dossier
CARTELLI STRADALI e INSEGNE |
anno 2021 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sul
diniego di autorizzazione all'installazione di insegna di esercizio lungo un
raccordo autostradale.
Secondo una condivisibile giurisprudenza, la
disposizione di cui al comma 7
dell’art. 23 del codice della strada (che specifica
il generale divieto previsto dal comma 1 del medesimo art. 23 di collocare
insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni
orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli
transitanti sulle strade) è espressione della volontà del legislatore di
prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare,
così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo
dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa
dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della
guida del veicolo.
Invero, tale disciplina è diretta a tutelare un valore di primaria
importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione
veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di
merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di
tale interesse generale, con la conseguenza che l’impatto visivo e le
potenzialità di disturbo delle insegne, in considerazione delle loro
caratteristiche (dimensioni, luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e
della correlazione con il luogo e le eventuali installazioni contigue
(centro abitato, periferia dello stesso, suburbio, insegne viciniori od
assenza di esse, ecc.) devono essere previamente valutate dall'ente
proprietario della strada o dal Comune, onde adempiere alla funzione loro
demandata della tutela della sicurezza della circolazione; inoltre la
valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è
basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per
manifesta illogicità o per difetto di motivazione.
La funzione di evitare qualsiasi pericolo per la sicurezza della
circolazione deve ritenersi massima per i percorsi autostradali, in
relazione alle loro caratteristiche di percorribilità, per cui il comma 7
vieta qualsiasi forma di pubblicità “lungo e in vista degli stessi”. Se,
quindi, tale disposizione consente le insegne di esercizio, è evidente che
queste debbano essere tali da non avere alcun profilo di carattere
pubblicitario, in relazione alla ratio del divieto, teso ad evitare
qualsiasi fonte di distrazione con conseguente pericolo per la circolazione
stradale.
Da altro versante, l’art. 47 del regolamento di esecuzione del codice della
strada definisce “insegna di esercizio la scritta in caratteri alfanumerici,
completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con
materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si
riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”.
Ora, la nozione di insegna di esercizio, comportando un’eccezione al divieto
di installazione di impianti pubblicitari lungo e in vista delle autostrade,
va intesa in senso restrittivo, riferendola a quei soli casi in cui essa
segnali meramente il luogo ove si esercita l’attività di impresa, con
esclusione di qualsivoglia funzione di carattere pubblicitario, potenziale
fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione.
Per insegna di esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla
sede dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica,
e che non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva
dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa
medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992,
quanto a dimensioni e luminosità.
L’installazione delle insegne di esercizio può essere negata quando “a
giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere
prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti
dell'autostrada, distraendone l'attenzione con conseguente pericolo per la
circolazione”.
---------------
1. Da.Fi., con atto depositato il 05.06.2019, è insorta avverso gli atti in
epigrafi, concernenti il diniego di autorizzazione all'installazione di
insegna di esercizio lungo il “raccordo autostradale scalo
Sicignano-Potenza”, al km 40+750, lato sinistro, direzione Sicignano,
deducendo motivi specifici di diritto in punto di violazione e falsa
applicazione di legge ed eccesso di potere.
2. L’Anas s.p.a., costituitasi in giudizio, ha concluso per il rigetto del
ricorso per infondatezza.
...
4. Il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue.
4.1. L’avversato diniego, sul versante motivazionale, si impernia sulle
seguenti ragioni:
a) l'impianto cosi come ubicato riveste connotazione prettamente
pubblicitaria, non essendo collocato sull'ingresso principale
all'area/piazzale in cui ha sede l'attività commerciale del richiedente ma
sul lato fronteggiante il R.A. n. 05 dal quale non vi è alcun accesso
diretto e, quindi, in contrasto con l'art. 23, comma 7, del codice della
strada, il quale vieta l'installazione di qualsiasi forma di pubblicità
lungo ed in vista delle autostrade e degli itinerari internazionali;
b) l'impianto per le sue caratteristiche costruttive è in contrasto
con l'art. 49, comma 4, del regolamento per l'esecuzione del codice della
strada, ovvero per dimensioni, utilizzo di caratteri e colori tali da
indurre confusione con la segnaletica stradale e/o pericolo per l'utenza in
circolazione sul raccordo autostradale, attesa anche l'esigua distanza del
fabbricato commerciale in argomento rispetto alla sede autostradale.
4.2. La ricorrente ha premesso che i locali espositivi e commerciali della
sua attività di rivendita di autoveicoli di marca Re., Da. e Ni. sono
ubicati in un «fabbricato multipiano collocato parallelamente - ossia
alla destra - della S.S. 407 - Basentana, direzione di marcia Salerno, nel
territorio del comune di Tito». In particolare, l’unico accesso fisico a
tali locali sarebbe «un ingresso parallelo al senso di marcia
autostradale».
Sulla scorta di ciò, ha dedotto che parte resistente non avrebbe considerato
il fatto che «lungo l’intera rete autostradale italiana non è fisicamente
possibile l’accesso diretto dall’autostrada agli esercizi commerciali
collocati parallelamente alle carreggiate (ossia alla destra del senso di
marcia) […] la mancanza di un accesso diretto dall’autostrada ai locali
commerciali e la necessità di utilizzare la viabilità secondaria non vale ad
escludere la natura di insegna di esercizio in relazione all’insegna di cui
si discute. Diversamente opinando si giungerebbe all’abrogazione implicita
di tutte le norme del C.d.S. e del regolamento richiamate, che consentono la
collocazione di insegne di esercizio parallelamente al senso di marcia
autostradale e che necessariamente presuppongono un accesso ai locali non
direttamente dall’autostrada ma tramite la viabilità secondaria».
Ancora, a detta della ricorrente «l’imprenditore ha diritto di
identificare con un’insegna i propri locali anche se sono posti
parallelamente all’autostrada. I locali della ricorrente non si trovano
“sull’ingresso principale dell’area/piazzale” ma, come riconosciuto dalla
stessa Anas, sono collocati sul retro del piazzale, parallelamente
all’autostrada».
4.2.1. La tesi, complessivamente considerata, non ha pregio.
In base al comma 7 dell’art. 23 del codice della strada, nel testo vigente
ratione temporis, in particolare, «E' vietata qualsiasi forma di
pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade
e delle strade extraurbane principali e relativi accessi. Su dette strade è
consentita la pubblicità nelle aree di servizio o di parcheggio solo se
autorizzata dall'ente proprietario e sempre che non sia visibile dalle
stesse. Sono consentiti i segnali indicanti servizi o indicazioni agli
utenti purché autorizzati dall'ente proprietario delle strade. Sono altresì
consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle
insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate
dall'ente proprietario della strada ed entro i limiti e alle condizioni
stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
Sono inoltre consentiti, purché autorizzati dall'ente proprietario della
strada, nei limiti e alle condizioni stabiliti con il decreto di cui al
periodo precedente, cartelli di valorizzazione e promozione del territorio
indicanti siti d'interesse turistico e culturale e cartelli indicanti
servizi di pubblico interesse. Con il decreto di cui al quarto periodo sono
altresì individuati i servizi di pubblico interesse ai quali si applicano le
disposizioni del periodo precedente».
Secondo una condivisibile giurisprudenza, la disposizione (che specifica il
generale divieto previsto dal comma 1 del medesimo art. 23 di collocare
insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni
orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli
transitanti sulle strade) è espressione della volontà del legislatore di
prevenire la collocazione sugli spazi destinati alla circolazione veicolare,
così come sugli spazi a questi adiacenti, di fonti di captazione o disturbo
dell'attenzione dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa
dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che è quella della
guida del veicolo (Cons. Stato, sez. VI, 29.11.2012, n. 6044).
Invero, tale disciplina è diretta a tutelare un valore di primaria
importanza quale l’interesse pubblico alla sicurezza della circolazione
veicolare anche per la tutela della pubblica incolumità e comporta scelte di
merito riservate all’amministrazione competente in funzione della tutela di
tale interesse generale (Cass. civ., sez. II, 26.07.2017, n. 18565), con la
conseguenza che l’impatto visivo e le potenzialità di disturbo delle
insegne, in considerazione delle loro caratteristiche (dimensioni,
luminosità, intermittenza, rifrangenza, ecc.) e della correlazione con il
luogo e le eventuali installazioni contigue (centro abitato, periferia dello
stesso, suburbio, insegne viciniori od assenza di esse, ecc.) devono essere
previamente valutate dall'ente proprietario della strada o dal Comune, onde
adempiere alla funzione loro demandata della tutela della sicurezza della
circolazione (Cass. civ., sez. II, 07.11.2017, n. 26346); inoltre la
valutazione in ordine alla pericolosità per la circolazione stradale è
basata su un potere di natura tecnico-discrezionale, sindacabile solo per
manifesta illogicità o per difetto di motivazione (Cons. Stato, sez. VI,
29.11.2012, n. 6044).
La funzione di evitare qualsiasi pericolo per la sicurezza della
circolazione deve ritenersi massima per i percorsi autostradali, in
relazione alle loro caratteristiche di percorribilità, per cui il comma 7
vieta qualsiasi forma di pubblicità “lungo e in vista degli stessi”.
Se, quindi, tale disposizione consente le insegne di esercizio, è evidente
che queste debbano essere tali da non avere alcun profilo di carattere
pubblicitario, in relazione alla ratio del divieto, teso ad evitare
qualsiasi fonte di distrazione con conseguente pericolo per la circolazione
stradale.
Da altro versante, l’art. 47 del regolamento di esecuzione del codice della
strada definisce “insegna di esercizio la scritta in caratteri
alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e
supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede
dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”.
Ora, la nozione di insegna di esercizio, comportando un’eccezione al divieto
di installazione di impianti pubblicitari lungo e in vista delle autostrade,
va intesa in senso restrittivo, riferendola a quei soli casi in cui essa
segnali meramente il luogo ove si esercita l’attività di impresa, con
esclusione di qualsivoglia funzione di carattere pubblicitario, potenziale
fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione. Per insegna di
esercizio va intesa l’insegna che risulti installata sulla sede
dell’attività per individuare l’azienda nella sua dislocazione fisica, e che
non contenga alcun elemento teso a pubblicizzare l’attività produttiva
dell’impresa, limitandosi soltanto a segnalare la denominazione dell’impresa
medesima, nel rispetto del dettato dell’art. 47 del d.P.R. n. 495 del 1992,
quanto a dimensioni e luminosità (Cons. Stato, sez. IV, 28.06.2018, n.
3974).
L’installazione delle insegne di esercizio può essere negata quando “a
giudizio dell’ente gestore della strada l’insegna rivesta carattere
prettamente pubblicitario e, comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti
dell'autostrada, distraendone l'attenzione con conseguente pericolo per la
circolazione” (Cons. Stato Sez. VI, 29.11.2012, n. 6044).
4.2.2. In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, nel caso di specie
il contestato diniego resta immune alle censure attoree, recando per un
verso l’insegna in questione un chiaro messaggio di propaganda dei
marchi automobilistici “Re.”, “Da.” e “Ni.”, ancorché inframezzato
dall’aggiunta (due volte) della sigla “Me.”; per altro verso, la
stessa è collocata (anziché in prossimità dell’unico ingresso fisico
all’impresa situato sulla S.P. 94) sulla facciata del fabbricato
fronteggiante il R.A. 05, in dimensioni e caratteri (superficie di 40 mq.,
in parte di colore rosso) idonei a perseguire anche lo scopo di richiamare
l’attenzione di chiunque si trovi a percorrere l’autostrada sul logo e sui
prodotti commercializzati dalla ricorrente, in tal modo costituendo
potenziale fonte di distrazione e di pericoli per la circolazione (Cons.
Stato, sez. IV, 25.11.2013, n. 5586).
Ritiene dunque il Collegio che le valutazioni espresse dall’Anas s.p.a.
circa la funzione pubblicitaria e la pericolosità dell’insegna non siano
affette da manifesti profili di illogicità e irragionevolezza, considerato
che tali qualificazioni rientrano nella discrezionalità tecnica dell’ente
proprietario, coi limiti di sindacato giurisdizionale che ne derivano (Cons.
Stato, sez. IV, 28.06.2018, n. 3974), come del resto in passato affermato
anche da questo Tribunale (decisione 15.02.2012, n. 72).
4.2.3.A fronte di tale complesso di elementi, recessive risultano le
deduzioni della ricorrente in relazione a una pluralità di requisiti
(dimensioni degli impianti, loro collocazione e possibile contenuto), i
quali, singolarmente considerati, non escludono che l’impianto possa
definirsi quale insegna di esercizio; in senso contrario, tuttavia, è la
combinazione sinergica di tutte le caratteristiche sopra evidenziate che ha
correttamente indotto l’Anas s.p.a. a escludere tale qualificazione.
4.2.4. Del pari, da respingere risultano le argomentazioni tendenti a negare
la pericolosità del manufatto, risolvendosi le stesse in un inammissibile
tentativo di sostituire un giudizio di parte a quello espresso dall’autorità
preposta.
4.2.5. Alcun rilievo può attribuirsi alla comunicazione Anas s.p.a. del
25.07.2017, recante un “parere tecnico favorevole” all’installazione
dell’impianto, trattandosi di documento rivolto ad altra articolazione
organizzativa dell’Ente, testualmente definita come “comunicazione
interna”, al più qualificabile come atto endoprocedimentale, di per sé
inidoneo a ingenerare affidamento di sorta.
4.2.6. Non sussiste il lamentato eccesso di potere per disparità di
trattamento, in quanto eventuali illegittimità commesse in favore di altri
soggetti non possono essere invocate per pretendere l’adozione di ulteriori
provvedimenti anch’essi illegittimi (ex multis, in vicenda analoga,
TAR Basilicata n. 72/2012, cit.).
5. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso
(TAR Basilicata,
sentenza 06.10.2021 n. 630 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Pubblicità ammessa su protezioni pedonali.
Se un impianto pubblicitario non interferisce con la segnaletica stradale
può essere installato anche sulle transenne pedonali che vengono normalmente
utilizzate dalle amministrazioni comunali nei centri abitati per mettere in
sicurezza le persone.
Lo ha evidenziato il Consiglio di Stato, Sez. I, con il
parere
10.01.2019 n. 144.
Un'azienda
ha richiesto al comune di Pescia il rinnovo dell'autorizzazione al
posizionamento di 4 impianti pubblicitari su transenne pedonali.
Contro il
rigetto della domanda l'interessato ha proposto con successo ricorso
straordinario al Presidente della repubblica. I giudici di palazzo Spada
hanno evidenziato che non sussiste un generale divieto all'installazione di
impianti pubblicitari sulle transenne pedonali del centro urbano. Anche se
collocate in centro abitato in prossimità di incroci.
L'importante è che la
pubblicità non arrechi interferenza con la segnaletica stradale e non rechi
quindi pregiudizio alla sicurezza generale della circolazione.
Nel caso in
specie inoltre si tratta di impianti già in precedenza autorizzati
posizionati nello stesso punto del centro abitato da tanti anni senza
particolari problemi
(articolo ItaliaOggi Sette del 18.03.2019). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Parafarmacie, insegna a bandiera.
La parafarmacia ben può installare l'insegna a bandiera
all'esterno del negozio, esattamente come la farmacia, anche
nel centro storico della città. Solo che la croce nel primo
caso è blu e nel secondo verde.
Nessuna discriminazione è
possibile nel regolamento comunale che disciplina il
commercio perché anche la parafarmacia svolge un servizio di
pubblica utilità vendendo le medicine disponibili senza
ricetta sanitaria e dunque deve potersi segnalare agli
utenti al pari di altre strutture come ospedali e
ambulatori.
È quanto emerge dalla
sentenza
21.03.2016 n. 520, pubblicata dalla
III Sez. del TAR Toscana.
Libera concorrenza
Accolto il ricorso di un imprenditore con la croce blu. È
vero: la Corte di giustizia Ue ha considerato
eurocompatibile la normativa italiana che impedisce alle
parafarmacie la vendita di medicinali di fascia C che
implicano della prescrizione del medico ma con onere a
carico dell'utente. E ciò perché potrebbe danneggiare le
farmacie che non operano in provincia o in zone centrali.
Ma l'Antitrust e gli stessi giudici amministrativi hanno
bocciato forme di discriminazione a danno delle parafarmacie
laddove la disparità di trattamento non risulta fondata sul
regime di vincoli cui sono sottoposti negozi con insegna a
croce verde.
E dopo le liberalizzazioni del 2012 ogni restrizione imposta
dall'amministrazione impone al giudice di controllare se il
veto è adeguato allo scopo e non rischia invece di alterare
il libero gioco della concorrenza e soffocare l'iniziativa
economica delle imprese.
Spese di lite compensare per la novità della questione
(articolo ItaliaOggi del
21.05.2016).
---------------
MASSIMA
Il ricorso è fondato.
Occorre prendere le mosse dalla seconda censura atteso che
la questione da essa posta –ossia se le parafarmacie debbano
o meno incluse nel catalogo dei servizi di pubblica utilità
per i quali è consentita la deroga al generale divieto di
installazione di insegne a bandiera nel centro storico-
potrebbe avere carattere dirimente ai fini della decisione.
Ai sensi dell’art. 8, comma 3, del regolamento comunale per
la installazione delle insegne “quando le caratteristiche
ambientali e l’architettura dell’immobile lo consentano
potrà essere autorizzata l’installazione verticale a
bandiera..di insegne con simbolo per la individuazione di
ospedali di ambulatori di pronto soccorso (anche
veterinario), di farmacie, di telefoni, di generi di
monopolio e di parcheggio…”.
La norma, compiendo un bilanciamento di interessi, consente
una (condizionata) deroga alla disciplina di protezione dei
caratteri storico ambientali degli edifici inclusi nella
zona A del comune di Firenze al fine di consentire
l’esposizione di segnaletiche, anche a bandiera, che
facilitino l’individuazione di taluni servizi ritenuti di
pubblica utilità, in specie quelli correlati alla tutela
della salute come gli ospedali, gli ambulatori di pronto
soccorso e le farmacie.
Il catalogo non include anche gli esercizi parafarmaceutici.
Tuttavia, come osserva la ricorrente, allo stato attuale
della legislazione anche i predetti esercizi erogano un
servizio volto a soddisfare bisogni connessi alla salute
che, per molti versi, è assimilabile a quello svolto dalle
vere e proprie farmacie.
Nelle parafarmacie è, infatti, possibile reperire farmaci la
cui dispensazione non necessità di ricetta medica (categoria
che include oggi quasi tutti i medicinali inclusi nella
fascia C del prontuario), presidi per l’automedicazione,
medicinali veterinari anche sottoposti a ricetta medica ad
esclusione degli stupefacenti di cui all’art. 45 del DPR
309/1990, servizi diagnostici come misurazione della
pressione, esami delle urine etc.., prenotazione delle
visite specialistiche presso il SSN.
Inoltre, al pari di quanto accade per le farmacie, i
predetti servizi non si esauriscono in un mero scambio di
natura commerciale fra venditore e cliente ma, data la loro
rilevanza per la tutela del diritto alla salute, hanno un
contenuto strettamente professionale, potendo essere erogati
soltanto da soggetti particolarmente qualificati come i
farmacisti che l’ordinamento nazionale, non a caso,
considera come “persone esercenti un servizio di pubblica
necessità” (art. 359 c.p.).
Occorre poi tenere in considerazione il fatto che
la vendita di prodotti medicinali e la erogazione dei
connessi servizi di pubblica utilità costituiscono attività
economiche di rilevanza comunitaria che godono garanzia
della libertà di stabilimento prevista dagli artt. 49 e
seguenti del TFUE, con la conseguenza che ogni restrizione
normativa che ne ostacoli o ne scoraggi l'esercizio da parte
dei cittadini dell'Unione europea deve essere debitamente
giustificata
(Corte Giustizia UE sez. IV, 05/12/2013, n. 159).
In recepimento dei predetti principi anche il legislatore
nazionale attraverso gli artt. 1 della L. 24.03.2012 n. 27 e
34, l. 22.12.2011 n. 214 ha sancito che
le disposizioni imponenti divieti, restrizioni oneri o
condizioni all'accesso e all'esercizio delle attività
economiche sono da interpretarsi in senso tassativo,
restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite
finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei
principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica
privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e
pari opportunità tra tutti i soggetti, affidando, quindi, al
giudice un rigoroso controllo di proporzionalità nei
confronti dei provvedimenti amministrativi e dei regolamenti
che prevedano restrizioni alla libera iniziativa o che,
comunque, siano suscettibili di alterare il libero gioco
della concorrenza.
In applicazione delle predette disposizioni comunitarie e
nazionali
deve ritenersi che anche un regolamento comunale che ponga
limiti alla ordinaria facoltà dell’imprenditore che si
rivolge ad un’utenza indifferenziata di segnalare alla
clientela l’ubicazione dell’esercizio costituisce una
potenziale restrizione della libertà economica che deve
essere adeguatamente giustificata da motivi di interesse
generale sulla base di un bilanciamento operato secondo i
criteri di proporzionalità e non discriminazione.
Sotto quest’ultimo profilo, nel caso di specie, assume
rilevanza la circostanza che in relazione ad un’ampia fascia
di servizi sanitari le parafarmacie svolgono la propria
attività in regime di concorrenza con le farmacie, con la
conseguenza che ogni trattamento differenziato suscettibile
di favorire queste ultime deve trovare adeguata
giustificazione negli “obblighi di servizio pubblico”
(limitazioni territoriali alla apertura delle sedi in
relazione alla cd. “pianta organica”, obblighi di
apertura in orari predeterminati, turni, etc.) a cui esse, a
differenza delle parafarmacie, sono soggette. Obblighi che
impongono, è vero, forme di compensazione ma non
giustificano qualsiasi tipo di trattamento differenziato.
Così se, da un lato la Corte di giustizia UE ha
considerato legittima la normativa nazionale che impedisce
alle parafarmacie la vendita di medicinali di fascia C
necessitanti di prescrizione medica (ma con onere a carico
dell’utente), in relazione agli effetti che ciò potrebbe
comportare sulla sostenibilità economica degli esercizi
farmaceutici costretti ad operare in sedi economicamente
poco appetibili (sentenza 159/2013 cit.), dall’altro,
la giurisprudenza del g.a. e la Autorità garante per la
concorrenza hanno censurato forme di discriminazione fra le
due categorie di imprese che non trovavano giustificazione
nel particolare regime vincolistico che connota gli esercizi
farmaceutici (ad es. sono stati considerati contrari alla
normativa pro concorrenziale il divieto di svolgere attività
di tecnico audioprotesista nei locali adibiti a parafarmacia
- TAR Umbria, sez. I, 25/07/2014, n. 421 -l’affidamento in
esclusiva alle farmacie della vendita di prodotti alimentari
per celiaci - Agcm, 17/01/2013, n. 1603-; l’affidamento alle
sole farmacie del servizio di prenotazione delle visite
specialistiche presso il SSNN - Agcm, 18/06/2014-).
Per quanto concerne la specifica questione delle insegne la
giurisprudenza, restando nel solco dell’orientamento di cui
sopra, ha chiarito che
l’installazione all’esterno dell’esercizio di una croce con
impianto neon non costituisce affatto una prerogativa
commerciale di pertinenza delle sole farmacie in quanto la
legge riserva a tali esercizi soltanto il tratto connotativo
del colore verde della croce
(TAR, Roma, sez. II, 12/09/2012, n. 7697).
Alla luce delle suddette considerazioni
l’art. 8 del regolamento delle insegne del comune di Firenze
deve considerarsi illegittimo nella parte in cui consente
alle sole farmacie la facoltà di esporre insegne a bandiera
con la croce conformi alle tipologie tipiche ammesse nella
zona A del centro storico laddove le caratteristiche
ambientali e l’architettura dell’immobile lo consentano.
Invero, sebbene non possa essere negato che
la tutela dei caratteri del centro storico costituisca un
motivo imperativo di interesse generale che può comportare
restrizioni alla libertà di impresa, tale esigenza, nella
specie, risulta essere stata declinata in modo non conforme
ai principi di non discriminazione e proporzionalità. E ciò
in quanto:
1)
il simbolo della croce non si correla in modo specifico alle
sole categorie di medicinali che le farmacie sono abilitate
a commercializzare ma designa più comprensivamente l’offerta
al pubblico di prodotti e servizi di pubblica utilità
inerenti la cura della salute umana che la legge non riserva
alle farmacie ma, casomai, ai farmacisti (non per nulla è
proprio la croce a contraddistinguere il relativo ordine),
attribuendo solo al colore verde valenza distintiva.
2) Pertanto,
nel momento in cui la p.a. assuma che l’offerta al pubblico
di servizi sanitari può giustificare una deroga al divieto
di installazione di insegne a bandiera nel centro storico
tale deroga deve essere estesa a tutti gli esercizi che
svolgano tali attività, specie se in concorrenza fra loro.
3)
L’interesse pubblico a salvaguardare (anche in modo
capillare e diffuso) elementi architettonici di particolare
pregio non può essere presidiato attraverso distinzioni
astratte e discriminatorie fra “categorie di imprese”
che offrono analoghi prodotti e servizi nel medesimo settore
ma va tutelato a monte attraverso l’individuazione delle “tipologie
di servizi” che per la loro utilità pubblica possono
giustificare una deroga e a valle attraverso il giudizio
discrezionale relativo alla compatibilità dell’insegna
(della farmacia o parafarmacia poco importa) con le
caratteristiche ambientali ed architettoniche, così come
appunto prevede lo stesso art. 8 del censurato regolamento. |
EDILIZIA PRIVATA:
L'istallazione di cartelli pubblicitari e l'omessa rimozione
su suolo pubblico, ai sensi dell'art. 23, comma 13-bis, sono
due cose distinte e separate.
La giurisprudenza amministrativa ha
chiarito che il comma 13-bis dell'art. 23 del codice della
strada non dispone una sanzione accessoria, ma è
un'espressione del potere di autotutela riconosciuto
all'ente proprietario onde assicurare il rispetto delle
disposizioni contenute nello stesso art. 23, che variamente
limitano e disciplinano la pubblicità sulle strade per
armonizzarla con le esigenze di sicurezza e di ordine del
traffico: ciò in considerazione del tenore delle
disposizioni stesse che attribuiscono direttamente ed
immediatamente all'amministrazione proprietaria della strada
(senza necessità di una pronuncia giudiziale che accerti la
commissione dell'illecito) il potere di imporre la rimozione
dell'impianto pubblicitario abusivo o irregolare.
---------------
Anche la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in
tal senso affermando che "in tema di violazioni previste dal
codice della strada, ai fini dell'applicazione, a carico del
proprietario (o del possessore) del suolo su cui è avvenuta
l'abusiva installazione di cartelli pubblicitari, della
sanzione prevista dall'art. 23, comma 13-bis, per l'omessa
rimozione di detti cartelli nel termine di legge nonostante
la previa diffida dell'ente titolare della strada, non
occorre che al proprietario (o possessore) venga, altresì,
contestata o notificata, ai sensi dell'art. 14 della legge
24.11.1981, n. 689, la violazione amministrativa di abusiva
installazione di detti cartelli, essendo questa prevista a
carico di soggetti diversi da una autonoma fattispecie
sanzionatoria (commi 7 e 13-bis del citato art. 23), ferma
restando la possibilità per il proprietario (o il
possessore) del suolo di dedurre, in sede di ricorso
amministrativo o giurisdizionale, l'illegittimità derivata
del verbale a lui rivolto per l'insussistenza della
violazione presupposta, ossia per la mancata installazione
dei cartelli pubblicitari o per la non abusività dei
medesimi".
---------------
3.2) I motivi
meritano accoglimento sotto il profilo delle asserite
violazioni di legge.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che il comma
13-bis dell'art. 23 del codice della strada non dispone una
sanzione accessoria, ma è un'espressione del potere di
autotutela riconosciuto all'ente proprietario onde
assicurare il rispetto delle disposizioni contenute nello
stesso art. 23, che variamente limitano e disciplinano la
pubblicità sulle strade per armonizzarla con le esigenze di
sicurezza e di ordine del traffico: ciò in considerazione
del tenore delle disposizioni stesse che attribuiscono
direttamente ed immediatamente all'amministrazione
proprietaria della strada (senza necessità di una pronuncia
giudiziale che accerti la commissione dell'illecito) il
potere di imporre la rimozione dell'impianto pubblicitario
abusivo o irregolare (Tar Marche, Ancona, 12.08.2005, n.
957).
3.2.1) Anche la giurisprudenza di legittimità, in un caso
non dissimile da quello di specie, si è pronunciata in tal
senso, affermando che "in tema di violazioni previste dal
codice della strada, ai fini dell'applicazione, a carico del
proprietario (o del possessore) del suolo su cui è avvenuta
l'abusiva installazione di cartelli pubblicitari, della
sanzione prevista dall'art. 23, comma 13-bis, per l'omessa
rimozione di detti cartelli nel termine di legge nonostante
la previa diffida dell'ente titolare della strada, non
occorre che al proprietario (o possessore) venga, altresì,
contestata o notificata, ai sensi dell'art. 14 della legge
24.11.1981, n. 689, la violazione amministrativa di abusiva
installazione di detti cartelli, essendo questa prevista a
carico di soggetti diversi da una autonoma fattispecie
sanzionatoria (commi 7 e 13-bis del citato art. 23), ferma
restando la possibilità per il proprietario (o il
possessore) del suolo di dedurre, in sede di ricorso
amministrativo o giurisdizionale, l'illegittimità derivata
del verbale a lui rivolto per l'insussistenza della
violazione presupposta, ossia per la mancata installazione
dei cartelli pubblicitari o per la non abusività dei
medesimi" (Cass. 21606/2011).
Ciò che rileva di questa pronuncia ai fini del presente
ricorso è la riconosciuta autonomia sanzionatoria della
fattispecie prevista dal comma 13-bis. Pertanto la sanzione
conseguente alla omessa rimozione dei cartelli dopo la
diffida può essere irrogata senza necessità di contestare
preventivamente la violazione di apposizione abusiva di
cartelli pubblicitari.
Il comma 11 dell'art. 23 c.d.s. stabilisce la sanzione
applicabile a chi pone in essere la condotta di abusiva
collocazione di insegne pubblicitarie; il comma 13-bis
invece concerne l'inosservanza di un autonomo obbligo di
rimozione nel termine di dieci giorni dalla comunicazione
della preventiva diffida.
Pertanto i motivi vanno accolti, essendo errata la sentenza
del tribunale di Bari nella parte in cui ha ritenuto che la
violazione di cui al comma 13-bis dell'art. 23
(inottemperanza alla diffida di rimozione) possa essere
contestata, in via accessoria, soltanto al responsabile
della omessa collocazione degli impianti pubblicitari.
Va inoltre riaffermato che la previsione sanzionatoria
secondo la quale: "chiunque viola le prescrizioni
indicate al presente comma e al comma 7 è soggetto alla
sanzione amministrativa [...1" prevista dal comma 13-bis
è riconducibile, per quanto qui interessa, alla violazione
commessa da chi sia inadempiente all'obbligo di rimozione di
cui alla diffida preventivamente comunicatagli. Questa è la
condotta che era stata addebitata alla Sp. srl, la quale,
essendo subentrata alla In. spa, come si legge nella
sentenza impugnata, "in virtù della cessione del ramo
d'azienda", era il soggetto che, come contestatole,
aveva "mantenuto in esercizio l'impianto pubblicitario
ritenuto abusivo".
Ad essa correttamente era stata quindi inviata la diffida a
rimuovere i mezzi pubblicitari.
Nessuna delle parti è comparsa all'adunanza fissata con il
rito camerale.
Il Collegio condivide pienamente la relazione e ritiene
quindi che il ricorso sia da accogliere. Ne discende la
cassazione della sentenza impugnata
(Corte di Cassazione, Sez. VI civile,
ordinanza 11.02.2016 n. 2712). |
anno 2015 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti pubblicitari, fuorilegge il divieto
totale.
La giunta municipale non può deliberare un generico divieto
di installazione assoluta di cartelli pubblicitari sul suolo
demaniale. In questo modo infatti il comune inibisce
arbitrariamente qualsiasi attività imprenditoriale lecita.
Lo ha chiarito il TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, con la
sentenza 15.12.2015 n. 556.
Il comune di Tavagnacco ha rigettato la domanda di rinnovo
di un impianto pubblicitario per contrasto della richiesta
con una sopravvenuta deliberazione della giunta che nel
fissare le linee guida per l'installazione degli impianti
pubblicitari ne vieta la posa su tutto il territorio, al di
fuori degli impianti specificamente adibiti alle pubbliche
affissioni.
Contro questa determinazione di rifiuto l'interessato ha
proposto con successo ricorso ai giudici amministrativi.
La giunta comunale non può arbitrariamente fissare un
divieto generico e assoluto di installazione di impianti
pubblicitari. L'amministrazione locale deve infatti
comparare i diversi interessi coinvolti e valutare caso per
caso le determinazioni più opportune. Le linee guida della
giunta non possono sostituirsi ai regolamenti e non possono
impedire in maniera totale le installazioni pubblicitarie
(articolo ItaliaOggi del
05.01.2016).
---------------
MASSIMA
6.1. Il primo motivo di impugnazione è infondato.
Il rinnovo dell’autorizzazione è stato correttamente
assoggettato alle linee guida assunte dalla deliberazione di
Giunta medio tempore approvata.
Invero, il rinnovo è pur sempre un nuovo
provvedimento autorizzatorio e non un atto meramente
conformativo, conseguentemente esso è adottato all’esito di
una aggiornata ponderazione degli interessi coinvolti e di
un nuovo apprezzamento della situazione fattuale, nonché
sulla scorta della normativa vigente in quel momento,
secondo il principio del tempus regit actum (cfr.,
ex plurimis, C.d.S., Sez. V, sentenza n. 2356/2015).
Diversamente, infatti, si finirebbe, da un lato, per
attribuire ultravigenza a una disciplina oramai abrogata, e,
dall’altro lato, per limitare fortemente la potestà
normativa del Comune, consentendogli di incidere
esclusivamente sugli impianti pubblicitari di nuova
installazione, e non anche su quelli in passato già
autorizzati.
6.2.1. Conformemente al criterio ermeneutico di
conservazione, le linee guida contenute nella richiamata
deliberazione giuntale devono intendersi come applicabili
alle sole ipotesi in cui la competenza al rilascio
dell’autorizzazione sia comunale, con esclusione, quindi,
delle ipotesi in cui tale competenza spetti ad altra
Autorità.
6.2.2. Di contro, come già osservato da questo Tribunale in
sede cautelare, la deliberazione giuntale
impugnata è illegittima per aver fissato un divieto generico
e assoluto di installazione di cartelli pubblicitari su
suolo demaniale
(cfr., TAR Veneto, Sez. III, sentenza n. 339/2006; TAR
Toscana, Sez. I, sentenza n. 404/1998): è pertanto fondato,
in parte qua, il secondo motivo di impugnazione.
Invero, a fronte di un’attività
imprenditoriale lecita, quale quella in esame,
l’Amministrazione deve valutare caso per caso, nella
comparazione dei diversi interessi coinvolti, ivi compreso
quello alla sicurezza e fluidità della circolazione
stradale, e quello al decoro urbano e all’armonico utilizzo
del territorio, se rilasciare o meno il richiesto
provvedimento ampliativo .
Ben può l’organo di governo dell’Ente fornire delle linee
guida alla struttura burocratica, purché si tratti di
indirizzi di massima e che comunque non impediscano
totalmente il rilascio delle autorizzazioni in questione. |
EDILIZIA PRIVATA: Tar Lombardia.
Farmacia, sì alle insegne agli incroci.
L'insegna di una farmacia assume una valenza informativa in
favore dell'utenza e ciò giustifica la collocazione
dell'insegna, nel punto di congiunzione di due strade, con
la finalità di consentire a coloro che ignorino l'esatta
collocazione della farmacia, di individuarne la sede.
È
quanto sostiene il TAR Lombardia-Milano, Sez. IV, con la
sentenza 09.12.2015 n. 2600.
Il fatto in sintesi: una società presentava ricorso al Tar
per la concessione di un'autorizzazione rilasciata dal
comune ad una farmacia per l'esposizione di un'insegna verde
bifacciale luminosa su palo di m 0,80 x 0,80, avente forma
di croce, da posizionarsi nell'intersezione tra due vie, in
adiacenza all'edificio di proprietà della ricorrente.
Secondo la difesa comunale e della società, l'insegna non
avrebbe le caratteristiche di cui all'art. 47, dpr n.
495/1992, non essendo finalizzata a contraddistinguere la
sede della farmacia, né collocata in prossimità della
stessa, quanto invece ad una distanza di circa 100 m, avendo
pertanto una finalità pubblicitaria, come peraltro
dimostrato dalla presenza di un'ulteriore insegna, invece
posta sulla facciata della farmacia
(articolo ItaliaOggi del 17.12.2015).
----------------
MASSIMA
II) Quanto al merito, secondo la difesa comunale e della
Società Cl., l’insegna di che trattasi non avrebbe le
caratteristiche di cui all’art 47 D.P.R. n. 495/1992, non
essendo finalizzata a contraddistinguere la sede della
farmacia, né collocata in prossimità della stessa, quanto
invece ad una distanza di circa 100 m, avendo pertanto una
finalità pubblicitaria, come peraltro dimostrato dalla
presenza di un’ulteriore insegna, invece posta sulla
facciata della Farmacia, la quale, effettivamente, sarebbe
un’insegna di esercizio di cui al citato art. 47,
diversamente da quella di cui al presente giudizio, come
detto, invece riconducibile ad un impianto pubblicitario.
III) In via preliminare, il Collegio da atto che l’art. 51,
c. 4, del Regolamento attuativo del Codice della Strada
(D.P.R. 16.12.1992 n. 495) prevede che, nei centri abitati,
il posizionamento di cartelli pubblicitari ed insegne debba
avvenire ad almeno 30 metri dalle intersezioni, salvo che le
stesse non rientrino nella nozione di “insegna di
esercizio” di cui all’art. 47, c. 1, del medesimo
D.P.R., la quale, a sua volta, consiste in una “scritta
in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da
simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali
di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a
cui si riferisce, o nelle pertinenza accessorie della stessa”.
La questione posta a fondamento di entrambi i giudizi,
sostanzialmente, verte quindi sulla qualificazione
dell’impianto di che trattasi in termini di “insegna di
esercizio”, atteso che, in caso positivo, la stessa non
violerebbe la vista distanza minima dall’intersezione
prevista dalla norma precitata e dalla disciplina del Piano
Comunale richiamato nella revoca impugnata, che sarebbe al
contrario superata, ove non si ritenesse possibile seguire
tale interpretazione.
IV) Ritiene il Collegio che la lettura
congiunta del citato art. 47 con la normativa dettata in
materia di servizio farmaceutico imponga un’interpretazione
estensiva della citata nozione di “pertinenza accessoria”
del luogo in cui l’insegna viene collocata rispetto alla
sede dell’attività, dovendosi pertanto ritenere che
l’insegna della Farmacia sia effettivamente ricompresa in
tale ambito spaziale.
Infatti, in base all’art. 9, c. 2, L.R.
03.04.2000 n. 21, “le farmacie di turno hanno l'obbligo,
nelle ore serali e notturne, di tenere accesa un’insegna
luminosa, della misura fino ad un metro quadrato per
facciata, preferibilmente a forma di croce di colore verde
che ne faciliti l'individuazione”, da cui si desume
l’esistenza di un obbligo di legge di rendere visibili detti
esercizi, ciò che giustifica la collocazione dell’insegna di
che trattasi, come detto, nel punto di congiunzione di due
strade, con la finalità di consentire a coloro che ignorino
l’esatta collocazione della farmacia, di individuarne la
sede.
Quanto precede evidenzia altresì
l’insussistenza della natura pubblicitaria di tale insegna,
che assume invece una valenza informativa in favore
dell’utenza, così come dimostra l’irrilevanza, ai fini del
presente giudizio, della collocazione di un’ulteriore
insegna in prossimità dell’entrata della farmacia, atteso
che la stessa è evidentemente visibile solo da coloro che vi
transitano di fronte, e non invece dagli utenti che
percorrono le vie adiacenti.
Né, in contrario, depone il precedente giurisprudenziale
invocato dalla Società Cl., peraltro condiviso dal Collegio,
in base al quale “non costituisce
insegna di esercizio, necessaria soltanto ai fini della
normale attività aziendale, ma vero e proprio impianto
pubblicitario, in grado di svolgere funzione promozionale
dell'attività imprenditoriale e conseguentemente soggetto
all'autorizzazione all'esposizione dei mezzi pubblicitari,
il cartello che non sia collocato in prossimità dell'accesso
all'impresa ma in altro luogo”
(TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 12.2.2008 n. 316),
atteso che in tale fattispecie l'insegna, oltre a
non essere soggetta alle peculiarità che connotano
l’individuazione di un esercizio farmaceutico, era inoltre
collocata “ad alcuni chilometri dalla sede della società
pubblicizzata”,
trattandosi pertanto di fattispecie non comparabile a quella
per cui è causa. |
EDILIZIA PRIVATA:
No alla doppia pubblicità per il medesimo
impianto.
Non si possono autorizzare due insegne di esercizio per lo
stesso complesso produttivo. Specialmente se la seconda
installazione viene realizzata sul retro dello stabile in
perfetta aderenza al traffico autostradale, con evidenti
finalità commerciali.
Lo ha chiarito il TAR Veneto, Sez. III, con la
sentenza
09.12.2015 n.
1315.
Il titolare di una impresa ha richiesto all'Anas nulla osta
alla collocazione di una insegna di esercizio anche nel
retro dello stabile, nella parte che si affaccia sul tratto
autostradale. Contro il conseguente diniego l'interessato ha
proposto ricorso al Tar ma senza successo.
A parere dell'Anas il posizionamento di una seconda insegna
di esercizio, oltre a quella affissa in prossimità
dell'ingresso allo stabile, denota un evidente interesse
pubblicitario del richiedente, specificamente vietato
dall'art. 23 del codice stradale.
Anche se nessuna disposizione limita numericamente le
insegne di esercizio, prosegue la sentenza, è evidente che
il manufatto per poter essere qualificato come tale, impone
che sia strettamente attiguo all'esercizio cui si riferisce
e che la stessa insegna sia, nel contempo, «funzionale e
diretta a identificare l'ubicazione della sede della stessa
impresa».
In pratica quindi siccome una insegna di esercizio visibile
dall'autostrada è consentita solo ove non presenti alcun
contenuto pubblicitario, se l'ingresso non è rivolto al
fronte autostradale meglio desistere con le richieste di
autorizzazione
(articolo ItaliaOggi Sette del
04.04.2016).
