dossier C.I.L.
(Comunicazione Inizio Lavori) / C.I.L.A. (Comunicazione Inizio Lavori
Asseverata) |
anno 2023 |
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EDILIZIA PRIVATA: Sul
rinvio delle norme urbanistiche alle nozioni di intervento
edilizio, nonché sulla modifica della destinazione d’uso
tramite manutenzione straordinaria e sul controllo relativo
alla CILA.
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Edilizia e urbanistica –Norme tecniche di attuazione –
Interventi edilizi – Rinvio ricettizio.
Qualora negli atti di pianificazione
urbanistica si faccia riferimento a determinate categorie di
interventi edilizi, il rinvio in questione non può che
essere recettizio.
Se, infatti, tale rinvio non avesse tale natura statica o
ricognitiva, ma dinamica, per il suo tramite confluirebbero
nel regime derogatorio tutti gli interventi successivamente
ricondotti dal legislatore sotto l’egida della nuova
definizione, seppure originariamente non valutati, con
conseguente sottrazione delle scelte di governo del
territorio al comune, soggetto istituzionalmente preposto
(1).
...
Edilizia e urbanistica – Manutenzione straordinaria –
Modifica della destinazione d’uso.
Anche successivamente alla riforma
introdotta dal d.l. 76 del 2020, le modifiche di
destinazione d’uso che possono conseguire agli interventi
riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria sono
solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale
essendo l’inequivoco significato della dicitura «urbanisticamente
rilevanti» e «non implicanti aumento del carico urbanistico»
previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380
del 2001, anche nella sua attuale formulazione (2).
...
Edilizia e urbanistica – CILA – SCIA – Controllo – Sanzione.
Benché sulla conformità tecnico-giuridica
della CILA –diversamente da quanto disposto per la SCIA– non
sia previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro
un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un
indice del legittimo avvio dell’attività oggetto della
comunicazione, devono ritenersi applicabili alla CILA i
principi consolidatisi con riferimento alla separazione tra
autotutela decisoria e esecutiva in materia di SCIA o DIA,
in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale
n. 45 del 2019.
Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura
giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di tempo e
di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6-bis e
6-ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il
richiamo alle «condizioni» di cui all’art. 21-novies della
medesima normativa (3).
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(1) Non risultano precedenti in termini.
(2) Conformi: Tar per la Campania, sez. VII, 04/08/2021,
n. 5446; Tar per il Lazio, Latina, sez. I, 30/03/2021, n.
215;
Difformi: non risultano precedenti difformi.
(3) Conformi: Cons. Stato, sez. IV, 23.04.2021, n. 3275;
Difformi: non risultano precedenti difformi (Consiglio
di Stato, Sez. II, sentenza
24.04.2023 n. 4110 - commento tratto da e link a
www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
12. Nel merito l’appello è fondato nei sensi e limiti di
seguito indicati.
13. Va innanzi tutto sgombrato il campo dal vizio di
prospettiva indotto dalla possibile ricostruzione unitaria
della vicenda a partire dalla prima CILA presentata dalla
Società in data 18.03.2019, per giungere all’ultima del
19.02.2021.
Una tale ricostruzione infatti non solo finisce per
attingere la sfera psicologica del soggetto agente, con le
conseguenti difficoltà di dimostrane la sussistenza sul
piano probatorio; ma la permea di una sorta di
chiaroveggenza regolatoria, indirizzandola da subito verso
un obiettivo che a contesto giuridico immutato non era
indubbiamente raggiungibile.
Sotto tale profilo non può che condividersi la ricostruzione
del primo giudice, laddove dopo aver dubitato
dell’automatica trasposizione nel diritto amministrativo di
categorie concettuali «dagli incerti confini, quali
quella dell’elusione o dell’abuso del diritto, elaborate non
senza difficoltà ed incertezze applicative in altri rami
dell’ordinamento (in particolare in ambito tributario)»,
ne ha escluso la sussistenza in quanto la Società «si è
avvalsa di una sopravvenienza normativa e ha, per così dire,
lecitamente “sfruttato” lo ius novum (che a volte favorisce
il privato, altre lo penalizza) e le possibilità
riconosciutegli dall’evoluzione normativa del concetto di
manutenzione straordinaria, che nel 2019 non erano neanche
prevedibili e non possono essere valutate a posteriori dal
Comune come prova o sintomo di un disegno elusivo, che deve
preesistere all’inizio della condotta che si assume illecita
e non seguirla».
Ciò rende effettivamente inconferente il richiamo, contenuto
nell’ordinanza n. 23 del 2021, alla «scissione delle
singole pratiche» in violazione «dei principi di
buona fede che devono regolare i rapporti tra privati e P.A.
ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis della l. n. 241/1990»,
cosicché essa «pare integrare un’ipotesi di abuso del
diritto da parte della Ditta, sfruttando la normativa
urbanistica ai fini di eludere la medesima».
Trattasi invero di affermazioni ultronee che non solo non
esauriscono la motivazione del provvedimento, fondata anche,
come ricordato dalla difesa civica, sulla inidoneità del
titolo edilizio e sulla inammissibilità dell’intervento
sotto il profilo urbanistico; ma che soprattutto non
incidono sul suo contenuto precettivo, che non si estende
alle operazioni edilizie precedenti, pur invocandone la
connessione teleologica, in quanto si limita ad ingiungere
il ripristino della destinazione commerciale mutata con la
CILA del 19.02.2021.
Le precedenti opere di manutenzione straordinaria infatti «hanno
sempre costituito e costituiscono ancora, singolarmente
presi, interventi ammissibili ai sensi del Piano» (pag.
5, penultimo capoverso, dell’ordinanza n. 23 del 2021),
diversamente dall’ultimo cambio d’uso funzionale, che
riconnettendosi alle precedenti, «comporta l’elusione (e
pertanto la violazione) della norma».
14. Lo iato tra gli interventi precedenti e la nuova
CILA è segnato inequivocabilmente, in senso diametralmente
opposto a quanto sostenuto dall’appellante, proprio
dall’entrata in vigore del d.l. 16.07.2020, n. 76,
convertito, con modificazioni, dalla l. 11.09.2020, n. 120,
il quale ha fornito alla Società, a torto o a ragione, lo
strumento per provare a conseguire ciò che in passato le era
sicuramente precluso.
14.1. Di quanto detto dà formale conferma l’avvenuto inoltro
della segnalazione finalizzata all’agibilità, che chiude il
ciclo degli interventi edilizi effettuati negli anni
passati, certificandone la conformità sotto il profilo
igienico-sanitario e urbanistico-edilizio, ivi compreso
proprio l’avvenuto rispetto delle destinazioni d’uso
consentite (Cons. Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836), che
mal si concilierebbe con la preesistente volontà di
intervenire nuovamente sullo stesso.
14.2. E’ evidente pertanto l’inapplicabilità alla
fattispecie dei principi, consolidati in giurisprudenza, in
forza dei quali la natura abusiva di un’opera va valutata
sommando le risultanze dei singoli interventi nei quali è
stata frazionata, dovendosene considerare l’impatto globale
sul territorio, percepibile solo superandone la visione
atomistica e parcellizzata (cfr. ex multis Cons.
Stato, sez. VI, 18.10.2022, n. 8848).
15. Ciò chiarito, va ricordato in punto di fatto che la
Società è proprietaria di un compendio immobiliare
ricompreso in un Piano attuativo ad iniziativa pubblica,
adottato e poi approvato tra il 2017 e il 2018, che prevede
la realizzazione di un corposo numero di opere pubbliche e
viarie, il cui onere finanziario è ripartito anche fra i
proprietari dei vari lotti.
Il relativo regime edificatorio “condizionato”
peraltro, come evidenziato dalla difesa civica, è stato
successivamente confermato con la deliberazione del
Consiglio comunale n. 13 del 30.07.2020, di approvazione di
una variante che ne ha ribadito la vigenza fino alla
prevista scadenza del 2023, non gravata dalla Società,
diversamente dalla precedente, avverso la quale pende
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
16. I Piani attuativi (PUA), cui va ricondotto quello
denominato “SR 11” di cui è causa, sono notoriamente
strumenti con finalità esecutive finalizzati a precisare ed
attuare le previsioni del Piano regolatore generale (PRG), o
dell’omologo comunque denominato dalla legislazione
regionale, siccome atti di più ampio respiro, fornendo
elementi ulteriori e di dettaglio che consentano la
realizzazione dell’intervento per come concepito nel suo
insieme.
Sin dalla legge urbanistica fondamentale, n. 1150 del 1942,
la fase attuativa degli strumenti di pianificazione generale
è stata affidata a provvedimenti pianificatori di dettaglio,
originariamente riconducibili al c.d. Piano
particolareggiato (art. 13), a portata generale, priva di
connotazione individualizzanti un settore di sviluppo.
La normativa successiva ha poi introdotto altri strumenti
attuativi nel panorama urbanistico nazionale, le cui
denominazioni richiamano la specificità dell’oggetto (si
pensi, a mero titolo di esempio, oltre ai piani per gli
insediamenti produttivi, qui di specifico interesse, a
quelli per l’edilizia economica e popolare, ai piani di
recupero, ai piani di zona, ai programmi di riqualificazione
urbana e sviluppo sostenibile, ecc.), cui se ne sono via via
affiancati altri, inseriti dalle rispettive legislazioni
regionali.
Gli strumenti attuativi costituiscono dunque lo snodo
fondamentale per completare il processo di sviluppo del
territorio, consentendo il raggiungimento di un risultato
che la previsione generale (e spesso minimale) del Piano
regolatore non sarebbe in grado di raggiungere. L’esigenza
di una visione unitaria e complessiva della concretizzazione
delle disposizioni programmatorie più elevate, evitando
situazioni disorganiche e disorganizzate soprattutto in
precisi ambiti settoriali, si realizza poi nel rapporto tra
piano attuativo e successivo rilascio dei singoli titoli
edificatori, dei quali il primo diviene conditio sine qua
non, non solo nell’an, ma anche nel quomodo.
Il meccanismo, cioè, tipicamente multilivello che connota
variamente la disciplina urbanistico-edilizia, implica una
trasversalità verticale tra previsioni di massima, obiettivi
di settore e strumenti concreti di attuazione: l’ottenimento
di un titolo edificatorio relativo ad un fabbricato da
realizzarsi all’interno di un Piano attuativo è possibile
proprio perché sono stati definiti a priori e a monte tutti
gli elementi caratterizzanti la futura urbanizzazione del
territorio, nel quale le costruzioni private verranno ad
inserirsi, definendo gli standard urbanistici e localizzando
attrezzature, infrastrutture, reti, ecc., nonché
disciplinando la fase esecutiva e i soggetti esecutori.
Il ricorso agli strumenti attuativi costituisce perciò un
preciso modello di pianificazione degli interventi per
renderne razionale la realizzazione su un’area non
urbanizzata, ovvero il cui livello di urbanizzazione non sia
ritenuto sufficiente ovvero ancora per il quale si reputi
necessario un potenziamento e una riqualificazione delle
dotazioni territoriali in vista della specifica direzione di
sviluppo che si intenda imprimere loro, anche in funzione di
esigenze di miglioramento della vivibilità, di tutela
dell’ambiente, ovvero di leva allo sviluppo economico (si
pensi alla scelta di concentrare le attività produttive in
un’unica zona, connotata da ampie infrastrutture viarie,
ubicata lontano dai centri urbani, sì da produrre anche un
indiretto effetto di “alleggerimento” dai disagi
conseguenti alla compresenza di situazioni eterogenee
riferito a questi ultimi).
Il Comune è in definitiva chiamato a valutare nelle sue
scelte di buon governo del territorio se vi sia un
sufficiente rapporto di proporzionalità fra le
infrastrutture, lato sensu intese, e i bisogni degli
abitanti insediati e di quelli che si prevede vi si
insedino, proprio in ragione della scelta urbanistica
effettuata, avuto riguardo anche alla tipologia degli
insediamenti (residenziali, produttivi, commerciali, ecc.).
17. La Sezione ha già avuto modo di soffermarsi sulla genesi
del Piano industriale, quale tipica species del più
ampio genus dei Piani attuativi,
costituente uno dei primi esempi codificati di
compenetrazione tra assetto generale e disciplina di
dettaglio (v. Cons. Stato, sez. II, 19.04.2022, n. 2953).
Attraverso di essi, già previsti dall’art. 27 della l.
22.10.1971, n. 865, i Comuni dotati di piano regolatore o di
programma di fabbricazione, oltre ad imprimere un regime
giuridico lato sensu “produttivo” ad una
determinata zona, garantiscono l’accesso alle aree ivi
comprese ad operatori economici che le devono utilizzare in
funzione dello stesso.
Di regola la loro approvazione contempla anche quella
dell’apposito schema di convenzione o atto d’obbligo che
contiene gli impegni, da parte del soggetto promotore, alla
realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione, o
alla compartecipazione agli oneri funzionali alla stessa, le
modalità, i termini entro i quali esse devono essere
ultimate, le congrue garanzie finanziarie, nonché eventuali
ulteriori obbligazioni specifiche che il Comune riterrà
opportuno inserire in relazione alla particolarità e
consistenza dell’intervento previsto.
La causa della convenzione urbanistica, ovvero l’interesse
che l’operazione contrattuale è teleologicamente diretto a
soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli
impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione
economico-sociale del negozio, in cui devono trovare
equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che
quelli della pubblica amministrazione al corretto assetto
del territorio.
Ciò ha comportato finanche la riconosciuta legittimità, in
assenza di una norma generale che lo vieti, della previsione
di contribuzioni ulteriori e maggiorate, che il privato
accetti di accollarsi, rispetto a quelle fissate dalla
legge, integranti, come tali, la sola soglia minima
imprescindibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.03.2023, n.
2996).
17.1. La convenzione accessiva trova ormai idonea
collocazione nell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, che ha
di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di
accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i
privati. Essa non costituisce un contratto di diritto
privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte
negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle
parti stipulanti, configurandosi piuttosto come atto
intermedio del procedimento amministrativo volto al
conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano
poteri autoritativi della pubblica amministrazione (cfr.
Cons. Stato, sez. II, 19.01.2021, n. 579).
In assenza di tale momento pattizio pertanto la fase
endoprocedimentale finalizzata al rilascio del titolo, che
andrà ad implementarsi del contenuto dello stesso, non può
essere portata a compimento. Laddove quindi l’opera sia
assentibile con un mero procedimento dichiarativo,
egualmente lo stesso non potrà essere attivato, fermi
restando i poteri inibitori e sanzionatori espressamente
previsti dalla legge per impedirne la prosecuzione o
rimuoverne gli effetti.
18. Il regime edificatorio declinato dal Comune di Grumolo
delle Abbadesse risponde perfettamente al delineato
paradigma, essendo lo ius aedificandi condizionato
alla preventiva stipula della convenzione, approvata in
bozza quale allegato al Piano, sia per regolare i rapporti
economici tra le parti, sia per “controllare” lo
sviluppo dell’area in conformità con lo stesso.
L’art. 6 delle N.T.A., tuttavia, rubricato «Modalità di
intervento», dopo aver richiamato ridetta regola
generale, ne introduce una deroga, limitata ad interventi
nominativamente indicati, per lo più sul patrimonio edilizio
preesistente, evidentemente ritenuti per consistenza
inidonei ad impattare negativamente sulla realizzazione
degli obiettivi programmatori generali.
La norma consente invero «Prima della sottoscrizione
degli impegni riportati nella convenzione […]»,
distintamente, sia le «opere di manutenzione ordinaria o
straordinaria e risanamento conservativo, come definiti
all’art. 3, lettere a), b) e c), del Testo unico per
l’edilizia (d.P.R. 380 del 2001) e s.m.i.», sia «il
mutamento di destinazione d’uso senza opere, qualora la
nuova destinazione rientri tra quelle principali ammesse e
che, comunque, non comporti la necessità di realizzare
ulteriori aree e servizi».
Pur non individuando quindi un preciso dies ad quem,
entro il quale stipulare comunque la convenzione (ovvero «prima»
della sua sottoscrizione, teoricamente procrastinabile ad
libitum), gli interventi elencati costituiscono il
ravvisato punto di mediazione tra la convergenza di tutte le
attività edilizie nella finalità di Piano e la tolleranza di
quelle tra esse il cui impatto è stato preventivamente
ritenuto neutro rispetto alle stesse.
19. L’unica coerente e ragionevole lettura possibile
dell’ambito di estensione degli interventi ammessi dallo
strumento di pianificazione urbanistica (in questo, come in
ogni altro caso analogo) è quella che li congela alla fase
della loro prefigurazione, sicché il rinvio ad eventuali
indicazioni normative non può che essere inteso come
recettizio.
Ove infatti il richiamo contenuto nell’art. 6 della N.T.A.
all’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001,
non avesse tale natura statica o ricognitiva, ma dinamica,
per il suo tramite confluirebbero nel regime derogatorio
tutti gli interventi successivamente ricondotti dal
legislatore sotto l’egida della nuova definizione, seppure
originariamente non valutati.
Ciò peraltro finirebbe per valere per qualsivoglia tipologia
di intervento, sicché ove per ipotesi in futuro il
legislatore ampliasse ulteriormente i confini della
manutenzione straordinaria, ovvero estendesse quelli del
restauro o risanamento conservativo, sfuggirebbe al regime
convenzionale e soprattutto agli interessi pubblici sottesi
allo stesso, una vasta fetta di situazioni, il cui impatto,
anche in termini di carico urbanistico, non era stato
necessariamente valutato.
Il perimetro derogatorio, cioè, ovvero più in generale,
quello permissivo, sarebbe soggetto alle continue
fluttuazioni legislative che, seppure nell’apprezzabile
intento di semplificare progressivamente le attività
edilizie, muterebbero asistematicamente sia i paradigmi
definitori, sia la disciplina dei titoli, non solo
costringendo l’interprete a non agevoli opere di intarsio e
incastro, che non potrebbero non comportare anche ricadute
sulle scelte di governo del territorio (si pensi, a mero
titolo di esempio, alla annosa vicenda della
ristrutturazione edilizia con previa demolizione), ma
soprattutto sottraendo le stesse al soggetto
istituzionalmente a tanto preposto, cioè al Comune.
19.1. L’affermazione secondo la quale l’eterointegrazione di
concetti giuridici che ne presuppongono la valutazione in
termini di consistenza va fatta avuto riguardo alla loro
formulazione al momento in cui vengono richiamati nella
pianificazione urbanistica, non può che assurgere a valenza
generale.
Laddove, dunque, la scelta urbanistica individua, per giunta
in un’elencazione tassativa, gli interventi ammessi, essa
non può che avere a mente quelli che siano tali al momento
della sua approvazione, costituendone l’accezione valutata
una sorta di intrinseca clausola di salvaguardia
impermeabile alle loro modifiche successive, salvo diversa
esplicita indicazione in senso inverso del legislatore
nazionale, ove compatibile con l’assetto delle competenze
costituzionalmente sancite.
20. L’affermazione del primo giudice, in forza della quale
lo ius novum «a volte favorisce il privato, altre
lo penalizza», vale sicuramente con riferimento alle
sopravvenute modifiche del regime edilizio; ma non può
impattare anche sul contenuto normativo sotteso alle scelte
urbanistiche precedentemente approvate, pena la loro
vanificazione.
21. Nel caso di specie inoltre la Società -e
conseguentemente il primo giudice- ha operato addirittura
una commistione tra tipologie di interventi distintamente
previsti dalle N.T.A. (la manutenzione straordinaria, da
un lato, e il cambio di destinazione d’uso senza opere, dall’altro),
ritenendo che la prima consenta con regime dichiarativo ciò
che la seconda assoggetta a permesso di costruire.
21.1. Va a tale proposito ricordato che la modifica di
destinazione d’uso non costituisce una tipologia di
intervento edilizio ex se, bensì piuttosto l’effetto
dello stesso.
Non a caso la relativa dizione non figura nell’elenco delle
definizioni contenuto nell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del
2001, ma compare nelle singole declinazioni delle stesse,
ora quale limite negativo (come per la manutenzione
straordinaria, appunto), ora, al contrario, come possibile
esemplificazione contenutistica (come per il restauro e
risanamento conservativo di cui alla successiva lettera c),
che può determinare un cambio delle destinazioni d’uso,
purché compatibile con gli elementi tipologici, formali e
strutturali dell’organismo stesso che i relativi interventi
devono comunque rispettare).
Secondo l’attuale paradigma della manutenzione straordinaria
pertanto tale limite negativo non opera più in assoluto,
salvo i casi di frazionamento o accorpamento delle unità
immobiliari con esecuzione di opere, ma esclusivamente per
quelle modifiche che siano «urbanisticamente rilevanti»
e «implicanti incremento del carico urbanistico».
22. L’equivoco di fondo nel quale è incorso il primo
giudice, assecondando la ricostruzione della Società,
consiste nell’introdurre una duplice chiave di lettura tra
modifica di destinazione d’uso “all’interno”, per
così dire, della manutenzione straordinaria e modifica di
destinazione d’uso ex se, per la quale al contrario
soltanto continuerebbero a valere ridette categorie.
La ricostruzione, cioè, conferisce dignità di autonomo
intervento alla modifica di destinazione d’uso quand’anche
funzionale o senza opere, sussumendola sotto l’egida della
manutenzione straordinaria, laddove in passato tale
evenienza era rimessa all’eventuale legge regionale chiamata
a declinare «quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro
parti, sono subordinati a permesso di costruire o a
segnalazione certificata di inizio attività» (art. 10
del d.P.R. n. 380 del 2001).
A ben guardare, tuttavia, le modifiche di destinazione d’uso
che possono conseguire agli interventi riconducibili al
concetto di manutenzione straordinaria, pure dopo la novella
del 2020, sono solo quelle tra categorie urbanistiche
omogenee, tale essendo l’inequivoco significato della
dicitura «urbanisticamente rilevanti» e «non
implicanti aumento del carico urbanistico» previsto
dall’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2011,
anche nella sua attuale formulazione.
Esso va invero individuato avuto riguardo alle previsioni
dell’art. 23-ter inserito nel T.u.e. col c.d. decreto legge
“Sblocca Italia” (d.l. 12.09.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164),
che le ha introdotte al preciso scopo di omogeneizzare le
scelte di governo del territorio, evitando frammentazioni
finanche terminologiche sicuramente contrarie ai più
elementari principi di certezza del diritto e foriere di
oneri aggiuntivi per i cittadini-utenti.
La disposizione pertanto che riduce a cinque le categorie
previste (tra le quali, per quanto di interesse, menziona
separatamente la produttiva e direzionale, da un lato, e la
commerciale, dall’altro) individua, almeno in termini
astratti e generali, raggruppamenti connotati da valutata
similarità di carico urbanistico, tanto da qualificare “rilevante”,
appunto, il mutamento della destinazione d’uso dall’una
all’altra, seppure non accompagnato dall’esecuzione di opere
edilizie (c.d. mutamento “funzionale”, appunto).
La compatibilità dell’insediamento in determinate zone di
categorie urbanisticamente eterogenee attiene al regime
pianificatorio locale che può dettagliare le indicazioni
nazionali, declinandole in ulteriori specificità, ma non
mutarle radicalmente (né ha inteso farlo nel caso di specie,
tant’è che le parti convengono sul fatto che, ove non si
parli di manutenzione straordinaria, la modifica di
destinazione d’uso sarebbe stata parificabile ad una nuova
costruzione, necessitante di permesso di costruire).
23. Anche sotto tale profilo la rilevata contrarietà con
l’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001
sussiste e correttamente è stata richiamata nel
provvedimento impugnato in termini di inadeguatezza della
CILA a legittimare l’intervento. Tuttavia il relativo motivo
non è chiaramente esplicitato dalla difesa civica che in
alcuni passaggi del ricorso sembra perfino avallare il
procedimento seguito sotto il profilo edilizio, seppure in
termini di mero ragionamento astratto, giusta la ribadita
inconferenza delle modifiche definitorie rispetto al regime
urbanistico applicabile, impermeabile, per quanto sopra
esposto, alle oscillazioni contenutistiche dei confini tra
manutenzione straordinaria e ristrutturazione, dalla quale è
stata “stralciata” la tipologia di intervento di cui
in controversia.
