario.
1.6 Nel caso di specie è dirimente constatare come sia stata la stessa parte ricorrente a rilevare che l’insegna in questione è collocata sulla facciata dell'esercizio, rivolta verso la strada, senza che sulla stessa facciata sia presente un’entrata dell’esercizio.
1.7 E’ allora evidente che, seppur l’insegna in questione abbia le caratteristiche proprie di un’insegna di esercizio, ai sensi dell’art. 47 del DPR 16.12.1992 n. 495, la sua installazione è stata posta in essere per realizzare un intento pubblicitario, diretto nei confronti degli utilizzatori della strada prospiciente.
Dette conclusioni sono confermate dal fatto che l’insegna in questione, non solo duplica l’insegna di esercizio già esistente, ma in quanto posizionata su un lato in cui non vi è l’entrata dell’impresa, non aggiunge alcuna informazione ulteriore circa l’identificazione della stessa impresa che, in quanto tale, è già resa dall'altra insegna d'esercizio.
1.8 Ne consegue che risulta integrato il divieto di installazione di strumenti pubblicitari in prossimità delle strade, circostanza che consente di ritenere infondate le argomentazioni di parte ricorrente.
In definitiva il ricorso è, pertanto, infondato e va respinto (TAR Veneto, Sez. III, sentenza 09.12.2015 n. 1315 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

TRIBUTI: La pubblicità abusiva.
DOMANDA:
E' vero che se rileviamo un cartello o un'insegna abusiva (in assenza di autorizzazione, ovvero scaduta) e spesso anche non in regola con il tributo, non dovremmo emettere avvisi di accertamento, in quanto sono i vigili ad elevare contravvenzione ai sensi del Codice della Strada?
La motivazione sarebbe che una volta pagato il tributo, se si dovesse andare davanti al Giudice, si perderebbe la causa. La domanda è: ma allora non può mai esistere una avviso di accertamento per mancata dichiarazione di inizio pubblicità?
E tutto il tempo, magari anni, di esposizione abusiva viene risolto solo con la contravvenzione dei vigili?
RISPOSTA:
Quanto riportato nel quesito, senza alcun riferimento normativo o giurisprudenziale è incomprensibile. L’applicazione della normativa tributaria è completamente autonoma nei confronti dell’applicazione delle norme di legge e di regolamento riguardo la mancanza di autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: La pubblicità temporanea.
DOMANDA:
Si può rinnovare una pubblicità temporanea trimestrale? La normativa parla di temporanea mensile/bimestrale/trimestrale dopodiché diventa permanente annuale.
RISPOSTA:
Le norme relative alle modalità di rilascio delle autorizzazioni alle diverse esposizioni pubblicitarie sono previste nel regolamento comunale e nel piano generale degli impianti ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 507/1993. Pertanto è in riferimento a questi due strumenti regolamentari che vanno valutate le richieste di installazione e di eventuale rinnovo delle pubblicità temporanee.
La norma sulla tariffa per la pubblicità temporanea (art. 12 del D.Lgs. 507/1993) riguarda appunto la tariffa da applicare e non i provvedimenti autorizzatori.
Nel caso in cui una pubblicità si protragga oltre i tre mesi, anche in conseguenza di una proroga dovrà pagare l’importo della pubblicità annuale per intero. Cioè una pubblicità che dura quattro mesi deve comunque pagare l’intera pubblicità annuale (link a www.ancirisponde.ancitel.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune vieta impianti troppo tecnologici nel traffico.
Il TAR ha negato l'autorizzazione all'installazione di monitor giganti predisposti alla riproduzione di immagini pubblicitarie in alta definizione sui palazzi delle strade del centro abitato cittadino. Si rischia infatti di interferire con la sicurezza della circolazione stradale creando distrazione agli automobilisti ed ai pedoni.

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... per l'annullamento del provvedimento p.g. 163393/2015 in data 18.03.2015, di rigetto della domanda di autorizzazione all'installazione di 2 impianti di riproduzione e/o trasmissione immagini da posizionare su parete in Milano, Corso Buenos Ayres n. 92;
...

Con ricorso depositato in data 21.04.2015 Town Group S.r.l. ha impugnato, chiedendone la sospensione in via incidentale, il diniego all’installazione di due impianti pubblicitari di riproduzione e/o trasmissione di immagini deducendone l’illegittimità sotto plurimi profili.
In particolare, Town group s.r.l. ha evidenziato la violazione della Delibera della Giunta comunale n. 1187 del 06.06.2014, secondo la quale il parere viabilistico della Polizia locale dovrebbe essere richiesto solo in caso di impianti di trasmissione dinamica continua; ha censurato altresì la violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990, avendo il comune convenuto respinto la sua istanza in base a motivazione diversa da quella contenuta nel preavviso di rigetto, e l’errata applicazione dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992.
Sotto quest’ultimo profilo, la società ricorrente ha evidenziato che il parere negativo della polizia locale al quale il provvedimento di diniego aveva sostanzialmente rinviato per relationem, avrebbe di fatto travisato i presupposti di legge necessari per la legittima collocazione di impianti pubblicitari.
Town Group ha infine dedotto un profilo di disparità di trattamento per contraddittorietà esterna nel diniego impugnato.
Si è costituito il comune, che ha chiesto la reiezione del ricorso, e la causa è stata trattenuta in decisione, dopo la fissazione del merito ex art. 55, comma 10 c.p.a., alla pubblica udienza del 04.11.2015.
Il ricorso è da respingere, per quanto di ragione.
Quanto ai primo due motivi, il Collegio ritiene che essi siano palesemente infondati, sulla base delle seguenti considerazioni:
- la Delibera della Giunta comunale n. 1187 del 06.06.2014 non ha escluso la possibilità per il comune di richiedere il parere di viabilità alla polizia locale per qualsiasi ipotesi di nuova installazione di impianti di riproduzione o trasmissioni immagini, stante il disposto di cui all’art. 23 del Codice della Strada;
- l’art. 10-bis della legge sul procedimento amministrativo è stato rispettato, in quanto il secondo parere chiesto alla polizia locale ha semplicemente confermato, con una motivazione meno criptica, quanto già espresso nel primo parere, sul quale la società ricorrente era stata messa in grado di interloquire con la precedente comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Altresì chiaramente infondato è l’ultimo motivo di ricorso, basato su una presunta disparità di trattamento da parte dell’amministrazione comunale, in relazione alla quale però non sono stati forniti elementi di prova sufficienti o comunque sintomatici del vizio rilevato da parte della ricorrente, ferma restando la necessità ineludibile per l’amministrazione di rispettare le norme regolatrici della materia, con conseguente eventuale necessità di revoca futura delle autorizzazioni illegittime concesse, e non, al contrario, automatico rilascio di nuove autorizzazioni a loro volta illegittime.
Venendo al nucleo fondamentale e sostanziale delle censure svolte da Town Group (violazione dell’art. 23, comma 1 del codice della strada, oltre che dell’art. 8 del regolamento comunale sulla pubblicità), è possibile formulare le seguenti osservazioni.
La società ricorrente sostiene che il parere viabilistico della polizia locale non avrebbe esplicitato il percorso logico-valutativo che ha condotto alla conclusione negativa, non risultando comprensibile, secondo la deduzione di parte, se ed in quali termini fossero stati valutati quei parametri (dimensioni, forma, colori, disegni e ubicazione) che soltanto potrebbero determinare il divieto di collocazione di impianti pubblicitari.
Il Collegio osserva che, nel provvedimento impugnato, il comune resistente ha rilevato il contrasto con le norme sopra citate (art. 23 del Cds e art. 8 del regolamento), in quanto “le posizioni degli impianti a parete proposti sull’immobile di Corso Buenos Aires 92 (…) sarebbero collocati in prossimità di uno dei nodi più complessi e trafficati della città. La posizione degli impianti potrebbe distrarre l’attenzione dell’utenza veicolare e pedonale con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione (…)”.
La motivazione risulta congrua e fondata, in relazione alle norme cui rimanda.
In particolare, l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce che “lungo le strade o in vista di esse è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione (…) arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”.
Non vi è dubbio che il comune, nel pervenire al suo diniego, abbia valutato sia la posizione (ubicazione) dei cartelli da autorizzare sia l’effetto visivo sugli utenti della strada.
Si tratta di valutazione tecnico-discrezionale che può essere sindacata soltanto per manifesta illogicità o travisamento dei presupposti di fatto; nel caso di specie, non ricorrono né l’una né l’altra ipotesi, essendo pacifica tra le parti l’ubicazione dei cartelli rispetto alla strada e la particolare complessità di traffico pedonale e veicolare della zona in cui avrebbero dovuto essere installati. Tale complessità comporta la deduzione logica di un potenziale pericolo da “distrazione” per la circolazione stradale.
Come già in altre occasioni ribadito, infatti, il bene primario protetto dalla norma del Cds è quello della sicurezza stradale, che deve essere tutelato da lesioni anche solo astrattamente ipotizzabili (si veda, tra le altre, sent. n. 1395/2013 emessa dalla Sezione).
Di conseguenza, il provvedimento è legittimo anche sotto questo profilo (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 20.11.2015 n. 2454 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: In materia di cartelloni pubblicitari posti sul muro di recinzione del campo sportivo comunale.
Ogni qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
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La realizzazione o l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti,
da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza,
il «campo sportivo» di cui è titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della collettività locale);
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la regola della necessità del rilascio di una concessione –perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato dei luoghi– si applica pure quando si tratti della collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non è regolata soltanto alle disposizioni del codice della strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del 1993), per effettuare la quale non è sufficiente la presentazione della relativa domanda, dovendosi, al riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente,
anche l'esercizio del potere di ritiro dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di interesse legittimo.
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Il Comune ha comunicato alla società appellata che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti», entro un fissato termine, perché non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto di «comodato»:
un tale contratto non può essere giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale, peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una norma giuridica e sussistano i relativi presupposti, dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie,
la richiesta di restituzione dell’area occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa, risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del Comune, sicché va rilevata la sussistenza della giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente alla gestione del bene pubblico.
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Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso.

L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte della società appellata non può quindi rilevare come titolo per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n. 507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art. 9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all'uso generalizzato.
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso anche del muro di cinta.
E comunque
il fatto che il Comune non abbia richiesto preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a percepire quanto spettante).
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Spettano alla giurisdizione del giudice ordinario non solo le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari
.
In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari, dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima, mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari.
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione di delibere comunali di determinazione delle tariffe relative agli impianti pubblicitari,
va ritenuto che sulla domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad ottenere la condanna della società di cui trattasi ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo competente riguardo alla pretesa in esame il giudice ordinario.

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1.- Il Responsabile dell'Ufficio Economico Finanziario del Comune di Ponte San Pietro, con nota prot. 8970 del 10.04.2002, ha comunicato alla s.p.a. IGPDECAUX Affissioni che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati da tre cartelli pubblicitari e da tre pannelli luminosi siti nel Comune, alla via Trento e Trieste, la cui installazione era stata autorizzata con atti prot. 5597 del 13.07.1982, prot. 6942 del 04.12.1987 e prot. 3033 del 19.04.1991, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti» (concedendo per l’incombente un termine di tre mesi), dal momento che non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree, assegnate in comodato (come sarebbe stato comprovato dalla circostanza che non risultavano pagamenti a favore del Comune per l’utilizzo dello spazio in questione).
2.- La società ha proposto il ricorso di primo grado, chiedendo l’annullamento di tale provvedimento e per il risarcimento del danno al TAR Lombardia, sezione di Brescia, che, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa del Comune ed ha accolto il ricorso, ritenendo che il Comune, non avendo chiesto alcun corrispettivo per l’uso del bene nel periodo dall’anno 1982 all’anno 2002, aveva dimostrato di avere costantemente interpretato le autorizzazioni all’affissione dei cartelli pubblicitari come comprensive della fruizione del muro di cinta del campo sportivo comunale.
Il TAR ha inoltre respinto la domanda riconvenzionale, proposta dal Comune.
3.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di Ponte San Pietro ha chiesto la riforma della sentenza del TAR, deducendo i seguenti motivi: ...
...
9.1.- Osserva la Sezione che, al fine di accertare se con il provvedimento impugnato il Comune abbia inteso esercitare prerogative di natura privata o pubblica, va innanzi tutto rilevato che l'art. 133, comma 1, lett. b), del c.p.a., nell'elencare le materie oggetto giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sottrae alla sua cognizione esclusivamente le controversie concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» e quelle attribuite ai Tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche; di conseguenza (posto che appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie di natura meramente patrimoniale),
ogni qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
Ciò posto, va osservato che
la realizzazione o l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti,
da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 04.11.1994, n. 1257),
il «campo sportivo» di cui è titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della collettività locale);
-
la regola della necessità del rilascio di una concessione –perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato dei luoghi– si applica pure quando si tratti della collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non è regolata soltanto alle disposizioni del codice della strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del 1993), per effettuare la quale non è sufficiente la presentazione della relativa domanda, dovendosi, al riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente,
anche l'esercizio del potere di ritiro dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di interesse legittimo (Cons. Stato, sez. V, 17.06.2015, n. 3066).
Non rileva invece esaminare quale sia l’ambito di applicazione dell’art. 23, comma 11, del codice della strada, che riguarda lo specifico caso di opposizione alla sanzione amministrativa e alla conseguente misura della rimozione di un impianto abusivo (e che non è suscettibile di applicazione analogica, risultando una norma eccezionale, di deroga al principio attualmente sancito dall’art. 7 del codice del processo amministrativo, per il quale i provvedimenti espressione di un potere pubblicistico sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo).
Nel caso di specie con l’atto impugnato il Comune ha comunicato alla società appellata che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli impianti», entro un fissato termine, perché non risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto di «comodato»:
un tale contratto non può essere giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale, peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una norma giuridica e sussistano i relativi presupposti, dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie,
la richiesta di restituzione dell’area occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa, risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del Comune, sicché va rilevata la sussistenza della giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente alla gestione del bene pubblico.
Va respinto dunque il primo motivo d’appello.
10.- Con il secondo motivo di gravame, il Comune ha lamentato l’erroneità della sentenza appellata, nella parte in cui essa ha argomentato nel senso che le autorizzazioni a suo tempo rilasciate erano titoli idonei ad escludere la natura abusiva delle affissioni, come risulterebbe anche dal fatto che non è stato chiesto alcun corrispettivo per l’uso del muro di cinta del campo sportivo, per il periodo dall’anno 1982 all’anno 2002.
Ad avviso dell’appellante, il TAR avrebbe sovrapposto due piani da tenere invece distinti (cioè il profilo delle autorizzazioni amministrativa all’esposizione e alla diffusione di messaggi pubblicitari e quello della fruizione di aree e di immobili di proprietà pubblica, ma non destinati all’utilizzazione pubblica generalizzata) e non avrebbe tenuto conto dei principi riguardanti la necessità della forma scritta ad substantiam, quando si tratti di contratti con le pubbliche amministrazioni.
Inoltre, è dedotto che:
- l’area in questione, in quanto appartenente al patrimonio disponibile e quindi fruttifero, non sarebbe stata soggetta a concessione di suolo pubblico, dovendosi invece ritenere necessaria la stipula di un contratto, la cui mancanza evidenzierebbe la natura abusiva delle installazioni effettuate;
- contrariamente a quanto affermato dal TAR, il Comune non ha mai ‘autorizzato’ per facta concludentia la installazione;
- l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità (ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993) non rileva quale titolo per l’occupazione degli spazi in questione, risultando anche dovuta la tassa per l’occupazione di spazi e di aree pubbliche ovvero dei canoni di locazione o di concessione (ex art. 13, u.c., del medesimo d.lgs.), come previsto anche dall’art. 18 del Regolamento comunale per la pubblicità;
- il Comune fondatamente ha preteso il pagamento del corrispettivo per l’uso di fatto del bene.
10.1.- Ritiene la Sezione che il motivo è fondato, per la parte in cui ha dedotto l’infondatezza delle censure formulate in primo grado, avverso il provvedimento di autotutela.
Vanno previamente respinte le deduzioni con cui il Comune ha dedotto che per l’utilizzo del bene in questione sarebbe stata necessaria la stipula di un contratto: come si è sopra rilevato in sede di reiezione della deduzione per cui non sussisterebbe la giurisdizione amministrativa,
il provvedimento a suo tempo emesso va qualificato come concessione (di utilizzo) di un bene pubblico.
Quanto alla deduzione sulla spettanza di un corrispettivo per l’uso del bene, il collegio ritiene che, alle considerazioni sopra riportate, vadano aggiunte quelle dopo esposte in occasione dell’esame della domanda riconvenzionale, formulata dal Comune innanzi al TAR.
Risulta invece fondata la deduzione del Comune, secondo cui l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità dovrebbe far considerare insussistente il presupposto (l’occupazione senza titolo) che ha condotto all’emanazione dell’atto impugnato in primo grado.
L'art. 3, comma 149, lettera g), della legge n. 662 del 1996 ha attribuito ai Comuni la «facoltà, con regolamento, di escludere l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità», di cui al d.lgs. n. 507 del 1993, e «di individuare le iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente prevedendo per le stesse un regime autorizzatorio e l'assoggettamento al pagamento di una tariffa», nonché la «possibilità di prevedere, con lo stesso regolamento, divieti, limitazioni e agevolazioni e di determinare la tariffa secondo criteri di ragionevolezza e di gradualità, tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi turistici presenti nel comune e delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale».
L'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 disciplina l'attività regolamentare dei Comuni in materia di entrate proprie; il seguente art. 54 abilita il Comune a fissare le tariffe e i prezzi pubblici ai fini dell'approvazione del bilancio di previsione e il successivo art. 62 (riproducendo in sostanza la disposizione della l. n. 662 del 1996 sopra richiamata) affida ai Comuni il compito di disciplinare con proprio regolamento il nuovo regime autorizzatorio in materia di pubblicità con il pagamento di un canone in base a tariffa, facendo riferimento -per quel che riguarda la «individuazione della tipologia dei mezzi di effettuazione della pubblicità esterna che incidono sull'arredo urbano o sull'ambiente»- alle disposizioni del codice della strada n. 285 del 1992 e del suo regolamento di attuazione (d.P.R. n. 495 del 1992); nella stessa disposizione è previsto che il regolamento debba disciplinare le «procedure per il rilascio e per il rinnovo dell'autorizzazione», indicare le «modalità di impiego dei mezzi pubblicitari», determinare la tariffa con criteri di ragionevolezza e gradualità in relazione agli indicati parametri, nonché che possa fissare «con carattere di generalità divieti, limitazioni e agevolazioni» (al comma 3); prevede infine (al comma 4) che il Comune procede alla rimozione dei mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o installati in difformità da essa.
Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446 del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso.
L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte della società appellata non può quindi rilevare come titolo per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n. 507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione, l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art. 9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato, che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e, quindi, all'uso generalizzato (Cassazione civile, sez. trib., 27.07.2012, n. 13476).
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso anche del muro di cinta.
E comunque
il fatto che il Comune non abbia richiesto preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a percepire quanto spettante).
Deve in conclusione ritenersi la legittimità dell’ordine di restituzione dell'area con contestuale rimozione degli impianti.
10.2. Né, comunque, un titolo concessorio si sarebbe potuto ritenere sussistente anche nel caso di effettivo pagamento delle somme di cui il Comune lamenta la mancata corresponsione, poiché il pagamento di tali importi non sarebbe stato comunque equipollente al rilascio del necessario provvedimento espresso, abilitativo dell’uso dell’impianto.
10.3. Considerato che non sono state ritualmente riproposti nel giudizio di appello, entro il termine per la costituzione in giudizio, da parte della IGPDECAUX Affissioni s.p.a., i motivi di ricorso di primo grado dichiarati assorbiti dal primo giudice, nei limiti sopra esposti l’appello va accolto e va conseguentemente respinto il ricorso di primo grado introduttivo del giudizio, perché infondato.
11.- Con il terzo motivo d’appello, il Comune ha riproposto la domanda riconvenzionale respinta dal TAR, chiedendo, ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, la condanna della società ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’affitto degli spazi in questione ed ammontante, come risulta da una certificazione del responsabile del Settore finanziario del Comune del 03.04.2003, a circa € 1.277 per l’occupazione dello spazio con un cartello pubblicitario di dimensioni pari a mt. 6x3.
Tenuto conto che l’area in questione è stata occupata con sei cartelli pubblicitari di tali dimensioni, ad avviso del Comune il canone annuo da corrispondere all’Amministrazione ammonterebbe ad € 7.662, da moltiplicare per il numero di anni di occupazione abusiva, “allo stato” pari a 20, per una somma complessiva di € 153.240,00, oltre i relativi accessori.
Con una memoria depositata il 28.05.2015, il Comune ha quantificato l’importo dovuto dalla società in € 229.860,00, oltre a rivalutazione ed interessi a decorrere da ogni annualità.
11.1.- Al riguardo la società appellata ha eccepito l’inammissibilità della domanda formulata in primo grado, tra l’altro, per difetto di giurisdizione, poiché le controversie relative al pagamento dei canoni di concessione di beni pubblici, come quelle inerenti alle pretese creditorie dell’Amministrazione per occupazioni, anche senza titolo, di beni pubblici, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario; ciò a nulla valendo la valenza riconvenzionale della richiesta, sia perché, ex art. 36 del c.p.c., essa non comporterebbe deroga alla giurisdizione del giudice adito e sia perché sarebbe precluso dal criterio di riparto l’ottenimento in via riconvenzionale di una pronuncia del giudice amministrativo preclusa in caso di azione principale (a nulla valendo la pretesa del Comune di qualificare il dedotto mancato pagamento in termini di indebito arricchimento).
11.2.- Osserva in proposito il collegio che, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. c), del c.p.a., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti «indennità, canoni ed altri corrispettivi» (sull’ambito di applicazione della medesima lettera c), cfr. Cons. di Stato, sez. V, 22.01.2015, n. 247).
In generale le controversie concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi che rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario sono quelle con concernenti pretese di carattere meramente patrimoniale, che derivano dall'attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e la pubblica amministrazione e rispetto alle quali non è stato esercitato un potere autoritativo a tutela di interessi generali; va, invece, riconosciuta la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo quando la controversia coinvolga l'esercizio di poteri discrezionali previsti da una norma giuridica e inerenti alla determinazione del canone, dell'indennità o di altro corrispettivo, ovvero investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone che incidono sull'economia dell'intero rapporto concessorio, e non semplicemente la verificazione dei presupposti fattuali dello stesso e la quantificazione delle somme.
Con particolare riguardo ai canoni comunali sulla pubblicità, la Corte Costituzionale, con sentenza 21.01.2010 n. 18, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del d.l. n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 248 del 2005 (censurato, in riferimento all'art. 102, comma 2, ed alla VI disposizione transitoria della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie attinenti il canone comunale sulla pubblicità).
In tema di riparto di giurisdizione (a seguito della sentenza n. 64 del 2008, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità, per contrasto con gli art. 103 Cost. e VI disp. att. Cost., dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b, d.l. n. 203 del 2005, convertito nella l. n. 248 del 2005)
spettano alla giurisdizione del giudice ordinario non solo le controversie relative al canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari (Cassazione civile sez. un. 16.04.2009 n. 8994).
In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari, dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che -come ritenuto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 141 del 2009- costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima, mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per la concessione di spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari (Cassazione civile, sez. un., 07.05.2010, n. 11090).
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione di delibere comunali di determinazione delle tariffe relative agli impianti pubblicitari,
va ritenuto che sulla domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad ottenere la condanna della società di cui trattasi ad indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del canone per l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo competente riguardo alla pretesa in esame il giudice ordinario.
Resta conseguentemente assorbita l’eccezione formulata dalla costituita società di irricevibilità della domanda in questione.
12.- L’appello deve essere conclusivamente accolto in parte e per l’effetto, in riforma della decisione sentenza del TAR, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
La domanda riconvenzionale riproposta in questa sede dal Comune appellante deve essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 22.10.2015 n. 4857 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI: Cartelli di esercizi commerciali e di vendita immobiliare. Imposta di pubblicità.
Ai fini dell'applicazione delle esenzioni dall'imposta di pubblicità previste dall'art. 17, D.Lgs. n. 507/1993, in particolare di quella di cui al comma 1-bis, riferita all'insegna di esercizio, il Ministero dell'economia e delle finanze ha richiamato la definizione di 'insegna di esercizio' formulata dal legislatore con il comma 6 dell'art. 2-bis del D.L. n. 13/2002, secondo cui l'insegna è la scritta di cui all'art. 47, D.P.R. n. 495/1992, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica.
Al riguardo, il Ministero ha precisato che l'insegna, oltre all'indicazione del nome del soggetto o della denominazione dell'impresa che svolge l'attività, può evidenziare anche la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti.

