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62-INCARICHI PROFESSIONALI E PROGETTUALI
63-INCENTIVO PROGETTAZIONE (ora INCENTIVO FUNZIONI TECNICHE)
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66-L.R. 23/1997
67-L.R. 31/2014
68-LEGGE CASA LOMBARDIA
69-LICENZA EDILIZIA (necessità)
70-LOTTO EDIFICABILE - ASSERVIMENTO AREA - CESSIONE CUBATURA
71-LOTTO INTERCLUSO
72-MAPPE e/o SCHEDE CATASTALI (valore probatorio o meno)
73-MOBBING
74-MURO DI CINTA/RECINZIONE, DI CONTENIMENTO/SOSTEGNO, ECC.
75-OPERE PRECARIE
76-PARERE DI REGOLARITA' TECNICA, CONTABILE E DI LEGITTIMITA'
77-PATRIMONIO
78-PERGOLATO e/o GAZEBO e/o BERCEAU e/o DEHORS e/o POMPEIANA e/o PERGOTENDA e/o TETTOIA
79-PERMESSO DI COSTRUIRE (annullamento e/o impugnazione)
80-PERMESSO DI COSTRUIRE (decadenza)
81-PERMESSO DI COSTRUIRE (deroga)
82-PERMESSO DI COSTRUIRE (legittimazione richiesta titolo)
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84-PERMESSO DI COSTRUIRE (prescrizioni)
85-PERMESSO DI COSTRUIRE (proroga)
86-PERMESSO DI COSTRUIRE (verifica in istruttoria dei limiti privatistici al rilascio)
87
-
PERMESSO DI COSTRUIRE (volturazione)
88-
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89-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI
90-PIANI PIANIFICATORI ED ATTUATIVI (aree a standard)
91-PIF (Piano Indirizzo Forestale)
92-PISCINE
93-PUBBLICO IMPIEGO
94-PUBBLICO IMPIEGO (quota annuale iscrizione ordine professionale)
95-RIFIUTI E BONIFICHE
96-
RINNOVO/PROROGA CONTRATTI
97-RUDERI
98-
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dossier C.I.L. (Comunicazione Inizio Lavori) / C.I.L.A. (Comunicazione Inizio Lavori Asseverata)
anno 2023

EDILIZIA PRIVATASul rinvio delle norme urbanistiche alle nozioni di intervento edilizio, nonché sulla modifica della destinazione d’uso tramite manutenzione straordinaria e sul controllo relativo alla CILA.
---------------
Edilizia e urbanistica –Norme tecniche di attuazione – Interventi edilizi – Rinvio ricettizio.
Qualora negli atti di pianificazione urbanistica si faccia riferimento a determinate categorie di interventi edilizi, il rinvio in questione non può che essere recettizio.
Se, infatti, tale rinvio non avesse tale natura statica o ricognitiva, ma dinamica, per il suo tramite confluirebbero nel regime derogatorio tutti gli interventi successivamente ricondotti dal legislatore sotto l’egida della nuova definizione, seppure originariamente non valutati, con conseguente sottrazione delle scelte di governo del territorio al comune, soggetto istituzionalmente preposto (1).

...
Edilizia e urbanistica – Manutenzione straordinaria – Modifica della destinazione d’uso.
Anche successivamente alla riforma introdotta dal d.l. 76 del 2020, le modifiche di destinazione d’uso che possono conseguire agli interventi riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria sono solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale essendo l’inequivoco significato della dicitura «urbanisticamente rilevanti» e «non implicanti aumento del carico urbanistico» previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, anche nella sua attuale formulazione (2).
...
Edilizia e urbanistica – CILA – SCIA – Controllo – Sanzione.
Benché sulla conformità tecnico-giuridica della CILA –diversamente da quanto disposto per la SCIA– non sia previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del legittimo avvio dell’attività oggetto della comunicazione, devono ritenersi applicabili alla CILA i principi consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di SCIA o DIA, in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019.
Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui all’art. 21-novies della medesima normativa (3).

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   (1) Non risultano precedenti in termini.
   (2) Conformi: Tar per la Campania, sez. VII, 04/08/2021, n. 5446; Tar per il Lazio, Latina, sez. I, 30/03/2021, n. 215;
        Difformi: non risultano precedenti difformi.
   (3) Conformi: Cons. Stato, sez. IV, 23.04.2021, n. 3275;
        Difformi: non risultano precedenti difformi
 (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 24.04.2023 n. 4110 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
---------------
SENTENZA
12. Nel merito l’appello è fondato nei sensi e limiti di seguito indicati.
13. Va innanzi tutto sgombrato il campo dal vizio di prospettiva indotto dalla possibile ricostruzione unitaria della vicenda a partire dalla prima CILA presentata dalla Società in data 18.03.2019, per giungere all’ultima del 19.02.2021.
Una tale ricostruzione infatti non solo finisce per attingere la sfera psicologica del soggetto agente, con le conseguenti difficoltà di dimostrane la sussistenza sul piano probatorio; ma la permea di una sorta di chiaroveggenza regolatoria, indirizzandola da subito verso un obiettivo che a contesto giuridico immutato non era indubbiamente raggiungibile.
Sotto tale profilo non può che condividersi la ricostruzione del primo giudice, laddove dopo aver dubitato dell’automatica trasposizione nel diritto amministrativo di categorie concettuali «dagli incerti confini, quali quella dell’elusione o dell’abuso del diritto, elaborate non senza difficoltà ed incertezze applicative in altri rami dell’ordinamento (in particolare in ambito tributario)», ne ha escluso la sussistenza in quanto la Società «si è avvalsa di una sopravvenienza normativa e ha, per così dire, lecitamente “sfruttato” lo ius novum (che a volte favorisce il privato, altre lo penalizza) e le possibilità riconosciutegli dall’evoluzione normativa del concetto di manutenzione straordinaria, che nel 2019 non erano neanche prevedibili e non possono essere valutate a posteriori dal Comune come prova o sintomo di un disegno elusivo, che deve preesistere all’inizio della condotta che si assume illecita e non seguirla».
Ciò rende effettivamente inconferente il richiamo, contenuto nell’ordinanza n. 23 del 2021, alla «scissione delle singole pratiche» in violazione «dei principi di buona fede che devono regolare i rapporti tra privati e P.A. ai sensi dell’art. 1, co. 2-bis della l. n. 241/1990», cosicché essa «pare integrare un’ipotesi di abuso del diritto da parte della Ditta, sfruttando la normativa urbanistica ai fini di eludere la medesima».
Trattasi invero di affermazioni ultronee che non solo non esauriscono la motivazione del provvedimento, fondata anche, come ricordato dalla difesa civica, sulla inidoneità del titolo edilizio e sulla inammissibilità dell’intervento sotto il profilo urbanistico; ma che soprattutto non incidono sul suo contenuto precettivo, che non si estende alle operazioni edilizie precedenti, pur invocandone la connessione teleologica, in quanto si limita ad ingiungere il ripristino della destinazione commerciale mutata con la CILA del 19.02.2021.
Le precedenti opere di manutenzione straordinaria infatti «hanno sempre costituito e costituiscono ancora, singolarmente presi, interventi ammissibili ai sensi del Piano» (pag. 5, penultimo capoverso, dell’ordinanza n. 23 del 2021), diversamente dall’ultimo cambio d’uso funzionale, che riconnettendosi alle precedenti, «comporta l’elusione (e pertanto la violazione) della norma».
14. Lo iato tra gli interventi precedenti e la nuova CILA è segnato inequivocabilmente, in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dall’appellante, proprio dall’entrata in vigore del d.l. 16.07.2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.09.2020, n. 120, il quale ha fornito alla Società, a torto o a ragione, lo strumento per provare a conseguire ciò che in passato le era sicuramente precluso.
14.1. Di quanto detto dà formale conferma l’avvenuto inoltro della segnalazione finalizzata all’agibilità, che chiude il ciclo degli interventi edilizi effettuati negli anni passati, certificandone la conformità sotto il profilo igienico-sanitario e urbanistico-edilizio, ivi compreso proprio l’avvenuto rispetto delle destinazioni d’uso consentite (Cons. Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836), che mal si concilierebbe con la preesistente volontà di intervenire nuovamente sullo stesso.
14.2. E’ evidente pertanto l’inapplicabilità alla fattispecie dei principi, consolidati in giurisprudenza, in forza dei quali la natura abusiva di un’opera va valutata sommando le risultanze dei singoli interventi nei quali è stata frazionata, dovendosene considerare l’impatto globale sul territorio, percepibile solo superandone la visione atomistica e parcellizzata (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 18.10.2022, n. 8848).
15. Ciò chiarito, va ricordato in punto di fatto che la Società è proprietaria di un compendio immobiliare ricompreso in un Piano attuativo ad iniziativa pubblica, adottato e poi approvato tra il 2017 e il 2018, che prevede la realizzazione di un corposo numero di opere pubbliche e viarie, il cui onere finanziario è ripartito anche fra i proprietari dei vari lotti.
Il relativo regime edificatorio “condizionato” peraltro, come evidenziato dalla difesa civica, è stato successivamente confermato con la deliberazione del Consiglio comunale n. 13 del 30.07.2020, di approvazione di una variante che ne ha ribadito la vigenza fino alla prevista scadenza del 2023, non gravata dalla Società, diversamente dalla precedente, avverso la quale pende ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
16. I Piani attuativi (PUA), cui va ricondotto quello denominato “SR 11” di cui è causa, sono notoriamente strumenti con finalità esecutive finalizzati a precisare ed attuare le previsioni del Piano regolatore generale (PRG), o dell’omologo comunque denominato dalla legislazione regionale, siccome atti di più ampio respiro, fornendo elementi ulteriori e di dettaglio che consentano la realizzazione dell’intervento per come concepito nel suo insieme.
Sin dalla legge urbanistica fondamentale, n. 1150 del 1942, la fase attuativa degli strumenti di pianificazione generale è stata affidata a provvedimenti pianificatori di dettaglio, originariamente riconducibili al c.d. Piano particolareggiato (art. 13), a portata generale, priva di connotazione individualizzanti un settore di sviluppo.
La normativa successiva ha poi introdotto altri strumenti attuativi nel panorama urbanistico nazionale, le cui denominazioni richiamano la specificità dell’oggetto (si pensi, a mero titolo di esempio, oltre ai piani per gli insediamenti produttivi, qui di specifico interesse, a quelli per l’edilizia economica e popolare, ai piani di recupero, ai piani di zona, ai programmi di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile, ecc.), cui se ne sono via via affiancati altri, inseriti dalle rispettive legislazioni regionali.
Gli strumenti attuativi costituiscono dunque lo snodo fondamentale per completare il processo di sviluppo del territorio, consentendo il raggiungimento di un risultato che la previsione generale (e spesso minimale) del Piano regolatore non sarebbe in grado di raggiungere. L’esigenza di una visione unitaria e complessiva della concretizzazione delle disposizioni programmatorie più elevate, evitando situazioni disorganiche e disorganizzate soprattutto in precisi ambiti settoriali, si realizza poi nel rapporto tra piano attuativo e successivo rilascio dei singoli titoli edificatori, dei quali il primo diviene conditio sine qua non, non solo nell’an, ma anche nel quomodo.
Il meccanismo, cioè, tipicamente multilivello che connota variamente la disciplina urbanistico-edilizia, implica una trasversalità verticale tra previsioni di massima, obiettivi di settore e strumenti concreti di attuazione: l’ottenimento di un titolo edificatorio relativo ad un fabbricato da realizzarsi all’interno di un Piano attuativo è possibile proprio perché sono stati definiti a priori e a monte tutti gli elementi caratterizzanti la futura urbanizzazione del territorio, nel quale le costruzioni private verranno ad inserirsi, definendo gli standard urbanistici e localizzando attrezzature, infrastrutture, reti, ecc., nonché disciplinando la fase esecutiva e i soggetti esecutori.
Il ricorso agli strumenti attuativi costituisce perciò un preciso modello di pianificazione degli interventi per renderne razionale la realizzazione su un’area non urbanizzata, ovvero il cui livello di urbanizzazione non sia ritenuto sufficiente ovvero ancora per il quale si reputi necessario un potenziamento e una riqualificazione delle dotazioni territoriali in vista della specifica direzione di sviluppo che si intenda imprimere loro, anche in funzione di esigenze di miglioramento della vivibilità, di tutela dell’ambiente, ovvero di leva allo sviluppo economico (si pensi alla scelta di concentrare le attività produttive in un’unica zona, connotata da ampie infrastrutture viarie, ubicata lontano dai centri urbani, sì da produrre anche un indiretto effetto di “alleggerimento” dai disagi conseguenti alla compresenza di situazioni eterogenee riferito a questi ultimi).
Il Comune è in definitiva chiamato a valutare nelle sue scelte di buon governo del territorio se vi sia un sufficiente rapporto di proporzionalità fra le infrastrutture, lato sensu intese, e i bisogni degli abitanti insediati e di quelli che si prevede vi si insedino, proprio in ragione della scelta urbanistica effettuata, avuto riguardo anche alla tipologia degli insediamenti (residenziali, produttivi, commerciali, ecc.).
17. La Sezione ha già avuto modo di soffermarsi sulla genesi del Piano industriale, quale tipica species del più ampio genus dei Piani attuativi, costituente uno dei primi esempi codificati di compenetrazione tra assetto generale e disciplina di dettaglio (v. Cons. Stato, sez. II, 19.04.2022, n. 2953).
Attraverso di essi, già previsti dall’art. 27 della l. 22.10.1971, n. 865, i Comuni dotati di piano regolatore o di programma di fabbricazione, oltre ad imprimere un regime giuridico lato sensu “produttivo” ad una determinata zona, garantiscono l’accesso alle aree ivi comprese ad operatori economici che le devono utilizzare in funzione dello stesso.
Di regola la loro approvazione contempla anche quella dell’apposito schema di convenzione o atto d’obbligo che contiene gli impegni, da parte del soggetto promotore, alla realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione, o alla compartecipazione agli oneri funzionali alla stessa, le modalità, i termini entro i quali esse devono essere ultimate, le congrue garanzie finanziarie, nonché eventuali ulteriori obbligazioni specifiche che il Comune riterrà opportuno inserire in relazione alla particolarità e consistenza dell’intervento previsto.
La causa della convenzione urbanistica, ovvero l’interesse che l’operazione contrattuale è teleologicamente diretto a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che quelli della pubblica amministrazione al corretto assetto del territorio.
Ciò ha comportato finanche la riconosciuta legittimità, in assenza di una norma generale che lo vieti, della previsione di contribuzioni ulteriori e maggiorate, che il privato accetti di accollarsi, rispetto a quelle fissate dalla legge, integranti, come tali, la sola soglia minima imprescindibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24.03.2023, n. 2996).
17.1. La convenzione accessiva trova ormai idonea collocazione nell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, che ha di fatto portato a sistema tutte le astratte possibilità di accordo cui la pubblica amministrazione può addivenire con i privati. Essa non costituisce un contratto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi piuttosto come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 19.01.2021, n. 579).
In assenza di tale momento pattizio pertanto la fase endoprocedimentale finalizzata al rilascio del titolo, che andrà ad implementarsi del contenuto dello stesso, non può essere portata a compimento. Laddove quindi l’opera sia assentibile con un mero procedimento dichiarativo, egualmente lo stesso non potrà essere attivato, fermi restando i poteri inibitori e sanzionatori espressamente previsti dalla legge per impedirne la prosecuzione o rimuoverne gli effetti.
18. Il regime edificatorio declinato dal Comune di Grumolo delle Abbadesse risponde perfettamente al delineato paradigma, essendo lo ius aedificandi condizionato alla preventiva stipula della convenzione, approvata in bozza quale allegato al Piano, sia per regolare i rapporti economici tra le parti, sia per “controllare” lo sviluppo dell’area in conformità con lo stesso.
L’art. 6 delle N.T.A., tuttavia, rubricato «Modalità di intervento», dopo aver richiamato ridetta regola generale, ne introduce una deroga, limitata ad interventi nominativamente indicati, per lo più sul patrimonio edilizio preesistente, evidentemente ritenuti per consistenza inidonei ad impattare negativamente sulla realizzazione degli obiettivi programmatori generali.
La norma consente invero «Prima della sottoscrizione degli impegni riportati nella convenzione […]», distintamente, sia le «opere di manutenzione ordinaria o straordinaria e risanamento conservativo, come definiti all’art. 3, lettere a), b) e c), del Testo unico per l’edilizia (d.P.R. 380 del 2001) e s.m.i.», sia «il mutamento di destinazione d’uso senza opere, qualora la nuova destinazione rientri tra quelle principali ammesse e che, comunque, non comporti la necessità di realizzare ulteriori aree e servizi».
Pur non individuando quindi un preciso dies ad quem, entro il quale stipulare comunque la convenzione (ovvero «prima» della sua sottoscrizione, teoricamente procrastinabile ad libitum), gli interventi elencati costituiscono il ravvisato punto di mediazione tra la convergenza di tutte le attività edilizie nella finalità di Piano e la tolleranza di quelle tra esse il cui impatto è stato preventivamente ritenuto neutro rispetto alle stesse.
19. L’unica coerente e ragionevole lettura possibile dell’ambito di estensione degli interventi ammessi dallo strumento di pianificazione urbanistica (in questo, come in ogni altro caso analogo) è quella che li congela alla fase della loro prefigurazione, sicché il rinvio ad eventuali indicazioni normative non può che essere inteso come recettizio.
Ove infatti il richiamo contenuto nell’art. 6 della N.T.A. all’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001, non avesse tale natura statica o ricognitiva, ma dinamica, per il suo tramite confluirebbero nel regime derogatorio tutti gli interventi successivamente ricondotti dal legislatore sotto l’egida della nuova definizione, seppure originariamente non valutati.
Ciò peraltro finirebbe per valere per qualsivoglia tipologia di intervento, sicché ove per ipotesi in futuro il legislatore ampliasse ulteriormente i confini della manutenzione straordinaria, ovvero estendesse quelli del restauro o risanamento conservativo, sfuggirebbe al regime convenzionale e soprattutto agli interessi pubblici sottesi allo stesso, una vasta fetta di situazioni, il cui impatto, anche in termini di carico urbanistico, non era stato necessariamente valutato.
Il perimetro derogatorio, cioè, ovvero più in generale, quello permissivo, sarebbe soggetto alle continue fluttuazioni legislative che, seppure nell’apprezzabile intento di semplificare progressivamente le attività edilizie, muterebbero asistematicamente sia i paradigmi definitori, sia la disciplina dei titoli, non solo costringendo l’interprete a non agevoli opere di intarsio e incastro, che non potrebbero non comportare anche ricadute sulle scelte di governo del territorio (si pensi, a mero titolo di esempio, alla annosa vicenda della ristrutturazione edilizia con previa demolizione), ma soprattutto sottraendo le stesse al soggetto istituzionalmente a tanto preposto, cioè al Comune.
19.1. L’affermazione secondo la quale l’eterointegrazione di concetti giuridici che ne presuppongono la valutazione in termini di consistenza va fatta avuto riguardo alla loro formulazione al momento in cui vengono richiamati nella pianificazione urbanistica, non può che assurgere a valenza generale.
Laddove, dunque, la scelta urbanistica individua, per giunta in un’elencazione tassativa, gli interventi ammessi, essa non può che avere a mente quelli che siano tali al momento della sua approvazione, costituendone l’accezione valutata una sorta di intrinseca clausola di salvaguardia impermeabile alle loro modifiche successive, salvo diversa esplicita indicazione in senso inverso del legislatore nazionale, ove compatibile con l’assetto delle competenze costituzionalmente sancite.
20. L’affermazione del primo giudice, in forza della quale lo ius novum «a volte favorisce il privato, altre lo penalizza», vale sicuramente con riferimento alle sopravvenute modifiche del regime edilizio; ma non può impattare anche sul contenuto normativo sotteso alle scelte urbanistiche precedentemente approvate, pena la loro vanificazione.
21. Nel caso di specie inoltre la Società -e conseguentemente il primo giudice- ha operato addirittura una commistione tra tipologie di interventi distintamente previsti dalle N.T.A. (la manutenzione straordinaria, da un lato, e il cambio di destinazione d’uso senza opere, dall’altro), ritenendo che la prima consenta con regime dichiarativo ciò che la seconda assoggetta a permesso di costruire.
21.1. Va a tale proposito ricordato che la modifica di destinazione d’uso non costituisce una tipologia di intervento edilizio ex se, bensì piuttosto l’effetto dello stesso.
Non a caso la relativa dizione non figura nell’elenco delle definizioni contenuto nell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma compare nelle singole declinazioni delle stesse, ora quale limite negativo (come per la manutenzione straordinaria, appunto), ora, al contrario, come possibile esemplificazione contenutistica (come per il restauro e risanamento conservativo di cui alla successiva lettera c), che può determinare un cambio delle destinazioni d’uso, purché compatibile con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso che i relativi interventi devono comunque rispettare).
Secondo l’attuale paradigma della manutenzione straordinaria pertanto tale limite negativo non opera più in assoluto, salvo i casi di frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, ma esclusivamente per quelle modifiche che siano «urbanisticamente rilevanti» e «implicanti incremento del carico urbanistico».
22. L’equivoco di fondo nel quale è incorso il primo giudice, assecondando la ricostruzione della Società, consiste nell’introdurre una duplice chiave di lettura tra modifica di destinazione d’uso “all’interno”, per così dire, della manutenzione straordinaria e modifica di destinazione d’uso ex se, per la quale al contrario soltanto continuerebbero a valere ridette categorie.
La ricostruzione, cioè, conferisce dignità di autonomo intervento alla modifica di destinazione d’uso quand’anche funzionale o senza opere, sussumendola sotto l’egida della manutenzione straordinaria, laddove in passato tale evenienza era rimessa all’eventuale legge regionale chiamata a declinare «quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività» (art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001).
A ben guardare, tuttavia, le modifiche di destinazione d’uso che possono conseguire agli interventi riconducibili al concetto di manutenzione straordinaria, pure dopo la novella del 2020, sono solo quelle tra categorie urbanistiche omogenee, tale essendo l’inequivoco significato della dicitura «urbanisticamente rilevanti» e «non implicanti aumento del carico urbanistico» previsto dall’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2011, anche nella sua attuale formulazione.
Esso va invero individuato avuto riguardo alle previsioni dell’art. 23-ter inserito nel T.u.e. col c.d. decreto legge “Sblocca Italia” (d.l. 12.09.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164), che le ha introdotte al preciso scopo di omogeneizzare le scelte di governo del territorio, evitando frammentazioni finanche terminologiche sicuramente contrarie ai più elementari principi di certezza del diritto e foriere di oneri aggiuntivi per i cittadini-utenti.
La disposizione pertanto che riduce a cinque le categorie previste (tra le quali, per quanto di interesse, menziona separatamente la produttiva e direzionale, da un lato, e la commerciale, dall’altro) individua, almeno in termini astratti e generali, raggruppamenti connotati da valutata similarità di carico urbanistico, tanto da qualificare “rilevante”, appunto, il mutamento della destinazione d’uso dall’una all’altra, seppure non accompagnato dall’esecuzione di opere edilizie (c.d. mutamento “funzionale”, appunto).
La compatibilità dell’insediamento in determinate zone di categorie urbanisticamente eterogenee attiene al regime pianificatorio locale che può dettagliare le indicazioni nazionali, declinandole in ulteriori specificità, ma non mutarle radicalmente (né ha inteso farlo nel caso di specie, tant’è che le parti convengono sul fatto che, ove non si parli di manutenzione straordinaria, la modifica di destinazione d’uso sarebbe stata parificabile ad una nuova costruzione, necessitante di permesso di costruire).
23. Anche sotto tale profilo la rilevata contrarietà con l’art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.R. n. 380 del 2001 sussiste e correttamente è stata richiamata nel provvedimento impugnato in termini di inadeguatezza della CILA a legittimare l’intervento. Tuttavia il relativo motivo non è chiaramente esplicitato dalla difesa civica che in alcuni passaggi del ricorso sembra perfino avallare il procedimento seguito sotto il profilo edilizio, seppure in termini di mero ragionamento astratto, giusta la ribadita inconferenza delle modifiche definitorie rispetto al regime urbanistico applicabile, impermeabile, per quanto sopra esposto, alle oscillazioni contenutistiche dei confini tra manutenzione straordinaria e ristrutturazione, dalla quale è stata “stralciata” la tipologia di intervento di cui in controversia.
24. Vanno a questo punto scrutinati i motivi di ricorso di primo grado non esaminati dal primo giudice e riproposti dalla Società ex art. 101, comma 2, c.p.a.
25. Essa contesta il contenuto dell’ordinanza di ripristino nella parte in cui ha dichiarato la inefficacia della CILA, in quanto utilizzerebbe un procedimento di secondo livello che il legislatore non avrebbe inteso introdurre in relazione a tale tipologia di dichiarazione abilitante; nonché per la parte in cui pretenderebbe di attingere al potere sanzionatorio, esercitato al di fuori dei relativi presupposti, ovvero a fronte di una comunicazione perfettamente valida.
In denegata ipotesi, deduce come per potere annullare d’ufficio una dichiarazione di parte vadano comunque effettuate le valutazioni di cui all’art. 21-novies della l. n. 241 del 1990 che in particolare impone, oltre al rispetto delle garanzie partecipative, la presenza di un interesse pubblico prevalente sull’affidamento di controparte nella solidità del proprio titolo giuridico.
26. Va ricordato a tale riguardo come la c.d. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) con il d.lgs. n. 222/2016 è divenuta il titolo general-residuale, necessario per tutti gli interventi edilizi per i quali le norme del testo unico non impongono la SCIA o il permesso di costruire ovvero che non rientrano ai sensi dell’art. 6 nell’attività edilizia libera.
Con tale scelta si è radicalmente cambiata l’opzione normativa di cui al previgente comma 4 del richiamato art. 6 che, al contrario, lasciava aperta la categoria della SCIA e tipizzava in maniera specifica gli interventi sottoposti a CILA.
A ciò è conseguito che sono ricondotte alla CILA opere quantitativamente rilevanti, quali -come è dato evincere da una lettura a contrario dell’art. 22- gli interventi di manutenzione straordinaria leggera, appunto, ovvero quelli che, pur comportando cambi di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevanti, non riguardano parti strutturali dell’edificio e non incidono sui prospetti.
26.1. Trattasi tuttavia di uno strumento di semplificazione che non trova un corrispondente nella legge generale sull’azione amministrativa (ma solo in altre normative di settore, come quella sulle attività commerciali) e che si traduce in una ancor più intensa responsabilizzazione del privato, chiamato ad assumersi in prima persona il rischio di avviare un’attività in contrasto con le complesse e talvolta contorte normative di settore, per di più solo in parte confortato dall’asseverazione del tecnico abilitato (che peraltro, secondo il tenore letterale della norma, non deve fare riferimento agli strumenti urbanistici adottati, né a tutte le normative di cui il comma 1 dell’art. 6-bis impone comunque specificamente il rispetto).
Diversamente da quanto disposto per la SCIA, sulla conformità tecnico-giuridica della CILA non è previsto un obbligo di controllo ordinario postumo entro un termine perentorio ravvicinato e, di conseguenza, un indice del legittimo avvio dell’attività oggetto della comunicazione, limitandosi la norma a introdurre una sanzione pecuniaria “secca”, pari a mille euro, ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l’intervento è in corso di esecuzione, per il caso di omessa presentazione della stessa, senza in alcun modo disciplinare l’ipotesi in cui la stessa si profili contra legem.
Da qui le questioni sollevate dalla Società circa l’impossibilità di sancire l’inefficacia della comunicazione, nonché, a suo avviso, di attivare il potere di vigilanza previsto in termini generali dall’art. 27 del T.u.e.
27. In mancanza di apposite disposizioni, l’indebito utilizzo dello strumento dichiarativo de quo è stato in passato e autorevolmente ricondotto alle ipotesi di attività edilizia radicalmente sine titulo, senza passare per il tramite della declaratoria di inefficacia, legittimando l’applicazione delle corrispondenti sanzioni.
La Commissione speciale chiamata ad esprimersi sul testo provvisorio del d.lgs. n. 222/2016 (parere n. 1784/2016) infatti ha al riguardo affermato che «In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione, laddove fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia […]”».
La differenza di regime tra la previsione di un potere meramente sanzionatorio (in caso di CILA) e quella di un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di controllo postumo in ‘autotutela’ rispetto alla SCIA si spiegherebbe, secondo il parere, «alla stregua dei principi di proporzionalità e di adeguatezza, tenuto conto che nella materia edilizia il legislatore ha costruito un sistema speciale, in cui il controllo dei poteri pubblici è meno invasivo qualora le attività private non determinino un significativo impatto sul territorio, secondo un modello che potrebbe essere chiamato di ‘semplificazione progressiva”», il quale implica che «l’attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere ‘soltanto’ conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio».
28. Tuttavia deve rilevarsi che proprio la mancata previsione di sistematicità dei controlli rischia di tradursi in un sostanziale pregiudizio per il privato, che non vedrebbe mai stabilizzarsi la legittimità del proprio progetto, di talché la presentazione della CILA, considerata anche la modesta entità della sanzione per la sua omissione, avrebbe in sostanza l’unico effetto di attirare l’attenzione dell’amministrazione sull’intervento, esponendolo ad libitum, in caso di errore sul contesto tecnico-normativo di riferimento, alle più gravi sanzioni per l’attività totalmente abusiva, che l’ordinamento correttamente esclude quando l’amministrazione abbia omesso di esercitare i dovuti controlli ordinari di legittimità sulla SCIA o sull’istanza di permesso.
29. Per tale ragione è da preferire la ricostruzione operata da questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 23.04.2021, n. 3275), che ha inteso mutuare in subiecta materia i principi via via consolidatisi con riferimento alla separazione tra autotutela decisoria e esecutiva in materia di s.c.i.a. o d.i.a., in particolare dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 45 del 2019.
Di esse, infatti, la CILA «condivide l’intima natura giuridica», sicché trovano applicazione i limiti di tempo e di motivazione declinati nell’art. 19, commi 3, 4, 6-bis e 6-ter della l. n. 241 del 1990, in combinato disposto con il richiamo alle «condizioni» di cui all’art. 21-novies della medesima normativa.
30. Anche sotto tali profili l’atto impugnato si presenta esente da censure, in quanto i passaggi procedurali intercorsi, se anche evidenziano sul piano formale comprensibili incertezze di inquadramento dogmatico, attestano su quello sostanziale la tempestività della reazione del Comune all’attività abusiva della Società, tale da escludere qualsiasi necessità di tutela dell’affidamento della stessa: a fronte, infatti, della CILA del 18.02.2021, la comunicazione di avvio del procedimento di ripristino dello stato dei luoghi è del 05.03.2021; il primo divieto di prosecuzione dell’attività è del 19.03.2021 e il relativo annullamento in autotutela è conseguito al riscontrato mancato rispetto del termine accordato alla parte, peraltro in via di assentita proroga, per presentare le proprie controdeduzioni, che non hanno inciso sull’atto finale, oggetto dell’odierno gravame.
31. Il richiamo pertanto anche alla norma fondante il potere sanzionatorio ben si giustifica nell’ottica della illiceità originaria dell’intervento effettuato, ovvero, in chiave più garantista, consegue alla illiceità comunque sopravvenuta all’esercizio dei poteri inibitori che il Comune ha attivato nei termini di legge (al riguardo, v. Cons. Stato, sez. II, 07.03.2023, n. 2371).
32. Quanto infine all’intersecarsi degli atti del Comune con le note dello Sportello unico delle attività produttive “Civitas”, di cui esso si avvale in regime di convenzione con altri enti territoriali della zona, se ne deve escludere la portata lesiva autonoma, ontologicamente incompatibile con la tipologia di funzioni delegate allo stesso, che neppure attingono la repressione degli abusi edilizi.
Vero è che la replica formale dei contenuti dei provvedimenti sanzionatori nelle note del S.U.A.P.) rischia di generare un’indebita quanto inopportuna sovrapposizione di piani, che sarebbe opportuno evitare riconducendo l’attività di quest’ultimo a mero snodo di pratiche riferibili a diverse Amministrazioni.
Va infatti ricordato come per sua natura lo sportello unico delle attività produttive (S.U.A.P.) costituisca la risposta sul piano organizzativo che l’ordinamento ha inteso contrapporre alla precedente gestione indebitamente frammentata -caratterizzata cioè dal mancato coordinamento fra l’istruttoria dei profili di rilevanza urbanistico edilizia e quelli più propriamente “produttivi”- di talune pratiche burocratiche.
Il suo scopo invero è quello di fornire al cittadino un interlocutore unico e una gestione omogenea dei procedimenti che attingono interessi diversi, urbanistici e economici, garantendo concretezza alla visione di insieme di tutti i possibili elementi di sviluppo armonico del territorio che l’intersecarsi degli strumenti urbanistici con la tutela delle esigenze dell’imprenditoria, in un’ottica europeistica di valorizzazione della concorrenza, in comparazione con altre esigenze pubblicistiche, in primis l’impatto con la residenzialità, ormai impongono (sulla finalità di “buon governo del territorio” in accezione globale, comprensiva di istanze ambientali lato sensu intese, della pianificazione commerciale, v. Cons. Stato, sez. II, 14.11.2019, n. 7839; id., 06.11.2019, n. 7560; sez. IV, 25.06.2019, n. 4343; 01.08.2018, n. 4734).
Da qui, dunque, nel caso di specie, il suo farsi veicolo della sanzione, ma non organo accertatore a sua volta, non avendone né essendosene attribuito in alcun modo le competenze.
33. In definitiva alla stregua delle osservazioni svolti l’appello va accolto nei sensi e limiti sopra esplicitati e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado (Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza 24.04.2023 n. 4110 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAncorché la CILA non possa essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell'intervento da parte dell'Amministrazione comunale, atteso che l'attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’Amministrazione, va comunque fatto salvo il potere-dovere del Comune di vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni.
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5. Partendo dall’esame del ricorso RG n. 74/2021, il Comune ha dichiarato inammissibile la CILA presentata in sanatoria sull’assunto che le opere oggetto della stessa non siano qualificabili come di manutenzione straordinaria ai sensi dell’art. 6-bis del DPR n. 380/2001, dal momento che:
   - con riferimento ai nuovi manufatti (ripostiglio “A”, capanno in legno, tettoia in legno, piscina e sistemazione esterna), sarebbero qualificabili come interventi di nuova costruzione;
   - con riferimento al capanno ad utilizzo deposito/ripostiglio oggetto di condono, sarebbe stata realizzata una ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d’uso a residenziale, con aumento del carico urbanistico e con modifica dei prospetti;
   - con riferimento al ripostiglio “B”, si tratterebbe di una ristrutturazione edilizia mediante demolizione, ricostruzione e cambio di destinazione d’uso, con aumento del carico urbanistico e mutamento dei prospetti;
   - tali manufatti, quindi, avrebbero necessitato del permesso di costruire, avendo determinato nuove superfici e nuovi volumi, mutamento delle destinazioni d’uso e dei prospetti;
   - peraltro, gli stessi sono stati realizzati in zona “A1 – Residenziale di interesse storico”, vincolata dagli strumenti urbanistici (artt. 35 e 45 delle NTA del PRG e Piano particolareggiato del centro storico).
5.1. La ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento del Comune sotto distinti profili.
5.1.1. Con il primo motivo, ella si duole del fatto che l’Amministrazione avrebbe dichiarato inammissibile la CILA basandosi su un accertamento riguardante altro e diverso procedimento, mentre la CILA avrebbe ad oggetto distinte opere.
L’assunto è infondato e ciò è verificabile per tabulas ovvero dal semplice raffronto tra la relazione tecnico-illustrativa allegata alla CILA, la relazione tecnica comunale del 21.08.2020, redatta a seguito del sopralluogo in data 11.10.2019, e il provvedimento impugnato, contenente la puntuale descrizione delle opere oggetto di CILA e rispetto alle quali la stessa è stata ritenuta inammissibile; da tali atti emerge in maniera chiara che trattasi delle medesime opere, sebbene diversamente qualificate dalla ricorrente e dal Comune quanto alla categoria edilizia.
5.1.2. Sotto altro profilo, la ricorrente assume che la CILA non avrebbe potuto essere oggetto di una declaratoria di inammissibilità.
Anche tale assunto è infondato per due ordini di considerazioni.
In primo luogo, pur aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la CILA non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell'intervento da parte dell'Amministrazione comunale, atteso che l'attività assoggettata a CILA non solo è libera, come nei casi di SCIA, ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’Amministrazione (ex multis, TAR Campania Salerno, Sez. II, 10.10.2022, n. 2627; TAR Veneto Venezia, Sez. II, 17.09.2021, n. 1101), va comunque fatto salvo il potere-dovere del Comune di vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni (TAR Veneto Venezia, Sez. II, 16.12.2019, n. 1368).
Ebbene, nel caso in esame, con la comunicazione di inammissibilità della CILA, il Comune ha anche avvisato l’interessata dell’attivazione dei propri poteri inibitori/sanzionatori con l’emissione dell’ordinanza di demolizione delle opere abusive (poi di fatto intervenuta), avendo accertato l’insanabilità delle stesse, quantomeno attraverso la presentazione di una CILA.
L’emanazione dell’ordinanza di demolizione, quindi, costituisce circostanza idonea a superare anche l’eventuale nullità della nota comunale dichiarativa dell’inammissibilità della CILA, essendo l’ordine demolitorio espressione dei poteri di vigilanza e repressivi che permangono in capo all’Amministrazione all’esito dell’attività di edilizia libera del privato.
In secondo luogo, non va taciuto che nella Regione Marche vige una specifica disciplina in ordine ai poteri che il Comune può esercitare a fronte della presentazione di una CILA.
L’art. 5 della legge regionale n. 17/2015, rubricato “Disciplina della CILA”, stabilisce testualmente:
4. Nei trenta giorni successivi alla presentazione, il SUE svolge un'attività istruttoria relativa:
   a) al controllo e alla verifica dei presupposti di legge, eseguiti sulla base delle dichiarazioni, attestazioni, asseverazioni, dichiarazioni di conformità ed elaborati grafico-progettuali allegati e della completezza della documentazione presentata in relazione alla tipologia di intervento, con particolare riguardo:
      1) al tipo di intervento descritto e asseverato, accertando che lo stesso rientri o meno tra quelli assoggettati a CILA;
      2) alla conformità dell'intervento con la disciplina urbanistica di riferimento;
      3) alla trasmissione, agli organi e alle amministrazioni competenti, delle dichiarazioni, attestazioni, asseverazioni e dichiarazioni di conformità, al fine di espletare le necessarie verifiche;
   b) alla verifica, attraverso sopralluoghi presso gli immobili oggetto dell'intervento, della tipologia delle opere in corso di esecuzione e della rispondenza delle stesse a quelle segnalate.
5. In presenza di un elevato numero di CILA presentate, se le risorse organizzative non ne consentono il controllo sistematico, l'attività di cui al comma 4 è svolta su un campione scelto mediante sorteggio quindicinale e comunque non inferiore al 20 per cento, con arrotondamento all'unità superiore.
6. Entro trenta giorni dalla data di presentazione della CILA, il SUE ordina la sospensione dei lavori se le opere previste non risultano conformi alla normativa vigente, invitando contestualmente gli interessati a conformare l'attività e i suoi effetti alla normativa o a produrre l'eventuale documentazione che integri o completi la documentazione presentata.
[…]
8. Il SUE, entro trenta giorni dalla data di presentazione della CILA, ove accerti l'inammissibilità della CILA stessa, vieta la prosecuzione dell'attività e dispone la rimozione degli effetti dannosi prodotti in conseguenza dell'esecuzione dei lavori
”.
Nel caso in esame tale disposizione risulta rispettata, atteso che il responsabile ha accertato lo stato delle opere e dei luoghi mediante sopralluogo in data 11.10.2019, non ha potuto emettere un ordine di sospensione dei lavori trattandosi di opere già eseguite -e infatti la CILA è stata presentata in sanatoria- e, ritenuta l’inammissibilità della stessa, ha disposto la rimozione dei manufatti realizzati abusivamente (TAR Marche, sentenza 13.04.2023 n. 237 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl Comune non può inibire e bloccare una Cila superbonus. Tar Calabria. Controlli e abusi.
Il Comune può controllare e reprimere gli abusi edilizi ma non ha poteri inibitori sulle comunicazioni di inizio lavori relative al superbonus.