24. Vanno a questo punto scrutinati i motivi di ricorso di
primo grado non esaminati dal primo giudice e riproposti
dalla Società ex art. 101, comma 2, c.p.a.
25. Essa contesta il contenuto dell’ordinanza di ripristino
nella parte in cui ha dichiarato la inefficacia della CILA,
in quanto utilizzerebbe un procedimento di secondo livello
che il legislatore non avrebbe inteso introdurre in
relazione a tale tipologia di dichiarazione abilitante;
nonché per la parte in cui pretenderebbe di attingere al
potere sanzionatorio, esercitato al di fuori dei relativi
presupposti, ovvero a fronte di una comunicazione
perfettamente valida.
In denegata ipotesi, deduce come per potere annullare
d’ufficio una dichiarazione di parte vadano comunque
effettuate le valutazioni di cui all’art. 21-novies della l.
n. 241 del 1990 che in particolare impone, oltre al rispetto
delle garanzie partecipative, la presenza di un interesse
pubblico prevalente sull’affidamento di controparte nella
solidità del proprio titolo giuridico.
26. Va ricordato a tale riguardo come la c.d. comunicazione
di inizio lavori asseverata (CILA) con il d.lgs. n. 222/2016
è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti
gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico
non impongono la SCIA o il permesso di costruire ovvero che
non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività edilizia
libera.
Con tale scelta si è radicalmente cambiata l’opzione
normativa di cui al previgente comma 4 del richiamato art. 6
che, al contrario, lasciava aperta la categoria della SCIA e
tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a
CILA.
A ciò è conseguito che sono ricondotte alla CILA opere
quantitativamente rilevanti, quali -come è dato evincere da
una lettura a contrario dell’art. 22- gli interventi di
manutenzione straordinaria leggera, appunto, ovvero quelli
che, pur comportando cambi di destinazione d’uso
urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti
strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.
26.1. Trattasi tuttavia di uno strumento di semplificazione
che non trova un corrispondente nella legge generale
sull’azione amministrativa (ma solo in altre normative di
settore, come quella sulle attività commerciali) e che si
traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del
privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio
di avviare un’attività in contrasto con le complesse e
talvolta contorte normative di settore, per di più solo in
parte confortato dall’asseverazione del tecnico abilitato
(che peraltro, secondo il tenore letterale della norma, non
deve fare riferimento agli strumenti urbanistici adottati,
né a tutte le normative di cui il comma 1 dell’art. 6-bis
impone comunque specificamente il rispetto).
Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla
conformità tecnico-giuridica della CILA non è previsto un
obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine
perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del
legittimo avvio dell’attività oggetto della comunicazione,
limitandosi la norma a introdurre una sanzione pecuniaria “secca”,
pari a mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione
è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso
di esecuzione, per il caso di omessa presentazione della
stessa, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la
stessa si profili contra legem.
Da qui le questioni sollevate dalla Società circa
l’impossibilità di sancire l’inefficacia della
comunicazione, nonché, a suo avviso, di attivare il potere
di vigilanza previsto in termini generali dall’art. 27 del
T.u.e.
27. In mancanza di apposite disposizioni, l’indebito
utilizzo dello strumento dichiarativo de quo è stato in
passato e autorevolmente ricondotto alle ipotesi di attività
edilizia radicalmente sine titulo, senza passare per
il tramite della declaratoria di inefficacia, legittimando
l’applicazione delle corrispondenti sanzioni.
La Commissione speciale chiamata ad esprimersi sul testo
provvisorio del d.lgs. n. 222/2016 (parere n. 1784/2016)
infatti ha al riguardo affermato che «In tali casi
l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri
repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro
implicitamente previsto dalla stessa disposizione, laddove
fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei
regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia
vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di
settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività
edilizia […]”».
La differenza di regime tra la previsione di un potere
meramente sanzionatorio (in caso di CILA) e quella di un
potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di
controllo postumo in ‘autotutela’ rispetto alla SCIA
si spiegherebbe, secondo il parere, «alla stregua dei
principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto
che nella materia edilizia il legislatore ha costruito un
sistema speciale, in cui il controllo dei poteri pubblici è
meno invasivo qualora le attività private non determinino un
significativo impatto sul territorio, secondo un modello che
potrebbe essere chiamato di ‘semplificazione progressiva”»,
il quale implica che «l’attività assoggettata a CILA non
solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di
quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico,
da espletare sulla base di procedimenti formali e di
tempistiche perentorie, ma deve essere ‘soltanto’ conosciuta
dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che,
effettivamente, le opere progettate importino un impatto
modesto sul territorio».
28. Tuttavia deve rilevarsi che proprio la mancata
previsione di sistematicità dei controlli rischia di
tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che
non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio
progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata
anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione,
avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione
dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad
libitum, in caso di errore sul contesto
tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni
per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento
correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso
di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità
sulla SCIA o sull’istanza di permesso.
29. Per tale ragione è da preferire la ricostruzione operata
da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV,
23.04.2021, n. 3275), che ha inteso mutuare in subiecta
materia i principi via via consolidatisi con riferimento
alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in
materia di s.c.i.a. o d.i.a., in particolare dopo la
pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019.
Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura
giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di
tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4,
6-bis e 6-ter della l. n. 241 del 1990, in combinato
disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui
all’art. 21-novies della medesima normativa.
30. Anche sotto tali profili l’atto impugnato si presenta
esente da censure, in quanto i passaggi procedurali
intercorsi, se anche evidenziano sul piano formale
comprensibili incertezze di inquadramento dogmatico,
attestano su quello sostanziale la tempestività della
reazione del Comune all’attività abusiva della Società, tale
da escludere qualsiasi necessità di tutela dell’affidamento
della stessa: a fronte, infatti, della CILA del 18.02.2021,
la comunicazione di avvio del procedimento di ripristino
dello stato dei luoghi è del 05.03.2021; il primo divieto di
prosecuzione dell’attività è del 19.03.2021 e il relativo
annullamento in autotutela è conseguito al riscontrato
mancato rispetto del termine accordato alla parte, peraltro
in via di assentita proroga, per presentare le proprie
controdeduzioni, che non hanno inciso sull’atto finale,
oggetto dell’odierno gravame.
31. Il richiamo pertanto anche alla norma fondante il potere
sanzionatorio ben si giustifica nell’ottica della illiceità
originaria dell’intervento effettuato, ovvero, in chiave più
garantista, consegue alla illiceità comunque sopravvenuta
all’esercizio dei poteri inibitori che il Comune ha attivato
nei termini di legge (al riguardo, v. Cons. Stato, sez. II,
07.03.2023, n. 2371).
32. Quanto infine all’intersecarsi degli atti del Comune con
le note dello Sportello unico delle attività produttive “Civitas”,
di cui esso si avvale in regime di convenzione con altri
enti territoriali della zona, se ne deve escludere la
portata lesiva autonoma, ontologicamente incompatibile con
la tipologia di funzioni delegate allo stesso, che neppure
attingono la repressione degli abusi edilizi.
Vero è che la replica formale dei contenuti dei
provvedimenti sanzionatori nelle note del S.U.A.P.) rischia
di generare un’indebita quanto inopportuna sovrapposizione
di piani, che sarebbe opportuno evitare riconducendo
l’attività di quest’ultimo a mero snodo di pratiche
riferibili a diverse Amministrazioni.
Va infatti ricordato come per sua natura lo sportello unico
delle attività produttive (S.U.A.P.) costituisca la risposta
sul piano organizzativo che l’ordinamento ha inteso
contrapporre alla precedente gestione indebitamente
frammentata -caratterizzata cioè dal mancato coordinamento
fra l’istruttoria dei profili di rilevanza urbanistico
edilizia e quelli più propriamente “produttivi”- di
talune pratiche burocratiche.
Il suo scopo invero è quello di fornire al cittadino un
interlocutore unico e una gestione omogenea dei procedimenti
che attingono interessi diversi, urbanistici e economici,
garantendo concretezza alla visione di insieme di tutti i
possibili elementi di sviluppo armonico del territorio che
l’intersecarsi degli strumenti urbanistici con la tutela
delle esigenze dell’imprenditoria, in un’ottica europeistica
di valorizzazione della concorrenza, in comparazione con
altre esigenze pubblicistiche, in primis l’impatto con la
residenzialità, ormai impongono (sulla finalità di “buon
governo del territorio” in accezione globale,
comprensiva di istanze ambientali lato sensu intese,
della pianificazione commerciale, v. Cons. Stato, sez. II,
14.11.2019, n. 7839; id., 06.11.2019, n. 7560; sez. IV,
25.06.2019, n. 4343; 01.08.2018, n. 4734).
Da qui, dunque, nel caso di specie, il suo farsi veicolo
della sanzione, ma non organo accertatore a sua volta, non
avendone né essendosene attribuito in alcun modo le
competenze.
33. In definitiva alla stregua delle osservazioni svolti
l’appello va accolto nei sensi e limiti sopra esplicitati e
per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va
accolto il ricorso di primo grado (Consiglio di Stato, Sez.
II, sentenza
24.04.2023 n. 4110 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Ancorché la
CILA non possa essere oggetto di una valutazione in termini
di ammissibilità o meno dell'intervento da parte
dell'Amministrazione comunale, atteso che l'attività
assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di
SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a
un controllo sistematico, da espletare sulla base di
procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve
essere soltanto conosciuta dall’Amministrazione, va comunque
fatto salvo il potere-dovere del Comune di vigilare sul
rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di inibirne
le violazioni.
---------------
5. Partendo dall’esame del ricorso RG n. 74/2021, il Comune
ha dichiarato inammissibile la CILA presentata in sanatoria
sull’assunto che le opere oggetto della stessa non siano
qualificabili come di manutenzione straordinaria ai sensi
dell’art. 6-bis del DPR n. 380/2001, dal momento che:
- con riferimento ai nuovi manufatti (ripostiglio “A”,
capanno in legno, tettoia in legno, piscina e sistemazione
esterna), sarebbero qualificabili come interventi di nuova
costruzione;
- con riferimento al capanno ad utilizzo
deposito/ripostiglio oggetto di condono, sarebbe stata
realizzata una ristrutturazione edilizia con cambio di
destinazione d’uso a residenziale, con aumento del carico
urbanistico e con modifica dei prospetti;
- con riferimento al ripostiglio “B”, si tratterebbe di
una ristrutturazione edilizia mediante demolizione,
ricostruzione e cambio di destinazione d’uso, con aumento
del carico urbanistico e mutamento dei prospetti;
- tali manufatti, quindi, avrebbero necessitato del
permesso di costruire, avendo determinato nuove superfici e
nuovi volumi, mutamento delle destinazioni d’uso e dei
prospetti;
- peraltro, gli stessi sono stati realizzati in zona “A1
– Residenziale di interesse storico”, vincolata dagli
strumenti urbanistici (artt. 35 e 45 delle NTA del PRG e
Piano particolareggiato del centro storico).
5.1. La ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento
del Comune sotto distinti profili.
5.1.1. Con il primo motivo, ella si duole del fatto
che l’Amministrazione avrebbe dichiarato inammissibile la
CILA basandosi su un accertamento riguardante altro e
diverso procedimento, mentre la CILA avrebbe ad oggetto
distinte opere.
L’assunto è infondato e ciò è verificabile per tabulas ovvero
dal semplice raffronto tra la relazione tecnico-illustrativa
allegata alla CILA, la relazione tecnica comunale del
21.08.2020, redatta a seguito del sopralluogo in data
11.10.2019, e il provvedimento impugnato, contenente la
puntuale descrizione delle opere oggetto di CILA e rispetto
alle quali la stessa è stata ritenuta inammissibile; da tali
atti emerge in maniera chiara che trattasi delle medesime
opere, sebbene diversamente qualificate dalla ricorrente e
dal Comune quanto alla categoria edilizia.
5.1.2. Sotto altro profilo, la ricorrente assume che la CILA
non avrebbe potuto essere oggetto di una declaratoria di
inammissibilità.
Anche tale assunto è infondato per due ordini di
considerazioni.
In primo luogo, pur aderendo all’orientamento
giurisprudenziale secondo cui la CILA non può essere oggetto
di una valutazione in termini di ammissibilità o meno
dell'intervento da parte dell'Amministrazione comunale,
atteso che l'attività assoggettata a CILA non solo è libera,
come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non
è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla
base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma
deve essere soltanto conosciuta dall’Amministrazione (ex
multis, TAR Campania Salerno, Sez. II, 10.10.2022, n.
2627; TAR Veneto Venezia, Sez. II, 17.09.2021, n. 1101), va
comunque fatto salvo il potere-dovere del Comune di vigilare
sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di
inibirne le violazioni (TAR Veneto Venezia, Sez. II,
16.12.2019, n. 1368).
Ebbene, nel caso in esame, con la comunicazione di
inammissibilità della CILA, il Comune ha anche avvisato
l’interessata dell’attivazione dei propri poteri inibitori/sanzionatori
con l’emissione dell’ordinanza di demolizione delle opere
abusive (poi di fatto intervenuta), avendo accertato
l’insanabilità delle stesse, quantomeno attraverso la
presentazione di una CILA.
L’emanazione dell’ordinanza di demolizione, quindi,
costituisce circostanza idonea a superare anche l’eventuale
nullità della nota comunale dichiarativa
dell’inammissibilità della CILA, essendo l’ordine
demolitorio espressione dei poteri di vigilanza e repressivi
che permangono in capo all’Amministrazione all’esito
dell’attività di edilizia libera del privato.
In secondo luogo, non va taciuto che nella Regione Marche
vige una specifica disciplina in ordine ai poteri che il
Comune può esercitare a fronte della presentazione di una
CILA.
L’art. 5 della legge regionale n. 17/2015, rubricato
“Disciplina della CILA”, stabilisce testualmente:
“4. Nei trenta giorni successivi alla presentazione, il
SUE svolge un'attività istruttoria relativa:
a) al controllo e alla verifica dei presupposti di legge,
eseguiti sulla base delle dichiarazioni, attestazioni,
asseverazioni, dichiarazioni di conformità ed elaborati
grafico-progettuali allegati e della completezza della
documentazione presentata in relazione alla tipologia di
intervento, con particolare riguardo:
1) al tipo di intervento descritto e asseverato,
accertando che lo stesso rientri o meno tra quelli
assoggettati a CILA;
2) alla conformità dell'intervento con la disciplina
urbanistica di riferimento;
3) alla trasmissione, agli organi e alle
amministrazioni competenti, delle dichiarazioni,
attestazioni, asseverazioni e dichiarazioni di conformità,
al fine di espletare le necessarie verifiche;
b) alla verifica, attraverso sopralluoghi presso gli
immobili oggetto dell'intervento, della tipologia delle
opere in corso di esecuzione e della rispondenza delle
stesse a quelle segnalate.
5. In presenza di un elevato numero di CILA presentate, se
le risorse organizzative non ne consentono il controllo
sistematico, l'attività di cui al comma 4 è svolta su un
campione scelto mediante sorteggio quindicinale e comunque
non inferiore al 20 per cento, con arrotondamento all'unità
superiore.
6. Entro trenta giorni dalla data di presentazione della
CILA, il SUE ordina la sospensione dei lavori se le opere
previste non risultano conformi alla normativa vigente,
invitando contestualmente gli interessati a conformare
l'attività e i suoi effetti alla normativa o a produrre
l'eventuale documentazione che integri o completi la
documentazione presentata.
[…]
8. Il SUE, entro trenta giorni dalla data di presentazione
della CILA, ove accerti l'inammissibilità della CILA stessa,
vieta la prosecuzione dell'attività e dispone la rimozione
degli effetti dannosi prodotti in conseguenza
dell'esecuzione dei lavori”.
Nel caso in esame tale disposizione risulta rispettata,
atteso che il responsabile ha accertato lo stato delle opere
e dei luoghi mediante sopralluogo in data 11.10.2019, non ha
potuto emettere un ordine di sospensione dei lavori
trattandosi di opere già eseguite -e infatti la CILA è stata
presentata in sanatoria- e, ritenuta l’inammissibilità della
stessa, ha disposto la rimozione dei manufatti realizzati
abusivamente (TAR Marche, sentenza
13.04.2023 n. 237 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
Comune non può inibire e bloccare una Cila superbonus. Tar
Calabria. Controlli e abusi.
Il Comune può controllare e reprimere gli abusi edilizi ma
non ha poteri inibitori sulle comunicazioni di inizio lavori
relative al superbonus.
E questo in estrema sintesi il principio affermato dal Tar
Calabria (ordinanza
13.04.2023 n. 175) in una pronuncia che si
allinea a quello che la giurisprudenza amministrativa ha già
più volte affermato sulle Cila, applicandolo anche alla
comunicazione relativa al superbonus.
Il caso viene affrontato dai giudici in via cautelare e
riguarda un provvedimento con il quale il Comune di
Corigliano Rossano (in provincia di Cosenza) ha dichiarato
inefficace la comunicazione di inizio lavori asseverata, in
versione superbonus (quindi senza attestazione dello stato
legittimo), presentata da un condominio per interventi di
manutenzione straordinaria di efficientamento energetico.
Il condominio in questione chiede di annullare quel
provvedimento e, comunque, di sospenderlo in via cautelare.
E i giudici, pronunciandosi proprio sull'opportunità di
attivare una misura di urgenza, danno ragione ai ricorrenti.
Spiega, allora, l'ordinanza: «E dubbio che
l'amministrazione, salvi i poteri repressivi in caso di
edificazione abusiva, possa esercitare poteri inibitori
rispetto ai lavori oggetto di comunicazione».
L'osservazione nasce «alla luce della giurisprudenza in
via di consolidamento sulla natura della Cila». II
riferimento è alle molte sentenze, anche del Consiglio di
Stato, che hanno affermato un principio.
La Cila è, in sostanza, una comunicazione del privato al
Comune, quindi è diversa ad esempio da una Scia o da un
permesso di costruire, per i quali è previsto un controllo
sistematico. Per questi motivi può essere considerata
inefficace solo in casi molto limitati, sui quali comunque
la discussione è aperta: ad esempio, l'inefficacia ha senso
nel caso in cui la Cila superi i limiti previsti dalla
legge, toccando interventi per i quali sono previsti altri
titoli.
Questi principi si applicano identici alla Cilas e ai lavori
che accedono al 110% e al 90 per cento.
Il Comune, allora, non ha poteri preventivi di inibire i
lavori di superbonus, ma può intervenire certamente nel caso
in cui ci siano degli abusi edilizi. Osservazioni in linea
con quanto ha da poco affermato anche il Tar Veneto (ordinanza
13.03.2023 n. 128, si veda Il Sole 24 Ore del 24
aprile).
Da sottolineare, infine, il fatto che i giudici ammettano la
necessità di accedere ai bonus edilizi, con le scadenze
legate al superbonus, come ragione per chiedere un
intervento d'urgenza al Tar. «Ritenuto, dunque, che il
ricorso presenti il fumus di fondatezza, sussistendo anche
il periculum in mora in considerazione del rischio di
perdita dei benefici fiscali», spiega su questo punto
l'ordinanza (articolo Il Sole 24 Ore del 12.05.2023).
---------------
ORDINANZA
... per l'annullamento, previa sospensione
dell'efficacia,
- del provvedimento del Comune di Corigliano Rossano,
Settore 10 – Urbanistica e Commercio, Sevizio 3 Edilizia
Privata del 02.03.2023, n. 27944, di conferma del precedente
provvedimento del 27.12.2022, n. 131425, con cui è stata
dichiarata inefficace la comunicazione di inizio lavori
asseverata –Superbonus – presentata in data 22.11.2022,
pratica SUE 4069, prot. n. 118829, avente ad oggetto
interventi di manutenzione straordinaria di efficientamento
energetico.
...
Ritenuto, anche alla luce della giurisprudenza in via di
consolidamento sulla natura della CILA (cfr. Cons. Stato,
Sez. IV, 23.04.2021, n. 3275; TAR Campania–Salerno, Sez. II,
10.10.2022, n. 2627; TAR Lombardia-Brescia, Sez. II,
03.08.2021, n. 721), che è dubbio che l’amministrazione,
salvi i poteri repressivi in caso di edificazione abusiva,
possa esercitare poteri inibitori rispetto ai lavori oggetto
di comunicazione;
Ritenuto, dunque, che il ricorso presenti il fumus di
fondatezza, sussistendo anche il periculum
in mora in considerazione del rischio di perdita dei
benefici fiscali;
Ritenuto, dunque, di dover accogliere l’istanza
cautelare, compensando allo stato tra le parti le spese e le
competenze di lite... |
EDILIZIA PRIVATA: Il
comune blocca i lavori anche con la Cila-superbonus.
La Cila-Superbonus non impedisce al comune di fermare i
lavori. In presenza di difformità edilizie il comune può
vietare l'esecuzione delle opere previste nella pratica di
Cila Superbonus 110%.
È quanto ha stabilito il TAR per il Veneto, Sez. II, con l'ordinanza
13.03.2023 n. 128, dando torto alla proprietaria di un
immobile che aveva presentato un'istanza cautelare per
l'annullamento di due note dello Sportello unico edilizia
che vietavano l'esecuzione delle opere di cui alla pratica
Cila Superbonus dalla stessa presentata.
La portata dell'ordinanza è però molto più ampia poiché, per
la prima volta, un Tribunale amministrativo regionale ha
messo nero su bianco che la Cila, di cui la Cila-Superbonus
costituisce una specifica variante, è “un atto privato di
mera comunicazione, a fronte del quale l'Amministrazione
conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni
tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti
dall'art. 27 dpr. 380/2001” e che l'eliminazione
dell'obbligo di attestare lo stato legittimo dell'immobile,
introdotta dal decreto legge 31.05.2021, n. 77, appare
finalizzata solo a semplificare la presentazione delle
pratiche relative al Superbonus, “riducendone i costi e
gli incombenti”, senza incidere sul “potere-dovere
del Comune di reprimere gli abusi edilizi che, per regola
generale, vanno sempre rimossi o sanati, esclusa ogni forma
di legittimazione del fatto compiuto”.
La semplificazione, che era stata introdotta dal legislatore
per bypassare le strutturali carenze degli Sportelli unici
edilizia per evadere le richieste di accesso agli atti,
nulla cambia dunque sul piano del diritto amministrativo.
Scricchiola così un altro dei tasselli sui cui si è fondata
la corsa al Superbonus.
Sono frequenti infatti i casi in cui, a seguito del (solo
apparente) “lascia passare” previsto dal decreto n.
77/2021, sono stati avviati (e ora terminati) lavori di
efficientamento energetico o antisismico di fabbricati in
presenza di difformità edilizie più o meno gravi, nella
convinzione di poter derogare incondizionatamente le
disposizioni di cui all'art. 49 del T.U. edilizia, che
vietano l'utilizzo di qualsiasi detrazione fiscale in
presenza di abusi edilizi.
Se è vero infatti che la perdita del Superbonus, come
stabilito dal comma 13-ter dell'art. 119 del DL 34/2020, è
prevista solo al verificarsi di specifiche fattispecie:
- mancata presentazione della CilaS;
- interventi realizzati in difformità della CilaS;
- assenza del titolo che ha previsto la costruzione
dell'immobile;
- non corrispondenza al vero delle attestazioni del
rispetto dei requisiti previsti dalla normativa sul
superbonus.
È vero anche che, come specificato al successivo comma
13-quater dello stesso decreto, pur non essendo necessaria
l'attestazione dello stato legittimo dell'immobile da parte
del professionista incaricato, “resta impregiudicata ogni
valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di
intervento”.
Il Tar Veneto dunque, nel dar ragione allo Sportello
edilizia privata che aveva negato l'esecuzione dei lavori ha
“suggerito” di avviare parallelamente alla Cila
l'iter di sanatoria delle opere edilizie difformi presenti
nel fabbricato, tanto più se l'evasione della pratica “può
avvenire celermente, in tempi compatibili con la
realizzazione dei lavori di efficientamento energetico
oggetto di agevolazioni”. Si legge in sentenza, infatti,
che il comune, in sede di discussione orale, avrebbe
dichiarato di “poter esaminare celermente l'istanza”.