Il Comune illustra le caratteristiche di cartelli di esercizi commerciali, in relazione ai quali chiede se sia dovuta l'imposta di pubblicità, o se si versi, invece, nelle ipotesi di esenzione, in particolare per le insegne di esercizio, previste dalla normativa vigente in materia, di cui al D.Lgs. n. 507/1993
[1]. Il Comune, con riferimento ai cartelli di vendita immobiliare, pone altresì la questione dell'esenzione o meno dall'imposta, in relazione alle loro misure e al luogo di posizionamento.
Risulta opportuno precisare, in via preliminare, che l'attività di questo Servizio consiste nella rappresentazione in generale del quadro giuridico, normativo e giurisprudenziale, inerente alle tematiche poste, tenuto altresì conto delle indicazioni contenute nelle circolari degli organi amministrativi competenti, in modo da fornire agli enti locali un supporto per la soluzione dei singoli casi concreti.
L'art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993 elenca le fattispecie pubblicitarie che godono dell'esenzione dal tributo, in particolare, al comma 1-bis -inserito dall'art. 10, comma 1, lett. c), L. n. 448/2001
[2]- prevede che l'imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati.
Il Ministero dell'economia e delle finanze è più volte intervenuto a fornire chiarimenti in ordine alle modalità di applicazione dell'imposta di pubblicità. E così, nelle circolari esplicative ha sottolineato che l'esenzione di cui al comma 1-bis è applicabile ai soli mezzi pubblicitari che possono definirsi 'insegne di esercizio'
[3] ed ha richiamato, al riguardo, la definizione formulata dallo stesso legislatore con il comma 6 dell'art. 2-bis del D.L. n. 13/2002, secondo cui l'insegna è la scritta di cui all'art. 47 del D.P.R. n. 495/1992, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica, vale a dire 'la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta' [4].
In base a tale definizione, l'insegna, oltre all'indicazione del nome del soggetto o della denominazione dell'impresa che svolge l'attività, può evidenziare anche la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti
[5].
Non possono, invece, essere definite 'insegne di esercizio' le scritte relative al marchio del prodotto venduto nel caso in cui siano contenute in un distinto mezzo pubblicitario, che viene, cioè, esposto in aggiunta ad un'insegna di esercizio, poiché questa circostanza manifesta chiaramente l'esclusivo intento di pubblicizzare i prodotti in vendita. In quest'ultimo caso, risultano esenti dal pagamento del tributo le insegne di esercizio la cui superficie complessiva non superi il limite dimensionale di 5 metri quadrati, mentre vanno assoggettati a tassazione i distinti mezzi pubblicitari che espongono esclusivamente il marchio
[6].
Il Ministero ha altresì fornito delle esemplificazioni delle scritte apprezzabili come insegne di esercizio, tra le altre:
- la generica indicazione della tipologia dell'esercizio commerciale (ad esempio, con la semplice scritta "Bar" o "Alimentari");
- la precisa individuazione dell'esercizio commerciale (ad esempio: "Bar Bianchi" o "Alimentari Azzurri");
- la generica individuazione dell'esercizio commerciale realizzata con l'indicazione del nominativo del titolare (ad esempio, la semplice scritta 'da Giovanni');
- l'indicazione, precisa o generica, della tipologia dell'esercizio commerciale accompagnata nel contesto dello stesso mezzo pubblicitario, da simboli o marchi relativi a prodotti in vendita (ad esempio: "Bar Alfa-Caffè Beta").
Le fattispecie esemplificative del Ministero sono espressamente dettate per andare incontro alle numerose richieste dei comuni su casi specifici, e dovrebbero dunque già di per sé fornire agli enti locali gli strumenti per applicare in modo corretto l'imposta di pubblicità nelle diverse situazioni concrete in relazione alle loro particolarità.
In via collaborativa si possono, comunque, formulare delle considerazioni muovendo dagli esempi indicati dal Ministero. E così sembra potersi osservare che nelle scritte qualificabili come insegne sono contenuti il nome dell'operatore economico, la mera tipologia dell'attività esercitata (bar, alimentari), il marchio commercializzato
[7], mentre non compaiono in alcuna delle fattispecie tipizzate riferimenti a qualità dei prodotti [8]. Peraltro, appaiono consentite anche descrizioni dell'attività esercitata [9].
Una tale lettura appare del resto coerente con il tenore letterale del comma 1-bis dell'art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993, che parla di insegne di esercizio che 'contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono', per cui ben rientrano nella definizione quegli elementi, quali il nome, la tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi offerti
[10], idonee ad indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività commerciale o di produzione di beni o servizi [11].
Per quanto concerne l'assoggettamento all'imposta di pubblicità dei cartelli di compravendita immobiliare, ai sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 507/1993, comma 1, lett. b), sono esenti dall'imposta, tra gli altri, gli avvisi al pubblico riguardanti la locazione o la compravendita degli immobili sui quali sono affissi, di superficie non superiore ad un quarto di metro quadrato.
Al riguardo, il Comune chiede se il limite dimensionale indicato dalla norma (un quarto di metro quadrato) sia da intendersi riferito alla superficie complessiva dei cartelli di compravendita (o locazione) apposti, nel senso di ritenersi superato dalla somma degli stessi, e se detti cartelli possano essere affissi anche sulle pertinenze dell'immobile o nelle parti comuni del condominio.
Per quanto concerne le dimensioni dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare da rispettare per beneficiare dell'esenzione dall'imposta di pubblicità, si osserva che la formulazione testuale della previsione normativa in commento, per questa specifica tipologia di cartelli, non precisa 'superficie complessiva'. Ed invero, laddove il legislatore ha voluto esprimersi in tal senso, lo ha esplicitamente fatto al comma 1-bis dell'art. 17, D.Lgs. n. 507/1993, relativamente alle insegne di attività commerciali e di produzione di beni o di servizi, esenti dall'imposta se volte a contraddistinguere la sede ove si svolge l'attività cui si riferiscono e se, appunto, di 'superficie complessiva fino a 5 metri quadrati'.
Il Comune osserva che con riferimento agli avvisi al pubblico di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 507/1993, richiamato, esposti nelle vetrine o nelle porte di ingresso dei locali, il Ministero dell'economia e delle finanze
[12] ha riferito il relativo limite dimensionale inferiore a mezzo metro quadrato alla superficie complessiva di detti avvisi e chiede se sia possibile estendere queste considerazioni, per analogia, a tutte le fattispecie della lett. b), ivi inclusi i cartelli immobiliari.
Al riguardo, posto che per giurisprudenza costante
[13] 'le norme che concedono esenzioni fiscali, avendo carattere eccezionale, sono insuscettibili di interpretazione analogica', si segnala che la Corte di Cassazione [14] ha invece affermato che per gli avvisi al pubblico di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), richiamato, l'esenzione opera purché essi non superino, ciascuno individualmente, la superficie di mezzo metro quadrato.
Pertanto, stante il tenore letterale della disciplina normativa dell'esenzione dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare, che parimenti non specifica il limite dimensionale come riferito alla superficie complessiva, e tenuto conto di quanto affermato di recente dalla Corte di Cassazione in ordine al rispetto di detto limite per ciascun cartello singolarmente, si ritiene opportuno suggerire all'Ente di chiedere un chiarimento ai competenti organi statali specificamente per i cartelli di compravendita/locazione immobiliare.
Allo stesso modo, si ritiene che l'interpretazione dell'indicazione normativa dell'affissione dei cartelli di compravendita/locazione immobiliare 'sull'immobile', in particolare se la stessa vada intesa come comprensiva anche delle pertinenze, debba provenire dai competenti organi statali. Infatti, posta la giurisprudenza restrittiva richiamata in ordine all'interpretazione analogica delle norme di esenzione fiscale, si osserva che un'espressa indicazione anche delle pertinenze è prevista dal legislatore unicamente con specifico riferimento all'esenzione per le insegne di esercizio (art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. n. 507/1993), quali installate nella sede dell'attività a cui si riferiscono o nelle pertinenze accessorie alla stessa (art. 47, D.P.R. n. 445/1992, richiamato)
[15].
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[1] D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, recante: 'Revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani a norma dell'art. 4 della legge 23.10.1992, n. 421, concernente il riordino della finanza territoriale'.
[2] L. 28.12.2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002).
[3] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 08.02.2002, n. 1.
[4] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 03.05.2002 n. 3; circolare 19.03.2007, n. 11159.
[5] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 19.03.2007, n. 11159; nello stesso senso, Ministero dell'economia e delle finanze, circolare 03.05.2002 n. 3.
[6] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 11159/2007, cit.. Nello stesso senso, Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 3/2002, ove si precisa, peraltro, che la presenza, nell'ambito dello stesso mezzo pubblicitario, delle indicazioni relative al marchio del prodotto venduto, non fa in alcun modo venire meno la natura di insegna di esercizio; ciò del resto trova espressa legittimazione nella stessa nozione contenuta nel citato art. 47 del DPR n. 495 del 1992, che stabilisce, appunto, che la scritta distintiva della sede di svolgimento dell'attività economica può essere 'completata eventualmente da simboli o da marchi'.
[7] Fermo restando, come chiarito sopra, che l'aggiunta di uno o più cartelli distinti raffiguranti esclusivamente il marchio comporta, invece, l'applicazione dell'imposta di pubblicità su detti cartelli.
[8] E così sembrano non poter beneficiare dell'esenzione quei cartelli ove si esaltano le qualità e i benefici dei prodotti venduti al fine di migliorarne l'immagine con indicazioni ulteriori rispetto a quelle identificative dell'attività economica esercitata.
[9] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n. 11159/2007, cit..
[10] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 11159/2007, cit..
[11] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 3/2002, cit..
[12] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n. 11159/2007, cit..
[13] Cass. civ., sez. un., 25.05.2009, n. 11986; Cass. civ., sez. I, 09.08.1990, n. 8111.
[14] Cass. civ., sez. VI, 16.10.2014, n. 21966.
[15] Cfr. Cass. civ., sez. V, 30.10.2009, n. 23021; Cass. civ., sez. V, 06.12.2011, n. 26174
(25.06.2015 -
link a www.regione.fvg.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sulla proroga del rapporto concessorio di impianto pubblicitario.
Il Collegio ritiene che nel caso di specie vi sia stata una proroga consensuale di fatto del rapporto concessorio, attraverso:
- il pagamento annuale dell’imposta di pubblicità,
- la prescritta dichiarazione di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993 e
- il correlativo comportamento tacito da parte del Comune (cfr. l’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993: “La dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell'imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il 31 gennaio dell'anno di riferimento, sempre che non venga presentata denuncia di cessazione entro il medesimo termine”).

... per l'annullamento della nota prot. n. 35653 del 24.07.2014, con la quale il Dirigente del Settore 4° Programmazione Urbanistica del Comune di Lanciano ha comunicato alla società ricorrente il non accoglimento dell'istanza volta ad ottenere la voltura delle concessioni per gli impianti pubblicitari acquistate dalla soc. Vinciguerra Pubblicità ed il nulla osta per la sostituzione di tali impianti.
...
1.- Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune di Lanciano (Ch) ha rigettato l’istanza di voltura di alcune concessioni all’istallazione e mantenimento di impianti pubblicitari, presentata e acquisita agli atti in data 31.05.2014.
Secondo la motivazione del provvedimento impugnato, le concessioni non potevano essere volturate in favore dell’avente causa in quanto erano decadute per mancato rinnovo alla scadenza (che sarebbe fissata in 3 anni ai sensi dell’articolo 53, comma 6, del d.p.r. n. 595 del 1992, e la richiesta di rinnovo deve essere presentata 60 giorni prima ex articolo 7.7 del piano generale comunale degli impianti pubblicitari).
Il ricorrente evidenzia che, dopo aver acquisito il relativo ramo d’azienda dal precedente concessionario in data 23.07.2008, ha provveduto regolarmente al pagamento dell’imposta di pubblicità, alle dichiarazioni annuali e alle manutenzioni, senza che l’Amministrazione abbia mai eccepito la sopravvenuta estinzione del titolo concessorio.
Il Comune resistente, nel costituirsi, ha ribadito che il ricorrente non potrebbe aspirare alla voltura, essendo scaduto il termine di durata massima, ma potrebbe semmai richiedere nuove concessioni, al ricorrere dei presupposti.
2.- All’udienza del 14.05.2015 la causa è passata in decisione.
Il ricorso è fondato.
Conformemente a quanto già deciso con la sentenza n. 88 del 2015 di questo Tribunale in una controversia analoga tra la ricorrente ed il Comune di Vasto, il Collegio ritiene che nel caso di specie vi sia stata una proroga consensuale di fatto del rapporto concessorio, attraverso il pagamento annuale dell’imposta di pubblicità, la prescritta dichiarazione di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993 e il correlativo comportamento tacito da parte del Comune (cfr. l’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993: “La dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell'imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il 31 gennaio dell'anno di riferimento, sempre che non venga presentata denuncia di cessazione entro il medesimo termine”).
Né il diniego di accoglimento della proroga ha i requisiti di sostanza e di forma di una motivata revoca espressa (cfr. Tar Pescara, sentenza n. 88 del 2015) (TAR Abruzzo-Pescara, sentenza 28.05.2015 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sistemazione di un'insegna o tabella pubblicitaria.
La sistemazione di un'insegna o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti mutamento territoriale, atteso che soltanto un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che edilizio, fa assumere rilevanza penale alla violazione del regolamento edilizio, con conseguente integrazione del reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
3. - Il ricorso non è fondato.
3.1. - Le articolate argomentazioni poste dal ricorrente a sostegno del primo motivo di doglianza si scontrano con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la sistemazione di un'insegna o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti mutamento territoriale; atteso che soltanto un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che edilizio, fa assumere rilevanza penale alla violazione del regolamento edilizio, con conseguente integrazione del reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (sez. 3, 15.01.2004, n. 5328, rv. 227402; sez. 4, 18.01.2007, n. 6382, rv. 236104; sez. 3, 22.10.2010, n. 43249, rv. 248724).
Deve osservarsi, in particolare, che non vi è rapporto di specialità tra la disciplina sanzionatoria penale dettata in materia urbanistica e antisismica dal d.P.R. n. 380 del 2001 e quella, amministrativa pecuniaria, dettata dal decreto legislativo n. 507 del 1993, in materia di imposta comunale sulla pubblicità e pubbliche affissioni, in quanto si tratta di sanzioni poste a tutela di interessi giuridici diversi, presidiando la prima la pubblica incolumità e l'altra il controllo sulle pubbliche affissioni, in relazione al loro contenuto, alla loro natura commerciale, all'applicazione dell'imposta sulla pubblicità.
Né a tale ricostruzione vale obiettare, come fa il ricorrente, che l'art. 168 del d.lgs. n. 42 del 2004 richiama, per l'apposizione di cartelli con mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni poste a tutela del paesaggio, le stesse sanzioni amministrative previste dal codice della strada, perché la tutela del paesaggio rappresenta un interesse diverso e ulteriore rispetto ai corretto assetto del territorio e, soprattutto, alla tutela dell'incolumità pubblica nelle zone sismiche (ex plurimis, Cass., sez. 3, 22.10.2010, n. 43249, rv. 248724; sez. 3, 10.04.2013, n. 39796, rv. 257677). E tale giurisprudenza ha ampiamente superato il contrario orientamento isolatamente espresso dalla sentenza sez. 3, 03.05.2006, n. 323, richiamata dalla difesa.
Né può valere ad escludere la sussistenza del reato il riferimento alla deliberazione della giunta della Regione Calabria 22.07.2011, n. 330 (Approvazione elenco opere dichiarate «minori». Indirizzi interpretativi in materia di sopraelevazione di edifici esistenti). Si tratta infatti, a ben vedere, di una delibera che, per la parte che qui rileva, deve essere ritenuta illegittima, perché crea ex novo la categoria delle "opere minori" che non sarebbero soggette alla disciplina antisismica, in aperta violazione del disposto dell'art. 83 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale prevede che tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità sono soggette alla normativa antisismica, senza consentire alle Regioni di adottare in via amministrativa deroghe per particolari categorie di opere.
E l'illegittimità della deliberazione regionale emerge dalla sua stessa formulazione laterale, laddove nel preambolo si riconosce espressamente che «le norme legislative nonché quelle tecniche in vigore non dettano, espressamente, alcuna particolare limitazione o esclusione delle opere da assoggettare alle discipline di cui sopra».
Anche a prescindere dalle considerazioni appena svolte, deve in ogni caso rilevarsi che tale deliberazione -contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente- non opera una liberalizzazione generalizzata dell'istallazione di strutture di sostegno per pannelli pubblicitari.
Non vi è dubbio che l'art. 2 del provvedimento stabilisca che le opere minori individuate nell'allegato A sono esentate dalla trasmissione del progetto presso gli uffici regionali al fine dell'ottenimento dell'autorizzazione ai sensi delle leggi nazionali e regionali in materia edilizia sismica, e che in tale allegato siano comprese le «strutture di sostegno per dispositivi di illuminazione, segnaletica stradale, pannelli pubblicitari, insegne e simili, isolate e non ancorati agli edifici, e qualora ancorati agli edifici, aventi un peso complessivo uguale o inferiore a 1 KN [...]» (punto 17 dell'allegato A).
Nondimeno, tale esenzione risulta sottoposta a due condizioni. La prima, prevista dal successivo art. 3, è che «la rispondenza della progettazione e della realizzazione delle opere di che trattasi alle norme tecniche in vigore dovrà essere certificata presso l'Ufficio tecnico del Comune interessato, da un tecnico abilitato che dovrà dichiarare, altresì che le stesse sono quelle riportate nel citato elenco A».
 La seconda è fissata dal richiamato punto 17 dell'allegato A, il quale prevede che siano escluse dall'assoggettabilità alle procedure previste in materia edilizia sismica le strutture di sostegno, anche per pannelli pubblicitari, alla condizione che esse siano dotate di certificato e/o brevetto ministeriale. Ne consegue che, anche a prescindere dalla già rilevata illegittimità della deliberazione, la stessa non può avere in nessun caso l'effetto di depenalizzare la condotta del ricorrente, perché la realizzazione di sostegni per pannelli pubblicitari non è libera, ma sottoposta ai regimi di certificazione sopra richiamati. E del resto nel caso di specie il ricorrente non ha neanche prospettato che il sostegno da lui realizzato fosse dotato di certificazione ai sensi dell'art. 3 e di certificato e/o brevetto ministeriale ai sensi dell'art. 17 dell'allegato A alla richiamata deliberazione regionale del 22.07.2011.
In relazione, infine, alle dimensioni del manufatto, va osservato che le stesse sono molto significative, trattandosi di un sostegno di 60 cm di diametro e di un'altezza all'incirca corrispondente a quella di un edificio di due piani; con la conseguenza che le considerazioni svolte dalla difesa circa l'esclusione dei manufatti di piccole dimensioni dall'ambito di applicazione della disciplina antisismica risultano comunque irrilevanti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 08.05.2015 n. 19185 - tratto da www.lexambiente.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Sul risarcimento del danno patito per aver autorizzato il comune (in ritardo) l'installazione di una insegna pubblicitaria ben 275 giorni dalla data di apertura dell'agenzia viaggi.
Il danno da ritardo (riferito cioè alla tardiva adozione del provvedimento ampliativo spettante) consegue all’inadempimento dell’obbligo (legale) preesistente di concludere il procedimento amministrativo nei termini prefissati.
L’interesse giuridicamente protetto è qui l’aspettativa della utilità incrementali attese per via della positiva conclusione del procedimento, e non la generica reintegrazione “del tempo”, il quale non costituisce (sul versate civilistico) un autonomo “bene della vita” (come ritiene la giurisprudenza che riconduce la fattispecie nell’alveo dell’art. 2043 c.c.), bensì rappresenta il presupposto (empirico) per lo sfruttamento delle possibilità acquisitive conseguibili con il proprio agire lecito.
L’istituto intende porre l’amministrato (tramite la compensazione economica della aspettativa non realizzata) nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se la l’azione amministrativa fosse stata tempestivamente portata a compimento, distinguendosi dall’illecito aquiliano che si muove invece nell’orbita della salvaguardia dello status quo ante (ripristino dell’integrità patrimoniale e riparazione del danno alla persona).
Il rimedio, in definitiva, per affinità funzionale, appare classificabile nell’alveo della responsabilità contrattuale (sia pure connotata da una disciplina meno favorevole per l’avente diritto, dettandosi un termine prescrizionale più breve).
Ne consegue che l’antigiuridicità della condotta è di per sé qualificata dalla violazione del termine legale, laddove il riferimento alla “ingiustizia” (pure contenuto nell’art. 2-bis della legge 241/1990) è una mera superfetazione, in quanto non costituisce un ulteriore elemento esplicativo della fattispecie risarcitoria.
Tale conclusione non è contraddetta dalla considerazione per cui non sarebbe sufficiente, ai fini della risarcimento, il mero superamento del termine di conclusione del procedimento, occorrendo provare l’effettivo nocumento patito; ciò, infatti, attiene alla selezione del danno risarcibile e non alla ingiustizia della lesione.
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Venendo da ultimo agli accessori si osserva che nell’obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto), la rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimento dell’eventuale maggior danno da mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello già coperto dagli interessi legali (così come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c.), ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione attuale del valore perduto dal creditore in termini monetari attuali.
Valendo la rivalutazione a realizzare il “petitum” originario, per i debiti di valore essa può essere effettuata d’ufficio anche in difetto di esplicita richiesta di rivalutazione, tenendo comunque conto della svalutazione monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della liquidazione se il danno era determinabile in una somma di denaro in relazione all’epoca in cui era stato prodotto, salvo chiaramente che il danneggiato non abbia manifestato un’espressa ed inequivoca volontà contraria.
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Il riconoscimento degli interessi, invece, rappresenta una modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore da lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei casi in cui la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore.
Pertanto, il mero ritardo nella percezione dell’equivalente monetario non dà automaticamente diritto alla corresponsione degli interessi, occorrendo a tal fine l’allegazione e la prova del danno ulteriore subito dal creditore, che si realizza solo se ed in quanto la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) risulti inferiore a quella di cui il danneggiato avrebbe disposto, alla data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo (ovvero all’epoca del pregiudizio).
L’accertamento di tale danno, secondo la giurisprudenza, può aver luogo anche in base a criteri presuntivi ed equitativi collegati al rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione (criteri quale l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso), essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà normalmente configurabile (Cass., sez. III, 28.07.2005 n. 15823; Cass., sez. III, 26.02.2004 n. 3871; Cass., sez. III, 18.03.2003 n. 3994, secondo cui l’onere di provare che la somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta attuale, sia inferiore a quella di cui il creditore avrebbe disposto alla data della sentenza se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto a carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a mezzo di presunzioni).
Qualora la prova del danno maggiore sia riconosciuta dal giudice, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio.

...  per la condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente per inosservanza colposa del termine di 60 giorni per la conclusione del procedimento amministrativo di autorizzazione all’installazione di insegne pubblicitarie ex art. 53, comma 5, del d.P.R. 16.12.1992, n. 495.
...
III. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato nei limiti che seguono.
III.1. Il danno da ritardo (riferito cioè alla tardiva adozione del provvedimento ampliativo spettante) consegue all’inadempimento dell’obbligo (legale) preesistente di concludere il procedimento amministrativo nei termini prefissati. L’interesse giuridicamente protetto è qui l’aspettativa della utilità incrementali attese per via della positiva conclusione del procedimento, e non la generica reintegrazione “del tempo”, il quale non costituisce (sul versate civilistico) un autonomo “
bene della vita” (come ritiene la giurisprudenza che riconduce la fattispecie nell’alveo dell’art. 2043 c.c.: cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 04.09.2013 n. 4452; Consiglio di Stato, sez. V, 28.02.2011 n. 1271), bensì rappresenta il presupposto (empirico) per lo sfruttamento delle possibilità acquisitive conseguibili con il proprio agire lecito.
L’istituto intende porre l’amministrato (tramite la compensazione economica della aspettativa non realizzata) nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se la l’azione amministrativa fosse stata tempestivamente portata a compimento, distinguendosi dall’illecito aquiliano che si muove invece nell’orbita della salvaguardia dello status quo ante (ripristino dell’integrità patrimoniale e riparazione del danno alla persona). Il rimedio, in definitiva, per affinità funzionale, appare classificabile nell’alveo della responsabilità contrattuale (sia pure connotata da una disciplina meno favorevole per l’avente diritto, dettandosi un termine prescrizionale più breve).
Ne consegue che l’antigiuridicità della condotta è di per sé qualificata dalla violazione del termine legale, laddove il riferimento alla “ingiustizia” (pure contenuto nell’art. 2-bis della legge 241/1990) è una mera superfetazione, in quanto non costituisce un ulteriore elemento esplicativo della fattispecie risarcitoria. Tale conclusione non è contraddetta dalla considerazione per cui non sarebbe sufficiente, ai fini della risarcimento, il mero superamento del termine di conclusione del procedimento, occorrendo provare l’effettivo nocumento patito; ciò, infatti, attiene alla selezione del danno risarcibile e non alla ingiustizia della lesione.
III.2. Nel caso di specie, è incontestato tra le parti che il provvedimento conclusivo del procedimento è stato concretamente adottato 275 giorni dopo la presentazione dell’istanza (più precisamente 262 dovendosi scomputare la sospensione procedimentale necessaria per l’integrazione documentale tra il 26.01.2012 e il 09.05.2012).
IV. Non sono fondati gli argomenti spesi da controparte per contestare l’imputazione oggettiva del danno in capo all’amministrazione.
IV.1. In primo luogo, non appare condivisibile l’eccezione secondo cui il comportamento omissivo del danneggiato (che non avrebbe mai sollecitato la conclusione del procedimento, né proposto azione avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a.) avrebbe reciso il nesso causale tra la dilatazione dei termini procedimentali e l’evento dannoso. Come è noto, l’azione risarcitoria (art. 30 c.p.a.) è autonoma, in quanto non pregiudicata (né sul versante sostantivo, né su quello processuale) dall’accoglimento della domanda avverso il silenzio.
Sotto il profilo della evitabilità del danno, il ricorrente ha dedotto, senza alcuna specifica contestazione di controparte, di aver provveduto più volte, per il tramite del proprio tecnico (Arch. S.Z.), a sollecitare i tecnici del Comune di Melzo (Arch. C.C., l’Ing. P.C. e l’Arch. A.C.). Per contro, ma la cosa non sembra posta in discussione neppure dallo stesso ricorrente, i giorni attesi da quest’ultimo (ulteriori 21 giorni), una volta ottenuta l’autorizzazione in data 23.01.2013, prima di provvedere al ritiro della stessa, non sono imputabili all’inadempimento dell’amministrazione.
IV.2. Neppure è condivisibile l’affermazione alla cui stregua il tempo impiegato dal Sig. S. per avanzare l’istanza di autorizzazione all’apposizione dell’insegna (pur avendo egli stipulato già in data 19.11.2011 il contratto di compravendita immobiliare per l’acquisto del nuovo immobile) dovrebbe dimostrare che egli non aveva alcuna urgenza di ottenere il provvedimento autorizzativo all’installazione dell’insegna. Difatti, ciò che rileva ai nostri fini è soltanto il nocumento di non aver potuto esporre l’insegna per un certo periodo a causa dell’inerzia amministrativa.
V. Sul versante dell’imputazione soggettiva, l’amministrazione (cui incombeva il relativo onere) non ha fornito al Collegio alcuna esimente della disfunzione organizzativa dimostrata.
VI. Venendo ora alle singole voci di danno concretamente risarcibile, è utile rimarcare che spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del pregiudizio, non potendosi invocare qui il principio acquisitivo. La sussistenza del un danno non può, infatti, presumersi quale automatica conseguenza della tardiva adozione di un provvedimento favorevole all’interessato nei tempi legali.
VII. Il ricorrente lamenta in prima battuta un significativo calo di guadagno (quantificato in € 30.335,75) riconducibile alla mancanza di visibilità dell’agenzia da parte della clientela turistica. Ai fini della quantificazione, allega la documentazione fiscale e contabile la quale proverebbe per tabulas il calo del volume intermediato passato da € 1.925.212,00 (per l’anno 2011) a € 1.621.854,49 (per l’anno 2012) per una differenza negativa pari a € 303.357,51. Il calo dell’utile, tenuto conto che le percentuali medie di agenzia ammontano a circa il 10% del volume intermediato, viene calcolato nella misura del 10% di € 303.357,51.
VII.1. Il Comune resistente, oltre a contestare la documentazione contabile, replica che non vi sarebbe stato alcun calo di volume di affari del ricorrente. Non vi sarebbe stata alcuna difficoltà della clientela a individuare l’agenzia viaggi, la quale sarebbe stata perfettamente visibile in quanto collocata in locali che hanno ben tre ampie vetrine sulla pubblica via nelle quali sarebbe stato ben possibile esporre materiale pubblicitario e di richiamo della clientela.
VII.2. Ricorda il Collegio che l’insegna, contraddistinguendo lo stabilimento dell’azienda, è deputata a favorire l’incontro tra imprenditore e clienti. Il valore economico dell’insegna è confermato dalla tutela giuridica appositamente apprestata ai segni distintivi dei locali nei quali si svolge l’attività commerciale (art. 2568 c.c.).
Quanto alla sussistenza del danno nell’an, il ricorrente ha allegato circostanze di fatto senza dubbio precise. Appare, invece, nel quantum, alquanto incerto stabilire quale ammontare del calo di volume intermediato sia riconducibile alla mancata esposizione dell’insegna e non ad altri fattori (si pensi alla temporanea perdita della clientela anteriore al trasferimento, ovvero alla diminuzione della domanda aggregata dovuta alla recente crisi economica).
L’impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito consente, a questo punto di dare ingresso alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 c.c. Il Collegio, tenuto conto dei valori esemplificati dai bilanci, del possibile concorso di altri fattori eziologici, del periodo di mancata esposizione dell’insegna, ritiene di potere quantificare il lucro cessante in via equitativa in € 12.000,00.
VIII. Quale ulteriore voce di danno, afferma il ricorrente che non avrebbe mai intrapreso la scelta di trasferire l’Agenzia in una nuova ubicazione se solo avesse saputo di dover attendere così tanto tempo per ottenere l’autorizzazione all’apposizione dell’insegna, con la conseguenza che i costi così sopportati (spese di trasloco, cauzione, computer, consulenza per locazione negozio, registrazione contratto, spese architetto), costituirebbero voci di danno risarcibile.
VIII.1. Sennonché, tale pretesa non è affatto omogenea rispetto all’interesse (positivo) al provvedimento per la cui tardiva adozione si invoca il risarcimento. Il danno da ritardo (su cui è incentrato l’intero ricorso) non è cumulabile con il danno da mera ”incertezza” (derivante cioè dalla semplice attesa di conoscere l’esito dell’istanza), integrando essi fattispecie del tutto alternative.
Il primo è, come si è visto, connesso alla aspettativa di utilità conseguibile tramite l’ottenimento dell’autorizzazione (interesse positivo); il secondo è riferito al pregiudizio derivante dalla lesione dell’affidamento qualificato del cittadino a non essere coinvolto nelle ingiustificate lungaggini procedimentali della pubblica amministrazione (interesse negativo).
IX. Si lamenta, altresì, che la mancanza dell’insegna per ben 275 giorni dalla data di apertura dell'agenzia avrebbe causato un evidente danno anche all’immagine dell’agenzia viaggi.
IX.1. Sennonché, tale richiesta, ove interpretata nel senso che la diminuzione della considerazione nutrita nei confronti dell’agenzia viaggi avrebbe determinato un pregiudizio di tipo patrimoniale per perdita di chances (come sembrerebbe desumersi dalla affermazione secondo cui “tal danno potrebbe essere ritenuto direttamente proporzionale e pari alla diminuzione dei guadagni subiti dal ricorrente per cause imputabili alla mancanza dell'insegna”), appare evidentemente ricompresa nella voce di danno precedentemente esaminata (sub VII).
IX.2. Ove, per contro, ci si riferisca al danno all’immagine non patrimoniale, la pretesa è sfornita di qualsivoglia prova. Gli artt. 1218 e 1223 c.c distinguono in modo chiaro tra l’inadempimento (ossia la lesione) e la perdita (solo eventuale). Un limite strutturale del nostro sistema di responsabilità afferisce proprio all’oggetto del risarcimento, che non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva dal momento che l’evento, il fatto materiale e naturalistico, quale effetto del comportamento ingiusto, non può avere alcuna rilevanza autonoma.
Il danno alla persona (sia esso biologico, emotivo e interiore, ovvero attinente alle variazione delle scelte di vita) è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione. E’ sempre necessaria, a questa stregua, la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere equitativamente commisurato; non è possibile da parte di chi lo invoca il mero utilizzo di formule standardizzate occorrendo, invece, l’allegazione e la prova di concrete circostanze comprovanti l’alterazione delle abitudini di vita.
Pur ammettendosi il ricorso a valutazioni prognostiche presuntive (art. 2729 c.c.), il danneggiato è tenuto all’allegazione e alla prova di tutti gli elementi idonei a fornire al giudice dati obiettivi di presunzione. Nella specie, le deduzioni contenute in ricorso, stante il loro contenuto generico e apodittico, sono del tutto insufficienti a provare che la mancata esposizione dell’insegna abbia di per sé comportato la diminuzione della considerazione da parte dei consociati, determinando una proiezione negativa sulla reputazione dell’impresa commerciale immediatamente percepibile dalla collettività.
X. Venendo da ultimo agli accessori si osserva che nell’obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto), la rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimento dell’eventuale maggior danno da mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello già coperto dagli interessi legali (così come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art. 1224, comma 2, c.c.), ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione attuale del valore perduto dal creditore in termini monetari attuali.
Valendo la rivalutazione a realizzare il “petitum” originario, per i debiti di valore essa può essere effettuata d’ufficio anche in difetto di esplicita richiesta di rivalutazione, tenendo comunque conto della svalutazione monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della liquidazione se il danno era determinabile in una somma di denaro in relazione all’epoca in cui era stato prodotto, salvo chiaramente che il danneggiato non abbia manifestato un’espressa ed inequivoca volontà contraria (cfr. Cass., sez. III, 14.11.2000, n. 14743).
X.1. Il riconoscimento degli interessi, invece, rappresenta una modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore da lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei casi in cui la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore.
Pertanto, il mero ritardo nella percezione dell’equivalente monetario non dà automaticamente diritto alla corresponsione degli interessi, occorrendo a tal fine l’allegazione e la prova del danno ulteriore subito dal creditore, che si realizza solo se ed in quanto la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) risulti inferiore a quella di cui il danneggiato avrebbe disposto, alla data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo (ovvero all’epoca del pregiudizio).
L’accertamento di tale danno, secondo la giurisprudenza, può aver luogo anche in base a criteri presuntivi ed equitativi collegati al rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione (criteri quale l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso), essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà normalmente configurabile (Cass., sez. III, 28.07.2005 n. 15823; Cass., sez. III, 26.02.2004 n. 3871; Cass., sez. III, 18.03.2003 n. 3994, secondo cui l’onere di provare che la somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta attuale, sia inferiore a quella di cui il creditore avrebbe disposto alla data della sentenza se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto a carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a mezzo di presunzioni).
Qualora la prova del danno maggiore sia riconosciuta dal giudice, gli interessi non possono essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un indice medio (cfr. il noto arresto Cass., sez. un., 17.02.1995, n. 1712).
X.2. Tanto premesso, nel caso che ci occupa, sulla somma riconosciuta a titolo risarcitorio, valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso, il Collegio ritiene dovuta alla parte ricorrente, oltre alla rivalutazione, anche il risarcimento derivante dal maggior danno subito per il ritardato pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento.
Presumendo, infatti, un normale utilizzo del danaro da parte del danneggiato (in mancanza di deduzioni specifiche da parte del ricorrente), il pregiudizio economico derivato dal ritardato pagamento (da computarsi a far data dalla sottoscrizione del contratto) può essere equamente determinato ipotizzando un impiego della somma nelle forme più comuni di risparmio (titoli di Stato) e considerando il rendimento di tali forme di investimento e il tasso medio dell’interesse legale del periodo in oggetto.
Si ritiene pertanto conforme ad equità liquidare gli interessi nella misura del 2 % annuo (stimato ragionevole, anche alla luce dell’intervenuta inflazione) per il periodo sopra indicato. La base del calcolo degli interessi, è costituita dall’importo medio dato dalla media aritmetica tra la somma liquidata ad oggi, e quella dovuta all’epoca del fatto (ottenuta devalutando il primo importo per il coefficiente dato dagli indici nazionali dei prezzi al consumo pubblicati annualmente da ISTAT).
X.3. Dal deposito della presente sentenza (che rappresenta il momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta), sulla somma totale sono dovuti gli interessi legali fino all’effettivo soddisfo (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 12.01.2015 n. 94 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2014