E questo in estrema sintesi il principio affermato dal Tar Calabria (ordinanza 13.04.2023 n. 175) in una pronuncia che si allinea a quello che la giurisprudenza amministrativa ha già più volte affermato sulle Cila, applicandolo anche alla comunicazione relativa al superbonus.
Il caso viene affrontato dai giudici in via cautelare e riguarda un provvedimento con il quale il Comune di Corigliano Rossano (in provincia di Cosenza) ha dichiarato inefficace la comunicazione di inizio lavori asseverata, in versione superbonus (quindi senza attestazione dello stato legittimo), presentata da un condominio per interventi di manutenzione straordinaria di efficientamento energetico.
Il condominio in questione chiede di annullare quel provvedimento e, comunque, di sospenderlo in via cautelare. E i giudici, pronunciandosi proprio sull'opportunità di attivare una misura di urgenza, danno ragione ai ricorrenti. Spiega, allora, l'ordinanza: «E dubbio che l'amministrazione, salvi i poteri repressivi in caso di edificazione abusiva, possa esercitare poteri inibitori rispetto ai lavori oggetto di comunicazione».
L'osservazione nasce «alla luce della giurisprudenza in via di consolidamento sulla natura della Cila». II riferimento è alle molte sentenze, anche del Consiglio di Stato, che hanno affermato un principio.
La Cila è, in sostanza, una comunicazione del privato al Comune, quindi è diversa ad esempio da una Scia o da un permesso di costruire, per i quali è previsto un controllo sistematico. Per questi motivi può essere considerata inefficace solo in casi molto limitati, sui quali comunque la discussione è aperta: ad esempio, l'inefficacia ha senso nel caso in cui la Cila superi i limiti previsti dalla legge, toccando interventi per i quali sono previsti altri titoli.
Questi principi si applicano identici alla Cilas e ai lavori che accedono al 110% e al 90 per cento.
Il Comune, allora, non ha poteri preventivi di inibire i lavori di superbonus, ma può intervenire certamente nel caso in cui ci siano degli abusi edilizi. Osservazioni in linea con quanto ha da poco affermato anche il Tar Veneto (ordinanza 13.03.2023 n. 128, si veda Il Sole 24 Ore del 24 aprile).
Da sottolineare, infine, il fatto che i giudici ammettano la necessità di accedere ai bonus edilizi, con le scadenze legate al superbonus, come ragione per chiedere un intervento d'urgenza al Tar. «Ritenuto, dunque, che il ricorso presenti il fumus di fondatezza, sussistendo anche il periculum in mora in considerazione del rischio di perdita dei benefici fiscali», spiega su questo punto l'ordinanza (articolo Il Sole 24 Ore del 12.05.2023).
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ORDINANZA
... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
   - del provvedimento del Comune di Corigliano Rossano, Settore 10 – Urbanistica e Commercio, Sevizio 3 Edilizia Privata del 02.03.2023, n. 27944, di conferma del precedente provvedimento del 27.12.2022, n. 131425, con cui è stata dichiarata inefficace la comunicazione di inizio lavori asseverata –Superbonus – presentata in data 22.11.2022, pratica SUE 4069, prot. n. 118829, avente ad oggetto interventi di manutenzione straordinaria di efficientamento energetico.
...
   Ritenuto, anche alla luce della giurisprudenza in via di consolidamento sulla natura della CILA (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 23.04.2021, n. 3275; TAR Campania–Salerno, Sez. II, 10.10.2022, n. 2627; TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, 03.08.2021, n. 721), che è dubbio che l’amministrazione, salvi i poteri repressivi in caso di edificazione abusiva, possa esercitare poteri inibitori rispetto ai lavori oggetto di comunicazione;
   Ritenuto, dunque, che il ricorso presenti il fumus di fondatezza, sussistendo anche il periculum in mora in considerazione del rischio di perdita dei benefici fiscali;
   Ritenuto, dunque, di dover accogliere l’istanza cautelare, compensando allo stato tra le parti le spese e le competenze di lite...

EDILIZIA PRIVATAIl comune blocca i lavori anche con la Cila-superbonus.
La Cila-Superbonus non impedisce al comune di fermare i lavori. In presenza di difformità edilizie il comune può vietare l'esecuzione delle opere previste nella pratica di Cila Superbonus 110%.