---------------
MASSIMA
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 Sul punto è dirimente constatare che
l'art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della
Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi
forma di pubblicità lungo le autostrade e le strade
extraurbane principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata
nell’intento di introdurre un divieto all’installazione
lungo le strade, o in vista di esse, di impianti
pubblicitari che possano confondersi con la segnaletica
stradale, o arrecare disturbo visivo a chi circola su di
esse, con conseguente pericolo per la sicurezza della
circolazione.
1.2 Va, altresì, rilevato come
l'articolo 47, primo comma, del D.P.R. 16.12.1992, n. 495
(Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice
della strada) qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta
in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da
simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali
di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a
cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
1.3 Ne consegue che
sebbene nessuna delle disposizioni sopra riportate preveda
che l’insegna di un esercizio commerciale debba essere
unica, è parimenti evidente che quest’ultima, per poter
essere qualificata come tale, impone che sia strettamente
contigua all’esercizio commerciale cui inerisce e sia, nel
contempo, funzionale e diretta a identificare l’ubicazione
della sede della stessa impresa.
1.4 Anche recenti pronunce (Cons. Stato Sez. IV, 25.11.2013,
n. 5586) hanno avuto modo di precisare che
la nozione di insegna di esercizio deve essere intesa in
senso rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei
soli casi in cui l'insegna -con le modalità prescritte
dall'art. 47, comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve
esclusivamente a segnalare il luogo ove si esercita
l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito (Cons. Stato Sez. IV, 27.04.2012, n.
2480) che
un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è consentita
solo ove non presenti alcun contenuto riconducibile a
finalità pubblicitarie.
1.5 E’ allora evidente che
verificare se una determinata insegna integri il divieto di
pubblicità di cui all’art. 23 sopra citato impone un esame
in concreto sulle caratteristiche della singola insegna e,
ciò, al fine di individuare quale sia la funzione che si
intenda perseguire con l’installazione del singolo manufatto
e, quindi, se quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un
intento meramente pubblicitario.
1.6 Nel caso di specie è dirimente constatare come sia stata
la stessa parte ricorrente a rilevare che l’insegna in
questione è collocata sulla facciata dell'esercizio, rivolta
verso la strada, senza che sulla stessa facciata sia
presente un’entrata dell’esercizio.
1.7 E’ allora evidente che, seppur l’insegna in questione
abbia le caratteristiche proprie di un’insegna di esercizio,
ai sensi dell’art. 47 del DPR 16.12.1992 n. 495, la sua
installazione è stata posta in essere per realizzare un
intento pubblicitario, diretto nei confronti degli
utilizzatori della strada prospiciente.
Dette conclusioni sono confermate dal fatto che l’insegna in
questione, non solo duplica l’insegna di esercizio già
esistente, ma in quanto posizionata su un lato in cui non vi
è l’entrata dell’impresa, non aggiunge alcuna informazione
ulteriore circa l’identificazione della stessa impresa che,
in quanto tale, è già resa dall'altra insegna d'esercizio.
1.8 Ne consegue che risulta integrato il divieto di
installazione di strumenti pubblicitari in prossimità delle
strade, circostanza che consente di ritenere infondate le
argomentazioni di parte ricorrente.
In definitiva il ricorso è, pertanto, infondato e va
respinto. |
EDILIZIA PRIVATA:
E' legittimo il diniego per l'installazione di un'insegna di
esercizio, lungo un'autostrada, che abbia valenza di
pubblicità della ditta.
L'art. 23 del D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della
Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi forma
di pubblicità lungo le autostrade e le strade extraurbane
principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata nell’intento
di introdurre un divieto all’installazione lungo le strade,
o in vista di esse, di impianti pubblicitari che possano
confondersi con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo
visivo a chi circola su di esse, con conseguente pericolo
per la sicurezza della circolazione.
---------------
L'articolo 47, primo comma, del
D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada)
qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta in caratteri
alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da
marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi
natura, installata nella sede dell'attività a cui si
riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
Ne consegue che sebbene nessuna delle disposizioni sopra
riportate preveda che l’insegna di un esercizio commerciale
debba essere unica, è parimenti evidente che quest’ultima,
per poter essere qualificata come tale, impone che sia
strettamente contigua all’esercizio commerciale cui inerisce
e sia, nel contempo, funzionale e diretta a identificare
l’ubicazione della sede della stessa impresa.
Anche recenti pronunce hanno avuto modo di precisare che la nozione di
insegna di esercizio deve essere intesa in senso
rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei soli casi
in cui l'insegna -con le modalità prescritte dall' art. 47,
comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve esclusivamente a
segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito che un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è
consentita solo ove non presenti alcun contenuto
riconducibile a finalità pubblicitarie.
E’ allora evidente che verificare se una determinata
insegna integri il divieto di pubblicità di cui all’art. 23
sopra citato impone un esame in concreto sulle
caratteristiche della singola insegna e, ciò, al fine di
individuare quale sia la funzione che si intenda perseguire
con l’installazione del singolo manufatto e, quindi, se
quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un intento
meramente pubblicitario.
---------------
... per l'annullamento del provvedimento (prot.
CVE-0022778-P) del 17/07/2015 con il quale Anas Spa ha
comunicato alla ricorrente l’esito negativo della fase
istruttoria relativa all’istanza di ottenimento
dell’autorizzazione/nulla osta all’installazione di un mezzo
pubblicitario;
...
1. Il ricorso è infondato e va respinto.
1.1 Sul punto è dirimente constatare che l'art. 23 del
D.Lgs. n. 285/1992 ("Nuovo Codice della
Strada"), al comma 7, sancisce il divieto di qualsiasi forma
di pubblicità lungo le autostrade e le strade extraurbane
principali e i relativi accessi.
La ratio di detta disposizione va individuata nell’intento
di introdurre un divieto all’installazione lungo le strade,
o in vista di esse, di impianti pubblicitari che possano
confondersi con la segnaletica stradale, o arrecare disturbo
visivo a chi circola su di esse, con conseguente pericolo
per la sicurezza della circolazione.
1.2 Va, altresì, rilevato come l'articolo 47, primo comma,
del D.P.R. 16.12.1992, n. 495 (Regolamento di
esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada)
qualifica l’insegna d'esercizio, quale "scritta in caratteri
alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da
marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi
natura, installata nella sede dell'attività a cui si
riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa".
1.3 Ne consegue che sebbene nessuna delle disposizioni sopra
riportate preveda che l’insegna di un esercizio commerciale
debba essere unica, è parimenti evidente che quest’ultima,
per poter essere qualificata come tale, impone che sia
strettamente contigua all’esercizio commerciale cui inerisce
e sia, nel contempo, funzionale e diretta a identificare
l’ubicazione della sede della stessa impresa.
1.4 Anche recenti pronunce (Cons. Stato Sez. IV, 25.11.2013,
n. 5586) hanno avuto modo di precisare che la nozione di
insegna di esercizio deve essere intesa in senso
rigorosamente restrittivo, circoscrivendola a quei soli casi
in cui l'insegna -con le modalità prescritte dall' art. 47,
comma 1, del d.P.R. n. 495 del 1992- serve esclusivamente a
segnalare il luogo ove si esercita l'attività di impresa.
Si è, inoltre, sancito (Cons. Stato Sez. IV, 27.04.2012, n.
2480) che un'insegna d'esercizio visibile dall’autostrada è
consentita solo ove non presenti alcun contenuto
riconducibile a finalità pubblicitarie.
1.5 E’ allora evidente che verificare se una determinata
insegna integri il divieto di pubblicità di cui all’art. 23
sopra citato impone un esame in concreto sulle
caratteristiche della singola insegna e, ciò, al fine di
individuare quale sia la funzione che si intenda perseguire
con l’installazione del singolo manufatto e, quindi, se
quest’ultima vada ricondotta (o meno) ad un intento
meramente pubblicitario.
1.6 Nel caso di specie è dirimente constatare come sia stata
la stessa parte ricorrente a rilevare che l’insegna in
questione è collocata sulla facciata dell'esercizio, rivolta
verso la strada, senza che sulla stessa facciata sia
presente un’entrata dell’esercizio.
1.7 E’ allora evidente che, seppur l’insegna in questione
abbia le caratteristiche proprie di un’insegna di esercizio,
ai sensi dell’art. 47 del DPR 16.12.1992 n. 495, la sua
installazione è stata posta in essere per realizzare un
intento pubblicitario, diretto nei confronti degli
utilizzatori della strada prospiciente.
Dette conclusioni sono confermate dal fatto che l’insegna in
questione, non solo duplica l’insegna di esercizio già
esistente, ma in quanto posizionata su un lato in cui non vi
è l’entrata dell’impresa, non aggiunge alcuna informazione
ulteriore circa l’identificazione della stessa impresa che,
in quanto tale, è già resa dall'altra insegna d'esercizio.
1.8 Ne consegue che risulta integrato il divieto di
installazione di strumenti pubblicitari in prossimità delle
strade, circostanza che consente di ritenere infondate le
argomentazioni di parte ricorrente.
In definitiva il ricorso è, pertanto, infondato e va
respinto (TAR Veneto, Sez. III,
sentenza 09.12.2015 n. 1315 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
TRIBUTI:
La pubblicità abusiva.
DOMANDA:
E' vero che se rileviamo un cartello o un'insegna abusiva
(in assenza di autorizzazione, ovvero scaduta) e spesso
anche non in regola con il tributo, non dovremmo emettere
avvisi di accertamento, in quanto sono i vigili ad elevare
contravvenzione ai sensi del Codice della Strada?
La motivazione sarebbe che una volta pagato il tributo, se
si dovesse andare davanti al Giudice, si perderebbe la
causa. La domanda è: ma allora non può mai esistere una
avviso di accertamento per mancata dichiarazione di inizio
pubblicità?
E tutto il tempo, magari anni, di esposizione abusiva viene
risolto solo con la contravvenzione dei vigili?
RISPOSTA:
Quanto riportato nel quesito, senza alcun riferimento
normativo o giurisprudenziale è incomprensibile.
L’applicazione della normativa tributaria è completamente
autonoma nei confronti dell’applicazione delle norme di
legge e di regolamento riguardo la mancanza di
autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario
(link a www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI:
La pubblicità temporanea.
DOMANDA:
Si può rinnovare una pubblicità temporanea trimestrale? La
normativa parla di temporanea mensile/bimestrale/trimestrale
dopodiché diventa permanente annuale.
RISPOSTA:
Le norme relative alle modalità di rilascio delle
autorizzazioni alle diverse esposizioni pubblicitarie sono
previste nel regolamento comunale e nel piano generale degli
impianti ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 507/1993. Pertanto
è in riferimento a questi due strumenti regolamentari che
vanno valutate le richieste di installazione e di eventuale
rinnovo delle pubblicità temporanee.
La norma sulla tariffa per la pubblicità temporanea (art. 12
del D.Lgs. 507/1993) riguarda appunto la tariffa da
applicare e non i provvedimenti autorizzatori.
Nel caso in cui una pubblicità si protragga oltre i tre
mesi, anche in conseguenza di una proroga dovrà pagare
l’importo della pubblicità annuale per intero. Cioè una
pubblicità che dura quattro mesi deve comunque pagare
l’intera pubblicità annuale (link a
www.ancirisponde.ancitel.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il Comune vieta impianti troppo tecnologici nel
traffico.
Il TAR ha negato l'autorizzazione all'installazione
di monitor giganti predisposti alla riproduzione di immagini
pubblicitarie in alta definizione sui palazzi delle strade
del centro abitato cittadino. Si rischia infatti di
interferire con la sicurezza della circolazione stradale
creando distrazione agli automobilisti ed ai pedoni.
---------------
... per
l'annullamento del provvedimento p.g. 163393/2015 in data
18.03.2015, di rigetto della domanda di autorizzazione
all'installazione di 2 impianti di riproduzione e/o
trasmissione immagini da posizionare su parete in Milano,
Corso Buenos Ayres n. 92;
...
Con ricorso depositato in data 21.04.2015 Town Group S.r.l.
ha impugnato, chiedendone la sospensione in via incidentale,
il diniego all’installazione di due impianti pubblicitari di
riproduzione e/o trasmissione di immagini deducendone
l’illegittimità sotto plurimi profili.
In particolare, Town group s.r.l. ha evidenziato la
violazione della Delibera della Giunta comunale n. 1187 del
06.06.2014, secondo la quale il parere viabilistico della
Polizia locale dovrebbe essere richiesto solo in caso di
impianti di trasmissione dinamica continua; ha censurato
altresì la violazione dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990,
avendo il comune convenuto respinto la sua istanza in base a
motivazione diversa da quella contenuta nel preavviso di
rigetto, e l’errata applicazione dell’art. 23 del d.lgs. n.
285/1992.
Sotto quest’ultimo profilo, la società ricorrente ha
evidenziato che il parere negativo della polizia locale al
quale il provvedimento di diniego aveva sostanzialmente
rinviato per relationem, avrebbe di fatto travisato i
presupposti di legge necessari per la legittima collocazione
di impianti pubblicitari.
Town Group ha infine dedotto un profilo di disparità di
trattamento per contraddittorietà esterna nel diniego
impugnato.
Si è costituito il comune, che ha chiesto la reiezione del
ricorso, e la causa è stata trattenuta in decisione, dopo la
fissazione del merito ex art. 55, comma 10 c.p.a., alla
pubblica udienza del 04.11.2015.
Il ricorso è da respingere, per quanto di ragione.
Quanto ai primo due motivi, il Collegio ritiene che essi
siano palesemente infondati, sulla base delle seguenti
considerazioni:
- la Delibera della Giunta comunale n. 1187 del 06.06.2014
non ha escluso la possibilità per il comune di richiedere il
parere di viabilità alla polizia locale per qualsiasi
ipotesi di nuova installazione di impianti di riproduzione o
trasmissioni immagini, stante il disposto di cui all’art. 23
del Codice della Strada;
- l’art. 10-bis della legge sul procedimento amministrativo
è stato rispettato, in quanto il secondo parere chiesto alla
polizia locale ha semplicemente confermato, con una
motivazione meno criptica, quanto già espresso nel primo
parere, sul quale la società ricorrente era stata messa in
grado di interloquire con la precedente comunicazione dei
motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Altresì chiaramente infondato è l’ultimo motivo di ricorso,
basato su una presunta disparità di trattamento da parte
dell’amministrazione comunale, in relazione alla quale però
non sono stati forniti elementi di prova sufficienti o
comunque sintomatici del vizio rilevato da parte della
ricorrente, ferma restando la necessità ineludibile per
l’amministrazione di rispettare le norme regolatrici della
materia, con conseguente eventuale necessità di revoca
futura delle autorizzazioni illegittime concesse, e non, al
contrario, automatico rilascio di nuove autorizzazioni a
loro volta illegittime.
Venendo al nucleo fondamentale e sostanziale delle censure
svolte da Town Group (violazione dell’art. 23, comma 1 del
codice della strada, oltre che dell’art. 8 del regolamento
comunale sulla pubblicità), è possibile formulare le
seguenti osservazioni.
La società ricorrente sostiene che il parere viabilistico
della polizia locale non avrebbe esplicitato il percorso
logico-valutativo che ha condotto alla conclusione negativa,
non risultando comprensibile, secondo la deduzione di parte,
se ed in quali termini fossero stati valutati quei parametri
(dimensioni, forma, colori, disegni e ubicazione) che
soltanto potrebbero determinare il divieto di collocazione
di impianti pubblicitari.
Il Collegio osserva che, nel provvedimento impugnato, il
comune resistente ha rilevato il contrasto con le norme
sopra citate (art. 23 del Cds e art. 8 del regolamento), in
quanto “le posizioni degli impianti a parete proposti
sull’immobile di Corso Buenos Aires 92 (…) sarebbero
collocati in prossimità di uno dei nodi più complessi e
trafficati della città. La posizione degli impianti potrebbe
distrarre l’attenzione dell’utenza veicolare e pedonale con
conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione (…)”.
La motivazione risulta congrua e fondata, in relazione alle
norme cui rimanda.
In particolare, l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 285/1992
stabilisce che “lungo le strade o in vista di esse è
vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di
pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici,
sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle
strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e
ubicazione (…) arrecare disturbo visivo agli utenti della
strada o distrarne l'attenzione con conseguente pericolo per
la sicurezza della circolazione”.
Non vi è dubbio che il comune, nel pervenire al suo diniego,
abbia valutato sia la posizione (ubicazione) dei cartelli da
autorizzare sia l’effetto visivo sugli utenti della strada.
Si tratta di valutazione tecnico-discrezionale che può
essere sindacata soltanto per manifesta illogicità o
travisamento dei presupposti di fatto; nel caso di specie,
non ricorrono né l’una né l’altra ipotesi, essendo pacifica
tra le parti l’ubicazione dei cartelli rispetto alla strada
e la particolare complessità di traffico pedonale e
veicolare della zona in cui avrebbero dovuto essere
installati. Tale complessità comporta la deduzione logica di
un potenziale pericolo da “distrazione” per la
circolazione stradale.
Come già in altre occasioni ribadito, infatti, il bene
primario protetto dalla norma del Cds è quello della
sicurezza stradale, che deve essere tutelato da lesioni
anche solo astrattamente ipotizzabili (si veda, tra le
altre, sent. n. 1395/2013 emessa dalla Sezione).
Di conseguenza, il provvedimento è legittimo anche sotto
questo profilo (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 20.11.2015 n. 2454 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI:
In materia di cartelloni pubblicitari posti sul muro di
recinzione del campo sportivo comunale.
Ogni
qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per
oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale
indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è
devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
---------------
La realizzazione o
l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è
consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti, da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione
titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o
installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare
tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro
normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto
dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene
pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura
pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza,
il «campo sportivo» di cui è
titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi
consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale
indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della
collettività locale);
- la regola della necessità del rilascio di una concessione
–perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato
dei luoghi– si applica pure quando si tratti della
collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non
è regolata soltanto alle disposizioni del codice della
strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del
1993), per effettuare la quale non è sufficiente la
presentazione della relativa domanda, dovendosi, al
riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione
un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con
atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con
conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente, anche l'esercizio del potere di ritiro
dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione
di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di
interesse legittimo.
---------------
Il Comune
ha comunicato alla società appellata che intendeva ritornare
in possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e
dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata
autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto,
ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la
restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli
impianti», entro un fissato termine, perché non risultava
alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della
società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto
di «comodato»: un tale contratto non può essere
giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene
pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il
rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale,
peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la
concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e
purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una
norma giuridica e sussistano i relativi presupposti,
dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui
l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per
l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie, la richiesta di restituzione dell’area
occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la
rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi
la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di
rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa,
risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del
Comune, sicché va rilevata la sussistenza della
giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi
dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente
alla gestione del bene pubblico.
---------------
Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446
del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne
pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha
previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla
superficie della minima figura piana geometrica in cui è
circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di
messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di
comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle
assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in
luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali
luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del
precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a
qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio
pubblicitario viene diffuso.
L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte
della società appellata non può quindi rilevare come titolo
per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui
erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la
società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n.
507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma
ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di
concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su
beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione,
l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude
infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed
aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o
di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art.
9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta
comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa
per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge
dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato,
che
individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel
mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione
dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità
e, quindi, all'uso generalizzato.
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi
posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le
autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione
potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso
anche del muro di cinta.
E comunque il fatto che il Comune non abbia richiesto
preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro
suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le
anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione
del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale
interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a
percepire quanto spettante).
---------------
Spettano alla giurisdizione del giudice
ordinario non solo le controversie relative al canone per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche
quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che
l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di
spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari.
In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza
formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano
nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie
le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone
previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari,
dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che costituisce una
mera variante dell'imposta comunale sulla pubblicità di cui
al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva, quindi, la qualifica
di tributo propria di quest'ultima, mentre spettano alla
giurisdizione del giudice ordinario le controversie
relative al canone per la concessione di spazi ed aree per
l'installazione di impianti pubblicitari.
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione
di delibere comunali di determinazione delle tariffe
relative agli impianti pubblicitari, va ritenuto che sulla
domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad
ottenere la condanna della società di cui trattasi ad
indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale
subita, consistente nel mancato introito del canone per
l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo
competente riguardo alla pretesa in esame il giudice
ordinario.
---------------
1.- Il Responsabile dell'Ufficio Economico Finanziario del
Comune di Ponte San Pietro, con nota prot. 8970 del 10.04.2002, ha comunicato alla s.p.a. IGPDECAUX Affissioni
che intendeva ritornare in possesso degli spazi occupati da
tre cartelli pubblicitari e da tre pannelli luminosi siti
nel Comune, alla via Trento e Trieste, la cui installazione
era stata autorizzata con atti prot. 5597 del 13.07.1982, prot. 6942 del
04.12.1987 e prot. 3033 del 19.04.1991, ed ha richiesto, ai sensi degli artt. 1809 e
1810 del c.c., alla società «la restituzione dell'area con
la contestuale rimozione degli impianti» (concedendo per
l’incombente un termine di tre mesi), dal momento che non
risultava alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree,
assegnate in comodato (come sarebbe stato comprovato dalla
circostanza che non risultavano pagamenti a favore del
Comune per l’utilizzo dello spazio in questione).
2.- La società ha proposto il ricorso di primo grado,
chiedendo l’annullamento di tale provvedimento e per il
risarcimento del danno al TAR Lombardia, sezione di
Brescia, che, con la sentenza in epigrafe indicata, ha
respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata
dalla difesa del Comune ed ha accolto il ricorso, ritenendo
che il Comune, non avendo chiesto alcun corrispettivo per
l’uso del bene nel periodo dall’anno 1982 all’anno 2002,
aveva dimostrato di avere costantemente interpretato le
autorizzazioni all’affissione dei cartelli pubblicitari come
comprensive della fruizione del muro di cinta del campo
sportivo comunale.
Il TAR ha inoltre respinto la domanda riconvenzionale,
proposta dal Comune.
3.- Con il ricorso in appello in esame, il Comune di Ponte
San Pietro ha chiesto la riforma della sentenza del TAR,
deducendo i seguenti motivi: ...
...
9.1.- Osserva la Sezione che, al fine di accertare se con il
provvedimento impugnato il Comune abbia inteso esercitare
prerogative di natura privata o pubblica, va innanzi tutto
rilevato che l'art. 133, comma 1, lett. b), del c.p.a.,
nell'elencare le materie oggetto giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, sottrae alla sua cognizione
esclusivamente le controversie concernenti «indennità,
canoni ed altri corrispettivi» e quelle attribuite ai
Tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore
delle acque pubbliche; di conseguenza (posto che
appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario le
controversie di natura meramente patrimoniale),
ogni
qualvolta venga in rilievo l’esercizio di un potere autoritativo della pubblica amministrazione, avente per
oggetto un bene pubblico (demaniale o patrimoniale
indisponibile) e contestato dal privato, la controversia è
devoluta senza dubbio al giudice amministrativo.
Ciò posto, va osservato che la realizzazione o
l’installazione di qualsiasi manufatto sul suolo pubblico è
consentita solo se è preventivamente rilasciato un atto concessorio.
Infatti, da un lato occorre il consenso dell’Amministrazione
titolare del bene, perché vi sia una tale realizzazione o
installazione, dall’altro vi è una costante e plurisecolare
tradizione giuridica (corroborata da un costante quadro
normativo e giurisprudenziale), per il quale qualsiasi atto
dell’Amministrazione –di gestione di un proprio bene
pubblico, demaniale o patrimoniale indisponibile– ha natura
pubblicistica e provvedimentale.
Sul punto, il Collegio osserva che:
- per una indiscussa giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 04.11.1994, n. 1257),
il «campo sportivo» di cui è
titolare il Comune –comunque sia denominato e qualsiasi
consistenza abbia- ha natura di bene patrimoniale
indisponibile (mirando al soddisfacimento di interessi della
collettività locale);
- la regola della necessità del rilascio di una concessione
–perché vi sia un qualsiasi manufatto incidente sullo stato
dei luoghi– si applica pure quando si tratti della
collocazione di cartelli pubblicitari (la cui disciplina non
è regolata soltanto alle disposizioni del codice della
strada, ma anche dagli artt. 3 e 12, del d.lgs. n. 507 del
1993), per effettuare la quale non è sufficiente la
presentazione della relativa domanda, dovendosi, al
riguardo, pienamente esplicare da parte dell'Amministrazione
un'attività valutativa e discrezionale, che si manifesta con
atti incidenti su posizioni di interesse legittimo, con
conseguente giurisdizione del giudice amministrativo;
- specularmente, anche l'esercizio del potere di ritiro
dell’atto di natura concessoria –e che dispone la rimozione
di cartelloni pubblicitari- attiene a posizioni di
interesse legittimo (Cons. Stato, sez. V, 17.06.2015, n.
3066).
Non rileva invece esaminare quale sia l’ambito di
applicazione dell’art. 23, comma 11, del codice della
strada, che riguarda lo specifico caso di opposizione alla
sanzione amministrativa e alla conseguente misura della
rimozione di un impianto abusivo (e che non è suscettibile
di applicazione analogica, risultando una norma eccezionale,
di deroga al principio attualmente sancito dall’art. 7 del
codice del processo amministrativo, per il quale i
provvedimenti espressione di un potere pubblicistico sono
impugnabili innanzi al giudice amministrativo).
Nel caso di specie con l’atto impugnato il Comune ha
comunicato alla società appellata che intendeva ritornare in
possesso degli spazi occupati dai cartelli pubblicitari e
dai pannelli luminosi, la cui installazione era stata
autorizzata con precedenti provvedimenti, ed ha richiesto,
ai sensi degli artt. 1809 e 1810 del c.c., alla società «la
restituzione dell'area con la contestuale rimozione degli
impianti», entro un fissato termine, perché non risultava
alcun titolo specifico per l’utilizzo delle aree.
Non è fondata, sotto tale aspetto, la tesi difensiva della
società, per la quale a suo tempo vi era stato un contratto
di «comodato»: un tale contratto non può essere
giuridicamente posto in essere quando si tratti di un bene
pubblico, rispetto al quale –al più– può esservi il
rilascio di una concessione a titolo gratuito (la quale,
peraltro, a sua volta è configurabile solo quando la
concessione sia espressamente rilasciata a tale titolo e
purché –beninteso– un tale rilascio sia consentito da una
norma giuridica e sussistano i relativi presupposti,
dovendosi comunque applicare altrimenti il principio per cui
l’Amministrazione deve poter ottenere un corrispettivo per
l’utilizzo di un proprio bene).
Nella specie, la richiesta di restituzione dell’area
occupata dagli impianti dei quali è stata ordinata la
rimozione con atto di natura autoritativa è da considerarsi
la dovuta conseguenza dell’emanazione dell’ordine di
rimozione e, in quanto con esso inscindibilmente connessa,
risulta essa stessa espressione del potere autoritativo del
Comune, sicché va rilevata la sussistenza della
giurisdizione amministrativa (per di più esclusiva, ai sensi
dell’art. 133 del c.p.a.), circa il provvedimento inerente
alla gestione del bene pubblico.
Va respinto dunque il primo motivo d’appello.
10.- Con il secondo motivo di gravame, il Comune ha
lamentato l’erroneità della sentenza appellata, nella parte
in cui essa ha argomentato nel senso che le autorizzazioni a
suo tempo rilasciate erano titoli idonei ad escludere la
natura abusiva delle affissioni, come risulterebbe anche dal
fatto che non è stato chiesto alcun corrispettivo per l’uso
del muro di cinta del campo sportivo, per il periodo
dall’anno 1982 all’anno 2002.
Ad avviso dell’appellante, il TAR avrebbe sovrapposto due
piani da tenere invece distinti (cioè il profilo delle
autorizzazioni amministrativa all’esposizione e alla
diffusione di messaggi pubblicitari e quello della fruizione
di aree e di immobili di proprietà pubblica, ma non
destinati all’utilizzazione pubblica generalizzata) e non
avrebbe tenuto conto dei principi riguardanti la necessità
della forma scritta ad substantiam, quando si tratti di
contratti con le pubbliche amministrazioni.
Inoltre, è dedotto che:
- l’area in questione, in quanto appartenente al patrimonio
disponibile e quindi fruttifero, non sarebbe stata soggetta
a concessione di suolo pubblico, dovendosi invece ritenere
necessaria la stipula di un contratto, la cui mancanza
evidenzierebbe la natura abusiva delle installazioni
effettuate;
- contrariamente a quanto affermato dal TAR, il Comune
non ha mai ‘autorizzato’ per facta concludentia
la installazione;
- l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità (ai
sensi del d.lgs. n. 507 del 1993) non rileva quale titolo
per l’occupazione degli spazi in questione, risultando anche
dovuta la tassa per l’occupazione di spazi e di aree
pubbliche ovvero dei canoni di locazione o di concessione
(ex art. 13, u.c., del medesimo d.lgs.), come previsto anche
dall’art. 18 del Regolamento comunale per la pubblicità;
- il Comune fondatamente ha preteso il pagamento del
corrispettivo per l’uso di fatto del bene.
10.1.- Ritiene la Sezione che il motivo è fondato, per la
parte in cui ha dedotto l’infondatezza delle censure
formulate in primo grado, avverso il provvedimento di
autotutela.
Vanno previamente respinte le deduzioni con cui il Comune ha
dedotto che per l’utilizzo del bene in questione sarebbe
stata necessaria la stipula di un contratto: come si è sopra
rilevato in sede di reiezione della deduzione per cui non
sussisterebbe la giurisdizione amministrativa,
il
provvedimento a suo tempo emesso va qualificato come
concessione (di utilizzo) di un bene pubblico.
Quanto alla deduzione sulla spettanza di un corrispettivo
per l’uso del bene, il collegio ritiene che, alle
considerazioni sopra riportate, vadano aggiunte quelle dopo
esposte in occasione dell’esame della domanda
riconvenzionale, formulata dal Comune innanzi al TAR.
Risulta invece fondata la deduzione del Comune, secondo cui
l’avvenuto pagamento della imposta sulla pubblicità dovrebbe
far considerare insussistente il presupposto (l’occupazione
senza titolo) che ha condotto all’emanazione dell’atto
impugnato in primo grado.
L'art. 3, comma 149, lettera g), della legge n. 662 del 1996
ha attribuito ai Comuni la «facoltà, con regolamento, di
escludere l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità», di
cui al d.lgs. n. 507 del 1993, e «di individuare le
iniziative pubblicitarie che incidono sull'arredo urbano o
sull'ambiente prevedendo per le stesse un regime autorizzatorio e l'assoggettamento al pagamento di una
tariffa», nonché la «possibilità di prevedere, con lo stesso
regolamento, divieti, limitazioni e agevolazioni e di
determinare la tariffa secondo criteri di ragionevolezza e
di gradualità, tenendo conto della popolazione residente,
della rilevanza dei flussi turistici presenti nel comune e
delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del
territorio comunale».
L'art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997 disciplina l'attività
regolamentare dei Comuni in materia di entrate proprie; il
seguente art. 54 abilita il Comune a fissare le tariffe e i
prezzi pubblici ai fini dell'approvazione del bilancio di
previsione e il successivo art. 62 (riproducendo in sostanza
la disposizione della l. n. 662 del 1996 sopra richiamata)
affida ai Comuni il compito di disciplinare con proprio
regolamento il nuovo regime autorizzatorio in materia di
pubblicità con il pagamento di un canone in base a tariffa,
facendo riferimento -per quel che riguarda la
«individuazione della tipologia dei mezzi di effettuazione
della pubblicità esterna che incidono sull'arredo urbano o
sull'ambiente»- alle disposizioni del codice della strada
n. 285 del 1992 e del suo regolamento di attuazione (d.P.R.
n. 495 del 1992); nella stessa disposizione è previsto che
il regolamento debba disciplinare le «procedure per il
rilascio e per il rinnovo dell'autorizzazione», indicare le
«modalità di impiego dei mezzi pubblicitari», determinare la
tariffa con criteri di ragionevolezza e gradualità in
relazione agli indicati parametri, nonché che possa fissare
«con carattere di generalità divieti, limitazioni e
agevolazioni» (al comma 3); prevede infine (al comma 4) che
il Comune procede alla rimozione dei mezzi pubblicitari
privi di autorizzazione o installati in difformità da essa.
Parallelamente al canone dovuto ex art. 62 del d.lgs. n. 446
del 1997 per l'installazione di cartelloni e di insegne
pubblicitarie, l'art. 7 del d.lgs. n. 507 del 1993 ha
previsto la debenza di una imposta, determinata in base alla
superficie della minima figura piana geometrica in cui è
circoscritto il mezzo pubblicitario, per la diffusione di
messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di
comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle
assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in
luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali
luoghi percepibile, al cui pagamento, ai sensi del
precedente art. 6, è tenuto il soggetto che dispone a
qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio
pubblicitario viene diffuso.
L’avvenuto pagamento dell’imposta sulla pubblicità da parte
della società appellata non può quindi rilevare come titolo
per l’occupazione del muro di cinta dello stadio su cui
erano situati gli impianti pubblicitari, che ha reso la
società adempiente dei soli obblighi previsti dal d.lgs. n.
507 del 1993 per l’esposizione dei cartelli pubblicitari, ma
ha fatto salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche ed il pagamento di canoni di locazione o di
concessione.
In caso di pubblicità effettuata su impianti installati su
beni appartenenti al Comune o da questo dati in detenzione,
l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude
infatti quella della tassa per l'occupazione di spazi ed
aree pubbliche, nonché il pagamento di canoni di locazione o
di concessione, atteso il chiaro tenore letterale dell'art.
9, comma 7, del d.lgs. n. 507 del 1993, in quanto l'imposta
comunale sulla pubblicità ha presupposti diversi dalla tassa
per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, come emerge
dal confronto fra gli art. 5 e 38 del d.lgs. citato,
che
individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel
mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione
dell'area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità
e, quindi, all'uso generalizzato (Cassazione civile, sez.
trib., 27.07.2012, n. 13476).
Deve consequenzialmente rilevarsi l’infondatezza della tesi
posta a base dell’impugnata sentenza, secondo cui le
autorizzazioni alla affissione degli impianti in questione
potessero interpretarsi come titoli abilitanti anche all’uso
anche del muro di cinta.
E comunque il fatto che il Comune non abbia richiesto
preventivamente alcun corrispettivo per l’uso del muro
suddetto non dimostra che esso abbia interpretato le
anzidette autorizzazioni come comprensive della fruizione
del muro stesso (né il Comune avrebbe potuto dare una tale
interpretazione, non potendo l’Amministrazione rinunciare a
percepire quanto spettante).
Deve in conclusione ritenersi la legittimità dell’ordine di
restituzione dell'area con contestuale rimozione degli
impianti.
10.2. Né, comunque, un titolo concessorio si sarebbe potuto
ritenere sussistente anche nel caso di effettivo pagamento
delle somme di cui il Comune lamenta la mancata
corresponsione, poiché il pagamento di tali importi non
sarebbe stato comunque equipollente al rilascio del
necessario provvedimento espresso, abilitativo dell’uso
dell’impianto.
10.3. Considerato che non sono state ritualmente riproposti
nel giudizio di appello, entro il termine per la
costituzione in giudizio, da parte della IGPDECAUX
Affissioni s.p.a., i motivi di ricorso di primo grado
dichiarati assorbiti dal primo giudice, nei limiti sopra
esposti l’appello va accolto e va conseguentemente respinto
il ricorso di primo grado introduttivo del giudizio, perché
infondato.
11.- Con il terzo motivo d’appello, il Comune ha riproposto
la domanda riconvenzionale respinta dal TAR, chiedendo,
ai sensi dell’art. 2041 del codice civile, la condanna della
società ad indennizzare il Comune della diminuzione
patrimoniale subita, consistente nel mancato introito del
canone per l’affitto degli spazi in questione ed ammontante,
come risulta da una certificazione del responsabile del
Settore finanziario del Comune del 03.04.2003, a circa €
1.277 per l’occupazione dello spazio con un cartello
pubblicitario di dimensioni pari a mt. 6x3.
Tenuto conto che l’area in questione è stata occupata con
sei cartelli pubblicitari di tali dimensioni, ad avviso del
Comune il canone annuo da corrispondere all’Amministrazione
ammonterebbe ad € 7.662, da moltiplicare per il numero di
anni di occupazione abusiva, “allo stato” pari a 20, per una
somma complessiva di € 153.240,00, oltre i relativi
accessori.
Con una memoria depositata il 28.05.2015, il Comune ha
quantificato l’importo dovuto dalla società in € 229.860,00,
oltre a rivalutazione ed interessi a decorrere da ogni
annualità.
11.1.- Al riguardo la società appellata ha eccepito
l’inammissibilità della domanda formulata in primo grado,
tra l’altro, per difetto di giurisdizione, poiché le
controversie relative al pagamento dei canoni di concessione
di beni pubblici, come quelle inerenti alle pretese
creditorie dell’Amministrazione per occupazioni, anche senza
titolo, di beni pubblici, sono devolute alla giurisdizione
del giudice ordinario; ciò a nulla valendo la valenza
riconvenzionale della richiesta, sia perché, ex art. 36 del c.p.c., essa non comporterebbe deroga alla giurisdizione del
giudice adito e sia perché sarebbe precluso dal criterio di
riparto l’ottenimento in via riconvenzionale di una
pronuncia del giudice amministrativo preclusa in caso di
azione principale (a nulla valendo la pretesa del Comune di
qualificare il dedotto mancato pagamento in termini di
indebito arricchimento).
11.2.- Osserva in proposito il collegio che, ai sensi
dell'art. 133, comma 1, lett. c), del c.p.a., sono devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie in materia di pubblici servizi relative a
concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti
«indennità, canoni ed altri corrispettivi» (sull’ambito di
applicazione della medesima lettera c), cfr. Cons. di Stato,
sez. V, 22.01.2015, n. 247).
In generale le controversie concernenti indennità, canoni o
altri corrispettivi che rientrano nella giurisdizione del
giudice ordinario sono quelle con concernenti pretese di
carattere meramente patrimoniale, che derivano
dall'attuazione del rapporto instauratosi tra il privato e
la pubblica amministrazione e rispetto alle quali non è
stato esercitato un potere autoritativo a tutela di
interessi generali; va, invece, riconosciuta la sussistenza
della giurisdizione del giudice amministrativo quando la
controversia coinvolga l'esercizio di poteri discrezionali
previsti da una norma giuridica e inerenti alla
determinazione del canone, dell'indennità o di altro
corrispettivo, ovvero investa l'esercizio di poteri discrezionali-valutativi nella determinazione del canone che
incidono sull'economia dell'intero rapporto concessorio, e
non semplicemente la verificazione dei presupposti fattuali
dello stesso e la quantificazione delle somme.
Con particolare riguardo ai canoni comunali sulla
pubblicità, la Corte Costituzionale, con sentenza 21.01.2010 n. 18, ha ritenuto manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma
2, secondo periodo, del d.lgs. n. 546 del 1992, come
modificato dall'art. 3-bis, comma 1, lett. b), del d.l. n.
203 del 2005, convertito, con modificazioni, nella l. n. 248
del 2005 (censurato, in riferimento all'art. 102, comma 2,
ed alla VI disposizione transitoria della Costituzione,
nella parte in cui stabilisce che appartengono alla
giurisdizione tributaria le controversie attinenti il canone
comunale sulla pubblicità).
In tema di riparto di giurisdizione (a seguito della
sentenza n. 64 del 2008, con cui la Corte costituzionale ha
dichiarato l'incostituzionalità, per contrasto con gli art.
103 Cost. e VI disp. att. Cost., dell'art. 2, comma 2, del
d.lgs. n. 546 del 1992, come modificato dall'art. 3-bis,
comma 1, lett. b, d.l. n. 203 del 2005, convertito nella l.
n. 248 del 2005) spettano alla giurisdizione del
giudice
ordinario non solo le controversie relative al canone per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) ma anche
quelle relative a qualsivoglia altra tipologia di canone che
l'Ente locale potrebbe pretendere per la concessione di
spazi ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari
(Cassazione civile sez. un. 16.04.2009 n. 8994).
In particolare è stato ritenuto dalla giurisprudenza
formatasi in materia in tema di giurisdizione che rientrano
nell’ambito della giurisdizione delle commissioni tributarie
le controversie aventi ad oggetto la debenza del canone
previsto per l'installazione di mezzi pubblicitari,
dall'art. 62 d.lgs. n. 446 del 1997, che -come ritenuto
dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 141 del 2009-
costituisce una mera variante dell'imposta comunale sulla
pubblicità di cui al d.lgs. n. 507 del 1993 e conserva,
quindi, la qualifica di tributo propria di quest'ultima,
mentre spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le
controversie relative al canone per la concessione di spazi
ed aree per l'installazione di impianti pubblicitari
(Cassazione civile, sez. un., 07.05.2010, n. 11090).
Posto quindi che sussiste la giurisdizione del giudice
amministrativo al riguardo solo in materia di impugnazione
di delibere comunali di determinazione delle tariffe
relative agli impianti pubblicitari, va ritenuto che sulla
domanda riconvenzionale dedotta in giudizio, volta ad
ottenere la condanna della società di cui trattasi ad
indennizzare il Comune della diminuzione patrimoniale
subita, consistente nel mancato introito del canone per
l’uso degli spazi in questione, deve dichiarasi il difetto
di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo
competente riguardo alla pretesa in esame il giudice
ordinario.
Resta conseguentemente assorbita l’eccezione formulata dalla
costituita società di irricevibilità della domanda in
questione.
12.- L’appello deve essere conclusivamente accolto in parte
e per l’effetto, in riforma della decisione sentenza del
TAR, va respinto il ricorso introduttivo del giudizio.
La domanda riconvenzionale riproposta in questa sede dal
Comune appellante deve essere dichiarata inammissibile per
difetto di giurisdizione
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 22.10.2015 n. 4857 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA - TRIBUTI:
Cartelli di esercizi commerciali e di vendita immobiliare.
Imposta di pubblicità.
Ai fini dell'applicazione delle
esenzioni dall'imposta di pubblicità previste dall'art. 17,
D.Lgs. n. 507/1993, in particolare di quella di cui al comma
1-bis, riferita all'insegna di esercizio, il Ministero
dell'economia e delle finanze ha richiamato la definizione
di 'insegna di esercizio' formulata dal legislatore con il
comma 6 dell'art. 2-bis del D.L. n. 13/2002, secondo cui
l'insegna è la scritta di cui all'art. 47, D.P.R. n.
495/1992, che abbia la funzione di indicare al pubblico il
luogo di svolgimento dell'attività economica.