EDILIZIA PRIVATAE' legittima la revoca d'ufficio dell’autorizzazione per l'esposizione di mezzi pubblicitari, in precedenza rilasciata, laddove le insegne pubblicitarie luminose precedentemente autorizzate dal Comune indicavano l’esercizio della ricorrente quale “Medicina Estetica Solarium”, mentre il provvedimento di revoca riguarda unicamente la parola “Medicina”, in quanto l’attività medica indicata nelle suddette insegne non risulta autorizzata dal Comune in riferimento all’esercizio della ricorrente.
Invero, solo il rilascio di una specifica autorizzazione a tale delicata attività ai sensi della L.R. Emilia Romagna n. 34/1998 consente all’impresa interessata di pubblicizzarne l’esercizio.
Ciò premesso, è evidente che la fattispecie in esame rientri a pieno titolo tra i casi in cui il provvedimento adottato dalla P.A. è legittimo ex art. 21-octies L. n. 241 del 1990, poiché esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso, anche se l’interessato avesse potuto partecipare al relativo procedimento perché destinatario dell’avviso ex art. 7 della L. n. 241 del 1990.

Con il presente ricorso, la legale rappresentante di una società operante nel settore dei servizi estetici per la persona chiede l’annullamento del provvedimento in data 12/03/2007, con il quale il Comune di Modena ha parzialmente revocato d'ufficio l’autorizzazione per l'esposizione di mezzi pubblicitari in precedenza rilasciata alla società. Le insegne pubblicitarie luminose precedentemente autorizzate dal Comune indicavano l’esercizio della ricorrente quale “Medicina Estetica Solarium”, mentre il provvedimento di revoca riguarda unicamente la parola “Medicina”, in quanto l’attività medica indicata nelle suddette insegne non risulta autorizzata dal Comune in riferimento all’esercizio della ricorrente.
La società ritiene illegittimo detto provvedimento per un unico articolato motivo rilevante violazione dell’art. 7 della L. n. 241 del 1990.
Il comune di Modena, costituitosi in giudizio, ritiene infondato il ricorso e ne chiede, conseguentemente, la reiezione.
Alla pubblica udienza del 29.05.2014 la causa è stata chiamata ed è stata quindi trattenuta per la decisione come da verbale.
Il Collegio osserva che il ricorso non è meritevole di accoglimento, stante che, nella specie, la parziale revoca dell’autorizzazione pubblicitaria (nella parte in cui indicava un’attività: quella medica -mai autorizzata dall’amministrazione comunale v. provv. impugnato doc. n. 1 della ricorrente), assume i connotati del provvedimento dovuto, stante che, appunto, solo il rilascio di una specifica autorizzazione a tale delicata attività ai sensi della L.R. Emilia Romagna n. 34 del 1998 consente all’impresa interessata di pubblicizzarne l’esercizio. Ciò premesso, è evidente che la fattispecie in esame rientri a pieno titolo tra i casi in cui il provvedimento adottato dalla P.A. è legittimo ex art. 21-octies L. n. 241 del 1990, poiché esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso, anche se l’interessato avesse potuto partecipare al relativo procedimento perché destinatario dell’avviso ex art. 7 della L. n. 241 del 1990 (v. ex multis: TAR Campania –Na- sez. VI, 06/02/2014 n. 791; TAR Sardegna, sez. II, 27/11/2013 n. 758).
Per le suesposte ragioni, il ricorso è respinto (TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II, sentenza 08.09.2014 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parere in merito all'applicazione della legge 326/2003 e della legge regionale 12/2004 agli impianti pubblicitari - Procura presso il Tribunale di Viterbo (Regione Lazio, parere 04.08.2014 n. 125798 di prot.).

EDILIZIA PRIVATA: G. Milizia, Guerra dei cartelloni pubblicitari: quando è possibile richiederne la rimozione per violazione del nesso di vicinitas e degli interessi commerciali? (07.01.2014 - link a www.diritto.it).

anno 2013

EDILIZIA PRIVATA: Sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981.
Il consolidato orientamento della Cassazione (Cass. Civ., sez. un., 23.06.2010 n. 15170; 14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334; 06.06.2007 n. 13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721), condiviso dal Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 31.10.2012, n.5556) è nel senso che “sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981”.
L’assunto della ricorrente, secondo cui l’impianto non può essere qualificato abusivo in quanto conforme ad un’autorizzazione valida ed efficace, non muta i termini della questione. Non venendo in discussione la legittimità dell’autorizzazione, quella prospettata è, infatti, una questione di merito relativa alla legittimità della sanzione, pertanto inidonea ad incidere sulla giurisdizione. Spetterà al giudice competente valutare se l’esistenza dell’autorizzazione renda configurabile l’illecito contestato e se sia quindi fondata la pretesa sanzionatoria dell’ente.
La questione accede, pertanto, a quella pendente davanti al giudice civile, definita in primo grado con l’annullamento del verbale che costituisce i presupposto della diffida.
Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo la controversia di competenza del giudice ordinario presso il quale può essere riassunta ex art. 11 c.p.a. (TAR Abruzzo-L'Aquila, sentenza 19.12.2013 n. 1070 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: In termini astratti, si concorda con quanto ritenuto dal Comune nelle ordinanze impugnate, e dalla giurisprudenza ivi citata, ovvero sulla possibilità che sia necessario munirsi di titolo edilizio per qualsiasi intervento di modifica del suolo, e quindi al limite anche per la posa di un cartello pubblicitario come quelli che qui rilevano.
Tale astratta possibilità deve però essere valutata alla luce delle normative regionali in concreto di volta in volta vigenti, emanate nell’esercizio della competenza concorrente in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, comma 2, Cost. Nel caso presente, rileva l’art. 33, comma 1, della l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12, che assoggetta a permesso di costruire solo gli interventi di “trasformazione urbanistica ed edilizia”, ovvero impattanti in maniera in qualche modo significativa sul territorio.
Tale non è la posa di un cartello pubblicitario come quelli per cui è causa ovverosia cartello cd. bifacciale, ovvero da un pannello rettangolare, sostenuto da un plinto di cemento infisso al suolo e idoneo a recare su ogni faccia il messaggio promozionale desiderato dal cliente, delle dimensioni di 2 metri per 2 metri.

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per l’annullamento, previa adozione della misura cautelare:
dell’ordinanza 15.02.2010 n. 21, conosciuta il successivo 18 febbraio, con la quale il Responsabile del settore tecnico del Comune di Trescore Balneario ha ingiunto alla Carminati Allestimenti S.r.l. di rimuovere in quanto abusivo un impianto pubblicitario collocato in territorio comunale, sulla S.S. n. 42 al Km 33 + 855 lato destro;
dell’ordinanza 15.02.2010 n. 23, conosciuta il successivo 18 febbraio, con la quale il medesimo Responsabile del settore tecnico ha ingiunto alla Carminati Allestimenti S.r.l. di rimuovere in quanto abusivo un impianto pubblicitario collocato in territorio comunale, sulla S.S. n. 42 al Km 33 + 950 lato destro;
...
La Carminati Allestimenti S.r.l., odierna ricorrente, nota azienda attiva nel settore della cartellonistica pubblicitaria, ha ricevuto le due ordinanze meglio indicate in epigrafe, che le prescrivono di rimuovere in quanto asseritamente abusivi, due impianti pubblicitari siti in Comune di Trescore Balneario, lungo il tracciato della S.S. 42 sul lato destro, alle progressive 33+855 e 33+950, e costituiti entrambi da un cd. cartello bifacciale, ovvero da un pannello rettangolare, sostenuto da un plinto di cemento infisso al suolo e idoneo a recare su ogni faccia il messaggio promozionale desiderato dal cliente.
Le ordinanze in questione, di identico tenore, ritengono che i manufatti in parola si trovino nella zona indicata come “zona 2” dall’art. 122 del regolamento edilizio comunale, in cui sono ammesse le affissioni pubblicitarie le quali rispettino quanto previsto dal codice della strada e dal regolamento edilizio in questione; ritengono poi che nella specie i manufatti tali prescrizioni non rispettino, perché assistiti soltanto da una autorizzazione dell’ANAS in scadenza al 31.12.2010 per il primo e scaduta il 31.12.2009 per il secondo, e privi invece sia di autorizzazione comunale ad occupare il suolo pubblico, sia di permesso di costruire, titoli ritenuti entrambi necessari (doc. ti ricorrente 1 e 2, copie ordinanze impugnate; doc.ti ricorrente 3 e 4, estratti regolamento edilizio Comune Trescore).
Avverso tali ordinanze e attraverso le presupposte norme regolamentari, di cui pure meglio in epigrafe, propone ora impugnazione la Carminati, con ricorso articolato in tre motivi:
- con il primo di essi, rubricato come terzo a p.14 dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l. 07.08.1990 n. 241, per avere il Comune omesso di inviarle l’avviso di inizio del procedimento;
- con il secondo motivo, rubricato come primo a p.5 dell’atto, deduce violazione dell’art. 23 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 e dell’art. 53, comma 1, lettera a), del DPR 16.12.1992 n. 495, cd. Codice della strada e relativo regolamento di esecuzione, poiché per cartelli come quelli per cui è causa, siti all’esterno del centro abitato, la competenza a rilasciare l’autorizzazione necessaria alla posa è dell’ANAS, ente proprietario della strada, non già del Comune, non essendo dovuta una distinta ed ulteriore autorizzazione comunale ad occupare il suolo pubblico;
- con il terzo motivo, rubricato come secondo a p.10 dell’atto, deduce violazione delle medesime norme, poiché impianti come quelli per cui è causa, delle dimensioni di 2 metri per 2 metri, non richiedono nemmeno il permesso di costruire.
...
E’ poi fondato anche il terzo motivo di ricorso, fondato sulla non necessità di titolo edilizio per i manufatti per i quali è processo. In termini astratti, si concorda con quanto ritenuto dal Comune nelle ordinanze impugnate, e dalla giurisprudenza ivi citata, ovvero sulla possibilità che sia necessario munirsi di titolo edilizio per qualsiasi intervento di modifica del suolo, e quindi al limite anche per la posa di un cartello pubblicitario come quelli che qui rilevano.
Tale astratta possibilità deve però essere valutata alla luce delle normative regionali in concreto di volta in volta vigenti, emanate nell’esercizio della competenza concorrente in materia di governo del territorio di cui all’art. 117, comma 2, Cost. Nel caso presente, rileva l’art. 33, comma 1, della l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12, che assoggetta a permesso di costruire solo gli interventi di “trasformazione urbanistica ed edilizia”, ovvero impattanti in maniera in qualche modo significativa sul territorio. Tale non è la posa di un cartello pubblicitario come quelli per cui è causa, così come ritenuto su un caso identico da TAR Lombardia Milano 13.02.2008 n. 2948, correttamente citata dalla ricorrente.
Devono essere quindi annullate sia le ordinanze impugnate sia le previsioni regolamentari illegittime da esse presupposte, così come in dispositivo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, sentenza 09.10.2013 n. 832 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Si osserva in giurisprudenza che “le finalità di delimitazione del centro abitato proprie del Codice della Strada si presentano diverse da quelle per le quali deve essere definito il centro abitato, in base alla disciplina urbanistico-edilizia che presenta per di più una diversa definizione di centro abitato. Proprio perché, nei due casi, differenti sono i presupposti di legge, differenti le finalità cui tende l'Amministrazione nell'esercizio del proprio potere di ricognizione, differenti gli organi del Comune competenti alla detta ricognizione, non può ritenersi che una individuazione del centro abitato effettuata (per espressa previsione di legge) al fine di regolamentare la circolazione stradale, possa spiegare effetti nel ben diverso campo della pianificazione urbanistica”.
Ebbene, nell’ampia nozione di circolazione stradale non può non farsi rientrare anche la disciplina della collocazione dei mezzi pubblicitari lungo gli assi stradali, potendo costituire fonte di intralcio o comunque di disturbo alla circolazione, tanto è vero che lo stesso regolamento di esecuzione del codice della strada dedica a tale tematica diverse norme. Ne consegue che la delibera giuntale di delimitazione del centro abitato costituisce parametro di riferimento, in sede di esame delle istanze in questione, ai fini della individuazione del centro abitato, poggiando tale legittimazione sulla stessa norma generale di cui all’art. 4 del Codice della Strada, in virtù della riconducibilità della fattispecie alla nozione di circolazione stradale, e quindi a prescindere da un espresso richiamo in sede di regolamento locale.

Parte ricorrente valorizza la previsione di cui all’art. 4 del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (nuovo Codice della Strada), il cui comma 1, così testualmente prevede: “Ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale, il comune, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice, provvede con deliberazione della Giunta alla delimitazione del centro abitato”. Il ricorrente assume, pertanto, che la portata applicativa della delibera giuntale di delimitazione del centro abitato non includerebbe anche le istanze di installazione di mezzi pubblicitari, soccorrendo a tal uopo la stessa generale definizione di centro abitato che offre il Codice della Strada all’art. 3, comma 1, punto 8).
La doglianza –che non va fulminata di inammissibilità, come invece eccepito da parte resistente, in quanto della delibera di G.C. di individuazione del centro abitato se ne assume non la illegittimità quanto la estraneità alla normativa di riferimento– non persuade il Collegio. Invero, la norma dell’art. 4, testé riprodotta, colloca la prevista attività di delimitazione del centro abitato in una precisa dimensione teleologica, tant’è che, per espressa previsione della medesima disposizione, essa deve avvenire ai fini dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale e fornisce, inoltre, all'art. 3 n. 8, una nozione di centro abitato affatto diversa da quella prevista in sede urbanistica dall'art. 18, l. n. 865 del 1971.
Si osserva, infatti, in giurisprudenza che “le finalità di delimitazione del centro abitato proprie del Codice della Strada si presentano diverse da quelle per le quali deve essere definito il centro abitato, in base alla disciplina urbanistico-edilizia che presenta per di più una diversa definizione di centro abitato. Proprio perché, nei due casi, differenti sono i presupposti di legge, differenti le finalità cui tende l'Amministrazione nell'esercizio del proprio potere di ricognizione, differenti gli organi del Comune competenti alla detta ricognizione, non può ritenersi che una individuazione del centro abitato effettuata (per espressa previsione di legge) al fine di regolamentare la circolazione stradale, possa spiegare effetti nel ben diverso campo della pianificazione urbanistica” (cfr. Tar Bari, Sez. III, 10.05.2013, n. 709).
Ebbene, nell’ampia nozione di circolazione stradale non può non farsi rientrare, contrariamente a quanto sembra alludere parte ricorrente, anche la disciplina della collocazione dei mezzi pubblicitari lungo gli assi stradali, potendo costituire fonte di intralcio o comunque di disturbo alla circolazione, tanto è vero che lo stesso regolamento di esecuzione del codice della strada dedica a tale tematica diverse norme. Ne consegue che la delibera giuntale di delimitazione del centro abitato costituisce parametro di riferimento, in sede di esame delle istanze in questione, ai fini della individuazione del centro abitato, poggiando tale legittimazione sulla stessa norma generale di cui all’art. 4 del Codice della Strada, in virtù della riconducibilità della fattispecie alla nozione di circolazione stradale, e quindi a prescindere da un espresso richiamo in sede di regolamento locale.
Il motivo in esame va quindi disatteso (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 12.09.2013 n. 1862 - link a www.giustizia-amministrativa).

EDILIZIA PRIVATA: Legittimità diniego di autorizzazione all’installazione di una insegna pubblicitaria e ordine di rimozione della stessa. Limitazione perseguimento imprenditoriale.
E’ legittimo il diniego di autorizzazione e l’ordinanza di rimozione di una insegna nel caso in cui la motivazione è basata, oltre che su ragioni di estetica, anche sulle caratteristiche dell’insegna a cassonetto e sulle sue eccessive dimensioni.
Infatti, quando il contrasto di una struttura con l’estetica urbana è evidente, per le sue dimensioni e caratteristiche, in base a dati di comune esperienza, non sono necessarie particolari motivazioni circa le ragioni che inducono a ritenerlo sussistente. Quanto al contrasto con i principi di iniziativa privata e libertà di impresa, essi sono recessivi rispetto agli interessi pubblici che l’ordinamento tutela subordinando inderogabilmente la possibilità di erigere una insegna luminosa alla previa autorizzazione amministrativa dei competenti organi comunali.
Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in sintonia con l'art. 41, comma 2, della Costituzione, secondo il quale, anche se l'iniziativa economica privata è libera, essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza.

La Sezione ritiene che provvedimenti come quello di specie, per essere correttamente motivati, debbano contenere una esplicazione concreta della realtà dei fatti e delle ragioni ambientali ed estetiche che sconsigliano alla pubblica amministrazione di ammettere l’intervento, tale da non risultare vaga e apodittica, ma riferita a specifici e concreti valori, in modo da permettere, sebbene sintetica, la ricostruzione dell'iter logico seguito dall'Amministrazione nell'effettuazione delle sue valutazioni.
Ovviamente essendo il provvedimento espresso nell'esercizio di valutazioni tecniche, è censurabile dal g.a. non in forma sostitutiva, ma soltanto per evidenti vizi di illogicità, irragionevolezza, travisamento dei fatti o per evidente difetto di motivazione.
Nel caso che occupa con il provvedimento impugnato è stato respinto dall’Amministrazione il ricorso contro il diniego di installazione di una insegna luminosa della “Cassa di Risparmio di Firenze” su un immobile sito in Piazza della Repubblica, perché, sentito nuovamente il parere espresso dalla Commissione edilizia, era stato deciso di non accogliere la richiesta “per motivi di estetica date le caratteristiche dell’insegna <<a cassonetto>> e le sue eccessive dimensioni”.
Ritiene la Sezione che le indicazioni contenute in detto provvedimento consentissero una adeguata ricostruzione dell’iter logico giuridico seguito dal Comune nel denegare la richiesta autorizzazione, non essendo stato fatto richiamo a mere ragioni estetiche, ma a circostanze di fatto concrete; era stato infatti specificato che la estetica era stata violata a causa delle caratteristiche della insegna, che era prevista “a cassonetto”, cioè composta da una “scatola” contenente all’interno lampade (solitamente tubi al neon), che per sua natura è di forte impatto visivo, nonché per le sue dimensioni (la parte appellante afferma, senza essere stata sul punto smentita, che essa occupava lo spazio di metri 16.05 per metri 4,50) perché eccessive, evidentemente in riferimento e in proporzione sia all’edificio su cui essa era stata apposta, oltre che al contesto urbano circostante.
Non può quindi condividere la Sezione la affermazione del Giudice di prime cure che l’affermazione contenuta nell’impugnato provvedimento fosse “del tutto apodittica” ed in contrasto con i princìpi della iniziativa privata e della libertà di impresa.
Invero quando il contrasto di una struttura con l’estetica urbana sia evidente, per le sue dimensioni e caratteristiche, in base a dati di comune esperienza, non sono necessarie particolari motivazioni circa le ragioni che inducono a ritenerlo sussistente.
Quanto al contrasto con i principi di iniziativa privata e libertà di impresa, essi sono recessivi rispetto agli interessi pubblici che l’ordinamento tutela subordinando inderogabilmente la possibilità di erigere una insegna luminosa alla previa autorizzazione amministrativa dei competenti organi comunali.
Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in sintonia con l'art. 41, comma 2, della Costituzione (secondo il quale, anche se l'iniziativa economica privata è libera, essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza) (massima tratta da www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 03.06.2013 n. 3028 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari nel territorio e nell’ambiente (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata pur se configurabili come forma di attività economica), e, quindi, essa costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia, considerato che l’art. 3 del decreto legislativo 15.11.1993 n. 507 prevede che i comuni, nel disciplinare con proprio regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità, stabiliscano limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie esclusivamente in relazione ad esigenze di pubblico interesse.
Premesso:
- con il ricorso in esame proposto il 30.6-1.7 del 2011 la società De Sanctis Pubblicità, a mezzo di due motivi di censura per violazione di legge ed eccesso di potere, ha domandato l’annullamento del provvedimento dirigenziale emesso dal IV Settore comunale (impianti pubblicitari) il 25.05.2011, recante diffida e dichiarazione di decadenza relativamente a permessi in precedenza rilasciati per l’installazione di impianti pubblicitari che vengono ritenuti tardivamente collocati (rispetto a 30 giorni dal rilascio del permesso e in assenza della dichiarazione di inizio lavori) e, perciò, da considerare abusivi;
- il comune di Rieti, con le controdeduzioni, ha formulato talune eccezioni, di difetto di legittimazione attiva (per essere stato il ricorso proposto dal signor Paolo De Sanctis in proprio anziché nella sua veste di amministratore della De Sanctis Pubblicità s.r.l. alla quale è stato rilasciato il permesso del 07.05.2010), di genericità della domanda d’annullamento (per le argomentazioni confuse e caotiche), di tardività del secondo motivo d’impugnazione, diretto a contestare la quantità degl’impianti pubblicitari autorizzati con l’atto concessorio del 2010;
- la relazione ministeriale, constatate tanto la poco chiarezza del ricorso quanto la confusione nelle controdeduzioni comunali, ha concluso per l’accoglimento del ricorso nell’assunto che dall’atto impugnato non sarebbe dato di evincere il tipo di violazione commessa.
Considerato:
- va disattesa l’eccezione, formulata dal comune, di difetto di legittimazione del ricorrente, con cui si sostiene, formalisticamente, l’estraneità del ricorrente alla pretesa facente invece capo alla società della quale il ricorrente è amministratore. La legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere e subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa. Essa dev'essere accertata in relazione non alla sua concreta sussistenza, da contrastare con adeguata prova, bensì in ordine alla sua affermazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio. Conseguentemente l’indagine volta a verificarne l’esistenza dev'essere unicamente diretta ad accertare la coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda e colui che nella stessa domanda è affermato titolare del diritto. Nella specie, sussiste coincidenza fra l’attore e la società che nella domanda è individuata ed affermata come destinataria della pretesa attorea, come tale risultante anche dagli stessi atti di provenienza comunale (il ricorrente ha ritirato il permesso accordato nella dichiarata qualità di amministratore della società) e, del resto, il comune non ha neppure contestato tale titolarità del rapporto controverso;
- da respingere è altresì la eccepita genericità dell’impugnazione. Sul punto, è sufficiente rilevare che l’inammissibilità dell’impugnazione per genericità dei motivi sussiste solo quando il giudice non sia posto in grado di comprendere quali vizi il ricorrente deduca per sostenere l’invalidità del provvedimento impugnato (Consiglio Stato, sez. IV, 17.02.2009 n. 912). Fuori da questi limiti, è dovere del giudicante interpretare il ricorso ed esaminare le censure ancorché non organicamente articolate, ricavandole dal contesto del ricorso e della richiesta formulata. Nel caso di specie emerge con sufficiente chiarezza che il ricorrente ha impugnato soltanto l’atto di decadenza del permesso assentito e si duole della relativa pronuncia ritenendola ingiustificata e perciò illegittima;
- in collegamento, è quindi priva di pregio anche l’altra eccezione circa la tardiva impugnazione della quantità degli impianti pubblicitari autorizzati con l’atto concessorio del 2010, perché questo provvedimento non è stato impugnato, e il secondo motivo di censura è unicamente diretto a mettere in luce il contesto decisionale e operativo del comune, tacciato di atteggiamento persecutorio;
- nel merito, il ricorso dev’essere accolto poiché non possono essere condivise le motivazioni poste dal comune a base dell’automatica decadenza pronunciata a termini dell’art. 15 del decreto del Presidente della repubblica 06.06.2001 n. 380 (“...Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata, non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita”...) in relazione all’art. 10, comma 5, del regolamento sugl’impianti pubblicitari (“L’autorizzazione potrà essere revocata qualora l’installazione non avvenga entro trenta giorni dal rilascio della stessa...");
- al riguardo, va premesso che si sta discorrendo in materia di impianti pubblicitari e dell’installazione di un totem e di cinque fioriere, il che esclude che a tale tipologia di attività debba applicarsi senz’altro la disposizione recata dal citato art. 15 del d.P.R. n. 380/2001 in tema di osservanza del termine (di trenta giorni previsto dal regolamento), quando poi lo stesso suo art. 10, comma 5, prevede come possibile e discrezionale la relativa decadenza della concessione accordata;
- l’autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari nel territorio e nell’ambiente (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata pur se configurabili come forma di attività economica), e, quindi, essa costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia, considerato che l’art. 3 del decreto legislativo 15.11.1993 n. 507 prevede che i comuni, nel disciplinare con proprio regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità, stabiliscano limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie esclusivamente in relazione ad esigenze di pubblico interesse;
- nell’atto impugnato non sono neppure evidenziate esigenze d’utilità sociale ovvero di tutela ambientale o di valenza estetica che inibiscano l’esercizio di tali forme pubblicitarie senza violare l’art. 41 della Costituzione, e da esso non è dato neanche evincere il tipo di violazione commessa dal ricorrente, come giustamente posto in risalto dalla relazione ministeriale;
- d’altro canto, quanto all’effettiva sussistenza nella specie dei presupposti di fatto relativi all’inerzia dell’interessato e pur a riguardare la fattispecie in una visuale di decadenza automatica, va pure rilevato come il comune non abbia minimamente contrastato la circostanza dedotta nel ricorso, che l’installazione è avvenuta entro i 30 giorni alla presenza, sul luogo di ubicazione degli impianti e d’inizio lavori, di un vigile urbano (dott.ssa Carla Francia) e del responsabile dell’ufficio tecnico comunale (signora Catia Rossi);
- conclusivamente, per tutte le considerazioni sopra sviluppate, la censura di carenza di motivazione della pronuncia di decadenza è fondato e il ricorso va accolto, annullando l’atto impugnato (Consiglio di Stato, Sez. I, parere 16.04.2013 n. 1801 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAL’impugnazione di una violazione amministrativa o di un verbale di accertamento esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la situazione giuridica di cui si chiede tutela ha la consistenza di diritto soggettivo e l’esercizio dell’attività sanzionatoria non è espressione di attività discrezionale ma vincolata dell’amministrazione, perché retta dal principio di legalità, sicché, ove l’amministrazione accerti che un comportamento integri gli estremi di un illecito previsto da una norma di legge, deve applicare la sanzione, senza alcun margine di scelta.
Tale conclusione riguarda tutti gli atti del procedimento sanzionatorio, compreso il verbale di accertamento e contestazione.
Né rileva in contrario, che esso non sia espressamente indicato tra gli atti impugnabili davanti al giudice ordinario, essendo espressione dello stesso potere che dà luogo alla irrogazione della sanzione, costituendone anzi il presupposto, sicché la giurisdizione non può che appartenere all’unico giudice, quello ordinario.
Peraltro, l’orientamento della Corte di Cassazione è nel senso di considerare il verbale di accertamento, atto privo di autonoma lesività, con la mera funzione di portare a conoscenza dell’interessato la contestazione, sicché questi possa apprestare le proprie difese, cui consegue l’irrilevanza e la svalutazione del ruolo del procedimento amministrativo sanzionatorio, anche perché il giudice ordinario può conoscere direttamente del rapporto sanzionatorio.
In ragione di quanto esposto, atteso che la sanzione della rimozione degli impianti pubblicitari prevista dal comma 13-quater dell’art. 23 del Codice della Strada, costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal precedente comma 11 dell’art. 23, per l’installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali abusivamente installati, ne consegue il difetto di giurisdizione di questo giudice, appartenendo la materia de qua al giudice ordinario.