È quanto ha stabilito il TAR per il Veneto, Sez. II, con l'ordinanza 13.03.2023 n. 128, dando torto alla proprietaria di un immobile che aveva presentato un'istanza cautelare per l'annullamento di due note dello Sportello unico edilizia che vietavano l'esecuzione delle opere di cui alla pratica Cila Superbonus dalla stessa presentata.
La portata dell'ordinanza è però molto più ampia poiché, per la prima volta, un Tribunale amministrativo regionale ha messo nero su bianco che la Cila, di cui la Cila-Superbonus costituisce una specifica variante, è “un atto privato di mera comunicazione, a fronte del quale l'Amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall'art. 27 dpr. 380/2001” e che l'eliminazione dell'obbligo di attestare lo stato legittimo dell'immobile, introdotta dal decreto legge 31.05.2021, n. 77, appare finalizzata solo a semplificare la presentazione delle pratiche relative al Superbonus, “riducendone i costi e gli incombenti”, senza incidere sul “potere-dovere del Comune di reprimere gli abusi edilizi che, per regola generale, vanno sempre rimossi o sanati, esclusa ogni forma di legittimazione del fatto compiuto”.
La semplificazione, che era stata introdotta dal legislatore per bypassare le strutturali carenze degli Sportelli unici edilizia per evadere le richieste di accesso agli atti, nulla cambia dunque sul piano del diritto amministrativo.
Scricchiola così un altro dei tasselli sui cui si è fondata la corsa al Superbonus.
Sono frequenti infatti i casi in cui, a seguito del (solo apparente) “lascia passare” previsto dal decreto n. 77/2021, sono stati avviati (e ora terminati) lavori di efficientamento energetico o antisismico di fabbricati in presenza di difformità edilizie più o meno gravi, nella convinzione di poter derogare incondizionatamente le disposizioni di cui all'art. 49 del T.U. edilizia, che vietano l'utilizzo di qualsiasi detrazione fiscale in presenza di abusi edilizi.
Se è vero infatti che la perdita del Superbonus, come stabilito dal comma 13-ter dell'art. 119 del DL 34/2020, è prevista solo al verificarsi di specifiche fattispecie:
   - mancata presentazione della CilaS;
   - interventi realizzati in difformità della CilaS;
   - assenza del titolo che ha previsto la costruzione dell'immobile;
   - non corrispondenza al vero delle attestazioni del rispetto dei requisiti previsti dalla normativa sul superbonus.
È vero anche che, come specificato al successivo comma 13-quater dello stesso decreto, pur non essendo necessaria l'attestazione dello stato legittimo dell'immobile da parte del professionista incaricato, “resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento”.
Il Tar Veneto dunque, nel dar ragione allo Sportello edilizia privata che aveva negato l'esecuzione dei lavori ha “suggerito” di avviare parallelamente alla Cila l'iter di sanatoria delle opere edilizie difformi presenti nel fabbricato, tanto più se l'evasione della pratica “può avvenire celermente, in tempi compatibili con la realizzazione dei lavori di efficientamento energetico oggetto di agevolazioni”. Si legge in sentenza, infatti, che il comune, in sede di discussione orale, avrebbe dichiarato di “poter esaminare celermente l'istanza”.
Solo così, secondo la giustizia amministrativa, in presenza di opere illegittime in un fabbricato oggetto di lavori di ristrutturazione meritevoli del superbonus, può ritenersi “garantito” l'ottenimento dell'agevolazione fiscale (articolo ItaliaOggi del 17.05.2023).

EDILIZIA PRIVATACilas e stato legittimo, il Comune mantiene la vigilanza sugli abusi. Tar Veneto: l’eliminazione dello stato legittimo ha la sola funzione di semplificare le procedure.
L’assenza di attestazione dello stato legittimo degli immobili, tipica della Comunicazione di inizio lavori asseverata del superbonus, non ha effetti sui poteri di controllo dei Comuni in materia di abusi edilizi.

È il principio illustrato dal TAR Veneto (ordinanza 13.03.2023 n. 128) in una recente ordinanza cautelare (commento tratto da https://ntplusfisco.ilsole24ore.com).
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... per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,
   - della nota del 07.12.2022 n. 27999 prot., comunicata in pari data, con la quale il Responsabile del Servizio Edilizia Privata ha vietato l'esecuzione delle opere di cui alla pratica CILAS Superbonus 110% DLFMPR37L48L949F-07112022-1359, relativa ad un edificio sito a Sommacampagna, Via ... n. 6;
   - della nota del 20.12.2022 n. 29040 prot., comunicata in pari data, con la quale il Responsabile del Servizio Edilizia Privata ha vietato l'esecuzione delle opere di cui alla pratica CILAS Superbonus 110% DLFMPR37L48L949F-21112022-1459, relativa ad un edificio sito a Sommacampagna, Via ... n. 4;
...
L’istanza cautelare non merita accoglimento in quanto gli atti impugnati sembrano avere una mera valenza informativa e appaiono prima facie inidonei ad arrecare una lesione certa e definitiva degli interessi della ricorrente.
La giurisprudenza ha, invero, chiarito che l'attività assoggettata a C.I.L.A. (di cui la CILA-Superbonus costituisce una specifica variante) non solo è libera, come nei casi di S.C.I.A., ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie.
Trattasi, pertanto di un atto privato di mera comunicazione, a fronte del quale l’Amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR 380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con CILA/CILAS non hanno carattere provvedimentale, ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere legislativamente tipizzato (Consiglio di Stato parere 04.08.2016, n. 1784; TAR Veneto, sez. II, 27.03.2020; TAR Toscana, Sezione III, 10.11.2016, n. 1625, TAR Napoli, sez. II, 08/05/2019, n. 2469; TAR Veneto, sez. II, 27.03.2020, n. 307; TAR Puglia, Lecce, sez. I, 26.04.2022 n. 649).
Anche a ritenere immediatamente lesivi gli atti impugnati, l’istanza cautelare non merita comunque accoglimento in quanto l’eliminazione dell’obbligo di attestare lo stato legittimo dell’immobile, introdotta dal decreto-legge 31.05.2021, n. 77, convertito con modificazioni, dalla legge 29.07.2021, n. 108, appare finalizzata solo a semplificare la presentazione delle “pratiche” relative al cd. Superbonus 110, riducendone i costi e gli incombenti, e potrebbe, a tutto concedere, assumere rilevanza a meri fini tributari, nel senso di impedire al Fisco di negare i benefici fiscali in caso di difformità edilizie -tema che andrebbe, tuttavia, approfondito nelle competenti sedi amministrative e giurisdizionali, non apparendo prima facie priva di contraddizioni una regula iuris che imponga allo Stato di incentivare, con una detrazione fiscale del 110%, l’ammodernamento o efficientamento energetico di immobili interessati da illeciti edilizi- ma non incide sul potere-dovere del Comune di reprimere gli abusi edilizi, che, per regola generale, vanno sempre rimossi o sanati, esclusa ogni forma di legittimazione del fatto compiuto.
Sul piano del diritto amministrativo, che in questa sede maggiormente rileva, resta fermo il principio generale secondo cui affinché gli interventi edilizi possano essere lecitamente realizzati, è necessario non soltanto il possesso del relativo titolo edilizio (ove prescritto), ma anche la loro afferenza ad immobili non abusivi, tenuto conto che altrimenti, le opere aggiuntive parteciperebbero comunque delle stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale, con un effetto di propagazione dell’illecito (cfr., ex multis, Cons. St. n. 2171/2022).
La natura essenzialmente privatistica della CILA/CILAS non preclude al Comune di esercitare il proprio potere di controllo in materia edilizia. Pur non sussistendo, in materia di CILA/CILAS, un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, restano intatti i poteri di vigilanza contro gli abusi edilizi (o la loro propagazione) previsti in via generale dall'art. 27, d.P.R. n. 380/2001, come conferma lo stesso art. 119, comma 13-quater, del D.L. 34/2020, laddove dispone che “fermo restando quanto previsto al comma 13-ter (ovvero che la presentazione della CILA-Superbonus non richiede l'attestazione dello stato legittimo), “resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell’immobile oggetto di intervento”;
Ferme le considerazioni che precedono in ordine all’assenza del fumus boni iuris, non sembra neppure sussistere il requisito del pregiudizio grave e irreparabile, ben potendo gli interessati ovviare al prospettato periculum in mora, con la rimozione degli abusi o con la presentazione di una istanza di sanatoria (sinora mai proposta), che il Comune, in sede di discussione orale, ha dichiarato di poter esaminare celermente, in tempi compatibili con la realizzazione dei lavori di efficientamento energetico oggetto di agevolazione anelati dalla parte ricorrente (TAR Veneto, Sez. II, ordinanza 13.03.2023 n. 128 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2021

EDILIZIA PRIVATAEcco come funziona la «SuperCila»: niente allegati e stop allo stato legittimo.
Da oggi sarà possibile utilizzare la "Cilas", cioè il modello di «Comunicazione inizio lavori asseverata - superbonus» che ieri la Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali ha definitivamente approvato, in tempi brevissimi, dopo la conversione in legge del Dl 77/2021.

Come anticipato dal Sole 24 Ore dei giorni scorsi, con il nuovo modello sono tre i cardini della semplificazione:
   1) non occorre documentare lo «stato legittimo» degli immobili per avviare i lavori nell'ambito del superbonus; resta naturalmente aperta la via ai controlli da parte dei Comuni sugli abusi edilizi, la cui presenza blocca la concessione del bonus;
   2) il professionista incaricato attesterà l'esistenza del titolo abilitativo, dell'esistenza di eventuali condoni edilizi o del fatto che la costruzione sia precedente al 01.09.1967;
   3) sarà possibile presentare anche varianti in corso d'opera.
La Cilas, a sua volta, potrà anche essere presentata come variante a quella già esistente per i lavori già in corso per lavori da superbonus.
Il modello
La compilazione del modello (già disponibile on-line) è semplice.
Nella parte iniziale della nuova Comunicazione saranno indicati i dati del titolare dell'intervento ed, eventualmente, quelli del condominio, ente, Onlus che presenta la Cila. In caso di interventi trainati su parti private, i dati relativi alle unità interessate saranno riportati in un modello allegato. Il titolare dell'intervento dichiarerà che le opere oggetto della Cila riguardano o meno parti comuni di un fabbricato condominiale ed, eventualmente, anche singole unità abitative.
In caso di lavoro condominiale, servirà la delibera dell'assemblea. L'elaborato progettuale consiste nella mera descrizione, in forma sintetica, dell'intervento da realizzare. Solo se necessario il progettista potrà allegare elaborati grafici illustrativi.
Le esclusioni
In ogni caso, come ricordato anche nella guida "Quaderno Cila superbonus" (luglio 2021 - n. 28) preparata da Anci in tempo record, le misure di semplificazione non potranno essere applicate agli interventi di super sismabonus con demolizione e ricostruzione integrale.
Tra l'altro, la nuova normativa consente l'utilizzo della Cilas anche per gli interventi su parti strutturali dell'edificio, considerati manutenzione straordinaria. Fabrizio Pistolesi, che ha partecipato ai lavori sul modello per il Consiglio nazionale degli architetti, ricorda che per le opere di miglioramento sismico «ci vuole il deposito al Genio Civile di un progetto o relazione, a seconda delle Regioni».
Inoltre, in caso di immobili assoggettati a vincolo in base al Dlgs 42/2004, resta ferma la necessità di acquisire l'assenso dell'Ente competente. Del resto, più in generale, come spiegato dall'Anci, se la realizzazione degli interventi preveda la richiesta di atti o autorizzazioni di enti sovraordinati rispetto alle amministrazioni comunali (come per la prevenzione incendi) la Cilas non supera, ovviamente, la vigente normativa in materia.
L'azione congiunta
Al successo dell'operazione hanno concorso molti attori, coordinati dalla Funzione pubblica: Regioni, Anci (che avrebbe voluto nel Dl una semplificazione maggiore e ha ottenuto la possibilità di omettere allegati e di effettuare varianti), Upi, Ance, Entrate, Transizione ecologica, Infrastrutture e Rete delle professioni tecniche (articolo NT+Enti Locali & Edilizia del 05.08.2021).

anno 2020

EDILIZIA PRIVATALa declaratoria comunale di improcedibilità e archiviazione della CILA è affetta da intrinseca carenza di potere, ed è pertanto nulla ai sensi dell’art. 21-septies L. n. 241/1990.
Come la giurisprudenza ha più volte già messo in luce, nel caso della CILA la sollecitazione che il privato offre alla pubblica autorità non è preordinata, come per la SCIA, di cui pure condivide il carattere liberalizzato dell’attività edilizia, all’esercizio sistematico del potere di controllo, dalla legge tipizzato all’art. 19 L. n. 241/1990, ma semplicemente all’esercizio (tradizionale per così dire) del potere di repressione degli abusi edilizi ex art. 27 D.p.r. n. 380/2001.
Pertanto, l’adozione di un provvedimento cassatorio, afferente alla CILA, manifesta una intrinseca carenza di potere, da stigmatizzare con la declaratoria di nullità.
Si impone, quindi, l’accoglimento del motivo di ricorso diretto a contestare l’adozione di un provvedimento negatorio (improcedibilità e archiviazione) nei confronti delle opere indicate nella CILA, costituente esercizio di un potere non tipizzato dalla legge (l’art. 6-bis D.p.r. n. 380/2001 non fornisce infatti alla p.a. i poteri espressi previsti nel caso della SCIA dall’art. 19 della L. n. 241/1990, variamente richiamati anche nel testo unico edilizia).

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6. Nel merito, si osserva che:
- la declaratoria di improcedibilità e archiviazione della CILA è affetta da intrinseca carenza di potere, ed è pertanto nulla ai sensi dell’art. 21-septies L. n. 241/1990.
Come la giurisprudenza ha più volte già messo in luce (v. Tar Catanzaro, 29.11.2018, n. 2052), nel caso della CILA la sollecitazione che il privato offre alla pubblica autorità non è preordinata, come per la SCIA, di cui pure condivide il carattere liberalizzato dell’attività edilizia, all’esercizio sistematico del potere di controllo, dalla legge tipizzato all’art. 19 L. n. 241/1990, ma semplicemente all’esercizio (tradizionale per così dire) del potere di repressione degli abusi edilizi ex art. 27 D.p.r. n. 380/2001.
Pertanto, l’adozione di un provvedimento cassatorio, afferente alla CILA, manifesta una intrinseca carenza di potere, da stigmatizzare con la declaratoria di nullità.
Si impone, quindi, l’accoglimento del motivo di ricorso diretto a contestare l’adozione di un provvedimento negatorio (improcedibilità e archiviazione) nei confronti delle opere indicate nella CILA, costituente esercizio di un potere non tipizzato dalla legge (l’art. 6-bis D.p.r. n. 380/2001 non fornisce infatti alla p.a. i poteri espressi previsti nel caso della SCIA dall’art. 19 della L. n. 241/1990, variamente richiamati anche nel testo unico edilizia).
Nondimeno, atteso che non è comunque preclusa, come chiarito, l’attività di vigilanza e repressione degli eventuali abusi edilizi, si rileva ulteriormente che il potere repressivo è stato già speso dall’autorità comunale, essendosi all’uopo estrinsecato nella gravata ordinanza demolitoria, di contestazione dei ritenuti abusi edilizi (illegittima tuttavia per quanto sopra rilevato).
Tale assunto consente altresì di ritenere non necessario l’esame delle ulteriori censure, di carattere urbanistico-edilizio, contenute nel provvedimento prot. n. 7820 del 25.06.2018, in quanto non espressamente riportate o menzionate nella successiva ordinanza demolitoria (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 29.06.2020 n. 764 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: L'annullamento della CILA è nullo, ai sensi dell’art. 21-septies L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato.
Il regime della edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001 -e dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente da quello della s.c.i.a., non prevede una fase di controllo successivo sistematico (da esperirsi entro un termine perentorio) che -in caso di esito negativo- si chiude con un provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art. 19, co. 3, della L. n. 241, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”).
La CILA, piuttosto, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di un unico potere, che è quello sanzionatorio, da esercitare in caso di c.i.l.a. mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità, ma pur sempre eseguibili con c.i.l.a..
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Con atto ritualmente notificato e depositato, il ricorrente ha riferito di avere trasmesso al Comune di Gibellina una comunicazione di inizio lavori asseverata (c.i.l.a.) per modifiche interne e realizzazione di un servizio igienico in un locale destinato ad attività commerciale, sito in Gibellina, via ... n. ....
Alla presentazione della comunicazione ha fatto seguito la richiesta, da parte del Comune, del certificato di agibilità dei locali, prodotto dal ricorrente.
Tuttavia, il Comune, con il provvedimento impugnato, ha disposto l’annullamento della c.i.l.a., ritenendo che fosse necessario un certificato di agibilità successivo ad una modifica di destinazione d’uso, presuntivamente intervenuta nel 2006, a seguito della presentazione di un’istanza relativa a dei lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e cambio di destinazione d’uso (avanzata il 26.09.2006); a tale richiesta, come risulta dalla motivazione del provvedimento oggi all’esame, non ha fatto seguito la produzione della documentazione integrativa richiesta dal Comune, né una comunicazione di inizio lavori.
Il ricorrente ha, quindi, chiesto l’annullamento, previa sospensione cautelare, del provvedimento impugnato -con il quale è stata dichiarata l’insussistenza dei presupposti della c.i.l.a. e, sostanzialmente, disposto il suo “annullamento”, come risulta dalla scheda informatica della pratica edilizia- deducendone l’illegittimità, sotto diversi profili.
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Ciò premesso, si rileva che l’istanza avanzata dal ricorrente non ha ad oggetto la modifica di destinazione d’uso dell’immobile, ma soltanto la realizzazione di opere interne e servizi.
L’oggetto della comunicazione, invero, è così indicato nella scheda informatica e nella richiesta di documentazione integrativa del 20 gennaio 2020.
Si tratta, dunque, di lavori di manutenzione straordinaria, di cui all’art. 3, co. 2, lett. a), della L.R. n. 16 del 10.08.2016.
Orbene, il detto art. 3, rubricato “Recepimento con modifiche dell’articolo 6 <Attività edilizia libera> del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380”, al comma 5, stabilisce che “La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori di cui al comma 2, ovvero la mancata comunicazione asseverata dell’inizio dei lavori di cui al comma 3, comportano la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione”.
Va specificato che il regime della edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001 -e dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente da quello della s.c.i.a., non prevede una fase di controllo successivo sistematico (da esperirsi entro un termine perentorio) che -in caso di esito negativo- si chiude con un provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art. 19, co. 3, della L. n. 241, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”); la CILA, piuttosto, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di un unico potere, che è quello sanzionatorio, da esercitare in caso di c.i.l.a. mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità, ma pur sempre eseguibili con c.i.l.a. (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 22/01/2020, n. 126; TAR Sicilia, Catania, sez. I, 16/07/2018, n. 1497; TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 18/06/2018, n. 1380).
Peraltro, ove l’amministrazione avesse riscontrato, nell’ambito di un sopralluogo, l’esecuzione di lavori abusivamente realizzati in precedenza –quale la discussa modifica di destinazione d’uso, mai intervenuta, secondo parte ricorrente- ben avrebbe potuto attivare i poteri sanzionatori o repressivi previsti per tali ipotesi dalla legge, non potendo, invece, tale, supposta circostanza dar luogo all’esercizio di un potere (annullamento della c.i.l.a.) non previsto dall’ordinamento.
Il provvedimento impugnato, dunque, è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato.
Il ricorso, dunque, va accolto, ritenuta la fondatezza del primo motivo del ricorso (indicato sub 2.) (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 15.06.2020 n. 1179 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATALa peculiare natura giuridica della CILA non preclude all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori, implicitamente previsti dall’art. 6-bis DPR n. 360/2001, nel caso in cui l’attività libera non coincida con l’attività ammessa.
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Nel caso in esame, il Comune ha fatto legittima applicazione del potere che ad esso compete in termini di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e tale potere è stato esercitato tempestivamente, anche con riferimento al termine ragionevole di cui all’art 21-nonies della legge n. 214/1990.
Aggiungasi che nell’esercizio del potere di vigilanza sulla attività edilizia non sussiste alcun obbligo, in capo alla Amministrazione, di ulteriore comparazione degli interessi privati coinvolti né alcun affidamento del privato, meritevole di tutela, al mantenimento delle opere abusive per effetto del decorso del tempo.
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... per l'annullamento della D.D. del Dirigente del Servizio Sportello Unico dell’edilizia del Comune di Napoli, notificata in data 08.04.2019, con cui si dichiara l’inefficacia della CILA edilizia n. CIL_7223_2018 – PG/11289/2019, inoltrata dal ricorrente in data 30.12.2018;
...
Orbene, il motivo di ricorso è infondato.
Ed invero, il riferimento al consolidamento degli effetti della SCIA e delle sue successive integrazioni è del tutto irrilevante in quanto, come già in precedenza evidenziato, la CILA in oggetto veniva presentata dal ricorrente per l’esecuzione di lavori diversi rispetto a quelli segnalati con la SCIA n. 467/12.
Quanto alla CILA, invece, deve ritenersi che la peculiare natura giuridica di tale comunicazione non precluda all’Amministrazione l’esercizio degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori, implicitamente previsti dall’art. 6-bis DPR n. 360/2001, nel caso in cui l’attività libera non coincida con l’attività ammessa (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. II, 17.09.2018 n. 5516; TAR Veneto, Sez. II, 15.04.2015 n. 415).
Nel caso in esame, quindi, il Collegio è dell’avviso che il Comune abbia fatto legittima applicazione del potere che ad esso compete in termini di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale e che tale potere sia stato esercitato tempestivamente, anche con riferimento al termine ragionevole di cui all’art 21-nonies della legge n. 214/1990; aggiungasi che nell’esercizio del potere di vigilanza sulla attività edilizia non sussiste alcun obbligo, in capo alla Amministrazione, di ulteriore comparazione degli interessi privati coinvolti né alcun affidamento del privato, meritevole di tutela, al mantenimento delle opere abusive per effetto del decorso del tempo (TAR Napoli, sez. V, sent. n. 5319, 24.09.2019) .
In conclusione, l’operato del Comune risulta corretto in quanto diretto a sanzionare opere che, pur se riguardanti l'assetto interno dei locali, miravano a trasformare abusivamente lo scantinato in locali ad uso abitativo, con conseguente aumento di superficie e di volume dell'unità abitativa preesistente e, per di più, in assenza dei parametri minimi di abitabilità prescritti per le unità abitative. Per quanto rilevato, il ricorso va respinto (TAR Campania-Napoli, Sez. IV, sentenza 06.04.2020 n. 1338 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAL’atto con cui, negata la validazione dirigenziale, è stata affermata l’inefficacia della CILA in sanatoria è un atto privo di contenuto autenticamente provvedimentale.
Il Consiglio di Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784 sullo schema di D.Lgs. 222/2016 ha chiarito che “l'attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie”.
Si tratta, pertanto di un atto privato di mera comunicazione, a fronte del quale l’amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR 380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno carattere provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere legislativamente tipizzato.
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Il ricorso introduttivo è inammissibile, essendo stato impugnato l’atto con cui, negata la validazione dirigenziale, è stata affermata l’inefficacia della CILA in sanatoria.
Si tratta di un atto privo di contenuto autenticamente provvedimentale.
Il Consiglio di Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784 sullo schema di D.Lgs. 222/2016 ha chiarito che “l'attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest'ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie”. Si tratta, pertanto di un atto privato di mera comunicazione, a fronte del quale l’amministrazione conserva il generale potere-dovere di esercitare, in ogni tempo, i poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 DPR 380/2001.
Pertanto, eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno carattere provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere legislativamente tipizzato (TAR Toscana, Sezione III, 10.11.2016, n. 1625, TAR Napoli, (Campania) sez. II, 08/05/2019, n. 2469).
Né vale a mutare tale natura la circostanza che il medesimo atto contenga anche il diniego di validazione dirigenziale. Il suddetto procedimento, disciplinato dall’art. 4, commi da 5 a 10 delle N.T.O. al Piano degli Interventi, mira alla valutazione della compatibilità dei progetti relativi ad edifici classificati con le prescrizioni di tutela laddove gli interventi proposti esulino dall’intervento guida.
La circostanza che il Piano degli interventi preveda un meccanismo procedimentale semplificato per la verifica della conformità al P.I. dei progetti relativi ad edifici classificati, non muta la natura del potere esercitato dal Comune che, nella specie, come si è detto, è riconducibile a quelli repressivo-sanzionatori previsti dall’art. 27 D.P.R. 380/2001.
La “validazione dirigenziale”, infatti, non costituisce esplicazione di un potere autonomo rispetto a quello che il Comune esercita, in base alla legge, nel controllo dell’attività di edilizia, e, pertanto, ad esso va riconosciuta natura endoprocedimentale, la cui efficacia lesiva è differita al momento in cui sono esercitati i poteri sanzionatori conseguenti (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 27.03.2020 n. 307 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAIl collegio intende uniformarsi al proprio precedente specifico, che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di diniego di c.i.l.a., ai sensi dell’art. 21-septies della L. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, restando salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’ente territoriale.
Occorre premettere che la c.i.l.a. è “un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private, avente carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22, del D.P.R. 380/2001, riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a..
Essa è dunque un atto avente natura privatistica, non suscettibile di autonoma impugnazione.
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato ha rilevato come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, giova per altro osservare che, in materia edilizia, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, la P.A. mantiene fermo il potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis.
In ragione di quanto sopra, quindi, la c.i.l.a. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, da parte dell’amministrazione comunale, ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia.
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... per l'annullamento delle determine in data 11.07.2019, recanti n. 59877 e n. 59909, con cui il Comune di Corigliano-Rossano ha prima dichiarato l’inefficacia della c.i.l.a. n. 31314 dell’08.04.2019, avente ad oggetto l’esecuzione di opere edili e successivamente respinto la s.c.a. n. 50209 dell’11.06.2019.
...