Al riguardo, il Ministero ha precisato che l'insegna, oltre
all'indicazione del nome del soggetto o della denominazione
dell'impresa che svolge l'attività, può evidenziare anche la
tipologia e la descrizione dell'attività esercitata, nonché
i marchi dei prodotti commercializzati o dei servizi
offerti.
Il Comune illustra le caratteristiche di cartelli di
esercizi commerciali, in relazione ai quali chiede se sia
dovuta l'imposta di pubblicità, o se si versi, invece, nelle
ipotesi di esenzione, in particolare per le insegne di
esercizio, previste dalla normativa vigente in materia, di
cui al D.Lgs. n. 507/1993 [1].
Il Comune, con riferimento ai cartelli di vendita
immobiliare, pone altresì la questione dell'esenzione o meno
dall'imposta, in relazione alle loro misure e al luogo di
posizionamento.
Risulta opportuno precisare, in via preliminare, che
l'attività di questo Servizio consiste nella
rappresentazione in generale del quadro giuridico, normativo
e giurisprudenziale, inerente alle tematiche poste, tenuto
altresì conto delle indicazioni contenute nelle circolari
degli organi amministrativi competenti, in modo da fornire
agli enti locali un supporto per la soluzione dei singoli
casi concreti.
L'art. 17 del D.Lgs. n. 507/1993 elenca le fattispecie
pubblicitarie che godono dell'esenzione dal tributo, in
particolare, al comma 1-bis -inserito dall'art. 10, comma 1,
lett. c), L. n. 448/2001 [2]-
prevede che l'imposta non è dovuta per le insegne di
esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o
servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge
l'attività cui si riferiscono, di superficie complessiva
fino a 5 metri quadrati.
Il Ministero dell'economia e delle finanze è più volte
intervenuto a fornire chiarimenti in ordine alle modalità di
applicazione dell'imposta di pubblicità. E così, nelle
circolari esplicative ha sottolineato che l'esenzione di cui
al comma 1-bis è applicabile ai soli mezzi pubblicitari che
possono definirsi 'insegne di esercizio'
[3] ed ha
richiamato, al riguardo, la definizione formulata dallo
stesso legislatore con il comma 6 dell'art. 2-bis del D.L.
n. 13/2002, secondo cui l'insegna è la scritta di cui
all'art. 47 del D.P.R. n. 495/1992, che abbia la funzione di
indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività
economica, vale a dire 'la scritta in caratteri
alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da
marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi
natura, installata nella sede dell'attività a cui si
riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può
essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta'
[4].
In base a tale definizione, l'insegna, oltre all'indicazione
del nome del soggetto o della denominazione dell'impresa che
svolge l'attività, può evidenziare anche la tipologia e la
descrizione dell'attività esercitata, nonché i marchi dei
prodotti commercializzati o dei servizi offerti
[5].
Non possono, invece, essere definite 'insegne di
esercizio' le scritte relative al marchio del prodotto
venduto nel caso in cui siano contenute in un distinto mezzo
pubblicitario, che viene, cioè, esposto in aggiunta ad
un'insegna di esercizio, poiché questa circostanza manifesta
chiaramente l'esclusivo intento di pubblicizzare i prodotti
in vendita. In quest'ultimo caso, risultano esenti dal
pagamento del tributo le insegne di esercizio la cui
superficie complessiva non superi il limite dimensionale di
5 metri quadrati, mentre vanno assoggettati a tassazione i
distinti mezzi pubblicitari che espongono esclusivamente il
marchio [6].
Il Ministero ha altresì fornito delle esemplificazioni delle
scritte apprezzabili come insegne di esercizio, tra le
altre:
- la generica indicazione della tipologia dell'esercizio
commerciale (ad esempio, con la semplice scritta "Bar" o
"Alimentari");
- la precisa individuazione dell'esercizio commerciale (ad
esempio: "Bar Bianchi" o "Alimentari Azzurri");
- la generica individuazione dell'esercizio commerciale
realizzata con l'indicazione del nominativo del titolare (ad
esempio, la semplice scritta 'da Giovanni');
- l'indicazione, precisa o generica, della tipologia
dell'esercizio commerciale accompagnata nel contesto dello
stesso mezzo pubblicitario, da simboli o marchi relativi a
prodotti in vendita (ad esempio: "Bar Alfa-Caffè Beta").
Le fattispecie esemplificative del Ministero sono
espressamente dettate per andare incontro alle numerose
richieste dei comuni su casi specifici, e dovrebbero dunque
già di per sé fornire agli enti locali gli strumenti per
applicare in modo corretto l'imposta di pubblicità nelle
diverse situazioni concrete in relazione alle loro
particolarità.
In via collaborativa si possono, comunque, formulare delle
considerazioni muovendo dagli esempi indicati dal Ministero.
E così sembra potersi osservare che nelle scritte
qualificabili come insegne sono contenuti il nome
dell'operatore economico, la mera tipologia dell'attività
esercitata (bar, alimentari), il marchio commercializzato
[7],
mentre non compaiono in alcuna delle fattispecie tipizzate
riferimenti a qualità dei prodotti [8].
Peraltro, appaiono consentite anche descrizioni
dell'attività esercitata [9].
Una tale lettura appare del resto coerente con il tenore
letterale del comma 1-bis dell'art. 17 del D.Lgs. n.
507/1993, che parla di insegne di esercizio che
'contraddistinguono la sede ove si svolge l'attività cui si
riferiscono', per cui ben rientrano nella definizione quegli
elementi, quali il nome, la tipologia e la descrizione
dell'attività esercitata, nonché i marchi dei prodotti
commercializzati o dei servizi offerti [10],
idonee ad indicare al pubblico il luogo di svolgimento
dell'attività commerciale o di produzione di beni o servizi
[11].
Per quanto concerne l'assoggettamento all'imposta di
pubblicità dei cartelli di compravendita immobiliare, ai
sensi dell'art. 17 del D.Lgs. 507/1993, comma 1, lett. b),
sono esenti dall'imposta, tra gli altri, gli avvisi al
pubblico riguardanti la locazione o la compravendita degli
immobili sui quali sono affissi, di superficie non superiore
ad un quarto di metro quadrato.
Al riguardo, il Comune chiede se il limite dimensionale
indicato dalla norma (un quarto di metro quadrato) sia da
intendersi riferito alla superficie complessiva dei cartelli
di compravendita (o locazione) apposti, nel senso di
ritenersi superato dalla somma degli stessi, e se detti
cartelli possano essere affissi anche sulle pertinenze
dell'immobile o nelle parti comuni del condominio.
Per quanto concerne le dimensioni dei cartelli di
compravendita/locazione immobiliare da rispettare per
beneficiare dell'esenzione dall'imposta di pubblicità, si
osserva che la formulazione testuale della previsione
normativa in commento, per questa specifica tipologia di
cartelli, non precisa 'superficie complessiva'. Ed
invero, laddove il legislatore ha voluto esprimersi in tal
senso, lo ha esplicitamente fatto al comma 1-bis dell'art.
17, D.Lgs. n. 507/1993, relativamente alle insegne di
attività commerciali e di produzione di beni o di servizi,
esenti dall'imposta se volte a contraddistinguere la sede
ove si svolge l'attività cui si riferiscono e se, appunto,
di 'superficie complessiva fino a 5 metri quadrati'.
Il Comune osserva che con riferimento agli avvisi al
pubblico di cui all'art. 17, comma 1, lett. b), D.Lgs. n.
507/1993, richiamato, esposti nelle vetrine o nelle porte di
ingresso dei locali, il Ministero dell'economia e delle
finanze [12]
ha riferito il relativo limite dimensionale inferiore a
mezzo metro quadrato alla superficie complessiva di detti
avvisi e chiede se sia possibile estendere queste
considerazioni, per analogia, a tutte le fattispecie della
lett. b), ivi inclusi i cartelli immobiliari.
Al riguardo, posto che per giurisprudenza costante
[13] 'le
norme che concedono esenzioni fiscali, avendo carattere
eccezionale, sono insuscettibili di interpretazione
analogica', si segnala che la Corte di Cassazione
[14] ha
invece affermato che per gli avvisi al pubblico di cui
all'art. 17, comma 1, lett. b), richiamato, l'esenzione
opera purché essi non superino, ciascuno individualmente, la
superficie di mezzo metro quadrato.
Pertanto, stante il tenore letterale della disciplina
normativa dell'esenzione dei cartelli di
compravendita/locazione immobiliare, che parimenti non
specifica il limite dimensionale come riferito alla
superficie complessiva, e tenuto conto di quanto affermato
di recente dalla Corte di Cassazione in ordine al rispetto
di detto limite per ciascun cartello singolarmente, si
ritiene opportuno suggerire all'Ente di chiedere un
chiarimento ai competenti organi statali specificamente per
i cartelli di compravendita/locazione immobiliare.
Allo stesso modo, si ritiene che l'interpretazione
dell'indicazione normativa dell'affissione dei cartelli di
compravendita/locazione immobiliare 'sull'immobile',
in particolare se la stessa vada intesa come comprensiva
anche delle pertinenze, debba provenire dai competenti
organi statali. Infatti, posta la giurisprudenza restrittiva
richiamata in ordine all'interpretazione analogica delle
norme di esenzione fiscale, si osserva che un'espressa
indicazione anche delle pertinenze è prevista dal
legislatore unicamente con specifico riferimento
all'esenzione per le insegne di esercizio (art. 1, comma
1-bis, D.Lgs. n. 507/1993), quali installate nella sede
dell'attività a cui si riferiscono o nelle pertinenze
accessorie alla stessa (art. 47, D.P.R. n. 445/1992,
richiamato) [15].
---------------
[1] D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, recante: 'Revisione ed
armonizzazione dell'imposta comunale sulla pubblicità e del
diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle
province nonché della tassa per lo smaltimento dei rifiuti
urbani a norma dell'art. 4 della legge 23.10.1992, n. 421,
concernente il riordino della finanza territoriale'.
[2] L. 28.12.2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002).
[3] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare
08.02.2002, n. 1.
[4] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare
03.05.2002 n. 3; circolare 19.03.2007, n. 11159.
[5] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare
19.03.2007, n. 11159; nello stesso senso, Ministero
dell'economia e delle finanze, circolare 03.05.2002 n. 3.
[6] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n.
11159/2007, cit.. Nello stesso senso, Ministero
dell'economia e delle finanze, circolare n. 3/2002, ove si
precisa, peraltro, che la presenza, nell'ambito dello stesso
mezzo pubblicitario, delle indicazioni relative al marchio
del prodotto venduto, non fa in alcun modo venire meno la
natura di insegna di esercizio; ciò del resto trova espressa
legittimazione nella stessa nozione contenuta nel citato
art. 47 del DPR n. 495 del 1992, che stabilisce, appunto,
che la scritta distintiva della sede di svolgimento
dell'attività economica può essere 'completata eventualmente
da simboli o da marchi'.
[7] Fermo restando, come chiarito sopra, che l'aggiunta di
uno o più cartelli distinti raffiguranti esclusivamente il
marchio comporta, invece, l'applicazione dell'imposta di
pubblicità su detti cartelli.
[8] E così sembrano non poter beneficiare dell'esenzione
quei cartelli ove si esaltano le qualità e i benefici dei
prodotti venduti al fine di migliorarne l'immagine con
indicazioni ulteriori rispetto a quelle identificative
dell'attività economica esercitata.
[9] Ministero dell'economia e delle finanze, circolare n.
11159/2007, cit..
[10] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n.
11159/2007, cit..
[11] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n.
3/2002, cit..
[12] Ministero dell'economia e delle finanza, circolare n.
11159/2007, cit..
[13] Cass. civ., sez. un., 25.05.2009, n. 11986; Cass. civ.,
sez. I, 09.08.1990, n. 8111.
[14] Cass. civ., sez. VI, 16.10.2014, n. 21966.
[15] Cfr. Cass. civ., sez. V, 30.10.2009, n. 23021; Cass.
civ., sez. V, 06.12.2011, n. 26174 (25.06.2015 -
link a
www.regione.fvg.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sulla
proroga del rapporto concessorio di impianto pubblicitario.
Il Collegio ritiene che nel caso di
specie vi sia stata una proroga consensuale di fatto del
rapporto concessorio, attraverso:
- il pagamento annuale dell’imposta di pubblicità,
- la prescritta dichiarazione di cui all’articolo 8 del
d.lgs. n. 507 del 1993 e
- il correlativo comportamento tacito da parte del Comune
(cfr. l’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993: “La
dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per
gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni
degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare
dell'imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata
con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il
31 gennaio dell'anno di riferimento, sempre che non venga
presentata denuncia di cessazione entro il medesimo
termine”).
...
per l'annullamento
della nota prot. n. 35653 del 24.07.2014, con la quale
il Dirigente del Settore 4° Programmazione Urbanistica del
Comune di Lanciano ha comunicato alla società ricorrente il
non accoglimento dell'istanza volta ad ottenere la voltura
delle concessioni per gli impianti pubblicitari acquistate
dalla soc. Vinciguerra Pubblicità ed il nulla osta per la
sostituzione di tali impianti.
...
1.- Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente ha
impugnato il provvedimento con il quale il Comune di
Lanciano (Ch) ha rigettato l’istanza di voltura di alcune
concessioni all’istallazione e mantenimento di impianti
pubblicitari, presentata e acquisita agli atti in data 31.05.2014.
Secondo la motivazione del provvedimento impugnato, le
concessioni non potevano essere volturate in favore
dell’avente causa in quanto erano decadute per mancato
rinnovo alla scadenza (che sarebbe fissata in 3 anni ai
sensi dell’articolo 53, comma 6, del d.p.r. n. 595 del 1992, e
la richiesta di rinnovo deve essere presentata 60 giorni
prima ex articolo 7.7 del piano generale comunale degli
impianti pubblicitari).
Il ricorrente evidenzia che, dopo aver acquisito il relativo
ramo d’azienda dal precedente concessionario in data 23.07.2008, ha provveduto regolarmente al pagamento
dell’imposta di pubblicità, alle dichiarazioni annuali e
alle manutenzioni, senza che l’Amministrazione abbia mai
eccepito la sopravvenuta estinzione del titolo concessorio.
Il Comune resistente, nel costituirsi, ha ribadito che il
ricorrente non potrebbe aspirare alla voltura, essendo
scaduto il termine di durata massima, ma potrebbe semmai
richiedere nuove concessioni, al ricorrere dei presupposti.
2.- All’udienza del 14.05.2015 la causa è passata in
decisione.
Il ricorso è fondato.
Conformemente a quanto già deciso con la sentenza n. 88 del
2015 di questo Tribunale in una controversia analoga tra la
ricorrente ed il Comune di Vasto, il Collegio ritiene che
nel caso di specie vi sia stata una proroga consensuale di
fatto del rapporto concessorio, attraverso il pagamento
annuale dell’imposta di pubblicità, la prescritta
dichiarazione di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del
1993 e il correlativo comportamento tacito da parte del
Comune (cfr. l’articolo 8 del d.lgs. n. 507 del 1993: “La
dichiarazione della pubblicità annuale ha effetto anche per
gli anni successivi, purché non si verifichino modificazioni
degli elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare
dell'imposta dovuta; tale pubblicità si intende prorogata
con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il
31 gennaio dell'anno di riferimento, sempre che non venga
presentata denuncia di cessazione entro il medesimo
termine”).
Né il diniego di accoglimento della proroga ha i requisiti
di sostanza e di forma di una motivata revoca espressa (cfr.
Tar Pescara, sentenza n. 88 del 2015)
(TAR Abruzzo-Pescara,
sentenza 28.05.2015 n. 232 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Sistemazione di un'insegna o tabella pubblicitaria.
La sistemazione di un'insegna o tabella
pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo permesso
di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni comporti
mutamento territoriale, atteso che soltanto un sostanziale
mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia
sotto il profilo urbanistico che edilizio, fa assumere
rilevanza penale alla violazione del regolamento edilizio,
con conseguente integrazione del reato di cui all'art. 44,
comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001.
3. - Il ricorso non
è fondato.
3.1. - Le articolate argomentazioni poste dal ricorrente a
sostegno del primo motivo di doglianza si scontrano con il
consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la
sistemazione di un'insegna o tabella pubblicitaria richiede
il rilascio del preventivo permesso di costruire quando per
le sue rilevanti dimensioni comporti mutamento territoriale;
atteso che soltanto un sostanziale mutamento del territorio
nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo
urbanistico che edilizio, fa assumere rilevanza penale alla
violazione del regolamento edilizio, con conseguente
integrazione del reato di cui all'art. 44, comma 1, lettera
b), del d.P.R. n. 380 del 2001 (sez. 3, 15.01.2004, n. 5328,
rv. 227402; sez. 4, 18.01.2007, n. 6382, rv. 236104; sez. 3,
22.10.2010, n. 43249, rv. 248724).
Deve osservarsi, in particolare, che non vi è rapporto di
specialità tra la disciplina sanzionatoria penale dettata in
materia urbanistica e antisismica dal d.P.R. n. 380 del 2001
e quella, amministrativa pecuniaria, dettata dal decreto
legislativo n. 507 del 1993, in materia di imposta comunale
sulla pubblicità e pubbliche affissioni, in quanto si tratta
di sanzioni poste a tutela di interessi giuridici diversi,
presidiando la prima la pubblica incolumità e l'altra il
controllo sulle pubbliche affissioni, in relazione al loro
contenuto, alla loro natura commerciale, all'applicazione
dell'imposta sulla pubblicità.
Né a tale ricostruzione vale obiettare, come fa il
ricorrente, che l'art. 168 del d.lgs. n. 42 del 2004
richiama, per l'apposizione di cartelli con mezzi
pubblicitari in violazione delle disposizioni poste a tutela
del paesaggio, le stesse sanzioni amministrative previste
dal codice della strada, perché la tutela del paesaggio
rappresenta un interesse diverso e ulteriore rispetto ai
corretto assetto del territorio e, soprattutto, alla tutela
dell'incolumità pubblica nelle zone sismiche (ex plurimis,
Cass., sez. 3, 22.10.2010, n. 43249, rv. 248724; sez. 3,
10.04.2013, n. 39796, rv. 257677). E tale giurisprudenza ha
ampiamente superato il contrario orientamento isolatamente
espresso dalla sentenza sez. 3, 03.05.2006, n. 323,
richiamata dalla difesa.
Né può valere ad escludere la sussistenza del reato il
riferimento alla deliberazione della giunta della Regione
Calabria 22.07.2011, n. 330 (Approvazione elenco opere
dichiarate «minori». Indirizzi interpretativi in
materia di sopraelevazione di edifici esistenti). Si tratta
infatti, a ben vedere, di una delibera che, per la parte che
qui rileva, deve essere ritenuta illegittima, perché crea
ex novo la categoria delle "opere minori" che non
sarebbero soggette alla disciplina antisismica, in aperta
violazione del disposto dell'art. 83 del d.P.R. n. 380 del
2001, il quale prevede che tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità
sono soggette alla normativa antisismica, senza consentire
alle Regioni di adottare in via amministrativa deroghe per
particolari categorie di opere.
E l'illegittimità della deliberazione regionale emerge dalla
sua stessa formulazione laterale, laddove nel preambolo si
riconosce espressamente che «le norme legislative nonché
quelle tecniche in vigore non dettano, espressamente, alcuna
particolare limitazione o esclusione delle opere da
assoggettare alle discipline di cui sopra».
Anche a prescindere dalle considerazioni appena svolte, deve
in ogni caso rilevarsi che tale deliberazione
-contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente- non opera
una liberalizzazione generalizzata dell'istallazione di
strutture di sostegno per pannelli pubblicitari.
Non vi è dubbio che l'art. 2 del provvedimento stabilisca
che le opere minori individuate nell'allegato A sono
esentate dalla trasmissione del progetto presso gli uffici
regionali al fine dell'ottenimento dell'autorizzazione ai
sensi delle leggi nazionali e regionali in materia edilizia
sismica, e che in tale allegato siano comprese le «strutture
di sostegno per dispositivi di illuminazione, segnaletica
stradale, pannelli pubblicitari, insegne e simili, isolate e
non ancorati agli edifici, e qualora ancorati agli edifici,
aventi un peso complessivo uguale o inferiore a 1 KN [...]»
(punto 17 dell'allegato A).
Nondimeno, tale esenzione risulta sottoposta a due
condizioni. La prima, prevista dal successivo art. 3, è che
«la rispondenza della progettazione e della realizzazione
delle opere di che trattasi alle norme tecniche in vigore
dovrà essere certificata presso l'Ufficio tecnico del Comune
interessato, da un tecnico abilitato che dovrà dichiarare,
altresì che le stesse sono quelle riportate nel citato
elenco A».
La seconda è fissata dal richiamato punto 17 dell'allegato A, il quale
prevede che siano escluse dall'assoggettabilità alle
procedure previste in materia edilizia sismica le strutture
di sostegno, anche per pannelli pubblicitari, alla
condizione che esse siano dotate di certificato e/o brevetto
ministeriale. Ne consegue che, anche a prescindere dalla già
rilevata illegittimità della deliberazione, la stessa non
può avere in nessun caso l'effetto di depenalizzare la
condotta del ricorrente, perché la realizzazione di sostegni
per pannelli pubblicitari non è libera, ma sottoposta ai
regimi di certificazione sopra richiamati. E del resto nel
caso di specie il ricorrente non ha neanche prospettato che
il sostegno da lui realizzato fosse dotato di certificazione
ai sensi dell'art. 3 e di certificato e/o brevetto
ministeriale ai sensi dell'art. 17 dell'allegato A alla
richiamata deliberazione regionale del 22.07.2011.
In relazione, infine, alle dimensioni del manufatto, va
osservato che le stesse sono molto significative,
trattandosi di un sostegno di 60 cm di diametro e di
un'altezza all'incirca corrispondente a quella di un
edificio di due piani; con la conseguenza che le
considerazioni svolte dalla difesa circa l'esclusione dei
manufatti di piccole dimensioni dall'ambito di applicazione
della disciplina antisismica risultano comunque irrilevanti
(Corte di Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 08.05.2015 n. 19185 -
tratto da www.lexambiente.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA:
Sul risarcimento del danno patito per aver autorizzato il
comune (in ritardo) l'installazione di una insegna
pubblicitaria ben
275 giorni dalla data di apertura dell'agenzia viaggi.
Il danno da ritardo (riferito cioè alla tardiva adozione del
provvedimento ampliativo spettante) consegue
all’inadempimento dell’obbligo (legale) preesistente di
concludere il procedimento amministrativo nei termini
prefissati.
L’interesse giuridicamente protetto è qui l’aspettativa
della utilità incrementali attese per via della positiva
conclusione del procedimento, e non la generica
reintegrazione “del tempo”, il quale non costituisce (sul
versate civilistico) un autonomo “bene della vita” (come
ritiene la giurisprudenza che riconduce la fattispecie
nell’alveo dell’art. 2043 c.c.), bensì rappresenta il
presupposto (empirico) per lo sfruttamento delle possibilità
acquisitive conseguibili con il proprio agire lecito.
L’istituto intende porre l’amministrato (tramite la
compensazione economica della aspettativa non realizzata)
nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se
la l’azione amministrativa fosse stata tempestivamente
portata a compimento, distinguendosi dall’illecito aquiliano
che si muove invece nell’orbita della salvaguardia dello
status quo ante (ripristino dell’integrità patrimoniale e
riparazione del danno alla persona).
Il rimedio, in definitiva, per affinità funzionale, appare
classificabile nell’alveo della responsabilità contrattuale
(sia pure connotata da una disciplina meno favorevole per
l’avente diritto, dettandosi un termine prescrizionale più
breve).
Ne consegue che l’antigiuridicità della condotta è di per sé
qualificata dalla violazione del termine legale, laddove il
riferimento alla “ingiustizia” (pure contenuto nell’art.
2-bis della legge 241/1990) è una mera superfetazione, in
quanto non costituisce un ulteriore elemento esplicativo
della fattispecie risarcitoria.
Tale conclusione non è contraddetta dalla considerazione per
cui non sarebbe sufficiente, ai fini della risarcimento, il
mero superamento del termine di conclusione del
procedimento, occorrendo provare l’effettivo nocumento
patito; ciò, infatti, attiene alla selezione del danno
risarcibile e non alla ingiustizia della lesione.
---------------
Venendo da ultimo agli accessori si osserva che
nell’obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di
valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato
nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe
trovato se il danno non fosse stato prodotto), la
rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile
strumento di risarcimento dell’eventuale maggior danno da
mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello
già coperto dagli interessi legali (così come accade nelle
obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art. 1224, comma 2,
c.c.), ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione
attuale del valore perduto dal creditore in termini monetari
attuali.
Valendo la rivalutazione a realizzare il “petitum”
originario, per i debiti di valore essa può essere
effettuata d’ufficio anche in difetto di esplicita richiesta
di rivalutazione, tenendo comunque conto della svalutazione
monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della
liquidazione se il danno era determinabile in una somma di
denaro in relazione all’epoca in cui era stato prodotto,
salvo chiaramente che il danneggiato non abbia manifestato
un’espressa ed inequivoca volontà contraria.
---------------
Il riconoscimento degli interessi, invece, rappresenta una
modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore da
lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei casi
in cui la rivalutazione monetaria dell’importo liquidato in
relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la liquidazione in
valori monetari attuali, non valgano a reintegrare
pienamente il creditore.
Pertanto, il mero ritardo nella percezione dell’equivalente
monetario non dà automaticamente diritto alla corresponsione
degli interessi, occorrendo a tal fine l’allegazione e la
prova del danno ulteriore subito dal creditore, che si
realizza solo se ed in quanto la somma rivalutata (o
liquidata in moneta attuale) risulti inferiore a quella di
cui il danneggiato avrebbe disposto, alla data della
sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta
fosse stato tempestivo (ovvero all’epoca del pregiudizio).
L’accertamento di tale danno, secondo la giurisprudenza, può
aver luogo anche in base a criteri presuntivi ed equitativi
collegati al rapporto tra remuneratività media del denaro e
tasso di svalutazione nel periodo in considerazione (criteri
quale l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito
valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del
caso), essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia
inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà
normalmente configurabile (Cass., sez. III, 28.07.2005 n.
15823; Cass., sez. III, 26.02.2004 n. 3871; Cass., sez. III,
18.03.2003 n. 3994, secondo cui l’onere di provare che la
somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta attuale, sia
inferiore a quella di cui il creditore avrebbe disposto alla
data della sentenza se il pagamento della somma
originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto a
carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a
mezzo di presunzioni).
Qualora la prova del danno maggiore sia riconosciuta dal
giudice, gli interessi non possono essere calcolati (dalla
data dell’illecito) sulla somma liquidata per il capitale,
definitivamente rivalutata, mentre è possibile determinarli
con riferimento ai singoli momenti (da stabilirsi in
concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai
quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa
nominalmente, in base ai prescelti indici di rivalutazione
monetaria, ovvero in base ad un indice medio.
... per la condanna delle amministrazioni resistenti
al risarcimento dei danni subiti dal ricorrente per
inosservanza colposa del termine di 60 giorni per la
conclusione del procedimento amministrativo di
autorizzazione all’installazione di insegne pubblicitarie ex
art. 53, comma 5, del d.P.R. 16.12.1992, n. 495.
...
III. Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato nei
limiti che seguono.
III.1. Il danno da ritardo (riferito cioè alla tardiva
adozione del provvedimento ampliativo spettante) consegue
all’inadempimento dell’obbligo (legale) preesistente di
concludere il procedimento amministrativo nei termini
prefissati. L’interesse giuridicamente protetto è qui
l’aspettativa della utilità incrementali attese per via
della positiva conclusione del procedimento, e non la
generica reintegrazione “del tempo”, il quale non
costituisce (sul versate civilistico) un autonomo “bene
della vita”
(come ritiene la giurisprudenza che riconduce la fattispecie
nell’alveo dell’art. 2043 c.c.: cfr. Consiglio di Stato,
sez. IV, 04.09.2013 n. 4452; Consiglio di Stato, sez. V,
28.02.2011 n. 1271), bensì rappresenta il presupposto
(empirico) per lo sfruttamento delle possibilità acquisitive
conseguibili con il proprio agire lecito.
L’istituto intende porre l’amministrato (tramite la
compensazione economica della aspettativa non realizzata)
nella stessa situazione in cui questi si sarebbe trovato se
la l’azione amministrativa fosse stata tempestivamente
portata a compimento, distinguendosi dall’illecito aquiliano
che si muove invece nell’orbita della salvaguardia dello
status quo ante (ripristino dell’integrità patrimoniale
e riparazione del danno alla persona). Il rimedio, in
definitiva, per affinità funzionale, appare classificabile
nell’alveo della responsabilità contrattuale (sia pure
connotata da una disciplina meno favorevole per l’avente
diritto, dettandosi un termine prescrizionale più breve).
Ne consegue che l’antigiuridicità della condotta è di per sé
qualificata dalla violazione del termine legale, laddove il
riferimento alla “ingiustizia” (pure contenuto
nell’art. 2-bis della legge 241/1990) è una mera
superfetazione, in quanto non costituisce un ulteriore
elemento esplicativo della fattispecie risarcitoria. Tale
conclusione non è contraddetta dalla considerazione per cui
non sarebbe sufficiente, ai fini della risarcimento, il mero
superamento del termine di conclusione del procedimento,
occorrendo provare l’effettivo nocumento patito; ciò,
infatti, attiene alla selezione del danno risarcibile e non
alla ingiustizia della lesione.
III.2. Nel caso di specie, è incontestato tra le parti che
il provvedimento conclusivo del procedimento è stato
concretamente adottato 275 giorni dopo la presentazione
dell’istanza (più precisamente 262 dovendosi scomputare la
sospensione procedimentale necessaria per l’integrazione
documentale tra il 26.01.2012 e il 09.05.2012).
IV. Non sono fondati gli argomenti spesi da controparte per
contestare l’imputazione oggettiva del danno in capo
all’amministrazione.
IV.1. In primo luogo, non appare condivisibile l’eccezione
secondo cui il comportamento omissivo del danneggiato (che
non avrebbe mai sollecitato la conclusione del procedimento,
né proposto azione avverso il silenzio ex art. 117 c.p.a.)
avrebbe reciso il nesso causale tra la dilatazione dei
termini procedimentali e l’evento dannoso. Come è noto,
l’azione risarcitoria (art. 30 c.p.a.) è autonoma, in quanto
non pregiudicata (né sul versante sostantivo, né su quello
processuale) dall’accoglimento della domanda avverso il
silenzio.
Sotto il profilo della evitabilità del danno, il ricorrente
ha dedotto, senza alcuna specifica contestazione di
controparte, di aver provveduto più volte, per il tramite
del proprio tecnico (Arch. S.Z.), a sollecitare i tecnici
del Comune di Melzo (Arch. C.C., l’Ing. P.C. e l’Arch. A.C.).
Per contro, ma la cosa non sembra posta in discussione
neppure dallo stesso ricorrente, i giorni attesi da
quest’ultimo (ulteriori 21 giorni), una volta ottenuta
l’autorizzazione in data 23.01.2013, prima di provvedere al
ritiro della stessa, non sono imputabili all’inadempimento
dell’amministrazione.
IV.2. Neppure è condivisibile l’affermazione alla cui
stregua il tempo impiegato dal Sig. S. per avanzare
l’istanza di autorizzazione all’apposizione dell’insegna
(pur avendo egli stipulato già in data 19.11.2011 il
contratto di compravendita immobiliare per l’acquisto del
nuovo immobile) dovrebbe dimostrare che egli non aveva
alcuna urgenza di ottenere il provvedimento autorizzativo
all’installazione dell’insegna. Difatti, ciò che rileva ai
nostri fini è soltanto il nocumento di non aver potuto
esporre l’insegna per un certo periodo a causa dell’inerzia
amministrativa.
V. Sul versante dell’imputazione soggettiva,
l’amministrazione (cui incombeva il relativo onere) non ha
fornito al Collegio alcuna esimente della disfunzione
organizzativa dimostrata.
VI. Venendo ora alle singole voci di danno concretamente
risarcibile, è utile rimarcare che spetta al ricorrente
fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del
pregiudizio, non potendosi invocare qui il principio
acquisitivo. La sussistenza del un danno non può, infatti,
presumersi quale automatica conseguenza della tardiva
adozione di un provvedimento favorevole all’interessato nei
tempi legali.
VII. Il ricorrente lamenta in prima battuta un significativo
calo di guadagno (quantificato in € 30.335,75) riconducibile
alla mancanza di visibilità dell’agenzia da parte della
clientela turistica. Ai fini della quantificazione, allega
la documentazione fiscale e contabile la quale proverebbe
per tabulas il calo del volume intermediato passato da €
1.925.212,00 (per l’anno 2011) a € 1.621.854,49 (per l’anno
2012) per una differenza negativa pari a € 303.357,51. Il
calo dell’utile, tenuto conto che le percentuali medie di
agenzia ammontano a circa il 10% del volume intermediato,
viene calcolato nella misura del 10% di € 303.357,51.
VII.1. Il Comune resistente, oltre a contestare la
documentazione contabile, replica che non vi sarebbe stato
alcun calo di volume di affari del ricorrente. Non vi
sarebbe stata alcuna difficoltà della clientela a
individuare l’agenzia viaggi, la quale sarebbe stata
perfettamente visibile in quanto collocata in locali che
hanno ben tre ampie vetrine sulla pubblica via nelle quali
sarebbe stato ben possibile esporre materiale pubblicitario
e di richiamo della clientela.
VII.2. Ricorda il Collegio che l’insegna,
contraddistinguendo lo stabilimento dell’azienda, è deputata
a favorire l’incontro tra imprenditore e clienti. Il valore
economico dell’insegna è confermato dalla tutela giuridica
appositamente apprestata ai segni distintivi dei locali nei
quali si svolge l’attività commerciale (art. 2568 c.c.).
Quanto alla sussistenza del danno nell’an, il ricorrente ha
allegato circostanze di fatto senza dubbio precise. Appare,
invece, nel quantum, alquanto incerto stabilire quale
ammontare del calo di volume intermediato sia riconducibile
alla mancata esposizione dell’insegna e non ad altri fattori
(si pensi alla temporanea perdita della clientela anteriore
al trasferimento, ovvero alla diminuzione della domanda
aggregata dovuta alla recente crisi economica).
L’impossibilità di provare l'ammontare preciso del
pregiudizio subito consente, a questo punto di dare ingresso
alla valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226
c.c. Il Collegio, tenuto conto dei valori esemplificati dai
bilanci, del possibile concorso di altri fattori eziologici,
del periodo di mancata esposizione dell’insegna, ritiene di
potere quantificare il lucro cessante in via equitativa in €
12.000,00.
VIII. Quale ulteriore voce di danno, afferma il ricorrente
che non avrebbe mai intrapreso la scelta di trasferire
l’Agenzia in una nuova ubicazione se solo avesse saputo di
dover attendere così tanto tempo per ottenere
l’autorizzazione all’apposizione dell’insegna, con la
conseguenza che i costi così sopportati (spese di trasloco,
cauzione, computer, consulenza per locazione negozio,
registrazione contratto, spese architetto), costituirebbero
voci di danno risarcibile.
VIII.1. Sennonché, tale pretesa non è affatto omogenea
rispetto all’interesse (positivo) al provvedimento per la
cui tardiva adozione si invoca il risarcimento. Il danno da
ritardo (su cui è incentrato l’intero ricorso) non è
cumulabile con il danno da mera ”incertezza” (derivante cioè
dalla semplice attesa di conoscere l’esito dell’istanza),
integrando essi fattispecie del tutto alternative.
Il primo
è, come si è visto, connesso alla aspettativa di utilità
conseguibile tramite l’ottenimento dell’autorizzazione
(interesse positivo); il secondo è riferito al pregiudizio
derivante dalla lesione dell’affidamento qualificato del
cittadino a non essere coinvolto nelle ingiustificate
lungaggini procedimentali della pubblica amministrazione
(interesse negativo).
IX. Si lamenta, altresì, che la mancanza dell’insegna per
ben 275 giorni dalla data di apertura dell'agenzia avrebbe
causato un evidente danno anche all’immagine dell’agenzia
viaggi.
IX.1. Sennonché, tale richiesta, ove interpretata nel senso
che la diminuzione della considerazione nutrita nei
confronti dell’agenzia viaggi avrebbe determinato un
pregiudizio di tipo patrimoniale per perdita di chances
(come sembrerebbe desumersi dalla affermazione secondo cui
“tal danno potrebbe essere ritenuto direttamente
proporzionale e pari alla diminuzione dei guadagni subiti
dal ricorrente per cause imputabili alla mancanza
dell'insegna”), appare evidentemente ricompresa nella voce
di danno precedentemente esaminata (sub VII).
IX.2. Ove, per contro, ci si riferisca al danno all’immagine
non patrimoniale, la pretesa è sfornita di qualsivoglia
prova. Gli artt. 1218 e 1223 c.c distinguono in modo chiaro
tra l’inadempimento (ossia la lesione) e la perdita (solo
eventuale). Un limite strutturale del nostro sistema di
responsabilità afferisce proprio all’oggetto del
risarcimento, che non può consistere se non in una perdita
cagionata dalla lesione di una situazione giuridica
soggettiva dal momento che l’evento, il fatto materiale e
naturalistico, quale effetto del comportamento ingiusto, non
può avere alcuna rilevanza autonoma.
Il danno alla persona
(sia esso biologico, emotivo e interiore, ovvero attinente
alle variazione delle scelte di vita) è risarcibile soltanto
come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione.
E’ sempre necessaria, a questa stregua, la dimostrazione che
la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello
indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o
privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla
quale il risarcimento deve essere equitativamente
commisurato; non è possibile da parte di chi lo invoca il
mero utilizzo di formule standardizzate occorrendo, invece,
l’allegazione e la prova di concrete circostanze comprovanti
l’alterazione delle abitudini di vita.
Pur ammettendosi il
ricorso a valutazioni prognostiche presuntive (art. 2729
c.c.), il danneggiato è tenuto all’allegazione e alla prova
di tutti gli elementi idonei a fornire al giudice dati
obiettivi di presunzione. Nella specie, le deduzioni
contenute in ricorso, stante il loro contenuto generico e
apodittico, sono del tutto insufficienti a provare che la
mancata esposizione dell’insegna abbia di per sé comportato
la diminuzione della considerazione da parte dei consociati,
determinando una proiezione negativa sulla reputazione
dell’impresa commerciale immediatamente percepibile dalla
collettività.
X. Venendo da ultimo agli accessori si osserva che
nell’obbligazione risarcitoria (che costituisce debito di
valore in quanto diretta alla reintegrazione del danneggiato
nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe
trovato se il danno non fosse stato prodotto), la
rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile
strumento di risarcimento dell’eventuale maggior danno da
mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello
già coperto dagli interessi legali (così come accade nelle
obbligazioni pecuniarie ai sensi dell'art. 1224, comma 2,
c.c.), ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione
attuale del valore perduto dal creditore in termini monetari
attuali.
Valendo la rivalutazione a realizzare il “petitum”
originario, per i debiti di valore essa può essere
effettuata d’ufficio anche in difetto di esplicita richiesta
di rivalutazione, tenendo comunque conto della svalutazione
monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della
liquidazione se il danno era determinabile in una somma di
denaro in relazione all’epoca in cui era stato prodotto,
salvo chiaramente che il danneggiato non abbia manifestato
un’espressa ed inequivoca volontà contraria (cfr. Cass.,
sez. III, 14.11.2000, n. 14743).
X.1. Il riconoscimento degli interessi, invece, rappresenta
una modalità di liquidazione del possibile danno ulteriore
da lucro cessante, cui è consentito fare ricorso solo nei
casi in cui la rivalutazione monetaria dell’importo
liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la
liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a
reintegrare pienamente il creditore.
Pertanto, il mero
ritardo nella percezione dell’equivalente monetario non dà
automaticamente diritto alla corresponsione degli interessi,
occorrendo a tal fine l’allegazione e la prova del danno
ulteriore subito dal creditore, che si realizza solo se ed
in quanto la somma rivalutata (o liquidata in moneta
attuale) risulti inferiore a quella di cui il danneggiato
avrebbe disposto, alla data della sentenza, se il pagamento
della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo
(ovvero all’epoca del pregiudizio).
L’accertamento di tale
danno, secondo la giurisprudenza, può aver luogo anche in
base a criteri presuntivi ed equitativi collegati al
rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di
svalutazione nel periodo in considerazione (criteri quale
l’attribuzione degli interessi ad un tasso stabilito
valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del
caso), essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia
inferiore al secondo, un danno da ritardo non sarà
normalmente configurabile (Cass., sez. III, 28.07.2005
n. 15823; Cass., sez. III, 26.02.2004 n. 3871; Cass.,
sez. III, 18.03.2003 n. 3994, secondo cui l’onere di
provare che la somma rivalutata, ovvero liquidata in moneta
attuale, sia inferiore a quella di cui il creditore avrebbe
disposto alla data della sentenza se il pagamento della
somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo, è posto
a carico del creditore stesso, che può adempiervi anche a
mezzo di presunzioni).
Qualora la prova del danno maggiore
sia riconosciuta dal giudice, gli interessi non possono
essere calcolati (dalla data dell’illecito) sulla somma
liquidata per il capitale, definitivamente rivalutata,
mentre è possibile determinarli con riferimento ai singoli
momenti (da stabilirsi in concreto, secondo le circostanze
del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene
perduto si incrementa nominalmente, in base ai prescelti
indici di rivalutazione monetaria, ovvero in base ad un
indice medio (cfr. il noto arresto Cass., sez. un.,
17.02.1995, n. 1712).
X.2. Tanto premesso, nel caso che ci occupa, sulla somma
riconosciuta a titolo risarcitorio, valutando tutte le
circostanze obiettive e soggettive del caso, il Collegio
ritiene dovuta alla parte ricorrente, oltre alla
rivalutazione, anche il risarcimento derivante dal maggior
danno subito per il ritardato pagamento della somma dovuta a
titolo di risarcimento.
Presumendo, infatti, un normale
utilizzo del danaro da parte del danneggiato (in mancanza di
deduzioni specifiche da parte del ricorrente), il
pregiudizio economico derivato dal ritardato pagamento (da
computarsi a far data dalla sottoscrizione del contratto)
può essere equamente determinato ipotizzando un impiego
della somma nelle forme più comuni di risparmio (titoli di
Stato) e considerando il rendimento di tali forme di
investimento e il tasso medio dell’interesse legale del
periodo in oggetto.