Con ricorso al TAR Lazio, la società PES s.r.l., chiedeva l’annullamento dei provvedimenti adottati dal Comune di Roma, in relazione ai quali era stata disposta la rimozione di numerosi impianti pubblicitari tutti collocati per effetto di specifico atto autorizzativo, con conseguente condanna al risarcimento in forma specifica, mediante il ripristino degli impianti già rimossi.
Il TAR, con sentenza n. 5400 del 2012, declinava la giurisdizione, affermando che:
a) dai verbali elevati dalla polizia municipale si ricava che la rimozione è stata disposta ai sensi dell’art. 23, comma 13-quater, del Codice della Strada “a seguito peraltro di un’operazione di controllo straordinaria sul territorio condotta dal…Corpo di polizia”;
b) dalla documentazione si rileverebbe la mancanza di provvedimenti amministrativi adottati in esercizio di un potere discrezionale, essendosi in presenza di verbali di accertamento della violazione di cui al citato art. 23, comma 13-quater.
La società appellante assume l’erroneità della sentenza di cui chiede l’annullamento, atteso che oggetto del ricorso sarebbero, non già i verbali di irrogazione della sanzione e di rimozione degli impianti, ma la normativa comunale sopravvenuta che ha fissato nuove distanze e altezze degli impianti dislocati sul territorio, concludendo che in ragione del petitum sostanziale, la giurisdizione apparterrebbe al giudice amministrativo.
Quanto al merito del ricorso, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 23, comma 13-quater, del Codice della strada; difetto di istruttoria, incompetenza, eccesso di potere.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale che ha chiesto il rigetto dell’appello, perché infondato in fatto e diritto.
Alla camera di consiglio del 04.12.2012, il giudizio è stato assunto in decisione.
L’appello è infondato e va respinto.
Conformemente a giurisprudenza consolidata (cfr. Cons. Stato, sezione quinta, 27.06.2012, n. 3786 e 3787) l’impugnazione di una violazione amministrativa o di un verbale di accertamento esula dalla giurisdizione del giudice amministrativo, poiché la situazione giuridica di cui si chiede tutela ha la consistenza di diritto soggettivo e l’esercizio dell’attività sanzionatoria non è espressione di attività discrezionale ma vincolata dell’amministrazione, perché retta dal principio di legalità, sicché, ove l’amministrazione accerti che un comportamento integri gli estremi di un illecito previsto da una norma di legge, deve applicare la sanzione, senza alcun margine di scelta.
Tale conclusione riguarda tutti gli atti del procedimento sanzionatorio, compreso il verbale di accertamento e contestazione.
Né rileva in contrario, che esso non sia espressamente indicato tra gli atti impugnabili davanti al giudice ordinario, essendo espressione dello stesso potere che dà luogo alla irrogazione della sanzione, costituendone anzi il presupposto, sicché la giurisdizione non può che appartenere all’unico giudice, quello ordinario (cfr. Cass. Civ., sez. II, 21.12.2011, n. 28045; 14.04.2009, n. 8890).
Peraltro, l’orientamento della Corte di Cassazione è nel senso di considerare il verbale di accertamento, atto privo di autonoma lesività, con la mera funzione di portare a conoscenza dell’interessato la contestazione, sicché questi possa apprestare le proprie difese, cui consegue l’irrilevanza e la svalutazione del ruolo del procedimento amministrativo sanzionatorio, anche perché il giudice ordinario può conoscere direttamente del rapporto sanzionatorio (cfr. Cass. Sez. unite, 28.01.2010, n. 1786; sezione prima, 15.01.2010, n. 532).
In ragione di quanto esposto, atteso che la sanzione della rimozione degli impianti pubblicitari prevista dal comma 13-quater dell’art. 23 del Codice della Strada, costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal precedente comma 11 dell’art. 23, per l’installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali abusivamente installati, ne consegue il difetto di giurisdizione di questo giudice, appartenendo la materia de qua al giudice ordinario (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 27.03.2013 n. 1777 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa in materia edilizia e la normativa in materia di pubbliche affissioni (di cui al decreto legislativo n. 507/1993), giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Infatti la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Pertanto laddove la sistemazione di una insegna o di una tabella pubblicitaria o di ogni altro genere dovesse comportare, per le sue consistenti dimensioni, un rilevante mutamento territoriale, non v’è dubbio che l’interessato dovrebbe munirsi anche del prescritto titolo edilizio.

Ciò posto –fermo restando che appare senz’altro condivisibile la tesi della ricorrente secondo la quale le insegne di cui trattasi non assumono autonomo rilievo anche ai fini urbanistici ed edilizi– occorre tuttavia rammentare che, secondo la giurisprudenza (TAR Calabria Catanzaro, Sez. I, 05.01.2012, n. 2), non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa in materia edilizia e la normativa in materia di pubbliche affissioni (di cui al decreto legislativo n. 507/1993), giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Infatti la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Pertanto laddove la sistemazione di una insegna o di una tabella pubblicitaria o di ogni altro genere dovesse comportare, per le sue consistenti dimensioni, un rilevante mutamento territoriale, non v’è dubbio che l’interessato dovrebbe munirsi anche del prescritto titolo edilizio.
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In particolare, quanto alle insegne luminose, il Collegio osserva che dalla scarna motivazione del provvedimento impugnato si può comunque desumere che l’Amministrazione ha ritenuto applicabile nel caso in esame la disposizione dell’art. 6 della delibera di C.C. n. 260 del 1997, nella parte in cui prevede che “nel caso di installazione di insegne su immobili antichi di rilevanza storico-architettonica” non è consentito l’utilizzo di “materiali plastici”.
Ciò posto risulta evidente che il provvedimento impugnato è palesemente viziato per difetto di motivazione. Infatti –pur volendo ammettere che, come correttamente ricordato dalla difesa di Roma Capitale, la discrezionalità tecnica può essere sindacata in sede giurisdizionale solo per difetto di motivazione o in presenza di profili di incongruità ed illogicità tali da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale compiuta dall’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 30.06.2011, n. 3894)– nel caso in esame non può farsi a meno di evidenziare che:
a) l’Amministrazione non ha affatto indicato in motivazione le ragioni per cui l’immobile di cui trattasi rientra tra gli “immobili antichi di rilevanza storico-architettonica” ai quali si riferisce l’art. 6 della delibera di C.C. n. 260 del 1997;
b) tale motivazione si rendeva tanto più necessaria se si considera che il predetto immobile non risulta sottoposto a tutela ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (si veda la riguardo il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza Statale su richiesta della società ricorrente) e che dall’esame della documentazione fotografica relativa a tale immobile (all. 33 al ricorso) non emergono ictu oculi aspetti di interesse storico-architettonica
(TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 20.02.2013 n. 1899 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2012

EDILIZIA PRIVATA:  I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo;
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici;
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione;
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano.

Rilevato:
- che il Collegio ripropone alcune considerazioni già sviluppate dalla giurisprudenza, ed anche recentemente da questo TAR (cfr. sentenza Sezione II – 20/11/2012 n. 1816):
   I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione 20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n. 2047);
   II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n. 2886);
   III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n. 529);
   IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR Brescia – 06/09/2004 n. 1013) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.12.2012 n. 1992 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, in base a quanto enunciato in linea di principio dall’art. 41 della Costituzione, è altrettanto vero che “essa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza” e che la stessa norma di rango costituzionale demanda alla legge di “definire i programmi e i controlli per coordinarla a fini sociali.
A tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada, che da un lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in vista di esse”, di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, “con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione” e dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.
La formulazione dell'art. 23, in altri termini, indica chiaramente l'intento perseguito dal legislatore, che è quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo.
In tale quadro normativo e nel conseguente regime autorizzatorio rientra anche l’installazione delle insegne d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi pubblicitari dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del codice della strada.
Di conseguenza non vi può essere dubbio alcuno che l’installazione di tali insegne sia soggetta a procedimento autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore della strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici) l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente pericolo per la circolazione.
Poco importa che l’insegna sia effettivamente tale sotto i vari profili rilevanti per il diritto commerciale: la legge consente all’ente gestore della strada di vietare la realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla sicurezza della circolazione (e, corrispondentemente, consente di denegare il rilascio di autorizzazioni in sanatoria e di ordinare la rimozione degli impianti).
Neppure rileva che l’insegna rispetti i limi dimensionali massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha fissato per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo pubblicitario limiti dimensionali, 6 metri quadrati se installati fuori dai centri abitati e 20 metri quadrati se posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli o in aderenza ai fabbricati).
In ogni caso, ovunque si trovi e qualunque siano le sue dimensioni, l’ente gestore della strada può constatare la pericolosità e vietare la realizzazione o il mantenimento del manufatto, con una valutazione basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione.
Il Collegio osserva che, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, se è vero che l’iniziativa economica privata è libera, in base a quanto enunciato in linea di principio dall’art. 41 della Costituzione, è altrettanto vero che “essa non può svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza” e che la stessa norma di rango costituzionale demanda alla legge di “definire i programmi e i controlli per coordinarla a fini sociali”.
A tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada, che da un lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in vista di esse”, di insegne e di ogni impianto pubblicitario che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, “con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione” e dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.
La formulazione dell'art. 23, in altri termini, indica chiaramente l'intento perseguito dal legislatore, che è quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della guida del veicolo (cfr. Corte di Cassazione Civile, Sezione II, sentenza n. 4683 del 2009).
In tale quadro normativo e nel conseguente regime autorizzatorio rientra anche l’installazione delle insegne d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi pubblicitari dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del codice della strada.
Di conseguenza non vi può essere dubbio alcuno che l’installazione di tali insegne sia soggetta a procedimento autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore della strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici) l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente pericolo per la circolazione.
Poco importa che l’insegna sia effettivamente tale sotto i vari profili rilevanti per il diritto commerciale: la legge consente all’ente gestore della strada di vietare la realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla sicurezza della circolazione (e, corrispondentemente, consente di denegare il rilascio di autorizzazioni in sanatoria e di ordinare la rimozione degli impianti).
Neppure rileva che l’insegna rispetti i limi dimensionali massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha fissato per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo pubblicitario limiti dimensionali, 6 metri quadrati se installati fuori dai centri abitati e 20 metri quadrati se posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli o in aderenza ai fabbricati).
In ogni caso, ovunque si trovi e qualunque siano le sue dimensioni, l’ente gestore della strada può constatare la pericolosità e vietare la realizzazione o il mantenimento del manufatto, con una valutazione basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per manifesta illogicità o per difetto di motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 29.11.2012 n. 6044 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’atto di assenso relativo ai cartelloni pubblicitari appartiene a una categoria speciale e non corrisponde ad un permesso di costruire, e tuttavia il coinvolgimento della Commissione edilizia nella valutazione delle richieste di autorizzazione non incontra alcun divieto normativo: poiché “il Comune può effettuare valutazioni che riguardano la coerenza urbanistica di un cartellone pubblicitario rispetto al contesto, la Commissione edilizia è senz’altro un organo tecnico qualificato a svolgere questo tipo di esame”.
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I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo;
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici;
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione;
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano.

Ha già affermato questo Tribunale (cfr. sentenza 06/09/2004 n. 1013), l’atto di assenso relativo ai cartelloni pubblicitari appartiene a una categoria speciale e non corrisponde ad un permesso di costruire, e tuttavia il coinvolgimento della Commissione edilizia nella valutazione delle richieste di autorizzazione non incontra alcun divieto normativo: poiché “il Comune può effettuare valutazioni che riguardano la coerenza urbanistica di un cartellone pubblicitario rispetto al contesto, la Commissione edilizia è senz’altro un organo tecnico qualificato a svolgere questo tipo di esame” (cfr. sentenza citata).
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In via subordinata la ricorrente lamenta, quale vizio del provvedimento, il fatto che l’insegna ed il traliccio sono collocati nell’area in prossimità del raccordo autostradale da circa 20 anni, e che l’impianto insiste su un terreno di proprietà privata a distanza ragguardevole dalla carreggiata che porta alla barriera autostradale e non contrasta con il Codice della Strada né altera in alcun altro modo il contesto ambientale: in particolare non si registrerebbero mutamenti di fatto e di diritto e la zona non sarebbe sottoposta ad alcun tipo di vincolo, mentre l’indicazione dell’ora e della temperatura soddisferebbe un bisogno di pubblica utilità.
Il motivo è privo di fondamento.
Il Collegio ripropone alcune considerazioni già sviluppate dalla giurisprudenza, anche di questo TAR:
I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione 20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n. 2047);
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli pubblicitari è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n. 2886);
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore, con una scelta perfettamente legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli individui: infatti il valore dell’iniziativa economica privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il valore superiore della salute individuale e collettiva, al quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n. 529);
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze della produzione e del commercio (di cui la pubblicità stradale è una componente), consumando in misura proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR Brescia – 06/09/2004 n. 1013)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 20.11.2012 n. 1816 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981.
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Occorre per l’installazione di impianto pubblicitario, a latere strada, non solo l'autorizzazione ex art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, ma anche un provvedimento di concessione dell'uso del suolo su cui insiste l’impianto.
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L’art. 13-bis del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce genericamente che è l'ente proprietario della strada che diffida l'autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre 10 giorni dalla data di comunicazione dell'atto, sicché è irrilevante quale sia l’Organo comunale che dispone la rimozione, purché competente, non potendo di certo costituire la circostanza che la disposizione sia contenuta in un verbale della Polizia Municipale invece che in un provvedimento di altro Ufficio all’uopo preposto causa escludente della giurisdizione del G.O. in materia.

Si conviene, infatti, con il primo Giudice che non sussistono ragioni per discostarsi dalla costante giurisprudenza, secondo la quale sussiste difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico proprietario della strada per assicurare il rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n. 689/1981 (cfr.: Cass. Civ., SS. UU., 23.06.2010 n. 15170; 14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334; 06.06.2007 n. 13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721);
La mera circostanza che coesistono, riguardo alla installazione delle insegne pubblicitarie di cui trattasi, anche poteri dei Comuni in materia urbanistica ed edilizia, occorrendo per l’installazione non solo una autorizzazione ex art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, ma anche un provvedimento di concessione dell'uso del suolo su cui insiste l’impianto, deve ritenersi, considerato che nella fattispecie non viene posto in discussione alcuno di detti poteri, inidonea ad attrarre nella giurisdizione del G.A. il provvedimento del Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ex articolo 23 del codice della strada, soggetto alla giurisdizione del G.O. in quanto costituente un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria.
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Con riguardo agli impianti n. 4, 5, 6 e 7, prosegue l’appello, le rimozioni forzate non sono state disposte con verbali della Polizia municipale, ma del Dipartimento Regolazione e Gestione Affissioni e Pubblicità con le impugnate deliberazioni, sicché essi sarebbero veri e propri provvedimenti amministrativi in quanto manifestazione del potere di autogoverno del territorio per assicurare il rispetto dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, da impugnare innanzi al G.A.
Il motivo in esame non può essere condiviso dal Collegio, atteso che l’art. 13-bis del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce genericamente che è l'ente proprietario della strada che diffida l'autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell'atto, sicché è irrilevante quale sia l’Organo comunale che dispone la rimozione, purché competente, non potendo di certo costituire la circostanza che la disposizione sia contenuta in un verbale della Polizia Municipale invece che in un provvedimento di altro Ufficio all’uopo preposto causa escludente della giurisdizione del G.O. in materia
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 31.10.2012 n. 5556 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Parafarmacie, luce (non) verde per le insegne luminose a croce.
E' illegittimo il provvedimento con il quale è stata rigettata l'istanza presentata dalla titolare di una parafarmacia, tendente a ottenere l'autorizzazione a installare, in corrispondenza del proprio esercizio, una croce bifacciale di colore blu, al centro della quale sarebbe stata inserita la scritta "parafarmacia".

La ricorrente, titolare di una parafarmacia, ha impugnato il provvedimento con cui il Comune ha negato alla medesima l’installazione di impianti pubblicitari strumentali all’attività svolta.
In particolare, ha eccepito l’illegittimità del diniego sulla scorta della violazione del D.Lgs. n. 153/2009, vigente in materia di disciplina delle farmacie; tanto, poiché la medesima, mediante la menzionata istanza, aveva chiesto l’autorizzazione a installare, al di fuori del proprio esercizio commerciale, una croce con impianto a neon di colore blu, con la scritta parafarmacia, proprio per differenziarla da quella riservata in via esclusiva ai titolari delle farmacie.
Costituitasi in giudizio, l’amministrazione ha eccepito in rito l’inammissibilità del ricorso in quanto sarebbe stato proposto avverso un atto meramente confermativo.
Il Collegio di Roma, in via preliminare, non ha condiviso l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla civica P.A..
Al riguardo ha evidenziato che l’amministrazione, con il provvedimento impugnato, aveva respinto la richiesta della ricorrente sulla considerazione per cui, analogamente a quanto espresso in merito a una precedente istanza, la competente unità organizzativa tecnica municipale aveva espresso parere contrario in ragione del contrasto con quanto previsto nella deliberazione di Giunta regionale n. 864/2006.
Sicché, ha precisato che il contestato diniego, sebbene provvisto di motivazione e statuizioni identiche a un precedente atto, era stato tuttavia adottato sulla base di una “rinnovata istruttoria”, incentrata su un nuovo parere che, seppur analogo a quello reso nella precedente istruttoria, aveva comportato una nuova valutazione dell’amministrazione comunale e, così, l'esercizio di un autonomo potere.
Per siffatte ragioni, ha ritenuto che il provvedimento impugnato non poteva essere considerato atto meramente confermativo, bensì un nuovo atto provvedimentale autonomamente impugnabile.
Con riferimento al merito della vicenda, l’adito Tribunale ha ritenuto il gravame fondato sia con riferimento alla violazione della deliberazione di Giunta regionale n. 864/2006, sia in relazione alla mancata osservanza delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 153/2009 (“Disciplina sui nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del S.S.N.”).
E infatti, quanto alla menzionata deliberazione regionale, ha osservato che il medesimo atto, sotto la rubrica "insegna", in alcuna guisa contiene precipue indicazioni sulle denominazioni che possono essere usate per individuare gli esercizi commerciali diversi dalle farmacie che vendono medicinali.
L’atto deliberativo, non a caso, specifica unicamente che: "… in ogni caso non dovranno essere utilizzate denominazioni e simboli che possano indurre il cliente a ritenere che si tratti di una farmacia".
Di converso ha evidenziato che la deliberazione prevede espressamente l’ammissibilità dell’adozione della denominazione "parafarmacia", atteso il comune utilizzo del termine con riferimento a esercizi diversi dalle farmacie in cui si commercializzano prodotti di interesse sanitario.
Parallelamente, con riguardo alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 153/2009, il giudicante ha ricordato che l’art. 5 prevede che: "Al fine di consentire ai cittadini un'immediata identificazione delle farmacie operanti nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, l'uso della denominazione «farmacia» e della croce di colore verde, su qualsiasi supporto cartaceo, elettronico o di altro tipo, è riservato alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie ospedaliere".
Considerato l’esposto dato normativo, il G.A. romano, dunque, ha sottolineato la sussistenza del solo divieto di utilizzo di denominazioni e simboli potenzialmente idonei a indurre i consumatori in errore circa la natura di farmacia dell’esercizio.
Viceversa, ha precisato che l’utilizzo della denominazione "parafarmacia" e di una croce di diverso colore, come il blu, da un lato, non è vietata dalle fonti normative, dall’altro, non appare idonea a ingenerare alcuna confusione nei consumatori ai fini dell’individuazione della esatta tipologia di servizio.
Di conseguenza, il TAR capitolino ha ritenuto che l’elemento indicativo delle sole farmacie è il simbolo "croce" di colore verde e non il simbolo "croce" di altri colori.
A fortiori nelle ipotesi, come quella in parola, in cui il menzionato simbolo di colore blu doveva essere associato alla denominazione di "parafarmacia" (tratto da www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, sentenza 12.09.2012 n. 7697 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANon disturbano le farmacie con insegne vivaci e bizzarre.
Le insegne luminose delle farmacie possono anche essere di colore vivace e bizzarro ma quando sono posizionate vicino ai segnali non devono creare interferenze. In ogni caso vanno sempre rispettate le distanze minime previste dal regolamento e il comune può imporre agli esercenti il rispetto di particolari prescrizioni finalizzate a elevare la sicurezza della circolazione.

Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il parere 27.08.2012 n. 4761 di prot..
Un comune ha richiesto chiarimenti circa il corretto posizionamento di insegne luminose sulla strada statale, in prossimità di impianti semaforici, stante la particolare tecnologia a led che rende molto brillanti le nuove insegne farmaceutiche. A parere del ministero oltre all'art. 23 del codice della strada occorre prestare particolare attenzione al regolamento comunale e agli artt. 50 e 51 del regolamento stradale. In particolare l'art. 23 del codice specifica che qualsiasi insegna non deve arrecare disturbo alla circolazione ovvero deve essere evitata qualsiasi interferenza con la guida.
Stante l'obbligatorietà dell'insegna farmaceutica da un lato e la necessità di salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale dall'altro il comune ha richiesto istruzioni di dettaglio. L'art. 50 del regolamento del codice stradale, specifica la nota centrale, prevede che dentro ai centri abitati trovi applicazione il locale regolamento anche in riferimento all'apposizione delle insegne farmaceutiche.
In buona sostanza è nella piena facoltà del comune adottare provvedimenti che limitino l'intensità e la direzionalità dei fasci luminosi emessi dall'impianto pubblicitario. In pratica per garantire la sicurezza della circolazione il primo cittadino può sempre imporre ulteriori restrizioni all'esercente anche in considerazione della resa cromatica degli impianti. Ma prima di tutto andrà verificata la corrispondenza delle installazioni con le previsioni del codice stradale e in particolare con le distanze minime previste dall'art. 51 del regolamento stradale.
Queste distanze, prosegue il parere ministeriale, potranno essere derogate solo nel caso in cui l'insegna di esercizio sia collocata parallelamente al senso di marcia e in aderenza a un fabbricato esistente. In buona sostanza se l'insegna è perpendicolare al traffico la sua posizione è strettamente vincolata alle distanze (articolo ItaliaOggi del 04.09.2012).

ENTI LOCALI: A. Carnabuci, Toponomastica e segnaletica di localizzazione del territorio (link a www.rivistagiuridica.aci.it).

EDILIZIA PRIVATA: G.U. 13.07.2012 n. 162 "Condizioni e limiti entro i quali, lungo ed all’interno degli itinerari internazionali, delle autostrade, delle strade extraurbane principali e relativi accessi, sono consentiti cartelli di valorizzazione e promozione del territorio indicanti siti di interesse turistico e culturale" (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, decreto 23.05.2012).

EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTIDoppia tassazione sull'impianto pubblicitario.
L'impianto pubblicitario situato sul suolo pubblico è sottoposto al pagamento sia dell'imposta sulla pubblicità che della tassa per l'occupazione degli spazi ed aree pubbliche.

Con la sentenza 07.07.2012 n. 13476 la Corte di Cassazione ha profondamente modificato il proprio orientamento sull'alternatività dei due tributi sullo stesso impianto.
L'orientamento giurisprudenziale precedente afferma che gli impianti pubblicitari sono soggetti alla sola imposta di pubblicità in quanto gli stessi debbono necessariamente occupare una parte del suolo pubblico. Essendo installato al suolo, per la sua stessa esistenza, origina un'occupazione di suolo in via permanente, ma il carattere di specialità della pubblicità per impianti rispetto al genere dell'occupazione di qualsiasi natura, determina una prevalenza dell'imposta sulla tassa.
La tesi dell'assorbimento, portata avanti dalla Suprema corte con la sentenza n. 17614 del 2004, ha determinato, per gli enti locali, sia una riduzione delle entrate comunali sia conseguenze finanziarie, derivanti dalle richieste di rimborso della Tosap versata dagli operatori commerciali in aggiunta all'Icp.
Nella sentenza in commento, l'interpretazione letterale dell'articolo 9, comma 7, del dlgs n. 507/1993: l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche nonché il pagamento di canoni di locazione o di concessione, ha spinto la Corte di cassazione a discostarsi dal consolidato orientamento e a riconoscere la sottoposizione dell'impianto pubblicitario sia all'imposta sulla pubblicità, che alla tassa per l'occupazione degli spazi ed aree pubbliche. Il tenore letterale della disposizione è chiaro e la precedente giurisprudenza di legittimità non aveva tenuto conto del citato, ineludibile, dato testuale.
La sottoposizione contemporanea ad entrambi i tributi non determina l'ipotesi, vietata, della doppia imposizione, in quanto l'Icp ha oggetto diverso dalla Tosap e hanno come presupposto impositivo, rispettivamente, il mezzo pubblicitario disponibile e la sottrazione dello spazio pubblico all'uso generalizzato. Nelle rispettive normative non vi è, pertanto, alcuna alternatività tra le due imposizioni (articolo ItaliaOggi del 19.10.2012).