Il ricorso è fondato e va accolto.
Quanto al primo provvedimento, il collegio intende uniformarsi al proprio precedente specifico, che ha affermato l’illegittimità del provvedimento di diniego di c.i.l.a., ai sensi dell’art. 21-septies della L. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis del D.P.R. n. 380/2001, restando salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’ente territoriale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 29.11.2018 n. 2052).
Occorre premettere che la c.i.l.a. è “un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private, avente carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 del D.P.R. 380/2001, riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a. (cfr. Cons. Stato, parere 04.08.2016 n. 1784).
Essa è dunque un atto avente natura privatistica, non suscettibile di autonoma impugnazione (cfr. TAR Catania, Sez. I, 16.07.2018 n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato, nel menzionato parere, ha rilevato come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, giova per altro osservare che, in materia edilizia, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, la P.A. mantiene fermo il potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis (cfr. Cons. Stato, cit.).
In ragione di quanto sopra, quindi, la c.i.l.a. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento, da parte dell’amministrazione comunale, ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 22.01.2020 n. 126 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2019

EDILIZIA PRIVATANon è condivisibile l’assunto secondo cui l’amministrazione comunale non disporrebbe del potere di inibire l’intervento comunicato con CILA nel caso in cui esso rientri tra quelli previsti dall’art. 6-bis D.P.R. 380/2001 ma risulti in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente.
L’art. 6-bis, infatti, nel far “salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”, non esclude l’assoggettabilità dell’intervento al generale potere di vigilanza posto in capo al Comune dall’art. 27 DPR 380/2001, mentre la sanzione pecuniaria è prevista solo nel caso in cui l’unica violazione riscontrata sia la mancata comunicazione di inizio lavori.
La CILA, infatti, è un istituto di semplificazione che -a differenza di quanto si prevede per la SCIA e il permesso di costruire- esclude l’assoggettamento degli interventi che ne costituiscono oggetto al controllo sistematico da parte dell’amministrazione, ma non deroga al potere-dovere del Comune di vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni.
Nel caso in cui l’amministrazione rilevi, autonomamente o perché sollecitata da terzi, che l’attività oggetto di CILA è in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia ha il dovere di porre in essere i provvedimenti inibitori previsti nell’ambito della propria attività di vigilanza.
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FATTO
La società Fi.It. s.r.l. il 23.12.2016 ha concesso in locazione alla società Va.Im. s.r.l. (che, a sua volta l’ha concessa in sublocazione a Va. s.r.l.) un capannone industriale collocato in zona D5 “zona per attività produttive di riqualificazione urbana” del Comune di Lozzo Atesino.
Prima che l’immobile fosse locato, la Fi. vi svolgeva attività di stampaggio, molto rumorosa, cessata nel 2013. Afferma il ricorrente che, in ragione del disturbo che tale attività provocava agli abitanti della zona, il capannone è stato individuato dallo strumento urbanistico comunale tra quelli ove si svolge un’“attività produttiva da trasferire”, la cui disciplina è dettata dall’art. 1.6 delle n.t.o.
La società Va. ha affittato il capannone per utilizzarlo come a magazzino a servizio dell’attività conserviera svolta da altra società appartenente al medesimo gruppo, il cui stabilimento si trova a poca distanza.
Per realizzare tale destinazione, la Va.Im. ha presentato, l’11.01.2017, una CILA per modificare la destinazione d’uso e ripartire diversamente gli spazi interni.
Il 16.01.2017 il Comune ha inviato alla società una comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10-bis, l. 241/1990 e, successivamente, dopo aver acquisito le osservazioni della società ricorrente, il 24.02.2017, ha ordinato alla Va.Im. ed alla società Fi.It. di non svolgere l’intervento comunicato con la c.i.l.a..
Il provvedimento inibitorio reca una duplice motivazione:
   - le modifiche interne si riferiscono ad un immobile parzialmente abusivo per cui pende un’istanza di sanatoria;
   - “il riutilizzo dell’immobile per attività di magazzino contrasta con gli artt. 1.6. e 6.9 del vigente p.r.g. in quanto si configura come nuovo insediamento dopo l’avvenuta cessazione dell’attività della società Fi.”.
In data 10.03.2017, il ricorrente, per ovviare al primo rilievo, ha presentato una nuova CILA, con cui ha circoscritto l’ambito spaziale delle modifiche interne in modo da lasciare fuori la parte oggetto dell’istanza di sanatoria.
Il Comune ha adottato l’ordinanza n. 17 del 30.05.2017, recante l’ordine di non effettuare l’intervento oggetto della C.I.L.A. presentata dalla società Fi.It. s.r.l. in data 10.03.2017 per le stesse ragioni sottese all’analogo provvedimento relativo alla CILA del 11.01.2017.
Anche questa ordinanza è impugnata, con motivi aggiunti identici a quelli formulati con il ricorso originario.
Si è costituito il Comune di Lozzo Atesino, controdeducendo nel merito.
All’udienza del 18.07.2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Le censure contenute nel ricorso originario e nel ricorso per motivi aggiunti, benché riferiti a provvedimenti diversi, appaiono in parte sovrapponibili e possono, pertanto, essere trattate congiuntamente, salvi i diversi effetti che ne derivano in relazione ai singoli provvedimenti impugnati.
2. Il primo motivo del ricorso originario, identico al primo mezzo del ricorso per motivi aggiunti, lamenta l’illegittimità del provvedimento inibitorio adottato dall’Amministrazione, perché perplesso:
   - non individuando il fondamento normativo del potere esercitato;
   - non essendo riconducibile ai poteri di cui l’amministrazione dispone a fronte di un intervento soggetto al regime della CILA (solo sanzionatorio e non inibitorio);
   - non essendo riconducibile a quelli relativi agli interventi soggetti a SCIA, mancando le valutazioni relative alla sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-nonies;
   - non essendo riconducibile a quelli relativi all’art. 31 DPR 380/2001, essendo gli interventi non soggetti a permesso di costruire.
Le censure non sono fondate.
Non è condivisibile l’assunto secondo cui l’amministrazione non disporrebbe del potere di inibire l’intervento comunicato con CILA nel caso in cui esso rientri tra quelli previsti dall’art. 6-bis D.P.R. 380/2001, ma risulti in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia vigente.
L’art. 6-bis, infatti, nel far “salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente”, non esclude l’assoggettabilità dell’intervento al generale potere di vigilanza posto in capo al Comune dall’art. 27 DPR 380/2001, mentre la sanzione pecuniaria è prevista solo nel caso in cui l’unica violazione riscontrata sia la mancata comunicazione di inizio lavori.
La CILA, infatti, è un istituto di semplificazione che -a differenza di quanto si prevede per la SCIA e il permesso di costruire- esclude l’assoggettamento degli interventi che ne costituiscono oggetto al controllo sistematico da parte dell’amministrazione, ma non deroga al potere-dovere del Comune di vigilare sul rispetto della normativa urbanistico-edilizia e di inibirne le violazioni.
Nel caso in cui l’amministrazione rilevi, autonomamente o perché sollecitata da terzi, che l’attività oggetto di CILA è in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia ha il dovere di porre in essere i provvedimenti inibitori previsti nell’ambito della propria attività di vigilanza (TAR Calabria 29/11/2018 n. 2052, TAR Catania 16/07/2018 n. 1497) (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 16.12.2019 n. 1368 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATAIl provvedimento di annullamento in autotutela della CILA è illegittimo perché il Comune non dispone del potere di annullamento di una comunicazione relativa ad attività di edilizia libera, ma può unicamente verificare che tale attività sia conforme alle prescrizioni urbanistiche ed agire di conseguenza.
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Va premesso che il provvedimento gravato è composto da due distinte parti dispositive: sotto un primo profilo, è disposto l’annullamento in autotutela della CILA n. 578/2017 per cambio di destinazione d’uso per false dichiarazioni e falsa rappresentazione dello stato dei luoghi; sotto distinto profilo, è ordinato il ripristino dello stato dei luoghi come rappresentato nella PE 578/2017, comprensivo della destinazione urbanistica originaria (negozio).
Ebbene, il Collegio ritiene (aderendo all’orientamento espresso da ultimo da TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, 29.11.2018, n. 2052) che il provvedimento di annullamento in autotutela della CILA -in disparte il difetto di motivazione e la incertezza sui presupposti di assunzione connessi alle asserite false rappresentazioni ed a prescindere da ogni altra considerazione– sia illegittimo perché il Comune non dispone del potere di annullamento di una comunicazione relativa ad attività di edilizia libera, ma può unicamente verificare che tale attività sia conforme alle prescrizioni urbanistiche ed agire di conseguenza (TAR Lombardia-Brescia, Sez. II, sentenza 17.10.2019 n. 895 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La cd. comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) assolve alla mera funzione di informare l’amministrazione comunale che nel suo territorio si stanno realizzando attività di scarsissimo impatto urbanistico-edilizio -diverse sia da quelle cd. libere (art. 6 D.P.R. n. 3802/2001) che da quelle soggette a S.C.I.A. (art. 22 citato D.P.R.) ovvero a permesso di costruire (art. 10 citato D.P.R.)- di cui tuttavia il soggetto privato “comunicante” è tenuto ad attestare, sotto la propria responsabilità, la conformità agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché la compatibilità con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia, oltre il mancato interessamento delle parti strutturali dell'edificio (art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001).
A fronte di tale mera “comunicazione”, l’amministrazione comunale, ove ritenga che gli interventi edilizi della cui realizzazione è stata informata si pongano in contrasto, sotto qualsivoglia profilo, rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente, è tenuta, quale atto dovuto e vincolato, ad esercitare, senza alcun limite temporale (a differenza di quanto avviene in caso di S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19, commi 3, 4 e 6-bis l. n. 241/1990) i poteri inibitori nonché repressivo-sanzionatori di cui agli artt. 27 e ss. D.P.R. n. 380/2001.
Dunque, il provvedimento oggetto di gravame, a prescindere dall’erroneo riferimento formale all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, costituisce, nella sostanza, esercizio non già di un potere di annullamento in autotutela bensì di un doveroso potere di vigilanza edilizia, vincolato all’intervenuto accertamento –puntualmente esplicitato, con conseguente soddisfacimento dell’onere motivazionale di cui all’art. 3 l. n. 241/1990- del contrasto tra l’attività edilizia comunicata dalla società ricorrente e l'art. 5 delle N.T.A. al P.R.G.
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24. Prive di pregio risultano, inoltre, le ulteriori censure relative alla pretesa illegittimità del potere di annullamento della C.I.L.A. per violazione dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990 e dell’art. 3 l. n. 241/1990.
24.1 Siffatte censure risentono, invero, di un travisamento circa l’effettiva natura giuridica della C.I.L.A. di cui all’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001, nella specie depositata dalla società istante in data 28.06.2018, e dei conseguenti poteri inibitori esercitati dal Comune di Scafati.
25. Ed invero, la cd. comunicazione di inizio lavori assolve alla mera funzione di informare l’amministrazione comunale che nel suo territorio si stanno realizzando attività di scarsissimo impatto urbanistico-edilizio -diverse sia da quelle cd. libere (art. 6 D.P.R. n. 3802/2001) che da quelle soggette a S.C.I.A. (art. 22 citato D.P.R.) ovvero a permesso di costruire (art. 10 citato D.P.R.)- di cui tuttavia il soggetto privato “comunicante” è tenuto ad attestare, sotto la propria responsabilità, la conformità agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché la compatibilità con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia, oltre il mancato interessamento delle parti strutturali dell'edificio (art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001).
26. A fronte di tale mera “comunicazione”, l’amministrazione comunale, ove ritenga che gli interventi edilizi della cui realizzazione è stata informata si pongano in contrasto, sotto qualsivoglia profilo, rispetto alla disciplina urbanistico-edilizia vigente, è tenuta, quale atto dovuto e vincolato, ad esercitare, senza alcun limite temporale (a differenza di quanto avviene in caso di S.C.I.A. ai sensi dell’art. 19, commi 3, 4 e 6-bis l. n. 241/1990) i poteri inibitori nonché repressivo-sanzionatori di cui agli artt. 27 e ss. D.P.R. n. 380/2001.
27. Dunque, il provvedimento oggetto di gravame, a prescindere dall’erroneo riferimento formale all’art. 21-nonies l. n. 241/1990, costituisce, nella sostanza, esercizio non già di un potere di annullamento in autotutela bensì di un doveroso potere di vigilanza edilizia, vincolato all’intervenuto accertamento –puntualmente esplicitato, con conseguente soddisfacimento dell’onere motivazionale di cui all’art. 3 l. n. 241/1990- del contrasto tra l’attività edilizia comunicata dalla società ricorrente e l'art. 5 delle N.T.A. al P.R.G.
22. In conclusione, il ricorso è infondato e, come tale, deve essere rigettato (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 11.10.2019 n. 1728 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAAbitabilità, la Cila non basta. Titolo insufficiente per cambiare destinazione dei locali. Secondo il Tar Lazio la nozione di restauro impone di rispettare forma e struttura degli edifici.
Non basta la Cila a trasformare la cantina in cucina nell'immobile del centro storico. E ciò anche dopo lo Sblocca Italia e la manovra correttiva del 2017: la nuova definizione di restauro e risanamento conservativo, infatti, presuppone che si rispettino gli elementi formali e strutturali che identificano l'organismo edilizio, il che è escluso quando vani accessori diventano abitabili nel fabbricato a uso residenziale.
È quanto emerge dalla sentenza 20.09.2019 n. 11155, pubblicata dalla Sez. II-quater del TAR Lazio-Roma.
Il caso. Legittimo lo stop ai lavori da parte del comune dopo che il dirigente dell'ufficio ha dichiarato inefficace la comunicazione di lavori asseverata. Non basta la relazione tecnica allegata al progetto che fa riferimento al risanamento leggero di cui al punto 5 della tabella A allegato al decreto Scia 2, il dlgs 222/2016, a salvare i comproprietari dell'immobile, uno dei quali è anche direttore dei lavori.
L'intervento è comunicato in corso di esecuzione ai sensi dell'articolo 6-bis, comma quinto, del testo unico dell'edilizia: si punta a trasformare in una cucina di 17 metri quadrati un ambiente composto da due vani destinati in precedenza a deposito o cantina, con il ripristino del collegamento preesistente con il fabbricato principale, un'ex caserma dei carabinieri.
In realtà, secondo il progetto approvato dal comune, i locali dovrebbero essere destinati a uffici, mentre l'iniziativa del privato è fondata sulle risultanze catastali e lo stato di fatto dell'immobile. Ma non è questo che fa scattare l'alt ai lavori. Il mutamento di destinazione d'uso con realizzazione di opere, infatti, va inquadrato nell'ambito della ristrutturazione edilizia «pesante» o «maggiore» alla quale fa riferimento l'articolo 33 del testo unico per l'edilizia. E ciò perché si tratta di un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi obiettivi di interesse pubblico, a partire dalla pianificazione territoriale. L'intervento progettato dal privato nell'ex caserma, dunque, può essere realizzato soltanto se prima si chiede il permesso di costruire e si paga il contributo di costruzione previsto dalla diversa destinazione d'uso.
In generale vanno evidenziati i punti di contatto fra gli interventi di ristrutturazione edilizia e quelli di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo: agli uni come agli altri serve il permesso di costruire quando comportano un cambio di destinazione d'uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico; fuori dai centri storici devono possono essere realizzati soltanto con la denuncia di attività quando il mutamento avviene all'interno di una stessa categoria omogenea, mentre dentro il cuore antico della città la segnalazione non è sufficiente anche quando la destinazione varia all'interno della medesima categoria.
Non conta poi che con lo Sblocca Italia si possano frazionare o accorpare unità immobiliari con opere che implicano la variazione di superfici dei locali oltre che del carico urbanistico. La nuova nozione di restauro e risanamento conservativo impone il rispetto degli elementi formali e strutturali dell'organismo edilizio: i primi riguardano la disposizione dei volumi, i secondi lo scheletro che vi è sotteso ma entrambi esprimono l'identità del fabbricato a uso residenziale e vanno non giustapposti ma considerati insieme. Nella specie, poi, il permesso di costruire è richiesto a maggior ragione perché l'immobile si trova nel centro storico e dunque il titolo edilizio risulta necessario anche per il mutamento di destinazione d'uso all'interno della categoria.
I precedenti. Attenzione, però: se il comune non ha titolo per sindacare la Cila, può sempre reprimere gli abusi edilizi. La comunicazione di inizio attività asseverata è un atto di natura privatistica e l'amministrazione non può valutare l'ammissibilità o meno dell'intervento ma conserva comunque il potere di controllare che l'immobile sia conforme alle prescrizioni delle leggi vigenti. È escluso, poi, che il privato possa ottenere dal giudice un accertamento sulla regolarità del fabbricato: la verifica spetta all'amministrazione e la prima autorità non può sconfinare nella sfera riservata alla seconda.
Lo ha stabilito la sentenza 2052/2018, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Calabria, con cui è accolto solo in parte il ricorso del proprietario del manufatto.
La Cila introdotta dal decreto legislativo Scia 2 ha carattere residuale: si applica agli interventi non riconducibili all'edilizia libera, alle opere che richiedono il permesso di costruire e alle iniziative sottoposte a Scia. A differenza di quest'ultima la comunicazione di inizio lavori asseverata non è soggetta a un controllo sistematico: il comune deve soltanto verificare che le opere progettate implicano un modesto impatto sul territorio. E ha in proposito un potere soltanto sanzionatorio.
Il diniego della Cila, dunque, è nullo perché espressione di un potere non tipizzato dall'articolo 6-bis del testo unico dell'edilizia, fermo restando che l'amministrazione deve vigilare contro i manufatti contro legge. Il motivo di ricorso che chiede l'accertamento di regolarità del fabbricato è bocciato perché la sentenza richiesta dal privato sarebbe un'invasione di campo nei poteri dell'amministrazione al di fuori delle ipotesi tassative di giurisdizione di merito previste dall'articolo 134 Cpa.
L'inerzia, tuttavia, può costare cara all'amministrazione. Rischia che arrivi il commissario dalla prefettura a far abbattere l'abuso edilizio il comune che fa finta di non vederlo dopo la comunicazione di inizio lavori asseverata: la presentazione della Cila, infatti, non dispensa l'ente locale dall'esercitare i suoi poteri repressivi contro le irregolarità, mentre risulta illecita la condotta dell'amministrazione che non riscontra entro 30 giorni la diffida del vicino, il quale punta alla demolizione della veranda.
È quanto si legge nella sentenza 522/2017, pubblicata dalla settima sezione del Tar Campania, «Accolto il ricorso del condomino, atto che va qualificato come soggetto al rito del silenzio ex articoli 31 e 117 Cpa».
Sbaglia l'ente locale a non compiere entro un mese le verifiche sulla Cila richieste nella diffida perché il parere della Soprintendenza allegato parla chiaro: va ridimensionato il terrazzo che costituisce la copertura della veranda. Soltanto così si può ottenere la sanatoria. Risulta quindi illegittimo il silenzio serbato dal comune perché dai documenti emerge che il manufatto è abusivo, mentre l'ente locale è deputato al controllo del territorio in base all'articolo 27 del Testo unico sull'edilizia e doveva dunque controllare la sussistenza dei requisiti per la Cila. Insomma: non soltanto l'amministrazione deve riscontrare la diffida entro trenta giorni, ma nello stesso termine deve ordinare la demolizione della veranda e del terrazzo soprastante. E se non provvederà sarà «commissariato» da un funzionario della prefettura.
Il comune, comunque, non può bloccare i lavori avviati con Cila per dividere in tre l'appartamento in centro invocando la contrarietà al regolamento urbanistico dell'ente: l'attività edilizia libera, infatti, rientra ormai nella manutenzione ordinaria e straordinaria che soltanto in casi eccezionali risulta soggetta alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. D'altronde il frazionamento dell'immobile non incrementa il carico urbanistico ammesso nella zona né incide sull'aspetto esteriore dell'edificio.
È quanto emerge dalla sentenza 1625/2016, pubblicata dalla terza sezione del Tar Toscana, che ha accolto il ricorso proposto dal proprietario dell'appartamento da suddividere: è annullato il regolamento urbanistico del comune nella parte in cui vieta l'aumento di unità immobiliari nell'ambito di operazioni di frazionamento che costituiscono manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera c), del testo unico dell'edilizia.
Non si capisce, osservano dunque i giudici, quali siano le superiori ragioni di interesse pubblicano che spingono il comune a stoppare di fatto la Cila (articolo ItaliaOggi Sette del 02.12.2019).

EDILIZIA PRIVATAOGGETTO: Articolo 11, legge 27.07.2000, n. 212 – Detrazione delle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio - Titoli abilitativi – Art. 16-bis del TUIR (Agenzia delle Entrate, risposta 19.07.2019 n. 287).
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E’ possibile accedere alle detrazioni fiscali anche senza una CILA?
Le Entrate chiariscono che si può accedere alle detrazioni fiscali anche senza una CILA, qualora gli interventi da effettuare ricadano in edilizia libera.