Si ritiene pertanto conforme ad equità
liquidare gli interessi nella misura del 2 % annuo (stimato
ragionevole, anche alla luce dell’intervenuta inflazione)
per il periodo sopra indicato. La base del calcolo degli
interessi, è costituita dall’importo medio dato dalla media
aritmetica tra la somma liquidata ad oggi, e quella dovuta
all’epoca del fatto (ottenuta devalutando il primo importo
per il coefficiente dato dagli indici nazionali dei prezzi
al consumo pubblicati annualmente da ISTAT).
X.3. Dal deposito della presente sentenza (che rappresenta
il momento in cui, per effetto della liquidazione
giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di
valuta), sulla somma totale sono dovuti gli interessi legali
fino all’effettivo soddisfo
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 12.01.2015 n. 94 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2014 |
|
EDILIZIA PRIVATA: E'
legittima la revoca d'ufficio
dell’autorizzazione per l'esposizione di mezzi pubblicitari,
in precedenza rilasciata, laddove le insegne pubblicitarie
luminose precedentemente autorizzate dal Comune indicavano
l’esercizio della ricorrente quale “Medicina Estetica
Solarium”, mentre il provvedimento di revoca riguarda
unicamente la parola “Medicina”, in quanto l’attività medica
indicata nelle suddette insegne non risulta autorizzata dal
Comune in riferimento all’esercizio della ricorrente.
Invero, solo il rilascio di una specifica autorizzazione a
tale delicata attività ai sensi della L.R. Emilia Romagna n.
34/1998 consente all’impresa interessata di pubblicizzarne
l’esercizio.
Ciò premesso, è evidente che la fattispecie in esame rientri
a pieno titolo tra i casi in cui il provvedimento adottato
dalla P.A. è legittimo ex art. 21-octies L. n. 241 del 1990,
poiché esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso,
anche se l’interessato avesse potuto partecipare al relativo
procedimento perché destinatario dell’avviso ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990.
Con il presente ricorso, la legale rappresentante di una
società operante nel settore dei servizi estetici per la
persona chiede l’annullamento del provvedimento in data
12/03/2007, con il quale il Comune di Modena ha parzialmente
revocato d'ufficio l’autorizzazione per l'esposizione di
mezzi pubblicitari in precedenza rilasciata alla società. Le
insegne pubblicitarie luminose precedentemente autorizzate
dal Comune indicavano l’esercizio della ricorrente quale “Medicina
Estetica Solarium”, mentre il provvedimento di revoca
riguarda unicamente la parola “Medicina”, in quanto
l’attività medica indicata nelle suddette insegne non
risulta autorizzata dal Comune in riferimento all’esercizio
della ricorrente.
La società ritiene illegittimo detto provvedimento per un
unico articolato motivo rilevante violazione dell’art. 7
della L. n. 241 del 1990.
Il comune di Modena, costituitosi in giudizio, ritiene
infondato il ricorso e ne chiede, conseguentemente, la
reiezione.
Alla pubblica udienza del 29.05.2014 la causa è stata
chiamata ed è stata quindi trattenuta per la decisione come
da verbale.
Il Collegio osserva che il ricorso non è meritevole di
accoglimento, stante che, nella specie, la parziale revoca
dell’autorizzazione pubblicitaria (nella parte in cui
indicava un’attività: quella medica -mai autorizzata
dall’amministrazione comunale v. provv. impugnato doc. n. 1
della ricorrente), assume i connotati del provvedimento
dovuto, stante che, appunto, solo il rilascio di una
specifica autorizzazione a tale delicata attività ai sensi
della L.R. Emilia Romagna n. 34 del 1998 consente
all’impresa interessata di pubblicizzarne l’esercizio. Ciò
premesso, è evidente che la fattispecie in esame rientri a
pieno titolo tra i casi in cui il provvedimento adottato
dalla P.A. è legittimo ex art. 21-octies L. n. 241 del 1990,
poiché esso non avrebbe potuto avere un contenuto diverso,
anche se l’interessato avesse potuto partecipare al relativo
procedimento perché destinatario dell’avviso ex art. 7 della
L. n. 241 del 1990 (v. ex multis: TAR Campania –Na-
sez. VI, 06/02/2014 n. 791; TAR Sardegna, sez. II,
27/11/2013 n. 758).
Per le suesposte ragioni, il ricorso è respinto
(TAR Emilia Romagna-Bologna, Sez. II,
sentenza 08.09.2014 n. 838 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Parere in merito all'applicazione della legge 326/2003 e
della legge regionale 12/2004 agli impianti pubblicitari -
Procura presso il Tribunale di Viterbo (Regione Lazio,
parere 04.08.2014 n. 125798 di prot.). |
EDILIZIA PRIVATA: G.
Milizia,
Guerra dei cartelloni pubblicitari: quando è possibile
richiederne la rimozione per violazione del nesso di
vicinitas e degli interessi commerciali?
(07.01.2014 - link a www.diritto.it). |
anno 2013 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Sussiste difetto di
giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei
provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari
posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n.
285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale
misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e
dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con
riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento
del Comune che dispone la rimozione dell’impianto
pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23
costituisce un accessorio della sanzione amministrativa
pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico
proprietario della strada per assicurare il rispetto delle
disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che
l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi
del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n.
689/1981.
Il consolidato orientamento della Cassazione (Cass. Civ., sez. un.,
23.06.2010 n. 15170; 14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334;
06.06.2007 n. 13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721), condiviso dal
Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 31.10.2012, n.5556) è
nel senso che “sussiste difetto di giurisdizione del G.A.
con riguardo all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione
di impianti pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi
dell’art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine
deriva direttamente, quale misura consequenziale,
dall’accertamento della violazione e dall’irrogazione della
prescritta sanzione pecuniaria, con riferimento al codice
della strada, sicché il provvedimento del Comune che dispone
la rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di
detto articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione
amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente
pubblico proprietario della strada per assicurare il
rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la
conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O.,
competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22
e 23 della legge n. 689/1981”.
L’assunto della ricorrente, secondo cui l’impianto non può
essere qualificato abusivo in quanto conforme ad
un’autorizzazione valida ed efficace, non muta i termini
della questione. Non venendo in discussione la legittimità
dell’autorizzazione, quella prospettata è, infatti, una
questione di merito relativa alla legittimità della
sanzione, pertanto inidonea ad incidere sulla giurisdizione.
Spetterà al giudice competente valutare se l’esistenza
dell’autorizzazione renda configurabile l’illecito
contestato e se sia quindi fondata la pretesa sanzionatoria
dell’ente.
La questione accede, pertanto, a quella pendente davanti al
giudice civile, definita in primo grado con l’annullamento
del verbale che costituisce i presupposto della diffida.
Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice
amministrativo, essendo la controversia di competenza del
giudice ordinario presso il quale può essere riassunta ex
art. 11 c.p.a. (TAR Abruzzo-L'Aquila,
sentenza 19.12.2013 n. 1070 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
In termini astratti, si concorda con quanto
ritenuto dal Comune nelle ordinanze impugnate, e dalla
giurisprudenza ivi citata, ovvero sulla possibilità che sia
necessario munirsi di titolo edilizio per qualsiasi
intervento di modifica del suolo, e quindi al limite anche
per la posa di un cartello pubblicitario come quelli che qui
rilevano.
Tale astratta possibilità deve però essere valutata alla
luce delle normative regionali in concreto di volta in volta
vigenti, emanate nell’esercizio della competenza concorrente
in materia di governo del territorio di cui all’art. 117,
comma 2, Cost. Nel caso presente, rileva l’art. 33, comma 1,
della l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12, che assoggetta a
permesso di costruire solo gli interventi di “trasformazione
urbanistica ed edilizia”, ovvero impattanti in maniera in
qualche modo significativa sul territorio.
Tale non è la posa di un cartello pubblicitario come quelli
per cui è causa ovverosia cartello cd. bifacciale, ovvero da
un pannello rettangolare, sostenuto da un plinto di cemento
infisso al suolo e idoneo a recare su ogni faccia il
messaggio promozionale desiderato dal cliente, delle
dimensioni di 2 metri per 2 metri.
...
per l’annullamento,
previa adozione della misura cautelare:
●
dell’ordinanza 15.02.2010 n. 21, conosciuta il successivo 18 febbraio,
con la quale il Responsabile del settore tecnico del Comune
di Trescore Balneario ha ingiunto alla Carminati
Allestimenti S.r.l. di rimuovere in quanto abusivo un
impianto pubblicitario collocato in territorio comunale,
sulla S.S. n. 42 al Km 33 + 855 lato destro;
●
dell’ordinanza
15.02.2010 n. 23, conosciuta il successivo 18 febbraio,
con la quale il medesimo Responsabile del settore tecnico ha
ingiunto alla Carminati Allestimenti S.r.l. di rimuovere in
quanto abusivo un impianto pubblicitario collocato in
territorio comunale, sulla S.S. n. 42 al Km 33 + 950 lato
destro;
...
La Carminati Allestimenti S.r.l., odierna ricorrente, nota
azienda attiva nel settore della cartellonistica
pubblicitaria, ha ricevuto le due ordinanze meglio indicate
in epigrafe, che le prescrivono di rimuovere in quanto
asseritamente abusivi, due impianti pubblicitari siti in
Comune di Trescore Balneario, lungo il tracciato della S.S.
42 sul lato destro, alle progressive 33+855 e 33+950, e
costituiti entrambi da un cd. cartello bifacciale, ovvero da
un pannello rettangolare, sostenuto da un plinto di cemento
infisso al suolo e idoneo a recare su ogni faccia il
messaggio promozionale desiderato dal cliente.
Le ordinanze
in questione, di identico tenore, ritengono che i manufatti
in parola si trovino nella zona indicata come “zona 2”
dall’art. 122 del regolamento edilizio comunale, in cui sono
ammesse le affissioni pubblicitarie le quali rispettino
quanto previsto dal codice della strada e dal regolamento
edilizio in questione; ritengono poi che nella specie i
manufatti tali prescrizioni non rispettino, perché assistiti
soltanto da una autorizzazione dell’ANAS in scadenza al 31.12.2010 per il primo e scaduta il 31.12.2009 per
il secondo, e privi invece sia di autorizzazione comunale ad
occupare il suolo pubblico, sia di permesso di costruire,
titoli ritenuti entrambi necessari (doc. ti ricorrente 1 e
2, copie ordinanze impugnate; doc.ti ricorrente 3 e 4,
estratti regolamento edilizio Comune Trescore).
Avverso tali ordinanze e attraverso le presupposte norme
regolamentari, di cui pure meglio in epigrafe, propone ora
impugnazione la Carminati, con ricorso articolato in tre
motivi:
- con il primo di essi, rubricato come terzo a p.14
dell’atto, deduce violazione dell’art. 7 della l. 07.08.1990 n. 241, per avere il Comune omesso di inviarle l’avviso
di inizio del procedimento;
- con il secondo motivo, rubricato come primo a p.5
dell’atto, deduce violazione dell’art. 23 del d.lgs. 30.04.1992 n. 285 e dell’art. 53, comma 1, lettera a), del DPR
16.12.1992 n. 495, cd. Codice della strada e relativo
regolamento di esecuzione, poiché per cartelli come quelli
per cui è causa, siti all’esterno del centro abitato, la
competenza a rilasciare l’autorizzazione necessaria alla
posa è dell’ANAS, ente proprietario della strada, non già
del Comune, non essendo dovuta una distinta ed ulteriore
autorizzazione comunale ad occupare il suolo pubblico;
- con il terzo motivo, rubricato come secondo a p.10
dell’atto, deduce violazione delle medesime norme, poiché
impianti come quelli per cui è causa, delle dimensioni di 2
metri per 2 metri, non richiedono nemmeno il permesso di
costruire.
...
E’ poi fondato anche il terzo motivo di ricorso, fondato
sulla non necessità di titolo edilizio per i manufatti per i
quali è processo. In termini astratti, si concorda con
quanto ritenuto dal Comune nelle ordinanze impugnate, e
dalla giurisprudenza ivi citata, ovvero sulla possibilità
che sia necessario munirsi di titolo edilizio per qualsiasi
intervento di modifica del suolo, e quindi al limite anche
per la posa di un cartello pubblicitario come quelli che qui
rilevano.
Tale astratta possibilità deve però essere valutata alla
luce delle normative regionali in concreto di volta in volta
vigenti, emanate nell’esercizio della competenza concorrente
in materia di governo del territorio di cui all’art. 117,
comma 2, Cost. Nel caso presente, rileva l’art. 33, comma 1,
della l.r. Lombardia 11.03.2005 n. 12, che assoggetta a
permesso di costruire solo gli interventi di “trasformazione
urbanistica ed edilizia”, ovvero impattanti in maniera in
qualche modo significativa sul territorio. Tale non è la
posa di un cartello pubblicitario come quelli per cui è
causa, così come ritenuto su un caso identico da TAR
Lombardia Milano 13.02.2008 n. 2948, correttamente
citata dalla ricorrente.
Devono essere quindi annullate sia le ordinanze impugnate
sia le previsioni regolamentari illegittime da esse
presupposte, così come in dispositivo
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. I,
sentenza 09.10.2013 n. 832 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Si osserva in giurisprudenza che “le finalità di
delimitazione del centro abitato proprie del Codice della
Strada si presentano diverse da quelle per le quali deve
essere definito il centro abitato, in base alla disciplina
urbanistico-edilizia che presenta per di più una diversa
definizione di centro abitato. Proprio perché, nei due casi,
differenti sono i presupposti di legge, differenti le
finalità cui tende l'Amministrazione nell'esercizio del
proprio potere di ricognizione, differenti gli organi del
Comune competenti alla detta ricognizione, non può ritenersi
che una individuazione del centro abitato effettuata (per
espressa previsione di legge) al fine di regolamentare la
circolazione stradale, possa spiegare effetti nel ben
diverso campo della pianificazione urbanistica”.
Ebbene, nell’ampia nozione di circolazione stradale non può
non farsi rientrare anche la disciplina della collocazione
dei mezzi pubblicitari lungo gli assi stradali, potendo
costituire fonte di intralcio o comunque di disturbo alla
circolazione, tanto è vero che lo stesso regolamento di
esecuzione del codice della strada dedica a tale tematica
diverse norme. Ne consegue che la delibera giuntale di
delimitazione del centro abitato costituisce parametro di
riferimento, in sede di esame delle istanze in questione, ai
fini della individuazione del centro abitato, poggiando tale
legittimazione sulla stessa norma generale di cui all’art. 4
del Codice della Strada, in virtù della riconducibilità
della fattispecie alla nozione di circolazione stradale, e
quindi a prescindere da un espresso richiamo in sede di
regolamento locale.
Parte ricorrente valorizza la previsione di cui
all’art. 4 del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 (nuovo Codice della
Strada), il cui comma 1, così testualmente prevede: “Ai fini
dell'attuazione della disciplina della circolazione
stradale, il comune, entro centottanta giorni dalla data di
entrata in vigore del presente codice, provvede con
deliberazione della Giunta alla delimitazione del centro
abitato”. Il ricorrente assume, pertanto, che la portata
applicativa della delibera giuntale di delimitazione del
centro abitato non includerebbe anche le istanze di
installazione di mezzi pubblicitari, soccorrendo a tal uopo
la stessa generale definizione di centro abitato che offre
il Codice della Strada all’art. 3, comma 1, punto 8).
La
doglianza –che non va fulminata di inammissibilità, come
invece eccepito da parte resistente, in quanto della
delibera di G.C. di individuazione del centro abitato se ne
assume non la illegittimità quanto la estraneità alla
normativa di riferimento– non persuade il Collegio. Invero,
la norma dell’art. 4, testé riprodotta, colloca la prevista
attività di delimitazione del centro abitato in una precisa
dimensione teleologica, tant’è che, per espressa previsione
della medesima disposizione, essa deve avvenire ai fini
dell'attuazione della disciplina della circolazione stradale
e fornisce, inoltre, all'art. 3 n. 8, una nozione di centro
abitato affatto diversa da quella prevista in sede
urbanistica dall'art. 18, l. n. 865 del 1971.
Si osserva,
infatti, in giurisprudenza che “le finalità di delimitazione
del centro abitato proprie del Codice della Strada si
presentano diverse da quelle per le quali deve essere
definito il centro abitato, in base alla disciplina
urbanistico-edilizia che presenta per di più una diversa
definizione di centro abitato. Proprio perché, nei due casi,
differenti sono i presupposti di legge, differenti le
finalità cui tende l'Amministrazione nell'esercizio del
proprio potere di ricognizione, differenti gli organi del
Comune competenti alla detta ricognizione, non può ritenersi
che una individuazione del centro abitato effettuata (per
espressa previsione di legge) al fine di regolamentare la
circolazione stradale, possa spiegare effetti nel ben
diverso campo della pianificazione urbanistica” (cfr. Tar
Bari, Sez. III, 10.05.2013, n. 709).
Ebbene, nell’ampia nozione di circolazione stradale non può
non farsi rientrare, contrariamente a quanto sembra alludere
parte ricorrente, anche la disciplina della collocazione dei
mezzi pubblicitari lungo gli assi stradali, potendo
costituire fonte di intralcio o comunque di disturbo alla
circolazione, tanto è vero che lo stesso regolamento di
esecuzione del codice della strada dedica a tale tematica
diverse norme. Ne consegue che la delibera giuntale di
delimitazione del centro abitato costituisce parametro di
riferimento, in sede di esame delle istanze in questione, ai
fini della individuazione del centro abitato, poggiando tale
legittimazione sulla stessa norma generale di cui all’art. 4
del Codice della Strada, in virtù della riconducibilità
della fattispecie alla nozione di circolazione stradale, e
quindi a prescindere da un espresso richiamo in sede di
regolamento locale.
Il motivo in esame va quindi disatteso
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 12.09.2013 n. 1862 - link a www.giustizia-amministrativa). |
EDILIZIA PRIVATA:
Legittimità diniego di autorizzazione all’installazione di
una insegna pubblicitaria e ordine di rimozione della
stessa. Limitazione perseguimento imprenditoriale.
E’ legittimo il diniego di
autorizzazione e l’ordinanza di rimozione di una insegna nel
caso in cui la motivazione è basata, oltre che su ragioni di
estetica, anche sulle caratteristiche dell’insegna a
cassonetto e sulle sue eccessive dimensioni.
Infatti, quando il contrasto di una struttura con l’estetica
urbana è evidente, per le sue dimensioni e caratteristiche,
in base a dati di comune esperienza, non sono necessarie
particolari motivazioni circa le ragioni che inducono a
ritenerlo sussistente. Quanto al contrasto con i principi di
iniziativa privata e libertà di impresa, essi sono recessivi
rispetto agli interessi pubblici che l’ordinamento tutela
subordinando inderogabilmente la possibilità di erigere una
insegna luminosa alla previa autorizzazione amministrativa
dei competenti organi comunali.
Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario
in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può
essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti
interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in sintonia con
l'art. 41, comma 2, della Costituzione, secondo il quale,
anche se l'iniziativa economica privata è libera, essa non
può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza.
La Sezione ritiene che provvedimenti come quello di specie,
per essere correttamente motivati, debbano contenere una
esplicazione concreta della realtà dei fatti e delle ragioni
ambientali ed estetiche che sconsigliano alla pubblica
amministrazione di ammettere l’intervento, tale da non
risultare vaga e apodittica, ma riferita a specifici e
concreti valori, in modo da permettere, sebbene sintetica,
la ricostruzione dell'iter logico seguito
dall'Amministrazione nell'effettuazione delle sue
valutazioni.
Ovviamente essendo il provvedimento espresso nell'esercizio
di valutazioni tecniche, è censurabile dal g.a. non in forma
sostitutiva, ma soltanto per evidenti vizi di illogicità,
irragionevolezza, travisamento dei fatti o per evidente
difetto di motivazione.
Nel caso che occupa con il provvedimento impugnato è stato
respinto dall’Amministrazione il ricorso contro il diniego
di installazione di una insegna luminosa della “Cassa di
Risparmio di Firenze” su un immobile sito in Piazza
della Repubblica, perché, sentito nuovamente il parere
espresso dalla Commissione edilizia, era stato deciso di non
accogliere la richiesta “per motivi di estetica date le
caratteristiche dell’insegna <<a cassonetto>> e le sue
eccessive dimensioni”.
Ritiene la Sezione che le indicazioni contenute in detto
provvedimento consentissero una adeguata ricostruzione
dell’iter logico giuridico seguito dal Comune nel denegare
la richiesta autorizzazione, non essendo stato fatto
richiamo a mere ragioni estetiche, ma a circostanze di fatto
concrete; era stato infatti specificato che la estetica era
stata violata a causa delle caratteristiche della insegna,
che era prevista “a cassonetto”, cioè composta da una
“scatola” contenente all’interno lampade (solitamente
tubi al neon), che per sua natura è di forte impatto visivo,
nonché per le sue dimensioni (la parte appellante afferma,
senza essere stata sul punto smentita, che essa occupava lo
spazio di metri 16.05 per metri 4,50) perché eccessive,
evidentemente in riferimento e in proporzione sia
all’edificio su cui essa era stata apposta, oltre che al
contesto urbano circostante.
Non può quindi condividere la Sezione la affermazione del
Giudice di prime cure che l’affermazione contenuta
nell’impugnato provvedimento fosse “del tutto apodittica”
ed in contrasto con i princìpi della iniziativa privata e
della libertà di impresa.
Invero quando il contrasto di una struttura con l’estetica
urbana sia evidente, per le sue dimensioni e
caratteristiche, in base a dati di comune esperienza, non
sono necessarie particolari motivazioni circa le ragioni che
inducono a ritenerlo sussistente.
Quanto al contrasto con i principi di iniziativa privata e
libertà di impresa, essi sono recessivi rispetto agli
interessi pubblici che l’ordinamento tutela subordinando
inderogabilmente la possibilità di erigere una insegna
luminosa alla previa autorizzazione amministrativa dei
competenti organi comunali.
Il perseguimento imprenditoriale dello scopo pubblicitario
in relazione al quale è rilasciabile l'autorizzazione può
essere infatti limitato dal perseguimento di preminenti
interessi pubblici salvaguardati “ex lege”, in
sintonia con l'art. 41, comma 2, della Costituzione (secondo
il quale, anche se l'iniziativa economica privata è libera,
essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o
in modo da recare danno alla sicurezza) (massima tratta da
www.lexambiente.it - Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza 03.06.2013 n. 3028 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione
all’installazione di impianti pubblicitari è subordinata
alla valutazione in ordine alla sua compatibilità con il
diverso interesse pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari nel territorio e
nell’ambiente (che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata pur se configurabili
come forma di attività economica), e, quindi, essa
costituisce oggetto di una specifica disciplina, non
sovrapponibile o confondibile con quella edilizia,
considerato che l’art. 3 del decreto legislativo 15.11.1993
n. 507 prevede che i comuni, nel disciplinare con proprio
regolamento le modalità di effettuazione della pubblicità,
stabiliscano limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie esclusivamente in relazione ad esigenze di
pubblico interesse.
Premesso:
- con il ricorso in esame proposto il 30.6-1.7 del 2011 la
società De Sanctis Pubblicità, a mezzo di due motivi di
censura per violazione di legge ed eccesso di potere, ha
domandato l’annullamento del provvedimento dirigenziale
emesso dal IV Settore comunale (impianti pubblicitari) il
25.05.2011, recante diffida e dichiarazione di decadenza
relativamente a permessi in precedenza rilasciati per
l’installazione di impianti pubblicitari che vengono
ritenuti tardivamente collocati (rispetto a 30 giorni dal
rilascio del permesso e in assenza della dichiarazione di
inizio lavori) e, perciò, da considerare abusivi;
- il comune di Rieti, con le controdeduzioni, ha formulato
talune eccezioni, di difetto di legittimazione attiva (per
essere stato il ricorso proposto dal signor Paolo De Sanctis
in proprio anziché nella sua veste di amministratore della
De Sanctis Pubblicità s.r.l. alla quale è stato rilasciato
il permesso del 07.05.2010), di genericità della domanda
d’annullamento (per le argomentazioni confuse e caotiche),
di tardività del secondo motivo d’impugnazione, diretto a
contestare la quantità degl’impianti pubblicitari
autorizzati con l’atto concessorio del 2010;
- la relazione ministeriale, constatate tanto la poco
chiarezza del ricorso quanto la confusione nelle
controdeduzioni comunali, ha concluso per l’accoglimento del
ricorso nell’assunto che dall’atto impugnato non sarebbe
dato di evincere il tipo di violazione commessa.
Considerato:
- va disattesa l’eccezione, formulata dal comune, di difetto
di legittimazione del ricorrente, con cui si sostiene,
formalisticamente, l’estraneità del ricorrente alla pretesa
facente invece capo alla società della quale il ricorrente è
amministratore. La legitimatio ad causam, attiva e passiva,
consiste nella titolarità del potere e del dovere di
promuovere e subire un giudizio in ordine al rapporto
sostanziale dedotto in causa. Essa dev'essere accertata in
relazione non alla sua concreta sussistenza, da contrastare
con adeguata prova, bensì in ordine alla sua affermazione
contenuta nell’atto introduttivo del giudizio.
Conseguentemente l’indagine volta a verificarne l’esistenza
dev'essere unicamente diretta ad accertare la coincidenza,
dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda e
colui che nella stessa domanda è affermato titolare del
diritto. Nella specie, sussiste coincidenza fra l’attore e
la società che nella domanda è individuata ed affermata come
destinataria della pretesa attorea, come tale risultante
anche dagli stessi atti di provenienza comunale (il
ricorrente ha ritirato il permesso accordato nella
dichiarata qualità di amministratore della società) e, del
resto, il comune non ha neppure contestato tale titolarità
del rapporto controverso;
- da respingere è altresì la eccepita genericità
dell’impugnazione. Sul punto, è sufficiente rilevare che
l’inammissibilità dell’impugnazione per genericità dei
motivi sussiste solo quando il giudice non sia posto in
grado di comprendere quali vizi il ricorrente deduca per
sostenere l’invalidità del provvedimento impugnato
(Consiglio Stato, sez. IV, 17.02.2009 n. 912). Fuori
da questi limiti, è dovere del giudicante interpretare il
ricorso ed esaminare le censure ancorché non organicamente
articolate, ricavandole dal contesto del ricorso e della
richiesta formulata. Nel caso di specie emerge con
sufficiente chiarezza che il ricorrente ha impugnato
soltanto l’atto di decadenza del permesso assentito e si
duole della relativa pronuncia ritenendola ingiustificata e
perciò illegittima;
- in collegamento, è quindi priva di pregio anche l’altra
eccezione circa la tardiva impugnazione della quantità degli
impianti pubblicitari autorizzati con l’atto concessorio del
2010, perché questo provvedimento non è stato impugnato, e
il secondo motivo di censura è unicamente diretto a mettere
in luce il contesto decisionale e operativo del comune,
tacciato di atteggiamento persecutorio;
- nel merito, il ricorso dev’essere accolto poiché non
possono essere condivise le motivazioni poste dal comune a
base dell’automatica decadenza pronunciata a termini
dell’art. 15 del decreto del Presidente della repubblica 06.06.2001 n. 380 (“...Il termine per l’inizio dei lavori
non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo;
quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere
completata, non può superare i tre anni dall’inizio dei
lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con
provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla
volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il
permesso decade di diritto per la parte non eseguita”...) in
relazione all’art. 10, comma 5, del regolamento
sugl’impianti pubblicitari (“L’autorizzazione potrà essere
revocata qualora l’installazione non avvenga entro trenta
giorni dal rilascio della stessa...");
- al riguardo, va premesso che si sta discorrendo in materia
di impianti pubblicitari e dell’installazione di un totem e
di cinque fioriere, il che esclude che a tale tipologia di
attività debba applicarsi senz’altro la disposizione recata
dal citato art. 15 del d.P.R. n. 380/2001 in tema di
osservanza del termine (di trenta giorni previsto dal
regolamento), quando poi lo stesso suo art. 10, comma 5,
prevede come possibile e discrezionale la relativa decadenza
della concessione accordata;
- l’autorizzazione all’installazione di impianti
pubblicitari è subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse pubblico generale
alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari nel
territorio e nell’ambiente (che non possono essere
indiscriminatamente lasciati alla libera iniziativa privata
pur se configurabili come forma di attività economica), e,
quindi, essa costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o confondibile con quella
edilizia, considerato che l’art. 3 del decreto legislativo
15.11.1993 n. 507 prevede che i comuni, nel disciplinare con
proprio regolamento le modalità di effettuazione della
pubblicità, stabiliscano limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie esclusivamente in relazione
ad esigenze di pubblico interesse;
- nell’atto impugnato non sono neppure evidenziate esigenze
d’utilità sociale ovvero di tutela ambientale o di valenza
estetica che inibiscano l’esercizio di tali forme
pubblicitarie senza violare l’art. 41 della Costituzione, e
da esso non è dato neanche evincere il tipo di violazione
commessa dal ricorrente, come giustamente posto in risalto
dalla relazione ministeriale;
- d’altro canto, quanto all’effettiva sussistenza nella
specie dei presupposti di fatto relativi all’inerzia
dell’interessato e pur a riguardare la fattispecie in una
visuale di decadenza automatica, va pure rilevato come il
comune non abbia minimamente contrastato la circostanza
dedotta nel ricorso, che l’installazione è avvenuta entro i
30 giorni alla presenza, sul luogo di ubicazione degli
impianti e d’inizio lavori, di un vigile urbano (dott.ssa
Carla Francia) e del responsabile dell’ufficio tecnico
comunale (signora Catia Rossi);
- conclusivamente, per tutte le considerazioni sopra
sviluppate, la censura di carenza di motivazione della
pronuncia di decadenza è fondato e il ricorso va accolto,
annullando l’atto impugnato (Consiglio di
Stato, Sez. I,
parere 16.04.2013 n. 1801 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
ATTI AMMINISTRATIVI -
EDILIZIA PRIVATA: L’impugnazione
di una violazione amministrativa o di un verbale di
accertamento esula dalla giurisdizione del giudice
amministrativo, poiché la situazione giuridica di cui si
chiede tutela ha la consistenza di diritto soggettivo e
l’esercizio dell’attività sanzionatoria non è espressione di
attività discrezionale ma vincolata dell’amministrazione,
perché retta dal principio di legalità, sicché, ove
l’amministrazione accerti che un comportamento integri gli
estremi di un illecito previsto da una norma di legge, deve
applicare la sanzione, senza alcun margine di scelta.
Tale conclusione riguarda tutti gli atti del procedimento
sanzionatorio, compreso il verbale di accertamento e
contestazione.
Né rileva in contrario, che esso non sia espressamente
indicato tra gli atti impugnabili davanti al giudice
ordinario, essendo espressione dello stesso potere che dà
luogo alla irrogazione della sanzione, costituendone anzi il
presupposto, sicché la giurisdizione non può che appartenere
all’unico giudice, quello ordinario.
Peraltro, l’orientamento della Corte di Cassazione è nel
senso di considerare il verbale di accertamento, atto privo
di autonoma lesività, con la mera funzione di portare a
conoscenza dell’interessato la contestazione, sicché questi
possa apprestare le proprie difese, cui consegue
l’irrilevanza e la svalutazione del ruolo del procedimento
amministrativo sanzionatorio, anche perché il giudice
ordinario può conoscere direttamente del rapporto
sanzionatorio.
In ragione di quanto esposto, atteso che la sanzione della
rimozione degli impianti pubblicitari prevista dal comma
13-quater dell’art. 23 del Codice della Strada, costituisce
un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria
prevista dal precedente comma 11 dell’art. 23, per
l’installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali
abusivamente installati, ne consegue il difetto di
giurisdizione di questo giudice, appartenendo la materia de
qua al giudice ordinario.
Con ricorso al TAR Lazio, la società PES s.r.l., chiedeva
l’annullamento dei provvedimenti adottati dal Comune di
Roma, in relazione ai quali era stata disposta la rimozione
di numerosi impianti pubblicitari tutti collocati per
effetto di specifico atto autorizzativo, con conseguente
condanna al risarcimento in forma specifica, mediante il
ripristino degli impianti già rimossi.
Il TAR, con sentenza n. 5400 del 2012, declinava la
giurisdizione, affermando che:
a) dai verbali elevati dalla polizia municipale si ricava
che la rimozione è stata disposta ai sensi dell’art. 23,
comma 13-quater, del Codice della Strada “a seguito
peraltro di un’operazione di controllo straordinaria sul
territorio condotta dal…Corpo di polizia”;
b) dalla documentazione si rileverebbe la mancanza di
provvedimenti amministrativi adottati in esercizio di un
potere discrezionale, essendosi in presenza di verbali di
accertamento della violazione di cui al citato art. 23,
comma 13-quater.
La società appellante assume l’erroneità della sentenza di
cui chiede l’annullamento, atteso che oggetto del ricorso
sarebbero, non già i verbali di irrogazione della sanzione e
di rimozione degli impianti, ma la normativa comunale
sopravvenuta che ha fissato nuove distanze e altezze degli
impianti dislocati sul territorio, concludendo che in
ragione del petitum sostanziale, la giurisdizione
apparterrebbe al giudice amministrativo.
Quanto al merito del ricorso, deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 23, comma 13-quater, del Codice della
strada; difetto di istruttoria, incompetenza, eccesso di
potere.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale che ha chiesto il
rigetto dell’appello, perché infondato in fatto e diritto.
Alla camera di consiglio del 04.12.2012, il giudizio è stato
assunto in decisione.
L’appello è infondato e va respinto.
Conformemente a giurisprudenza consolidata (cfr. Cons.
Stato, sezione quinta, 27.06.2012, n. 3786 e 3787)
l’impugnazione di una violazione amministrativa o di un
verbale di accertamento esula dalla giurisdizione del
giudice amministrativo, poiché la situazione giuridica di
cui si chiede tutela ha la consistenza di diritto soggettivo
e l’esercizio dell’attività sanzionatoria non è espressione
di attività discrezionale ma vincolata dell’amministrazione,
perché retta dal principio di legalità, sicché, ove
l’amministrazione accerti che un comportamento integri gli
estremi di un illecito previsto da una norma di legge, deve
applicare la sanzione, senza alcun margine di scelta.
Tale conclusione riguarda tutti gli atti del procedimento
sanzionatorio, compreso il verbale di accertamento e
contestazione.
Né rileva in contrario, che esso non sia espressamente
indicato tra gli atti impugnabili davanti al giudice
ordinario, essendo espressione dello stesso potere che dà
luogo alla irrogazione della sanzione, costituendone anzi il
presupposto, sicché la giurisdizione non può che appartenere
all’unico giudice, quello ordinario (cfr. Cass. Civ., sez.
II, 21.12.2011, n. 28045; 14.04.2009, n. 8890).
Peraltro, l’orientamento della Corte di Cassazione è nel
senso di considerare il verbale di accertamento, atto privo
di autonoma lesività, con la mera funzione di portare a
conoscenza dell’interessato la contestazione, sicché questi
possa apprestare le proprie difese, cui consegue
l’irrilevanza e la svalutazione del ruolo del procedimento
amministrativo sanzionatorio, anche perché il giudice
ordinario può conoscere direttamente del rapporto
sanzionatorio (cfr. Cass. Sez. unite, 28.01.2010, n. 1786;
sezione prima, 15.01.2010, n. 532).
In ragione di quanto esposto, atteso che la sanzione della
rimozione degli impianti pubblicitari prevista dal comma
13-quater dell’art. 23 del Codice della Strada, costituisce
un accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria
prevista dal precedente comma 11 dell’art. 23, per
l’installazione di impianti pubblicitari su strade demaniali
abusivamente installati, ne consegue il difetto di
giurisdizione di questo giudice, appartenendo la materia
de qua al giudice ordinario
(Consiglio di Stato, Sez. V,
sentenza
27.03.2013
n. 1777 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra
la normativa in materia edilizia e la normativa in materia
di pubbliche affissioni (di cui al decreto legislativo n.
507/1993), giacché trattasi di discipline differenti, avente
differenti contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai fini della tutela
di interessi pubblici diversi nonché ai fini della
definizione di differenti procedimenti amministrativi.
Infatti la normativa edilizia trova applicazione in tutte le
ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico
che sotto quello edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi.
Pertanto laddove la sistemazione di una insegna o di una
tabella pubblicitaria o di ogni altro genere dovesse
comportare, per le sue consistenti dimensioni, un rilevante
mutamento territoriale, non v’è dubbio che l’interessato
dovrebbe munirsi anche del prescritto titolo edilizio.
Ciò posto –fermo
restando che appare senz’altro condivisibile la tesi della
ricorrente secondo la quale le insegne di cui trattasi non
assumono autonomo rilievo anche ai fini urbanistici ed
edilizi– occorre tuttavia rammentare che, secondo la
giurisprudenza (TAR Calabria Catanzaro, Sez. I, 05.01.2012, n. 2), non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa in materia edilizia e la normativa in
materia di pubbliche affissioni (di cui al decreto
legislativo n. 507/1993), giacché trattasi di discipline
differenti, avente differenti contenuti e finalità, che
concorrono nella valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai
fini della definizione di differenti procedimenti
amministrativi.
Infatti la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un
mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia
sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio ed
entro questi limiti pertanto assume rilevanza la violazione
dei regolamenti edilizi.
Pertanto laddove la sistemazione di
una insegna o di una tabella pubblicitaria o di ogni altro
genere dovesse comportare, per le sue consistenti
dimensioni, un rilevante mutamento territoriale, non v’è
dubbio che l’interessato dovrebbe munirsi anche del
prescritto titolo edilizio.
---------------
In particolare, quanto
alle insegne luminose, il Collegio osserva che dalla scarna
motivazione del provvedimento impugnato si può comunque
desumere che l’Amministrazione ha ritenuto applicabile nel
caso in esame la disposizione dell’art. 6 della delibera di
C.C. n. 260 del 1997, nella parte in cui prevede che “nel
caso di installazione di insegne su immobili antichi di
rilevanza storico-architettonica” non è consentito
l’utilizzo di “materiali plastici”.
Ciò posto risulta evidente che il provvedimento impugnato è
palesemente viziato per difetto di motivazione. Infatti –pur volendo ammettere che, come correttamente ricordato
dalla difesa di Roma Capitale, la discrezionalità tecnica
può essere sindacata in sede giurisdizionale solo per
difetto di motivazione o in presenza di profili di
incongruità ed illogicità tali da far emergere
l’inattendibilità della valutazione tecnico-discrezionale
compiuta dall’Amministrazione (ex multis, Cons. Stato, Sez.
VI, 30.06.2011, n. 3894)– nel caso in esame non può
farsi a meno di evidenziare che:
a) l’Amministrazione non ha
affatto indicato in motivazione le ragioni per cui
l’immobile di cui trattasi rientra tra gli “immobili antichi
di rilevanza storico-architettonica” ai quali si riferisce
l’art. 6 della delibera di C.C. n. 260 del 1997;
b) tale
motivazione si rendeva tanto più necessaria se si considera
che il predetto immobile non risulta sottoposto a tutela ai
sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (si veda la
riguardo il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza
Statale su richiesta della società ricorrente) e che
dall’esame della documentazione fotografica relativa a tale
immobile (all. 33 al ricorso) non emergono ictu oculi
aspetti di interesse storico-architettonica (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 20.02.2013 n. 1899 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2012 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
I) in sede di rilascio del provvedimento
autorizzatorio l’Ente proprietario della strada deve
accertare il rispetto di tutte le condizioni poste dal
legislatore e –poiché l’obiettivo primario è quello di
salvaguardare la sicurezza della circolazione stradale e la
pubblica incolumità– può legittimamente inibire la
collocazione dei cartelli su tutte le tipologie di strade
quando emergano circostanze ostative al perseguimento di
quell’obiettivo;
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli
pubblicitari è rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in
sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi
logici;
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle
esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur
rilevante interesse economico di cui sono portatori gli
imprenditori del settore, con una scelta perfettamente
legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di
salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli
individui: infatti il valore dell’iniziativa economica
privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce
estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta
costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il
valore superiore della salute individuale e collettiva, al
quale è garantita la massima protezione;
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla
coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto
di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze
della produzione e del commercio (di cui la pubblicità
stradale è una componente), consumando in misura
proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano.
Rilevato:
- che il Collegio ripropone alcune considerazioni già
sviluppate dalla giurisprudenza, ed anche recentemente da
questo TAR (cfr. sentenza Sezione II – 20/11/2012 n.
1816):
I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio
l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto
di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché
l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza
della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può
legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte
le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative
al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione
20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n.
2047);
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli
pubblicitari è rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in
sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi
logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n.
2886);
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle
esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur
rilevante interesse economico di cui sono portatori gli
imprenditori del settore, con una scelta perfettamente
legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di
salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli
individui: infatti il valore dell’iniziativa economica
privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce
estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta
costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il
valore superiore della salute individuale e collettiva, al
quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze
Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n.
529);
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla
coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto
di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le
esigenze della produzione e del commercio (di cui la
pubblicità stradale è una componente), consumando in misura
proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR
Brescia – 06/09/2004 n. 1013)
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.12.2012 n. 1992 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Se è vero che
l’iniziativa economica privata è libera, in base a quanto
enunciato in linea di principio dall’art. 41 della
Costituzione, è altrettanto vero che “essa non può svolgersi
in modo da recare danno alla sicurezza” e che la stessa
norma di rango costituzionale demanda alla legge di
“definire i programmi e i controlli per coordinarla a fini
sociali.
A tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada,
che da un lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in
vista di esse”, di insegne e di ogni impianto pubblicitario
che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, “con
conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione” e
dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento
autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.
La formulazione dell'art. 23, in altri termini, indica
chiaramente l'intento perseguito dal legislatore, che è
quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati
alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi
adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione
dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa
dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che
è quella della guida del veicolo.
In tale quadro normativo e nel conseguente regime
autorizzatorio rientra anche l’installazione delle insegne
d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi pubblicitari
dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del codice
della strada.
Di conseguenza non vi può essere dubbio alcuno che
l’installazione di tali insegne sia soggetta a procedimento
autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata
quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore
della strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici)
l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e,
comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti
dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente
pericolo per la circolazione.
Poco importa che l’insegna sia effettivamente tale sotto i
vari profili rilevanti per il diritto commerciale: la legge
consente all’ente gestore della strada di vietare la
realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a
vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla
sicurezza della circolazione (e, corrispondentemente,
consente di denegare il rilascio di autorizzazioni in
sanatoria e di ordinare la rimozione degli impianti).
Neppure rileva che l’insegna rispetti i limi dimensionali
massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di esecuzione
e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha
fissato per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo
pubblicitario limiti dimensionali, 6 metri quadrati se
installati fuori dai centri abitati e 20 metri quadrati se
posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli o in
aderenza ai fabbricati).