Solo così, secondo la giustizia amministrativa, in presenza
di opere illegittime in un fabbricato oggetto di lavori di
ristrutturazione meritevoli del superbonus, può ritenersi “garantito”
l'ottenimento dell'agevolazione fiscale (articolo
ItaliaOggi del 17.05.2023). |
EDILIZIA PRIVATA: Cilas
e stato legittimo, il Comune mantiene la vigilanza sugli
abusi. Tar Veneto: l’eliminazione dello stato legittimo ha
la sola funzione di semplificare le procedure.
L’assenza di attestazione dello stato legittimo degli
immobili, tipica della Comunicazione di inizio lavori
asseverata del superbonus, non ha effetti sui poteri di
controllo dei Comuni in materia di abusi edilizi.
È il principio illustrato dal TAR Veneto (ordinanza
13.03.2023 n. 128) in una recente ordinanza cautelare
(commento tratto da https://ntplusfisco.ilsole24ore.com).
---------------
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
- della nota del 07.12.2022 n. 27999 prot., comunicata in
pari data, con la quale il Responsabile del Servizio
Edilizia Privata ha vietato l'esecuzione delle opere di cui
alla pratica CILAS Superbonus 110%
DLFMPR37L48L949F-07112022-1359, relativa ad un edificio sito
a Sommacampagna, Via ... n. 6;
- della nota del 20.12.2022 n. 29040 prot., comunicata in
pari data, con la quale il Responsabile del Servizio
Edilizia Privata ha vietato l'esecuzione delle opere di cui
alla pratica CILAS Superbonus 110%
DLFMPR37L48L949F-21112022-1459, relativa ad un edificio sito
a Sommacampagna, Via ... n. 4;
...
L’istanza cautelare non merita accoglimento in quanto gli
atti impugnati sembrano avere una mera valenza informativa e
appaiono prima facie inidonei ad arrecare una lesione
certa e definitiva degli interessi della ricorrente.
La giurisprudenza ha, invero, chiarito che l'attività
assoggettata a C.I.L.A. (di cui la CILA-Superbonus
costituisce una specifica variante) non solo è libera, come
nei casi di S.C.I.A., ma, a differenza di quest'ultima, non
è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla
base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie.
Trattasi, pertanto di un atto privato di mera comunicazione,
a fronte del quale l’Amministrazione conserva il generale
potere-dovere di esercitare, in ogni tempo, i poteri di
vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR 380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in
ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con
CILA/CILAS non hanno carattere provvedimentale, ma meramente
informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere
legislativamente tipizzato (Consiglio di Stato parere
04.08.2016, n. 1784; TAR Veneto, sez. II, 27.03.2020; TAR
Toscana, Sezione III, 10.11.2016, n. 1625, TAR Napoli, sez.
II, 08/05/2019, n. 2469; TAR Veneto, sez. II, 27.03.2020, n.
307; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 26.04.2022 n. 649).
Anche a ritenere immediatamente lesivi gli atti impugnati,
l’istanza cautelare non merita comunque accoglimento in
quanto l’eliminazione dell’obbligo di attestare lo stato
legittimo dell’immobile, introdotta dal decreto-legge
31.05.2021, n. 77, convertito con modificazioni, dalla legge
29.07.2021, n. 108, appare finalizzata solo a semplificare
la presentazione delle “pratiche” relative al cd.
Superbonus 110, riducendone i costi e gli incombenti, e
potrebbe, a tutto concedere, assumere rilevanza a meri fini
tributari, nel senso di impedire al Fisco di negare i
benefici fiscali in caso di difformità edilizie -tema che
andrebbe, tuttavia, approfondito nelle competenti sedi
amministrative e giurisdizionali, non apparendo prima
facie priva di contraddizioni una regula
iuris che imponga allo Stato di incentivare, con una
detrazione fiscale del 110%, l’ammodernamento o
efficientamento energetico di immobili interessati da
illeciti edilizi- ma non incide sul potere-dovere del Comune
di reprimere gli abusi edilizi, che, per regola generale,
vanno sempre rimossi o sanati, esclusa ogni forma di
legittimazione del fatto compiuto.
Sul piano del diritto amministrativo, che in questa sede
maggiormente rileva, resta fermo il principio generale
secondo cui affinché gli interventi edilizi possano essere
lecitamente realizzati, è necessario non soltanto il
possesso del relativo titolo edilizio (ove prescritto), ma
anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto
conto che altrimenti, le opere aggiuntive parteciperebbero
comunque delle stesse caratteristiche di abusività
dell’opera principale, con un effetto di propagazione
dell’illecito (cfr., ex multis, Cons. St. n.
2171/2022).
La natura essenzialmente privatistica della CILA/CILAS non
preclude al Comune di esercitare il proprio potere di
controllo in materia edilizia. Pur non sussistendo, in
materia di CILA/CILAS, un controllo sistematico, da
espletare sulla base di procedimenti formali e di
tempistiche perentorie, restano intatti i poteri di
vigilanza contro gli abusi edilizi (o la loro propagazione)
previsti in via generale dall'art. 27, d.P.R. n. 380/2001,
come conferma lo stesso art. 119, comma 13-quater, del D.L.
34/2020, laddove dispone che “fermo restando quanto
previsto al comma 13-ter (ovvero che la presentazione della
CILA-Superbonus non richiede l'attestazione dello stato
legittimo), “resta impregiudicata ogni valutazione circa la
legittimità dell’immobile oggetto di intervento”;
Ferme le considerazioni che precedono in ordine all’assenza
del fumus boni iuris, non sembra neppure sussistere
il requisito del pregiudizio grave e irreparabile, ben
potendo gli interessati ovviare al prospettato periculum
in mora, con la rimozione degli abusi o con la
presentazione di una istanza di sanatoria (sinora mai
proposta), che il Comune, in sede di discussione orale, ha
dichiarato di poter esaminare celermente, in tempi
compatibili con la realizzazione dei lavori di
efficientamento energetico oggetto di agevolazione anelati
dalla parte ricorrente (TAR Veneto, Sez. II, ordinanza
13.03.2023 n. 128 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2021 |
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EDILIZIA PRIVATA: Ecco
come funziona la «SuperCila»: niente allegati e stop allo
stato legittimo.
Da oggi sarà possibile utilizzare la "Cilas", cioè il
modello di «Comunicazione inizio lavori asseverata -
superbonus» che ieri la Conferenza unificata
Stato-Regioni-Autonomie locali ha definitivamente approvato,
in tempi brevissimi, dopo la conversione in legge del Dl
77/2021.
Come anticipato dal Sole 24 Ore dei giorni scorsi, con il
nuovo modello sono tre i cardini della semplificazione:
1) non occorre documentare lo «stato legittimo»
degli immobili per avviare i lavori nell'ambito del
superbonus; resta naturalmente aperta la via ai controlli da
parte dei Comuni sugli abusi edilizi, la cui presenza blocca
la concessione del bonus;
2) il professionista incaricato attesterà l'esistenza del
titolo abilitativo, dell'esistenza di eventuali condoni
edilizi o del fatto che la costruzione sia precedente al
01.09.1967;
3) sarà possibile presentare anche varianti in corso
d'opera.
La Cilas, a sua volta, potrà anche essere presentata come
variante a quella già esistente per i lavori già in corso
per lavori da superbonus.
Il modello
La compilazione del modello (già disponibile on-line) è
semplice.
Nella parte iniziale della nuova Comunicazione saranno
indicati i dati del titolare dell'intervento ed,
eventualmente, quelli del condominio, ente, Onlus che
presenta la Cila. In caso di interventi trainati su parti
private, i dati relativi alle unità interessate saranno
riportati in un modello allegato. Il titolare
dell'intervento dichiarerà che le opere oggetto della Cila
riguardano o meno parti comuni di un fabbricato condominiale
ed, eventualmente, anche singole unità abitative.
In caso di lavoro condominiale, servirà la delibera
dell'assemblea. L'elaborato progettuale consiste nella mera
descrizione, in forma sintetica, dell'intervento da
realizzare. Solo se necessario il progettista potrà allegare
elaborati grafici illustrativi.
Le esclusioni
In ogni caso, come ricordato anche nella guida "Quaderno
Cila superbonus" (luglio 2021 - n. 28) preparata
da Anci in tempo record, le misure di semplificazione non
potranno essere applicate agli interventi di super
sismabonus con demolizione e ricostruzione integrale.
Tra l'altro, la nuova normativa consente l'utilizzo della
Cilas anche per gli interventi su parti strutturali
dell'edificio, considerati manutenzione straordinaria.
Fabrizio Pistolesi, che ha partecipato ai lavori sul modello
per il Consiglio nazionale degli architetti, ricorda che per
le opere di miglioramento sismico «ci vuole il deposito
al Genio Civile di un progetto o relazione, a seconda delle
Regioni».
Inoltre, in caso di immobili assoggettati a vincolo in base
al Dlgs 42/2004, resta ferma la necessità di acquisire
l'assenso dell'Ente competente. Del resto, più in generale,
come spiegato dall'Anci, se la realizzazione degli
interventi preveda la richiesta di atti o autorizzazioni di
enti sovraordinati rispetto alle amministrazioni comunali
(come per la prevenzione incendi) la Cilas non supera,
ovviamente, la vigente normativa in materia.
L'azione congiunta
Al successo dell'operazione hanno concorso molti attori,
coordinati dalla Funzione pubblica: Regioni, Anci (che
avrebbe voluto nel Dl una semplificazione maggiore e ha
ottenuto la possibilità di omettere allegati e di effettuare
varianti), Upi, Ance, Entrate, Transizione ecologica,
Infrastrutture e Rete delle professioni tecniche (articolo
NT+Enti Locali & Edilizia del 05.08.2021). |
anno 2020 |
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EDILIZIA PRIVATA: La
declaratoria comunale di improcedibilità e archiviazione della CILA è
affetta da intrinseca carenza di potere, ed è pertanto nulla ai sensi
dell’art. 21-septies L. n. 241/1990.
Come la giurisprudenza ha più volte già messo in luce, nel caso della CILA
la sollecitazione che il privato offre alla pubblica autorità non è
preordinata, come per la SCIA, di cui pure condivide il carattere
liberalizzato dell’attività edilizia, all’esercizio sistematico del potere
di controllo, dalla legge tipizzato all’art. 19 L. n. 241/1990, ma
semplicemente all’esercizio (tradizionale per così dire) del potere di
repressione degli abusi edilizi ex art. 27 D.p.r. n. 380/2001.
Pertanto, l’adozione di un provvedimento cassatorio, afferente alla CILA,
manifesta una intrinseca carenza di potere, da stigmatizzare con la
declaratoria di nullità.
Si impone, quindi, l’accoglimento del motivo di ricorso diretto a contestare
l’adozione di un provvedimento negatorio (improcedibilità e archiviazione)
nei confronti delle opere indicate nella CILA, costituente esercizio di un
potere non tipizzato dalla legge (l’art. 6-bis D.p.r. n. 380/2001 non
fornisce infatti alla p.a. i poteri espressi previsti nel caso della SCIA
dall’art. 19 della L. n. 241/1990, variamente richiamati anche nel testo
unico edilizia).
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6. Nel merito, si osserva che:
- la declaratoria di improcedibilità e archiviazione della CILA è affetta da
intrinseca carenza di potere, ed è pertanto nulla ai sensi dell’art.
21-septies L. n. 241/1990.
Come la giurisprudenza ha più volte già messo in luce (v. Tar Catanzaro,
29.11.2018, n. 2052), nel caso della CILA la sollecitazione che il privato
offre alla pubblica autorità non è preordinata, come per la SCIA, di cui
pure condivide il carattere liberalizzato dell’attività edilizia,
all’esercizio sistematico del potere di controllo, dalla legge tipizzato
all’art. 19 L. n. 241/1990, ma semplicemente all’esercizio (tradizionale per
così dire) del potere di repressione degli abusi edilizi ex art. 27 D.p.r.
n. 380/2001.
Pertanto, l’adozione di un provvedimento cassatorio, afferente alla CILA,
manifesta una intrinseca carenza di potere, da stigmatizzare con la
declaratoria di nullità.
Si impone, quindi, l’accoglimento del motivo di ricorso diretto a contestare
l’adozione di un provvedimento negatorio (improcedibilità e archiviazione)
nei confronti delle opere indicate nella CILA, costituente esercizio di un
potere non tipizzato dalla legge (l’art. 6-bis D.p.r. n. 380/2001 non
fornisce infatti alla p.a. i poteri espressi previsti nel caso della SCIA
dall’art. 19 della L. n. 241/1990, variamente richiamati anche nel testo
unico edilizia).
Nondimeno, atteso che non è comunque preclusa, come chiarito, l’attività di
vigilanza e repressione degli eventuali abusi edilizi, si rileva
ulteriormente che il potere repressivo è stato già speso dall’autorità
comunale, essendosi all’uopo estrinsecato nella gravata ordinanza
demolitoria, di contestazione dei ritenuti abusi edilizi (illegittima
tuttavia per quanto sopra rilevato).
Tale assunto consente altresì di ritenere non necessario l’esame delle
ulteriori censure, di carattere urbanistico-edilizio, contenute nel
provvedimento prot. n. 7820 del 25.06.2018, in quanto non espressamente
riportate o menzionate nella successiva ordinanza demolitoria
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 29.06.2020 n. 764 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento
della CILA è nullo, ai sensi
dell’art. 21-septies L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non
tipizzato.
Il regime della edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001 -e
dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente da quello della
s.c.i.a., non prevede una fase di controllo successivo sistematico (da
esperirsi entro un termine perentorio) che -in caso di esito negativo- si
chiude con un provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art. 19,
co. 3, della L. n. 241, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti
dannosi di essa”).
La CILA, piuttosto, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione
affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate
importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla
predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o
espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di
un unico potere, che è quello sanzionatorio, da esercitare in caso di
c.i.l.a. mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in
difformità, ma pur sempre eseguibili con c.i.l.a..
---------------
Con atto ritualmente notificato e depositato, il ricorrente ha riferito di
avere trasmesso al Comune di Gibellina una comunicazione di inizio lavori
asseverata (c.i.l.a.) per modifiche interne e realizzazione di un servizio
igienico in un locale destinato ad attività commerciale, sito in Gibellina,
via ... n. ....
Alla presentazione della comunicazione ha fatto seguito la richiesta, da
parte del Comune, del certificato di agibilità dei locali, prodotto dal
ricorrente.
Tuttavia, il Comune, con il provvedimento impugnato, ha disposto
l’annullamento della c.i.l.a., ritenendo che fosse necessario un certificato
di agibilità successivo ad una modifica di destinazione d’uso,
presuntivamente intervenuta nel 2006, a seguito della presentazione di
un’istanza relativa a dei lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e
cambio di destinazione d’uso (avanzata il 26.09.2006); a tale richiesta,
come risulta dalla motivazione del provvedimento oggi all’esame, non ha
fatto seguito la produzione della documentazione integrativa richiesta dal
Comune, né una comunicazione di inizio lavori.
Il ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento, previa sospensione
cautelare, del provvedimento impugnato -con il quale è stata dichiarata
l’insussistenza dei presupposti della c.i.l.a. e, sostanzialmente, disposto
il suo “annullamento”, come risulta dalla scheda informatica della
pratica edilizia- deducendone l’illegittimità, sotto diversi profili.
...
Ciò premesso, si rileva che l’istanza avanzata dal ricorrente non ha ad
oggetto la modifica di destinazione d’uso dell’immobile, ma soltanto la
realizzazione di opere interne e servizi.
L’oggetto della comunicazione, invero, è così indicato nella scheda
informatica e nella richiesta di documentazione integrativa del 20 gennaio
2020.
Si tratta, dunque, di lavori di manutenzione straordinaria, di cui all’art.
3, co. 2, lett. a), della L.R. n. 16 del 10.08.2016.
Orbene, il detto art. 3, rubricato “Recepimento con modifiche
dell’articolo 6 <Attività edilizia libera> del decreto del Presidente della
Repubblica 06.06.2001, n. 380”, al comma 5, stabilisce che “La
mancata comunicazione dell’inizio dei lavori di cui al comma 2, ovvero la
mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori di cui al comma 3,
comportano la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta
di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando
l'intervento è in corso di esecuzione”.
Va specificato che il regime della edilizia libera di cui all’art. 6 del
D.P.R. 380 del 2001 -e dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis-
diversamente da quello della s.c.i.a., non prevede una fase di controllo
successivo sistematico (da esperirsi entro un termine perentorio) che -in
caso di esito negativo- si chiude con un provvedimento di carattere
inibitorio (ai sensi dell’art. 19, co. 3, della L. n. 241, l’amministrazione
“adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e
di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”); la CILA,
piuttosto, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione
affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate
importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla
predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o
espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di
un unico potere, che è quello sanzionatorio, da esercitare in caso di
c.i.l.a. mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in
difformità, ma pur sempre eseguibili con c.i.l.a. (cfr. TAR Calabria,
Catanzaro, sez. II, 22/01/2020, n. 126; TAR Sicilia, Catania, sez. I,
16/07/2018, n. 1497; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 18/06/2018, n. 1380).
Peraltro, ove l’amministrazione avesse riscontrato, nell’ambito di un
sopralluogo, l’esecuzione di lavori abusivamente realizzati in precedenza
–quale la discussa modifica di destinazione d’uso, mai intervenuta, secondo
parte ricorrente- ben avrebbe potuto attivare i poteri sanzionatori o
repressivi previsti per tali ipotesi dalla legge, non potendo, invece, tale,
supposta circostanza dar luogo all’esercizio di un potere (annullamento
della c.i.l.a.) non previsto dall’ordinamento.
Il provvedimento impugnato, dunque, è nullo ai sensi dell’art. 21-septies,
L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato.
Il ricorso, dunque, va accolto, ritenuta la fondatezza del primo motivo del
ricorso (indicato sub 2.)
(TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 15.06.2020 n. 1179 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: La
peculiare natura giuridica della CILA non preclude
all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri
repressivi e sanzionatori, implicitamente previsti dall’art.
6-bis DPR n. 360/2001, nel caso in cui l’attività libera non
coincida con l’attività ammessa.
---------------
Nel caso in esame, il Comune ha fatto legittima applicazione
del potere che ad esso compete in termini di vigilanza
sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e
tale potere è stato esercitato tempestivamente, anche con
riferimento al termine ragionevole di cui all’art 21-nonies
della legge n. 214/1990.
Aggiungasi che nell’esercizio del potere di vigilanza sulla
attività edilizia non sussiste alcun obbligo, in capo alla
Amministrazione, di ulteriore comparazione degli interessi
privati coinvolti né alcun affidamento del privato,
meritevole di tutela, al mantenimento delle opere abusive
per effetto del decorso del tempo.
---------------
... per l'annullamento della D.D. del Dirigente del Servizio
Sportello Unico dell’edilizia del Comune di Napoli,
notificata in data 08.04.2019, con cui si dichiara
l’inefficacia della CILA edilizia n. CIL_7223_2018 –
PG/11289/2019, inoltrata dal ricorrente in data 30.12.2018;
...
Orbene, il motivo di ricorso è infondato.
Ed invero, il riferimento al consolidamento degli effetti
della SCIA e delle sue successive integrazioni è del tutto
irrilevante in quanto, come già in precedenza evidenziato,
la CILA in oggetto veniva presentata dal ricorrente per
l’esecuzione di lavori diversi rispetto a quelli segnalati
con la SCIA n. 467/12.
Quanto alla CILA, invece, deve ritenersi che la peculiare
natura giuridica di tale comunicazione non precluda
all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri
repressivi e sanzionatori, implicitamente previsti dall’art.
6-bis DPR n. 360/2001, nel caso in cui l’attività libera non
coincida con l’attività ammessa (cfr. TAR Campania Napoli,
Sez. II, 17.09.2018 n. 5516; TAR Veneto, Sez. II, 15.04.2015
n. 415).
Nel caso in esame, quindi, il Collegio è dell’avviso che il
Comune abbia fatto legittima applicazione del potere che ad
esso compete in termini di vigilanza sull'attività
urbanistico-edilizia nel territorio comunale e che tale
potere sia stato esercitato tempestivamente, anche con
riferimento al termine ragionevole di cui all’art 21-nonies
della legge n. 214/1990; aggiungasi che nell’esercizio del
potere di vigilanza sulla attività edilizia non sussiste
alcun obbligo, in capo alla Amministrazione, di ulteriore
comparazione degli interessi privati coinvolti né alcun
affidamento del privato, meritevole di tutela, al
mantenimento delle opere abusive per effetto del decorso del
tempo (TAR Napoli, sez. V, sent. n. 5319, 24.09.2019) .
In conclusione, l’operato del Comune risulta corretto in
quanto diretto a sanzionare opere che, pur se riguardanti
l'assetto interno dei locali, miravano a trasformare
abusivamente lo scantinato in locali ad uso abitativo, con
conseguente aumento di superficie e di volume dell'unità
abitativa preesistente e, per di più, in assenza dei
parametri minimi di abitabilità prescritti per le unità
abitative. Per quanto rilevato, il ricorso va respinto (TAR
Campania-Napoli, Sez. IV,
sentenza 06.04.2020 n. 1338 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: L’atto
con cui, negata la validazione dirigenziale, è stata affermata l’inefficacia
della CILA in sanatoria è un atto privo di contenuto autenticamente
provvedimentale.
Il Consiglio di Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784 sullo schema di
D.Lgs. 222/2016 ha chiarito che “l'attività assoggettata a c.i.l.a. non solo
è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima, non è
sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di
procedimenti formali e di tempistiche perentorie”.
Si tratta, pertanto di un atto privato di mera comunicazione, a fronte del
quale l’amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in
ogni tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR
380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla
ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno carattere
provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un
potere legislativamente tipizzato.
---------------
Il ricorso introduttivo è inammissibile, essendo stato impugnato l’atto con
cui, negata la validazione dirigenziale, è stata affermata l’inefficacia
della CILA in sanatoria.
Si tratta di un atto privo di contenuto autenticamente provvedimentale.
Il Consiglio di Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784 sullo schema di
D.Lgs. 222/2016 ha chiarito che “l'attività assoggettata a c.i.l.a. non
solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima,
non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di
procedimenti formali e di tempistiche perentorie”. Si tratta, pertanto
di un atto privato di mera comunicazione, a fronte del quale
l’amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni
tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR
380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla
ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno carattere
provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un
potere legislativamente tipizzato (TAR Toscana, Sezione III, 10.11.2016, n.
1625, TAR Napoli, (Campania) sez. II, 08/05/2019, n. 2469).
Né vale a mutare tale natura la circostanza che il medesimo atto contenga
anche il diniego di validazione dirigenziale. Il suddetto procedimento,
disciplinato dall’art. 4, commi da 5 a 10 delle N.T.O. al Piano degli
Interventi, mira alla valutazione della compatibilità dei progetti relativi
ad edifici classificati con le prescrizioni di tutela laddove gli interventi
proposti esulino dall’intervento guida.
La circostanza che il Piano degli interventi preveda un meccanismo
procedimentale semplificato per la verifica della conformità al P.I. dei
progetti relativi ad edifici classificati, non muta la natura del potere
esercitato dal Comune che, nella specie, come si è detto, è riconducibile a
quelli repressivo-sanzionatori previsti dall’art. 27 D.P.R. 380/2001.
La “validazione dirigenziale”, infatti, non costituisce esplicazione
di un potere autonomo rispetto a quello che il Comune esercita, in base alla
legge, nel controllo dell’attività di edilizia, e, pertanto, ad esso va
riconosciuta natura endoprocedimentale, la cui efficacia lesiva è differita
al momento in cui sono esercitati i poteri sanzionatori conseguenti
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 27.03.2020 n. 307 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
collegio intende uniformarsi al proprio precedente specifico, che ha
affermato l’illegittimità del provvedimento di diniego di c.i.l.a., ai sensi
dell’art. 21-septies della L. 241/1990, poiché espressivo di un potere non
tipizzato nell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, restando salva e
impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della
correlata potestà repressiva dell’ente territoriale.
Occorre premettere che la c.i.l.a. è “un istituto intermedio tra l’attività
edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del secondo, nel genus
della liberalizzazione delle attività private, avente carattere residuale,
poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati
agli artt. 6, 10 e 22, del D.P.R. 380/2001, riguardanti, rispettivamente,
l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le
iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a..
Essa è dunque un atto avente natura privatistica, non suscettibile di
autonoma impugnazione.