EDILIZIA PRIVATALa presentazione dell’istanza di accertamento di conformità determina il venir meno dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione, comportando l’obbligo per l’amministrazione di rideterminare la sanzione alla luce della nuova istruttoria svolta sulla domanda di sanatoria.
Sicché, non v’è ragione di ritenere che il medesimo effetto non si produca anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza di demolizione sia stata adottata a seguito di C.I.L.A., poiché anche in questo caso l’accertamento di conformità determina l’obbligo per l’amministrazione di verificare la “doppia conformità” sostanziale delle opere alla normativa urbanistico-edilizia.
Pertanto, essendo venuta meno l’efficacia del provvedimento impugnato prima ancora della notifica del ricorso, esso si palesa inammissibile, per difetto originario di interesse.
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Considerato:
   - che il ricorrente ha presentato istanza di accertamento di conformità e di autorizzazione semplificata in sanatoria in data 08.02.2019, anteriore alla notifica del ricorso;
   - che il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale la presentazione dell’istanza di accertamento di conformità determina il venir meno dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione, comportando l’obbligo per l’amministrazione di rideterminare la sanzione alla luce della nuova istruttoria svolta sulla domanda di sanatoria (ex plurimis: TAR Veneto, 29.12.2015, n. 1418, TAR Campania, Napoli, 06.02.2017 n. 749, TAR Lazio, Roma, Sez. II-ter, 03.02.2015 n. 1960; TAR Lazio, Roma, II-bis, 13.06.2017, n. 6980; TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 13.06.2017, n. 6979; TAR Lazio, Roma, Sez. II-bis, 06.06.2017, n. 6688; 17.11.2017 n. 11550);
   - che non v’è ragione di ritenere che il medesimo effetto non si produca anche nell’ipotesi in cui l’ordinanza di demolizione sia stata adottata a seguito di C.I.L.A., poiché anche in questo caso l’accertamento di conformità determina l’obbligo per l’amministrazione di verificare la “doppia conformità” sostanziale delle opere alla normativa urbanistico-edilizia;
   - che, pertanto, essendo venuta meno l’efficacia del provvedimento impugnato prima ancora della notifica del ricorso, esso si palesa inammissibile, per difetto originario di interesse (TAR Veneto, Sez. II, sentenza 19.06.2019 n. 742 - link a www.giustizia-amministrartiva.it).

EDILIZIA PRIVATA: SCIA e CILA – Previsione, come regola speciale, ma in via alternativa, della formazione del silenzio-assenso – Opzione per il rilascio di un provvedimento espresso – Fondamento – Pronuncia di decadenza in ordine al titolo edilizio tacito, qualora sia stato richiesto un provvedimento espresso – Illegittimità.
Rimane nella disponibilità del privato l’opzione per il rilascio di un provvedimento espresso (art. 2, comma 1, legge 07.08.1990 n. 241), sancito dalla normativa edilizia (d.P.R. 06.06.2001 n. 380) come regola generale, laddove sia stata prevista, come regola speciale, ma deve ritenersi a ratione solo in via alternativa, la formazione di un silenzio-assenso, in quanto anche gli strumenti autorizzativi diversi o minori (c.d. S.C.I.A. e C.I.L.A.) sono consentiti solo nei casi speciali espressamente contemplati e fanno comunque salva la possibilità di scelta della richiesta da parte dell’interessato per il rilascio di un provvedimento espresso.
Difatti, la validità dell’auto-qualificazione compiuta e la completezza o meno della documentazione, utili a formare il titolo edilizio tacito, costituisce, anche a seconda della complessità dell’intervento costruttivo a realizzarsi, una questione talvolta opinabile, in relazione alla quale il soggetto istante del provvedimento autorizzatorio edilizio ben può conservare l’interesse a optare per il rilascio di un titolo edilizio espresso da parte dei competenti uffici comunali, onde evitare di esporsi al successivo esercizio del potere di autotutela, con lesione della propria sfera economico-patrimoniale.
Motivo per cui, giammai l’amministrazione comunale può pronunciare una “decadenza” in ordine al titolo edilizio tacito (presuntivamente) formatosi, qualora sia stato richiesta l’emanazione di un provvedimento espresso
(TAR Puglia-Bari, Sez. II, sentenza 20.05.2019 n. 725 - link a www.ambientediritto.it).

EDILIZIA PRIVATA: A. Veronese, Attività edilizia libera, C.A.L., C.I.L.A., S.C.I.A.: il punto sui titoli non titoli (13.05.2019 - link a www.amministrativistiveneti.it).
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Sommario: 1. Premessa normativa: l’attività edilizia libera; la comunicazione di avvio lavori, la comunicazione di inizio lavori asseverata; la segnalazione certificata di inizio attività; § 2. Attività edilizia libera; § 3. C.I.L.A.: natura, procedimento, poteri dell’amministrazione; § 4. S.C.I.A.: natura, procedimento, poteri dell’amministrazione, nuova agibilità; § 5. Le misure di salvaguardia; § 6. Onerosità dei titoli; § 7. Profili sanzionatori e penali (cenni); § 8. S.C.I.A. e il falso; § 9. C.I.L.A., S.C.I.A. e tutela del terzo anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 45/2019.

ATTI AMMINISTRATIVI - EDILIZIA PRIVATAAccesso civico messo all’angolo. I dati dei defunti e le pratiche edilizie restano coperti. Lo dicono due pareri del garante privacy. Infermieri, no agli invii massivi all’Ordine.
Foia in un angolo. Il Freedom of information act (dlgs 33/2013), la normativa sull'accesso civico generalizzato, non consente di accedere indiscriminatamente ai dati dei pazienti defunti e neppure alle pratiche edilizie comunali.
A spiegarlo il garante della privacy, con due pareri gemelli ad altrettante richieste relative ala prima ad una richiesta di accesso ai dati di una azienda sanitaria locale e ad un comune.
DATI DEI DEFUNTI
Il primo caso è stato quello di una istanza a una azienda sanitaria di un accesso civico ai dati sanitari di un paziente deceduto, e questo relativamente a un fatto di presunta malasanità. L'istanza è stata formulata ai sensi dell'articolo 5 del dlgs 33/2013. La documentazione richiesta conteneva informazioni particolarmente riservate: ricovero, sintomi, anamnesi, diagnosi, esami effettuati, alcuni particolarmente invasivi, terapia, farmaci somministrati, credo professato.
Nel merito il garante ha affermato che questo tipo di informazioni non sono accessibili con il Foia (provvedimento n. 2 del 10.01.2019).
L'accesso civico non si può usare nei casi di divieto di accesso o divulgazione previsti dalla legge «e tra questo, spiega l'autorità presieduta da Antonello Soro, rientra il caso del divieto di diffusione» di dati relativi alla salute previsto dal Codice della privacy. A latere il garante ha ricordato in Italia le persone decedute continuano a godere delle tutele previste dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali anche dopo l'applicazione del Regolamento Ue 2016/679 (Gdpr). Nel Gdpr, infatti, sono tutelati solo i dati delle persone fisiche viventi, ma gli stati dell'Unione avevano la possibilità di intervenire.
È quello che ha fatto l'Italia con il dlgs 101/2018: pertanto, grazie a questo intervento, i diritti relativi ai dati personali dei defunti (ed anche l'accesso) possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione. Da quanto appena detto discende anche che ci sono altre strade per avere accesso ai dati sanitari (sempre che ne ricorrano i presupposti) senza scomodare il Foia, che non ha alcuna possibilità di applicazione.
SCILA E CILA
Lo stesso è capitato in un caso di richiesta di accesso civico generalizzato ai dati personali completi contenuti nei titoli abilitativi edilizi Scia e Cila e cioè, rispettivamente Segnalazioni certificate di inizio attività e Comunicazioni inizio lavori asseverata.
Nel caso specifico il comune aveva dato copia delle pratiche edilizie, ma solo in sintesi con dati aggregati, depurati di quelli personali. In materia il garante ha quindi sottolineato che la completa conoscenza delle informazioni riportate nelle Scia e nelle Cila, può comportare un'invasione alla vita privata, poiché si rivelerebbero data e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, pec, numeri di telefono fisso e cellulare, documentazione tecnica sugli interventi. Il risultato sottolinea il garante sarebbe stata la duplicazione delle banche dati comunali.
Il garante ha, anche in questo caso, concluso ricordando che il no all'«accesso civico generalizzato» non impedisce di accedere ai documenti amministrativi con altri strumenti (ad esempio accesso documentale in base alla legge 241/1990, sussistendone i presupposti). Il garante nella sua decisione (provvedimento 03.01.2019 n. 1) ha tenuto conto anche del fatto che la società richiedente è una società che realizza campagne di marketing e web marketing, nonché la fornitura di servizi di gestione dei programmi di fidelizzazione e affiliazione commerciale, autrice di istanza a tappeto di accesso civico. Come dire che il possibile utilizzo per finalità di marketing non è perfettamente collimante con lo scopo della norma sull'accesso civico generalizzato.
In effetti l'articolo 5 del dlgs 33/2013 considera l'accesso civico quale strumento per il controllo dell'attività e delle spese della pubblica amministrazione e per la partecipazione al dibattito pubblico. Peraltro, a dimostrare la difficile interpretazione e applicazione della normativa, la Funzione pubblica, con la circolare 2/2017 ha espressamente previsto come possibile motivazione dell'accesso civico generalizzato le finalità commerciali.
INFERMIERI
Con nota del 16.01.2019 il Garante ha affermato che le strutture sanitarie non possono trasmettere in modo massivo i dati di tutto il loro personale infermieristico all'Ordine professionale di riferimento.
Nel caso specifico gli ordini volevano fare controlli incrociati e scoprire abusivi. Ma la legge non attribuisce agli Ordini competenze per generalizzate attività di raccolta di informazioni riferite al personale infermieristico. Deve, invece, essere il datore di lavoro ad accertare, all'atto dell'assunzione e nel corso del rapporto di lavoro, che un infermiere sia dotato dei requisiti necessari per prestare servizio e che sia iscritto all'apposito albo professionale.
BREXIT
In caso di Hard Brexit il Regno Unito diventerà un paese terzo dal 30.03.2019.
Lo ha precisato il Comitato europeo della protezione dei dati (newsletter del garante della privacy 450 del 25 febbraio). Di conseguenza, il trasferimento di dati personali dal See (Spazio economico europeo) verso il Regno Unito dovrà basarsi su uno dei seguenti strumenti: clausole-tipo di protezione dei dati o clausole di protezione dei dati ad hoc, norme vincolanti d'impresa, codici di condotta e meccanismi di certificazione e strumenti specifici di trasferimento a disposizione delle autorità pubbliche. In assenza di clausole-tipo di protezione dei dati o di altre garanzie adeguate, si possono utilizzare alcune deroghe a determinate condizioni (articolo ItaliaOggi del 26.02.2019).

EDILIZIA PRIVATAPrivacy: no all’accesso civico generalizzato su pratiche SCIA e CILA.
Non è possibile accedere ai dati personali completi contenuti nei titoli abilitativi edilizi (SCIA e CILA) sulla base di una mera richiesta di accesso civico generalizzato.