EDILIZIA PRIVATAPUBBLICITÀ/ La Cassazione sugli impianti abusivi. Verbali a tappeto. Paga pure il proprietario del fondo.
Nelle installazioni pubblicitarie abusive posizionate vicino alle autostrade la multa può interessare anche il mero proprietario del fondo ma solo se lo stesso non ottempera alla diffida di demolizione del manufatto fuori legge. In prima battuta quindi il verbale per impianto irregolare deve essere contestato solo all'autore materiale dell'infrazione.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. VI civ., con l'ordinanza 05.07.2012 n. 11280.
Il proprietario di una porzione di terreno affiancato a una autostrada si è visto recapitare dalla polizia stradale un verbale per installazione pubblicitaria abusiva ai sensi dell'art. 23 del codice stradale. Contro questa misura punitiva l'interessato ha proposto con successo censure fino al Palazzaccio.
A parere del collegio, nonostante le recenti modifiche introdotte dalla legge 120/2010 nel corpo del codice stradale «il proprietario del suolo, in quanto tale, è estraneo alla fattispecie prevista e disciplinata dall'art. 23, comma 7, Codice della strada; questa, infatti, sanzionando la condotta di colui che colloca cartelli e mezzi pubblicitari senza autorizzazione, fa riferimento, chiaramente ed esclusivamente alla condotta di chi si rende specificamente responsabile di una siffatta attività».
In buona sostanza a parere del collegio non può trovare applicazione diretta nella diffusa ipotesi sanzionatoria in esame il principio di solidarietà sancito dalla legge 689/1981 in quanto questo principio resta necessariamente circoscritto e limitato alle ipotesi espressamente previste che fanno riferimento letteralmente «al proprietario della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione».
La disciplina stradale del resto si interessa anche del proprietario del suolo, nel successivo comma 13-bis dell'art. 23, così come modificato dalla legge 120/2010. A parere del collegio solo se il proprietario del terreno non ottempera alla specifica, successiva diffida di rimozione incorrerà in una autonoma sanzione.
Questa volta a prevedere la multa salatissima di 4455 euro però è lo stesso comma 13-bis dell'art. 23 del codice. Oltre alla sanzione per installazione abusiva di impianto pubblicitario scatteranno quindi ulteriori verbali per i destinatari della diffida di ripristino. Ma per l'infrazione originaria non ci possono essere immediate estensioni, conclude la sentenza (articolo ItaliaOggi del 17.08.2012).

EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio, in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
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Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
La collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico implica necessariamente un formale provvedimento di concessione del bene pubblico, non essendo configurabile la formazione di un titolo abilitativo tacito attraverso il silenzio-assenso sulla domanda di installazione.
Né, infine, il regolare pagamento dell’imposta di pubblicità può valere ad integrare un’autorizzazione inesistente, dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di che trattasi della circostanza per cui la ricorrente ha con regolarità corrisposto la relativa imposta comunale sulla pubblicità ed il canone per la occupazione di spazi ed aree pubbliche, non essendo siffatti elementi idonei e sufficienti a fondare una presunzione di non abusività dell’impianto di cui è questione.

Il Collegio ha già affermato con precedenti pronunce che l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia (TAR Calabria, Catanzaro, I sezione 14.02.2012, n. 183; 31.12.2011 n. 1675).
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia-Brescia, Sez. I 28.02.2008 n. 174).
Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio- assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408).
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Per quanto concerne la formazione del silenzio-assenso invocato dalla ricorrente osserva il Collegio che la collocazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico implica necessariamente un formale provvedimento di concessione del bene pubblico, non essendo configurabile la formazione di un titolo abilitativo tacito attraverso il silenzio-assenso sulla domanda di installazione (cfr. TAR Milano Lombardia sez. IV, 23.01.2009 n. 208).
Né, infine, il regolare pagamento dell’imposta di pubblicità può valere ad integrare un’autorizzazione inesistente, dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di che trattasi della circostanza per cui la ricorrente ha con regolarità corrisposto la relativa imposta comunale sulla pubblicità ed il canone per la occupazione di spazi ed aree pubbliche, non essendo siffatti elementi idonei e sufficienti a fondare una presunzione di non abusività dell’impianto di cui è questione (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 05.07.2012 n. 716 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: NORMATIVA ANTISISMICA E REALIZZAZIONE DI PANNELLI AUTOSTRADALI.
Integra il reato di esecuzione di lavori abusivi in zona sismica (art. 95, D.P.R. n. 380/2001) l’installazione, senza la prescritta autorizzazione, di pannelli a messaggio variabile lungo i tratti autostradali, giacché nel concetto di ‘‘costruzione’’ rientrano anche tutti quegli interventi in apparenza minori che possono in concreto rilevare sul piano della pericolosità.
La Corte di Cassazione si sofferma per la prima volta, con la sentenza in esame, sul tema dell’assoggettamento alla normativa antisismica di quegli interventi edilizi che, pur assolvendo a una finalità lato sensu pubblica, sono pur sempre da qualificarsi come potenzialmente pericolosi e, in quanto tali, rientrano nella disciplina dettata dal T.U. edilizia.
La vicenda processuale in esame vedeva imputati il direttore di uno dei tronchi autostradali della ‘‘Autostrade per l’Italia s.p.a.’’ (che rivestiva anche la qualità di committente) nonché il titolare della ditta esecutrice dei lavori, cui era stato contestato di avere realizzato, in assenza della prescritta autorizzazione del competente ufficio della regione, opere di installazione di pannelli a messaggi variabili in zona sismica Z3.
Contro la sentenza di condanna, proponevano ricorso per cassazione gli imputati deducendo, per quanto di interesse in questa sede, violazione di legge in relazione all’art. 95 D.P.R. n. 380/2001, asserendo che il concetto di ‘‘costruzione’’, richiamato dalla norma in questione, si riferirebbe alle sole opere edili in senso stretto e non anche, quindi, alla realizzazione di semplici pannelli contenenti messaggi autostradali dalla cui installazione non potrebbe peraltro oggettivamente, secondo gli imputati, derivare una concreta fonte di rischio per l’incolumità.
La tesi, pur suggestiva ed adeguatamente argomentata, non è stata accolta dalla Cassazione.
La Corte ha ritenuto di doversi adeguare all’orientamento giurisprudenziale maggioritario che non limita agli edifici la nozione di ‘‘costruzione’’ cui si riferiscono le norme antisismiche. Tale nozione, osservano gli Ermellini, è stata approfondita dalla giurisprudenza di legittimità che, proprio con riferimento alla cartellonistica pubblicitaria, ha affermato che la sistemazione di una insegna o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti un mutamento territoriale, atteso che soltanto un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che edilizio fa assumere rilevanza penale alla violazione del regolamento edilizio, con conseguente integrazione del reato di cui all’art. 44 del D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (Cass. pen., sez. III, 11.02.2004, n. 5328, in Ced Cass., n. 227402).
A ciò si aggiunge, precisa la Cassazione, come è dato notorio che i cartelloni recanti indicazioni sulla viabilità apposti ai margini del tratto autostradale non possono essere, per la funzione svolta, di modeste dimensioni. Appare peraltro di tutta evidenza, quindi, che anche interventi in apparenza ‘‘minori’’ possano in concreto rilevare sul piano della pericolosità. Nella valutazione sul punto non possono non concorrere, infatti, con l’elemento dimensionale anche altri aspetti quali, ad esempio, le modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del sito, la pendenza del terreno, le modalità di realizzazione delle strutture di sostegno, ecc. in quanto suscettibili di accrescere il grado di pericolo per l’incolumità pubblica. Ed è ovvio che da tale valutazione non si potrà prescindere anche per le zone in cui il grado di sismicità non sia particolarmente elevato.
Da qui, dunque, la rilevanza penale del fatto, attesa l’estensione della nozione di ‘‘costruzione’’, in materia antisismica, anche agli interventi edilizi minori che si presentino pericolosi per la pubblica incolumità (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2012 n. 24086 - tratto da Urbanistica e appalti n. 10/2012).

EDILIZIA PRIVATA: Cartelloni autostradali in zona sismica: necessaria autorizzazione per realizzarli.
La normativa antisismica deve essere applicata a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate, in quanto l’esigenza di maggior rigore nelle zone dichiarate sismiche rende ancora più necessari i controlli e le cautele prescritte, quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi del cemento armato.
E’ questa la sintesi del principio ripreso dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 18.06.2012 n. 24086, applicato rigorosamente anche per i cartelloni autostradali.
Al riguardo, infatti, gli Ermellini non possono fare a meno di richiamare il dato di comune conoscenza che i cartelloni recanti indicazioni sulla viabilità apposti ai margini di un tratto autostradale non possono essere per la funzione svolta di modeste dimensioni e, anche se riferiti ad interventi in apparenza minori, possono in concreto rilevare sul piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto –si legge nella sentenza- non possono non concorrere, infatti, con l'elemento dimensionale anche altri aspetti quali, ad esempio, le modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del sito, la pendenza del terreno, le modalità di realizzazione delle strutture di sostegno, in quanto suscettibili di accrescere il grado di pericolo per l'incolumità pubblica.
Allo stesso modo da tale valutazione non sarà possibile prescindere anche per quelle zone in il grado di sismicità non sia particolarmente elevato.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva condannato il direttore del tronco autostradale, in qualità di committente, e la ditta, esecutrice dei lavori, alla pena dell’ammenda per il reato di cui all’art. 95 del T.U.E. per aver realizzato opere di installazione di pannelli a messaggi variabili in zona sismica senza la prescritta autorizzazione dell’ufficio competente. Il ricorrente aveva contestato la possibilità di applicare l’articolo 95 del T.U.E. al caso concreto in quanto il concetto di costruzione cui fa riferimento la disposizione predetta si riferisce alle sole opere edili in senso stretto e non anche, quindi, alla realizzazione di semplici pannelli contenenti messaggi autostradali dalla cui istallazione, non può peraltro, oggettivamente derivare una concreta fonte di rischio per l'incolumità.
Come si è visto, la Cassazione respinge fortemente questa interpretazione del ricorrente, ribadendo l’applicabilità della norma ai cartelloni autostradali. Peraltro, sostengono i giudici di Piazza Cavour, la nozione di costruzione è stata ampiamente elaborata dalla giurisprudenza della Corte stessa e da quella amministrativa con riferimento alle tematiche connesse al rilascio della concessione ed è stato rilevato che debbano essere ricompresi nella nozione di costruzione tutte le opere che alterino in modo stabile lo stato dei luoghi, ancorché riconducibili a manufatti privi di volume interno utilizzabile e che, in particolare, anche la sistemazione di una insegna o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti un mutamento territoriale.
Da qui la già dichiarata conseguenza dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 95 del T.U.E. ai cartelloni autostradali con il rigetto di tale motivo di ricorso da parte del Supremo giudice di legittimità (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA: Cartellonistica stradale e normativa antisismica.
E' dato notorio che i cartelloni recanti indicazioni sulla viabilità apposti ai margini del tratto autostradale non possono essere, per la funzione svolta, di modeste dimensioni. Appare peraltro di tutta evidenza che anche interventi in apparenza “minori" possano in concreto rilevare sul piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto non possono non concorrere, infatti, con l'elemento dimensionale anche altri aspetti quali, ad esempio, le modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del sito, la pendenza del terreno, le modalità di realizzazione delle strutture di sostegno, ecc. in quanto suscettibili di accrescere il grado di pericolo per l'incolumità pubblica.
Ed è ovvio che da tale valutazione non si potrà prescindere anche per le zone in cui il grado di sismicità non sia particolarmente elevato (Corte di Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2012 n. 24086 - tratto da www.lexambiente.it).

EDILIZIA PRIVATA: Cartelloni autostradali in zona sismica: necessaria autorizzazione per realizzarli.
La normativa antisismica deve essere applicata a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità, a nulla rilevando la natura dei materiali usati e delle strutture realizzate, in quanto l’esigenza di maggior rigore nelle zone dichiarate sismiche rende ancora più necessari i controlli e le cautele prescritte, quando si impiegano elementi strutturali meno solidi e duraturi del cemento armato.

E’ questa la sintesi del principio ripreso dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale, con la sentenza 18.06.2012 n. 24086, applicato rigorosamente anche per i cartelloni autostradali. Al riguardo, infatti, gli Ermellini non possono fare a meno di richiamare il dato di comune conoscenza che i cartelloni recanti indicazioni sulla viabilità apposti ai margini di un tratto autostradale non possono essere per la funzione svolta di modeste dimensioni e, anche se riferiti ad interventi in apparenza minori, possono in concreto rilevare sul piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto –si legge nella sentenza- non possono non concorrere, infatti, con l'elemento dimensionale anche altri aspetti quali, ad esempio, le modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del sito, la pendenza del terreno, le modalità di realizzazione delle strutture di sostegno, in quanto suscettibili di accrescere il grado di pericolo per l'incolumità pubblica.
Allo stesso modo da tale valutazione non sarà possibile prescindere anche per quelle zone in il grado di sismicità non sia particolarmente elevato.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva condannato il direttore del tronco autostradale, in qualità di committente, e la ditta, esecutrice dei lavori, alla pena dell’ammenda per il reato di cui all’art. 95 del T.U.E. per aver realizzato opere di installazione di pannelli a messaggi variabili in zona sismica senza la prescritta autorizzazione dell’ufficio competente. Il ricorrente aveva contestato la possibilità di applicare l’articolo 95 del T.U.E. al caso concreto in quanto il concetto di costruzione cui fa riferimento la disposizione predetta si riferisce alle sole opere edili in senso stretto e non anche, quindi, alla realizzazione di semplici pannelli contenenti messaggi autostradali dalla cui istallazione, non può peraltro, oggettivamente derivare una concreta fonte di rischio per l'incolumità.
Come si è visto, la Cassazione respinge fortemente questa interpretazione del ricorrente, ribadendo l’applicabilità della norma ai cartelloni autostradali. Peraltro, sostengono i giudici di Piazza Cavour, la nozione di costruzione è stata ampiamente elaborata dalla giurisprudenza della Corte stessa e da quella amministrativa con riferimento alle tematiche connesse al rilascio della concessione ed è stato rilevato che debbano essere ricompresi nella nozione di costruzione tutte le opere che alterino in modo stabile lo stato dei luoghi, ancorché riconducibili a manufatti privi di volume interno utilizzabile e che, in particolare, anche la sistemazione di una insegna o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti un mutamento territoriale.
Da qui la già dichiarata conseguenza dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 95 del T.U.E. ai cartelloni autostradali con il rigetto di tale motivo di ricorso da parte del Supremo giudice di legittimità (link a www.altalex.com).

EDILIZIA PRIVATA1) qualsiasi installazione su suolo pubblico, compresa la collocazione di cartelli pubblicitari, è soggetta al preventivo rilascio di un atto concessorio.
Nel caso dei cartelli pubblicitari –la cui disciplina non è regolata soltanto alle disposizioni del Codice della Strada, ma anche da diverse norme (artt. 3, 12) del D.lgs. 15.11.1993, n. 507– non può quindi ammettersi la sufficienza di una domanda di installazione (sia pure corredata dalla documentazione tecnica prescritta dalla legge), dovendosi, di contro, pienamente esplicare da parte dell’Amministrazione un’attività valutativa secondo canoni di discrezionalità tecnica.
La rilevanza di tale momento valutativo è comprovata dall’inammissibilità di un provvedimento concessorio per silentium e dalla necessaria verifica sulla concedibilità del suolo pubblico;
2) L’installazione di impianti pubblicitari –ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507– è da ritenere attività “contingentata” e, come tale, è pretermessa dalla disciplina liberistica di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241.

Il Collegio osserva quanto segue:
1) qualsiasi installazione su suolo pubblico, compresa la collocazione di cartelli pubblicitari, è soggetta al preventivo rilascio di un atto concessorio.
Nel caso dei cartelli pubblicitari –la cui disciplina, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, non è regolata soltanto alle disposizioni del Codice della Strada, ma anche, come si vedrà appresso, da diverse norme (artt. 3, 12) del D.lgs. 15.11.1993, n. 507– non può quindi ammettersi la sufficienza di una domanda di installazione (sia pure, come ha affermato la società ricorrente, corredata dalla documentazione tecnica prescritta dalla legge), dovendosi, di contro, pienamente esplicare da parte dell’Amministrazione un’attività valutativa secondo canoni di discrezionalità tecnica.
La rilevanza di tale momento valutativo è comprovata dall’inammissibilità di un provvedimento concessorio per silentium (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV, 23.01.2009, n. 208) e dalla necessaria verifica sulla concedibilità del suolo pubblico (in tal senso cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. IV, 12.11.2007, n. 6242; id., sez. III, 19.11.2004, n. 6048);
2) L’installazione di impianti pubblicitari –ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507– è da ritenere attività “contingentata” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 29.04.2009 n. 2723) e, come tale, è pretermessa dalla disciplina liberistica di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990, n. 241 (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 29.05.2012 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA-PRIVATAL’art. 23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992 prevede l’autorizzazione da parte dell’Ente proprietario e del concessionario dell’autostrada esclusivamente per le insegne di esercizio, ma esclude espressamente il rilascio dell’autorizzazione per le insegne pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le insegne di esercizio hanno la finalità di individuare il punto di accesso dell’impresa e possono essere autorizzate soltanto se non pregiudicano la sicurezza della circolazione stradale, mentre, al contrario, se le insegne di esercizio assumono le caratteristiche di insegne di tipo pubblicitario non possono essere autorizzate.

Nel merito il presente ricorso risulta infondato e pertanto va respinto, atteso che l’art. 23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992 prevede l’autorizzazione da parte dell’Ente proprietario e del concessionario dell’autostrada esclusivamente per le insegne di esercizio, ma esclude espressamente il rilascio dell’autorizzazione per le insegne pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le insegne di esercizio hanno la finalità di individuare il punto di accesso dell’impresa e possono essere autorizzate soltanto se non pregiudicano la sicurezza della circolazione stradale, mentre, al contrario, se le insegne di esercizio assumono le caratteristiche di insegne di tipo pubblicitario non possono essere autorizzate.
Dai rilievi fotografici contenuti nella Relazione tecnica, allegata al ricorso, risulta che l’insegna, oggetto della controversia in esame:
1) poggia su 10 pali di acciaio, installati sul tetto dello stabilimento industriale della società ricorrente, il quale risulta composto dal solo piano terra;
2) si trova ad oltre un metro dal tetto del predetto stabilimento;
3) ed occupa quasi tutta la superficie del tetto del citato stabilimento.
Da tali caratteristiche si ricava agevolmente che l’insegna di cui è causa non è una normale e/o semplice insegna di esercizio, che consente alla clientela di individuare il punto di accesso ai locali commerciali, ma svolge una funzione promozionale dell’attività imprenditoriale della ricorrente ed assume essenzialmente e/o prevalentemente carattere pubblicitario, tenuto pure conto che l’accesso ai locali commerciale non poteva avvenire direttamente dall’Autostrada (per una fattispecie analoga, in cui l’insegna era stata collocata sul tetto di uno stabilimento industriale cfr. C.d.S. Sez. VI Sent. n. 3782 del 28.06.2007, la quale ha riformato la Sentenza Sez. III TAR Veneto n. 1645 del 03.05.2002, citata dalla ricorrente).
Comunque, l’ANAS di Potenza ha anche ritenuto con una valutazione discrezionale, non manifestamente irragionevole, che l’insegna di cui è causa arreca disturbo visivo agli utenti dell’Autostrada, potendone distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione stradale.
Per completezza va, altresì, precisato che il decorso del termine di 60 giorni, previsto dall’art. 53, comma 5, DPR n. 495/1992 per l’emanazione del provvedimento di autorizzazione all’installazione di un’insegna visibile da un’Autostrada, non consuma il potere dell’Ente proprietario o del concessionario dell’Autostrada di pronunciarsi sul’istanza di autorizzazione, ma consente al richiedente di proporre l’azione giurisdizionale ex art. 21-bis L. n. 1034/1971.
Inoltre, va evidenziato che, nella specie, non si è formato il silenzio assenso ai sensi dell’art. 20 L. n. 241/1990, nel testo sostituito dall’art. 3, comma 6-ter, D.L. n. 35/2005 conv. nella L. n. 80/2005, in quanto il 4° comma dell’art. 20 L. n. 241/1990 esclude espressamente la formazione del silenzio assenso con riferimento agli atti e procedimenti relativi, tra l’altro, alla pubblica sicurezza ed alla pubblica incolumità, per cui nella specie non si è formato alcun silenzio assenso, poiché il procedimento in commento, essendo attinente alla sicurezza della circolazione stradale, rientra senz’altro nell’ambito oggettivo delle materie della pubblica sicurezza e della pubblica incolumità (TAR Basilicata, sentenza 24.05.2012 n. 247 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAPer insegna di esercizio si intende quella che -con le modalità prescritte dall’art. 47, comma 1, del d.P.R. 16.12.1992, n. 495- serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa.
Invero, la scritta in oggetto che espone anche, e chiaramente, l’indirizzo web della società adempie a una funzione che va oltre quella di indicare di un luogo, in quanto intende pure rendere conoscibile al pubblico il sito aziendale e, come tale, è da intendersi quale insegna pubblicitaria.

... per la riforma della sentenza breve del TAR ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 00472/2011, resa tra le parti, concernente RIMOZIONE DI UN CARTELLO PUBBLICITARIO ABUSIVO ...
...
Con sentenza in forma semplificata 22.07.2011, n. 472, il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo – Pescara, Sezione I, respingeva il ricorso proposto dalla Dema Service s.r.l. nei riguardi dell’atto con cui Autostrade per l’Italia s.p.a. aveva ad essa ingiunto la rimozione di un manufatto considerato cartello pubblicitario abusivo, collocato lungo l’autostrada A/14, nel territorio del Comune di Silvi Marina.
La Dema Service interponeva appello contro la sentenza, chiedendone al tempo stesso la sospensione dell’efficacia.
...
Si controverte sulla natura del manufatto di cui è causa. Per la Dema Service si tratterebbe di una insegna di esercizio debitamente autorizzata dagli enti locali competenti; per Autostrade sarebbe invece un cartello pubblicitario. Tale tesi è sostanzialmente quella fatta propria dalla sentenza impugnata.
L’esame delle foto contenute del fascicolo fa ritenere che l’opera non costituisca una semplice insegna di esercizio, dovendosi intendere per tale quella che -con le modalità prescritte dall’art. 47, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 16.12.1992, n. 495- serve esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa. Infatti la scritta in oggetto espone anche, e chiaramente, l’indirizzo web della società: con ciò adempie a una funzione che va oltre quella di indicare di un luogo, in quanto intende pure rendere conoscibile al pubblico il sito aziendale. L’obiettiva destinazione pubblicitaria non può dunque essere negata.
Questo punto –vale a dire la valutazione delle caratteristiche intrinseche del manufatto– non è però dirimente ai fini della decisione della controversia.
A tale riguardo, occorre prendere in considerazione l’art. 23 del codice della strada (decreto legislativo 30.04.1982, n. 285), dedicato alla disciplina della “pubblicità sulle strade e sui veicoli”. Con particolare riferimento alla “pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi”, il comma 7 stabilisce un divieto di principio, temperato da talune limitate deroghe. Nell’ambito di queste consente le insegne di esercizio “purché autorizzate dall’ente proprietario della strada”.
Ora, nel caso di specie, la società appellante aveva sì acquisito le autorizzazioni degli enti locali (comune e provincia) a diverso titolo competenti circa la strada dove lo stabilimento sorge. Non ha invece mai chiesto autorizzazione ad Autostrade, come invece avrebbe dovuto, essendo quest’ultima proprietaria della A/14, in vista della quale il cartello è posto. Circostanza, questa, confermata dalla stessa Dema Service, là dove essa dichiara che “l’insegna in questione … è soltanto una delle tante insegne visibili anche dall’autostrada” e prima ancora, nello svalutare il significato delle foto prodotte da controparte, rileva che sono state scattate “dalla parte più interna della stazione di servizio adiacente all’autostrada”.
In conclusione: comunque debba definirsi il manufatto, questo è stato installato senza la necessaria, preventiva autorizzazione di Autostrade, che pertanto legittimamente –ai sensi dell’art. 23, comma 13-bis, del citato decreto legislativo n. 285 del 1992– ne ha imposto la rimozione (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 27.04.2012 n. 2480 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIn caso di violazione del divieto, previsto dall’art. 23 Codice della Strada, di collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l’opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del G.O. poiché in entrambi i casi la p.A. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all’applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge.
La determinazione dirigenziale di rimozione di un impianto pubblicitario emessa dal Comune ai sensi dell’art. 23, comma 13-quater, del Codice della Strada, prevedendo detta norma (al comma 11) anche l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, integra un nesso di complementarietà, costituendo la rimozione un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria, con conseguente impugnabilità innanzi al Giudice ordinario a norma del combinato disposto di cui agli artt. 22 e 23 della Legge 689/1981.

... per l'annullamento:
1) dell’ordinanza 15.11.2011, prot. n. 44663/2011 (Reg. Ord. n. 82), notificata in data 13.12.2011, con la quale il Settimo Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Manfredonia ha ordinato la rimozione di n. 8 pali pubblicitari;
2) dell’ordinanza 29.11.2011, prot. n. 46203/2011 (Reg. Ord. n. 89), notificata in data 13.12.2011, con la quale il Settimo Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Manfredonia ha ordinato la rimozione di n. 9 pali pubblicitari, n. 3 transenne di protezione parapedonale, n. 1 orologio su colonna con spazio pubblicitari;
3) dell’ordinanza 29.11.2011, prot. n. 45702/2011 (Reg. Ord. n. 88), notificata in data 13.12.2011, con la quale il Settimo Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Manfredonia ha ordinato la rimozione di n. 15 pali pubblicitari, n. 1 orologio su colonna con spazio pubblicitario, n. 3 transenne di protezione parapedonale;
4) dell’ordinanza 20.12.2011, prot. n. 48976/2011 (Reg. Ord. n. 94) notificata in data 04.01.2012, con la quale il Settimo Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune di Manfredonia ha ordinato la rimozione di n. 25 pali pubblicitari, n. 4 pensiline fermata BUS, n. 4 orologi su colonna, n. 58 transenne di protezione parapedonale;
...
Quanto all’oggetto del ricorso in esame, rileva il Collegio che, anche a prescindere dall’applicabilità o meno alla vicenda in esame dei provvedimenti tipici sanzionatori degli abusi edilizi limitatamente a talune strutture o impianti in ipotesi astrattamente idonei ad integrare opere suscettibili di autorizzazione edilizia (con riferimento alle pensiline per la sosta dei bus e similari, in ragione delle loro dimensioni e del relativo impatto urbanistico), la qualificazione del potere concretamente esercitato dall’Amministrazione compete in via esclusiva al Giudice Amministrativo e deve essere effettuata sulla base della valutazione del potere concretamente esercitato, indipendentemente dal nomen iuris attribuito al provvedimento e a prescindere dai richiami normativi contenuti nel provvedimento medesimo.
Alla luce di quanto sopra, è innegabile che le impugnate ordinanze di rimozione degli impianti pubblicitari e delle strutture costituiscano essenzialmente esercizio del potere di gestione e dell’uso di beni demaniali connessi all’installazione degli impianti su area pubblica, alla stregua della normativa di cui al D.Lgs. 15.11.1993 n. 507 ed al Codice della Strada.
L’eventuale rilevanza urbanistico-edilizia di taluni impianti o strutture di maggiori dimensioni non sostituisce, ma semmai integra additivamente, la disciplina sopra richiamata, idonea comunque di per sé a supportare l’esercizio del potere di rimozione degli impianti medesimi, indipendentemente dalle loro dimensioni.
Conseguentemente, così correttamente qualificati gli impugnati provvedimenti, tenuto conto della loro intrinseca natura e del potere concretamente esercitato, la controversia in esame rientra nell’ambito della giurisdizione del Giudice Ordinario.
Ed invero con gli impugnati provvedimenti il Comune ha ordinato la rimozione d’ufficio dei cartelli, degli impianti e delle strutture di che trattasi, vista l’inutilità delle precedenti diffide in tal senso rivolte alla società, con conseguente automatica applicabilità del disposto di cui all'art. 23, comma 13-bis, del Codice della Strada, applicabilità non condizionata dal richiamo o meno della norma nel preambolo del provvedimento impugnato, non essendo concepibile che l’applicazione di una norma di legge tassativa e inderogabile possa essere ritenuta inapplicabile solo perché non oggetto di espresso richiamo nel provvedimento amministrativo.
Ai fini della individuazione della giurisdizione occorre infatti considerare l’oggetto del giudizio così come risultante dalla combinata lettura del petitum sostanziale e della causa petendi, che nel caso in esame è rappresentato dalla impugnazione di ordinanze di rimozione d’ufficio di impianti e strutture pubblicitarie ex D.Lgs. 507/1993 e 23, comma 13-bis, del Codice della Strada, con conseguente ricaduta della controversia nella giurisdizione del G.O.
Ciò in conformità di orientamento, ormai da ritenersi consolidato, espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in relazione alla circostanza che la determinazione dirigenziale di rimozione di un impianto pubblicitario emessa dal Comune ai sensi dell’art. 23, comma 13-quater, del Codice della Strada, prevedendo detta norma (al comma 11) anche l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, integra un nesso di complementarietà, costituendo la rimozione un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria, con conseguente impugnabilità innanzi al Giudice ordinario a norma del combinato disposto di cui agli artt. 22 e 23 della Legge 689/1981 (Cass. Civile SS.UU. 23.06.2010 n. 15170; Cass. Civile SS.UU. 19.08.2009 n. 18357; Cass. Civile SS.UU. 14.01.2009 n. 563; Cass. Civile SS.UU. 16.04.2009 n. 8984; Cass. Civile SS.UU. 18.11.2008 n. 27334; Cass. Civile SS.UU. 06.06.2007, n. 13230; Cass. Civile SS.UU. 17.07.2006, n. 16129).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 06.06.2007 n. 13230, hanno peraltro evidenziato l’inapplicabilità alla fattispecie in esame del disposto di cui all’art. 34 del D.Lgs. 80/1998, “non vertendosi in tema di uso del territorio, bensì di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica”.
La Corte di Cassazione ha affermato: “in caso di violazione del divieto, previsto dall’art. 23 Codice della Strada, di collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l’opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del G.O. poiché in entrambi i casi la p.A. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all’applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge” (SS. UU. 15170/10).
In tal senso è la giurisprudenza amministrativa prevalente (TAR Lazio-Roma, Sez. II Ter, 09.04.2008, n. 3037; TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter, 2008), anche di questo tribunale (TAR Bari, Sez. II, n. 3540/2010; TAR Bari, Sez. II, 214/2012) (TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 13.04.2012 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di cartelloni stradali pubblicitari: l'Ente Locale non può rigettare la domanda di autorizzazione ad installare cartelloni pubblicitari stradali in base al “regolamento comunale dei mezzi pubblicitari” interpretato ed applicato nel senso di un generalizzato divieto di collocazione per i detti cartelli all’interno dei centri abitati.
Secondo la giurisprudenza (TAR Veneto Venezia, Sez. III, 09.02.2006, n. 339), è illegittimo il rigetto della domanda di autorizzazione ad installare cartelloni pubblicitari stradali che sia basato sul “regolamento comunale dei mezzi pubblicitari” interpretato ed applicato dall’amministrazione nel senso di un generalizzato divieto di collocazione per i detti cartelli all’interno dei centri abitati, posto che tale divieto è privo di un individuabile fondamento normativo e, comunque, di sufficiente giustificazione.
Sul presupposto che l’ampiezza di un siffatto divieto, esteso ad ogni suolo pubblico dell’intero territorio comunale, e della natura regolamentare della disposizione recante tale divieto, come tale non giustificata da contingenti esigenze (connesse, ad esempio, all’imminente adozione del piano generale degli impianti di cui all’art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 507/1993), per il giudice amministrativo risulta evidente che l’impugnata delibera si pone in radicale ed insanabile contrasto con la libertà d’iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 Cost., e con discipline di settore come quella posta dal codice della strada (invocata nel primo motivo di ricorso) che -nel prevedere la possibilità ed i limiti entro i quali è consentito installare cartelli ed altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse- mira piuttosto a contemperare l’esigenza di garantire la libertà d’iniziativa economica privata con quella di garantire la sicurezza della circolazione sulle strade (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 26.03.2012 n. 2868 
- massima tratta da www.gazzettaamministrativa.it - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio, in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso.
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Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
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La violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.