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato ha rilevato
come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di
s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo
sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di
tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta
dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le
opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a
ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente
sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e
conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, giova per altro osservare che, in materia edilizia,
sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001,
la P.A. mantiene fermo il potere di vigilanza contro gli abusi,
implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis.
In ragione di quanto sopra, quindi, la c.i.l.a. non può essere oggetto di
una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, da parte
dell’amministrazione comunale, ma, al contempo, a quest’ultima non è
precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di
c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia.
---------------
... per
l'annullamento delle determine in data 11.07.2019, recanti
n. 59877 e n. 59909, con cui il Comune di Corigliano-Rossano
ha prima dichiarato l’inefficacia della c.i.l.a. n. 31314
dell’08.04.2019, avente ad oggetto l’esecuzione di opere
edili e successivamente respinto la s.c.a. n. 50209
dell’11.06.2019.
...
Il ricorso è fondato e va accolto.
Quanto al primo provvedimento, il collegio intende uniformarsi al proprio
precedente specifico, che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di
diniego di c.i.l.a., ai sensi dell’art. 21-septies della L. 241/1990, poiché
espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis del D.P.R. n.
380/2001, restando salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli
abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’ente
territoriale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 29.11.2018 n. 2052).
Occorre premettere che la c.i.l.a. è “un istituto intermedio tra
l’attività edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del
secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private,
avente carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non
riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 del D.P.R. 380/2001,
riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a
permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a. (cfr.
Cons. Stato, parere 04.08.2016 n. 1784).
Essa è dunque un atto avente natura privatistica, non suscettibile di
autonoma impugnazione (cfr. TAR Catania, Sez. I, 16.07.2018 n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato, nel menzionato
parere, ha rilevato come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è
libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è
sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di
procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto
conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che,
effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul
territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un
confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un
potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la
s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, giova per altro osservare che, in materia edilizia,
sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001,
la P.A. mantiene fermo il potere di vigilanza contro gli abusi,
implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis (cfr. Cons. Stato, cit.).
In ragione di quanto sopra, quindi, la c.i.l.a. non può essere oggetto di
una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, da parte
dell’amministrazione comunale, ma, al contempo, a quest’ultima non è
precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di
c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez.
II,
sentenza 22.01.2020 n. 126 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2019 |
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EDILIZIA PRIVATA: Non
è condivisibile l’assunto secondo cui l’amministrazione
comunale non disporrebbe del potere di inibire l’intervento
comunicato con CILA nel caso in cui esso rientri tra quelli
previsti dall’art. 6-bis D.P.R. 380/2001 ma risulti in
contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente.
L’art. 6-bis, infatti, nel far “salve le prescrizioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”, non esclude l’assoggettabilità
dell’intervento al generale potere di vigilanza posto in
capo al Comune dall’art. 27 DPR 380/2001, mentre la sanzione
pecuniaria è prevista solo nel caso in cui l’unica
violazione riscontrata sia la mancata comunicazione di
inizio lavori.
La CILA, infatti, è un istituto di semplificazione che -a
differenza di quanto si prevede per la SCIA e il permesso di
costruire- esclude l’assoggettamento degli interventi che ne
costituiscono oggetto al controllo sistematico da parte
dell’amministrazione, ma non deroga al potere-dovere del
Comune di vigilare sul rispetto della normativa
urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni.
Nel caso in cui l’amministrazione rilevi, autonomamente o
perché sollecitata da terzi, che l’attività oggetto di CILA
è in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia ha il
dovere di porre in essere i provvedimenti inibitori previsti
nell’ambito della propria attività di vigilanza.
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FATTO
La società Fi.It. s.r.l. il 23.12.2016 ha concesso in
locazione alla società Va.Im. s.r.l. (che, a sua volta l’ha
concessa in sublocazione a Va. s.r.l.) un capannone
industriale collocato in zona D5 “zona per attività
produttive di riqualificazione urbana” del Comune di
Lozzo Atesino.
Prima che l’immobile fosse locato, la Fi. vi svolgeva
attività di stampaggio, molto rumorosa, cessata nel 2013.
Afferma il ricorrente che, in ragione del disturbo che tale
attività provocava agli abitanti della zona, il capannone è
stato individuato dallo strumento urbanistico comunale tra
quelli ove si svolge un’“attività produttiva da
trasferire”, la cui disciplina è dettata dall’art. 1.6
delle n.t.o.
La società Va. ha affittato il capannone per utilizzarlo
come a magazzino a servizio dell’attività conserviera svolta
da altra società appartenente al medesimo gruppo, il cui
stabilimento si trova a poca distanza.
Per realizzare tale destinazione, la Va.Im. ha presentato,
l’11.01.2017, una CILA per modificare la destinazione d’uso
e ripartire diversamente gli spazi interni.
Il 16.01.2017 il Comune ha inviato alla società una
comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento
dell’istanza, ai sensi dell’art. 10-bis, l. 241/1990 e,
successivamente, dopo aver acquisito le osservazioni della
società ricorrente, il 24.02.2017, ha ordinato alla Va.Im.
ed alla società Fi.It. di non svolgere l’intervento
comunicato con la c.i.l.a..
Il provvedimento inibitorio reca una duplice motivazione:
- le modifiche interne si riferiscono ad un immobile
parzialmente abusivo per cui pende un’istanza di sanatoria;
- “il riutilizzo dell’immobile per attività di
magazzino contrasta con gli artt. 1.6. e 6.9 del vigente
p.r.g. in quanto si configura come nuovo insediamento dopo
l’avvenuta cessazione dell’attività della società Fi.”.
In data 10.03.2017, il ricorrente, per ovviare al primo
rilievo, ha presentato una nuova CILA, con cui ha
circoscritto l’ambito spaziale delle modifiche interne in
modo da lasciare fuori la parte oggetto dell’istanza di
sanatoria.
Il Comune ha adottato l’ordinanza n. 17 del 30.05.2017,
recante l’ordine di non effettuare l’intervento oggetto
della C.I.L.A. presentata dalla società Fi.It. s.r.l. in
data 10.03.2017 per le stesse ragioni sottese all’analogo
provvedimento relativo alla CILA del 11.01.2017.
Anche questa ordinanza è impugnata, con motivi aggiunti
identici a quelli formulati con il ricorso originario.
Si è costituito il Comune di Lozzo Atesino, controdeducendo
nel merito.
All’udienza del 18.07.2019 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. Le censure contenute nel ricorso originario e nel ricorso
per motivi aggiunti, benché riferiti a provvedimenti
diversi, appaiono in parte sovrapponibili e possono,
pertanto, essere trattate congiuntamente, salvi i diversi
effetti che ne derivano in relazione ai singoli
provvedimenti impugnati.
2. Il primo motivo del ricorso originario, identico
al primo mezzo del ricorso per motivi aggiunti, lamenta
l’illegittimità del provvedimento inibitorio adottato
dall’Amministrazione, perché perplesso:
- non individuando il fondamento normativo del potere
esercitato;
- non essendo riconducibile ai poteri di cui
l’amministrazione dispone a fronte di un intervento soggetto
al regime della CILA (solo sanzionatorio e non inibitorio);
- non essendo riconducibile a quelli relativi agli
interventi soggetti a SCIA, mancando le valutazioni relative
alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies;
- non essendo riconducibile a quelli relativi all’art. 31
DPR 380/2001, essendo gli interventi non soggetti a permesso
di costruire.
Le censure non sono fondate.
Non è condivisibile l’assunto secondo cui l’amministrazione
non disporrebbe del potere di inibire l’intervento
comunicato con CILA nel caso in cui esso rientri tra quelli
previsti dall’art. 6-bis D.P.R. 380/2001, ma risulti in
contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente.
L’art. 6-bis, infatti, nel far “salve le prescrizioni
degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente”, non esclude l’assoggettabilità
dell’intervento al generale potere di vigilanza posto in
capo al Comune dall’art. 27 DPR 380/2001, mentre la sanzione
pecuniaria è prevista solo nel caso in cui l’unica
violazione riscontrata sia la mancata comunicazione di
inizio lavori.
La CILA, infatti, è un istituto di semplificazione che -a
differenza di quanto si prevede per la SCIA e il permesso di
costruire- esclude l’assoggettamento degli interventi che ne
costituiscono oggetto al controllo sistematico da parte
dell’amministrazione, ma non deroga al potere-dovere del
Comune di vigilare sul rispetto della normativa
urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni.
Nel caso in cui l’amministrazione rilevi, autonomamente o
perché sollecitata da terzi, che l’attività oggetto di CILA
è in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia ha il
dovere di porre in essere i provvedimenti inibitori previsti
nell’ambito della propria attività di vigilanza (TAR
Calabria 29/11/2018 n. 2052, TAR Catania 16/07/2018 n. 1497)
(TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 16.12.2019 n. 1368 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Il
provvedimento di annullamento in autotutela della CILA è
illegittimo perché il Comune non dispone del potere di
annullamento di una comunicazione relativa ad attività di
edilizia libera, ma può unicamente verificare che tale
attività sia conforme alle prescrizioni urbanistiche ed
agire di conseguenza.
---------------
Va premesso che il provvedimento gravato è composto da due
distinte parti dispositive: sotto un primo profilo, è
disposto l’annullamento in autotutela della CILA n. 578/2017
per cambio di destinazione d’uso per false dichiarazioni e
falsa rappresentazione dello stato dei luoghi; sotto
distinto profilo, è ordinato il ripristino dello stato dei
luoghi come rappresentato nella PE 578/2017, comprensivo
della destinazione urbanistica originaria (negozio).
Ebbene, il Collegio ritiene (aderendo all’orientamento
espresso da ultimo da TAR Calabria, Catanzaro, sez. II,
29.11.2018, n. 2052) che il provvedimento di annullamento in
autotutela della CILA -in disparte il difetto di motivazione
e la incertezza sui presupposti di assunzione connessi alle
asserite false rappresentazioni ed a prescindere da ogni
altra considerazione– sia illegittimo perché il Comune non
dispone del potere di annullamento di una comunicazione
relativa ad attività di edilizia libera, ma può unicamente
verificare che tale attività sia conforme alle prescrizioni
urbanistiche ed agire di conseguenza (TAR Lombardia-Brescia,
Sez. II,
sentenza 17.10.2019 n. 895 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La cd. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) assolve
alla mera funzione di informare l’amministrazione comunale che nel suo
territorio si stanno realizzando attività di scarsissimo impatto
urbanistico-edilizio -diverse sia da quelle cd. libere (art. 6 D.P.R. n.
3802/2001) che da quelle soggette a S.C.I.A. (art. 22 citato D.P.R.) ovvero
a permesso di costruire (art. 10 citato D.P.R.)- di cui tuttavia il soggetto
privato “comunicante” è tenuto ad attestare, sotto la propria
responsabilità, la conformità agli strumenti urbanistici approvati e ai
regolamenti edilizi vigenti, nonché la compatibilità con la normativa in
materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia, oltre
il mancato interessamento delle parti strutturali dell'edificio (art. 6-bis
D.P.R. n. 380/2001).
A fronte di tale mera “comunicazione”, l’amministrazione comunale, ove
ritenga che gli interventi edilizi della cui realizzazione è stata informata
si pongano in contrasto, sotto qualsivoglia profilo, rispetto alla
disciplina urbanistico-edilizia vigente, è tenuta, quale atto dovuto e
vincolato, ad esercitare, senza alcun limite temporale (a differenza di
quanto avviene in caso di S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19, commi 3, 4 e 6-bis
l. n. 241/1990) i poteri inibitori nonché repressivo-sanzionatori di cui
agli artt. 27 e ss. D.P.R. n. 380/2001.
Dunque, il provvedimento oggetto di gravame, a prescindere dall’erroneo
riferimento formale all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, costituisce, nella
sostanza, esercizio non già di un potere di annullamento in autotutela bensì
di un doveroso potere di vigilanza edilizia, vincolato all’intervenuto
accertamento –puntualmente esplicitato, con conseguente soddisfacimento
dell’onere motivazionale di cui all’art. 3 l. n. 241/1990- del contrasto tra
l’attività edilizia comunicata dalla società ricorrente e l'art. 5 delle
N.T.A. al P.R.G.
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24. Prive di pregio risultano, inoltre, le ulteriori censure relative alla
pretesa illegittimità del potere di annullamento della C.I.L.A. per
violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990 e dell’art. 3 l. n. 241/1990.
24.1 Siffatte censure risentono, invero, di un travisamento circa
l’effettiva natura giuridica della C.I.L.A. di cui all’art. 6-bis D.P.R. n.
380/2001, nella specie depositata dalla società istante in data 28.06.2018,
e dei conseguenti poteri inibitori esercitati dal Comune di Scafati.
25. Ed invero, la cd. comunicazione di inizio lavori assolve alla mera
funzione di informare l’amministrazione comunale che nel suo territorio si
stanno realizzando attività di scarsissimo impatto urbanistico-edilizio
-diverse sia da quelle cd. libere (art. 6 D.P.R. n. 3802/2001) che da quelle
soggette a S.C.I.A. (art. 22 citato D.P.R.) ovvero a permesso di costruire
(art. 10 citato D.P.R.)- di cui tuttavia il soggetto privato “comunicante”
è tenuto ad attestare, sotto la propria responsabilità, la conformità agli
strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché la
compatibilità con la normativa in materia sismica e con quella sul
rendimento energetico nell'edilizia, oltre il mancato interessamento delle
parti strutturali dell'edificio (art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001).
26. A fronte di tale mera “comunicazione”, l’amministrazione
comunale, ove ritenga che gli interventi edilizi della cui realizzazione è
stata informata si pongano in contrasto, sotto qualsivoglia profilo,
rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente, è tenuta, quale atto
dovuto e vincolato, ad esercitare, senza alcun limite temporale (a
differenza di quanto avviene in caso di S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19,
commi 3, 4 e 6-bis l. n. 241/1990) i poteri inibitori nonché
repressivo-sanzionatori di cui agli artt. 27 e ss. D.P.R. n. 380/2001.
27. Dunque, il provvedimento oggetto di gravame, a prescindere dall’erroneo
riferimento formale all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, costituisce, nella
sostanza, esercizio non già di un potere di annullamento in autotutela bensì
di un doveroso potere di vigilanza edilizia, vincolato all’intervenuto
accertamento –puntualmente esplicitato, con conseguente soddisfacimento
dell’onere motivazionale di cui all’art. 3 l. n. 241/1990- del contrasto tra
l’attività edilizia comunicata dalla società ricorrente e l'art. 5 delle
N.T.A. al P.R.G.
22. In conclusione, il ricorso è infondato e, come tale, deve essere
rigettato
(TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 11.10.2019 n. 1728 - link a www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA: Abitabilità,
la Cila non basta. Titolo insufficiente per cambiare
destinazione dei locali. Secondo il Tar Lazio la nozione di
restauro impone di rispettare forma e struttura degli
edifici.
Non basta la Cila a trasformare la
cantina in cucina nell'immobile del centro storico. E ciò
anche dopo lo Sblocca Italia e la manovra correttiva del
2017: la nuova definizione di restauro e risanamento
conservativo, infatti, presuppone che si rispettino gli
elementi formali e strutturali che identificano l'organismo
edilizio, il che è escluso quando vani accessori diventano
abitabili nel fabbricato a uso residenziale.
È quanto emerge dalla
sentenza 20.09.2019 n. 11155, pubblicata dalla
Sez. II-quater del TAR Lazio-Roma.
Il caso.
Legittimo lo stop ai lavori da parte del comune dopo che il
dirigente dell'ufficio ha dichiarato inefficace la
comunicazione di lavori asseverata. Non basta la relazione
tecnica allegata al progetto che fa riferimento al
risanamento leggero di cui al punto 5 della tabella A
allegato al decreto Scia 2, il dlgs 222/2016, a salvare i
comproprietari dell'immobile, uno dei quali è anche
direttore dei lavori.
L'intervento è comunicato in corso di esecuzione ai sensi
dell'articolo 6-bis, comma quinto, del testo unico
dell'edilizia: si punta a trasformare in una cucina di 17
metri quadrati un ambiente composto da due vani destinati in
precedenza a deposito o cantina, con il ripristino del
collegamento preesistente con il fabbricato principale,
un'ex caserma dei carabinieri.
In realtà, secondo il progetto approvato dal comune, i
locali dovrebbero essere destinati a uffici, mentre
l'iniziativa del privato è fondata sulle risultanze
catastali e lo stato di fatto dell'immobile. Ma non è questo
che fa scattare l'alt ai lavori. Il mutamento di
destinazione d'uso con realizzazione di opere, infatti, va
inquadrato nell'ambito della ristrutturazione edilizia «pesante»
o «maggiore» alla quale fa riferimento l'articolo 33
del testo unico per l'edilizia. E ciò perché si tratta di un
elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e
risponde a precisi obiettivi di interesse pubblico, a
partire dalla pianificazione territoriale. L'intervento
progettato dal privato nell'ex caserma, dunque, può essere
realizzato soltanto se prima si chiede il permesso di
costruire e si paga il contributo di costruzione previsto
dalla diversa destinazione d'uso.
In generale vanno evidenziati i punti di contatto fra gli
interventi di ristrutturazione edilizia e quelli di
manutenzione straordinaria, restauro e risanamento
conservativo: agli uni come agli altri serve il permesso di
costruire quando comportano un cambio di destinazione d'uso
tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico; fuori dai centri storici devono possono essere
realizzati soltanto con la denuncia di attività quando il
mutamento avviene all'interno di una stessa categoria
omogenea, mentre dentro il cuore antico della città la
segnalazione non è sufficiente anche quando la destinazione
varia all'interno della medesima categoria.
Non conta poi che con lo Sblocca Italia si possano
frazionare o accorpare unità immobiliari con opere che
implicano la variazione di superfici dei locali oltre che
del carico urbanistico. La nuova nozione di restauro e
risanamento conservativo impone il rispetto degli elementi
formali e strutturali dell'organismo edilizio: i primi
riguardano la disposizione dei volumi, i secondi lo
scheletro che vi è sotteso ma entrambi esprimono l'identità
del fabbricato a uso residenziale e vanno non giustapposti
ma considerati insieme. Nella specie, poi, il permesso di
costruire è richiesto a maggior ragione perché l'immobile si
trova nel centro storico e dunque il titolo edilizio risulta
necessario anche per il mutamento di destinazione d'uso
all'interno della categoria.
I precedenti.
Attenzione, però: se il comune non ha titolo per sindacare
la Cila, può sempre reprimere gli abusi edilizi. La
comunicazione di inizio attività asseverata è un atto di
natura privatistica e l'amministrazione non può valutare
l'ammissibilità o meno dell'intervento ma conserva comunque
il potere di controllare che l'immobile sia conforme alle
prescrizioni delle leggi vigenti. È escluso, poi, che il
privato possa ottenere dal giudice un accertamento sulla
regolarità del fabbricato: la verifica spetta
all'amministrazione e la prima autorità non può sconfinare
nella sfera riservata alla seconda.
Lo ha stabilito la sentenza 2052/2018, pubblicata dalla
seconda sezione del Tar Calabria, con cui è accolto solo in
parte il ricorso del proprietario del manufatto.
La Cila introdotta dal decreto legislativo Scia 2 ha
carattere residuale: si applica agli interventi non
riconducibili all'edilizia libera, alle opere che richiedono
il permesso di costruire e alle iniziative sottoposte a
Scia. A differenza di quest'ultima la comunicazione di
inizio lavori asseverata non è soggetta a un controllo
sistematico: il comune deve soltanto verificare che le opere
progettate implicano un modesto impatto sul territorio. E ha
in proposito un potere soltanto sanzionatorio.
Il diniego della Cila, dunque, è nullo perché espressione di
un potere non tipizzato dall'articolo 6-bis del testo unico
dell'edilizia, fermo restando che l'amministrazione deve
vigilare contro i manufatti contro legge. Il motivo di
ricorso che chiede l'accertamento di regolarità del
fabbricato è bocciato perché la sentenza richiesta dal
privato sarebbe un'invasione di campo nei poteri
dell'amministrazione al di fuori delle ipotesi tassative di
giurisdizione di merito previste dall'articolo 134 Cpa.
L'inerzia, tuttavia, può costare cara
all'amministrazione.
Rischia che arrivi il commissario dalla prefettura a far
abbattere l'abuso edilizio il comune che fa finta di non
vederlo dopo la comunicazione di inizio lavori asseverata:
la presentazione della Cila, infatti, non dispensa l'ente
locale dall'esercitare i suoi poteri repressivi contro le
irregolarità, mentre risulta illecita la condotta
dell'amministrazione che non riscontra entro 30 giorni la
diffida del vicino, il quale punta alla demolizione della
veranda.
È quanto si legge nella sentenza 522/2017, pubblicata dalla
settima sezione del Tar Campania, «Accolto il ricorso del
condomino, atto che va qualificato come soggetto al rito del
silenzio ex articoli 31 e 117 Cpa».
Sbaglia l'ente locale a non compiere entro un mese le
verifiche sulla Cila richieste nella diffida perché il
parere della Soprintendenza allegato parla chiaro: va
ridimensionato il terrazzo che costituisce la copertura
della veranda. Soltanto così si può ottenere la sanatoria.
Risulta quindi illegittimo il silenzio serbato dal comune
perché dai documenti emerge che il manufatto è abusivo,
mentre l'ente locale è deputato al controllo del territorio
in base all'articolo 27 del Testo unico sull'edilizia e
doveva dunque controllare la sussistenza dei requisiti per
la Cila. Insomma: non soltanto l'amministrazione deve
riscontrare la diffida entro trenta giorni, ma nello stesso
termine deve ordinare la demolizione della veranda e del
terrazzo soprastante. E se non provvederà sarà «commissariato»
da un funzionario della prefettura.
Il comune, comunque, non può bloccare i lavori avviati con
Cila per dividere in tre l'appartamento in centro invocando
la contrarietà al regolamento urbanistico dell'ente:
l'attività edilizia libera, infatti, rientra ormai nella
manutenzione ordinaria e straordinaria che soltanto in casi
eccezionali risulta soggetta alle prescrizioni degli
strumenti urbanistici. D'altronde il frazionamento
dell'immobile non incrementa il carico urbanistico ammesso
nella zona né incide sull'aspetto esteriore dell'edificio.
È quanto emerge dalla sentenza 1625/2016, pubblicata dalla
terza sezione del Tar Toscana, che ha accolto il ricorso
proposto dal proprietario dell'appartamento da suddividere:
è annullato il regolamento urbanistico del comune nella
parte in cui vieta l'aumento di unità immobiliari
nell'ambito di operazioni di frazionamento che costituiscono
manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 3, comma
1, lettera c), del testo unico dell'edilizia.
Non si capisce, osservano dunque i giudici, quali siano le
superiori ragioni di interesse pubblicano che spingono il
comune a stoppare di fatto la Cila (articolo
ItaliaOggi Sette del 02.12.2019). |
EDILIZIA PRIVATA: OGGETTO:
Articolo 11, legge 27.07.2000, n. 212 – Detrazione delle
spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio
edilizio - Titoli abilitativi – Art. 16-bis del TUIR
(Agenzia delle Entrate,
risposta 19.07.2019 n. 287).
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E’ possibile accedere alle detrazioni
fiscali anche senza una CILA?
Le Entrate chiariscono che si può accedere alle detrazioni
fiscali anche senza una CILA, qualora gli interventi da
effettuare ricadano in edilizia libera. |
EDILIZIA PRIVATA: La
presentazione dell’istanza di accertamento di conformità
determina il venir meno dell’efficacia dell’ordinanza di
demolizione, comportando l’obbligo per l’amministrazione di
rideterminare la sanzione alla luce della nuova istruttoria
svolta sulla domanda di sanatoria.
Sicché, non v’è ragione di ritenere che il medesimo effetto
non si produca anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza di
demolizione sia stata adottata a seguito di C.I.L.A., poiché
anche in questo caso l’accertamento di conformità determina
l’obbligo per l’amministrazione di verificare la “doppia
conformità” sostanziale delle opere alla normativa
urbanistico-edilizia.
Pertanto, essendo venuta meno l’efficacia del provvedimento
impugnato prima ancora della notifica del ricorso, esso si
palesa inammissibile, per difetto originario di interesse.