Lo ribadisce il Garante per la protezione dei dati personali nel parere (provvedimento 03.01.2019 n. 1) fornito a un Comune dell’Emilia Romagna in merito alla decisione di respingere parzialmente una richiesta di accesso civico alle Segnalazioni Certificate di Inizio Attività (SCIA) e alle Comunicazioni Inizio Attività Asseverata (CILA), presentata da una impresa privata.
La richiesta di copia completa delle pratiche edilizie era stata presentata una prima volta al Comune, che aveva però risposto fornendo solamente una sintesi con dati aggregati, depurati di quelli personali, al fine di non arrecare un possibile pregiudizio alla privacy delle persone interessate. L’impresa, supportata dal Difensore civico regionale dell’Emilia Romagna, aveva contestato la decisione e chiesto il riesame della pratica. Il Garante privacy aveva invece sostenuto la correttezza della scelta dell’amministrazione cittadina. L’impresa aveva poi ripresentato la domanda, ma il Garante è nuovamente intervenuto sulla vicenda, anche al fine di evitare pericolosi precedenti che incoraggino possibili trattamenti illeciti di dati personali.
Nel proprio parere, l’Autorità ha innanzitutto chiarito che, diversamente da quanto indicato per altre pratiche edilizie, come i permessi a costruire, la normativa non prevede lo stesso regime di conoscibilità per la CILA e la SCIA, come per quelle utilizzate nel caso di opere di manutenzione straordinaria, di restauro o di risanamento conservativo.
Il Garante ha quindi sottolineato che la generale conoscenza delle informazioni riportate nelle SCIA e nelle CILA, considerando la quantità e qualità dei dati personali contenuti -come data e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, pec, numeri di telefono fisso e cellulare, documentazione tecnica sugli interventi- avrebbe potuto determinare un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti controinteressati. Tutto ciò, in violazione anche del principio di minimizzazione previsto dal Regolamento europeo sulla privacy (Gdpr), con possibili ripercussioni negative sul piano relazionale, professionale, personale e sociale.
Nel corso dell’istruttoria, il Garante ha inoltre rilevato che l’impresa richiedente -che ha tra le sue attività quella di conduzione di campagne di marketing e web marketing, nonché la fornitura di servizi di gestione dei programmi di fidelizzazione e affiliazione commerciale- aveva presentato la stessa domanda in maniera sistematica, per più periodi, a diversi enti locali. L’accoglimento della richiesta di accesso civico avrebbe tra l’altro potuto esporre al pericolo di duplicazione di banche dati di soggetti pubblici da parte di soggetti privati, in assenza del consenso dei soggetti interessati o degli altri presupposti di liceità del trattamento.
L’Autorità, ha così confermato, anche alla luce della normativa e delle stesse linee guida Anac, la correttezza dell’operato del Comune, nel valutare l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati delle persone interessate -ad esempio i proprietari, gli usufruttuari e tecnici incaricati- e fornendo di conseguenza solo una sintesi delle pratiche richieste. Ha comunque rimarcato che tale decisione sull’“accesso civico generalizzato” non impedisce di accedere ai documenti amministrativi completi a chi dimostri di avere un interesse qualificato (commento tratto da www.garanteprivacy.it).
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PREMESSO
Con la nota in atti il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza del Comune di San Cesario sul Panaro ha chiesto al Garante il parere previsto dall’art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 33 del 14.03.2013, nell’ambito del procedimento relativo a una richiesta di riesame di un provvedimento di diniego di una richiesta di accesso civico.
Nello specifico, dagli atti risulta che è stata presentata istanza di accesso civico alla «copia nel formato detenuto da questa amministrazione (o in sub-ordine in forma riassuntiva), contenente i dati del committente, descrizione dell’intervento, località del cantiere e tecnico progettista, delle Segnalazioni Certificate di Inizio Attività (SCIA) e possibilmente anche delle Comunicazioni Inizio Attività Asseverata (CILA) concernenti l’attività degli interventi edili da attuarsi nel territorio comunale, presentate nel mese di settembre 2018».
L’amministrazione ha negato l’accesso civico ai dati personali richiesti alla luce del limite, previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013, relativo all’esistenza di un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti interessati, richiamando in proposito il contenuto del parere già fornito dal Garante al medesimo Comune su altra richiesta di accesso civico identica, sotto il profilo soggettivo e oggettivo, alla presente (provv. n. 360 del 10/08/2017, in www.gpdp.it, doc. web n. 6969290).
Quanto alle restanti informazioni, il Comune ha fornito al soggetto istante i dati relativi alle SCIA e CILA presentate all’ente nel periodo richiesto (senza comunicare dati personali), ossia la tipologia di titolo edilizio (SCIA o CILA), la descrizione dell’intervento (es.: manutenzione straordinaria, installazione insegna; intervento miglioramento sismico, nuovo accesso carraio, variante in corso d’opera per ristrutturazione edilizia; opere interne; variante in corso d’opera, ecc.), le informazioni relative all’effettuazione dell’intervento nel comune o in una sua frazione.
Il soggetto istante, non ritenendosi soddisfatto dal riscontro ricevuto –lamentando di non aver ricevuto gli ulteriori dati personali (nomi, cognomi e indirizzi)– ha presentato richiesta di riesame del provvedimento di diniego dell’accesso civico al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, rappresentando, a sostegno delle proprie richieste, fra l’altro, che:
   - «nel procedimento amministrativo adottato [è] stato messo in atto un pregiudizio concreto da parte del Comune di San Cesario sul Panaro soprattutto in riferimento ai limiti previsti dall’art. 5-bis del riformato D.Lgs. 33/2013, nei confronti del diritto alla protezione dei dati personali. Tale disposizione non può essere interpretata come limite all’esercizio del diritto di accesso, in quanto il legislatore ha tassativamente individuato i limiti e le eccezioni a tale diritto nell’art. 5-bis del riformato D.Lgs. 33/2013; in questa direzione, il richiamo agli orientamenti interpretativi espressi dalle Linee Guida ANAC»;
   - «In osservanza delle Linee Guida ANAC, l’amministrazione destinataria dell’istanza deve effettuare un bilanciamento tra il diritto di accesso alle informazioni e il diritto alla riservatezza del soggetto cui i dati afferiscono e, qualora l’esigenza informativa possa essere soddisfatta anche senza implicare il trattamento di dati personali, “il soggetto destinatario dell’istanza […] dovrebbe in linea generale scegliere le modalità meno pregiudizievoli per i diritti dell’interessato, privilegiando l’ostensione di documenti con l’omissione dei ‘dati sensibili’ in esso presenti”»;
   - «omettendo l’indirizzo completo dove vengono svolti gli interventi edili […] viene meno la proporzionalità nella conoscenza dei titoli edilizi, occorre quindi riconoscere un margine di conoscibilità anche ai soggetti non interessati, il quale deve essere bilanciato –in concreto– con l’effettivo pregiudizio alla protezione dei dati personali. In tal senso, come si ricava dalla stessa disciplina europea sulla protezione dei dati (Regolamento (UE) 2016/679), la tutela del dato personale deve essere applicata alla luce del principio di proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti»;
   - «occorr[e] riconoscere ai titoli edilizi un margine di conoscibilità anche ai soggetti non interessati, alla luce del principio della proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti realizzando quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire»;
   - «Nella risposta del Comune di San Cesario sul Panaro si trova invece uno sbilanciamento a favore del richiedente: oscurando i dati (nomi, cognomi e il numero civico dell’indirizzo) rendono di fatto l’Accesso Civico Generalizzato senza alcun valore di legge, come si può evincere nell’allegato dove si può constatare che difficilmente è rintracciabile il cantiere dell’intervento edile»;
   - «[i]l Difensore Civico Regionale […] per un’analoga richiesta di Accesso Civico Generalizzato, esprime parere favorevole per il rilascio dei documenti senza omettere i nominativi dei Committenti e dei Tecnici progettisti: “...... non si profila la sussistenza di un pregiudizio concreto all’interesse privato alla protezione dei dati personali. Infatti, il regime di pubblicità dei titoli in materia di edilizia è connotato da un ambito particolarmente esteso, come è dimostrato dalla necessaria pubblicazione nell’albo pretorio del provvedimento di rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 20, co. 6, del d.P.R. 380/2001. Inoltre, fino alla novella del 2016, rientravano tra gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto 33/2013 i provvedimenti finali dei procedimenti relativi ad autorizzazioni e concessioni, ai quali viene equiparata la segnalazione certificata di inizio attività (cfr. orientamento ANAC n. 11 del 21.05.2014); dal particolare regime di pubblicità di tali atti deriva la impossibilità di qualificare come “controinteressati” dei soggetti i cui dati si riferiscono]”».
OSSERVA
1. Il caso sottoposto al Garante
Il caso sottoposto all’attenzione del Garante è identico, sotto il profilo soggettivo (stesso soggetto istante) e oggettivo (stessa tipologia di dati e documenti richiesti ma riferiti a mesi diversi), a quello per il quale è stato reso il parere contenuto nel citato provvedimento n. 360/2017, peraltro richiesto proprio dal medesimo Comune di San Cesario sul Panaro (confermato dai successivi provvedimenti n. 361 del 18/08/2017, in www.gpdp.it, doc. web n. 6969198; n. 364 dell’01/09/2017, ivi, doc. web n. 6979959; n. 359 del 22/05/2018, ivi, doc. web n. 9001943; n. 426 del 19/07/2018, ivi, doc. web n. 9027184; n. 453 del 13/09/2018, ivi, doc. web n. 9050702; n. 517 del 19/12/2018 in corso di pubblicazione).
Ciò nonostante il predetto Comune sottopone nuovamente al Garante la questione, alla luce dei due pareri resi sulla stessa questione dal Difensore civico regionale dell’Emilia Romagna (di cui uno successivo al provv. di questa Autorità n. 360/2017) e dell’insistenza nella richiesta del soggetto istante di ottenere alla luce dei predetti pareri –tramite l’istituto dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013– le informazioni e i dati personali, contenuti in tutte le Segnalazioni Certificate di Inizio Attività (SCIA) e le Comunicazioni Inizio Attività Asseverata (CILA) presentate al Comune nel mese di settembre 2018.
In tale quadro, questa Autorità ritiene utile ribadire ancora una volta la propria posizione, con le precisazioni di cui si dirà, in materia di accesso civico ai dati personali contenuti nelle SCIA e nelle CILA, confermando gli orientamenti già espressi nei citati pareri (in part. provv. n. 360/2017), le cui motivazioni, per esigenze di chiarezza espositiva, vengono riportate nuovamente in questa sede, dando conto –a ulteriore sostegno delle osservazioni già formulate– anche dell’intervenuta applicazione, dal 25.05.2018, del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 679 del 2016, nonché delle modifiche apportate al Codice in materia di protezione dei dati personali dal d.lgs. n. 101 del 10/08/2018.
Ciò allo scopo di evitare orientamenti contrastanti e interpretazioni della disciplina vigente in materia di trasparenza e accesso civico non conformi alla disciplina in materia di protezione dei dati personali, che rischiano di creare pericolosi precedenti e di incoraggiare possibili trattamenti illeciti di dati personali, con le conseguenze ora previste dall’art. 83 del Regolamento europeo (inflizione di «sanzioni amministrative pecuniari») e dall’ art. 2-decies, comma 1, del Codice («inutilizzabilità dei dati [...] personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali»), oltre che dall’art. 82 del Regolamento, quanto al diritto al risarcimento del danno.
2. I dati personali contenuti nelle SCIA e nella CILA
I casi in cui è necessario presentare la SCIA o la CILA interessano un insieme molto variegato di interventi edilizi –riguardanti, in generale, attività di manutenzione straordinaria, di restauro o di risanamento conservativo (sia «leggero» che «pesante»); di ristrutturazione edilizia («semplice», «leggera» o «pesante»); «di nuova costruzione in esecuzione di strumento urbanistico attuativo»; di «eliminazione delle barriere architettoniche (pesanti)»; ovvero specifiche ipotesi di varianti a permessi di costruire previste dalla legge, etc.– disciplinati a livello statale, fra l’altro, dal citato D.P.R. n. 380/2001 (recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»), nonché dal più recente d.lgs. 25/11/2016, n. 222 (recante «Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 07.08.2015, n. 124»).
A titolo esemplificativo, si spazia da interventi riguardanti la semplice apertura o chiusura di un vano finestra, alla costruzione di una recinzione, al frazionamento o accorpamento di unità abitative, fino a operazioni più importanti come il rifacimento di tetti o solai, oppure o la ristrutturazione generale di un intero fabbricato.
Le informazioni e i dati, anche di carattere personale, da presentare all’ente competente e contenuti nei predetti titoli abilitativi edilizi (CILA e SCIA) sono molteplici e di diverso genere e natura. Il riferimento è, ad esempio, a nominativi, data e luogo di nascita, codici fiscali, residenza, e-mail, p.e.c., numeri di telefono fisso e cellulare riferiti al/i titolare/i dell’intervento in qualità di proprietario, comproprietario, usufruttuario, amministratore di condominio o dei loro rappresentanti; a informazioni sulla tipologia di intervento; alla data di inizio e di fine dello stesso; all’ubicazione, dati catastali e destinazione d’uso dell’immobile oggetto dell’intervento edilizio; al carattere oneroso o gratuito dell’intervento, con allegata eventuale ricevuta dei versamenti effettuati; alla “entità presunta del cantiere”; ai dati dei tecnici incaricati (direttori dei lavori e altri tecnici) e dell’impresa esecutrice dei lavori (riportati nell’allegato «soggetti coinvolti»); nonché, fra l’altro, al prospetto di calcolo preventivo del contributo di costruzione e agli elaborati grafici dello stato di fatto e progetto (come allegati).
È possibile avere un quadro generale del volume e della complessità dei predetti dati e informazioni consultando i moduli, molto articolati, per la presentazione della SCIA e della CILA riportati nell’allegato 2, intitolato «Modulistica edilizia», dell’Accordo del 04/05/2017 in sede di Conferenza Unificata «tra il Governo, le Regioni e gli Enti locali concernente l’adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione delle segnalazioni, comunicazioni e istanze. Accordo, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28/08/1997, n. 281» (Repertorio atti n. 46/CU, in G.U. n. 128 del 05/06/2017 - Suppl. Ordinario n. 26).
3. Inesistenza di un regime di pubblicità dei dati personali contenuti nelle SCIA e nelle CILA
Occorre preliminarmente ribadire che non esiste un obbligo di pubblicazione da parte delle pp.aa. delle Segnalazioni certificate di inizio di attività-SCIA o delle Comunicazioni di inizio lavori asseverata-CILA presentate all’ente, né in forma integrale né in forma riassuntiva. Per i dati personali ivi contenuti il legislatore non ha infatti previsto alcun regime di pubblicità.
Sotto tale profilo, non è quindi possibile concordare con quanto affermato nel parere reso dal Difensore civico regionale dell’Emilia Romagna del 26/04/2017, citato anche dal soggetto istante, laddove si sostiene in generale che «il regime di pubblicità dei titoli in materia di edilizia è connotato da un ambito particolarmente esteso, come è dimostrato dalla necessaria pubblicazione nell’albo pretorio del provvedimento di rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 20, co. 6, del d.P.R. 380/2001» e che «fino alla novella del 2016, rientravano tra gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto 33/2013 i provvedimenti finali dei procedimenti relativi ad autorizzazioni e concessioni, ai quali viene equiparata la segnalazione certificata di inizio attività (cfr. orientamento ANAC n. 11 del 21.05.2014)».
Ciò in quanto la disposizione contenuta nell’art. 20, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001 è una norma di settore attinente al solo «procedimento per il rilascio del permesso di costruire», che rappresenta un titolo edilizio diverso dalla CILA e dalla SCIA. La predetta disposizione, che non è ripetuta (né richiamata) per i procedimenti relativi agli altri titoli edilizi (CILA o SCIA), inoltre, non prevede neanche la pubblicazione del provvedimento sull’albo pretorio nella sua integrità, ma della mera «notizia» dell’«avvenuto rilascio del permesso di costruire» (i cui estremi sono peraltro «indicati nel cartello esposto presso il cantiere, secondo le modalità stabilite dal regolamento edilizio»). Alla CILA e alla SCIA –disciplinate nel medesimo d.P.R. n. 380/2001 (testo unico in materia edilizia)– non è di conseguenza in nessun modo applicabile il limitato regime di pubblicità previsto per la “notizia” dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire.
Quanto all’abrogato art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013, lo stesso non prevedeva l’obbligo di pubblicazione on-line dei “provvedimenti integrali”, con tutti i dati personali ivi contenuti, relativi ai titoli edilizi dei procedimenti di “autorizzazione o concessione”, ma solo di una «scheda sintetica» degli elementi previsti dalla disposizione, ossia «il contenuto, l’oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento». Il richiamo al ricordato articolo, quindi, non è idoneo ad affermare l’esistenza di un «regime di pubblicità […] connotato da un ambito particolarmente esteso», come invece rappresentato dal difensore civico, di tutti i titoli abilitativi in materia di edilizia.
Alla luce di tali considerazioni, come già precedentemente evidenziato nel parere n. 360/2017, non è quindi possibile condividere le conseguenze a cui arriva il Difensore civico regionale, laddove sostiene che «con riferimento all’oggetto dell’istanza di accesso in questione [i.e. accesso civico a dati personali contenuti nelle SCIA e nelle CILA], non si profila la sussistenza di un pregiudizio concreto all’interesse privato alla protezione dei dati personali» e che «dal particolare regime di pubblicità di tali atti deriva la impossibilità di qualificare come “controinteressati” [i] soggetti i cui dati personali sono contenuti negli atti oggetto dell’istanza di accesso», per cui sarebbe «facoltà dell’amministrazione comunale trasmettere al richiedente […] i documenti relativi alle Segnalazioni Certificate di Inizio Attività (SCIA) ed alle Comunicazioni di Inizio Attività Asseverata (CILA)».
La predetta interpretazione è in contrasto con la normativa in materia di accesso civico e di protezione dei dati personali, alla luce delle quali l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso civico è invece “tenuta” a coinvolgere i soggetti controinteressati, individuati ai sensi dell’art. 5-bis, comma 2 (art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013) e a rifiutare l’ostensione dei dati, fra l’altro, «se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela [della] protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia» [art. 5-bis, comma 2, lett. a)], intendendo per “dato personale” «qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»)» (art. 4, par. 1, n. 1, del Regolamento europeo).
4. Sull’effettuazione del bilanciamento fra trasparenza amministrativa e diritto alla protezione dei dati personali
Analoghe considerazioni possono essere ripetute in relazione a quanto riportato nel secondo parere, reso dal Difensore civico regionale dell’Emilia-Romagna, successivamente al provvedimento di questa Autorità n. 360/2017.
In particolare, il Difensore civico, alla luce della sentenza del TAR Marche, n. 923/2014, ha rappresentato che «anche rispetto a tali titoli edilizi [SCIA e CILA] occorre quindi riconoscere un margine di conoscibilità anche ai soggetti non interessati, il quale deve essere bilanciato –in concreto– con l’effettivo pregiudizio alla protezione dei dati personali. In tal senso, come si ricava dalla stessa disciplina europea sulla protezione dei dati (Regolamento (UE) 2016/679), la tutela del dato personale deve essere applicata alla luce del principio di proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui vi rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti. Viceversa, nel parere del Garante [n. 360/2017], non si trova alcun riferimento a tale bilanciamento (ovvero alla possibilità di risoluzione del conflitto attraverso l’oscuramento dei dati personali), né tanto meno si indaga sulla natura dei dati contenuti nella SCIA (dati comuni, sensibili, ecc.). In conclusione, il pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali, posto fra i motivi alla base del diniego, non viene concretamente specificato né dal Comune né dal Garante, non sussistendo, nelle relative motivazioni, alcun riferimento alle concrete conseguenze negative e pregiudizi concreti che potrebbero derivare all’interessato dalla conoscibilità del dato da parte di chiunque».
Le sopra menzionate osservazioni sono riprese anche dal soggetto istante nella richiesta di riesame, laddove si sostiene, a sostegno del diritto a ottenere l’accesso civico generalizzato ai dati personali, che «occorr[e] riconoscere ai titoli edilizi un margine di conoscibilità anche ai soggetti non interessati, alla luce del principio della proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti realizzando quel controllo “diffuso” sull’attività edilizia che il legislatore ha inteso garantire» e che «Nella risposta del Comune di San Cesario sul Panaro si trova invece un sbilanciamento a favore del richiedente: oscurando i dati (nomi, cognomi e il numero civico dell’indirizzo) rendono di fatto l’Accesso Civico Generalizzato senza alcun valore di legge, come si può evincere nell’allegato dove si può constatare che difficilmente è rintracciabile il cantiere dell’intervento edile».
Al riguardo, occorre in primo luogo evidenziare la non pertinenza del richiamo alla sentenza del TAR, Marche-Ancona n. 923/2014, effettuata dal Difensore civico a sostegno delle proprie argomentazioni, in quanto quest’ultima aveva a oggetto una richiesta di accesso al “permesso di costruire” (che comunque è un titolo edilizio diverso rispetto alla CILA e alla SCIA) presentata ai sensi della diversa legge n. 241 del 07/08/1990 sull’accesso ai documenti amministrativi –e non tramite l’istituto dell’accesso civico generalizzato di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013– da un soggetto che, nel caso di specie, aveva comunque dimostrato di possedere l’interesse qualificato (ossia diretto, concreto e attuale) previsto dalla legge. È in tale contesto, quindi, che va letto l’inciso, contenuto nella sentenza, nel quale il giudice sostiene il diritto di «visionare gli atti del procedimento» relativo al “permesso di costruire” da parte di chiunque abbia «interesse», che non può trovare un’applicazione estensiva in altri istituti (accesso civico) e ad altri titoli edilizi (SCIA e CILA).
In relazione, invece, alla tesi, avanzata sia dal difensore civico che dal soggetto istante, basata evidentemente su una errata rappresentazione dei fatti, secondo la quale non sarebbe stato effettuato il bilanciamento fra gli interessi sottostanti, poiché «la tutela del dato personale deve essere applicata alla luce del principio di proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui vi rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti» e che pertanto «Nella risposta del Comune di San Cesario sul Panaro si trov[erebbe] invece uno sbilanciamento a favore del richiedente: oscurando i dati (nomi, cognomi e il numero civico dell’indirizzo) rend[endo] di fatto l’Accesso Civico Generalizzato senza alcun valore di legge», si evidenzia quanto segue.
La normativa statale in materia di trasparenza e accesso civico è chiara nello stabilire i presupposti (soggettivi e oggettivi) per l’esercizio del diritto di accesso civico –effettuando il bilanciamento fra gli interessi e valori fondamentali sopra descritti (trasparenza amministrativa e diritto alla protezione dei dati personali)– laddove prevede che «chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto», a meno che ciò non comporti un pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse alla protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia (artt. 5, comma 2; 5-bis, comma 2, lett. a, del d.lgs. n. 33/2013).
Questo significa che, laddove una pubblica amministrazione riceva una richiesta di accesso civico a dati personali (o a documenti che ne contengano), e gli stessi non siano oggetto di pubblicazione obbligatoria, la stessa è tenuta in primo luogo a verificare se dall’ostensione dei predetti dati possa derivare un pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali del/i soggetto/i a cui gli stessi si riferiscono, e in tal caso a rifiutarne l’accesso civico (cfr. a tal proposito anche il par. 8.1. delle Linee guida dell’ANAC).
Per effettuare la valutazione descritta, l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso civico è tenuta a coinvolgere i soggetti controinteressati (art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 33/2013), anche al fine di consentigli di presentare eventuale motivata opposizione. Tali motivazioni costituiscono «un indice della sussistenza di un pregiudizio concreto, la cui valutazione però spetta all’ente e va condotta anche in caso di silenzio del controinteressato», tenendo, altresì, in considerazione i criteri contenuti nelle richiamate Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico (in particolare par. 8.1 intitolato «I limiti derivanti dalla protezione dei dati personali»).
Per tale motivo, nello specifico caso sottoposto all’attenzione di questa Autorità, non è condivisibile la tesi per la quale ci sarebbe stato uno «sbilanciamento» a danno del soggetto istante nel provvedimento di diniego del Comune, solo perché –oscurando i dati personali (nomi, cognomi e indirizzo) dei controinteressati– «la tutela del dato personale» non sarebbe stata «applicata alla luce del principio di proporzionalità nel bilanciamento con altri diritti e valori fondamentali, tra cui vi rientra quello alla trasparenza amministrativa e all’accesso ai documenti».
Come già evidenziato in altre sedi, non è possibile accordare una generale prevalenza della trasparenza o del diritto di accesso civico “generalizzato” a scapito di altri diritti ugualmente riconosciuti dall’ordinamento (quali quello alla riservatezza e alla protezione dei dati personali), in quanto, procedendo in tal modo, si vanificherebbe proprio il necessario bilanciamento degli interessi in gioco che richiede un approccio equilibrato nella ponderazione dei diversi diritti coinvolti, tale da evitare che i diritti fondamentali di eventuali controinteressati possano essere invece gravemente pregiudicati dalla messa a disposizione a terzi –non adeguatamente ponderata– di dati, informazioni e documenti che li riguardano (cfr. provv. n. 521/2016, cit.).
In caso contrario, vi sarebbe infatti il rischio di generare comportamenti irragionevoli in contrasto, per quanto attiene alla tutela della riservatezza e del diritto alla protezione dei dati personali, con la disciplina internazionale ed europea in materia (art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali; artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, Dir. 95/46/CE, Reg. (UE) 27/4/2016 n. 2016/679).
5. Sulla valutazione nel caso di specie circa l’esistenza di un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali
Quanto alla valutazione, nel caso in esame, circa l’esistenza di un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati, derivante dal riconoscimento di un accesso civico generalizzato ai propri dati e informazioni contenuti nelle SCIA e nelle CILA, si ricorda ancora una volta che deve essere tenuta in considerazione la circostanza per la quale –a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della l. n. 241 del 07/08/1990– i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013).
Di conseguenza, è anche alla luce di tale amplificato regime di pubblicità dell’accesso civico che va valutata l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati (che peraltro non risultano essere stati coinvolti nel presente procedimento di accesso civico impedendogli di presentare un’eventuale opposizione), in base al quale decidere se rifiutare o meno l’accesso civico alle informazioni e ai documenti richiesti.
La valutazione dell’ostensione di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso civico, deve inoltre essere effettata anche nel rispetto dei principi indicati dall’art. 5 del Regolamento europeo, fra cui quello di «minimizzazione dei dati», secondo il quale i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati (art. 5, par. 1, lett. c), in modo che non si realizzi un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati (cfr. anche art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della giurisprudenza europea in materia).
In tale contesto, pertanto si ritiene che, ai sensi della normativa vigente e delle indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC, conformemente ai precedenti orientamenti di questa Autorità, il Comune, abbia correttamente respinto l’istanza di accesso civico ai dati personali richiesti. Ciò in quanto, la relativa ostensione, unita al particolare regime di pubblicità prima richiamato dei dati oggetto di accesso civico, può effettivamente arrecare ai soggetti controinteressati, a seconda delle ipotesi e del contesto in cui le informazioni fornite possono essere utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013.
Va, infatti, evidenziato che la generale conoscenza dei dati e delle informazioni personali contenute nelle SCIA e nelle CILA, considerando la quantità e qualità dei dati personali coinvolti (cfr. supra par. 2), può determinare un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti controinteressati –in violazione del ricordato principio di minimizzazione dei dati (art. 5, par. 1, lett. c, del Regolamento europeo)– con possibili ripercussioni negative sul piano relazionale, professionale, personale e sociale.
Ciò anche tenendo conto delle ragionevoli aspettative di confidenzialità dei soggetti controinteressati in relazione al trattamento dei propri dati personali al momento in cui questi sono stati raccolti dall’amministrazione, nonché della non prevedibilità, al momento della raccolta dei dati, delle conseguenze derivanti dalla eventuale conoscibilità da parte di chiunque dei dati richiesti tramite l’accesso civico (cfr. par. 8.1 delle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, cit.).
Questo anche considerando la circostanza, non dirimente ma comunque sintomatica (e non oggetto di contestazione), che nel caso esaminato, il richiedente l’accesso è comunque una impresa privata, la XX, che, dall’istruttoria effettuata dal Comune e dai precedenti esaminati dal Garante, risulta avere effettuato con carattere sistematico analoghe richieste di accesso civico a diversi enti locali e ha tra le sue attività «prevalente» e «secondaria», rispettivamente, la «Gestione database, attività delle banche dati» e lo «Studio e realizzazione di spazi pubblicitari (banner) da pubblicizzare sui propri siti web, per informare, motivare e servire il mercato. Attività di conduzione di campagne di marketing, social media e web marketing. Servizi di gestione dei programmi di fidelizzazione e affiliazione commerciale».
L’insieme delle considerazioni sopra esposte è, pertanto, idonea a configurare, l’esposizione dei soggetti controinteressati a un pregiudizio concreto, ed estremamente probabile, alla tutela della protezione dei propri dati personali, in conformità con la disciplina vigente (cfr. provv. n. 360/2017, cit.). Ciò anche considerando la sistematicità delle richieste di accesso civico effettuate da parte del soggetto istante alle SCIA e alle CILA di diversi enti locali e il pericolo di duplicazione di banche dati di soggetti pubblici da parte di soggetti privati in assenza del consenso dei soggetti interessati o degli altri presupposti di liceità del trattamento previsti dall’art. 6, par. 1, del Regolamento europeo; con il possibile rischio di “usi impropri” e/o di “riutilizzo” e trattamento ulteriore dei dati personali per finalità non compatibili con quelle per le quali i dati personali sono stati inizialmente raccolti, in contrasto con quanto previsto dall’art. 6, comma 4, del Regolamento europeo.
Come già osservato in passato, inoltre, si ribadisce che le informazioni di dettaglio contenute nelle SCIA e nelle CILA impediscono di poter accordare anche un eventuale accesso civico ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, del d.lgs. n. 33/2013; oscurando, ad esempio, i dati identificativi (nome e cognome) del committente o del tecnico progettista. Tale accorgimento, infatti, non elimina la possibilità che i soggetti interessati siano identificati indirettamente tramite gli ulteriori dati di contesto contenuti nella documentazione richiesta (cfr. quanto riportato nel par. 4 del parere n. 360/2017).
A tale riguardo, occorre infatti ricordare che –ai sensi del Regolamento europeo– «si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo on-line o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale» (art. 4, par. 1, n. 1).
Appare invece conforme alla normativa in materia di protezione dei dati personali la soluzione adottata dal Comune di San Cesario sul Panaro, che –allo scopo di soddisfare comunque le esigenze informative alla base dell’accesso civico e di «favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico» (art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 33/2013)– ha fornito i dati relativi alle SCIA e CILA, senza comunicare “dati personali”, e precisamente: la tipologia di titolo edilizio (SCIA o CILA), una descrizione dell’intervento (es.: manutenzione straordinaria, installazione insegna; intervento miglioramento sismico, nuovo accesso carraio, variante in corso d’opera per ristrutturazione edilizia; opere interne; variante in corso d’opera, ecc.), le informazioni relative all’effettuazione dell’intervento nel comune o in una sua frazione.
6. Sulla possibilità per coloro che dimostrino un interesse qualificato di ottenere informazioni e dati personali più dettagliati ai sensi della legge n. 241/1990
Fermo restando quanto evidenziato nei precedenti paragrafi, resta, in ogni caso, salva la possibilità per il soggetto istante di accedere eventualmente alla documentazione e ai dati personali richiesti, laddove, invece, formulando una diversa domanda di accesso agli atti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990, dimostri di possedere «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».
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Al riguardo si legga anche:
  
Garante Privacy: no all’accesso civico generalizzato su pratiche SCIA e CILA. Non è possibile accedere ai dati personali completi contenuti nei titoli abilitativi edilizi sulla base di una mera richiesta di accesso civico generalizzato (26.02.2019 - link a www.casaeclima.com).

EDILIZIA PRIVATA: Previa comunicazione possono essere eseguiti, senza alcun titolo, sia gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, sia le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa.
Sicché, “È illegittimo l'ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c.i.l.) di cui all'art. 6, comma 2, nonché 6-bis (c.i.l.a.) d.P.R. n. 380/2001, quando si sostanziano nella diversa distribuzione interna dell’attività commerciale senza interessamento delle parti strutturali dell'edificio, trattandosi sostanzialmente di operazioni di manutenzione straordinaria”.
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Il gravame è fondato in parte, nei sensi e limiti, di seguito specificati.
Ripercorrendo le censure, espresse in ricorso, sub I), avverso la contestata ordinanza di demolizione, e sopra dettagliatamente riferite, osserva il Collegio come sia, in parte, condivisibile la ricostruzione, in esse proposta, del regime edilizio delle opere abusive riscontrare, sanzionate con la più grave misura demolitoria, ex art. 31 d. P. R. 380/2001.
In particolare, s’osserva: a) relativamente alla porzione di capannone, adibita ad officina meccanica, e segnatamente alla: a.1) “struttura bipiano in blocchi di laterizio, autoportanti per il piano terra ed in gas beton per il primo piano”, realizzata all’interno del capannone e destinata ad uffici e deposito, collegati tramite una scala in ferro, va condivisa la riconduzione, della stessa, alla previsione di cui all’art. 6, comma 2, lett. e-bis), del d. P. R. 380/2001, trattandosi di “modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa sempre che non riguardino le parti strutturali (...)”, per le quali non era richiesto alcun titolo edilizio, risultando sufficiente una mera comunicazione.
In giurisprudenza, cfr. la massima seguente: “Previa comunicazione possono essere eseguiti, senza alcun titolo, sia gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all'art. 3, comma 1, lett. b), d.P.R. 06.06.2001 n. 380, ivi compresa l'apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell'edificio, sia le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d'impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d'uso dei locali adibiti ad esercizio d'impresa” (TAR Abruzzo–Pescara, Sez. I, 20/02/2017, n. 71).
Si tenga presente, altresì, la recente massima della Sezione: “È illegittimo l'ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c.i.l.) di cui all'art. 6, comma 2, nonché 6-bis (c.i.l.a.) d.P.R. n. 380/2001, quando si sostanziano nella diversa distribuzione interna dell’attività commerciale senza interessamento delle parti strutturali dell'edificio, trattandosi sostanzialmente di operazioni di manutenzione straordinaria” (TAR Campania–Salerno, Sez. II, 06/07/2018, n. 1042) (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 02.01.2019 n. 1 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2018