In ogni caso, ovunque si trovi e qualunque siano le sue
dimensioni, l’ente gestore della strada può constatare la
pericolosità e vietare la realizzazione o il mantenimento
del manufatto, con una valutazione basata su un potere di
natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per
manifesta illogicità o per difetto di motivazione.
Il Collegio osserva che, come correttamente rilevato dal giudice di primo
grado, se è vero che l’iniziativa economica privata è
libera, in base a quanto enunciato in linea di principio
dall’art. 41 della Costituzione, è altrettanto vero che
“essa non può svolgersi in modo da recare danno alla
sicurezza” e che la stessa norma di rango costituzionale
demanda alla legge di “definire i programmi e i controlli
per coordinarla a fini sociali”.
A tale finalità risponde l’art. 23 del Codice della Strada,
che da un lato vieta la collocazione, “lungo le strade o in
vista di esse”, di insegne e di ogni impianto pubblicitario
che possa distrarre l’attenzione di chi le percorre, “con
conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione” e
dall’altro ne sottopone l’installazione ad un provvedimento autorizzatorio, emesso dal competente ente gestore.
La formulazione dell'art. 23, in altri termini, indica
chiaramente l'intento perseguito dal legislatore, che è
quello di prevenire la collocazione sugli spazi destinati
alla circolazione veicolare, così come sugli spazi a questi
adiacenti, di fonti di captazione o disturbo dell'attenzione
dei conducenti e di consequenziale sviamento della stessa
dall'unica ed essenziale funzione al momento commessale, che
è quella della guida del veicolo (cfr. Corte di Cassazione
Civile, Sezione II, sentenza n. 4683 del 2009).
In tale quadro normativo e nel conseguente regime
autorizzatorio rientra anche l’installazione delle insegne
d’esercizio, che sono elencate fra i mezzi pubblicitari
dagli artt. 47 e 53 del regolamento di esecuzione del codice
della strada.
Di conseguenza non vi può essere dubbio alcuno che
l’installazione di tali insegne sia soggetta a procedimento
autorizzatorio e che l’autorizzazione possa essere negata
quando, come nel caso de quo, a giudizio dell’ente gestore
della strada (titolare dei relativi poteri pubblicistici)
l’insegna rivesta carattere prettamente pubblicitario e,
comunque, arrechi disturbo visivo agli utenti
dell’autostrada, distraendone l’attenzione con conseguente
pericolo per la circolazione.
Poco importa che l’insegna sia effettivamente tale sotto i
vari profili rilevanti per il diritto commerciale: la legge
consente all’ente gestore della strada di vietare la
realizzazione a qualsiasi distanza (bastando che siano ‘a
vista’) di manufatti di qualsiasi tipo che incidano sulla
sicurezza della circolazione (e, corrispondentemente,
consente di denegare il rilascio di autorizzazioni in
sanatoria e di ordinare la rimozione degli impianti).
Neppure rileva che l’insegna rispetti i limi dimensionali
massimi previsti dall’art. 48 del regolamento di esecuzione
e di attuazione del nuovo Codice della strada (che ha
fissato per le insegne d’esercizio ed ogni altro mezzo
pubblicitario limiti dimensionali, 6 metri quadrati se
installati fuori dai centri abitati e 20 metri quadrati se
posti parallelamente al senso di marcia dei veicoli o in
aderenza ai fabbricati).
In ogni caso, ovunque si trovi e qualunque siano le sue
dimensioni, l’ente gestore della strada può constatare la
pericolosità e vietare la realizzazione o il mantenimento
del manufatto, con una valutazione basata su un potere di
natura tecnico-discrezionale, sindacabile dunque solo per
manifesta illogicità o per difetto di motivazione
(Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 29.11.2012 n. 6044 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
L’atto di assenso
relativo ai cartelloni pubblicitari appartiene a una
categoria speciale e non corrisponde ad un permesso di
costruire, e tuttavia il coinvolgimento della Commissione
edilizia nella valutazione delle richieste di autorizzazione
non incontra alcun divieto normativo: poiché “il Comune può
effettuare valutazioni che riguardano la coerenza
urbanistica di un cartellone pubblicitario rispetto al
contesto, la Commissione edilizia è senz’altro un organo
tecnico qualificato a svolgere questo tipo di esame”.
---------------
I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio
l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto
di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché
l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza
della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può
legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte
le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative
al perseguimento di quell’obiettivo;
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli
pubblicitari è rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in
sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi
logici;
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle
esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur
rilevante interesse economico di cui sono portatori gli
imprenditori del settore, con una scelta perfettamente
legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di
salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli
individui: infatti il valore dell’iniziativa economica
privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce
estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta
costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il
valore superiore della salute individuale e collettiva, al
quale è garantita la massima protezione;
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla
coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto
di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze
della produzione e del commercio (di cui la pubblicità
stradale è una componente), consumando in misura
proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano.
Ha già affermato questo Tribunale (cfr. sentenza 06/09/2004
n. 1013), l’atto di assenso relativo ai cartelloni
pubblicitari appartiene a una categoria speciale e non
corrisponde ad un permesso di costruire, e tuttavia il
coinvolgimento della Commissione edilizia nella valutazione
delle richieste di autorizzazione non incontra alcun divieto
normativo: poiché “il Comune può effettuare valutazioni
che riguardano la coerenza urbanistica di un cartellone
pubblicitario rispetto al contesto, la Commissione edilizia
è senz’altro un organo tecnico qualificato a svolgere questo
tipo di esame” (cfr. sentenza citata).
---------------
In via subordinata la
ricorrente lamenta, quale vizio del provvedimento, il fatto
che l’insegna ed il traliccio sono collocati nell’area in
prossimità del raccordo autostradale da circa 20 anni, e che
l’impianto insiste su un terreno di proprietà privata a
distanza ragguardevole dalla carreggiata che porta alla
barriera autostradale e non contrasta con il Codice della
Strada né altera in alcun altro modo il contesto ambientale:
in particolare non si registrerebbero mutamenti di fatto e
di diritto e la zona non sarebbe sottoposta ad alcun tipo di
vincolo, mentre l’indicazione dell’ora e della temperatura
soddisferebbe un bisogno di pubblica utilità.
Il motivo è privo di fondamento.
Il Collegio ripropone alcune considerazioni già
sviluppate dalla giurisprudenza, anche di questo TAR:
I) in sede di rilascio del provvedimento autorizzatorio
l’Ente proprietario della strada deve accertare il rispetto
di tutte le condizioni poste dal legislatore e –poiché
l’obiettivo primario è quello di salvaguardare la sicurezza
della circolazione stradale e la pubblica incolumità– può
legittimamente inibire la collocazione dei cartelli su tutte
le tipologie di strade quando emergano circostanze ostative
al perseguimento di quell’obiettivo (sentenza Sezione
20/04/2011 n. 593; TAR Toscana, sez. III – 11/06/2004 n.
2047);
II) la valutazione della pericolosità dei cartelli
pubblicitari è rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione e, in quanto tale, non è censurabile in
sede di legittimità se non per errori di valutazione o vizi
logici (TAR Lombardia Milano, sez. IV – 07/07/2008 n.
2886);
III) l’amministrazione deve optare per la preminenza delle
esigenze di sicurezza della circolazione rispetto al pur
rilevante interesse economico di cui sono portatori gli
imprenditori del settore, con una scelta perfettamente
legittima anche alla luce dei canoni costituzionali di
salvaguardia dell’integrità fisica e della salute degli
individui: infatti il valore dell’iniziativa economica
privata della quale l’attività pubblicitaria costituisce
estrinsecazione –seppur riconosciuto e protetto dalla Carta
costituzionale– recede nel giudizio di bilanciamento con il
valore superiore della salute individuale e collettiva, al
quale è garantita la massima protezione (cfr. sentenze
Sezione 28/02/2008 n. 174; 27/11/2008 n. 1702; 05/03/2009 n.
529);
IV) il Comune può valorizzare l’interesse pubblico alla
coerenza urbanistica del territorio con la ricerca del punto
di equilibrio tra la “pulizia” della visuale e le esigenze
della produzione e del commercio (di cui la pubblicità
stradale è una componente), consumando in misura
proporzionata la visuale stradale e il paesaggio urbano (TAR
Brescia – 06/09/2004 n. 1013) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 20.11.2012 n. 1816 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sussiste
difetto di giurisdizione del G.A. con riguardo
all’impugnazione dei provvedimenti di rimozione di impianti
pubblicitari posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23
del d.lgs. n. 285/1992, in quanto tale ordine deriva
direttamente, quale misura consequenziale, dall’accertamento
della violazione e dall’irrogazione della prescritta
sanzione pecuniaria, con riferimento al codice della strada,
sicché il provvedimento del Comune che dispone la rimozione
dell’impianto pubblicitario abusivo ai sensi di detto
articolo 23 costituisce un accessorio della sanzione
amministrativa pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente
pubblico proprietario della strada per assicurare il
rispetto delle disposizioni di cui a detto art. 23), con la
conseguenza che l’atto deve essere conosciuto dal G.O.,
competente ai sensi del combinato disposto degli articoli 22
e 23 della legge n. 689/1981.
---------------
Occorre per l’installazione di impianto pubblicitario, a
latere strada, non solo l'autorizzazione ex art. 23 del
d.lgs. n. 285/1992, ma anche un provvedimento di concessione
dell'uso del suolo su cui insiste l’impianto.
---------------
L’art. 13-bis del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce
genericamente che è l'ente proprietario della strada che
diffida l'autore della violazione e il proprietario o il
possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere
il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre 10
giorni dalla data di comunicazione dell'atto, sicché è
irrilevante quale sia l’Organo comunale che dispone la
rimozione, purché competente, non potendo di certo
costituire la circostanza che la disposizione sia contenuta
in un verbale della Polizia Municipale invece che in un
provvedimento di altro Ufficio all’uopo preposto causa
escludente della giurisdizione del G.O. in materia.
Si conviene, infatti, con il primo Giudice che non
sussistono ragioni per discostarsi dalla costante
giurisprudenza, secondo la quale sussiste difetto di
giurisdizione del G.A. con riguardo all’impugnazione dei
provvedimenti di rimozione di impianti pubblicitari
posizionati abusivamente ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n.
285/1992, in quanto tale ordine deriva direttamente, quale
misura consequenziale, dall’accertamento della violazione e
dall’irrogazione della prescritta sanzione pecuniaria, con
riferimento al codice della strada, sicché il provvedimento
del Comune che dispone la rimozione dell’impianto
pubblicitario abusivo ai sensi di detto articolo 23
costituisce un accessorio della sanzione amministrativa
pecuniaria (e non un mezzo accordato all’Ente pubblico
proprietario della strada per assicurare il rispetto delle
disposizioni di cui a detto art. 23), con la conseguenza che
l’atto deve essere conosciuto dal G.O., competente ai sensi
del combinato disposto degli articoli 22 e 23 della legge n.
689/1981 (cfr.: Cass. Civ., SS. UU., 23.06.2010 n. 15170;
14.01.2009, n. 563; 18.11.2008 n. 27334; 06.06.2007 n.
13230; 17.07.2006 n. 16129; 19.11.1998 n. 11721);
La mera circostanza che coesistono, riguardo alla
installazione delle insegne pubblicitarie di cui trattasi,
anche poteri dei Comuni in materia urbanistica ed edilizia,
occorrendo per l’installazione non solo una autorizzazione
ex art. 23 del d.lgs. n. 285/1992, ma anche un provvedimento
di concessione dell'uso del suolo su cui insiste l’impianto,
deve ritenersi, considerato che nella fattispecie non viene
posto in discussione alcuno di detti poteri, inidonea ad
attrarre nella giurisdizione del G.A. il provvedimento del
Comune che dispone la rimozione dell’impianto pubblicitario
abusivo ex articolo 23 del codice della strada, soggetto
alla giurisdizione del G.O. in quanto costituente un
accessorio della sanzione amministrativa pecuniaria.
---------------
Con riguardo agli impianti n.
4, 5, 6 e 7, prosegue l’appello, le rimozioni forzate non
sono state disposte con verbali della Polizia municipale, ma
del Dipartimento Regolazione e Gestione Affissioni e
Pubblicità con le impugnate deliberazioni, sicché essi
sarebbero veri e propri provvedimenti amministrativi in
quanto manifestazione del potere di autogoverno del
territorio per assicurare il rispetto dell’art. 23 del d.lgs.
n. 285/1992, da impugnare innanzi al G.A.
Il motivo in esame non può essere condiviso dal Collegio,
atteso che l’art. 13-bis del d.lgs. n. 285/1992 stabilisce
genericamente che è l'ente proprietario della strada che
diffida l'autore della violazione e il proprietario o il
possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere
il mezzo pubblicitario a loro spese entro e non oltre dieci
giorni dalla data di comunicazione dell'atto, sicché è
irrilevante quale sia l’Organo comunale che dispone la
rimozione, purché competente, non potendo di certo
costituire la circostanza che la disposizione sia contenuta
in un verbale della Polizia Municipale invece che in un
provvedimento di altro Ufficio all’uopo preposto causa
escludente della giurisdizione del G.O. in materia
(Consiglio
di Stato, Sez. V,
sentenza 31.10.2012 n. 5556 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Parafarmacie, luce (non) verde per le insegne
luminose a croce.
E' illegittimo il provvedimento con il quale è stata
rigettata l'istanza presentata dalla titolare di una
parafarmacia, tendente a ottenere l'autorizzazione a
installare, in corrispondenza del proprio esercizio, una
croce bifacciale di colore blu, al centro della quale
sarebbe stata inserita la scritta "parafarmacia".
La ricorrente, titolare di una parafarmacia, ha impugnato il
provvedimento con cui il Comune ha negato alla medesima
l’installazione di impianti pubblicitari strumentali
all’attività svolta.
In particolare, ha eccepito l’illegittimità del diniego
sulla scorta della violazione del D.Lgs. n. 153/2009,
vigente in materia di disciplina delle farmacie; tanto,
poiché la medesima, mediante la menzionata istanza, aveva
chiesto l’autorizzazione a installare, al di fuori del
proprio esercizio commerciale, una croce con impianto a neon
di colore blu, con la scritta parafarmacia, proprio per
differenziarla da quella riservata in via esclusiva ai
titolari delle farmacie.
Costituitasi in giudizio, l’amministrazione ha eccepito in
rito l’inammissibilità del ricorso in quanto sarebbe stato
proposto avverso un atto meramente confermativo.
Il Collegio di Roma, in via preliminare, non ha condiviso
l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla civica P.A..
Al riguardo ha evidenziato che l’amministrazione, con il
provvedimento impugnato, aveva respinto la richiesta della
ricorrente sulla considerazione per cui, analogamente a
quanto espresso in merito a una precedente istanza, la
competente unità organizzativa tecnica municipale aveva
espresso parere contrario in ragione del contrasto con
quanto previsto nella deliberazione di Giunta regionale n.
864/2006.
Sicché, ha precisato che il contestato diniego, sebbene
provvisto di motivazione e statuizioni identiche a un
precedente atto, era stato tuttavia adottato sulla base di
una “rinnovata istruttoria”, incentrata su un nuovo
parere che, seppur analogo a quello reso nella precedente
istruttoria, aveva comportato una nuova valutazione
dell’amministrazione comunale e, così, l'esercizio di un
autonomo potere.
Per siffatte ragioni, ha ritenuto che il provvedimento
impugnato non poteva essere considerato atto meramente
confermativo, bensì un nuovo atto provvedimentale
autonomamente impugnabile.
Con riferimento al merito della vicenda, l’adito Tribunale
ha ritenuto il gravame fondato sia con riferimento alla
violazione della deliberazione di Giunta regionale n.
864/2006, sia in relazione alla mancata osservanza delle
disposizioni di cui al D.Lgs. n. 153/2009 (“Disciplina
sui nuovi servizi erogati dalle farmacie nell’ambito del
S.S.N.”).
E infatti, quanto alla menzionata deliberazione regionale,
ha osservato che il medesimo atto, sotto la rubrica "insegna",
in alcuna guisa contiene precipue indicazioni sulle
denominazioni che possono essere usate per individuare gli
esercizi commerciali diversi dalle farmacie che vendono
medicinali.
L’atto deliberativo, non a caso, specifica unicamente che: "…
in ogni caso non dovranno essere utilizzate denominazioni e
simboli che possano indurre il cliente a ritenere che si
tratti di una farmacia".
Di converso ha evidenziato che la deliberazione prevede
espressamente l’ammissibilità dell’adozione della
denominazione "parafarmacia", atteso il comune
utilizzo del termine con riferimento a esercizi diversi
dalle farmacie in cui si commercializzano prodotti di
interesse sanitario.
Parallelamente, con riguardo alla disciplina di cui al
D.Lgs. n. 153/2009, il giudicante ha ricordato che l’art. 5
prevede che: "Al fine di consentire ai cittadini
un'immediata identificazione delle farmacie operanti
nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, l'uso della
denominazione «farmacia» e della croce di colore verde, su
qualsiasi supporto cartaceo, elettronico o di altro tipo, è
riservato alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie
ospedaliere".
Considerato l’esposto dato normativo, il G.A. romano,
dunque, ha sottolineato la sussistenza del solo divieto di
utilizzo di denominazioni e simboli potenzialmente idonei a
indurre i consumatori in errore circa la natura di farmacia
dell’esercizio.
Viceversa, ha precisato che l’utilizzo della denominazione "parafarmacia"
e di una croce di diverso colore, come il blu, da un lato,
non è vietata dalle fonti normative, dall’altro, non appare
idonea a ingenerare alcuna confusione nei consumatori ai
fini dell’individuazione della esatta tipologia di servizio.
Di conseguenza, il TAR capitolino ha ritenuto che l’elemento
indicativo delle sole farmacie è il simbolo "croce"
di colore verde e non il simbolo "croce" di altri
colori.
A fortiori nelle ipotesi, come quella in parola, in cui il
menzionato simbolo di colore blu doveva essere associato
alla denominazione di "parafarmacia" (tratto da
www.ipsoa.it - TAR Lazio-Roma, Sez. II-ter,
sentenza 12.09.2012 n. 7697 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Non
disturbano le farmacie con insegne vivaci e bizzarre.
Le insegne luminose delle farmacie possono anche essere di
colore vivace e bizzarro ma quando sono posizionate vicino
ai segnali non devono creare interferenze. In ogni caso
vanno sempre rispettate le distanze minime previste dal
regolamento e il comune può imporre agli esercenti il
rispetto di particolari prescrizioni finalizzate a elevare
la sicurezza della circolazione.
Lo ha evidenziato il Ministero dei trasporti con il
parere 27.08.2012 n. 4761 di prot..
Un comune ha richiesto chiarimenti circa il corretto
posizionamento di insegne luminose sulla strada statale, in
prossimità di impianti semaforici, stante la particolare
tecnologia a led che rende molto brillanti le nuove insegne
farmaceutiche. A parere del ministero oltre all'art. 23 del
codice della strada occorre prestare particolare attenzione
al regolamento comunale e agli artt. 50 e 51 del regolamento
stradale. In particolare l'art. 23 del codice specifica che
qualsiasi insegna non deve arrecare disturbo alla
circolazione ovvero deve essere evitata qualsiasi
interferenza con la guida.
Stante l'obbligatorietà dell'insegna farmaceutica da un lato
e la necessità di salvaguardare la sicurezza della
circolazione stradale dall'altro il comune ha richiesto
istruzioni di dettaglio. L'art. 50 del regolamento del
codice stradale, specifica la nota centrale, prevede che
dentro ai centri abitati trovi applicazione il locale
regolamento anche in riferimento all'apposizione delle
insegne farmaceutiche.
In buona sostanza è nella piena facoltà del comune adottare
provvedimenti che limitino l'intensità e la direzionalità
dei fasci luminosi emessi dall'impianto pubblicitario. In
pratica per garantire la sicurezza della circolazione il
primo cittadino può sempre imporre ulteriori restrizioni
all'esercente anche in considerazione della resa cromatica
degli impianti. Ma prima di tutto andrà verificata la
corrispondenza delle installazioni con le previsioni del
codice stradale e in particolare con le distanze minime
previste dall'art. 51 del regolamento stradale.
Queste distanze, prosegue il parere ministeriale, potranno
essere derogate solo nel caso in cui l'insegna di esercizio
sia collocata parallelamente al senso di marcia e in
aderenza a un fabbricato esistente. In buona sostanza se
l'insegna è perpendicolare al traffico la sua posizione è
strettamente vincolata alle distanze
(articolo ItaliaOggi del 04.09.2012). |
ENTI LOCALI:
A. Carnabuci,
Toponomastica e segnaletica di localizzazione del territorio
(link a www.rivistagiuridica.aci.it). |
EDILIZIA PRIVATA: G.U.
13.07.2012 n. 162 "Condizioni e limiti
entro i quali, lungo ed all’interno degli
itinerari internazionali, delle autostrade,
delle strade extraurbane principali e
relativi accessi, sono consentiti cartelli
di valorizzazione e promozione del
territorio indicanti siti di interesse
turistico e culturale"
(Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti,
decreto 23.05.2012). |
EDILIZIA
PRIVATA - TRIBUTI: Doppia
tassazione sull'impianto pubblicitario.
L'impianto pubblicitario situato sul suolo pubblico è
sottoposto al pagamento sia dell'imposta sulla pubblicità
che della tassa per l'occupazione degli spazi ed aree
pubbliche.
Con la sentenza
07.07.2012 n. 13476 la
Corte di Cassazione ha profondamente modificato il proprio
orientamento sull'alternatività dei due tributi sullo stesso
impianto.
L'orientamento giurisprudenziale precedente afferma che gli
impianti pubblicitari sono soggetti alla sola imposta di
pubblicità in quanto gli stessi debbono necessariamente
occupare una parte del suolo pubblico. Essendo installato al
suolo, per la sua stessa esistenza, origina un'occupazione
di suolo in via permanente, ma il carattere di specialità
della pubblicità per impianti rispetto al genere
dell'occupazione di qualsiasi natura, determina una
prevalenza dell'imposta sulla tassa.
La tesi dell'assorbimento, portata avanti dalla Suprema
corte con la sentenza n. 17614 del 2004, ha determinato, per
gli enti locali, sia una riduzione delle entrate comunali
sia conseguenze finanziarie, derivanti dalle richieste di
rimborso della Tosap versata dagli operatori commerciali in
aggiunta all'Icp.
Nella sentenza in commento, l'interpretazione letterale
dell'articolo 9, comma 7, del dlgs n. 507/1993:
l'applicazione dell'imposta sulla pubblicità non esclude
quella della tassa per l'occupazione di spazi ed aree
pubbliche nonché il pagamento di canoni di locazione o di
concessione, ha spinto la Corte di cassazione a discostarsi
dal consolidato orientamento e a riconoscere la
sottoposizione dell'impianto pubblicitario sia all'imposta
sulla pubblicità, che alla tassa per l'occupazione degli
spazi ed aree pubbliche. Il tenore letterale della
disposizione è chiaro e la precedente giurisprudenza di
legittimità non aveva tenuto conto del citato, ineludibile,
dato testuale.
La sottoposizione contemporanea ad entrambi i tributi non
determina l'ipotesi, vietata, della doppia imposizione, in
quanto l'Icp ha oggetto diverso dalla Tosap e hanno come
presupposto impositivo, rispettivamente, il mezzo
pubblicitario disponibile e la sottrazione dello spazio
pubblico all'uso generalizzato. Nelle rispettive normative
non vi è, pertanto, alcuna alternatività tra le due
imposizioni
(articolo ItaliaOggi del 19.10.2012). |
EDILIZIA PRIVATA: PUBBLICITÀ/
La Cassazione sugli impianti abusivi.
Verbali a tappeto. Paga pure il proprietario
del fondo.
Nelle installazioni pubblicitarie abusive
posizionate vicino alle autostrade la multa
può interessare anche il mero proprietario
del fondo ma solo se lo stesso non ottempera
alla diffida di demolizione del manufatto
fuori legge. In prima battuta quindi il
verbale per impianto irregolare deve essere
contestato solo all'autore materiale
dell'infrazione.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sez. VI civ., con l'ordinanza
05.07.2012 n. 11280.
Il proprietario di una porzione di terreno
affiancato a una autostrada si è visto
recapitare dalla polizia stradale un verbale
per installazione pubblicitaria abusiva ai
sensi dell'art. 23 del codice stradale.
Contro questa misura punitiva l'interessato
ha proposto con successo censure fino al
Palazzaccio.
A parere del collegio, nonostante le recenti
modifiche introdotte dalla legge 120/2010
nel corpo del codice stradale «il
proprietario del suolo, in quanto tale, è
estraneo alla fattispecie prevista e
disciplinata dall'art. 23, comma 7, Codice
della strada; questa, infatti, sanzionando
la condotta di colui che colloca cartelli e
mezzi pubblicitari senza autorizzazione, fa
riferimento, chiaramente ed esclusivamente
alla condotta di chi si rende specificamente
responsabile di una siffatta attività».
In buona sostanza a parere del collegio non
può trovare applicazione diretta nella
diffusa ipotesi sanzionatoria in esame il
principio di solidarietà sancito dalla legge
689/1981 in quanto questo principio resta
necessariamente circoscritto e limitato alle
ipotesi espressamente previste che fanno
riferimento letteralmente «al
proprietario della cosa che servì o fu
destinata a commettere la violazione».
La disciplina stradale del resto si
interessa anche del proprietario del suolo,
nel successivo comma 13-bis dell'art. 23,
così come modificato dalla legge 120/2010. A
parere del collegio solo se il proprietario
del terreno non ottempera alla specifica,
successiva diffida di rimozione incorrerà in
una autonoma sanzione.
Questa volta a prevedere la multa
salatissima di 4455 euro però è lo stesso
comma 13-bis dell'art. 23 del codice. Oltre
alla sanzione per installazione abusiva di
impianto pubblicitario scatteranno quindi
ulteriori verbali per i destinatari della
diffida di ripristino. Ma per l'infrazione
originaria non ci possono essere immediate
estensioni, conclude la sentenza
(articolo ItaliaOggi
del 17.08.2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio- assenso.
---------------
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante semplice
s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con
le previsioni della normativa edilizia di
cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380
del 2001 e succ. mod..
La collocazione di impianti pubblicitari su
suolo pubblico implica necessariamente un
formale provvedimento di concessione del
bene pubblico, non essendo configurabile la
formazione di un titolo abilitativo tacito
attraverso il silenzio-assenso sulla domanda
di installazione.
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente,
dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di
che trattasi della circostanza per cui la
ricorrente ha con regolarità corrisposto la
relativa imposta comunale sulla pubblicità
ed il canone per la occupazione di spazi ed
aree pubbliche, non essendo siffatti
elementi idonei e sufficienti a fondare una
presunzione di non abusività dell’impianto
di cui è questione.
Il Collegio ha già affermato con precedenti
pronunce che l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia (TAR
Calabria, Catanzaro, I sezione 14.02.2012,
n. 183; 31.12.2011 n. 1675).
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR
Lombardia-Brescia, Sez. I 28.02.2008 n.
174).
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata
con l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n.
3421), in quanto involve l’esercizio di una
potestà discrezionale, escludente
l’applicabilità del regime del silenzio-
assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n.
408).
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che
non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante
semplice s.c.i.a. negli altri casi, in
coerenza con le previsioni della normativa
edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del
D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod..
Per quanto concerne la formazione del
silenzio-assenso invocato dalla ricorrente
osserva il Collegio che la collocazione di
impianti pubblicitari su suolo pubblico
implica necessariamente un formale
provvedimento di concessione del bene
pubblico, non essendo configurabile la
formazione di un titolo abilitativo tacito
attraverso il silenzio-assenso sulla domanda
di installazione (cfr. TAR Milano Lombardia
sez. IV, 23.01.2009 n. 208).
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente,
dovendosi affermare l’irrilevanza ai fini di
che trattasi della circostanza per cui la
ricorrente ha con regolarità corrisposto la
relativa imposta comunale sulla pubblicità
ed il canone per la occupazione di spazi ed
aree pubbliche, non essendo siffatti
elementi idonei e sufficienti a fondare una
presunzione di non abusività dell’impianto
di cui è questione (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. I,
sentenza 05.07.2012 n. 716 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
NORMATIVA ANTISISMICA E REALIZZAZIONE
DI PANNELLI AUTOSTRADALI.
Integra il reato di esecuzione di lavori abusivi in zona
sismica
(art. 95, D.P.R. n. 380/2001) l’installazione, senza
la prescritta autorizzazione, di pannelli a messaggio
variabile
lungo i tratti autostradali, giacché nel concetto di
‘‘costruzione’’ rientrano anche tutti quegli interventi in
apparenza minori che possono in concreto rilevare sul
piano della pericolosità.
La Corte di Cassazione si sofferma per la prima volta, con
la
sentenza in esame, sul tema dell’assoggettamento alla
normativa
antisismica di quegli interventi edilizi che, pur assolvendo
a una finalità lato sensu pubblica, sono pur sempre
da qualificarsi come potenzialmente pericolosi e, in quanto
tali, rientrano nella disciplina dettata dal T.U. edilizia.
La vicenda
processuale in esame vedeva imputati il direttore di
uno dei tronchi autostradali della ‘‘Autostrade per l’Italia
s.p.a.’’ (che rivestiva anche la qualità di committente)
nonché il titolare della ditta esecutrice dei lavori, cui era
stato
contestato di avere realizzato, in assenza della prescritta
autorizzazione del competente ufficio della regione, opere
di
installazione di pannelli a messaggi variabili in zona
sismica
Z3.
Contro la sentenza di condanna, proponevano ricorso
per cassazione gli imputati deducendo, per quanto di
interesse
in questa sede, violazione di legge in relazione all’art.
95 D.P.R. n. 380/2001, asserendo che il concetto di
‘‘costruzione’’,
richiamato dalla norma in questione, si riferirebbe alle
sole opere edili in senso stretto e non anche, quindi, alla
realizzazione
di semplici pannelli contenenti messaggi autostradali
dalla cui installazione non potrebbe peraltro
oggettivamente,
secondo gli imputati, derivare una concreta fonte di
rischio per l’incolumità.
La tesi, pur suggestiva ed adeguatamente argomentata, non è stata accolta dalla Cassazione.
La Corte ha ritenuto di
doversi
adeguare all’orientamento giurisprudenziale maggioritario
che non limita agli edifici la nozione di ‘‘costruzione’’
cui
si riferiscono le norme antisismiche. Tale nozione,
osservano
gli Ermellini, è stata approfondita dalla giurisprudenza di
legittimità che, proprio con riferimento alla
cartellonistica
pubblicitaria, ha affermato che la sistemazione di una
insegna
o tabella pubblicitaria richiede il rilascio del preventivo
permesso di costruire quando per le sue rilevanti dimensioni
comporti un mutamento territoriale, atteso che soltanto un
sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto
preesistente
sia sotto il profilo urbanistico che edilizio fa assumere
rilevanza penale alla violazione del regolamento edilizio,
con conseguente integrazione del reato di cui all’art. 44
del
D.P.R. 06.06.2001 n. 380 (Cass. pen., sez. III, 11.02.2004, n. 5328, in Ced Cass., n. 227402).
A ciò si aggiunge,
precisa la Cassazione, come è dato notorio che i cartelloni
recanti indicazioni sulla viabilità apposti ai margini del
tratto
autostradale non possono essere, per la funzione svolta, di
modeste dimensioni. Appare peraltro di tutta evidenza,
quindi,
che anche interventi in apparenza ‘‘minori’’ possano in
concreto rilevare sul piano della pericolosità. Nella
valutazione
sul punto non possono non concorrere, infatti, con
l’elemento
dimensionale anche altri aspetti quali, ad esempio, le
modalità di collocazione del manufatto, la morfologia del
sito,
la pendenza del terreno, le modalità di realizzazione delle
strutture di sostegno, ecc. in quanto suscettibili di
accrescere
il grado di pericolo per l’incolumità pubblica. Ed è ovvio
che da tale valutazione non si potrà prescindere anche per
le
zone in cui il grado di sismicità non sia particolarmente
elevato.
Da qui, dunque, la rilevanza penale del fatto, attesa
l’estensione
della nozione di ‘‘costruzione’’, in materia antisismica,
anche agli interventi edilizi minori che si presentino
pericolosi per la pubblica incolumità (Corte
di
Cassazione, Sez. III penale, sentenza 18.06.2012 n. 24086
- tratto da
Urbanistica e appalti n. 10/2012). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartelloni autostradali in zona
sismica: necessaria autorizzazione per
realizzarli.
La normativa antisismica
deve essere applicata a tutte le costruzioni
la cui sicurezza possa interessare la
pubblica incolumità, a nulla rilevando la
natura dei materiali usati e delle strutture
realizzate, in quanto l’esigenza di maggior
rigore nelle zone dichiarate sismiche rende
ancora più necessari i controlli e le
cautele prescritte, quando si impiegano
elementi strutturali meno solidi e duraturi
del cemento armato.
E’ questa la sintesi del principio ripreso
dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale,
con la
sentenza 18.06.2012 n. 24086, applicato
rigorosamente anche per i cartelloni
autostradali.
Al riguardo, infatti, gli Ermellini non
possono fare a meno di richiamare il dato di
comune conoscenza che i cartelloni recanti
indicazioni sulla viabilità apposti ai
margini di un tratto autostradale non
possono essere per la funzione svolta di
modeste dimensioni e, anche se riferiti ad
interventi in apparenza minori, possono in
concreto rilevare sul piano della
pericolosità.
Nella valutazione sul punto –si legge nella
sentenza- non possono non concorrere,
infatti, con l'elemento dimensionale anche
altri aspetti quali, ad esempio, le modalità
di collocazione del manufatto, la morfologia
del sito, la pendenza del terreno, le
modalità di realizzazione delle strutture di
sostegno, in quanto suscettibili di
accrescere il grado di pericolo per
l'incolumità pubblica.
Allo stesso modo da tale valutazione non
sarà possibile prescindere anche per quelle
zone in il grado di sismicità non sia
particolarmente elevato.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva
condannato il direttore del tronco
autostradale, in qualità di committente, e
la ditta, esecutrice dei lavori, alla pena
dell’ammenda per il reato di cui all’art. 95
del T.U.E. per aver realizzato opere di
installazione di pannelli a messaggi
variabili in zona sismica senza la
prescritta autorizzazione dell’ufficio
competente. Il ricorrente aveva contestato
la possibilità di applicare l’articolo 95
del T.U.E. al caso concreto in quanto il
concetto di costruzione cui fa riferimento
la disposizione predetta si riferisce alle
sole opere edili in senso stretto e non
anche, quindi, alla realizzazione di
semplici pannelli contenenti messaggi
autostradali dalla cui istallazione, non può
peraltro, oggettivamente derivare una
concreta fonte di rischio per l'incolumità.
Come si è visto, la Cassazione respinge
fortemente questa interpretazione del
ricorrente, ribadendo l’applicabilità della
norma ai cartelloni autostradali. Peraltro,
sostengono i giudici di Piazza Cavour, la
nozione di costruzione è stata ampiamente
elaborata dalla giurisprudenza della Corte
stessa e da quella amministrativa con
riferimento alle tematiche connesse al
rilascio della concessione ed è stato
rilevato che debbano essere ricompresi nella
nozione di costruzione tutte le opere che
alterino in modo stabile lo stato dei
luoghi, ancorché riconducibili a manufatti
privi di volume interno utilizzabile e che,
in particolare, anche la sistemazione di una
insegna o tabella pubblicitaria richiede il
rilascio del preventivo permesso di
costruire quando per le sue rilevanti
dimensioni comporti un mutamento
territoriale.
Da qui la già dichiarata conseguenza
dell’applicabilità della disposizione di cui
all’art. 95 del T.U.E. ai cartelloni
autostradali con il rigetto di tale motivo
di ricorso da parte del Supremo giudice di
legittimità (link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartellonistica stradale e
normativa antisismica.
E' dato notorio che i cartelloni recanti
indicazioni sulla viabilità apposti ai
margini del tratto autostradale non possono
essere, per la funzione svolta, di modeste
dimensioni. Appare peraltro di tutta
evidenza che anche interventi in apparenza
“minori" possano in concreto rilevare sul
piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto non possono non
concorrere, infatti, con l'elemento
dimensionale anche altri aspetti quali, ad
esempio, le modalità di collocazione del
manufatto, la morfologia del sito, la
pendenza del terreno, le modalità di
realizzazione delle strutture di sostegno,
ecc. in quanto suscettibili di accrescere il
grado di pericolo per l'incolumità pubblica.
Ed è ovvio che da tale valutazione non si
potrà prescindere anche per le zone in cui
il grado di sismicità non sia
particolarmente elevato (Corte di
Cassazione, Sez. III penale,
sentenza 18.06.2012 n. 24086 -
tratto da www.lexambiente.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Cartelloni autostradali in zona
sismica: necessaria autorizzazione per
realizzarli.
La normativa antisismica deve essere
applicata a tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità, a nulla rilevando la natura dei
materiali usati e delle strutture
realizzate, in quanto l’esigenza di maggior
rigore nelle zone dichiarate sismiche rende
ancora più necessari i controlli e le
cautele prescritte, quando si impiegano
elementi strutturali meno solidi e duraturi
del cemento armato.
E’ questa la sintesi del principio ripreso
dalla Corte di Cassazione, Sez. III penale,
con la
sentenza 18.06.2012 n. 24086, applicato
rigorosamente anche per i cartelloni
autostradali. Al riguardo, infatti, gli
Ermellini non possono fare a meno di
richiamare il dato di comune conoscenza che
i cartelloni recanti indicazioni sulla
viabilità apposti ai margini di un tratto
autostradale non possono essere per la
funzione svolta di modeste dimensioni e,
anche se riferiti ad interventi in apparenza
minori, possono in concreto rilevare sul
piano della pericolosità.
Nella valutazione sul punto –si legge nella
sentenza- non possono non concorrere,
infatti, con l'elemento dimensionale anche
altri aspetti quali, ad esempio, le modalità
di collocazione del manufatto, la morfologia
del sito, la pendenza del terreno, le
modalità di realizzazione delle strutture di
sostegno, in quanto suscettibili di
accrescere il grado di pericolo per
l'incolumità pubblica.
Allo stesso modo da tale valutazione non
sarà possibile prescindere anche per quelle
zone in il grado di sismicità non sia
particolarmente elevato.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva
condannato il direttore del tronco
autostradale, in qualità di committente, e
la ditta, esecutrice dei lavori, alla pena
dell’ammenda per il reato di cui all’art. 95
del T.U.E. per aver realizzato opere di
installazione di pannelli a messaggi
variabili in zona sismica senza la
prescritta autorizzazione dell’ufficio
competente. Il ricorrente aveva contestato
la possibilità di applicare l’articolo 95
del T.U.E. al caso concreto in quanto il
concetto di costruzione cui fa riferimento
la disposizione predetta si riferisce alle
sole opere edili in senso stretto e non
anche, quindi, alla realizzazione di
semplici pannelli contenenti messaggi
autostradali dalla cui istallazione, non può
peraltro, oggettivamente derivare una
concreta fonte di rischio per l'incolumità.
Come si è visto, la Cassazione respinge
fortemente questa interpretazione del
ricorrente, ribadendo l’applicabilità della
norma ai cartelloni autostradali. Peraltro,
sostengono i giudici di Piazza Cavour, la
nozione di costruzione è stata ampiamente
elaborata dalla giurisprudenza della Corte
stessa e da quella amministrativa con
riferimento alle tematiche connesse al
rilascio della concessione ed è stato
rilevato che debbano essere ricompresi nella
nozione di costruzione tutte le opere che
alterino in modo stabile lo stato dei
luoghi, ancorché riconducibili a manufatti
privi di volume interno utilizzabile e che,
in particolare, anche la sistemazione di una
insegna o tabella pubblicitaria richiede il
rilascio del preventivo permesso di
costruire quando per le sue rilevanti
dimensioni comporti un mutamento
territoriale.
Da qui la già dichiarata conseguenza
dell’applicabilità della disposizione di cui
all’art. 95 del T.U.E. ai cartelloni
autostradali con il rigetto di tale motivo
di ricorso da parte del Supremo giudice di
legittimità (link a www.altalex.com). |
EDILIZIA PRIVATA: 1) qualsiasi installazione su suolo
pubblico, compresa la collocazione di
cartelli pubblicitari, è soggetta al
preventivo rilascio di un atto concessorio.
Nel caso dei cartelli pubblicitari –la cui
disciplina non è
regolata soltanto alle disposizioni del
Codice della Strada, ma anche da diverse norme (artt. 3, 12) del
D.lgs. 15.11.1993, n. 507– non può
quindi ammettersi la sufficienza di una
domanda di installazione (sia pure corredata
dalla documentazione tecnica prescritta
dalla legge), dovendosi, di contro,
pienamente esplicare da parte
dell’Amministrazione un’attività valutativa
secondo canoni di discrezionalità tecnica.
La rilevanza di tale momento valutativo è
comprovata dall’inammissibilità di un
provvedimento concessorio per silentium e dalla necessaria
verifica sulla concedibilità del suolo
pubblico;
2) L’installazione di impianti pubblicitari
–ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507– è da ritenere
attività “contingentata” e, come
tale, è pretermessa dalla disciplina
liberistica di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990,
n. 241.
Il Collegio osserva quanto
segue:
1) qualsiasi installazione su suolo
pubblico, compresa la collocazione di
cartelli pubblicitari, è soggetta al
preventivo rilascio di un atto concessorio.
Nel caso dei cartelli pubblicitari –la cui
disciplina, contrariamente a quanto
sostenuto dalla società ricorrente, non è
regolata soltanto alle disposizioni del
Codice della Strada, ma anche, come si vedrà
appresso, da diverse norme (artt. 3, 12) del
D.lgs. 15.11.1993, n. 507– non può
quindi ammettersi la sufficienza di una
domanda di installazione (sia pure, come ha
affermato la società ricorrente, corredata
dalla documentazione tecnica prescritta
dalla legge), dovendosi, di contro,
pienamente esplicare da parte
dell’Amministrazione un’attività valutativa
secondo canoni di discrezionalità tecnica.