---------------
Considerato:
- che il ricorrente ha presentato istanza di accertamento
di conformità e di autorizzazione semplificata in sanatoria
in data 08.02.2019, anteriore alla notifica del ricorso;
- che il Collegio aderisce all’orientamento
giurisprudenziale alla stregua del quale la presentazione
dell’istanza di accertamento di conformità determina il
venir meno dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione,
comportando l’obbligo per l’amministrazione di rideterminare
la sanzione alla luce della nuova istruttoria svolta sulla
domanda di sanatoria (ex plurimis: TAR Veneto,
29.12.2015, n. 1418, TAR Campania, Napoli, 06.02.2017 n.
749, TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 03.02.2015 n. 1960; TAR
Lazio, Roma, II-bis, 13.06.2017, n. 6980; TAR Lazio, Roma,
Sez. II-bis, 13.06.2017, n. 6979; TAR Lazio, Roma, Sez.
II-bis, 06.06.2017, n. 6688; 17.11.2017 n. 11550);
- che non v’è ragione di ritenere che il medesimo effetto
non si produca anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza di
demolizione sia stata adottata a seguito di C.I.L.A., poiché
anche in questo caso l’accertamento di conformità determina
l’obbligo per l’amministrazione di verificare la “doppia
conformità” sostanziale delle opere alla normativa
urbanistico-edilizia;
- che, pertanto, essendo venuta meno l’efficacia del
provvedimento impugnato prima ancora della notifica del
ricorso, esso si palesa inammissibile, per difetto
originario di interesse (TAR Veneto, Sez. II,
sentenza 19.06.2019 n. 742 - link a
www.giustizia-amministrartiva.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
SCIA e CILA – Previsione, come regola speciale, ma in via
alternativa, della formazione del silenzio-assenso – Opzione
per il rilascio di un provvedimento espresso – Fondamento –
Pronuncia di decadenza in ordine al titolo edilizio tacito,
qualora sia stato richiesto un provvedimento espresso –
Illegittimità.
Rimane nella disponibilità del privato
l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art.
2, comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla
normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola
generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale,
ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la
formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli
strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e
C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali
espressamente contemplati e fanno comunque salva la
possibilità di scelta della richiesta da parte
dell’interessato per il rilascio di un provvedimento
espresso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la
completezza o meno della documentazione, utili a formare il
titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della
complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una
questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il
soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio
ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di
un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici
comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio
del potere di autotutela, con lesione della propria sfera
economico-patrimoniale.
Motivo per cui, giammai l’amministrazione comunale può
pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio
tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato
richiesta l’emanazione di un provvedimento espresso (TAR
Puglia-Bari, Sez. II,
sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.ambientediritto.it). |
EDILIZIA PRIVATA: A.
Veronese,
Attività edilizia libera, C.A.L., C.I.L.A., S.C.I.A.: il
punto sui titoli non titoli (13.05.2019 -
link a www.amministrativistiveneti.it).
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Sommario: 1. Premessa normativa: l’attività
edilizia libera; la comunicazione di avvio lavori, la
comunicazione di inizio lavori asseverata; la segnalazione
certificata di inizio attività; § 2. Attività edilizia
libera; § 3. C.I.L.A.: natura, procedimento, poteri
dell’amministrazione; § 4. S.C.I.A.: natura, procedimento,
poteri dell’amministrazione, nuova agibilità; § 5. Le misure
di salvaguardia; § 6. Onerosità dei titoli; § 7. Profili
sanzionatori e penali (cenni); § 8. S.C.I.A. e il falso; §
9. C.I.L.A., S.C.I.A. e tutela del terzo anche alla luce
della sentenza della Corte Costituzionale n. 45/2019. |
ATTI
AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATA: Accesso
civico messo all’angolo. I dati dei defunti e le pratiche
edilizie restano coperti. Lo dicono due pareri del garante
privacy. Infermieri, no agli invii massivi all’Ordine.
Foia in un angolo. Il Freedom of
information act (dlgs 33/2013), la normativa sull'accesso
civico generalizzato, non consente di accedere
indiscriminatamente ai dati dei pazienti defunti e neppure
alle pratiche edilizie comunali.
A spiegarlo il garante della privacy, con due pareri gemelli
ad altrettante richieste relative ala prima ad una richiesta
di accesso ai dati di una azienda sanitaria locale e ad un
comune.
DATI DEI DEFUNTI
Il primo caso è stato quello di una istanza a una azienda
sanitaria di un accesso civico ai dati sanitari di un
paziente deceduto, e questo relativamente a un fatto di
presunta malasanità. L'istanza è stata formulata ai sensi
dell'articolo 5 del dlgs 33/2013. La documentazione
richiesta conteneva informazioni particolarmente riservate:
ricovero, sintomi, anamnesi, diagnosi, esami effettuati,
alcuni particolarmente invasivi, terapia, farmaci
somministrati, credo professato.
Nel merito il garante ha affermato che questo tipo di
informazioni non sono accessibili con il Foia (provvedimento
n. 2 del 10.01.2019).
L'accesso civico non si può usare nei casi di divieto di
accesso o divulgazione previsti dalla legge «e tra
questo, spiega l'autorità presieduta da Antonello Soro,
rientra il caso del divieto di diffusione» di dati
relativi alla salute previsto dal Codice della privacy. A
latere il garante ha ricordato in Italia le persone decedute
continuano a godere delle tutele previste dalla disciplina
in materia di protezione dei dati personali anche dopo
l'applicazione del Regolamento Ue 2016/679 (Gdpr). Nel Gdpr,
infatti, sono tutelati solo i dati delle persone fisiche
viventi, ma gli stati dell'Unione avevano la possibilità di
intervenire.
È quello che ha fatto l'Italia con il dlgs 101/2018:
pertanto, grazie a questo intervento, i diritti relativi ai
dati personali dei defunti (ed anche l'accesso) possono
essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a
tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per
ragioni familiari meritevoli di protezione. Da quanto appena
detto discende anche che ci sono altre strade per avere
accesso ai dati sanitari (sempre che ne ricorrano i
presupposti) senza scomodare il Foia, che non ha alcuna
possibilità di applicazione.
SCILA E CILA
Lo stesso è capitato in un caso di richiesta di accesso
civico generalizzato ai dati personali completi contenuti
nei titoli abilitativi edilizi Scia e Cila e cioè,
rispettivamente Segnalazioni certificate di inizio attività
e Comunicazioni inizio lavori asseverata.
Nel caso specifico il comune aveva dato copia delle pratiche
edilizie, ma solo in sintesi con dati aggregati, depurati di
quelli personali. In materia il garante ha quindi
sottolineato che la completa conoscenza delle informazioni
riportate nelle Scia e nelle Cila, può comportare
un'invasione alla vita privata, poiché si rivelerebbero data
e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, pec,
numeri di telefono fisso e cellulare, documentazione tecnica
sugli interventi. Il risultato sottolinea il garante sarebbe
stata la duplicazione delle banche dati comunali.
Il garante ha, anche in questo caso, concluso ricordando che
il no all'«accesso civico generalizzato» non
impedisce di accedere ai documenti amministrativi con altri
strumenti (ad esempio accesso documentale in base alla legge
241/1990, sussistendone i presupposti). Il garante nella sua
decisione (provvedimento
03.01.2019 n. 1) ha tenuto conto anche del fatto
che la società richiedente è una società che realizza
campagne di marketing e web marketing, nonché
la fornitura di servizi di gestione dei programmi di
fidelizzazione e affiliazione commerciale, autrice di
istanza a tappeto di accesso civico. Come dire che il
possibile utilizzo per finalità di marketing non è
perfettamente collimante con lo scopo della norma
sull'accesso civico generalizzato.
In effetti l'articolo 5 del dlgs 33/2013 considera l'accesso
civico quale strumento per il controllo dell'attività e
delle spese della pubblica amministrazione e per la
partecipazione al dibattito pubblico. Peraltro, a dimostrare
la difficile interpretazione e applicazione della normativa,
la Funzione pubblica, con la circolare 2/2017 ha
espressamente previsto come possibile motivazione
dell'accesso civico generalizzato le finalità commerciali.
INFERMIERI
Con nota del 16.01.2019 il Garante ha affermato che le
strutture sanitarie non possono trasmettere in modo massivo
i dati di tutto il loro personale infermieristico all'Ordine
professionale di riferimento.
Nel caso specifico gli ordini volevano fare controlli
incrociati e scoprire abusivi. Ma la legge non attribuisce
agli Ordini competenze per generalizzate attività di
raccolta di informazioni riferite al personale
infermieristico. Deve, invece, essere il datore di lavoro ad
accertare, all'atto dell'assunzione e nel corso del rapporto
di lavoro, che un infermiere sia dotato dei requisiti
necessari per prestare servizio e che sia iscritto
all'apposito albo professionale.
BREXIT
In caso di Hard Brexit il Regno Unito diventerà un paese
terzo dal 30.03.2019.
Lo ha precisato il Comitato europeo della protezione dei
dati (newsletter del garante della privacy 450 del 25
febbraio). Di conseguenza, il trasferimento di dati
personali dal See (Spazio economico europeo) verso il Regno
Unito dovrà basarsi su uno dei seguenti strumenti:
clausole-tipo di protezione dei dati o clausole di
protezione dei dati ad hoc, norme vincolanti d'impresa,
codici di condotta e meccanismi di certificazione e
strumenti specifici di trasferimento a disposizione delle
autorità pubbliche. In assenza di clausole-tipo di
protezione dei dati o di altre garanzie adeguate, si possono
utilizzare alcune deroghe a determinate condizioni (articolo
ItaliaOggi del 26.02.2019). |
EDILIZIA PRIVATA: Privacy:
no all’accesso civico generalizzato su pratiche SCIA e CILA.
Non è possibile accedere ai dati personali completi
contenuti nei titoli abilitativi edilizi (SCIA e CILA) sulla
base di una mera richiesta di accesso civico generalizzato.
Lo ribadisce il Garante per la protezione dei dati personali
nel parere (provvedimento
03.01.2019 n. 1) fornito a un Comune dell’Emilia
Romagna in merito alla decisione di respingere parzialmente
una richiesta di accesso civico alle Segnalazioni
Certificate di Inizio Attività (SCIA) e alle Comunicazioni
Inizio Attività Asseverata (CILA), presentata da una impresa
privata.
La richiesta di copia completa delle pratiche edilizie era
stata presentata una prima volta al Comune, che aveva però
risposto fornendo solamente una sintesi con dati aggregati,
depurati di quelli personali, al fine di non arrecare un
possibile pregiudizio alla privacy delle persone
interessate. L’impresa, supportata dal Difensore civico
regionale dell’Emilia Romagna, aveva contestato la decisione
e chiesto il riesame della pratica. Il Garante privacy aveva
invece sostenuto la correttezza della scelta
dell’amministrazione cittadina. L’impresa aveva poi
ripresentato la domanda, ma il Garante è nuovamente
intervenuto sulla vicenda, anche al fine di evitare
pericolosi precedenti che incoraggino possibili trattamenti
illeciti di dati personali.
Nel proprio parere, l’Autorità ha innanzitutto chiarito che,
diversamente da quanto indicato per altre pratiche edilizie,
come i permessi a costruire, la normativa non prevede lo
stesso regime di conoscibilità per la CILA e la SCIA, come
per quelle utilizzate nel caso di opere di manutenzione
straordinaria, di restauro o di risanamento conservativo.
Il Garante ha quindi sottolineato che la generale conoscenza
delle informazioni riportate nelle SCIA e nelle CILA,
considerando la quantità e qualità dei dati personali
contenuti -come data e luogo di nascita, codici fiscali,
residenza, e-mail, pec, numeri di telefono fisso e
cellulare, documentazione tecnica sugli interventi- avrebbe
potuto determinare un’interferenza ingiustificata e
sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti
controinteressati. Tutto ciò, in violazione anche del
principio di minimizzazione previsto dal Regolamento europeo
sulla privacy (Gdpr), con possibili ripercussioni negative
sul piano relazionale, professionale, personale e sociale.
Nel corso dell’istruttoria, il Garante ha inoltre rilevato
che l’impresa richiedente -che ha tra le sue attività quella
di conduzione di campagne di marketing e web
marketing, nonché la fornitura di servizi di gestione
dei programmi di fidelizzazione e affiliazione commerciale-
aveva presentato la stessa domanda in maniera sistematica,
per più periodi, a diversi enti locali. L’accoglimento della
richiesta di accesso civico avrebbe tra l’altro potuto
esporre al pericolo di duplicazione di banche dati di
soggetti pubblici da parte di soggetti privati, in assenza
del consenso dei soggetti interessati o degli altri
presupposti di liceità del trattamento.
L’Autorità, ha così confermato, anche alla luce della
normativa e delle stesse linee guida Anac, la correttezza
dell’operato del Comune, nel valutare l’esistenza di un
possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati
delle persone interessate -ad esempio i proprietari, gli
usufruttuari e tecnici incaricati- e fornendo di conseguenza
solo una sintesi delle pratiche richieste. Ha comunque
rimarcato che tale decisione sull’“accesso civico
generalizzato” non impedisce di accedere ai documenti
amministrativi completi a chi dimostri di avere un interesse
qualificato (commento tratto da www.garanteprivacy.it).
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PREMESSO
Con la nota in atti il Responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza del Comune di San Cesario sul
Panaro ha chiesto al Garante il parere previsto dall’art. 5,
comma 7, del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013, nell’ambito del
procedimento relativo a una richiesta di riesame di un
provvedimento di diniego di una richiesta di accesso civico.
Nello specifico, dagli atti risulta che è stata presentata
istanza di accesso civico alla «copia nel formato
detenuto da questa amministrazione (o in sub-ordine in forma
riassuntiva), contenente i dati del committente, descrizione
dell’intervento, località del cantiere e tecnico
progettista, delle Segnalazioni Certificate di Inizio
Attività (SCIA) e possibilmente anche delle Comunicazioni
Inizio Attività Asseverata (CILA) concernenti l’attività
degli interventi edili da attuarsi nel territorio comunale,
presentate nel mese di settembre 2018».
L’amministrazione ha negato l’accesso civico ai dati
personali richiesti alla luce del limite, previsto dall’art.
5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013, relativo
all’esistenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei
dati personali dei soggetti interessati, richiamando in
proposito il contenuto del parere già fornito dal Garante al
medesimo Comune su altra richiesta di accesso civico
identica, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, alla
presente (provv. n. 360 del 10/08/2017, in www.gpdp.it,
doc. web n. 6969290).
Quanto alle restanti informazioni, il Comune ha fornito al
soggetto istante i dati relativi alle SCIA e CILA presentate
all’ente nel periodo richiesto (senza comunicare dati
personali), ossia la tipologia di titolo edilizio (SCIA o
CILA), la descrizione dell’intervento (es.: manutenzione
straordinaria, installazione insegna; intervento
miglioramento sismico, nuovo accesso carraio, variante in
corso d’opera per ristrutturazione edilizia; opere interne;
variante in corso d’opera, ecc.), le informazioni relative
all’effettuazione dell’intervento nel comune o in una sua
frazione.
Il soggetto istante, non ritenendosi soddisfatto dal
riscontro ricevuto –lamentando di non aver ricevuto gli
ulteriori dati personali (nomi, cognomi e indirizzi)– ha
presentato richiesta di riesame del provvedimento di diniego
dell’accesso civico al responsabile della prevenzione della
corruzione e della trasparenza, rappresentando, a sostegno
delle proprie richieste, fra l’altro, che:
- «nel procedimento amministrativo adottato [è] stato
messo in atto un pregiudizio concreto da parte del Comune di
San Cesario sul Panaro soprattutto in riferimento ai limiti
previsti dall’art. 5-bis del riformato D.Lgs. 33/2013, nei
confronti del diritto alla protezione dei dati personali.
Tale disposizione non può essere interpretata come limite
all’esercizio del diritto di accesso, in quanto il
legislatore ha tassativamente individuato i limiti e le
eccezioni a tale diritto nell’art. 5-bis del riformato D.Lgs.
33/2013; in questa direzione, il richiamo agli orientamenti
interpretativi espressi dalle Linee Guida ANAC»;
- «In osservanza delle Linee Guida ANAC,
l’amministrazione destinataria dell’istanza deve effettuare
un bilanciamento tra il diritto di accesso alle informazioni
e il diritto alla riservatezza del soggetto cui i dati
afferiscono e, qualora l’esigenza informativa possa essere
soddisfatta anche senza implicare il trattamento di dati
personali, “il soggetto destinatario dell’istanza […]
dovrebbe in linea generale scegliere le modalità meno
pregiudizievoli per i diritti dell’interessato,
privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione dei
‘dati sensibili’ in esso presenti”»;
- «omettendo l’indirizzo completo dove vengono svolti
gli interventi edili […] viene meno la proporzionalità nella
conoscenza dei titoli edilizi, occorre quindi riconoscere un
margine di conoscibilità anche ai soggetti non interessati,
il quale deve essere bilanciato –in concreto– con
l’effettivo pregiudizio alla protezione dei dati personali.
In tal senso, come si ricava dalla stessa disciplina europea
sulla protezione dei dati (Regolamento (UE) 2016/679), la
tutela del dato personale deve essere applicata alla luce
del principio di proporzionalità nel bilanciamento con altri
diritti e valori fondamentali, tra cui rientra quello alla
trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti»;
- «occorr[e] riconoscere ai titoli edilizi un margine
di conoscibilità anche ai soggetti non interessati, alla
luce del principio della proporzionalità nel bilanciamento
con altri diritti e valori fondamentali, tra cui rientra
quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai
documenti realizzando quel controllo “diffuso” sull’attività
edilizia che il legislatore ha inteso garantire»;
- «Nella risposta del Comune di San Cesario sul Panaro
si trova invece uno sbilanciamento a favore del richiedente:
oscurando i dati (nomi, cognomi e il numero civico
dell’indirizzo) rendono di fatto l’Accesso Civico
Generalizzato senza alcun valore di legge, come si può
evincere nell’allegato dove si può constatare che
difficilmente è rintracciabile il cantiere dell’intervento
edile»;
- «[i]l Difensore Civico Regionale […] per un’analoga
richiesta di Accesso Civico Generalizzato, esprime parere
favorevole per il rilascio dei documenti senza omettere i
nominativi dei Committenti e dei Tecnici progettisti:
“...... non si profila la sussistenza di un pregiudizio
concreto all’interesse privato alla protezione dei dati
personali. Infatti, il regime di pubblicità dei titoli in
materia di edilizia è connotato da un ambito particolarmente
esteso, come è dimostrato dalla necessaria pubblicazione
nell’albo pretorio del provvedimento di rilascio del
permesso di costruire ai sensi dell’art. 20, co. 6, del
d.P.R. 380/2001. Inoltre, fino alla novella del 2016,
rientravano tra gli obblighi di pubblicazione previsti dal
decreto 33/2013 i provvedimenti finali dei procedimenti
relativi ad autorizzazioni e concessioni, ai quali viene
equiparata la segnalazione certificata di inizio attività (cfr.
orientamento ANAC n. 11 del 21.05.2014); dal particolare
regime di pubblicità di tali atti deriva la impossibilità di
qualificare come “controinteressati” dei soggetti i cui dati
si riferiscono]”».
OSSERVA
1. Il caso sottoposto al Garante
Il caso sottoposto all’attenzione del Garante è identico,
sotto il profilo soggettivo (stesso soggetto istante) e
oggettivo (stessa tipologia di dati e documenti richiesti ma
riferiti a mesi diversi), a quello per il quale è stato reso
il parere contenuto nel citato provvedimento n. 360/2017,
peraltro richiesto proprio dal medesimo Comune di San
Cesario sul Panaro (confermato dai successivi provvedimenti
n. 361 del 18/08/2017, in www.gpdp.it,
doc. web n. 6969198; n. 364 dell’01/09/2017, ivi,
doc. web n. 6979959; n. 359 del 22/05/2018, ivi,
doc. web n. 9001943; n. 426 del 19/07/2018, ivi,
doc. web n. 9027184; n. 453 del 13/09/2018, ivi,
doc. web n. 9050702; n. 517 del 19/12/2018 in corso di
pubblicazione).
Ciò nonostante il predetto Comune sottopone nuovamente al
Garante la questione, alla luce dei due pareri resi sulla
stessa questione dal Difensore civico regionale dell’Emilia
Romagna (di cui uno successivo al provv. di questa Autorità
n. 360/2017) e dell’insistenza nella richiesta del soggetto
istante di ottenere alla luce dei predetti pareri –tramite
l’istituto dell’accesso civico generalizzato di cui all’art.
5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013– le informazioni e i dati
personali, contenuti in tutte le Segnalazioni Certificate di
Inizio Attività (SCIA) e le Comunicazioni Inizio Attività
Asseverata (CILA) presentate al Comune nel mese di settembre
2018.
In tale quadro, questa Autorità ritiene utile ribadire
ancora una volta la propria posizione, con le precisazioni
di cui si dirà, in materia di accesso civico ai dati
personali contenuti nelle SCIA e nelle CILA, confermando gli
orientamenti già espressi nei citati pareri (in part. provv.
n. 360/2017), le cui motivazioni, per esigenze di chiarezza
espositiva, vengono riportate nuovamente in questa sede,
dando conto –a ulteriore sostegno delle osservazioni già
formulate– anche dell’intervenuta applicazione, dal
25.05.2018, del Regolamento europeo sulla protezione dei
dati personali n. 679 del 2016, nonché delle modifiche
apportate al Codice in materia di protezione dei dati
personali dal d.lgs. n. 101 del 10/08/2018.
Ciò allo scopo di evitare orientamenti contrastanti e
interpretazioni della disciplina vigente in materia di
trasparenza e accesso civico non conformi alla disciplina in
materia di protezione dei dati personali, che rischiano di
creare pericolosi precedenti e di incoraggiare possibili
trattamenti illeciti di dati personali, con le conseguenze
ora previste dall’art. 83 del Regolamento europeo (inflizione
di «sanzioni amministrative pecuniari») e dall’ art.
2-decies, comma 1, del Codice («inutilizzabilità dei dati
[...] personali trattati in violazione della disciplina
rilevante in materia di trattamento dei dati personali»),
oltre che dall’art. 82 del Regolamento, quanto al diritto al
risarcimento del danno.
2. I dati personali contenuti nelle SCIA e nella CILA
I casi in cui è necessario presentare la SCIA o la CILA
interessano un insieme molto variegato di interventi edilizi
–riguardanti, in generale, attività di manutenzione
straordinaria, di restauro o di risanamento conservativo
(sia «leggero» che «pesante»); di
ristrutturazione edilizia («semplice», «leggera»
o «pesante»); «di nuova costruzione in esecuzione
di strumento urbanistico attuativo»; di «eliminazione
delle barriere architettoniche (pesanti)»; ovvero
specifiche ipotesi di varianti a permessi di costruire
previste dalla legge, etc.– disciplinati a livello statale,
fra l’altro, dal citato D.P.R. n. 380/2001 (recante il «Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia»), nonché dal più recente d.lgs.
25/11/2016, n. 222 (recante «Individuazione di
procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione
certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio-assenso e
comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi
applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124»).
A titolo esemplificativo, si spazia da interventi
riguardanti la semplice apertura o chiusura di un vano
finestra, alla costruzione di una recinzione, al
frazionamento o accorpamento di unità abitative, fino a
operazioni più importanti come il rifacimento di tetti o
solai, oppure o la ristrutturazione generale di un intero
fabbricato.
Le informazioni e i dati, anche di carattere personale, da
presentare all’ente competente e contenuti nei predetti
titoli abilitativi edilizi (CILA e SCIA) sono molteplici e
di diverso genere e natura. Il riferimento è, ad esempio, a
nominativi, data e luogo di nascita, codici fiscali,
residenza, e-mail, p.e.c., numeri di telefono fisso e
cellulare riferiti al/i titolare/i dell’intervento in
qualità di proprietario, comproprietario, usufruttuario,
amministratore di condominio o dei loro rappresentanti; a
informazioni sulla tipologia di intervento; alla data di
inizio e di fine dello stesso; all’ubicazione, dati
catastali e destinazione d’uso dell’immobile oggetto
dell’intervento edilizio; al carattere oneroso o gratuito
dell’intervento, con allegata eventuale ricevuta dei
versamenti effettuati; alla “entità presunta del cantiere”;
ai dati dei tecnici incaricati (direttori dei lavori e altri
tecnici) e dell’impresa esecutrice dei lavori (riportati
nell’allegato «soggetti coinvolti»); nonché, fra
l’altro, al prospetto di calcolo preventivo del contributo
di costruzione e agli elaborati grafici dello stato di fatto
e progetto (come allegati).