Il D.Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni stabilisce, all’art. 3, che il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta, con il quale può disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (II° comma) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (III° comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è attività "contingentata", non sussumibile nella disciplina di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, in base alla quale l'atto di consenso, cui sia subordinato l'esercizio di un'attività privata, s'intende sostituito dalla denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, sempre che il suo rilascio "dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo".
Ed invero, l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere sicuramente caratterizzato da profili di discrezionalità, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I 28.02.2008 n. 174).
Siffatto potere, inerente alla ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408).
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Pertanto, si conferma l’assunto per cui è richiesto il titolo abilitativo del Comune allorché vi si un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio (cfr. Cons. Stato, V Sezione, 17.05.2007 n. 2497 che richiama Cass. pen. sez. 3°, n. 5328 del 14.01.2004 e precedenti ivi indicati) con conseguente infondatezza del primo motivo di ricorso (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 14.02.2012 n. 186 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASono da ritenersi illegittime tutte quelle prescrizioni a contenuto generale che rendono impossibile collocare qualsiasi tipo di cartello pubblicitario entro un'ampia fascia di territorio comunale, in quanto ciò determina un'irragionevole compressione del diritto di iniziativa economica.
Tale diritto si deve coniugare, con riferimento all'installazione di mezzi pubblicitari lungo le strade, con il solo limite (secondo quanto previsto dall'art. 23 del codice della strada) del divieto scaturente dalla possibilità che l'impianto stesso arrechi pregiudizio alla sicurezza stradale o alla visuale.
Invero l'art. 3 del d.lgs. n. 507/1993 consente all'ente locale anche di imporre limitazioni, ma solo per particolari forme di pubblicità ed esclusivamente laddove ciò possa rispondere ad esigenze di pubblico interesse.

Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare, consolidando un orientamento da cui non si ravvisano ragioni di discostarsi, “che sono da ritenersi illegittime tutte quelle prescrizioni a contenuto generale che rendono impossibile collocare qualsiasi tipo di cartello pubblicitario entro un'ampia fascia di territorio comunale, in quanto ciò determina un'irragionevole compressione del diritto di iniziativa economica” (cfr TAR Brescia Sez. II, 26.11.2010, n. 4671).
Tale diritto si deve coniugare, con riferimento all'installazione di mezzi pubblicitari lungo le strade, con il solo limite (secondo quanto previsto dall'art. 23 del codice della strada) del divieto scaturente dalla possibilità che l'impianto stesso arrechi pregiudizio alla sicurezza stradale o alla visuale.
Invero l'art. 3 del d.lgs. n. 507/1993 consente all'ente locale anche di imporre limitazioni, ma solo per particolari forme di pubblicità ed esclusivamente laddove ciò possa rispondere ad esigenze di pubblico interesse.
Nel caso di specie il provvedimento di diniego si fonda esclusivamente sull’esistenza della norma regolamentare, la quale, a sua volta, si limita ad introdurre un divieto generalizzato che, in forza di quanto ora rappresentato, non può avere cittadinanza nell’ordinamento: entrambe gli atti, sia quello a contenuto generale, che quello esecutivo, risultano, quindi, essere privi del necessario fondamento giuridico e debbono, pertanto, essere annullati.
Rispetto al censurato diniego risulta, infatti, esclusa ogni valutazione in concreto di contrasto del posizionamento dei mezzi pubblicitari in questione con l’interesse alla sicurezza della circolazione espressamente tutelato; ciò integra un’illegittima lesione dell’iniziativa privata che impone la caducazione dei provvedimenti impugnati (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 08.02.2012 n. 198 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio, in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso.
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Si deve ritenere che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
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La violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.

... parte ricorrente deduce, in sintesi, che l’attività di installazione di impianti pubblicitari non sarebbe soggetta alla normativa in materia edilizia e, in ogni caso, nella specie, non inciderebbe sull’assetto del territorio, trattandosi di impianto soggetto ad uso precario e temporaneo, benché munito di idonea struttura di sostegno.
Il D.Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3, stabilisce che il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta, con il quale deve disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (II° comma) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (III° comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è attività "contingentata", non sussumibile nella disciplina di cui all’art. 19 della legge n. 241 del 1990, in base alla quale l'atto di consenso, cui sia subordinato l'esercizio di un'attività privata, s'intende sostituito dalla denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, sempre che il suo rilascio "dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo".
Ed invero, l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n. 174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di specie– l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti dall’art. 41 Cost., non può neanche prescindere dalla tutela del catalogo dei diritti e delle libertà della persona, costituzionalmente garantiti, che delineano lo "status civitatis" comune all'intera Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente ricondotte le disposizioni, sostanzialmente afferenti alla materia urbanistica ed edilizia (indipendentemente dalla collocazione formale) che, al fine di garantire la generale salubrità degli ambienti di vita e di lavoro (ferme restando le discipline relative a specifiche attività e di tutela dei lavoratori), impongono condizioni minime per l'abitabilità ed agibilità degli edifici e rapporti minimi di aerazione ed illuminazione dei locali, quali requisiti di sicurezza per la loro utilizzazione, che non consentono che i manufatti pubblicitari possano oscurare le facciate degli edifici munite di porte e finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una portata ben più amia rispetto a quella di cui alla legge 05.11.1971 n. 1086, concernente i soli casi inerenti opere in conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di specie, di affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato del suolo pubblico possa determinare la realizzazione di interessi collettivi, per cui il cui rilascio dell’atto concessorio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo un mero giudizio di compatibilità fra i contrapposti interessi (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 26.01.2012 n. 58 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAi sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificato dalla legge n. 127 del 1997, l’Amministrazione Comunale ha la possibilità di procedere alla rimozione d’ufficio di manufatti non autorizzati (impianti pubblicitari) senza previa diffida.
Con il ricorso in esame la società odierna ricorrente si duole dell’avvenuta rimozione di numerosi impianti pubblicitari dalla stessa posseduti, lamentando la mancanza di preavviso e l’assenza della notifica delle determinazioni con cui tali rimozioni sono state disposte e dei verbali di accertamento cui le stesse fanno riferimento, in asserita violazione dell’art. 28 del Regolamento AA.PP. del Comune di Roma e della delibera consiliare del Comune di Roma n. 254 del 1995, stante l’avvenuta presentazione di istanza volta ad avvalersi della procedura di riordino.
Il ricorso non merita favorevole esame.
Premesso che la rimozione degli impianti della ricorrente è stata effettuata sulla base delle gravate determinazioni dirigenziali le quali, nel richiamare il relativo verbale di accertamento dei Vigili Urbani ove si riferisce la mancanza di autorizzazione, hanno disposto di procedere all’immediata rimozione e demolizione d’ufficio di tali impianti, rileva il Collegio che ai sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come modificato dalla legge n. 127 del 1997, l’Amministrazione Comunale ha la possibilità di procedere alla rimozione d’ufficio di manufatti non autorizzati senza previa diffida.
Trattasi di norma derogatoria rispetto al procedimento dettato dall’art. 28 del Regolamento AA.PP. invocato da parte ricorrente, la quale costituisce il parametro normativo su cui poggiano le gravate determinazioni, che allo stesso fanno espresso richiamo.
Deve ulteriormente rilevarsi che con ordinanza sindacale n. 7 del 10.07.1997 –anch’esso richiamato nelle gravate delibere- è stato disposto di dare applicazione alla citata norma di cui all’art. 53, comma 4-bis, procedendo all’immediata rimozione e demolizione d’ufficio di impianti pubblicitari abusivi che occupano spazi e aree comunali.
In ragione del descritto quadro di riferimento, cui si inscrivono le gravate determinazioni dirigenziali e le conseguenti rimozioni degli impianti pubblicitari della ricorrente, devono quindi essere disattese le censure con cui parte ricorrente lamenta la mancata notifica delle determinazioni, dei verbali di accertamento ed il mancato avviso dell’avvio del procedimento, trattandosi di adempimenti non previsti dalla normativa speciale che privilegia la celerità della rimozione degli impianti abusivi, non potendo trovare applicazione, conseguentemente, l’invocato art. 28 del Regolamento AA.PP.
Peraltro, deve osservarsi che la notificazione dei verbali di accertamento costituisce il presupposto per l’irrogazione della sanzione pecuniaria e non della rimozione, mentre, sulla base della documentazione versata al fascicolo di causa a cura della resistente Amministrazione, risulta che tali verbali di accertamento siano stati notificati alla società ricorrente.
Quanto al profilo di censura con cui parte ricorrente lamenta l’illegittimità dei gravati atti stante la pendenza della procedura di riordino con riferimento agli impianti demoliti, con conseguente affermata necessità di sospensione dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, osserva il Collegio come parte ricorrente non abbia in alcun modo comprovato tale circostanza.
Inoltre, sulla base della documentazione depositata dalla resistente Amministrazione, gli impianti sanzionati non risultano corrispondenti a quelli cui si riferiscono le autodenunce di parte ricorrente, la quale non ha in alcun modo efficacemente confutato tale circostanza, né risulta l’esistenza di autorizzazioni riferite a tali impianti, meramente affermata ma non comprovata da parte ricorrente.
Ne discende che con riferimento agli impianti in questione, in quanto non autorizzati né oggetto di richiesta di riordino, non risulta applicabile la sanatoria prevista nell’ambito della procedura di cui alla delibera consiliare del Comune di Roma n. 254 del 1995.
Pertanto gli impianti, in quanto abusivi, sono stati legittimamente rimossi dall’Amministrazione in corretta applicazione della citata norma di cui all’art. 53, comma 4-bis, senza necessità di preavviso, né agli stessi può ritenersi applicabile la sospensione dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie.
Nelle considerazioni che precedono risiedono, inoltre, le ragioni dell’infondatezza della censura con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle indicazioni recate dalla Circolare del Comando della Polizia Municipale di Roma n. 72 del 25.07.1998 che impongono, prima dell’adozione di provvedimenti repressivi, di sollecitare presso il competente Servizio la definizione dell’istanza di riordino (TAR Lazio-Roma, Sez. II, sentenza 18.01.2012 n. 577 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’amministrazione (i.e. l’ente proprietario della strada), nel momento in cui decide la rimozione della cartellonistica abusiva, opera attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater del dlgs 30.04.1992, n. 285
contempla la possibilità per l’ente proprietario di disporre liberamente dei mezzi pubblicitari rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che sia decorso il termine di 60 giorni senza che l’autore della violazione, il proprietario o il possessore del terreno ne abbiano richiesto la restituzione, specificando che “Il predetto termine decorre dalla data della diffida, nel caso di rimozione effettuata ai sensi del comma 13-bis, e dalla data di effettuazione della rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore della violazione, il proprietario ovvero il possessore del terreno su cui sono installati gli impianti abusivi debbano ricevere comunicazione della diffida alla rimozione, anche al fine di potere richiedere successivamente la restituzione degli impianti rimossi dall’amministrazione.

Va evidenziato, a tal riguardo, che ai sensi dell’art. 23, comma 13-bis dlgs 30.04.1992, n. 285 (codice della strada) “In caso di collocazione di cartelli, insegne di esercizio o altri mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o comunque in contrasto con quanto disposto dal comma 1, l’ente proprietario della strada diffida l’autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell’atto.
Decorso il suddetto termine, l’ente proprietario provvede ad effettuare la rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua custodia ponendo i relativi oneri a carico dell’autore della violazione e, in via tra loro solidale, del proprietario o possessore del suolo; a tal fine tutti gli organi di polizia stradale di cui all’articolo 12 sono autorizzati ad accedere sul fondo privato ove è collocato il mezzo pubblicitario.
Chiunque viola le prescrizioni indicate al presente comma e al comma 7 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 4.455 a euro 17.823; nel caso in cui non sia possibile individuare l’autore della violazione, alla stessa sanzione amministrativa è soggetto chi utilizza gli spazi pubblicitari privi di autorizzazione
.”.
Dal tenore letterale della disposizione emerge in modo manifesto che l’amministrazione (i.e. l’ente proprietario della strada), nel momento in cui decide la rimozione della cartellonistica abusiva, opera attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater della disposizione in commento contempla la possibilità per l’ente proprietario di disporre liberamente dei mezzi pubblicitari rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che sia decorso il termine di 60 giorni senza che l’autore della violazione, il proprietario o il possessore del terreno ne abbiano richiesto la restituzione, specificando che “Il predetto termine decorre dalla data della diffida, nel caso di rimozione effettuata ai sensi del comma 13-bis, e dalla data di effettuazione della rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore della violazione, il proprietario ovvero il possessore del terreno su cui sono installati gli impianti abusivi debbano ricevere comunicazione della diffida alla rimozione, anche al fine di potere richiedere successivamente la restituzione degli impianti rimossi dall’amministrazione (TAR Puglia-Bari, Sez. I, sentenza 05.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAL’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio, in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso.
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Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, ed entro questi limiti, pertanto, assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
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La violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una portata ben più amia rispetto a quella di cui alla legge 05.11.1971 n. 1086, concernente i soli casi inerenti opere in conglomerato cementizio armato.
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Trattandosi, nel caso di specie, di affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato del suolo pubblico, si possa determinare la realizzazione di interessi collettivi, per cui il cui rilascio dell’atto concessorio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo un mero giudizio di compatibilità fra i contrapposti interessi.

Va quindi esaminato il secondo profilo di gravame su cui si incentra l’impugnativa in correlazione con lo specifico interesse dedotto in giudizio.
Con tale mezzo, parte ricorrente deduce, in sintesi, che l’attività di installazione di impianti pubblicitari non sarebbe soggetta alla normativa in materia edilizia e, in ogni caso, nella specie, non inciderebbe sull’assetto del territorio, trattandosi di impianti soggetti ad uso precario e temporaneo, benché muniti di idonee strutture di sostegno.
Il D. Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3, stabilisce che il Comune è tenuto ad adottare apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta, con il quale deve disciplinare "le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse" (II° comma) e "in ogni caso determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione ..." (III° comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è attività "contingentata", non sussumibile nella disciplina di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990 n. 241, in base alla quale l'atto di consenso, cui sia subordinato l'esercizio di un'attività privata, s'intende sostituito dalla denuncia di inizio di attività da parte dell'interessato alla pubblica amministrazione competente, sempre che il suo rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti di legge, senza l'esperimento di prove a ciò destinate che comportino valutazioni tecniche discrezionali, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo.
Ed invero, l’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), e, quindi, costituisce oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, in quanto titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n. 174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione comparativa degli interessi coinvolti, quali, da un lato, quelli pubblici e, dall’altro, quello privato, alla libertà di iniziativa economica -di cui l'attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione- si esprime, innanzitutto, nella potestà pianificatoria e, dunque, nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione di questi, senza violare l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi nell'ambito semantico della “utilità sociale” e nel contesto di valori costituzionali equiordinati, quali quello alla difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibili all’art. 9 della Costituzione (conf.: Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di specie– l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità, la cui complessità non consente che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005 n. 3421), in quanto involve l’esercizio di una potestà discrezionale, escludente l’applicabilità del regime del silenzio-assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti dall’art. 41 Cost., non può neanche prescindere dalla tutela del catalogo dei diritti e delle libertà della persona, costituzionalmente garantiti, che delineano lo "status civitatis" comune all'intera Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente ricondotte le disposizioni, sostanzialmente afferenti alla materia urbanistica ed edilizia (indipendentemente dalla collocazione formale) che, al fine di garantire la generale salubrità degli ambienti di vita e di lavoro (ferme restando le discipline relative a specifiche attività e di tutela dei lavoratori), impongono condizioni minime per l'abitabilità ed agibilità degli edifici e rapporti minimi di aerazione ed illuminazione dei locali, quali requisiti di sicurezza per la loro utilizzazione, che non consentono che i manufatti pubblicitari possano oscurare le facciate degli edifici munite di porte e finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di discipline differenti, avente differenti contenuti e finalità, che concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, ed entro questi limiti, pertanto, assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co. 1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità", a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel caso di specie, di elementi strutturali meno solidi e duraturi di quelli in cemento ed assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una portata ben più amia rispetto a quella di cui alla legge 05.11.1971 n. 1086, concernente i soli casi inerenti opere in conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di specie, di affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato del suolo pubblico, si possa determinare la realizzazione di interessi collettivi, per cui il cui rilascio dell’atto concessorio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo un mero giudizio di compatibilità fra i contrapposti interessi.
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Con il quarto motivo, parte ricorrente deduce che, nella specie, si sarebbe formato il silenzio assenso, essendo decorso, alla data del 22.09.2008 per un impianto ed alla data del 05.05.2008 per il gruppo di 5 impianti, il termine dei sessanta giorni, previsto dall’art. 12 della Delibera di G.C. n. 82 del 02.03.2004. Inoltre, la P.A. avrebbe regolarmente riscosso l’imposta comunale sulla pubblicità relativamente agli anni 2009 e 2010.
Osserva il Collegio che l’ipotesi di silenzio-assenso, prevista dalla normativa regolamentare invocata, può valere soltanto in relazione agli interessi ed alla finalità ricadenti nell’alveo della disciplina prevista dal D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e presuppone sempre che ricorrano tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, suddivisibili in presupposti essenziali e requisiti essenziali: ma, nella specie, viene contestata dalla P.A. proprio la astratta corrispondenza, sotto il profilo oggettivo (presupposto essenziale), dell’impianto alle previsioni normative regolamentari, particolarmente sotto il profilo dell’ubicazione.
Inoltre, poiché, come già precisato, l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi, quando –come nel caso di specie– l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità: la complessità della quale rende inconcepibile che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto che nessuna indicazione di segno contrario può desumersi dalla cosiddetta generalizzazione del silenzio-assenso conseguente alla riforma di cui alla legge 14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio è procedimento in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale, alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né oggi, “per silentium”), l’autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può, comunque, formarsi prescindendo dal rilievo della suddetta concessione.
Orbene, calando i precitati principi al caso di specie, si può ritenere che neanche la semplice astratta possibilità di autorizzazione potrebbe ritenersi, stante la complessità della valutazione richiesta in relazione agli interessi coinvolti, un elemento idoneo a determinare “ex se” la caducazione del provvedimento di diniego impugnato, neanche in “parte qua”.
Né, infine, il regolare pagamento dell’imposta di pubblicità può valere ad integrare un’autorizzazione inesistente
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 05.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2011

EDILIZIA PRIVATA: All'interno del centro abitato, il Comune è titolare di funzioni relative sia alla sicurezza della circolazione, in quanto titolare del potere di autorizzazione all’istallazione di impianti pubblicitari nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada, sia all’uso del proprio territorio, dal momento che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra l’altro, il compito di stabilire “limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
Pertanto, è legittimo l’art. 27 del regolamento comunale per l’installazione degli impianti pubblicitari e piano generale degli impianti, ove prevede che “è consentito installare mezzi pubblicitari luminosi o con display luminoso con grafica di animazione, unicamente per la divulgazione di informazioni alla cittadinanza, a cura esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’art. 50 comma 4 del D.P.R. 16.12.1992 n. 495, attuativo dell'art. 23 del codice della strada, dettato in materia di “caratteristiche dei cartelli e dei mezzi pubblicitari luminosi”, prevede che “entro i centri abitati si applicano le disposizioni previste dai regolamenti comunali”.
A sua volta, il comma 3 del D.Lgs. 15.11.2003 n. 507 prevede che “il regolamento del comune disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità e può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
L’art. 27 del regolamento comunale per l’installazione degli impianti pubblicitari e piano generale degli impianti, prevede a sua volta che “è consentito installare mezzi pubblicitari luminosi o con display luminoso con grafica di animazione, unicamente per la divulgazione di informazioni alla cittadinanza, a cura esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’area de qua rientra nel centro abitato, dovendo pertanto trovare applicazione quanto previsto dal citato art. 27, al quale la citata normativa statale espressamente rinvia.
Il Comune è infatti titolare di funzioni relative sia alla sicurezza della circolazione, in quanto titolare del potere di autorizzazione all’istallazione di impianti pubblicitari nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada, sia all’uso del proprio territorio, dal momento che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra l’altro, il compito di stabilire “limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse” (TAR Lombardia, Brescia, 28.02.2008, n. 174).
In contrario non rileva la giurisprudenza citata dal ricorrente (TAR Toscana Firenze, sez. I, 19.06.1998, n. 404), la quale ha sancito l’illegittimità di un regolamento comunale che conteneva divieti assoluti sulla collocazione dei cartelli pubblicitari e non invece circoscritti, come nel caso di specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. I, sentenza 21.10.2011 n. 2521 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATANiente Scia per occupazioni e pubblicità sulle strade.
Chi richiede l'autorizzazione all'occupazione della sede stradale per effettuare lavori o per necessità diverse anche di carattere commerciale deve sempre ottenere una regolare licenza rilasciata dall'ente proprietario della strada che non può essere sostituita dalla Scia. E questa indicazione riguarda anche la pubblicità stradale e in generale tutte le autorizzazioni necessarie per l'uso delle strade e delle relative pertinenze.
Lo ha messo nero su bianco il Ministero dei Trasporti con il parere 05.10.2011 n. 4928 di prot..
Un comune della riviera romagnola ha richiesto al ministero dei trasporti se la semplificazione introdotta nell'art. 19 della legge 241/1990 con l'avvento della segnalazione certificata di inizio attività possa interessare anche il codice della strada e in particolare le ordinanze e le autorizzazioni disciplinate dall'art. 26 del dlgs 285/1992.
A parere dell'organo centrale di via Caraci non ci sono dubbi di sorta. La semplificazione introdotta progressivamente nella legge 241/1990 negli ultimi due anni non interessa la disciplina dei provvedimenti da adottare per la regolamentazione del traffico e neppure quella per il rilascio delle licenze necessarie per occupare strade, impiantare manufatti ed effettuare interventi.
Il nuovo articolo 19 della legge 241/1990, specifica letteralmente che «ogni atto di autorizzazione il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell'interessato, con la sola esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione, all'asilo, alla cittadinanza».
Le autorizzazioni e le concessioni rilasciate ai sensi dell'art. 26 del codice della strada, conclude il parere ministeriale, sono riferite a norme riguardanti la costruzione e la tutela delle strade. Ovvero sono atti che interessano la pubblica sicurezza e la cittadinanza. Per questo motivo specificamente esclusi dall'applicazione della disciplina introdotta con la segnalazione certificata di inizio attività (articolo ItaliaOggi del 21.10.2011).

EDILIZIA PRIVATA: Impianti pubblicitari senza silenzio-assenso.
L’istituto del silenzio assenso non è applicabile all'istallazione di impianti pubblicitari, ove il potere conferito agli enti proprietari della strada di disciplinare l’installazione degli impianti risponde alla necessità di garantire la sicurezza della circolazione stradale e quindi l’incolumità di persone e cose.
L’istituto del silenzio assenso, in virtù del quale l’autorizzazione amministrativa richiesta e non emessa nei termini di legge si ritiene accordata, pur essendo previsto dall’art. 20 della legge n. 241 del 1990 in termini generali, non è di portata illimitata, ma contiene deroghe per gli atti e i procedimenti indicati nel quarto comma dello stesso articolo, tra i quali sono specificamente elencati quelli che attengono alla pubblica sicurezza e all’incolumità pubblica.
Ne consegue che, per il combinato disposto della predetta norma e dell’art. 23 codice della strada, l’istituto in parola non è applicabile a questa fattispecie, ove il potere conferito agli enti proprietari della strada di disciplinare l’installazione di impianti pubblicitari risponde alla necessità di garantire la sicurezza della circolazione stradale e quindi l’incolumità di persone e cose.
I cartelli pubblicitari lungo le strade non possono essere impiantati in difetto di autorizzazione, per ragioni attinenti alla sicurezza della circolazione (Cass. n. 4045 del 2011; Cass. n. 4869 del 2007) (commento tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione civile, sentenza 19.09.2011 n. 19103).