La rilevanza di tale momento valutativo è
comprovata dall’inammissibilità di un
provvedimento concessorio per silentium
(cfr. TAR Lombardia Milano, sez. IV, 23.01.2009, n. 208) e dalla necessaria
verifica sulla concedibilità del suolo
pubblico (in tal senso cfr. TAR Lombardia-Milano, sez. IV, 12.11.2007, n. 6242;
id., sez. III, 19.11.2004, n. 6048);
2) L’installazione di impianti pubblicitari
–ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 15.11.1993, n. 507– è da ritenere
attività “contingentata” (cfr. Cons. Stato,
sez. V, 29.04.2009 n. 2723) e, come
tale, è pretermessa dalla disciplina
liberistica di cui all’art. 19 della legge 07.08.1990,
n. 241
(TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 29.05.2012 n. 1474 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA-PRIVATA: L’art.
23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992 prevede
l’autorizzazione da parte dell’Ente
proprietario e del concessionario
dell’autostrada esclusivamente per le
insegne di esercizio, ma esclude
espressamente il rilascio
dell’autorizzazione per le insegne
pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le
insegne di esercizio hanno la finalità di
individuare il punto di accesso dell’impresa
e possono essere autorizzate soltanto se non
pregiudicano la sicurezza della circolazione
stradale, mentre, al contrario, se le
insegne di esercizio assumono le
caratteristiche di insegne di tipo
pubblicitario non possono essere
autorizzate.
Nel merito il presente ricorso risulta
infondato e pertanto va respinto, atteso che
l’art. 23, comma 7, D.Lg.vo n. 285/1992
prevede l’autorizzazione da parte dell’Ente
proprietario e del concessionario
dell’autostrada esclusivamente per le
insegne di esercizio, ma esclude
espressamente il rilascio
dell’autorizzazione per le insegne
pubblicitarie.
Da quest’ultima norma si evince che le
insegne di esercizio hanno la finalità di
individuare il punto di accesso dell’impresa
e possono essere autorizzate soltanto se non
pregiudicano la sicurezza della circolazione
stradale, mentre, al contrario, se le
insegne di esercizio assumono le
caratteristiche di insegne di tipo
pubblicitario non possono essere
autorizzate.
Dai rilievi fotografici contenuti nella
Relazione tecnica, allegata al ricorso,
risulta che l’insegna, oggetto della
controversia in esame:
1) poggia su 10 pali di acciaio, installati
sul tetto dello stabilimento industriale
della società ricorrente, il quale risulta
composto dal solo piano terra;
2) si trova ad oltre un metro dal tetto del
predetto stabilimento;
3) ed occupa quasi tutta la superficie del
tetto del citato stabilimento.
Da tali caratteristiche si ricava
agevolmente che l’insegna di cui è causa non
è una normale e/o semplice insegna di
esercizio, che consente alla clientela di
individuare il punto di accesso ai locali
commerciali, ma svolge una funzione
promozionale dell’attività imprenditoriale
della ricorrente ed assume essenzialmente
e/o prevalentemente carattere pubblicitario,
tenuto pure conto che l’accesso ai locali
commerciale non poteva avvenire direttamente
dall’Autostrada (per una fattispecie
analoga, in cui l’insegna era stata
collocata sul tetto di uno stabilimento
industriale cfr. C.d.S. Sez. VI Sent. n.
3782 del 28.06.2007, la quale ha riformato
la Sentenza Sez. III TAR Veneto n. 1645 del
03.05.2002, citata dalla ricorrente).
Comunque, l’ANAS di Potenza ha anche
ritenuto con una valutazione discrezionale,
non manifestamente irragionevole, che
l’insegna di cui è causa arreca disturbo
visivo agli utenti dell’Autostrada,
potendone distrarne l’attenzione con
conseguente pericolo per la sicurezza della
circolazione stradale.
Per completezza va, altresì, precisato che
il decorso del termine di 60 giorni,
previsto dall’art. 53, comma 5, DPR n.
495/1992 per l’emanazione del provvedimento
di autorizzazione all’installazione di
un’insegna visibile da un’Autostrada, non
consuma il potere dell’Ente proprietario o
del concessionario dell’Autostrada di
pronunciarsi sul’istanza di autorizzazione,
ma consente al richiedente di proporre
l’azione giurisdizionale ex art. 21-bis L.
n. 1034/1971.
Inoltre, va evidenziato che, nella specie,
non si è formato il silenzio assenso ai
sensi dell’art. 20 L. n. 241/1990, nel testo
sostituito dall’art. 3, comma 6-ter, D.L. n.
35/2005 conv. nella L. n. 80/2005, in quanto
il 4° comma dell’art. 20 L. n. 241/1990
esclude espressamente la formazione del
silenzio assenso con riferimento agli atti e
procedimenti relativi, tra l’altro, alla
pubblica sicurezza ed alla pubblica
incolumità, per cui nella specie non si è
formato alcun silenzio assenso, poiché il
procedimento in commento, essendo attinente
alla sicurezza della circolazione stradale,
rientra senz’altro nell’ambito oggettivo
delle materie della pubblica sicurezza e
della pubblica incolumità (TAR Basilicata,
sentenza 24.05.2012 n. 247 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Per
insegna di esercizio si intende
quella che -con le modalità prescritte
dall’art. 47, comma 1, del d.P.R.
16.12.1992, n. 495- serve esclusivamente a
segnalare il luogo ove si esercita
l’attività di impresa.
Invero, la scritta in oggetto che espone
anche, e chiaramente, l’indirizzo web della
società adempie a una funzione che va oltre
quella di indicare di un luogo, in quanto
intende pure rendere conoscibile al pubblico
il sito aziendale e, come tale, è da
intendersi quale insegna pubblicitaria.
... per la riforma della sentenza breve del
TAR ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA:
SEZIONE I n. 00472/2011, resa tra le parti,
concernente RIMOZIONE DI UN CARTELLO
PUBBLICITARIO ABUSIVO ...
...
Con sentenza in forma semplificata
22.07.2011, n. 472, il Tribunale
amministrativo regionale per l’Abruzzo –
Pescara, Sezione I, respingeva il ricorso
proposto dalla Dema Service s.r.l. nei
riguardi dell’atto con cui Autostrade per
l’Italia s.p.a. aveva ad essa ingiunto la
rimozione di un manufatto considerato
cartello pubblicitario abusivo, collocato
lungo l’autostrada A/14, nel territorio del
Comune di Silvi Marina.
La Dema Service interponeva appello contro
la sentenza, chiedendone al tempo stesso la
sospensione dell’efficacia.
...
Si controverte sulla natura del manufatto di
cui è causa. Per la Dema Service si
tratterebbe di una insegna di esercizio
debitamente autorizzata dagli enti locali
competenti; per Autostrade sarebbe invece un
cartello pubblicitario. Tale tesi è
sostanzialmente quella fatta propria dalla
sentenza impugnata.
L’esame delle foto contenute del fascicolo
fa ritenere che l’opera non costituisca una
semplice insegna di esercizio, dovendosi
intendere per tale quella che -con le
modalità prescritte dall’art. 47, comma 1,
del decreto del Presidente della Repubblica
16.12.1992, n. 495- serve esclusivamente a
segnalare il luogo ove si esercita
l’attività di impresa. Infatti la scritta in
oggetto espone anche, e chiaramente,
l’indirizzo web della società: con ciò
adempie a una funzione che va oltre quella
di indicare di un luogo, in quanto intende
pure rendere conoscibile al pubblico il sito
aziendale. L’obiettiva destinazione
pubblicitaria non può dunque essere negata.
Questo punto –vale a dire la valutazione
delle caratteristiche intrinseche del
manufatto– non è però dirimente ai fini
della decisione della controversia.
A tale riguardo, occorre prendere in
considerazione l’art. 23 del codice della
strada (decreto legislativo 30.04.1982, n.
285), dedicato alla disciplina della “pubblicità
sulle strade e sui veicoli”. Con
particolare riferimento alla “pubblicità
lungo e in vista degli itinerari
internazionali, delle autostrade e delle
strade extraurbane principali e relativi
accessi”, il comma 7 stabilisce un
divieto di principio, temperato da talune
limitate deroghe. Nell’ambito di queste
consente le insegne di esercizio “purché
autorizzate dall’ente proprietario della
strada”.
Ora, nel caso di specie, la società
appellante aveva sì acquisito le
autorizzazioni degli enti locali (comune e
provincia) a diverso titolo competenti circa
la strada dove lo stabilimento sorge. Non ha
invece mai chiesto autorizzazione ad
Autostrade, come invece avrebbe dovuto,
essendo quest’ultima proprietaria della
A/14, in vista della quale il cartello è
posto. Circostanza, questa, confermata dalla
stessa Dema Service, là dove essa dichiara
che “l’insegna in questione … è soltanto
una delle tante insegne visibili anche
dall’autostrada” e prima ancora, nello
svalutare il significato delle foto prodotte
da controparte, rileva che sono state
scattate “dalla parte più interna della
stazione di servizio adiacente
all’autostrada”.
In conclusione: comunque debba definirsi il
manufatto, questo è stato installato senza
la necessaria, preventiva autorizzazione di
Autostrade, che pertanto legittimamente –ai
sensi dell’art. 23, comma 13-bis, del citato
decreto legislativo n. 285 del 1992– ne ha
imposto la rimozione
(Consiglio di Stato, Sez. IV,
sentenza 27.04.2012 n. 2480 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: In
caso di violazione del divieto, previsto
dall’art. 23 Codice della Strada, di
collocare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari lungo le strade in assenza di
autorizzazione, l’opposizione avverso il
provvedimento di irrogazione sia della
sanzione pecuniaria che di quella,
accessoria, della rimozione della pubblicità
abusiva, appartiene alla giurisdizione del
G.O. poiché in entrambi i casi la p.A. non
esercita alcun potere autoritativo, ma si
limita all’applicazione, scevra da
discrezionalità, delle disposizioni di
legge.
La determinazione dirigenziale di rimozione
di un impianto pubblicitario emessa dal
Comune ai sensi dell’art. 23, comma
13-quater, del Codice della Strada,
prevedendo detta norma (al comma 11) anche
l’applicazione di una sanzione
amministrativa pecuniaria, integra un nesso
di complementarietà, costituendo la
rimozione un accessorio della sanzione
amministrativa pecuniaria, con conseguente
impugnabilità innanzi al Giudice ordinario a
norma del combinato disposto di cui agli
artt. 22 e 23 della Legge 689/1981.
... per l'annullamento:
1) dell’ordinanza 15.11.2011, prot. n.
44663/2011 (Reg. Ord. n. 82), notificata in
data 13.12.2011, con la quale il Settimo
Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune
di Manfredonia ha ordinato la rimozione di
n. 8 pali pubblicitari;
2) dell’ordinanza 29.11.2011, prot. n.
46203/2011 (Reg. Ord. n. 89), notificata in
data 13.12.2011, con la quale il Settimo
Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune
di Manfredonia ha ordinato la rimozione di
n. 9 pali pubblicitari, n. 3 transenne di
protezione parapedonale, n. 1 orologio su
colonna con spazio pubblicitari;
3) dell’ordinanza 29.11.2011, prot. n.
45702/2011 (Reg. Ord. n. 88), notificata in
data 13.12.2011, con la quale il Settimo
Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune
di Manfredonia ha ordinato la rimozione di
n. 15 pali pubblicitari, n. 1 orologio su
colonna con spazio pubblicitario, n. 3
transenne di protezione parapedonale;
4) dell’ordinanza 20.12.2011, prot. n.
48976/2011 (Reg. Ord. n. 94) notificata in
data 04.01.2012, con la quale il Settimo
Settore Urbanistica ed Edilizia del Comune
di Manfredonia ha ordinato la rimozione di
n. 25 pali pubblicitari, n. 4 pensiline
fermata BUS, n. 4 orologi su colonna, n. 58
transenne di protezione parapedonale;
...
Quanto all’oggetto del ricorso in esame,
rileva il Collegio che, anche a prescindere
dall’applicabilità o meno alla vicenda in
esame dei provvedimenti tipici sanzionatori
degli abusi edilizi limitatamente a talune
strutture o impianti in ipotesi
astrattamente idonei ad integrare opere
suscettibili di autorizzazione edilizia (con
riferimento alle pensiline per la sosta dei
bus e similari, in ragione delle loro
dimensioni e del relativo impatto
urbanistico), la qualificazione del potere
concretamente esercitato
dall’Amministrazione compete in via
esclusiva al Giudice Amministrativo e deve
essere effettuata sulla base della
valutazione del potere concretamente
esercitato, indipendentemente dal nomen
iuris attribuito al provvedimento e a
prescindere dai richiami normativi contenuti
nel provvedimento medesimo.
Alla luce di quanto sopra, è innegabile che
le impugnate ordinanze di rimozione degli
impianti pubblicitari e delle strutture
costituiscano essenzialmente esercizio del
potere di gestione e dell’uso di beni
demaniali connessi all’installazione degli
impianti su area pubblica, alla stregua
della normativa di cui al D.Lgs. 15.11.1993
n. 507 ed al Codice della Strada.
L’eventuale rilevanza urbanistico-edilizia
di taluni impianti o strutture di maggiori
dimensioni non sostituisce, ma semmai
integra additivamente, la disciplina sopra
richiamata, idonea comunque di per sé a
supportare l’esercizio del potere di
rimozione degli impianti medesimi,
indipendentemente dalle loro dimensioni.
Conseguentemente, così correttamente
qualificati gli impugnati provvedimenti,
tenuto conto della loro intrinseca natura e
del potere concretamente esercitato, la
controversia in esame rientra nell’ambito
della giurisdizione del Giudice Ordinario.
Ed invero con gli impugnati provvedimenti il
Comune ha ordinato la rimozione d’ufficio
dei cartelli, degli impianti e delle
strutture di che trattasi, vista l’inutilità
delle precedenti diffide in tal senso
rivolte alla società, con conseguente
automatica applicabilità del disposto di cui
all'art. 23, comma 13-bis, del Codice della
Strada, applicabilità non condizionata dal
richiamo o meno della norma nel preambolo
del provvedimento impugnato, non essendo
concepibile che l’applicazione di una norma
di legge tassativa e inderogabile possa
essere ritenuta inapplicabile solo perché
non oggetto di espresso richiamo nel
provvedimento amministrativo.
Ai fini della individuazione della
giurisdizione occorre infatti considerare
l’oggetto del giudizio così come risultante
dalla combinata lettura del petitum
sostanziale e della causa petendi,
che nel caso in esame è rappresentato dalla
impugnazione di ordinanze di rimozione
d’ufficio di impianti e strutture
pubblicitarie ex D.Lgs. 507/1993 e 23, comma
13-bis, del Codice della Strada, con
conseguente ricaduta della controversia
nella giurisdizione del G.O.
Ciò in conformità di orientamento, ormai da
ritenersi consolidato, espresso dalle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in
relazione alla circostanza che la
determinazione dirigenziale di rimozione di
un impianto pubblicitario emessa dal Comune
ai sensi dell’art. 23, comma 13-quater, del
Codice della Strada, prevedendo detta norma
(al comma 11) anche l’applicazione di una
sanzione amministrativa pecuniaria, integra
un nesso di complementarietà, costituendo la
rimozione un accessorio della sanzione
amministrativa pecuniaria, con conseguente
impugnabilità innanzi al Giudice ordinario a
norma del combinato disposto di cui agli
artt. 22 e 23 della Legge 689/1981 (Cass.
Civile SS.UU. 23.06.2010 n. 15170; Cass.
Civile SS.UU. 19.08.2009 n. 18357; Cass.
Civile SS.UU. 14.01.2009 n. 563; Cass.
Civile SS.UU. 16.04.2009 n. 8984; Cass.
Civile SS.UU. 18.11.2008 n. 27334; Cass.
Civile SS.UU. 06.06.2007, n. 13230; Cass.
Civile SS.UU. 17.07.2006, n. 16129).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione,
con sentenza 06.06.2007 n. 13230, hanno
peraltro evidenziato l’inapplicabilità alla
fattispecie in esame del disposto di cui
all’art. 34 del D.Lgs. 80/1998, “non
vertendosi in tema di uso del territorio,
bensì di godimento abusivo di beni
demaniali, con riferimento al quale il
legislatore detta una disciplina specifica”.
La Corte di Cassazione ha affermato: “in
caso di violazione del divieto, previsto
dall’art. 23 Codice della Strada, di
collocare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari lungo le strade in assenza di
autorizzazione, l’opposizione avverso il
provvedimento di irrogazione sia della
sanzione pecuniaria che di quella,
accessoria, della rimozione della pubblicità
abusiva, appartiene alla giurisdizione del
G.O. poiché in entrambi i casi la p.A. non
esercita alcun potere autoritativo, ma si
limita all’applicazione, scevra da
discrezionalità, delle disposizioni di legge”
(SS. UU. 15170/10).
In tal senso è la giurisprudenza
amministrativa prevalente (TAR Lazio-Roma,
Sez. II Ter, 09.04.2008, n. 3037; TAR
Lazio-Roma, Sez. II-ter, 2008), anche di
questo tribunale (TAR Bari, Sez. II, n.
3540/2010; TAR Bari, Sez. II, 214/2012)
(TAR Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 13.04.2012 n. 730 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di cartelloni stradali
pubblicitari: l'Ente Locale non può
rigettare la domanda di autorizzazione ad
installare cartelloni pubblicitari stradali
in base al “regolamento comunale dei mezzi
pubblicitari” interpretato ed applicato nel
senso di un generalizzato divieto di
collocazione per i detti cartelli
all’interno dei centri abitati.
Secondo la giurisprudenza (TAR Veneto
Venezia, Sez. III, 09.02.2006, n. 339), è
illegittimo il rigetto della domanda di
autorizzazione ad installare cartelloni
pubblicitari stradali che sia basato sul “regolamento
comunale dei mezzi pubblicitari”
interpretato ed applicato
dall’amministrazione nel senso di un
generalizzato divieto di collocazione per i
detti cartelli all’interno dei centri
abitati, posto che tale divieto è privo di
un individuabile fondamento normativo e,
comunque, di sufficiente giustificazione.
Sul presupposto che l’ampiezza di un
siffatto divieto, esteso ad ogni suolo
pubblico dell’intero territorio comunale, e
della natura regolamentare della
disposizione recante tale divieto, come tale
non giustificata da contingenti esigenze
(connesse, ad esempio, all’imminente
adozione del piano generale degli impianti
di cui all’art. 3, comma 3, del decreto
legislativo n. 507/1993), per il giudice
amministrativo risulta evidente che
l’impugnata delibera si pone in radicale ed
insanabile contrasto con la libertà
d’iniziativa economica privata, tutelata
dall’art. 41 Cost., e con discipline di
settore come quella posta dal codice della
strada (invocata nel primo motivo di
ricorso) che -nel prevedere la possibilità
ed i limiti entro i quali è consentito
installare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari lungo le strade o in vista di
esse- mira piuttosto a contemperare
l’esigenza di garantire la libertà
d’iniziativa economica privata con quella di
garantire la sicurezza della circolazione
sulle strade (TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 26.03.2012 n.
2868 - massima
tratta da
www.gazzettaamministrativa.it - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio-assenso.
---------------
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che
non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante semplice
s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con
le previsioni della normativa edilizia di
cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380
del 2001 e succ. mod..
---------------
La violazione della normativa antisismica di
cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a
tutela della pubblica incolumità nelle zone
dichiarate sismiche, non può essere derogata
dalla normativa speciale di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507 e trova applicazione,
omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3,
co. 1, a "tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa comunque interessare la
pubblica incolumità", a nulla rilevando la
natura dei materiali impiegati e delle
relative strutture: anzi, proprio l'impiego,
come nel caso di specie, di elementi
strutturali meno solidi e duraturi di quelli
in cemento ed assimilati, rende vieppiù
necessari i controlli e le cautele
prescritte ai fini preventivi in questione.
Il D.Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante revisione ed armonizzazione
dell'imposta comunale sulla pubblicità e del
diritto sulle pubbliche affissioni
stabilisce, all’art. 3, che il Comune è
tenuto ad adottare apposito regolamento per
l'applicazione dell'imposta, con il quale
può disciplinare "le modalità di
effettuazione della pubblicità e può
stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse" (II°
comma) e "in ogni caso determinare la
tipologia e la quantità degli impianti
pubblicitari, le modalità per ottenere il
provvedimento per l'installazione ..." (III°
comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è
attività "contingentata", non sussumibile
nella disciplina di cui all’art. 19 della
legge n. 241 del 1990, in base alla quale
l'atto di consenso, cui sia subordinato
l'esercizio di un'attività privata,
s'intende sostituito dalla denuncia di
inizio di attività da parte dell'interessato
alla pubblica amministrazione competente,
sempre che il suo rilascio "dipenda
esclusivamente dall'accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge, senza
l'esperimento di prove a ciò destinate che
comportino valutazioni tecniche
discrezionali, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo".
Ed invero, l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere sicuramente
caratterizzato da profili di
discrezionalità, in quanto titolare sia
delle funzioni relative alla sicurezza della
circolazione (ciò che comporta la titolarità
del potere autorizzatorio dell'installazione
di impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I 28.02.2008
n. 174).
Siffatto potere, inerente alla ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005,
n. 3421), in quanto involve l’esercizio di
una potestà discrezionale, escludente
l’applicabilità del regime del silenzio-assenso (conf.: Corte Cost. 27.07.1995 n.
408).
Sotto altro profilo, deve poi rilevarsi che
non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per
le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere, per le sue consistenti
dimensioni, comporti un rilevante mutamento
territoriale, è richiesto l’assenso mediante
“permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con
le previsioni della normativa edilizia di
cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del
2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa
antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica
incolumità nelle zone dichiarate sismiche,
non può essere derogata dalla normativa
speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993,
n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co.
1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza
possa comunque interessare la pubblica
incolumità", a nulla rilevando la natura dei
materiali impiegati e delle relative
strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel
caso di specie, di elementi strutturali meno
solidi e duraturi di quelli in cemento ed
assimilati, rende vieppiù necessari i
controlli e le cautele prescritte ai fini
preventivi in questione.
Pertanto, si conferma l’assunto per cui è
richiesto il titolo abilitativo del Comune
allorché vi si un sostanziale mutamento del
territorio nel suo contesto preesistente sia
sotto il profilo urbanistico che sotto
quello edilizio (cfr. Cons. Stato, V
Sezione, 17.05.2007 n. 2497 che
richiama Cass. pen. sez. 3°, n. 5328 del
14.01.2004 e precedenti ivi indicati) con
conseguente infondatezza del primo motivo di
ricorso (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza
14.02.2012 n.
186 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Sono
da ritenersi illegittime tutte quelle
prescrizioni a contenuto generale che
rendono impossibile collocare qualsiasi tipo
di cartello pubblicitario entro un'ampia
fascia di territorio comunale, in quanto ciò
determina un'irragionevole compressione del
diritto di iniziativa economica.
Tale diritto si deve coniugare, con
riferimento all'installazione di mezzi
pubblicitari lungo le strade, con il solo
limite (secondo quanto previsto dall'art. 23
del codice della strada) del divieto
scaturente dalla possibilità che l'impianto
stesso arrechi pregiudizio alla sicurezza
stradale o alla visuale.
Invero l'art. 3 del d.lgs. n. 507/1993
consente all'ente locale anche di imporre
limitazioni, ma solo per particolari forme
di pubblicità ed esclusivamente laddove ciò
possa rispondere ad esigenze di pubblico
interesse.
Questo Tribunale ha già avuto modo di precisare, consolidando un
orientamento da cui non si ravvisano ragioni
di discostarsi, “che sono da ritenersi
illegittime tutte quelle prescrizioni a
contenuto generale che rendono impossibile
collocare qualsiasi tipo di cartello
pubblicitario entro un'ampia fascia di
territorio comunale, in quanto ciò determina
un'irragionevole compressione del diritto di
iniziativa economica” (cfr TAR Brescia
Sez. II, 26.11.2010, n. 4671).
Tale diritto si deve coniugare, con
riferimento all'installazione di mezzi
pubblicitari lungo le strade, con il solo
limite (secondo quanto previsto dall'art. 23
del codice della strada) del divieto
scaturente dalla possibilità che l'impianto
stesso arrechi pregiudizio alla sicurezza
stradale o alla visuale.
Invero l'art. 3 del d.lgs. n. 507/1993
consente all'ente locale anche di imporre
limitazioni, ma solo per particolari forme
di pubblicità ed esclusivamente laddove ciò
possa rispondere ad esigenze di pubblico
interesse.
Nel caso di specie il provvedimento di
diniego si fonda esclusivamente
sull’esistenza della norma regolamentare, la
quale, a sua volta, si limita ad introdurre
un divieto generalizzato che, in forza di
quanto ora rappresentato, non può avere
cittadinanza nell’ordinamento: entrambe gli
atti, sia quello a contenuto generale, che
quello esecutivo, risultano, quindi, essere
privi del necessario fondamento giuridico e
debbono, pertanto, essere annullati.
Rispetto al censurato diniego risulta,
infatti, esclusa ogni valutazione in
concreto di contrasto del posizionamento dei
mezzi pubblicitari in questione con
l’interesse alla sicurezza della
circolazione espressamente tutelato; ciò
integra un’illegittima lesione
dell’iniziativa privata che impone la
caducazione dei provvedimenti impugnati
(TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 08.02.2012 n. 198 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione
alla installazione di impianti pubblicitari
è subordinata alla valutazione in ordine
alla sua compatibilità con il diverso
interesse pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio-assenso.
--------------
Si deve ritenere che non sussiste un
rapporto di tipo derogatorio fra la
normativa edilizia, oggi compendiata nel
D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per
le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del
2001 e succ. mod..
---------------
La violazione della normativa antisismica di
cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a
tutela della pubblica incolumità nelle zone
dichiarate sismiche, non può essere derogata
dalla normativa speciale di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507 e trova applicazione,
omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3,
co. 1, a "tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa comunque interessare la
pubblica incolumità", a nulla rilevando la
natura dei materiali impiegati e delle
relative strutture: anzi, proprio l'impiego,
come nel caso di specie, di elementi
strutturali meno solidi e duraturi di quelli
in cemento ed assimilati, rende vieppiù
necessari i controlli e le cautele
prescritte ai fini preventivi in questione.
... parte ricorrente deduce, in sintesi, che
l’attività di installazione di impianti
pubblicitari non sarebbe soggetta alla
normativa in materia edilizia e, in ogni
caso, nella specie, non inciderebbe
sull’assetto del territorio, trattandosi di
impianto soggetto ad uso precario e
temporaneo, benché munito di idonea
struttura di sostegno.
Il D.Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante
revisione ed armonizzazione dell'imposta
comunale sulla pubblicità e del diritto
sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3,
stabilisce che il Comune è tenuto ad
adottare apposito regolamento per
l'applicazione dell'imposta, con il quale
deve disciplinare "le modalità di
effettuazione della pubblicità e può
stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse" (II°
comma) e "in ogni caso determinare la
tipologia e la quantità degli impianti
pubblicitari, le modalità per ottenere il
provvedimento per l'installazione ..." (III°
comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è
attività "contingentata", non
sussumibile nella disciplina di cui all’art.
19 della legge n. 241 del 1990, in base alla
quale l'atto di consenso, cui sia
subordinato l'esercizio di un'attività
privata, s'intende sostituito dalla denuncia
di inizio di attività da parte
dell'interessato alla pubblica
amministrazione competente, sempre che il
suo rilascio "dipenda esclusivamente
dall'accertamento dei presupposti e dei
requisiti di legge, senza l'esperimento di
prove a ciò destinate che comportino
valutazioni tecniche discrezionali, e non
sia previsto alcun limite o contingente
complessivo".
Ed invero, l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR
Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n.
174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata
con l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di
specie– l’esposizione degli impianti di
pubblicità avviene su suolo pubblico,
l’occupazione del predetto suolo fa sì che
non si possa in alcun modo prescindere dalla
citata valutazione di conformità, la cui
complessità non consente che si possa
formare tacitamente il provvedimento finale
concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
26.07.2005, n. 3421), in quanto involve
l’esercizio di una potestà discrezionale,
escludente l’applicabilità del regime del
silenzio-assenso (conf.: Corte Cost.
27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti
dall’art. 41 Cost., non può neanche
prescindere dalla tutela del catalogo dei
diritti e delle libertà della persona,
costituzionalmente garantiti, che delineano
lo "status civitatis" comune
all'intera Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente
ricondotte le disposizioni, sostanzialmente
afferenti alla materia urbanistica ed
edilizia (indipendentemente dalla
collocazione formale) che, al fine di
garantire la generale salubrità degli
ambienti di vita e di lavoro (ferme restando
le discipline relative a specifiche attività
e di tutela dei lavoratori), impongono
condizioni minime per l'abitabilità ed
agibilità degli edifici e rapporti minimi di
aerazione ed illuminazione dei locali, quali
requisiti di sicurezza per la loro
utilizzazione, che non consentono che i
manufatti pubblicitari possano oscurare le
facciate degli edifici munite di porte e
finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non
sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra
la normativa edilizia, oggi compendiata nel
D.P.R. 06.06.2001 n. 380 e la normativa per
le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio ed entro questi limiti pertanto
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del
2001 e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa
antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n.
64, posta a tutela della pubblica incolumità
nelle zone dichiarate sismiche, non può
essere derogata dalla normativa speciale di
cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 e trova
applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi
dell'art. 3, co. 1, a "tutte le
costruzioni la cui sicurezza possa comunque
interessare la pubblica incolumità", a
nulla rilevando la natura dei materiali
impiegati e delle relative strutture: anzi,
proprio l'impiego, come nel caso di specie,
di elementi strutturali meno solidi e
duraturi di quelli in cemento ed assimilati,
rende vieppiù necessari i controlli e le
cautele prescritte ai fini preventivi in
questione.
Del resto, la normativa sismica ha una
portata ben più amia rispetto a quella di
cui alla legge 05.11.1971 n. 1086,
concernente i soli casi inerenti opere in
conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di specie, di
affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione è tenuta ad espletare una
valutazione complessiva, non limitata
soltanto alla mera compatibilità
dell’impianto pubblicitario con l’interesse
pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo
si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
del suolo pubblico possa determinare la
realizzazione di interessi collettivi, per
cui il cui rilascio dell’atto concessorio
presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e
non solo un mero giudizio di compatibilità
fra i contrapposti interessi
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 26.01.2012 n. 58 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ai
sensi dell’art. 53, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come
modificato dalla legge n. 127 del 1997,
l’Amministrazione Comunale ha la possibilità
di procedere alla rimozione d’ufficio di
manufatti non autorizzati (impianti
pubblicitari) senza previa
diffida.
Con il ricorso in esame la società odierna
ricorrente si duole dell’avvenuta rimozione
di numerosi impianti pubblicitari dalla
stessa posseduti, lamentando la mancanza di
preavviso e l’assenza della notifica delle
determinazioni con cui tali rimozioni sono
state disposte e dei verbali di accertamento
cui le stesse fanno riferimento, in asserita
violazione dell’art. 28 del Regolamento
AA.PP. del Comune di Roma e della delibera
consiliare del Comune di Roma n. 254 del
1995, stante l’avvenuta presentazione di
istanza volta ad avvalersi della procedura
di riordino.
Il ricorso non merita favorevole esame.
Premesso che la rimozione degli impianti
della ricorrente è stata effettuata sulla
base delle gravate determinazioni
dirigenziali le quali, nel richiamare il
relativo verbale di accertamento dei Vigili
Urbani ove si riferisce la mancanza di
autorizzazione, hanno disposto di procedere
all’immediata rimozione e demolizione
d’ufficio di tali impianti, rileva il
Collegio che ai sensi dell’art. 53, comma
4-bis, del D.Lgs. n. 507 del 1993, come
modificato dalla legge n. 127 del 1997,
l’Amministrazione Comunale ha la possibilità
di procedere alla rimozione d’ufficio di
manufatti non autorizzati senza previa
diffida.
Trattasi di norma derogatoria rispetto al
procedimento dettato dall’art. 28 del
Regolamento AA.PP. invocato da parte
ricorrente, la quale costituisce il
parametro normativo su cui poggiano le
gravate determinazioni, che allo stesso
fanno espresso richiamo.
Deve ulteriormente rilevarsi che con
ordinanza sindacale n. 7 del 10.07.1997
–anch’esso richiamato nelle gravate
delibere- è stato disposto di dare
applicazione alla citata norma di cui
all’art. 53, comma 4-bis, procedendo
all’immediata rimozione e demolizione
d’ufficio di impianti pubblicitari abusivi
che occupano spazi e aree comunali.
In ragione del descritto quadro di
riferimento, cui si inscrivono le gravate
determinazioni dirigenziali e le conseguenti
rimozioni degli impianti pubblicitari della
ricorrente, devono quindi essere disattese
le censure con cui parte ricorrente lamenta
la mancata notifica delle determinazioni,
dei verbali di accertamento ed il mancato
avviso dell’avvio del procedimento,
trattandosi di adempimenti non previsti
dalla normativa speciale che privilegia la
celerità della rimozione degli impianti
abusivi, non potendo trovare applicazione,
conseguentemente, l’invocato art. 28 del
Regolamento AA.PP.
Peraltro, deve osservarsi che la
notificazione dei verbali di accertamento
costituisce il presupposto per l’irrogazione
della sanzione pecuniaria e non della
rimozione, mentre, sulla base della
documentazione versata al fascicolo di causa
a cura della resistente Amministrazione,
risulta che tali verbali di accertamento
siano stati notificati alla società
ricorrente.
Quanto al profilo di censura con cui parte
ricorrente lamenta l’illegittimità dei
gravati atti stante la pendenza della
procedura di riordino con riferimento agli
impianti demoliti, con conseguente affermata
necessità di sospensione dell’applicazione
delle sanzioni amministrative accessorie,
osserva il Collegio come parte ricorrente
non abbia in alcun modo comprovato tale
circostanza.
Inoltre, sulla base della documentazione
depositata dalla resistente Amministrazione,
gli impianti sanzionati non risultano
corrispondenti a quelli cui si riferiscono
le autodenunce di parte ricorrente, la quale
non ha in alcun modo efficacemente confutato
tale circostanza, né risulta l’esistenza di
autorizzazioni riferite a tali impianti,
meramente affermata ma non comprovata da
parte ricorrente.
Ne discende che con riferimento agli
impianti in questione, in quanto non
autorizzati né oggetto di richiesta di
riordino, non risulta applicabile la
sanatoria prevista nell’ambito della
procedura di cui alla delibera consiliare
del Comune di Roma n. 254 del 1995.
Pertanto gli impianti, in quanto abusivi,
sono stati legittimamente rimossi
dall’Amministrazione in corretta
applicazione della citata norma di cui
all’art. 53, comma 4-bis, senza necessità di
preavviso, né agli stessi può ritenersi
applicabile la sospensione dell’applicazione
delle sanzioni amministrative accessorie.
Nelle considerazioni che precedono
risiedono, inoltre, le ragioni
dell’infondatezza della censura con cui
parte ricorrente lamenta la violazione delle
indicazioni recate dalla Circolare del
Comando della Polizia Municipale di Roma n.
72 del 25.07.1998 che impongono, prima
dell’adozione di provvedimenti repressivi,
di sollecitare presso il competente Servizio
la definizione dell’istanza di riordino
(TAR Lazio-Roma, Sez. II,
sentenza 18.01.2012 n. 577 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’amministrazione (i.e. l’ente
proprietario della strada), nel momento in
cui decide la rimozione della
cartellonistica abusiva, opera attraverso
l’adozione di un provvedimento
amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater del dlgs
30.04.1992, n. 285
contempla la possibilità per l’ente
proprietario di disporre liberamente dei
mezzi pubblicitari rimossi in conformità
all’art. 23 dlgs n. 285/1992, una volta che
sia decorso il termine di 60 giorni senza
che l’autore della violazione, il
proprietario o il possessore del terreno ne
abbiano richiesto la restituzione,
specificando che “Il predetto termine
decorre dalla data della diffida, nel caso
di rimozione effettuata ai sensi del comma
13-bis, e dalla data di effettuazione della
rimozione, nell’ipotesi prevista dal comma
13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore
della violazione, il proprietario ovvero il
possessore del terreno su cui sono
installati gli impianti abusivi debbano
ricevere comunicazione della diffida alla
rimozione, anche al fine di potere
richiedere successivamente la restituzione
degli impianti rimossi dall’amministrazione.
Va evidenziato, a tal riguardo, che ai sensi
dell’art. 23, comma 13-bis dlgs 30.04.1992,
n. 285 (codice della strada) “In caso di
collocazione di cartelli, insegne di
esercizio o altri mezzi pubblicitari privi
di autorizzazione o comunque in contrasto
con quanto disposto dal comma 1, l’ente
proprietario della strada diffida l’autore
della violazione e il proprietario o il
possessore del suolo privato, nei modi di
legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a
loro spese entro e non oltre dieci giorni
dalla data di comunicazione dell’atto.
Decorso il suddetto termine, l’ente
proprietario provvede ad effettuare la
rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua
custodia ponendo i relativi oneri a carico
dell’autore della violazione e, in via tra
loro solidale, del proprietario o possessore
del suolo; a tal fine tutti gli organi di
polizia stradale di cui all’articolo 12 sono
autorizzati ad accedere sul fondo privato
ove è collocato il mezzo pubblicitario.
Chiunque viola le prescrizioni indicate al
presente comma e al comma 7 è soggetto alla
sanzione amministrativa del pagamento di una
somma da euro 4.455 a euro 17.823; nel caso
in cui non sia possibile individuare
l’autore della violazione, alla stessa
sanzione amministrativa è soggetto chi
utilizza gli spazi pubblicitari privi di
autorizzazione.”.
Dal tenore letterale della disposizione
emerge in modo manifesto che
l’amministrazione (i.e. l’ente proprietario
della strada), nel momento in cui decide la
rimozione della cartellonistica abusiva,
opera attraverso l’adozione di un
provvedimento amministrativo espresso.
Peraltro, il comma 13-quater della
disposizione in commento contempla la
possibilità per l’ente proprietario di
disporre liberamente dei mezzi pubblicitari
rimossi in conformità all’art. 23 dlgs n.
285/1992, una volta che sia decorso il
termine di 60 giorni senza che l’autore
della violazione, il proprietario o il
possessore del terreno ne abbiano richiesto
la restituzione, specificando che “Il
predetto termine decorre dalla data della
diffida, nel caso di rimozione effettuata ai
sensi del comma 13-bis, e dalla data di
effettuazione della rimozione, nell’ipotesi
prevista dal comma 13-quater.”.
Da tale prescrizione si desume come l’autore
della violazione, il proprietario ovvero il
possessore del terreno su cui sono
installati gli impianti abusivi debbano
ricevere comunicazione della diffida alla
rimozione, anche al fine di potere
richiedere successivamente la restituzione
degli impianti rimossi dall’amministrazione
(TAR Puglia-Bari, Sez. I,
sentenza 05.01.2012 n. 30 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’autorizzazione
alla installazione di impianti pubblicitari
è subordinata alla valutazione in ordine
alla sua compatibilità con il diverso
interesse pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse.
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione.
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento
concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità, la cui complessità non consente
che si possa formare tacitamente il
provvedimento finale concessorio, in quanto
involve l’esercizio di una potestà
discrezionale, escludente l’applicabilità
del regime del silenzio-assenso.
---------------
Non sussiste un rapporto di tipo derogatorio
fra la normativa edilizia, oggi compendiata
nel D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa
per le pubbliche affissioni di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente, sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio, ed entro questi limiti, pertanto,
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del
2001 e succ. mod..
---------------
La violazione della normativa antisismica di
cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a
tutela della pubblica incolumità nelle zone
dichiarate sismiche, non può essere derogata
dalla normativa speciale di cui al D.Lgs.
15.11.1993, n. 507 e trova applicazione,
omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3,
co. 1, a "tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa comunque interessare la
pubblica incolumità", a nulla rilevando la
natura dei materiali impiegati e delle
relative strutture: anzi, proprio l'impiego,
come nel caso di specie, di elementi
strutturali meno solidi e duraturi di quelli
in cemento ed assimilati, rende vieppiù
necessari i controlli e le cautele
prescritte ai fini preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una
portata ben più amia rispetto a quella di
cui alla legge 05.11.1971 n. 1086,
concernente i soli casi inerenti opere in
conglomerato cementizio armato.
--------------
Trattandosi, nel caso di specie, di
affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione è tenuta ad espletare una
valutazione complessiva, non limitata
soltanto alla mera compatibilità
dell’impianto pubblicitario con l’interesse
pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo
si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
del suolo pubblico, si possa determinare la
realizzazione di interessi collettivi, per
cui il cui rilascio dell’atto concessorio
presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e
non solo un mero giudizio di compatibilità
fra i contrapposti interessi.
Va quindi esaminato il secondo profilo
di gravame su cui si incentra l’impugnativa
in correlazione con lo specifico interesse
dedotto in giudizio.
Con tale mezzo, parte ricorrente deduce, in
sintesi, che l’attività di installazione di
impianti pubblicitari non sarebbe soggetta
alla normativa in materia edilizia e, in
ogni caso, nella specie, non inciderebbe
sull’assetto del territorio, trattandosi di
impianti soggetti ad uso precario e
temporaneo, benché muniti di idonee
strutture di sostegno.
Il D. Lgs. 15.11.1993 n. 507, recante
revisione ed armonizzazione dell'imposta
comunale sulla pubblicità e del diritto
sulle pubbliche affissioni, con l’art. 3,
stabilisce che il Comune è tenuto ad
adottare apposito regolamento per
l'applicazione dell'imposta, con il quale
deve disciplinare "le modalità di
effettuazione della pubblicità e può
stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse" (II°
comma) e "in ogni caso determinare la
tipologia e la quantità degli impianti
pubblicitari, le modalità per ottenere il
provvedimento per l'installazione ..." (III°
comma).
L'installazione di impianti pubblicitari è
attività "contingentata", non sussumibile
nella disciplina di cui all’art. 19 della
legge 07.08.1990 n. 241, in base alla quale
l'atto di consenso, cui sia subordinato
l'esercizio di un'attività privata,
s'intende sostituito dalla denuncia di
inizio di attività da parte dell'interessato
alla pubblica amministrazione competente,
sempre che il suo rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento dei
presupposti e dei requisiti di legge, senza
l'esperimento di prove a ciò destinate che
comportino valutazioni tecniche
discrezionali, e non sia previsto alcun
limite o contingente complessivo.
Ed invero, l’autorizzazione alla
installazione di impianti pubblicitari è
subordinata alla valutazione in ordine alla
sua compatibilità con il diverso interesse
pubblico generale alla ordinata
regolamentazione degli spazi pubblicitari
(che non possono essere indiscriminatamente
lasciati alla libera iniziativa privata), e,
quindi, costituisce oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile o
confondibile con quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al
riguardo, un potere discrezionale, in quanto
titolare sia delle funzioni relative alla
sicurezza della circolazione (ciò che
comporta la titolarità del potere
autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada), sia
di quelle relative all'uso del proprio
territorio, anche sotto l’aspetto dei
monumenti, dell'estetica cittadina e del
paesaggio, ben potendo individuare
limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di
pubblico interesse (ex plurimis: TAR Lombardia- Brescia, Sez. I, 28.02.2008
n. 174).