EDILIZIA PRIVATA: Poteri dell’Amministrazione su c.i.l.a. presentata per lavori di manutenzione straordinaria.
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Edilizia - C.i.l.a. – Valutazione di ammissibilità - Esclusione - Limite.
La c.i.l.a. relativa a lavori di manutenzione straordinaria, inoltrata dal privato alla Pubblica amministrazione, non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia (1).
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   (1) Ha ricordato il Tar che la c.i.l.a. è ritenuta atto avente natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al g.a. (Tar Catania, sez. I, 16.07.2018, n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato, nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784, rileva come “l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, peraltro, giova osservare come la p.a. in materia edilizia mantenga fermo, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, un potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis, d.P.R. n. 380 del 2001
Ne deriva che il diniego della c.i.l.a. è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, l. n. 241 del 1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis, d.P.R. n. 380 del 2001, salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’Ente territoriale (TAR Calabria-Catanzaro, Sez. II, sentenza 29.11.2018 n. 2052 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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SENTENZA
6. Il ricorso sottoposto al vaglio del Collegio è articolato su un duplice petitum, il primo dei quali ha ad oggetto la richiesta di annullamento o nullità del diniego di c.i.l.a., mentre il secondo è finalizzato a conseguire una pronuncia di accertamento.
7. Ciò chiarito, è fondata la domanda con cui la ricorrente denuncia la nullità dell’avversato rigetto, in quanto espressione di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001.
Occorre premettere che la c.i.l.a. è stata introdotta dall'art. 3, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 222/2016. Sulla novella si sono appuntante le riflessioni del Consiglio di Stato nel parere reso il 04.08.2016, n. 1784, in cui essa è qualificata come “un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la s.c.i.a.”, ascrivibile, al pari del secondo, nel genus della liberalizzazione delle attività private.
In particolare, la c.i.l.a. ha carattere residuale, poiché applicabile agli interventi non riconducibili tra quelli elencati agli artt. 6, 10 e 22 D.P.R. n. 380/2001 e riguardanti, rispettivamente, l’edilizia libera, le opere subordinate a permesso di costruire e le iniziative edilizie sottoposte a s.c.i.a.
In base, poi, alle prime pronunce giurisprudenziali,
la c.i.l.a. è ritenuta atto avente natura privatistica, come tale non suscettibile di autonoma impugnazione innanzi al g.a. (TAR Catania, Sez. I, 16.07.2018, n. 1497).
Operando un raffronto con la s.c.i.a., il Consiglio di Stato, nel menzionato parere, rileva inoltre come “
l’attività assoggettata a c.i.l.a. non solo è libera, come nei casi di s.c.i.a., ma, a differenza di quest’ultima, non è sottoposta a un controllo sistematico, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio”, conseguendo a ciò che “ci si trova… di fronte a un confronto tra un potere meramente sanzionatorio (in caso di c.i.l.a.) con un potere repressivo, inibitorio e conformativo, nonché di autotutela (con la s.c.i.a.)”.
Sotto altro profilo, peraltro, giova osservare come la p.a. in materia edilizia mantenga fermo, sulla scorta del regime giuridico di cui all’art. 27, D.P.R. n. 380/2001, un potere di vigilanza contro gli abusi, implicitamente contemplato dallo stesso art. 6-bis, D.P.R. n. 380/2001 (Consiglio di Stato, Commissione speciale, cit.).
In ragione di quanto evidenziato, quindi,
la c.i.l.a. inoltrata dal privato alla p.a. non può essere oggetto di una valutazione in termini di ammissibilità o meno dell’intervento da parte dell’amministrazione comunale ma, al contempo, a quest’ultima non è precluso il potere di controllare la conformità dell’immobile oggetto di c.i.l.a. alle prescrizioni vigenti in materia.
Ne deriva che
l’avversato provvedimento di diniego della c.i.l.a., adottato dalla resistente amministrazione, è nullo ai sensi dell’art. 21-septies, L. n. 241/1990, poiché espressivo di un potere non tipizzato nell’art. 6-bis D.P.R. n. 380/2001, salva e impregiudicata l’attività di vigilanza contro gli abusi e l’esercizio della correlata potestà repressiva dell’Ente territoriale.
Sul punto, occorre inoltre osservare come il Collegio sia consapevole che, ad avviso di altro orientamento giurisprudenziale, eventuali provvedimenti “… dell’ente in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno… carattere provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere legislativamente tipizzato” (TAR Toscana, Sez. III, n. 20.09.2016, n. 1625). La qualificazione del diniego di c.i.l.a. in termini di atto meramente informativo postulerebbe quale conseguenza la declaratoria di inammissibilità del ricorso per assenza di lesività dell’atto impugnato, soluzione che, ad avviso dell’adìto Tar, non è condivisibile.
Invero, il diniego di c.i.l.a. -sebbene provvedimento nullo secondo quanto chiarito- incide comunque nella dinamica del rapporto giuridico amministrativo tra privato e p.a. Pertanto, la declaratoria di nullità dello stesso impedisce -diversamente dalla qualificazione dell’atto quale mera informazione e conseguente inammissibilità del gravame- che il descritto rapporto giuridico amministrativo possa mantenere una zona grigia di ambiguità tra privato e p.a..
7. Va di contro rigettata la domanda tesa a conseguire nella fattispecie una pronuncia di accertamento della regolarità del fabbricato e delle conseguenti facoltà esercitabili dalla ricorrente, involgendo la verifica della regolarità dell’immobile valutazioni di esclusiva spettanza dell’amministrazione comunale, rispetto alle quali una sentenza di accertamento implicherebbe uno sconfinamento della potestà giurisdizionale nella sfera riservata alla p.a., al di fuori delle tassative ipotesi di giurisdizione di merito previste dall’art. 134 c.p.a..

EDILIZIA PRIVATA: La diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al semplice regime della comunicazione di inizio lavori, originariamente in forza dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001, che disciplina gli interventi subordinati a c.i.l.a.
In tali ipotesi, pertanto, l'omessa comunicazione non può giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo abilitativo.
Quando invece questo stesso intervento interessi parti strutturali del fabbricato, ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001, la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio attività, la cui mancanza comporta, parimenti, l'irrogazione della sola sanzione pecuniaria;
  
Sono pienamente riconducibili alla tipologia di opere proprie della manutenzione straordinaria, quelle opere che senza modificare la destinazione d'uso già in corso e senza intaccare la struttura portante dell'edificio, abbiano comportato semplicemente una parziale differente distribuzione degli spazi interni relativi ai singoli locali in vista di una loro parziale rinnovazione anche di tipo tecnologico.

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Nella fattispecie, considerata la natura degli interventi dei quali con il provvedimento impugnato se ne contesta la realizzazione, appare quanto mai evidente che non era applicabile l’applicabile la normativa di cui all’art. 31 del d.P.R. 380/2001 con il connesso apparato sanzionatorio.
L’impostazione privilegiata dal Collegio trova il conforto della giurisprudenza, in proposito rilevandosi che:
  
<<La diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al semplice regime della comunicazione di inizio lavori, originariamente in forza dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001, che disciplina gli interventi subordinati a c.i.l.a. In tali ipotesi, pertanto, l'omessa comunicazione non può giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo abilitativo. Quando invece questo stesso intervento interessi parti strutturali del fabbricato, ai sensi dell'art. 22, comma 1, lett. a), del d.p.r. n. 380/2001, la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio attività, la cui mancanza comporta, parimenti, l'irrogazione della sola sanzione pecuniaria>> TAR Napoli, (Campania), sez. II, 22/08/2017, n. 4098), ovvero, ancora:
  
<<Sono pienamente riconducibili alla tipologia di opere proprie della manutenzione straordinaria, quelle opere che senza modificare la destinazione d'uso già in corso e senza intaccare la struttura portante dell'edificio, abbiano comportato semplicemente una parziale differente distribuzione degli spazi interni relativi ai singoli locali in vista di una loro parziale rinnovazione anche di tipo tecnologico>> (Consiglio di Stato sez. V, 19/07/2005, n. 3827 ed, in generale, sulla nozione di manutenzione straordinaria, (cfr., ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 10.10.2016 n. 4650; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 04.08.2016 n. 1561, ivi; Cons. Stato, Sez. V, 14.04.2016 n. 1510, ivi; Id., Sez. V, 05.09.2014 n. 4523) (TAR Campania-Napoli, Sez. III, sentenza 28.11.2018 n. 6898 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: La CILA, a differenza della SCIA, si configura come un mero atto di comunicazione privo di effetti abilitativi propri, che viceversa derivano direttamente dalla legge in forza della libera eseguibilità di determinate attività edilizie.
Ne costituisce conferma il fatto che l’atto con cui l’amministrazione comunale respinge (archiviando o dichiarando irricevibile/improponibile) una CILA presentata per l’effettuazione di alcuni lavori non ha valore provvedimentale, bensì di semplice avviso, privo di esecutorietà, circa la (non) regolarità delle opere oggetto di comunicazione, vertendosi appunto in ambito di attività di edilizia libera e non essendo, peraltro, legislativamente previsto che il comune debba riscontrare le comunicazioni di attività di tal fatta con provvedimenti di assenso o di diniego.
Resta, beninteso, fermo l’esercizio del potere sanzionatorio nel caso in cui l’attività libera non coincida con l’attività ammessa, come avvenuto nella specie.
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7. Nemmeno l’amministrazione era tenuta ad esercitare preventivamente i poteri di autotutela per rimuovere gli effetti della CILA e della SCIA commerciale, e ciò per le seguenti dirimenti ragioni:
   i) la CILA, a differenza della SCIA, si configura come un mero atto di comunicazione privo di effetti abilitativi propri, che viceversa derivano direttamente dalla legge in forza della libera eseguibilità di determinate attività edilizie. Ne costituisce conferma il fatto che l’atto con cui l’amministrazione comunale respinge (archiviando o dichiarando irricevibile/improponibile) una CILA presentata per l’effettuazione di alcuni lavori non ha valore provvedimentale, bensì di semplice avviso, privo di esecutorietà, circa la (non) regolarità delle opere oggetto di comunicazione, vertendosi appunto in ambito di attività di edilizia libera e non essendo, peraltro, legislativamente previsto che il comune debba riscontrare le comunicazioni di attività di tal fatta con provvedimenti di assenso o di diniego. Resta, beninteso, fermo l’esercizio del potere sanzionatorio nel caso in cui l’attività libera non coincida con l’attività ammessa, come avvenuto nella specie (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. II, 17.09.2018 n. 5516; TAR Veneto, Sez. II, 15.04.2015 n. 415);
   ii) gli effetti della SCIA commerciale, presentata dall’inquilino della ricorrente, erano stati già inibiti con provvedimento comunale del 27.01.2017 (cfr. documentazione allegata alla memoria di costituzione dell’amministrazione), ben prima dell’emanazione dell’ordinanza di ripristino (TAR Campania-Napoli, Sez. II, sentenza 15.10.2018 n. 5964 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATA: Il regime proprio dell’attività edilizia subordinata alla presentazione della c.i.l.a., a differenza di quello proprio dell’attività edilizia subordinata alla presentazione della s.c.i.a., non prevede una fase di controllo successivo (con eventuale esito inibitorio), da esperirsi entro il termine perentorio ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, che è inapplicabile alla prima delle indicate categorie di interventi.
In relazione alla tipologia di interventi ex art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001, l'amministrazione dispone, dunque, di un unico potere, che è quello sanzionatorio da esercitarsi nel caso in cui le opere realizzate risultino in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia.
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L’omesso pagamento dei diritti di segreteria integra un vizio regolarizzabile ex post su invito dell’amministrazione, e, di certo, non infirmante la presentata c.i.l.a., insuscettibile, cioè, di elidere in radice la legittimazione degli interventi eseguiti.
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Premesso che:
   - col ricorso in epigrafe, La Re. di S. Ma. di An. Ro. s.p.a. (in appresso, La Re. di S. Ma.) impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, le note del Settore Pianificazione e Sviluppo del Territorio del Comune di Scafati prot. n. 20941 del 17.04.2018 e prot. n. 27731 del 22.05.2018, recanti, rispettivamente, l’archiviazione della c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647 (avente per oggetto interventi di manutenzione straordinaria, consistenti nella sostituzione delle lamiere di copertura sovrastanti una porzione dello stabilimento produttivo sito in Scafati, alla via ..., n. 6, e censito in catasto al foglio 2, particelle 63 e 506), e la conseguente diffida dall’esecuzione degli interventi contemplati nella predetta c.i.l.a., nonché l’accertamento dell’abusività di questi ultimi;
   - il gravato divieto di esecuzione dei lavori era, segnatamente, motivato in base ai rilievi che:
a) in relazione alla c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647, non figuravano versati i diritti di segreteria, non potendosi considerare all’uopo utilizzabili quelli già corrisposti dalla Re. di S. Ma. in relazione alla già archiviata c.i.l.a. del 15.02.2018, prot. n. 8631;
b) i lavori contemplati nella c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647, risultavano attingere il medesimo manufatto riguardato dal procedimento di accertamento di conformità avviato con istanza del 06.11.2015, prot. n. 31733, ed ancora in itinere;
   - il parimenti gravato accertamento di abusività degli interventi eseguiti sine titulo era motivato, oltre che in base ai su indicati rilievi, anche in ragione della riscontrata mancanza della documentazione tecnico-amministrativa e fotografica a corredo della comunicazione di fine lavori prot. n. 20530 del 16.04.2018;
   - avverso siffatte determinazioni la ricorrente lamentava, in estrema sintesi, che:
- il provvedimento inibitorio di cui alla nota del 17.04.2018, prot. n. 20941, sarebbe stato notificato all’interessata soltanto in data 19.04.2018, ossia dopo lo spirare (in data 18.04.2018) del termine perentorio di 30 giorni dalla comunicazione ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001;
- ai fini della presentazione della c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647, il pagamento dei diritti di segreteria sarebbe stato regolarmente effettuato e, comunque, la sua omissione sarebbe stata suscettibile di regolarizzazione;
- gli interventi controversi non avrebbero attinto la porzione di manufatto riguardata dall’istanza di sanatoria prot. n. 31733 del 06.11.2015;
- alla comunicazione di fine lavori non andrebbe allegato altro se non il documento di identità del dichiarante;
...
Considerato, in limine, che:
   - il regime proprio dell’attività edilizia subordinata alla presentazione della c.i.l.a., a differenza di quello proprio dell’attività edilizia subordinata alla presentazione della s.c.i.a., non prevede una fase di controllo successivo (con eventuale esito inibitorio), da esperirsi entro il termine perentorio ex art. 23, comma 6, del d.p.r. n. 380/2001, che –a dispetto degli assunti di parte ricorrente– è inapplicabile alla prima delle indicate categorie di interventi;
   - in relazione alla tipologia di interventi ex art. 6-bis del d.p.r. n. 380/2001, l'amministrazione dispone, dunque, di un unico potere, che è quello sanzionatorio da esercitarsi nel caso in cui le opere realizzate risultino in contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia;
   - eventuali pronunciamenti anticipati dell’amministrazione in ordine alla legittimità degli interventi comunicati con c.i.l.a. –quali quelli in questa sede impugnati– non rivestono, quindi, carattere provvedimentale (cfr., in tal senso, TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 415/2015; TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 1625/2016);
   - ciò non esclude, tuttavia, in radice un interesse concreto e attuale dei relativi soggetti destinatari a tutelarsi in via giurisdizionale immediatamente avverso essi, nella misura in cui –come, appunto, nella specie– prefigurano, a guisa di contestazioni preventive, le susseguenti determinazioni sfavorevoli dell’amministrazione;
   - di qui, dunque, l’ammissibilità delle censure rassegnate dalla ricorrente in ordine ai presupposti di ritenuta illegittimità della c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647;
Considerato, in merito a tali censure, che:
   - l’omesso pagamento dei diritti di segreteria ha potuto integrare un vizio regolarizzabile ex post su invito dell’amministrazione, e, di certo, non infirmante la presentata c.i.l.a., insuscettibile, cioè, di elidere in radice la legittimazione degli interventi eseguiti;
   - come perspicuamente illustrato dalla Re. di S. Ma. mediante le riproduzioni grafiche riportate nella relazione di consulenza tecnica di parte esibita in giudizio, gli interventi contemplati nella c.i.l.a. del 19.03.2018, prot. n. 14647, risultano aver attinto una porzione di manufatto distinta da quella riguardata dall’istanza di sanatoria prot. n. 31733 del 06.11.2015;
   - a corredo della comunicazione di fine lavori non è normativamente richiesta l’allegazione di altro documento se non di quello di identità del dichiarante;
Ritenuto che:
   - stante la ravvisata fondatezza dei profili di censura dianzi scrutinati, ed assorbiti quelli ulteriori, il ricorso in epigrafe va accolto, con conseguente annullamento degli atti con esso impugnati;
   - appare equo compensare interamente tra le parti le spese di lite (TAR Campania-Salerno, Sez. II, sentenza 28.08.2018 n. 1215 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

EDILIZIA PRIVATAImpugnativa della comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.) da parte del terzo che si ritenga leso dalla stessa.
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   ● Giurisdizione – Edilizia – Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) - Verifica della conformità dell’attività edilizia comunicata – Giurisdizione giudice amministrativo.
   ● Edilizia – Comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) – Tutela esperibile dal terzo – Individuazione.
   ● Appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia in cui il terzo faccia valere l’interesse legittimo asseritamente leso dal non corretto esercizio del potere amministrativo di verifica della conformità dell’attività edilizia comunicata (Cila) rispetto al paradigma normativo, ad esempio sul rilievo che l’attività in questione non potesse rientrare nella comunicazione di inizio lavori asseverata e che richiedesse piuttosto, per le caratteristiche della stessa, un permesso di costruire e, stante l’ubicazione dell’intervento, il parere obbligatorio della commissione speciale (1).
   ● L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della comunicazione di inizio lavori asseverata non può essere quindi un’azione di annullamento, ma, analogamente a quanto previsto dall’art. 19, comma 6-ter, l. 07.08.1990, n. 241 e in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, c.p.a. ovvero l’azione di annullamento, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia determinata con il provvedimento espresso lesivo dei propri interessi (2).

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   (1) Ha ricordato il Tar che la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) si inquadra, analogamente alla Scia rispetto alla quale è complementare, nel processo di liberalizzazione delle attività private; essa è prevista dall’art. 6-bis del testo unico dell’edilizia e costituisce un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la Scia, avente carattere di residualità rispetto agli interventi non diversamente disciplinati; essa, pertanto è senza dubbio un atto del privato privo di natura provvedimentale, anche tacita, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al Giudice amministrativo.
   (2) Ha chiarito il Tar che il regime della edilizia libera di cui all’art. 6, d.P.R. n. 380 del 2001 –e dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente da quello della Scia, non prevede una fase di controllo successivo sistematico (da esperirsi entro un termine perentorio) che –in caso di esito negativo- si chiude con un provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art. 19, comma 3, l. n. 241, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”); la Cila, insomma, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di un unico potere che è quello sanzionatorio (in caso di Cila mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità, ma pur sempre eseguibili con Cila).
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la comunicazione sia utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la stessa Scia) o, comunque, in violazione della normativa in materia, posto che “In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione [art. 6-bis cit.], laddove fa salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia …” (Adunanza della Commissione Speciale Consiglio di Stato, n. 1784 del 04.08.2016) (TAR Sicilia-Catania, Sez. I, sentenza 16.07.2018 n. 1497 - commento tratto da e link a www.giustizia-amministrativa.it).
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9. - Passando all’esame delle ulteriori eccezioni in rito, la controinteressata sostiene l’inammissibilità del ricorso, in quanto la C.I.L.A. non è un provvedimento amministrativo, bensì un atto privato e pertanto, “sulla base dell’analogo istituto della SCIA”, i controinteressati possono al più sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione ed in caso di inerzia esperire esclusivamente l’azione di cui all’articolo 31 del decreto legislativo 104/2010.
9.1. – L’eccezione è fondata.
La CILA -ossia la comunicazione di inizio lavori asseverata- si inquadra, analogamente alla SCIA rispetto alla quale è complementare, nel processo di liberalizzazione delle attività private; essa è prevista dall’art. 6-bis del testo unico dell’Edilizia –come modificato dal D.Lgs. n. 222/2016– e costituisce un istituto intermedio tra l’attività edilizia libera e la SCIA, avente carattere di residualità rispetto agli interventi non diversamente disciplinati (“Gli interventi non riconducibili all’elenco di cui agli articoli 6, 10 e 22 sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato all’amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22.01.2004, n. 42”).
Essa, pertanto è senza dubbio un atto del privato privo di natura provvedimentale, anche tacita, come tale non immediatamente impugnabile innanzi al TAR.
L’azione a tutela del terzo che si ritenga leso dall’attività svolta sulla base della C.I.L.A. non può essere quindi un’azione di annullamento, ma, analogamente a quanto previsto dall’art. 19, comma 6-ter, della legge n. 241 del 1990 e in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3 del cod. proc. amm. ovvero l’azione di annullamento, nell’ipotesi in cui l’amministrazione si sia determinata con il provvedimento espresso lesivo dei propri interessi (ipotesi quest’ultima non ricorrente nel caso in questione).
Va specificato che
il regime della edilizia libera di cui all’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001 –e dell’edilizia libera certificata ex art. 6-bis- diversamente da quello della Scia, non prevede una fase di controllo successivo sistematico (da esperirsi entro un termine perentorio) che –in caso di esito negativo- si chiude con un provvedimento di carattere inibitorio (ai sensi dell’art. 19, co. 3, della L. n. 241, l’amministrazione “adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa”); la CILA, insomma, deve essere “soltanto” conosciuta dall’amministrazione affinché essa possa verificare che, effettivamente, le opere progettate importino un impatto modesto sul territorio.
Gli interventi che rientrano nella sfera di “libertà” definita dalla predetta norma non sono, infatti, soggetti ad alcun titolo edilizio tacito o espresso: in relazione agli stessi, pertanto, l’amministrazione dispone di un unico potere che è quello sanzionatorio (in caso di CILA mancante, incompleta o irregolare, ovvero di lavori eseguiti in difformità, ma pur sempre eseguibili con CILA).
È stato, sotto tale profilo, affermato che “
Eventuali pronunciamenti anticipati dell’ente in ordine alla ammissibilità degli interventi comunicati con CILA non hanno, quindi, carattere provvedimentale ma meramente informativo, non rispondendo gli stessi ad un potere legislativamente tipizzato” (TAR Toscana, Firenze, sez. III, n. 1625/2016).
Diversa, invece, è l’ipotesi in cui la comunicazione sia utilizzata al di fuori della fattispecie legale, ossia per eseguire opere che richiedano il permesso di costruire (o la stessa SCIA) o, comunque, in violazione della normativa in materia, posto che “In tali casi l’amministrazione non può che disporre degli ordinari poteri repressivi e sanzionatori dell’abuso, come peraltro implicitamente previsto dalla stessa disposizione [art. 6-bis cit.], laddove fa salve “le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia … ( Adunanza della Commissione Speciale Consiglio di Stato, n. 1784, del 04.08.2016).
Specificati i diversi tipi di controllo dell’Amministrazione sulla SCIA e sulla CILA e conseguentemente i diversi contenuti dei provvedimenti adottabili dalla p.a.,
ritiene il Collegio che il terzo che si ritenga leso da un atto privato quale la CILA potrà sollecitare il Comune all’esercizio delle verifiche allo stesso spettanti e, in caso di inerzia, attivare il procedimento del silenzio.
L’amministrazione, dal canto suo, a fronte di una denuncia-diffida da parte del terzo, ha l’obbligo di procedere alle verifiche che potrebbero giustificare anche un suo intervento repressivo e ciò diversamente da quanto accade in presenza di un “normale” potere di autotutela che si connota per la sussistenza di una discrezionalità che attiene non il solo contenuto dell’atto ma anche l’an del procedere, il cui esercizio è incoercibile dall’esterno attraverso l’istituto del silenzio-inadempimento (Consiglio di Stato, sez. V, n. 2237 del 22.05.2015).
Tale opzione interpretativa, in assenza allo stato di uno specifico regime in materia, coniuga in modo equilibrato le esigenze di liberalizzazione sottese alla CILA (come del resto alla SCIA) con quelle di tutela del terzo (Cons. St. sez. VI, 03.11.2016, n. 4610) in ossequio ai principi di cui all’art. 24 Cost..
Conclusivamente,
ritiene il Collegio che il privato che lamenti la lesione di un interesse legittimo in connessione ad una CILA presentata da un terzo –interesse pretensivo all’adozione di atti sfavorevoli per il destinatario dell’azione amministrativa (Cons. St., sez. VI, 03.11.2016 n. 4610, con riguardo alla segnalazione certificata di inizio attività)-, analogamente alla S.C.I.A. e fatti i debiti distinguo per come sopra detto, non potrà certamente impugnare, ai fini dell’annullamento, un atto privato, ma potrà attivare i poteri di controllo in capo alla pubblica amministrazione, la quale dovrà quindi concludere il procedimento con un provvedimento espresso.
Ciò l’amministrazione dovrà fare sulla base delle seguenti argomentazioni:
   - l’art. 2 della legge 241/1990 impone alle pubbliche amministrazioni il dovere di concludere un procedimento avviato mediante un provvedimento espresso e tale disposizione attiene ai livelli essenziali delle prestazioni da riconoscersi a tutti i cittadini ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. m), della Cost.;
   - lo strumento su indicato (diffida ad attivare i controlli con possibilità di agire avverso il silenzio), analogamente all’art. 19 l. n. 241 del 1990, presenta i caratteri dell’esclusività del rimedio in favore del terzo, sicché la mancata conclusione del procedimento avviato a seguito di diffida finirebbe di fatto per privare gli interessati di ogni tutela innanzi al giudice, con palese violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24, 111 e 113 Cost.
(TAR Molise n. 197/2014; TAR Venezia, n. 233/2014).
9.2. - Alla luce delle superiori argomentazioni, deve concludersi per l’inammissibilità del ricorso laddove impugna la CILA meglio indicata in epigrafe.