È possibile avere un quadro generale del volume e della
complessità dei predetti dati e informazioni consultando i
moduli, molto articolati, per la presentazione della SCIA e
della CILA riportati nell’allegato 2, intitolato «Modulistica
edilizia», dell’Accordo del 04/05/2017 in sede di
Conferenza Unificata «tra il Governo, le Regioni e gli
Enti locali concernente l’adozione di moduli unificati e
standardizzati per la presentazione delle segnalazioni,
comunicazioni e istanze. Accordo, ai sensi dell’articolo 9,
comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28/08/1997, n.
281» (Repertorio atti n. 46/CU, in G.U. n. 128 del
05/06/2017 - Suppl. Ordinario n. 26).
3. Inesistenza di un regime di pubblicità dei dati
personali contenuti nelle SCIA e nelle CILA
Occorre preliminarmente ribadire che non esiste un obbligo
di pubblicazione da parte delle pp.aa. delle Segnalazioni
certificate di inizio di attività-SCIA o delle Comunicazioni
di inizio lavori asseverata-CILA presentate all’ente, né in
forma integrale né in forma riassuntiva. Per i dati
personali ivi contenuti il legislatore non ha infatti
previsto alcun regime di pubblicità.
Sotto tale profilo, non è quindi possibile concordare con
quanto affermato nel parere reso dal Difensore civico
regionale dell’Emilia Romagna del 26/04/2017, citato anche
dal soggetto istante, laddove si sostiene in generale che «il
regime di pubblicità dei titoli in materia di edilizia è
connotato da un ambito particolarmente esteso, come è
dimostrato dalla necessaria pubblicazione nell’albo pretorio
del provvedimento di rilascio del permesso di costruire ai
sensi dell’art. 20, co. 6, del d.P.R. 380/2001» e che «fino
alla novella del 2016, rientravano tra gli obblighi di
pubblicazione previsti dal decreto 33/2013 i provvedimenti
finali dei procedimenti relativi ad autorizzazioni e
concessioni, ai quali viene equiparata la segnalazione
certificata di inizio attività (cfr. orientamento ANAC n. 11
del 21.05.2014)».
Ciò in quanto la disposizione contenuta nell’art. 20, comma
6, del d.P.R. n. 380/2001 è una norma di settore attinente
al solo «procedimento per il rilascio del permesso di
costruire», che rappresenta un titolo edilizio diverso
dalla CILA e dalla SCIA. La predetta disposizione, che non è
ripetuta (né richiamata) per i procedimenti relativi agli
altri titoli edilizi (CILA o SCIA), inoltre, non prevede
neanche la pubblicazione del provvedimento sull’albo
pretorio nella sua integrità, ma della mera «notizia»
dell’«avvenuto rilascio del permesso di costruire» (i
cui estremi sono peraltro «indicati nel cartello esposto
presso il cantiere, secondo le modalità stabilite dal
regolamento edilizio»). Alla CILA e alla SCIA
–disciplinate nel medesimo d.P.R. n. 380/2001 (testo unico
in materia edilizia)– non è di conseguenza in nessun modo
applicabile il limitato regime di pubblicità previsto per la
“notizia” dell’avvenuto rilascio del permesso di
costruire.
Quanto all’abrogato art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013,
lo stesso non prevedeva l’obbligo di pubblicazione on-line
dei “provvedimenti integrali”, con tutti i dati
personali ivi contenuti, relativi ai titoli edilizi dei
procedimenti di “autorizzazione o concessione”, ma
solo di una «scheda sintetica» degli elementi
previsti dalla disposizione, ossia «il contenuto,
l’oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi
relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo
relativo al procedimento». Il richiamo al ricordato
articolo, quindi, non è idoneo ad affermare l’esistenza di
un «regime di pubblicità […] connotato da un ambito
particolarmente esteso», come invece rappresentato dal
difensore civico, di tutti i titoli abilitativi in materia
di edilizia.
Alla luce di tali considerazioni, come già precedentemente
evidenziato nel parere n. 360/2017, non è quindi possibile
condividere le conseguenze a cui arriva il Difensore civico
regionale, laddove sostiene che «con riferimento
all’oggetto dell’istanza di accesso in questione [i.e.
accesso civico a dati personali contenuti nelle SCIA e nelle
CILA], non si profila la sussistenza di un pregiudizio
concreto all’interesse privato alla protezione dei dati
personali» e che «dal particolare regime di
pubblicità di tali atti deriva la impossibilità di
qualificare come “controinteressati” [i] soggetti i cui dati
personali sono contenuti negli atti oggetto dell’istanza di
accesso», per cui sarebbe «facoltà
dell’amministrazione comunale trasmettere al richiedente […]
i documenti relativi alle Segnalazioni Certificate di Inizio
Attività (SCIA) ed alle Comunicazioni di Inizio Attività
Asseverata (CILA)».
La predetta interpretazione è in contrasto con la normativa
in materia di accesso civico e di protezione dei dati
personali, alla luce delle quali l’amministrazione cui è
indirizzata la richiesta di accesso civico è invece “tenuta”
a coinvolgere i soggetti controinteressati, individuati ai
sensi dell’art. 5-bis, comma 2 (art. 5, comma 5, del d.lgs.
n. 33/2013) e a rifiutare l’ostensione dei dati, fra
l’altro, «se il diniego è necessario per evitare un
pregiudizio concreto alla tutela [della] protezione dei dati
personali, in conformità con la disciplina legislativa in
materia» [art. 5-bis, comma 2, lett. a)], intendendo per
“dato personale” «qualsiasi informazione
riguardante una persona fisica identificata o identificabile
(«interessato»)» (art. 4, par. 1, n. 1, del Regolamento
europeo).
4. Sull’effettuazione del bilanciamento fra trasparenza
amministrativa e diritto alla protezione dei dati personali
Analoghe considerazioni possono essere ripetute in relazione
a quanto riportato nel secondo parere, reso dal Difensore
civico regionale dell’Emilia-Romagna, successivamente al
provvedimento di questa Autorità n. 360/2017.
In particolare, il Difensore civico, alla luce della
sentenza del TAR Marche, n. 923/2014, ha rappresentato che «anche
rispetto a tali titoli edilizi [SCIA e CILA] occorre quindi
riconoscere un margine di conoscibilità anche ai soggetti
non interessati, il quale deve essere bilanciato –in
concreto– con l’effettivo pregiudizio alla protezione dei
dati personali. In tal senso, come si ricava dalla stessa
disciplina europea sulla protezione dei dati (Regolamento
(UE) 2016/679), la tutela del dato personale deve essere
applicata alla luce del principio di proporzionalità nel
bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra
cui vi rientra quello alla trasparenza amministrativa e
all’accesso ai documenti. Viceversa, nel parere del Garante
[n. 360/2017], non si trova alcun riferimento a tale
bilanciamento (ovvero alla possibilità di risoluzione del
conflitto attraverso l’oscuramento dei dati personali), né
tanto meno si indaga sulla natura dei dati contenuti nella
SCIA (dati comuni, sensibili, ecc.). In conclusione, il
pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati
personali, posto fra i motivi alla base del diniego, non
viene concretamente specificato né dal Comune né dal
Garante, non sussistendo, nelle relative motivazioni, alcun
riferimento alle concrete conseguenze negative e pregiudizi
concreti che potrebbero derivare all’interessato dalla
conoscibilità del dato da parte di chiunque».
Le sopra menzionate osservazioni sono riprese anche dal
soggetto istante nella richiesta di riesame, laddove si
sostiene, a sostegno del diritto a ottenere l’accesso civico
generalizzato ai dati personali, che «occorr[e]
riconoscere ai titoli edilizi un margine di conoscibilità
anche ai soggetti non interessati, alla luce del principio
della proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e
valori fondamentali, tra cui rientra quello alla trasparenza
amministrativa e all’accesso ai documenti realizzando quel
controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il
legislatore ha inteso garantire» e che «Nella
risposta del Comune di San Cesario sul Panaro si trova
invece un sbilanciamento a favore del richiedente: oscurando
i dati (nomi, cognomi e il numero civico dell’indirizzo)
rendono di fatto l’Accesso Civico Generalizzato senza alcun
valore di legge, come si può evincere nell’allegato dove si
può constatare che difficilmente è rintracciabile il
cantiere dell’intervento edile».
Al riguardo, occorre in primo luogo evidenziare la non
pertinenza del richiamo alla sentenza del TAR, Marche-Ancona
n. 923/2014, effettuata dal Difensore civico a sostegno
delle proprie argomentazioni, in quanto quest’ultima aveva a
oggetto una richiesta di accesso al “permesso di
costruire” (che comunque è un titolo edilizio diverso
rispetto alla CILA e alla SCIA) presentata ai sensi della
diversa legge n. 241 del 07/08/1990 sull’accesso ai
documenti amministrativi –e non tramite l’istituto
dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma
2, d.lgs. n. 33/2013– da un soggetto che, nel caso di
specie, aveva comunque dimostrato di possedere l’interesse
qualificato (ossia diretto, concreto e attuale) previsto
dalla legge. È in tale contesto, quindi, che va letto
l’inciso, contenuto nella sentenza, nel quale il giudice
sostiene il diritto di «visionare gli atti del
procedimento» relativo al “permesso di costruire”
da parte di chiunque abbia «interesse», che non può
trovare un’applicazione estensiva in altri istituti (accesso
civico) e ad altri titoli edilizi (SCIA e CILA).
In relazione, invece, alla tesi, avanzata sia dal difensore
civico che dal soggetto istante, basata evidentemente su una
errata rappresentazione dei fatti, secondo la quale non
sarebbe stato effettuato il bilanciamento fra gli interessi
sottostanti, poiché «la tutela del dato personale deve
essere applicata alla luce del principio di proporzionalità
nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali,
tra cui vi rientra quello alla trasparenza amministrativa e
all’accesso ai documenti» e che pertanto «Nella
risposta del Comune di San Cesario sul Panaro si trov[erebbe]
invece uno sbilanciamento a favore del richiedente:
oscurando i dati (nomi, cognomi e il numero civico
dell’indirizzo) rend[endo] di fatto l’Accesso Civico
Generalizzato senza alcun valore di legge», si evidenzia
quanto segue.
La normativa statale in materia di trasparenza e accesso
civico è chiara nello stabilire i presupposti (soggettivi e
oggettivi) per l’esercizio del diritto di accesso civico
–effettuando il bilanciamento fra gli interessi e valori
fondamentali sopra descritti (trasparenza amministrativa e
diritto alla protezione dei dati personali)– laddove prevede
che «chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai
documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni,
ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai
sensi del presente decreto», a meno che ciò non comporti
un pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse alla
protezione dei dati personali, in conformità con la
disciplina legislativa in materia (artt. 5, comma 2; 5-bis,
comma 2, lett. a, del d.lgs. n. 33/2013).
Questo significa che, laddove una pubblica amministrazione
riceva una richiesta di accesso civico a dati personali (o a
documenti che ne contengano), e gli stessi non siano oggetto
di pubblicazione obbligatoria, la stessa è tenuta in primo
luogo a verificare se dall’ostensione dei predetti dati
possa derivare un pregiudizio concreto alla protezione dei
dati personali del/i soggetto/i a cui gli stessi si
riferiscono, e in tal caso a rifiutarne l’accesso civico (cfr.
a tal proposito anche il par. 8.1. delle Linee guida dell’ANAC).
Per effettuare la valutazione descritta, l’amministrazione
cui è indirizzata la richiesta di accesso civico è tenuta a
coinvolgere i soggetti controinteressati (art. 5, comma 5,
del d.lgs. n. 33/2013), anche al fine di consentigli di
presentare eventuale motivata opposizione. Tali motivazioni
costituiscono «un indice della sussistenza di un
pregiudizio concreto, la cui valutazione però spetta
all’ente e va condotta anche in caso di silenzio del
controinteressato», tenendo, altresì, in considerazione
i criteri contenuti nelle richiamate Linee guida dell’ANAC
in materia di accesso civico (in particolare par. 8.1
intitolato «I limiti derivanti dalla protezione dei dati
personali»).
Per tale motivo, nello specifico caso sottoposto
all’attenzione di questa Autorità, non è condivisibile la
tesi per la quale ci sarebbe stato uno «sbilanciamento»
a danno del soggetto istante nel provvedimento di diniego
del Comune, solo perché –oscurando i dati personali (nomi,
cognomi e indirizzo) dei controinteressati– «la tutela
del dato personale» non sarebbe stata «applicata alla
luce del principio di proporzionalità nel bilanciamento con
altri diritti e valori fondamentali, tra cui vi rientra
quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai
documenti».
Come già evidenziato in altre sedi, non è possibile
accordare una generale prevalenza della trasparenza o del
diritto di accesso civico “generalizzato” a scapito
di altri diritti ugualmente riconosciuti dall’ordinamento
(quali quello alla riservatezza e alla protezione dei dati
personali), in quanto, procedendo in tal modo, si
vanificherebbe proprio il necessario bilanciamento degli
interessi in gioco che richiede un approccio equilibrato
nella ponderazione dei diversi diritti coinvolti, tale da
evitare che i diritti fondamentali di eventuali
controinteressati possano essere invece gravemente
pregiudicati dalla messa a disposizione a terzi –non
adeguatamente ponderata– di dati, informazioni e documenti
che li riguardano (cfr. provv. n. 521/2016, cit.).
In caso contrario, vi sarebbe infatti il rischio di generare
comportamenti irragionevoli in contrasto, per quanto attiene
alla tutela della riservatezza e del diritto alla protezione
dei dati personali, con la disciplina internazionale ed
europea in materia (art. 8 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà
fondamentali; artt. 7 e 8 della Carta dei diritti
fondamentali dell´Unione europea, Dir. 95/46/CE, Reg. (UE)
27/4/2016 n. 2016/679).
5. Sulla valutazione nel caso di specie circa l’esistenza
di un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei
dati personali
Quanto alla valutazione, nel caso in esame, circa
l’esistenza di un pregiudizio concreto alla tutela della
protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati,
derivante dal riconoscimento di un accesso civico
generalizzato ai propri dati e informazioni contenuti nelle
SCIA e nelle CILA, si ricorda ancora una volta che deve
essere tenuta in considerazione la circostanza per la quale
–a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai
sensi della l. n. 241 del 07/08/1990– i dati e i documenti
che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico
divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli,
di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli
ai sensi dell’articolo 7», sebbene il loro ulteriore
trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei
limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione
dei dati personali (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013).
Di conseguenza, è anche alla luce di tale amplificato regime
di pubblicità dell’accesso civico che va valutata
l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla
protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati
(che peraltro non risultano essere stati coinvolti nel
presente procedimento di accesso civico impedendogli di
presentare un’eventuale opposizione), in base al quale
decidere se rifiutare o meno l’accesso civico alle
informazioni e ai documenti richiesti.
La valutazione dell’ostensione di dati personali nell’ambito
del procedimento di accesso civico, deve inoltre essere
effettata anche nel rispetto dei principi indicati dall’art.
5 del Regolamento europeo, fra cui quello di «minimizzazione
dei dati», secondo il quale i dati personali devono
essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario
rispetto alle finalità per le quali sono trattati (art. 5,
par. 1, lett. c), in modo che non si realizzi
un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti
e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati (cfr.
anche art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; art. 8
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e
della giurisprudenza europea in materia).
In tale contesto, pertanto si ritiene che, ai sensi della
normativa vigente e delle indicazioni contenute nelle Linee
guida dell’ANAC, conformemente ai precedenti orientamenti di
questa Autorità, il Comune, abbia correttamente respinto
l’istanza di accesso civico ai dati personali richiesti. Ciò
in quanto, la relativa ostensione, unita al particolare
regime di pubblicità prima richiamato dei dati oggetto di
accesso civico, può effettivamente arrecare ai soggetti
controinteressati, a seconda delle ipotesi e del contesto in
cui le informazioni fornite possono essere utilizzate da
terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della
protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis,
comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013.
Va, infatti, evidenziato che la generale conoscenza dei dati
e delle informazioni personali contenute nelle SCIA e nelle
CILA, considerando la quantità e qualità dei dati personali
coinvolti (cfr. supra par. 2), può determinare
un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti
e libertà dei soggetti controinteressati –in violazione del
ricordato principio di minimizzazione dei dati (art. 5, par.
1, lett. c, del Regolamento europeo)– con possibili
ripercussioni negative sul piano relazionale, professionale,
personale e sociale.
Ciò anche tenendo conto delle ragionevoli aspettative di
confidenzialità dei soggetti controinteressati in relazione
al trattamento dei propri dati personali al momento in cui
questi sono stati raccolti dall’amministrazione, nonché
della non prevedibilità, al momento della raccolta dei dati,
delle conseguenze derivanti dalla eventuale conoscibilità da
parte di chiunque dei dati richiesti tramite l’accesso
civico (cfr. par. 8.1 delle Linee guida dell’ANAC in materia
di accesso civico, cit.).
Questo anche considerando la circostanza, non dirimente ma
comunque sintomatica (e non oggetto di contestazione), che
nel caso esaminato, il richiedente l’accesso è comunque una
impresa privata, la XX, che, dall’istruttoria effettuata dal
Comune e dai precedenti esaminati dal Garante, risulta avere
effettuato con carattere sistematico analoghe richieste di
accesso civico a diversi enti locali e ha tra le sue
attività «prevalente» e «secondaria»,
rispettivamente, la «Gestione database, attività delle
banche dati» e lo «Studio e realizzazione di spazi
pubblicitari (banner) da pubblicizzare sui propri siti web,
per informare, motivare e servire il mercato. Attività di
conduzione di campagne di marketing, social media e web
marketing. Servizi di gestione dei programmi di
fidelizzazione e affiliazione commerciale».
L’insieme delle considerazioni sopra esposte è, pertanto,
idonea a configurare, l’esposizione dei soggetti
controinteressati a un pregiudizio concreto, ed estremamente
probabile, alla tutela della protezione dei propri dati
personali, in conformità con la disciplina vigente (cfr.
provv. n. 360/2017, cit.). Ciò anche considerando la
sistematicità delle richieste di accesso civico effettuate
da parte del soggetto istante alle SCIA e alle CILA di
diversi enti locali e il pericolo di duplicazione di banche
dati di soggetti pubblici da parte di soggetti privati in
assenza del consenso dei soggetti interessati o degli altri
presupposti di liceità del trattamento previsti dall’art. 6,
par. 1, del Regolamento europeo; con il possibile rischio di
“usi impropri” e/o di “riutilizzo” e
trattamento ulteriore dei dati personali per finalità non
compatibili con quelle per le quali i dati personali sono
stati inizialmente raccolti, in contrasto con quanto
previsto dall’art. 6, comma 4, del Regolamento europeo.
Come già osservato in passato, inoltre, si ribadisce che le
informazioni di dettaglio contenute nelle SCIA e nelle CILA
impediscono di poter accordare anche un eventuale accesso
civico ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, del d.lgs. n.
33/2013; oscurando, ad esempio, i dati identificativi (nome
e cognome) del committente o del tecnico progettista. Tale
accorgimento, infatti, non elimina la possibilità che i
soggetti interessati siano identificati indirettamente
tramite gli ulteriori dati di contesto contenuti nella
documentazione richiesta (cfr. quanto riportato nel par. 4
del parere n. 360/2017).
A tale riguardo, occorre infatti ricordare che –ai sensi del
Regolamento europeo– «si considera identificabile la
persona fisica che può essere identificata, direttamente o
indirettamente, con particolare riferimento a un
identificativo come il nome, un numero di identificazione,
dati relativi all’ubicazione, un identificativo on-line o a
uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica,
fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o
sociale» (art. 4, par. 1, n. 1).
Appare invece conforme alla normativa in materia di
protezione dei dati personali la soluzione adottata dal
Comune di San Cesario sul Panaro, che –allo scopo di
soddisfare comunque le esigenze informative alla base
dell’accesso civico e di «favorire forme diffuse di
controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e
sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la
partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2,
del d. lgs. n. 33/2013)– ha fornito i dati relativi alle
SCIA e CILA, senza comunicare “dati personali”, e
precisamente: la tipologia di titolo edilizio (SCIA o CILA),
una descrizione dell’intervento (es.: manutenzione
straordinaria, installazione insegna; intervento
miglioramento sismico, nuovo accesso carraio, variante in
corso d’opera per ristrutturazione edilizia; opere interne;
variante in corso d’opera, ecc.), le informazioni relative
all’effettuazione dell’intervento nel comune o in una sua
frazione.
6. Sulla possibilità per coloro che dimostrino un
interesse qualificato di ottenere informazioni e dati
personali più dettagliati ai sensi della legge n. 241/1990
Fermo restando quanto evidenziato nei precedenti paragrafi,
resta, in ogni caso, salva la possibilità per il soggetto
istante di accedere eventualmente alla documentazione e ai
dati personali richiesti, laddove, invece, formulando una
diversa domanda di accesso agli atti amministrativi ai sensi
degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, dimostri di
possedere «un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e
collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».
---------------
Al riguardo si legga anche:
●
Garante Privacy: no all’accesso civico generalizzato su
pratiche SCIA e CILA. Non è possibile accedere ai dati
personali completi contenuti nei titoli abilitativi edilizi
sulla base di una mera richiesta di accesso civico
generalizzato (26.02.2019 - link a
www.casaeclima.com). |
EDILIZIA PRIVATA:
Previa comunicazione possono essere eseguiti, senza alcun
titolo, sia gli interventi di manutenzione straordinaria di
cui all'art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 06.06.2001 n. 380,
ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di
pareti interne, sempre che non riguardino le parti
strutturali dell'edificio, sia le modifiche interne di
carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati
adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non riguardino le
parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione
d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa.
Sicché, “È illegittimo l'ordine di demolizione di opere
edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di
interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al
regime della comunicazione di inizio lavori (c.i.l.) di cui
all'art. 6, comma 2, nonché 6-bis (c.i.l.a.) d.P.R. n.
380/2001, quando si sostanziano nella diversa distribuzione
interna dell’attività commerciale senza interessamento delle
parti strutturali dell'edificio, trattandosi sostanzialmente
di operazioni di manutenzione straordinaria”.
---------------
Il gravame è fondato in parte, nei sensi e limiti, di
seguito specificati.
Ripercorrendo le censure, espresse in ricorso, sub I),
avverso la contestata ordinanza di demolizione, e sopra
dettagliatamente riferite, osserva il Collegio come sia, in
parte, condivisibile la ricostruzione, in esse proposta, del
regime edilizio delle opere abusive riscontrare, sanzionate
con la più grave misura demolitoria, ex art. 31 d. P. R.
380/2001.
In particolare, s’osserva: a) relativamente alla porzione di
capannone, adibita ad officina meccanica, e segnatamente
alla: a.1) “struttura bipiano in blocchi di laterizio,
autoportanti per il piano terra ed in gas beton per il primo
piano”, realizzata all’interno del capannone e destinata
ad uffici e deposito, collegati tramite una scala in ferro,
va condivisa la riconduzione, della stessa, alla previsione
di cui all’art. 6, comma 2, lett. e-bis), del d. P. R.
380/2001, trattandosi di “modifiche interne di carattere
edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad
esercizio d’impresa sempre che non riguardino le parti
strutturali (...)”, per le quali non era richiesto alcun
titolo edilizio, risultando sufficiente una mera
comunicazione.
In giurisprudenza, cfr. la massima seguente: “Previa
comunicazione possono essere eseguiti, senza alcun titolo,
sia gli interventi di manutenzione straordinaria di cui
all'art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ivi
compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di
pareti interne, sempre che non riguardino le parti
strutturali dell'edificio, sia le modifiche interne di
carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati
adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non riguardino le
parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione
d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa” (TAR
Abruzzo–Pescara, Sez. I, 20/02/2017, n. 71).