Siffatto potere, inerente la ponderazione
comparativa degli interessi coinvolti,
quali, da un lato, quelli pubblici e,
dall’altro, quello privato, alla libertà di
iniziativa economica -di cui l'attività
pubblicitaria rappresenta estrinsecazione-
si esprime, innanzitutto, nella potestà
pianificatoria e, dunque, nella potestà
regolamentare, attraverso la quale il Comune
disciplina le modalità dello svolgimento
della pubblicità, la tipologia e quantità
degli impianti pubblicitari e le modalità
per ottenere l'autorizzazione
all'installazione di questi, senza violare
l’art. 41 Cost., ma, anzi, ponendosi
nell'ambito semantico della “utilità
sociale” e nel contesto di valori
costituzionali equiordinati, quali quello
alla difesa dell'ambiente e delle valenze
estetiche del patrimonio culturale della
Nazione, riconducibili all’art. 9 della
Costituzione (conf.: Corte Cost. sent.
17.07.2002 n. 355).
Inoltre, nei casi in cui viene richiesta
l’affissione di impianti pubblicitari
direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione -nella cui disponibilità,
oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione
complessiva, non limitata soltanto alla mera
compatibilità dell’impianto pubblicitario
con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi
in cui il suolo si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui
l’Amministrazione stessa è portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un
esame più approfondito e attento, che si
articola nell’ambito di un procedimento
destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura
concessoria, il cui rilascio presuppone la
canalizzazione dell’attività privata
nell’alveo del pubblico interesse, e non
solo la non incompatibilità dell’una
rispetto all’altro.
In altri termini, l’installazione di mezzi
pubblicitari su suolo pubblico postula un
provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo
provvedimento autorizzatorio, poiché, mentre
il procedimento autorizzatorio si esaurisce
nel sopra menzionato giudizio di "non
incompatibilità" dell’attività privata con
l’interesse pubblico, il procedimento concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse.
Ne segue che, quando –come nel caso di
specie– l’esposizione degli impianti di
pubblicità avviene su suolo pubblico,
l’occupazione del predetto suolo fa sì che
non si possa in alcun modo prescindere dalla
citata valutazione di conformità, la cui
complessità non consente che si possa
formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005 n. 3421), in quanto involve
l’esercizio di una potestà discrezionale,
escludente l’applicabilità del regime del
silenzio-assenso (conf.: Corte Cost.
27.07.1995 n. 408).
In coerenza con i principi rivenienti
dall’art. 41 Cost., non può neanche
prescindere dalla tutela del catalogo dei
diritti e delle libertà della persona,
costituzionalmente garantiti, che delineano
lo "status civitatis" comune all'intera
Repubblica italiana.
A quest'ultimo ambito vanno certamente
ricondotte le disposizioni, sostanzialmente
afferenti alla materia urbanistica ed
edilizia (indipendentemente dalla
collocazione formale) che, al fine di
garantire la generale salubrità degli
ambienti di vita e di lavoro (ferme restando
le discipline relative a specifiche attività
e di tutela dei lavoratori), impongono
condizioni minime per l'abitabilità ed
agibilità degli edifici e rapporti minimi di
aerazione ed illuminazione dei locali, quali
requisiti di sicurezza per la loro
utilizzazione, che non consentono che i
manufatti pubblicitari possano oscurare le
facciate degli edifici munite di porte e
finestre.
In tale ottica, si deve ritenere che non
sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra
la normativa edilizia, oggi compendiata nel
D.P.R. 06.06.2001 n. 380, e la normativa per le
pubbliche affissioni di cui al D.Lgs. 15.11.1993, n. 507, giacché trattasi di
discipline differenti, avente differenti
contenuti e finalità, che concorrono nella
valutazione della medesima fattispecie ai
fini della tutela di interessi pubblici
diversi nonché ai fini della definizione di
differenti procedimenti amministrativi.
Ed invero, la normativa edilizia trova
applicazione in tutte le ipotesi in cui si
configura un mutamento del territorio nel
suo contesto preesistente, sia sotto il
profilo urbanistico che sotto quello
edilizio, ed entro questi limiti, pertanto,
assume rilevanza la violazione dei
regolamenti edilizi.
Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la
sistemazione di una insegna o di una tabella
(cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di
ogni altro genere quando, per le sue
consistenti dimensioni, comporti un
rilevante mutamento territoriale, è
richiesto l’assenso mediante “permesso di
costruire” e mediante semplice s.c.i.a.
negli altri casi, in coerenza con le
previsioni della normativa edilizia di cui
agli artt. 2,6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001
e succ. mod..
Analogamente, la violazione della normativa
antisismica di cui alla legge 02.02.1974 n. 64, posta a tutela della pubblica
incolumità nelle zone dichiarate sismiche,
non può essere derogata dalla normativa
speciale di cui al D.Lgs. 15.11.1993,
n. 507 e trova applicazione, omnicomprensivamente, ai sensi dell'art. 3, co.
1, a "tutte le costruzioni la cui sicurezza
possa comunque interessare la pubblica
incolumità", a nulla rilevando la natura dei
materiali impiegati e delle relative
strutture: anzi, proprio l'impiego, come nel
caso di specie, di elementi strutturali meno
solidi e duraturi di quelli in cemento ed
assimilati, rende vieppiù necessari i
controlli e le cautele prescritte ai fini
preventivi in questione.
Del resto, la normativa sismica ha una
portata ben più amia rispetto a quella di
cui alla legge 05.11.1971 n. 1086,
concernente i soli casi inerenti opere in
conglomerato cementizio armato.
Orbene, trattandosi, nel caso di
specie, di affissione di impianti
pubblicitari direttamente su suolo pubblico,
l’Amministrazione è tenuta ad espletare una
valutazione complessiva, non limitata
soltanto alla mera compatibilità
dell’impianto pubblicitario con l’interesse
pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo
si trovi nella disponibilità
dell’interessato), ma estesa anche alla
verifica che, attraverso detto uso privato
del suolo pubblico, si possa determinare la
realizzazione di interessi collettivi, per
cui il cui rilascio dell’atto concessorio
presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e
non solo un mero giudizio di compatibilità
fra i contrapposti interessi.
---------------
Con il
quarto motivo, parte ricorrente deduce che,
nella specie, si sarebbe formato il silenzio
assenso, essendo decorso, alla data del
22.09.2008 per un impianto ed alla data del
05.05.2008 per il gruppo di 5 impianti, il
termine dei sessanta giorni, previsto
dall’art. 12 della Delibera di G.C. n. 82
del 02.03.2004. Inoltre, la P.A. avrebbe
regolarmente riscosso l’imposta comunale
sulla pubblicità relativamente agli anni
2009 e 2010.
Osserva il Collegio che l’ipotesi di
silenzio-assenso, prevista dalla normativa
regolamentare invocata, può valere soltanto
in relazione agli interessi ed alla finalità
ricadenti nell’alveo della disciplina
prevista dal D.Lgs. 15.11.1993, n.
507 e presuppone sempre che ricorrano tutti
gli elementi costitutivi della fattispecie,
suddivisibili in presupposti essenziali e
requisiti essenziali: ma, nella specie,
viene contestata dalla P.A. proprio la
astratta corrispondenza, sotto il profilo
oggettivo (presupposto essenziale),
dell’impianto alle previsioni normative
regolamentari, particolarmente sotto il
profilo dell’ubicazione.
Inoltre, poiché, come già precisato,
l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi
pubblicitari e la concessione dell’uso del
suolo pubblico presuppongono valutazioni
differenti, attinenti alla tutela di
interessi pubblici diversi, quando –come
nel caso di specie– l’esposizione degli
impianti di pubblicità avviene su suolo
pubblico, l’occupazione del predetto suolo
fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di
conformità: la complessità della quale rende
inconcepibile che si possa formare
tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto conto
che nessuna indicazione di segno contrario
può desumersi dalla cosiddetta
generalizzazione del silenzio-assenso
conseguente alla riforma di cui alla legge
14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio
è procedimento in cui è esercitata una
potestà discrezionale, per la quale, alla
luce dell’insegnamento della Corte
Costituzionale (v. la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi
l’applicabilità del regime del silenzio-
assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso
provvedimento di concessione di suolo
pubblico (non surrogabile, né allora né
oggi, “per silentium”), l’autorizzazione
alla installazione dei mezzi pubblicitari
non può, comunque, formarsi prescindendo dal
rilievo della suddetta concessione.
Orbene, calando i precitati principi al caso
di specie, si può ritenere che neanche la
semplice astratta possibilità di
autorizzazione potrebbe ritenersi, stante la
complessità della valutazione richiesta in
relazione agli interessi coinvolti, un
elemento idoneo a determinare “ex se” la caducazione del provvedimento di diniego
impugnato, neanche in “parte qua”.
Né, infine, il regolare pagamento
dell’imposta di pubblicità può valere ad
integrare un’autorizzazione inesistente (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 05.01.2012 n. 3 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2011 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
All'interno del centro abitato,
il Comune è titolare di funzioni relative
sia alla sicurezza della circolazione, in
quanto titolare del potere di autorizzazione
all’istallazione di impianti pubblicitari
nel rispetto delle prescrizioni del Codice
della Strada, sia all’uso del proprio
territorio, dal momento che l’art. 3 del
D.Lgs. 507/1993 affida all’Ente locale, tra
l’altro, il compito di stabilire
“limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie in relazione ad esigenze di
pubblico interesse”.
Pertanto, è legittimo l’art. 27 del
regolamento comunale per l’installazione
degli impianti pubblicitari e piano generale
degli impianti, ove prevede che “è
consentito installare mezzi pubblicitari
luminosi o con display luminoso con grafica
di animazione, unicamente per la
divulgazione di informazioni alla
cittadinanza, a cura esclusivamente
dell’Amministrazione Comunale”.
L’art. 50 comma 4 del D.P.R. 16.12.1992 n.
495, attuativo dell'art. 23 del codice della
strada, dettato in materia di “caratteristiche
dei cartelli e dei mezzi pubblicitari
luminosi”, prevede che “entro i
centri abitati si applicano le disposizioni
previste dai regolamenti comunali”.
A sua volta, il comma 3 del D.Lgs.
15.11.2003 n. 507 prevede che “il
regolamento del comune disciplina le
modalità di effettuazione della pubblicità e
può stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse”.
L’art. 27 del regolamento comunale per
l’installazione degli impianti pubblicitari
e piano generale degli impianti, prevede a
sua volta che “è consentito installare
mezzi pubblicitari luminosi o con display
luminoso con grafica di animazione,
unicamente per la divulgazione di
informazioni alla cittadinanza, a cura
esclusivamente dell’Amministrazione Comunale”.
L’area de qua rientra nel centro
abitato, dovendo pertanto trovare
applicazione quanto previsto dal citato art.
27, al quale la citata normativa statale
espressamente rinvia.
Il Comune è infatti titolare di funzioni
relative sia alla sicurezza della
circolazione, in quanto titolare del potere
di autorizzazione all’istallazione di
impianti pubblicitari nel rispetto delle
prescrizioni del Codice della Strada, sia
all’uso del proprio territorio, dal momento
che l’art. 3 del D.Lgs. 507/1993 affida
all’Ente locale, tra l’altro, il compito di
stabilire “limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione
ad esigenze di pubblico interesse” (TAR
Lombardia, Brescia, 28.02.2008, n. 174).
In contrario non rileva la giurisprudenza
citata dal ricorrente (TAR Toscana Firenze,
sez. I, 19.06.1998, n. 404), la quale ha
sancito l’illegittimità di un regolamento
comunale che conteneva divieti assoluti
sulla collocazione dei cartelli pubblicitari
e non invece circoscritti, come nel caso di
specie (TAR Lombardia-Milano, Sez. I,
sentenza 21.10.2011 n. 2521 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Niente
Scia per occupazioni e pubblicità sulle
strade.
Chi richiede l'autorizzazione
all'occupazione della sede stradale per
effettuare lavori o per necessità diverse
anche di carattere commerciale deve sempre
ottenere una regolare licenza rilasciata
dall'ente proprietario della strada che non
può essere sostituita dalla Scia. E questa
indicazione riguarda anche la pubblicità
stradale e in generale tutte le
autorizzazioni necessarie per l'uso delle
strade e delle relative pertinenze.
Lo ha
messo nero su bianco il Ministero dei
Trasporti con il
parere 05.10.2011 n. 4928
di prot..
Un comune della riviera
romagnola ha richiesto al ministero dei
trasporti se la semplificazione introdotta
nell'art. 19 della legge 241/1990 con
l'avvento della segnalazione certificata di
inizio attività possa interessare anche il
codice della strada e in particolare le
ordinanze e le autorizzazioni disciplinate
dall'art. 26 del dlgs 285/1992.
A parere dell'organo centrale di via Caraci
non ci sono dubbi di sorta. La
semplificazione introdotta progressivamente
nella legge 241/1990 negli ultimi due anni
non interessa la disciplina dei
provvedimenti da adottare per la
regolamentazione del traffico e neppure
quella per il rilascio delle licenze
necessarie per occupare strade, impiantare
manufatti ed effettuare interventi.
Il nuovo articolo 19 della legge 241/1990,
specifica letteralmente che «ogni atto di
autorizzazione il cui rilascio dipenda
esclusivamente dall'accertamento di
requisiti e presupposti richiesti dalla
legge o da atti amministrativi a contenuto
generale, e non sia previsto alcun limite o
contingente complessivo o specifici
strumenti di programmazione settoriale per
il rilascio degli atti stessi, è sostituito
da una segnalazione dell'interessato, con la
sola esclusione dei casi in cui sussistano
vincoli ambientali, paesaggistici o
culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa
nazionale, alla pubblica sicurezza,
all'immigrazione, all'asilo, alla
cittadinanza».
Le autorizzazioni e le concessioni
rilasciate ai sensi dell'art. 26 del codice
della strada, conclude il parere
ministeriale, sono riferite a norme
riguardanti la costruzione e la tutela delle
strade. Ovvero sono atti che interessano la
pubblica sicurezza e la cittadinanza. Per
questo motivo specificamente esclusi
dall'applicazione della disciplina
introdotta con la segnalazione certificata
di inizio attività
(articolo ItaliaOggi del 21.10.2011). |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti pubblicitari senza
silenzio-assenso.
L’istituto del silenzio
assenso non è applicabile all'istallazione
di impianti pubblicitari, ove il potere
conferito agli enti proprietari della strada
di disciplinare l’installazione degli
impianti risponde alla necessità di
garantire la sicurezza della circolazione
stradale e quindi l’incolumità di persone e
cose.
L’istituto del silenzio assenso, in
virtù del quale l’autorizzazione
amministrativa richiesta e non emessa nei
termini di legge si ritiene accordata, pur
essendo previsto dall’art. 20 della legge n.
241 del 1990 in termini generali, non è di
portata illimitata, ma contiene deroghe per
gli atti e i procedimenti indicati nel
quarto comma dello stesso articolo, tra i
quali sono specificamente elencati quelli
che attengono alla pubblica sicurezza e
all’incolumità pubblica.
Ne consegue che, per il combinato disposto
della predetta norma e dell’art. 23 codice
della strada, l’istituto in parola non è
applicabile a questa fattispecie, ove il
potere conferito agli enti proprietari della
strada di disciplinare l’installazione di
impianti pubblicitari risponde alla
necessità di garantire la sicurezza della
circolazione stradale e quindi l’incolumità
di persone e cose.
I cartelli pubblicitari lungo le strade non
possono essere impiantati in difetto di
autorizzazione, per ragioni attinenti alla
sicurezza della circolazione (Cass. n. 4045
del 2011; Cass. n. 4869 del 2007) (commento
tratto da www.ipsoa.it - Corte di Cassazione
civile, sentenza 19.09.2011 n. 19103). |
EDILIZIA PRIVATA:
Appartiene alla giurisdizione del
g.o. l'opposizione avverso il provvedimento
di rimozione della pubblicità abusiva lungo
le strade.
Per giurisprudenza costante della Suprema
Corte di Cassazione in caso di violazione
del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad.,
di collocare cartelli e altri mezzi
pubblicitari lungo le strade in assenza di
autorizzazione, l'opposizione avverso il
provvedimento di irrogazione sia della
sanzione pecuniaria che di quella,
accessoria, della rimozione della pubblicità
abusiva, appartiene alla giurisdizione del
g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non
esercita alcun potere autoritativo, ma si
limita all'applicazione, scevra da
discrezionalità, delle disposizioni di legge
(Cassazione civile, s.u., 23.06.2010, n.
15170; Cassazione civile, s.u., 03.03.2010, n. 5020; Cass., S.U. 14.01.2009
n. 563) (massima tratta da www.dirittodegliappaltipubblici.it -
TAR Sicilia-Catania, Sez. II,
sentenza 12.05.2011 n. 1116 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Installazione di impianti
pubblicitari nel territorio comunale.
Valutazione complessiva di compatibilità con
l’igiene pubblica e l’estetica cittadina.
Il regolamento previsto dall’art. 3 del
D.Lgs. 15.11.1993 n. 507 –con il quale il
Comune disciplina le modalità di svolgimento
della pubblicità, la tipologia e la quantità
degli impianti pubblicitari, nonché le
modalità per ottenere l’autorizzazione alla
loro installazione– si riferisce non solo
agli impianti comunali di affissione, ma
anche all’installazione di impianti posti in
essere da privati su aree private, ai quali
si estende la valutazione complessiva di
compatibilità dell’installazione di impianti
pubblicitari nel territorio comunale con
l’igiene pubblica e l’estetica cittadina,
nonché la ponderazione delle relative
implicazioni economiche e delle diverse
possibili modalità di più proficua
realizzazione del pubblico interesse sotteso
a tale disciplina, che sono proprie della
predetta sede regolamentare (Cfr. TAR
Lombardia-Milano, sez. III, 17.04.2002 n.
1490).
E’ legittimo il provvedimento con il quale è
stata rigettata una istanza di
autorizzazione per la posa di un cartello
pubblicitario lungo una strada pubblica,
motivato con riferimento alla necessità di
preservare l’area in cui ricade (nella
specie l’area era attigua ad un parco) da
qualsiasi elemento di disturbo, tenuto conto
peraltro del fatto che il regolamento del
Comune, sull’uso delle aree verdi, prescrive
l’obbligo di munirsi di specifica
autorizzazione per la posa di arredi e/o
qualunque intervento che interessi aree
verdi.
Tale scelta è infatti orientata a precludere
trasformazioni edilizie ed anche alterazioni
minime in una ben individuata (e ridotta)
porzione di territorio, senza introdurre un
generalizzato divieto di collocare cartelli
pubblicitari su ampie estensioni (Cfr. TAR
Lombardia-Brescia, sez. II, 01.12.2009 n.
2391) ed è preordinata alla protezione di
valori pregnanti come il decoro e l’estetica
degli spazi pubblici, presso un’area già
riconosciuta ex lege come
particolarmente sensibile (cfr. vincolo
legge Galasso) (massima tratta da
www.regione.piemonte.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 28.04.2011 n.
640 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La possibilità di stabilire
limitazioni e divieti all'installazione di
impianti pubblicitari non compromette la
tutela costituzionale della libera
iniziativa privata.
Alla stregua di un indirizzo interpretativo
già espresso dal Consiglio di Stato e al
quale il Collegio ritiene di aderire, ai
sensi dell'art. 3, commi 2 e 3, del d.lgs.
15.11.1993 n. 507, ogni Comune è tenuto ad
adottare un regolamento per l'applicazione
dell'imposta, che disciplini le modalità di
effettuazione della pubblicità, con la
possibilità di stabilire limitazioni e
divieti per particolari forme pubblicitarie
in relazione ad esigenze di pubblico
interesse, e in ogni caso determini la
tipologia e la quantità degli impianti
pubblicitari, le modalità per ottenere il
provvedimento per l'installazione e i
criteri per la realizzazione del piano
generale degli impianti.
Pertanto, l'installazione di impianti
pubblicitari è un'attività economica
contingentata, stante la limitatezza degli
spazi a ciò destinati, senza che in ciò
possa ravvisarsi compromissione della tutela
costituzionale della libera iniziativa
privata, giacché lo stesso art. 41 cost.
ammette la possibilità di limitare tale
libertà onde contemperarla con l'utilità
sociale (Cons. Stato, sez. V, 29.04.2009, n.
2723) (Consiglio di Stato, Sez. VI,
sentenza 09.02.2011 n. 894 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2010 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Titolo edilizio anche per il
cartellone pubblicitario. Lo ha sancito la
Corte di Cassazione intervenendo su un
decreto di sequestro preventivo di un
cartellone di grandi dimensioni.
Recentemente la Corte di cassazione (sentenza
n. 43249/2010) è stata chiamata a
pronunciarsi su un singolare caso di abuso
edilizio.
I giudici sono intervenuti su un decreto di
sequestro preventivo di un cartellone per la
gestione di spazi pubblicitari di grandi
dimensioni, collocato su quattro pilastri
con basamento in cemento.
Veniva contestata all’indagato la violazione
della normativa antisismica (artt. 93, 94 e
95 d.P.R. n. 380/2001) per averlo collocato
senza aver preventivamente ottenuto il
rilascio del titolo abilitativo.
Quest’ultimo aveva sostenuto, però,
l’erronea applicazione al caso in esame del
Testo unico sull’edilizia, facendo appello
al rapporto di specialità tra detta
disciplina e quella dettata dal D.Lgs. n.
507 del 1993.
I giudici della Suprema Corte ribadiscono la
necessità del rilascio del preventivo titolo
abilitativo ai fini della realizzazione di
questo singolare manufatto, escludendo
l’esistenza dell’invocato rapporto di
specialità tra la disciplina dettata dal
Testo Unico sull’edilizia e quella del
D.Lgs. 15.11.1993, n. 507.
Quest’ultimo prevede, in caso di violazione
delle disposizioni concernenti
l’installazione dei cartelloni pubblicitari,
l’applicazione di sanzioni amministrative
pecuniarie e la rimozione da parte del
comune degli impianti pubblicitari abusivi.
In particolare sulla qualifica del manufatto
come opera edilizia, soggetto al d.P.R. n.
380 del 2001, la Corte richiama le
disposizioni della normativa antisismica che
si applicano a tutte le costruzioni la cui
sicurezza possa interessare la pubblica
incolumità.
Secondo i giudici, quindi, il cartellone
pubblicitario oggetto del sequestro
preventivo costituisce opera edilizia
rilevante ai fini dell’applicazione della
normativa edilizia ed urbanistica,
considerate le sue dimensioni e le modalità
dell’installazione.
Sul rapporto di specialità tra la disciplina
in materia edilizia e quella dettata dal
D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 la Corte afferma
invece che possono trovare applicazione
ambedue le discipline in quanto introdotte
dal legislatore a tutela di interessi
giuridici diversi: - quella edilizia, sullo
sviluppo del territorio e la sicurezza
statica delle costruzioni rispetto a
possibili eventi sismici;
- quella dettata in tema di pubbliche
affissioni, sulle modalità di controllo
sulle stesse, in relazione al loro
contenuto, alla loro natura commerciale o
meno, all’applicazione dell’imposta sulla
pubblicità (commento tratto da
www.ediliziaurbanistica.it). |
LAVORI PUBBLICI:
Rotatorie, niente pubblicità.
Nel centro delle rotonde stradali e attorno
a questi diffusi manufatti non è possibile
posizionare cartelli pubblicitari. Si tratta
infatti di intersezioni a raso dove secondo
il codice stradale è vietato applicare
qualsiasi distrazione per l'utente
motorizzato.
Lo ha ribadito il Ministero dei Trasporti
con il parere 09.09.2010 n. 72763.
La città di Aosta ha richiesto chiarimenti
circa la diffusa realizzazione di rotatorie
stradali sponsorizzate da soggetti privati
con marchi, insegne e informazioni
pubblicitarie.
Questa pratica è vietata, ha spiegato il
ministero, in quanto le rotatorie, anche se
non vengono citate dal codice della strada,
sono tecnicamente definibili come delle
intersezioni a raso su cui si applica il
conseguente divieto di posizionamento di
impianti pubblicitari previsto dall'art. 51
del regolamento stradale.
In buona sostanza, sono fuori legge tutte le
iniziative locali che hanno ricercato
sponsor per contribuire alla realizzazione
dei diffusi manufatti stradali posizionando
le pubblicità dell'azienda privata nel bel
mezzo della rotonda.
Questi impianti possono infatti creare
distrazione e ingenerare pericolo per la
circolazione
(articolo ItaliaOggi del 29.10.2010, pag.
22). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non può motivare con la formale
mancanza del parere della Polizia locale la
revoca dell’autorizzazione alla collocazione
di cartelli pubblicitari.
Nella controversia in commento, un impresa
attiva nel settore della pubblicità
commerciale ha ottenuto da un Comune del
bergamasco autorizzazione alla posa di
cinque cartelli pubblicitari; relativamente
a tale autorizzazione ha ricevuto un
provvedimento “per revocare l’autorizzazione
in questione” in quanto “erroneamente…
rilasciata senza il necessario parere da
parte del Settore Polizia Locale” e contro
tale atto ha fatto ricorso.
Siffatta
contestazione, secondo il Tribunale
amministrativo di Brescia, è fondato nel
merito, infatti, come correttamente
evidenziato dalla difesa della ricorrente,
la collocazione di impianti pubblicitari,
nella specie di cartelli è disciplinata
anzitutto dall’art. 23 comma 4 del d.lgs.
30.04.1992 n. 285, che la sottopone ad
autorizzazione “da parte dell'ente
proprietario della strada”, aggiungendo che
“nell'interno dei centri abitati la
competenza è dei Comuni” salvo il caso (che
nella specie non rileva) di strada sita
all’interno di centro abitato, ma di
proprietà di un ente diverso dal Comune,
chiamato allora a dare, con distinto atto,
il proprio nulla osta.
La disciplina di
dettaglio dell’autorizzazione è poi
contenuta nell’art. 53 del DPR 16.12.1992 n. 495, che per quanto interessa prevede
che tutte le relative procedure debbano
“essere improntate ai princìpi della massima
semplificazione e della determinazione dei
tempi di rilascio [comma 2]”, che “il
soggetto interessato al rilascio… deve
presentare la relativa domanda presso il
competente ufficio dell'ente indicato al
comma 1, allegando, oltre alla
documentazione amministrativa richiesta
dall'ente competente, un'autodichiarazione,
redatta ai sensi della legge 04.01.1968,
n. 15, con la quale si attesti che il
manufatto che si intende collocare è stato
calcolato e realizzato e sarà posto in opera
tenendo conto della natura del terreno e
della spinta del vento, in modo da
garantirne la stabilità…
Alla domanda deve
essere allegato un bozzetto del messaggio da
esporre ed il verbale di constatazione
redatto da parte del capocantoniere o del
personale preposto, in duplice copia, ove è
riportata la posizione nella quale si
richiede l'autorizzazione all'installazione.
In sostituzione del verbale di
constatazione, su richiesta dell'ente
competente, può essere allegata una
planimetria ove sono riportati gli elementi
necessari per una prima valutazione della
domanda [comma 3]; prevede ancora che l’ufficio competente debba pronunciarsi, con
accoglimento o diniego, entro sessanta
giorni dalla domanda [comma 4].
In tale
disciplina, di per sé abbastanza
dettagliata, manca ogni menzione espressa di
un qualsivoglia parere della Polizia locale
come elemento necessario al rilascio
dell’autorizzazione; nemmeno appare poi
possibile ritenere che, in quest’occasione,
il Comune lo abbia ritenuto necessario come
parte della “documentazione amministrativa
richiesta dall'ente competente”.
Ciò secondo
logica avrebbe comportato imporre alla Carminati
di procurarselo previamente e allegarlo alla
domanda, ma una richiesta in tal senso non
consta; è invece chiaro, nella nota
30.04.2009, l’intento di considerare il
parere in questione non come un documento,
ma come il risultato di un’istruttoria da
compiere sulla domanda già presentata.
In base al principio di non aggravamento
della procedura reso esplicito dal citato
comma 2 dell’art. 53, ma già contenuto
nell’art. 1 comma 2 della l. 08.08.1990 n.
241, il Comune non può allora motivare con
la formale mancanza di un parere non
previsto dalla legge la revoca
dell’autorizzazione per cui è causa
(commento tratto da
www.documentazione.ancitel.it - (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 23.09.2010 n. 3574 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
È illegittima l’imposizione di un divieto a
tempo indeterminato di installazione di
impianto pubblicitario insistente su area
privata non supportato da ragioni di
interesse pubblico.
Questa Sezione si è già pronunciata
sull’illegittimità dell’imposizione di un
divieto di installazione di impianto
pubblicitario a tempo indeterminato non
supportato da ragioni di interesse pubblico
(Cons. St., Sez. V, 29.05.2006, n. 3265) e
che tale illegittimità va ribadita, a
maggior ragione per insegna insistente su
area privata, considerando che l’art. 3
D.Lgs. 15.11.1993, n. 507 prevede che i
Comuni, nel disciplinare con proprio
regolamento le modalità di effettuazione
della pubblicità, stabiliscano limitazioni e
divieti per particolari forme pubblicitarie
esclusivamente in relazione ad esigenze di
pubblico interesse.
Anche la sottoposizione ad autorizzazione
della collocazione di insegne pubblicitarie,
configurabili come forma di attività
economica, riposa sulla necessità da parte
del Comune di salvaguardare esigenze di
pubblico interesse quali il decoro urbano
(Cons. St. Sez. V, 10.01.2007 n. 44) (Consiglio di Stato,
Sez. V,
sentenza 17.09.2010 n.
6981 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La collocazione di mezzi
pubblicitari lungo le strade nel centro
abitato non può essere esclusa in modo
generalizzato.
L’art. 8 del regolamento comunale sulla
pubblicità, invece, prevede che “E’
vietato il posizionamento dei cartelli e
degli altri mezzi pubblicitari nel centro
abitato e lungo, in prossimità ed in vista
delle strade”.
Rispetto a tale disposizione il Comune di
Ponte Nossa risulta, in effetti, aver optato
per un’interpretazione strumentale
all’applicazione di un totale e
generalizzato divieto di apposizione di
mezzi pubblicitari sull’intero territorio
del centro abitato. Tale divieto, proprio
perché inteso come indiscriminato e non
suscettibile di alcuna eccezione in ragione
di situazioni differenziate che potrebbero
essere meritevoli di autorizzazione, finisce
per porsi in contrasto con la vigente
normativa in materia e con i principi
costituzionali che la regolano, in
particolare in termini di tutela
dell’iniziativa economica.
A prescindere, quindi, dal fatto che il
provvedimento impugnato, in concreto, non
evidenzia quali degli impianti di cui è
stata richiesta l’autorizzazione andrebbero
ad interferire con la realizzazione di
parcheggi pubblici e quali inciderebbero
sulla percezione visiva della chiesetta di
S. Bernardo, con ciò incidendo negativamente
sulla comprensibilità e puntualità del
provvedimento, nonché sulla possibilità per
la richiedente di difendere le proprie
ragioni, il Collegio ritiene comunque
determinante la ravvisata illegittimità del
provvedimento derivante da una lettura del
regolamento comunale impositiva del divieto
generalizzato di collocazione di mezzi
pubblicitari lungo tutte le strade nel
centro abitato.
Tale applicazione della disciplina
regolamentare contraria alla ratio
della normativa vigente in materia, la quale
tende ad una puntuale regolamentazione
dell’utilizzo dei mezzi pubblicitari, ma non
anche ad escludere in modo generalizzato lo
stesso, determina, pertanto, l’illegittimità
sia della nota applicativa prot. n. 3852 del
2009, ma anche ed ancor prima dell’art. 8,
commi 2 e 13 del regolamento comunale della
pubblicità che, pertanto, sono meritevoli
del richiesto annullamento.
Ciò in linea con la giurisprudenza ormai
costante che ha più volte ritenuto
l’illegittimità di divieti generalizzati ed
indiscriminati, tali da realizzare una vera
e propria paralisi dell’attività
imprenditoriale (quale è quella di posa di
cartelli pubblicitari), nell’ambito di un
Comune (TAR Parma, n. 2 del 07.01.2010, TAR
Lombardia, Milano sez. IV, 05.07.2006, n.
1707 e 02.05.2006, n. 1118) (TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2303 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
L’installazione di cartelli pubblicitari
lungo gli “itinerari turistici” è
subordinato al parere positivo della
Sovrintendenza.
Riassumiamo brevemente le circostanze che
hanno portato a tale pronuncia: la società
ricorrente ha richiesto il posizionamento di
2 cartelli pubblicitari, che il Comune ha
negato limitandosi a richiamare gli
indirizzi di tutela contenuti nel Piano
territoriale di coordinamento provinciale (PTCP),
il quale vieterebbe, secondo
l’interpretazione dell’Amministrazione, il
posizionamento di cartellonistica lungo
detta strada.
I giudici del Tribunale amministrativo di
Brescia, accogliendo il ricorso,
ricostruiscono il quadro normativo di
riferimento, delineato in primo luogo
dall’art. 109 delle NTA del Piano
Territoriale di coordinamento, espressamente
invocato dal Comune a sostegno dei propri
provvedimenti negativi.
Tale norma tende, “per il mantenimento,
il recupero e la valorizzazione del ruolo
paesistico originario”, ad indirizzare
le Amministrazioni comunali a “vietare la
collocazione della cartellonistica
pubblicitaria e prevedere la progressiva
eliminazione di quella esistente”.
Ciò, spiegano i giudici lombardi, in linea
con quanto imposto, ancora più a monte,
dall’art. 153 del d.lgs. 42/2004, il quale
recita: “1. Nell'ambito e in prossimità
dei beni paesaggistici indicati
nell'articolo 134 e' vietata la posa in
opera di cartelli o albi mezzi pubblicitari
se non previa autorizzazione
dell'amministrazione competente , che
provvede su parere vincolante, salvo quanto
previsto dall'articolo 146, comma 5, del
soprintendente. Decorsi inutilmente i
termini previsti dall'articolo 146, comma 8,
senza che sia stato reso il prescritto
parere, l'amministrazione competente procede
ai sensi del comma 9 del medesimo articolo
146.
2. Lungo le strade site nell'ambito e in
prossimità dei beni indicati nel comma 1 è
vietata la posa in opera di cartelli o altri
mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione
rilasciata ai sensi della normativa in
materia di circolazione stradale e di
pubblicità sulle strade e sui veicoli,
previo parere favorevole del soprintendente
sulla compatibilità della collocazione o
della tipologia del meno pubblicitario con i
valori paesaggistici degli immobili o delle
aree soggetti a tutela”.
I giudici bresciani ritengono, pertanto,
che, come lo stesso Tribunale ha già più
volte avuto modo di precisare in sede
cautelare, la norma ora riportata non
introduca un divieto generalizzato di
installazione di cartelli pubblicitari lungo
gli “itinerari turistici”, ma
subordini l’autorizzazione della stessa al
parere positivo della Sovrintendenza.
Né un tale divieto, concludono gli stessi
giudici, può essere individuato nelle
prescrizioni del PTCP, le quali non operano
direttamente, ma costituisco, come già
anticipato, atti di indirizzo cui i Comuni
sono tenuti ad adeguarsi nella
predisposizione della propria strumentazione
urbanistica (commento tratto da link a
www.documentazione.ancitel.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 10.06.2010 n. 2301 -
link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: CARTELLONI
PUBBLICITARI.
Autorizzazione -
Comunale - Pubblicità stradale - Cartelloni
- Rilascio mediante gara - Necessità - Non
sussiste.
Sia se si ha riguardo all'art. 53 del
regolamento di esecuzione del Codice della
Strada (D.P.R. 16.12.1992 n. 495), sia se si
ha riguardo al D.Lgs. n. 507/1993, che
all'art. 3 contempla i regolamenti comunali
sulle modalità di effettuazione della
pubblicità ed un piano generale degli
impianti, non si può asserire che le
autorizzazioni a collocare impianti
pubblicitari siano da rilasciare mediante
gare.
Invero, la pubblicità stradale non si
configura come servizio reso ad un ente
locale, in particolare, ma come forma di
svolgimento di un'attività economica,
soggetta ad autorizzazione sia perché gli
enti locali hanno la funzione di
salvaguardare il decoro delle strade, sia
perché ne traggono delle entrate per loro
specificamente previste, come è l'imposta
regolata dal suddetto D.Lgs. n. 507/1993
(1).
---------------
(1) Cfr. Cons. Stato, sez. V, dec. n.
44/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n.
4399/2007; Cons. Stato, sez. II, par. n.
4400/2007 (massima tratta da http://mondolegale.it
- TAR Puglia-Bari, Sez. III,
sentenza 27.05.2010 n. 2086 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Sull'installazione
dei cartelli pubblicitari lungo le strade.
L’autorizzazione alla installazione di impianti pubblicitari
è subordinata alla valutazione in ordine alla sua
compatibilità con il diverso interesse pubblico generale
alla ordinata regolamentazione degli spazi pubblicitari (che
non possono essere indiscriminatamente lasciati alla libera
iniziativa privata), già oggetto di una specifica
disciplina, non sovrapponibile a quella edilizia.
Il Comune è chiamato ad esercitare, al riguardo, un potere
discrezionale, essendo titolare sia delle funzioni relative
alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la
titolarità del potere autorizzatorio dell'installazione di
impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del
Codice della Strada), sia di quelle relative all'uso del
proprio territorio, anche sotto l’aspetto dei monumenti,
dell'estetica cittadina e del paesaggio, ben potendo
individuare limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico
interesse (cfr. TAR Lombardia-Brescia, Sez. I, 28.02.2008 n.
174).
Inoltre, nei casi come quelli sub esame, in cui viene
richiesta l’affissione di impianti pubblicitari direttamente
su suolo pubblico, l’Amministrazione -nella cui
disponibilità, oltretutto, si trova il suolo stesso- è
tenuta ad espletare una valutazione complessiva, non
limitata soltanto alla mera compatibilità dell’impianto
pubblicitario con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in
cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato),
ma estesa anche alla verifica che, attraverso detto uso
privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli
interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è
portatrice.
Invero, in questi casi, viene richiesto un esame più
approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un
procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non
già meramente autorizzatorio, ma di natura concessoria, il
cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività
privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non
incompatibilità dell’una rispetto all’altro.
---------------
L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico
postula un provvedimento di concessione dell’uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento
autorizzatorio. Infatti, l’autorizzazione all’esposizione
dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo
pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo
attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi, poiché,
mentre il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra
menzionato giudizio di "non incompatibilità"
dell’attività privata con l’interesse pubblico, il
procedimento concessorio involve la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico interesse.
Ne segue che, quando l’esposizione degli impianti di
pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del
predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo
prescindere dalla citata valutazione di conformità: la
complessità della quale rende inconcepibile che si possa
formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (TAR
Lombardia, Milano, Sez. IV, 26.07.2005, n. 3421), tenuto
conto che nessuna indicazione di segno contrario può
desumersi dalla cosiddetta generalizzazione del
silenzio-assenso conseguente alla riforma di cui alla legge
14.05.2005 n. 80, giacché quello concessorio è procedimento
in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale,
alla luce dell’insegnamento della Corte Costituzionale (v.
la sentenza 27.07.1995, n. 408), deve escludersi
l’applicabilità del regime del silenzio- assenso.
In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di
concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né
oggi, “per silentium”), l’autorizzazione alla
installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi
prescindendo dal rilievo della suddetta concessione.
---------------
La Corte Costituzionale, con
sent. 17.07.2002 n. 355, nel dichiarare infondata la
sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art.
36, comma 8, del D.L.gs. 507/1993, nella parte in cui
preclude ai Comuni di autorizzare nuovi impianti fino
all’approvazione del regolamento, stante l’esistenza di un
termine per detta approvazione -termine che assicurerebbe
ex se una protezione adeguata al diritto di iniziativa
economica del settore, vincolato da un limite reputato non
irragionevole e non arbitrario giacché funzionale alla
salvaguardia di beni di rilievo costituzionale, quali
l’ambiente, l’arte, il paesaggio la sicurezza nella
circolazione- ha osservato, nel medesimo contesto, che, in
difetto di tale valutazione previa, risulterebbero appunto
vanificati gli svariati interessi pubblici, sui quali
l’attività potenzialmente verrebbe ad incidere.
La suddetta sentenza ha, infatti, significativamente
affermato che la tutela degli interessi pubblici presenti
nell’attività pubblicitaria, effettuata mediante
l’installazione dei cartelloni, si articola ex D.Lgs.
507/1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di
carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere
che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle
Amministrazioni comunali in maniera casuale ed arbitraria e,
comunque, senza una chiara visione dell’assetto del
territorio e delle sua caratteristiche abitative, estetiche,
ambientali e di viabilità e l’altro, a contenuto particolare
e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il
quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla
luce delle prescrizioni di piano e solo se sono conformi a
tali previsioni possono essere soddisfatte” (Corte Cost.
sent. 17.07.2002 n. 355).
--------------
Il “contingentamento” dell'installazione di impianti
pubblicitari non si pone in contrasto con la tutela
costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo
stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare tale
libertà onde contemperarla con l'utilità sociale.
Ed invero, nell'ambito semantico della “utilità sociale”
rientra (e non potrebbe essere altrimenti) anche la
protezione di valori costituzionali, quanto meno
equiordinati al diritto di iniziativa economica, quali la
difesa dell'ambiente e delle valenze estetiche del
patrimonio culturale della Nazione, riconducibile all’art. 9
della Costituzione.
Pertanto, l’art. 3 del D.Lgs. n. 507/1993 si pone in
coerenza con questa architettura chiara, correlando la
previsione di vincoli alla pubblicità in funzione di
esigenze di pubblico interesse, che vanno unitariamente
considerati, in sede di una complessiva valutazione di
compatibilità con la tutela dell'igiene pubblica e
dell'estetica cittadina e gli altri interessi
superindividuali, a vario titolo coinvolti nella specifica
regolazione.
Siffatto potere discrezionale si esercita anche in sede di
valutazione delle istanze autorizzatorie, "attraverso la
selezione dell'interesse prevalente da perseguire nella
platea di interessi pubblici e privati compresenti", ben
potendo il Comune attribuire la prevalenza ad es. alle
generali esigenze di sicurezza della circolazione, rispetto
al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori
gli imprenditori del settore.