EDILIZIA PRIVATA: Appartiene alla giurisdizione del g.o. l'opposizione avverso il provvedimento di rimozione della pubblicità abusiva lungo le strade.
Per giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione in caso di violazione del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad., di collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l'opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all'applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge (Cassazione civile, s.u., 23.06.2010, n. 15170; Cassazione civile, s.u., 03.03.2010, n. 5020; Cass., S.U. 14.01.2009 n. 563) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it - TAR Sicilia-Catania, Sez. II, sentenza 12.05.2011 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Installazione di impianti pubblicitari nel territorio comunale. Valutazione complessiva di compatibilità con l’igiene pubblica e l’estetica cittadina.
Il regolamento previsto dall’art. 3 del D.Lgs. 15.11.1993 n. 507 –con il quale il Comune disciplina le modalità di svolgimento della pubblicità, la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, nonché le modalità per ottenere l’autorizzazione alla loro installazione– si riferisce non solo agli impianti comunali di affissione, ma anche all’installazione di impianti posti in essere da privati su aree private, ai quali si estende la valutazione complessiva di compatibilità dell’installazione di impianti pubblicitari nel territorio comunale con l’igiene pubblica e l’estetica cittadina, nonché la ponderazione delle relative implicazioni economiche e delle diverse possibili modalità di più proficua realizzazione del pubblico interesse sotteso a tale disciplina, che sono proprie della predetta sede regolamentare (Cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. III, 17.04.2002 n. 1490).
E’ legittimo il provvedimento con il quale è stata rigettata una istanza di autorizzazione per la posa di un cartello pubblicitario lungo una strada pubblica, motivato con riferimento alla necessità di preservare l’area in cui ricade (nella specie l’area era attigua ad un parco) da qualsiasi elemento di disturbo, tenuto conto peraltro del fatto che il regolamento del Comune, sull’uso delle aree verdi, prescrive l’obbligo di munirsi di specifica autorizzazione per la posa di arredi e/o qualunque intervento che interessi aree verdi.
Tale scelta è infatti orientata a precludere trasformazioni edilizie ed anche alterazioni minime in una ben individuata (e ridotta) porzione di territorio, senza introdurre un generalizzato divieto di collocare cartelli pubblicitari su ampie estensioni (Cfr. TAR Lombardia-Brescia, sez. II, 01.12.2009 n. 2391) ed è preordinata alla protezione di valori pregnanti come il decoro e l’estetica degli spazi pubblici, presso un’area già riconosciuta ex lege come particolarmente sensibile (cfr. vincolo legge Galasso) (massima tratta da www.regione.piemonte.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 28.04.2011 n. 640 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La possibilità di stabilire limitazioni e divieti all'installazione di impianti pubblicitari non compromette la tutela costituzionale della libera iniziativa privata.
Alla stregua di un indirizzo interpretativo già espresso dal Consiglio di Stato e al quale il Collegio ritiene di aderire, ai sensi dell'art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs. 15.11.1993 n. 507, ogni Comune è tenuto ad adottare un regolamento per l'applicazione dell'imposta, che disciplini le modalità di effettuazione della pubblicità, con la possibilità di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse, e in ogni caso determini la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione e i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti.
Pertanto, l'installazione di impianti pubblicitari è un'attività economica contingentata, stante la limitatezza degli spazi a ciò destinati, senza che in ciò possa ravvisarsi compromissione della tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41 cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l'utilità sociale (Cons. Stato, sez. V, 29.04.2009, n. 2723) (Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza 09.02.2011 n. 894 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2010

EDILIZIA PRIVATA: Titolo edilizio anche per il cartellone pubblicitario. Lo ha sancito la Corte di Cassazione intervenendo su un decreto di sequestro preventivo di un cartellone di grandi dimensioni.
Recentemente la Corte di cassazione (sentenza n. 43249/2010) è stata chiamata a pronunciarsi su un singolare caso di abuso edilizio.
I giudici sono intervenuti su un decreto di sequestro preventivo di un cartellone per la gestione di spazi pubblicitari di grandi dimensioni, collocato su quattro pilastri con basamento in cemento.
Veniva contestata all’indagato la violazione della normativa antisismica (artt. 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380/2001) per averlo collocato senza aver preventivamente ottenuto il rilascio del titolo abilitativo.
Quest’ultimo aveva sostenuto, però, l’erronea applicazione al caso in esame del Testo unico sull’edilizia, facendo appello al rapporto di specialità tra detta disciplina e quella dettata dal D.Lgs. n. 507 del 1993.
I giudici della Suprema Corte ribadiscono la necessità del rilascio del preventivo titolo abilitativo ai fini della realizzazione di questo singolare manufatto, escludendo l’esistenza dell’invocato rapporto di specialità tra la disciplina dettata dal Testo Unico sull’edilizia e quella del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507.
Quest’ultimo prevede, in caso di violazione delle disposizioni concernenti l’installazione dei cartelloni pubblicitari, l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie e la rimozione da parte del comune degli impianti pubblicitari abusivi.
In particolare sulla qualifica del manufatto come opera edilizia, soggetto al d.P.R. n. 380 del 2001, la Corte richiama le disposizioni della normativa antisismica che si applicano a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa interessare la pubblica incolumità.
Secondo i giudici, quindi, il cartellone pubblicitario oggetto del sequestro preventivo costituisce opera edilizia rilevante ai fini dell’applicazione della normativa edilizia ed urbanistica, considerate le sue dimensioni e le modalità dell’installazione.
Sul rapporto di specialità tra la disciplina in materia edilizia e quella dettata dal D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 la Corte afferma invece che possono trovare applicazione ambedue le discipline in quanto introdotte dal legislatore a tutela di interessi giuridici diversi: - quella edilizia, sullo sviluppo del territorio e la sicurezza statica delle costruzioni rispetto a possibili eventi sismici;
- quella dettata in tema di pubbliche affissioni, sulle modalità di controllo sulle stesse, in relazione al loro contenuto, alla loro natura commerciale o meno, all’applicazione dell’imposta sulla pubblicità (commento tratto da www.ediliziaurbanistica.it).

LAVORI PUBBLICI: Rotatorie, niente pubblicità.
Nel centro delle rotonde stradali e attorno a questi diffusi manufatti non è possibile posizionare cartelli pubblicitari. Si tratta infatti di intersezioni a raso dove secondo il codice stradale è vietato applicare qualsiasi distrazione per l'utente motorizzato.

Lo ha ribadito il Ministero dei Trasporti con il parere 09.09.2010 n. 72763.
La città di Aosta ha richiesto chiarimenti circa la diffusa realizzazione di rotatorie stradali sponsorizzate da soggetti privati con marchi, insegne e informazioni pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il ministero, in quanto le rotatorie, anche se non vengono citate dal codice della strada, sono tecnicamente definibili come delle intersezioni a raso su cui si applica il conseguente divieto di posizionamento di impianti pubblicitari previsto dall'art. 51 del regolamento stradale.
In buona sostanza, sono fuori legge tutte le iniziative locali che hanno ricercato sponsor per contribuire alla realizzazione dei diffusi manufatti stradali posizionando le pubblicità dell'azienda privata nel bel mezzo della rotonda.
Questi impianti possono infatti creare distrazione e ingenerare pericolo per la circolazione (articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag. 22).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune non può motivare con la formale mancanza del parere della Polizia locale la revoca dell’autorizzazione alla collocazione di cartelli pubblicitari.
Nella controversia in commento, un impresa attiva nel settore della pubblicità commerciale ha ottenuto da un Comune del bergamasco autorizzazione alla posa di cinque cartelli pubblicitari; relativamente a tale autorizzazione ha ricevuto un provvedimento “per revocare l’autorizzazione in questione” in quanto “erroneamente… rilasciata senza il necessario parere da parte del Settore Polizia Locale” e contro tale atto ha fatto ricorso.
Siffatta contestazione, secondo il Tribunale amministrativo di Brescia, è fondato nel merito, infatti, come correttamente evidenziato dalla difesa della ricorrente, la collocazione di impianti pubblicitari, nella specie di cartelli è disciplinata anzitutto dall’art. 23 comma 4 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285, che la sottopone ad autorizzazione “da parte dell'ente proprietario della strada”, aggiungendo che “nell'interno dei centri abitati la competenza è dei Comuni” salvo il caso (che nella specie non rileva) di strada sita all’interno di centro abitato, ma di proprietà di un ente diverso dal Comune, chiamato allora a dare, con distinto atto, il proprio nulla osta.
La disciplina di dettaglio dell’autorizzazione è poi contenuta nell’art. 53 del DPR 16.12.1992 n. 495, che per quanto interessa prevede che tutte le relative procedure debbano “essere improntate ai princìpi della massima semplificazione e della determinazione dei tempi di rilascio [comma 2]”, che “il soggetto interessato al rilascio… deve presentare la relativa domanda presso il competente ufficio dell'ente indicato al comma 1, allegando, oltre alla documentazione amministrativa richiesta dall'ente competente, un'autodichiarazione, redatta ai sensi della legge 04.01.1968, n. 15, con la quale si attesti che il manufatto che si intende collocare è stato calcolato e realizzato e sarà posto in opera tenendo conto della natura del terreno e della spinta del vento, in modo da garantirne la stabilità…
Alla domanda deve essere allegato un bozzetto del messaggio da esporre ed il verbale di constatazione redatto da parte del capocantoniere o del personale preposto, in duplice copia, ove è riportata la posizione nella quale si richiede l'autorizzazione all'installazione. In sostituzione del verbale di constatazione, su richiesta dell'ente competente, può essere allegata una planimetria ove sono riportati gli elementi necessari per una prima valutazione della domanda [comma 3]; prevede ancora che l’ufficio competente debba pronunciarsi, con accoglimento o diniego, entro sessanta giorni dalla domanda [comma 4].
In tale disciplina, di per sé abbastanza dettagliata, manca ogni menzione espressa di un qualsivoglia parere della Polizia locale come elemento necessario al rilascio dell’autorizzazione; nemmeno appare poi possibile ritenere che, in quest’occasione, il Comune lo abbia ritenuto necessario come parte della “documentazione amministrativa richiesta dall'ente competente
”.
Ciò secondo logica avrebbe comportato imporre alla Carminati di procurarselo previamente e allegarlo alla domanda, ma una richiesta in tal senso non consta; è invece chiaro, nella nota 30.04.2009, l’intento di considerare il parere in questione non come un documento, ma come il risultato di un’istruttoria da compiere sulla domanda già presentata.
In base al principio di non aggravamento della procedura reso esplicito dal citato comma 2 dell’art. 53, ma già contenuto nell’art. 1 comma 2 della l. 08.08.1990 n. 241, il Comune non può allora motivare con la formale mancanza di un parere non previsto dalla legge la revoca dell’autorizzazione per cui è causa (commento tratto da www.documentazione.ancitel.it - (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 23.09.2010 n. 3574 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: È illegittima l’imposizione di un divieto a tempo indeterminato di installazione di impianto pubblicitario insistente su area privata non supportato da ragioni di interesse pubblico.
Questa Sezione si è già pronunciata sull’illegittimità dell’imposizione di un divieto di installazione di impianto pubblicitario a tempo indeterminato non supportato da ragioni di interesse pubblico (Cons. St., Sez. V, 29.05.2006, n. 3265) e che tale illegittimità va ribadita, a maggior ragione per insegna insistente su area privata, considerando che l’art. 3 D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 prevede che i Comuni, nel disciplinare con proprio regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità, stabiliscano limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie esclusivamente in relazione ad esigenze di pubblico interesse.
Anche la sottoposizione ad autorizzazione della collocazione di insegne pubblicitarie, configurabili come forma di attività economica, riposa sulla necessità da parte del Comune di salvaguardare esigenze di pubblico interesse quali il decoro urbano (Cons. St. Sez. V, 10.01.2007 n. 44) (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 17.09.2010 n. 6981 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La collocazione di mezzi pubblicitari lungo le strade nel centro abitato non può essere esclusa in modo generalizzato.
L’art. 8 del regolamento comunale sulla pubblicità, invece, prevede che “E’ vietato il posizionamento dei cartelli e degli altri mezzi pubblicitari nel centro abitato e lungo, in prossimità ed in vista delle strade”.
Rispetto a tale disposizione il Comune di Ponte Nossa risulta, in effetti, aver optato per un’interpretazione strumentale all’applicazione di un totale e generalizzato divieto di apposizione di mezzi pubblicitari sull’intero territorio del centro abitato. Tale divieto, proprio perché inteso come indiscriminato e non suscettibile di alcuna eccezione in ragione di situazioni differenziate che potrebbero essere meritevoli di autorizzazione, finisce per porsi in contrasto con la vigente normativa in materia e con i principi costituzionali che la regolano, in particolare in termini di tutela dell’iniziativa economica.
A prescindere, quindi, dal fatto che il provvedimento impugnato, in concreto, non evidenzia quali degli impianti di cui è stata richiesta l’autorizzazione andrebbero ad interferire con la realizzazione di parcheggi pubblici e quali inciderebbero sulla percezione visiva della chiesetta di S. Bernardo, con ciò incidendo negativamente sulla comprensibilità e puntualità del provvedimento, nonché sulla possibilità per la richiedente di difendere le proprie ragioni, il Collegio ritiene comunque determinante la ravvisata illegittimità del provvedimento derivante da una lettura del regolamento comunale impositiva del divieto generalizzato di collocazione di mezzi pubblicitari lungo tutte le strade nel centro abitato.
Tale applicazione della disciplina regolamentare contraria alla ratio della normativa vigente in materia, la quale tende ad una puntuale regolamentazione dell’utilizzo dei mezzi pubblicitari, ma non anche ad escludere in modo generalizzato lo stesso, determina, pertanto, l’illegittimità sia della nota applicativa prot. n. 3852 del 2009, ma anche ed ancor prima dell’art. 8, commi 2 e 13 del regolamento comunale della pubblicità che, pertanto, sono meritevoli del richiesto annullamento.
Ciò in linea con la giurisprudenza ormai costante che ha più volte ritenuto l’illegittimità di divieti generalizzati ed indiscriminati, tali da realizzare una vera e propria paralisi dell’attività imprenditoriale (quale è quella di posa di cartelli pubblicitari), nell’ambito di un Comune (TAR Parma, n. 2 del 07.01.2010, TAR Lombardia, Milano sez. IV, 05.07.2006, n. 1707 e 02.05.2006, n. 1118) (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2303 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L’installazione di cartelli pubblicitari lungo gli “itinerari turistici” è subordinato al parere positivo della Sovrintendenza.
Riassumiamo brevemente le circostanze che hanno portato a tale pronuncia: la società ricorrente ha richiesto il posizionamento di 2 cartelli pubblicitari, che il Comune ha negato limitandosi a richiamare gli indirizzi di tutela contenuti nel Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), il quale vieterebbe, secondo l’interpretazione dell’Amministrazione, il posizionamento di cartellonistica lungo detta strada.
I giudici del Tribunale amministrativo di Brescia, accogliendo il ricorso, ricostruiscono il quadro normativo di riferimento, delineato in primo luogo dall’art. 109 delle NTA del Piano Territoriale di coordinamento, espressamente invocato dal Comune a sostegno dei propri provvedimenti negativi.
Tale norma tende, “per il mantenimento, il recupero e la valorizzazione del ruolo paesistico originario”, ad indirizzare le Amministrazioni comunali a “vietare la collocazione della cartellonistica pubblicitaria e prevedere la progressiva eliminazione di quella esistente”.
Ciò, spiegano i giudici lombardi, in linea con quanto imposto, ancora più a monte, dall’art. 153 del d.lgs. 42/2004, il quale recita: “1. Nell'ambito e in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134 e' vietata la posa in opera di cartelli o albi mezzi pubblicitari se non previa autorizzazione dell'amministrazione competente , che provvede su parere vincolante, salvo quanto previsto dall'articolo 146, comma 5, del soprintendente. Decorsi inutilmente i termini previsti dall'articolo 146, comma 8, senza che sia stato reso il prescritto parere, l'amministrazione competente procede ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 146.
2. Lungo le strade site nell'ambito e in prossimità dei beni indicati nel comma 1 è vietata la posa in opera di cartelli o altri mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione rilasciata ai sensi della normativa in materia di circolazione stradale e di pubblicità sulle strade e sui veicoli, previo parere favorevole del soprintendente sulla compatibilità della collocazione o della tipologia del meno pubblicitario con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a tutela
”.
I giudici bresciani ritengono, pertanto, che, come lo stesso Tribunale ha già più volte avuto modo di precisare in sede cautelare, la norma ora riportata non introduca un divieto generalizzato di installazione di cartelli pubblicitari lungo gli “itinerari turistici”, ma subordini l’autorizzazione della stessa al parere positivo della Sovrintendenza.
Né un tale divieto, concludono gli stessi giudici, può essere individuato nelle prescrizioni del PTCP, le quali non operano direttamente, ma costituisco, come già anticipato, atti di indirizzo cui i Comuni sono tenuti ad adeguarsi nella predisposizione della propria strumentazione urbanistica (commento tratto da link a www.documentazione.ancitel.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 10.06.2010 n. 2301 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATACARTELLONI PUBBLICITARI.
Autorizzazione - Comunale - Pubblicità stradale - Cartelloni - Rilascio mediante gara - Necessità - Non sussiste.
Sia se si ha riguardo all'art. 53 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495), sia se si ha riguardo al D.Lgs. n. 507/1993, che all'art. 3 contempla i regolamenti comunali sulle modalità di effettuazione della pubblicità ed un piano generale degli impianti, non si può asserire che le autorizzazioni a collocare impianti pubblicitari siano da rilasciare mediante gare.
Invero, la pubblicità stradale non si configura come servizio reso ad un ente locale, in particolare, ma come forma di svolgimento di un'attività economica, soggetta ad autorizzazione sia perché gli enti locali hanno la funzione di salvaguardare il decoro delle strade, sia perché ne traggono delle entrate per loro specificamente previste, come è l'imposta regolata dal suddetto D.Lgs. n. 507/1993 (1).
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(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n. 44/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n. 4399/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n. 4400/2007 (massima tratta da http://mondolegale.it - TAR Puglia-Bari, Sez. III, sentenza 27.05.2010 n. 2086 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATASull'installazione dei cartelli pubblicitari lungo le strade.
L’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata), già oggetto di una specifica disciplina, non sovrapponibile a quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere discrezionale, essendo titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti, dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (cfr. TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n. 174).
Inoltre, nei casi come quelli sub esame, in cui viene richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
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L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi, poiché, mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell’attività privata con l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità: la complessità della quale rende inconcepibile che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto che nessuna indicazione di segno contrario può desumersi dalla cosiddetta generalizzazione del silenzio-assenso conseguente alla riforma di cui alla legge 14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio è procedimento in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale, alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né oggi, “per silentium”), l’autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi prescindendo dal rilievo della suddetta concessione.
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La Corte Costituzionale, con sent. 17.07.2002 n. 355, nel dichiarare infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 8, del D.L.gs. 507/1993, nella parte in cui preclude ai Comuni di autorizzare nuovi impianti fino all’approvazione del regolamento, stante l’esistenza di un termine per detta approvazione -termine che assicurerebbe ex se una protezione adeguata al diritto di iniziativa economica del settore, vincolato da un limite reputato non irragionevole e non arbitrario giacché funzionale alla salvaguardia di beni di rilievo costituzionale, quali l’ambiente, l’arte, il paesaggio la sicurezza nella circolazione- ha osservato, nel medesimo contesto, che, in difetto di tale valutazione previa, risulterebbero appunto vanificati gli svariati interessi pubblici, sui quali l’attività potenzialmente verrebbe ad incidere.
La suddetta sentenza ha, infatti, significativamente affermato che la tutela degli interessi pubblici presenti nell’attività pubblicitaria, effettuata mediante l’installazione dei cartelloni, si articola ex D.Lgs. 507/1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle Amministrazioni comunali in maniera casuale ed arbitraria e, comunque, senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sua caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità e l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle prescrizioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte” (Corte Cost. sent. 17.07.2002 n. 355).
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Il “contingentamento” dell'installazione di impianti pubblicitari non si pone in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l'utilità sociale.
Ed invero, nell'ambito semantico della “utilità sociale” rientra (e non potrebbe essere altrimenti) anche la protezione di valori costituzionali, quanto meno equiordinati al diritto di iniziativa economica, quali la difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del patrimonio culturale della Nazione, riconducibile all’art. 9 della Costituzione.
Pertanto, l’art. 3 del D.Lgs. n. 507/1993 si pone in coerenza con questa architettura chiara, correlando la previsione di vincoli alla pubblicità in funzione di esigenze di pubblico interesse, che vanno unitariamente considerati, in sede di una complessiva valutazione di compatibilità con la tutela dell'igiene pubblica e dell'estetica cittadina e gli altri interessi superindividuali, a vario titolo coinvolti nella specifica regolazione.
Siffatto potere discrezionale si esercita anche in sede di valutazione delle istanze autorizzatorie, "attraverso la selezione dell'interesse prevalente da perseguire nella platea di interessi pubblici e privati compresenti", ben potendo il Comune attribuire la prevalenza ad es. alle generali esigenze di sicurezza della circolazione, rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore.
Inoltre, il PGIP, nel disciplinare l'attività autorizzatoria in maniera coerente con l'esigenza di un'equilibrata protezione della variegata trama dei molteplici interessi -di natura urbanistica, edilizia, economica, culturale, viaria- tra loro interferenti e che in diversa misura vengono in rilievo nell'attività pubblicitaria, ben può circoscrivere anche l'affissione diretta, da parte dei privati, sugli impianti privati, ad una determinata superficie dell'intera superficie affissiva.
D'altronde, l'affissione diretta deve, in via tendenziale, consentirsi per un'estensione minore rispetto a quella affidata alla gestione pubblica, anche attraverso il concessionario, atteso che tra gli scopi perseguiti con l'istituzione del servizio delle pubbliche affissioni è compreso l'obiettivo, di natura perequativa, di assicurare, nonostante l'esistenza di una risorsa scarsa (quale la superficie affissiva), lo svolgimento dell'attività di affissione diretta, anche da parte di coloro che non dispongono di impianti propri, ponendo così le condizioni per un'effettiva concorrenza, sia pur limitata, tra le imprese operanti nel settore della pubblicità commerciale (le quali, diversamente, si vedrebbero precluso, di fatto, qualunque accesso al relativo mercato), senza con ciò porsi in violazione del principio di gerarchia delle fonti, fermo restando il rispetto per i canoni della ragionevolezza e della proporzionalità nella specifica opzione dosimetrica
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I, sentenza 27.04.2010 n. 541 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA:  Strade - autorizzazione collocamento cartelli pubblicitari - regolamento comunale - divieto generalizzato - illegittimità - limiti - proporzionalità al pubblico interesse.
Il potere regolamentare del Comune in materia di rilascio di autorizzazioni a collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari non può giungere ad un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale in quanto lesivo della libertà di iniziativa economica privata, ma deve essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al "pubblico interesse" (ad es. vincoli ambientali o paesaggistici, sicurezza stradale) di volta in volta specificamente individuato (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.04.2010 n. 1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Sussiste l’impossibilità di un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale, che come tale sarebbe certamente lesivo della libertà di iniziativa economica privata, dato che in termini semplici non consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa istruttoria, quali siano le esigenze in concreto pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda.
Norme di legge le quali disciplinano la collocazione sul territorio comunale di mezzi pubblicitari sono fondamentalmente tre.
L’art. 23 del d. lgs. 30.04.1992 n. 285, cd. Codice della strada, stabilisce un principio generale per cui è possibile da parte degli enti proprietari delle strade il rilascio di autorizzazioni a collocare cartelli ed altri mezzi pubblicitari; prevede poi divieti di collocazione in fattispecie particolari, che hanno come comune denominatore l’esigenza di garantire una sicura circolazione stradale.
Vi è, poi, l’art. 3 del d.lgs. 15.11.1993 n. 507, secondo il quale il Comune deve dotarsi di un regolamento sulla pubblicità che “disciplina le modalità di effettuazione” della stessa e “può stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse”.
Vi è, da ultimo, l’art. 62, comma 2, lettera c), del d.lgs. 15.12.1997 n. 446, per cui il Comune, nel regolamento sull’imposta prevista per la pubblicità, può disciplinarne le “modalità di impiego”.
Da tale complesso normativo, la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha desunto, a contrario, l’impossibilità di un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso indistintamente a tutto il territorio comunale, che come tale, condividendosi sul punto il rilievo della ricorrente, sarebbe certamente lesivo della libertà di iniziativa economica privata, dato che in termini semplici non consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
La normativa infatti ragiona di limitazioni nell’ambito di un generale principio per cui la pubblicità è permessa, non già di una proibizione in linea di principio, salve deroghe.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve, quindi, essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa istruttoria, quali siano le esigenze in concreto pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda (nel senso dell’illegittimità di un divieto generalizzato, TAR Veneto sez. III, 09.02.2006, n. 339 e, nella giurisprudenza di questo TAR, l’ord. 09.11.2007 n. 854; identico principio ribadiscono TAR Lazio Latina, 04.01.2007, n. 7 e TAR Lazio Roma sez. II, 11.12.2007, n. 12951 anche con riguardo al caso particolare in cui il regolamento comunale manchi).
E’ solo per completezza infine che si precisa come divieti generalizzati di collocazione di impianti pubblicitari potrebbero derivare da altre disposizioni di legge, diverse da quelle citate ed espressione di valori a loro volta costituzionalmente tutelati, come ad esempio nel caso di vincoli ambientali o paesaggistici, dei quali peraltro nella specie non è stata invocata l’esistenza.
Pertanto, vanno annullati, in conformità alla domanda della ricorrente, sia le disposizioni regolamentari che tale divieto generalizzato impongono, sia il provvedimento puntuale che ne ha fatto applicazione, nei termini precisati in dispositivo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 21.04.2010 n. 1596 - ink a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Insegne e pubblicità - Mancata approvazione del Piano generale degli impianti pubblicitari entro il termine previsto dal D.Lgs. 507/1993 - Divieto di installazioni pubblicitarie - Legittimità.
2. Insegne e pubblicità - Divieto di installazioni pubblicitarie - Motivazione.

1. L'art. 36 D.Lgs. 507/1993 deve essere messo in relazione con l'art. 41 Cost. e con l'art. 2 della L. 241/1990 e pertanto i Comuni non possono, protraendo la mancanza del Piano generale degli impianti pubblicitari, inibire sine die nel frattempo ogni installazione pubblicitaria in quanto l'inerzia protratta oltre il termine per la approvazione del suddetto Piano pregiudicherebbe in modo eccessivo la libertà di iniziativa economica, garantita a livello costituzionale.
2. La motivazione di un diniego deve dare contezza delle ragioni per le quali viene ritenuta l'incompatibilità dei cartelloni pubblicitari con le esigenze di tutela paesistica nel contesto ambientale tutelato e non può tradursi in una semplice formula generica e neppure la valutazione di compatibilità paesaggistica può sostenere un aprioristico divieto di istallazione per l'intero territorio comunale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 15.04.2010 n. 1573 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Qual'è la procedura autorizzativa dei cartelli pubblicitari lungo le strade ed in zona paesaggisticamente vincolata?
Un comune lombardo ha posto un quesito in data 26.02.2010 al Servizio Giuridico per l'edilizia, il paesaggio e le valutazioni ambientali della Regione Lombardia del seguente tenore.
In merito all'installazione dei cartelli pubblicitari (es. dimensioni mt. 3,00 x 2,00) lungo le strade provinciali l'art. 23, comma 4, del D.Lgs. n. 285/1992 così dispone: "
23 Pubblicità sulle strade e sui veicoli.
4. La collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada nel rispetto delle presenti norme. Nell'interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale.
".
Per esemplificare, poniamo che il suddetto cartello da posizionare ricada in zona paesaggisticamente vincolata, all'esterno del centro abitato, lungo una strada provinciale. Al riguardo, parrebbe che i cartelli in questione soggiaciano ad una procedura autorizzativa ambientale diversa, rispetto alla solita autorizzazione paesaggistica, giusto l'art. 153 del D.Lgs. n. 42/2004 il quale così recita: "
Art. 153. Cartelli pubblicitari.
1. Nell’ambito e in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell’articolo 134 è vietata la posa in opera di cartelli o altri mezzi pubblicitari se non previa autorizzazione dell'amministrazione competente, che provvede su parere vincolante, salvo quanto previsto dall'articolo 146, comma 5, del soprintendente. Decorsi inutilmente i termini previsti dall'articolo 146, comma 8, senza che sia stato reso il prescritto parere, l'amministrazione competente procede ai sensi del comma 9 del medesimo articolo 146.
(comma così modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera cc), numero 1), del d.lgs. n. 63 del 2008)
2. Lungo le strade site nell'ambito e in prossimità dei beni indicati nel comma 1 è vietata la posa in opera di cartelli o altri mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione rilasciata ai sensi della normativa in materia di circolazione stradale e di pubblicità sulle strade e sui veicoli, previo parere favorevole del soprintendente sulla compatibilità della collocazione o della tipologia del mezzo pubblicitario con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a tutela."
(comma così modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera cc), numero 2), del d.lgs. n. 63 del 2008).
Il suddetto comma 2 prevede che necessiti acquisire preliminarmente agli atti l'obbligatorio "parere favorevole del soprintendente sulla compatibilità della collocazione o della tipologia del mezzo pubblicitario con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a tutela".
Detto ciò, stamane ho contattato telefonicamente l'Avv. ... della Provincia di ... il quale sostiene che il suddetto art. 153 non si applica al caso di specie e, quindi, necessita rilasciare comunque l'autorizzazione paesaggistica poiché la Regione Lombardia ha legiferato in materia ex art. 80 l.r. n. 12/2005 in ossequio a quanto previsto dall'art. 158 del D.Lgs. n. 42/2004.
Non solo, c'è anche un'ulteriore problematica da sviscerare ovverosia se per l'installazione del suddetto cartello pubblicitario necessiti presentare la richiesta del permesso di costruire (ovvero presentare la d.i.a.) oppure l'atto abilitativo è solo quello di cui all'art. 23, comma 4, del codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992) così come sostengono le ditte che vogliono installare tali cartelli.
Riassumendo, per l'esempio sopra indicato, lo scrivente propende per la seguente procedura autorizzativa:
1- l'interessato presenta al comune la richiesta del permesso di costruire (ovvero d.i.a.) per l'installazione del cartello pubblicitario. Invero, tale cartello non può considerarsi opera precaria per la quale non abbisogna rilasciare alcun titolo abilitativo di tipo edilizio-urbanistico. La suddetta istanza dovrà essere istruita circa la verifica di compatibilità, tra l'altro, con le disposizioni del vigente P.T.C.P.;
2- il comune acquisisce agli atti l'autorizzazione dell'Amministrazione Provinciale (cfr. art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 285/1992). Tale autorizzazione attiene agli aspetti propri del codice della strada (es.: distanza minima tra un cartello e l'altro, distanza minima dagli incroci stradali, verifica che i colori del cartello con siano causa di distrazione da parte degli automobilisti, ecc.) e tale autorizzazione, così come l'autorizzazione paesaggistica per la d.i.a. ovvero permesso di costruire, è un atto propedeutico all'atto abilitativo di cui al punto precedente;
3- il comune acquisisce il parere favorevole del soprintendente (cfr. art. 153, comma 2, d.lgs. n. 42/2004);
4- il comune rilascia il richiesto permesso di costruire ovvero la d.i.a. presentata diviene efficace nei termini di legge.
DOMANDA: è corretto procedere nel modo sopra indicato?
* * * * *
Ecco la risposta del 03.03.2010 del Servizio Giuridico per l'edilizia, il paesaggio e le valutazioni ambientali della Regione Lombardia inviata con e-mail.
Con riferimento alla questione prospettata, si rileva quanto segue.
L'art. 153, 1°, comma del D.Lgs. 42/2004 deve intendersi ... (continua)

EDILIZIA PRIVATA: Impianti pubblicitari - Autorizzazione all'esposizione - Concessione uso del suolo pubblico - Fattispecie autorizzato ria tacita - Non rileva.
L'autorizzazione all'esposizione di mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo pubblico attengono alla tutela di interessi pubblici diversi e presuppongono valutazioni differenti.
Pertanto non è fondato il motivo fatto valere dalla società ricorrente (operante nel settore della pubblicità e delle pubbliche affissioni) sul perfezionamento della fattispecie autorizzatoria tacita (D.P.R. n. 407/1994) non applicabile alla domanda presentata dalla ricorrente avente ad oggetto impianti pubblicitari di grosse dimensioni da installarsi sul luogo pubblico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 02.02.2010 n. 252 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2009

EDILIZIA PRIVATA: 1. Cartellone pubblicitario - Diniego fondato sul generale principio di tutela paesistica dei beni tutelati ex art. 134 D.lgs. 42/2004 - Motivazione particolare - Non necessita.
2. Cartellone pubblicitario - Preesistenza di cartelloni in prossimità dei beni tutelati ex art. 34 D.lgs. 42/2004 - Legittimazione alla posa di nuovi cartelloni - Non sussiste.