Si tenga presente, altresì, la recente massima della
Sezione: “È illegittimo l'ordine di demolizione di opere
edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di
interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al
regime della comunicazione di inizio lavori (c.i.l.) di cui
all'art. 6, comma 2, nonché 6-bis (c.i.l.a.) d.P.R. n.
380/2001, quando si sostanziano nella diversa distribuzione
interna dell’attività commerciale senza interessamento delle
parti strutturali dell'edificio, trattandosi sostanzialmente
di operazioni di manutenzione straordinaria” (TAR
Campania–Salerno, Sez. II, 06/07/2018, n. 1042) (TAR
Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 02.01.2019 n. 1 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2018 |
|
EDILIZIA PRIVATA:
Poteri dell’Amministrazione su c.i.l.a. presentata per
lavori di manutenzione straordinaria.
---------------
Edilizia - C.i.l.a. – Valutazione di ammissibilità -
Esclusione - Limite.
La c.i.l.a. relativa a lavori di
manutenzione straordinaria, inoltrata dal privato alla
Pubblica amministrazione, non può essere oggetto di una
valutazione in termini di ammissibilità o meno
dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale ma,
al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di
controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a.
alle prescrizioni vigenti in materia (1).
---------------
(1) Ha ricordato il Tar che la c.i.l.a. è ritenuta atto
avente natura privatistica, come tale non suscettibile di
autonoma impugnazione innanzi al g.a. (Tar
Catania, sez. I, 16.07.2018, n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il
Consiglio di Stato, nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784,
rileva come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo
è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di
quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico,
da espletare sulla base di procedimenti formali e di
tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta
dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che,
effettivamente, le opere progettate importino un impatto
modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si
trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente
sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere
repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela
(con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, peraltro, giova osservare come la p.a.
in materia edilizia mantenga fermo, sulla scorta del regime
giuridico di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, un
potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente
contemplato dallo stesso art. 6-bis, d.P.R. n. 380 del 2001
Ne deriva che il diniego della c.i.l.a. è nullo ai sensi
dell’art. 21-septies, l. n. 241 del 1990, poiché espressivo
di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis, d.P.R. n. 380
del 2001, salva e impregiudicata l’attività di vigilanza
contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà
repressiva dell’Ente territoriale (TAR Calabria-Catanzaro,
Sez. II,
sentenza 29.11.2018 n. 2052 - commento tratto da
e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
6. Il ricorso sottoposto al vaglio del Collegio è
articolato su un duplice petitum, il primo dei
quali ha ad oggetto la richiesta di annullamento o nullità
del diniego di c.i.l.a., mentre il secondo è
finalizzato a conseguire una pronuncia di accertamento.
7. Ciò chiarito, è fondata la domanda con cui la ricorrente
denuncia la nullità dell’avversato rigetto, in quanto
espressione di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis
D.P.R. n. 380/2001.
Occorre premettere che la c.i.l.a. è stata introdotta
dall'art. 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 222/2016. Sulla
novella si sono appuntante le riflessioni del Consiglio di
Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784, in cui essa è
qualificata come “un istituto intermedio tra l’attività
edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del
secondo, nel genus della liberalizzazione delle
attività private.
In particolare, la c.i.l.a. ha carattere residuale, poiché
applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli
elencati agli artt. 6, 10 e 22 D.P.R. n. 380/2001 e
riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere
subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie
sottoposte a s.c.i.a.
In base, poi, alle prime pronunce giurisprudenziali,
la c.i.l.a. è ritenuta atto avente natura
privatistica, come tale non suscettibile di autonoma
impugnazione innanzi al g.a.
(TAR Catania, Sez. I, 16.07.2018, n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di
Stato, nel menzionato parere, rileva inoltre come “l’attività
assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di
s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta
a un controllo sistematico, da espletare sulla base di
procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve
essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché
essa possa verificare che, effettivamente, le opere
progettate importino un impatto modesto sul territorio”,
conseguendo a ciò che “ci si trova… di
fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio
(in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e
conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, peraltro, giova osservare come la p.a.
in materia edilizia mantenga fermo, sulla scorta del regime
giuridico di cui all’art. 27, D.P.R. n. 380/2001, un potere
di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato
dallo stesso art. 6-bis, D.P.R. n. 380/2001 (Consiglio di
Stato, Commissione speciale, cit.).
In ragione di quanto evidenziato, quindi,
la c.i.l.a. inoltrata dal privato alla p.a. non può essere
oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o
meno dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale
ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di
controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a.
alle prescrizioni vigenti in materia.
Ne deriva che l’avversato provvedimento di
diniego della c.i.l.a., adottato dalla resistente
amministrazione, è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, L.
n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato
nell’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001, salva e impregiudicata
l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della
correlata potestà repressiva dell’Ente territoriale.
Sul punto, occorre inoltre osservare come il Collegio sia
consapevole che, ad avviso di altro orientamento
giurisprudenziale, eventuali provvedimenti “… dell’ente
in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con
CILA non hanno… carattere provvedimentale ma meramente
informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere
legislativamente tipizzato” (TAR Toscana, Sez. III, n.
20.09.2016, n. 1625). La qualificazione del diniego di
c.i.l.a. in termini di atto meramente informativo
postulerebbe quale conseguenza la declaratoria di
inammissibilità del ricorso per assenza di lesività
dell’atto impugnato, soluzione che, ad avviso dell’adìto Tar,
non è condivisibile.
Invero, il diniego di c.i.l.a. -sebbene provvedimento nullo
secondo quanto chiarito- incide comunque nella dinamica del
rapporto giuridico amministrativo tra privato e p.a.
Pertanto, la declaratoria di nullità dello stesso impedisce
-diversamente dalla qualificazione dell’atto quale mera
informazione e conseguente inammissibilità del gravame- che
il descritto rapporto giuridico amministrativo possa
mantenere una zona grigia di ambiguità tra privato e p.a..
7. Va di contro rigettata la domanda tesa a conseguire nella
fattispecie una pronuncia di accertamento della regolarità
del fabbricato e delle conseguenti facoltà esercitabili
dalla ricorrente, involgendo la verifica della regolarità
dell’immobile valutazioni di esclusiva spettanza
dell’amministrazione comunale, rispetto alle quali una
sentenza di accertamento implicherebbe uno sconfinamento
della potestà giurisdizionale nella sfera riservata alla p.a.,
al di fuori delle tassative ipotesi di giurisdizione di
merito previste dall’art. 134 c.p.a.. |
EDILIZIA PRIVATA:
●
La
diversa distribuzione degli ambienti interni mediante
eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non
interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce
attività di manutenzione straordinaria soggetta al
semplice regime della comunicazione di inizio lavori,
originariamente in forza dell'art. 6, comma 2, ed ora
dell'art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001, che disciplina gli
interventi subordinati a c.i.l.a.
In tali ipotesi, pertanto, l'omessa comunicazione non può
giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che
presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera
senza il prescritto titolo abilitativo.
Quando invece questo stesso intervento interessi parti
strutturali del fabbricato, ai sensi dell'art. 22, comma 1,
lett. a), del d.p.r. n. 380/2001, la disciplina applicabile
è quella della segnalazione certificata di inizio attività,
la cui mancanza comporta, parimenti, l'irrogazione della
sola sanzione pecuniaria;
●
Sono pienamente
riconducibili alla tipologia di opere proprie della
manutenzione straordinaria, quelle opere che senza
modificare la destinazione d'uso già in corso e senza
intaccare la struttura portante dell'edificio, abbiano
comportato semplicemente una parziale differente
distribuzione degli spazi interni relativi ai singoli locali
in vista di una loro parziale rinnovazione anche di tipo
tecnologico.
---------------
Nella fattispecie, considerata la natura degli interventi
dei quali con il provvedimento impugnato se ne contesta la
realizzazione, appare quanto mai evidente che non era
applicabile l’applicabile la normativa di cui all’art. 31
del d.P.R. 380/2001 con il connesso apparato sanzionatorio.
L’impostazione privilegiata dal Collegio trova il conforto
della giurisprudenza, in proposito rilevandosi che:
●
<<La diversa
distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e
spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti
strutturali dell'edificio, costituisce attività di
manutenzione straordinaria soggetta al semplice regime
della comunicazione di inizio lavori, originariamente in
forza dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del
d.p.r. n. 380/2001, che disciplina gli interventi
subordinati a c.i.l.a. In tali ipotesi, pertanto, l'omessa
comunicazione non può giustificare l'irrogazione della
sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della
realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo
abilitativo. Quando invece questo stesso intervento
interessi parti strutturali del fabbricato, ai sensi
dell'art. 22, comma 1, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001, la
disciplina applicabile è quella della segnalazione
certificata di inizio attività, la cui mancanza comporta,
parimenti, l'irrogazione della sola sanzione pecuniaria>>
TAR Napoli, (Campania), sez. II, 22/08/2017, n. 4098),
ovvero, ancora:
●
<<Sono pienamente
riconducibili alla tipologia di opere proprie della
manutenzione straordinaria, quelle opere che senza
modificare la destinazione d'uso già in corso e senza
intaccare la struttura portante dell'edificio, abbiano
comportato semplicemente una parziale differente
distribuzione degli spazi interni relativi ai singoli locali
in vista di una loro parziale rinnovazione anche di tipo
tecnologico>> (Consiglio di Stato sez. V, 19/07/2005, n.
3827 ed, in generale, sulla nozione di manutenzione
straordinaria, (cfr., ex multis, TAR Campania,
Napoli, Sez. VII, 10.10.2016 n. 4650; TAR Lombardia, Milano,
Sez. II, 04.08.2016 n. 1561, ivi; Cons. Stato, Sez. V,
14.04.2016 n. 1510, ivi; Id., Sez. V, 05.09.2014 n. 4523)
(TAR Campania-Napoli, Sez. III,
sentenza 28.11.2018 n. 6898 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
La CILA, a differenza della SCIA, si
configura come un mero atto di comunicazione privo di
effetti abilitativi propri, che viceversa derivano
direttamente dalla legge in forza della libera eseguibilità
di determinate attività edilizie.
Ne costituisce conferma il fatto che l’atto con cui
l’amministrazione comunale respinge (archiviando o
dichiarando irricevibile/improponibile) una CILA presentata
per l’effettuazione di alcuni lavori non ha valore
provvedimentale, bensì di semplice avviso, privo di
esecutorietà, circa la (non) regolarità delle opere oggetto
di comunicazione, vertendosi appunto in ambito di attività
di edilizia libera e non essendo, peraltro, legislativamente
previsto che il comune debba riscontrare le comunicazioni di
attività di tal fatta con provvedimenti di assenso o di
diniego.
Resta, beninteso, fermo l’esercizio del potere sanzionatorio
nel caso in cui l’attività libera non coincida con
l’attività ammessa, come avvenuto nella specie.
---------------
7. Nemmeno l’amministrazione era tenuta ad esercitare
preventivamente i poteri di autotutela per rimuovere gli
effetti della CILA e della SCIA commerciale, e ciò per le
seguenti dirimenti ragioni:
i) la CILA, a differenza della SCIA, si configura come un
mero atto di comunicazione privo di effetti abilitativi
propri, che viceversa derivano direttamente dalla legge in
forza della libera eseguibilità di determinate attività
edilizie. Ne costituisce conferma il fatto che l’atto con
cui l’amministrazione comunale respinge (archiviando o
dichiarando irricevibile/improponibile) una CILA presentata
per l’effettuazione di alcuni lavori non ha valore
provvedimentale, bensì di semplice avviso, privo di
esecutorietà, circa la (non) regolarità delle opere oggetto
di comunicazione, vertendosi appunto in ambito di attività
di edilizia libera e non essendo, peraltro, legislativamente
previsto che il comune debba riscontrare le comunicazioni di
attività di tal fatta con provvedimenti di assenso o di
diniego. Resta, beninteso, fermo l’esercizio del potere
sanzionatorio nel caso in cui l’attività libera non coincida
con l’attività ammessa, come avvenuto nella specie (cfr. TAR
Campania Napoli, Sez. II, 17.09.2018 n. 5516; TAR Veneto,
Sez. II, 15.04.2015 n. 415);
ii) gli effetti della SCIA commerciale, presentata
dall’inquilino della ricorrente, erano stati già inibiti con
provvedimento comunale del 27.01.2017 (cfr. documentazione
allegata alla memoria di costituzione dell’amministrazione),
ben prima dell’emanazione dell’ordinanza di ripristino (TAR
Campania-Napoli, Sez. II,
sentenza 15.10.2018 n. 5964 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA PRIVATA:
Il regime proprio dell’attività edilizia
subordinata alla presentazione della c.i.l.a., a differenza
di quello proprio dell’attività edilizia subordinata alla
presentazione della s.c.i.a., non prevede una fase di
controllo successivo (con eventuale esito inibitorio), da
esperirsi entro il termine perentorio ex art. 23, comma 6,
del d.p.r. n. 380/2001, che è inapplicabile alla prima delle
indicate categorie di interventi.
In relazione alla tipologia di interventi ex art. 6-bis del
d.p.r. n. 380/2001, l'amministrazione dispone, dunque, di un
unico potere, che è quello sanzionatorio da esercitarsi nel
caso in cui le opere realizzate risultino in contrasto con
la disciplina urbanistico-edilizia.
---------------
L’omesso pagamento dei diritti di segreteria integra un
vizio regolarizzabile ex post su invito
dell’amministrazione, e, di certo, non infirmante la
presentata c.i.l.a., insuscettibile, cioè, di elidere in
radice la legittimazione degli interventi eseguiti.
---------------
Premesso che:
- col ricorso in epigrafe, La Re. di S. Ma. di An. Ro.
s.p.a. (in appresso, La Re. di S. Ma.) impugnava,
chiedendone l’annullamento, previa sospensione, le note del
Settore Pianificazione e Sviluppo del Territorio del Comune
di Scafati prot. n. 20941 del 17.04.2018 e prot. n. 27731
del 22.05.2018, recanti, rispettivamente, l’archiviazione
della c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647 (avente per
oggetto interventi di manutenzione straordinaria,
consistenti nella sostituzione delle lamiere di copertura
sovrastanti una porzione dello stabilimento produttivo sito
in Scafati, alla via ..., n. 6, e censito in catasto al
foglio 2, particelle 63 e 506), e la conseguente diffida
dall’esecuzione degli interventi contemplati nella predetta
c.i.l.a., nonché l’accertamento dell’abusività di questi
ultimi;
- il gravato divieto di esecuzione dei lavori era,
segnatamente, motivato in base ai rilievi che:
a) in relazione alla c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n.
14647, non figuravano versati i diritti di segreteria, non
potendosi considerare all’uopo utilizzabili quelli già
corrisposti dalla Re. di S. Ma. in relazione alla già
archiviata c.i.l.a. del 15.02.2018, prot. n. 8631;
b) i lavori contemplati nella c.i.l.a. del 19.03.2018, prot.
n. 14647, risultavano attingere il medesimo manufatto
riguardato dal procedimento di accertamento di conformità
avviato con istanza del 06.11.2015, prot. n. 31733, ed
ancora in itinere;
- il parimenti gravato accertamento di abusività degli
interventi eseguiti sine titulo era motivato, oltre
che in base ai su indicati rilievi, anche in ragione della
riscontrata mancanza della documentazione
tecnico-amministrativa e fotografica a corredo della
comunicazione di fine lavori prot. n. 20530 del 16.04.2018;
- avverso siffatte determinazioni la ricorrente
lamentava, in estrema sintesi, che:
- il provvedimento inibitorio di cui alla nota del
17.04.2018, prot. n. 20941, sarebbe stato notificato
all’interessata soltanto in data 19.04.2018, ossia dopo lo
spirare (in data 18.04.2018) del termine perentorio di 30
giorni dalla comunicazione ex art. 23, comma 6, del d.p.r.
n. 380/2001;
- ai fini della presentazione della c.i.l.a. del 19.03.2018,
prot. n. 14647, il pagamento dei diritti di segreteria
sarebbe stato regolarmente effettuato e, comunque, la sua
omissione sarebbe stata suscettibile di regolarizzazione;
- gli interventi controversi non avrebbero attinto la
porzione di manufatto riguardata dall’istanza di sanatoria
prot. n. 31733 del 06.11.2015;
- alla comunicazione di fine lavori non andrebbe allegato
altro se non il documento di identità del dichiarante;
...
Considerato, in limine, che:
- il regime proprio dell’attività edilizia subordinata
alla presentazione della c.i.l.a., a differenza di quello
proprio dell’attività edilizia subordinata alla
presentazione della s.c.i.a., non prevede una fase di
controllo successivo (con eventuale esito inibitorio), da
esperirsi entro il termine perentorio ex art. 23, comma 6,
del d.p.r. n. 380/2001, che –a dispetto degli assunti di
parte ricorrente– è inapplicabile alla prima delle indicate
categorie di interventi;
- in relazione alla tipologia di interventi ex art. 6-bis
del d.p.r. n. 380/2001, l'amministrazione dispone, dunque,
di un unico potere, che è quello sanzionatorio da
esercitarsi nel caso in cui le opere realizzate risultino in
contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia;
- eventuali pronunciamenti anticipati
dell’amministrazione in ordine alla legittimità degli
interventi comunicati con c.i.l.a. –quali quelli in questa
sede impugnati– non rivestono, quindi, carattere
provvedimentale (cfr., in tal senso, TAR Veneto, Venezia,
sez. II, n. 415/2015; TAR Toscana, Firenze, sez. III, n.
1625/2016);
- ciò non esclude, tuttavia, in radice un interesse
concreto e attuale dei relativi soggetti destinatari a
tutelarsi in via giurisdizionale immediatamente avverso
essi, nella misura in cui –come, appunto, nella specie–
prefigurano, a guisa di contestazioni preventive, le
susseguenti determinazioni sfavorevoli dell’amministrazione;
- di qui, dunque, l’ammissibilità delle censure
rassegnate dalla ricorrente in ordine ai presupposti di
ritenuta illegittimità della c.i.l.a. del 19.03.2018, prot.
n. 14647;
Considerato, in merito a tali censure, che:
- l’omesso pagamento dei diritti di segreteria ha potuto
integrare un vizio regolarizzabile ex post su invito
dell’amministrazione, e, di certo, non infirmante la
presentata c.i.l.a., insuscettibile, cioè, di elidere in
radice la legittimazione degli interventi eseguiti;
- come perspicuamente illustrato dalla Re. di S. Ma.
mediante le riproduzioni grafiche riportate nella relazione
di consulenza tecnica di parte esibita in giudizio, gli
interventi contemplati nella c.i.l.a. del 19.03.2018, prot.
n. 14647, risultano aver attinto una porzione di manufatto
distinta da quella riguardata dall’istanza di sanatoria prot.
n. 31733 del 06.11.2015;
- a corredo della comunicazione di fine lavori non è
normativamente richiesta l’allegazione di altro documento se
non di quello di identità del dichiarante;
Ritenuto che:
- stante la ravvisata fondatezza dei profili di censura
dianzi scrutinati, ed assorbiti quelli ulteriori, il ricorso
in epigrafe va accolto, con conseguente annullamento degli
atti con esso impugnati;
- appare equo compensare interamente tra le parti le
spese di lite (TAR Campania-Salerno, Sez. II,
sentenza 28.08.2018 n. 1215 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
EDILIZIA
PRIVATA: Impugnativa
della comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.)
da parte del terzo che si ritenga leso dalla stessa.
---------------
● Giurisdizione – Edilizia – Comunicazione di inizio
lavori asseverata (Cila) - Verifica della conformità
dell’attività edilizia comunicata – Giurisdizione giudice
amministrativo.
● Edilizia – Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila)
– Tutela esperibile dal terzo – Individuazione.
● Appartiene alla giurisdizione
del giudice amministrativo la controversia in cui il terzo
faccia valere l’interesse legittimo asseritamente leso dal
non corretto esercizio del potere amministrativo di verifica
della conformità dell’attività edilizia comunicata (Cila)
rispetto al paradigma normativo, ad esempio sul rilievo che
l’attività in questione non potesse rientrare nella
comunicazione di inizio lavori asseverata e che richiedesse
piuttosto, per le caratteristiche della stessa, un permesso
di costruire e, stante l’ubicazione dell’intervento, il
parere obbligatorio della commissione speciale (1).
● L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso
dall’attività svolta sulla base della comunicazione di
inizio lavori asseverata non può essere quindi un’azione di
annullamento, ma, analogamente a quanto previsto dall’art.
19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n. 241 e in ossequio al
principio di effettività della tutela giurisdizionale
sancito dall’art. 24 Cost., gli interessati possono
sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti
all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire
esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3,
c.p.a. ovvero l’azione di annullamento, nell’ipotesi in cui
l’amministrazione si sia determinata con il provvedimento
espresso lesivo dei propri interessi (2).
---------------
(1) Ha ricordato il Tar che la comunicazione di inizio
lavori asseverata (Cila) si inquadra, analogamente alla Scia
rispetto alla quale è complementare, nel processo di
liberalizzazione delle attività private; essa è prevista
dall’art. 6-bis del testo unico dell’edilizia e costituisce
un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la
Scia, avente carattere di residualità rispetto agli
interventi non diversamente disciplinati; essa, pertanto è
senza dubbio un atto del privato privo di natura
provvedimentale, anche tacita, come tale non immediatamente
impugnabile innanzi al Giudice amministrativo.
(2) Ha chiarito il Tar che il regime della edilizia
libera di cui all’art. 6, d.P.R. n. 380 del 2001 –e
dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente
da quello della Scia, non prevede una fase di controllo
successivo sistematico (da esperirsi entro un termine
perentorio) che –in caso di esito negativo- si chiude con un
provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art.
19, comma 3, l. n. 241, l’amministrazione “adotta
motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione
dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi
di essa”); la Cila, insomma, deve essere “soltanto”
conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa
verificare che, effettivamente, le opere progettate
importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà”
definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad
alcun titolo edilizio tacito o espresso: in relazione agli
stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di un unico
potere che è quello sanzionatorio (in caso di Cila mancante,
incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in
difformità, ma pur sempre eseguibili con Cila).
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la comunicazione sia
utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per
eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la
stessa Scia) o, comunque, in violazione della normativa in
materia, posto che “In tali casi l’amministrazione non
può che disporre degli ordinari poteri repressivi e
sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente
previsto dalla stessa disposizione [art. 6-bis cit.],
laddove fa salve le prescrizioni degli strumenti
urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina
urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle
altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina
dell’attività edilizia …” (Adunanza
della Commissione Speciale Consiglio di Stato, n. 1784 del
04.08.2016) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I,
sentenza 16.07.2018 n. 1497 - commento tratto da
e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
9. - Passando all’esame delle ulteriori eccezioni in rito,
la controinteressata sostiene l’inammissibilità del ricorso,
in quanto la C.I.L.A. non è un provvedimento amministrativo,
bensì un atto privato e pertanto, “sulla base
dell’analogo istituto della SCIA”, i controinteressati
possono al più sollecitare l’esercizio delle verifiche
spettanti all’amministrazione ed in caso di inerzia esperire
esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31 del decreto
legislativo 104/2010.
9.1. – L’eccezione è fondata.
La CILA -ossia la comunicazione di inizio
lavori asseverata- si inquadra, analogamente alla SCIA
rispetto alla quale è complementare, nel processo di
liberalizzazione delle attività private; essa è prevista
dall’art. 6-bis del testo unico dell’Edilizia –come
modificato dal D.Lgs. n. 222/2016– e costituisce un istituto
intermedio tra l’attività edilizia libera e la SCIA, avente
carattere di residualità rispetto agli interventi non
diversamente disciplinati
(“Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli
articoli 6, 10 e 22 sono realizzabili previa comunicazione,
anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte
dell’interessato all’amministrazione competente, fatte salve
le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti
edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e
comunque nel rispetto delle altre normative di settore
aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e,
in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza,
antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative
all’efficienza energetica, di tutela dal rischio
idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel
codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto
legislativo 22.01.2004, n. 42”).
Essa, pertanto è senza dubbio un atto del
privato privo di natura provvedimentale, anche tacita, come
tale non immediatamente impugnabile innanzi al TAR.