Inoltre, il PGIP, nel disciplinare l'attività autorizzatoria
in maniera coerente con l'esigenza di un'equilibrata
protezione della variegata trama dei molteplici interessi
-di natura urbanistica, edilizia, economica, culturale,
viaria- tra loro interferenti e che in diversa misura
vengono in rilievo nell'attività pubblicitaria, ben può
circoscrivere anche l'affissione diretta, da parte dei
privati, sugli impianti privati, ad una determinata
superficie dell'intera superficie affissiva.
D'altronde, l'affissione diretta deve, in via tendenziale,
consentirsi per un'estensione minore rispetto a quella
affidata alla gestione pubblica, anche attraverso il
concessionario, atteso che tra gli scopi perseguiti con
l'istituzione del servizio delle pubbliche affissioni è
compreso l'obiettivo, di natura perequativa, di assicurare,
nonostante l'esistenza di una risorsa scarsa (quale la
superficie affissiva), lo svolgimento dell'attività di
affissione diretta, anche da parte di coloro che non
dispongono di impianti propri, ponendo così le condizioni
per un'effettiva concorrenza, sia pur limitata, tra le
imprese operanti nel settore della pubblicità commerciale
(le quali, diversamente, si vedrebbero precluso, di fatto,
qualunque accesso al relativo mercato), senza con ciò porsi
in violazione del principio di gerarchia delle fonti, fermo
restando il rispetto per i canoni della ragionevolezza e
della proporzionalità nella specifica opzione dosimetrica
(TAR Calabria-Catanzaro, Sez. I,
sentenza 27.04.2010 n. 541 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Strade
- autorizzazione collocamento cartelli
pubblicitari - regolamento comunale - divieto
generalizzato - illegittimità - limiti -
proporzionalità al pubblico interesse.
Il potere regolamentare del Comune in
materia di rilascio di autorizzazioni a
collocare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari non può giungere ad un divieto
generalizzato di collocare mezzi
pubblicitari, esteso indistintamente a tutto
il territorio comunale in quanto lesivo
della libertà di iniziativa economica
privata, ma deve essere esercitato secondo
proporzionalità e adeguatezza, prevedendo in
via generale le limitazioni necessarie al "pubblico
interesse" (ad es. vincoli ambientali o
paesaggistici, sicurezza stradale) di volta
in volta specificamente individuato
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
21.04.2010 n.
1596 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Sussiste l’impossibilità di un divieto
generalizzato di collocare mezzi pubblicitari, esteso
indistintamente a tutto il territorio comunale, che come
tale sarebbe certamente lesivo della libertà di iniziativa
economica privata, dato che in termini semplici non
consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve essere
esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza, prevedendo
in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico
interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la
sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego
dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa
istruttoria, quali siano le esigenze in concreto
pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda.
Norme di legge
le quali disciplinano la collocazione sul territorio
comunale di mezzi pubblicitari sono fondamentalmente tre.
L’art. 23 del d. lgs. 30.04.1992 n. 285, cd. Codice della
strada, stabilisce un principio generale per cui è possibile
da parte degli enti proprietari delle strade il rilascio di
autorizzazioni a collocare cartelli ed altri mezzi
pubblicitari; prevede poi divieti di collocazione in
fattispecie particolari, che hanno come comune denominatore
l’esigenza di garantire una sicura circolazione stradale.
Vi è, poi, l’art. 3 del d.lgs. 15.11.1993 n. 507, secondo il
quale il Comune deve dotarsi di un regolamento sulla
pubblicità che “disciplina le modalità di effettuazione”
della stessa e “può stabilire limitazioni e divieti per
particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di
pubblico interesse”.
Vi è, da ultimo, l’art. 62, comma 2, lettera c), del d.lgs.
15.12.1997 n. 446, per cui il Comune, nel regolamento
sull’imposta prevista per la pubblicità, può disciplinarne
le “modalità di impiego”.
Da tale complesso normativo, la giurisprudenza, anche di
questo Tribunale, ha desunto, a contrario, l’impossibilità
di un divieto generalizzato di collocare mezzi pubblicitari,
esteso indistintamente a tutto il territorio comunale, che
come tale, condividendosi sul punto il rilievo della
ricorrente, sarebbe certamente lesivo della libertà di
iniziativa economica privata, dato che in termini semplici
non consentirebbe alle imprese del settore di lavorare.
La normativa infatti ragiona di limitazioni nell’ambito di
un generale principio per cui la pubblicità è permessa, non
già di una proibizione in linea di principio, salve deroghe.
Il potere regolamentare del Comune in materia deve, quindi,
essere esercitato secondo proporzionalità e adeguatezza,
prevedendo in via generale le limitazioni necessarie al “pubblico
interesse”, nel quale rientra senza dubbio anche la
sicurezza stradale; i singoli provvedimenti di diniego
dovranno poi motivare, in base ad una corretta e completa
istruttoria, quali siano le esigenze in concreto
pregiudicate, che non consentono di accoglier una domanda
(nel senso dell’illegittimità di un divieto generalizzato,
TAR Veneto sez. III, 09.02.2006, n. 339 e, nella
giurisprudenza di questo TAR, l’ord. 09.11.2007 n. 854;
identico principio ribadiscono TAR Lazio Latina, 04.01.2007,
n. 7 e TAR Lazio Roma sez. II, 11.12.2007, n. 12951 anche
con riguardo al caso particolare in cui il regolamento
comunale manchi).
E’ solo per completezza infine che si precisa come divieti
generalizzati di collocazione di impianti pubblicitari
potrebbero derivare da altre disposizioni di legge, diverse
da quelle citate ed espressione di valori a loro volta
costituzionalmente tutelati, come ad esempio nel caso di
vincoli ambientali o paesaggistici, dei quali peraltro nella
specie non è stata invocata l’esistenza.
Pertanto, vanno annullati, in conformità alla domanda della
ricorrente, sia le disposizioni regolamentari che tale
divieto generalizzato impongono, sia il provvedimento
puntuale che ne ha fatto applicazione, nei termini precisati
in dispositivo (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 21.04.2010 n. 1596 - ink a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: 1.
Insegne e pubblicità - Mancata approvazione
del Piano generale degli impianti
pubblicitari entro il termine previsto dal
D.Lgs. 507/1993 - Divieto di installazioni
pubblicitarie - Legittimità.
2. Insegne e pubblicità - Divieto di
installazioni pubblicitarie - Motivazione.
1.
L'art. 36 D.Lgs. 507/1993 deve essere messo
in relazione con l'art. 41 Cost. e con
l'art. 2 della L. 241/1990 e pertanto i
Comuni non possono, protraendo la mancanza
del Piano generale degli impianti
pubblicitari, inibire sine die nel
frattempo ogni installazione pubblicitaria
in quanto l'inerzia protratta oltre il
termine per la approvazione del suddetto
Piano pregiudicherebbe in modo eccessivo la
libertà di iniziativa economica, garantita a
livello costituzionale.
2.
La motivazione di un diniego deve dare
contezza delle ragioni per le quali viene
ritenuta l'incompatibilità dei cartelloni
pubblicitari con le esigenze di tutela
paesistica nel contesto ambientale tutelato
e non può tradursi in una semplice formula
generica e neppure la valutazione di
compatibilità paesaggistica può sostenere un
aprioristico divieto di istallazione per
l'intero territorio comunale
(massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Brescia, Sez.
II,
sentenza
15.04.2010 n.
1573 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Qual'è la procedura autorizzativa dei
cartelli pubblicitari lungo le strade ed in zona
paesaggisticamente vincolata?
Un comune lombardo ha posto un quesito in data 26.02.2010
al Servizio Giuridico per l'edilizia, il paesaggio e le
valutazioni ambientali della Regione Lombardia del seguente
tenore.
In merito all'installazione dei cartelli pubblicitari
(es. dimensioni mt. 3,00 x 2,00) lungo le strade provinciali
l'art. 23, comma 4, del D.Lgs. n. 285/1992 così dispone: "23
Pubblicità sulle strade e sui veicoli.
4. La collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari
lungo le strade o in vista di esse è soggetta in ogni caso
ad autorizzazione da parte dell'ente proprietario della
strada nel rispetto delle presenti norme. Nell'interno dei
centri abitati la competenza è dei comuni, salvo il
preventivo nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la
strada è statale, regionale o provinciale.".
Per esemplificare, poniamo che il suddetto cartello da
posizionare ricada in zona paesaggisticamente vincolata,
all'esterno del centro abitato, lungo una strada
provinciale. Al riguardo, parrebbe che i cartelli in
questione soggiaciano ad una procedura autorizzativa
ambientale diversa, rispetto alla solita autorizzazione
paesaggistica, giusto l'art. 153 del D.Lgs. n. 42/2004 il
quale così recita: "Art. 153. Cartelli
pubblicitari.
1. Nell’ambito e in prossimità dei beni paesaggistici
indicati nell’articolo 134 è vietata la posa in opera di
cartelli o altri mezzi pubblicitari se non previa
autorizzazione dell'amministrazione competente, che provvede
su parere vincolante, salvo quanto previsto dall'articolo
146, comma 5, del soprintendente. Decorsi inutilmente i
termini previsti dall'articolo 146, comma 8, senza che sia
stato reso il prescritto parere, l'amministrazione
competente procede ai sensi del comma 9 del medesimo
articolo 146.
(comma
così modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera cc),
numero 1), del d.lgs. n. 63 del 2008)
2. Lungo le strade site nell'ambito e in prossimità dei beni
indicati nel comma 1 è vietata la posa in opera di cartelli
o altri mezzi pubblicitari, salvo autorizzazione rilasciata
ai sensi della normativa in materia di circolazione stradale
e di pubblicità sulle strade e sui veicoli, previo parere
favorevole del soprintendente sulla compatibilità della
collocazione o della tipologia del mezzo pubblicitario con i
valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a
tutela."
(comma così modificato dall'articolo
2, comma 1, lettera cc), numero 2), del d.lgs. n. 63 del
2008).
Il suddetto comma 2 prevede che necessiti acquisire
preliminarmente agli atti l'obbligatorio "parere favorevole
del soprintendente sulla compatibilità della collocazione o
della tipologia del mezzo pubblicitario con i valori
paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a
tutela".
Detto ciò, stamane ho contattato telefonicamente l'Avv. ...
della Provincia di ... il quale sostiene che il suddetto
art. 153 non si applica al caso di specie e, quindi,
necessita rilasciare comunque l'autorizzazione paesaggistica
poiché la Regione Lombardia ha legiferato in materia ex art.
80 l.r. n. 12/2005 in ossequio a quanto previsto dall'art.
158 del D.Lgs. n. 42/2004.
Non solo, c'è anche un'ulteriore problematica da sviscerare
ovverosia se per l'installazione del suddetto cartello
pubblicitario necessiti presentare la richiesta del permesso
di costruire (ovvero presentare la d.i.a.) oppure l'atto
abilitativo è solo quello di cui all'art. 23, comma 4, del
codice della strada (D.Lgs. n. 285/1992) così come
sostengono le ditte che vogliono installare tali cartelli.
Riassumendo, per l'esempio sopra indicato, lo scrivente
propende per la seguente procedura autorizzativa:
1-
l'interessato presenta al comune la richiesta del permesso
di costruire (ovvero d.i.a.) per l'installazione del
cartello pubblicitario. Invero, tale cartello non può
considerarsi opera precaria per la quale non abbisogna
rilasciare alcun titolo abilitativo di tipo
edilizio-urbanistico. La suddetta istanza dovrà essere
istruita circa la verifica di compatibilità, tra l'altro,
con le disposizioni del vigente P.T.C.P.;
2-
il comune acquisisce agli atti l'autorizzazione
dell'Amministrazione Provinciale (cfr. art. 23, comma 4, del
d.lgs. n. 285/1992). Tale autorizzazione attiene agli
aspetti propri del codice della strada (es.: distanza minima
tra un cartello e l'altro, distanza minima dagli incroci
stradali, verifica che i colori del cartello con siano causa
di distrazione da parte degli automobilisti, ecc.) e tale
autorizzazione, così come l'autorizzazione paesaggistica per
la d.i.a. ovvero permesso di costruire, è un atto
propedeutico all'atto abilitativo di cui al punto
precedente;
3-
il comune acquisisce il parere favorevole del soprintendente
(cfr. art. 153, comma 2, d.lgs. n. 42/2004);
4-
il comune rilascia il richiesto permesso di costruire ovvero
la d.i.a. presentata diviene efficace nei termini di legge.
DOMANDA: è corretto procedere nel modo sopra indicato?
* * * * *
Ecco la
risposta del 03.03.2010 del Servizio Giuridico
per l'edilizia, il paesaggio e le valutazioni ambientali
della Regione Lombardia inviata con e-mail.
Con riferimento alla questione prospettata, si rileva
quanto segue.
L'art. 153, 1°, comma del D.Lgs. 42/2004 deve intendersi ...
(continua) |
EDILIZIA PRIVATA:
Impianti pubblicitari - Autorizzazione
all'esposizione - Concessione uso del suolo
pubblico - Fattispecie autorizzato ria
tacita - Non rileva.
L'autorizzazione all'esposizione di mezzi
pubblicitari e la concessione dell'uso del
suolo pubblico attengono alla tutela di
interessi pubblici diversi e presuppongono
valutazioni differenti.
Pertanto non è
fondato il motivo fatto valere dalla società
ricorrente (operante nel settore della
pubblicità e delle pubbliche affissioni) sul
perfezionamento della fattispecie autorizzatoria
tacita (D.P.R. n. 407/1994) non applicabile
alla domanda presentata dalla ricorrente
avente ad oggetto impianti pubblicitari di
grosse dimensioni da installarsi sul luogo
pubblico (massima tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez.
III,
sentenza 02.02.2010 n.
252 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2009 |
|
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Cartellone pubblicitario - Diniego
fondato sul generale principio di tutela paesistica dei beni
tutelati ex art. 134 D.lgs. 42/2004 - Motivazione
particolare - Non necessita.
2. Cartellone pubblicitario - Preesistenza di cartelloni in
prossimità dei beni tutelati ex art. 34 D.lgs. 42/2004 -
Legittimazione alla posa di nuovi cartelloni - Non sussiste.
1.
In materia di pubblicità con posa di relativa
cartellonistica in prossimità dei beni paesaggistici
indicati nell'articolo 134 D.lgs 42/2004, mentre una
motivazione specifica deve sorreggere il parere favorevole
della competente Autorità volto ad escludere, nel caso
singolo, quella incompatibilità che di norma sussiste,
viceversa non occorre una motivazione particolare laddove
l'Autorità riconosca, nell'esercizio della propria
discrezionalità tecnica -non sindacabile se non nel caso di
palesi incongruità o illogicità macroscopiche- l'impatto
paesistico che l'impianto esercita nel contesto prescelto.
2.
In materia di pubblicità con posa di relativa
cartellonistica in prossimità dei beni paesaggistici
indicati nell'articolo 134 D.lgs. 42/2004, la presenza di
altri cartelloni in area definita ad alta densità
commerciale, non costituisce motivo che legittimi la posa di
nuovi cartelloni: al contrario, essa è motivo per ridurre -e
non incrementare ulteriormente- la densità di impianti in
danno al regime vincolistico esistente (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4666 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Divieto di apposizione di
cartellonistica in ambiti tutelati.
La disposizione contenuta nell'articolo 153 del d.lgs.
22.01.2004 n. 42, in tema di collocazione di cartelli o
mezzi pubblicitari in prossimità dei beni paesaggistici
indicati nell'articolo 134, stabilisce un divieto
generalizzato, derogabile solo su parere favorevole
dell’autorità competente.
Ne consegue che, mentre una motivazione specifica deve
sorreggere il parere favorevole, volto ad escludere quella
incompatibilità che di norma sussiste, viceversa non occorre
una motivazione particolare laddove l’autorità riconosca,
nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica,
l’impatto paesistico che l’impianto esercita nel contesto
prescelto (TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 4666 -
link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Insegne e pubblicità - Disciplina
normativa - Oggetto - Insegne pubblicitarie e di esercizio.
2. Insegne e pubblicità - Disciplina normativa -
Disposizioni dell'attività edilizia - Non applicabilità -
Eccezioni.
3. Insegne e pubblicità - Disciplina normativa - Disciplina
in materia di sanatoria di abusi edilizi - Inapplicabilità.
4. Giurisdizione e competenza - Tutela dei beni ambientali -
Violazione delle disposizioni regolatrici di affissioni di
cartelli o altri mezzi pubblicitari - Competenza legislativa
esclusiva dello Stato - Sussiste.
5. Insegne e pubblicità - Autorizzazione all'apposizione di
insegne - Natura - Atto vincolato - Competenza del sindaco -
Non sussiste.
6. Abusi - Presentazione di domanda in sanatoria -
Conseguenze - Legittimità del provvedimento impugnato -
Permane - Limiti.
1.
L'apposizione di insegne trova la propria disciplina
nell'art. 23, d.lgs. n. 285/1992, negli artt. 51 e ss.
d.P.R. n. 495/1992 (che la subordinano al rilascio di
un'autorizzazione da parte dell'ente proprietario della
strada) e con riferimento alla collocazione su edifici o in
luoghi soggetti a tutela, negli artt. 157 e 165 d.lgs. n.
490/1999 (ed ora negli artt. 153 e 168 d.lgs. n. 42/2004).
Tali disposizioni hanno ad oggetto cartelli ed altri mezzi
pubblicitari: in considerazione della ratio della
loro finalità di tutela, devono essere intese in senso ampio
e sono, dunque, da ritenersi applicabili alla apposizione
delle insegne, siano esse pubblicitarie o di esercizio.
2.
La collocazione di insegne ha una disciplina specifica e non
trova pertanto la propria regola nelle disposizioni che
regolamentano l'attività edilizia, tranne nell'ipotesi in
cui, per le dimensioni e per la tipologia di impatto
urbanistico provocata, essa configuri un'attività di
trasformazione del territorio subordinata al rilascio di
permesso di costruire o denuncia di inizio attività.
3.
In tema di collocazione di insegne, in ragione della
disciplina specifica che regola la materia, non sono
applicabili le norme -eccezionali- che disciplinano la
sanatoria degli abusi edilizi.
4.
Le modalità di tutela dei beni ambientali ed il conseguente
regime sanzionatorio in caso di violazione delle
disposizioni che regolano le affissioni di cartelli o altri
mezzi pubblicitari rientrano nell'ambito della competenza
legislativa esclusiva dello Stato prevista dall'art. 117,
lett. s, della Costituzione.
5.
I provvedimenti di autorizzazione all'apposizione di insegne
non discendono dall'esercizio di poteri di indirizzo e
controllo spettanti agli organi politici comunali ma sono
atti per loro natura vincolati, che rientrano nell'ambito
specifico della gestione amministrativa e devono, pertanto,
ritenersi sottratti alla competenza del sindaco.
6.
La presentazione di un'istanza di sanatoria -in mancanza di
una previsione legislativa che consenta il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria e, dunque, di un obbligo per
la P.A. di provvedere sulla relativa domanda- non inficia in
alcun modo la legittimità del provvedimento impugnato (nel
caso di specie provvedimento di rimozione dell'insegna
pubblicitaria) né ha alcun effetto su di esso (massima
tratta da www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. II,
sentenza 17.06.2009 n. 4065 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Cartelli pubblicitari - zona
vincolata paesaggistica - giudizio di incompatibilità -
motivazione congrua - riferimento al concreto stato dei
luoghi.
2. Commissione edilizia integrata - parere paesaggistico -
ampia discrezionalità estetica - censura solo per
travisamento fatti o evidenti illogicità .
1.
In materia di installazione di cartelli pubblicitari in zona
vincolata paessaggistica il giudizio di incompatibilità deve
essere adeguatamente motivato e deve dare contezza delle
ragioni per le quali viene ritenuta la non compatibilità del
manufatto con le esigenze di tutela paesistica del contesto
: la motivazione del provvedimento di diniego
dell'autorizzazione è congrua ed esaustiva se dai pareri
autonomamente espressi in sede endoprocedimentale dagli
esperti ambientali recepiti dal provvedimento conclusivo
emerge un giudizio sfavorevole non astratto, ma puntuale e
riferito al concreto stato dei luoghi.
2.
Se nel procedimento è intervenuta la Commissione edilizia
integrata dagli esperti per il paesaggio, il parere espresso
da questa è connotato da ampia discrezionalità "estetica"
ed è censurabile solo in presenza di travisamenti fattuali o
evidenti illogicità (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Brescia, Sez. II,
sentenza 17.09.2009 n. 1706 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
INSTALLAZIONE CARTELLI LUNGO LE STRADE.
1- Demanio e patrimonio - Stradale -
Impianti e segnali stradali - Distinzione - Installazione -
Enti competenti.
2- Demanio e patrimonio - Stradale - Segnali turistici e di
territorio - Installazione - Spetta al Comune - Ratio -
Fattispecie.
3- Demanio e patrimonio - Stradale - Segnali turistici e di
territorio - Requisiti - Installazione - Soggiacciono al
regime autorizzatorio degli impianti pubblicitari.
1- Il Codice
della Strada ed il regolamento di esecuzione ripartiscono le
competenze distinguendo chiaramente gli impianti
pubblicitari dai segnali stradali (1). Ai sensi dell'art. 23
co. 4, D.Lgs. n. 285/1992 "La collocazione dei cartelli e
di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di
esse è soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte
dell'ente proprietario della strada. Nell'interno dei centri
abitati la competenza è dei comuni, salvo il preventivo
nulla osta tecnico dell'ente proprietario se la strada è
statale, regionale o provinciale". Al co. 5, si precisa
che "Quando i cartelli e gli altri mezzi pubblicitari
collocati su una strada sono visibili da un'altra strada
appartenente ad ente diverso, l'autorizzazione è subordinata
al preventivo nulla osta di quest'ultimo".
Invece, a mente dell'art. 37, co. 1, del Codice della Strada
l'apposizione della segnaletica spetta: "a) agli Enti
proprietari delle strade, fuori dei centri abitati; b) ai
Comuni, nei centri abitati, compresi i segnali di inizio e
fine del centro abitato, anche se collocati su strade non
comunali; c) al Comune, sulle strade private aperte all'uso
pubblico e sulle strade locali".
In buona sostanza, mentre l'art. 37 riserva espressamente
agli Enti proprietari delle strade l'apposizione e la
manutenzione della segnaletica stradale -alla luce dei
preminenti interessi pubblici sottesi alla funzione
espletata- gli artt. 23 e 26 delineano un regime
autorizzatorio per l'installazione degli impianti
pubblicitari, attribuendo agli Enti proprietari la
competenza al rilascio dei titoli abilitativi (2).
(1) TAR Lombardia Brescia 27-11-2008 n. 1701.
(2) Cons. Stato, sez. V, 29-01-2003 n. 466.
---------------------
2-
I segnali turistici e di
territorio sono contemplati dall'art. 39, co. 1, lett. h),
del Codice della Strada nell'ambito dei segnali verticali di
indicazione. Il servizio in questione deve essere ascritto a
quelli riservati ai Comuni dall'art. 37 e tale conclusione è
confermata dalla disposizione di cui all'art. 134, co. 3,
del regolamento di esecuzione -il quale introduce la
possibilità che i segnali turistici e di territorio vengano
installati da soggetti diversi dall'Ente proprietario della
strada- atteso che tale previsione rinvia ad ipotesi
specifiche in cui l'apposizione compete ad un altro soggetto
pur sempre pubblico (3).
In buona sostanza è inibito l'accesso diretto dei privati
all'attività considerata, poiché la titolarità della
funzione è attribuita dalla legge in capo al Comune. Se
dunque i cartelli stradali in argomento rispondono al
bisogno collettivo di garantire agli utenti della strada
indicazioni utili per la guida e la circolazione (4), ne
deriva che nella, fattispecie esaminata, le istanze
-provenienti dalla Società ricorrente- potevano
esclusivamente essere vagliate come richieste di
autorizzazione ex art. 23, tenuto conto che il riferimento
nominativo a determinate imprese assolve indirettamente
anche una finalità pubblicitaria.
(3) TAR Lombardia Milano, sez. III, 20-12-2004 n. 6490.
(4) TAR Campania Napoli, sez. II, 20-07-2007 n. 6888.
--------------------
3-
I segnali stradali che non
indicano né un sito turistico (naturale, museale), né un
percorso turistico (tipo "la strada dei vini" e simili) non
appartengono al "genus" dei segnali turistici e di
territorio (né tantomeno ai segnali di direzione ex artt.
39, Cons. Stato e 128, D.P.R. n. 495/1992) e soggiacciono,
viceversa e in linea generale, all'ordinario regime
autorizzatorio per l'installazione degli impianti
pubblicitari. In particolare, nel caso in esame e con
riferimento alla normativa regolamentare vigente (e qui
incontestata) nel Comune, gli stessi segnali rientrano nella
nozione di preinsegna, dettata dall'art. 12 delle NTA, il
quale -tra l'altro- al co. 2 ne esclude la localizzazione
all'interno del centro abitato (TAR Lombardia-Milano, Sez.
II, sentenza 17.09.2009 n. 1705). |
EDILIZIA
PRIVATA - ENTI LOCALI:
Quesito 4 -
Il mercato relativo all'uso degli impianti pubblicitari
privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, un
mercato contingentato e regolamentato.
In merito alla soluzione giuridica appropriata al
problema delle modalità di affidamento ai soggetti privati
degli spazi pubblici ove allocare gli impianti pubblicitari.
In merito alla scelta di molti comuni di assegnare in
concessione detti spazi di territorio comunale a mezzo di
gara.
In merito alla disciplina regolatoria della pubblicità nei
comuni con popolazione residente superiore a 30.000
abitanti.
In merito agli impianti pubblicitari posti fuori dai centri
abitati.
In merito all'assoggettamento o meno del canone, quale
corrispettivo, e/o alla tassa per l'occupazione di suolo
pubblico, quale prelievo tributario (Geometra Orobico n.
4/2009). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Imposta sui cartelli edili.
I cartelli edili informativi, obbligatori ai sensi dell'art.
9 dpr 447/1991 e circolare 1729/UL del 1990, scontano
l'imposta di pubblicità quando eccedono il mezzo metro
quadrato.
Il concetto è stato ribadito con sentenza n. 59.1.09 del
24/02/2009 dalla ctp di Reggio Emilia.
Il ricorso riguardava una società edile di persone, che si
opponeva all'avviso di accertamento per imposta comunale
della pubblicità. Tale avviso era stato emesso per un
cartello esposto presso un cantiere, obbligatorio, ai sensi
del citato art. 9 dpr 447/1991 e della circolare 1729/UL del
1990. La normativa vigente impone l'obbligo di esporre,
presso ogni cantiere apposito cartello con l'indicazione dei
soggetti che prendono parte alle opere ivi eseguite.
La parte ricorrente eccepiva che l'esposizione del cartello
doveva essere interpretata nel senso di adeguamento a tale
obbligo previsto dalla normativa, non costituendo tale
esposizione, quindi, alcuna forma di pubblicità, ovvero da
ricomprendersi fra le attività previste in esenzione ai
sensi dell'art. 17, comma 1, dlgs 507/1993.
Con proprie controdeduzioni, la società concessionaria,
parte resistente, insisteva sulla regolarità
dell'accertamento, argomentando, nel merito, che il cartello
esposto all'esterno del cantiere, da parte della società
edile, conteneva un chiaro messaggio pubblicitario ed era di
dimensioni maggiori al mezzo metro quadrato. Tale
argomentazioni erano suffragate, dalla parte resistente,
tramite apposita documentazione fotografica allegata alle
controdeduzioni depositate.
La commissione tributaria di Reggio Emilia, udite le parti
in pubblica udienza, ribadisce che le insegne appartenenti
alla società ricorrente, assolvono un obbligo regolamentare,
cosi come stabilito dal dpr 447/1991, contemporaneamente,
però, è fuor di dubbio che rappresentano anche un messaggio
pubblicitario.
Dall'avviso di accertamento della società concessionaria,
continua la commissione, nonché dalla documentazione
fotografica allegata, si evince che il cartello esposto ha
dimensioni superiori al mezzo metro quadrato. Dimensioni che
eccedono quelle stabilite per fruire dell'esenzione
(articolo ItaliaOggi del 26.03.2009, pag. 30). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1.- Autorizzazione - Comunale -
Istallazione impianti pubblicitari - D.Lgs. 15.11.1993 n.
507 - Applicazione.
2.- Autorizzazione - Comunale - Installazione impianti
pubblicitari - Art. 41, Cost. - Natura.
3.- Autorizzazione - Comunale - Installazione impianti
pubblicitari - Piano di repressione dell'abusivismo
pubblicitario - Comune di Venaria Reale - Illegittimità -
Sussiste.
1.-
Ai sensi dell'art. 3, co. 2 e 3, D.Lgs. 15.11.1993 n. 507
(recante revisione ed armonizzazione dell'imposta comunale
sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni)
ogni Comune è tenuto ad adottare un apposito regolamento per
l'applicazione dell'imposta, che disciplini le modalità di
effettuazione della pubblicità, con la possibilità di
stabilire limitazioni e divieti per particolari forme
pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico
interesse, e in ogni caso determini la tipologia e la
quantità degli impianti pubblicitari, le modalità per
ottenere il provvedimento per l'installazione e i criteri
per la realizzazione del piano generale degli impianti.
2.-
L'installazione di impianti pubblicitari è un'attività
economica contingentata, stante la limitatezza degli spazi a
ciò destinati, la quale non si pone in contrasto con la
tutela costituzionale della libera iniziativa privata,
giacché lo stesso art. 41, Cost. ammette la possibilità di
limitare tale libertà onde contemperarla con l'utilità
sociale.
3.-
Sussiste il contrasto dell'art. 11 del Piano di repressione
dell'abusivismo pubblicitario del Comune di Venaria Reale
con l'art. 24, co. 5-bis, D.Lgs. n. 507/1993 che, pur
prevedendo la necessità di un piano per la repressione degli
abusi, non autorizza affatto l'Amministrazione ad imporre
una moratoria generalizzata su tutti gli impianti, il che
apparirebbe anche in contrasto con il principio di
ragionevolezza perché si finirebbe per far gravare su
imprenditori che, fino a prova contraria, sono del tutto in
regole, le conseguenze di abusi perpetrati da altri
soggetti, non sufficientemente controllati per colpa,
principalmente, della stessa Amministrazione, carente
nell'apprestare le doverose misure di sorveglianza e
repressive (TAR Piemonte, Sez. I,
sentenza 28.07.2009 n. 2123 - link a
http://mondolegale.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
Autorizzazione e concessione - Impianti
pubblicitari - Silenzio-assenso - Non applicabile -
Procedimento concessorio - Necessità.
L'autorizzazione all'installazione di mezzi pubblicitari
attraverso il meccanismo del silenzio assenso non trova
applicazione allorché la posa dei mezzi avviene su suolo
pubblico, essendo necessario, in tal caso, un esplicito
procedimento concessorio (cfr. TAR Lombardia, Milano, Sez.
IV, 05.12.2008, n. 5718) (massima tratta da www.solom.it -
TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 06.04.2009 n. 3141 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA:
1. Autorizzazione per l'installazione di
impianti pubblicitari sul suolo pubblico - Strumento del
silenzio - Assenso - Inapplicabilità.
2. Installazione di impianti pubblicitari su suolo pubblico
- Titolo autorizzatorio espresso - Necessità.
1.
A norma dell'art. 20 della legge 241/1990 e del d.P.R. n.
407/1994, le domande di autorizzazione all'installazione di
impianti pubblicitari sul suolo pubblico non possono
reputarsi accolte a mezzo dello strumento del silenzio -
assenso. (cfr. TAR Lombardia, Milano, 06.10.2008 n. 4709;
03.03.2008 n. 450; 13.11.2006, n. 2151; 22.06.2006 n. 1491).
2.
L'installazione che insiste su suolo pubblico, implicando
l'uso del predetto suolo da parte di un soggetto privato
richiede, da parte dell'Amministrazione nella cui
disponibilità il suolo si trovi, una ben più complessa ed
attenta valutazione, che non si limita alla compatibilità di
tale uso con l'interesse pubblico, ma deve estendersi alla
verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa
pubblica, si realizzino gli interessi collettivi di cui essa
è portatrice, valutazione che rende inconcepibile che possa
formarsi tacitamente il provvedimento concessorio
finale (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 29.01.2009 n. 992 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2008 |
|
EDILIZIA
PRIVATA: Installazione
mezzi pubblicitari - Provvedimento concessorio.
L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico
postula un provvedimento di concessione dell'uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento
autorizzatorio. Infatti, l'autorizzazione all'esposizione
dei mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo
pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo
attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il
procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra
menzionato giudizio di "non incompatibilità" dell'attività
privata con l'interesse pubblico, mentre è solamente con il
procedimento concessorio che ha luogo la valutazione della
conformità di tale attività con il pubblico
interesse (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 29.12.2008 n. 6167 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Installazione
di impianto pubblicitario su suolo pubblico - Provvedimento
concessorio - E' necessario.
Qualora
l'installazione dell'impianto pubblicitario debba avvenire
su suolo pubblico, si rende necessario un esplicito
provvedimento concessorio (cfr. TAR, Lombardia, Milano, Sez.
IV, 06.10.2008 n. 4709) della legalità (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. IV,
sentenza 05.12.2008 n. 5718 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: 1.
Autorizzazione all'installazione di mezzi pubblicitari -
Concessione del suolo pubblico e provvedimento
autorizzatorio.
2. Interesse pubblico alla fruizione di spazi verdi -
Interesse del privato all'esposizione di manufatti
pubblicitari.
1.
In mancanza di un espresso provvedimento di concessione di
suolo pubblico, l'autorizzazione alla installazione dei
mezzi pubblicitari non può formarsi per atto tacito, non
potendo essa prescindere dalla suddetta concessione.
L'installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico
postula un provvedimento di concessione dell'uso del
medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento
autorizzatorio. Infatti, l'autorizzazione all'esposizione
dei mezzi pubblicitari e la concessione dell'uso del suolo
pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo
attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il
procedimento autorizzatorio si esaurisce nel giudizio di
"non incompatibilità" dell'attività privata con l'interesse
pubblico, mentre è solamente con il procedimento concessorio
che ha luogo la valutazione della conformità di tale
attività con il pubblico interesse.
2.
Il Comune non irragionevolmente può attribuire maggior
rilievo all'interesse pubblico alla fruizione degli spazi
verdi, invece che a quello privato all'esposizione, ivi, di
manufatti pubblicitari (v. TAR Lombardia, Milano, Sez. IV,
ord. 01.12.2004, n. 2969/2004) (massima tratta da
www.solom.it - TAR Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 13.10.2008 nn. 4734, 4735, 4736, 4737, 4738
- link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Installazioni
pubblicitarie - Fissazione di limiti e divieti - Atto di
natura regolamentare.
Il potere discrezionale in ordine alla fissazione dei
criteri e dei limiti che le installazioni pubblicitarie
devono rispettare per essere compatibili con il pubblico
interesse deve essere speso attraverso la predisposizione di
un atto di natura regolamentare. Per non incorrere nel
rischio di determinazioni tra loro contrastanti,
l'amministrazione non può decidere, caso per caso, con
criteri che possono variare per ogni singola autorizzazione,
quali installazioni rispondano al decoro architettonico e
quali, invece, no.
Per garantire l'uniformità delle decisioni, i limiti ed i
divieti a salvaguardia di tale interesse devono essere
fissati con carattere di generalità nel suddetto regolamento
(salvo che si tratti di immobili sottoposti a vincoli
paesistici o monumentali, per i quali opera il generale
divieto previsto dall'art. 153 del codice dei beni
culturali) (massima tratta da www.solom.it - TAR
Lombardia-Milano, Sez. III,
sentenza 06.10.2008 n. 4713 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2007 |
|
EDILIZIA PRIVATA: Sul
piano della normativa nazionale, la
collocazione dei cartelli viene subordinata
alla verifica, caso per caso, della relativa
compatibilità con la tutela di quella
porzione di territorio, o di quell’immobile
o complesso di immobili le cui qualità,
intrinseche ed oggettivamente percepibili
dalla generalità, siano state previamente
evidenziate e ritenute meritevoli di tutela
all’esito dei processi ricognitivi compiuti
nel corso dell’istruttoria che si è conclusa
con l’approvazione del piano paesistico
regionale.
L'art. 153 del Codice Urbani dispone quanto
segue: “1) nell’ambito ed in prossimità
dei beni paesaggistici indicati nell’art.
134 é vietato collocare cartelli e altri
mezzi pubblicitari, se non previa
autorizzazione dell’amministrazione
competente individuata dalla regione. 2)
lungo le strade, site nell’ambito ed in
prossimità dei beni indicati nel comma 1, è
vietato collocare cartelli o altri mezzi
pubblicitari salvo autorizzazione rilasciata
ai sensi dell’art. 23, comma 4, del decreto
legislativo 30.04.1992 n. 285 e successive
modificazioni, previo parere favorevole
dell’amministrazione competente individuata
dalla regione sulla compatibilità della
collocazione e della tipologia del mezzo
pubblicitario con i valori paesaggistici
degli immobili o delle aree soggette a
tutela.”
L’art. 134 titolato “beni paesaggistici”
individua come tali: gli immobili e le aree
indicati dall’art. 136, (immobili di
notevole interesse pubblico, tra cui alla
lettera d) sono comprese “le bellezze
panoramiche considerate come quadri e così
pure quei punti di vista o di belvedere,
accessibili al pubblico, dai quali si goda
lo spettacolo di quelle bellezze”); 2)
le aree indicate dall’art. 142 (aree
tutelate per legge); 3) gli immobili e le
aree tipizzati , individuati e sottoposti a
tutela dai piani paesaggistici previsti
dagli artt. 143 e 156.
Dal complesso di tali disposizioni che
dichiaratamente sono state assunte a
presupposto anche dal piano oggi in
questione, senza voler essere esaustivi, si
ricava che la tutela è riservata ad ambiti,
aree od immobili previamente individuati nei
loro confini e nella loro entità: 1) o da
provvedimenti adottati dalle amministrazioni
statali, quali ad esempio i vari decreti di
dichiarazione di interesse pubblico, 2) o
direttamente dalla legge; 3) o individuati e
tipizzati dalla regione nel contesto del
piano paesaggistico.
In coerenza con la tutela del diritto di
iniziativa economica privata, suscettibile
di limitazioni solo per espressa
disposizione di legge in ossequio alla
Costituzione (art. 41), la legge non
prescrive, inoltre, per nessuno di tali “beni”
un divieto assoluto di installazione di
cartelli pubblicitari, neanche nell’ambito
od in prossimità dei beni stessi.
Volendo limitare l’esame alle prescrizioni
che più direttamente riguardano la presente
controversia, sul piano della normativa
nazionale, la collocazione dei cartelli
viene subordinata alla verifica, caso per
caso, della relativa compatibilità con la
tutela di quella porzione di territorio, o
di quell’immobile o complesso di immobili le
cui qualità, intrinseche ed oggettivamente
percepibili dalla generalità, siano state
previamente evidenziate e ritenute
meritevoli di tutela all’esito dei processi
ricognitivi compiuti nel corso
dell’istruttoria che si è conclusa con
l’approvazione del piano paesistico
regionale
(TAR Sardegna, Sez. II,
sentenza 31.10.2007 n. 2014 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2000 |
|
EDILIZIA PRIVATA: 1. -
Impianti pubblicitari - Amministrazione
comunale - Sospensione e rinvio delle
determinazioni - Riferimento a futura
adozione del Piano Generale degli Impianti -
Violazione dell'art. 41 Cost. -
Illegittimità.
2. -
Impianti pubblicitari - Regolamento ex art.
3 D.lgs. 15.11.1993 n. 507 - Ambito di
applicazione.
3. -
Impianti pubblicitari - Silenzio assenso ex
art. 20 L. 241/1990 - Applicabilità.
1. - Incorre nella violazione del principio
costituzionale di tutela della libertà di
iniziativa economica privata, del principio
di stretta legalità, nonché dei principi di
certezza e di buon andamento dell'azione
amministrativa, l'amministrazione comunale
che sospenda ogni decisione riguardo alle
richieste di autorizzazione
all'installazione di impianti pubblicitari
in attesa dell'adozione del Piano Generale
degli Impianti non essendo tale rifiuto a
provvedere supportato da una disposizione
(legislativa o regolamentare) idonea a
denegare quanto richiesto.
2. - Il regolamento previsto dall'art. 3 del
D.lgs. 15.11.1993, n. 507 -con il
quale il comune disciplina le modalità di
effettuazione della pubblicità, la tipologia
e la quantità degli impianti pubblicitari
nonché le modalità per ottenere
l'autorizzazione all'installazione- deve
intendersi riferito non solo agli impianti
comunali di affissione ma anche
all'installazione di impianti posti in
essere da privati su aree private.
3. - In virtù del D.P.R. 09.05.1994, n.
407, deve ritenersi pienamente applicabile
l'istituto del silenzio-assenso previsto
dall'art. 20 della legge n. 241/1990 per le
domande intese ad ottenere l'autorizzazione
all'installazione di impianti pubblicitari.
_________________
1. - Nello stesso senso, cfr. TAR
Toscana, sez. III, 27.10.2000, n. 2210.
Cfr., inoltre, Cons. Stato, sez. IV, 10.01.1990, n. 9, in Rass. Cons. Stato,
1990 e TAR Lazio, sez. II, 05.12.1991, ord. n. 1865, in Rass. TAR, 1992, 50,
secondo il quale, tra l'altro, l'art. 41
della Costituzione "pur affermando la
libertà dell'iniziativa economica privata,
autorizza l'apposizione di vincoli al suo
esercizio subordinatamente al verificarsi di
una duplice condizione: sotto l'aspetto
sostanziale, che detti limiti corrispondano
all'utilità sociale e, sotto quello formale,
che la relativa disciplina sia effettuata ad
opera della legge" (ivi, 53).
2. - Per il principio secondo il quale la
disciplina di dettaglio deve avere per
oggetto tutti gli aspetti di tutela del
territorio coinvolti nell'attività economica
in questione e, in particolare, considerare
le problematiche relative alla compatibilità
degli impianti pubblicitari con la cornice
storico - ambientale del centro storico,
cfr. TAR Toscana, sez. III, 27.10.2000, n. 2210 e TAR Lazio, sez. II, 24.07.1997, n. 1179, in Rass. TAR 1997,
2946, citata nel testo.
3. - Nello stesso senso, cfr. TAR
Toscana, sez. III, 27.10.2000, nn.
2204, 2206 e 2208; nonché TAR Calabria,
16.07.1999, nn. 900 e 901, in Rass. TAR,
1999, 4132 (massima tratta da
www.sentenzetoscane.it - TAR Toscana, Sez. III,
sentenza 27.10.2000 n.
2205 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
|