1. In materia di pubblicità con posa di relativa cartellonistica in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134 D.lgs 42/2004, mentre una motivazione specifica deve sorreggere il parere favorevole della competente Autorità volto ad escludere, nel caso singolo, quella incompatibilità che di norma sussiste, viceversa non occorre una motivazione particolare laddove l'Autorità riconosca, nell'esercizio della propria discrezionalità tecnica -non sindacabile se non nel caso di palesi incongruità o illogicità macroscopiche- l'impatto paesistico che l'impianto esercita nel contesto prescelto.
2. In materia di pubblicità con posa di relativa cartellonistica in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134 D.lgs. 42/2004, la presenza di altri cartelloni in area definita ad alta densità commerciale, non costituisce motivo che legittimi la posa di nuovi cartelloni: al contrario, essa è motivo per ridurre -e non incrementare ulteriormente- la densità di impianti in danno al regime vincolistico esistente (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 4666 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Divieto di apposizione di cartellonistica in ambiti tutelati.
La disposizione contenuta nell'articolo 153 del d.lgs. 22.01.2004 n. 42, in tema di collocazione di cartelli o mezzi pubblicitari in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell'articolo 134, stabilisce un divieto generalizzato, derogabile solo su parere favorevole dell’autorità competente.
Ne consegue che, mentre una motivazione specifica deve sorreggere il parere favorevole, volto ad escludere quella incompatibilità che di norma sussiste, viceversa non occorre una motivazione particolare laddove l’autorità riconosca, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, l’impatto paesistico che l’impianto esercita nel contesto prescelto (
TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 4666 - link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Insegne e pubblicità - Disciplina normativa - Oggetto - Insegne pubblicitarie e di esercizio.
2. Insegne e pubblicità - Disciplina normativa - Disposizioni dell'attività edilizia - Non applicabilità - Eccezioni.
3. Insegne e pubblicità - Disciplina normativa - Disciplina in materia di sanatoria di abusi edilizi - Inapplicabilità.
4. Giurisdizione e competenza - Tutela dei beni ambientali - Violazione delle disposizioni regolatrici di affissioni di cartelli o altri mezzi pubblicitari - Competenza legislativa esclusiva dello Stato - Sussiste.
5. Insegne e pubblicità - Autorizzazione all'apposizione di insegne - Natura - Atto vincolato - Competenza del sindaco - Non sussiste.
6. Abusi - Presentazione di domanda in sanatoria - Conseguenze - Legittimità del provvedimento impugnato - Permane - Limiti.

1. L'apposizione di insegne trova la propria disciplina nell'art. 23, d.lgs. n. 285/1992, negli artt. 51 e ss. d.P.R. n. 495/1992 (che la subordinano al rilascio di un'autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada) e con riferimento alla collocazione su edifici o in luoghi soggetti a tutela, negli artt. 157 e 165 d.lgs. n. 490/1999 (ed ora negli artt. 153 e 168 d.lgs. n. 42/2004).
Tali disposizioni hanno ad oggetto cartelli ed altri mezzi pubblicitari: in considerazione della ratio della loro finalità di tutela, devono essere intese in senso ampio e sono, dunque, da ritenersi applicabili alla apposizione delle insegne, siano esse pubblicitarie o di esercizio.
2. La collocazione di insegne ha una disciplina specifica e non trova pertanto la propria regola nelle disposizioni che regolamentano l'attività edilizia, tranne nell'ipotesi in cui, per le dimensioni e per la tipologia di impatto urbanistico provocata, essa configuri un'attività di trasformazione del territorio subordinata al rilascio di permesso di costruire o denuncia di inizio attività.
3. In tema di collocazione di insegne, in ragione della disciplina specifica che regola la materia, non sono applicabili le norme -eccezionali- che disciplinano la sanatoria degli abusi edilizi.
4. Le modalità di tutela dei beni ambientali ed il conseguente regime sanzionatorio in caso di violazione delle disposizioni che regolano le affissioni di cartelli o altri mezzi pubblicitari rientrano nell'ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato prevista dall'art. 117, lett. s, della Costituzione.
5. I provvedimenti di autorizzazione all'apposizione di insegne non discendono dall'esercizio di poteri di indirizzo e controllo spettanti agli organi politici comunali ma sono atti per loro natura vincolati, che rientrano nell'ambito specifico della gestione amministrativa e devono, pertanto, ritenersi sottratti alla competenza del sindaco.
6. La presentazione di un'istanza di sanatoria -in mancanza di una previsione legislativa che consenta il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e, dunque, di un obbligo per la P.A. di provvedere sulla relativa domanda- non inficia in alcun modo la legittimità del provvedimento impugnato (nel caso di specie provvedimento di rimozione dell'insegna pubblicitaria) né ha alcun effetto su di esso (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.06.2009 n. 4065 -  link a
www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Cartelli pubblicitari - zona vincolata paesaggistica - giudizio di incompatibilità - motivazione congrua - riferimento al concreto stato dei luoghi.
2. Commissione edilizia integrata - parere paesaggistico - ampia discrezionalità estetica - censura solo per travisamento fatti o evidenti illogicità .

1. In materia di installazione di cartelli pubblicitari in zona vincolata paessaggistica il giudizio di incompatibilità deve essere adeguatamente motivato e deve dare contezza delle ragioni per le quali viene ritenuta la non compatibilità del manufatto con le esigenze di tutela paesistica del contesto : la motivazione del provvedimento di diniego dell'autorizzazione è congrua ed esaustiva se dai pareri autonomamente espressi in sede endoprocedimentale dagli esperti ambientali recepiti dal provvedimento conclusivo emerge un giudizio sfavorevole non astratto, ma puntuale e riferito al concreto stato dei luoghi.
2. Se nel procedimento è intervenuta la Commissione edilizia integrata dagli esperti per il paesaggio, il parere espresso da questa è connotato da ampia discrezionalità "estetica" ed è censurabile solo in presenza di travisamenti fattuali o evidenti illogicità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1706 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: INSTALLAZIONE CARTELLI LUNGO LE STRADE.
1- Demanio e patrimonio - Stradale - Impianti e segnali stradali - Distinzione - Installazione - Enti competenti.
2- Demanio e patrimonio - Stradale - Segnali turistici e di territorio - Installazione - Spetta al Comune - Ratio - Fattispecie.
3- Demanio e patrimonio - Stradale - Segnali turistici e di territorio - Requisiti - Installazione - Soggiacciono al regime autorizzatorio degli impianti pubblicitari.
1-
Il Codice della Strada ed il regolamento di esecuzione ripartiscono le competenze distinguendo chiaramente gli impianti pubblicitari dai segnali stradali (1). Ai sensi dell'art. 23 co. 4, D.Lgs. n. 285/1992 "La collocazione dei cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario della strada. Nell'interno dei centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la strada è statale, regionale o provinciale". Al co. 5, si precisa che "Quando i cartelli e gli altri mezzi pubblicitari collocati su una strada sono visibili da un'altra strada appartenente ad ente diverso, l'autorizzazione è subordinata al preventivo nulla osta di quest'ultimo".
Invece, a mente dell'art. 37, co. 1, del Codice della Strada l'apposizione della segnaletica spetta: "a) agli Enti proprietari delle strade, fuori dei centri abitati; b) ai Comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e fine del centro abitato, anche se collocati su strade non comunali; c) al Comune, sulle strade private aperte all'uso pubblico e sulle strade locali".
In buona sostanza, mentre l'art. 37 riserva espressamente agli Enti proprietari delle strade l'apposizione e la manutenzione della segnaletica stradale -alla luce dei preminenti interessi pubblici sottesi alla funzione espletata- gli artt. 23 e 26 delineano un regime autorizzatorio per l'installazione degli impianti pubblicitari, attribuendo agli Enti proprietari la competenza al rilascio dei titoli abilitativi (2).
(1) TAR Lombardia Brescia 27-11-2008 n. 1701.
(2) Cons. Stato, sez. V, 29-01-2003 n. 466.
---------------------
2- I segnali turistici e di territorio sono contemplati dall'art. 39, co. 1, lett. h), del Codice della Strada nell'ambito dei segnali verticali di indicazione. Il servizio in questione deve essere ascritto a quelli riservati ai Comuni dall'art. 37 e tale conclusione è confermata dalla disposizione di cui all'art. 134, co. 3, del regolamento di esecuzione -il quale introduce la possibilità che i segnali turistici e di territorio vengano installati da soggetti diversi dall'Ente proprietario della strada- atteso che tale previsione rinvia ad ipotesi specifiche in cui l'apposizione compete ad un altro soggetto pur sempre pubblico (3).
In buona sostanza è inibito l'accesso diretto dei privati all'attività considerata, poiché la titolarità della funzione è attribuita dalla legge in capo al Comune. Se dunque i cartelli stradali in argomento rispondono al bisogno collettivo di garantire agli utenti della strada indicazioni utili per la guida e la circolazione (4), ne deriva che nella, fattispecie esaminata, le istanze -provenienti dalla Società ricorrente- potevano esclusivamente essere vagliate come richieste di autorizzazione ex art. 23, tenuto conto che il riferimento nominativo a determinate imprese assolve indirettamente anche una finalità pubblicitaria.
(3) TAR Lombardia Milano, sez. III, 20-12-2004 n. 6490.
(4) TAR Campania Napoli, sez. II, 20-07-2007 n. 6888.
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3- I segnali stradali che non indicano né un sito turistico (naturale, museale), né un percorso turistico (tipo "la strada dei vini" e simili) non appartengono al "genus" dei segnali turistici e di territorio (né tantomeno ai segnali di direzione ex artt. 39, Cons. Stato e 128, D.P.R. n. 495/1992) e soggiacciono, viceversa e in linea generale, all'ordinario regime autorizzatorio per l'installazione degli impianti pubblicitari. In particolare, nel caso in esame e con riferimento alla normativa regolamentare vigente (e qui incontestata) nel Comune, gli stessi segnali rientrano nella nozione di preinsegna, dettata dall'art. 12 delle NTA, il quale -tra l'altro- al co. 2 ne esclude la localizzazione all'interno del centro abitato (TAR Lombardia-Milano, Sez. II, sentenza 17.09.2009 n. 1705).

EDILIZIA PRIVATA - ENTI LOCALIQuesito 4 - Il mercato relativo all'uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, un mercato contingentato e regolamentato.
In merito alla soluzione giuridica appropriata al problema delle modalità di affidamento ai soggetti privati degli spazi pubblici ove allocare gli impianti pubblicitari.
In merito alla scelta di molti comuni di assegnare in concessione detti spazi di territorio comunale a mezzo di gara.
In merito alla disciplina regolatoria della pubblicità nei comuni con popolazione residente superiore a 30.000 abitanti.
In merito agli impianti pubblicitari posti fuori dai centri abitati.
In merito all'assoggettamento o meno del canone, quale corrispettivo, e/o alla tassa per l'occupazione di suolo pubblico, quale prelievo tributario (Geometra Orobico n. 4/2009).

EDILIZIA PRIVATA: Imposta sui cartelli edili.
I cartelli edili informativi, obbligatori ai sensi dell'art. 9 dpr 447/1991 e circolare 1729/UL del 1990, scontano l'imposta di pubblicità quando eccedono il mezzo metro quadrato.

Il concetto è stato ribadito con sentenza n. 59.1.09 del 24/02/2009 dalla ctp di Reggio Emilia.
Il ricorso riguardava una società edile di persone, che si opponeva all'avviso di accertamento per imposta comunale della pubblicità. Tale avviso era stato emesso per un cartello esposto presso un cantiere, obbligatorio, ai sensi del citato art. 9 dpr 447/1991 e della circolare 1729/UL del 1990. La normativa vigente impone l'obbligo di esporre, presso ogni cantiere apposito cartello con l'indicazione dei soggetti che prendono parte alle opere ivi eseguite.
La parte ricorrente eccepiva che l'esposizione del cartello doveva essere interpretata nel senso di adeguamento a tale obbligo previsto dalla normativa, non costituendo tale esposizione, quindi, alcuna forma di pubblicità, ovvero da ricomprendersi fra le attività previste in esenzione ai sensi dell'art. 17, comma 1, dlgs 507/1993.
Con proprie controdeduzioni, la società concessionaria, parte resistente, insisteva sulla regolarità dell'accertamento, argomentando, nel merito, che il cartello esposto all'esterno del cantiere, da parte della società edile, conteneva un chiaro messaggio pubblicitario ed era di dimensioni maggiori al mezzo metro quadrato. Tale argomentazioni erano suffragate, dalla parte resistente, tramite apposita documentazione fotografica allegata alle controdeduzioni depositate.
La commissione tributaria di Reggio Emilia, udite le parti in pubblica udienza, ribadisce che le insegne appartenenti alla società ricorrente, assolvono un obbligo regolamentare, cosi come stabilito dal dpr 447/1991, contemporaneamente, però, è fuor di dubbio che rappresentano anche un messaggio pubblicitario.
Dall'avviso di accertamento della società concessionaria, continua la commissione, nonché dalla documentazione fotografica allegata, si evince che il cartello esposto ha dimensioni superiori al mezzo metro quadrato. Dimensioni che eccedono quelle stabilite per fruire dell'esenzione (articolo ItaliaOggi del 26.03.2009, pag. 30).

EDILIZIA PRIVATA: 1.- Autorizzazione - Comunale - Istallazione impianti pubblicitari - D.Lgs. 15.11.1993 n. 507 - Applicazione.
2.- Autorizzazione - Comunale - Installazione impianti pubblicitari - Art. 41, Cost. - Natura.
3.- Autorizzazione - Comunale - Installazione impianti pubblicitari - Piano di repressione dell'abusivismo pubblicitario - Comune di Venaria Reale - Illegittimità - Sussiste.

1.- Ai sensi dell'art. 3, co. 2 e 3, D.Lgs. 15.11.1993 n. 507 (recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni) ogni Comune è tenuto ad adottare un apposito regolamento per l'applicazione dell'imposta, che disciplini le modalità di effettuazione della pubblicità, con la possibilità di stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse, e in ogni caso determini la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per ottenere il provvedimento per l'installazione e i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti.
2.- L'installazione di impianti pubblicitari è un'attività economica contingentata, stante la limitatezza degli spazi a ciò destinati, la quale non si pone in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41, Cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l'utilità sociale.
3.- Sussiste il contrasto dell'art. 11 del Piano di repressione dell'abusivismo pubblicitario del Comune di Venaria Reale con l'art. 24, co. 5-bis, D.Lgs. n. 507/1993 che, pur prevedendo la necessità di un piano per la repressione degli abusi, non autorizza affatto l'Amministrazione ad imporre una moratoria generalizzata su tutti gli impianti, il che apparirebbe anche in contrasto con il principio di ragionevolezza perché si finirebbe per far gravare su imprenditori che, fino a prova contraria, sono del tutto in regole, le conseguenze di abusi perpetrati da altri soggetti, non sufficientemente controllati per colpa, principalmente, della stessa Amministrazione, carente nell'apprestare le doverose misure di sorveglianza e repressive (TAR Piemonte, Sez. I, sentenza 28.07.2009 n. 2123 - link a
http://mondolegale.it).

EDILIZIA PRIVATA: Autorizzazione e concessione - Impianti pubblicitari - Silenzio-assenso - Non applicabile - Procedimento concessorio - Necessità.
L'autorizzazione all'installazione di mezzi pubblicitari attraverso il meccanismo del silenzio assenso non trova applicazione allorché la posa dei mezzi avviene su suolo pubblico, essendo necessario, in tal caso, un esplicito procedimento concessorio (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 05.12.2008, n. 5718) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 06.04.2009 n. 3141 -  link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: 1. Autorizzazione per l'installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico - Strumento del silenzio - Assenso - Inapplicabilità.
2. Installazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico - Titolo autorizzatorio espresso - Necessità.

1. A norma dell'art. 20 della legge 241/1990 e del d.P.R. n. 407/1994, le domande di autorizzazione all'installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico non possono reputarsi accolte a mezzo dello strumento del silenzio - assenso. (cfr. TAR Lombardia, Milano, 06.10.2008 n. 4709; 03.03.2008 n. 450; 13.11.2006, n. 2151; 22.06.2006 n. 1491).
2. L'installazione che insiste su suolo pubblico, implicando l'uso del predetto suolo da parte di un soggetto privato richiede, da parte dell'Amministrazione nella cui disponibilità il suolo si trovi, una ben più complessa ed attenta valutazione, che non si limita alla compatibilità di tale uso con l'interesse pubblico, ma deve estendersi alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino gli interessi collettivi di cui essa è portatrice, valutazione che rende inconcepibile che possa formarsi tacitamente il provvedimento concessorio finale (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 29.01.2009 n. 992 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2008

EDILIZIA PRIVATAInstallazione mezzi pubblicitari - Provvedimento concessorio.
L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell'uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l'autorizzazione all'esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell'attività privata con l'interesse pubblico, mentre è solamente con il procedimento concessorio che ha luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 29.12.2008 n. 6167 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAInstallazione di impianto pubblicitario su suolo pubblico - Provvedimento concessorio - E' necessario.
Qualora l'installazione dell'impianto pubblicitario debba avvenire su suolo pubblico, si rende necessario un esplicito provvedimento concessorio (cfr. TAR, Lombardia, Milano, Sez. IV, 06.10.2008 n. 4709) della legalità (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, sentenza 05.12.2008 n. 5718 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA1. Autorizzazione all'installazione di mezzi pubblicitari - Concessione del suolo pubblico e provvedimento autorizzatorio.
2. Interesse pubblico alla fruizione di spazi verdi - Interesse del privato all'esposizione di manufatti pubblicitari.

1. In mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico, l'autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi per atto tacito, non potendo essa prescindere dalla suddetta concessione. L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell'uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l'autorizzazione all'esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel giudizio di "non incompatibilità" dell'attività privata con l'interesse pubblico, mentre è solamente con il procedimento concessorio che ha luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse.
2. Il Comune non irragionevolmente può attribuire maggior rilievo all'interesse pubblico alla fruizione degli spazi verdi, invece che a quello privato all'esposizione, ivi, di manufatti pubblicitari (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, ord. 01.12.2004, n. 2969/2004) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 13.10.2008 nn. 4734, 4735, 4736, 4737, 4738 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAInstallazioni pubblicitarie - Fissazione di limiti e divieti - Atto di natura regolamentare.
Il potere discrezionale in ordine alla fissazione dei criteri e dei limiti che le installazioni pubblicitarie devono rispettare per essere compatibili con il pubblico interesse deve essere speso attraverso la predisposizione di un atto di natura regolamentare. Per non incorrere nel rischio di determinazioni tra loro contrastanti, l'amministrazione non può decidere, caso per caso, con criteri che possono variare per ogni singola autorizzazione, quali installazioni rispondano al decoro architettonico e quali, invece, no.
Per garantire l'uniformità delle decisioni, i limiti ed i divieti a salvaguardia di tale interesse devono essere fissati con carattere di generalità nel suddetto regolamento (salvo che si tratti di immobili sottoposti a vincoli paesistici o monumentali, per i quali opera il generale divieto previsto dall'art. 153 del codice dei beni culturali) (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 06.10.2008 n. 4713 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2007

EDILIZIA PRIVATASul piano della normativa nazionale, la collocazione dei cartelli viene subordinata alla verifica, caso per caso, della relativa compatibilità con la tutela di quella porzione di territorio, o di quell’immobile o complesso di immobili le cui qualità, intrinseche ed oggettivamente percepibili dalla generalità, siano state previamente evidenziate e ritenute meritevoli di tutela all’esito dei processi ricognitivi compiuti nel corso dell’istruttoria che si è conclusa con l’approvazione del piano paesistico regionale.
L'art. 153 del Codice Urbani dispone quanto segue: “1) nell’ambito ed in prossimità dei beni paesaggistici indicati nell’art. 134 é vietato collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari, se non previa autorizzazione dell’amministrazione competente individuata dalla regione. 2) lungo le strade, site nell’ambito ed in prossimità dei beni indicati nel comma 1, è vietato collocare cartelli o altri mezzi pubblicitari salvo autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 23, comma 4, del decreto legislativo 30.04.1992 n. 285 e successive modificazioni, previo parere favorevole dell’amministrazione competente individuata dalla regione sulla compatibilità della collocazione e della tipologia del mezzo pubblicitario con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggette a tutela.
L’art. 134 titolato “beni paesaggistici” individua come tali: gli immobili e le aree indicati dall’art. 136, (immobili di notevole interesse pubblico, tra cui alla lettera d) sono comprese “le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”); 2) le aree indicate dall’art. 142 (aree tutelate per legge); 3) gli immobili e le aree tipizzati , individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli artt. 143 e 156.
Dal complesso di tali disposizioni che dichiaratamente sono state assunte a presupposto anche dal piano oggi in questione, senza voler essere esaustivi, si ricava che la tutela è riservata ad ambiti, aree od immobili previamente individuati nei loro confini e nella loro entità: 1) o da provvedimenti adottati dalle amministrazioni statali, quali ad esempio i vari decreti di dichiarazione di interesse pubblico, 2) o direttamente dalla legge; 3) o individuati e tipizzati dalla regione nel contesto del piano paesaggistico.
In coerenza con la tutela del diritto di iniziativa economica privata, suscettibile di limitazioni solo per espressa disposizione di legge in ossequio alla Costituzione (art. 41), la legge non prescrive, inoltre, per nessuno di tali “beni” un divieto assoluto di installazione di cartelli pubblicitari, neanche nell’ambito od in prossimità dei beni stessi.
Volendo limitare l’esame alle prescrizioni che più direttamente riguardano la presente controversia, sul piano della normativa nazionale, la collocazione dei cartelli viene subordinata alla verifica, caso per caso, della relativa compatibilità con la tutela di quella porzione di territorio, o di quell’immobile o complesso di immobili le cui qualità, intrinseche ed oggettivamente percepibili dalla generalità, siano state previamente evidenziate e ritenute meritevoli di tutela all’esito dei processi ricognitivi compiuti nel corso dell’istruttoria che si è conclusa con l’approvazione del piano paesistico regionale (TAR Sardegna, Sez. II, sentenza 31.10.2007 n. 2014 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2000

EDILIZIA PRIVATA1. - Impianti pubblicitari - Amministrazione comunale - Sospensione e rinvio delle determinazioni - Riferimento a futura adozione del Piano Generale degli Impianti - Violazione dell'art. 41 Cost. - Illegittimità.
2. - Impianti pubblicitari - Regolamento ex art. 3 D.lgs. 15.11.1993 n. 507 - Ambito di applicazione.
3. - Impianti pubblicitari - Silenzio assenso ex art. 20 L. 241/1990 - Applicabilità.

1. - Incorre nella violazione del principio costituzionale di tutela della libertà di iniziativa economica privata, del principio di stretta legalità, nonché dei principi di certezza e di buon andamento dell'azione amministrativa, l'amministrazione comunale che sospenda ogni decisione riguardo alle richieste di autorizzazione all'installazione di impianti pubblicitari in attesa dell'adozione del Piano Generale degli Impianti non essendo tale rifiuto a provvedere supportato da una disposizione (legislativa o regolamentare) idonea a denegare quanto richiesto.
2. - Il regolamento previsto dall'art. 3 del D.lgs. 15.11.1993, n. 507 -con il quale il comune disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità, la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari nonché le modalità per ottenere l'autorizzazione all'installazione- deve intendersi riferito non solo agli impianti comunali di affissione ma anche all'installazione di impianti posti in essere da privati su aree private.
3. - In virtù del D.P.R. 09.05.1994, n. 407, deve ritenersi pienamente applicabile l'istituto del silenzio-assenso previsto dall'art. 20 della legge n. 241/1990 per le domande intese ad ottenere l'autorizzazione all'installazione di impianti pubblicitari.
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1. - Nello stesso senso, cfr. TAR Toscana, sez. III, 27.10.2000, n. 2210. Cfr., inoltre, Cons. Stato, sez. IV, 10.01.1990, n. 9, in Rass. Cons. Stato, 1990 e TAR Lazio, sez. II, 05.12.1991, ord. n. 1865, in Rass. TAR, 1992, 50, secondo il quale, tra l'altro, l'art. 41 della Costituzione "pur affermando la libertà dell'iniziativa economica privata, autorizza l'apposizione di vincoli al suo esercizio subordinatamente al verificarsi di una duplice condizione: sotto l'aspetto sostanziale, che detti limiti corrispondano all'utilità sociale e, sotto quello formale, che la relativa disciplina sia effettuata ad opera della legge" (ivi, 53).
2. - Per il principio secondo il quale la disciplina di dettaglio deve avere per oggetto tutti gli aspetti di tutela del territorio coinvolti nell'attività economica in questione e, in particolare, considerare le problematiche relative alla compatibilità degli impianti pubblicitari con la cornice storico - ambientale del centro storico, cfr. TAR Toscana, sez. III, 27.10.2000, n. 2210 e TAR Lazio, sez. II, 24.07.1997, n. 1179, in Rass. TAR 1997, 2946, citata nel testo.
3. - Nello stesso senso, cfr. TAR Toscana, sez. III, 27.10.2000, nn. 2204, 2206 e 2208; nonché TAR Calabria, 16.07.1999, nn. 900 e 901, in Rass. TAR, 1999, 4132
(massima tratta da www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III, sentenza 27.10.2000 n. 2205 - link a www.giustizia-amministrativa.it).