EDILIZIA PRIVATA: Se l’intervento abusivo avviato o ultimato rientra nelle ipotesi di edilizia libera assoggettate alla Comunicazione Inizio Lavori (cd. CIL) o alla Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) esso può essere sanato presentando la suddetta comunicazione unitamente alla ricevuta di pagamento della sanzione, salva naturalmente la regolarizzazione rispetto alle altre normative vincolistiche di settore, quali quella paesaggistica, sismica, idrogeologica, etc.
Tra l’altro l’attuale normativa non prescrive o dispone alcunché in termini temporali, e non pone il rispetto della condizione della doppia conformità come invece è previsto dal T.U.E. agli articoli 36 e 37 per gli abusi e le difformità edilizie che esulano dalle fattispecie dell’edilizia libera.
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1. Con ricorso ritualmente notificato il 17/01/2017 e depositato il 02/02/2017, il sig. Se.Ma. ha impugnato l’ordinanza n. 23 del 18.11.2016, notificatagli in pari data, con la quale il Comune di Altofonte gli ha intimato la demolizione dell’opera edilizia consistente nella “rimozione e sostituzione della saracinesca esterna, demolizione degli stipiti dell’ingresso alla futura autorimessa e realizzazione di n. 2 pilastri (sezione cm. 30x cm. 50) sormontati da una trave (sezione cm. 45 x cm. 50), tutti realizzati in conglomerato cementizio armato, con conseguente variazione delle dimensioni dell’apertura: larghezza m. 2,70 (preesistente m. 2,30), altezza m. 2,90, sito in Via ... nn. 15, 17, 23, al N.C.E.U. del Comune di Altofonte al foglio 500, particella 920, sub 3” ed il ripristino dello stato dei luoghi,poiché tale intervento è stato effettuato in difformità dalla autorizzazione n. 05 del 23.03.2016, nel centro storico, zona “A” del P.R.G., soggetta dal 2004 a vincolo paesaggistico e sismico.
Ne ha chiesto l’annullamento previa sospensione cautelare, deducendone l’illegittimità per i motivi di “Violazione e falsa applicazione in ordine alla L.R. 16 del 10.08.2016; Eccesso di potere, omissione e/o contraddittorietà della motivazione nonché travisamento dei fatti” poiché il Comune intimato, pur riconoscendo che l’intervento edile è riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), del D.P.R. 380/2001 e come tale soggetto a C.I.L.A. (comunicazione inizio lavori asseverata) così come previsto dall’art. 6 del D.P.R. cit., recepito dall’art. 3 della L.R. n. 16 del 10.08.2016, avrebbe applicato immotivatamente la sanzione dell’ingiunzione a demolire e del ripristino dello stato dei luoghi in luogo di quella prevista dal comma 5 dell’art. 3 della L.R. n. 16/2016 cit. che, nell’ipotesi di mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori, qual è quella di specie, non prevede la sanzione della demolizione ma commina sola una sanzione pecuniaria di € 1.000,00.
Precisa, inoltre, di avere già provveduto a:
   - depositare, in data 14.12.2016, la richiesta di "CIL in sanatoria" o "Cil per lavori già eseguiti" al fine di sanare l’irregolarità edilizia, pagando la sanzione di 1.000 euro;
   - richiedere, con istanza prot. 3026/P del 12.12.2016, il parere di “Compatibilità Paesaggistica” alla Soprintendenza ai BB.CC.AA. competente;
   - presentare, in data 09.01.2017, all’Ufficio del Genio Civile di Palermo, l’istanza prot. 3123/UO volta a ottenere il N.O. ai sensi dell’art. 21 L. n. 64/1974.
Il Comune di Altofonte, seppure ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
Con ordinanza collegiale n. 327/2017 è stata accolta la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato.
Nelle more del giudizio:
   - la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo, con atto prot. 5084/S15.4 del 24.08.2017, ha accertato la regolarità urbanistica dell’edificio e, posto che l’intervento realizzato non ha comportato un aumento della volumetria e delle superfici utili, ha rilasciato il parere favorevole di compatibilità paesaggistica;
   - il Genio Civile di Palermo, con provvedimento prot. 226342 del 18.11.2017, ha rilasciato il parere di sussistenza ai sensi della L. 02.02.1974, n. 64.
...
2. Il ricorso, quanto alla domanda di annullamento, è fondato.
L’art. 3 della L.R. n. 16 del 10.08.2016, rubricato “Recepimento con modifiche dell'articolo 6 <Attività edilizia libera> del decreto del Presidente della Repubblica 06.06.2001, n. 380”, al comma 5, invero, stabilisce che “La mancata comunicazione dell'inizio dei lavori di cui al comma 2, ovvero la mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori di cui al comma 3, comportano la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. Tale sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione”.
E’ dunque evidente che se l’intervento abusivo avviato o ultimato, rientra nelle ipotesi di edilizia libera assoggettate alla Comunicazione Inizio Lavori (cd. CIL) o alla Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA) esso può essere sanato presentando la suddetta comunicazione unitamente alla ricevuta di pagamento della sanzione, salva naturalmente la regolarizzazione rispetto alle altre normative vincolistiche di settore, quali quella paesaggistica, sismica, idrogeologica, etc.
Tra l’altro l’attuale normativa non prescrive o dispone alcunché in termini temporali, e non pone il rispetto della condizione della doppia conformità come invece è previsto dal T.U.E. agli articoli 36 e 37 per gli abusi e le difformità edilizie che esulano dalle fattispecie dell’edilizia libera.
Poiché l’intervento di che trattasi ha ottenuto i pareri favorevoli delle autorità amministrative poste rispettivamente a tutela del vincolo paesaggistico e di quello sismico ed è stato ricondotto dallo stesso Comune di Altofonte nell’alveo degli interventi di edilizia libera, a fronte dell’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 3, comma 5 cit. unitamente alla presentazione tardiva della CILA, non poteva esserne disposta la demolizione e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi.
Non può essere accolta invece la domanda di risarcimento del danno perché, prescindendo dalla sua inammissibilità perché genericamente formulata, in ogni caso, a seguito della sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione in via cautelare, alcun danno può essersi verificato.
Il ricorso pertanto va accolto limitatamente alla domanda impugnatoria e, per l’effetto, va annullato il provvedimento impugnato (TAR Sicilia-Palermo, Sez. II, sentenza 18.06.2018 n. 1380 - link a www.giustizia-amministrativa.it).

anno 2016

EDILIZIA PRIVATALa definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio.
Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia. 
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Non è ragionevole ritenere che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo.
Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella «possibilità di estendere i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6».

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Le regioni possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒ la natura di principio fondamentale della materia del «governo del territorio», in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali.
Sicché, è precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di opere totalmente libere da ogni forma di controllo, neppure indiretto mediante denuncia.

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Secondo la giurisprudenza costituzionale, la definizione delle categorie di interventi edilizi a cui si collega il regime dei titoli abilitativi costituisce principio fondamentale della materia concorrente del «governo del territorio», vincolando la legislazione regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 259 del 2014, n. 171 del 2012; n. 309 del 2011).
Cosicché, pur non essendo precluso al legislatore regionale di esemplificare gli interventi edilizi che rientrano nelle definizioni statali, tale esemplificazione, per essere costituzionalmente legittima, deve essere coerente con le definizioni contenute nel testo unico dell’edilizia. 
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2.2.– Con riguardo al profilo di impugnazione concernente le opere di arredo, va precisato che l’art. 6, comma 3, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 riconduce nella nozione di manutenzione ordinaria ‒e, quindi, al regime giuridico della edilizia libera, ai sensi dell’art. 21, comma 1, lettera a) della legge reg. n. 16 del 2008‒ l’installazione di «elementi di arredo urbano e privato pertinenziali non comportanti creazione di volumetria» (art. 6, comma 2, lettera i, della legge reg. n. 16 del 2008 come novellato).
Nel contempo, l’art. 6, commi 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino, della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 ha incluso nel novero delle attività edilizie “libere” l’«installazione di opere di arredo pubblico e privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, anche interrate» (art. 21, comma 1, lettera i-bis, della legge reg. n. 16 del 2008 come novellato). Le due tipologie di intervento non sembrano presentare significative differenze: né l’utilizzo del termine «elementi» in luogo di «opere», né l’aggiunta dell’esclusione delle volumetrie «anche interrate», appaiono in grado di segnare una apprezzabile diversità dei rispettivi connotati edilizi.
Poiché il Governo lamenta l’illegittima inclusione delle opere in questione tra gli interventi edilizi eseguibili liberamente, senza necessità di titolo abilitativo, occorre verificare se il legislatore regionale, nel precisare l’ambito riservato all’attività edilizia libera, si sia mantenuto nei limiti di quanto gli è consentito.
L’art. 6, comma 6, del TUE prevede che le regioni a statuto ordinario possano estendere tale disciplina a «interventi edilizi ulteriori» (lett. a), nonché disciplinare «le modalità di effettuazione dei controlli» (lett. b). Nel definire i limiti del potere così assegnato alle regioni, questa Corte ha escluso «che la disposizione appena citata permetta al legislatore regionale di sovvertire le “definizioni” di “nuova costruzione” recate dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001» (sentenza n. 171 del 2012).
L’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività).
«Non è perciò ragionevole ritenere che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013).
Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella «possibilità di estendere i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6» (così ancora la sentenza n. 139 del 2013).
Su queste basi, si deve ritenere che il legislatore regionale ligure, nell’includere nel novero delle attività edilizie “libere” l’installazione di opere di arredo privato, anche di natura pertinenziale, purché non comportanti creazione di nuove volumetrie, non abbia esteso i casi di attività edilizia libera a un’ipotesi integralmente nuova, non coerente e logicamente assimilabile agli interventi già previsti ai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE.
Come si può desumere anche dalla diversa disciplina riservata dallo stesso legislatore regionale alle «opere di sistemazione e di arredo» di natura pertinenziale (art. 17 della legge reg. n. 16 del 2008) assoggettate a DIA “obbligatoria” (ai sensi dell’art. 23 della stessa legge), la tipologia di arredo incluso tra gli interventi non subordinati a titoli abilitativi corrisponde a manufatti che, per le loro caratteristiche di precarietà strutturale e funzionale, sono destinati a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo, e non sono pertanto idonei a configurare un aumento del volume e della superficie coperta, né ad alterare il prospetto o la sagoma dell’edificio.
Si tratta dunque di opere assimilabili a quelle previste all’art. 6, comma 6, del TUE, che alla lettera e) considera gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici». La legge regionale appare anzi più restrittiva, perché precisa (a differenza della legge statale) che tali opere non possono comportare la creazione di volumetria. Sussiste, tuttavia, un profilo rispetto al quale il legislatore regionale ha ecceduto dalla sfera della competenza concorrente assegnata dall’art. 117, terzo comma, Cost.
Mentre il citato art. 6, comma 2, lettera e), del TUE, subordina gli «elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici» alla previa comunicazione dell’inizio dei lavori da parte dell’interessato al comune, la previsione regionale impugnata accomuna la disciplina dell’arredo su area pertinenziale e di quello sugli spazi “scoperti” dell’edificio, ma non impone per il primo lo stesso onere formale.
Le regioni possono sì estendere la disciplina statale dell’edilizia libera ad interventi “ulteriori” rispetto a quelli previsti dai commi 1 e 2 dell’art. 6 del TUE, ma non anche differenziarne il regime giuridico, dislocando diversamente gli interventi edilizi tra le attività deformalizzate, soggette a cil e cila.
L’omogeneità funzionale della comunicazione preventiva (asseverata o meno) rispetto alle altre forme di controllo delle costruzioni (permesso di costruire, DIA, SCIA), deve indurre a riconoscere alla norma che la prescrive ‒al pari di quelle che disciplinano i titoli abilitativi edilizi‒ la natura di principio fondamentale della materia del «governo del territorio», in quanto ispirata alla tutela di interessi unitari dell’ordinamento e funzionale a garantire un assetto coerente su tutto il territorio nazionale, limitando le differenziazioni delle legislazioni regionali.
Essendo precluso al legislatore regionale di discostarsi dalla disciplina statale e di rendere talune categorie di opere totalmente libere da ogni forma di controllo, neppure indiretto mediante denuncia, l’art. 6 della legge reg. Liguria n. 12 del 2015 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente ai commi 3, 8, secondo trattino, e 11, terzo trattino
(Corte Costituzionale, sentenza 03.11.2016 n. 231).

EDILIZIA PRIVATA: L'edilizia parla una sola lingua. Un glossario unico spiegherà l'iter per ogni intervento. Palazzo Spada ha dato l'ok allo schema di decreto Scia2. Abolite la Dia e la Cil.
Un glossario unico in edilizia che garantirà regole omogenee e un linguaggio comune su tutto il territorio nazionale. E che, soprattutto, individuerà il titolo giuridico necessario per ciascuna tipologia di intervento.
La Cil (Comunicazione di inizio lavori), introdotta dal dl 40/2010, viene abolita e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti di attività libera. Quanto alla Comunicazione asseverata (cosiddetta Cila), essa viene estesa anche al restauro e al risanamento conservativo che non riguardano parti strutturali dell'edificio. Va in soffitta anche la Dia (Dichiarazione di inizio attività), sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori. E vengono semplificati i procedimenti relativi alla certificazione di agibilità, prevedendo un'apposita Segnalazione certificata di agibilità.

E' quanto prevede lo schema di decreto legislativo cd “Scia 2”
(Atto del Governo n. 322 - Schema di decreto legislativo recante individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), silenzio-assenso e comunicazione e definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti), già varato in via preliminare dal consiglio dei ministri, che ha ricevuto il via libera dal Consiglio di Stato con il parere 04.08.2016 n.1784.
Si tratta di uno dei tanti tasselli attuativi della delega Madia che va a completare la riforma avviata dal primo dlgs (cd “Scia 1”), ossia il decreto legislativo n. 126/2016 in vigore dal 28 luglio scorso (si veda ItaliaOggi del 29/7/2016).
Ma là dove il dlgs 126 si manteneva nel generico, disegnando la disciplina generale applicabile alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette, invece, a Segnalazione certificata di inizio attività, lo schema di decreto “Scia 2” va nel concreto, effettuando una ricognizione delle attività private nei settori dell'edilizia, dell'ambiente e del commercio. In questo modo viene data piena attuazione alla legge delega di riforma della p.a., che richiedeva «la precisa individuazione» dei procedimenti soggetti a Scia, silenzio-assenso, autorizzazione espressa e comunicazione preventiva. Vediamo le novità più rilevanti.
Glossario unico. L'art. 1 comma 2 dello schema stabilisce l'esigenza di «garantire omogeneità di regime giuridico in materia di edilizia su tutto il territorio nazionale». A tale scopo, demanda a un decreto del ministero delle infrastrutture e trasporti l'adozione del «glossario unico». Fino all'adozione del testo, le p.a. dovranno pubblicare sul proprio sito web un glossario che consenta l'immediata individuazione della tipologia dell'intervento e del conseguente regime giuridico, indicando i documenti necessari.
La misura piace al Consiglio di stato che nel parere ha evidenziato come la necessità di omogeneizzare il linguaggio sia «parte integrante della riforma».
Comunicazione di inizio lavori addio. Viene abolita la Comunicazione di inizio lavori (Cil) , introdotta nel 2010, che scontava il difetto di lasciare ampi poteri sanzionatori e repressivi alle amministrazioni comunali. Di fatto, osserva palazzo Spada, «il legislatore aveva scelto di non liberalizzare integralmente gli interventi soggetti a Cil, i quali si caratterizzano per avere comunque un impatto verso l'esterno, benché limitato ovvero temporaneo, introducendo un regime a metà strada tra l'attività completamente libera e la Dia».
Alla Cil si affiancava poi la Cil asseverata (Cila) per gli interventi di manutenzione straordinaria che richiedeva all'interessato la trasmissione agli uffici comunali della comunicazione corredata da una relazione tecnica completa di allegati progettuali e firma di un professionista abilitato.
Lo schema di decreto «Scia 2» semplifica il quadro normativo per agevolare cittadini e imprese. Gli interventi sono quattro. Viene abolita la Cil e gli interventi ad essa assoggettati sono ritenuti attività libera. Viene inserito tra gli interventi assoggettati a Cila anche il restauro e il risanamento conservativo che non riguardi parti strutturali dell'edificio. In terzo luogo, è abolita la Dia in alternativa al permesso di costruire, sostituita da una Scia con inizio posticipato dei lavori.
Per il Consiglio di stato «si tratta di una semplificazione innanzitutto terminologica, già in parte realizzata a livello regionale, onde evitare il protrarsi dell'utilizzo di distinzioni valide sul piano lessicale, ma non su quello concettuale». Infine, è stato semplificato il procedimento relativo al certificato di agibilità, prevedendo un'apposita segnalazione certificata di agibilità.
In questo modo, si delinea un quadro di interventi edilizi basato su 5 ipotesi: interventi in edilizia libera senza adempimenti; interventi in attività libera ma che richiedono la Cila; interventi assoggettati a Scia; interventi assoggettati a permesso di costruire; interventi per i quali è comunque possibile chiedere il permesso di costruire in alternativa alla Scia. Il regime ordinario diviene quindi quello della Cila e non più della Scia, fatte salve le ipotesi espressamente assoggettate ad altri regimi.
I rilievi del Consiglio di stato si concentrano soprattutto sulle sanzioni. Per palazzo Spada la sanzione pecuniaria forfettizzata in 1.000 euro, prevista per la sola ipotesi di Cila mancante, potrebbe risultare troppo lieve in alcuni casi. Meglio sarebbe se fosse graduata ed estesa anche alle altre ipotesi di irregolarità (lavori eseguiti in difformità ovvero Cila incompleta o irregolare) (articolo ItaliaOggi del 09.08.2016).

anno 2015

EDILIZIA PRIVATA: Quesito
Il D.P.R. n. 380/2001 versione originaria, contenente il “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, oltre a definire gli interventi edilizi realizzabili prevedeva, altresì, i titoli abilitativi necessari per effettuare gli interventi medesimi (Titolo II) stabilendo, in particolare: con l’art. 6 (“Attività edilizia libera”), quelli che si potevano eseguire senza alcun titolo abilitativo; con l’art. 10 (“Interventi subordinati a permesso di costruire”), quelli per i quali era necessario il permesso di costruire; con l’art. 22 (“Interventi subordinati a denuncia di inizio attività”) gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’art. 10 e all’art. 6, subordinati a presentazione di denuncia di inizio attività (D.I.A.).
La legge n. 68/1993 (“Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica”) all’art. 10, co. 10, ha poi previsto il pagamento dei diritti di segreteria per una serie di atti, tra cui <<…c) autorizzazione edilizia, nonché denuncia di inizio dell'attività…>> (lettera così sostituita dall'articolo 2, comma 60, legge n. 662 del 1996, poi modificata dall'articolo 1, comma 50, legge n. 311 del 2004).
L’art. 6 del d.p.r. n. 380/2001 (così come sostituito dall’art. 5 della L. n. 73/2010 e dall’art. 17 della L. n. 164/2014) attuale formulazione, ha introdotto per gli interventi non necessitanti titolo abilitativo di cui al comma 2, lett. b), c), d), e), la preventiva comunicazione di inizio lavori (C.I.L.) da parte dell’interessato all’amministrazione comunale, mentre con il comma 4 ha previsto, per gli interventi di cui alle lett. e) ed e-bis) del comma 2, la comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.).
Sulla scorta del quadro normativo sopra illustrato, si chiede di sapere se i diritti di segreteria di cui all’art. 10, co. 10, della L. n. 68/1993 e ss. mm. ed ii. sono esigibili dall’ente anche in relazione ai procedimenti per i quali la normativa prevede la presentazione all’amministrazione comunale della C.I.L. o della C.I.L.A.
Risposta
L’art. 10, comma 10, del d.l. 8/1993, convertito dalla legge 68/1993 e successive modificazioni, ha previsto il pagamento di diritti di segreteria per una serie di atti in materia edilizia ed urbanistica.
La comunicazione di inizio lavori (C.I.L.) e la comunicazione di inizio lavori asseverata (C.I.L.A.), previste per alcuni interventi in materia edilizia che non necessitano di titolo abilitativo, non sono previsti tra gli atti soggetti al pagamento dei diritti di segreteria dall’articolo citato.
I diritti di segreteria, compresi quelli in materia edilizia ed urbanistica, essendo dovuti a fronte di un’attività amministrativa compiuta dall’ente nello svolgimento delle sue funzioni di diritto pubblico, hanno natura tributaria (cfr. C. Cost. sent. n. 156/1990) e
non è consentito agli enti locali estendere la riscossione ad atti non previsti nella elencazione fatta dal legislatore, né sono possibili adattamenti al nuovo contesto normativo edilizio.
Il comma 3 del Tuel (D.Lgs. 267/2000) richiama il testo dall’art. 52 del D.Lgs. 446/1997 per il quale comuni e le province possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene l’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi, dell’aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.
Per questi motivi,
allo stato della legislazione, i comuni non possono richiedere diritti di segreteria per la comunicazione di inizio lavori, né per la comunicazione di inizio lavori asseverata (19.11.2015 - tratto da www.ancirisponde.ancitel.it).