L’azione a tutela del terzo che si ritenga
leso dall’attività svolta sulla base della C.I.L.A. non può
essere quindi un’azione di annullamento, ma, analogamente a
quanto previsto dall’art. 19, comma 6-ter, della legge n.
241 del 1990 e in ossequio al principio di effettività della
tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., gli
interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche
spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia,
esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi
1, 2 e 3 del cod. proc. amm. ovvero l’azione di
annullamento, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia
determinata con il provvedimento espresso lesivo dei propri
interessi (ipotesi
quest’ultima non ricorrente nel caso in questione).
Va specificato che il regime della edilizia
libera di cui all’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001 –e
dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente
da quello della Scia, non prevede una fase di controllo
successivo sistematico (da esperirsi entro un termine
perentorio) che –in caso di esito negativo- si chiude con un
provvedimento di carattere inibitorio
(ai sensi dell’art. 19, co. 3, della L. n. 241,
l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli
eventuali effetti dannosi di essa”); la
CILA, insomma, deve essere “soltanto” conosciuta
dall’amministrazione affinché essa possa verificare che,
effettivamente, le opere progettate importino un impatto
modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di
“libertà” definita dalla predetta norma non sono,
infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o
espresso: in relazione agli stessi, pertanto,
l’amministrazione dispone di un unico potere che è quello
sanzionatorio (in caso di CILA mancante, incompleta o
irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità, ma pur
sempre eseguibili con CILA).
È stato, sotto tale profilo, affermato che “Eventuali
pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla
ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non
hanno, quindi, carattere provvedimentale ma meramente
informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere
legislativamente tipizzato”
(TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 1625/2016).
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la
comunicazione sia utilizzata al di fuori della fattispecie
legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso
di costruire (o la stessa SCIA) o, comunque, in violazione
della normativa in materia, posto che “In tali casi
l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri
repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro
implicitamente previsto dalla stessa disposizione [art.
6-bis cit.], laddove fa salve “le prescrizioni degli
strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della
disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel
rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza
sulla disciplina dell’attività edilizia …”
( Adunanza della Commissione Speciale Consiglio di Stato, n.
1784, del 04.08.2016).
Specificati i diversi tipi di controllo dell’Amministrazione
sulla SCIA e sulla CILA e conseguentemente i diversi
contenuti dei provvedimenti adottabili dalla p.a.,
ritiene il Collegio che il terzo che si ritenga leso
da un atto privato quale la CILA potrà sollecitare il Comune
all’esercizio delle verifiche allo stesso spettanti e, in
caso di inerzia, attivare il procedimento del silenzio.
L’amministrazione, dal canto suo, a fronte
di una denuncia-diffida da parte del terzo, ha l’obbligo di
procedere alle verifiche che potrebbero giustificare anche
un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto
accade in presenza di un “normale” potere di
autotutela che si connota per la sussistenza di una
discrezionalità che attiene non il solo contenuto dell’atto
ma anche l’an del procedere, il cui esercizio è
incoercibile dall’esterno attraverso l’istituto del
silenzio-inadempimento
(Consiglio di Stato, sez. V, n. 2237 del 22.05.2015).
Tale opzione interpretativa, in assenza allo stato di uno
specifico regime in materia, coniuga in modo equilibrato le
esigenze di liberalizzazione sottese alla CILA (come del
resto alla SCIA) con quelle di tutela del terzo (Cons. St.
sez. VI, 03.11.2016, n. 4610) in ossequio ai principi di cui
all’art. 24 Cost..
Conclusivamente, ritiene il Collegio che il
privato che lamenti la lesione di un interesse legittimo in
connessione ad una CILA presentata da un terzo
–interesse pretensivo all’adozione di atti sfavorevoli per
il destinatario dell’azione amministrativa (Cons. St., sez.
VI, 03.11.2016 n. 4610, con riguardo alla segnalazione
certificata di inizio attività)-,
analogamente alla S.C.I.A. e fatti i debiti distinguo per
come sopra detto, non potrà certamente impugnare, ai fini
dell’annullamento, un atto privato, ma potrà attivare i
poteri di controllo in capo alla pubblica amministrazione,
la quale dovrà quindi concludere il procedimento con un
provvedimento espresso.
Ciò l’amministrazione dovrà fare sulla base
delle seguenti argomentazioni:
- l’art. 2 della legge 241/1990 impone alle pubbliche
amministrazioni il dovere di concludere un procedimento
avviato mediante un provvedimento espresso e tale
disposizione attiene ai livelli essenziali delle prestazioni
da riconoscersi a tutti i cittadini ai sensi dell’art. 117,
co. 2, lett. m), della Cost.;
- lo strumento su indicato (diffida ad attivare i
controlli con possibilità di agire avverso il silenzio),
analogamente all’art. 19 l. n. 241 del 1990, presenta i
caratteri dell’esclusività del rimedio in favore del terzo,
sicché la mancata conclusione del procedimento avviato a
seguito di diffida finirebbe di fatto per privare gli
interessati di ogni tutela innanzi al giudice, con palese
violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24,
111 e 113 Cost.
(TAR Molise n. 197/2014; TAR Venezia, n. 233/2014).
9.2. - Alla luce delle superiori argomentazioni, deve
concludersi per l’inammissibilità del ricorso laddove
impugna la CILA meglio indicata in epigrafe. |
EDILIZIA PRIVATA:
Se l’intervento abusivo avviato o
ultimato rientra nelle ipotesi di edilizia libera
assoggettate alla Comunicazione Inizio Lavori (cd. CIL) o
alla Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) esso può
essere sanato presentando la suddetta comunicazione
unitamente alla ricevuta di pagamento della sanzione, salva
naturalmente la regolarizzazione rispetto alle altre
normative vincolistiche di settore, quali quella
paesaggistica, sismica, idrogeologica, etc.
Tra l’altro l’attuale normativa non prescrive o dispone
alcunché in termini temporali, e non pone il rispetto della
condizione della doppia conformità come invece è previsto
dal T.U.E. agli articoli 36 e 37 per gli abusi e le
difformità edilizie che esulano dalle fattispecie
dell’edilizia libera.
---------------
1. Con ricorso ritualmente notificato il 17/01/2017 e
depositato il 02/02/2017, il sig. Se.Ma. ha impugnato
l’ordinanza n. 23 del 18.11.2016, notificatagli in pari
data, con la quale il Comune di Altofonte gli ha intimato la
demolizione dell’opera edilizia consistente nella “rimozione
e sostituzione della saracinesca esterna, demolizione degli
stipiti dell’ingresso alla futura autorimessa e
realizzazione di n. 2 pilastri (sezione cm. 30x cm. 50)
sormontati da una trave (sezione cm. 45 x cm. 50), tutti
realizzati in conglomerato cementizio armato, con
conseguente variazione delle dimensioni dell’apertura:
larghezza m. 2,70 (preesistente m. 2,30), altezza m. 2,90,
sito in Via ... nn. 15, 17, 23, al N.C.E.U. del Comune di
Altofonte al foglio 500, particella 920, sub 3” ed il
ripristino dello stato dei luoghi,poiché tale intervento è
stato effettuato in difformità dalla autorizzazione n. 05
del 23.03.2016, nel centro storico, zona “A” del P.R.G.,
soggetta dal 2004 a vincolo paesaggistico e sismico.
Ne ha chiesto l’annullamento previa sospensione cautelare,
deducendone l’illegittimità per i motivi di “Violazione e
falsa applicazione in ordine alla L.R. 16 del 10.08.2016;
Eccesso di potere, omissione e/o contraddittorietà della
motivazione nonché travisamento dei fatti” poiché il
Comune intimato, pur riconoscendo che l’intervento edile è
riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 3, comma 1,
lett. b), del D.P.R. 380/2001 e come tale soggetto a
C.I.L.A. (comunicazione inizio lavori asseverata) così come
previsto dall’art. 6 del D.P.R. cit., recepito dall’art. 3
della L.R. n. 16 del 10.08.2016, avrebbe applicato
immotivatamente la sanzione dell’ingiunzione a demolire e
del ripristino dello stato dei luoghi in luogo di quella
prevista dal comma 5 dell’art. 3 della L.R. n. 16/2016 cit.
che, nell’ipotesi di mancata comunicazione asseverata
dell'inizio dei lavori, qual è quella di specie, non prevede
la sanzione della demolizione ma commina sola una sanzione
pecuniaria di € 1.000,00.
Precisa, inoltre, di avere già provveduto a:
- depositare, in data 14.12.2016, la richiesta di "CIL
in sanatoria" o "Cil per lavori già eseguiti" al
fine di sanare l’irregolarità edilizia, pagando la sanzione
di 1.000 euro;
- richiedere, con istanza prot. 3026/P del 12.12.2016, il
parere di “Compatibilità Paesaggistica” alla Soprintendenza
ai BB.CC.AA. competente;
- presentare, in data 09.01.2017, all’Ufficio del Genio
Civile di Palermo, l’istanza prot. 3123/UO volta a ottenere
il N.O. ai sensi dell’art. 21 L. n. 64/1974.
Il Comune di Altofonte, seppure ritualmente intimato, non si
è costituito in giudizio.
Con ordinanza collegiale n. 327/2017 è stata accolta la
domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
impugnato.
Nelle more del giudizio:
- la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo, con atto
prot. 5084/S15.4 del 24.08.2017, ha accertato la regolarità
urbanistica dell’edificio e, posto che l’intervento
realizzato non ha comportato un aumento della volumetria e
delle superfici utili, ha rilasciato il parere favorevole di
compatibilità paesaggistica;
- il Genio Civile di Palermo, con provvedimento prot.
226342 del 18.11.2017, ha rilasciato il parere di
sussistenza ai sensi della L. 02.02.1974, n. 64.
...
2. Il ricorso, quanto alla domanda di annullamento, è
fondato.
L’art. 3 della L.R. n. 16 del 10.08.2016, rubricato “Recepimento
con modifiche dell'articolo 6 <Attività edilizia libera> del
decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380”,
al comma 5, invero, stabilisce che “La mancata
comunicazione dell'inizio dei lavori di cui al comma 2,
ovvero la mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei
lavori di cui al comma 3, comportano la sanzione pecuniaria
pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se
la comunicazione è effettuata spontaneamente quando
l'intervento è in corso di esecuzione”.
E’ dunque evidente che se l’intervento abusivo avviato o
ultimato, rientra nelle ipotesi di edilizia libera
assoggettate alla Comunicazione Inizio Lavori (cd. CIL) o
alla Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) esso può
essere sanato presentando la suddetta comunicazione
unitamente alla ricevuta di pagamento della sanzione, salva
naturalmente la regolarizzazione rispetto alle altre
normative vincolistiche di settore, quali quella
paesaggistica, sismica, idrogeologica, etc.
Tra l’altro l’attuale normativa non prescrive o dispone
alcunché in termini temporali, e non pone il rispetto della
condizione della doppia conformità come invece è previsto
dal T.U.E. agli articoli 36 e 37 per gli abusi e le
difformità edilizie che esulano dalle fattispecie
dell’edilizia libera.
Poiché l’intervento di che trattasi ha ottenuto i pareri
favorevoli delle autorità amministrative poste
rispettivamente a tutela del vincolo paesaggistico e di
quello sismico ed è stato ricondotto dallo stesso Comune di
Altofonte nell’alveo degli interventi di edilizia libera, a
fronte dell’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria
prevista dall’art. 3, comma 5 cit. unitamente alla
presentazione tardiva della CILA, non poteva esserne
disposta la demolizione e il conseguente ripristino dello
stato dei luoghi.
Non può essere accolta invece la domanda di risarcimento del
danno perché, prescindendo dalla sua inammissibilità perché
genericamente formulata, in ogni caso, a seguito della
sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione in
via cautelare, alcun danno può essersi verificato.
Il ricorso pertanto va accolto limitatamente alla domanda
impugnatoria e, per l’effetto, va annullato il provvedimento
impugnato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II,
sentenza 18.06.2018 n. 1380 - link a
www.giustizia-amministrativa.it). |
anno 2016 |
|
EDILIZIA PRIVATA: La
definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si
collega il regime dei titoli abilitativi costituisce
principio fondamentale della materia concorrente del
«governo del territorio», vincolando la legislazione
regionale di dettaglio.
Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale
di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle
definizioni statali, tale esemplificazione, per essere
costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le
definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.
---------------
Non è ragionevole
ritenere che il legislatore statale abbia reso cedevole
l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del
compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali
della materia, di determinare quali trasformazioni del
territorio siano così significative da soggiacere comunque a
permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge
regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti
con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le
previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le
specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo.
Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6,
comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque,
nella «possibilità di estendere i casi di attività edilizia
libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”,
ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi
di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6».
---------------
Le regioni
possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia
libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti
dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche
differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente
gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate,
soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva
(asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo
delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve
indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒al pari
di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒ la
natura di principio fondamentale della materia del «governo
del territorio», in quanto ispirata alla tutela di interessi
unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto
coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le
differenziazioni delle legislazioni regionali.
Sicché, è precluso al legislatore regionale di discostarsi
dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di
opere totalmente libere da ogni forma di controllo, neppure
indiretto mediante denuncia.
---------------
Secondo la
giurisprudenza costituzionale, la definizione delle
categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime
dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale
della materia concorrente del «governo del territorio»,
vincolando la legislazione regionale di dettaglio (sentenza
n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 259 del 2014, n.
171 del 2012; n. 309 del 2011).
Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale
di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle
definizioni statali, tale esemplificazione, per essere
costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le
definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia.
...
2.2.– Con riguardo
al profilo di impugnazione concernente le opere di arredo,
va precisato che l’art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria
n. 12 del 2015 riconduce nella nozione di manutenzione
ordinaria ‒e, quindi, al regime giuridico della edilizia
libera, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lettera a) della
legge reg. n. 16 del 2008‒ l’installazione di «elementi
di arredo urbano e privato pertinenziali non comportanti
creazione di volumetria» (art. 6, comma 2, lettera i,
della legge reg. n. 16 del 2008 come novellato).
Nel contempo, l’art. 6, commi 8, secondo trattino, e 11,
terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 ha
incluso nel novero delle attività edilizie “libere”
l’«installazione di opere di arredo pubblico e privato,
anche di natura pertinenziale, purché non comportanti
creazione di nuove volumetrie, anche interrate» (art.
21, comma 1, lettera i-bis, della legge reg. n. 16 del 2008
come novellato). Le due tipologie di intervento non sembrano
presentare significative differenze: né l’utilizzo del
termine «elementi» in luogo di «opere», né
l’aggiunta dell’esclusione delle volumetrie «anche
interrate», appaiono in grado di segnare una
apprezzabile diversità dei rispettivi connotati edilizi.
Poiché il Governo lamenta l’illegittima inclusione delle
opere in questione tra gli interventi edilizi eseguibili
liberamente, senza necessità di titolo abilitativo, occorre
verificare se il legislatore regionale, nel precisare
l’ambito riservato all’attività edilizia libera, si sia
mantenuto nei limiti di quanto gli è consentito.
L’art. 6, comma 6, del TUE prevede che le regioni a statuto
ordinario possano estendere tale disciplina a «interventi
edilizi ulteriori» (lett. a), nonché disciplinare «le
modalità di effettuazione dei controlli» (lett. b). Nel
definire i limiti del potere così assegnato alle regioni,
questa Corte ha escluso «che la disposizione appena
citata permetta al legislatore regionale di sovvertire le
“definizioni” di “nuova costruzione” recate dall’art. 3 del
d.P.R. n. 380 del 2001» (sentenza n. 171 del 2012).
L’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre
nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi
tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA
(segnalazione certificata di inizio attività).
«Non
è perciò ragionevole ritenere che il legislatore statale
abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi,
spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei
principi fondamentali della materia, di determinare quali
trasformazioni del territorio siano così significative da
soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio
attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare
secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che
sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n.
380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo
abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013).
Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6,
comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque,
nella «possibilità di estendere i casi di attività
edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma
“ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli
interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6»
(così ancora la sentenza n. 139 del 2013).
Su queste basi, si deve ritenere che il legislatore
regionale ligure, nell’includere nel novero delle attività
edilizie “libere” l’installazione di opere di arredo
privato, anche di natura pertinenziale, purché non
comportanti creazione di nuove volumetrie, non abbia esteso
i casi di attività edilizia libera a un’ipotesi
integralmente nuova, non coerente e logicamente assimilabile
agli interventi già previsti ai commi 1 e 2 dell’art. 6 del
TUE.
Come si può desumere anche dalla diversa disciplina
riservata dallo stesso legislatore regionale alle «opere
di sistemazione e di arredo» di natura pertinenziale
(art. 17 della legge reg. n. 16 del 2008) assoggettate a DIA
“obbligatoria” (ai sensi dell’art. 23 della stessa
legge), la tipologia di arredo incluso tra gli interventi
non subordinati a titoli abilitativi corrisponde a manufatti
che, per le loro caratteristiche di precarietà strutturale e
funzionale, sono destinati a soddisfare esigenze contingenti
e circoscritte nel tempo, e non sono pertanto idonei a
configurare un aumento del volume e della superficie
coperta, né ad alterare il prospetto o la sagoma
dell’edificio.
Si tratta dunque di opere assimilabili a quelle previste
all’art. 6, comma 6, del TUE, che alla lettera e) considera
gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli
edifici». La legge regionale appare anzi più
restrittiva, perché precisa (a differenza della legge
statale) che tali opere non possono comportare la creazione
di volumetria. Sussiste, tuttavia, un profilo rispetto al
quale il legislatore regionale ha ecceduto dalla sfera della
competenza concorrente assegnata dall’art. 117, terzo comma,
Cost.
Mentre il citato art. 6, comma 2, lettera e), del TUE,
subordina gli «elementi di arredo delle aree
pertinenziali degli edifici» alla previa comunicazione
dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato al comune,
la previsione regionale impugnata accomuna la disciplina
dell’arredo su area pertinenziale e di quello sugli spazi “scoperti”
dell’edificio, ma non impone per il primo lo stesso onere
formale.
Le regioni possono sì estendere la disciplina statale
dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori”
rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del
TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico,
dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le
attività deformalizzate, soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva
(asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo
delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve
indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒al pari
di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒ la
natura di principio fondamentale della materia del «governo
del territorio», in quanto ispirata alla tutela di
interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire
un assetto coerente su tutto il territorio nazionale,
limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali.
Essendo precluso al legislatore regionale di discostarsi
dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di
opere totalmente libere da ogni forma di controllo, neppure
indiretto mediante denuncia, l’art. 6 della legge reg.
Liguria n. 12 del 2015 deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo limitatamente ai commi 3, 8,
secondo trattino, e 11, terzo trattino
(Corte Costituzionale,
sentenza 03.11.2016 n. 231). |
EDILIZIA PRIVATA:
L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario
unico spiegherà l'iter per ogni intervento.
Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto
Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee
e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E
che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario
per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl
40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati
sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione
asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al
restauro e al risanamento conservativo che non riguardano
parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia
(Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia
con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i
procedimenti relativi alla certificazione di agibilità,
prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di
agibilità.
E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia
2”
(Atto
del Governo n. 322 - Schema di decreto
legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto
di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio
attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e
definizione dei regimi amministrativi applicabili a
determinate attività e procedimenti),
già varato in via preliminare dal consiglio dei
ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il
parere
04.08.2016 n.1784.
Si tratta di
uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a
completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”),
ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28
luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove
il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la
disciplina generale applicabile alle attività private non
soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a
Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di
decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una
ricognizione delle attività private nei settori
dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo
viene data piena attuazione alla legge delega di riforma
della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei
procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso,
autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo
le novità più rilevanti.
Glossario unico.
L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce
l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in
materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A
tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle
infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico».
Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul
proprio sito web un glossario che consenta l'immediata
individuazione della tipologia dell'intervento e del
conseguente regime giuridico, indicando i documenti
necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha
evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio
sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio.
Viene abolita la
Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010,
che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori
e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto,
osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non
liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i
quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso
l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo
un regime a metà strada tra l'attività completamente libera
e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli
interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva
all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della
comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di
allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo
per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono
quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa
assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito
tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e
il risanamento conservativo che non riguardi parti
strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia
in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una
Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di
stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto
terminologica, già in parte realizzata a livello regionale,
onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni
valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale».
Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al
certificato di agibilità, prevedendo un'apposita
segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi
basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza
adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono
la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi
assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali
è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in
alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi
quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le
ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto
sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria
forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di
Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni
casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle
altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità
ovvero Cila incompleta o irregolare)
(articolo ItaliaOggi del 09.08.2016). |
anno 2015 |
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EDILIZIA PRIVATA:
Quesito
Il D.P.R. n. 380/2001 versione originaria, contenente il “Testo
unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia”, oltre a definire gli interventi
edilizi realizzabili prevedeva, altresì, i titoli
abilitativi necessari per effettuare gli interventi medesimi
(Titolo II) stabilendo, in particolare: con l’art. 6 (“Attività
edilizia libera”), quelli che si potevano eseguire senza
alcun titolo abilitativo; con l’art. 10 (“Interventi
subordinati a permesso di costruire”), quelli per i
quali era necessario il permesso di costruire; con l’art. 22
(“Interventi subordinati a denuncia di inizio attività”)
gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art.
10 e all’art. 6, subordinati a presentazione di denuncia di
inizio attività (D.I.A.).
La legge n. 68/1993 (“Disposizioni urgenti in materia di
finanza derivata e di contabilità pubblica”) all’art.
10, co. 10, ha poi previsto il pagamento dei diritti di
segreteria per una serie di atti, tra cui <<…c)
autorizzazione edilizia, nonché denuncia di inizio
dell'attività…>> (lettera così sostituita dall'articolo
2, comma 60, legge n. 662 del 1996, poi modificata
dall'articolo 1, comma 50, legge n. 311 del 2004).
L’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001 (così come sostituito
dall’art. 5 della L. n. 73/2010 e dall’art. 17 della L. n.
164/2014) attuale formulazione, ha introdotto per gli
interventi non necessitanti titolo abilitativo di cui al
comma 2, lett. b), c), d), e), la preventiva comunicazione
di inizio lavori (C.I.L.) da parte dell’interessato
all’amministrazione comunale, mentre con il comma 4 ha
previsto, per gli interventi di cui alle lett. e) ed e-bis)
del comma 2, la comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.).
Sulla scorta del quadro normativo sopra illustrato, si
chiede di sapere se i diritti di segreteria di cui all’art.
10, co. 10, della L. n. 68/1993 e ss. mm. ed ii. sono
esigibili dall’ente anche in relazione ai procedimenti per i
quali la normativa prevede la presentazione
all’amministrazione comunale della C.I.L. o della C.I.L.A.
Risposta
L’art.
10, comma 10, del d.l. 8/1993, convertito dalla legge
68/1993 e successive modificazioni, ha previsto il
pagamento di diritti di segreteria per una serie di atti in
materia edilizia ed urbanistica.
La comunicazione di inizio lavori (C.I.L.)
e la comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.),
previste per alcuni interventi in materia edilizia che non
necessitano di titolo abilitativo, non sono previsti tra gli
atti soggetti al pagamento dei diritti di segreteria
dall’articolo citato.
I diritti di segreteria, compresi quelli in materia edilizia
ed urbanistica, essendo dovuti a fronte di un’attività
amministrativa compiuta dall’ente nello svolgimento delle
sue funzioni di diritto pubblico, hanno natura tributaria (cfr.
C. Cost. sent. n. 156/1990) e non è
consentito agli enti locali estendere la riscossione ad atti
non previsti nella elencazione fatta dal legislatore, né
sono possibili adattamenti al nuovo contesto normativo
edilizio.
Il comma 3 del Tuel (D.Lgs. 267/2000) richiama il testo
dall’art. 52 del D.Lgs. 446/1997 per il quale comuni e le
province possono disciplinare con regolamento le proprie
entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene
l’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili,
dei soggetti passivi, dell’aliquota massima dei singoli
tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione
degli adempimenti dei contribuenti.
Per questi motivi, allo stato della
legislazione, i comuni non possono richiedere diritti di
segreteria per la comunicazione di inizio lavori, né per la
comunicazione di inizio lavori asseverata
(19.11.2015 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it). |
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